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Introduzione
La meccanica razionale una disciplina che tradizionalmente si
collocata, fin dalla sua origine, nel quadro della fisica matematica: ci
significa che i suoi contenuti provengono interamente dalla fisica, mentre
i suoi metodi non sono di natura sperimentale, ma sono completamente
deduttivi come nella matematica.
La meccanica razionale non ha perci il compito di preoccuparsi della
parte sperimentale con la quale la fisica raggiunge le sue leggi fondamentali:
viceversa presuppone come assiomi i principi della meccanica e parte da
questi per costruire, facendo uso dellanalisi matematica e della geometria,
una teoria dimostrativa e completamente deduttiva.
Usualmente un corso di meccanica razionale sviluppa la trattazione
basandosi sui principi della meccanica newtoniana, escludendo dalla propria
considerazione sia la teoria della relativit che la meccanica quantica.
Per aiutare a farsi unidea di come viene organizzata la trattazione diciamo
che essa comprende:
1 - una prima sezione, piuttosto ampia, che potremmo caratterizzare con
il titolo un po generico di preliminari, nel senso che ci fornisce tutti gli
strumenti, le definizioni e i teoremi che si possono sviluppare senza far ricorso
alla meccanica newtoniana vera e propria. In questa sezione includiamo:
la teoria dei vettori applicati
la cinematica
la geometria delle masse, cio quel capitolo che riguarda i concetti di
baricentro e di momento dinerzia
la cinematica delle masse, cio il capitolo relativo alla quantit di moto,
al momento della quantit di moto e allenergia cinetica.
Vettori applicati
I - Cinematica
Geometria delle masse
Cinematica delle masse
Lavoro e potenziale
II - Statica
III - Dinamica
Stabilit e oscillazioni
Piano delle fasi
punto
punto
punto
punto
sist.
sist.
sist.
sist.
corpo rigido
corpo rigido
corpo rigido
corpo rigido
olonomo
olonomo
olonomo
olonomo
continuo
continuo
continuo
continuo
PRELIMINARI
x3
metro
orologio
x
x1
Scalari
La fisica ci dice che esistono delle grandezze la cui misura si pu
identificare con un semplice numero: ad esempio il tempo, la massa,
lenergia, ecc. Queste quantit vengono dette scalari. Va sottolineato,
osservatori e grandezze
per che non tutte le quantit caratterizzabili con un solo numero sono,
propriamente parlando, degli scalari.
Una grandezza si dice scalare quando il valore della sua misura non
dipende dallorientamento degli assi del sistema di riferimento.
Perci due o pi osservatori che effettuano, nello stesso istante e nello
stesso punto dello spazio, la misura di quella quantit, pur avendo scelto
sistemi di assi diversamente orientati, otterranno lo stesso risultato.
Vettori
Altre grandezze necessitano, invece, di ulteriori specificazioni oltre al
numero che misura la loro intensit, in quanto sono caratterizzate anche
da una direzione e da un verso nello spazio. Queste quantit come lo
spostamento, la velocit, la forza, ecc. si possono descrivere geometricamente
mediante dei segmenti orientati e vengono dette vettori.
A
Figura OG. 3: notazioni per un vettore
Nellesempio di figura (??) si ha che v = AB
Operatori lineari
Esistono, poi in fisica, altri tipi di grandezze che non sono n scalari
n vettori, ma compaiono in relazioni matematiche che legano tra loro due
osservatori e grandezze
Lazione di A
trasforma il vettore v nel nuovo vettore w. La grandezza A
prende il nome di operatore lineare. La sua azione tra vettori si scrive allora
nella forma:
w=A
v
Notiamo che le propriet di A
sono determinate dal fatto che se il vettore
di partenza obbedisce alla regola di somma del parallelogrammo, anche il
vettore trasformato deve obbedire alla stessa regola. Un operatore descrive
matematicamente leffetto di un agente che prende un vettore, lo ruota e lo
deforma allungandolo o accorciandolo.
Una grandezza si dice operatore lineare se trasforma la somma di due
vettori nella somma dei loro trasformati.
Figura VA. 1: azione di una forza in dipendenza dal suo punto di applicazione
Un altro esempio di vettore applicato dato dalla velocit di un punto di
un corpo rigido che dipende, con una legge ben precisa dal punto considerato.
Nasce, perci, lesigenza di introdurre il concetto di vettore applicato,
come un ente a sei parametri, dei quali tre sono le coordinate del punto di
applicazione e tre sono le componenti del vettore. Simbolicamente un vettore
applicato si denota con una coppia ordinata di elementi dei quali il primo il
punto di applicazione e il secondo il vettore: (A, v).
Oltre ai vettori applicati in un punto si pu definire anche una categoria
di grandezze vettoriali le cui propriet sono legate indifferentemente ai punti
vettori applicati
della retta alla quale appartengono (retta dazione ) e perci sono detti vettori
scorrevoli o cursori, in quanto possono essere fatti scorrere lungo la propria
retta dazione senza alterare il loro effetto fisico.
v
(A,v)
Figura VA. 2: cursore
Un cursore pu essere denotato con la coppia (r, v) il primo termine della
quale indica la retta dazione del cursore.
Tuttavia dal momento che questi enti rappresentano una sottoclasse dei
vettori applicati ad un punto lo studio delle loro propriet specifiche non ci
strettamente necessario.
(VA. 1)
(VA. 2)
10
A
d
Q
Figura VA. 3: braccio di un vettore applicato rispetto a un polo
dove: d = |QA| sen # detto braccio del vettore v rispetto al polo Q.
Il momento polare di un vettore applicato risulta essere nullo :
quando il vettore nullo
e/oppure
quando il polo coincide con il punto di applicazione del vettore
oppure
quando QA parallelo a v ovvero Q appartiene alla retta di azione di
v.
Negli ultimi due casi si ha che il braccio risulta essere nullo.
Notiamo che, data la definizione, il momento un vettore ortogonale al
piano individuato dal vettore v e dal polo.
M
Q
v
Q
A
(A , v)
vettori applicati
11
variare del punto di applicazione del vettore; tuttavia facile verificare che se
si fa scorrere il polo lungo una retta parallela alla retta di azione del vettore,
oppure si fa scorrere il vettore lungo la propria retta dazione il momento non
cambia.
r
v
r'
A
Q'
Q
Figura VA. 5: scorrimento del polo lungo una retta parallela alla retta di azione
v
v
A'
A
Q
12
AA0 ^ v = 0
(VA. 3)
vettori applicati
13
MQ
u
Q
r
Mr u
(VA. 4)
14
u
Q
r
MQ
r
u
v
M ru
vettori applicati
15
An
v1
vn
vs
As
A1
A2
v2
vn-1
A n-1
polo Q
Figura VA. 10: sistema di vettori applicati
Un sistema di vettori applicati si denota con a , definito come linsieme
dei vettori applicati di cui ci stiamo occupando:
a = {(As , v s ) ; s = 1, 2, , n}
(VA. 5)
R=
n
X
vs
(VA. 6)
s=1
16
MQ =
n
X
s=1
(VA. 7)
QAs ^ v s
che si ottiene sommando i momenti polari, calcolati rispetto allo stesso polo
Q dei singoli vettori applicati del sistema.
Si vede immediatamente dalla (VA. 7) che, in generale il momento
risultante di un sistema di vettori applicati differisce dal momento del vettore
risultante, pensato applicato in un qualche punto A.
M Q0 =
n
X
s=1
Q0 As ^v s =
n
X
s=1
n
X
Q0 Q^v s +
s=1
n
X
s=1
QAs ^v s
n
X
s=1
vs +
n
X
s=1
QAs ^ v s
vettori applicati
17
M Q0 = M Q + Q0 Q ^ R
(VA. 8)
(VA. 9)
18
Q0 Q ^ R = 0
(VA. 10)
(VA. 11)
Coppia
Un esempio notevole di sistema a risultante nullo dato dalla coppia.
Si dice coppia un sistema di due vettori applicati a risultante nullo.
Il fatto che il risultante sia nullo ci dice che i due vettori sono tra loro
paralleli, di verso opposto e di uguale modulo.
Il momento della coppia indipendente dalla scelta del polo e pu essere
facilmente calcolato scegliendo come polo il punto di applicazione di uno
dei due vettori della coppia, il quale risulta avere allora momento nullo;
procedendo in questo modo si ottiene:
vettori applicati
19
-v
M = QA ^ v
(VA. 12)
|M | = |v| d
(VA. 13)
In modulo abbiamo:
dove il braccio d = |QA| sen # uguale alla distanza fra le due rette dazione
dei vettori della coppia.
Ne consegue che: una coppia di vettori non nulli ha momento nullo se e
solo se il suo braccio nullo.
In tal caso i due vettori sono uguali e contrari e sulla stessa retta dazione.
Per una coppia di braccio nullo si ha R = 0, M = 0.
b. sistemi a risultante non nullo
Il secondo modo per soddisfare la condizione di invarianza del momento
risultante (VA. 9) si ha quando il risultante non nullo e Q0 Q risulta parallelo
al risultante. In questo caso il momento risultante lo stesso per qualunque
20
-v
B
v
-w
w
C
Figura VA. 12: coppie di braccio nullo
polo appartenente alla retta passante per Q e parallela ad R e non pi per
qualunque punto dello spazio, preso come polo, come accadeva nel caso
precedente. Scegliendo i poli su di una retta parallela ad R, ma diversa, il
momento risultante cambia.
r
R
r'
A
Q'
Q
Figura VA. 13: invarianza del momento polare rispetto ai punti di una retta parallela
al risultante
vettori applicati
21
(VA. 14)
(VA. 15)
Teorema di Varignon
Un sistema di vettori applicati in uno stesso punto, o tali che le loro rette
dazione passino per lo stesso punto, ha momento risultante uguale al
momento del vettore risultante applicato in quel punto.
22
DIMOSTRAZIONE
Scelto come polo il punto comune alle rette dazione di tutti i vettori,
che pu essere anche il punto di applicazione, almeno di alcuni di essi, e
che chiamiamo Q calcoliamo il momento risultante rispetto al polo Q, che
secondo la definizione (VA. 7) vale:
MQ =
n
X
s=1
QAs ^ v s
Ora, se la retta dazione del generico vettore del sistema passa per Q o
addirittura Q coincide con il punto di applicazione As segue immediatamente:
QAs ^ v s = 0,
s = 1, 2, , n
vettori applicati
23
identica alla (VA. 4). Grazie alla legge di distribuzione dei momenti (VA.
8) anche per un sistema di vettori applicati il momento assiale risulta
indipendente dalla scelta del polo lungo la retta r assegnata. Infatti abbiamo:
Mr = M Q0 u = M Q u + Q0 Q ^ R u
Ma dal momento che Q0 e Q appartengono alla retta r di direzione u
segue che Q0 Q parallelo ad u e quindi il prodotto misto Q0 Q ^ R u
certamente nullo, perch i tre vettori Q0 Q, R e u risultano complanari.
Dunque il momento assiale risulta indipendente dal punto che si sceglie come
polo lungo la retta r.
Trinomio invariante
Dato un sistema di vettori applicati a i vettori R e M Q vengono detti
vettori principali del sistema. Con questi due vettori possibile costruire
uno pseudoscalare che prende il nome di trinomio invariante o anche,
brevemente invariante:
J = MQ R
(VA. 16)
24
OP = x (xi ) (x1 , x2 , x3 )
(VA. 17)
vettori applicati
25
MP = MO + PO ^ R = MO + R ^ x
(VA. 18)
(VA. 19)
(VA. 20)
(VA. 21)
(VA. 22)
26
rf (x) = 0
che nel nostro caso si traduce in:
(VA. 23)
(M O + R ^ x) ^ R = 0
A questo punto si presentano tre possibilit:
a. prima possibilit
R=0
(VA. 24)
MO + R ^ x = 0
(VA. 25)
b. seconda possibilit
c. terza possibilit
MO + R ^ x
parallelo ad
2R
(VA. 26)
vettori applicati
27
= 0 e il caso c) per
6= 0.
(VA. 27)
J
R2
(VA. 28)
e dunque, rispetto ai punti dellasse centrale presi come poli il momento vale:
= MP =
J
R
R2
(VA. 29)
28
(VA. 30)
N Q = QP ^ R
(VA. 31)
dove:
P
Q
N
Q
asse
centrale
vettori applicati
29
|M Q | =
2 + N Q 2
(VA. 32)
|N Q | = |R| d
dove d la distanza del polo Q dallasse centrale.
Riassumendo:
Lasse centrale la retta luogo geometrico dei punti dello spazio, che
presi come poli di riduzione, rendono il momento risultante parallelo al
risultante e di minimo modulo oppure nullo.
Notiamo che lasse centrale una retta parallela al risultante: si pu
vederlo facilmente applicando la legge di distribuzione dei momenti (VA. 8)
per due poli P e P 0 appartenenti allasse centrale per i quali il momento
identico e vale . Risulta allora:
= + P 0P ^ R
()
P 0P ^ R = 0
30
Considerazioni analitiche
Dal punto di vista analitico va detto che il minimo per la funzione f (x)
che rappresenta il modulo al quadrato del momento risultante non un
minimo relativo proprio, perch non si verifica in un solo punto del dominio
della funzione. Abbiamo trovato, infatti unintera retta di punti di minimo
(asse centrale): si tratta di un minimo cilindrico. In questo caso, definito
lasse centrale come linsieme:
A = {x 2 R3 ; M O + R ^ x =
R,
2 R}
si ha:
f (x) > ||2
8x 2
/A
e
f (x) = ||2
()
x2A
OA = a (a1 , a2 , a3 )
otteniamo il seguente sviluppo:
1
a) + (x
2
a) H
(x
a)
vettori applicati
31
@f (x)
@ 2 f (x)
d
=
dxj
@xi
@xi @xj
Perci i suoi elementi di matrice sono le derivate seconde della funzione
f (x):
@ 2 f (x)
=
H
@xi @xj
Nel nostro caso il gradiente dato dalla (VA. 22) e quindi:
d[rf (x)] = d[2(M O + R ^ x) ^ R]
Sviluppando il doppio prodotto vettoriale abbiamo:
(R ^ x) ^ R = R2 x
R(R x)
32
R R] dx
R R]
Ora per avere un minimo cilindrico, cio sui punti di una retta, che nel
nostro caso lasse centrale, occorre che la matrice hessiana sia definita
positiva per tutti i vettori dello spazio privato della retta. Ci significa che
la forma quadratica (x a) H
(x a) deve risultare sempre positiva al di
fuori della retta e sempre nulla sulla retta.
E questo proprio quanto accade. Infatti, indicando, per brevit con:
w=x
abbiamo:
2
wH
I
w = 2w [R
= 2R2 w2 (1
R R]w = 2[R2 w2
(R w)2 ] =
vettori applicati
33
i = 1, 2, 3
(VA. 34)
MOx + Ry z
R z y = Rx
MOy + Rz x
Rx z = Ry
MOz + Rx y
Ry x = Rz
(VA. 35)
MOx + Ry z
Rz y =
J
R
R2 x
MOy + Rz x
Rx z =
J
R
R2 y
(VA. 36)
34
Operazioni elementari
Si chiamano operazioni elementari su di un sistema di vettori applicati le
seguenti operazioni:
laggiunta o la soppressione di una o pi coppie di braccio nullo;
la sostituzione di pi vettori applicati in uno stesso punto con il loro
risultante, applicato nello stesso punto; o viceversa la decomposizione di un
vettore applicato in un punto in pi vettori applicati nello stesso punto, il cui
risultante uguale al vettore di partenza.
Una conseguenza di queste due operazioni elementari consiste nel:
trasporto di un vettore lungo la propria retta dazione.
Questa terza operazione elementare non indipendente dalle prime due
in quanto il trasporto del vettore lungo la sua retta dazione si pu pensare
come laggiunta di una coppia di braccio nullo seguita dalla soppressione di
unaltra coppia di braccio nullo o dalla sostituzione di due vettori applicati
nello stesso punto con il loro risultante.
vettori applicati
35
r
A
-v
A
v
v
B
B
v
Sistemi riducibili
Diamo la seguente definizione di riducibilit di due sistemi:
Due sistemi di vettori applicati si dicono riducibili quando possibile
passare dalluno allaltro mediante operazioni elementari.
E inoltre la definizione di sistema riducibile a zero:
Un sistema di vettori applicati si dice riducibile a zero, o equilibrato
o nullo quando, mediante operazioni elementari, pu essere ridotto a
coppie di braccio nullo.
36
Teoremi di riducibilit
Il teorema pi importante della teoria dei vettori applicati riguarda la
riducibilit di un qualunque sistema di vettori applicati ad un sistema di vettori
applicati particolarmente semplice. Lo enunciamo:
Un sistema di vettori applicati di risultante R e momento risultante
M Q calcolato rispetto a un polo Q riducibile ad un solo vettore R
applicato in Q e ad una coppia di momento M Q .
DIMOSTRAZIONE
La dimostrazione di questo teorema pu essere fatta in tre stadi successivi,
ciascuno dei quali costituisce un teorema a se stante: a questi tre teoremi, che
ora enunciamo e dimostriamo, si d il nome di teoremi di riducibilit.
a = {(As , v s ) ; s = 1, 2, , n ; n > 3}
vettori applicati
37
vs
P'
v's
P''
v''s
P'''
v'''
s
38
(P ,
n
X
s=1
v 0s ),
00
(P ,
n
X
s=1
v 00s ),
000
(P ,
n
X
v 000
s )
s=1
vettori applicati
39
v1
P1
P
P
3
P2
v3
v2
Figura VA. 17: riduzione di tre vettori di cui due complanari incidenti a un sistema
di due vettori
v
2
v
1
P2
P1
v
P3
Figura VA. 18: riduzione di tre vettori di cui due paralleli a un sistema di due vettori
Altri casi banali si hanno quando la retta dazione di almeno uno dei tre
vettori contiene il punto di applicazione di un altro di essi, perch in questo
40
caso basta far scorrere il vettore in questione lungo la propria retta dazione
fino al punto di applicazione dellaltro vettore e sostituire poi i due vettori con
il loro risultante.
Se si eccettuano questi casi la retta dazione, ad esempio di v 2 e il punto
di applicazione P1 individuano un piano distinto dal piano individuato dalla
retta dazione di v 3 e da P1 . Questi due piani risultano incidenti in una retta
passante per P1 . Ora scelto ad arbitrio un punto Q sulla retta di intersezione
dei due piani, distinto da P1 si decompongono i vettori v 2 e v 3 , nel loro piano
lungo le direzioni di P1 P2 , QP2 e rispettivamente di P1 P3 e QP3 . Nei piani
predetti ognuno di questi vettori identificato completamente da due sole
componenti. Abbiamo cos:
v 2 = v 02 + v 002 ,
v 3 = v 03 + v 003
A questo punto si fanno scorrere i vettori con un solo apice lungo la loro
retta dazione fino al punto P1 e i vettori con due apici fino al punto Q.
Dopo questa sequenza di operazioni elementari ci siamo ricondotti ai
seguenti sistemi di vettori applicati:
{(Q, v 002 ), (Q, v 003 )},
vettori applicati
41
v''
3
P
3
v''2
v3
v'3
P1
v'2
P2
v2
v1
Figura VA. 19: riduzione di tre vettori a un sistema di due vettori (caso non banale)
v2
v
2
Q
a)
b)
v2
-v1
-v1
v1
v1
v1
Q
P
c)
v1
-v1
Q
P
v1
d)
42
(VA. 37)
vettori applicati
43
QA Vs
As
vs
Figura VA. 21: il momento di un sistema di vettori piani normale al piano o nullo
In ogni caso rispetto a un polo scelto sullasse centrale il momento nullo.
Per dare una rappresentazione cartesiana dellasse centrale di un sistema di
vettori piani conveniente scegliere un sistema cartesiano ortogonale il cui
piano xy coincide con il piano dei vettori. In questo caso, poich il risultante
un vettore del piano e il momento risultante ortogonale al piano, abbiamo
le seguenti informazioni:
44
Rz = 0,
MOx = 0,
MOy = 0,
J
=0
R2
che introdotte nelle equazioni parametriche dellasse centrale (VA. 35) danno:
8
>
>
>
<
>
>
>
:
z=O
(VA. 38)
MOz + Rx y
Ry x = 0
Lasse centrale risulta essere una retta del piano z = 0, che il piano dei
vettori, parallela al risultante.
vettori applicati
45
Ry = 0,
MOz = 0,
=0
MOx = Rz y
MOy =
(VA. 39)
Rz x
Di qui si vede subito che lasse centrale proprio una retta parallela
allasse z, cio al risultante.
(VA. 40)
vs0 = v s u = |v s |
(VA. 41)
dove:
46
R = R0 u
(VA. 42)
con:
R0 = R u = |R| =
n
X
vs0
(VA. 43)
s=1
s=1
OAs ^ vs0 u + P O ^ R0 u = 0
OAs vs0
s=1
OP R
^u=0
(VA. 44)
OAs vs0
OP R0 = u
s=1
vettori applicati
47
n
1 X
OP = 0
OAs vs0
R s=1
(VA. 45)
OC =
n
1 X
OAs vs0
R0 s=1
(VA. 46)
Il centro soddisfa lequazione della stella di tutti gli assi centrali che si
ottengono ruotando il versore u e perci rappresenta lintersezione di tutti gli
assi centrali dei sistemi di vettori paralleli ruotati. Osserviamo che al tendere
di R0 a zero il centro tende ad un punto improprio in quanto le sue coordinate
tendono all infinito.
Evidentemente la definizione del centro dei vettori paralleli non
dipende dalla scelta del punto O, che del tutto arbitraria, come si vede
aggiungendo O0 O ad entrambi i membri della (VA. 46) per cambiare lorigine
in O0 : la formula del centro non modifica la sua struttura.
48
A2
r
A3
v1
A1
v2
v3
An
vn
vs
As
A n-1
v n-1
curva convessa
vettori applicati
49
DIMOSTRAZIONE
Vediamo la dimostrazione nel caso di un sistema di vettori i cui punti
di applicazione appartengono ad un piano e sono racchiusi da una curva
convessa: lestensione al caso di una superficie convessa immediata.
Osserviamo anzitutto che essendo i vettori concordi e u il loro versore
le componenti dei vettori e del risultante, definite dalle (VA. 41) e (VA. 43),
sono uguali ai rispettivi moduli.
x
y
A3
A2
As
A1
An
xC =
n
1 X
xs |v s |
|R| s=1
(VA. 47)
0,
s = 1, 2, , n;
|R| > 0
50
s = 1, 2, , n
0,
OC =
(VA. 48)
a condizione che v10 + v20 6= 0, cio a condizione che il sistema non sia una
coppia, cio abbia risultante non nullo.
Scegliamo un sistema cartesiano nel piano dei due vettori con lasse delle
ascisse coincidente con la retta congiungente i due punti di applicazione. In
questo modo la (VA. 48) proiettata sullasse delle x diviene:
vettori applicati
51
xC =
x1 v10 + x2 v20
v10 + v20
(VA. 49)
v20 = |v 2 |
xC =
x2 |v 2 |
|v 1 | + |v 2 |
Allora lascissa del centro risulta non negativa e non maggiore di x2 , dal
momento che:
|v 2 |
1
|v 1 | + |v 2 |
d2 = |x2 |
52
abbiamo di conseguenza:
x01 =
d1 ,
x02 = d2
|v 1 | d1 = |v 2 | d2
che si legge in questo modo:
asse centrale
v1
A1
C
v2
A
Figura VA. 25: determinazione grafica del centro di due vettori paralleli concordi
Il nuovo sistema ottenuto in questo modo e riducibile al primitivo
sistema, non pi costituito da vettori paralleli, tuttavia riducibile al
vettori applicati
53
solo risultante applicato nel punto di intersezione delle due rette dazione.
Questo punto si trova certamente sullasse centrale sul quale il sistema,
essendo a invariante nullo riducibile a un solo vettore applicato. Gli assi
centrali dei due sistemi evidentemente coincidono, dal momento che i due
sistemi hanno lo stesso risultante e lo stesso momento risultante e lasse
centrale determinato dai soli vettori principali di un sistema di vettori
applicati. Ora il centro del sistema dei due vettori paralleli e concordi si deve
trovare contemporaneamente sulla congiungente i due punti di applicazione e
sullasse centrale: quindi si trova nel loro punto di intersezione.
Vettori discordi
In questo caso per la determinazione analitica del centro dobbiamo tener
conto che i due vettori hanno verso opposto, per cui convenendo di scegliere
uno dei due orientamenti come positivo e laltro come negativo, avremo:
v10 = |v 1 | ,
v20 =
|v 2 |
xC =
x2
|v 2 |
|v 1 | |v 2 |
54
|v 2 |
=
|v 1 | |v 2 |
1
1
|v 1 |
|v 2 |
<
x2 = d2
dove il segno positivo va preso nel caso in cui il centro si trovi a sinistra di A1
e il segno negativo nel caso in cui il centro si trovi a destra di A2 .
Queste informazioni sostituite nella (VA. 49), avendo posto xC = 0
(origine) ci danno come nel caso dei vettori concordi una relazione di
proporzionalit inversa:
|v 1 | d1 = |v 2 | d2
che si pu leggere in questo modo:
il centro di due vettori paralleli discordi si trova sulla retta congiungente
i loro punti di applicazione, esternamente al loro segmento congiungente a
distanze da questi che sono inversamente proporzionali ai moduli dei vettori
e dalla parte del vettore di modulo maggiore.
Per quanto riguarda la determinazione del centro per via grafica la
procedura del tutto analoga a quella che si conduce nel caso dei vettori
concordi ed illustrata in fig.(VA. 26).
vettori applicati
55
asse centrale
V1
A1
A2
V2
C
R
P
Figura VA. 26: determinazione grafica del centro di due vettori paralleli discordi
Cinematica
OP(t)
O
OP = OP (t)
(CP. 1)
59
(CP. 2)
i = 1, 2, 3
x = x(t)
(CP. 3)
y = y(t)
z = z(t)
Z t
0
ds( t)
(CP. 4)
dove:
v
u
u
t
ds(t) =
dx
dt
!2
dy
+
dt
!2
dz
+
dt
!2
dt
(CP. 5)
60
OP = OP (s)
(CP. 6)
x = x(s)
y = y(s)
(CP. 7)
z = z(s)
(CP. 8)
e prende il nome di equazione oraria o legge oraria del moto. Mentre la (CP.
6) contiene solamente le informazioni geometriche relative alla traiettoria,
indipendentemente dalle informazioni sullevoluzione temporale del moto,
cio sul modo come la traiettoria viene percorsa, la legge oraria non
contiene nessuna informazione sulla forma della traiettoria, ma descrive
propriamente il modo in cui essa viene percorsa nel tempo, cio contiene
tutte le informazioni sullevoluzione temporale del moto.
Perci questa rappresentazione del moto particolarmente conveniente,
perch consente di separare le informazioni pi propriamente geometriche
da quelle strettamente cinematiche .
61
riconduce allo studio della sola legge oraria (CP. 8), che pu essere riportata
in grafico fornendo quello che si chiama diagramma orario del moto.
Si introduce, poi, il concetto di velocit media del punto, in un intervallo
di tempo di estremi t1 e t2 , come:
vm =
s(t2 )
t2
s(t1 )
t1
(CP. 9)
v=
ds
= s
dt
(CP. 10)
62
s
s
o
t2
O
t1
a=
d2 s
= v = s
dt2
(CP. 11)
Moto uniforme
Un moto si dice uniforme quando la sua accelerazione nulla:
a=0
(CP. 12)
(CP. 13)
63
s(t) = v0 t + s0
(CP. 14)
dove i valori delle due costanti v0 ed s0 sono dati dalle condizioni iniziali:
s0 = s(0),
v0 = s(0)
(CP. 15)
(CP. 16)
s = a0
(CP. 17)
ovvero:
1
a0 t2 + v0 t + s0
2
(CP. 18)
64
Moto vario
Un moto si dice vario quando non rientra nelle due categorie precedenti:
in questo caso la funzione a(t) qualunque e per determinare la legge oraria
si dovr procedere caso per caso a due successive integrazioni, una volta
conosciuta la funzione accelerazione scalare. Lequazione differenziale del
moto si scrive:
s = a(t)
(CP. 19)
v(t) =
Z t
0
a( t)dt + v0
(CP. 20)
s(t) =
Z t
0
v( t)dt + v0 t + s0
(CP. 21)
Cinematica vettoriale
Una descrizione complessiva del moto, che includa anche la traiettoria,
si pu fare considerando non appena la legge oraria (CP. 8), ma la funzione
vettoriale (CP. 1). A questo scopo si definiscono:
la velocit vettoriale del punto P :
v=
dOP
dP
=
dt
dt
(CP. 22)
65
a=
dv
d2 P
= 2
dt
dt
(CP. 23)
OP = OP (s(t))
(CP. 24)
v=
dP ds
ds dt
ma:
T =
dP
ds
(CP. 25)
66
v = s T
(CP. 26)
a=
d
dT
(s T ) = s T + s
dt
dt
(CP. 27)
(CP. 28)
(CP. 29)
(CP. 30)
67
a = s T +
s 2
N
(CP. 31)
(CP. 32)
aN = a N =
s 2
(CP. 33)
68
v = costante
a=0
s T +
s 2
N =0
s = 0,
(CP. 34)
La prima delle condizioni (CP. 34) equivale alla richiesta che il moto sia
uniforme (CP. 13) e il suo integrale dato dalla legge oraria (CP. 14); la
seconda, dal momento che, in generale s 6= 0, altrimenti P sarebbe in quiete,
equivale a richiedere che C = 0, ovvero che ! 1, e cio che il moto sia
rettilineo.
Poich allistante iniziale t = 0 abbiamo:
s(0)
= v0 ,
v0 T 0 = v 0
(CP. 35)
(CP. 36)
69
T = T0
()
dP
v0
= T0 =
ds
v0
(CP. 37)
OP (s) = (s
s0 )
v0
v0
(CP. 38)
(CP. 39)
70
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:
x = ax (t)
y = ay (t)
(CP. 40)
z = az (t)
Sistema che integrato una volta fornisce le componenti del vettore velocit
in funzione del tempo:
8
>
>
>
>
>
>
<
vx (t) = v0x +
vy (t) = v0y +
>
>
>
>
>
>
:
vz (t) = v0z +
Rt
0
Rt
0
Rt
0
ax ( t) dt
ay ( t) dt
(CP. 41)
az ( t) dt
e integrato una seconda volta d le coordinate del punto in funzione del tempo
(integrale del moto):
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:
x(t) = x0 +
y(t) = y0 +
z(t) = z0 +
Rt
vx ( t) dt
Rt
vy ( t) dt
Rt
0
(CP. 42)
vz ( t) dt
Z t
ai ( t) dt
(CP. 43)
xi (t) = x0i +
Z t
vi ( t) dt
(CP. 44)
e rispettivamente:
71
v(t) = v 0 +
Z t
0
OP (t) = OP0 +
a( t) dt
Z t
0
v( t) dt
(CP. 45)
(CP. 46)
72
y
P
r
u
(CP. 47)
r = |OP |
{ei , i = 1, 2}
si introducono i nuovi versori:
u=R
e1 ,
w=R
e2
(CP. 48)
essendo:
0
B
R
@
cos #
sen #
sen #
cos #
1
C
A
(CP. 49)
73
w ( sen#, cos #)
(CP. 50)
Ma essendo:
x = OP e1
(CP. 51)
y = OP e2
OP = ru
(CP. 52)
segue:
8
>
<
>
:
x = r cos #
(CP. 53)
y = r sen #
v=
dP
d
du
= (ru) = r u + r
dt
dt
dt
(CP. 54)
74
(CP. 55)
du
( sen #, cos #) w
d#
(CP. 56)
du
= # w
dt
(CP. 57)
Quindi:
(CP. 58)
v = r u + r# w
Per valutare laccelerazione
analogamente. Scriviamo:
a=
in
coordinate
polari
procediamo
dv
du
dw
d
= (r u+r# w) = r u+ r
+ r # w +r # w +r #
(CP. 59)
dt
dt
dt
dt
(CP. 60)
75
(CP. 61)
Quindi:
dw
=
dt
# u
(CP. 62)
In conclusione, inserendo la (CP. 57) e la (CP. 62) nella (CP. 59) otteniamo
la rappresentazione dellaccelerazione per i moti piani:
a = (
r
w
r # 2 ) u + (r # + 2r #)
(CP. 63)
vr = r
velocit radiale
v# = r #
velocit trasversale
(CP. 64)
ar = r
r # 2
accelerazione radiale
a# = r # + 2r # accelerazione trasversale
76
Velocit areale
Trattando dei moti piani particolarmente utile definire anche una
grandezza legata allarea che il raggio vettore descrive durante il moto: si
dice velocit areale larea che il raggio vettore descrive nell unit di tempo.
Considerando un intervallo di tempo t il raggio vettore OP ruoter di
un angolo # attorno ad O a partire dalla direzione # che aveva allinizio
dellintervallo. Pensando che t sia abbastanza piccolo larea descritta dal
raggio vettore OP , nellintervallo di tempo t sar uguale allarea del settore
circolare di raggio r e angolo al centro #, a meno di infinitesimi di ordine
superiore al primo. Cio si avr:
A=
1 2
r # + O[( #)2 ]
2
P'
(CP. 65)
r
P
r'
t!0
A
dA
1
=
= r2 #
t
dt
2
(CP. 66)
77
A = r r # + # = (2r # + r #)
2
2
(CP. 67)
(CP. 68)
Moti centrali
Diamo ora la definizione di moto centrale:
Un moto si dice centrale quando esiste un punto O (detto centro del
moto) fisso rispetto allosservatore e tale che laccelerazione del moto
parallela al raggio vettore OP oppure nulla
La condizione di parallelismo fra OP e a, includendo anche il caso in cui
a si annulli, si pu esprimere mediante la relazione vettoriale:
OP ^ a = 0
(CP. 69)
78
P'
a'
v'
(CP. 70)
(CP. 71)
79
(CP. 72)
c = OP0 ^ v 0
dove:
OP0 = OP (0),
v 0 = v(0)
c=0
(CP. 73)
8t
OP ^ (s T ) = 0
Se si esclude che il caso banale in cui s = 0 8t, cio il caso in cui il punto
in quiete, e quindi anche il caso in cui OP = 0 in ogni istante, rimane, in
generale:
OP || T
=)
a = s T + C s 2 N || T
=)
C=0
tale che:
OP =
(CP. 75)
80
E questa lequazione della traiettoria del moto, che risulta essere una
retta passante per il centro O. Inoltre, evidentemente = s, cio allascissa
curvilinea.
secondo caso:
c 6= 0
(CP. 76)
(CP. 77)
(CP. 78)
81
(CP. 79)
Formula di Binet
Il fatto di poter disporre di una legge di conservazione come la (CP. 79),
in un moto centrale, rende possibile leliminazione delle derivate temporali
dalla formula dell accelerazione, in quanto # si pu esprimere come:
c
# = 2
r
(CP. 80)
82
r =
dr
c dr
#= 2
d#
r d#
che si pu riscrivere:
r =
d 1r
d#
(CP. 81)
r =
d2 1r
#
d#2
r =
c2 d2 1r
r2 d#2
(CP. 82)
ar =
c2
r2
d2 1r
1
+
2
d#
r
(CP. 83)
83
d 1r
4
v =c
d#
2
!2
1
+ 25
r
(CP. 84)
Moti celesti
Queste formule trovano una loro applicazione nella meccanica dei corpi
celesti: noto che per il moto dei pianeti valgono le tre leggi di Keplero:
prima legge: Le orbite dei pianeti sono ellissi di cui il sole occupa uno
dei fuochi;
seconda legge: il raggio vettore solepianeta descrive aree uguali in
tempi uguali (legge delle aree);
terza legge: il rapporto fra il quadrato del periodo di rivoluzione e il
cubo del semiasse maggiore dellorbita uguale per tutti i pianeti e costituisce
una costante caratteristica del sistema solare:
T2
=K
a3
(CP. 85)
84
La seconda legge ci dice subito che il moto dei pianeti centrale e quindi
laccelerazione solamente radiale; perci possiamo utilizzare la formula di
Binet.
La prima legge si traduce nellequazione polare della traiettoria:
r=
p
1 + e cos #
(CP. 86)
avendo scelto, per convenienza, lasse delle ascisse diretto come lasse
maggiore dellellisse. Ricordiamo che lequazione (CP. 86) lequazione di
una conica e che per lellisse si ha:
0 e<1
(CP. 87)
e=0
0<e<1
>
e=1
>
>
:
e>1
circonferenza
ellisse
parabola
iperbole
(CP. 88)
d 1r
=
d#
85
e
sen #
p
=)
d2 1r
=
d#2
e
cos #
p
ar =
c2 1
p r2
(CP. 89)
87
P6
P
5
P
4
r, s = 1, 2, , n
(CR.1)
Se il numero dei punti del sistema rigido molto elevato e le distanze dei
punti tra loro pi vicini sono molto piccole rispetto alle dimensioni lineari del
corpo, tanto da poterle trascurare, come accade per i corpi macroscopici,
conveniente, invece, adottare lo schema continuo. In questo caso linsieme
dei punti che costituiscono il corpo rigido si rappresenta con un sottoinsieme
di R3 avente la potenza del continuo.
La condizione di rigidit si esprime allora nella forma:
|P Q| = costante,
8P, Q 2 C R3
(CR.2)
88
s = 1, 2, , n
(CR.3)
89
z
P
Q
O
OP = OP (t),
8P 2 C
(CR.4)
(QP )2 = QP QP = costante
()
QP
dQP
= 0 (CR.5)
dt
OQ
(CR.6)
90
dQP
= vP
dt
vQ
(CR.7)
(CR.8)
(CR.9)
(CR.10)
91
Allora risulta del tutto naturale considerare, per ogni coppia di punti
distinti del corpo rigido, la retta passante per i due punti e luogo geometrico
dei punti le cui distanze soddisfano la condizione di rigidit, ovvero le cui
proiezioni delle velocit in direzione della retta sono uguali a quelli dei due
punti assegnati.
Una retta di questo genere si dice essere una retta solidale con il corpo
rigido.
Possiamo caratterizzare la retta solidale al corpo rigido condotta per i
punti P e Q come:
R = {P 0 2 R3 ; OP 0 = OQ + u ,
ovvero:
R = {P 0 2 R3 ; OP 0 = OQ + u ,
2 R , v P 0 u = v Q u} (CR.12)
essendo u il versore di QP .
Una retta solidale, evidentemente, contiene anche punti che non
appartengono al corpo rigido fisico, dal momento che si estende allinfinito,
mentre un corpo fisico occupa sempre una regione limitata dello spazio;
tuttavia i suoi punti mantengono sempre una distanza invariabile dai punti del
corpo, per cui, dal punto di vista geometrico e cinematico, una retta solidale
forma un tutto unico con il corpo rigido. Per cui una retta solidale viene a
comportarsi come se fosse parte integrante del corpo rigido.
Si definisce poi la velocit di scorrimento della retta solidale passante per
un punto P , diretta secondo il versore u, come:
vscorr = v P u
(CR.13)
92
r
VQ
VP
Riferimento solidale
Esistono, evidentemente, infinite rette solidali ad un corpo rigido, data
larbitrariet delle coppie di punti che si possono scegliere per identificarle:
possiamo allora pensare di scegliere una terna di rette solidali fra loro
ortogonali, aventi un punto di intersezione comune , e di orientare le rette in
modo da realizzare una terna cartesiana ortogonale levogira solidale. Allora si
comprende come esiste un intero spazio solidale con il corpo rigido costituito
da punti le cui distanze soddisfano la condizione di rigidit. Descrivere il
moto del corpo rigido equivale a descrivere il moto di tutti i punti dello spazio
rigido ad esso solidale, ovvero di una terna di assi solidali con il corpo.
Per identificarle, distinguendole, denoteremo con Ox1 x2 x3 Oxyz la
terna dellosservatore del moto e con 1 2 3 la terna solidale con il
corpo rigido.
E conveniente anche introdurre due basi di ortonormali di versori degli
assi. Indichiamo con: {ci , i = 1, 2, 3} la base dellosservatore, relativa agli
assi x1 x2 x3 xyz e con: {ei , i = 1, 2, 3} la base solidale relativa agli assi
1 2 3 . Losservatore vede la base solidale in moto, quindi i versori
solidali risultano variabili nel tempo rispetto allosservatore del moto.
93
Risulta chiaro, allora, che per conoscere il moto di tutti i punti di un corpo
rigido, ovvero dello spazio solidale con il corpo rigido, basta conoscere il
moto di tre punti non allineati: infatti due punti individuano una retta solidale
e il terzo punto non allineato permette di individuare un piano solidale;
ma dato un piano e stabiliti su di esso due assi cartesiani ortogonali resta
identificato anche il terzo asse della terna, ortogonale ai primi due, e quindi
un sistema solidale di tre assi.
Ora, per individuare tre punti occorrono nove variabili (tre coordinate per
ogni punto); ma queste nove variabili non sono tra loro indipendenti, dal
momento che le coordiniate dei tre punti devono soddisfare alle tre condizioni
di rigidit, per le tre coppie di punti che con tre punti si possono identificare.
Dunque tre delle nove incognite si possono esprimere in funzione delle
restanti sei variabili, grazie alla condizione di rigidit. Solo sei delle nove
variabili di partenza sono variabili indipendenti. Dunque il moto di un corpo
rigido viene ricondotto, grazie alla condizione di rigidit ad un problema a
sei incognite, o come si dice abitualmente, ad un problema a sei gradi di
libert (anticipiamo fin da ora che, in generale, chiameremo gradi di libert le
variabili indipendenti che individuano istante per istante, in maniera univoca,
la configurazione di un sistema).
Si comprende facilmente che di questi sei gradi di libert tre sono le
coordinate di un punto qualunque del corpo rigido (parametri di traslazione),
94
(CR.14)
sulla base solidale, rispetto alla quale le coordinate dei punti sono costanti.
Quindi possiamo scrivere:
OP = O + k ek
(CR.15)
(CR.16)
(CR.17)
95
xi = xi + Rik k
(CR.18)
ik
(CR.19)
che garantiscono che la matrice sia ortogonale. Queste relazioni sono sei
essendo la condizione (CR.19) simmetrica negli indici ik, dunque rimangono
tre elementi di matrice indipendenti.
Noti i sei gradi di libert in funzione del tempo le (CR.17), o
equivalentemente le (CR.18) forniscono le equazioni del moto in forma
vettoriale e, rispettivamente, cartesiana del moto di un corpo rigido. Notiamo
che se il corpo non fosse rigido le variabili k non sarebbero costanti, e le Rik
non sarebbero gli elementi di una matrice di rotazione.
(CR.20)
96
vP =
dP
,
dt
v =
d
dt
(CR.21)
v P = v + k
dek
dt
(CR.22)
Per ognuno dei versori degli assi solidali, in conseguenza delle condizioni
di normalizzazione:
e1 e1 = 1,
e2 e2 = 1,
e3 e3 = 1
de1
= 0,
dt
e2
de2
= 0,
dt
e3
de3
=0
dt
Ma allora, per le propriet note dal calcolo vettoriale, devono esistere tre
vettori ! (i) , i = 1, 2, 3 tali che:
de1
= ! (1) ^ e1
dt
de2
= ! (2) ^ e2
dt
de3
= ! (3) ^ e3
dt
97
(CR.23)
relazione nella quale non c somma sull indice, come indicato dal fatto che
lindice di ! (i) stato messo fra parentesi. Si noti che l i-esima componente
di ciascun vettore ! (i) rimane indeterminata.
Se poco fa abbiamo utilizzato le relazioni di normalizzazione per i versori
della base solidale, ora sfruttiamo le condizioni di ortogonalit:
ei ej = 0,
i 6= j
! (i)
! (j) ei ^ ej = 0
(CR.24)
(CR.25)
98
"ijk ! (i)
! (j) ek = 0
(CR.26)
! (2)
>
>
>
>
>
h
>
>
:
! (3)
! (2) e3 = 0
i
! (3) e1 = 0
(CR.27)
! (1) e2 = 0
Relazioni che significano che sono nulle le componenti dei vettori entro
parentesi quadra di indice corrispondente a quello del versore fuori parentesi.
E cio:
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:
! (1) 3 = ! (2) 3
! (2) 1 = ! (3) 1
(CR.28)
! (3) 2 = ! (1) 2
Come si vede, per ognuno dei vettori ! (i) resta non soggetta a condizioni
solo una componente: quella che porta lo stesso indice che identifica il vettore,
cio ! (i) i .
Ora nulla vieta di giocare sullarbitrariet di questa componente e
sceglierla in modo da completare il quadro delle relazioni (CR.28) nel modo
seguente:
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:
99
(CR.29)
(CR.30)
Questo vettore un vettore caratteristico del moto del corpo rigido nel suo
insieme e non dipende dal punto del corpo. Esso prende il nome di vettore
velocit angolare.
Ora sostituendo linformazione (CR.30) nelle relazioni (CR.23) che
esprimono le derivate dei versori otteniamo le relazioni fondamentali per il
moto del corpo rigido:
dei
= ! ^ ei
dt
(CR.31)
ei ^
dei
= ei ^ (! ^ ei ) = (ei ei )!
dt
(! ei )ei = 3!
!i ei = 2!
100
E quindi:
!=
1
dei
ei ^
2
dt
(CR.32)
ik ,
e0i e0k =
ik
Di conseguenza risulter:
ij
e cio:
101
ik jk =
ij
(CR.33)
1
dei
1
d
ei ^
= ij e0j ^ (ik e0k )
2
dt
2
dt
!=
1
de0
ij ik e0j ^ k
2
dt
!=
1 0 de0i
e ^
2 i dt
Dunque anche rispetto alla nuova base solidale il vettore velocit angolare
viene identificato dalla stessa espressione. Notiamo ancora che il vettore
velocit angolare risulta del tutto indipendente dallorigine degli assi
solidali, che non figura nella (CR.32). La velocit angolare appare legata,
perci solamente ai termini di rotazione e non a quelli di traslazione del corpo
rigido.
