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PREFAZIONE

Quando ero studente di Fisica, a dire il vero, la Meccanica razionale non


era tra le discipline che mi entusiasmavano di pi. Cos quando, dopo la
mia laurea, il Prof. T.A. Ruggeri mi chiese di tenere le esercitazioni per
il suo corso di Meccanica razionale decisi di seguire le sue lezioni e di
quellesperienza gli sono ancora profondamente debitore, in quanto da esse,
insieme a rinfrescare nella memoria i contenuti di una disciplina, ho ricavato
il vantaggio di avere imparato un metodo. E stata questa esperienza a farmi
cambiare idea nei confronti della materia. Credo che una delle cose pi
importanti della didattica sia proprio quella di comunicare a chi ascolta un
metodo corretto di approccio alla materia trattata; entrare nel metodo di una
disciplina consente di impararla, di gustarla mentre la si studia, di fare entrare
quel metodo nel proprio patrimonio scientifico-culturale per poterlo utilizzare
nel seguito degli studi e magari della futura attivit di ricerca.
Il materiale raccolto in queste pagine nasce da questo itinerario. Il
metodo espositivo, pur con tutti i suoi limiti, cerca di seguire litinerario
naturale dellapprendimento, riportato nella costruzione delle discipline
fisico-matematiche e, in questo caso della Meccanica.
Per questo,
trattandosi di un corso del secondo anno, ho preferito evitare unimpostazione
eccessivamente formalistica e troppo astratta. Ho ritenuto pi efficace e pi
utile per lo studente adottare la via dellastrazione progressiva: si parte da un
problema di natura fisica e si cerca di formularlo in termini matematici. Un
altro aspetto che ho cercato di tenere presente consiste nel dato di fatto che
la Meccanica razionale , in un certo senso, una disciplina di sintesi nella
quale si utilizzano insieme contenuti e metodi che provengono dalla Fisica,
dallAnalisi matematica e dalla Geometria. Per questo utile che di ogni
problema e di ogni risultato si facciano vedere, collegandoli, gli aspetti fisici,
analitici e geometrici. Abituarsi a vedere i problemi meccanici sotto questi

tre aspetti crea un allenamento mentale formidabile e un gusto per lunit


interdisciplinare culturalmente prezioso.
Sarei molto contento se qualcosa di questa bella esperienza che ho fatto io
potesse passare e servire a chi sta studiando oggi.
A.S.

Introduzione
La meccanica razionale una disciplina che tradizionalmente si
collocata, fin dalla sua origine, nel quadro della fisica matematica: ci
significa che i suoi contenuti provengono interamente dalla fisica, mentre
i suoi metodi non sono di natura sperimentale, ma sono completamente
deduttivi come nella matematica.
La meccanica razionale non ha perci il compito di preoccuparsi della
parte sperimentale con la quale la fisica raggiunge le sue leggi fondamentali:
viceversa presuppone come assiomi i principi della meccanica e parte da
questi per costruire, facendo uso dellanalisi matematica e della geometria,
una teoria dimostrativa e completamente deduttiva.
Usualmente un corso di meccanica razionale sviluppa la trattazione
basandosi sui principi della meccanica newtoniana, escludendo dalla propria
considerazione sia la teoria della relativit che la meccanica quantica.
Per aiutare a farsi unidea di come viene organizzata la trattazione diciamo
che essa comprende:
1 - una prima sezione, piuttosto ampia, che potremmo caratterizzare con
il titolo un po generico di preliminari, nel senso che ci fornisce tutti gli
strumenti, le definizioni e i teoremi che si possono sviluppare senza far ricorso
alla meccanica newtoniana vera e propria. In questa sezione includiamo:
la teoria dei vettori applicati
la cinematica
la geometria delle masse, cio quel capitolo che riguarda i concetti di
baricentro e di momento dinerzia
la cinematica delle masse, cio il capitolo relativo alla quantit di moto,
al momento della quantit di moto e allenergia cinetica.

A. Strumia, Meccanica razionale

lintroduzione del concetto di forza, di lavoro e di potenziale


2 - La seconda sezione introduce i principi della dinamica newtoniana, il
concetto di equilibrio e sviluppa la statica dei sistemi.
3 - La terza parte, infine, dedicata alla dinamica.
Ogni sezione viene poi sviluppata in relazione ai vari tipi di corpi dei
quali considereremo rispettivamente lequilibrio o il moto. In particolare
ci occuperemo dei seguenti sistemi: il punto, il corpo rigido, il sistema
olonomo, il continuo deformabile. Per ragioni didattiche, data la sua maggiore
complessit, la meccanica del continuo sar svolta alla fine, in un capitolo a
parte, mentre il punto, il corpo rigido, il sistema olonomo vengono trattati
in parallelo. Il capitolo della cinematica comprender cos la cinematica
del punto, del corpo rigido, del sistema olonomo; allo stesso modo saranno
strutturati il capitolo della statica e quello della dinamica.
Sono previste poi diverse appendici al testo base, per consentire richiami
ed approfondimenti abbastanza ampi, senza intralciare il filo conduttore
dellesposizione corrente.
Possiamo riassumere questo schema introduttivo nel seguente quadro.

Vettori applicati
I - Cinematica
Geometria delle masse
Cinematica delle masse
Lavoro e potenziale
II - Statica
III - Dinamica
Stabilit e oscillazioni
Piano delle fasi

punto corpo rigido

sist. olonomo continuo

punto
punto
punto
punto

sist.
sist.
sist.
sist.

corpo rigido
corpo rigido
corpo rigido
corpo rigido

olonomo
olonomo
olonomo
olonomo

continuo
continuo
continuo
continuo

PRELIMINARI

A. Strumia, Meccanica razionale

OG. Osservatori e grandezze


Per partire nella trattazione abbiamo bisogno di assumere, come acquisiti
dalla fisica, il concetto di osservatore e le nozioni di grandezza scalare e
vettoriale.
Un osservatore viene comunemente identificato, in meccanica classica,
con un sistema di riferimento, generalmente cartesiano ortogonale levogiro
ma si possono usare anche altri tipi di sistemi di coordinate, a seconda
delle necessit, come le coordinate polari ad esempio che consente di
riferire ad unorigine e agli assi le misure di spazio, e un sistema di orologi
sincronizzati, posti in ogni punto dello spazio, per misurare il tempo.

x3

metro

orologio
x

x1

Figura OG. 1: un osservatore

Scalari
La fisica ci dice che esistono delle grandezze la cui misura si pu
identificare con un semplice numero: ad esempio il tempo, la massa,
lenergia, ecc. Queste quantit vengono dette scalari. Va sottolineato,

osservatori e grandezze

per che non tutte le quantit caratterizzabili con un solo numero sono,
propriamente parlando, degli scalari.
Una grandezza si dice scalare quando il valore della sua misura non
dipende dallorientamento degli assi del sistema di riferimento.
Perci due o pi osservatori che effettuano, nello stesso istante e nello
stesso punto dello spazio, la misura di quella quantit, pur avendo scelto
sistemi di assi diversamente orientati, otterranno lo stesso risultato.

Vettori
Altre grandezze necessitano, invece, di ulteriori specificazioni oltre al
numero che misura la loro intensit, in quanto sono caratterizzate anche
da una direzione e da un verso nello spazio. Queste quantit come lo
spostamento, la velocit, la forza, ecc. si possono descrivere geometricamente
mediante dei segmenti orientati e vengono dette vettori.

Figura OG. 2: composizione di vettori

Non tutte le grandezze dotate di intensit o modulo , direzione e verso


per sono vettori, ma solo quelle per le quali si pu dare come regola di
somma (composizione ) la cosiddetta regola del parallelogrammo. Per cui

A. Strumia, Meccanica razionale

leffetto complessivo di due grandezze vettoriali risulta avere direzione , verso


e modulo dati dal vettore posto lungo la diagonale del parallelogrammo i cui
lati sono i vettori relativi alle grandezze da comporre.
Una grandezza dotata di modulo, direzione e verso si dice vettore se
obbedisce alla regola di somma del parallelogrammo.
Useremo le seguenti notazioni:
scriveremo AB per indicare il vettore di estremi A e B orientato da A
verso B
oppure useremo una lettera sola in carattere grassetto, come, per
esempio v. Nei testi scritti a mano useremo la sottolineatura al posto del
grassetto: v.
Il modulo di un vettore sar indicato con |AB| oppure con |v| o anche
semplicemente con una lettera non sottolineata, come v.

A
Figura OG. 3: notazioni per un vettore
Nellesempio di figura (??) si ha che v = AB

Operatori lineari
Esistono, poi in fisica, altri tipi di grandezze che non sono n scalari
n vettori, ma compaiono in relazioni matematiche che legano tra loro due

osservatori e grandezze

vettori. Per esempio, consideriamo lazione di un oggetto che denotiamo con


la scrittura A
che agisce su un vettore trasformandolo in un nuovo vettore.

Lazione di A
trasforma il vettore v nel nuovo vettore w. La grandezza A

prende il nome di operatore lineare. La sua azione tra vettori si scrive allora
nella forma:
w=A
v
Notiamo che le propriet di A
sono determinate dal fatto che se il vettore
di partenza obbedisce alla regola di somma del parallelogrammo, anche il
vettore trasformato deve obbedire alla stessa regola. Un operatore descrive
matematicamente leffetto di un agente che prende un vettore, lo ruota e lo
deforma allungandolo o accorciandolo.
Una grandezza si dice operatore lineare se trasforma la somma di due
vettori nella somma dei loro trasformati.

Figura OG. 4: azione di un operatore lineare su un vettore


Richiami di calcolo vettoriale e matriciale si possono trovare
nellappendice AL - Algebra vettoriale e matriciale.

VA. Vettori applicati


I vettori, considerati da un punto di vista matematico, vengono tutti riferiti
allorigine degli assi, in quanto si considerano equivalenti tutti i segmenti
orientati di uguale direzione, verso e modulo, indipendentemente dal loro
punto di applicazione nello spazio. Una teoria dei vettori che prescinde dal
punto di applicazione dei vettori stessi, viene detta teoria dei vettori liberi.
Tuttavia, in non pochi problemi fisici non sufficiente considerare i vettori
liberi, perch le grandezze fisiche vettoriali possono avere comportamenti
differenti in dipendenza del loro punto di applicazione. Lesempio pi
evidente quello di una forza applicata ad un corpo, che a seconda del punto
di applicazione pu lasciare che il corpo stia in equilibrio oppure no.

Figura VA. 1: azione di una forza in dipendenza dal suo punto di applicazione
Un altro esempio di vettore applicato dato dalla velocit di un punto di
un corpo rigido che dipende, con una legge ben precisa dal punto considerato.
Nasce, perci, lesigenza di introdurre il concetto di vettore applicato,
come un ente a sei parametri, dei quali tre sono le coordinate del punto di
applicazione e tre sono le componenti del vettore. Simbolicamente un vettore
applicato si denota con una coppia ordinata di elementi dei quali il primo il
punto di applicazione e il secondo il vettore: (A, v).
Oltre ai vettori applicati in un punto si pu definire anche una categoria
di grandezze vettoriali le cui propriet sono legate indifferentemente ai punti

vettori applicati

della retta alla quale appartengono (retta dazione ) e perci sono detti vettori
scorrevoli o cursori, in quanto possono essere fatti scorrere lungo la propria
retta dazione senza alterare il loro effetto fisico.

v
(A,v)
Figura VA. 2: cursore
Un cursore pu essere denotato con la coppia (r, v) il primo termine della
quale indica la retta dazione del cursore.
Tuttavia dal momento che questi enti rappresentano una sottoclasse dei
vettori applicati ad un punto lo studio delle loro propriet specifiche non ci
strettamente necessario.

Momento polare di un vettore applicato


Dato un vettore applicato ad un punto (A, v) e un punto Q nello spazio,
si dice momento polare di v rispetto al polo Q la quantit:
M Q = QA ^ v

(VA. 1)

Lindice al piede del vettore momento denota il polo di riduzione e il


vettore QA costruito in modo che la sua origine sia il polo Q e il suo vertice
sia il punto di applicazione del vettore. Notiamo, per inciso, che se v un
vettore vero il momento polare uno pseudovettore.
Il modulo di M Q si pu scrivere
|M Q | = |v| |QA| sen # = |v| d

(VA. 2)

10

A. Strumia, Meccanica razionale

A
d

Q
Figura VA. 3: braccio di un vettore applicato rispetto a un polo
dove: d = |QA| sen # detto braccio del vettore v rispetto al polo Q.
Il momento polare di un vettore applicato risulta essere nullo :
quando il vettore nullo
e/oppure
quando il polo coincide con il punto di applicazione del vettore
oppure
quando QA parallelo a v ovvero Q appartiene alla retta di azione di
v.
Negli ultimi due casi si ha che il braccio risulta essere nullo.
Notiamo che, data la definizione, il momento un vettore ortogonale al
piano individuato dal vettore v e dal polo.
M

Q
v
Q
A

(A , v)

Figura VA. 4: momento di un vettore rispetto a un polo


Il momento polare di un vettore varia al variare del polo, come pure al

vettori applicati

11

variare del punto di applicazione del vettore; tuttavia facile verificare che se
si fa scorrere il polo lungo una retta parallela alla retta di azione del vettore,
oppure si fa scorrere il vettore lungo la propria retta dazione il momento non
cambia.
r
v
r'

A
Q'
Q

Figura VA. 5: scorrimento del polo lungo una retta parallela alla retta di azione
v
v

A'

A
Q

Figura VA. 6: scorrimento di un vettore lungo la retta di azione


Infatti, nel primo caso si ha:
M Q0 = Q0 A ^ v = (Q0 Q + QA) ^ v = Q0 Q ^ v + QA ^ v
ma Q0 Q ^ v = 0 essendo Q0 Q parallelo a v. E quindi:
M Q0 = QA ^ v = M Q

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A. Strumia, Meccanica razionale

Nel secondo caso abbiamo:

M Q = QA0 ^ v = (QA + AA0 ) ^ v = QA ^ v + AA0 ^ v


ma

AA0 ^ v = 0

perch AA0 parallelo a v, quindi anche in questo caso il momento non


cambia.

Momento assiale di un vettore applicato


Se si fa scorrere, invece, il polo lungo una retta qualsiasi (in generale non
parallela alla retta dazione di v) il momento polare varier dal momento che
si ha:
Q0 A ^ v = QA ^ v + Q0 Q ^ v

(VA. 3)

e il termine di cui varia Q0 Q ^ v risulter ortogonale a Q0 Q, cio alla retta


su cui scorre il polo. Questo ci di ce che se si proietta il momento polare
sulla retta in questione otterremo una quantit invariabile rispetto alla scelta
del polo sulla retta.
Infatti, detto u il versore della retta r su cui scorre il polo Q si ha,
moltiplicando (VA. 3) scalarmente per u:
Q0 A ^ v u = QA ^ v u + Q0 Q ^ v u
Ora:
Q0 Q ^ v u = 0

vettori applicati

13

dal momento che Q0 Q parallelo ad u e quindi i tre vettori sono sicuramente


complanari.

MQ
u
Q
r

Mr u

Figura VA. 7: momento assiale di un vettore applicato

Allora naturale introdurre la quantit:


Mr = QA ^ v u = M Q u

(VA. 4)

che prende il nome di momento assiale di v rispetto alla retta r. Se v un


vettore vero Mr uno pseudoscalare e non dipende dalla scelta del polo sulla
retta, ma solamente dalla retta r.
Va sottolineato che il momento assiale non la componente di M Q
rispetto ad una retta qualunque, ma rispetto ad una retta che contiene il polo.
Il momento assiale di un vettore applicato risulta essere nullo quando il
prodotto misto che lo definisce si annulla e cio quando i tre vettori QA, v e
u sono complanari.
Ora Q sta sulla retta di u e A sulla retta dazione di v: dunque perch
i tre vettori u, v e QA siano complanari occorre e basta che u e v siano
complanari; in questo modo anche QA sta sullo stesso piano. Dunque il

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A. Strumia, Meccanica razionale

u
Q
r

Figura VA. 8: il momento assiale si annulla quando la retta e il vettore sono


complanari

prodotto misto si annulla, in generale, se la retta r e la retta dazione di v


sono complanari.
Di conseguenza: condizione necessaria e sufficiente affinch il momento
assiale di un vettore applicato non nullo v, rispetto ad una retta r, sia non
nullo che la retta r e la retta dazione di v siano sghembe.

MQ
r

u
v

M ru

Figura VA. 9: il momento assiale si annulla quando la retta e il vettore sono


complanari

vettori applicati

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Sistemi di vettori applicati


La teoria dei vettori applicati trova una sua utilit quando anzich limitarsi
ad un solo vettore applicato ci si trova ad operare con un sistema di pi vettori
applicati.

An

v1

vn

vs
As

A1
A2

v2

vn-1

A n-1

polo Q
Figura VA. 10: sistema di vettori applicati
Un sistema di vettori applicati si denota con a , definito come linsieme
dei vettori applicati di cui ci stiamo occupando:
a = {(As , v s ) ; s = 1, 2, , n}

(VA. 5)

Per caratterizzare un sistema di vettori applicati sono utili i seguenti


vettori:

R=

n
X

vs

(VA. 6)

s=1

che prende il nome di vettore risultante e viene ottenuto eseguendo la somma


dei vettori del sistema come se fossero liberi.

16

A. Strumia, Meccanica razionale

Inoltre il vettore momento risultante riferito ad un polo Q:

MQ =

n
X

s=1

(VA. 7)

QAs ^ v s

che si ottiene sommando i momenti polari, calcolati rispetto allo stesso polo
Q dei singoli vettori applicati del sistema.
Si vede immediatamente dalla (VA. 7) che, in generale il momento
risultante di un sistema di vettori applicati differisce dal momento del vettore
risultante, pensato applicato in un qualche punto A.

Legge di distribuzione dei momenti


Come varia il momento risultante di un sistema di vettori applicati al
variare del polo Q?
Scelto un nuovo polo Q0 , per la definizione di momento risultante (VA.
7) abbiamo:

M Q0 =

n
X

s=1

Q0 As ^v s =

n
X

(Q0 Q+QAs )^v s =

s=1

n
X

Q0 Q^v s +

s=1

n
X

s=1

QAs ^v s

Dal momento che Q0 Q non dipende dall indice s si pu riscrivere:


M Q0 = Q0 Q ^

n
X

s=1

vs +

n
X

s=1

QAs ^ v s

E facile riconoscere il vettore risultante definito da (VA. 6) nella prima


sommatoria e il momento rispetto al polo Q definito da (VA. 7) nella seconda.

vettori applicati

17

In conclusione si ha la seguente legge di distribuzione dei momenti al


variare del polo:

M Q0 = M Q + Q0 Q ^ R

(VA. 8)

che si pu leggere in questo modo:


Il momento risultante rispetto al nuovo polo Q0 uguale al momento
risultante rispetto al vecchio polo Q pi il momento del vettore
risultante pensato applicato in Q, calcolato rispetto al nuovo polo Q0 .
La regola mnemonica per scrivere correttamente il termine aggiuntivo
Q Q ^ R consiste nel ricordare che nel vettore Q0 Q il primo punto da scrivere
il nuovo polo, cio quello che compare nel momento a primo membro della
legge di distribuzione e che il vettore R deve essere il secondo fattore del
prodotto vettoriale.
0

Invarianza del momento rispetto al polo


Ci chiediamo, anzitutto, se pu accadere, e a quali condizioni, che il
momento risultante sia indipendente dalla scelta del polo. Imponendo nella
legge di distribuzione dei momenti la condizione di invarianza del momento
risultante rispetto al polo:
M Q0 = M Q
otteniamo che la (VA. 9) pu essere verificata se e solo se risulta:

(VA. 9)

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A. Strumia, Meccanica razionale

Q0 Q ^ R = 0

(VA. 10)

Se si esclude il caso banale in cui Q0 Q, la (VA. 10) pu essere


soddisfatta nei seguenti due casi:
a. sistemi a risultante nullo
Un primo modo per soddisfare la (VA. 10) si ha quando il vettore risultante
nullo:
R=0

(VA. 11)

In questo caso il momento risultante lo stesso qualunque sia il punto


dello spazio che viene scelto come polo: sar, perci sufficiente indicare il
momento risultante semplicemente con M senza specificare il polo.

