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Piccolo racconto ispirato alla novella “Tamango” di Prosper Mérimé.

Questo racconto narra di una rivolta di schiavi come ce ne furono tante all’epoca
della “tratta dei negri”. L’Espérance era una buona nave, un solido vascello negriero
francese. Salpato da Nantes da poche settimane, era comandato dal capitano Ledoux.
I più superstiziosi avevano notato che l’Espérance aveva lasciato Nantes un venerdì.
Ma la storia inizia con il primo scalo della nave negriera, lungo la cosiddetta Costa
degli Schiavi, a Joale, in Africa…. È proprio a Joale che Tamango, valente guerriero
e rinominato commerciante di uomini, ha venduto al capitano Ledoux una trentina di
schiavi. L’affare si è concluso tra fiumi di acquavite. Al risveglio, Tamangi si
accorge di un suo gesto insensato,un gesto da ubriacone: ha venduto a Ledoux una
delle sue spose, Ayché, la sua prediletta. Purtroppo, il vascello ha mollato gli ormeggi
e si appresta a prendere il largo. Tamango, furibondo, salta su un canotto e raggiunge
l’Espérance. Ma l’occasione sembra fin troppo bella per il capitano Ledoux:
Tamango è là, forte, possente e alla sua mercé. Potrà venderlo a caro prezzo.
Ledoux lo fa gettare nella stiva. Un mattino, Tamango intravede Ayché sul ponte,
radiosa e avvente, al servizio del capitano.
Tamango va
su tutte le
furie. Con
animo ferito
ma il volto
fiero e
risoluto come
quando era
libero, le
passa accanto
senza
degnarla di
uno sguardo.
Lei invece,
smarrita, supplichevole, si getta ai suoi piedi. “ Perdonami, Tamango, perdonami!”
invoca disperata. Tamango la fissa a lungo, intensamente, poi d’un tratto ordina a
bassa voce: “ Una lima!”. Nessun guardiano lo ha sentito. L’indomani, avvicinandosi
a lui, Ayché gli lancia un biscotto, facendogli un cenno che solo lui può capire.
Dentro il biscotto è nascosta una lima. Poco alla volta, Tamango riesce a limare le sue
catene e quelle dei compagni. I congiurati, uniti da un solenne giuramento, hanno
stabilito il loro piano. I più determinati, Tamango in testa, metteranno mano sulle
armi delle guardie. Altri andranno nella cabina del capitano per sottrarre i fucili….
Tamango dà il segnale: è scoccata l’ora della vendetta e della libertà. L’ufficiale di
bordo e il secondo – che ha le chiavi dei seppi- sono i primi a morire. Tutti gli schiavi
si riversano sul ponte di coperta. Chi non ha armi combatte a colpi di remi. Nel pieno
della battaglia, Ledoux, ancora vivo, in piedi, imbrattato del sangue dei negri che ha
ucciso, intravede Tamango. Si precipita su di lui brandendo la spada e chiamandolo a
gran voce. Tamango impugna un fucile dalla parte della canna e se ne serve come
fosse una clava. I due capi si raggiungono su una passerella, quel passaggio stretto
che collega il cassero di poppa al castello di prua. La spada sfugge dalla mano
tremante del capitano; Tamango l’afferra al volo e colpisce all’impazzata, infierendo
sul nemico già agonizzante. Si rialza ed esulta con un grido di vittoria. Tutti i bianchi
vengono fatti a pezzi e gettati in mare. Ma non finisce qui… I negri però non sono in
grado di governare la nave. Con una falsa manovra rompono i due alberi: presi dal
panico si buttano a mare con le scialuppe che, troppo cariche, si ribaltano. Pochi
superstiti riescono a raggiungere la nave, ma muoiono uno dietro l’altro. Alcune
settimane dopo, un vascello inglese incrocia la nave alla deriva, senza più alberi,
senza più vele. L’unico sopravvissuto è l’ombra di se stesso, ridotto a pelle e ossa,
stremato, moribondo. Siede, assente, ai piedi dell’albero maestro. Non parla, non si
muove. È Tamango.