102
v P = v + ! ^ P
(CR.34)
v B = ! ^ A
! ^ B
Ovvero:
v A = v B + ! ^ BA
E cio proprio la stessa legge di distribuzione per i due punti A e B.
Ci accorgiamo poi subito di due cose:
103
la prima consiste nel fatto che i vettori velocit dei punti di un corpo
rigido costituiscono un esempio (il primo che incontriamo) di vettori applicati
in quanto dipendono dal punto considerato e cambiano al cambiare del punto;
la seconda sta in una evidente analogia fra la legge di distribuzione
delle velocit dei punti di un corpo rigido e la legge di distribuzione dei
momenti (VA.8) che abbiamo visto nella teoria dei vettori applicati. Anche se
il significato delle grandezze diverso perch le velocit non nascono come
dei momenti risultanti, tuttavia, dal punto di vista formale le relazioni sono
identiche: le velocit prendono il posto dei momenti e la velocit angolare
prende il posto del risultante. In seguito questa analogia ci permetter di trarre
importanti conseguenze.
W = AB
risulta essere un vettore solidale al corpo. Allora si ha; derivando rispetto al
tempo:
dW
dAB
d
=
= (OB
dt
dt
dt
OA) =
dB
dt
dA
= vB
dt
vA
104
dW
=!^W
dt
(CR.35)
Moto rigido
Abbiamo definito il corpo rigido e abbiamo determinato la legge di
distribuzione delle velocit in un corpo rigido. Ora introduciamo anche la
definizione di moto rigido e la commentiamo:
Il moto di un sistema di punti si dice rigido quando mantiene costanti
le distanze mutue di tutti i punti del sistema
In altri termini un moto si chiama rigido quando soddisfa sempre la
condizione di rigidit. E evidente che un corpo rigido pu muoversi
solamente di moto rigido, tuttavia un corpo deformabile, cio non rigido, pu
compiere, fra tutti i moti che gli sono possibili, anche quella particolare classe
di moti che sono i moti rigidi. Pensiamo, intuitivamente ad una palla di stucco
che venga spostata senza essere deformata durante il moto: tutte le distanze
fra le particelle che la costituiscono rimangono inalterate durante il moto.
Per i moti rigidi valgono, di conseguenza tutti i risultati che abbiamo
dedotto per il moto del corpo rigido. Per questo in seguito parleremo, pi
in generale di moti rigidi anzich di moti di un corpo rigido.
105
a. moto traslatorio
Un moto rigido si dice traslatorio quando, durante il moto, ogni retta
solidale al corpo si mantiene parallela a se stessa
In particolare, se il moto traslatorio, si manterranno paralleli a se
stessi gli assi di ogni sistema solidale: conveniente, allora, scegliere la
terna solidale in modo che i suoi assi siano paralleli a quelli della terna
dellosservatore, perch durante il moto si manterranno sempre paralleli.
Ci significa che nelle relazioni (CR.17) e (CR.18) la matrice di rotazione
risulta essere lidentit:
R
I
=
()
Rik =
ik
(CR.36)
(CR.37)
(CR.38)
106
Dunque i versori della base solidale non ruotano rispetto a quelli della
base dellosservatore; quindi la (CR.17) diventa:
OP = O + k ck
(CR.39)
vP = v
(CR.40)
Questa relazione ci dice che, se il moto traslatorio, tutti i punti del corpo
rigido hanno la stessa velocit, che coincide quindi con la velocit dellorigine
del sistema solidale. Nel caso del moto traslatorio questa velocit, comune a
tutti i punti del corpo, viene detta velocit del corpo: questo lunico caso in
cui si pu parlare di velocit di un corpo rigido. In tutti gli altri casi, come
vedremo, i punti del corpo hanno velocit differenti fra loro e non avrebbe
quindi alcun senso parlare di velocit del corpo.
Dalla (CR.38), derivando rispetto al tempo, segue poi:
dei
= 0,
dt
i = 1, 2, 3
(CR.41)
i = 1, 2, 3
(CR.42)
107
!=0
108
b. moto rototraslatorio
Un moto rigido si dice rototraslatorio quando esiste almeno una retta
solidale al corpo che, durante il moto, si mantiene parallela a se stessa
Nel caso del moto rototraslatorio si richiede che esista almeno una retta
che si mantiene parallela a se stessa durante il moto. Evidentemente il moto
traslatorio costituisce un caso particolare di moto rototraslatorio, in quanto
tutte (e sono infinite) le rette solidali si muovono parallelamente a se stesse.
In questo caso conviene scegliere la terna solidale con uno degli assi, per
esempio 3 coincidente con questa retta, in modo che risulti:
e3 = costante
()
de3
=0
dt
(CR.44)
(CR.45)
(CR.46)
! 0 = ! e3 = |!|
(CR.47)
dove:
109
gli assi del sistema dellosservatore in modo che lasse x3 z sia parallelo
allasse solidale 3 e quindi si abbia:
(CR.48)
e3 = c3
e2 c3 = 0
(CR.49)
(CR.50)
cos#
B
R
@ sen#
sen# 0
cos# 0 C
A
0
1
(CR.51)
110
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:
x1 = x1 + 1 cos#
2 sen#
(CR.52)
x2 = x2 + 1 sen# + 2 cos #
x3 = x3 + 3
Queste sono le coordinate dei punti del corpo rigido quando il moto e
rototraslatorio: le variabili funzioni del tempo sono in questo caso quattro:
xi = xi (t),
i = 1, 2, 3;
# = #(t)
e3 (0, 0, 1)
de2
=
dt
1,
#e
de3
=0
dt
(CR.53)
111
v P = v + # c3 ^ P
(CR.54)
O
x
c. moto elicoidale
Un moto rigido si dice elicoidale quando esiste una retta, solidale con
il corpo, i cui punti hanno velocit parallela alla retta stessa
Si comprende subito che, data la condizione di rigidit la velocit di tutti i
punti della retta che scorre su se stessa deve essere identica, in quanto coincide
con la velocit di scorrimento della retta. Dunque la retta in questione trasla
112
x2 = 0
x1 = 1 cos#
2 sen#
x2 = 1 sen# + 2 cos #
(CR.55)
x3 = x3 + 3
# = #(t)
(CR.56)
113
(CR.57)
= v c3 = |v |
d. moto rotatorio
Un moto rigido si dice rotatorio quando esiste una retta solidale con il
corpo i cui punti hanno velocit nulla
Il moto rotatorio viene a costituire, per come stato definito, un caso
particolare di moto elicoidale: in questo caso la retta scorrevole su se stessa
3 addirittura fissa, per cui risulta:
x3 = costante
114
x1 = 1 cos#
2 sen#
x2 = 1 sen# + 2 cos #
(CR.58)
x3 = 3
(CR.59)
dal momento che la retta scorrevole in questo caso fissa. Dunque si ha:
v P = # c3 ^ P
(CR.60)
Se indichiamo con Q la proiezione del punto P sulla retta fissa del moto,
alla quale si d il nome di asse di rotazione, si pu scrivere:
115
P = Q + QP
e dal momento che Q parallelo allasse di rotazione e quindi a ! segue
anche:
v P = ! ^ QP
(CR.61)
(CR.62)
116
P
v
P
e. moto di precessione
Un moto rigido si dice moto di precessione se esiste un punto dello
spazio solidale che si mantiene fisso durante il moto e inoltre esiste una
retta solidale con il corpo che ruota attorno ad una retta fissa rispetto
allosservatore, formando con essa un angolo costante
La retta fissa rispetto allosservatore prende il nome di asse di precessione
e la retta solidale con il corpo che forma un angolo costante con essa si dice
asse di figura.
E utile, in questo caso, scegliere le origini della terna solidale e O
della terna dellosservatore, coincidenti tra loro e nel punto fisso del moto.
Identifichiamo, inoltre lasse solidale 3 con lasse di figura e lasse
x3 z con lasse di precessione.
117
(CR.63)
c3
de3
=0
dt
(CR.64)
condizione che comporta che i tre vettori sono fra loro complanari, o
eventualmente ! pu essere nullo. Ma allora, se ! appartiene al piano di
c3 ed e3 , si pu esprimere come combinazione lineare di questi ultimi, cio si
pu scrivere:
! = !p c3 + !f e3
(CR.65)
118
dv P
dv d!
dP
=
+
^ P + ! ^
dt
dt
dt
dt
d!
dt
119
dP
= ! ^ P
dt
Sostituendo nellespressione per il calcolo dellaccelerazione sopra
ricavata abbiamo la legge di distribuzione delle le accelerazioni:
(CR.66)
aP = a + ! ^ P + ! ^ (! ^ P )
! 2 QP
120
Essendo:
! QP = 0
per come QP stato definito segue:
! ^ (! ^ P ) =
! 2 QP
aP = a + ! ^ P
! 2 QP
(CR.67)
Qualche commento. Osserviamo che nel caso che il moto sia rotatorio
uniforme, e cio:
! = 0
rimane solamente l ultimo termine che viene detto accelerazione centripeta.
Nel caso, poi, che sia nullo anche il vettore !, caso che inizialmente era
stato escluso per poter realizzare la decomposizione del vettore P in una
componente parallela ad ! e in una normale, notiamo che la (CR.67) ci d lo
stesso risultato della (CR.66), cio:
aP = a
che il caso del moto traslatorio. Concludiamo quindi che le due formule
sono completamente equivalenti. E osserviamo anche che se il moto
traslatorio i punti del corpo possiedono la stessa accelerazione, che risulta
121
(CR.68)
dP = d + ! dt ^ P
(CR.69)
dP = d + d
^ P
(CR.70)
= ! dt
(CR.71)
122
!
|!|
(CR.72)
= ud#
(CR.73)
dove:
d# = u d
= |d |
(CR.74)
Angoli di Eulero
Nello studio del moto di un corpo rigido utile, come vedremo in seguito,
poter riferire il moto ad un osservatore la cui origine si trova in un punto dello
spazio solidale con il corpo rigido. Si parla, in questo caso di moto di un
corpo rigido con un punto fisso.
Possiamo scegliere, oltre al sistema di assi dellosservatore anche una
terna di assi solidali con il corpo rigido, anchessa con origine nel punto fisso,
per cui risulta O. Il moto di un corpo rigido con un punto fisso, essendo
fissate le coordinate di , cio i tre gradi di libert di traslazione, viene
ad avere solamente i tre gradi di libert di rotazione, che sono esprimibili
mediante tre angoli.
123
! = # n + c3 + ' e3
dove il versore n il versore della linea dei nodi.
I versori:
{n, c3 , e3 }
(CR.75)
124
x3
x2
x1
costituiscono una base non ortogonale dello spazio sulla quale rappresentata
la velocit angolare.
Va sottolineato che occorre distinguere fra losservatore che vede il
moto del corpo e il sistema di assi cartesiani sul quale si proiettano i vettori,
quando si studia un determinato problema. Nel caso del moto di un corpo
rigido chiaro che il moto pu essere osservato solamente da un osservatore
non solidale con il corpo rigido; diversamente il corpo apparirebbe sempre
immobile. Mentre le grandezze e le equazioni vettoriali in gioco non devono
obbligatoriamente essere proiettate sugli assi della terna dellosservatore
x1 x2 x3 , ma possono essere proiettate su qualsiasi terna di assi, anche mobili
rispetto allosservatore, compresi gli assi solidali con il corpo rigido. Anzi in
molti casi vedremo che questa la scelta pi conveniente.
Ad esempio, il vettore ! che il vettore velocit angolare, pu essere
proiettato sulla terna di assi solidali al corpo rigido 1 2 3 , che sono variabili
rispetto allosservatore. Per ragioni che appariranno chiare trattando la
dinamica del corpo rigido utile esprimere le componenti di ! rispetto alla
terna solidale con il corpo rigido. Solitamente si usano le seguenti notazioni
per la rappresentazione della velocit angolare sulla base solidale {ei }:
! = p e1 + q e2 + r e3
(CR.76)
125
c3 = R
2R
1 e3 ,
n=R
2R
1 e1
1
0
B
R
1 @ 0 cos#
0 sen#
0
sen# C
A
cos#
126
cos'
B
R
2 @ sen'
0
sen' 0
cos' 0 C
A
0
1
R
2R
1
n = cos' e1
sen' e2
(CR.77)
127
P(t)
p(t')
v(t)
v(t')
vP
spazio di controllo
128
Atto di moto
Linsieme dei vettori velocit (distribuzione delle velocit) euleriane,
relative ad uno spazio di controllo e ad un certo istante di tempo, si
dice atto di moto del sistema considerato
Quando si studia un moto rigido risulta particolarmente vantaggioso
lavorare dal punto di vista euleriano, perch si dispone di una legge di
distribuzione per le velocit che lega le velocit di tutti i punti del corpo in un
dato istante, cio si pu conoscere latto di moto conoscendo semplicemente
la velocit di un punto del corpo e la velocit angolare relative quellistante.
Un atto di moto si dice rigido quando la distribuzione delle velocit
descritta dalla legge di distribuzione delle velocit per i corpi rigidi.
Gli atti di moto rigidi si possono classificare in maniera analoga ai moti
rigidi, servendosi della legge di distribuzione delle velocit.
Diremo che:
un atto di moto si dice traslatorio quando tutti punti del corpo hanno,
nellistante considerato la stessa velocit:
vP = v =
(CR.78)
129
(CR.79)
()
! ^ P = 0
(CR.80)
Un atto di moto si dice rotatorio quando esiste una retta solidale con
il corpo i cui punti, nellistante considerato, hanno velocit nulla. La legge di
distribuzione, se scelto sulla retta fissa, si scrive:
v P = ! ^ P
(CR.81)
130
Teorema di Mozzi
Come conseguenza della legge di distribuzione delle velocit (CR.34) si
dimostra il teorema di Mozzi:
Latto di moto rigido pi generale un atto di moto elicoidale
DIMOSTRAZIONE A
Per la dimostrazione basta osservare che la legge di distribuzione delle
velocit (CR.34):
v P = v + ! ^ P
formalmente identica alla legge di distribuzione dei momenti per un sistema
di vettori applicati:
MP = M + P ^ R
dove al posto dei momenti si hanno le velocit e al posto del risultante si
ha la velocit angolare e si tiene conto della anticommutativit del prodotto
vettoriale.
Trattando dellasse centrale, nella teoria dei vettori applicati, abbiamo
dimostrato che, quando sussiste una legge di distribuzione di questo tipo, se
R non nullo, esiste una retta parallela ad R tale che il momento relativo ai
punti di questa retta parallelo ad R ed ha minimo modulo, o nullo.
Se trasportiamo questo risultato nella cinematica del corpo rigido,
sfruttando la dimostrazione gi data, che pu essere ripetuta passo per passo
131
(CR.82)
132
v + ! ^ P =
(CR.83)
!2
J
!2
unicit - Facciamo ora vedere anche che la retta trovata unica e non
dipende dalla scelta del punto P . A questo scopo scegliamo un punto P 0 6 P :
in questo caso lequazione della retta si scriver:
v + ! ^ P 0 =
(CR.84)
133
J
|!|
(CR.85)
134
136
OP = O + P
(MR.1)
per cui basta conoscere il moto dellorigine della terna relativa per passare
dal vettore posizione del punto rispetto ad un osservatore al vettore
corrispondente per laltro osservatore.
(MR.2)
(MR.3)
d(a)
d(a)
d(a)
W =
(Wi ei ) = W i ei + Wi
ei
dt
dt
dt
(MR.4)
cinematica relativa
137
Poich nella derivazione di uno scalare non esiste differenza fra derivata
assoluta e derivata relativa, dal momento che non vengono coinvolti i
versori della base, non essendoci possibilit di equivoco, abbiamo denotato
semplicemente con un punto la derivata delle componenti Wi che compaiono
nelle derivate.
Le formule di Poisson (CR.31) ci permettono di riscrivere la derivata
assoluta come:
d(a)
W = W i ei + Wi ! ^ ei
dt
(MR.5)
(MR.6)
d(a)
d(r)
=
+ !^
dt
dt
(MR.7)
138
v (a) =
d(a)
OP
dt
(MR.8)
cinematica relativa
139
e di velocit relativa:
v (r) =
d(r)
P
dt
(MR.9)
dove si deve tener conto del fatto che le due origini O e delle due terne
generalmente non coincidono.
Poich sussiste il legame (MR.1), derivando rispetto allosservatore
assoluto otteniamo:
d(a)
d(a)
d(a)
OP =
O +
P
dt
dt
dt
(MR.10)
v =
d(a)
O
dt
(MR.11)
Questa quantit rappresenta la velocit del punto rispetto allosservatore assoluto e pu essere denotata senza letichetta (a) , perch la velocit
relativa di sempre nulla, essendo lorigine del sistema relativo, e quindi
non ci pu essere equivoco.
Rimane, allora, nella (MR.10):
v (a) = v +
d(a)
P
dt
(MR.12)
(MR.13)
140
(MR.14)
(MR.15)
v 0
cinematica relativa
141
d(a) (a)
v
dt
(MR.16)
a(r) =
d(r) (r)
v
dt
(MR.17)
(MR.18)
(MR.19)
Inoltre:
d(a) () d(a)
d(a)
v =
v +
(! ^ P )
dt
dt
dt
(MR.20)
a =
d(a)
v
dt
(MR.21)
142
e calcoliamo:
d(a)
d(a)
(! ^ P ) = ! ^ P + ! ^
P
dt
dt
d(r)
=!^
P + ! ^ P
dt
= ! ^ v (r) + ! ^ (! ^ P )
d(a) ( )
v = a + ! ^ P + ! ^ v (r) + ! ^ (! ^ P )
dt
(MR.22)
(MR.23)
(MR.24)
cinematica relativa
143
(MR.25)
(MR.26)
! 0,
a 0
144
ovvero il moto del sistema relativo rispetto a quello assoluto sia traslatorio
uniforme.
(r)
(a)
cinematica relativa
145
(MR.27)
(MR.28)
(MR.29)
! (r)
!) ^ QP = 0
(MR.30)
Questa relazione deve valere per ogni vettore QP solidale con il corpo; e
dal momento che le velocit angolari non dipendono dal punto P che viene
scelto, deve risultare necessariamente il legame fra le velocit angolari:
! (a) = ! (r) + !
(MR.31)
146
(MR.32)
! (a) = ! (r) + ! ( )
(MR.33)
cinematica relativa
147
varier istante per istante, sia rispetto alla superficie fissa che rispetto a quella
mobile, descrivendo due curve, una su ciascuna superficie, nel senso che non
sar sempre lo stesso punto di una delle due superficie a trovarsi a contatto
con il medesimo punto dellaltra. Pensando il punto di contatto come un
punto geometrico dotato di una sua individualit, che si muove lungo le curve
suddette, negli intervalli in cui tali curve sono regolari, sar possibile definire
una velocit assoluta di C rispetto alla terna assoluta e una velocit relativa di
C rispetto allaltra terna:
(a)
vC =
d(a)
OC,
dt
(r)
vC =
d(r)
C
dt
(MR.34)
(a)
vC = vC
(r)
vC
(MR.35)
148
E chiaro che nel caso di due curve le traiettorie del punto C sono le curve
stesse.
Dal punto di vista cinematico rilevante il caso in cui due superfici o due
curve rotolano senza strisciare luna sullaltra.
Si dice che due superficie o due curve rotolano senza strisciare luna
sullaltra quando la velocit di strisciamento nel punto di contatto nulla.
Allora risulta:
(a)
(r)
(MR.36)
vC = vC
v C = s (a) T ,
(r)
v C = s (r) T
(MR.37)
dove il versore tangente non ha etichetta perch comune alle due curve.
Allora la condizione di puro rotolamento (MR.36) si traduce nella condizione
differenziale scalare:
s (a) = s (r) ,
()
ds(a) = ds(r)
(MR.38)
cinematica relativa
149
(r)
(a)
s0 = s(r) (t)
(r)
s0
(MR.39)
'
Il fatto notevole che, per un moto rigido piano, lo studio del moto
riconducibile ad un problema in due dimensioni, ovvero allo studio del moto
di una figura rigida piana nel suo piano.
Infatti immediato verificare che tutti i punti di una retta ortogonale al
piano (o se si vuole 0 ) hanno la stessa velocit e, quindi, la velocit di
ogni punto del corpo conosciuta quando si conosce la velocit della sua
proiezione sul piano , ovvero la velocit dei punti della sezione del corpo
con il piano .
151
P P 0 = |P P 0 | u
(MP.1)
(MP.2)
dP
=0
dt
(MP.3)
Quindi:
vP 0 = vP
(MP.4)
152
(MP.5)
ed essendo per ipotesi P 6 P 0 , per la velocit angolare nel moto rigido piano
rimangono le due seguenti possibilit:
prima possibilit: ! = 0
traslatorio;
vA = u
(MP.6)
(MP.7)
153
dh
= u vA = = 0
dt
(MP.8)
154
v P = ! ^ CP
essendo C il centro di istantanea rotazione.
v
P
155
vQ
vP
Q
C
(MP.10)
156
(MP.11)
! 2 C = 0
(MP.12)
Ma:
! C = 0
(MP.13)
! ^ v
!2
(MP.14)
157
OC = O + C
(MP.15)
OC = O +
! ^ v
!2
(MP.16)
Base e rulletta
E utile considerare, a questo punto, linsieme di tutti i centri di istantanea
rotazione al variare del tempo t. Tale insieme rappresenta un luogo
geometrico caratterizzato da un solo parametro t, cio una curva. Va
sottolineato il fatto che si ottengono due curve distinte a seconda che si
definisca tale luogo geometrico rispetto al sistema di assi dellosservatore del
moto del corpo oppure rispetto ad un sistema di assi solidali con il corpo
stesso.
Avremo allora una curva descritta dal centro di istantanea rotazione
rispetto al sistema dellosservatore e una curva descritta dal centro di
istantanea rotazione rispetto al sistema solidale con il corpo.
158
(a)
vC =
(r)
vC =
d(a)
OC
dt
(MP.17)
d(r)
C
dt
(MP.18)
(r)
( )
vC = vC + vC
(MP.19)
159
( )
(MP.20)
v C = v + ! ^ C
risulta essere nulla grazie alla (MP.11). Infatti il centro il punto del corpo
che nellistante considerato coincide con C e questo ha velocit nulla.
Ma allora la relazione fra le velocit del punto C rispetto agli osservatori
assoluto e relativo semplicemente:
(a)
(r)
(MP.21)
vC = vC
rulletta
C
O
base
160
x = x (t),
y = y (t)
(MP.22)
(MP.23)
(MP.24)
! (0, 0, #)
(MP.25)
! ^ v ( # y , # x , 0)
(MP.26)
161
x = x
y /#
(MP.27)
y = y + x /#
y = y (#(t))
(MP.28)
0
y = y
#
(MP.29)
dy
d#
(MP.30)
Questo comporta:
x = x0 #,
dove abbiamo denotato:
x0 =
dx
,
d#
0
y
=
x = x
0
y
y = y + x0
(MP.31)
162
y = y (#(t), t)
(MP.32)
(MP.33)
T
dalla quale possiamo risolvere le k moltiplicando per Rji
e tenendo conto
che per la matrice di rotazione si ha:
T
Rji
Rik =
jk
xi )
(MP.34)
163
0
B
B
B
B
B
B
@
cos #
sen # 0
sen #
cos #
1
C
C
C
C
C
C
A
1
C
C
C
C
C
C
A
0
B
B
B
B
B
B
@
cos #
sen # 0
sen # cos # 0
0
10
CB
CB
CB
CB
CB
CB
A@
y /#
x /#
0
1
C
C
C
C
C
C
A
=
=
y
#
y
#
cos # +
sen # +
x
#
x
#
sen #
(MP.35)
cos #
=
=
0
y
cos # + x0 sen #
0
y
sen #
x0 cos #
(MP.36)
Vincoli
Quando si considera un sistema di punti la conoscenza del moto del
sistema equivale, per definizione, alla conoscenza del moto di ogni punto del
sistema.
Perci se si considera, ad esempio, un sistema costituito da n particelle
nello spazio, occorrono 3n funzioni, date dalle coordinate delle particelle in
funzione del tempo, ovvero n funzioni vettoriali:
OPs = OPs (t),
s = 1, 2, , n
165
dei punti del quale bastano sei parametri, caratterizzabili, per esempio con
le tre coordinate di un suo punto e con i tre angoli di Eulero; per
cui la configurazione del corpo rigido completamente definita quando si
conoscono i sei parametri:
x1 , x2 , x3 , #, ',
Questa circostanza si verifica perch vi sono delle relazioni fra le
coordinate dei punti che ne limitano larbitrariet riducendo il numero di
variabili indipendenti che caratterizzano il problema. Tali relazioni prendono
il nome di vincoli.
Nel caso del corpo rigido la condizione di rigidit (CR.1) o (CR.2) che
impone linvariabilit delle mutue distanze fra i punti del sistema il vincolo
responsabile della riduzione a sei del numero delle variabili necessarie per
lidentificazione della configurazione del sistema.
I vincoli possono essere di varia natura e possono essere identificati e
classificati in diversi modi. Vediamo alcune di queste classificazioni che si
dimostrano particolarmente utili nella trattazione dei sistemi vincolati.
Vincoli esterni e vincoli interni
Questa classificazione nasce dallesigenza di distinguere fra i vincoli che
nascono in forza della mutua interazione fra le particelle di un sistema (come
il vincolo di rigidit in un corpo rigido o il vincolo di incomprimibilit in un
fluido incomprimibile) e i vincoli che nascono dallinterazione fra il sistema e
lambiente ad esso esterno. Un esempio familiare di vincolo esterno potrebbe
essere costituito dai cardini di una porta, considerando la porta come il sistema
meccanico che ci interessa e i cardini come quelle strutture dellambiente
esterno che vincolano la porta a ruotare attorno ad un asse fisso.
Va detto che il concetto di esterno ed interno non univoco, n assoluto,
ma convenzionale: siamo noi che definiamo che cosa fa parte o meno di
un sistema. Se decidiamo, per esempio, di definire come sistema linsieme
terra-luna, il sole e gli altri pianeti saranno considerati come corpi esterni
166
f (x1 , x2 , x3 ) = 0
dP
f(x ,x ,x ) = 0
1 2 3
O
x1
167
x21 + x22
(CS.2)
R2
dQ
x1
O
2 2
2
x 1+ x R
2
Figura CS. 2: punto vincolato a non penetrare allinterno del disco di raggio
R
In base a quanto detto finora si pu affermare che i vincoli olonomi
rappresentano dei vincoli per le posizioni del punto, come si vede anche
dagli esempi esaminati. Possiamo dire che un vincolo olonomo, vincolando
le coordinate dei punti del sistema, rappresenta una limitazione per le
configurazioni permesse al sistema. Non solo: supponendo che le funzioni
che caratterizzano i vincoli siano differenziabili, i vincoli per le posizioni si
traducono anche in vincoli per gli spostamenti del sistema.
Nellesempio del punto vincolato su una superficie, differenziando la
condizione del vincolo (CS.1) abbiamo:
df rf dP = 0
dove:
(CS.3)
168
rf
@f
,
@xi
dP (dxi )
x21 + x22 = R2
R2
Sviluppando abbiamo:
x21 + (dx1 )2 + 2x1 dx1 + x22 + (dx2 )2 + 2x2 dx2
R2
169
(CS.5)
(CS.6)
170
C
Figura CS. 3: vincolo anolonomo: puro rotolamento di un disco su un piano
(CS.7)
dove # langolo che un diametro solidale con il disco forma con una retta
solidale con losservatore e R il raggio del disco.
Inoltre, note le equazioni parametriche della curva che il disco percorre
con il suo punto di contatto sul piano:
OC = OC(s(a) )
differenziando otteniamo:
171
dC =
dC (a)
ds = T ds(a)
ds(a)
(CS.8)
(CS.9)
(CS.10)
Ti dxi
dipende dalla curva che il punto di contatto del disco descrive sul piano,
mentre un differenziale esatto d un integrale indipendente dal cammino.
Notiamo che il vincolo di puro rotolamento diviene olonomo quando il
problema ridotto a una sola dimensione, cio quando si assegna la curva
sulla quale deve avvenire il rotolamento del disco. In questo caso il disco non
vincolato a rotolare senza strisciare su un piano, ma vincolato addirittura
sulla curva: lesempio pi comune quello di un disco vincolato a rotolare
senza strisciare su di una retta.
In questo caso abbiamo:
ds(r) = R d#,
ds(a) = dx
(CS.11)
172
x2
x1
(CS.12)
x0
(CS.13)
173
P
x1
O
x 1 0
x2 = 0
x1 0
x2 = 0
(CS.14)
174
dx1 0
dx2 = 0
(CS.15)
(CS.16)
(CS.17)
175
x3
P
R2
O
x2
R 1 = R(t1)
R1
R2 = R(t 2)
Sistemi olonomi
Un sistema meccanico soggetto a soli vincoli olonomi si dice olonomo.
Supponiamo di denotare con P1 , P2 , , Pn i punti del nostro sistema
meccanico, e con:
OPs (xs , ys , zs ),
s = 1, 2, , n
(CS.18)
f1 (xs , ys , zs , t) = 0
f2 (xs , ys , zs , t) = 0
>
>
>
:
fm (xs , ys , zs , t) = 0
(CS.19)
176
8
>
>
>
<
g1 (xs , ys , zs , t)
g2 (xs , ys , zs , t)
>
>
>
:
gp (xs , ys , zs , t)
0
0
(CS.20)
@fi
@ys
@fi
@zs
177
s = 1, 2, , n
(CS.21)
s = 1, 2, , n
(CS.22)
Dal punto di vista del moto possiamo allora dire che la conoscenza del
moto di un sistema olonomo si riconduce alla conoscenza delle funzioni:
qh = qh (t)
(CS.23)
178
g1 (q1 , q2 , , qN , t)
g2 (q1 , q2 , , qN , t)
gp (q1 , q2 , , qN , t)
0
0
(CS.24)
179
q (q1 , q2 , , qN )
per rappresentare in forma compatta le configurazioni del sistema.
q0 = t
(CS.26)
vs =
d
@Ps
@Ps
Ps (qh , t) =
qh +
dt
@qh
@t
(CS.27)
180
@Ps
@Ps
@qh +
@t
@qh
@t
(CS.28)
spostamento virtuale
Uno spostamento virtuale uno spostamento infinitesimo che tiene
conto dei vincoli, ma non della loro eventuale dipendenza dal tempo
Il tempo viene pensato come fissato al valore che ha allinizio dello
spostamento e mantenuto costante durante lo spostamento. Si pu anche
pensare lo spostamento virtuale come uno spostamento istantaneo, cio uno
spostamento che avviene con velocit infinita in un intervallo di tempo nullo.
Evidentemente si tratta di uno spostamento che noi immaginiamo di far
compiere idealmente al sistema. Indichiamo lo spostamento virtuale con Ps .
Poich t fissato durante lo spostamento virtuale, esso risulta caratterizzato
come:
Ps =
@Ps
qh
@qh
(CS.29)
181
(CS.30)
182
P
P
R1
t
P
P
O
x2
x1
183
g(qh , t)
@g
@g
@qh +
@t
@qh
@t
184
-P
P
P
BA. Baricentri
Per la trattazione riguardante i baricentri non ci pi sufficiente
considerare i corpi come insiemi di punti geometrici, ma abbiamo bisogno di
introdurre una nuova informazione che riguarda la distribuzione della materia
nei corpi stessi. Questa informazione viene dal concetto di massa che ora
introdurremo. Considereremo perci dei punti ai quali viene associata una
massa.
Un punto al quale viene associata una massa prende il nome di punto
materiale e lo indicheremo con: (P, m).
Un sistema di punti a ciascuno dei quali associata una massa si dice
sistema di punti materiali.
E importante rilevare che il capitolo riguardante i baricentri si pu
sviluppare indipendentemente dalla statica e dalla dinamica dei sistemi: esso
richiede oltre, alla conoscenza della geometria dei corpi in senso stretto,
solo una conoscenza che riguarda la distribuzione della massa. Non sono
necessarie n conoscenze riguardanti il moto del sistema, n conoscenze
riguardanti le forze agenti su di esso. Parlando dei baricentri e dei momenti di
inerzia, che vedremo nel prossimo capitolo, si parla perci di geometria delle
masse.
Massa
Quanto basta a noi del concetto di massa, in questo capitolo e in quello
successivo, sono le propriet indipendenti dal moto dei corpi.
Chiamiamo massa e la denotiamo con la lettera m uno scalare che gode
delle seguenti propriet:
sempre positivo (nullo nel caso di un punto geometrico o di un
188
m=
n
X
ms
s=1
Densit
Se il corpo continuo si suppone di poter introdurre sempre la
funzione densit di massa. In un continuo consideriamo degli elementi
sufficientemente piccoli di volume V (se il continuo un corpo
tridimensionale), o di superficie A (se il continuo bidimensionale) o di
linea s (se il continuo distribuito lungo una curva), attorno ad ogni suo
punto P . Denotiamo con C lelemento generico del continuo, intendendo
che si potr trattare di un elemento di volume, di superficie o di linea, a
seconda dei casi. A ciascun elemento del continuo C, centrato in un punto
P pensiamo di associare un elemento di massa m.
Allora si suppone che esista il:
lim
C!0
m
C
baricentri
189
e che sia una funzione delle coordinate del punto P attorno al quale centrato
lelemento del continuo C.
Questa funzione prende il nome di densit e la si denota con:
m
dm
=
C
dC
= (P ) = lim
C!0
(BA.1)
(BA.2)
(P )dC
(BA.3)
dC =
dC = C
dove:
C=
dC
(BA.4)
190
m
C
(BA.5)
Baricentro
Supponiamo di avere un sistema di punti materiali che, per semplicit,
pensiamo particellare (lestensione al continuo poi una conseguenza ovvia)
costituito da n punti materiali:
{(Ps , ms ) , s = 1, 2, , n}
Scelto poi un versore u qualunque, e uno scalare positivo k associamo a
ciascun punto materiale un vettore applicato, parallelo ad u tale che:
vs = ms k
(BA.6)
R=
n
X
s=1
vs =
n
X
s=1
ms k = mk
(BA.7)
baricentri
191
OG =
n
1 X
ms kOPs
mk s=1
OG =
n
1 X
ms OPs
m s=1
(BA.8)
n
1 X
xG =
ms xs ,
m s=1
n
1 X
yG =
ms ys ,
m s=1
n
1 X
zG =
ms zs (BA.9)
m s=1
192
OG (xG , yG , zG ),
OPs (xs , ys , zs )
(BA.10)
OG =
1 Z
OP dC
m C
(BA.11)
Proiettando sugli assi le coordinate del baricentro, nel caso del corpo
continuo, sono date da:
xG =
1 Z
xdC,
m C
yG =
1 Z
ydC,
m C
zG =
1 Z
zdC (BA.12)
m C
1 Z
OP dC
C C
(BA.13)
baricentri
xG =
193
1 Z
xdC,
C C
yG =
1 Z
ydC,
C C
zG =
1 Z
zdC
C C
(BA.14)
194
Perci si ha:
s = 1, 2, , n
zs = 0,
z
O
P
m Pn
3 3
m1 P
n
1
G
m2 P 2 ms P
s
m
baricentri
195
196
OG =
M1 OG1 + M2 OG2
M1 + M2
G1
OG1 =
p
1 X
ms OPs ,
M1 s=1
OG2 =
n
1 X
ms OPs
M1 s=p+1
p
n
n
X
M1 OG1 + M2 OG2
1 @X
1 X
=
ms OPs +
ms OPs A =
ms OPs
M1 + M 2
M s=1
M s=1
s=p+1
baricentri
197
198
Jr =
r
X
ms
2
s
(MI.1)
s=1
P1
m1
1
2
P2 m 2
r
n
P
n
mn
s
P
s
ms
Figura MI. 1: momento dinerzia rispetto a una retta per un sistema discreto
200
(MI.2)
dm
dm = dC
Figura MI. 2: momento dinerzia rispetto a una retta per un sistema continuo
da cui introducendo la densit:
Jr =
2 dC
(MI.3)
momenti dinerzia
201
Teorema di Huygens-Steiner
Questo teorema costituisce la base della prima metodologia, che permette
di collegare fra loro i momenti dinerzia relativi a rette parallele una volta che
sia nota lubicazione del baricentro. Lo enunciamo e lo dimostriamo:
Dato un sistema di punti materiali la cui massa totale m, il momento
dinerzia J rispetto ad una retta r, correlato al momento dinerzia JG
rispetto ad una retta rG , passante per il baricentro, parallela alla r, e distante
d da essa, mediante la relazione:
J = JG + m d2
(MI.4)
DIMOSTRAZIONE
Conduciamo la dimostrazione per un corpo discreto, dal momento che il
caso continuo si tratta in maniera del tutto analoga.
Per la definizione di momento dinerzia (MI.1) abbiamo:
J =
e:
n
X
s=1
ms
2
s
202
JG =
dove con
0
s
n
X
ms
02
s
s=1
z'
d
s
' P
s
s
O
y=
= y'
x
x'
= x2s + ys2 ,
02
s
= x0s + ys0
essendo le quantit con lapice riferite al sistema il cui terzo asse contiene il
baricentro.
momenti dinerzia
203
y = y 0 + d,
z = z0
comporta il legame:
Ovvero:
02
+ d2 + 2ys0 d
(MI.5)
J =
n
X
ms (
02
+ d2 + 2ys0 d) =
s=1
n
X
ms
02
s=1
n
X
s=1
ms d2 + 2
n
X
ms ys0 d
s=1
J = JG + md2 + 2d
n
X
ms ys0
s=1
s=1
0
ms ys0 = myG
=0
204
Rimane dunque:
J = JG + md2
Come conseguenza di questo teorema possibile legare anche i momenti
dinerzia J 0 e J 00 di un sistema di punti materiali calcolati rispetto a due
rette parallele r0 e r00 delle quali nessuna passa per il baricentro. Si considera
una terza retta rG parallela alle prime due, ma passante per il baricentro e si
applica due volte il teorema di Huygens-Steiner.
r
G
r'
r''
d'
G
d''
d
Figura MI. 4: rette parallele r0 e r00 non passanti per il baricentro e rG passante
per il baricentro
Abbiamo:
J 00 = JG + md00
J 0 = JG + md0
dove d0 e d00 sono le distanze del baricentro dalle rette r0 e r00 . Sottraendo
membro a membro le relazioni precedenti ricaviamo il legame cercato fra J 0
e J 00 :
momenti dinerzia
205
J 00 = J 0 + m(d00
d0 )
(MI.6)
Notiamo che non compare il quadrato della distanza fra le due rette r0
e r , ma la differenza dei quadrati delle loro distanze dal baricentro. Ora
il legame fra i quadrati delle distanze, non essendo lineare, ma quadratico,
richiede la conoscenza delle distanze fra le rette r0 e r00 che non passano per
il baricentro e la retta rG passante per il baricentro; e quindi linformazione
sulla localizzazione del baricentro influisce sulla determinazione dei momenti
dinerzia rispetto a rette fra loro parallele.
00
d0
dove d indica la distanza fra le rette r0 ed r00 , ed il caso in cui le tre rette r0 ,
r00 e rG sono rette generatrici di una superficie cilindrica la cui sezione retta
circolare e ha diametro d00 e le rette rG ed r00 appartengono a un piano passante
per lasse del cilindro.
rG
r'
r''
G
d''
d'
d
206
J 00 = J 0 + md2
e il baricentro non figura direttamente; tuttavia la sua ubicazione nota a
causa delle condizioni geometriche ben precise che sono state assegnate.
Matrice dinerzia
Visto il legame fra i momenti dinerzia rispetto ad assi paralleli fra loro,
viene naturale chiedersi come si pu determinare un legame fra i momenti
dinerzia realtivi a rette uscenti da uno stesso punto, aventi direzioni fra loro
differenti. In altri termini ci domandiamo come varia il momento dinerzia
al variare del versore u di una retta uscente dallorigine O di un sistema
cartesiano scelto arbitrariamente. La risposta a questa domanda ci conduce
alla seconda metodologia per il calcolo dei momenti dinerzia di un corpo
rispetto ad una retta, con il minimo numero di integrali possibile.
x
3
r
u
O
x2
x1
momenti dinerzia
207
i calcoli per un corpo continuo, anche perch, in questo modo, evitiamo gli
indici relativi alla numerazione dei punti del sistema.
Per la definizione di momento dinerzia (MI.3) abbiamo:
J =
2 dC
u
O
= (OP )2
(OQ)2 = (OP )2
(OP u)2
(MI.7)
208
OP (xi ),
u (ui )
(MI.8)
(MI.9)
momenti dinerzia
209
= u [(OP )2
I
OP OP ]u
(MI.10)
u [(OP )2
I
OP OP ]udC
Dal momento che u non dipende dal punto P , ma solo dalla direzione
della retta r che non varia durante lintegrazione, possiamo portarlo fuori dal
segno di integrale, ottenendo:
J =u
[(OP )2
I
OP OP ]dC u
(MI.11)
[(OP )2
I
OP OP ]dC
(MI.12)
(MI.13)
210
8
<
:
vA
v > 0 8v 6= 0
vA
v = 0 () v = 0
(MI.14)
8u
ik
(xj xj
ik
xi xk ) dC
(MI.15)
momenti dinerzia
211
B=
C=
(x22 + x23 ) dC =
22
(x21
33
11
(y 2 + z 2 ) dC
(MI.16)
(x2 + z 2 ) dC
(MI.17)
(x21 + x22 ) dC =
(x2 + y 2 ) dC
(MI.18)
x23 ) dC
23
32
B =
13
31
C0 =
12
21
x2 x3 dC =
yz dC
(MI.19)
x1 x3 dC =
xz dC
(MI.20)
x1 x2 dC =
xy dC
(MI.21)
212
A
B
0
@ C0
B
C0
B
A0
B0
A0 C
A
C
(MI.22)
u (, , )
J = A2 + B
+C
2A0
2B 0
2C 0
(MI.24)
momenti dinerzia
213
+C
(MI.25)
Ellissoide dinerzia
E noto dalla geometria (si possono vedere a questo proposito alcuni
richiami nellappendice AL - Algebra vettoriale e matriciale ) che ad ogni
matrice simmetrica pu essere associata una quadrica e, quando la matrice
definita positiva la quadrica, il cui centro coincide con lorigine degli assi ai
quali si riferisce la matrice, un ellissoide. Indicando con A
la matrice e con
214
(MI.26)
x x=1
(MI.27)
(MI.28)
(MI.29)
(MI.30)
momenti dinerzia
215
216
J =
1
|x|2
2A0 yz
2B 0 xz
2C 0 xy = 1
(MI.31)
Nel caso in cui gli assi cartesiani siano assi principali dinerzia, come
abbiamo visto, la matrice dinerzia diviene diagonale, annullandosi i momenti
di deviazione. Allora lequazione dellellissoide dinerzia assume la forma
canonica:
Ax2 + By 2 + Cz 2 = 1
()
x2 y 2 z 2
+ 2 + 2 =1
a2
b
c
(MI.32)
1
b= p
B
1
c= p
C
momenti dinerzia
217
218
A
B
@ C0
B0
C0
B
A0
10
B0
0
0 CB
A A@ 0 C
A
C
1
0
B
C
@ 0 A
1
A0 = 0,
B0 = 0
momenti dinerzia
219
y
-z
dC
C = C1 [ C2 ,
C1 \ C2 = ;,
C2 = {(x, y, z) ; (x, y, z) 2 C1 }
220
Ne consegue che:
A0 =
C1 [C2
yz dC =
C1
yz dC+
C2
yz dC =
C1
yz dC
C1
yz dC = 0
e analogamente:
B0 = 0
Dunque lasse z un asse principale dinerzia per lellissoide di centro O
e quindi per la matrice dinerzia che lo definisce.
Se il corpo possiede due piani di simmetria fra loro ortogonali restano
individuati tutti e tre gli assi principali dinerzia di ogni ellissoide che ha il
centro sulla retta di intersezione dei due piani.
Figura MI. 10: corpo dotato di due piani di simmetria di massa ortogonali
Infatti applicando due volte il primo criterio si individuano due assi
principali dinerzia ortogonali fra loro, coincidenti con le normali ai piani
di simmetria condotte per il punto O appartenente alla retta di intersezione
dei due piani. Il terzo asse principale dinerzia la retta per O, normale ai
momenti dinerzia
221
due assi principali individuati, e coincide con la retta di intersezione dei due
piani.
Se un corpo possiede due piani di simmetria fra loro non ortogonali,
allora il corpo ha struttura giroscopica rispetto a tutti i punti della retta di
intersezione dei due piani e in particolare risulta essere un giroscopio.
G
O
Figura MI. 11: corpo dotato di due piani di simmetria di massa non ortogonali
Applicando il primo criterio a ciascuno dei due piani si individuano
per ogni ellissoide il cui centro O appartiene alla loro retta di intersezione,
due assi principali dinerzia non ortogonali. Ora la sezione dellellissoide
dinerzia con un piano ortogonale ai due piani di simmetria, passante per O,
unellisse, che viene ad avere due assi di simmetria non ortogonali. Ma
lunica ellisse che ha assi di simmetria non ortogonali la circonferenza. Di
conseguenza lellissoide di centro O un ellissoide di rivoluzione attorno alla
retta di intersezione dei due piani. Allora si pu concludere che qualunque sia
il punto O sulla retta di intersezione lellissoide che ha centro in O rotondo
e quindi il corpo ha struttura giroscopica rispetto ad O.