Coppia
Un esempio notevole di sistema a risultante nullo dato dalla coppia.
Si dice coppia un sistema di due vettori applicati a risultante nullo.
Il fatto che il risultante sia nullo ci dice che i due vettori sono tra loro
paralleli, di verso opposto e di uguale modulo.
Il momento della coppia indipendente dalla scelta del polo e pu essere
facilmente calcolato scegliendo come polo il punto di applicazione di uno
dei due vettori della coppia, il quale risulta avere allora momento nullo;
procedendo in questo modo si ottiene:

vettori applicati

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-v

Figura VA. 11: coppia

M = QA ^ v

(VA. 12)

|M | = |v| d

(VA. 13)

In modulo abbiamo:

dove il braccio d = |QA| sen # uguale alla distanza fra le due rette dazione
dei vettori della coppia.
Ne consegue che: una coppia di vettori non nulli ha momento nullo se e
solo se il suo braccio nullo.
In tal caso i due vettori sono uguali e contrari e sulla stessa retta dazione.
Per una coppia di braccio nullo si ha R = 0, M = 0.
b. sistemi a risultante non nullo
Il secondo modo per soddisfare la condizione di invarianza del momento
risultante (VA. 9) si ha quando il risultante non nullo e Q0 Q risulta parallelo
al risultante. In questo caso il momento risultante lo stesso per qualunque

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A. Strumia, Meccanica razionale

-v
B
v

-w

w
C
Figura VA. 12: coppie di braccio nullo
polo appartenente alla retta passante per Q e parallela ad R e non pi per
qualunque punto dello spazio, preso come polo, come accadeva nel caso
precedente. Scegliendo i poli su di una retta parallela ad R, ma diversa, il
momento risultante cambia.

r
R
r'

A
Q'
Q

Figura VA. 13: invarianza del momento polare rispetto ai punti di una retta parallela
al risultante

Si pu anche formulare questo risultato nel modo seguente:


In un sistema di vettori applicati a risultante non nullo il momento
risultante non cambia se si fa scorrere il polo lungo una retta parallela
al risultante.

vettori applicati

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Possiamo anche concludere, tendendo conto di tutti i risultati ottenuti che:


Condizione necessaria e sufficiente affinch il momento risultante di un
sistema di vettori applicati sia completamente indipendente dalla scelta
del polo che il vettore risultante sia nullo.

Sistemi a momento nullo rispetto a un polo


Abbiamo finora analizzato, nella legge di distribuzione dei momenti che
cosa succede quando si annulla il termine Q0 Q ^ R; resta ora da analizzare
che cosa succede quando si annulla, invece, il momento risultante rispetto ad
un polo Q dello spazio:
MQ = 0

(VA. 14)

In tale situazione la legge di distribuzione dei momenti (VA. 8) si riduce


a:
M Q0 = Q0 Q ^ R

(VA. 15)

relazione che ci dice che se il momento risultante rispetto ad un polo Q


nullo, allora il momento risultante rispetto ad un altro polo Q0 uguale al
momento del vettore risultante R applicato nel punto Q. In questo caso e solo
in questo caso il vettore momento risultante coincide con il momento del
vettore risultante.

Teorema di Varignon
Un sistema di vettori applicati in uno stesso punto, o tali che le loro rette
dazione passino per lo stesso punto, ha momento risultante uguale al
momento del vettore risultante applicato in quel punto.

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A. Strumia, Meccanica razionale

DIMOSTRAZIONE
Scelto come polo il punto comune alle rette dazione di tutti i vettori,
che pu essere anche il punto di applicazione, almeno di alcuni di essi, e
che chiamiamo Q calcoliamo il momento risultante rispetto al polo Q, che
secondo la definizione (VA. 7) vale:

MQ =

n
X

s=1

QAs ^ v s

Ora, se la retta dazione del generico vettore del sistema passa per Q o
addirittura Q coincide con il punto di applicazione As segue immediatamente:
QAs ^ v s = 0,

s = 1, 2, , n

dal momento che QAs risulta parallelo a v s quando la retta dazione di v s


passa per Q e nullo quando As Q. Ne viene di conseguenza che:
MQ = 0
e quindi ci troviamo nel caso b che abbiamo esaminato prima; perci risulta
soddisfatta la relazione (VA. 15) cio verificato lenunciato del teorema.

Momento assiale di un sistema di vettori


Anche per un sistema di vettori applicati conveniente introdurre il
concetto di momento assiale relativo ad una retta r che contiene il polo. Si
ha anche in questo caso:
Mr = M Q u

vettori applicati

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identica alla (VA. 4). Grazie alla legge di distribuzione dei momenti (VA.
8) anche per un sistema di vettori applicati il momento assiale risulta
indipendente dalla scelta del polo lungo la retta r assegnata. Infatti abbiamo:
Mr = M Q0 u = M Q u + Q0 Q ^ R u
Ma dal momento che Q0 e Q appartengono alla retta r di direzione u
segue che Q0 Q parallelo ad u e quindi il prodotto misto Q0 Q ^ R u
certamente nullo, perch i tre vettori Q0 Q, R e u risultano complanari.
Dunque il momento assiale risulta indipendente dal punto che si sceglie come
polo lungo la retta r.

Trinomio invariante
Dato un sistema di vettori applicati a i vettori R e M Q vengono detti
vettori principali del sistema. Con questi due vettori possibile costruire
uno pseudoscalare che prende il nome di trinomio invariante o anche,
brevemente invariante:

J = MQ R

(VA. 16)

La denominazione di invariante deriva dal fatto che la quantit J non


dipende dalla scelta del polo Q nello spazio. Infatti, cambiando polo, la legge
di distribuzione dei momenti (VA. 8) comporta:
J = M Q0 R = M Q R + Q0 Q ^ R R
dove il prodotto misto Q0 Q ^ R R evidentemente nullo contenendo
addirittura due vettori uguali.

24

A. Strumia, Meccanica razionale

Notiamo che, in generale, se il risultante non nullo lannullarsi


dellinvariante equivale a dire che il momento risultante ortogonale al
risultante oppure nullo. Ci accade, per esempio, come vedremo, per i
sistemi di vettori paralleli e per i sistemi di vettori appartenenti ad uno stesso
piano (sistemi piani).

Asse centrale di un sistema di vettori applicati


La teoria dei vettori applicati trova una delle sue principali applicazioni
nella statica dei corpi rigidi: in questo capitolo della meccanica i vettori
applicati in gioco sono le forze e i momenti sono i momenti delle forze
che occorrono per mantenere in equilibrio un corpo. Tali forze e momenti
dovranno essere esercitate da appoggi, incastri, strutture di sostegno. Ci sono
perci delle evidenti ragioni di convenienza che conducono a ricercare le
condizioni per le quali si rendono minime le sollecitazioni a cui le strutture di
sostegno vengono sottoposte.
Ora in un sistema di vettori applicati i vettori principali sono R ed M Q :
di questi due il primo fissato una volta che si sia assegnato a , mentre M Q
variabile in dipendenza del polo. Nasce, perci il problema di ricercare, se
esistono, dei punti che presi come poli di riduzione rendono minimo il modulo
del momento. Questa ricerca conduce, come vedremo allintroduzione del
concetto di asse centrale di un sistema di vettori applicati.
A questo scopo introduciamo un punto O dello spazio, rispetto al quale
supponiamo di conoscere il momento M O e un polo variabile P caratterizzato
dal suo vettore spostamento rispetto ad O:

OP = x (xi ) (x1 , x2 , x3 )

(VA. 17)

Con queste notazioni il momento rispetto al polo variabile viene espresso


come una funzione della variabile vettoriale x:

vettori applicati

25

MP = MO + PO ^ R = MO + R ^ x

(VA. 18)

dove abbiamo scambiato lordine del prodotto vettoriale. A noi interessa


ricercare, se esistono, i minimi del modulo, ovvero del modulo al quadrato, il
cui studio risulta pi semplice. Allora la funzione da studiare :
f (x) = (M O + R ^ x)2

(VA. 19)

Per cercare i minimi di questa funzione dobbiamo imporre la condizione


necessaria di minimo relativo che richiede di annullare il gradiente della
funzione.
Differenziando otteniamo:
df (x) = 2(M O + R ^ x) R^dx

(VA. 20)

Mediante le propriet del prodotto misto possiamo scambiare lordine dei


prodotti ottenendo:
df (x) = 2(M O + R ^ x) ^ Rdx

(VA. 21)

Poich per qualsiasi funzione differenziabile f (x) si ha:


df (x) = rf (x)dx
immediato ottenere il gradiente della nostra funzione:
rf (x) = 2(M O + R ^ x) ^ R

(VA. 22)

Ora la condizione necessaria perch un punto sia un estremante che:

26

A. Strumia, Meccanica razionale

rf (x) = 0
che nel nostro caso si traduce in:
(VA. 23)

(M O + R ^ x) ^ R = 0
A questo punto si presentano tre possibilit:
a. prima possibilit
R=0

Ma questo caso non di alcun interesse perch se il risultante nullo


allora il momento indipendente dal polo ed perci una funzione costante e
non vi sono quindi minimi per il suo modulo. Dora in poi perci supponiamo
senzaltro che:
R 6= 0

(VA. 24)

MO + R ^ x = 0

(VA. 25)

b. seconda possibilit

c. terza possibilit
MO + R ^ x

parallelo ad

I casi b) e c) si possono conglobare nella seguente equazione:


MO + R ^ x = R ,

2R

(VA. 26)

vettori applicati

che d il caso b) per

27

= 0 e il caso c) per

6= 0.

Lequazione vettoriale (VA. 26) rappresenta il luogo geometrico dei punti


dello spazio che sono estremanti del modulo del momento risultante. Si
tratta di unequazione vettoriale lineare in x, contenente un parametro e
rappresenta perci, come vedremo meglio, in seguito una retta. A tale retta si
d il nome di asse centrale.
Mostriamo ora che si tratta effettivamente di punti di minimo. Mediante
la (VA. 18) ricaviamo che la condizione (VA. 26) equivale a dire che il
momento calcolato rispetto ai punti dellasse centrale presi come poli, vale:
MP = R

(VA. 27)

dove si ricava facilmente prendendo il prodotto scalare della relazione (VA.


27) con R:
M P R = R2
Tenendo conto della definizione di invariante (VA. 16) e del fatto che il
risultante supposto non nullo ricaviamo:

J
R2

(VA. 28)

e dunque, rispetto ai punti dellasse centrale presi come poli il momento vale:

= MP =

J
R
R2

(VA. 29)

Esso risulta essere parallelo al risultante e inoltre indipendente dal polo


considerato sull asse centrale stesso.

28

A. Strumia, Meccanica razionale

Se calcoliamo ora il momento rispetto ad un polo qualsiasi Q che,


in generale, pu non appartenere allasse centrale , mediante la legge di
distribuzione (VA. 8), abbiamo:
M Q = M P + QP ^ R = + QP ^ R
ovvero:
MQ = + NQ

(VA. 30)

N Q = QP ^ R

(VA. 31)

dove:

rappresenta la componente del momento M Q normale al risultante R, mentre


rappresenta la componente parallela al risultante.

P
Q
N
Q

asse

centrale

Figura VA. 14: asse centrale


Di conseguenza il modulo del momento risultante calcolato rispetto al
polo Q dato dalla composizione pitagorica delle due componenti (parallela
e normale al risultante) e vale:

vettori applicati

29

|M Q | =

2 + N Q 2

(VA. 32)

Poich N Q 2 sempre positivo quando Q non appartiene allasse centrale


ed nullo se e solo se Q appartiene allasse centrale, ne viene di conseguenza
che il modulo del momento sullasse centrale minimo e vale ||.
Notiamo che il momento risultante calcolato rispetto ad un polo qualsiasi
costituito da due componenti: una parallela al risultante e indipendente dal
polo () e una, normale al risultante, che nulla sullasse centrale e cresce
linearmente allontanandosi da esso (N Q ) in quanto risulta :
(VA. 33)

|N Q | = |R| d
dove d la distanza del polo Q dallasse centrale.
Riassumendo:

Lasse centrale la retta luogo geometrico dei punti dello spazio, che
presi come poli di riduzione, rendono il momento risultante parallelo al
risultante e di minimo modulo oppure nullo.
Notiamo che lasse centrale una retta parallela al risultante: si pu
vederlo facilmente applicando la legge di distribuzione dei momenti (VA. 8)
per due poli P e P 0 appartenenti allasse centrale per i quali il momento
identico e vale . Risulta allora:
= + P 0P ^ R

()

P 0P ^ R = 0

e dunque, essendo R 6= 0, supposto P 0 6= P , segue P 0 P parallelo ad R, e


quindi lasse centrale che diretto come P 0 P risulta parallelo ad R.

30

A. Strumia, Meccanica razionale

Considerazioni analitiche
Dal punto di vista analitico va detto che il minimo per la funzione f (x)
che rappresenta il modulo al quadrato del momento risultante non un
minimo relativo proprio, perch non si verifica in un solo punto del dominio
della funzione. Abbiamo trovato, infatti unintera retta di punti di minimo
(asse centrale): si tratta di un minimo cilindrico. In questo caso, definito
lasse centrale come linsieme:
A = {x 2 R3 ; M O + R ^ x =

R,

2 R}

si ha:
f (x) > ||2

8x 2
/A

e
f (x) = ||2

()

x2A

Nel nostro caso la funzione f (x), essendo polinomiale, si pu


rappresentare mediante uno sviluppo finito di Taylor, del secondo ordine,
nellintorno di un punto A dellasse centrale. Detto:

OA = a (a1 , a2 , a3 )
otteniamo il seguente sviluppo:

f (x) = f (a) + rf (a) (x

1
a) + (x
2

a) H
(x

a)

vettori applicati

31

Il termine del primo ordine evidentemente nullo sullasse centrale,


avendo imposto la condizione di gradiente nullo. Il termine del secondo
ordine dipende dalla matrice hessiana che ora calcoliamo.
Ricordiamo che la matrice hessiana si ottiene calcolando il differenziale
del gradiente ed definita mediante la relazione seguente:
d[rf (x)] = H
dx
ovvero in rappresentazione indiciale:
"

@f (x)
@ 2 f (x)
d
=
dxj
@xi
@xi @xj
Perci i suoi elementi di matrice sono le derivate seconde della funzione
f (x):
@ 2 f (x)
=
H

@xi @xj
Nel nostro caso il gradiente dato dalla (VA. 22) e quindi:
d[rf (x)] = d[2(M O + R ^ x) ^ R]
Sviluppando il doppio prodotto vettoriale abbiamo:
(R ^ x) ^ R = R2 x

R(R x)

Ricordiamo che per le propriet del prodotto tensoriale si ha:


R(R x) = (R R) x

32

A. Strumia, Meccanica razionale

Dunque, tenendo conto che il vettore R indipendente da x abbiamo


finalmente:
d[rf (x)] = 2[R2
I

R R] dx

da cui abbiamo la matrice hessiana cercata:


2
H
I
= 2[R

R R]

Ora per avere un minimo cilindrico, cio sui punti di una retta, che nel
nostro caso lasse centrale, occorre che la matrice hessiana sia definita
positiva per tutti i vettori dello spazio privato della retta. Ci significa che
la forma quadratica (x a) H
(x a) deve risultare sempre positiva al di
fuori della retta e sempre nulla sulla retta.
E questo proprio quanto accade. Infatti, indicando, per brevit con:
w=x

abbiamo:

2
wH
I
w = 2w [R

= 2R2 w2 (1

R R]w = 2[R2 w2

(R w)2 ] =

cos2 #) = 2R2 w2 sen2 #

dove con # si indicato langolo tra i vettori w e R. Evidentemente la forma


quadratica, essendo il risultante non nullo per ipotesi, pu annullarsi solo se
w nullo oppure parallelo al risultante e cio solo sullasse centrale, mentre
sempre positiva altrove.

vettori applicati

33

Rappresentazione cartesiana dellasse centrale


Abbiamo scritto in precedenza lequazione vettoriale dellasse centrale
(VA. 26) nella forma:
MO + R ^ x = R
Se proiettiamo questa equazione vettoriale su di un sistema di assi
cartesiani Ox1 x2 x3 Oxyz otteniamo le seguenti equazioni:
MOi = "ijk Ri xk = Ri ,

i = 1, 2, 3

(VA. 34)

Denotando con x, y ,z gli indici relativi agli assi cartesiani, abbiamo il


sistema di tre equazioni lineari in x, y, z e nel parametro :
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

MOx + Ry z

R z y = Rx

MOy + Rz x

Rx z = Ry

MOz + Rx y

Ry x = Rz

(VA. 35)

Queste sono le equazioni parametriche dellasse centrale. Eliminando il


parametro si ottengono le equazioni cartesiane dellasse centrale. Pu essere
pi semplice tener conto dellespressione per ottenuta mediante linvariante
(VA. 28). In tal caso, le tre equazioni precedenti, dopo aver sostituito
lespressione per risultano essere linearmente dipendenti. Prendendo allora
due di esse che risultano linearmente indipendenti abbiamo le equazioni
cartesiane dellasse centrale; per esempio, poniamo siano indipendenti le
prime due:
8
>
<
>
:

MOx + Ry z

Rz y =

J
R
R2 x

MOy + Rz x

Rx z =

J
R
R2 y

(VA. 36)

34

A. Strumia, Meccanica razionale

Ora, due equazioni lineari in x, y, z, e tra loro linearmente indipendenti,


rappresentano nello spazio una retta.
Notiamo che lasse centrale risulta essere definito solo se il risultante
non nullo, come abbiamo precedentemente ipotizzato; in caso contrario
si annullerebbero i denominatori nella (VA. 36). Anche da un punto di
vista geometrico si comprende come, essendo lasse centrale il luogo dei
poli rispetto ai quali il momento di minimo modulo e quindi parallelo al
risultante, non sia possibile determinare una direzione parallela ad un vettore
nullo. Perci se il risultante nullo lasse centrale risulta non definito.

Operazioni elementari
Si chiamano operazioni elementari su di un sistema di vettori applicati le
seguenti operazioni:
laggiunta o la soppressione di una o pi coppie di braccio nullo;
la sostituzione di pi vettori applicati in uno stesso punto con il loro
risultante, applicato nello stesso punto; o viceversa la decomposizione di un
vettore applicato in un punto in pi vettori applicati nello stesso punto, il cui
risultante uguale al vettore di partenza.
Una conseguenza di queste due operazioni elementari consiste nel:
trasporto di un vettore lungo la propria retta dazione.
Questa terza operazione elementare non indipendente dalle prime due
in quanto il trasporto del vettore lungo la sua retta dazione si pu pensare
come laggiunta di una coppia di braccio nullo seguita dalla soppressione di
unaltra coppia di braccio nullo o dalla sostituzione di due vettori applicati
nello stesso punto con il loro risultante.

vettori applicati

35

r
A

-v

A
v

v
B

B
v

Figura VA. 15: trasporto di un vettore lungo la propria retta dazione


Per come sono state definite:
Le operazioni elementari non alterano n il risultante n il momento
risultante di un sistema di vettori applicati.
e in questo sta la loro importanza ai fini della riducibilit dei sistemi di vettori
applicati.