La schiavitù
è antica
almeno quanto i più vecchi testi che ci sono pervenuti. I sumeri duemila anni prima di
Cristo, mettevano ai propri schiavi un anello al naso, come si fa con i buoi e con i
tori. Lo schiavo era proprio del padrone, e su di lui esercitava ogni diritto quindi se
era necessario poteva venderlo o ucciderlo. Gli schiavi nell’antichità erano
generalmente bianchi. Erano condannati alla schiavitù chi non era in grado di pagare
le tasse e anche i prigionieri di
guerra. Fra gli schiavi erano pochi
quelli africani. Chi possedeva
schiavi di colore erano gli egizi e i
cartaginesi, ma il numero di schiavi
africani non poteva accrescere
poiché il Sahara era una “barriera”
difficile da superare.
Alla fine del Quattrocento, si
sviluppa un imponente traffico fra
l’Europa, l’Africa e le Americhe.
Nel corso di quattro secoli, da dodici
a quindici milioni di uomini
attraversano l’Oceano Atlantico,
stipati come merci sul fondo delle stive. Sono i “negri”, uomini africani scambiati con
prodotti europei, spesso di nessun valore.
I commercianti europei che vivono di questi traffici verranno chiamati “negrieri”.
Durante il cinquecento, nel corso di alcune esplorazioni marittime, i navigatori
portoghesi arrivano in Africa. Qui fanno prigionieri degli africani per poi venderli
come schiavi. Con il passare del tempo questi schiavi, diventano la merce di scambio
per eccellenza. La loro forza-lavoro era meno costosa rispetto a quella degli operai
bianchi, questo permette di valorizzare le nuove terre. Le scoperte geografiche ma
soprattutto gli schiavi ottenuti dagli spagnoli e dai portoghesi, iniziarono a essere
mandati nelle colonie americane. La terribile traversata atlantica, quella che gli
inglesi hanno chiamato MIDDLE PASSAGE, il “Passaggio di Mezzo”, vengono
imbarcati circa quindici milioni di schiavi, di cui almeno un milione e mezzo non è
riuscito a sopravvivere.
Prima della partenza il
carpentiere di bordo
aveva il compito di
predisporre la stiva per
alloggiare gli schiavi .
Lo spazio a loro destinato
era compreso fra il ponte
superiore e il ponte
inferiore. La
sistemazione degli
schiavi a bordo era
studiata in modo da
poterne imbarcare il
maggior numero
possibile. Il capitano e il
secondo di bordo
sistemavano gli schiavi per la notte: a tribordo, venivano girati in avanti e incastrati
l’uno di fronte all’altro; a babordo, vengono invece girati all’indietro, in una
posizione che è considerata preferibile poiché lascia battere il cuore più liberamente.
Quelli che aspirano meno fiducia vengono assicurati alla trave del loro scomparto in
una catena.
Il pasto degli schiavi consisteva in una zuppa calda di riso,mais,manioca e
fave,insaporita talvolta da un po’ di spezie.
Il rischio principale è rappresentato dallo scorbuto, una malattia devastante dovuta
alla scarsità della vitamina C. una volta che si
esaurivano le scorte di verdura fresca, il viaggio non
poteva assolutamente prolungarsi di oltre due mesi. Si
cercava di variare la dieta ricorrendo ai prodotti della
pesca. Il vero problema era quello dell’acqua potabile.
Durante il viaggio poteva capitare che le riserve
diventavano torbide, per poi marcire e riempirsi di
vermi. Le razioni alimentari erano ricche di calorie, ma
povere di vitamine. Inoltre chi custodiva gli schiavi
voleva spendere il meno possibile, ma anche non fornire agli schiavi troppe energie,
che potrebbero essere utilizzate in una rivolta.
Prima di sbarcare sul suolo americano, la nave restava ferma per quaranta giorni,
nessuno aveva il diritto di scendere a terra,
così le autorità portuali potevano avere la
certezza che a bordo non vi era nessuna
epidemia. Trascorsi i quaranta giorni ciascun
capitano si dedicava agli schiavi, questi
venivano nutriti meglio, gli venivano tagliati
i capelli e la barba e infine si cercava di
camuffare qualche difetto fisico, operazione
portata a termine dal medico di bordo.