Daltra parte sappiamo che se esiste un piano di simmetria di massa (che
un caso particolare di piano diametrale) il baricentro si trova sul piano
di simmetria: nel nostro caso esistono due piani di simmetria di massa, di
conseguenza il baricentro si trova sulla loro retta di intersezione. Ma abbiamo
visto che il corpo ha struttura giroscopica rispetto a tutti i punti di questa retta,
222
Figure piane
Quando il corpo schematizzato con una figura piana ogni retta normale
al piano della figura risulta essere un asse principale dinerzia per lellissoide
che ha centro nellintersezione della retta con il piano.
Infatti: scelto il riferimento cartesiano in modo che gli assi x e y
appartengano al piano e lasse z sia, quindi, ortogonale al piano, ne consegue
che tutti i punti hanno quota nulla, e quindi risulta:
A0 =
B0 =
yz dC = 0,
xz dC = 0
A=
y dC,
B=
x dC,
C=
(x2 + y 2 ) dC
C =A+B
e la matrice dinerzia individuata da soli tre elementi:
(MI.33)
momenti dinerzia
223
A
B
@ C0
0
C0
0
C
B
0
A
0 A+B
(MI.34)
()
+d
x=x
dove si sono marcate con un le coordinate relative ad uno dei due sistemi di
assi.
Allora avremo per definizione di matrice dinerzia, per esempio, per un
sistema materiale continuo:
=
ik =
ik
(xj xj
ik
xi xk ) dC
(
xj xj
ik
xi xk ) dC
224
f (
x) dC =
f (x) dC
ik
(xj xj
[(
xj + dj )(
xj + dj )
xi xk ) dC =
ik
(
xi + di )(
xk + dk )] dC
ik
xi dC
ik
ik
di dk
di xGk
xGi dk ]
(MI.35)
ik
= ik + m (dj dj
ik
di dk )
(MI.36)
momenti dinerzia
225
+ m (d2
I
d d)
(MI.37)
dove:
k ik k
(MI.38)
C = CG + m (d21 + d22 )
per quanto riguarda i momenti relativi agli assi. Questo risultato
evidentemente una conseguenza del teorema di Huygens-Steiner. Per i
momenti di deviazione abbiamo:
A0 = A0G + m d2 d3
0
B 0 = BG
+ m d1 d3
(MI.39)
C 0 = CG0 + m d1 d2
Osserviamo dunque che se gli assi aventi origine nel baricentro vengono
scelti in modo da essere assi principali dinerzia, gli assi traslati, in generale,
non sono principali.
Come caso particolare, quando il corpo una figura piana e la traslazione
viene effettuata nel piano della figura, per cui d3 = 0, lunico momento
226
(MI.40)
=R
R
0 A+B
cos
sen 0
B
B
B
B
B
B
@
C
C
C
C,
C
C
A
0
B
B
B
B
B
B
@
C0
C0
A + B
1
C
C
C
C
C
C
A
e si ottiene:
0
B
B
B
B
B
B
@
sen cos 0
0
10
CB
CB
CB
CB
CB
CB
A@
0 A+B
10
CB
CB
CB
CB
CB
CB
A@
cos
sen 0
sen
cos
1
C
C
C
C
C
C
A
momenti dinerzia
227
(MI.41)
B) sen cos
Q = mv
momento della quantit di moto
(CM.1)
rispetto ad un polo lo
230
pseudovettore:
K = P ^ mv
(CM.2)
(CM.3)
Q=
n
X
ms v s
(CM.4)
s=1
K =
n
X
s=1
Ps ^ ms v s
n
1X
T =
ms v 2s
2 s=1
(CM.5)
(CM.6)
231
(CM.7)
dK = P ^ vdm = P ^ v dC
(CM.8)
1
1
dT = v 2 dm = v 2 dC
2
2
(CM.9)
Per cui, integrando sul dominio C che rappresenta linsieme dei punti del
corpo otteniamo, in termini finiti:
Q=
K =
v dC
P ^ v dC
1Z
T =
v 2 dC
2 C
(CM.10)
(CM.11)
(CM.12)
(CM.13)
Introdotte le definizioni procediamo ora con alcuni teoremi che sono utili
per il calcolo della quantit di moto, del momento della quantit di moto
e dellenergia cinetica, in quanto consentono di collegare fra loro queste
232
OG =
n
1 X
ms OPs
m s=1
m OG =
n
X
ms OPs
(CM.14)
s=1
m vG =
n
X
s=1
ms v s = Q
233
Dunque resta dimostrato il teorema del moto del baricentro, che in formula
si traduce nella:
Q = m vG
(CM.15)
n
X
ms v 0 s
(CM.16)
Ps ^ ms v 0s
(CM.17)
s=1
(G)
K =
n
X
s=1
234
z'
y'
x'
y
x
(G)
n
1X
=
ms v 02s
2 s=1
(CM.18)
(CM.19)
(CM.20)
235
T =
n
1X
ms v 2s
2 s=1
T (G) =
n
1X
ms v 02s
2 s=1
Per stabilire un legame fra queste due energie cinetiche occorre un legame
fra le velocit relative ai due osservatori. Il teorema di composizione delle
velocit di Galileo (MR.15) ci dice che, in generale, per un punto vale il
legame fra velocit assoluta e relativa:
v (a) = v (r) + v ( )
Nel nostro caso, per il generico punto Ps del sistema materiale, v s
rappresenta la velocit assoluta, v 0s la velocit relativa e la velocit di
trascinamento semplicemente la velocit del baricentro del sistema. Infatti,
per definizione, la velocit di trascinamento vale:
v ( ) = v + ! ^ P
236
(CM.21)
Quindi fra le velocit del generico punto Ps del sistema materiale sussiste
il legame:
v s = v 0s + v G
(CM.22)
T =
n
1X
ms (v 0s + v G )2 =
2 s=1
n
n
n
X
1X
1X
ms v 02s +
ms v 2G +
ms v 0 s v G =
2 s=1
2 s=1
s=1
1
= T (G) + mv 2G + Q(G) v G
2
Ma grazie al teorema del moto del baricentro abbiamo:
Q(G) m v 0G = 0
per cui lenunciato risulta dimostrato. In formula il primo teorema di Knig
risulta dunque espresso da dalla seguente relazione:
1
T = T (G) + mv 2G
2
(CM.23)
237
K =
n
X
Ps ^ ms v s
n
X
Ps ^ ms v 0s
s=1
(G)
K =
s=1
K =
n
X
s=1
Ps ^ ms (v 0s + v G ) =
n
X
s=1
Ps ^ ms v 0s +
ma:
n
X
s=1
Ps ^ ms v G = m G ^ v G
n
X
s=1
Ps ^ ms v G
238
(G)
K = K + G ^ mv G
(CM.24)
Corpo rigido
Vediamo ora lapplicazione dei teoremi che abbiamo dimostrato al calcolo
delle grandezze che caratterizzano la cinematica delle masse nel caso del
corpo rigido.
quantit di moto
Cominciamo con losservare che, per quanto riguarda la quantit di moto,
grazie al teorema del moto del baricentro essa pu essere valutata, per
qualunque sistema meccanico, anche non rigido, con la sola conoscenza del
moto del baricentro del sistema e vale semplicemente:
Q = mv G
energia cinetica
239
Per quanto riguarda lenergia cinetica esaminiamo i vari casi notevoli che
possono presentarsi:
corpo rigido libero
Grazie al primo teorema di Knig il calcolo dellenergia cinetica di
un corpo rigido libero si riconduce al calcolo dellenergia cinetica di un
corpo rigido con un punto fisso, in quanto rispetto al sistema baricentrale il
baricentro G del corpo risulta essere un punto fisso del moto coincidente con
lorigine degli assi.
z'
z
G
y'
x'
O
T =
1Z
v 2 dC
2 C
240
(! P )2 = ! [(P )2
I
P P ]!
[(P )2
I
P P ] dC !
Ma sappiamo che:
=
[(P )2
I
P P ] dC
241
T =
1
! !
2
(CM.25)
10
p
A 0 0
1
B
CB
C
T = (p, q, r) @ 0 B 0 A @ q A
2
0 0 C
r
ovvero:
T =
1
(Ap2 + Bq 2 + Cr2 )
2
(CM.26)
1
1
!u !u = J ! 2
2
2
242
dove:
J =u u
rappresenta il momento dinerzia del corpo rigido rispetto alla retta passante
per il punto fisso avente, nellistante considerato, la direzione della velocit
angolare.
Nel caso in cui il corpo rigido ruoti attorno ad un asse fisso ci troviamo
in un caso particolare in cui non solo un punto, ma unintera retta del corpo
bloccata. Allora evidentemente la velocit angolare un vettore avente la
stessa direzione dellasse fisso e si pu esprimere, in termini della derivata
temporale dellangolo # che rappresenta lunico grado di libert del corpo:
! = # u
(CM.27)
T =
1 2
J#
2
(CM.28)
dove J rappresenta ora il momento dinerzia del corpo rigido rispetto allasse
fisso.
moto rigido piano
Nel caso del moto rigido piano sappiamo che latto di moto pu essere o
traslatorio o rotatorio: se latto di moto traslatorio e tutti i punti del corpo
rigido hanno la stessa velocit v, che quindi indipendente dal punto P , del
corpo, considerato, immediato, in base alla definizione di energia cinetica,
ottenere:
243
1Z
1 2Z
1
1
2
T =
v dC = v
dC = mv 2 = mv 2G
2 C
2
2
2
C
energia che coincide con lenergia cinetica associata al moto del baricentro,
che si muove anchesso con la velocit di traslazione del corpo v.
Se latto di moto rotatorio, invece, il centro di istantanea rotazione un
punto del corpo rigido che nellistante considerato ha velocit nulla; perci la
velocit del generico punto del corpo rigido si pu esprimere come:
v = v P = ! ^ CP
e la velocit angolare ortogonale al piano del moto: il suo versore u perci
sempre lo stesso, e di conseguenza il calcolo dellenergia cinetica risulta
identico a quello che si ha per un corpo rigido con un asse fisso. In questo
caso per il momento dinerzia risulta calcolato rispetto ad un asse normale
al piano del moto e passante per il centro di istantanea rotazione C. Abbiamo
perci:
T =
1
JC ! 2
2
(CM.29)
244
T =
1
1
JG ! 2 + mv 2G
2
2
1
1
1
JG ! 2 + m ! 2 d2 = (JG + md2 ) ! 2
2
2
2
245
K = K + G ^ mv G
corpo rigido con un punto fisso
Ricordiamo la definizione di momento della quantit di moto di un corpo
continuo, rispetto ad un polo (CM.11):
K =
P ^ v dC
P ^ (! ^ P ) dC
(CM.30)
Calcoliamo separatamente:
P ^ (! ^ P ) = (P )2 !
(P !) ! = [(P )2
I
P P ] !
246
K =
[(P )2
I
P P ] dC !
(CM.31)
K = !
T =
1
! K
2
(CM.32)
E dunque:
10
A 0 0
p
B
CB
K @ 0 B 0 A @ q C
A
0 0 C
r
K = A p e1 + B q e2 + C r e3
(CM.33)
247
Figura CM. 3: sistema solidale in cui lasse 3 coincide con lasse fisso
In questo modo la velocit angolare di rotazione del corpo attorno allasse
fisso si pu scrivere:
! (0, 0, #)
Teniamo conto che lasse fisso assegnato dal problema e non lo possiamo
scegliere noi ad arbitrio, per cui, in generale, dobbiamo prevedere che esso
non sar un asse principale dinerzia. Di conseguenza dovremo eseguire
il calcolo scrivendo la matrice dinerzia nella sua espressione pi generale.
Abbiamo:
0
A
B
K @ C0
B0
C0
B
A0
10
1
0
1
0
B 0 #
B0
B
C
B
C
A0 C
A @ 0 A @ A0 # A
C
#
C #
248
Dunque in generale per un corpo rigido con un asse fisso il momento della
quantit di moto risulta espresso da:
A0 #,
C #)
K ( B 0 #,
(CM.34)
1
K #
2
(CM.35)
Qualora poi lasse fisso risulti essere asse principale dinerzia il momento
della quantit di moto risulta essere parallelo allasse fisso, in quanto, per
definizione di asse principale dinerzia, il versore dellasse fisso autovettore
della matrice dinerzia. Allora si ha semplicemente:
3
K = J #e
(CM.36)
249
rigido una figura piana che si muove nel suo piano, allora tutte le rette
normali al piano della figura sono assi principali dinerzia e quindi lasse di
istantanea rotazione risulta essere un asse principale dinerzia.
Sistema olonomo
In un sistema olonomo risulta di particolare interesse, ai fini pratici, la
struttura che assume lespressione dellenergia cinetica, perci ci limitiamo
solamente al calcolo di questa. Partiamo dalla definizione di energia cinetica
(nel caso di un sistema particellare):
T =
n
1 X
ms v 2s
2 s=1
vs =
@Ps
@Ps
qh +
@qh
@t
@Ps
@Ps
qk +
@qk
@t
250
n
1 X
@Ps
@Ps
@Ps
@Ps @Ps @Ps
@Ps @Ps
=
qh
qk +
qh
+
qk +
2 s=1 @qh
@qk
@qh
@t
@t
@qk
@t
@t
n
n
n
X
1 X
@Ps @Ps
@Ps @Ps
1 X
@Ps
=
ms
qh qk +
ms
qh +
ms
2 s=1
@qh
@qk
@qh
@t
2 s=1
@t
s=1
!2
ahk =
n
X
s=1
bh =
n
X
s=1
@Ps @Ps
@qh
@qk
(CM.37)
@Ps @Ps
@qh
@t
(CM.38)
!2
(CM.39)
ms
ms
n
1 X
@Ps
d=
ms
2 s=1
@t
T =
1
ahk qh qk + bh qh + d
2
(CM.40)
251
Per non avere a che fare con gli indici possiamo introdurre la notazione
vettoriale, nello spazio delle configurazioni, per i parametri lagrangiani e le
loro derivate temporali:
q (q1 , q2 , , qN ) (qh )
(CM.41)
q (q1 , q2 , , qN ) (qh )
(CM.42)
da cui segue:
a
k ahk k
che prende il nome di matrice dellenergia cinetica; un vettore:
(CM.44)
b (bh )
b = b(q, t),
d = d(q, t)
T =
1
q a
(q,t)q + b(q, t) q + d(q, t)
2
(CM.45)
252
T =
1
q a
(q)q
2
(CM.46)
Lavoro e potenziale
(LP.1)
lavoro e potenziale
255
F = F (x, y, z, x,
y,
z,
t)
(LP.2)
F = F (P ) = F (x, y, z)
(LP.3)
@L = F @P = Fx @x + Fy @y + Fz @z
(LP.4)
256
L = F P = Fx x + Fy y + Fz z
(LP.5)
dL = F dP
per denotare il lavoro compiuto dalla forza durante il moto, cio in
corrispondenza dello spostamento fisico dP compiuto dal punto sotto lazione
della forza F .
OP = OP (s)
(LP.6)
x = x(s)
y = y(s) ,
>
:
z = z(s)
s1 s s2
(LP.7)
lavoro e potenziale
257
P1
P
T
F
P2
s = s(t),
(LP.8)
essendo:
s1 = s(t1 ),
s2 = s(t2 )
F dP =
Fx dx + Fy dy + Fz dz
(LP.9)
258
caso generale
Nel caso pi generale in cui la forza abbia la struttura espressa dalla
(LP.1) lintegrale curvilineo pu essere ricondotto ad un integrale di Riemann
nel quale la variabile dintegrazione il tempo. Infatti la forza contiene
esplicitamente la variabile t e si pu esprimere come funzione di t facendo
uso delle equazioni della traiettoria (LP.6) e della legge oraria (LP.8). Allora
la forza F in funzione del tempo assume la forma:
F (t) = F (P (s(t)), v(s(t)), t)
dove:
v(s(t)) =
dP
(s(t))
dt
Z t2
t1
Ovvero, pi brevemente:
L=
dove la funzione integranda:
Z t2
t1
W (t) dt
(LP.10)
si riconduce
lavoro e potenziale
259
W (t) = F v
(LP.11)
dP
dP
(s(t)) =
s = T s
dt
ds
(LP.12)
FT = F T
(LP.13)
dove:
260
T =
dP
ds
(LP.14)
(LP.15)
Z s2
s1
FT (P (s)) ds
(LP.16)
Notiamo che, fissata una certa curva , potrebbe anche accadere che
solamente la componente tangente FT di una certa forza F fosse indipendente
da v e da t, mentre la componente della forza sul piano normale alla curva
potrebbe dipendere da queste variabili: in questo caso il lavoro sarebbe
sempre esprimibile mediante la (LP.16) anche se la forza non posizionale.
Naturalmente, per in questo caso, cambiando la curva si ritornerebbe al
caso generale. Se la forza F posizionale, invece, il lavoro espresso dalla
(LP.16) qualunque sia la scelta della traiettoria.
Il lavoro di una forza posizionale lungo un cammino finito dipende dalla
forma della traiettoria ma non dalla legge oraria con cui si muove il punto
di applicazione.
lavoro e potenziale
261
dL = dU
(LP.17)
@U
@U
@U
dx +
dy +
dz
@x
@y
@z
262
Fx =
@U
(x, y, z),
@x
Fy =
@U
(x, y, z),
@y
Fz =
@U
(x, y, z)
@z
Questo risultato ci informa anche del fatto che se una forza conservativa
le sue componenti, essendo le derivate parziali di una funzione di x, y, z,
possono essere funzioni solamente delle coordinate del punto di applicazione
e non possono dipendere dalla velocit e dal tempo. Di conseguenza una
forza conservativa necessariamente posizionale, mentre non vale il viceversa
in quanto possono esistere forze posizionali che non sono conservative, in
quanto il loro lavoro non un differenziale esatto.
Possiamo anche scrivere in termini di vettori:
F = rU
(LP.18)
Dire che una forza conservativa equivale anche a dire che essa il
gradiente della funzione potenziale U , che si dice allora potenziale della
forza F . Perci si dice anche che una forza conservativa quando ammette
potenziale.
Sottolineiamo che il potenziale essendo definito mediante una
condizione differenziale come la (LP.17) risulta definito sempre a meno di
una costante additiva arbitraria. Per individuare univocamente il valore del
potenziale in un punto bisogna assegnare il valore di tale costante, il che
equivale ad assegnare il valore zero al potenziale in un certo punto (proprio o
improprio) dello spazio.
lavoro e potenziale
263
@U dxi
dU (xi (s))
dU (P (s))
=
=
@xi ds
ds
ds
Allora:
FT (s) =
dU (P (s))
ds
(LP.19)
L=
Z s2
s1
FT (s) ds =
Z s2
s=s
= [U (P (s))]s=s21 = U (P (s2 ))
s1
. Quindi
dU (P (s))
ds =
ds
U (P (s1 )) = U (P2 )
U (P1 )
U (P1 )
(LP.20)
264
Z s2
s1
F T ds = F (P (
s)) T (
s) (s2
s1 )
U (P (s1 )) = F (P (
s)) T (
s) (s2
s1 )
lavoro e potenziale
265
Ovvero:
F (P ) = rU (P )
e quindi la forza risulta essere conservativa.
Se invece la funzione U fosse una funzione a pi valori (relazione o
funzione polidroma), potrebbe risultare anche: U (P2 ) 6= U (P1 ) e quindi un
lavoro non nullo lungo un cammino chiuso ( quanto accade, ad esempio in
un circuito elettrico chiuso su un generatore).
In conseguenza dei teoremi noti dallanalisi per le forme differenziali
valgono i seguenti risultati:
condizione necessaria affinch una forza sia conservativa che sia
posizionale e che valga la condizione:
r^F =0
(LP.21)
(LP.22)
266
lavoro e potenziale
267
Esempi
Esaminiamo ora alcuni esempi fisici di forze conservative che si
incontrano molto di frequente, delle quali calcoliamo il potenziale.
Forza peso
La forza peso agente su un corpo costituito di punti materiali una forza
caratterizzabile mediante le seguenti due propriet note dallesperienza:
un vettore applicato nel baricentro G del corpo;
un vettore proporzionale alla massa del corpo:
F = mg
(LP.23)
268
dL = F dG = mg dOG = d(mg OG + C)
e risulta essere un differenziale esatto perch espresso proprio come il
differenziale di una funzione regolare a un sol valore:
(LP.24)
U = m g OG + C
Figura LP. 3: prima scelta del riferimento per il calcolo del potenziale del peso
lavoro e potenziale
269
F (0, 0, mg),
OG (xG , yG , zG )
(LP.25)
mgzG + C
y
G
mg
z
Figura LP. 4: seconda scelta del riferimento per il calcolo del potenziale del
peso
In questo caso le componenti dei vettori sono:
F (0, 0, mg),
OG (xG , yG , zG )
270
(LP.26)
U = mgzG + C
con il vantaggio di avere eliminato il segno negativo dalla formula.
forza centrale
Si dice forza centrale una forza la cui retta dazione passa sempre per
un punto fisso C dello spazio detto centro di forza, comunque venga
fatto variare il suo punto di applicazione P
Quando una forza centrale dipende solo dalla distanza del suo punto di
applicazione dal centro di forza, allora risulta essere conservativa.
u
F
Figura LP. 5: seconda scelta del riferimento per il calcolo del potenziale del
peso
F = F (r)u,
r = |CP |
(LP.27)
lavoro e potenziale
271
u du = 0
=)
da cui:
dL = F (r) dr
Supponendo che F (r) sia una funzione continua, come accade
generalmente per le variabili di natura fisica, possibile scrivere
F (r) dr = d
Z r
r0
F (
r) d
r
272
U (r) =
Z r
r0
F (
r) d
r
(LP.28)
F (r) =
Mm
r2
(LP.29)
e quindi:
U (r) = h
Mm
+C
r
(LP.30)
U (r) = h
Mm
r
(LP.31)
lavoro e potenziale
273
va identificato con linsieme dei punti materiali che costituiscono il corpo sul
quale il sistema di forze agisce.
Lavoro di un sistema discreto di forze
Dato il sistema discreto di n forze applicate in n punti:
F = {(Ps , F s ), s = 1, 2, , n}
si definisce lavoro del sistema di forze la somma dei lavori di tutte le forze al
variare dei rispettivi punti di applicazione. In particolare, come per il lavoro
di una sola forza si distinguono:
il lavoro possibile:
@L =
n
X
F s @Ps
(LP.32)
n
X
F s Ps
(LP.33)
s=1
e il lavoro virtuale:
L=
s=1
dL =
n
X
s=1
F s dPs
274
L=
n Z
X
s=1
F s dPs
(LP.34)
dove la funzione f (P, v, t), che si suppone definita su tutto il dominio, detta
densit di forza. La relazione (LP.34) si dice legge di distribuzione della forza.
In questo caso si definisce lavoro del sistema di forze lintegrale dei lavori
di tutti gli elementi di forza al variare dei rispettivi punti di applicazione. In
particolare si distinguono:
il lavoro possibile:
@L =
f (P, v, t) @P dC
(LP.35)
f (P, v, t) P dC
(LP.36)
e il lavoro virtuale:
L=
lavoro e potenziale
275
L=
Z Z
C
(P 0 )
f (P, v, t) @P dC 0
@Ps = @ + @
^ Ps
(LP.37)
^ Ps
(LP.38)
Ps = +
per gli spostamenti virtuali. Notiamo che se il corpo rigido libero gli
spostamenti virtuali e quelli possibili coincidono, perch lunico vincolo
presente il vincolo di rigidit che indipendente dal tempo. Se il corpo
rigido soggetto anche a vincoli esterni gli spostamenti non coincideranno se
i vincoli esterni dipendono dal tempo.
Introducendo la legge di distribuzione degli spostamenti nella definizione
di lavoro di un sistema di forze otteniamo, per esempio per il lavoro virtuale:
276
L=
n
X
s=1
n
X
s=1
Fs ( +
Fs +
n
X
^ Ps ) =
Fs
s=1
^ Ps
s=1
Fs =
n
X
s=1
Fs = R
R=
n
X
Fs
s=1
^ Ps =
^ Ps F s
Infine per le propriet del prodotto misto possiamo scambiare gli operatori
^ e ottenendo:
^ Ps F s =
Ps ^ F s
lavoro e potenziale
n
X
s=1
277
Ps ^ F s =
n
X
s=1
Ps ^ F s = M
M =
n
X
s=1
Ps ^ F s
L = R + M
(LP.39)
(LP.40)
278
@Ps =
@Ps
@Ps
@qh +
@t
@qh
@t
Ps =
@Ps
qh
@qh
@Ps
@Ps
@L =
Fs
@qh +
@t =
@qh
@t
s=1
lavoro e potenziale
279
n
X
s=1
Fs
n
X
@Ps
@Ps
@qh +
Fs
@t
@qh
@t
s=1
L=
n
X
s=1
Fs
@Ps
qh
@qh
Qh =
n
X
s=1
Fs
@Ps
@qh
W =
n
X
s=1
Fs
@Ps
@t
(LP.41)
o anche di
(LP.42)
@L = Qh @qh + W @t
(LP.43)
L = Qh qh
(LP.44)
280
q (qh ),
Q (Qh )
@L = Q @q + W @t
(LP.45)
L=Q q
(LP.46)
lavoro e potenziale
281
@L = @U
ovvero:
Qh @qh + W @t =
@U
@U
@qh +
@t
@qh
@t
@U
,
@qh
W =
@U
@t
(LP.48)
@U
qh = U
@qh
282
@Qh
@W
=
@t
@qh
(LP.49)
lavoro e potenziale
283
sono indipendenti dal tempo, oppure quando ci si limita allesame dei lavori
virtuali.
Determinazione del potenziale
Dal punto di vista operativo quando si ha a che fare con una forma
differenziale lineare e si vuole verificare se esatta, e nel caso che lo sia
si vuole determinare il potenziale, possiamo procedere seguendo due vie
alternative.
La prima strada diretta: consiste nel cercare di esprimere
direttamente, se possibile, mediante manipolazioni algebriche, la forma
differenziale come differenziale di una funzione regolare a un sol valore. Se
si riesce in questo allora si verificato direttamente che tale funzione esiste e
si pervenuti a determinare il potenziale. Questo metodo facile da utilizzare
nei casi pi semplici.
Per esempio, sia data la forma differenziale:
d! = 2xy 2 dx + 2x2 y dy
E immediato che si tratta del differenziale di un prodotto e che si pu
scrivere:
d! = y 2 d(x2 ) + x2 d(y 2 ) = d(x2 y 2 + C)
e quindi il potenziale esiste e vale:
U (x, y) = x2 y 2 + C
La seconda strada indiretta: si pu sempre utilizzare, anche se
generalmente meno rapida della precedente; in particolare la si utilizza
quando non si in grado di procedere con il metodo diretto. Essa consiste
di due passi logici:
284
@U
= g(x, y)
@y
(LP.50)
Z x
x0
f (, y) d
lavoro e potenziale
285
@F (x, y) d'(y)
+
= g(x, y)
@y
dy
Integrando infine questultima rispetto alla variabile y otteniamo:
'(y) =
Z y
y0
g(x, ) d
F (x, y) + F (x, y0 )
Z x
x0
f (, y0 ) d +
Z y
y0
g(x, ) d
(LP.51)
U (x, y) =
Z x
x0
2y02 d +
Z y
y0
2x2 d = (x2
x20 )y02 + x2 (y 2
y02 )
ovvero:
U (x, y) = x2 y 2
x20 y02
286
C=
x20 y02
Esempi
Facciamo ora qualche considerazione di tipo esemplificativo sui sistemi di
forze che risultano essere conservativi nel loro complesso, mentre non sono
conservative le singole forze considerate separatamente.
Cominciamo con tre osservazioni di carattere analitico sulle forme
differenziali:
consideriamo come primo caso una forma differenziale in una sola
variabile:
d! = f (x) dx
essendo f una funzione regolare a valori in R. Questa forma differenziale
esatta dal momento che la continuit della funzione f sufficiente a garantire
la sua integrabilit, e le grandezze fisiche si assumono generalmente essere
continue. Per cui possiamo scrivere:
d! = d
Z x
f (
x) d
x
Z x
f (
x) d
x
x0
x0
lavoro e potenziale
287
(LP.52)
Ora affinch questa sia un differenziale esatto deve accadere, in forza del
teorema sopra enunciato e dellipotesi che g identicamente nulla, che
@f
@g
=
=0
@y
@x
Di conseguenza:
@f
=0
@y
Quindi f non pu dipendere dalla y, ma deve essere solo funzione di x.
Perci affinch una forma differenziale del tipo (LP.52) sia esatta occorre che:
d! = f (x)dx
Nel qual caso ci ritroviamo nel caso precedentemente esaminato in cui
esiste il potenziale.
Ne concludiamo che una forma differenziale che ha la struttura (LP.52)
con f dipendente da entrambe le variabili, non pu essere esatta.
come terzo caso esaminiamo le tre forme differenziali:
d!1 = f (x, y) dx,
d!2 = g(x, y) dy
288
d! = f (x, y) dx + g(x, y) dy
con f, g regolari definite su un dominio semplicemente connesso di R2 a
valori in R e tali da soddisfare la condizione:
@f
@g
=
@y
@x
Se ne conclude che d!1 e d!2 non sono forme differenziali esatte, mentre
la loro somma d! esatta.
Forze elastiche
Tornando alla meccanica esaminiamo il comportamento del lavoro di due
forze elastiche che vengono scambiate tra due punti A e B collegati tra loro
mediante una molla ideale.
Chiamiamo molla ideale un sistema meccanico ai cui punti estremi A e
B si realizzano due forze esprimibili mediante i vettori applicati:
(A, F A ),
(B, F B ),
F A = k 2 AB,
FB =
FA
F A = k 2 (xB xA )u,
FB =
k 2 (xB xA )u,
OA = xA u, OB = xB u
lavoro e potenziale
289
u
F
B
B
F
A
A
k 2 (xB
xA ) dxA ,
xA ) dxB
dLB =
k xB dxB = d
1 2 2
k xB + C
2
290
1 2 2
k xB
2
(LP.53)
avendo scelto lo zero del potenziale quando la molla a riposo, cio per
xB = 0.
Nel caso invece che entrambi gli estremi della molla siano liberi le forme
differenziali dei lavori delle singole forze non sono esatte, tuttavia esatto il
differenziale del lavoro totale delle due forze. Infatti abbiamo:
xA ) dxA
k 2 (xB
k 2 (xB
xA ) d(xB
xA )
xA ) dxB =
xA
k 2 x dx = d
1 2 2
k x +C
2
Quindi
il potenziale delle due forze elastiche risulta essere complessivamente dato
da:
lavoro e potenziale
291
1 2 2
k x
2
U=
(LP.54)
= f (#) d# = d
Z #
#0
d#
f (#)
Z #
#0
d#
f (#)
292
O
M
z =
F = ma
(PM.1)
296
una volta stabilita la (PM.1) esso diviene superfluo. Per lesperienza mostra
che il secondo principio non valido per ogni osservatore, ma solo per una
particolare classe di osservatori ai quali si d il nome di inerziali. Allora il
primo principio della dinamica si sostituisce con il postulato dellesistenza
di almeno un osservatore rispetto al quale il secondo principio risulta valido.
Praticamente si ritiene inerziale losservatore solidale con le stelle fisse.
Ai tre principi della dinamica classica si aggiungono le seguenti leggi della
meccanica.
Principio di relativit galileiana: non possibile mediante esperimenti
di meccanica stabilire se ci si trova in quiete o in moto rettilineo uniforme;
ovvero: i concetti di quiete e di moto rettilineo uniforme non sono assoluti,
ma relativi ad un osservatore al quale vengono riferiti.
Questo risultato si spiega, come vedremo trattando della dinamica relativa,
per il fatto che due osservatori in moto rettilineo uniforme, dei quali uno sia
inerziale, risultano esserlo entrambi e, di conseguenza, i fenomeni meccanici
rispetto a ciascuno di essi obbediscono alla stessa legge (PM.1).
Principio di composizione delle forze: questo principio esprime il
carattere vettoriale della (PM.1). Esso si pu enunciare nel modo seguente: se
una forza F 1 applicata ad un punto produce unaccelerazione a1 e una forza
F 2 applicata allo stesso punto produce unaccelerazione a2 , quando le due
forze vengono applicate simultaneamente, esse producono laccelerazione
a = a1 + a2 corrispondente alleffetto della forza risultante F = F 1 + F 2 .
Ci significa che, agli effetti dinamici, un insieme di due o pi forze applicate
allo stesso punto, pu essere sostituito con una sola forza pari al loro
risultante.
Per trattare i problemi di meccanica celeste ci occorre anche la conoscenza
della:
Legge di gravitazione universale di Newton: la forza gravitazionale che
una massa puntiforme M esercita su unaltra massa puntiforme m data da:
297
F =
Mm
u
r2
(PM.2)
298
F+
= ma
(PM.3)
Attrito
Dal punto di vista macroscopico si pu pensare un vincolo come realizzato
da un corpo che, mediante unazione di contatto, impedisce ad un altro corpo
di assumere determinate posizioni e di compiere determinati spostamenti.
Il contatto tra due corpi avviene, fisicamente, in superfici di contatto pi
o meno estese: pensare ad un solo punto o ad una curva di contatto ,
in effetti, unastrazione matematica, che in taluni casi costituisce tuttavia
una descrizione accettabile e che semplifica la trattazione del problema. In
realt, dal punto di vista fisico, possiamo pensare sempre allesistenza di una
superficie di contatto nei punti della quale sono applicate, al corpo vincolato,
le reazioni vincolari (superficie del vincolo). Caratterizzando con:
f (x, y, z) = 0
299
Tu
nn
(PM.4)
dove:
n=
rf
|rf |
300
u=
T|
= fd |
n|
(PM.5)
tan 'd =
|
|
T|
n|
= fd
(PM.6)
301
del cono circolare retto di semiapertura 'd , avente come asse di simmetria
la retta normale alla superficie condotta per il punto di applicazione della
reazione vincolare. A tale cono si d perci il nome di cono di attrito
dinamico.
Nel caso dinamico la giace sempre sul cono di attrito. In particolare
il cono avr una sola falda se il vincolo unilaterale e due falde se il vincolo
bilaterale.
302
TT
NN
BB
303
n|
2
N
2
B
T|
= fd
2
N
2
B
(PM.7)
attrito statico
Diverso il comportamento dellattrito nel caso in cui il punto di
applicazione della reazione vincolare considerata abbia velocit nulla rispetto
alla superficie o alla curva di contatto, cio si abbia v = 0 in un certo
intervallo di tempo. In questo caso si parla di attrito statico.
304
T|
fs |
n|
(PM.8)
(PM.9)
e cos pure un cono di attrito statico in maniera del tutto analoga al caso
dinamico.
La presenza della disuguaglianza, nella legge dellattrito statico (PM.8)
comporta il fatto che la reazione vincolare cade non esternamente alla regione
di spazio delimitata dal cono di attrito statico e solo come caso limite si pu
trovare sulla superficie del cono.
Per comprendere il senso fisico della disuguaglianza nella (PM.8)
consideriamo, a titolo di esempio, un piano con attrito, inclinato di un angolo
rispetto al piano orizzontale. Poniamo poi un copro pesante, di massa
m, schematizzato con il suo baricentro G, sul piano inclinato. La reazione
vincolare , se il punto si mantiene in quiete, per cui v = 0, a = 0, grazie
alla (PM.3) tale che:
mg +
=0
305
T|
= | |sen = mg sen
n|
= | |cos = mg cos
mg
306
Come per lattrito dinamico anche nel caso dellattrito statico la (PM.8) si
pu specializzare per una curva dotata di attrito, nella forma:
T | fs
2
N
(PM.10)
2
B
Ps = |
s ||
Ps |cos #s
8 Ps
307
relazione vale per ogni reazione vincolare agente sul sistema meccanico e
quindi il lavoro totale delle reazioni vincolari risulta essere la somma di lavori
non negativi ed dunque non negativo.
f
dP
P
f(x,y,z) = 0
O
y
308
L(v)
0, 8 Ps
(PM.11)
essendo:
L(v) =
n
X
s=1
Ps
309
=0
310
C
Figura PM. 10: vincolo di puro rotolamento
C=0
311
m P = F (P, P , t)
OP (0) = OP0 ,
P (0) = v 0
avendo denotato con il punto la derivata temporale, deve ammettere una e una
sola soluzione, per risultare ben posto. Com noto la condizione analitica
312
f (x00 )k C kx0
x00 k,
8x0 , x00 2 A
p
m
x=k x
x(0) = 0,
x(0)
=0
313
x(t) =
che non ha alcun significato fisico.
k
12m
!2
t4
STATICA
v(0) = 0
8t
8t
OP (t) = OP0
8t
(SP.1)
317
P = 0
OP (0) = OP0 ,
v(0) = 0
318
F+
=0
(SP.2)
F (P , t)
319
f (x, y, z) = 0
f
dP
P
f(x,y,z) = 0
O
y
320
(SP.4)
(SP.5)
321
@f
(x, y, z) = 0
@x
Fy (x, y, z, t) +
@f
(x, y, z) = 0
@y
Fz (x, y, z, t) +
@f
(x, y, z) = 0
@z
f (x, y, z) = 0
per le quattro incognite x, y, z, . Il problema staticamente determinato e le
soluzioni, se ne esistono, rappresentano le posizioni di equilibrio del punto e
determinano le corrispondenti reazioni vincolari. Denoteremo le posizioni di
equilibrio con un asterisco, per distinguerle dalle posizioni non di equilibrio
e potremo tabularle con un indice che le ordina. Ad esempio:
P1 (x1 , y1 , z1 ),
P2 (x2 , y2 , z2 ),
1,
2,
322
F (xs , ys , zs )
(SP.6)
323
U (x, y, z), con le variabili vincolate sulla superficie di equazione (SP.3), che si
ottengono con il metodo dei moltiplicatori di Lagrange e il moltiplicatore
di Lagrange relativo al vincolo.
f (x, y, z) = 0
(SP.7)
g(x, y, z) = 0
g(x,y,z) = 0
z
P
F
2
f(x,y,z) = 0
O
y
x
324
= rf,
= rg
Di conseguenza risulta:
= rf + rg
(SP.8)
(SP.9)
che, proiettata sugli assi, fornisce un sistema di tre equazioni nelle cinque
incognite x, y, z, , . Le due equazioni mancanti sono date dalle equazioni
della curva a cui le coordinate del punto devono soddisfare per rispettare il
vincolo. Il sistema diviene cos un sistema di cinque equazioni per cinque
incognite e il problema risulta staticamente determinato:
Fx (x, y, z, t) +
@f
@g
(x, y, z) + (x, y, z) = 0
@x
@x
Fy (x, y, z, t) +
@f
@g
(x, y, z) + (x, y, z) = 0
@y
@y
Fz (x, y, z, t) +
325
@f
@g
(x, y, z) + (x, y, z) = 0
@z
@z
f (x, y, z) = 0
g(x, y, z) = 0
Nel caso in cui la forza attiva sia conservativa il sistema precedente si
specializza nella forma:
@U
@f
@g
(x, y, z) +
(x, y, z) + (x, y, z) = 0
@x
@x
@x
@U
@f
@g
(x, y, z) +
(x, y, z) + (x, y, z) = 0
@y
@y
@y
@U
@f
@g
(x, y, z) +
(x, y, z) + (x, y, z) = 0
@z
@z
@z
f (x, y, z) = 0
g(x, y, z) = 0
Dal punto di vista analitico queste rappresentano le condizioni per la
ricerca degli estremanti vincolati del potenziale. Essendo presenti due
equazioni di vincolo sono necessari due moltiplicatori di Lagrange , .
326
T|
fs |
n|
=0
B = {u, w, n},
n=
rf
|rf |
Tu
ww
nn
T|
2
u
2
w
327
Fu +
Fw +
=0
Fn +
=0
>
>
>
>
q
>
>
>
2
>
>
u
>
>
>
>
>
>
>
:
=0
2
w
fs |
(SP.10)
n|
f (x, y, z) = 0
(SP.11)
f (x, y, z) = 0
328
8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:
Fu (x, y, z, t) = 0
Fw (x, y, z, t) = 0
Fn (x, y, z, t) +
(SP.12)
=0
f (x, y, z) = 0
=0
sul triedro di Frenet della curva, cio sulla base ortonormale dei versori
tangente, normale e binormale: T , N , B , che si ottengono note le equazioni
parametriche della curva:
OP = OP (s)
dalle relazioni:
T =
329
dP
,
ds
N =
d2 P
,
ds2
B =T ^N
FT +
=0
FN +
=0
FB +
=0
(SP.13)
T | fs
2
N
2
B
(SP.14)
330
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:
FT (s, t) = 0
FN (s, t) +
=0
FB (s, t) +
=0
(SP.15)
dL = F dP = F T ds = FT (s) ds = d
Z s
s0
FT (
s) d
s
U (s) =
Z s
s0
FT (
s) d
s
Notiamo come, nel caso in cui la curva sia priva di attrito, la metodologia
ora esposta costituisce una via alternativa a quella dei moltiplicatori di
Lagrange. Il metodo dei moltiplicatori opera con le variabili vincolate x, y, z,
mentre il metodo del triedro di Frenet opera con la variabile indipendente
s, che costituisce lunico parametro lagrangiano, avendo il problema un solo
grado di libert.
331
O
y
Facciamo anche lipotesi che le forze dipendano solo dalle mutue distanze
tra il punto che costituisce il nostro sistema meccanico e i punti interagenti
esterni al sistema. In tal modo nel passaggio da un osservatore allaltro
le forze risultano rappresentate sempre dagli stessi vettori, in quanto le
distanze sono invarianti rispetto alle trasformazioni di rototraslazione degli
assi (trasformazioni euclidee) e quindi tutte le loro funzioni risultano di
conseguenza invarianti.
Il punto P di cui vogliamo studiare lequilibrio rispetto al sistema
332
m a(a) = F +
! 2 QP,
a(c) = 2! ^ v (r)
m a(r) + m a( ) + m a(c) = F +
v (r) = 0,
8t
333
+ F ( ) = 0
(SP.18)
m a( )
(SP.19)
ovvero:
F ( ) =
m a
m ! ^ P + m ! 2 QP
(SP.20)
334
F centrif. = m ! 2 QP
Q = qk,
q = Q k,
QP = ru,
r = |QP |,
! = !k
335
=)
u du = 0
otteniamo:
1
dL = m ! ru (kdq + udr + rdu) = m ! rdr = d
m !2 r2 + C
2
2
1
m !2 r2
2
(SP.22)
336
v ( ) = ! ^ P = !r w,
w =k^u
1
m !2 r2
2
essendo w un versore.
In conclusione abbiamo ottenuto il seguente risultato:
Quando il sistema relativo si muove di moto rotatorio uniforme (cio !
costante) rispetto al sistema assoluto allora la forza centrifuga una forza
conservativa e il suo potenziale uguale allenergia cinetica associata al moto
di trascinamento del punto.
Forza peso
Un esempio tipico di equilibrio relativo dato dal problema della
determinazione statica della forza peso.
Quando abbiamo un corpo
schematizzabile con un punto, soggetto alla forza peso, in equilibrio
sulla superficie terrestre, noi chiamiamo peso la forza m g risultante
dellattrazione gravitazionale e della forza di trascinamento prodotta dalla
rotazione della terra attorno allasse terrestre e la valutiamo misurando
lintensit della forza necessaria a mantenere in equilibrio il punto. La terra,
in rotazione attorno al proprio asse un sistema non inerziale, essendo in
moto accelerato rispetto allosservatore solidale con le stelle fisse, per cui
lequilibrio di un punto sulla superficie terrestre un equilibrio relativo.
Per studiare lequilibrio relativo dobbiamo considerare un sistema
inerziale avente origine nel centro della terra e assi diretti verso le stelle
fisse (trascuriamo in questo modo il moto traslatorio della terra la cui entit
337
F =
Mm
u
R2
! = 0
338
E quindi otteniamo:
a( ) =
! 2 QP
F ( ) = m! 2 QP
=)
Mm
u + m! 2 QP +
2
R
=0
=0
mg =
Mm
u + m! 2 QP
R2
(SP.23)
g=
M
u + ! 2 QP
R2
(SP.24)
339
()
y
mg
x
=0
(SP.25)
340
OP = ru,
e quindi la forza centrifuga:
F ( ) = m ! 2 ru
La reazione vincolare e la forza peso si decompongono come:
=
ru
#w
n n,
mg =
mg n
m !2r +
#
=0
=0
>
>
>
mg + n = 0
>
>
>
>
>
>
q
>
>
:
2+ 2 f |
r
(SP.26)
n|
()
fs g
!2
341
fs g
!2
S` \ Sv = ;
F s = 0,
Fs +
8 Ps 2 S`
= 0,
(LV.1)
8 Ps 2 Sv
343
8 Ps
(LV.2)
8 Ps reversibili
(LV.3)
L(a) 0,
E in particolare risulter:
L(a) = 0,
L(a) =
n
X
s=1
F s Ps
(LV.4)
344
P2 , ,
Pn
F s Ps 0
n
X
F s Ps
s=1
s=1
s=1
Fs (
Ps ) =
n
X
s=1
F s Ps
345
DIMOSTRAZIONE
condizione necessaria
Dire che la condizione (LV.2) necessaria per lequilibrio di un sistema
a vincoli lisci in una configurazione C equivale a dire che: se c lequilibrio
necessariamente segue la conseguenza (LV.2). Dunque la dimostrazione della
condizione necessaria equivale alla dimostrazione del teorema:
equilibrio
L(a) 0,
=)
8 Ps
8 Ps 2 S`
F s = 0,
Fs +
=)
= 0, 8 Ps 2 Sv
L(a) 0,
8 Ps
n
X
s=1
F s Ps =
Ps 2S`
F s Ps +
Ps 2Sv
F s Ps
Dal momento che per ipotesi i punti liberi sono in equilibrio e cio:
F s = 0,
segue:
8 Ps 2 S`
346
Ps 2S`
F s Ps = 0
E quindi rimane:
L(a) =
Ps 2Sv
F s Ps
()
=0
Fs =
8 Ps 2 Sv
s,
otteniamo:
X
L(a) =
Ps 2Sv
L(v)
Ps =
Dunque:
L(a) =
L(v) ,
8 Ps
essendo L(v) il lavoro delle reazioni vincolari, dal momento che solo nei
punti Ps 2 Sv sono presenti le reazioni vincolari. Ma il sistema meccanico
che stiamo considerando un sistema a vincoli lisci e quindi, per esso vale il
principio delle reazioni vincolari che ci assicura che:
L(v)
0,
8 Ps
Di conseguenza:
L(a) =
L(v) 0,
8 Ps
347
8 Ps
=)
equilibrio
Ovvero:
(a)
0,
8 Ps
8
>
<
=)
>
:
F s = 0,
Fs +
8 Ps 2 S`
= 0, 8 Ps 2 Sv
dove rispetto alla condizione necessaria lipotesi e la tesi sono state scambiate.