Sistemi riducibili
Diamo la seguente definizione di riducibilit di due sistemi:
Due sistemi di vettori applicati si dicono riducibili quando possibile
passare dalluno allaltro mediante operazioni elementari.
E inoltre la definizione di sistema riducibile a zero:
Un sistema di vettori applicati si dice riducibile a zero, o equilibrato
o nullo quando, mediante operazioni elementari, pu essere ridotto a
coppie di braccio nullo.

36

A. Strumia, Meccanica razionale

Osserviamo che se un sistema di vettori applicati 0a riducibile ad un


altro sistema 00a allora vero anche il viceversa e cio che 00a riducibile a
0a . Infatti, se per passare da 0a a 00a occorre aggiungere, mediante operazioni
elementari un sistema nullo 000
a , invertendo tutte le operazioni elementari
(cio scambiando loperazione di aggiungere con quella di sopprimere, ecc.)
si ritorna da 00a a 0a .

Teoremi di riducibilit
Il teorema pi importante della teoria dei vettori applicati riguarda la
riducibilit di un qualunque sistema di vettori applicati ad un sistema di vettori
applicati particolarmente semplice. Lo enunciamo:
Un sistema di vettori applicati di risultante R e momento risultante
M Q calcolato rispetto a un polo Q riducibile ad un solo vettore R
applicato in Q e ad una coppia di momento M Q .
DIMOSTRAZIONE
La dimostrazione di questo teorema pu essere fatta in tre stadi successivi,
ciascuno dei quali costituisce un teorema a se stante: a questi tre teoremi, che
ora enunciamo e dimostriamo, si d il nome di teoremi di riducibilit.

a. un sistema di pi di tre vettori applicati riducibile a tre vettori


Supponiamo di avere un sistema di pi di tre vettori applicati:

a = {(As , v s ) ; s = 1, 2, , n ; n > 3}

vettori applicati

37

e di assegnare tre punti non allineati P 0 , P 00 , P 000 . Allora, dato il generico


vettore v s , applicato in As , congiungiamo As con i tre punti P 0 , P 00 , P 000 .
Qualunque sia As , se i quattro punti non sono complanari, i versori che si
possono assegnare alle tre rette congiungenti ottenute, costituiscono una base
dello spazio. Allora possibile decomporre su questa base qualunque vettore
dello spazio e, in particolare v s .
Se invece i quattro punti risultassero complanari, mediante unoperazione
elementare, possiamo far scorrere il vettore v s lungo la propria retta dazione
portando il suo punto di applicazione al di fuori del piano e riconducendoci in
tal modo al caso di non complanarit. Se poi anche il vettore fosse complanare
con i quattro punti basteranno due soli versori di base per decomporlo nel
piano e questi esistono sempre grazie al fatto che i punti P 0 , P 00 , P 000 non sono
allineati.
Eseguita la decomposizione risulter:
v s = v 0s + v 00s + v 000
s
dove gli apici denotano i tre vettori componenti di v s nelle tre direzioni.
Facendo uso della seconda operazione elementare sostituiamo al vettore v s
i tre vettori componenti. Ora facciamo scorrere ciascuno dei tre vettori lungo
la propria retta dazione fino a raggiungere i punti P 0 , P 00 , P 000 .
As

vs
P'
v's

P''
v''s

P'''
v'''
s

Figura VA. 16: riduzione di un sistema a tre vettori

38

A. Strumia, Meccanica razionale

Ripetendo loperazione per ogni vettore applicato del sistema ci


riconduciamo a tre sottosistemi di vettori ciascuno dei quali risulta applicato
in P 0 , P 00 , P 000 :
0a = {(P 0 , v 0s ) ; s = 1, 2, , n}
00a = {(P 00 , v 00s ) ; s = 1, 2, , n}
000
000
000
a = {(P , v s ) ; s = 1, 2, , n}

Sostituendo i vettori applicati nello stesso punto con il loro risultante si


giunge ad un sistema di soli tre vettori applicati nei tre punti assegnati:
0

(P ,

n
X

s=1

v 0s ),

00

(P ,

n
X

s=1

v 00s ),

000

(P ,

n
X

v 000
s )

s=1

b. un sistema di tre vettori riducibile a due vettori applicati


Se si pensa di partire da un sistema di tre vettori applicati
{(P1 , v 1 ), (P2 , v 2 ), (P3 , v 3 }, oppure si fatto uso del teorema precedente,
questo ulteriore teorema ci consente di ridurre il sistema di partenza ad un
sistema pi semplice, costituito da due soli vettori applicati.
Si hanno casi banali se almeno due dei tre vettori del sistema sono
complanari, perch, allora si hanno due possibilit:
i) i due vettori complanari hanno rette dazione incidenti: allora i due
vettori si possono far scorrere lungo le rispettive rette dazione fino al punto
di intersezione delle rette stesse; i due vettori ottenuti hanno lo stesso punto

vettori applicati

39

di applicazione e si possono sostituire con il loro risultante ottenendo subito


un sistema di due soli vettori applicati.
Il procedimento illustrato in fig.(VA. 17).

v1

P1

P
P
3

P2

v3

v2

Figura VA. 17: riduzione di tre vettori di cui due complanari incidenti a un sistema
di due vettori

ii) i due vettori complanari sono paralleli e, allora, aggiungendo una


coppia di braccio nullo ci si riconduce al caso dei due vettori incidenti.

v
2

v
1

P2
P1
v

P3

Figura VA. 18: riduzione di tre vettori di cui due paralleli a un sistema di due vettori
Altri casi banali si hanno quando la retta dazione di almeno uno dei tre
vettori contiene il punto di applicazione di un altro di essi, perch in questo

40

A. Strumia, Meccanica razionale

caso basta far scorrere il vettore in questione lungo la propria retta dazione
fino al punto di applicazione dellaltro vettore e sostituire poi i due vettori con
il loro risultante.
Se si eccettuano questi casi la retta dazione, ad esempio di v 2 e il punto
di applicazione P1 individuano un piano distinto dal piano individuato dalla
retta dazione di v 3 e da P1 . Questi due piani risultano incidenti in una retta
passante per P1 . Ora scelto ad arbitrio un punto Q sulla retta di intersezione
dei due piani, distinto da P1 si decompongono i vettori v 2 e v 3 , nel loro piano
lungo le direzioni di P1 P2 , QP2 e rispettivamente di P1 P3 e QP3 . Nei piani
predetti ognuno di questi vettori identificato completamente da due sole
componenti. Abbiamo cos:
v 2 = v 02 + v 002 ,

v 3 = v 03 + v 003

A questo punto si fanno scorrere i vettori con un solo apice lungo la loro
retta dazione fino al punto P1 e i vettori con due apici fino al punto Q.
Dopo questa sequenza di operazioni elementari ci siamo ricondotti ai
seguenti sistemi di vettori applicati:
{(Q, v 002 ), (Q, v 003 )},

{(P1 , v 1 ), (P1 , v 02 ), (P1 , v 03 )}

che si sostituiscono con i rispettivi risultanti ottenendo un sistema di due soli


vettori applicati in Q e in P1 .
c. un sistema di due vettori riducibile ad un vettore e a una coppia
Partendo da un sistema di due vettori applicati uno nel punto Q che
prendiamo come polo e laltro nel punto P , indichiamo questi vettori con:
(P, v 1 ) e (Q, v 2 ).
Aggiungendo in Q una coppia di braccio nullo di vettore v 1 , possiamo poi

vettori applicati

41

v''
3

P
3

v''2

v3

v'3

P1

v'2

P2
v2

v1

Figura VA. 19: riduzione di tre vettori a un sistema di due vettori (caso non banale)
v2

v
2
Q
a)

b)

v2
-v1

-v1
v1

v1

v1

Q
P

c)

v1

-v1

Q
P

v1

d)

Figura VA. 20: riduzione di due vettori a un vettore e a una coppia


comporre il vettore v 2 con il vettore v 1 appena trasportato. Il loro risultante
coincider con il risultante R del sistema, applicato in Q. Rimane inoltre la
coppia di momento: M Q = QP ^ v 1 .

Sistemi a invariante nullo


Grazie a quanto visto a proposito dellasse centrale e dei teoremi di
riducibilit possiamo concludere che:

42

A. Strumia, Meccanica razionale

se si sceglie come polo un punto dellasse centrale, un sistema a


risultante non nullo riducibile a un vettore applicato nel polo, uguale al
risultante, e ad una coppia il cui momento parallelo al risultante e ha minimo
modulo rispetto a quello delle coppie relative a poli non appartenenti allasse
centrale.
Un caso particolarmente notevole dato dai sistemi ad invariante nullo.
Infatti se si ha che:
J = MQ R = 0

(VA. 37)

si possono presentare le seguenti possibilit:


R e M Q non nulli e ortogonali tra loro: il sistema si riduce al
vettore risultante applicato nel polo e ad una coppia di momento ortogonale al
risultante. Lasse centrale in questo caso esiste e la componente del momento
parallela al risultante nulla. Questa situazione si verifica per i poli che
non appartengono allasse centrale;
R=0
In questo caso il sistema si riduce alla sola coppia essendo
nullo il risultante;
M Q = 0 , (R 6= 0)
Questa situazione si verifica per i poli
appartenenti allasse centrale: infatti sullasse centrale il momento uguale a
, che per un sistema a invariante nullo nullo grazie alla (VA. 29). Abbiamo
allora la circostanza notevole per cui:
Un sistema a invariante nullo e risultante non nullo riducibile ad un
solo vettore applicato ad un punto dellasse centrale. Inoltre il momento
rispetto ad un polo non appartenente allasse centrale ortogonale allasse
centrale stesso ed uguale al momento del vettore risultante rispetto a quel
polo.
Esistono due classi notevoli di sistemi a invariante nullo e sono: i sistemi
di vettori piani e i sistemi di vettori paralleli.

vettori applicati

43

Sistemi di vettori piani


Un sistema di vettori si dice piano quando le rette dazione dei vettori
che lo compongono e i loro punti di applicazione appartengono a uno stesso
piano, che si dice piano del sistema.
Scelto un polo su questo piano il momento QAs ^ v s di ciascun vettore
del sistema (As , v s ) sar ortogonale al vettore stesso e al vettore del piano che
congiunge il polo Q con il punto di applicazione As ; perci sar ortogonale
al piano. Di conseguenza anche il momento risultante M Q risulta ortogonale
al piano dei vettori e quindi al loro risultante, che appartiene pure al piano
essendo la somma di vettori del piano; oppure risulta nullo.
Di conseguenza linvariante di un sistema di vettori piani nullo. Si noti
che se si sceglie un polo esterno al piano dei vettori il nuovo momento non
sar pi ortogonale al piano pur rimanendo sempre ortogonale al risultante
dovendo rimanere nullo linvariante.

QA Vs
As
vs

Figura VA. 21: il momento di un sistema di vettori piani normale al piano o nullo
In ogni caso rispetto a un polo scelto sullasse centrale il momento nullo.
Per dare una rappresentazione cartesiana dellasse centrale di un sistema di
vettori piani conveniente scegliere un sistema cartesiano ortogonale il cui
piano xy coincide con il piano dei vettori. In questo caso, poich il risultante
un vettore del piano e il momento risultante ortogonale al piano, abbiamo
le seguenti informazioni:

44

A. Strumia, Meccanica razionale

Rz = 0,

MOx = 0,

MOy = 0,

J
=0
R2

che introdotte nelle equazioni parametriche dellasse centrale (VA. 35) danno:
8
>
>
>
<
>
>
>
:

z=O
(VA. 38)
MOz + Rx y

Ry x = 0

Lasse centrale risulta essere una retta del piano z = 0, che il piano dei
vettori, parallela al risultante.

Sistemi di vettori paralleli


Si dice che un sistema di vettori applicati un sistema di vettori paralleli
quando le rette dazione di tutti i suoi vettori sono parallele.
Un sistema di vettori paralleli non , generalmente un sistema piano,
tuttavia anche un sistema di vettori paralleli un sistema a invariante nullo.
Infatti il risultante R ha la direzione comune ai vettori paralleli, mentre il
momento di ogni vettore normale a ciascun vettore del sistema, e quindi il
momento risultante normale alla direzione comune di tutti i vettori e quindi
anche al risultante. Perci linvariante risulta essere nullo.
Dunque, anche in questo caso il momento risulta essere nullo quando
calcolato rispetto a un punto dellasse centrale scelto come polo e il sistema
riducibile al solo vettore risultante applicato in un punto dellasse centrale.
Per la determinazione delle equazioni cartesiane dellasse centrale
conveniente scegliere il sistema cartesiano in modo che la direzione dellasse
z coincida con la direzione comune dei vettori paralleli: in questo caso il

vettori applicati

45

risultante ha solo la componente lungo lasse z diversa da zero, mentre il


momento, essendo normale al risultante ha la componente z nulla.
Rx = 0,
dove

Ry = 0,

MOz = 0,

=0

= 0, grazie alla (VA. 28) perch linvariante nullo.

Dalle equazioni parametriche dellasse centrale (VA. 35) abbiamo dunque:


8
>
<
>
:

MOx = Rz y
MOy =

(VA. 39)

Rz x

Di qui si vede subito che lasse centrale proprio una retta parallela
allasse z, cio al risultante.

Centro dei vettori paralleli


Sia a un sistema di n vettori applicati (As , v s ), paralleli di versore
comune u. Possiamo rappresentare ciascun vettore del sistema nella forma:
v s = vs0 u

(VA. 40)

vs0 = v s u = |v s |

(VA. 41)

dove:

la componente del generico vettore del sistema rispetto al versore u, che


risulta positiva o negativa a seconda che il vettore sia concorde o discorde con
u.
Anche il risultante si pu esprimere allo stesso modo:

46

A. Strumia, Meccanica razionale

R = R0 u

(VA. 42)

con:
R0 = R u = |R| =

n
X

vs0

(VA. 43)

s=1

Scriviamo lequazione vettoriale dellasse centrale (VA. 26) per il sistema


di vettori paralleli; abbiamo:
MO + PO ^ R = 0
essendo
= 0 per un sistema di vettori paralleli. Tenendo conto delle
informazioni precedenti abbiamo:
n
X

s=1

OAs ^ vs0 u + P O ^ R0 u = 0

essendo P un punto dellasse centrale. Raccogliendo il prodotto vettoriale per


u e tenendo conto che P O = OP possiamo scrivere:
n
X

OAs vs0

s=1

OP R

^u=0

(VA. 44)

Questa equazione, essendo sempre u 6= 0 equivale a richiedere che esista


un 2 R per cui si ha:
n
X

OAs vs0

OP R0 = u

s=1

Essendo R0 6= 0, in modo che lasse centrale esista, lequazione


precedente si pu risolvere rispetto a OP ottenendo:

vettori applicati

47

n
1 X
OP = 0
OAs vs0
R s=1

(VA. 45)

che rappresenta, in forma parametrica, lequazione dellasse centrale per il


sistema di vettori paralleli.
Si vede facilmente che lasse centrale ha la direzione di u e che tra tutti
i punti dellasse centrale ne esiste uno e uno solo, corrispondente al valore
del parametro: = 0, le cui coordinate non dipendono dal versore u.
Immaginando di ruotare tutti i vettori del sistema di vettori paralleli di uno
stesso angolo, anche u risulter ruotato di questo angolo e allo stesso modo
lasse centrale: tuttavia il punto in questione, non dipendendo dal versore u
rimarr immutato e si trover allintersezione di tutti gli assi centrali che si
ottengono ruotando i vettori di un angolo qualsiasi. A questo punto si d il
nome di centro dei vettori paralleli e si denota con C. La sua definizione si
ottiene ponendo = 0 nella (VA. 45):

OC =

n
1 X
OAs vs0
R0 s=1

(VA. 46)

Il centro soddisfa lequazione della stella di tutti gli assi centrali che si
ottengono ruotando il versore u e perci rappresenta lintersezione di tutti gli
assi centrali dei sistemi di vettori paralleli ruotati. Osserviamo che al tendere
di R0 a zero il centro tende ad un punto improprio in quanto le sue coordinate
tendono all infinito.
Evidentemente la definizione del centro dei vettori paralleli non
dipende dalla scelta del punto O, che del tutto arbitraria, come si vede
aggiungendo O0 O ad entrambi i membri della (VA. 46) per cambiare lorigine
in O0 : la formula del centro non modifica la sua struttura.

48

A. Strumia, Meccanica razionale

A2
r

A3

v1
A1

v2

v3

An
vn
vs
As

A n-1
v n-1

Figura VA. 22: sistema di vettori paralleli


Vi poi unulteriore propriet notevole del centro dei vettori paralleli
, che sussiste quando il sistema costituito da vettori non solo paralleli ma
anche concordi, cio aventi oltre che la stessa direzione anche lo stesso verso.
Dato un sistema di vettori paralleli e concordi i cui punti di
applicazione cadono non esternamente ad una superficie (o a una
curva nel caso che i punti di applicazione appartengano ad uno stesso
piano) convessa il centro cade non esternamente alla superficie (curva)
convessa.
Ricordiamo che una superficie (curva) regolare si dice convessa quando il
piano tangente (la retta tangente) in ogni suo punto lascia lintera superficie
(curva) nello stesso semispazio (semipiano).

curva convessa

curva non convessa

Figura VA. 23: curve convessa e non convessa

vettori applicati

49

DIMOSTRAZIONE
Vediamo la dimostrazione nel caso di un sistema di vettori i cui punti
di applicazione appartengono ad un piano e sono racchiusi da una curva
convessa: lestensione al caso di una superficie convessa immediata.
Osserviamo anzitutto che essendo i vettori concordi e u il loro versore
le componenti dei vettori e del risultante, definite dalle (VA. 41) e (VA. 43),
sono uguali ai rispettivi moduli.
x
y

A3

A2
As
A1

An

Figura VA. 24: centro di un sistema di vettori paralleli concordi

Scegliamo ora un sistema cartesiano ortogonale nel piano della curva


convessa Oxy in modo che lasse delle ordinate risulti tangente alla curva
in un suo punto qualsiasi e scriviamo lascissa del centro dei vettori paralleli
proiettando la (VA. 46) sullasse delle x. Otteniamo:

xC =

n
1 X
xs |v s |
|R| s=1

(VA. 47)

Evidentemente, tenendo conto che il risultante per ipotesi non nullo


abbiamo:
|v s |

0,

s = 1, 2, , n;

|R| > 0

50

A. Strumia, Meccanica razionale

Inoltre nellipotesi che tutti i punti di applicazione dei vettori paralleli


siano non esterni alla curva, essendo la curva convessa, essi si troveranno nel
semipiano chiuso che contiene la curva, e dunque risulter anche:
xs

s = 1, 2, , n

0,

Di conseguenza dalla (VA. 47) risulta che:


xC

Ora, data l arbitrariet della scelta del sistema cartesiano, possiamo


ripetere il ragionamento per gli infiniti sistemi di assi il cui asse delle ordinate
risulta tangente in un punto della curva, ottenendo, in conclusione che il
centro deve trovarsi non esterno allintersezione di tutti i semipiani delle
ascisse non negative, cio non esterno alla curva convessa.