Spesso l’arrivo della nave negriera veniva riportato in alcuni manifesti o altrimenti da
alcuni banditori assoldati allo scopo, annunciavano vendita degli schiavi.
L’arrivo degli schiavi segna un momento di grande importanza nella vita delle
colonie. La vendita solitamente inizia con una salva di cannone sparata dalla nave
negriera. Gli schiavi vengono presentati all’asta in lotti chiamati in gergo “pezze
d’India”.
Gli schiavi malati vengono generalmente
acquistati da piccoli proprietari che, tentando di
curarli, pensano di poter fare un buon affare.
Lo schiavo viene messo sopra un tavolo o sopra
una botte, in modo che sia visibile dal maggior
numero di persone. I potenziali acquirenti
possono notare le qualità dello schiavo,
facendolo mettere in pose diverse così da
giudicarne la forza e lo stato di salute.

Il ricavato dalla vendita dello schiavo veniva contabilizzato in registri speciali, che il
capitano della nave è tenuto a consegnare al
finanziatore dell’impresa.

In breve tempo, l’Olanda, la Gran Bretagna,


la Francia e molti altri paesi europei
cercavano di importare il minimo di materie e di esportare il massimo di prodotti
lavorati. I maggior prodotti che vengono esportati sono: il caffè, la canna da
zucchero, il cotone e il riso, prodotti che in Europa si fa fatica a coltivare. Gli schiavi
infatti passavano la loro vita nelle piantagioni.
Nella piantagione di zucchero, gli schiavi avevano due tipi di impieghi:
al “mulino” cioè nei diversi luoghi in cui si svolge la trasformazione delle canne in
zucchero e al “giardino”, cioè nei canneti. Chi lavorava nei giardini veniva svegliato
prima dell’alba dal suono della frusta del sorvegliante.

Oltre al lavoro del giardino, gli schiavi erano obbligati di fare due volte al giorno il
fieno per nutrire gli animali che facevano funzionare i mulini.

Nei campi di cotone,verso l’Ottocento, periodo d’oro del


cotone nel sud degli Stati Uniti, cresce fortemente la
produzione del cotone.
Anche qui lo schiavo iniziava a lavorare all’alba , aveva
solo dieci minuti di pausa per ingerire una piccola razione
di carne fredda, il lavoro continuava sino a quando c’era la luce e quando c’era la
luna piena sino a notte fonda.

La coltivazione del caffè aveva bisogno di numerose cure, ma il lavoro era meno
pesante rispetto a quello che richiedevano nelle piantagioni
della canna da zucchero e dalle piantagioni del cotone.
Gli schiavi di salute inferiore venivano impiegati nella
“bonifica” del caffè, un operazione che consisteva nel
togliere ai chicchi la membrana che li avvolge.

In Europa, lo schiavismo ebbe sempre degli oppositori. La


chiesa condannò formalmente la tratta degli schiavi sin dal
XV secolo. La prima nazione Europea a proclamare
l’abolizione dello schiavismo fu l’Inghilterra. Infatti nel
1815, il congresso di Vienna, su sollecitazione inglese, condanna solennemente la
tratta degli schiavi, paragonandola al reato di pirateria.
Con il trattato di Aix-la-Chapelle, del 1818, le grandi potenze europee aboliscono la
tratta, ponendo di fatto fine all’epoca d’oro delle piantagioni sudiste. All’inizio del
XIX secolo, gli abolizionisti denunciarono lo schiavismo non solo come pratica
immorale e ingiusta nei confronti dei deportati, ma anche come danno insanabile nei
confronti dei paesi da cui venivano prelevati gli schiavi.
Alla fine del XIX secolo, tutta l’Africa era stata spartita in colonie, e praticamente
tutti i regimi coloniali avevano imposto l’abolizione della schiavitù.

FONTI: Wikipedia e dal libro “Schiavi e


negrieri la grande tratta”.

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