Dal momento che la (LV.2) soddisfatta, per ipotesi, per tutti gli
spostamenti virtuali a partire da una configurazione C , in particolare dovr
risultare verificata per la particolare classe di spostamenti C0 che lascia
invariati i punti vincolati e sposta arbitrariamente i punti liberi:
8
>
<
>
:
Ps arbitrari,
Ps = 0,
8 Ps 2 S`
8 Ps 2 Sv
Notiamo che questi spostamenti, per come sono stati definiti, sono
spostamenti reversibili in quanto i punti liberi, che sono gli unici a poter
compiere spostamenti non nulli, possono muoversi senza limitazioni sullo
spostamento e quindi, per ogni spostamento anche lopposto risulta permesso.
348
Ps 2S`
F s Ps = 0,
8 Ps 2 C0
(LV.5)
Ps arbitrario
Ps = 0,
per s 6= s
F s Ps = 0,
8 Ps
()
Ps 2 S`
(LV.6)
349
risulter uguale, grazie alle (LV.6) al lavoro delle sole forze agenti sui punti
vincolati. Di conseguenza in forza dellipotesi (LV.2), tenendo conto che in
generale gli spostamenti possono essere anche irreversibili, abbiamo:
L(a) =
Ps 2Sv
F s Ps 0,
(LV.7)
8 Ps
(LV.8)
Fs
Ps 2Sv
Ps =
L 0,
8 Ps
s.
0,
8 Ps
(LV.9)
350
non negativo, per qualunque spostamento virtuale, queste non possono che
essere reazioni vincolari. Di conseguenza la (LV.9) comporta che i vincoli
esplicano effettivamente le forze necessarie a mantenere in equilibrio i punti
vincolati del sistema. Dunque:
= 0,
8 Ps 2 Sv
351
352
coincidono dal momento che il vincolo di rigidit non dipende dal tempo.
Ma per il terzo principio della dinamica, che vale per qualunque sistema
materiale (e non solo per i corpi rigidi!) le forze interne costituiscono un
sistema di coppie di braccio nullo e quindi hanno risultante e momento
risultante nulli:
R(i) = 0,
(i)
M = 0
dL(i) = R(i) d + M d
=0
(LV.10)
Se il corpo non fosse rigido il lavoro delle forze interne non sarebbe
nullo, se non quando il corpo viene sottoposto a soli spostamenti rigidi, cio a
spostamenti che conservano le mutue distanze fra le particelle. Diversamente
il lavoro delle forze interne dipender dalla variazione delle distanze fra le
particelle del corpo.
E quindi risulta verificato anche che il lavoro virtuale delle forze vincolari
interne che realizzano il vincolo di rigidit, essendo uguale al lavoro delle
forze interne, nullo e soddisfa dunque il principio delle reazioni vincolari.
E quindi il vincolo di rigidit liscio.
Dalla prima osservazione fatta viene pure la conseguenza che in un corpo
rigido le forze attive possono essere solo forze esterne dal momento che le
forze interne sono tutte di natura vincolare. Di conseguenza:
L(a) = L(e,a)
In un corpo rigido il principio dei lavori virtuali si traduce nella
condizione sulle sole forze esterne attive:
353
(e,a)
R(e,a) + M
0,
8 ,
(LV.11)
= 0,
(LV.12)
(e,a)
=0
(LV.13)
354
applicate, calcolato rispetto al punto fisso preso come polo di riduzione, sia
nullo.
Se prendiamo, per esempio, una singola forza attiva (P, F ) agente sul
corpo, affinch il suo momento rispetto ad sia nullo, e quindi il corpo sia in
equilibrio deve accadere che:
P ^ F = 0
ovvero la forza, supposta non nulla, deve avere la retta dazione passante per
, in quanto P risulta parallelo ad F e questultimo applicato in P .
Per determinare le configurazioni di equilibrio del corpo si proietta la
condizione vettoriale (LV.13) su un sistema di assi cartesiani che pu essere
conveniente scegliere con lorigine nel punto fisso:
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:
(LV.14)
355
sulla retta, ove risiede il vincolo, e i loro punti di applicazione sono punti
fissi del corpo, per cui il lavoro delle reazioni vincolari sempre nullo e
il principio delle reazioni vincolari risulta verificato. Il principio dei lavori
virtuali esprime allora una condizione necessaria e sufficiente per lequilibrio
e consente di individuare tutte le configurazioni di equilibrio del corpo.
Scegliendo il punto sullasse fisso, possiamo specializzare la
condizione di equilibrio (LV.11) nella forma:
(e,a)
= 0,
(LV.15)
z=
'
356
= c3 #,
# = |
c3 # = Mz(e,a) # = 0,
8 #
Mz(e,a) (#, t) = 0
(LV.16)
essendo Mz(e,a) il momento assiale delle forze attive, relativo allasse fisso z.
La condizione (LV.16) una sola equazione per lunico grado di libert # e le
sue soluzioni rappresentano le configurazioni di equilibrio del corpo.
Condizione necessaria e sufficiente perch un corpo rigido con un asse
fisso sia in equilibrio che il momento assiale delle forze esterne attive ad
esso applicate, calcolato rispetto allasse fisso, sia nullo.
Se per esempio consideriamo una forza attiva sola (P, F ), affinch essa
soddisfi la condizione di equilibrio (LV.16), per la definizione del momento
assiale, deve risultare:
P ^ F c3 = 0
condizione che richiede la complanarit dei tre vettori P, F , c3 . E dal
momento che appartiene allasse fisso e P alla retta dazione della forza,
segue che la retta dazione della forza e lasse fisso devono essere complanari.
357
Quindi affinch il corpo stia in equilibrio sotto lazione di una sola forza
esterna attiva occorre e basta che la retta dazione della forza sia parallela
oppure incidente rispetto allasse fisso.
corpo rigido scorrevole su una semiretta fissa
Consideriamo ora, come terzo caso significativo, lequilibrio del corpo
rigido che pu ruotare e scorrere lungo una semiretta solidale con
losservatore (semiretta fissa) ma non solidale con il corpo rigido.
z=
=
358
solidale del corpo che trasla lungo la semiretta fissa e denotiamo con z la sua
posizione lungo la semiretta fissa, assumendo che per z = 0 il corpo si trovi
al confine, mentre con # al solito indichiamo il parametro di rotazione del
corpo. Il problema ha due gradi di libert e sussiste la limitazione:
z
= c3 #
R(e,a) c3 z + M
c3 # 0,
8 z, #
Ovvero:
Rz(e,a) z + Mz(e,a) # 0,
8 z, #
(LV.17)
8 z, #
(LV.18)
359
Mz(e,a) = 0
8 #
Rz(e,a) = 0
8 z
Rz(e,a) (z, #, t) = 0,
Mz(e,a) (z, #, t) = 0,
z>0
(LV.19)
# arbitrario
360
8 z
Rz(e,a) (0, #, t) 0,
Mz(e,a) (0, #, t) = 0
(LV.20)
Si noti che al posto della variabile z si posto il suo valore al confine che
0.
Nel caso che abbiamo una sola forza attiva (P, F ) non nulla alla
condizione dellannullarsi del momento assiale, determinata nel caso del
corpo rigido con un asse fisso, occorre aggiungere la condizione sul risultante.
Quindi affinch il corpo stia in equilibrio sotto lazione della forza, oltre a
richiedere che la retta dazione della forza sia complanare con la semiretta
361
Vediamo ora come il principio dei lavori virtuali pu essere utilizzato per
la ricerca delle configurazioni di equilibrio di un sistema olonomo a vincoli
lisci.
Ricordando lespressione del lavoro virtuale per un sistema olonomo a N
gradi di libert possiamo esprimere il lavoro virtuale delle forze attive nella
forma:
L(a) = Q q
(LV.21)
dove:
q (q1 , q2 , , qN ),
Q (Q1 , Q2 , , QN )
8 q
(LV.22)
362
8 q
(LV.23)
Q(q, t) = 0
(LV.24)
363
Q1 (q1 , q2 , , qN , t) = 0
Q2 (q1 , q2 , , qN , t) = 0
(LV.25)
QN (q1 , q2 , , qN , t) = 0
Cr (q1 , q2 , , qN
),
r = 1, 2,
(LV.26)
364
q1
q1
365
(LV.27)
q1
366
Q2 q2 + Q3 q3 + + QN qN = 0,
8 q2 , q3 , , qN
h = 2, 3, , N
Q2 (a, q2 , , qN , t) = 0
Q3 (a, q2 , , qN , t) = 0
(LV.28)
QN (a, q2 , , qN , t) = 0
(a, q2 , q3 , , qN
)
367
8 q1
(LV.29)
8
>
<
>
:
Q1 (a, q2 , , qN , t) 0
(LV.30)
Qh (a, q2 , , qN , t) = 0, h = 2, 3, , N
(a, q2 , q3 , , qN
)
368
Q1 (a, q2 , , qN
, t)
Se questa quantit risulta essere non positiva, allora si conclude che nella
configurazione di confine esaminata c equilibrio, in caso contrario non c
equilibrio.
a) q1 = b =)
q1 0
Q1 (a, q2 , , qN , t)
0
(LV.31)
Qh (a, q2 , , qN , t) = 0, h = 2, 3, , N
a2 q2 b2
369
a1 < q1 < b1 ,
a2 < q2 < b2
(LV.32)
a2 < q2 < b2
b) q1 = b1 ,
a2 < q2 < b2
c) a1 < q1 < b1 ,
q2 = a2
d) a1 < q1 < b1 ,
q2 = b2
e) q1 = a1 ,
q2 = a2
f) q1 = a1 ,
q2 = b2
g) q1 = b1 ,
q2 = a2
h) q1 = b1 ,
q2 = b2
370
Q1 (a1 , q2 , , qN , t) 0
(LV.33)
Qh (a1 , q2 , , qN , t) = 0, h = 2, 3, , N
Q1 (a1 , a2 , q3 , , qN , t) 0
Q2 (a1 , a2 , q3 , , qN , t) 0
Q3 (a1 , a2 , q3 , , qN , t) = 0
(LV.34)
QN (a1 , a2 , q3 , , qN , t) = 0
371
Q1 (a1 , a2 , t) 0
(LV.35)
Q2 (a1 , a2 , t) 0
(LV.36)
372
configurazioni ordinarie
Le configurazioni ordinarie di equilibrio si ricercano con il solito metodo
e le soluzioni q1 , q2 del sistema:
8
>
<
>
:
Q1 (q1 , q2 , t) = 0
(LV.37)
Q2 (q1 , q2 , t) = 0
373
tangenti alla frontiera sono reversibili, mentre gli spostamenti che hanno una
componente non nulla in direzione della normale sono irreversibili.
Introducendo la decomposizione della forza generalizzata lungo la
tangente e la normale alla frontiera:
Q = Qu u + Qn n,
Qu = Q u,
Qn = Q n
8 q
(LV.38)
8 q
da cui si ricava:
Qu = 0
()
Q1 u1 + Q2 u2 = 0
(LV.39)
8 q
()
Q1 n1 + Q2 n2 0
(LV.40)
374
(LV.41)
r = 1, 2,
375
L(e,a) = M O
essendo:
(e,a)
M0
= OA ^ F A + OB ^ F B
Denotando:
OA = a u, OB =
b u,
otteniamo allequilibrio:
F A = FA w, F B = FB w,
= c3 #
376
L(e,a) = (FA a
FB b) u ^ w c3 # = 0,
8 #
()
FA
b
=
FB
a
nota come regola doro della leva. Notiamo come, se questa condizione si
verifica, lequilibrio sussiste per qualunque valore del parametro lagrangiano
#. Com noto questa semplice regola consente di equilibrare in uno dei due
estremi della leva una forza di intensit anche molto superiore a quella che
viene applicata allaltro estremo, giocando su un rapporto favorevole tra i due
bracci a e b.
Torchio
In maniera analoga funziona il torchio a vite, costituito da una vite che
ruota nella corrispondente madrevite. La vite avanza di una lunghezza h
(passo della vite) ogni giro completo della vite stessa, lungo lasse verticale z.
Il sistema possiede il solo grado di libert # che definisce langolo di rotazione
della vite. Le forze vengono applicate come in fig. (??): F A viene disposta
con la retta dazione normale al braccio e F B si oppone allavanzamento della
vite. La condizione di equilibrio si ottiene, anche in questo caso, mediante
il principio dei lavori virtuali, tenendo conto che tutti gli spostamenti sono
reversibili.
Il lavoro dato da:
L(e,a) = F B + A ^ F A
Denotando:
A = au
377
F A = FA w,
FB =
FB c3 ,
= c3 #
B = c3
h
#
2
si ottiene allequilibrio:
FA a
h
FB
2
# = 0,
8 #
378
)
F s + F (
s +
=0
Ucentrif. =
N
N
X
1 X
1
1
ms ! 2 rs2 = ! 2
ms rs2 = J ! 2
2 s=1
2
2
s=1
Ucentrif. = T ( )
si estende dal caso del punto a quello di un sistema qualunque di punti
materiali.
379
Reazioni vincolari
Il principio dei lavori virtuali tiene in considerazione le sole forze attive,
perci, di per s, consente di determinare le configurazioni di equilibrio ma
non le reazioni vincolari di un sistema meccanico a vincoli lisci. Tuttavia
possibile, anche se in maniera spesso piuttosto laboriosa, determinare anche
le reazioni vincolari applicate ai punti di un sistema.
Per fare questo si utilizza il cosiddetto metodo dello svincolamento che
consiste nel considerare un sistema equivalente a quello dato, svincolato nel
punto in cui si vuole conoscere la reazione vincolare. Nel sistema svincolato,
che ha un numero maggiore di gradi di libert del sistema originario, viene
applicata una forza attiva che uguaglia la reazione vincolare e che quindi
realizza le stesse configurazioni di equilibrio. Note allora le configurazioni
di equilibrio del sistema originario possibile determinare le corrispondenti
reazioni vincolari nel punto considerato, uguali alle forze attive ad esse
sostituite e che rappresentano le incognite del problema. Per conoscere tutte le
reazioni vincolari, corrispondenti a tutti i vincoli presenti nel sistema, occorre
procedere allo svincolamento successivo di tutti i punti vincolati.
Generalmente, quando occorre la conoscenza delle reazioni vincolari,
preferibile il metodo delle equazioni cardinali della statica che esamineremo
nel prossimo capitolo, in quanto risulta pi diretto e pi rapido.
380
y
F
f s = 0,
s = 1, 2, , n
382
s = 1, 2, , n
(ES.1)
(i)
M = 0
383
(ES.1) rispetto allindice s che tabula i punti del sistema. Otteniamo in tal
modo:
n
X
f (e)
s +
s=1
n
X
f (i)
s = 0
s=1
(ES.2)
s=1
P s ^ f (e)
s +
n
X
s=1
P s ^ f (i)
s = 0
M = 0
(ES.3)
384
8
>
<
>
:
R(e,a) + R(e,v) = 0
(e,a)
(e,v)
+ M
(ES.4)
=0
385
386
387
DIMOSTRAZIONE
Il teorema da dimostrare il seguente:
i)
8
>
<
>
:
R(e,a) + R(e,v) = 0
(e,a)
(e,v)
+ M
=0
9
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
=
=)
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
;
equilibrio
Per fare intervenire il principio dei lavori virtuali che ci fornisce una
condizione sufficiente per lequilibrio, ricordiamo anzitutto la relazione che
esprime il lavoro di un sistema di forze applicate ai punti di un corpo rigido:
L = R + M
Consideriamo poi i seguenti prodotti scalari che risultano nulli in
conseguenza delle equazioni cardinali che si assumono valide per ipotesi:
R(e,a) + R(e,v) = 0
(e,a)
(e,v)
+ M
=0
R(e,a) + M
(e,v)
+ R(e,v) + M
=0
Riconosciamo nei primi due addendi il lavoro delle forze esterne attive
e negli ultimi due il lavoro delle forze esterne vincolari. Possiamo dunque
concludere che:
388
L(e,a) + L(e,v) = 0,
(ES.5)
8 ,
risultato valido per qualunque spostamento virtuale, dal momento che non
abbiamo fatto alcuna ipotesi sugli spostamenti.
Ora dobbiamo tenere conto del fatto che il lavoro delle forze interne in un
corpo rigido nullo, come stato mostrato nel capitolo (LV). Di conseguenza,
possiamo scrivere:
L(i) = L(i,a) + L(i,v) = 0,
(ES.6)
8 ,
8 ,
Ovvero:
L(a) + L(v) = 0,
8 ,
(ES.7)
Ora tenendo conto dellipotesi ausiliaria per cui i vincoli sono lisci, che
grazie al principio delle reazioni vincolari equivale a dire:
L(v)
0,
8 ,
L(a) 0,
8 ,
389
Osservazioni
Il teorema che abbiamo appena provato afferma che le equazioni
cardinali della statica sono condizioni sufficienti per determinare le
configurazioni di equilibrio di un sistema rigido. Esse tuttavia, possono
non essere sufficienti a determinare anche le reazioni vincolari. Questo
non meraviglia se teniamo conto che la prova della sufficienza stata
condotta mediante il principio dei lavori virtuali che condizione necessaria
e sufficiente per determinare le configurazioni di equilibrio, ma non si
preoccupa delle reazioni vincolari. Pu dunque accadere, che alcuni problemi
di statica rigida si presentino indeterminati per quanto riguarda le reazioni
vincolari. Questo non inficia la sufficienza delle equazioni cardinali ai fini
della determinazione delle configurazioni di equilibrio.
Dal momento che nelle equazioni cardinali compaiono solo il risultante
e il momento risultante delle forze esterne, e poich le operazioni elementari
non alterano il risultante e il momento risultante di un sistema di vettori
applicati, ne consegue, grazie alla sufficienza delle equazioni cardinali provata
per i corpi rigidi, che se si effettuano delle operazioni elementari su un sistema
di forze che mantiene in equilibrio un corpo rigido, lequilibrio non ne viene
alterato, perch le equazioni cardinali continuano ad essere soddisfatte. Se
ne trae la conseguenza che quando il corpo rigido si possono applicare i
teoremi di riducibilit ai sistemi di forze agenti su di esso senza modificarne
lequilibrio.
Nella nostra indagine sullequilibrio dei sistemi vincolati assumeremo,
come si fa usualmente, che quando un vincolo non impossibilitato ad
esplicare le reazioni vincolari che mantengono in equilibrio un corpo, esse
vengano effettivamente esplicate, in risposta alle sollecitazioni attive che
intervengono sul vincolo. In altri termini consideriamo il vincolo in termini
teorici senza tener conto del fatto che la sua struttura possa cedere se
sottoposta ad una sollecitazione eccessiva. Per cui vengono considerate
usualmente necessarie e sufficienti per lequilibrio quelle condizioni che
dimostrano che il vincolo non impossibilitato ad esplicare le reazioni
vincolari richieste per lequilibrio. Un esempio di questo dato dal corpo
rigido appoggiato a un piano orizzontale privo di attrito che esamineremo in
390
seguito.
Applichiamo adesso le equazioni cardinali della statica al corpo rigido, per
determinare le condizioni di equilibrio e le reazioni vincolari. Esaminiamo il
caso del corpo rigido con un punto fisso, con un asse fisso e scorrevole su una
semiretta. Ritroveremo, per quanto riguarda le condizioni di equilibrio, gli
stessi risultati che abbiamo dedotto con il principio dei lavori virtuali; in pi
avremo anche le informazioni relative alle reazioni vincolari.
391
R(e,a) +
=0
(ES.8)
(e,a)
M
=0
=0
=0
=0
, t) = 0
(ES.9)
392
R(e,a) +
=0
(ES.10)
(e,a)
M 1 + 1 2 ^
=0
393
z=
=
2
1
c3 + 1 2 ^
c3 = 0
Il prodotto misto:
1 2 ^
c3 = 0
si annulla in quanto contiene i due vettori tra loro paralleli 1 2 , diretto come
lasse fisso e c3 che il versore dello stesso asse; quindi i tre vettori del
prodotto misto sono complanari e il prodotto si annulla. Rimane allora:
Mz(e,a) = 0
394
Rx(e,a) (#, t) +
1x
2x
=0
Ry(e,a) (#, t) +
1y
2y
=0
Rz(e,a) (#, t) +
1z
2z
=0
2y
=0
My(e,a) (#, t) + `
2x
=0
Mx(e,a) (#, t)
(ES.11)
Mz(e,a) (#, t) = 0
` = 1 2 c3
395
z=
=
2
1
Figura ES. 4: asse fisso realizzato mediante un punto fisso e una cerniera
cilindrica
2z
=0
396
Rx(e,a) (#, t) +
1x
2x
=0
Ry(e,a) (#, t) +
1y
2y
=0
Rz(e,a) (#, t) +
1z
=0
Mx(e,a) (#, t)
(ES.12)
2y
=0
My(e,a) (#, t) + `
2x
=0
Mz(e,a) (#, t) = 0
R(e,a) +
=0
(ES.13)
(e,a)
M
+ 1 2 ^
=0
397
z=
=
come nel caso del corpo rigido con un asse fisso, con la differenza che ora i
punti 1 (che stato ancora scelto come polo di riduzione) e 2 sono mobili
rispetto allosservatore. Proiettando il sistema sugli assi cartesiani otteniamo:
8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:
Rx(e,a) (#, z, t) +
1x
2x
=0
Ry(e,a) (#, z, t) +
1y
2y
=0
2y
=0
My(e,a) (#, z, t) + `
2x
=0
Rz(e,a) (#, z, t) = 0
Mx(e,a) (#, z, t)
(ES.14)
Mz(e,a) (#, z, t) = 0
Grazie al fatto che le reazioni vincolari sono normali allasse z, per cui
le loro componenti lungo questasse risultano nulle, abbiamo due equazioni
398
Mz(e,a) (#, z, t) = 0
che coincidono con quelle che avevamo ottenuto con il principio dei lavori
virtuali. Le rimanenti quattro equazioni determinano le quattro componenti
incognite delle due reazioni vincolari. Il problema allora staticamente
determinato.
configurazioni di confine
Per le configurazioni di confine, il problema risulta staticamente
determinato a condizione che si supponga che lappoggio in corrispondenza
del vincolo unilaterale, privo di attrito, avvenga in un solo punto di contatto
3 O: in tal modo la reazione vincolare corrispondente 3 risulta parallela
allasse z:
c3 ,
c3
R(e,a) +
=0
(ES.15)
(e,a)
M
+ 1 2 ^
=0
Notiamo che anche il momento della terza reazione vincolare risulta nullo,
in quanto:
1 3 ^
=0
essendo i due vettori paralleli tra loro, grazie al fatto che lappoggio privo
di attrito.
399
z=
=
z=0
Rx(e,a) (#, 0, t) +
1x
2x
=0
Ry(e,a) (#, 0, t) +
1y
2y
=0
Rz(e,a) (#, 0, t) +
Mx(e,a) (#, 0, t)
=0
(ES.16)
2y
=0
My(e,a) (#, 0, t) + `
2x
=0
Mz(e,a) (#, 0, t) = 0
400
e quindi risulta:
Rz(e,a) =
401
402
al centro C delle forze attive, che, nel caso sia presente la sola forza peso,
coincide con il baricentro del corpo.
Le reazioni vincolari, essendo il vincolo liscio e unilaterale,
costituiscono un sistema di vettori paralleli e concordi, riducibili al solo
vettore risultante delle reazioni vincolari che indichiamo con V , applicato
nel centro delle reazioni vincolari Cv .
Notiamo che abbiamo applicato i teoremi di riducibilit e che questi, come
stato gi osservato, non modificano lequilibrio essendo il corpo rigido.
Si definisce poi centro di pressione la proiezione C del centro delle forze
attive, sul piano di appoggio.
Insieme discreto di punti di appoggio
Esaminiamo, per primo, il caso in cui linsieme dei punti in cui il corpo
si trova a contatto con il piano (punti di appoggio) costituisca un insieme
discreto costituito da n punti:
D = {A1 , A2 , , An }
ai quali sono applicate le reazioni vincolari:
1,
2, ,
403
ii) i punti di appoggio che non sono vertici si trovano non esternamente al
poligono di appoggio;
iii) il poligono convesso.
A1
A2
A7
A3
A8
A5
A4
DIMOSTRAZIONE
Abbiamo gi esaminato i sistemi delle forze attive e delle reazioni
vincolari, e abbiamo visto che ciascuno dei sistemi risulta riducibile a un solo
vettore applicato nel rispettivo centro delle forze parallele.
Inoltre le reazioni vincolari costituiscono un sistema di vettori paralleli e
concordi, i cui punti di applicazione sono non esterni ad una curva convessa
404
P +V =0
(ES.17)
C ^ P + Cv ^ V = 0
405
P+
n
X
=0
s=1
C ^ P +
n
X
s=1
As ^
=0
2
A2
6
A6
A1
C* 5
A7 4
A3
A4
A5
(0, 0,
s ),
P (0, 0, P )
406
xs
P =0
yP = 0
(ES.18)
x P = 0
P =0
y(
P) = 0
x (
P) = 0
(ES.19)
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:
407
P =0
y1
+ y2
yP = 0
x1
+ x2
x P = 0
(ES.20)
+ x2
x P ) + q (
P) = 0
che una combinazione lineare delle altre due. Le reazioni vincolari sono
date dalla risoluzione del sistema delle due equazioni indipendenti:
x
x1
x2
P,
x2
x
x1
x1
P
x2
408
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:
x1
+ x2
+ x3
y1
+ y2
+ y3
=P
3
(ES.21)
= x P
= yP
= x1 x2 x3
= 2S
y1 y2 y3
dove si indicata con S larea del triangolo di vertici A1 , A2 , A3 .
Notiamo che se
= 0 i tre punti di appoggio risultano allineati, in
quanto le loro coordinate risultano linearmente dipendenti e quindi i punti
appartengono ad una stessa retta. In questo caso affinch ci sia equilibrio, il
centro di pressione che deve trovarsi non esterno al poligono di appoggio, che
un segmento, risulta anchesso allineato con i punti di appoggio. Il problema
risulta staticamente indeterminato in quanto le tre equazioni sono linearmente
dipendenti. Se invece
6= 0 il sistema di Cramer ammette una soluzione
unica. Indicando i determinanti delle incognite con:
1
1
= x x2 x3 P,
y y2 y3
risulta:
1
2
= x1 x x3 P,
y1 y y3
1
3
= x1 x2 x P
y1 y2 y
= 2S1 P,
409
= 2S2 P,
= 2S3 P
S1
P,
S
S2
P,
S
S3
P
S
A1
C*
A3
A2
caso n > 3
Il caso con pi di tre appoggi, che quello pi interessante dal punto
di vista pratico, risulta staticamente indeterminato. Ci significa che per
risolverlo non bastano le sole equazioni cardinali della statica, ma occorre
qualche ulteriore informazione sulla natura dei vincoli, che dobbiamo trarre
410
k 2 zs
(ES.22)
essendo k 2 la costante elastica del terreno che viene supposta uguale su tutta
la superficie del poligono di appoggio e zs la quota del punto di appoggio As
dopo labbassamento del suolo.
Labbassamento del suolo pu considerarsi piccolo rispetto a tutte le altre
lunghezze che entrano in gioco nel problema, per cui accettabile assumere
che:
seconda ipotesi: dopo il cedimento il poligono di appoggio si trova
ancora ad appartenere ad un piano, in quanto lappoggio avviene sugli stessi
punti del corpo, che essendo rigido, stanno ancora su un piano.
Sotto queste ipotesi ulteriori il problema della determinazione delle reazioni vincolari viene ricondotto a quello della determinazione
dellequazione del piano di appoggio dopo il cedimento.
Lequazione di tale piano unequazione lineare che, per comodit,
scriviamo nella forma esplicita rispetto a z:
411
(ES.23)
z = ax + by + c
Tenendo conto della seconda ipotesi, dopo labbassamento del suolo, tutti
i punti di appoggio devono appartenere al piano, e quindi le loro coordinate
devono soddisfare lequazione (ES.23):
zs = a xs + b ys + c
Di conseguenza, grazie alla prima ipotesi, le reazioni vincolari risultano
legate ai coefficienti che caratterizzano il piano e alle coordiniate dei punti sul
piano di appoggio:
(ES.24)
k 2 (a xs + b ys + c)
k 2 n xG a + k 2 n y G b + k 2 n c + P = 0
k 2 C 0 a + k 2 A b + k 2 n yG c + y P = 0
k 2 B a + k 2 C 0 b + k 2 n xG c + x P = 0
xG =
A=
n
X
s=1
n
1X
xs ,
n s=1
ys2 ,
B=
yG =
n
X
s=1
x2s ,
n
1X
ys
n s=1
C0 =
n
X
s=1
xs ys
(ES.25)
412
yG = 0
k2n c + P = 0
(ES.26)
k2A b + yP = 0
k 2 B a + x P = 0
x P
,
k2B
b=
yP
,
k2A
c=
P
k2n
xs x ys y 1
+
+
B
A
n
413
(ES.27)
414
= dS
La funzione:
d
dS
dS
415
= c3 ,
dS + P = 0
A ^ dS + C ^ P = 0
2 z
al sistema:
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:
2 S xG a + 2 S yG b + 2 S c + P = 0
2 C 0 a + 2 A b + 2 S yG c + y P = 0
2 B a + 2 C 0 b + 2 S xG c + x P = 0
(ES.28)
416
dove:
xG =
1Z
x dS,
S D
A=
yG =
y 2 dS,
B=
1Z
y dS,
S D
S=
C0 =
x2 dS,
dS
xy dS
nello stesso modo del caso discreto. In luogo del sistema discreto di masse
unitarie si sceglie qui una distribuzione fittizia di materia di densit unitaria
e si giunge, seguendo la stessa procedura esaminata per il caso discreto, a
determinare la pressione vincolare in funzione delle coordinate del punto di
appoggio:
(x, y) =
x x y y
1
+
+
B
A
S
(ES.29)
Equilibrio di un tavolo
Come esempio di equilibrio di un corpo rigido pesante appoggiato a un
piano orizzontale liscio, consideriamo un tavolo rettangolare con quattro punti
di appoggio, di lati 2a e 2b.
In questo caso n = 4; il poligono di appoggio costituito dal rettangolo i
cui vertici sono i quattro punti di appoggio. Inoltre immediato identificare il
sistema di riferimento con lorigine nel baricentro delle masse unitarie fittizie
e gli assi x, y coincidenti con gli assi principali dinerzia, come rappresentato
in fig. (ES. 10). Le reazioni vincolari sono date allora da:
1
=
4
y
+
+1
a
b
P,
1
=
4
x y
+
+1 P
a
b
417
1
=
4
x
a
y
+1
b
P,
1
=
4
y
+1 P
b
distacco in A1
x y
+
+ 1 = 0,
a
b
distacco in A2
x
a
distacco in A3
x
a
y
+ 1 = 0,
b
y
+ 1 = 0,
b
distacco in A4
418
y
(-a,b)
(a,b)
C
(-a,-b)
(a,-b)
419
++
+
+
+ s
+
+
+ C
+
+
++
+
travi e fili
421
F 1, F 2, , F n
e si assume che la loro retta dazione passi per la direttrice, in modo che,
mediante unoperazione elementare di scorrimento possono essere portate ad
essere applicate a punti della direttrice.
ii) forze distribuite, cio forze applicate ad ogni elemento infinitesimo di
trave, come ad esempio il peso; queste si descrivono assegnando una legge di
distribuzione differenziale del tipo:
F (s) = f (s) ds
422
ds
Fi
f (s) d s
forze interne
Le forze interne ad una trave sono rappresentate dalle forze di interazione
tra le particelle, che nascono in opposizione alle sollecitazioni esterne, per
realizzare lequilibrio della trave, e si chiamano forze di contatto. Esse sono
applicate a tutti i punti di una generica sezione .
Applicando ad esse i teoremi di riducibilit, che non alterano lequilibrio,
in forza dellipotesi di rigidit della sezione, il sistema di vettori applicati
costituito dalle forze interne, si pu ridurre ad un vettore risultante, relativo
alla sezione , che denotiamo con R e che prende il nome di sforzo, e ad
una coppia di momento risultante M . Il momento risultante si intende, per
definizione calcolato rispetto al polo C, baricentro della sezione che si sta
considerando.
Per il principio di azione e reazione lo sforzo e il momento che le particelle
affacciate sulla pagina negativa di una sezione esercitano sulle particelle
affacciate sulla pagina positiva, risultano rispettivamente uguali ed opposti
allo sforzo e al momento esercitati dalle particelle affacciate sulla pagina
positiva nei confronti delle particelle affacciate sulla pagina negativa.
travi e fili
423
R
C
424
R taglio
M flettente
R
C
M
C
normale
torcente
R(e) = 0
(e)
M = 0
travi e fili
425
R '
'
F1
F
2
f (s) ds
C'
M '
Fi
R distrib. =
Z s0
s
f (
s) d
s
426
adiacenti alle sezioni estreme della trave, con anteposti i segni loro dovuti
in forza della convenzione sui segni che abbiamo fatto:
R=R
Z s0
s
f (
s) d
s+
Fi = 0
(TF.1)
M carico =
X
i
CCi ^ F i
al quale applicata la forza di carico
travi e fili
427
M distrib. =
Z s0
s
C C ^ f (
s) d
s
dove C = C(
s) il centro della generica sezione, di ascissa curvilinea s ,
variabile nel tratto di integrazione.
Il momento delle forze di contatto, riferito al polo C:
M contatto = M
CC 0 ^ R
CC ^ R
Z s0
s
C C ^ f (
s) d
s+
X
i
CCi ^ F i = 0 (TF.2)
Le equazioni:
CC 0 ^ R
Z s0
f (
s) d
s+
Z s0
s
Fi = 0
C C ^ f (
s) d
s+
X
i
CCi ^ F i = 0
428
Condizioni al contorno
Il sistema delle equazioni delle travi, come stato scritto, di per s
staticamente indeterminato, in quanto supposte note le forze di carico e le
forze distribuite, le forze di contatto sono generalmente incognite. Il problema
possiede, nel caso pi generale sei equazioni, per le dodici incognite date dalle
componenti dei vettori degli sforzi e dei momenti.
Per poter determinate il problema bisogna conoscere un numero
sufficiente di informazioni sulle forze di contatto in una o pi sezioni della
trave. Generalmente possibile avere delle informazioni sulle sezioni agli
estremi della trave in cui sono presenti dei vincoli (appoggi, incastri, ecc.) o
dei carichi assegnati. Le informazioni assegnate su queste sezioni vengono
dette condizioni al contorno. Se per esempio possibile conoscere sia il
risultante che il momento risultante su una sezione al contorno, si scrivono
le equazioni delle travi per un tratto di trave compreso tra la sezione per la
quale si danno le condizioni al contorno e una sezione generica. Restano cos
solamente sei incognite che si possono determinare mediante le sei equazioni.
Osserviamo che la presenza di forze di carico rende discontinuo lo
sforzo rispetto alla variabile s nei punti di applicazione di tali forze, mentre
il momento risultante non viene reso discontinuo dalla presenza di forze di
carico.
Per rendercene conto consideriamo un tratto di trave compreso tra due
sezioni di ascisse curvilinee rispettive s ed s0 , che includono il punto
di applicazione C0 di ascissa curvilinea s0 , di una sola forza di carico
F . Applicando il teorema della media agli integrali delle forze distribuite,
possiamo scrivere le equazioni delle travi, per questo tratto di trave, nella
forma:
+ f (s )(s0
s) + F = 0
travi e fili
429
CC 0 ^ R
+ CC ^ f (s ) + CC0 ^ F = 0
f (
s) d
s = f (s )(s0
Z s0
s),
C C ^ f (
s) d
s = CC ^ f (s )(s0
s)
0+
=F
dove evidentemente:
R
= lim R
s!s0
Esempi
Vediamo due problemi tipici di statica delle travi piane: il primo dato dal
problema della trave incastrata ad un estremo e soggetta ad un carico allaltro
estremo, mentre il secondo dato dallequilibrio di una trave appoggiata ai
suoi estremi, con una forza di carico in un punto intermedio.
430
A
x
M inc
mg
RO =
, M O = M inc. ,
RA =
P , MA = 0
travi e fili
431
mg
`
+P +
Z `
0
M inc. + OA ^ P +
mg
dx = 0
`
Z `
0
OC ^
mg
dx = 0
`
M inc. + OA ^ P + OG ^ mg = 0
dove G il baricentro della trave. Infatti basta tenere conto del fatto che:
432
Z `
0
!
Z `
mg
m
OC ^
dx =
OC dx ^ g = m OG ^ g
`
0 `
g c2 , P =
P c2 , OA = `c1 , OG =
c1 +
c2 ,
1
`c1
2
M inc. = Minc. c3
Si ricava quindi:
= 0,
= mg + P,
Minc.
1
=
mg + P
2
Z `
mg
dx = 0
`
M + OA ^ P +
Z `
OC ^
mg
dx = 0
`
Da queste ricaviamo:
R =
mg
(`
`
x)
travi e fili
433
M = P (`
x) +
mg
(`
2`
x)2
c3
M = M (x) c3
M (x) =
mg
(`
`
mg
(`
2`
x) + P
x)2 + P (`
x)
R(x)
P
M(x)
O
x
L
Figura TF. 7: andamento dello sforzo e del momento in una trave incastrata
434
y
O
A
x
F
mg
RO =
O,
MO = 0
RA =
A,
MA = 0
travi e fili
435
OA ^
A+
Z `
0
Z `
mg
dx + F = 0
`
mg
dx + OQ ^ F = 0
`
OC ^
Ox
Ax
Oy
Ay
Ay
1
2
=0
mg
mg`
F =0
aF = 0
Ox
=0
436
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:
Ax
=0
Oy
= 12 mg +
Ay
= 12 mg + a` F
` a
`
OC ^ R +
Z x
Z x
0
mg
d
x + H(a) F = 0
`
OC ^
mg
d
x + H(a) OQ ^ F = 0
`
H(a) =
8
>
<
>
:
0,
x<a
1,
R(x) =
M (x) =
x2
2x
` a
mg +
2`
`
`x
2`
mg +
`
`
H(a)
x F + H(a) (x
a) F
travi e fili
437
s0
s0
M
s
R
s
Z s0
1
s0
CC 0
^R
s0 s
f (
s) d
s=0
s0
Z s0
s
C C ^ f (
s) d
s=0
Facendo uso del teorema della media per eliminare i due integrali e
semplificando, otteniamo:
R
s0
M
s0
R
s
!
f (s ) = 0
M
CC 0
+ 0
^R
s
s s
CC ^ f (s ) = 0
438
dR
ds
f (s) = 0
(TF.3)
dM
+T ^R =0
ds
T = lim
0
s !s
CC 0
s0 s
(TF.4)
travi e fili
439
(TF.5)
440
R =
(TF.6)
d( T )
+ f (s) = 0
ds
(TF.7)
travi e fili
441
La prima classe comprende quei problemi nei quali nota la forma che
il filo assume allequilibrio ed incognita la tensione. Si richiede perci di
determinare la tensione del filo conoscendo le forze esterne;
La seconda classe comprende i problemi nei quali sono incognite sia
la forma del filo allequilibrio che la tensione. Si richiede di determinarle
entrambe conoscendo le forze esterne.
d
dT
+
+ f (s) = 0
ds
ds
Ricordando che:
dT
1
= N
ds
otteniamo:
+ N + f (s) = 0
ds
442
8 d
>
>
ds
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:
+ fT (s) = 0
+ fN (s) = 0
(TF.8)
fB (s) = 0
=0
=0
travi e fili
443
= costante
E quindi: il filo trasmette la tensione da un estremo allaltro in quanto
la tensione sulla sezione iniziale e quella sulla sezione finale del filo sono
identiche. Un filo pu essere utilizzato per trasmettere una forza da un punto
ad un altro dello spazio.
Dalla seconda, supposta non nulla la tensione del filo si ottiene:
C = lim
!+1
1
=0
E cio la curvatura del filo deve essere nulla: il filo si dispone lungo
una retta. Quindi non solo la tensione, ma anche la direzione dello sforzo
si mantiene inalterata lungo il filo.
Filo fortemente teso su una superficie
Unapplicazione delle equazioni intrinseche si pu fare esaminando
lequilibrio di un filo fortemente teso su una superficie fissa, conosciuta. In
questo caso il filo si dispone lungo una curva appartenente alla superficie, che
supponiamo conosciuta.
Dire che il filo fortemente teso sulla superficie significa dire che le
reazioni vincolari, esplicate dalla superficie che vincola la forma del filo, sono
preponderanti rispetto alle altre forze esterne agenti sul filo, le quali risultano
pertanto trascurabili. Risulta allora trascurabile, per esempio il peso del filo,
e lunica forza distribuita rappresentata dalle reazioni vincolari che sono
applicate con continuit nei punti del filo. Le reazioni vincolari sono cos
caratterizzabili mediante una legge di distribuzione differenziale:
d (s) = (s) ds
e si ha allora che la forza distribuita agente sul filo data da:
444
(s) d s
f (s) = (s)
Sostituendo nelle (TF.8) segue:
8 d
>
>
ds
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:
dove:
(s) =
T (s)
N (s)
B (s)
T (s) T
=0
(TF.9)
=0
=0
N (s) N
B (s) B
travi e fili
445
>
>
>
>
>
>
:
=0
N (s)
B (s)
=0
(TF.10)
=0
446
(s) = n
essendo n il versore normale alla superficie a cui aderisce il filo. Il confronto
tra i due risultati ci dice che, allequilibrio, il filo fortemente teso sulla
superficie priva di attrito si dispone lungo una curva la cui normale principale
N risulta parallela alla normale alla superficie n e cio lungo una geodetica.
i) superficie con attrito
Se sulla superficie presente lattrito al nostro sistema (TF.9) si aggiunge
la legge di Coulomb-Morin per lattrito statico su una curva ottenendo:
8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:
d
ds
T (s)
N (s)
=0
(TF.11)
B (s)
=0
=0
T | fs
2
N
2
B
fs
ds
travi e fili
447
1 d
1
fs
ds
Z `
1 d
fs
ds
ds
ds
0
(TF.12)
f (x) dx = f (c)(b
a)
Ora se:
f (x) 0,
essendo b
8x 2 [a, b]
0 si ha:
Z b
a
f (x) dx = f (c)(b
a) 0
f (x) dx
Z b
a
|f (x)| dx
448
Z `
0
Z `
d
fs
ds
(TF.13)
Z `
1 d
d
ds =
ds
0
ed essendo:
(0) = 0 ,
(`) = `
le condizioni al contorno.
Dalla (TF.13) abbiamo infine:
`
log
0
Z `
fs
0
ds
Posto di considerare come estremo finale del filo (s = `) quello nel quale
la tensione risulta maggiore (in caso contrario si pu sempre scambiare la
denominazione degli estremi) il logaritmo risulta positivo e si ha la condizione
per la tensione agli estremi:
` 0 exp
Z `
fs
0
ds
(TF.14)
travi e fili
449
450
8 d dx
>
ds + fx (s)
>
ds
>
>
>
>
>
<
dy
ds
ds
=0
(TF.15)
ds + fy (s) = 0
ds
>
>
>
>
>
>
>
: d
dz + f (s) = 0
z
dx dy dz
, ,
ds ds ds
!2
dy
+
ds
!2
dx
+
ds
!2
=1
(TF.16)
travi e fili
451
Z s
d
T +u
f (
s) d
s =0
ds
s0
T +u
Z s
s0
f (
s) d
s = R0
8
d
dx
>
>
ds
< ds
=0
>
>
: d dy + f (s)
ds
ds
(TF.17)
=0
452
dx
=C
ds
(TF.18)
dy 0
+ f (s) = 0
ds
C 2 00
y + f (x, y) = 0
(TF.19)
travi e fili
453
dx
1
=q
ds
1 + (y 0 )2
(TF.20)
454
fds
pdx
f ds = p dx
Scegliendo lorientazione dellasse y in maniera che risulti:
f = f c2 ,
p=
p c2
si ottiene:
f ds =
p dx
()
f=
dx
ds
travi e fili
455
f=
p
=0
C
y=
1 p 2
x + ax + b
2C
Z xf q
xi
1 + (y 0 )2 dx
p c2
456
il il peso per unit lineare, del filo, otteniamo lequazione differenziale per la
forma del filo:
y 00
p
=0
C2
(TF.21)
1 + (y 0 )2
(TF.22)
p q
1 + (y 0 )2 = 0
C
travi e fili
457
u = y0
e riscriviamo lequazione che diviene del primo ordine in u:
p p
1 + u2 = 0
C
u0
ovvero:
u0
p
=
2
C
1+u
E quindi:
Z u
u0
Z x
d
u
p
=
d
x
0 C
1 + u2
d
u
= arcsenh u
1 + u2
arcsenh u0
p
x+a
C
458
Invertendo si ottiene:
u = senh
p
x+a
C
p
x+a
C
p
x+a +b
C
(TF.23)
x0 > 0
travi e fili
459
8
>
>
<
>
>
:
y0 =
C
p
cosh
y0 =
C
p
cosh
p
C
x0 + a
p
C
x0 + a
p
x0 + a = cosh
C
p
x0 + a
C
`=
Z x0
x0
Z x0 s
x0
cosh
1 + senh2
p
x dx =
C
p
C
x dx = 2 senh
C
p
p
x0
C
Se il filo molto teso possiamo considerare che la lunghezza del filo sia
circa uguale alla lunghezza della campata:
` 2x0
da cui segue:
senh
p
C
p
C
x0
x0
460
cosh
p
1 p2 2
x 1+
x
C
2 C2
y=
1 p2 2 C
x +
2 C2
p
DINAMICA
m a = f (P, v, t)
m x = fx (x, y, z, x,
y,
z,
t)
m y = fy (x, y, z, x,
y,
z,
t)
(DP.1)
m z = fz (x, y, z, x,
y,
z,
t)
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:
x = x(t, c1 , c2 , , c6 )
y = y(t, c1 , c2 , , c6 )
(DP.2)
z = z(t, c1 , c2 , , c6 )
Dal punto di vista fisico questo risultato, ben noto dallanalisi, significa
che la stessa forza f , applicata al punto P di massa m, pu realizzare non un
solo moto, ma tutti i moti corrispondenti alle soluzioni (DP.2).