Centro di due vettori paralleli


Un esempio interessante di sistema di vettori paralleli dato dal caso pi
semplice, quello di un sistema di due vettori paralleli.
Dalla (VA. 46) possiamo determinare il centro per via analitica:

OC =

OA1 v10 + OA2 v20


v10 + v20

(VA. 48)

a condizione che v10 + v20 6= 0, cio a condizione che il sistema non sia una
coppia, cio abbia risultante non nullo.
Scegliamo un sistema cartesiano nel piano dei due vettori con lasse delle
ascisse coincidente con la retta congiungente i due punti di applicazione. In
questo modo la (VA. 48) proiettata sullasse delle x diviene:

vettori applicati

51

xC =

x1 v10 + x2 v20
v10 + v20

(VA. 49)

mentre yC = 0 dal momento che i punti di applicazione hanno ordinata nulla.


Distinguiamo ora il caso in cui i vettori sono concordi da quello in cui i
vettori sono discordi.
Vettori concordi
Se i vettori sono concordi abbiamo:
v10 = |v 1 | ,

v20 = |v 2 |

e il centro si trova non esterno al segmento congiungente i punti di


applicazione. Possiamo vederlo facilmente, per esempio, scegliendo lorigine
delle ascisse coincidente con A1 : in questo modo abbiamo:

xC =

x2 |v 2 |
|v 1 | + |v 2 |

Allora lascissa del centro risulta non negativa e non maggiore di x2 , dal
momento che:

|v 2 |
1
|v 1 | + |v 2 |

Stabilito che il centro non esterno al segmento congiungente i punti di


applicazione conveniente scegliere lorigine degli assi coincidente con il
centro stesso e definire le distanze in modulo dei punti di applicazione dal
centro:
d1 = |x1 | ,

d2 = |x2 |

52

A. Strumia, Meccanica razionale

abbiamo di conseguenza:
x01 =

d1 ,

x02 = d2

Per cui la (VA. 49) si pu riscrivere:


(VA. 50)

|v 1 | d1 = |v 2 | d2
che si legge in questo modo:

il centro di due vettori paralleli concordi si trova non esterno al


segmento congiungente i loro punti di applicazione a distanze da questi che
sono inversamente proporzionali ai moduli dei vettori.
Nel caso di due vettori il centro pu essere determinato facilmente anche
per via grafica, mediante laggiunta di una coppia di braccio nullo ai due
vettori del sistema, come mostrato nella fig.(VA. 25).

asse centrale
v1

A1
C

v2
A

Figura VA. 25: determinazione grafica del centro di due vettori paralleli concordi
Il nuovo sistema ottenuto in questo modo e riducibile al primitivo
sistema, non pi costituito da vettori paralleli, tuttavia riducibile al

vettori applicati

53

solo risultante applicato nel punto di intersezione delle due rette dazione.
Questo punto si trova certamente sullasse centrale sul quale il sistema,
essendo a invariante nullo riducibile a un solo vettore applicato. Gli assi
centrali dei due sistemi evidentemente coincidono, dal momento che i due
sistemi hanno lo stesso risultante e lo stesso momento risultante e lasse
centrale determinato dai soli vettori principali di un sistema di vettori
applicati. Ora il centro del sistema dei due vettori paralleli e concordi si deve
trovare contemporaneamente sulla congiungente i due punti di applicazione e
sullasse centrale: quindi si trova nel loro punto di intersezione.
Vettori discordi
In questo caso per la determinazione analitica del centro dobbiamo tener
conto che i due vettori hanno verso opposto, per cui convenendo di scegliere
uno dei due orientamenti come positivo e laltro come negativo, avremo:

v10 = |v 1 | ,

v20 =

|v 2 |

Questo comporta nella relazione (VA. 49), scegliendo lorigine in A1 :

xC =

x2

|v 2 |
|v 1 | |v 2 |

dalla quale abbiamo linformazione che il centro si trova sulla retta


congiungente i due punti di applicazione, ma esternamente al segmento
congiungente, dalla parte del vettore di modulo maggiore. Infatti:
se |v 1 | > |v 2 | risulta essere xC < 0 e cio il centro si trova alla sinistra
di A1 che il punto di applicazione del vettore di modulo maggiore che in
questo caso v 1 ;
se |v 1 | < |v 2 | si ha che:

54

A. Strumia, Meccanica razionale

|v 2 |
=
|v 1 | |v 2 |

1
1

|v 1 |
|v 2 |

<

e, dunque il centro si trova a destra di A2 , cio, dalla parte del vettore di


modulo maggiore che in questo caso v 2 .
Scegliendo ora lorigine nel centro possiamo introdurre le distanze dei
punti di applicazione dal centro d1 e d2 come nel caso precedente. In questo
caso avremo per le ascisse dei punti di applicazione:
x1 = d1 ,

x2 = d2

dove il segno positivo va preso nel caso in cui il centro si trovi a sinistra di A1
e il segno negativo nel caso in cui il centro si trovi a destra di A2 .
Queste informazioni sostituite nella (VA. 49), avendo posto xC = 0
(origine) ci danno come nel caso dei vettori concordi una relazione di
proporzionalit inversa:
|v 1 | d1 = |v 2 | d2
che si pu leggere in questo modo:
il centro di due vettori paralleli discordi si trova sulla retta congiungente
i loro punti di applicazione, esternamente al loro segmento congiungente a
distanze da questi che sono inversamente proporzionali ai moduli dei vettori
e dalla parte del vettore di modulo maggiore.
Per quanto riguarda la determinazione del centro per via grafica la
procedura del tutto analoga a quella che si conduce nel caso dei vettori
concordi ed illustrata in fig.(VA. 26).

vettori applicati

55

asse centrale

V1
A1

A2
V2

C
R
P

Figura VA. 26: determinazione grafica del centro di due vettori paralleli discordi

Cinematica

CP. Cinematica del punto


Per iniziare a trattare la cinematica presupponiamo come primitive le
nozioni di spazio e di tempo che assumiamo come note dalla fisica ed
iniziamo subito ad esaminare come si caratterizza il moto di un punto. Il punto
geometrico costituisce la prima e pi rudimentale schematizzazione di un
corpo, del quale si trascura la struttura interna, pensandolo come concentrato
in un unico punto.
Il punto caratterizzabile mediante un vettore posizione OP , riferibile
ad unorigine O e ad un sistema di assi cartesiani ortogonali propri di
un osservatore munito di un regolo per la misura delle lunghezze e di un
sistema di orologi per la misura dei tempi. La conoscenza del vettore OP
come funzione del tempo caratterizza completamente il moto del punto.
z
P

OP(t)
O

Figura CP. 1: moto di un punto riferito ad un osservatore

Conoscere il moto del punto P equivale a conoscere la funzione vettoriale


del tempo:

OP = OP (t)

(CP. 1)

cinematica del punto

59

ovvero, proiettando sugli assi cartesiani del sistema di riferimento, conoscere


le tre funzioni che danno le coordinate del punto in ogni istante:
xi = xi (t),

(CP. 2)

i = 1, 2, 3

che scriveremo anche indifferentemente:


8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

x = x(t)
(CP. 3)

y = y(t)
z = z(t)

Dal punto di vista geometrico queste tre funzioni rappresentano la


parametrizzazione di una curva rispetto al parametro t: tale curva viene detta
traiettoria del moto ed la curva che il punto P descrive nello spazio durante
il suo moto.
E conveniente, per introdurre unaltra parametrizzazione per la curva
che si pu ottenere mediante lascissa curvilinea s sulla traiettoria. Come
noto dalla geometria lascissa curvilinea definita, rispetto ad unaltra
parametrizzazione della curva (nel nostro caso quella in t) come:
s=

Z t
0

ds( t)

(CP. 4)

dove:
v
u
u
t

ds(t) =

dx
dt

!2

dy
+
dt

!2

dz
+
dt

!2

dt

(CP. 5)

Mediante questa nuova parametrizzazione la traiettoria viene descritta


in modo puramente geometrico, senza includere il tempo come parametro,
attraverso lequazione vettoriale:

60

A. Strumia, Meccanica razionale

OP = OP (s)

(CP. 6)

o equivalentemente, proiettando sugli assi cartesiani:


8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

x = x(s)
y = y(s)

(CP. 7)

z = z(s)

La legge che regola il cambio di parametrizzazione da t ad s esprimibile


come un legame funzionale del tipo:
s = s(t)

(CP. 8)

e prende il nome di equazione oraria o legge oraria del moto. Mentre la (CP.
6) contiene solamente le informazioni geometriche relative alla traiettoria,
indipendentemente dalle informazioni sullevoluzione temporale del moto,
cio sul modo come la traiettoria viene percorsa, la legge oraria non
contiene nessuna informazione sulla forma della traiettoria, ma descrive
propriamente il modo in cui essa viene percorsa nel tempo, cio contiene
tutte le informazioni sullevoluzione temporale del moto.
Perci questa rappresentazione del moto particolarmente conveniente,
perch consente di separare le informazioni pi propriamente geometriche
da quelle strettamente cinematiche .

Cinematica lungo una traiettoria assegnata


Se si suppone assegnata la traiettoria del moto, cio lequazione vettoriale
(CP. 6), o equivalentemente le equazioni (CP. 7), lo studio del moto si

cinematica del punto

61

riconduce allo studio della sola legge oraria (CP. 8), che pu essere riportata
in grafico fornendo quello che si chiama diagramma orario del moto.
Si introduce, poi, il concetto di velocit media del punto, in un intervallo
di tempo di estremi t1 e t2 , come:

vm =

s(t2 )
t2

s(t1 )
t1

(CP. 9)

e di velocit istantanea nellistante generico t, come:

v=

ds
= s
dt

(CP. 10)

dove con il punto si indica loperazione di derivaizone rispetto al tempo.


Questa velocit viene propriamente denominata velocit scalare del moto
lungo la traiettoria.
Un moto che avviene con velocit positiva un moto in cui la
funzione s(t), avendo derivata positiva, crescente: viene perci detto moto
progressivo , mentre un moto in cui la velocit scalare negativa viene detto
regressivo, in quanto s(t) decresce. I punti in cui la velocit si annulla sono
detti punti di arresto: quando i punti di arresto corrispondono a massimi
o minimi relativi della funzione s(t) vengono detti punti di inversione del
moto, in quanto attraversandoli il moto cambia il verso di percorrenza della
traiettoria.
Nel grafico riportato nella fig. (CP. 2) il moto risulta progressivo negli
intervalli: 0 t < t1 , t > t2 e regressivo nellintervallo: t1 < t < t2 . I punti
caratterizzati dai valori del tempo t1 e t2 sono punti di inversione.
Per poter condurre lo studio della funzione s(t) dal punto di vista analitico,
in modo da valutarne gli estremanti, occorre introdurre anche la sua derivata
seconda rispetto al tempo, che prende il nome di accelerazione scalare:

62

A. Strumia, Meccanica razionale

s
s
o
t2
O

t1

Figura CP. 2: diagramma orario del moto

a=

d2 s
= v = s
dt2

(CP. 11)

Si caratterizzano poi alcuni moti particolari:

Moto uniforme
Un moto si dice uniforme quando la sua accelerazione nulla:
a=0

(CP. 12)

Questa equazione si pu riscrivere esplicitamente nella forma:


s = 0

(CP. 13)

che rappresenta lequazione differenziale della legge oraria per il moto


uniforme.
Integrata essa d:

cinematica del punto

63

s(t) = v0 t + s0

(CP. 14)

dove i valori delle due costanti v0 ed s0 sono dati dalle condizioni iniziali:
s0 = s(0),

v0 = s(0)

(CP. 15)

essendo s0 la posizione iniziale del punto lungo la traiettoria e v0 la sua


velocit iniziale.
Moto uniformemente vario
Un moto si dice uniformemente vario quando la sua accelerazione
costante:
a = a0

(CP. 16)

s = a0

(CP. 17)

ovvero:

che integrata fornisce l equazione oraria:


s(t) =

1
a0 t2 + v0 t + s0
2

(CP. 18)

Il moto uniformemente vario si dir uniformemente accelerato se a0 > 0


e uniformemente ritardato se a0 < 0.

64

A. Strumia, Meccanica razionale

Moto vario
Un moto si dice vario quando non rientra nelle due categorie precedenti:
in questo caso la funzione a(t) qualunque e per determinare la legge oraria
si dovr procedere caso per caso a due successive integrazioni, una volta
conosciuta la funzione accelerazione scalare. Lequazione differenziale del
moto si scrive:

s = a(t)

(CP. 19)

Integrando una volta si ottiene la funzione velocit:

v(t) =

Z t
0

a( t)dt + v0

(CP. 20)

Integrando una seconda volta si ha la legge oraria del moto:

s(t) =

Z t
0

v( t)dt + v0 t + s0

(CP. 21)

Cinematica vettoriale
Una descrizione complessiva del moto, che includa anche la traiettoria,
si pu fare considerando non appena la legge oraria (CP. 8), ma la funzione
vettoriale (CP. 1). A questo scopo si definiscono:
la velocit vettoriale del punto P :

v=

dOP
dP
=
dt
dt

(CP. 22)

cinematica del punto

65

dove la notazione abbreviata, che omette O per sottolineare che P il punto


variabile, quella che useremo pi frequentemente;
laccelerazione vettoriale del punto P :

a=

dv
d2 P
= 2
dt
dt

(CP. 23)

Per evidenziare, nelle formule, ci che dipende dalla geometria


(traiettoria ) e ci che dipende dal tempo (legge oraria ) necessario
pensare la funzione vettoriale OP (t) come una funzione composta del tempo
attraverso s:

OP = OP (s(t))

(CP. 24)

in modo da evidenziare il legame tra le caratteristiche geometriche della


traiettoria e le grandezze cinematiche.
In questo modo la velocit vettoriale si esprime come:

v=

dP ds
ds dt

ma:

T =

dP
ds

(CP. 25)

il versore tangente 1 alla traiettoria nel punto P . Di conseguenza si ottiene:


1

Richiami sulla geometria delle curve si possono trovare nellappendice CU - Propriet


differenziali delle curve.

66

A. Strumia, Meccanica razionale

v = s T

(CP. 26)

relazione che ci informa che:


La velocit vettoriale un vettore sempre tangente alla traiettoria e di
modulo uguale al valore assoluto della velocit scalare
La rappresentazione (CP. 26) prende il nome di rappresentazione
intrinseca della velocit vettoriale.
Derivando la (CP. 26) rispetto al tempo ricaviamo laccelerazione
vettoriale:

a=

d
dT
(s T ) = s T + s
dt
dt

(CP. 27)

ma T funzione composta del tempo attraverso s, per cui possiamo scrivere:


dT
dT ds
=
dt
ds dt

(CP. 28)

Ora, dalla teoria delle curve sappiamo che:


dT
1
= CN = N
ds

(CP. 29)

dove N il versore normale principale alla curva e:


C=

(CP. 30)

cinematica del punto

67

la curvatura principale e il raggio di curvatura ed uguale al raggio


del cerchio osculatore.
Dunque sostituendo nella (CP. 28) otteniamo:
dT
s
= N
dt

e quindi nellequazione dellaccelerazione (CP. 27), abbiamo:

a = s T +

s 2
N

(CP. 31)

Questa la rappresentazione intrinseca dellaccelerazione vettoriale.


Il vettore accelerazione possiede due componenti:
una componente tangenziale , cio diretta come il versore tangente alla
curva, il cui valore uguale allaccelerazione scalare:
aT = a T = s

(CP. 32)

una componente normale , cio diretta come il versore normale


principale all curva, il cui valore dato da:

aN = a N =

s 2

(CP. 33)

Il termine aT responsabile delle variazioni del modulo del vettore


velocit; infatti:
p
d |v|
d v2
v
dv
v
=
=p
=
a = T a = aT
dt
dt
dt
|v|
v2

68

A. Strumia, Meccanica razionale

Laccelerazione normale , invece di conseguenza, responsabile delle


variazioni della direzione del vettore velocit.
Osserviamo, ancora, che se si richiede che v sia costante durante il moto,
il che equivale a dire, che il vettore accelerazione sia nullo:
()

v = costante

a=0

dalla (CP. 31) abbiamo:

s T +

s 2
N =0

Dal momento che T e N sono vettori linearmente indipendenti, la


condizione precedente equivale a dire:
s 2
= C s 2 = 0

s = 0,

(CP. 34)

La prima delle condizioni (CP. 34) equivale alla richiesta che il moto sia
uniforme (CP. 13) e il suo integrale dato dalla legge oraria (CP. 14); la
seconda, dal momento che, in generale s 6= 0, altrimenti P sarebbe in quiete,
equivale a richiedere che C = 0, ovvero che ! 1, e cio che il moto sia
rettilineo.
Poich allistante iniziale t = 0 abbiamo:
s(0)

= v0 ,

v0 T 0 = v 0

(CP. 35)

e allistante generico t la velocit vale:


v = v0 T

(CP. 36)

cinematica del punto

69

lequazione della traiettoria sar data dalla condizione sulla tangente:

T = T0

()

dP
v0
= T0 =
ds
v0

(CP. 37)

Integrando rispetto ad s si ottiene lequazione vettoriale di una retta nel


parametro s:

OP (s) = (s

s0 )

v0
v0

(CP. 38)

che evidentemente lequazione vettoriale di una retta passante per la


posizione iniziale OP0 = s0 T 0 .
Come si visto in questo semplice esempio, dalla cinematica vettoriale si
hanno informazioni sia sulla legge oraria che sulla traiettoria.

Integrazione dellequazione vettoriale del moto


Noto il vettore accelerazione in funzione del tempo:
a (ax , ay , az )
lequazione differenziale del moto, in forma vettoriale :
d2 P
= a(t)
dt2

(CP. 39)

che proiettata su un sistema di assi cartesiani ortogonali rappresenta un


sistema di equazioni differenziali del sesto ordine:

70

A. Strumia, Meccanica razionale

8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

x = ax (t)
y = ay (t)

(CP. 40)

z = az (t)

Sistema che integrato una volta fornisce le componenti del vettore velocit
in funzione del tempo:
8
>
>
>
>
>
>
<

vx (t) = v0x +

vy (t) = v0y +
>
>
>
>
>
>
:

vz (t) = v0z +

Rt
0

Rt
0

Rt
0

ax ( t) dt
ay ( t) dt

(CP. 41)

az ( t) dt

e integrato una seconda volta d le coordinate del punto in funzione del tempo
(integrale del moto):
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

x(t) = x0 +
y(t) = y0 +
z(t) = z0 +

Rt

vx ( t) dt

Rt

vy ( t) dt

Rt
0

(CP. 42)

vz ( t) dt

Questi risultati si possono riassumere in rappresentazione indicale come:


vi (t) = v0i +

Z t

ai ( t) dt

(CP. 43)

xi (t) = x0i +

Z t

vi ( t) dt

(CP. 44)

e rispettivamente:

cinematica del punto

71

ovvero nella rappresentazione vettoriale simbolica:

v(t) = v 0 +

Z t
0

OP (t) = OP0 +

a( t) dt

Z t
0

v( t) dt

(CP. 45)

(CP. 46)

Questi risultati significano che lintegrazione di una funzione vettoriale


equivale allintegrazione di ogni sua componente.

Moti piani in coordinate polari


Diamo anzitutto la seguente definizione di moto piano:
Un moto si dice piano quando la sua traiettoria contenuta in un piano
invariabile rispetto all osservatore, che si dice piano del moto
Di conseguenza nel caso del moto piano i versori tangente e normale
principale appartengono al piano del moto, che coincide con il piano
osculatore della traiettoria, mentre il versore binormale costante e normale
al piano del moto: questo sufficiente a garantire che il vettore velocit e il
vettore accelerazione, in base alla (CP. 26) e, rispettivamente alla (CP. 31),
appartengano al piano del moto.
Spesso pu essere conveniente, quando si analizza un moto piano
proiettare le equazioni vettoriali del moto, anzich su di un sistema cartesiano,
su un sistema di coordinate polari (r, #) disposto come in figura (??).
In questo sistema di coordinate:

72

A. Strumia, Meccanica razionale

y
P
r
u

Figura CP. 3: rappresentazione di un moto piano in coordinate polari

(CP. 47)

r = |OP |

il modulo del raggio vettore che individua il punto P e # langolo formato


da OP con lorientazione positiva delle ascisse.
Anzich fare uso della base ortonormale degli assi cartesiani ortogonali:

{ei , i = 1, 2}
si introducono i nuovi versori:

u=R
e1 ,

w=R
e2

(CP. 48)

essendo:
0
B

R
@

cos #

sen #

sen #

cos #

1
C
A

(CP. 49)

cinematica del punto

73

la matrice di rotazione 2 2 che definisce una rotazione di un angolo #


nel piano del moto. Si ottengono subito le componenti cartesiane dei nuovi
versori di base:
u (cos#, sen #),

w ( sen#, cos #)

(CP. 50)

che sono manifestamente ortonormali essendo stati ottenuti mediante


rotazione di una base ortonormale.
Il legame tra le coordinate cartesiane e le coordinate polari nel piano
risulta allora esprimibile nella forma:
8
>
<
>
:

Ma essendo:

x = OP e1

(CP. 51)

y = OP e2

OP = ru

(CP. 52)

segue:
8
>
<
>
:

x = r cos #
(CP. 53)
y = r sen #

A questo punto siamo in grado di caratterizzare le grandezze cinematiche


v e a, per il moto piano, in coordinate polari.
Per la velocit, derivando rispetto al tempo la (CP. 52) abbiamo:

v=

dP
d
du
= (ru) = r u + r
dt
dt
dt

(CP. 54)

74

A. Strumia, Meccanica razionale

Ma u funzione composta del tempo attraverso #, dunque svilupperemo


la derivata nel modo seguente:
du
du d#
=
dt
d# dt

(CP. 55)

du
( sen #, cos #) w
d#

(CP. 56)

du
= # w
dt

(CP. 57)

Dalla (CP. 50) ricaviamo:

Quindi:

Sostituendo questi risultati nella (CP. 54) otteniamo lespressione finale


per la velocit nei moti piani, in coordinate polari:

(CP. 58)

v = r u + r# w
Per valutare laccelerazione
analogamente. Scriviamo:

a=

in

coordinate

polari

procediamo

dv
du
dw
d
= (r u+r# w) = r u+ r
+ r # w +r # w +r #
(CP. 59)
dt
dt
dt
dt

Ci occorre valutare ancora:


dw
dw d#
=
dt
d# dt

(CP. 60)

cinematica del punto

75

E dalla (CP. 50):


dw
( cos #, sen #)
d#

(CP. 61)

Quindi:
dw
=
dt

# u

(CP. 62)

In conclusione, inserendo la (CP. 57) e la (CP. 62) nella (CP. 59) otteniamo
la rappresentazione dellaccelerazione per i moti piani:

a = (
r

w
r # 2 ) u + (r # + 2r #)

(CP. 63)

Sia per la velocit che per laccelerazione vengono denominate come:


radiale la componente secondo u e trasversale la componente secondo w.
Si utilizzano le seguenti notazioni:
8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:

vr = r

velocit radiale

v# = r #

velocit trasversale
(CP. 64)

ar = r

r # 2

accelerazione radiale

a# = r # + 2r # accelerazione trasversale

76

A. Strumia, Meccanica razionale

Velocit areale
Trattando dei moti piani particolarmente utile definire anche una
grandezza legata allarea che il raggio vettore descrive durante il moto: si
dice velocit areale larea che il raggio vettore descrive nell unit di tempo.
Considerando un intervallo di tempo t il raggio vettore OP ruoter di
un angolo # attorno ad O a partire dalla direzione # che aveva allinizio
dellintervallo. Pensando che t sia abbastanza piccolo larea descritta dal
raggio vettore OP , nellintervallo di tempo t sar uguale allarea del settore
circolare di raggio r e angolo al centro #, a meno di infinitesimi di ordine
superiore al primo. Cio si avr:

A=

1 2
r # + O[( #)2 ]
2

P'

(CP. 65)

r
P

r'

Figura CP. 4: area descritta dal raggio vettore durante il moto

La velocit areale, perci, considerando che # funzione del tempo si


potr rappresentare in coordinate polari come:
A = lim

t!0

A
dA
1
=
= r2 #
t
dt
2

(CP. 66)

cinematica del punto

77

Analogamente si definisce laccelerazione areale come derivata della


velocit areale rispetto al tempo. Ne risulta:
r2
r

A = r r # + # = (2r # + r #)
2
2

(CP. 67)

Confrontando con lespressione dell accelerazione trasversale nelle (CP.


64) risulta un legame fra laccelerazione areale e laccelerazione trasversale
del moto del punto. Abbiamo:
r
A = a#
2

(CP. 68)

Osserviamo che se a# = 0, cio se laccelerazione interamente radiale,


allora laccelerazione areale nulla, e viceversa. In questo caso la velocit
areale costante.

Moti centrali
Diamo ora la definizione di moto centrale:
Un moto si dice centrale quando esiste un punto O (detto centro del
moto) fisso rispetto allosservatore e tale che laccelerazione del moto
parallela al raggio vettore OP oppure nulla
La condizione di parallelismo fra OP e a, includendo anche il caso in cui
a si annulli, si pu esprimere mediante la relazione vettoriale:
OP ^ a = 0

(CP. 69)

78

A. Strumia, Meccanica razionale

P'
a'

v'

Figura CP. 5: moto centrale

Da questa relazione, per la definizione di velocit vettoriale (CP. 22), si


ottiene:
d
(OP ^ v) = 0
dt

(CP. 70)

Infatti il calcolo diretto ci d:


d
dP
dv
(OP ^ v) =
^ v + OP ^
= OP ^ a
dt
dt
dt
dal momento che il primo prodotto vettoriale a secondo membro si annulla.
Ora, dalla (CP. 70) segue lesistenza di un vettore costante c, caratteristico
del moto, tale che risulta:
OP ^ v = c

(CP. 71)

Il vettore costante c pu essere calcolato mediante le condizioni iniziali,


dal momento che non cambia nel tempo. Si ha allora:

cinematica del punto

79

(CP. 72)

c = OP0 ^ v 0
dove:
OP0 = OP (0),

v 0 = v(0)

Esaminiamo i due casi che si possono presentare nel moto centrale:


primo caso:

c=0

Questa informazione comporta nella (CP. 71):


OP ^ v = 0,

(CP. 73)

8t

Ma tendendo conto della rappresentazione intrinseca della velocit (CP.


26) si ottiene:
(CP. 74)

OP ^ (s T ) = 0

Se si esclude che il caso banale in cui s = 0 8t, cio il caso in cui il punto
in quiete, e quindi anche il caso in cui OP = 0 in ogni istante, rimane, in
generale:

OP || T

=)

a = s T + C s 2 N || T

Dunque esiste uno scalare

=)

C=0

tale che:
OP =

(CP. 75)

80

A. Strumia, Meccanica razionale

E questa lequazione della traiettoria del moto, che risulta essere una
retta passante per il centro O. Inoltre, evidentemente = s, cio allascissa
curvilinea.
secondo caso:

c 6= 0

In questo caso la definizione di prodotto vettoriale impone che i vettori


OP e v siano ortogonali al vettore costante c; o, al pi possano annullarsi
in certi istanti. Ma allora se OP appartiene al piano normale a un vettore
costante, ne consegue che la traiettoria sta su quel piano e quindi il moto
piano e il piano del moto il piano invariabile normale al vettore costante,
non nullo c.
Possiamo, perci utilizzare le formule per i moti piani (CP. 58) e (CP. 52)
e calcolare il vettore c esplicitamente. Abbiamo:
c = OP ^ v = r u ^ (r u + r # w) = r2 # u ^ w
Introduciamo ora il novo versore, normale al piano del moto:
k =u^w

(CP. 76)

e otteniamo, finalmente, lespressione del vettore che si mantiene costante


durante il moto:
c = r2 # k

(CP. 77)

E comodo anche introdurre la costante scalare, che non altro che la


componente di c lungo k:
c = c k = r2 #

(CP. 78)

cinematica del punto

81

Il confronto con (CP. 66) ci d poi il legame fra c e la velocit areale:


1
A = c
2

(CP. 79)

In un moto centrale abbiamo dunque che la velocit areale costante:


per questo a c si d il nome di costante delle aree.
Daltra parte il fatto che in un moto centrale la velocit areale costante
non ci sorprende, in quanto, essendo laccelerazione interamente radiale per
definizione di moto centrale, risulta:
a# = 0
e di conseguenza, grazie alla (CP. 68) segue subito la costanza della velocit
areale, annullandosi laccelerazione areale.

Formula di Binet
Il fatto di poter disporre di una legge di conservazione come la (CP. 79),
in un moto centrale, rende possibile leliminazione delle derivate temporali
dalla formula dell accelerazione, in quanto # si pu esprimere come:
c
# = 2
r

(CP. 80)

Per eliminare poi r dallequazione dellaccelerazione radiale teniamo


conto che la variabile r si pu pensare come una funzione composta del tempo
attraverso la #, cio:
r = r(#(t))

82

A. Strumia, Meccanica razionale

Allora derivando rispetto al tempo e tenendo conto della (CP. 80):

r =

dr
c dr
#= 2
d#
r d#

che si pu riscrivere:

r =

d 1r
d#

(CP. 81)

Derivando ancora rispetto al tempo otteniamo:

r =

d2 1r
#
d#2

E quindi dopo aver eliminato # con il solito metodo:

r =

c2 d2 1r
r2 d#2

(CP. 82)

A questo punto, sostituendo nellequazione dellaccelerazione radiale che


troviamo fra le (CP. 64) otteniamo unequazione che non contiene pi derivate
temporali ma solamente derivate rispetto a #:

ar =

c2
r2

d2 1r
1
+
2
d#
r

(CP. 83)

Questa formula nota come formula di Binet: la sua utilit consiste


nel fatto che rende possibile il calcolo dellaccelerazione mediante la
sola conoscenza della traiettoria, cio mediante uninformazione di tipo

cinematica del punto

83

geometrico, in quanto i termini cinematici che provengono dalla legge oraria


sono stati eliminati mediante la costanza della velocit areale.
Unanaloga formula si ottiene per il quadrato della velocit nei moti
centrali. Infatti, dalla (CP. 58) possiamo calcolare:
v 2 = r 2 + r2 # 2
da cui, facendo uso delle (CP. 80) e (CP. 81) si ricava:

d 1r
4
v =c
d#
2

!2

1
+ 25
r

(CP. 84)

Moti celesti
Queste formule trovano una loro applicazione nella meccanica dei corpi
celesti: noto che per il moto dei pianeti valgono le tre leggi di Keplero:
prima legge: Le orbite dei pianeti sono ellissi di cui il sole occupa uno
dei fuochi;
seconda legge: il raggio vettore solepianeta descrive aree uguali in
tempi uguali (legge delle aree);
terza legge: il rapporto fra il quadrato del periodo di rivoluzione e il
cubo del semiasse maggiore dellorbita uguale per tutti i pianeti e costituisce
una costante caratteristica del sistema solare:
T2
=K
a3

(CP. 85)

84

A. Strumia, Meccanica razionale

La seconda legge ci dice subito che il moto dei pianeti centrale e quindi
laccelerazione solamente radiale; perci possiamo utilizzare la formula di
Binet.
La prima legge si traduce nellequazione polare della traiettoria:

r=

p
1 + e cos #

(CP. 86)

avendo scelto, per convenienza, lasse delle ascisse diretto come lasse
maggiore dellellisse. Ricordiamo che lequazione (CP. 86) lequazione di
una conica e che per lellisse si ha:

0 e<1

(CP. 87)

essendo e = 0 il caso della circonferenza di raggio r = p.


E noto dallosservazione astronomica che le comete si possono muovere
anche lungo traiettorie paraboliche e iperboliche. Questi casi corrispondono
ad eccentricit e 1, secondo lo schema riassuntivo seguente:
8
>
>
>
<

e=0
0<e<1
>
e=1
>
>
:
e>1

circonferenza
ellisse
parabola
iperbole

Dalla (CP. 86) otteniamo:


1
1 e
= + cos #
r
p p
da cui:

(CP. 88)

cinematica del punto

d 1r
=
d#

85

e
sen #
p

=)

d2 1r
=
d#2

e
cos #
p

risultati che inseriti nella formula di Binet (CP. 83) danno:

ar =

c2 1
p r2

(CP. 89)

Dunque dalle leggi di Keplero, attraverso le formule dei moti centrali,


possibile dedurre la legge di proporzionalit fra laccelerazione e linverso del
quadrato della distanza fra sole e pianeta. Fu questa deduzione che condusse
Newton alla formulazione delle legge di gravitazione universale.

CR. Cinematica del corpo rigido


Abbiamo finora schematizzato i corpi, in prima approssimazione, con dei
punti geometrici: questa schematizzazione si dimostra sufficiente quando le
dimensioni lineari che caratterizzano un corpo si possono trascurare rispetto
alle lunghezze che entrano in gioco durante il moto del corpo e quando non
rilevante diversificare la descrizione del moto di una parte del corpo rispetto
ad altre sue parti. In tal modo non si prende in considerazione il fatto che il
corpo abbia una sua struttura.
Tuttavia la schematizzazione del corpo come un punto non sufficiente
in tutti quei casi in cui lestensione e la struttura propria del corpo vengono
prese in considerazione: in questo caso occorre una schematizzazione pi
complessa. In molte situazioni, quando si ha a che fare con dei solidi, per
i quali risultano trascurabili le deformazioni, una buona schematizzazione
risulta essere quella del corpo rigido.

Corpo rigido e condizione di rigidit


Introduciamo allora una definizione di corpo rigido che traduca in termini
matematici la nozione intuitiva di corpo rigido che ci viene dallesperienza:
Un corpo si dice rigido quando la distanza di due punti qualsiasi del
corpo si mantiene indefinitamente costante nel tempo
Si dice, inoltre condizione di rigidit tale condizione di invariabilit della
distanza fra due punti qualsiasi del corpo.
Osserviamo che un corpo (o sistema, come spesso anche lo si denomina)
rigido si pu pensare come un insieme discreto di punti (particelle) che

cinematica del corpo rigido

87

soddisfano la condizione di rigidit. Fisicamente lo schema discreto o


particellare nasce dallidea di pensare il corpo come costituito di particelle
(atomi, molecole, ecc.).
P
2
P1
P
3

P6

P
5

P
4

Figura CR. 1: schema discreto del corpo rigido


Pensando il corpo rigido come un insieme discreto di punti definito da:
C = {Ps 2 R3 ; s = 1, 2, , n}
la condizione di rigidit si traduce matematicamente nella condizione:
|Pr Ps | = costante,

r, s = 1, 2, , n

(CR.1)

Se il numero dei punti del sistema rigido molto elevato e le distanze dei
punti tra loro pi vicini sono molto piccole rispetto alle dimensioni lineari del
corpo, tanto da poterle trascurare, come accade per i corpi macroscopici,
conveniente, invece, adottare lo schema continuo. In questo caso linsieme
dei punti che costituiscono il corpo rigido si rappresenta con un sottoinsieme
di R3 avente la potenza del continuo.
La condizione di rigidit si esprime allora nella forma:
|P Q| = costante,

8P, Q 2 C R3

(CR.2)

88

A. Strumia, Meccanica razionale

Figura CR. 2: schema continuo del corpo rigido

Retta solidale e velocit di scorrimento


Pensiamo ora di riferire il moto del corpo rigido ad un osservatore dotato
di un sistema di assi cartesiani ortogonali. Anzitutto dobbiamo specificare
che cosa intendiamo per descrizione del moto di un corpo o sistema di punti
e poi utilizzeremo questa definizione per il corpo rigido.
Il moto di un sistema di punti conosciuto quando noto il moto di
ogni suo punto
Per cui, ad esempio, descrivere il moto di un sistema discreto significa
conoscere tutte le funzioni vettoriali del tempo:

OPs = OPs (t),

s = 1, 2, , n

(CR.3)

essendo n il numero di punti del sistema.