Si dice integrale particolare del moto un integrale particolare del
sistema differenziale del moto, cio una delle soluzioni che si ottiene
assegnando un valore particolare a ciascuna delle sei costanti c1 , c2 , , c6 .
Un integrale particolare rappresenta uno dei possibili moti che la forza f
pu realizzare quando applicata al punto P di massa m.
Il valore delle costanti c1 , c2 , , c6 correlato con le condizioni iniziali,
cio con il valori che le funzioni x(t), y(t), z(t) e le loro derivate temporali
prime, assumono allistante iniziale del moto, generalmente fatto coincidere
con t = 0, attraverso il sistema algebrico:
8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:
x(0, c1 , c2 , , c6 ) = x0
y(0, c1 , c2 , , c6 ) = y0
z(0, c1 , c2 , , c6 ) = z0
(DP.3)
x(0,
c1 , c2 , , c6 ) = x 0
y(0,
c1 , c2 , , c6 ) = y0
z(0,
c1 , c2 , , c6 ) = z0
k = 1, 2, , 6
8t
Si pu quindi dire che un integrale primo del moto una grandezza che si
mantiene costante durante il moto, o anche che si conserva durante il moto.
Notiamo che per un dato sistema di equazioni del moto possono non
esistere integrali primi del moto.
Il valore della costante C, che dipende dallintegrale particolare
considerato, e quindi dalle condizioni iniziali, pu essere calcolato in maniera
rapida, tenendo conto che, dal momento che si mantiene costante durante il
moto, essa mantiene in ogni istante il valore iniziale. Allora si ha:
C = (x0 , y0 , z0 , x 0 , y 0 , z0 , 0)
m a dP = m
dv
d
v dt =
dt
dt
1
dT
m v 2 dt =
dt = dT
2
dt
essendo:
T =
1
m v2
2
dT = dL
(DP.4)
Considerazioni analitiche
Vale la pena fare una considerazione di carattere analitico. Il teorema
dellenergia cinetica non fornisce un identit tra forme differenziali, come
si ha invece nel caso della relazione tra lavoro e potenziale di una forza
conservativa, ma unuguaglianza valida solamente durante il moto. Infatti:
dL = Fx dx + Fy dy + Fz dz
una forma differenziale nelle variabili x, y, z, mentre:
dT = m vx dvx + m vy dvy + m vz dvz
una forma differenziale nelle componenti della velocit. Luguaglianza
(DP.4) non pu quindi sussistere per qualunque spostamento del punto dP ,
non essendo unidentit, ma sussiste solamente in corrispondenza dello
spostamento dP = v(t) dt che il punto compie effettivamente durante il moto,
spostandosi lungo la traiettoria fisica del moto. In altri termini x, y, z non sono
qui variabili indipendenti e neppure lo sono vx , vy , vz , ma sono delle funzioni
del tempo, che lunica variabile indipendente durante il moto. Le due forme
differenziali cos calcolate vengono allora a identificarsi. Il lavoro calcolato
lungo un elemento di traiettoria si pu esprimere:
dL = f v dt = W dt
dove:
W =f v
rappresenta la potenza sviluppata dalla forza, durante il moto. La (DP.4) si
pu allora scrivere anche nella forma:
dT
=W
dt
(DP.5)
U) = 0
Segue:
T
U = costante
Di
La quantit T
U assume valore costante durante il moto del punto.
Per il moto del punto soggetto a una forza conservativa si introduce allora
la funzione:
E=T
(DP.6)
1
m(x 2 + y 2 + z 2 )
2
U (x, y, z)
10
(DP.7)
11
v(0) = v 0
le condizioni iniziali sulla velocit. Riscrivendo la (DP.7) come equazione
differenziale per il vettore incognito OP abbiamo:
d
OP = v 0 + gt
dt
Integrando una seconda volta abbiamo finalmente:
OP (t) = OP0 + v 0 t +
1 2
gt
2
Ovvero:
P0 P (t) = v 0 t +
1 2
gt
2
(DP.8)
essendo:
OP (0) = OP0
le condizioni iniziali per la posizione del grave. Si osserva immediatamente
nella (DP.8) che il vettore P0 P (t) una combinazione lineare dei vettori v 0 e
g: dunque il moto avviene nel piano di questi vettori, passante per la posizione
iniziale P0 . Per proiettare le equazioni del moto (DP.8) e ottenere le equazioni
parametriche della traiettoria riferita ad un sistema cartesiano, conveniente
scegliere lorigine degli assi O P0 , il piano xy coincidente con il piano del
moto e lasse y verticale, per esempio, orientato in senso discorde rispetto a
g. I vettori sono cos rappresentati:
OP (x, y),
g (0, g),
12
x = v0 t cos
y = v0 t sen
(DP.9)
1
2
g t2
g
x2 + (tan ) x
2v02 cos2
della
(DP.10)
parabola di sicurezza
Immaginando un problema balistico nel quale si vuole colpire un bersaglio
avente coordinate (x , y ), dobbiamo imporre che le coordinate del bersaglio
soddisfino lequazione della traiettoria di un proiettile o di un missile,
schematizzato con il grave puntiforme e cio:
13
y =
2v02
g
x2 + (tan ) x
cos2
(DP.11)
1
1 + tan2
= x2 v04
2v02 g y
g 2 x2
<0
=0
tan =
v02
g x
14
iii)
>0
tan =
v02 x
g x2
y=
g 2 v02
x +
2v02
2g
15
(DP.12)
A f (v) u
A larea investita, cio larea della proiezione del corpo sul piano
ortogonale alla velocit di traslazione, pari alla velocit del baricentro del
corpo;
v
A
16
f (v) una funzione positiva che dipende dal modulo della velocit di
traslazione del corpo v.
Sperimentalmente, fino a velocit non superiori a 2 m/sec essa
approssimabile con una funzione lineare:
f (v) / v
Si parla in questo caso di resistenza viscosa.
Quando la velocit superiore, fino ad un massimo di 200 m/sec la
funzione f (v) si approssima ad una funzione quadratica:
f (v) / v 2
Si parla in questo caso di resistenza idraulica.
u il versore della velocit di traslazione del corpo.
A c v2 u
(DP.13)
17
f (v) = c v 2 ,
c>0
v(0) = 0
A c v2
essendo v = y.
Possiamo riscrivere lequazione differenziale per la velocit
nella forma pi comoda:
v = 1
v2
V2
(DP.14)
V =
mg
Ac
(DP.15)
t=
La decomposizione:
1 Z v d
v
g 0 1 Vv22
(DP.16)
18
v2
V2
2 1+
v
V
2 1
1
v
V
consente di ottenere:
Z v
0
d
v
1
v2
V2
V
v
=
log 1 +
2
V
1 Z v d
v
1 Z v d
v
+
=
v
2 0 1+ V
2 0 1 Vv
V
log 1
2
v
V
1+
V
=
log
2
1
v
V
v
V
v
V
v
V
v(t) = V
2g t
V
1+e
2g t
V
(DP.17)
t!+1
19
con velocit V e la caduta procede con velocit costante fino allimpatto con
il suolo.
v(t)
2g t
V
1+e
2g t
V
gt
gt
V
eV +e
gt
V
eV
gt
= tanh
gt
V
gt
y = V tanh
V
y(t) =
Z t
0
g t
V tanh
dt
V
20
E quindi:
V2
gt
y(t) =
log cosh
g
V
(DP.18)
y(t)
(DP.19)
21
m x + k 2 x = 0
m y + k 2 y = 0
(DP.20)
m z + k 2 z = 0
(DP.21)
avendo denotato:
!2 =
k2
m
(DP.22)
(DP.23)
22
+ !2 = 0
che fornisce:
i !,
= i!
1t
+ c2 e
2t
i!t
+ c2 ei ! t
(DP.24)
x(0) = x0
x(0)
= v0
c1 + c2 = x0
i ! c1 + i ! c2 = v0
(DP.25)
23
c1 =
1
2
c2 =
1
2
x0 + i v!0
x0
v0
!
(DP.26)
x(t) = x0 cos ! t +
ei ! t + e
2
sen ! t =
ei ! t + e
x(t) = x0
2
i!t
ei ! t
e
2i
i!t
ovvero:
v0
!
sen ! t
essendo:
cos ! t =
i!t
ei ! t
e
2i
i!t
A=
x20 +
v02
!2
(DP.27)
arctan
v0
,
! x0
=)
cos
x0
,
A
sen
v0
!A
24
sen ! t sen )
(DP.28)
!=
k2
= 2
m
(DP.29)
essendo legata alla frequenza delle oscillazioni. Essa detta pulsazione del
moto oscillatorio, anche se spesso nel linguaggio abituale, viene detta essa
stessa impropriamente frequenza, dal momento che differisce da questultima
soltanto per un fattore di scala, ed la quantit che ricorre di fatto nelle
formule. Infine langolo:
' = !t+
detto angolo di fase attuale del moto.
x + ! 2 x = 0
y + (p !)2 y = 0
25
x(t)
A
p k 2 PA
P
k2
PB
26
m a = k2P O
hv
Fr =
hv,
h>0
(DP.30)
27
m x + h x + k 2 x = 0
m y + h y + k 2 y = 0
>
>
>
>
>
>
:
(DP.31)
m z + h z + k 2 z = 0
(DP.32)
2p =
h
m
(DP.33)
+ 2p + ! 2 = 0
28
= p2
!2
p2
!2,
p+
p2
!2
p2 ! 2 t
+ c2 e
p+
p2 ! 2 t
c1 =
1
2
c2 =
1
2
v0 +p x0
x0 + p
2
2
p
x0
v0 +p x0
p
p2 ! 2
29
t!+1
x(t)
Figura DP. 9: andamento asintotico della legge oraria nel caso p > !
i !2
p2 ,
p + i !2
p2
30
pt
c1 e
! 2 p2 t
+i
+ c2 e
! 2 p2 t
c1 =
1
2
c2 =
1
2
v0 +p x0
x0 + i p
2
2
!
x0
v0 +p x0
ip
! 2 p2
pt
cos
!2
p2 t +
Dove:
A=
x20 +
(v0 + p x0 )2
! 2 p2
v 0 + p x0
p
arctan
x0 ! 2 p2
risultato che ci mostra come, a causa della resistenza del mezzo, le oscillazioni
del moto riducono la loro ampiezza esponenzialmente e si compiono con una
pulsazione:
31
!2
p2 < !
t!+1
x(t)
pt
32
c1 = x0
c 2 = v 0 + p x0
xcritico
t!+1
xaperiodico
=0
c1
=
c2
x0
v 0 + p x0
x(t)
33
(DP.34)
c=
C
m
34
pt
cos
!2
p2
t+
x1 (t) = S cos ( t + )
dove S e sono quantit indipendenti dal tempo, da determinare.
S cos t (! 2
2 )cos
2p sen
sen t S (! 2
2 )sen + 2p S cos + c = 0,
8t
(! 2
2 ) cos
S {(! 2
2p sen = 0
2 ) sen + 2p cos } =
35
tan =
!2 2
2p
c
(! 2
2 )2 + 4p2 2
(DP.36)
Sono stati cos determinati S, in maniera che la funzione test x1 (t) sia
un integrale particolare dellequazione non omogenea (DP.34).
Osserviamo che lintegrale generale x(t) della (DP.34) risulta dalla
somma di due contributi: la soluzione x1 (t) che oscilla con ampiezza S
indipendente dal tempo, e il contributo x(t) che tende asintoticamente a zero
per t ! +1. Ci significa che dopo un tempo sufficientemente grande la
x(t) tende a scomparire, perci viene detta transiente, mentre la x1 (t) rimane
lunica soluzione a regime. La soluzione x1 (t), inoltre, non dipende dai dati
iniziali.
La relazione (DP.36) permette di studiare la risposta del sistema oscillante
sotto lazione della forza oscillante, in quanto d landamento dellampiezza
in termini della frequenza forzante . Lampiezza presenta un punto di
massimo, come si pu verificare analizzando la funzione:
f ( 2 ) = (! 2
2 )2 + 4p2 2
c
f ( 2 )
36
f 0 ( 2 ) =
2(! 2
2 ) + 4p2
2p2
(DP.37)
Allora se accade che 2 > 0 esiter una frequenza reale che rende nulla
la derivata di f . Inoltre, per la derivata seconda si ha:
f 00 ( 2 ) = 2 > 0
Dunque f minima e quindi S massima in corrispondenza della
frequenza (DP.37) e vale:
S =
2p
c
!2
p2
(DP.38)
p!0
37
f (x, y, z) = 0
riferito alla terna cartesiana ortogonale Oxyz di un osservatore inerziale.
Poich la superficie priva di attrito, sappiamo, dalla legge
dellattrito dinamico, che la reazione vincolare che compare nellequazione
fondamentale della dinamica, scritta per il punto vincolato:
38
ma = F +
normale alla superficie. Perci, come accade anche nel caso statico, si pu
stabilire un legame tra la reazione vincolare e la funzione che descrive la
superficie:
=
rf
m x = Fx (x, y, z, x,
y,
z,
t) +
@f
@x
m y = Fy (x, y, z, x,
y,
z,
t) +
@f
@y
m z = Fz (x, y, z, x,
y,
z,
t) +
@f
@z
(DP.39)
f (x, y, z) = 0
39
U) = 0
da cui:
T
U = costante
rf v
40
F =0
Lunica forza agente la reazione vincolare e lequazione differenziale
del moto si scrive:
ma =
rf
a = n
Ora se rappresentiamo laccelerazione sul triedro di Frenet della traiettoria
(rappresentazione intrinseca) abbiamo:
41
a = s T +
v2
N
n = s T +
v2
N
(DP.40)
()
s = 0
n =
v2
N
42
T =
1
m v02
2
P
O
y
f
v
N
f(x,y,z) = 0
43
8
>
<
>
:
f (x, y, z) = 0
g(x, y, z) = 0
rf + rg
m a = F + rf + rg
44
8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:
m x = Fx (x, y, z, x,
y,
z,
t) +
@f
@x
@g
+ @x
m y = Fy (x, y, z, x,
y,
z,
t) +
@f
@y
@g
+ @y
m z = Fz (x, y, z, x,
y,
z,
t) +
@f
@z
+ @g
@z
f (x, y, z) = 0
g(x, y, z) = 0
ma = F +
sul triedro di Frenet della curva sulla quale il punto vincolato a muoversi. E
questo perch la legge dellattrito chiama in causa le componenti tangente,
normale e binormale della reazione vincolare. Il sistema differenziale
che otteniamo risulta determinato se si tiene conto della legge dellattrito
dinamico.
Si ha allora:
45
P
B
8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:
m s = FT (s, s,
t) +
m s = FN (s, s,
t) +
0 = FB (s, s,
t) +
|
T|
= fd
2
N
(DP.41)
B
2
B
i) caso generale
Il sistema cos costituito da quattro equazioni per le quattro incognite
s(t) che determina il moto lungo la traiettoria assegnata (problema a un solo
grado di libert) e T , N , B . Eliminando le componenti della reazione
vincolare nella legge dellattrito, mediante le prime tre equazioni, si ottiene
lequazione pura del moto, nella sola incognita s ; determinato il moto
si possono determinare le componenti della reazione vincolare in regime
dinamico.
ii) curva priva di attrito
Il metodo delle equazioni intrinseche del moto si pu utilizzare
convenientemente anche quando la curva sulla quale il punto vincolato
46
m s = FT (s, s,
t)
2
m s = FN (s, s,
t) +
0 = FB (s, s,
t) +
(DP.42)
m s = FT (s)
2
m s = FN (s) +
0 = FB (s) +
(DP.43)
Anche in questo caso il problema ha tre sole incognite, che come nel caso
precedente sono s(t), N , B . In pi, per, in questo caso la forza, essendo
47
funzione di una sola variabile, avendo a disposizione una sola curva lungo
la quale il punto pu muoversi, risulta essere conservativa. Sottolineiamo il
fatto che una forza posizionale, in generale non conservativa, ma lo diviene
quando il punto vincolato a muoversi lungo una curva fissata. Infatti, in
questo caso la forma differenziale del lavoro vale:
Z s
s0
FT (
s) d
s
Z s
s0
FT (
s) d
s
U (s) = E
E=
1
m s 20
2
U (s0 )
48
s =
2
[E + U (s)]
m
(DP.44)
Z s
s0
d
s
2
m
[E + U (
s)]
(DP.45)
49
Pendolo semplice
Come esempio esaminiamo il moto del pendolo semplice: un pendolo
semplice un punto materiale di massa m soggetto alla forza attiva peso,
vincolato a muoversi su una circonferenza di raggio ` priva di attrito,
appartenente a un piano verticale.
mg
ma = mg +
E conveniente proiettare tale equazione sul triedro di Frenet, ottenendo,
dopo qualche semplificazione, il sistema differenziale seguente:
50
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:
# =
g
`
sen #
m ` # 2 =
B
m g cos # +
(DP.46)
=0
avendo introdotto il legame tra langolo #, che il filo del pendolo forma con
la verticale, e lascissa curvilinea:
s = `#
Dal momento che la forza conservativa e il suo potenziale vale:
U=
m g yP = m g ` cos #
m g ` cos # = E
#(0)
=0
m g ` cos #0
51
t=
Z #
#0
d#
2g
(cos # cos #0 )
`
cos #0
cos |#|
cos |#0 |
(DP.47)
dal momento che il coseno non dipende dal segno del suo argomento. Ora
le configurazioni fisicamente distinte del pendolo sono identificabili tutte
nellintervallo 0 |#| , a causa della periodicit del coseno; ma in questo
intervallo il coseno una funzione decrescente di |#|, per cui la condizione
(DP.47) si traduce nella condizione sugli angoli:
|#| |#0 |
Il moto dunque, con le condizioni iniziali assegnate, pu avvenire solo in
modo tale che non venga oltrepassata lordinata della posizione iniziale del
pendolo.
m
Quando si considerano le piccole oscillazioni del pendolo, nellequazione
pura del moto lecito asumere lapprossimazione:
sen # #
In questo caso lequazione del moto diviene semplicemente:
52
cos ||
1
cos ||
cos |0|
O
/2
| |
| 0 |
| |
Figura DP. 16: intervallo permesso per il moto del pendolo semplice
g
# + # = 0
`
cio lequazione di un oscillatore armonico semplice caratterizzato dalla
pulsazione:
!=
g
`
hv +
(DP.48)
53
m # =
m g` sen #
m ` # 2 =
B
h #
m g cos # +
(DP.49)
=0
h v2
Ma:
E=T
54
h `2 # 2 0
1
h v2
2
rv R
()
(diss)
Fi
@R
@vi
(DP.50)
Il sistema delle equazioni del moto, nella sua generalit non si integra
analiticamente, mentre nel caso delle piccole oscillazioni, lequazione pura
del moto si riconduce a quella di un oscillatore soggetto a forza viscosa:
g
# + 2p # + # = 0,
`
2p =
h
m
! 2 QP
56
m a(a) = F (a)
otteniamo:
m a(r) = F
m a( )
ma(c)
che si riscrive:
m a(r) = F + F ( ) + F (c)
(DR.1)
m a( )
(DR.2)
ma(c)
(DR.3)
dinamica relativa
57
2m ! ^ v (r) v (r) = 0
58
dT
= W + W ( )
dt
essendo:
T =
1 (r) 2
m v
,
2
W ( ) = F ( ) v (r)
W = F v (r) ,
U ) = W ( )
1
m r2 ! 2
2
Ucentrif. = E ()
1
2
m (v (r) )
2
1
m r2 ! 2 = E (DR.4)
2
dinamica relativa
59
=)
! = 0
a(c) = 0
60
S
O
Figura DR. 1: osservatore assoluto e relativo nel problema dei due corpi
m aS ,
F (c) = 0
m aS
(DR.5)
dinamica relativa
61
M aS =
tenendo conto che per il principio di azione e reazione la forza che il pianeta
esercita sul sole opposta alla forza che il sole esercita sul pianeta, e ha in
comune con essa la retta dazione che la congiungente i due punti P ed S.
Possiamo cos ricavare:
aS =
F
M
m
F
M
Riscriviamo:
m a(r) = F
(DR.6)
m
mM
m =
1+ M
m+M
(DR.7)
avendo introdotto:
m =
62
m*
Forza centrale
Scelti i sistemi di assi degli osservatori analizziamo le forze di interazione
fra i due corpi: la prima informazione che ci viene dalla fisica che la forza
di interazione che il sole esercita sul pianeta una forza centrale il cui centro
risiede nel sole S, per cui vale la condizione:
SP ^ F = 0
dinamica relativa
63
ar =
c2
r2
d2 1r
1
+
2
d#
r
essendo r = |SP |.
Legge di forza
Sappiamo che la forza centrale che governa linterazione sole-pianeta
dipende dalla sola distanza r:
F = F (r) u
64
F (r) =
Mm
r2
c2
m 2
r
Mm
r2
(DR.8)
p=
m c2
c2
=
hM m
h (M + m)
(DR.9)
1
r
dinamica relativa
65
00
1
p
(DR.10)
(DR.11)
=0
1 (#)
66
test
=C
00
test
=)
=0
E quindi si ha immediatamente:
1 (#)
=C=
1
p
(#) = A cos # +
1
p
E conveniente introdurre:
e = pA
(DR.12)
in modo da ottenere:
(#) =
1 + e cos #
p
p
1 + e cos #
(DR.13)
dinamica relativa
67
Mm
r
Mm
=E
r
(DR.14)
d1
v =c 4 r
d#
2
!2
1
+ 25
r
68
1
1 + e cos #
=
r
p
d 1r
=
d#
=)
e
sen #
p
Di conseguenza si ottiene:
v2 =
c2 2
(e + 1 + 2e cos #)
p2
Esprimiamo poi:
e cos # =
p
r
ottenendo:
v2 =
c2 2
(e
p2
1) + 2
c2
pr
v2 =
c2 2
(e
p2
1) + 2h
Mm
m r
(DR.15)
E=
m c2 2
(e
2 p2
1)
(DR.16)
dinamica relativa
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:
69
E<0
(sistema legato)
e<1
(ellisse)
E=0
e=1
(parabola)
E>0
e>1
(iperbole)
Un pianeta si trova sempre legato al sole e la sua orbita ellittica, per cui
lenergia meccanica, risulta negativa. Le comete possono invece realizzare i
tre casi potendo essere legate (comete periodiche) o non legate al sole. Il caso
della traiettoria parabolica un caso limite tra i restanti due casi.
Considerando poi il limite per r ! +1 nellintegrale primo dellenergia
(DR.14) otteniamo:
v1 =
2E
m
70
Areaellisse
2 a b
=
periodo
T
e2 )
p
1
p
1+e
()
a=
p
1
Quindi:
b2 =
p2
1
e2
=)
b2
=p
a
e2
(DR.17)
dinamica relativa
71
b
ea
r min
r max
c2 =
4 2 a3 b2
4 2 a3 p
=
T2 a
T2
E quindi:
K=
4 2p
c2
K=
4 2
h (M + m)
(DR.18)
Si osserva che solo a condizione che la massa del pianeta sia trascurabile
rispetto alla massa del sole (m M ) la costante K indipendente dal
pianeta, ed la stessa per tutti i pianeti del sistema solare. Questa condizione,
di fatto, entro gli errori di misura, si pu ritenere abbastanza buona per tutti
72
c
# = 2
r
=)
E quindi:
c2
v 2 = r 2 + r2 # 2 = r 2 + 2
r
Allora lintegrale primo dellenergia si scrive:
1
m
2
c2
r + 2
r
2
Mm
=E
r
Alla funzione:
Uef f. = h
si d il nome di potenziale efficace.
Mm
r
m c2
2 r2
(DR.19)
dinamica relativa
73
t=
Z r
r0
d
r
2
m
E+h
Mm
r
(DR.20)
c2
r2
Ueff
Velocit di fuga
Qual la velocit minima che occorre imprimere ad un satellite
perch possa sfuggire dal campo di gravitazione terrestre, allontanandosi
indefinitamente dalla terra? Si pu dare una stima di questa velocit, che
viene detta velocit di fuga, scrivendo lintegrale primo dellenergia (DR.14)
per il moto del satellite. In questo caso M indicher la massa terrestre e m
la massa del satellite. Supponiamo di far partire il satellite immediatamente
al di sopra dellatmosfera da una distanza R dal centro della terra, che in
prima approssimazione uguaglia il raggio terrestre; in modo da non dover
tener conto della resistenza al moto dovuta alla presenza dellatmosfera.
74
Mm
=0
R
vf uga =
2h (M + m)
2h M
R
(DR.21)
dinamica relativa
75
P0
O
x
Figura DR. 5: deviazione dei gravi verso oriente: scelta degli assi
2 ! ^ v (r)
(DR.22)
76
v (r) (,
),
P (, , ),
g (0, g, 0),
, )
a(r) (,
,
2
= 2 !( sen + cos )
= g
=
2 ! cos
(DR.23)
2 ! sen
(0) = 0,
(0)
= 0,
(0) = 0,
(0) = 0
(0)
= 0,
(0)
=0
(DR.24)
g t + 2 ! cos ) = 0
dinamica relativa
77
d(r)
( + 2 ! sen ) = 0
dt
Da queste immediato ottenere, tenendo conto delle condizioni iniziali:
= g t
2 ! cos
2 ! sen
(DR.25)
(DR.26)
(DR.27)
(DR.28)
78
g
cos ,
2!
b=0
Quindi:
1 (t) =
gt
cos
2!
gt
cos
2!
A cos
=0
2 ! A sen
g
2!
cos = 0
(DR.29)
dinamica relativa
79
A=
g
cos ,
4! 2
Finalmente abbiamo:
(t) =
g cos
(2 ! t
4! 2
(DR.30)
sen 2 ! t)
g t cos
(t) =
1
2!
sen 2 ! t
2!t
0,
8t
8x
s = 1, 2, , n
(ED.1)
ms xs = fs x
ms ys = fs y ,
ms zs = fs z
s = 1, 2, , n
(ED.2)
81
ys (t),
zs (t)
xs = xs (t, c1 , c2 , , c6n )
ys = ys (t, c1 , c2 , , c6n ),
s = 1, 2, , n
(ED.3)
zs = zs (t, c1 , c2 , , c6n )
82
= (xs , ys , zs , x s , y s , zs , t)
dove s pu assumere tutti i valori da 1 a n, si dice integrale primo del moto del
sistema di punti materiali, governato dal sistema (ED.2), quando, sostituendo
in essa alle variabili xs , ys , zs , x s , y s , zs , le funzioni xs (t), ys (t), zs (t) che
rappresentano un integrale particolare del moto e le loro derivate temporali,
la funzione assume un valore costante nel tempo:
8t
s=1
Ma:
ms as dPs =
n
X
s=1
f s dPs
dL =
83
n
X
s=1
f s dPs
d
ms as dPs =
dt
s=1
n
1X
ms v 2s
2 s=1
dt = dT
essendo:
T =
n
1X
ms v 2s
2 s=1
()
d(T
U) = 0
84
U = costante
(i)
M = 0
s = 1, 2, , n
(ED.4)
n
X
ms as =
s=1
85
n
X
f (e)
s +
s=1
n
X
f (i)
s
s=1
ovvero:
n
X
ms as = R(e) + R(i)
s=1
(ED.5)
ms as = R(e)
s=1
s=1
ovvero:
Ps ^ ms as =
n
X
s=1
n
X
s=1
Ps ^ f (e)
s +
(e)
n
X
s=1
Ps ^ f (i)
s
(i)
Ps ^ ms as = M + M
86
n
X
(e)
Ps ms as = M
(ED.6)
s=1
s=1
ms as =
n
X
ms
s=1
n
dv s
d X
=
ms v s = Q
dt
dt s=1
essendo:
Q=
n
X
ms v s
s=1
K =
n
X
s=1
Ps ^ ms v s
Derivando:
n
n
X
X
d
= d
K
Ps ^ ms v s =
(Ps ^ ms v s ) =
dt s=1
s=1 dt
n
X
d
(OPs
s=1 dt
n
X
s=1
O) ^ ms v s +
v s ^ ms v s
=
87
v ^
n
X
s=1
n
X
n
X
s=1
Ps ^
v ^ ms v s +
ms v s +
s=1
n
X
s=1
n
X
s=1
d
(ms v s ) =
dt
Ps ^ ms as =
Ps ^ ms as
s=1
+ v ^ Q
Ps ^ ms as = K
E comodo poi tenere conto che, per il teorema del moto del baricentro si
ha:
Q = m vG
Tenendo conto di questi risultati possiamo finalmente scrivere le equazioni
cardinali della dinamica nella loro forma definitiva:
8
>
<
>
:
= R(e,a) + R(e,v)
Q
(ED.7)
(e,v)
+ m v ^ v G = M (e,a)
K
+ M
88
= R(e,a) + R(e,v)
Q
(ED.8)
(e,v)
= M (e,a)
K
+ M
Q = m vG
=)
= m aG
Q
m aG = R(e)
89
(ED.9)
(e)
(e)
90
(ED.10)
m aG = m g
Essendo costante, il peso una forza che certamente soddisfa la
condizione (ED.10). E noto, infatti lesempio del proiettile che esplode in
volo senza influenzare il moto del baricentro, qualora si trascuri la resistenza
dellaria, che evidentemente non soddisfa la condizione (ED.10), risentendo
di una modifica dellarea investita e del fattore di forma. Il fatto che il sistema
soggetto alla sola forza peso risulti G-determinato il motivo per cui un grave
si pu schematizzare con un punto materiale coincidente con il baricentro del
corpo senza doversi preoccupare della struttura del corpo.
91
G
G
8
>
<
>
:
= R(e,a)
Q
(ED.11)
+ m v ^ v G = M (e,a)
K
92
z'
y'
x'
O
y
x
KG = KG
m aG = R(e,a)
(G) = M (e,a)
K
G
G
(ED.12)
93
(e,a)
t)
M G ( , ', #, , ',
#,
= R(e,a) +
Q
(ED.13)
= M (e,a)
K
94
95
d(a)
K = ! + ! ^ !
dt
Questo risultato, inserito nellequazione dei momenti, che fornisce le
equazioni pure del moto del corpo rigido con un punto fisso, conduce a:
(ED.14)
(e,a)
! + ! ^ ! = M
0
B
B
B
B
B
B
@
A 0
0 B
0 C
10
C
C
C
C
C
C
A
B
B
B
B
B
B
@
p
q
r
1
C
C
C
C
C
C
A
0
B
B
B
B
B
B
@
Ap
Bq
Cr
1
C
C
C
C
C
C
A
96
B) q r, (A
C) p r, (B
A) p q)
(e,a)
A p
(B
C) q r = M
B q
(C
A) p r = M(e,a)
C r
(A
B) p q = M
(ED.15)
(e,a)
97
= R(e,a) +
Q
(ED.16)
1 = M (e,a) + 1 2 ^
K
1
98
z=
=
2
1
(ED.17)
(e,a)
e3 ! + e3 ! ^ ! = e3 M 1 + e3 1 2 ^
e3 ! ^ ! = 0,
99
e3 1 2 ^
=0
33
=C
(e,a)
t)
J # = M (#, #,
(ED.18)
100
(ED.19)
(e,a)
dL(e,a) = M d
(e,a)
(e,a)
= M e3 d# = M
(#) d# = d
Z #
#0
(e,a)
d#
(#)
U (#) =
Z #
#0
(e,a)
d#
(#)
U (#) = E
# =
2
[E + U (#)]
J
t=
Z #
#0
101
d#
2
J
(ED.20)
E + U (#)
E + U (#)
1
G
z=
=
102
R(e,a) = m g
applicato nel baricentro G del corpo. Il momento delle forze esterne attive,
rispetto al polo 1 risulta, di conseguenza, dato da:
M 1 = 1 G ^ m g =
m g ` sen # e3
essendo:
` = |1 G|
e # caratterizzato come in figura (ED. 5).
Abbiamo chiaramente:
(e,a)
(#) =
m g ` sen #
#(0)
=0
si ha:
E=
U (0) =
m g ` cos #0
103
t=
Z #
#0
d#
2
J
m g `(cos #
(ED.21)
cos #0 )
J
m`
0
B
B
B
B
B
B
@
C0
C0
B0
A0
B0
10
C
C
C
0 C
A C
C
A
B
B
B
B
B
B
@
0
0
#
1
C
C
C
C
C
C
A
0
B
B
B
B
B
B
@
1
B 0 #
A0 #
C #
C
C
C
C
C
C
A
104
! ^ ! (A0 # 2 ,
B 0 # 2 , 0)
Abbiamo, cos:
= ! + ! ^ ! ( B 0 # + A0 # 2 ,
K
A0 #
B 0 # 2 , J #)
dove si introdotto:
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:
(e,a)
Q = R +
Q = R(e,a) +
(e,a)
Q = R +
(e,a)
B # + A # 2 = M
A0 #
(ED.22)
`
B 0 # 2 = M(e,a) + `
(e,a)
J # = M
` = |1 2 |
Lultima equazione lequazione pura del moto ed gi stata utilizzata;
rimangono cinque equazioni per le sei incognite costituite dalle componenti
delle reazioni vincolari. Come nel problema statico anche nel caso dinamico
rimangono indeterminate le componenti delle reazioni vincolari lungo lasse
fisso. Il sistema pu essere completamente determinato nel caso in cui si
105
faccia lipotesi che uno dei due vincoli sia costituito da una cerniera cilindrica
priva di attrito (per esempio in 2 ), perch, in questo caso si ha lulteriore
informazione:
=0
Equilibratura dinamica
Il problema dell equilibratura dinamica consiste nel ricercare se esistono
e in caso affermativo determinarle, delle condizioni alle quali, a parit di
forze esterne attive, le reazioni vincolari in regime dinamico sono uguali alle
reazioni vincolari allequilibrio.
Affinch questa situazione possa verificarsi occorre che i termini cinetici
che compaiono nelle equazioni del risultante e nelle componenti , delle
equazioni del momento che sono le uniche che contengono le reazioni
vincolari siano nulli qualunque sia il moto del corpo rigido con un asse
fisso.
Infatti si pu scrivere la seguente tabella di comparazione tra equazioni
dinamiche ed equazioni statiche.
Dinamica
8
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
:
m aG = R(e,a) +
(D)
1
B 0 # + A0 # 2 = M
Statica
+
(e,a)
A0 #
(D)
2
(D)
2
B 0 # 2 = M(e,a) + `
(D)
2
8
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
:
(S)
1
0 = R(e,a) +
(e,a)
(S)
2
0 = M(e,a) + `
(S)
2
0 = M
(S)
2
106
m aG = 0,
B 0 # + A0 # 2 = 0,
A0 # + B 0 # 2 = 0
# pu
in ogni istante e qualunque sia il moto, cio qualunque siano #, #,
realizzarsi solo a condizione che:
aG = 0,
A0 = 0,
B0 = 0
! 2 QG
# 2 QG)
107
(e,v)
M 1 ( B 0 # + A0 # 2 ,
A0 #
B 0 # 2 , 0)
| M 1 | =
(A02 + B 02 )(#2 + # 4 )
108
G
y
Scegliamo gli assi come in figura (ED. 6) in maniera che il punto fisso
O sia lorigine comune del sistema assoluto Oxyz e del sistema relativo,
solidale al corpo rigido . Inoltre lasse sia coincidente con lasse
giroscopico. Di conseguenza anche gli assi , risultano essere assi principali
dinerzia, in quanto assi di simmetria per la sezione dellellissoide normale
allasse giroscopico, sezione che una circonferenza.
Il principio delleffetto giroscopico, che ora trattiamo, un principio di
approssimazione che si fonda sulle seguenti tre ipotesi:
ipotesi di struttura: il corpo un giroscopio e il punto fisso si trova
sullasse giroscopico;
ipotesi sulle forze: il momento assiale delle forze esterne attive rispetto
allasse giroscopico nullo;
ipotesi sulle condizioni iniziali: la velocit angolare iniziale diretta
lungo lasse giroscopico ed ha modulo opportunamente grande.
Traduciamo matematicamente queste tre ipotesi. Per quanto riguarda
109
B = BG + m |G|2
da cui segue:
A=B
dove A, B sono i momenti principali dinerzia relativi agli assi solidali , .
Possiamo allora riscrivere le tre ipotesi nella forma seguente:
1)
(ED.23)
A=B
(e,a)
M
2)
=0
3) ! 0 (0, 0, r0 ), |r0 |
(ED.24)
(ED.25)
110
(A
(e,a)
B) p q = M
ottenendo:
C r = 0
Evidentemente, essendo C 6= 0 segue:
r = r0
(ED.26)
111
q = q(t)
t2[0, ]
Ap Aq
,
C
C
Ap
Aq
e1 +
e2 + e3
C r0
C r0
112
1,
C r0
|r0 |
Aq
1
C r0
|r0 |
(ED.27)
de3
(e,a)
= M
dt
(ED.28)
113
(e,a)
de3
M
=
dt
C r0
= G ^ m g e3 = 0
114
mg
y
115
essendo:
(e,a)
= G ^ m g
(ED.29)
g=
g c3
dove con ` si indicata la distanza del baricentro dal punto fisso e con c3 il
versore dellasse z del riferimento assoluto. Allora la (ED.29) diviene:
C r0 ! ^ e3 =
m g ` e3 ^ c3
(C r0 !
m g ` c3 = e3
mg`
c3 +
e3
C r0
C r0
(ED.30)
116
lasse z solidale con lo spazio assoluto (asse di precessione). Per poter parlare
di moto di precessione rimane da dimostrare che langolo compreso fra questi
due assi si mantiene costante durante il moto (integrale primo). Abbiamo che
tale angolo definito da:
cos # = c3 e3
Quindi, derivando e tenendo conto delle formule di Poisson e del fatto che
c3 costante rispetto allosservatore assoluto, abbiamo:
d cos #
de3
= c3
= c3 ! ^ e3 = 0
dt
dt
Il prodotto misto risulta nullo, in quanto, come abbiamo appena
dimostrato ! una combinazione lineare di c3 e e3 ; quindi i tre vettori sono
complanari. Si pu, dunque scrivere lintegrale primo:
cos # = cos #0
(ED.31)
mg`
cos #0 +
C r0
C r0
m g ` cos #0
117
! = !p c3 + !f e3
che fornisce le velocit angolari di precessione !p e di rotazione propria !f :
!p =
mg`
,
C r0
!f = r0
mg`
cos #0
C r0
118
=0
(ED.32)
essendo il punto fisso. In tal caso mostriamo che esistono due integrali
primi del moto tra loro indipendenti:
i) K = costante
ii) T = costante
E in conseguenza di questi risulta costante la proiezione della velocit
angolare nella direzione del momento della quantit di moto, cio sussiste
una terza condizione:
iii) |!| cos # = costante
Figura ED. 9: proiezione della velocit angolare sul momento della quantit
di moto
Dimostriamo entrambe le affermazioni.
119
(ED.33)
E quindi:
K = costante
T =
1
1
! ! = ! K
2
2
120
1
1
1
T
T = ! K = ! ! = ! !
2
2
2
La matrice dinerzia simmetrica e quindi:
T
Dunque:
1
T = ! !
2
(ED.34)
!^ !
1
!!^ ! =0
2
per lannullarsi del prodotto misto che contiene addirittura due vettori uguali.
Dunque:
T = 0
()
T = costante
121
DIMOSTRAZIONE B
Un modo alternativo di giungere allo stesso risultato si basa sul teorema
dellenergia cinetica, in base al quale:
dT = dL
Il problema si sposta allora nel dimostrare che il lavoro di tutte le forze
agenti sul sistema nullo. Abbiamo il seguente bilancio dei lavori:
dL = dL(e,a) + dL(e,v) + dL(i)
Ora, grazie alla formula del lavoro per un sistema di forze agenti su un
corpo rigido:
dL = R d + M d
il lavoro delle forze esterne attive si pu scrivere:
(e,a)
dL(e,a) = R(e,a) d + M
d = 0
122
dL(i) = R(i) d + M d
=0
sappiamo che nullo, perch, per il terzo principio della dinamica, le forze
interne costituiscono un sistema di coppie di braccio nullo, e quindi, il loro
risultante e momento risultante sono nulli.
Dunque si conclude:
dL = 0
()
dT = 0
()
T = costante
Conseguenza
Di conseguenza possiamo scrivere:
T =
1
1
! K = |!||K | cos # = costante
2
2
Quindi:
|!| cos # =
2T
= costante
|K |
grazie al fatto che sia T che K sono integrali primi del moto.
Considerazioni geometrico-cinematiche
Nei moti alla Poinsot si dimostra anche che:
123
1=0
(ED.35)
124
jk xk
1) =
ik xk
+ xj
ji
=2
ik xk
per la simmetria della matrice dinerzia. Daltra parte a noi interessa il piano
tangente allellissoide dinerzia non in un punto qualunque, ma nel punto di
intersezione con lasse di istantanea rotazione, perci dobbiamo scegliere x
nella direzione di questo asse, cio di !. Dobbiamo allora imporre:
x=
(ED.36)
Segue allora:
rf = 2 ! = 2 K
Quindi la normale alla superficie diretta come il momento della quantit
di moto. Il piano tangente si mantiene normale al momento della quantit di
moto, e quindi, essendo questultimo un vettore costante, il piano tangente si
mantiene sempre parallelo a se stesso.
secondo passo
Il secondo passo consiste nel verificare che lellissoide dinerzia rotola
senza strisciare sul piano tangente.
Questo immediato, in quanto il punto di tangenza un punto dellasse
di istantanea rotazione, quindi, istante per istante, quel punto dellellissoide
che ha velocit nulla; la velocit di trascinamento del punto di contatto, che
per definizione coincide con la velocit di strisciamento dunque nulla.
terzo passo
125
Figura ED. 11: distanza del punto fisso dal piano tangente
Detto:
n=
K
|K |
il versore normale al piano, che coincide con il versore del momento della
quantit di moto, la distanza di dal piano tangente data da:
h=xn=
!n=
|!| cos #
! !
1 = 2 2T
1=0
126
Quindi:
2
1
2T
Dunque:
|!| cos #
h= p
= costante
2T
essendo rapporto di due integrali primi del moto. Si noti che esistono due
soluzioni e quindi due piani paralleli tra loro ed equidistanti dal punto fisso
sui quali lellissoide rotola senza strisciare.
128
S = {(Ps , ms ) ; s = 1, 2, , n}
a vincoli lisci.
Statica
Dinamica
condizioni di equilibrio
Fs +
=0
ms as = F s +
vincoli lisci
L(v)
vincoli lisci
L(v)
0, 8 Ps
0, 8 Ps
L(a) 0, 8 Ps
s,
s = 1, 2, , n
(F s
ms as )
equazioni di Lagrange
129
s=1
s Ps =
n
X
s=1
(F s
Ps e sommando
ms as ) Ps
0,
8 Ps
Di conseguenza risulta:
n
X
s=1
(F s
ms as ) Ps 0,
8 Ps
(EL.1)
Principio di DAlembert
Il risultato appena ottenuto ammette uninterpretazione interessante.
Infatti si pu osservare che il passaggio dal principio dei lavori virtuali alla
disuguaglianza variazionale della dinamica si ottiene con una regola molto
semplice: dove nella statica sono presenti le forze attive F s in dinamica
troviamo le quantit F s ms as :
130
Statica
Dinamica
!
Fs
Fs
ms as
=0
Dinamica
!
(F s
ms as ) +
=0
ms as
equazioni di Lagrange
131
L(p) 0,
8 Ps
Equazioni di Lagrange
Ora, per poter utilizzare la disuguaglianza variazionale della dinamica,
ed ottenere le equazioni del moto di Lagrange, dobbiamo procedere facendo
diverse ipotesi:
i) vincoli lisci
ii) vincoli bilaterali
iii) sistema olonomo
Lipotesi che i vincoli siano lisci, come sappiamo, comporta che
il principio dei lavori virtuali sia una condizione anche necessaria per
lequilibrio di un sistema meccanico, e permette, quindi, di determinare
tutte le configurazioni di equilibrio del sistema. Analogamente, dal punto
di vista dinamico, la condizione che i vincoli siano lisci comporta che la
disuguaglianza variazionale della dinamica sia una condizione necessaria,
oltre che sufficiente, ai fini della determinazione del moto di un sistema
meccanico, e permette, quindi, di determinare tutti i moti del sistema.