Analogamente, nello schema continuo, conoscere il moto del corpo C
significa conoscere il moto di ogni suo punto:

cinematica del corpo rigido

89

z
P

Q
O

Figura CR. 3: Moto di un sistema rigido riferito ad un osservatore

OP = OP (t),

8P 2 C

(CR.4)

Nel caso del corpo rigido bisogna, in pi, prendere in considerazione


la condizione di rigidit e le sue conseguenze. La utilizziamo nel caso del
continuo rigido per non avere a che fare con gli indici, ma il caso discreto si
tratta allo stesso modo: eleviamo al quadrato la (CR.2) e la deriviamo rispetto
al tempo, ottenendo:

(QP )2 = QP QP = costante

()

QP

dQP
= 0 (CR.5)
dt

Dal momento che:


QP = OP

OQ

(CR.6)

derivando la (CR.6) rispetto al tempo e tenendo conto che O fisso, si ottiene,


grazie alla definizione di velocit vettoriale (CP.22):

90

A. Strumia, Meccanica razionale

dQP
= vP
dt

vQ

(CR.7)

Sostituendo nella (CR.5) otteniamo:


QP v P = QP v Q

(CR.8)

Escludendo il caso banale in cui P Q che non ci d nessuna


informazione, dopo aver introdotto il versore u di QP :
QP = |QP | u

(CR.9)

sostituendo nella (CR.8) e semplificando per il modulo (non nullo) abbiamo


la condizione sulle velocit che equivale alla condizione di rigidit:
u vP = u vQ

(CR.10)

Questo risultato pu essere letto in questo modo:


dati due punti distinti qualsiasi di un corpo rigido le componenti delle
loro velocit lungo la retta che li congiunge sono uguali.
Questo equivale a garantire che la loro distanza rimane invariata (rigidit).
Ma P e Q sono due punti qualunque del corpo rigido, per cui, considerando
tutti i punti della retta che congiunge P e Q si pu concludere che la
componente della loro velocit secondo u la stessa per tutti. Infatti se si
considera un altro punto Q0 della stessa retta passante per P e Q, di versore
u, e si ripete il procedimento sopra descritto, si pu concludere che:
u v Q0 = u v P = u v Q
e questo risultato equivalente al fatto che le mutue distanze dei punti della
retta si mantengono invariabili.

cinematica del corpo rigido

91

Allora risulta del tutto naturale considerare, per ogni coppia di punti
distinti del corpo rigido, la retta passante per i due punti e luogo geometrico
dei punti le cui distanze soddisfano la condizione di rigidit, ovvero le cui
proiezioni delle velocit in direzione della retta sono uguali a quelli dei due
punti assegnati.
Una retta di questo genere si dice essere una retta solidale con il corpo
rigido.
Possiamo caratterizzare la retta solidale al corpo rigido condotta per i
punti P e Q come:

R = {P 0 2 R3 ; OP 0 = OQ + u ,

2 R , |QP 0 | = costante} (CR.11)

ovvero:

R = {P 0 2 R3 ; OP 0 = OQ + u ,

2 R , v P 0 u = v Q u} (CR.12)

essendo u il versore di QP .
Una retta solidale, evidentemente, contiene anche punti che non
appartengono al corpo rigido fisico, dal momento che si estende allinfinito,
mentre un corpo fisico occupa sempre una regione limitata dello spazio;
tuttavia i suoi punti mantengono sempre una distanza invariabile dai punti del
corpo, per cui, dal punto di vista geometrico e cinematico, una retta solidale
forma un tutto unico con il corpo rigido. Per cui una retta solidale viene a
comportarsi come se fosse parte integrante del corpo rigido.
Si definisce poi la velocit di scorrimento della retta solidale passante per
un punto P , diretta secondo il versore u, come:
vscorr = v P u

(CR.13)

92

A. Strumia, Meccanica razionale

r
VQ
VP

Figura CR. 4: retta solidale a un corpo rigido

Riferimento solidale
Esistono, evidentemente, infinite rette solidali ad un corpo rigido, data
larbitrariet delle coppie di punti che si possono scegliere per identificarle:
possiamo allora pensare di scegliere una terna di rette solidali fra loro
ortogonali, aventi un punto di intersezione comune , e di orientare le rette in
modo da realizzare una terna cartesiana ortogonale levogira solidale. Allora si
comprende come esiste un intero spazio solidale con il corpo rigido costituito
da punti le cui distanze soddisfano la condizione di rigidit. Descrivere il
moto del corpo rigido equivale a descrivere il moto di tutti i punti dello spazio
rigido ad esso solidale, ovvero di una terna di assi solidali con il corpo.
Per identificarle, distinguendole, denoteremo con Ox1 x2 x3 Oxyz la
terna dellosservatore del moto e con 1 2 3 la terna solidale con il
corpo rigido.
E conveniente anche introdurre due basi di ortonormali di versori degli
assi. Indichiamo con: {ci , i = 1, 2, 3} la base dellosservatore, relativa agli
assi x1 x2 x3 xyz e con: {ei , i = 1, 2, 3} la base solidale relativa agli assi
1 2 3 . Losservatore vede la base solidale in moto, quindi i versori
solidali risultano variabili nel tempo rispetto allosservatore del moto.

cinematica del corpo rigido

93

Figura CR. 5: terna solidale con un corpo rigido

Risulta chiaro, allora, che per conoscere il moto di tutti i punti di un corpo
rigido, ovvero dello spazio solidale con il corpo rigido, basta conoscere il
moto di tre punti non allineati: infatti due punti individuano una retta solidale
e il terzo punto non allineato permette di individuare un piano solidale;
ma dato un piano e stabiliti su di esso due assi cartesiani ortogonali resta
identificato anche il terzo asse della terna, ortogonale ai primi due, e quindi
un sistema solidale di tre assi.
Ora, per individuare tre punti occorrono nove variabili (tre coordinate per
ogni punto); ma queste nove variabili non sono tra loro indipendenti, dal
momento che le coordiniate dei tre punti devono soddisfare alle tre condizioni
di rigidit, per le tre coppie di punti che con tre punti si possono identificare.
Dunque tre delle nove incognite si possono esprimere in funzione delle
restanti sei variabili, grazie alla condizione di rigidit. Solo sei delle nove
variabili di partenza sono variabili indipendenti. Dunque il moto di un corpo
rigido viene ricondotto, grazie alla condizione di rigidit ad un problema a
sei incognite, o come si dice abitualmente, ad un problema a sei gradi di
libert (anticipiamo fin da ora che, in generale, chiameremo gradi di libert le
variabili indipendenti che individuano istante per istante, in maniera univoca,
la configurazione di un sistema).
Si comprende facilmente che di questi sei gradi di libert tre sono le
coordinate di un punto qualunque del corpo rigido (parametri di traslazione),

94

A. Strumia, Meccanica razionale

che viene scelto come origine di un sistema solidale e tre servono ad


individuare la matrice di rotazione che porta i versori del sistema solidale
{ei } sui versori del sistema dellosservatore {ci }.
Allora per individuare i punti di un corpo rigido scriveremo:
OP = O + P
e rappresenteremo:
P = k ek

(CR.14)

sulla base solidale, rispetto alla quale le coordinate dei punti sono costanti.
Quindi possiamo scrivere:
OP = O + k ek

(CR.15)

Adesso introduciamo la matrice di rotazione R


che lega i versori della
base solidale con quelli della base dellosservatore del moto:
ek = R
ck

(CR.16)

Sostituendo infine nella (CR.15) otteniamo:


OP = O + k R
ck

(CR.17)

E proiettando sugli assi dellosservatore del moto otteniamo le coordinate


dei punti del corpo rigido in termini delle coordinate di (parametri di
traslazione) e degli elementi della matrice di rotazione R
(parametri di
rotazione):

cinematica del corpo rigido

95

xi = xi + Rik k

(CR.18)

Osserviamo che una matrice di rotazione possiede nove elementi, ma di


questi solamente tre sono indipendenti: infatti gli elementi di una matrice di
rotazione sono soggetti alle relazioni:
Rij Rkj =

ik

(CR.19)

che garantiscono che la matrice sia ortogonale. Queste relazioni sono sei
essendo la condizione (CR.19) simmetrica negli indici ik, dunque rimangono
tre elementi di matrice indipendenti.
Noti i sei gradi di libert in funzione del tempo le (CR.17), o
equivalentemente le (CR.18) forniscono le equazioni del moto in forma
vettoriale e, rispettivamente, cartesiana del moto di un corpo rigido. Notiamo
che se il corpo non fosse rigido le variabili k non sarebbero costanti, e le Rik
non sarebbero gli elementi di una matrice di rotazione.

Velocit angolare e formule di Poisson


La legge di trasformazione (CR.17) equivalente alla (CR.18) rappresenta
una rototraslazione degli assi solidali rispetto allosservatore, per cui ci dice
che il moto di un corpo rigido si presenta come una traslazione combinata con
una rotazione. Ora vogliamo vedere che legame c fra le velocit dei punti
di un corpo rigido, in conseguenza della legge di rototraslazione (CR.17).
Ponendoci nel sistema dellosservatore e derivando la (CR.17) rispetto al
tempo abbiamo:
dP
d
dek
=
+ k
dt
dt
dt

(CR.20)

96

A. Strumia, Meccanica razionale

dove abbiamo tenuto conto del fatto che le k sono costanti.


Introducendo le velocit di P e di :

vP =

dP
,
dt

v =

d
dt

(CR.21)

otteniamo un legame fra le due velocit:

v P = v + k

dek
dt

(CR.22)

Per ognuno dei versori degli assi solidali, in conseguenza delle condizioni
di normalizzazione:
e1 e1 = 1,

e2 e2 = 1,

e3 e3 = 1

segue, derivando rispetto al tempo:


e1

de1
= 0,
dt

e2

de2
= 0,
dt

e3

de3
=0
dt

Ma allora, per le propriet note dal calcolo vettoriale, devono esistere tre
vettori ! (i) , i = 1, 2, 3 tali che:
de1
= ! (1) ^ e1
dt
de2
= ! (2) ^ e2
dt
de3
= ! (3) ^ e3
dt

cinematica del corpo rigido

97

In forma pi sintetica riscriviamo:


dei
= ! (i) ^ ei
dt

(CR.23)

relazione nella quale non c somma sull indice, come indicato dal fatto che
lindice di ! (i) stato messo fra parentesi. Si noti che l i-esima componente
di ciascun vettore ! (i) rimane indeterminata.
Se poco fa abbiamo utilizzato le relazioni di normalizzazione per i versori
della base solidale, ora sfruttiamo le condizioni di ortogonalit:
ei ej = 0,

i 6= j

Derivandole rispetto al tempo ricaviamo:


dei
dej
ej + ei
=0
dt
dt
Eliminando le derivate tramite la (CR.23) arriviamo alla:
! (i) ^ ei ej + ei ! (j) ^ ej = 0
Scambiando lordine del prodotto scalare e del prodotto vettoriale e
raccogliendo abbiamo:
h

! (i)

! (j) ei ^ ej = 0

(CR.24)

Ricordiamo dal calcolo vettoriale [cfr. (AL.6)] che:


ei ^ ej = "ijk ek

(CR.25)

98

A. Strumia, Meccanica razionale

Perci segue, sostituendo nella (CR.24):


h

"ijk ! (i)

! (j) ek = 0

(CR.26)

Scrivendola per esteso riusciamo ad interpretare meglio la (CR.26):


8 h
>
! (1)
>
>
>
>
>
>
< h

! (2)
>
>
>
>
>
h
>
>
:
! (3)

! (2) e3 = 0
i

! (3) e1 = 0

(CR.27)

! (1) e2 = 0

Relazioni che significano che sono nulle le componenti dei vettori entro
parentesi quadra di indice corrispondente a quello del versore fuori parentesi.
E cio:
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

! (1) 3 = ! (2) 3
! (2) 1 = ! (3) 1

(CR.28)

! (3) 2 = ! (1) 2

Come si vede, per ognuno dei vettori ! (i) resta non soggetta a condizioni
solo una componente: quella che porta lo stesso indice che identifica il vettore,
cio ! (i) i .
Ora nulla vieta di giocare sullarbitrariet di questa componente e
sceglierla in modo da completare il quadro delle relazioni (CR.28) nel modo
seguente:

cinematica del corpo rigido

8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

99

! (1) 3 = ! (2) 3 = ! (3) 3


! (2) 1 = ! (3) 1 = ! (1) 1

(CR.29)

! (3) 2 = ! (1) 2 = ! (2) 2

Ma queste relazioni equivalgono a dire che esiste un vettore unico tale


che:
! = ! (1) = ! (2) = ! (3)

(CR.30)

Questo vettore un vettore caratteristico del moto del corpo rigido nel suo
insieme e non dipende dal punto del corpo. Esso prende il nome di vettore
velocit angolare.
Ora sostituendo linformazione (CR.30) nelle relazioni (CR.23) che
esprimono le derivate dei versori otteniamo le relazioni fondamentali per il
moto del corpo rigido:

dei
= ! ^ ei
dt

(CR.31)

che prendono il nome di formule di Poisson.


Da queste relazioni possiamo ottenere unespressione esplicita per il
vettore velocit angolare prendendo il prodotto vettoriale con ei di entrambi
i membri delle (CR.31) e ricordando che gli indici ripetuti si intendono
sommati da 1 a 3. Abbiamo:

ei ^

dei
= ei ^ (! ^ ei ) = (ei ei )!
dt

(! ei )ei = 3!

!i ei = 2!

100

A. Strumia, Meccanica razionale

E quindi:

!=

1
dei
ei ^
2
dt

(CR.32)

essendo sottintesa la somma su i.


Questa relazione caratterizza la velocit angolare ! in termini dei versori
della base solidale. E legittimo domandarsi se, cambiando la scelta della base
solidale, lespressione che fornisce la velocit angolare rimanga la stessa. La
risposta senzaltro affermativa dal momento che non abbiamo fatto alcuna
ipotesi sulla scelta della base solidale, tuttavia possiamo fare una verifica
diretta. Pensiamo di scegliere una base solidale differente, che denotiamo
con {e0i }. Ora i vecchi versori di base ei si possono esprimere sulla nuova
base, mediante una relazione del tipo:
ei = ik e0k
dove le ik rappresentano le componenti dei vecchi versori rispetto alla nuova
base. Questa scrittura ci dice semplicemente una cosa ovvia, e cio che i
vecchi versori si possono esprimere come combinazione lineare dei nuovi.
Dovendo sussistere le condizioni di ortonormalizzazione di entrambe le
basi, avremo che:
ei ek =

ik ,

e0i e0k =

ik

Di conseguenza risulter:

ij

e cio:

= ei ej = ik e0k jl e0l = ik jl e0k e0l = ik jk

cinematica del corpo rigido

101

ik jk =

ij

(CR.33)

relazione che ci dice che i coefficienti ik rappresentano gli elementi di una


matrice di rotazione. Ora, andando a calcolare esplicitamente ! abbiamo:
!=

1
dei
1
d
ei ^
= ij e0j ^ (ik e0k )
2
dt
2
dt

Ma i coefficienti ik sono indipendenti dal tempo, in quanto legano fra


loro due basi solidali con il corpo rigido, e quindi anche solidali fra loro, per
cui luna vede laltra costante nel tempo. Allora possiamo scrivere:

!=

1
de0
ij ik e0j ^ k
2
dt

E grazie alla (CR.33) segue subito:

!=

1 0 de0i
e ^
2 i dt

Dunque anche rispetto alla nuova base solidale il vettore velocit angolare
viene identificato dalla stessa espressione. Notiamo ancora che il vettore
velocit angolare risulta del tutto indipendente dallorigine degli assi
solidali, che non figura nella (CR.32). La velocit angolare appare legata,
perci solamente ai termini di rotazione e non a quelli di traslazione del corpo
rigido.

Legge di distribuzione delle velocit


A questo punto siamo in grado di riprendere la relazione (CR.22)
sostituendo in essa le formule di Poisson e ottenendo la relazione che lega
le velocit di due punti del corpo rigido:

102

A. Strumia, Meccanica razionale

v P = v + ! ^ P

(CR.34)

Questa relazione fondamentale nella cinematica rigida nota come legge


di distribuzione delle velocit. Essa lega le velocit di due punti qualsiasi
del corpo rigido. Il fatto che possa coincidere con lorigine di un sistema
solidale non entra in gioco e non ha nessuna influenza perch ogni punto del
corpo rigido pu essere pensato origine di un sistema solidale. In ogni caso
immediato ottenere esplicitamente il legame fra le velocit di due punti del
corpo rigido A e B differenti da . Abbiamo dalla legge di distribuzione:
v A = v + ! ^ A
Inoltre anche:
v B = v + ! ^ B
Sottraendo membro a membro queste due relazioni segue:
vA

v B = ! ^ A

! ^ B

Ovvero:
v A = v B + ! ^ BA
E cio proprio la stessa legge di distribuzione per i due punti A e B.
Ci accorgiamo poi subito di due cose:

cinematica del corpo rigido

103

la prima consiste nel fatto che i vettori velocit dei punti di un corpo
rigido costituiscono un esempio (il primo che incontriamo) di vettori applicati
in quanto dipendono dal punto considerato e cambiano al cambiare del punto;
la seconda sta in una evidente analogia fra la legge di distribuzione
delle velocit dei punti di un corpo rigido e la legge di distribuzione dei
momenti (VA.8) che abbiamo visto nella teoria dei vettori applicati. Anche se
il significato delle grandezze diverso perch le velocit non nascono come
dei momenti risultanti, tuttavia, dal punto di vista formale le relazioni sono
identiche: le velocit prendono il posto dei momenti e la velocit angolare
prende il posto del risultante. In seguito questa analogia ci permetter di trarre
importanti conseguenze.

Derivata di un vettore solidale


Come conseguenza della legge di distribuzione delle velocit facile
ottenere la formula per la derivata di un vettore solidale con un corpo rigido,
cio di un vettore che congiunge due punti dello spazio solidale con il corpo.
Siano A e B due punti dello spazio solidale con il corpo rigido, cosicch:

W = AB
risulta essere un vettore solidale al corpo. Allora si ha; derivando rispetto al
tempo:
dW
dAB
d
=
= (OB
dt
dt
dt

OA) =

dB
dt

dA
= vB
dt

vA

Applicando la legge di distribuzione delle velocit fra i punti A e B


abbiamo allora:

104

A. Strumia, Meccanica razionale

dW
=!^W
dt

(CR.35)

Moto rigido
Abbiamo definito il corpo rigido e abbiamo determinato la legge di
distribuzione delle velocit in un corpo rigido. Ora introduciamo anche la
definizione di moto rigido e la commentiamo:
Il moto di un sistema di punti si dice rigido quando mantiene costanti
le distanze mutue di tutti i punti del sistema
In altri termini un moto si chiama rigido quando soddisfa sempre la
condizione di rigidit. E evidente che un corpo rigido pu muoversi
solamente di moto rigido, tuttavia un corpo deformabile, cio non rigido, pu
compiere, fra tutti i moti che gli sono possibili, anche quella particolare classe
di moti che sono i moti rigidi. Pensiamo, intuitivamente ad una palla di stucco
che venga spostata senza essere deformata durante il moto: tutte le distanze
fra le particelle che la costituiscono rimangono inalterate durante il moto.
Per i moti rigidi valgono, di conseguenza tutti i risultati che abbiamo
dedotto per il moto del corpo rigido. Per questo in seguito parleremo, pi
in generale di moti rigidi anzich di moti di un corpo rigido.

Classificazione dei moti rigidi


Procediamo ora ad una classificazione dei moti rigidi specializzando per
ogni caso i risultati generali esposti finora.

cinematica del corpo rigido

105

a. moto traslatorio
Un moto rigido si dice traslatorio quando, durante il moto, ogni retta
solidale al corpo si mantiene parallela a se stessa
In particolare, se il moto traslatorio, si manterranno paralleli a se
stessi gli assi di ogni sistema solidale: conveniente, allora, scegliere la
terna solidale in modo che i suoi assi siano paralleli a quelli della terna
dellosservatore, perch durante il moto si manterranno sempre paralleli.
Ci significa che nelle relazioni (CR.17) e (CR.18) la matrice di rotazione
risulta essere lidentit:
R
I
=

()

Rik =

ik

(CR.36)

in modo che la trasformazione delle coordinate dal sistema solidale a quello


dellosservatore sia una traslazione degli assi:
xi = xi + i

(CR.37)

In queste relazioni le i sono costanti, per la condizione di rigidit:


rimangono perci, come variabili, le tre funzioni del tempo:
xi = xi (t)
che rappresentano i tre gradi di libert che caratterizzano il moto traslatorio.
In notazione vettoriale lo stesso risultato si pu rappresentare tenendo
conto che la (CR.36) comporta:
ei = ci

(CR.38)

106

A. Strumia, Meccanica razionale

Dunque i versori della base solidale non ruotano rispetto a quelli della
base dellosservatore; quindi la (CR.17) diventa:

OP = O + k ck

(CR.39)

relazione che traduce in forma simbolica lequazione indiciale (CR.37).


Queste sono le equazioni che forniscono le coordinate, ovvero i vettori
posizione, che caratterizzano il moto traslatorio. Vediamo adesso quali
informazioni ne conseguono per le velocit.
Se deriviamo rispetto al tempo la (CR.39), tenendo conto che il secondo
addendo a secondo membro costante, otteniamo:

vP = v

(CR.40)

Questa relazione ci dice che, se il moto traslatorio, tutti i punti del corpo
rigido hanno la stessa velocit, che coincide quindi con la velocit dellorigine
del sistema solidale. Nel caso del moto traslatorio questa velocit, comune a
tutti i punti del corpo, viene detta velocit del corpo: questo lunico caso in
cui si pu parlare di velocit di un corpo rigido. In tutti gli altri casi, come
vedremo, i punti del corpo hanno velocit differenti fra loro e non avrebbe
quindi alcun senso parlare di velocit del corpo.
Dalla (CR.38), derivando rispetto al tempo, segue poi:
dei
= 0,
dt

i = 1, 2, 3

(CR.41)

e quindi grazie alle formule di Poisson (CR.31) otteniamo:


! ^ ei = 0,

i = 1, 2, 3

(CR.42)

cinematica del corpo rigido

107

Ma ! non pu essere contemporaneamente parallelo a tre vettori


linearmente indipendenti dello spazio, per cui necessariamente segue che,
quando il moto traslatorio, la velocit angolare nulla:
(CR.43)

!=0

Lannullarsi di ! costituisce una condizione necessaria e sufficiente


perch il moto sia traslatorio, infatti abbiamo visto che la condizione
necessaria, ma vero anche il viceversa: se ! nullo, grazie alle formule di
Poisson segue subito che i tre versori solidali sono invariabili e quindi il moto
traslatorio. Daltra parte la (CR.43) inserita nella legge di distribuzione
delle velocit (CR.34) d subito la (CR.40). Notiamo, infine, che il risultato
(CR.43) si ottiene anche confrontando la (CR.40) con la legge di distribuzione
(CR.34) e tenendo conto dellarbitrariet del punto P .