Lipotesi che i vincoli siano bilaterali garantisce che tutti gli
spostamenti siano reversibili e quindi comporta che la (EL.1) risulti valida
sotto forma di uguaglianza:
n
X
s=1
(F s
ms as ) Ps = 0,
8 Ps
(EL.2)
132
vi
vx
x
v
vx
equazioni di Lagrange
133
Ps =
@Ps
qh
@qh
@Ps
Fs
qh
@qh
s=1
n
X
s=1
ms as
@Ps
qh = 0,
@qh
8 qh
Qh =
n
X
s=1
Fs
@Ps
@qh
E analogamente le quantit:
h =
n
X
s=1
ms as
@Ps
@qh
h ) qh = 0,
8 qh
(EL.3)
134
(Q
) q = 0,
8 q
(EL.4)
essendo:
Q (Qh ),
(h )
Dal momento che le forze possono dipendere solo dalle posizioni e dalle
velocit dei punti e al pi dal tempo, ma non dagli spostamenti virtuali, si ha:
t)
Q = Q(q, q,
Le quantit coinvolgendo le accelerazioni dipendono anche dalle
derivate seconde, ma comunque non dagli spostamenti virtuali:
q , t)
= (q, q,
Allora il prodotto scalare (EL.4), grazie allarbitrariet degli spostamenti
virtuali, pu annullarsi solo a condizione che:
=0
()
Qh
h = 0
equazioni di Lagrange
135
8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
1 = Q1
2 = Q2
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:
N = QN
h =
d @T
dt @ qh
@T
@qh
(EL.5)
DIMOSTRAZIONE
Partendo dallespressione dellenergia cinetica di un sistema particellare:
T =
n
1X
ms vs2
2 s=1
abbiamo:
d @T
dt @ qh
n
@T
1X
d @vs2
=
ms
@qh
2 s=1
dt @ qh
@vs2
@qh
136
1 d @vs2
2 dt @ qh
1 @vs2
@Ps
= as
2 @qh
@qh
(EL.6)
@v s
vs
@ qh
= as
@vs
d @vs
+ vs
@ qh
dt @ qh
vs =
ha:
@Ps
@Ps
qh +
@qh
@t
@v s
@Ps
=
@ qh
@qh
Quindi sostituendo si ottiene:
1 d @vs2
@Ps
d @Ps
= as
+ vs
2 dt @ qh
@qh
dt @qh
(EL.7)
(EL.8)
equazioni di Lagrange
137
@ dPs
@
=
@qh dt
@qh
@Ps
@Ps
qk +
@qk
@t
@
@
= qk
+
@qk @t
@ 2 Ps
@ 2 Ps
qk +
=
@qh @qk
@qh @t
@Ps
d @Ps
=
@qh
dt @qh
d @T
dt @ qh
@T
= Qh
@qh
(EL.9)
Qh =
@U
,
@qh
U = U (qk , t)
138
@
(T + U ) = 0
@qh
(EL.10)
@L
=0
@qh
(EL.11)
Qh =
@U
@qh
d @U
dt @ qh
(EL.12)
equazioni di Lagrange
139
Qh (qk , qk , t) =
@2U
q`
@ qh @ q`
@U
@qh
@2U
q`
@ qh @q`
@2U
@ qh @t
Qh =
@fk
@qh
@fh
@qk
qk +
@g
@qh
@fh
= hk qk +
@t
hk
140
B =r^A
8v, A
equazioni di Lagrange
141
r(v A) = (v r) A + v ^ (r ^ A)
E quindi:
F = e v ^ B = e v ^ (r ^ A) = r(e v A)
d
r (e v A)
dt v
= 0;
W = F v = ev ^ B v = 0
Forze dissipative
Un sistema di forze si dice dissipativo quando il lavoro compiuto durante
il moto si mantiene negativo o al pi nullo.
In particolare se le corrispondenti forze generalizzate di Lagrange sono
funzioni lineari omogenee di qk :
Qh =
hk qk
hk qh qk
142
R=
1
2
(EL.13)
hk qh qk
Qh =
@R
@ qh
@L
@R
+
=0
@qh @ qh
Considerazioni analitiche
Il sistema delle equazioni di Lagrange un sistema differenziale di ordine
2N , come si vede facilmente sviluppando la derivata rispetto al tempo nella
(EL.9), da cui si ottiene:
@2T
@2T
@2T
qk +
qk +
@ qh @ qk
@ qh @qk
@ qh @t
@T
= Qh
@qh
equazioni di Lagrange
143
1
ahk (q` , t) qh qk + bh (q` , t) qh + d(q` , t)
2
Per cui si ha che la matrice dei coefficienti delle derivate seconde, che
sono le derivate di ordine pi elevato, la matrice dellenergia cinetica:
@2T
= ahk
qh qk
Salvo casi degeneri, questa matrice definita positiva e quindi non
singolare. Perci il sistema delle equazioni di Lagrange pu essere portato
in forma normale risolvendolo rispetto alle derivate di ordine pi elevato.
Notiamo che la presenza di un potenziale generalizzato, dovendo essere
questultimo una funzione lineare delle q` non contribuisce alla formazione
dei coefficienti delle q` .
Integrale generale e integrali particolari del moto
Si estendono alle equazioni di Lagrange i concetti di integrale generale
del moto e di integrale particolare del moto gi noti per la dinamica del
punto e dei sistemi.
Si dice integrale generale del moto lintegrale generale del sistema
delle equazioni del moto, cio la famiglia delle 12N soluzioni del sistema
(EL.9), caratterizzata da 2N costanti, tante quanto lordine del sistema
differenziale. Lintegrale generale si pu rappresentare come:
qh = qh (t, c1 , c2 , , c2N )
(EL.14)
144
8t
equazioni di Lagrange
145
@L
= costante
@ qh
1
m (x 2 + y 2 + z 2 )
2
1 2 2
k x
2
che conduce alle equazioni del moto di un punto materiale soggetto ad una
forza elastica parallela allasse delle ascisse, avente centro nellorigine. I
parametri lagrangiani sono qui le coordinate del punto x, y, z e si osserva
che le coordinate y, z sono cicliche, in quanto non compaiono direttamente
nella lagrangiana, ma solamente attraverso le loro derivate temporali. Restano
allora individuati i due integrali primi:
@L
= m y = m y 0 ,
@ y
@L
= m z = m z0
@ z
146
Osservazioni
A conclusione facciamo qualche considerazione complementare sul
principio di DAlembert che stato esaminato sopra. Viene naturale
domandarsi se linterpretazione delle equazioni del moto come condizioni
di equilibrio una formalit matematica oppure ha un senso fisico; in altri
termini se esiste un osservatore rispetto al quale, durante il moto il sistema
si trova effettivamente in equilibrio. La risposta immediata, in quanto ogni
punto sempre in equilibrio rispetto ad un osservatore la cui origine si trova
in quel punto.
Infatti se scriviamo, per il generico punto Ps la condizione di equilibrio
relativo del punto rispetto ad un osservatore la cui origine si trova in Ps e i
cui assi sono comunque orientati, avremo:
)
F s + F (
s +
=0
essendo:
)
F (
s =
)
ms a(
s
ms as +
=0
equazioni di Lagrange
147
Figura EL. 2: legame fra il moto e lequilibrio relativo del punto di un sistema
Ma:
>
:
R(e,a) + R( ) + R(e,v) = 0
(e,a)
( )
(e,v)
+ M + M
R( ) =
n
X
s=1
)
ms a(
s
=0
148
( )
M =
n
X
s=1
)
Ps ^ ms a(
s
Dunque:
R( ) =
n
X
ms as =
s=1
( )
M =
n
X
s=1
Ps ^ ms as =
m v ^ vG
Qh + Qh = 0
Ma in questo caso:
equazioni di Lagrange
( )
Qh =
n
X
s=1
149
)
ms a(
s
@Ps
=
@qh
n
X
s=1
ms as
@Ps
=
@qh
h, ` = 1, 2, , N
yh = zh
0
zh = fh (x, y` , z` )
equazioni di Hamilton
151
qh = vh
>
: d @L
dt @vh
@L
@qh
(EH.1)
=0
ph =
@L
@ qh
(EH.2)
152
! (qh , ph )
B
J
@
hk
@ph
@qk
@ph
@vk
1
C
A
in tutti i punti dello spazio delle variabili (qh , vh ). Condizione che garantita
dalla regolarit della trasformazione che coinvolge le sole variabili che
vengono modificate:
v
! p
@vk
@vh @vk
(EH.3)
equazioni di Hamilton
153
Trasformate di Legendre
Il tipo di trasformazione che ci interessa esaminare ben nota e prende il
nome di trasformazione di Legendre.
Essa si pu caratterizzare nel modo seguente. Consideriamo una funzione
differenziabile:
f :A
A RN
! R,
! R
f (xh )
(EH.4)
@f
=0
@xk
(EH.5)
f (xh )
(EH.6)
154
df +
d'k
@g
dyh = xh dyh + yh dxh
@yh
@f
dxh +
@xh
k.
Sviluppando si ha:
@'k
dxh +
@xh
@'k
dyh
@yh
@'k
,
@yh
@f
= yh +
@xh
@'k
@xh
@f
= yh ,
@xh
=0
a condizione che:
det
@'k
=
@xh
det
@2f
6= 0,
@xh @xk
8x 2 A
(EH.7)
equazioni di Hamilton
155
Essendo tale matrice non singolare non pu avere autovalori nulli e quindi
k = 0; diversamente esisterebbe un autovettore associato ad un autovalore
nullo. Osserviamo anche che la richiesta che la matrice hessiana della f
sia non singolare su tutto il dominio A equivale a richiedere che la forma
quadratica:
@2f
vh vk 6= 0
@xh @xk
sia non nulla per ogni v, in ogni punto di A. Ma se tale forma quadratica non
si annulla (essendo f di classe C (2) ) essa ha lo stesso segno in tutto il dominio
A, ad esempio, sempre positiva; allora la condizione equivale a richiedere
che la funzione f sia convessa su tutto A. Osserviamo che questa condizione
di convessit anche la condizione che rende legittimo il cambiamento di
variabili x ! y in tutto il dominio A. Possiamo allora passare dalla
formulazione di un problema nelle variabili x alla formulazione dello stesso
problema nelle variabili y facendo entrare in gioco la trasformata di Legendre
g che dipende solo da y in luogo della f che dipende da x.
Equazioni di Hamilton
Lapplicazione della trasformazione di Legendre:
! p
H = vh ph
(EH.8)
156
L(qh , vh , t)
@L
= ph
@vh
(EH.9)
@L
,
@qh
@H
=
@t
@L
@t
(EH.10)
qh =
@H
,
@ph
ph =
@H
@qh
(EH.11)
equazioni di Hamilton
157
qh = qh (t, c1 , c2 , , c2N )
(EH.12)
ph = ph (t, c1 , c2 , , c2N )
= (q1 , q2 , , qN , p1 , p2 , , pN , t)
si dice integrale primo del moto quando, sostituendo in essa alle variabili
qh , ph le funzioni qh (t), ph (t) che rappresentano un integrale particolare del
moto, la funzione assume un valore costante nel tempo:
8t
158
()
ph = costante
@L
=0
@qh
equazioni di Hamilton
159
d
@
@
@
(q` , p` , t) =
qh +
ph +
=0
dt
@qh
@ph
@t
Eliminando qh , ph mediante le equazioni di Hamilton ricaviamo:
d
@ @H
(q` , p` , t) =
dt
@qh @ph
@ @H @
+
=0
@ph @qh
@t
[f, g] =
@f @g
@qh @ph
@f @g
@ph @qh
(EH.13)
si pu riscrivere:
d
@
(q` , p` , t) = [ , H] +
=0
dt
@t
Osserviamo, in particolare, che quando la funzione
esplicitamente dal tempo, cio si ha:
non dipende
@
=0
@t
la condizione affinch una funzione delle sole variabili canoniche sia un
integrale primo del moto si riduce a richiedere che si annulli la sua parentesi
di Poisson con lhamiltoniana:
d
(q` , p` ) = [ , H] = 0
dt
160
ha:
dH
@H
@H
= [H, H] +
=
=0
dt
@t
@t
Lhamiltoniana, dunque, risulta essere un integrale primo del moto se e
solo se non dipende esplicitamente dal tempo. Grazie alla seconda delle
(EH.10) sappiamo che questo equivale a richiedere che la lagrangiana non
dipenda esplicitamente del tempo.
Facendo uso delle parentesi di Poisson possibile riscrivere in una nuova
forma le equazioni canoniche. Si ha infatti:
8
>
<
>
:
qh = [qh , H]
(EH.14)
ph = [ph , H]
equazioni di Hamilton
161
T1 = bh qh ,
T2 =
1
ahk qh qk
2
U0 = g,
U1 = fh qh
Allora abbiamo:
ph = ahk qk + bh + fh
Quindi:
qh ph = ahk qh qk + bh qh + fh qh = 2T2 + T1 + U1
Segue:
H = T2
T0
U0
(EH.15)
@f
= nf
@xi
(EH.16)
162
@L
= 2 T2 + T1 + U1
@ qh
E quindi:
H = qh ph
L = 2 T2 + T1 + U1
(T2 + T1 + T0 + U1 + U0 ) = T2
T0
U0
=)
T = T2
U0
(EH.17)
U =T +V =E
(EH.18)
equazioni di Hamilton
163
R=
M
X
qh ph
h=1
(EH.19)
R = R(q1 , q2 , qN , p1 , p2 , , pM , qM +1 , qM +2 , , qN , t)
Le equazioni del moto del sistema sono allora date da un sistema misto di
equazioni di Hamilton e di equazioni di Lagrange:
8
>
>
>
>
>
>
<
qh =
p =
h
>
>
>
>
>
>
: d @R
dt @ qh
@R
@ph
@R
,
@qh
@R
@qh
h = 1, 2, M
= 0,
h = M + 1, M + 2, , N
(EH.20)
164
u = f (u, t)
Si suppone che:
f :AR
! Rn ,
A Rn
166
8" 2 R+ 9 (") 2 R+ :
ku0
0 k < (")
u
(SO.2)
=)
ku(t)
8t > 0
t ! +1
(t)k = 0
u
(SO.3)
8t
8t
167
u k < (")
(SO.4)
=)
ku(t)
u k < ",
8t > 0
t ! +1
u k = 0
(SO.5)
@T
= Qh
@qh
qh = vh
>
: d @T
dt @vh
@T
@qh
= Qh
168
u (qh , vh )
che appartiene allo spazio degli stati del sistema, che denotiamo con U, di
cui lo spazio delle configurazioni C, al quale appartengono i vettori q (qh ),
e lo spazio delle velocit V, al quale appartengono i vettori v (vh ),
rappresentano dei sottospazi. Denotata con k kU la norma nello spazio degli
stati del sistema, possiamo caratterizzare le norme nei sottospazi C e V nel
modo seguente:
kqkC = k(qh , 0)kU ,
>
;
8
>
<
=)
>
:
kq(t)
q kC < "
kvkV kukU
8t > 0
(SO.6)
169
Teorema di Ljapunov
Uno stato di equilibrio u di un sistema differenziale:
u = f (u, t)
stabile se esiste una funzione '(u), detta funzione di Ljapunov,
differenziabile in un intorno I(u), tale che:
i) '(u) ha un minimo relativo stretto in u , cio:
8
>
<
>
:
u 2 I(u )
'(u) = '(u )
=)
'(u )
'(u)
u = u
()
8t > 0
DIMOSTRAZIONE
Consideriamo lo sviluppo in serie di Taylor della funzione '(u)
nellintorno del punto di equilibrio u :
{z
=0
u ) +
}
u ) + O(3),
170
dove:
@2 '
(u` ) = H
,
@ uj @ uk
(ru ru ) '(u ) =
'(u ) =
1
(u
2
u ) H
(u
u ) + O(3).
(SO.7)
u = r e,
r = ku
u k,
e=
u
ku
u
.
u k
(SO.8)
E quindi ottenere:
'(u)
'(u ) =
1
(e H
e) r2 + O(3).
(SO.9)
Ma:
eH
e=H
rr
@2 '
(u ),
@ r2
(SO.10)
non altro che lelemento della matrice hessiana relativo alla coordinata
polare r, il cui asse identificato dal versore e.
Infatti la derivata direzionale lungo e non altro che la derivata parziale
rispetto ad r:
e ru =
@
.
@r
171
'(u)
"
1 @2 '
'(u ) =
(u ) r2 + O(3).
2
2 @r
(SO.11)
(SO.12)
"
(SO.13)
1 @2 '
'(u ) =
(u ) r(t)2 ,
2 @ r2
'(u(t))
'(u0 )
1 @2 '
'(u ) =
(u ) r02 .
2 @ r2
'(u(t))
"
1 @2 '
'(u0 ) =
(u ) [r(t)2
2 @ r2
r02 ].
(SO.14)
Ovvero:
'(u(t))
"
1 @2 '
'(u0 ) =
(u ) [r(t) + r0 ][r(t)
2 @ r2
r0 ] 0.
(SO.15)
172
ii) '(u(t)) una funzione non crescente di t durante il moto, per cui:
'(u0 ) 0,
'(u(t))
Da cui segue:
r0 0.
r(t)
8 t > 0.
1 @2 '
'(u(t)) '(u0 ) =
(u ) [r(t) + r0 ] [r(t) r0 ] 0.
|
{z
}
|
{z
}|
{z
}
2 @ r2
0
{z
>0
ku0
u k < (")
=)
173
ku(t)
u k r0 < ",
8t > 0
Teorema di Dirichlet
Applichiamo il teorema di Ljapunov allo studio della stabilit nel caso di
un sistema meccanico soggetto a forze conservative. Si dimostra in questo
caso il teorema di Dirichlet.
Se un sistema olonomo a vincoli indipendenti dal tempo, soggetto
a sole forze conservative e il potenziale presenta un massimo relativo
stretto in una configurazione di equilibrio ordinaria q allora questa
una configurazione di equilibrio stabile
DIMOSTRAZIONE
In questo caso esiste una funzione di Ljapunov rappresentata dallenergia
meccanica del sistema:
= T (q, q)
E(q, q)
U (q)
174
Eequil. =
U (q )
E(q(t), q(t))
=0
dt
Notiamo che la seconda propriet soddisfatta come uguaglianza.
Di conseguenza la configurazione di equilibrio q stabile.
Il teorema si estende facilmente anche al caso in cui, oltre alle forze
conservative, sono presenti delle forze dissipative, perch in questo caso
lenergia meccanica sempre una funzione di Ljapunov, in quanto ha ancora
un minimo per q = q , q = 0, cio allequilibrio; ma non pi un integrale
primo del moto. Tuttavia, dal momento che il lavoro delle forze dissipative,
per definizione, non positivo, il bilancio dellenergia comporta:
d
E(q(t), q(t))
= Wdissip. 0
dt
Dunque lenergia meccanica una funzione di Ljapunov e lequilibrio
stabile.
Studio del potenziale nelle configurazioni di equilibrio
E importante osservare che il teorema di Dirichlet consente di ricondurre
lanalisi dinamica della stabilit dellequilibrio di un sistema soggetto a forze
conservative (ed eventualmente anche dissipative) alla ricerca dei punti di
massimo della funzione potenziale, che viene analizzata nelle configurazioni
di equilibrio ordinarie del sistema, senza coinvolgere lo studio del moto. Il
175
@2U
(q ) (qh
@qh @qk `
qh )(qk
U (q` ) =
1
+
2
"
U (q` )
@U
+
(q` ) (qh
@qh
qh )+
qk ) + O(3)
U (q) = U (q ) + rq U (q ) (q
1
q ) + (q
2
q) H
(q )(q
q ) + O(3)
dove:
@2U
(q)
(q)
H
@qh @qk
la matrice hessiana del potenziale.
Richiedere che la configurazione di equilibrio rappresenti un punto
di massimo per il potenziale, come noto dallanalisi, comporta come
condizione necessaria, che sia nullo il gradiente del potenziale:
Q = rq U (q ) = 0
condizione che, per il principio dei lavori virtuali, in presenza di vincoli lisci,
equivale a richiedere che la configurazione ordinaria q sia una configurazione
di equilibrio.
176
Rimane allora:
U (q)
U (q ) =
1
(q
2
q) H
(q
q ) + O(3) < 0,
q 6= q
=H
(q )
sia definita negativa. Notiamo che qualora, invece, la matrice risulti definita
positiva il potenziale possiede un minimo relativo, mentre i punti in cui la
matrice hessiana non definita di segno, essendo non singolare, sono punti
di sella del potenziale. Dal punto di vista meccanico consideriamo entrambe
queste possibilit come configurazioni di equilibrio instabili.
Lo studio del comportamento della matrice hessiana pu essere condotto
con i metodi noti dallanalisi, come lo studio dei segni degli autovalori,
metodo conveniente soprattutto se la matrice si presenta in forma diagonale,
oppure con il metodo di Sylvester che risulta maggiormente conveniente se la
matrice non si presenta in forma diagonale.
Piccole oscillazioni
Quando sussiste la condizione di stabilit sempre possibile approssimare
le equazioni del moto di Lagrange di un sistema olonomo, a vincoli
indipendenti dal tempo e soggetto a forze conservative, equazioni che in
genere non sono lineari linearizzandole nellintorno di una configurazione
di equilibrio stabile del sistema. Le equazioni cos approssimate hanno
il vantaggio di essere integrabili analiticamente e di fornire informazioni
177
Lagrangiana approssimata
Lapprossimazione lineare delle equazioni del moto si pu ottenere
approssimando la lagrangiana ad una forma quadratica rispetto ai parametri
lagrangiani e alle loro derivate, in modo che le derivate della lagrangiana
rispetto a queste variabili, che compaiono nelle equazioni del moto, siano
lineari. Ci occorrono allora, gli sviluppi in serie di Taylor del potenziale e
dellenergia cinetica i quali devono essere troncati al secondo ordine.
Consideriamo il potenziale che, nellintorno di una configurazione di
equilibrio stabile q (q` ), si sviluppa nel modo seguente:
"
@2U
(q` ) (qh
@qh @qk
qh )(qk
U (q` ) =
1
+
2
"
U (q` )
@U
+
(q ) (qh
@qh `
qh )+
qk ) + O(3)
178
kq 0
()
zh = qh
qh
U=
1
H zh zk
2 hk
dove Hhk
sono gli elementi della matrice hessiana calcolata nella
configurazione di equilibrio.
T =
1
ahk (q` ) qh qk
2
ahk (q` ) =
1
+
2
"
179
ahk (q` )
"
@ahk
+
(q ) (qh
@qh `
@ 2 ahk
(q ) (qh
@qh @qk `
qh )(qk
qh )+
qk ) + O(3)
1
a zh zk
2 hk
1
1
ahk zh zk + Hhk
zh zk
2
2
Equazioni linearizzate
Le equazioni di Lagrange approssimate si scrivono di conseguenza:
d @L
dt @ zj
@L
=0
@zj
180
Abbiamo:
@L
1
= ahk
@ zj
2
jh zk
1
a zh
2 hk
jk
= ajk zk
jh zk
1
H zh
2 hk
jk
= Hjk
zk
Hjk
zk = 0
H
z=0
(SO.16)
181
=
z
de
a
d
H
de
=0
a
)d = 0
(SO.17)
a
)=0
(SO.18)
H
d=
riscrivendo la
a
d
182
dH
d
da
d
>0
2a
det (H
+ ! )=0
(SO.19)
(+)
z(t) = dh ch ei !
(h) t
( )
+ ch e
i ! (h) t
183
Coordinate normali
Poniamo di rappresentare il vettore z sulla base degli autovettori dk
relativi al problema agli autovalori (SO.17) Abbiamo:
(SO.20)
z = Zk dk
Sostituendo nel sistema differenziale (SO.16) otteniamo:
a
(Zk dk )
H
(Zk dk ) = 0
H
dk =
! (k)
Zk + ! (k)
a
dk
Zk dh a
dk = 0
a
Come noto il problema agli autovalori, essendo H
simmetrica e
simmetrica e definita positiva, ammette una base di autovettori tali che:
dh a
dk =
hk
Di conseguenza rimane:
Zh + ! (h)
Zh = 0
(SO.21)
184
8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:
Z1 + ! (1)
Z2 + ! (2)
2
2
ZN + ! (N )
Z1 = 0
Z2 = 0
ZN = 0
(SO.20) per a
dh :
za
dh = Zk dk a
dh
Tenendo conto che:
dh a
dk =
hk
si ricava:
Zh = z a
dh
(SO.22)
u = f (u, t)
essendo:
f : A R ! Rn ,
A Rn
186
f (u0 , t)k C ku
u0 k, 8u, u0 2 D A
u = f (u)
(AQ.2)
U = F (U ),
187
U B
@
u
#
C
A,
F (U ) B
@
f (u, !# )
!
1
C
A
t!1
i, k = 1, 2, 3
188
8
>
<
>
:
x i = vi
v i =
1
m
Fi (xk , vk , t)
uB
@
xi
vi
C
A,
B
@
vi
1
m
Fi (xk , vk , t)
1
C
A
Lo spazio delle fasi del punto lo spazio delle posizioni e delle velocit.
Si osserva, poi, che il sistema risulta autonomo qualora la forza non dipenda
esplicitamente dal tempo e non autonomo in caso contrario.
ii) Equazioni di Hamilton
Un altro esempio semplice offerto dalle equazioni di Hamilton, le quali
sono gi del primo ordine:
qh =
ph =
@H
@ph
@H
@qh
u@
qh
ph
C
A,
0
B
@
@H
@ph
@H
@qh
1
C
A
189
u@
x
y
C
A,
0
B
f @
y
1
m
F (x, y, t)
1
C
A
@T
=Q
@x
190
1
a(x) x 2
2
(AQ.3)
=)
d @T
= a(x) x + a0 (x) x 2
dt @ x
@T
1
= a0 (x) x 2
@x
2
dove lapice denota la derivata rispetto allargomento x. E quindi lequazione
di Lagrange si specializza nella forma seguente:
a(x) x +
1 0
a (x) x 2 = Q(x, x,
t)
2
(AQ.4)
x = g(x, x,
t),
1
g(x, x,
t) =
Q(x, x,
t)
a(x)
1 0
a (x) x 2
2
(AQ.5)
191
Rappresentazione grafica
Uno stato del sistema differenziale u, valutato in un certo istante, viene
rappresentato da un punto sul piano delle fasi (punto di fase). Assegnando
delle condizioni iniziali u0 (x0 , y0 ) (x0 , x 0 ) si individua il punto di
partenza del moto. Lintegrale particolare u(t) corrispondente unico se la
funzione f lipschitziana, ed caratterizzato da:
8
>
<
>
:
x(t) = x(t, x0 , y0 )
y(t) = y(t, x0 , y0 )
v f = u (x,
y)
(x,
x)
(AQ.6)
192
y
y>0
(x 0 ,y 0 )
x
O
y<0
Questo vettore non va confuso con la velocit del moto nello spazio delle
configurazioni che costituisce solo la prima componente della velocit di fase,
mentre la seconda componente data dallaccelerazione. La velocit di fase
un vettore che si mantiene tangente alle traiettorie di fase durante il moto.
Osserviamo che quando viene dato un sistema differenziale di equazioni
del primo ordine, la funzione f descrive il campo delle velocit di fase che
caratterizza il sistema.
Punti fissi e punti di equilibrio
Si dicono punti fissi quei punti del sistema che hanno velocit di fase
nulla: in questi punti la velocit e laccelerazione sono contemporaneamente
nulle, per cui il sistema meccanico si trova in quiete; di qui la denominazione
di punti fissi.
Essendo nulla la velocit i punti fissi appartengono sempre allasse delle
ascisse, in quanto y = x = 0. Tuttavia non tutti i punti dellasse delle ascisse
sono punti fissi in quanto la condizione di appartenenza a tale asse y = 0, da
sola, non dice nulla sullaccelerazione.
Se la f lipschitziana cos che valga il teorema di unicit della soluzione
193
(x ,y )
0 0
x = f (x, x)
(AQ.7)
194
8
>
<
>
:
x = y
(AQ.8)
y = f (x, y)
x = x(t)
(AQ.9)
y = y(t)
d
dy dx
y(x(t)) =
= y 0 x
dt
dx dt
195
y0 =
y
,
x
y = x 6= 0
y0 =
1
f (x, y)
y
(AQ.10)
(AQ.11)
196
Singolarit
Analizziamo ora il comportamento delle curve integrali nei punti
singolari, in cui y = x = 0, cio nei punti dellasse delle ascisse del piano
delle fasi. Notiamo che questi punti che sono singolari dal punto di vista
geometrico, per le curve integrali, sono punti estremamente significativi dal
punto di vista del problema meccanico. Essi perci devono essere analizzati
e classificati.
i) punti di equilibrio: x = 0, x = 0
Sono i punti fissi del sistema, nei quali oltre alla velocit y = x si
annulla anche laccelerazione y = x, cio si annulla la velocit di fase. Di
conseguenza risulta nulla anche la funzione f (x, 0). Nella (AQ.10) la derivata
y 0 presenta unindeterminazione del tipo 00 . Geometricamente la tangente
risulta indeterminata.
ii) Punti di inversione del moto: x = 0, x 6= 0
Questi punti si trovano sullasse delle ascisse del piano delle fasi, ma non
sono punti fissi, in quanto la velocit di fase non nulla, essendo non nulla
laccelerazione y = x. Perci dal sistema (AQ.8) abbiamo linformazione
f (x, 0) 6= 0. Lequazione delle curve integrali ci d linformazione
conseguente relativa al limite della derivata:
lim y 0 = lim
y!0
y!0
1
f (x, 0) = 1
y
197
1
V 0 (x)
my
(AQ.12)
198
m y y0 =
V 0 (x)
()
d 1
m y 2 + V (x) = 0
dx 2
Da cui, integrando:
1
m y 2 + V (x) = costante
2
Ma y = x la velocit del punto, e quindi lequazione precedente esprime
lintegrale primo dellenergia meccanica. Concludendo:
le curve integrali del moto di un punto soggetto a forza conservativa
sono le curve di livello dellenergia meccanica, cio le curve lungo le quali
lenergia mantiene valore costante.
Possiamo riscrivere lequazione delle curve di livello indicando la costante
con il valore dellenergia:
1
m y 2 + V (x) = E
2
(AQ.13)
y=
2
[E
m
V (x)]
(AQ.14)
V (x)
199
V (x) =
1 2 2 1
k x = m ! 2 x2 ,
2
2
!2 =
k2
m
y2
2E
m
=1
200
V 0 (x)
1
1
V 0 (x) + a0 (x) y 2
a(x) y
2
(AQ.15)
Rispetto allequazione del punto notiamo che qui la funzione a(x) che
caratterizza lenergia cinetica prende il posto della massa. Abbiamo allora:
1
a(x) y y + a0 (x) y 2 +V 0 (x) = 0
2
0
()
d 1
a(x) y 2 + V (x) = 0
dx 2
201
Essendo:
d 1
1
a(x) y 2 = a(x) y y 0 + a0 (x) y 2
dx 2
2
Dunque le curve integrali sono caratterizzate dallequazione:
1
a(x) y 2 + V (x) = costante
2
che rappresenta lintegrale primo dellenergia del sistema olonomo, essendo:
T =
1
a(x) x 2 ,
2
x = y
1
a(x) y 2 + V (x) = E
2
(AQ.16)
y=
2
[E
a(x)
V (x)]
(AQ.17)
202
a(x) y 2 + V (x) = E1
a(x) y 2 + V (x) = E2
x = x(t)
y = y(t)
che rappresentano le traiettorie di fase del moto, non sono altro che le curve
di livello dellintegrale primo. Di conseguenza abbiamo:
203
d
@
@
(x(t), y(t)) =
x +
y = 0
dt
@x
@y
Da cui ricaviamo:
y0 =
y
=
x
@
@x
@
@y
1
f (x, y)
y
(AQ.18)
y(x)
y 0 x = 0 e dunque:
y 0 x)
204
d
((t)) = 0,
dt
((t)) = costante
=)
xE = V
(E)
(AQ.19)
205
x xE ,
(2)
xE
In quanto la disequazione:
V (x)
ammette due sole soluzioni del tipo esaminato nel caso dellenergia potenziale
monotona, perch lenergia potenziale monotona crescente per x < x e
monotona decrescente per x > x e quindi la retta di equazione V = E ha due
(1)
(2)
intersezioni distinte con la curva dellenergia potenziale. I due punti xE , xE
sono due punti di inversione del moto e il moto non permesso nellintervallo
compreso tra essi.
b) E > V
In questo caso la condizione di realt della radice in (AQ.17) sempre
soddisfatta e tutto lasse delle x pu essere percorso dal moto, in quanto si ha:
206
E
x
x*
x
O
V (x) V
=)
V (x)
V >0
y =
2
(E
a(x )
V )
207
a0 (x ) y
2 a(x )
x*
x
O
208
c) E = V curve separatrici
Siamo nel caso limite tra i due precedenti. In questo caso, come
nel precedente, la condizione di realt della radice in (AQ.17) sempre
soddisfatta e tutto lasse delle x pu essere percorso dal moto, in quanto si
ha:
V (x) V
=)
V (x) = V
V (x)
La radice x dellequazione:
V (x) = E
ha molteplicit M = 2, come si verifica tenendo conto che la funzione
da annullare f (x) = V (x)
E, la cui derivata prima in x nulla:
0
0
f (x ) = V (x ) = 0. La retta di equazione y = E e la curva dellenergia
potenziale hanno un contatto del primo ordine in x , e sono quindi tangenti.
La curva di livello corrispondente ha equazione:
s
y=
2
[V
a(x)
V (x)]
(AQ.20)
209
= lim
x!x
= lim
x!x
V 0 (x) + 12 a0 (x) y 2
a(x) y
V 00 (x )
0
a(x ) y
da cui si ricava:
0
y
=
v
u
u
t
V 00 (x )
a(x )
(AQ.21)
Come si vede esistono due tangenti alle separatrici nel punto di fase
(x , 0).
1
a(x) y 2 + V (x)
2
@E
(x, y) = a(x) y
@y
210
E
x
x*
x
O
E questo comporta:
@E
(x , 0) = 0,
@x
@E
(x , 0) = 0
@y
@2E
1
(x, y) = a00 (x) y 2 + V 00 (x),
@x2
2
Esaminando le derivate
@2E
(x, y) = a0 (x) y
@x@y
211
@2E
(x, y) = a(x)
@y 2
Da cui:
@2E
(x , 0) = V 00 (x ) < 0,
@x2
@2E
(x , 0) = 0
@x@y
@2E
(x , 0) = a(x ) > 0
@y 2
essendo in un punto di massimo per lenergia potenziale, ed essendo sempre
positiva la a(x). Allora la matrice hessiana di E non definita di segno e
siamo in un punto di sella:
0
B
@
V 00 (x )
0
a(x )
1
C
A
212
V (x)
V =)
V (x)
V =) E
V (x) E
V <0
E quindi la disequazione:
E
V (x)
213
b) E > V
In questo caso la condizione di realt della radice in (AQ.17) ammette
(1)
(2)
sempre due radici distinte xE , xE , corrispondenti alle due intersezioni della
retta di equazione y = E con la curva dellenergia potenziale; e dal momento
che V (x) monotona crescente per x > x e monotona decrescente per
x < x il moto pu avvenire solo nellintervallo:
(1)
(2)
xE x xE
y =
2
(E
a(x )
V )
a0 (x ) y
2 a(x )
214
T =2
Z x(2)
E
(1)
xE
Z x
dx
E
= 2 (1) q
y(x)
xE
(2)
dx
2
a(x)
[E
V (x)]
x*
E
x
O
Figura AQ. 10: curve di livello con energia superiore al minimo dellenergia
potenziale
c) E = V
In questo caso, la condizione di realt della radice in (AQ.17), unitamente
alla condizione di minimo relativo, comporta:
8
>
<
>
:
215
V (x) = V
V (x) 0
V (x)
x
O
216
calcoli sono identici al caso del punto di sella, con la differenza che ora
V 00 (x ) > 0 trattandosi di un punto di minimo dellenergia potenziale.
Ne viene di conseguenza che la matrice hessiana dellenergia meccanica
definita positiva:
0
B
@
V 00 (x )
a(x )
1
C
A
217
x*
x
E
b) E > V
Anche in questo caso il comportamento simile a quello che si ha con
V (x) monotona, e quindi esiste un solo punto di inversione xE > x in
corrispondenza di ogni valore dellenergia meccanica. Tuttavia la funzione
V (x) non strettamente crescente dappertutto, in quanto nel punto di flesso
la sua derivata si annulla. Esistono due punti di intersezione della curva di
livello con la retta x = x , che possiamo scegliere coincidente con lasse y,
le cui ordinate valgono:
218
y =
2
[E
a(x )
V ]
0
y
=
a0 (x ) y
2 a(x )
V (x) = V
V (x)
=)
219
V
E
x*
x
O
y=
2
[V
a(x)
V (x)]
(AQ.22)
220
0
y
=
v
u
u
t
V 00 (x )
=0
a(x )
221
Figura AQ. 16: punto di sella instabile compreso fra due centri stabili
Si noti che quando sono presenti pi punti di sella si hanno tante curve
separatrici distinte quanti sono i massimi di V (x) distinti.
222
Figura AQ. 17: centro stabile compreso fra due punti di sella instabili
m g `cos #
m g `cos # = E
m g `cos x = E
223
Esplicitando y si ha:
s
y=
2
(E + m g ` cos x)
m `2
essendo a(x) = m `2 .
I punti fissi sono dati dallannullarsi della derivata prima dellenergia
potenziale e sono alternativamente punti di massimo (punti di sella instabili)
e punti di minimo (centri stabili). Infatti abbiamo:
V 0 (x) = m g` sen x,
V 00 (x) = m g` cos x
x = 2 k ,
V2k
= mg`
V2k+1
=
x = (2 k + 1) ,
Notiamo che i valori dei massimi di V (x) sono tutti uguali, per cui le
due curve separatrici sono comuni a tutti punti di sella. Lequazione delle
curve separatrici si ottiene imponendo allenergia meccanica totale il valore
del massimo dellenergia potenziale m g `. Abbiamo perci:
s
y=
2g
g
x
(1 + cos x) = 2
cos
`
`
2
224
g
`
a2 =
2 (E + m g `)
,
mg`
b2 =
2 (E + m g `)
m `2
225
x = Ae
pt
cos (
! t + ),
!
=
!2
p2
226
Da cui segue:
y=
px
!
Ae
pt
sen (
!t + )
x
Ae
pt
sen (
!t+ ) =
y + px
!
A e pt
h x 2
227
h
y
m
h
m
(x x0 )
m x + x x = 0
Lequazione del moto si pu riscrivere evidenziando lesistenza di un
integrale primo del moto:
228
Figura AQ. 20: curve integrali del moto di un punto soggetto a resistenza
idraulica
d
1
(m x + x2 ) = 0
dt
2
=)
m x +
1
x2 = C
2
1
C
m
1
x2
2
229
u = f (u),
0
B
u@
x
y
C
A,
f (u) @
y
'(x, y)
1
C
A
(AQ.23)
in cui:
f : A ! R2 ,
A R2
@fi
(u )
@uk `
(AQ.24)
sia non singolare. Allora possiamo scrivere lo sviluppo in serie di Taylor della
f nellintorno di u :
fi (u` ) = fi (u` ) +
@fi
(u )(uk
@uk `
uk ) + Ri (2)
f (u) = f (u ) + A
(u
u ) + R(2)
u k < "
230
u = f (u ) + A
(u
u )
z = A
z,
z=u
(AQ.25)
231
I )d = 0
det (A
I)=0
(AQ.26)
2p + q = 0
nella quale:
2 p = tr (A
),
q = det (A
)
non
232
0
@'
(x , 0)
@x
1
@'
(x , 0)
@y
p2
q>0
=p
p2
(2)
q,
=p+
p2
Sik = di
porta la matrice A
nella forma diagonale:
=S
A
S
z=S
z
233
(, ) diviene allora:
Il sistema differenziale per i nuovi stati z
= A
S
z
S
z
E quindi:
= A z
Ovvero, esplicitamente:
8
>
<
>
:
(1)
(2)
= 0 e
= 0 e
(1)
(2)
(AQ.27)
t = log 4
0
E quindi:
1
(1)
3
5
234
= 0
(2)
(1)
= k ,
(2)
(1)
k = 0 0
(AQ.28)
Discutiamo i vari casi che si presentano in funzione dei valori assunti dal
rapporto tra gli autovalori. Non dimentichiamo che la matrice, per ipotesi
non singolare e quindi gli autovalori sono entrambi non nulli, per cui si ha,
in ogni caso 0 < || < +1 e inoltre 6= 1, in quanto gli autovalori devono
essere distinti.
Nodi: > 0
Cominciamo ad esaminare il caso in cui > 0: le traiettorie presentano
un andamento simile a quello parabolico e le singolarit si dicono nodi. Si
hanno le due possibilit:
i) 0 < < 1
In questa situazione le traiettorie di fase, che passano tutte per lorigine,
hanno tangente comune verticale. Infatti:
d
= k
d
Ed essendo,
1 < 0 segue:
lim
!0
d
= +1
d
235
236
ii) > 1
In questo caso la struttura delle traiettorie simile alla precedente, ma la
tangente comune nellorigine orizzontale, in quanto 1 > 0 e quindi:
lim
!0
d
=0
d
237
||,
q<0
p2
q=0
238
(1)
(2)
= p
sono chiamate:
Nodi degeneri
Quando gli autovalori sono coincidenti possono presentarsi due situazioni.
i) A
239
diagonalizzabile
In questo caso A
diagonalizzabile, in quanto si pu costruire una
matrice S
non singolare, che porta i vettori di base dello spazio a coincidere
con gli autovettori, che formano essi pure una base. Allora il sistema
differenziale (AQ.25) si riconduce, nelle nuove variabili in cui la matrice
diagonale, nella forma:
8
>
<
>
:
= p
= p
= 0 ep t
= 0 ep t
(AQ.29)
k=
0
0
240
non diagonalizzabile
241
S
@
d1 u1
d2 u2
1
C
A
dove:
d (d1 , d2 )
lunico autovettore, normalizzato allunit e:
u (u1 , u2 )
un vettore che forma con esso una base ortogonale e non evidentemente
autovettore. Allora si ha:
d2 = 1,
du=0
Gli elementi della matrice riferita alla base di questi due vettori, cio dopo
la trasformazione di similitudine indotta da S
sono allora i seguenti:
A11 = d A
d=
A21 = u A
d=
= p,
ud=0
A12 = d A
u=1
A22 = u A
u=p
242
valore di A12 non noto a priori, e pu essere sempre posto uguale allunit,
definendo opportunamente il modulo di u. Siamo sicuri che A12 6= 0,
altrimenti la matrice risulterebbe diagonale, e u sarebbe autovettore, contro
lipotesi. Il valore di A22 si determina tenendo conto che la trasformazione di
similitudine non altera la traccia di una matrice, per cui:
tr (A ) = tr (A
),
=)
p + A22 = 2 p
=)
A22 = p
0
B
1
C
A
= p +
= p
243
= p
e di un integrale particolare 1 della non omogenea. E facile verificare che:
= 0 ep t ,
1 = 0 t ep t
= (0 + 0 t) ep t
= 0 ep t
0 + 0 t
t = log
p
0
=
+ log
0
p
0
244
d =
"
0 1
+
1 + log
0 p
0
!#)
Da cui:
d
= n
0
d
+
0
1
p
1
1 + log
io
Si ha allora:
lim
!0
d
=0
d
245
p2
q<0
Fuochi
Gli autovalori sono dati da:
(1)
=p
p2 ,
(2)
=p+i q
p2
246
Sik = di
=S
A
S
z=S
z
(, ) diviene allora:
Il sistema differenziale per i nuovi stati z
= A S z
z
S
E quindi:
= A z
Ovvero, esplicitamente:
8
>
<
>
:
(1)
(2)
8
>
>
<
>
>
:
247
= 0 ep t e
= 0 ep t ei
q p2 t
q p2 t
= X + i Y, = X
i Y, 0 = X0 + i Y0 , 0 = X0
i Y0
ottenendo:
8
>
<
>
:
p
X = A ep t cos ( q
p2 t + )
p
A ep t sen ( q
Y =
(AQ.30)
p2 t + )
cos # =
ei # + e
2
i#
sen # =
cos
ei #
e
2i
i#
e si posto:
A=
X02 + Y02 ,
X0
,
A
sen
Y0
A
248
249
Stabilit
Si pu osservare che in tutti i casi esaminati, con la sola eccezione dei
punti di sella, che sono sempre instabili, vale il seguente criterio generale per
la stabilit dei punti di equilibrio:
lim k
zk =
t!+1
Notiamo anche come i segni degli autovalori sono legati alla definitezza
di segno della matrice, la quale definita negativa se lequilibrio stabile e
definita positiva o non definita di segno se lequilibrio instabile.
Regola della divergenza. Ricordiamo, infine, che il parametro p legato
2 p = tr (A
) = A11 + A22
@f1
(x , 0),
@x
A22 =
@f2
(x , 0)
@y
Quindi si ottiene:
@f1
@f2
2p =
(x , 0) +
(x , 0) = r f |u=u , r
@x
@y
@
@
,
@x @y
250
Quadro riassuntivo
p2
8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
8
>
>
>
>
>
>
<
> 0, q >
>
>
>
>
>
:
q > =0
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:
> 0 nodi,
>
:
> 0 instabili
< 0 stabili
nodi degeneri,
8
>
>
>
>
>
>
<
8
>
<
8
>
<
p >
:
> 0 instabili
< 0 stabili
che risulta meglio visualizzabile mediante un grafico nel piano delle variabili
q, p.
251
p
nodi instabili
p2 = q
fuochi instabili
selle instabili
selle instabili
centri stabili
fuochi stabili
nodi stabili
essendo:
>
:
x = y
y =
! 2 sen x + 2 p y
252
g
!2 = ,
`
2p =
h
m`
! 2 sen x + 2 p y
Segue che:
@'
=
@x
@'
= 2p
@y
! 2 cos x,
x2 =
0
1
!2 2 p
Lequazione caratteristica :
2
2 p + !2 = 0
253
= p2
!2
0 1
!2 2 p
Lequazione caratteristica :
2
2p
!2 = 0
Il discriminante ridotto:
= p2 + ! 2
sempre positivo e quindi abbiamo due radici reali distinte. Poich p < 0 e
q = ! 2 < 0 si ha che la singolarit un punto di sella sempre instabile.
254
Figura AQ. 33: diagramma di fase del pendolo in presenza di forte resistenza
del mezzo
255
Figura AQ. 34: diagramma di fase del moto oscillatorio smorzato del pendolo
256
u(t + ) = u(t),
T = min ,
2A
Si dice ciclo limite una soluzione periodica uL (t) che gode delle seguenti
propriet:
i) esiste un " 2 R+ tale che qualunque altra traiettoria di fase, distinta dal
ciclo limite, per cui, almeno in un punto u si ha:
ku
uL k < "
non una soluzione periodica del sistema. Per questo si dice che il ciclo limite
rappresenta una soluzione periodica isolata.
ii) Ogni altra soluzione nellintorno del ciclo tende asintoticamente al
ciclo o proviene asintoticamente dal ciclo, cio si verifica una delle due
condizioni:
lim ku(t)
t!+1
oppure:
uL k = 0
257
lim ku(t)
uL k = 0
t! 1
La soluzione:
>
:
x2
x = y + x (1
y2)
(AQ.31)
y =
x + y (1
x(t) = cos t,
x2
y(t) =
y2)
sen t
258
x x + y y = (x2 + y 2 )(1
x2
y2)
In termini di:
r=
x2 + y 2
abbiamo:
r r = r2 (1
r2 )
Ovvero, semplificando:
r = r(1
r2 )
r2 )
nellintorno di r = 1.
Si ha allora:
(r) =
2 r + 2 + O (r
1)2
259
2t
+1
t!+1
il ciclo stabile.
260
(1
x2 ) x + x = 0
(AQ.32)
261
Anche i sistemi non autonomi possono generare dei cicli limite, e questo
pu accadere anche se il sistema lineare, come nel caso della risonanza
delloscillatore forzato: la frequenza forzante tende a stabilizzare il moto su
una soluzione periodica isolata di frequenza pari alla frequenza forzante; i
transienti smorzandosi asintoticamente comportano che ogni soluzione tenda
al ciclo limite che rappresenta una soluzione asintoticamente stabile.
262
264
P*
x
X
C
265
(MC.1)
266
P*
^
X
x(^
X , t)
O
267
P*
Q*
x(X , ^t)
C
Deformazione
Adottando il punto di vista euleriano possiamo mettere in evidenza
i mutamenti geometrici intercorsi nel passaggio dalla configurazione di
riferimento alla configurazione attuale. In particolare se possibile trovare
un operatore di rotazione propria R
tale che:
x=R
X
(MC.2)
x = x(X)
(MC.3)
dx = F
dX
(MC.4)
268
La matrice F
che rappresenta la matrice jacobiana della trasformazione
prende il nome di gradiente di deformazione. Si usa anche la notazione
equivalente:
dP = F
dP
(MC.5)
det(F
) 6= 0
Infatti, scelti due punti vicini X 1 , X 2 in C segue che:
x1
x2 = F
(X 1
X 2 ) + O(2)
Dovendo essere:
x1
x2 = 0
()
X1
X2 = 0
X 2) = 0
()
X1
X2 = 0
Quindi F
non pu avere autovettori corrispondenti ad autovalori nulli, e
dunque non pu avere determinante nullo.
La deformazione del corpo viene caratterizzata dalla violazione della
condizione di rigidit, cio, in termini locali, dal legame tra |dP |2 e |dP |2 .
Abbiamo:
2
|dP | = F
dP F
dP = dP F
F
dP
269
(MC.7)
B
=F
F
|dP |2 = dP B
dP
(MC.8)
La matrice B
evidentemente non singolare, in quanto F
non
singolare, e gode delle seguenti due propriet:
i) simmetrica. Infatti:
= F
F
=F
F
=B
2
vB
v =vF
F
v=F
vF
v = |F
v| > 0,
8v 6= 0
Osserviamo che se B
I si ha la condizione di rigidit:
=
|dP |2 = |dP |2
cio non c deformazione. Questa condizione si traduce, per il gradiente di
deformazione, nella condizione:
T
F
I
F
=
=)
det(F
) = 1
270
Ovvero la matrice F
deve essere unitaria (ortogonale). Se il determinante
vale +1 la matrice rappresenta una rotazione propria; se vale 1 la rotazione
viene ad essere composta con una inversione spaziale. Dunque le matrici di
rotazione sono quelle che realizzano gli spostamenti rigidi del continuo.
Ricordiamo che ogni matrice F
non singolare si pu rappresentare nella
forma polare, cio come prodotto di una matrice di rotazione e di una matrice
2
T
simmetrica e definita positiva F
= R
A
, dove A
= F
F
. Allora la
matrice di deformazione di Green descrive leffettiva parte di deformazione
del gradiente di deformazione, laltra parte essendo una rotazione rigida del
corpo.
Matrice di deformazione di Cauchy
Si introduce anche la matrice di deformazione di Cauchy:
1
" = (B
2
I)
(MC.9)
(MC.10)
271
eI eK =
ik ,
IK
(MC.11)
dxi =
@xi
dXK
@XK
Quindi risulta:
FiK =
@xi
@XK
(MC.12)
272
T
BIK = FIj
FjK = FjI FjK
(MC.13)
1
(BIK
2
IK )
(MC.14)
u =
d`
d`
(MC.15)
dove:
d` = |dP |,
d` = |dP |
d` =
u B
u d`
273
u =
u B
u
(MC.16)
u =
1 + 2 u " u
(MC.17)
B11
1,
B22
1,
B33
B11 = (1 +
2
1) ,
B22 = (1 +
2
2) ,
B33 = (1 +
2
3)
274
"11 =
1
2
[(1 +
2
1)
1] =
1
2
2
1
"22 =
1
2
[(1 +
2
2)
1] =
1
2
2
2
"33 =
1
2
[(1 +
2
3)
1] =
1
2
2
3
P*
P
dP*
C*
dP
Deformazione angolare
La deformazione angolare
di un continuo viene caratterizzata
considerando langolo fra due vettori dP e dP 0 , di versori rispettivi u e
u0 , prima e dopo la deformazione.
Si ha allora:
0
dP dP 0 = F
dP F
dP = dP B
dP = |dP ||dP | u B
u
275
dP*
P*
dP
dP'
dP'*
C
0
u0 B
u cos #
cos # = r
0
u B
u
u0
u0
(MC.18)
cos # =
0
u B
u
(1 + u )(1 + u0 )
(MC.19)
276
cos # =
cos # + 2 u " u0
(1 + u )(1 + u0 )
(MC.20)
cos #IK =
cos #IK =
BIK
(1 + I )(1 +
IK
(1 +
K)
+ 2 "IK
I )(1 + K )
"IK =
I )(1
1
BIK ,
2
K ) cos #IK
I 6= K
277
dP*
P*
dP
dP'
dP'*
C
*
Figura MC. 6: dilatazione superficiale
Si pu allora scrivere:
dP ^ dP 0 = n d ,
dP ^ dP 0 = N d
d
d
la quantit
(MC.21)
278
A
a^A
b=A
(a ^ b)
Quindi:
0
dP ^ dP 0 = F
dP ^ F
dP = F
(dP ^ dP 0 )
Segue allora:
Nd =F
n d
(d )2 = (d )2 F
n F
n = (d )2 n F
Ora:
= det(F
)F
In conclusione:
i2
= det(F
) F
1 T
=B
279
i2
(d )2 = (d )2 det(F
)
n B
|d | = |d | det(B
)n B
(MC.22)
det(B
)n B
(MC.23)
dC = det(F
) dC
dC
dC
(MC.24)
280
= | det(F
)|
(MC.25)
P
P*
~
dC*
dC
C
*
Figura MC. 7: dilatazione cubica
Problema inverso
Finora ci siamo preoccupati di ottenere informazioni sulla configurazione
attuale di un continuo supponendo di conoscere la configurazione di
riferimento (problema diretto ). Ci chiediamo ora come si pu ottenere
la configurazione di riferimento quando sia nota la configurazione attuale
(problema inverso ).
Nel problema diretto tutte le deformazioni dipendono dalla matrice B
=
F
F
. Ci chiediamo ora da quale matrice di deformazione dipendono le
deformazioni nel problema inverso.
281
F -1
dP = F
dP
dP = F
dP
(dP ) = F
dP F
dP = dP F
1 T
dP = dP C
dP
C
= F
Osserviamo che:
1 T
= F
F
282
C
= F
F
Introducendo:
(MC.26)
D
=C
=F
F
(MC.27)
possiamo confrontare D
eB
. Rappresentando F
in forma polare possiamo
scrivere:
F
=R
A
,
=B
,
=A
essendo R
una rotazione rigida. Allora si pu scrivere:
D
=F
F
=R
A
R
A
=R
A
R
Quindi:
D
=R
B
R
()
B
=R
D
R
(MC.28)
Statica
Dopo lanalisi geometrica e cinematica delle deformazioni, per passare
alla statica e alla dinamica dei continui occorre introdurre una classificazione
283
Forze esterne
Le forze esterne possono agire su ogni elemento di volume del continuo
(come ad esempio il peso) e in questo caso vengono chiamate forze di massa
, e descritte mediante una legge di distribuzione del tipo:
dF massa = F dC
(MC.29)
C
dC
F dC
Figura MC. 9: forze di massa agenti su un continuo
284
(MC.30)
dF sup = f d
fd
d
Figura MC. 10: forze di superficie in un continuo
Forze interne
Vi sono poi le forze interne che nascono come sforzi ai quali il materiale
sottoposto, in reazione alle forze esterne, per realizzare lequilibrio. Poich
gli sforzi sono di natura interna, per evidenziarli occorre considerare un
sottosistema costituito da una parte interna al continuo. Tale tratto di continuo
sar contenuto da una superficie che lo delimita. In ogni punto della superficie
consideriamo il piano tangente e il versore u, normale ad esso, uscente dalla
superficie, che opposto alla normale geometrica n che, convenzionalmente
scelta rivolta verso linterno.
Denotiamo con d lelemento darea nel piano tangente e con:
dF cont = tu d
(MC.31)
285
tn
Formula di Cauchy
Supposto lequilibrio del continuo sussiste, come condizione necessaria,
la prima equazione cardinale della statica:
R(e) = 0
Sappiamo, infatti, che le equazioni cardinali sono condizioni sempre
necessarie per lequilibrio di un corpo, e divengono sufficienti solamente
se il corpo rigido. Su ogni tratto interno al continuo devono, perci farsi
equilibrio le forze di massa e le forze di contatto. Le forze di superficie,
presenti sulla superficie esterna del continuo, non sono qui chiamate in causa,
perch stiamo esaminando una parte interna del continuo, che non delimitata
dalla superficie esterna.
286
essendo
tn d +
(MC.32)
F dC = 0
C.
F dC =
^
F C
tn d =
^
F C
essendo
^
F il valore della funzione F calcolata in un punto opportuno del
dominio C e:
C=
dC
287
lim
C!0
1 Z
C
tn d =
(MC.33)
x 3
u
e
P 3
e
e
1 2
x2
x1
tn d =
t1 d +
1
t2 d +
2
t3 d
3
tu d
la faccia
288
avendo tenuto conto che il versore u rivolto verso lesterno della superficie,
mentre i versori ei sono diretti verso linterno; questo spiega il segno negativo
nellultimo integrale. Allora la relazione (MC.33) si specializza nella:
lim
h!0
3
Ah
t1 d +
1
t2 d +
2
t3 d
3
tu d
t1 d +
1
t2 d +
2
t3 d
3
tu d
=0
h!0
1
(Ai^
ti
A
A^
tu ) = 0
essendo ^
ti ,^
tu i valori medi degli sforzi sulle rispettive superfici e Ai , A le
aree delle rispettive facce del tetraedro. E facile verificare che, essendo i le
proiezioni di sui piani coordinati, risulta:
A i = A ui
dove le ui sono le componenti di u, cio i coseni direttori della retta di versore
u. Allora si pu riscrivere:
lim (^
ti ui ^
tu ) = 0
h!0
Da cui:
289
tu = ti ui
(MC.34)
t u = t 1 u1 + t2 u2 + t3 u 3
(MC.35)
Per esteso:
(MC.36)
(MC.37)
(MC.38)
Principio di Pascal
Come applicazione della formula di Cauchy consideriamo il principio
di Pascal nei fluidi: tale principio afferma che in un fluido la pressione
identica in tutte le direzioni.
290
8u
t2 = p2 e2 ,
t3 = p3 e3
pu = p 2 ,
pu = p 3
(MC.39)
I)u = 0
291
dC = d d
Quindi lelemento della forza di massa agente sul cilindretto elementare
dato da:
F dC = F d d
Per cui integrando lungo laltezza del cilindro di altezza finita `, si ottiene
il contributo delle forze di massa agenti su questo cilindro:
dF massa =
Z `
0
F d d
292
dove abbiamo identificato con = 0, = ` le ascisse dei centri delle due basi
lungo un asse diretto come lasse di simmetria del cilindro. Sulla superficie
laterale del cilindro agiscono solo le forze di contatto il cui elemento vale:
tn0 d
= 2 tn0 dr d
= 2 dr d
essendo:
dF lat = 2
Z `
0
tn0 d dr
Z `
0
293
F d d + 2
Z `
0
tn0 d dr + tN d + f d = 0
^
F ` d + 2 `^
tn0 dr + tN d + f d = 0
Passando al limite per ` ! 0 verso la superficie esterna rimane:
(tN + f ) d = 0
dove abbiamo raccolto lelemento di superficie comune che si identifica con
quello della superficie esterna. Si ottiene quindi:
tN + f = 0
Per quanto riguarda le normali abbiamo evidentemente:
N=
in quanto le due normali puntano verso linterno del cilindro partendo dai
centri delle basi opposte. Si ottiene dunque la condizione al contorno:
tn = f
(MC.40)
(MC.41)
294
t n = f
n
N
'
295
8 x
()
ui = xi
ei eI XI
(MC.43)
iI .
296
C*
P*
P
P
x
X
P+P
x+x
O
C+C
F x dC =
F u dC
f u d
@C
f x d =
@C
@C
f x d =
@C
(t n) u d
297
Ma:
(t n) u = tik nk ui = ( u t ) n
Inoltre grazie al teorema di Gauss si ha:
Z
( u t ) n d =
@C
r ( u t ) dC
@C
f x d =
r ( u t ) dC
(i,a)
`(i,a) dC
F u
u t + `(i,a) dC = 0,
8 u
(MC.44)
298
F u
u t + `(i,a) = 0,
(MC.45)
8 u
u t
@
@tik
@ ui
( ui tik ) = ui
+ tik
=
@xk
@xk
@xk
@tT
@ ui
= ui ki + tik
= u r t
@xk
@xk
+ t r u
r t
t r u + `(i,a) = 0,
8 u
(MC.46)
ui Fi
@tik
@xk
tik
@ ui
+ `(i,a) = 0
@xk
(MC.47)
299
C+C
@ ui
t r u = tik
=0
@xk
u F
r t
= 0,
8 u rigido traslatorio
r t
=0
()
u=
Fi
spostamento
^x=A
x
@tik
=0
@xk
rigido
(MC.48)
rotatorio,
che
300
essendo A
la matrice antisimmetrica di cui
suoi elementi di matrice sono dati, allora, da:
Aij =
"ijk
Ora:
@ ui
@
=
(Aij xj ) = Aik
@xk
@xk
in quanto A
non dipende da x. Dunque si ha:
@ ui
t r u = tik
= tik Aik =
@xk
tr t A
t r u =
tr t A
= 0,
8A
=
r t = 0,
= t
(MC.49)
301
x
C+C
x+x
(i,a)
1
= tik
2
@ ui @ uk
+
@xk
@xi
(MC.50)
avendo tenuto conto della simmetria della matrice degli sforzi e quindi
del fatto che la parte antisimmetrica del gradiente dello spostamento non
contribuisce al lavoro.
Dinamica
Il passaggio dalla statica alla dinamica si pu realizzare, in modo diretto,
tramite il principio di DAlembert. Basta sostituire, nella condizione di
302
equilibrio (MC.46), il lavoro virtuale delle forze perdute a quello delle forze
attive, cio aggiungere la quantit:
Z
a u dC
a = F
r t ,
= t
(MC.51)
dv
dt
Equazioni di bilancio
Le equazioni della meccanica dei continui si possono esprimere, in
forma integrale, come equazioni di bilancio, cio equazioni che esprimono
una legge di conservazione.
Si assume, in accordo con lesperienza, che le equazioni di bilancio
valgano localmente
oltre che globalmente. Ci significa che esse
devono essere verificate in ogni tratto del continuo e non solo sullintero
sistema. Dunque esse devono essere soddisfatte in qualunque dominio C di
integrazione.
303
*=
C*
Figura MC. 17: conservazione della massa dal punto di vista lagrangiano
Ora nella configurazione di riferimento C si ha il valore della massa di
un tratto di continuo C :
M =
dC
dC
D = | det(F
)|
304
D dC
D) dC = 0,
8C
= D
(MC.52)
C
C
Figura MC. 18: bilancio della massa dal punto di vista euleriano
305
(MC.53)
Dove:
M=
dC
@C
v nd
vn
306
@C
v nd =
r ( v) dC
@
+ r ( v) dC = 0,
@t
8C
@
+ r ( v) = 0
@t
(MC.54)
d
+ r v = 0
dt
(MC.55)
307
Allora si pu scrivere:
Z
d Z
d Z
dC =
D dC =
dt C
dt C
C
d
dD
D+
dt
dt
d
1 dD
+
dt
D dt
dC =
dC
(MC.56)
dC
dC =
Z
d( D)
dC =
dt
C
d
+
dt
1 dD
D dt
dC
308
dC =
d
+
dt
rv
dC
(MC.57)
s dC
nd =
@C
dC
d
+
dt
rv
s dC = 0
rv =r
+s
(MC.58)
ovvero:
@
+ r ( v) = r
@t
che esprime il bilancio di .
+s
(MC.59)
309
v dC
r t
(MC.60)
r t
310
(x
x0 ) ^ ( a) = (x
x0 ) ^ ( F )
x0 ) ^ (r t )
(x
(x
x0 ) ^ ( a) dC =
x0 ) ^ ( F ) dC
(x
(x
x0 ) ^ (r t ) dC
Z (
d
[(x
dt
x0 ) ^ ( a) dC =
(x
x0 ) ^ ( v)] + (x
x0 ) ^ ( v) (r v)
dC
(x
x0 ) ^ ( a) dC =
d Z
(x
dt C
x0 ) ^ ( v) dC =
dK 0
dt
(x
x0 ) ^ ( F ) dC
311
@C
(x
x0 ) ^ f d =
@C
x0 ) ^ (t n) d
(x
@C
(x
x0 ) ^ (t n) d =
r (x
x0 ) ^ t dC
@C
"ijk (xi
x0 i ) tj` n` d =
"ijk
@
[(xi
@x`
x0 i )tj` ] dC
"ijk
@
[(xi
@x`
= "ijk (xi
@
(xi
@x`
x0 i )
x0 i ) + "ijk (xi
x0 i )
@
tj` =
@x`
@
tj` + "ijk tji
@x`
x0 i ) =
`i
312
del termine "ijk tji . Per cui, in conclusione il bilancio del momento della
quantit di moto viene soddisfatto:
dK 0
= M0 +
dt
Bilancio dellenergia
Come conseguenza delle equazioni del moto, in un continuo puramente
meccanico (cio nel quale non entrano in gioco le funzioni di stato
termodinamiche), partendo dalla prima equazione fondamentale si ottiene
anche il bilancio dellenergia meccanica. Infatti, moltiplicando la:
a = F
r t
dt
v2
2
= F v
v (r t )
Integrando:
Z
v2
2
dt
C
dC =
F v dC
v (r t ) dC
dt
C
v2
2
d
dC =
dt
C
v2
2
dC =
313
2
d Z
d Z v2
dT
v
dC =
dC =
dt C
2
dt C 2
dt
T =
v2
dC
2
v (r t ) = vi
@
@
tji =
(tji vj )
@xj
@xj
@
(tji vj )
@xj
@
vi = r (t v)
@xj
tij
tji
@
vi =
@xj
tr t (r v)
v (rt ) dC =
r (t v) dC
tr t (r v) dC
C
r (t v) dC =
@C
v tn d =
@C
f vd
314
P =
F v dC +
@C
f vd
tr t (r v) dC
C
Equazioni costitutive
Ora dobbiamo occuparci del problema fondamentale della meccanica
dei continui, che consiste nella determinazione del moto. Le incognite
del problema che caratterizzano levoluzione del continuo sono le quattro
funzioni:
x = x(X, t),
Le equazioni a disposizione sono:
= (X, t)
315
8
>
>
>
>
>
>
>
<
a = F
t
>
>
>
>
>
>
>
: d
dt
r t
=T
(MC.61)
+ r v = 0
t = t (" )
(MC.62)
316
Fluidi
Come si gi visto si dicono fluidi perfetti i continui la cui matrice degli
sforzi ha la forma:
t = p
I
essendo p > 0 la pressione. Le equazioni della dinamica dei fluidi si
ottengono, allora, specializzando le equazioni dei continui:
8
>
<
a = F
>
: d
dt
rp
(MC.63)
+ r v = 0
p = p()
Fluidi incomprimibili
In alternativa, anzich assegnare la pressione come funzione costitutiva
della densit, si pu fissare il valore della densit ad un valore costante,
ottenendo, in questo modo la riduzione a 4 del numero delle incognite. Fluidi
di questo tipo si dicono incomprimibili o ideali. Essi sono definiti dalla
condizione di incomprimibilit:
=
()
D=1
(MC.65)
317
a = F
rp
(MC.66)
rv =0
rp
lequilibrio di un fluido
318
x
O
rp = 0
rp = 0
(MC.67)
319
8 @p
>
>
@x
>
>
>
>
<
@p
@y
>
>
>
>
>
>
: @p
@z
=0
=0
= g
(MC.68)
rp
v rp
320
v g =
v2
dz
d
=
( g z)
dt
dt
avendo scelto, in questo caso lasse z orientato verso lalto, in modo che
g = g e3 .
Nellipotesi di flusso stazionario, cio quando si assume che la pressione
dipenda dal tempo soltanto tramite il moto delle particelle, cio che non
dipenda esplicitamente dal tempo, si ha anche:
p = p(x)
=)
dp
@p dxi
=
= v rp
dt
@xi dt
v2
+ p + g z = 0
2
Da cui si ricava:
1 2
v + p + g z = E
2
(MC.69)
h0 =
E
g
(MC.70)
321
h0 =
v02
p0
+
2g g
d`
1
= tik
2
@dui @duk
+
@xk
@xi
322
A) nei fluidi
In un fluido la matrice degli sforzi si caratterizza mediante gli elementi:
tik = p
ik
@d ui
= pr du
@xi
p
d
(MC.71)
323
(MC.72)
1
C @dui
tik FkJ
D
@XJ
(MC.73)
1
@dui
TiJ
D
@XJ
324
d`
1
= TiJ d
D
@ui
@XJ
Ricordiamo che:
ui = x i
iI
XI
E quindi:
@ui
= FiJ
@XJ
iJ
1
TiJ dFiJ
D
(MC.74)
(MC.75)
325
d`(i,a) =
1
FkI TIJ dFkJ
D
Ora:
1
1
T
TIJ FkI dFkJ = (FkI dFkJ + FkJ dFkI ) = TIJ d FIk
FkJ
2
2
1
1
TIJ dBIJ = TIJ d"IJ
D
D
(MC.76)
326
COMPLEMENTI DI
MECCANICA ANALITICA
f : A !B
e Y un qualunque altro insieme.
Chiamiamo funzionale
qualsiasi
principi variazionali
329
applicazione:
F : X !Y
Allora F associa ad ogni funzione f 2 X un elemento y dellinsieme Y :
X3f !y2Y
Denoteremo i valori y del funzionale con le scritture:
F[f ],
F[f (x)]
F[f (x)] =
v
Z x2 u
u
t
x1
!2
df
1+
(x)
dx
dx
(PV.1)
1
!(t) !(t)
2
(PV.2)
330
S[qh (t)] =
Z t2
t1
(PV.3)
[f + g] =
d[ f ] = d[f ]
[f ] +
[g],
[ f ] =
[f ]
principi variazionali
331
Variazione
Dato un funzionale F[f ] si dice variazione di f e si indica con f la
differenza:
f =f
(PV.4)
f0
F:
F[f ]
(PV.5)
Funzionale continuo
La definizione di continuit per un funzionale richiede una certa
accuratezza, in quanto non pu essere trasportata automaticamente dalla
teoria delle funzioni di variabili numeriche o vettoriali. Infatti, la definizione
usuale di continuit ci porterebbe a ritenere sufficiente affermare che un
funzionale F[f ] continuo in f0 quando:
8" 2 R+ 9 2 R+ :
|f (x)
f0 (x)| <
=) |F[f (x)]
(PV.6)
F[f0 (x)]| < "
332
8" 2 R+ 9 2 R+ :
|f (x) f0 (x)| <
|f 0 (x) f00 (x)| <
(n)
(n)
|f (x) f0 (x)| <
9
>
>
>
>
=
|F[f (x)]
=)
>
>
>
>
;
y
fo
fo
x
a)
O
b)
principi variazionali
333
=)
()
(PV.8)
f (x) = f0 (x)
=)
()
(PV.9)
334
senso debole, ma non viceversa. Infatti la condizione forte deve essere vera
per tutte le funzioni f , comprese quelle per le quali vale anche la condizione
sulle derivate prime.
Variazione di un funzionale
Il concetto di variazione di un funzionale costituisce lestensione ai
funzionali del concetto di differenziale per le funzioni ordinarie e pu
essere introdotto in maniera semplice scrivendo lincremento della funzione
argomento f mediante lausilio di un parametro di controllo 2 R. La
variazione di un funzionale, cos definita, si denota con loperatore .
F[f (x)] =
@
F[f (x) + f (x)]
@
=0
(PV.10)
principi variazionali
335
f (x) = f (x)
f0 (x)
336
una funzione di una variabile reale t (che nei problemi evolutivi il tempo) a
valori vettoriali in RN , e F[f ] il funzionale definito da:
F[f (t)] =
Z t2
t1
(PV.11)
fh |t=t1 = fh |t=t2 = 0
f(t)
f
f+f
t
principi variazionali
337
Z t2
t1
d
d Z t2
(0) =
F (t, fh (t) + fh (t), fh (t) + fh (t)) dt
d
d t1
Z t2 "
t1
@
F (t, fh (t) + fh (t), fh (t) + fh (t))
@
=
=0
dt
=0
Sviluppando la derivata:
2
Z t2
d
@F
4
(0) =
d
@ fk
t1
=0
@F
fk (t) +
@ f
k =0
fk (t)5 dt
d
fk = (fk
dt
fk ) =
d
( fk )
dt
Inoltre evidentemente:
@F
@ fk
=
=0
@F
,
@fk
@F
@ fk
=
=0
@F
@ fk
(PV.14)
338
Z t2
d
@F
@F d
(0) =
fk (t) +
fk (t) dt =
d
@fk
t1
@ fk dt
Z t2
t1
Z t2
@F
@F d
fk (t) dt +
fk (t) dt
@fk
t1 @ fk dt
Z t2
d
@F
(0) =
d
@fk
t1
d @F
dt @ fk
"
#t2
@F
fk (t) dt +
fk (t)
@ fk
t1
Z t2
d
@F
(0) =
d
@fk
t1
d @F
dt @ fk
fk (t) dt = 0
(PV.15)
d @F
=0
dt @ fk
(PV.16)
principi variazionali
339
f : [t1 , t2 ] D ! RN ,
D R3
F[f (t, xJ )] =
Z t2 Z
t1
@fh
@xJ
(PV.18)
fh |(xJ )2@D = 0
(PV.19)
340
P1
f+
P
2
f
t
D
Z t2Z
t1
dove abbiamo sottinteso gli argomenti (t, xJ ) delle funzioni fh per alleggerire
la scrittura. Tenendo conto che non dipende dalle variabili di integrazione
t, xI , possiamo scrivere:
d
d
(0) =
d
d
Z t2Z
t1
F (t, xJ , fh + fh , fh + fh , fh + fh,I ) dV dt
=
=0
principi variazionali
Z t2Z
t1
341
@
F (t, xJ , fh + fh , fh + fh , fh,I + fh,I )
dV dt
@
=0
Sviluppando la derivata:
"
Z t2 Z
d
@F
@F
@F
(0) =
fk +
fk +
fk,I dV dt
d
@fk,I
t1
D @fk
@ fk
Z t2Z
d
@F
@F @
@F @
(0) =
fk +
fk +
fk,I dV dt =
d
@fk,I @xI
t1 D @fk
@ fk @t
Z t2Z
t1
Z t2Z
@F
@F @
fk dV dt +
[ fk ] dV dt+
@fk
t1 D @ fk @t
Z t2Z
t1
@F @
[ fk ] dV dt
@fk,I @xI
342
"Z
I2 =
#t2
@F
fk dV
@ fk
t1
Z Z t2
D
t1
"
@ @F
@t @ fk
fk dV dt
I2 =
Z t2Z
t1
"
@ @F
@t @ fk
(PV.20)
fk dV dt
I3 =
"
Z t2Z
t1
@
@F
fk dV dt
@xI @fk,I
Z t2Z
t1
"
@
@F
@xI @fk,I
fk dV dt
"
Z
@
@F
@F
fk dV =
fk nI d
@xI @fk,I
@D @fk,I
Z t2Z
t1
"
@
@F
@xI @fk,I
fk dV dt
(PV.21)
principi variazionali
343
"
Z t2Z
d
@F
(0) =
d
t1 D @fk
@ @F
@t @ fk
@ @F
@xI @fk,I
fk dV dt = 0
@F
@fk
@ @F
@t @ fk
@ @F
=0
@xI @fk,I
(PV.22)
Principio di Hamilton
Prima formulazione
Consideriamo un sistema olonomo a N gradi di libert, governato da una
lagrangiana L(qh , qh , t) e definiamo il funzionale dei parametri lagrangiani:
344
S[qh ] =
Z t2
t1
(PV.23)
@L
=0
@qh
(PV.24)
S[qh ] =
Z t2
t1
Z t2
t1
principi variazionali
345
Z t2 "
@L
t1
Z t2 "
@L
t1
@qh
@qh
@L
qh +
qh dt =
@ qh
d @L
dt @ qh
"
@L
qh dt +
qh
@ qh
#t2
=0
t1
@qh
d @L
dt @ qh
qh dt = 0
(PV.25)
346
S[qh , ph ] =
Z t2
t1
H(qh , ph , t)] dt
[qh ph
(PV.26)
H(qh , ph , t)
(PV.27)
@F
=
@qh
@H
,
@qh
@F
= ph ,
@ qh
@F
= qh
@ph
@H
,
@ph
@F
=0
@ ph
@H
,
@qh
qh =
@H
@ph
(PV.28)
principi variazionali
S[qh , ph ] =
347
Z t2
t1
[ph qh
E] dt =
Z t2
t1
ph qh dt
Z t2
t1
E dt
Z t2
t1
qh ph dt
E (t2
t1 )
(PV.29)
Z t2
t1
qh ph dt
(PV.30)
(PV.31)
t1 ) = 0
(PV.32)
348
dqh = qh dt
possiamo riscrivere:
h , ph ] =
S[q
(PV.34)
ph dqh
T +V =
1
ahk qh qk + V (qh ) = E
2
dt =
2T
d =
2 [E
V (qh )]
(PV.35)
(PV.36)
principi variazionali
349
Z 2 p
1
2 T d =
Z 2 q
2 [E
V (qh )] d = 0
(PV.37)
che prende il nome di principio di Maupertuis. Si noti come per una particella
singola di massa m si ha:
ahk = m
hk
Z s2
s1
2
[E
m
V (qh )] ds = 0
(PV.38)
Z s2
s1
ds = 0
350
Z 2
1
d = 0
S[
h] =
Z t2 Z
t1
L(
h (t, xJ ),
h (t, xJ ),
h,J , t, xJ ) dV
dt
(PV.39)
@ @L
@ @L
+
@t @ h @xI @ h,I
@L
=0
@ h
(PV.40)
principi variazionali
351
1 1 2
2 c2
,I
,I
(PV.41)
Calcoliamo le derivate:
@L
1
= 2 ,
c
@
@L
=
@ ,I
,I ,
@L
=
@
,I,I
1
=
c2
Ovvero:
r2
1 @2
=
c2 @t2
(PV.42)
352
L=
1 2
B
2
1
jA
c
E2 +
(PV.43)
h =
@L
@ h
(PV.44)
(PV.45)
S[
h , h ]
Z t2 Z h
t1
h h
H(
h , h ,
h,J , t, xJ )
dV dt
(PV.46)
principi variazionali
F(
353
h,
h , h ,
h,J , t)
= h h
H(
h , h ,
h,J , t, xJ )
(PV.47)
Calcolando le derivate:
@F
=
@ h
@H
,
@ h
@F
= h
@h
@F
= h ,
@ h
@H
,
@h
@F
=
@ h,I
@F
= 0,
@ h
@H
,
@ h,I
@F
=0
@h,I
@ @H
=
@xI @ h,I
@H
,
@ h
h = @H
@h
(PV.48)
@L
1
= 2
c
@
H=
1
2
1 2
+
c2
,I
,I
1 1 2
+ (r )2 +
2 c2
354
Leggi di conservazione
Concludiamo questo capitolo sulla formulazione variazionale delle
leggi della fisica con qualche importante considerazione sulle leggi di
conservazione. Abbiamo visto in precedenza, trattando delle coordinate
cicliche o ignorabili, come ad ognuna di tali coordinate, sia nella
formulazione lagrangiana come in quella hamiltoniana, corrisponde un
integrale primo del moto, che si identifica con il momento canonico
corrispondente. Si ha dunque la legge di conservazione di quel momento.
Osserviamo che tale risultato vale anche per i sistemi continui e i campi, in
quanto se una coordinata del campo, ad esempio h ciclica rispetto alla
densit di lagrangiana, si ha:
@L
=0
@ h
e quindi la corrispondente equazione di Eulero-Lagrange diviene la legge di
conservazione:
@h
@ @L
+
=0
@t
@xI @ h,I
Ph =
e
@L
@
h,I
ph dV
(PV.49)
I
h
@L
dV
@ h,I
(PV.50)
principi variazionali
355
L(qh , qh )
Consideriamo una legge di trasformazione biunivoca delle coordinate
lagrangiane:
qh
! qh0 ( )
356
dqh0 = uh d
()
uh =
@qh0
@
(PV.51)
0=
(PV.52)
uh =
@qh0
,
@
u h =
d @qh0
@ q0
= h
dt @
@
0=
@L
@L
u h + 0 uh
0
@ qh
@qh
(PV.53)
principi variazionali
357
@L
d @L
d
0 = 0 u h + uh
=
0
@ qh
dt @ qh
dt
@L
uh
@ qh0
@L
uh
@ qh0
(PV.54)
qh =
@H
,
@ph
ph =
@H
@qh
(TC.1)
Ph = Ph (qk , pk , t)
(TC.2)
Ph =
@H0
@Qh
Evidentemente qui i simboli Qh non vanno confusi con le componenti lagrangiane delle
forze con le quali non hanno alcuna relazione.
trasformazioni canoniche
359
Z t2
S 0 [Qh , Ph ] =
Z t2
t1
t1
[qh ph
H(qh , ph , t)] dt = 0
[Q h Ph
H0 (Qh , Ph , t)] dt = 0
S 0 [Qh , Ph ]
F[qh , ph , Qh , Ph ] =
= F (qh (t2 ), ph (t2 ), Qh (t2 ), Ph (t2 ), t2 )
Z t2
t1
d
F (qh (t), ph (t), Qh (t), Ph (t), t) dt
dt
Infatti si ha proprio:
"
@F
@F
@F
@F
F[qh , ph , Qh , Ph ] =
qh +
Qh +
ph +
Ph
@qh
@Qh
@ph
@Ph
#t2
t1
=0
360
qh ph
H = Q h Ph
H0 +
dF
dt
(TC.3)
(TC.4)
ph =
@F1
,
@qh
Ph =
@F1
,
@Qh
H0 = H +
@F1
@t
(TC.5)
trasformazioni canoniche
361
(TC.6)
@F2
,
@qh
Qh =
@F2
,
@Ph
H0 = H +
@F2
@t
(TC.7)
F2 (qh , Ph , t) = Qh Ph
[ F1 (qh , Qh , t)],
Ph =
H=
Qh P h
H0 +
dF2
dt
@( F1 )
@Qh
362
(TC.8)
qh =
@F3
,
@ph
Ph =
@F3
,
@Qh
H0 = H +
@F3
@t
(TC.9)
F3 (ph , Qh , t) = qh ph
F1 (qh , Qh , t),
ph =
@F1
@qh
qh ph
H = Q h Ph
H0 +
dF3
dt
(TC.10)
trasformazioni canoniche
363
@F4
,
@ph
Qh =
@F4
,
@Ph
H0 = H +
@F4
@t
(TC.11)
qh ph + F1 (qh , Qh , t)
qh ph
Qh Ph
H0 +
dF4
dt
Esempi
Esaminiamo alcuni semplici esempi di trasformazioni canoniche,
partendo dalla loro funzione generatrice:
i) trasformazione identica
La trasformazione identica evidentemente canonica, dal momento che
lascia inalterate le variabili qh , ph . Essa generata dalla funzione di tipo F2
indipendente dal tempo:
(TC.12)
F2 (qk , Pk ) = qk Pk
Dalle (TC.7) abbiamo:
ph =
@F2
= Ph ,
@qh
Qh =
@F2
= qh ,
@Ph
H0 = H
364
F2 (qk , Pk , t) = fk (q` , t) Pk
dove fk (q` , t) una funzione arbitraria delle sole q` e del tempo. Si ha allora,
grazie alla (TC.7), la trasformazione:
ph =
@F2
@fk
=
Pk ,
@qh
@qh
H0 = H +
Qh =
@F2
= fh (q` , t)
@Ph
@F2
@fk
=H+
Pk
@t
@t
F1 (qk , Qk ) = qk Qk
Mediante le (TC.5) abbiamo:
ph =
@F1
= Qh ,
@qh
Ph =
@F1
=
@Qh
qh ,
H0 = H
(TC.15)
trasformazioni canoniche
365
Invarianti canonici
Condizioni di canonicit - Parentesi fondamentali di Poisson
Nota la funzione generatrice, come abbiamo visto, siamo in grado di
costruire la trasformazione canonica corrispondente. Ci poniamo ora un altro
problema:
A quali condizioni una legge di trasformazione delle variabili
canoniche qh , ph deve soddisfare affinch le nuove variabili Qk , Pk siano
anchesse variabili canoniche?
E chiaro che se si riesce a determinare una funzione generatrice F
dalla quale discende la nostra trasformazione, essa sar certamente una
trasformazione canonica, ma vorremmo ora trovare un criterio del tutto
generale, cio delle condizioni di canonicit alle quali tutte le variabili
canoniche devono soddisfare. Possiamo quindi anche riformulare la nostra
domanda nel modo seguente:
366
@H
,
@ph
ph =
@H
@qh
(TC.16)
Pk = Pk (qh , ph , t)
Calcoliamo:
@Qk
@Qk
@Qk
Q k =
qh +
ph +
@qh
@ph
@t
(TC.17)
@Pk
@Pk
@Pk
Pk =
qh +
ph +
@qh
@ph
@t
(TC.18)
@Qk @H @Qk
+
@ph @qh
@t
(TC.19)
@Pk @H
Pk =
@qh @ph
@Pk @H @Pk
+
@ph @qh
@t
(TC.20)
trasformazioni canoniche
367
(TC.21)
@H
@H @Qk
@H @Pk
=
+
@ph
@Qk @ph
@Pk @ph
(TC.22)
(TC.23)
@H
@H @Pk
Pk = [Pk , Q` ]q,p
+ [Pk , P` ]q,p
+
@Q`
@P`
@t
(TC.24)
[f, g]q,p =
@f @g
@qh @ph
@f @g
@ph @qh
(TC.25)
Pk =
@H0
@Qk
(TC.26)
368
se e solo se:
[Qk , Q` ]q,p = 0,
[Qk , P` ]q,p =
@H0
@H
@Qk
=
+
,
@Pk
@Pk
@t
k` ,
[Ph , P` ]q,p = 0
@H0
@H
=
@Qk
@Qk
@Pk
@t
(TC.27)
(TC.28)
@F
@t
(TC.29)
@F
@Pk
= 0,
@
@F
Pk +
@t
@Qk
=0
(TC.30)
trasformazioni canoniche
369
@g
@g
+ [f, Pk ]q,p
@Qk
@Pk
(TC.31)
[f, Ph ] = [Ph , Qk ]
@f
@f
+ [Qh , Pk ]
@Qk
@Pk
@f
@f
+ [Ph , Pk ]
@Pk
@Pk
@f
=
@Pk
[f, Qk ]q,p
(TC.32)
@f @g
@Qk @Pk
@f @g
= [f, g]Q,P
@Pk @Qk
(TC.33)
370
qh = qh (uk , vk ),
ph = ph (uk , vk )
(TC.34)
{uk , v` } =
@qh @ph
@uk @v`
@qh @ph
@v` @uk
(TC.35)
{uh , vk } [uh , v` ] =
(TC.36)
k`
Jn =
Z Z
S2n
d qh d ph d qk d pk d q` d p` ,
nN
(TC.37)
trasformazioni canoniche
371
Z Z
S2
dqh dph
Z Z Z Z
S4
d qh d ph d qk d pk
e cos via. Questi integrali sono detti invarianti perch sono in effetti
degli invarianti canonici. Lo si pu vedere riconducendosi alle parentesi di
Lagrange. Infatti, utilizzando la parametrizzazione (TC.34), lelemento di
ipersuperficie nellintegrale (TC.37), si scrive come prodotto di n somme (su
h) di elementi di superficie bidimensionale del tipo:
d qh d ph =
@ (qh , ph )
d uk d v`
@ (uk , v` )
@qh @ph
= {uk , v` }
@v` @vk
372
ph =
@F2
@
= Ph + "
,
@qh
@qh
Qh =
@F2
@
= qh + "
@Ph
@Ph
(TC.39)
@
+ O(2),
@ph
Ph = ph
"
@
@qh
(TC.40)
f (Qh , Ph , t) = f (qh , ph , t) +
@f
(Qh
@qh
qh ) +
@f
(Ph
@ph
ph ) + O(2)
trasformazioni canoniche
373
@f @
@qh @ph
"
@f @
+ O(2)
@ph @qh
(TC.41)
(TC.42)
Ora abbiamo visto che se una funzione un integrale primo del moto la
sua parentesi di Poisson con lhamiltoniana nulla; dunque:
se anche integrale primo del moto lhamiltoniana non modificata
dalla trasformazione infinitesima di contatto di cui la funzione generatrice.
374
Esempi
i) Traslazione degli assi
Scegliamo come funzione generatrice della trasformazione infinitesima di
contatto la funzione:
= p h ah
=)
@
= ah ,
@ph
@
=0
@qh
(TC.43)
Ph = ph
(TC.44)
Pi = pi
(TC.45)
trasformazioni canoniche
375
= (qk p`
q ` p k ) ak b `
(TC.46)
(ah bk
@
= (ah bk
@qh
b h ak ) q k
b h ak ) p k
" (ah bk
bh ak ) qk + O(2)
Ph = p h
" (ah bk
b h ak ) p k
(TC.47)
pj xk ) aj bk = "ijk Ki aj bk
(TC.48)
(TC.49)
(TC.50)
376
" (ai bj
bi aj ) xj + O(2),
Pi = p i
" (ai bj
b i aj ) p j
(TC.51)
" x ^ (a ^ b) + O(2) = x
P =p
" p ^ (a ^ b) = p
" x ^ c + O(2)
"p ^ c
(TC.52)
= nd#
^ x + O(2),
P =p+d
^x
(TC.53)
che rappresenta una rotazione (rigida) infinitesima del sistema degli assi
cartesiani.
Possiamo quindi concludere che:
la componente del momento della quantit di moto, rispetto allorigine
presa come polo, nella direzione di un versore la funzione generatrice di una
rotazione infinitesima di contatto nella direzione del versore. In particolare le
componenti cartesiane del momento della quantit di moto sono le funzioni
generatrici delle rotazioni infinitesime intorno agli assi.
trasformazioni canoniche
377
=H
Si ha subito, come prima conseguenza dalla (TC.40):
Qh = qh + "
@H
+ O(2),
@ph
Ph = ph
"
@H
@qh
(TC.55)
Ph = ph + " ph
(TC.56)
Ora possiamo esprimere con un opportuna scelta della scala dei tempi:
" = dt
E quindi ottenere:
Qh = qh + qh d t + O(2),
Ph = ph + ph d t
(TC.57)
Notiamo come gli incrementi rappresentano lo spostamento e lincremento del momento fisicamente realizzati dal sistema durante il moto. Dunque si
pu concludere che:
gli spostamenti compiuti dal sistema durante il moto si possono
interpretare come una trasformazione infinitesima di contatto generata
dallhamiltoniana.
Inoltre dalla (TC.41) segue anche che per ogni funzione f :
378
(TC.58)
Teorema di Liouville
Un altro risultato molto importante costituito dal teorema di Liouville
che trova particolare applicazione nellambito della meccanica statistica.