Figura CR. 6: moto traslatorio

108

A. Strumia, Meccanica razionale

b. moto rototraslatorio
Un moto rigido si dice rototraslatorio quando esiste almeno una retta
solidale al corpo che, durante il moto, si mantiene parallela a se stessa
Nel caso del moto rototraslatorio si richiede che esista almeno una retta
che si mantiene parallela a se stessa durante il moto. Evidentemente il moto
traslatorio costituisce un caso particolare di moto rototraslatorio, in quanto
tutte (e sono infinite) le rette solidali si muovono parallelamente a se stesse.
In questo caso conviene scegliere la terna solidale con uno degli assi, per
esempio 3 coincidente con questa retta, in modo che risulti:
e3 = costante

()

de3
=0
dt

(CR.44)

Dalle formule di Poisson (CR.31) segue allora:


! ^ e3 = 0

(CR.45)

ovvero ! parallelo a e3 oppure nullo, cio:


! = ! 0 e3

(CR.46)

! 0 = ! e3 = |!|

(CR.47)

dove:

dove il segno positivo o negativo dipende dal senso di rotazione. Osserviamo


che questo risultato ci dice che la velocit angolare risulta essere parallela alla
retta che si muove parallelamente a se stessa. E conveniente, poi, scegliere

cinematica del corpo rigido

109

gli assi del sistema dellosservatore in modo che lasse x3 z sia parallelo
allasse solidale 3 e quindi si abbia:
(CR.48)

e3 = c3

Allora, grazie alle relazioni di ortonormalizzazione dei versori, risulta


anche:
e1 c3 = 0,

e2 c3 = 0

(CR.49)

Di conseguenza la rotazione del corpo avviene attorno alla retta solidale


parallela ad e3 = c3 . E facile, a questo punto ricavare gli elementi della
matrice di rotazione R
da introdurre nelle (CR.17). Denotiamo con # langolo
fra i versori e1 e c1 : allora abbiamo, per gli elementi di matrice definiti da:
Rik = ci R
ck = ci ek

R11 = c1 e1 = cos#, R12 = c1 e2 = sen#, R13 = 0


R21 = c2 e1 = sen#, R22 = c2 e2 = cos#,
R23 = 0
R31 = 0,
R32 = 0,
R33 = 1

(CR.50)

Dunque la matrice di rotazione si scrive:


0

cos#
B

R
@ sen#

sen# 0
cos# 0 C
A
0
1

A questo punto le relazioni (CR.18) si scrivono:

(CR.51)

110

A. Strumia, Meccanica razionale

8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

x1 = x1 + 1 cos#

2 sen#
(CR.52)

x2 = x2 + 1 sen# + 2 cos #
x3 = x3 + 3

Queste sono le coordinate dei punti del corpo rigido quando il moto e
rototraslatorio: le variabili funzioni del tempo sono in questo caso quattro:
xi = xi (t),

i = 1, 2, 3;

# = #(t)

Dunque il moto rototraslatorio caratterizzato da quattro gradi di libert.


Per quanto riguarda la velocit angolare, possiamo dedurla mediante la
(CR.32), partendo dai versori della base solidale le cui componenti sono date
dalle colonne della matrice R
e valgono:
e1 (cos#, sen#, 0),

e2 ( sen#, cos#, 0),

e3 (0, 0, 1)

Da queste si ricava facilmente:


de1
2,
= #e
dt

de2
=
dt

1,
#e

de3
=0
dt

Quindi tenendo conto della (CR.48) si arriva alla velocit angolare:


! = # c3

(CR.53)

Questo risultato inserito nella legge di distribuzione delle velocit (CR.34)


ci d la distribuzione delle velocit per il moto rototraslatorio:

cinematica del corpo rigido

111

v P = v + # c3 ^ P

(CR.54)

E immediato verificare che se si considerano due punti dellasse 3 ,


retta che trasla parallelamente a se stessa e a c3 , si ha semplicemente:
vP = v
in quanto il prodotto vettoriale di due vettori paralleli si annulla.

O
x

Figura CR. 7: moto rototraslatorio

c. moto elicoidale
Un moto rigido si dice elicoidale quando esiste una retta, solidale con
il corpo, i cui punti hanno velocit parallela alla retta stessa
Si comprende subito che, data la condizione di rigidit la velocit di tutti i
punti della retta che scorre su se stessa deve essere identica, in quanto coincide
con la velocit di scorrimento della retta. Dunque la retta in questione trasla

112

A. Strumia, Meccanica razionale

su se stessa: per cui il moto elicoidale risulta essere un caso particolare di


moto rototraslatorio.
In questo caso, facendo coincidere questa retta con lasse 3 la
traslazione della retta avviene parallelamente al versore e3 . Conviene, poi,
scegliere lasse x3 z della terna dellosservatore sovrapposto con 3 in
maniera che lorigine del riferimento solidale venga a scorrere lungo lasse
x3 z. In questo modo risulta:
x1 = 0,

x2 = 0

Perci le equazioni del moto rototraslatorio (CR.52) vengono a


specializzarsi, per il moto elicoidale, nelle seguenti:
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

x1 = 1 cos#

2 sen#

x2 = 1 sen# + 2 cos #

(CR.55)

x3 = x3 + 3

Da queste relazioni si riconosce che il moto elicoidale ha due gradi di


libert rappresentati dalle funzioni del tempo:
x3 = x3 (t),

# = #(t)

La velocit angolare mantiene sempre lespressione (CR.53) che ha nel


caso generale del moto rototraslatorio e la distribuzione delle velocit si
specializza nella forma:
v P = c3 + # c3 ^ P
dove:

(CR.56)

cinematica del corpo rigido

113

(CR.57)

= v c3 = |v |

Allora se consideriamo un punto P della retta che scorre su se stessa


abbiamo subito che la sua velocit data da:
v P = c3
z =

Figura CR. 8: moto elicoidale

d. moto rotatorio
Un moto rigido si dice rotatorio quando esiste una retta solidale con il
corpo i cui punti hanno velocit nulla
Il moto rotatorio viene a costituire, per come stato definito, un caso
particolare di moto elicoidale: in questo caso la retta scorrevole su se stessa
3 addirittura fissa, per cui risulta:
x3 = costante

114

A. Strumia, Meccanica razionale

e possiamo prendere le origini delle due terne cartesiane (quella dell


osservatore e quella solidale) coincidenti, in modo che risulti:
x3 = 0
Ci comporta nelle equazioni (CR.55) lulteriore specializzazione:
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

x1 = 1 cos#

2 sen#

x2 = 1 sen# + 2 cos #

(CR.58)

x3 = 3

Queste relazioni ci dicono che il moto rotatorio possiede un solo grado di


libert, costituito dallangolo di rotazione del corpo attorno alla retta fissa:
# = #(t)
Per quanto riguarda la velocit angolare essa mantiene immutata
lespressione data dalla (CR.53), mentre lespressione della velocit (CR.56)
risulta ulteriormente specializzata per il fatto che per il moto rotatorio risulta:
=0

(CR.59)

dal momento che la retta scorrevole in questo caso fissa. Dunque si ha:
v P = # c3 ^ P

(CR.60)

Se indichiamo con Q la proiezione del punto P sulla retta fissa del moto,
alla quale si d il nome di asse di rotazione, si pu scrivere:

cinematica del corpo rigido

115

Figura CR. 9: moto rotatorio

P = Q + QP
e dal momento che Q parallelo allasse di rotazione e quindi a ! segue
anche:
v P = ! ^ QP

(CR.61)

Ma i vettori fattori di questo prodotto vettoriale sono fra loro ortogonali


per definizione, quindi, i moduli sono legati dalla relazione:
|v P | = |!| |QP |
Denotando poi:
|QP | = r
si ottiene lusuale relazione:
vP = !r

(CR.62)

116

A. Strumia, Meccanica razionale

Notiamo, ancora, che grazie alla relazione (CR.61) quando il moto


rotatorio il vettore velocit appartiene sempre al piano normale al vettore
velocit angolare ed tangente alla circonferenza di raggio r e centro Q
giacente su questo piano, che rappresenta la traiettoria del punto P .

P
v
P

Figura CR. 10: velocit di un punto di un corpo rigido in moto rotatorio

e. moto di precessione
Un moto rigido si dice moto di precessione se esiste un punto dello
spazio solidale che si mantiene fisso durante il moto e inoltre esiste una
retta solidale con il corpo che ruota attorno ad una retta fissa rispetto
allosservatore, formando con essa un angolo costante
La retta fissa rispetto allosservatore prende il nome di asse di precessione
e la retta solidale con il corpo che forma un angolo costante con essa si dice
asse di figura.
E utile, in questo caso, scegliere le origini della terna solidale e O
della terna dellosservatore, coincidenti tra loro e nel punto fisso del moto.
Identifichiamo, inoltre lasse solidale 3 con lasse di figura e lasse
x3 z con lasse di precessione.

cinematica del corpo rigido

117

Allora, dalla definizione di moto di precessione, dovendo essere costante


langolo fra gli assi x3 z e 3 , ovvero fra i loro versori c3 e e3 deve
risultare:
cos# = c3 e3 = costante

(CR.63)

Ovvero, derivando rispetto al tempo e tenendo conto del fatto che c3


costante rispetto allosservatore:

c3

de3
=0
dt

Servendoci delle formule di Poisson (CR.31) segue allora:


c3 ! ^ e3 = 0

(CR.64)

condizione che comporta che i tre vettori sono fra loro complanari, o
eventualmente ! pu essere nullo. Ma allora, se ! appartiene al piano di
c3 ed e3 , si pu esprimere come combinazione lineare di questi ultimi, cio si
pu scrivere:
! = !p c3 + !f e3

(CR.65)

dove gli scalari !p e !f rappresentano le componenti della velocit angolare


lungo i due versori.
Questo risultato si pu commentare nel modo seguente: in un moto
di precessione la velocit angolare costituita da due componenti, di cui
una lungo lasse di precessione e laltra lungo lasse di figura. La prima
componente, che abbiamo denotato con !p prende il nome di velocit
angolare di precessione e la seconda, denotata con !f si dice velocit
angolare di rotazione propria.

118

A. Strumia, Meccanica razionale

Viceversa se sussiste la (CR.65) si risale alla (CR.63) e si conclude che il


moto di precessione.
Un moto di precessione, poi, si dice regolare se !p e !f sono costanti.

Figura CR. 11: moto di precessione

Accelerazione in un moto rigido


Derivando rispetto al tempo la legge di distribuzione delle velocit
(CR.34) possiamo ottenere una legge di distribuzione delle accelerazioni in
un moto rigido.
aP =

dv P
dv d!
dP
=
+
^ P + ! ^
dt
dt
dt
dt

Denotiamo per brevit:


! =

d!
dt

Ora tenendo conto che P un vettore solidale, utilizzando la relazione


di derivazione di un vettore solidale (CR.35) abbiamo:

cinematica del corpo rigido

119

dP
= ! ^ P
dt
Sostituendo nellespressione per il calcolo dellaccelerazione sopra
ricavata abbiamo la legge di distribuzione delle le accelerazioni:

(CR.66)

aP = a + ! ^ P + ! ^ (! ^ P )

Supposto ! 6= 0 possiamo decomporre P in una componente parallela


ad ! e in una normale ad !:
P = Q + QP
dove con Q abbiamo indicato la proiezione di P sulla retta parallela ad ! e
passante per . In questo modo possiamo scrivere:
! ^ P = ! ^ QP
dal momento che:
! ^ Q = 0
essendo due vettori paralleli.
Allora tenendo conto della regola del doppio prodotto vettoriale, la
(CR.66) si pu sviluppare come:
! ^ (! ^ P ) = ! ^ (! ^ QP ) = (! QP )!

! 2 QP

120

A. Strumia, Meccanica razionale

Essendo:
! QP = 0
per come QP stato definito segue:
! ^ (! ^ P ) =

! 2 QP

Si ha allora la formulazione equivalente alla (CR.66) della legge di


distribuzione delle accelerazioni:

aP = a + ! ^ P

! 2 QP

(CR.67)

Qualche commento. Osserviamo che nel caso che il moto sia rotatorio
uniforme, e cio:
! = 0
rimane solamente l ultimo termine che viene detto accelerazione centripeta.
Nel caso, poi, che sia nullo anche il vettore !, caso che inizialmente era
stato escluso per poter realizzare la decomposizione del vettore P in una
componente parallela ad ! e in una normale, notiamo che la (CR.67) ci d lo
stesso risultato della (CR.66), cio:
aP = a
che il caso del moto traslatorio. Concludiamo quindi che le due formule
sono completamente equivalenti. E osserviamo anche che se il moto
traslatorio i punti del corpo possiedono la stessa accelerazione, che risulta

cinematica del corpo rigido

121

di conseguenza uguale a quella dellorigine del sistema solidale, e quindi, si


pu parlare di accelerazione del corpo.

Legge di distribuzione degli spostamenti


Rimane ancora da stabilire la legge di distribuzione degli spostamenti
compatibili con la condizione di rigidit: questa una conseguenza diretta
della legge di distribuzione delle velocit. Infatti la legge di distribuzione
delle velocit (CR.34) si pu scrivere in una forma in cui compaiono delle
derivate rispetto al tempo, nel modo seguente:
dP
d
=
+ ! ^ P
dt
dt

(CR.68)

La scrittura (CR.68) si pu rappresentare in maniera equivalente in termini


di differenziali, e cio:

dP = d + ! dt ^ P

(CR.69)

che conduce immediatamente alla legge di distribuzione degli spostamenti:

dP = d + d

^ P

(CR.70)

nella quale si introdotto il vettore:

= ! dt

(CR.71)

122

A. Strumia, Meccanica razionale

Questo un vettore diretto come la velocit angolare e il cui modulo


rappresenta langolo di cui il corpo ruota rigidamente nellintervallo di tempo
elementare dt. Introdotto il versore della velocit angolare:
u=
possiamo rappresentare d
langolo:

!
|!|

(CR.72)

in una forma in cui compare direttamente

= ud#

(CR.73)

dove:
d# = u d

= |d |

(CR.74)

langolo infinitesimo di cui il corpo ruotato nel tempo dt.

Angoli di Eulero
Nello studio del moto di un corpo rigido utile, come vedremo in seguito,
poter riferire il moto ad un osservatore la cui origine si trova in un punto dello
spazio solidale con il corpo rigido. Si parla, in questo caso di moto di un
corpo rigido con un punto fisso.
Possiamo scegliere, oltre al sistema di assi dellosservatore anche una
terna di assi solidali con il corpo rigido, anchessa con origine nel punto fisso,
per cui risulta O. Il moto di un corpo rigido con un punto fisso, essendo
fissate le coordinate di , cio i tre gradi di libert di traslazione, viene
ad avere solamente i tre gradi di libert di rotazione, che sono esprimibili
mediante tre angoli.

cinematica del corpo rigido

123

Solitamente, fra le possibili terne di angoli che si possono scegliere, si


utilizzano gli angoli di Eulero che sono definiti nel modo seguente:
langolo # compreso fra lasse solidale 3 e lasse dellosservatore x3 ,
detto angolo di nutazione;
langolo ' compreso fra lasse solidale 1 e la retta di intersezione
del piano 1 2 con il piano x1 x2 , retta che prende il nome di linea dei nodi.
Langolo ' viene detto angolo di rotazione propria;
langolo
precessione.

compreso fra la linea dei nodi e lasse x1 , detto angolo di

La nomenclatura di questi angoli legata, per ragioni storiche,


allastronomia, ai moti dei corpi celesti riferiti ad un osservatore la cui origine
posta nel centro del corpo.
Notiamo subito, per inciso, che qualora langolo di nutazione # sia
costante, il moto risulta essere un moto di precessione in cui la velocit
angolare di rotazione propria ' e la velocit angolare di precessione .
Risulta anche chiaro, allora, che un moto di precessione possiede due soli
gradi di libert, rappresentati dagli angoli ' e .
In generale, invece, la velocit angolare del corpo rispetto allosservatore,
caratterizzabile rispetto agli angoli di Eulero assegnati in funzione del tempo
e alle loro derivate temporali, nella forma:

! = # n + c3 + ' e3
dove il versore n il versore della linea dei nodi.
I versori:

{n, c3 , e3 }

(CR.75)

124

A. Strumia, Meccanica razionale

x3

x2

x1

linea dei nodi

Figura CR. 12: angoli di Eulero

costituiscono una base non ortogonale dello spazio sulla quale rappresentata
la velocit angolare.
Va sottolineato che occorre distinguere fra losservatore che vede il
moto del corpo e il sistema di assi cartesiani sul quale si proiettano i vettori,
quando si studia un determinato problema. Nel caso del moto di un corpo
rigido chiaro che il moto pu essere osservato solamente da un osservatore
non solidale con il corpo rigido; diversamente il corpo apparirebbe sempre
immobile. Mentre le grandezze e le equazioni vettoriali in gioco non devono
obbligatoriamente essere proiettate sugli assi della terna dellosservatore
x1 x2 x3 , ma possono essere proiettate su qualsiasi terna di assi, anche mobili
rispetto allosservatore, compresi gli assi solidali con il corpo rigido. Anzi in
molti casi vedremo che questa la scelta pi conveniente.
Ad esempio, il vettore ! che il vettore velocit angolare, pu essere
proiettato sulla terna di assi solidali al corpo rigido 1 2 3 , che sono variabili
rispetto allosservatore. Per ragioni che appariranno chiare trattando la
dinamica del corpo rigido utile esprimere le componenti di ! rispetto alla
terna solidale con il corpo rigido. Solitamente si usano le seguenti notazioni
per la rappresentazione della velocit angolare sulla base solidale {ei }:
! = p e1 + q e2 + r e3

(CR.76)

cinematica del corpo rigido

125

Le tre componenti p, q, r si possono esprimere come funzioni degli angoli


di Eulero e delle loro derivate prime rispetto al tempo: per fare questo occorre
confrontare la (CR.76) con la (CR.75) esprimendo i versori c3 ed n sulla base
solidale {e1 , e2 , e3 }.
A questo scopo conveniente considerare due basi ortonormali levogire
ausiliarie; la prima definita come:
B1 = {n, c3 ^ n, c3 }
e la seconda data da:
B2 = {n, e3 ^ n, e3 }
E possibile passare dalla base B1 alla base B2 facendo compiere ai vettori
una rotazione R
1 di un angolo # attorno alla linea dei nodi. E inoltre
possibile passare dalla base B2 alla base solidale al corpo rigido compiendo
una rotazione R
di un angolo ' attorno allasse 3 .
2

Allora il legame fra e3 e c3 si ha facendo compiere ad e3 prima la


T
T
rotazione R
di
un
angolo
#
e
poi
la
rotazione
R
1
2 di un angolo '. Allo
stesso modo si passa da e1 ad n. Si ha cio:
T

c3 = R
2R
1 e3 ,

n=R
2R
1 e1

Le matrici di rotazione sono date da:


0

1
0
B
R
1 @ 0 cos#
0 sen#

0
sen# C
A
cos#

Dopo aver eseguito la prima rotazione la seconda matrice va rappresentata


sui nuovi assi, di cui lasse delle ascisse la linea dei nodi e si ha:

126

A. Strumia, Meccanica razionale

cos'
B
R
2 @ sen'
0

sen' 0
cos' 0 C
A
0
1

Eseguendo i calcoli otteniamo:


T

R
2R
1

cos' cos# sen ' sen# sen '


B
C
@ sen' cos# cos ' sen# cos ' A
0
sen#
cos#

da cui la rappresentazione sulla base solidale di versori:


c3 = sen# sen ' e1 + sen# cos ' e2 + cos# e3

n = cos' e1

sen' e2

Sostituendo queste informazioni nella (CR.75) abbiamo infine le


espressioni delle componenti della velocit angolare rispetto agli assi solidali,
in termini degli angoli di Eulero e delle loro derivate:
8
>
<

p = sen# sen ' + # cos'


q = sen# cos' # sen'
>
:
r = cos# + '

(CR.77)

Punti di vista lagrangiano ed euleriano


Quando si descrive il moto di un sistema, anche non rigido, si possono
dare due approcci al problema.

cinematica del corpo rigido

127

Luno detto punto di vista lagrangiano e consiste nel seguire, istante


per istante, una particella del sistema individuandone accelerazione, velocit
e posizione (quindi traiettoria e legge oraria del moto) in ogni istante di un
intervallo di tempo finito.