La misura (ipervolume) di qualunque regione D dello spazio delle fasi
si mantiene costante nel tempo durante il moto dei sistemi meccanici
rappresentati dai punti di D
DIMOSTRAZIONE
Supponiamo che D sia un dominio rettangolare: il suo ipervolume D
un prodotto di invarianti integrali di Poincar con n = 1, associati ad ogni
singolo grado di libert:
D=
d C,
d C = d q1 d p1 d q2 d p2 d qN d pN
trasformazioni canoniche
379
p
D(t)
D(t+dt)
O
Teoria di Hamilton-Jacobi
Funzione principale di Hamilton Equazione di Hamilton-Jacobi
Supponiamo di avere un sistema hamiltoniano ad N gradi di libert, dotato
di 2 N integrali primi del moto tra loro indipendenti:
h (qk , pk , t)
dove le costanti h ,
= h ,
h (qk , pk , t)
(TC.59)
380
h =
(TC.60)
h (qk0 , pk0 , 0)
J=
@( h , k )
6= 0
@(qj , p` )
(TC.61)
h,
h , t)
= qk (h ,
h , t)
pk = pk (
h,
h , t) = pk (h ,
h , t)
(TC.62)
Ph =
h (qk , pk , t)
= h ,
Qh =
h (qk , pk , t)
(TC.63)
Ph = 0
(TC.64)
trasformazioni canoniche
381
@H0
Q h =
= 0,
@Ph
Ph =
@H0
=0
@Qh
@F
@t
@F
=0
@t
(TC.65)
@F2
@qh
(TC.66)
@F2
=0
@t
(TC.67)
382
F2 (qh , Ph , t) = F2 (qh , h , t)
La funzione generatrice F2 solitamente si indica con S e quindi
lequazione (TC.67) si scrive usualmente come:
!
@S
@S
H qh ,
,t +
=0
@qh
@t
(TC.68)
Qh =
@S
(qk , k , t)
@qh
@S
(qk , k , t) =
@Ph
(TC.69)
(TC.70)
trasformazioni canoniche
383
S = S(qh , Ph , t, ch ) + S0 (Ph , ch ) + c0
Per quanto riguarda lintegrale completo, la funzione S, come abbiamo gi
osservato, durante il moto risulta essere funzione solo delle qh e del tempo,
per cui la sua derivata totale rispetto al tempo vale:
dS
@S
@S
(qh (t), t) =
qh +
dt
@qh
@t
Ma dalla (TC.69) e (TC.68) segue:
dS
(qh (t), t) = ph qh
dt
H=L
S(t) = S0 +
Z t
0
(TC.71)
384
p0 =
@S
,
@q0
@S
@P0
Q0 =
(TC.72)
(TC.73)
=0
che si integra subito rispetto al tempo dal momento che H un integrale primo
del moto, ottenendo lintegrale completo:
S(qh , h , t) = S (0) (qh , h ) +
(TC.74)
dove:
@S
H qh ,
@qh
(TC.75)
trasformazioni canoniche
385
lintegrale primo dellenergia, per cui in tale caso 0 = E. Ora, grazie alla
(TC.74), derivando rispetto alla coordinate canoniche si ha:
ph =
@S
@S (0)
=
@qh
@qh
(TC.76)
(TC.77)
386
@S
=
@q1
Da cui:
S(q1 , q2 , , qN , t) = S (1) (q2 , , qN , t) +
1 q1
(TC.78)
S(q1 , q2 , , qN , t) = S (M ) (qM , , qN , t) +
M
X
k qk
(TC.79)
k=1
S(q1 , q2 , , qN , t) = S
(M )
(qM , , qN , t) +
M
X
k qk
(TC.80)
k=0
trasformazioni canoniche
387
f1
@S (0)
q1 ,
@q1
= 1 ,
f2
@S (0)
q2 ,
@q2
= 2 , , fN
@S (0)
qN ,
@qN
= N
@S (0)
= g1 (q1 , 1 ),
@q1
@S (0)
= g2 (q2 , 2 ), ,
@q2
@S (0)
= gN (qN , N ),
@qN
S (0) =
Z q1
q10
g1 (1 , 1 ) d 1 +
Z q2
q20
g2 (2 , 2 ) d 2 + +
Z qN
qN 0
gN (N , N ) d N
Esempi
Consideriamo ora due esempi di integrazione del moto con il metodo di
Hamilton-Jacobi.
i) Oscillatore armonico
Il primo esempio quello delloscillatore armonico semplice che un
sistema ad un solo grado di libert q associato al momento canonico p che
rappresenta la quantit di moto del punto oscillante. Lhamiltoniana si scrive
immediatamente e ha la forma ben nota:
388
H(q, p) =
p2
1
+ m !2q2
2m 2
(TC.81)
(TC.82)
!2
(TC.83)
che diviene:
@S
1
+
@t
2m
@S
@q
1
m !2q2 = 0
2
t = S (0)
Et
(TC.84)
@S (0)
@q
!2
1
m !2q2 = E
2
(TC.85)
2E
m !2
q2
(TC.86)
trasformazioni canoniche
389
Integrando abbiamo:
(0)
= m !
Z q
q0
2E
m !2
q2 d q
(TC.87)
E quindi:
S = m !
Tenendo conto che P0 =
Q0
Z q
q0
2E
m !2
q2 d q
Et
(TC.88)
E, possiamo ricavare:
@S
1Zq
q
=
=
@P0
! q0
d q
2E
m !2
q2 )
d q + t
q(t) =
2E
cos (! t
m !2
U (r) = E
(TC.89)
390
1 4 @S (1)
2m
@r
!2
2
+ 21 5
r
(TC.91)
U (r) = E
@S (1)
= 2 m [E + U (r)]
@r
12
r2
Da cui si ricava:
(0)
Z r
r0
2 m [E + U (
r)]
12
d r + 1 #
r2
(TC.92)
S=
Z r
r0
2 m [E + U (
r)]
12
d r + 1 #
r2
Et
(TC.93)
Z r
r0
r2 2 m [E + U (
r)]
21
r2
d r + #
(TC.94)
trasformazioni canoniche
391
Z r
r0
m
2 m [E + U (
r)]
21
r2
d r + t
(TC.95)
APPENDICI
395
2 S, a 2 X : ( + )a = a + a
ii) 8,
2 S, a 2 X : ( )a = ( a)
iii) 8 2 S, a, b 2 X : (a + b) = a + b
iv) 9 1 2 S ; 8a 2 X : 1 a = a
In particolare lo spazio fisico con il quale abbiamo abitualmente a che
fare viene rappresentato mediante le terne ordinate di numeri reali, per cui
X = R3 e gli scalari sono numeri reali, per cui S = R. Mentre quando
trattiamo dei sistemi olonomi facciamo uso dello spazio RN , con gli scalari
in R. Nel seguito ci occuperemo di vettori in R3 .
Prodotto scalare: metrica euclidea dello spazio
Tra le grandezze, caratterizzabili come vettori, si introduce poi il prodotto
scalare che uno scalare che denotiamo con a b, e che si definisce come:
a b = |a||b| cos #
essendo # langolo compreso tra i vettori a e b.
396
a
Figura AL. 1: angolo compreso fra due vettori
397
|v| =
v v = kvk
Prodotto vettoriale
Dati due vettori a, b 2 R3 si dice prodotto vettoriale dei due vettori, e lo
denotiamo con a ^ b, un terzo vettore di direzione normale al piano di a e b e
verso tale che a, b, c nellordine formino una terna levogira cio tale che
per portare un vettore sul successivo si debba compiere una rotazione in senso
antiorario osservando dal vertice del terzo vettore e modulo pari allarea
del parallelogrammo i cui lati sono i due vettori:
|a ^ b| = |a||b| sen #
essendo # langolo (convesso) compreso fra i due vettori stessi.
a
a
A
398
()
b=
a,
2R
a^b
ii) 8a, b, c 2 R3 : (a + b) ^ c = a ^ c + b ^ c
Inoltre:
iii) 8 2 R, a, b 2 R3 : (a ^ b) = ( a) ^ b = a ^ ( b)
Prodotto misto
Dati tre vettori a, b, c 2 R3 lo scalare a ^ b c si dice prodotto misto.
Evidentemente loperazione di prodotto vettoriale ha la precedenza
sulloperazione di prodotto scalare, altrimenti la scrittura non avrebbe senso,
dovendo il prodotto vettoriale agire tra due vettori.
Geometricamente il prodotto misto rappresenta il volume del
parallelepipedo i cui tre spigoli sono i tre vettori, preso con segno positivo
se i tre vettori, nellordine in cui compaiono nel prodotto, formano una terna
levogira, e negativo in caso contrario. Infatti possiamo scrivere:
a ^ b c = |a ^ b||c| cos # = A |c| cos # = A h
399
c
b
a
400
(b c) a
a
(a
b)
401
a ^ (b ^ c) = (a c) b
(a b) c
in quanto:
a ^ (b ^ c) =
(b ^ c) ^ a
(b c)(a d)
402
1 a1 + 2 a2 + + n an = 0
()
1 = 0, 2 = 0, , n = 0
403
ik ,
i, k = 1, 2, 3
(AL.1)
ik
8
>
<
>
:
0 per i 6= k
1 per i = k
e1 e3 = 0,
e2 e3 = 0
e2 e2 = 1,
e3 e3 = 1
Rappresentazioni di un vettore
Di un vettore, e quindi delle relazioni tra vettori, si possono dare tre tipi
di rappresentazione:
404
a + b = c,
a^b=c
v = v1 e1 + v2 e2 + v3 e3 =
3
X
vi ei
(AL.2)
i=1
v = vi ei
405
vk = v ek
Infatti si ha:
v ek = vi ei ek = vi
ik
= vk
406
corrispondenza biunivoca con le sue componenti, cio con una terna ordinata
di numeri reali. E possibile, perci rappresentare ogni vettore dello spazio
mediante le sue componenti e scrivere:
v (v1 , v2 , v3 ) (vi )
(AL.4)
ci ) ei = 0
ci = 0
a+b=c
407
()
ai + b i = c i
ik
e2 (0, 1, 0),
e3 (0, 0, 1)
b = bk ek
408
ik
= ai b i
(AL.5)
Simbolo di Levi-Civita
Consideriamo ora i prodotti vettoriali dei versori di una base ortonormale
levogira; abbiamo i prodotti non nulli:
e1 ^ e2 = e3
e2 ^ e3 = e1
e3 ^ e1 = e2
Gli altri possibili prodotti non nulli si ottengono dai precedenti per
anticommutazione del prodotto vettoriale. E i prodotti nulli sono quelli dei
versori per se stessi, in quanto vettori uguali sono certamente anche paralleli:
e1 ^ e1 = 0
e2 ^ e2 = 0
e3 ^ e3 = 0
(AL.6)
"ijk =
8
>
<
>
:
409
1 altrimenti
"123 = +1
Ne viene di conseguenza che il simbolo di Levi-Civita cambia segno ogni
volta che si scambiano due indici; per cui si ha, ad esempio:
"231 =
"213 = "123 = +1
b = bj ej
possiamo scrivere:
a ^ b = ai ei ^ bj ej = ai bj ei ^ ej = ai bj "ijk ek
Rimangono identificate le componenti del prodotto vettoriale rispetto alla
base come:
410
a ^ b ("ijk ai bj )
Esplicitando si ha:
a ^ b (a2 b3
a3 b2 , a3 b1
a1 b3 , a1 b2
a2 b 1 )
b2
b3
il cui sviluppo, secondo gli elementi della prima riga, fornisce direttamente la
rappresentazione semicartesiana del prodotto vettoriale.
Rappresentazione indiciale del prodotto misto
Dati tre vettori a, b, c le cui rappresentazioni semicartesiane sulla base
ortonormale {ei } sono:
a = ai ei ,
b = bj ej ,
c = ck ek
411
= ai bj ck "ij` e` ek = "ij`
`k
ai bj ck = "ijk ai bj ck
a ^ b c = "ijk ai bj ck
a1 a3
c2
b2 b3
a1 a2
+ c3
b1 b3
b1 b2
b1 b2 b3
c1 c2 c3
(AL.8)
412
b = bj ej ,
c = ck ek
ik jm
im jk
(AL.9)
(a ^ b) ^ c = (
ik jm
im jk ) ai bj ck
em = ai ci bm em
bj cj am em
413
(a ^ b) ^ c (ai ci bm
bj cj am ) em
(AL.10)
(b c) a
bi ci aj dj
(AL.11)
414
ii) 8x 2 X, 8 2 S : f ( x) = f (x)
Noi ci occuperemo degli operatori lineari nello spazio tridimensionale
reale (R3 , R) dotato di metrica euclidea; e indicheremo tali operatori con
simboli del tipo A
,B
, ecc., tralasciando, come si fa usualmente le parentesi
415
(A
+B
)x = y
w=A
v
v = vk ek
ej (wi ei ) = ej A
vk ek
()
wi ej ei = ej A
ek vk
ij
= ej A
ek vk
()
wj = ej A
ek vk
416
Ajk = ej A
ek
0
B
B
B
B
B
B
@
C
C
C
A23 C
C
C
A
o in forma abbreviata:
A
kAjk k
Spesso, nella pratica, il termine matrice e il termine operatore vengono
usati indifferentemente, anche se propriamente parlando la matrice la
rappresentazione relativa ad una base di un operatore, mentre per operatore
417
10
CB
CB
CB
B
A23 C
CB
CB
A@
v1
C
C
C
v2 C
C
C
A
v3
B
B
B
B
B
B
@
C
C
C
A21 v1 + A22 v2 + A23 v3 C
C
C
A
B
B
B
(u1 , u2 , u3 ) B
B
B
@
CB
CB
CB
B
A23 C
CB
CB
A@
B
B
B
(u1 , u2 , u3 ) B
B
B
@
10
v1
C
C
C
v2 C
C
C
A
v3
C
C
C
A21 v1 + A22 v2 + A23 v3 C
C
C
A
418
b = bk ek
a b kai bk k
Per esteso si ha allora:
ab
0
B
B
B
B
B
B
@
a1 b 1 a1 b 2 a1 b 3
a2 b 1 a2 b 2
C
C
C
a2 b 3 C
C
C
A
(AL.15)
a3 b 1 a3 b 2 a3 b 3
Se si eccettuano i casi in cui almeno uno dei due vettori sia nullo, oppure
i due vettori siano paralleli, il prodotto tensoriale non commutativo.
Valgono le seguenti propriet:
i) (a b) v = a (b v)
ii) v (a b) = (v a) b
che si verificano facilmente passando alla rappresentazione indiciale; infatti
per la prima si ha:
419
(ai bk ) vk = ai (bk vk )
E per la seconda:
vi (ai bk ) = (vi ai ) bk
Come esempio di prodotto tensoriale esaminiamo il prodotto tensoriale di
due versori di una base ortonormale. Un versore ei ha tutte le componenti
nulle eccettuata la i-esima che vale 1. Di conseguenza il prodotto tensoriale
di due versori ei ek ha tutti gli elementi di matrice nulli eccettuato quello
di indici ik che vale 1. Si ha perci:
ei ek k
ij `k k
Si ha cos ad esempio:
e1 e2
0
B
B
B
B
B
B
@
0 1 0
0 0 0
0 0 0
C
C
C
C,
C
C
A
e2 e3
0
B
B
B
B
B
B
@
0 0 0
0 0 1
0 0 0
1
C
C
C
C
C
C
A
()
wi = Aik vk
420
w = wi ei ,
vk = ek v
possiamo scrivere:
w = wi ei = Aik ei (ek v) = (Aik ei ek ) v
per la prima propriet del prodotto tensoriale. Ma data larbitrariet di v segue
lidentificazione:
(AL.16)
A
= Aik ei ek
A
=
B
B
B
A11 B
B
B
@
1 0 0
0 0 0
0 0 0
C
B
C
B
C
B
C + A12 B
C
B
C
B
A
@
0 1 0
0 0 0
0 0 0
C
B
C
B
C
B
C + + A33 B
C
B
C
B
A
@
0 0 0
0 0 0
0 0 1
1
C
C
C
C
C
C
A
Determinante
Per una matrice N N , come noto dallalgebra, si dice determinante la
somma algebrica di tutti i prodotti di N elementi ottenuti scegliendo un solo
elemento per ogni riga e per ogni colonna e convenendo di moltiplicare per
1 i prodotti nei quali le permutazioni dei primi e dei secondi indici degli
elementi di matrice sono di classe diversa.
Per una matrice 3 3 ci significa che il determinante dato da:
421
det(A
) = A11 A22 A33 + A21 A32 A13 + A12 A23 A31
A13 A22 A31
(AL.17)
A12 A21
(AL.18)
(AL.19)
422
(AL.20)
8a, b 2 R3
aA
b = (A
a) b,
T
aA
b = ai Aik bk = Aki ai bk = (A
a) b
Operatore inverso
Dato un operatore A
per cui si pu scrivere:
w=A
v
si dice operatore inverso di A
, quando esiste, loperatore A
v=A
secondo operatore A
che gode della propriet:
v=A
w
segue:
A
w=A
e data l arbitrariet di w si ha A
8w 2 R3
w,
=A
423
I v = v,
ik
avendo tenuto conto che lidentit non modifica i vettori sui quali agisce.
Si noti che questo risultato non dipende dalla scelta della base, per
cui loperatore identit ha la stessa rappresentazione rispetto a qualsiasi
base ortonormale. La matrice rappresentativa delloperatore identit si dice
matrice identit:
0
B
B
B
B
B
B
@
1 0 0
0 1 0
0 0 1
1
C
C
C
C
C
C
A
(AL.21)
Ovvero:
ik ei
ek = ei ei
424
(AL.22)
I = e1 e1 + e2 e2 + e3 e3
0
B
B
B
B
B
B
@
1 0 0
0 1 0
0 0 1
1
C
C
C
C
C
C
A
B
B
B
B
B
B
@
1 0 0
0 0 0
0 0 0
C B
C B
C B
C+B
C B
C B
A @
0 0 0
0 1 0
0 0 0
C B
C B
C B
C+B
C B
C B
A @
0 0 0
0 0 0
0 0 1
1
C
C
C
C
C
C
A
lo si denota con A
B
un operatore C
i cui elementi di matrice, rispetto alla
base a cui si riferiscono gli operatori, sono dati da:
(AL.23)
cio dal prodotto righe per colonne degli elementi della prima matrice per
gli elementi della seconda. La matrice rappresentativa, rispetto a una base,
delloperatore prodotto prende il nome di matrice prodotto. Per induzione si
pu definire il prodotto di pi operatori.
Il prodotto tra operatori generalmente non commutativo.
Dalla definizione segue subito la seguente propriet inerente il trasposto
del prodotto:
T
T
(A
B
) =B
A
(AL.24)
425
Infatti, detto C
=A
B
si ha, passando alla rappresentazione indiciale:
T
Cik
= Cki = Akj Bji = BijT ATjk
u
v
v
u
Pv
~
Pv
426
3
S = {w 2 R3 ; w = P
v, v 2 R }
E inoltre:
w=P
v
=)
w=P
w
P
v=P
v,
8v 2 R3
(AL.25)
=P
(AL.26)
427
Il vettore P
v prende il nome di vettore componente di v lungo la retta.
E immediato che si tratta di un operatore di proiezione in quanto si ha:
P
= (u u)(u u) = u u = P
(u u) v =
I
uu v
uu
P2 = e2 e2 ,
P3 = e3 e3
gli operatori di proiezione sugli assi cartesiani, cio sulle rette che hanno
la direzione dei versori di una base ortonormale dello spazio R3 , la
rappresentazione semicartesiana dellidentit (AL.22) ci consente di scrivere:
428
I = P 1 + P2 + P3
429
a zero.
I due teoremi si possono conglobare nellunica relazione seguente:
det(A
)
jk
()
= Cij Aik
det(A
I = A
)
(AL.27)
A
I =A
=
A
1
det(A
)
430
=B
(AL.28)
w=A
B
v,
1
Ma A
w=A
A
B
v
A
I , quindi:
=
1
ragionamento si ha:
B
w=B
v
w=B
B
v
Ovvero:
B
w=v
431
1
(A
B
) w=v
w,
8w 2 R3
(AL.29)
(AL.30)
432
A
~
'
c'
'
'
b'
'
V'
A
ej (Aik
essendo ej (
determinante:
kj ).
kj )
A1i
A
ei ^ A
ej A
ek =
A2i
A3i
= det(A
) "ijk
433
= (A
ei ^ A
ej A
ek ) ai bj ck = det(A
) "ijk ai bj ck = det(A
)a ^ b c
avendo utilizzato la (AL.30). Quindi la (AL.29) verificata.
Prodotto vettoriale dei vettori trasformati
Dati due vettori qualunque a, b 2 R3 e un operatore A
sussiste la
seguente relazione tra il prodotto vettoriale dei vettori trasformati e il prodotto
vettoriale dei vettori di partenza:
A
a^A
b=A
(AL.31)
(a ^ b)
w e riscrivere:
A
a^A
b w = det(A
)a ^ b A
434
A
~
a'
b'
N
n
b'
S'
a'
Ma:
1
det(A
)
E quindi rimane:
(A
a^A
b) w = (a ^ b) A
(a ^ A
b) A
w=A
(a ^ b) w
Quindi si ottiene:
(A
a^A
b) w = A
(a ^ b) w
435
Ovvero:
A
a^A
b
(a ^ b) w = 0
(AL.32)
(B
a^B
b)
A sua volta:
B
a^B
b=B
Di conseguenza:
(a ^ b)
436
A
(B
a) ^ A
(B
b) = A
(a ^ b)
(a ^ b)
det(A
B
) = det(A
) det(B
)
C
det(A
I = (A
B
)
B
)
iT
(A
B
)
i
C T
(A
B
)
= A
= B
437
A
I,
= det(A
)
B
I
= det(B
)
Quindi:
det(A
I = det(A
I
B
)
) det(B
)
E di conseguenza si ottiene la (AL.33).
Operatori simmetrici
Un operatore lineare si dice simmetrico se uguale al suo trasposto:
A
=A
(AL.34)
Aik = Aki
(AL.35)
438
0
B
B
B
B
B
B
@
C
C
C
A23 C
C
C
A
Operatori antisimmetrici
Un operatore lineare si dice antisimmetrico se opposto al suo trasposto:
A
=
(AL.36)
Aik =
Aki
(AL.37)
0
B
B
B
B
B
B
@
439
A12
A13
A12
A13
A23
C
C
C
A23 C
C
C
A
Vettore duale
Lazione di un operatore antisimmetrico su di un vettore v 2 R3
qualunque tale che:
8v 2 R3
vA
v = 0,
(AL.38)
vA
v= A
v v
Ma per la condizione di antisimmetria segue:
vA
v=
A
v v
440
!i =
(AL.39)
"`mi !i =
Ma:
"`mi "ijk =
`j
mk
`k mj
"`mi !i =
1
(
2
`j
mk
`k mj ) Ajk
1
(A`m
2
Am` )
A`m =
"`mi !i = "i`m !i
(AL.40)
Abbiamo cos ottenuto una rappresentazione di una matrice antisimmetrica in termini del suo vettore duale. Per esteso si ha:
441
0
B
B
B
B
B
B
@
!3
!3
!2
!1
!2
C
C
C
!1 C
C
C
A
(AL.41)
"`mi !i vm = "`im !i vm
(AL.42)
In conclusione:
Il trasformato di un vettore v 2 R3 mediante un operatore
antisimmetrico il prodotto vettoriale del vettore duale per il vettore v.
Questo risultato vale solamente quando lo spazio ha 3 dimensioni. Infatti
in questo caso e solo in questo caso il numero di componenti di una matrice
antisimmetrica 3, tante quante sono le componenti di un vettore, mentre
in uno spazio di dimensione diversa manca questa coincidenza. Ad esempio
in R4 una matrice antisimmetrica ha 6 componenti significative, mentre un
vettore ha solo quattro componenti. Solamente in R3 il prodotto vettoriale
si presenta come un vettore, mentre in spazi di dimensione maggiore si
comporta come un tensore antisimmetrico a pi di un indice.
442
B
+B
1
2
dove:
1
=
S
B
+B
=S
(AL.43)
(AL.44)
B(ik) = Sik ,
B[ik] = Aik
443
Traccia di un operatore
Si dice traccia di un operatore la somma degli elementi della diagonale
principale della sua matrice rappresentativa e si denota:
Tr (A
) = Aii = A11 + A22 + A33
(AL.45)
i) Tr A
= Tr (A
)
ii) Tr (A
) = Tr (A
)
iii) Tr (B
A
) = Tr (A
B
)
iv) Tr (A
+B
) = Tr (A
) + Tr (B
)
=)
Tr (A
)=0
=S
, A
=)
Tr (S
A
)=0
444
Infatti:
h
Tr (S
A
) = Tr (S
A
)
=
= Tr A
S
Tr (A
S
)=
= Tr ( A
S
)=
Tr (S
A
)
simmetrico S
nulla, allora A
antisimmetrico:
Tr (S
A
) = 0, 8S
; S
=S
=)
Tr (S
A
) = Tr S
A
+ Tr S
A
= Tr S
A
Tr S
A
=0
()
antisimmetrico A
nulla, allora S
simmetrico:
445
Tr (S
A
) = 0, 8A
; A
=)
=S
U
I =U
U
=
U
(AL.46)
=U
2
U
I v) v = |v|
v =U
vU
v= U
U
v v = (
446
U
I a) b = a b
aU
b= U
U
a b = (
Geometricamente questo risultato comporta che gli angoli tra coppie di
rette dello spazio non vengono alterati dalle trasformazioni unitarie.
Per quanto riguarda il determinante di una matrice unitaria, tenendo conto
delle propriet del determinante abbiamo:
det U
U
= det U
i2
det(U
) = det(U
)
i2
det(U
)
=1
()
det(U
) = 1
447
R
I =R
R
=
R
,
det(R
) = +1
cos # =
vR
v
|v|2
448
3
v
R
~
v
O
x
associata agli assi cartesiani, una rotazione inversa a quella che prima si faceva
compiere al vettore v.
In questo modo si pu esprimere mediante un operatore di rotazione una
rotazione degli assi cartesiani.
Se indichiamo con R
la rotazione a cui sono soggetti i versori della base
e marchiamo con lapice i versori della base dopo la rotazione, abbiamo:
e0k = R
ek
(AL.47)
ik
(AL.48)
449
x3
x '3
x'
2
x'
1
e0k (
1k ,
2k ,
3k )
0
B
B
B
B
B
B
@
(e02 )2
(e03 )2
1
C
C
C
C
C
C
A
450
T
Rij
Rjk =
ik
()
ik
v (vk )
Intendendo qui con v 0 , v non tanto il vettore in se stesso, che non cambia al
variare della base, quanto la terna che lo rappresenta rispetto alla base. Allora
si pu scrivere la legge di trasformazione delle componenti di un vettore per
una rotazione R
degli assi nella forma compatta:
T
v0 = R
v
()
0
v=R
v
(AL.49)
451
Esempio
Come esempio possiamo considerare una rotazione di un angolo # del
piano coordinato x1 x2 attorno allasse x3 .
x'
2
2
x'
1
x3 =
= x '3
e03 (0, 0, 1)
0
B
B
B
B
B
B
@
cos #
sen # 0
sen #
cos #
1
C
C
C
C
C
C
A
452
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:
v1 sen # + v2 sen #
v30 = v3
Trasformazione di similitudine
Abbiamo visto come una matrice di rotazione serve a rappresentare la
legge di trasformazione delle componenti di un vettore quando si effettua
una rotazione degli assi cartesiani, ovvero della base dello spazio associata
al sistema di riferimento. Abbiamo ottenuto linformazione secondo cui se i
versori sono ruotati in base alla legge:
e0k = R
ek
Allora la rappresentazione di ogni vettore si modifica secondo la legge:
0
v=R
v,
v0 = R
v
A
kAik k ,
0
0
A
kAik k
453
w=A
v
(AL.50)
0
w0 = A
v
(AL.51)
0
v=R
v
otteniamo:
0
0
R
R
w =R
A
R
v
T
0
w0 = R
A
R
v
0
A
=R
A
R
(AL.52)
454
0
0
A
=R
A
R
= R
A
R
= A
non una matrice unitaria e la sua azione non lascia inalterati n i moduli
dei vettori, n gli angoli fra le rette dello spazio. Essa comunque una
matrice non singolare, altrimenti il prodotto misto dei vettori della base
trasformata si annullerebbe, a causa della (AL.29), e i vettori trasformati
risultando complanari non formerebbero una base. In questa situazione le
leggi di trasformazione delle rappresentazioni dei vettori e delle matrici si
ottengono esattamente come prima, con lunica differenza che in luogo di
455
R
compare ora S
. Infatti la relazione tra le componenti di un vettore,
rappresentato sulle due basi, data da:
vi ei = vk0 e0k
Moltiplicando scalarmente per ej e tenendo conto del fatto che la base
{ei } ortonormale, si ha:
vj = ej e0k vk0 = Sjk vk0
Si ha allora per la trasformazione della rappresentazione dei vettori:
0
v=S
v
v0 = S
()
(AL.53)
(AL.54)
A
S
Inversione spaziale
Consideriamo il piano reale R2 . Nel piano una rotazione degli assi
cartesiani di un angolo # pu essere scritta nella forma che si desume dai
risultati precedenti:
0
B
R
@
cos #
sen #
sen #
cos #
1
C
A
456
1
C
A
x2
x1
x'1
x' 2
0
B
B
B
B
B
B
@
1
0
0
0
1
0
0
0
1
1
C
C
C
C
C
C
A
457
v0 =
v=
()
vi0 =
vi
(AL.55)
458
a^bc
459
0
det(A
) = det S
A
S
= det S
det(A
) det(S
) = det(A
)
det(S
) = 1.
= Tr
S
S
= Tr S
= Tr (A
)
460
A
d= d
essendo uno scalare da determinare. Il problema geometrico meglio
leggibile da un punto di vista algebrico se lo si riscrive nella forma:
(A
(AL.56)
I)d = 0
(Aik
ik ) dk
=0
(A11
) d1 + A12 d2 + A13 d3 = 0
A21 d1 + (A22
) d2 + A23 d3 = 0
) d3 = 0
det(A
I) = 0
(AL.57)
A11
461
A12
A21
A31
A13
A22
A23
A32
=0
A33
Tr (A
)
+ Tr A
det(A
)=0
(AL.58)
Tr (A
) + det(A
)=0
(AL.59)
462
( d)
463
di
(AL.60)
Tenendo conto che gli elementi della matrice Aik sono quantit reali, la
relazione complessa coniugata della precedente ci d:
Aik dk =
di
(AL.61)
di di = 0
di Aik dk =
di di = 0
Ora
Grazie alla simmetria della matrice le due quantit a primo membro sono
uguali, per cui, sottraendo membro a membro le due equazioni precedenti e
raccogliendo possiamo ottenere linformazione:
(
Ora:
) di di = 0
464
di di = d1 d1 + d2 d2 + d3 d3 > 0
rappresentando una somma dei quadrati di moduli di numeri complessi non
tutti nulli, in quanto le di sono soluzioni non banali, e quindi non tutte nulle,
di un sistema lineare omogeneo. Di conseguenza rimane
= , che
significa che lautovalore reale. Questa considerazione si pu ripetere per
ogni soluzione dellequazione caratteristica, perci tutti gli autovalori sono
reali.
Autovettori di un operatore simmetrico
Gli autovettori di un operatore simmetrico sono reali e formano una
base ortonormale dello spazio.
Per il teorema fondamentale dellalgebra le radici dellequazione
caratteristica sono in numero uguale al grado dellequazione caratteristica,
cio uguale alla dimensione dello spazio in cui loperatore definito,
ed eventualmente possono esservi radici multiple. Inoltre per il risultato
precedente tali autovalori sono reali. Di conseguenza anche gli autovettori,
soluzioni del sistema lineare omogeneo (AL.56), sono reali.
Autovalori distinti
Cominciamo con il considerare gli autovettori corrispondenti ad
autovalori tra loro distinti e mostriamo che: gli autovettori corrispondenti
ad autovettori distinti sono tra loro ortogonali.
Infatti, detti ,
0 0
465
) d d0 = 0
ik
Autovalori multipli
i) Cominciamo con il considerare il caso in cui 2 autovalori su 3 siano
coincidenti (autovalore doppio ). Scriviamo allora, per esempio:
(1)
(2)
6=
(3)
466
(1)
(2)
(3)
(A
8d 2 R3
I ) d = 0,
A
=
0
B
B
B
B
B
B
@
0 0
0
0 0
1
C
C
C
C
C
C
A
467
dk = R
ek
Gli elementi della matrice di rotazione cercata sono dati allora dalle
componenti degli autovettori posti in colonna:
(AL.62)
Rik = ei dk = (dk )i
Per esteso si ha:
0
B
B
B
B
B
B
@
C
C
C
(d3 )2 C
C
C
A
468
0
A
=R
A
R
(k)
(AL.63)
ik
0
A
0
B
B
B
B
B
B
@
(1)
(2)
(3)
C
C
C
C
C
C
A
(k)
ik di
dk
() A
=
(k)
dk dk
469
(1)
d1 d1 +
(2)
d2 d2 +
(3)
d3 d3
dove i prodotti tensoriali degli autovettori ortonormalizzati non sono altro che
gli operatori di proiezione sugli assi principali delloperatore A
.
(i)
di di vk dk =
(i)
di (di dk ) vk =
(2)
v2 d2 +
(i)
vi di
(1)
v1 d1 +
(3)
v3 d3
470
8v 6= 0
ii) v A
v=0
()
v=0
8v 2 R3
vA
v = |v| |A
v| cos # > 0
comporta, per v 6= 0, che cos # > 0.
Diamo ora un criterio operativo per verificare se un operatore definito di
segno:
Un operatore risulta essere definito positivo (rispettivamente, definito
negativo ) se gli autovalori della sua parte simmetrica sono tutti positivi
(rispettivamente, negativi).
471
Av
vA
v == vi di A
vk dk = vi vk di A
dk = vi vk di A
dk =
S
= vi vk
= vi vk
(i)
ik
= v12
(i)
di dk =
(1)
+ v22
(2)
+ v32
(3)
472
Matrici 2 2
A titolo di esempio esaminiamo il caso di una matrice simmetrica 2 2.
Se la matrice non in forma diagonale non necessario diagonalizzarla, ma
basta studiare la sua equazione caratteristica, che si presenta nella forma:
2
Tr (A
) + det(A
)=0
Sappiamo che gli autovalori sono reali, grazie alla simmetria della
matrice; allora possiamo determinare i segni degli autovalori mediante la
regola dei segni di Cartesio. Affinch gli autovalori siano entrambi positivi
(negativi) dovremo avere due variazioni (permanenze ) dei segni dei
coefficienti dellequazione. Questo si realizza a condizione che:
Tr (A
) > 0 (< 0),
det(A
)>0
A11 A22
A212 > 0
473
det(A
)>0
det(A
)=
(1)
Tr (A
)=
(1)
Tr A
(2)
(3)
(2)
(3)
(1)
(2)
(1)
(3)
(2)
(3)
474
(A
(AL.64)
H
)d = 0
dove A
un operatore simmetrico e H
un operatore simmetrico definito
positivo. Questa forma pu essere ricondotta alla (AL.56) grazie al fatto che
loperatore H
non singolare. Infatti esiste in questo caso loperatore inverso
e moltiplicando a sinistra la (AL.64) per linverso si ha:
H
(A
H
)d = H
I d=0
B
=H
(AL.65)
I )d = 0
I)=0
Ma essendo:
det(B
e:
I ) = det H
det(A
H
)
475
det H
6= 0
H
)=0
Ma H
(A
(A
H
)d = B
d=0
H
) d pu essere nullo se e solo se:
(A
H
)d = 0
w = 0,
w = (A
H
)d
1
nullo; ma H
non singolare e non pu avere quindi autovalori nulli
476
I.
Infatti loperatore B
non simmetrico, perci non valgono i teoremi
provati per la diagonalizzazione degli operatori simmetrici. Se si considerano
due autovettori d, d0 relativi ad autovalori distinti , 0 , si pu scrivere:
A
d= H
d
0
A
d =
0
H
d
0
) dH
d =0
Essendo gli autovalori distinti per ipotesi segue che gli autovettori sono
soggetti alla condizione:
0
dH
d =0
(AL.66)
ik
(AL.67)
477
E chiaro che se H
coincide con lidentit, e solo in questo caso, la
base risulta ortonormale. La (AL.67) ci informa anche del fatto che se
rappresentiamo gli operatori rispetto alla base degli autovettori sia la matrice
H
, che la matrice A
divengono simultaneamente diagonali e la H
coincide
con lidentit, infatti:
0
Hik
= di H
dk =
A0ik = di A
dk =
(i)
ik
di H
dk =
(i)
ik
d2 H
d2 ,
d3 H
d3
A11 x21 + A22 x22 + A33 x23 + 2A12 x1 x2 + 2A13 x1 x3 + 2A23 x2 x3 = 1 (AL.68)
A questa equazione si pu dare una forma assoluta se introduciamo la
matrice simmetrica:
A
kAik k
478
e il vettore:
x (xi )
Allora lequazione si riscrive:
(AL.69)
xA
x=1
(2) 0 2
x2
(3) 0 2
x3
=1
1
,
a21
(2)
1
,
a22
(3)
1
a23
(AL.70)
479
(AL.71)
=A
A
n+1
(AL.72)
n2N
=A
A
,
=) A
d=
E quindi iterando:
n
A
d=
Ovvero:
A
d=
480
e si ha la rappresentazione semicartesiana:
A
i
(i) n
risulta diagonalizzabile
di di
det(A
)>0
pu sempre essere espresso nella forma polare:
(AL.74)
A
=R
B
dove R
un operatore di rotazione e B
un operatore simmetrico definito
positivo (operatore di dilatazione).
Infatti dato loperatore A
si pu osservare che loperatore:
T
A
A
A
A
=A
A
481
2
v A
A
v = (A
v) (A
v) = |A
v|
B
=
(i)
(AL.75)
di di
(AL.76)
=A
A
(AL.77)
R
R
= A
B
1 T
A
B
= B
1 T
A
A
B
det(R
) = det A
B
= det(A
) det B
=
I
482
Ora dalla (AL.76), tenendo conto che il determinante non cambia per
trasposizione, abbiamo:
h
i2
det(A
)
i2
= det(B
)
Ma A
ha determinante positivo per ipotesi e B
ha determinante positivo
essendo definito positivo, segue:
det(A
) = det(B
)
E quindi:
det(A
) det B
=1
A
=C
R
differisce da B
.
Si
ha
infatti
dal
confronto
fra
la
(AL.74)
e
la
(AL.78):
R
B
=C
R
(AL.79)
483
484
OP : [ a , b ] ! R3
Il vettore OP = OP () funzione di un parametro
nellintervallo reale [ a , b ].
che varia
OP()
[
a
(CU.2)
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:
485
x1 = x1 ()
(CU.3)
x2 = x2 ()
x3 = x3 ()
] ! [a, b],
= '()
(CU.4)
Ascissa curvilinea
Su una curva, come su un asse rettilineo, possibile fissare unorigine P0 ,
un verso di percorrenza e ununit di misura. Effettuate queste scelte si dice
che si fissata unascissa curvilinea sulla curva. Ci si messi cos in grado
486
(CU.5)
Ovvero:
(ds)2 = dxi dxi =
dxi dxi
(d)2
d d
(CU.6)
Da cui:
s
ds =
dxi dxi
d
d d
(CU.7)
ds =
Z
0
ds()
(CU.8)
(CU.9)
487
Triedro di Frenet
x1 = x1 (s)
(CU.10)
x2 = x2 (s)
x3 = x3 (s)
Versore tangente
Consideriamo due vettori OP (s) e OP (s + s) che caratterizzano due
punti molto vicini di una curva parametrizzata mediante lascissa curvilinea
s, essendo s la loro distanza orientata lungo la curva.
s
P
OP(s+s)
P0
OP(s)
O
s)
OP (s)
488
dP
= lim
s!0
ds
P
s
ds
dxi
ds
(CU.11)
e quindi si ha:
|T | =
dx1
ds
!2
dx2
+
ds
!2
dx3
+
ds
!2
=1
(CU.12)
489
T T =1
=)
dT
=0
ds
(CU.13)
T N =0
C=
v
u
u
t
d2 x1
ds2
!2
d2 x2
+
ds2
!2
d2 x3
+
ds2
!2
(CU.14)
490
(CU.15)
f 0 (s) = a T = 0
(CU.16)
f 00 (s) = C a N = 0
(CU.17)
OQ)2 = 2
e imponiamo un contatto del secondo ordine con la curva, deve risultare che
la funzione:
F (s) = (OP (s)
OQ)2
OQ)2
2 = 0
(CU.18)
491
OQ) T = 0
(CU.19)
OQ) N ] = 0
(CU.20)
OQ =
OQ =
N,
(CU.21)
(CU.22)
492
OP (s +
s) = OP (s) +
h
i
dP
1 d2 P
(s) s +
(s) ( s)2 + O ( s)3
2
ds
2 ds
da cui segue:
OP (s +
s) = OP (s) + T (s) s +
h
i
1
C(s) N ( s)2 + O ( s)3
2
BT =0
=)
dB
dT
T +B
=0
ds
ds
493
Grazie alla (CU.13) e alla ortogonalit della base, nella precedente segue
allora:
dB
T =0
ds
Allora la derivata di B risulta contemporaneamente ortogonale sia a B
che a T . Necessariamente perci o nulla o parallela a N . Esiste dunque
uno scalare tale che:
dB
=N
ds
(CU.23)
CT
(CU.24)
494
P0
N
P
B
f : A !R,
@f
@f
@f
dx1 +
dx2 +
dx3
@x1
@x2
@x3
@f
dxi
@xi
Gradiente
Questa scrittura si presenta come un prodotto scalare di un vettore le cui
componenti sono le derivate parziali della funzione f e del vettore dx.
Si chiama gradiente della funzione f il vettore:
grad f
@f
@xi
@f @f @f
,
,
@x1 @x2 @x3
(NA.1)
496
df = grad f dx
@
@xi
@
@
@
,
,
@x1 @x2 @x3
(NA.3)
(NA.4)
(NA.5)
Divergenza
Il vettore nabla, come ogni altro vettore, pu essere moltiplicato sia
scalarmente che vettorialmente per un altro vettore. Occorre per fare
attenzione in quanto nabla, essendo un operatore differenziale, agisce come
tale sulle funzioni che vengono scritte alla sua destra, di conseguenza i
prodotti sono soggetti alle regole del calcolo differenziale. Per cui, per
operatore nabla
497
A R3
@v1
@v2
@v3
+
+
@x1 @x2 @x3
(NA.6)
div v = r v
Rotore
Il prodotto vettoriale di nabla che agisce su un campo vettoriale v:
r ^ v "ijk
@vj
@xi
(NA.8)
(NA.9)
498
Laplaciano
Combinando insieme lazione di due operatori nabla si possono costruire
degli operatori del secondo ordine. Si chiama laplaciano loperatore ottenuto
mediante il prodotto scalare di nabla per se stesso; si ha:
r2 = r r =
@ @
@2
@2
@2
=
+
+
@xi @xi
@x21 @x22 @x23
(NA.10)
Formule
Basandosi sulle propriet dei vettori e sui teoremi di derivazione, si
verificano le seguenti identit:
1) r( + ) = r + r
2) r (v + w) = r v + r w
3) r ^ (v + w) = r ^ v + r ^ w
4) r ( v) =
rv+vr
5) r ^ ( v) =
r^v
v^r
6) r (v ^ w) = w r ^ v
vr^w
7) r ^ (v ^ w) = (w r) v
w (r v)
(v r) w + v (r w)
8) r (v w) = (w r) v + (v r) w + w ^ (r ^ v) + v ^ (r ^ w)
9) r r = r2
10) r ^ r = 0
operatore nabla
499
11) r r ^ v = 0
12) r ^ (r ^ v) = r (r v)
r2 v
Campo irrotazionale
Un campo vettoriale v = v(x) si dice irrotazionale se soddisfa la
condizione:
r^v =0
(NA.11)
Campo solenoidale
Un campo vettoriale v = v(x) si dice solenoidale
condizione:
rv =0
se soddisfa la
(NA.12)
500
(NA.13)
w =r^v
(NA.14)
(NA.15)
B) = 0
operatore nabla
501
(NA.16)
(NA.17)
INDICE
PARTE PRIMA
Introduzione
PRELIMINARI
4
4
5
6
8
9
12
15
16
17
18
21
21
22
23
24
34
35
36
462
41
45
Cinematica
57
58
60
64
71
76
77
81
83
86
86
88
92
95
101
103
104
104
118
121
122
126
128
130
135
136
138
141
463
144
146
150
153
155
157
164
164
175
178
179
180
181
185
BA. Baricentri
Massa
Densit
Baricentro
Propriet di ubicazione del baricentro
187
187
188
190
193
199
201
206
212
213
217
222
223
226
464
229
230
Lavoro e potenziale
253
254
254
255
256
261
265
267
270
272
230
232
233
235
237
238
249
275
278
280
283
288
291
465
293
295
298
300
303
306
307
309
310
311
STATICA
315
317
317
317
319
323
325
328
331
334
336
339
342
345
347
350
351
351
353
466
354
357
361
375
377
379
381
386
390
392
396
400
401
402
413
416
418
420
420
421
424
428
430
434
437
438
441
443
449
450
453
455
467
PARTE SECONDA
DINAMICA
2
2
4
5
7
8
10
10
15
20
55
57
59
64
72
73
74
80
80
26
33
37
37
43
44
49
468
81
82
82
83
84
88
90
90
93
97
105
107
113
118
127
128
129
131
137
138
140
141
143
144
144
150
151
153
155
157
157
469
158
158
160
163
165
165
166
166
167
169
173
174
176
177
179
180
183
185
185
187
189
191
192
193
197
202
204
222
225
228
470
231
234
237
238
245
250
251
256
263
264
264
265
266
267
272
274
277
279
280
282
282
284
285
289
291
294
394
298
301
302
303
307
471
309
309
312
314
316
316
317
319
321
326
327
327
331
333
334
334
335
344
344
345
346
350
350
325
354
355
359
359
366
366
370
472
371
378
379
379
379
384
385
386
APPENDICI
403
404
404
414
423
424
428
430
435
438
447
448
453
455
462
465
469
417
480
490
494
497
502
473
505
505
506
507
508
508
509
509
510