P(t)

p(t')
v(t)

v(t')

Figura CR. 13: punto di vista lagrangiano

Il punto di vista lagrangiano detto anche globale perch segue la singola


particella per un tempo finito, nel suo moto. Il moto dellintero sistema
conosciuto quando tutte le particelle vengono seguite istante per istante.

vP

spazio di controllo

Figura CR. 14: punto di vista euleriano

Laltro approccio detto punto di vista euleriano e consiste


nellanalizzare lo stato dellintero sistema (e non pi di una singola particella)
in un istante fissato del tempo e non in un intervallo). A questo scopo si fissa
uno spazio di controllo e si misurano nellistante considerato le accelerazioni,
le velocit e le posizioni delle particelle che transitano per lo spazio di
controllo in quellistante.

128

A. Strumia, Meccanica razionale

Si diranno accelerazione euleriana e velocit euleriana di un punto P


laccelerazione e la velocit della particella che, nellistante considerato,
transita per il punto P dello spazio di controllo.
Il punto di vista euleriano detto anche locale in quanto lavora in un
solo istante di tempo e non in un intervallo finito. Il moto del sistema, nel
suo complesso conosciuto quando si conoscono le informazioni relative allo
spazio di controllo istante per istante. I due punti di vista risultano allora
equivalenti.

Atto di moto
Linsieme dei vettori velocit (distribuzione delle velocit) euleriane,
relative ad uno spazio di controllo e ad un certo istante di tempo, si
dice atto di moto del sistema considerato
Quando si studia un moto rigido risulta particolarmente vantaggioso
lavorare dal punto di vista euleriano, perch si dispone di una legge di
distribuzione per le velocit che lega le velocit di tutti i punti del corpo in un
dato istante, cio si pu conoscere latto di moto conoscendo semplicemente
la velocit di un punto del corpo e la velocit angolare relative quellistante.
Un atto di moto si dice rigido quando la distribuzione delle velocit
descritta dalla legge di distribuzione delle velocit per i corpi rigidi.
Gli atti di moto rigidi si possono classificare in maniera analoga ai moti
rigidi, servendosi della legge di distribuzione delle velocit.
Diremo che:
un atto di moto si dice traslatorio quando tutti punti del corpo hanno,
nellistante considerato la stessa velocit:

vP = v =

(CR.78)

cinematica del corpo rigido

129

un atto di moto si dice rototraslatorio quando esiste una retta solidale


con il corpo i cui punti, nellistante considerato, hanno la stessa velocit. In
questo caso, scelto sulla retta, la legge di distribuzione si scrive:
v P = v + ! ^ P = + ! ^ P

(CR.79)

Ne viene di conseguenza che, se la velocit angolare non nulla, la retta


in questione risulta parallela ad ! in quanto, se P sta sulla retta si ha:
vP =

()

! ^ P = 0

e quindi P parallelo ad !. Mentre se la velocit angolare nulla si ha il


caso particolare dellatto di moto traslatorio;
un atto di moto si dice elicoidale quando esiste una retta solidale con
il corpo i cui punti, nellistante considerato, hanno la stessa velocit e questa
parallela alla retta. In questo caso la legge di distribuzione si scrive:
v P = e3 + ! e3 ^ P

(CR.80)

Un atto di moto si dice rotatorio quando esiste una retta solidale con
il corpo i cui punti, nellistante considerato, hanno velocit nulla. La legge di
distribuzione, se scelto sulla retta fissa, si scrive:
v P = ! ^ P

(CR.81)

Notiamo che latto di moto elicoidale un caso particolare di atto


di moto rototraslatorio; latto di moto rotatorio e latto di moto traslatorio
sono casi particolari dellatto di moto elicoidale. Inoltre ogni atto di moto
elicoidale si pu pensare come composizione di un atto di moto traslatorio e
di un atto di moto rotatorio la cui velocit angolare parallela alla traslazione.

130

A. Strumia, Meccanica razionale

Teorema di Mozzi
Come conseguenza della legge di distribuzione delle velocit (CR.34) si
dimostra il teorema di Mozzi:
Latto di moto rigido pi generale un atto di moto elicoidale

DIMOSTRAZIONE A
Per la dimostrazione basta osservare che la legge di distribuzione delle
velocit (CR.34):
v P = v + ! ^ P
formalmente identica alla legge di distribuzione dei momenti per un sistema
di vettori applicati:
MP = M + P ^ R
dove al posto dei momenti si hanno le velocit e al posto del risultante si
ha la velocit angolare e si tiene conto della anticommutativit del prodotto
vettoriale.
Trattando dellasse centrale, nella teoria dei vettori applicati, abbiamo
dimostrato che, quando sussiste una legge di distribuzione di questo tipo, se
R non nullo, esiste una retta parallela ad R tale che il momento relativo ai
punti di questa retta parallelo ad R ed ha minimo modulo, o nullo.
Se trasportiamo questo risultato nella cinematica del corpo rigido,
sfruttando la dimostrazione gi data, che pu essere ripetuta passo per passo

cinematica del corpo rigido

131

sostituendo i simboli della cinematica rigida, possiamo affermare che: se !


non nullo, esiste una retta parallela ad ! tale che le velocit dei punti di
questa retta sono parallele ad ! e hanno minimo modulo. Ma se esiste una
retta i cui punti hanno velocit parallela alla retta, ci significa proprio che
latto di moto elicoidale, in accordo con il teorema di Mozzi.
Rimane da esaminare che cosa accade se ! nullo: in questo caso la legge
di distribuzione delle velocit ci dice che:
vP = v
e quindi latto di moto traslatorio; ma latto di moto traslatorio un caso
particolare di atto di moto elicoidale, e allora, anche in questo caso il teorema
di Mozzi verificato.
DIMOSTRAZIONE B
In alternativa a questo modo di procedere, che ci riconduce ad un
caso precedentemente esaminato, volendo, possiamo anche procedere alla
dimostrazione del teorema di Mozzi in maniera diretta.
esistenza - Ricerchiamo, se esiste, una retta i cui punti hanno velocit
parallela alla velocit angolare, supposta questa non nulla (nel caso che
sia nulla abbiamo gi visto che latto di moto traslatorio e il teorema
verificato). Allora imponiamo la condizione di parallelismo fra la velocit
dei punti del corpo e la velocit angolare: ci significa che deve esistere un
parametro reale tale che:
vP =

(CR.82)

essendo P (xi ) un punto variabile dello spazio. Grazie alla legge


di distribuzione delle velocit la condizione di parallelismo precedente si
riscrive:

132

A. Strumia, Meccanica razionale

v + ! ^ P =

(CR.83)

Ora la (CR.83) unequazione vettoriale lineare, e perci rappresenta una


retta: dunque la retta cercata esiste.
Per quanto riguarda il parametro esso si pu determinare prendendo il
prodotto scalare della (CR.82) per ! e ottenendo:
J = vP ! =

!2

Notiamo che lespressione a primo membro linvariante e non dipende


dalla scelta del punto P del corpo. Allora ricaviamo:

J
!2

unicit - Facciamo ora vedere anche che la retta trovata unica e non
dipende dalla scelta del punto P . A questo scopo scegliamo un punto P 0 6 P :
in questo caso lequazione della retta si scriver:
v + ! ^ P 0 =

(CR.84)

Sottraendo membro a membro la (CR.84) e la (CR.83), tenendo conto che


lo stesso nelle due equazioni, otteniamo:
! ^ PP0 = 0
Essendo i due vettori non nulli per ipotesi risulta necessariamente P P 0
parallelo ad ! e di conseguenza P 0 appartiene alla retta per P parallela ad !:
dunque le due rette coincidono.

cinematica del corpo rigido

133

Abbiamo allora dimostrato che se la velocit angolare non nulla esiste


ununica retta dello spazio i cui punti hanno velocit parallela alla velocit
angolare e quindi alla retta stessa. Perci latto di moto elicoidale.
La retta che gode di questa propriet prende il nome di asse di Mozzi.
Se si denota con u il versore della velocit angolare possiamo
rappresentare latto di moto elicoidale nella forma:
v P = u + ! ^ P
Prendendo ora il prodotto scalare con ! si ricava lespressione per in
termini dellinvariante:
=

J
|!|

(CR.85)

Il vettore u rappresenta la velocit dei punti dellasse di Mozzi: nel caso


particolare in cui = 0 latto di moto rotatorio e lasse di Mozzi, i cui punti
hanno velocit nulla prende il nome di asse di istantanea rotazione.

134

A. Strumia, Meccanica razionale

Figura CR. 15: asse di Mozzi

MR. Cinematica relativa


La cinematica del corpo rigido consente di affrontare un ulteriore capitolo
della cinematica del punto, che richiede di trattare, insieme al moto del punto,
anche il moto di uno spazio rigido. Si tratta dello studio del moto di un
punto rispetto a due distinti osservatori: dato un osservatore dotato di un
sistema cartesiano ortogonale Ox1 x2 x3 Oxyz la cui base di versori {ci }
che conveniamo di chiamare assoluto, e un secondo osservatore la cui terna
cartesiana 1 2 3 , la cui base di versori {ei }, in moto arbitrario
rispetto allosservatore assoluto. Conveniamo di chiamare questo secondo
osservatore relativo, essendo del tutto arbitraria la scelta di quale debba essere
losservatore chiamato assoluto e quale relativo. Consideriamo, poi, un punto
P che si pu muovere rispetto ad entrambi gli osservatori: cerchiamo di
stabilire il legame fra le posizioni, le velocit e le accelerazioni del punto
P misurate dai due osservatori.

Figura MR. 1: moto di un punto rispetto a due osservatori


In questo problema il corpo rigido entra in gioco per il fatto che occorre
conoscere il moto dello spazio solidale con il sistema relativo per stabilire i
legami fra le velocit e le accelerazioni del punto P .
Ora immediato stabilire il legame fra i vettori posizione del punto P ,
come sono visti dai due osservatori. Infatti si ha:

136

A. Strumia, Meccanica razionale

OP = O + P

(MR.1)

per cui basta conoscere il moto dellorigine della terna relativa per passare
dal vettore posizione del punto rispetto ad un osservatore al vettore
corrispondente per laltro osservatore.

Teorema di derivazione relativa


Consideriamo un qualunque vettore W variabile nel tempo e la sua
rappresentazione semicartesiana sulla base dellosservatore relativo:
W = Wi ei

(MR.2)

E facile vedere che la sua derivata temporale differente se viene


calcolata rispetto allosservatore relativo oppure rispetto allosservatore
assoluto. Infatti, losservatore assoluto vede la base {ei } variabile nel tempo,
in quanto la terna relativa generalmente in moto rispetto alla terna assoluta,
mentre losservatore relativo vede la stessa base immobile, in quanto ad esso
solidale. Di conseguenza bisogna distinguere, per un vettore, una derivata
assoluta calcolata rispetto allosservatore assoluto e una derivata relativa
calcolata rispetto allosservatore relativo.
Abbiamo allora, in base alle definizioni date, per la derivata relativa:
d(r)
W = W i ei
dt

(MR.3)

d(a)
d(a)
d(a)
W =
(Wi ei ) = W i ei + Wi
ei
dt
dt
dt

(MR.4)

e per la derivata assoluta:

cinematica relativa

137

Poich nella derivazione di uno scalare non esiste differenza fra derivata
assoluta e derivata relativa, dal momento che non vengono coinvolti i
versori della base, non essendoci possibilit di equivoco, abbiamo denotato
semplicemente con un punto la derivata delle componenti Wi che compaiono
nelle derivate.
Le formule di Poisson (CR.31) ci permettono di riscrivere la derivata
assoluta come:
d(a)
W = W i ei + Wi ! ^ ei
dt

(MR.5)

Tenendo conto delle (MR.3) e (MR.4) otteniamo un legame fra la derivata


assoluta e la derivata relativa di un vettore:
d(a)
d(r)
W =
W + Wi ! ^ ei
dt
dt
ovvero grazie alla (MR.2):
d(a)
d(r)
W =
W +!^W
dt
dt

(MR.6)

Dal momento che il vettore W del tutto arbitrario la relazione (MR.6)


non dipende da W , ma una relazione caratteristica fra gli operatori di
derivazione, che possiamo rappresentare sotto la forma:

d(a)
d(r)
=
+ !^
dt
dt

(MR.7)

sottintendendo largomento degli operatori che deve essere una funzione


vettoriale. Questa relazione prende il nome di teorema di derivazione relativa.

138

A. Strumia, Meccanica razionale

Il termine aggiuntivo, nella (MR.6), ! ^ W prende il nome derivata


di trascinamento: il suo significato si comprende facilmente se si pensa
che esso rappresenta la derivata assoluta rispetto al tempo quando il termine
di derivazione relativa nullo. In altri termini si pu definire la derivata
di trascinamento come la derivata del vettore W come se, nellistante
considerato, fosse solidale con la terna relativa.
A quale condizione la derivata relativa e la derivata assoluta di un vettore
W coincidono? Dal teorema di derivazione relativa si vede subito che la
condizione necessaria e sufficiente affinch questo accada che:
!^W =0
Questa condizione soddisfatta se si verifica una di queste circostanze:
se il vettore W nullo, ma questo un caso banale;
se ! nulla, cio se il moto relativo dei due osservatori traslatorio;
se W parallelo ad !
Ne viene di conseguenza, come caso particolare, che il vettore velocit
angolare ha derivata assoluta coincidente con la derivata relativa. Quando
non ci sono equivoci come in questo caso la derivata temporale verr indicata
semplicemente con un punto, in quanto coincide per entrambi gli osservatori.

Teorema di composizione delle velocit


A questo punto possiamo introdurre il concetto di velocit assoluta del
punto P , definita come:

v (a) =

d(a)
OP
dt

(MR.8)

cinematica relativa

139

e di velocit relativa:

v (r) =

d(r)
P
dt

(MR.9)

dove si deve tener conto del fatto che le due origini O e delle due terne
generalmente non coincidono.
Poich sussiste il legame (MR.1), derivando rispetto allosservatore
assoluto otteniamo:
d(a)
d(a)
d(a)
OP =
O +
P
dt
dt
dt

(MR.10)

Ora O fisso rispetto allosservatore assoluto; quindi:

v =

d(a)
O
dt

(MR.11)

Questa quantit rappresenta la velocit del punto rispetto allosservatore assoluto e pu essere denotata senza letichetta (a) , perch la velocit
relativa di sempre nulla, essendo lorigine del sistema relativo, e quindi
non ci pu essere equivoco.
Rimane, allora, nella (MR.10):

v (a) = v +

d(a)
P
dt

(MR.12)

Grazie al teorema di derivazione relativa (MR.7) e alla definizione di


velocit relativa (MR.9) abbiamo subito:
v (a) = v (r) + v + ! ^ P

(MR.13)

140

A. Strumia, Meccanica razionale

Il termine che va aggiunto alla velocit relativa per ottenere la velocit


assoluta viene denotato con:
v ( ) = v + ! ^ P

(MR.14)

e viene detto velocit di trascinamento. Confrontando lespressione della


velocit di trascinamento con la legge di distribuzione delle velocit nei
corpi rigidi (CR.34) si comprende il significato fisico della velocit di
trascinamento:
La velocit di trascinamento la velocit del punto dello spazio rigido
solidale con la terna relativa che, nellistante considerato, si trova a
coincidere con il punto mobile P
Si pu anche dire, in maniera equivalente che la velocit di
trascinamento la velocit che il punto mobile P avrebbe se, nellistante
considerato, fosse solidale con il sistema relativo.
Facendo uso della (MR.14) la (MR.13) diviene alla fine:
v (a) = v (r) + v ( )

(MR.15)

relazione conosciuta come teorema di composizione delle velocit o teorema


di addizione delle velocit o teorema di Galileo.
Osserviamo che affinch la velocit assoluta e quella relativa coincidano
in ogni istante, qualunque sia il moto del punto, dovendo annullarsi la velocit
di trascinamento, basta e occorre che:
! 0,

v 0

cio i due osservatori devono essere in quiete luno rispetto allaltro.

cinematica relativa

141

Teorema di composizione delle accelerazioni


Introduciamo adesso i concetti di accelerazione assoluta
e di
accelerazione relativa del punto P , analogamente a come abbiamo fatto per
le velocit:
a(a) =

d(a) (a)
v
dt

(MR.16)

a(r) =

d(r) (r)
v
dt

(MR.17)

e cerchiamo un legame fra le due accelerazioni. Cominciamo calcolando la


derivata assoluta della (MR.15):
d(a) (a) d(a) (r) d(a) ()
v =
v +
v
dt
dt
dt

(MR.18)

Per il teorema di derivazione relativa (MR.7) otteniamo che il primo


termine a secondo membro si pu scrivere:
d(a) (r) d(r) (r)
v =
v + ! ^ v (r) = a(r) + ! ^ v (r)
dt
dt

(MR.19)

Inoltre:
d(a) () d(a)
d(a)
v =
v +
(! ^ P )
dt
dt
dt

(MR.20)

Introduciamo laccelerazione (assoluta) di :

a =

d(a)
v
dt

(MR.21)

142

A. Strumia, Meccanica razionale

e calcoliamo:
d(a)
d(a)
(! ^ P ) = ! ^ P + ! ^
P
dt
dt

Calcoliamo ora, a parte lultimo termine della relazione precedente,


facendo uso del teorema di derivazione relativa. Otteniamo:
d(a)
!^
P
dt

d(r)
=!^
P + ! ^ P
dt

= ! ^ v (r) + ! ^ (! ^ P )

Riassumendo abbiamo, per la derivata assoluta della velocit di


trascinamento:

d(a) ( )
v = a + ! ^ P + ! ^ v (r) + ! ^ (! ^ P )
dt

(MR.22)

Inserendo la (MR.19) e la (MR.22) nella (MR.18) ricaviamo infine:

a(a) = a(r) + a + ! ^ P + ! ^ (! ^ P ) + 2! ^ v (r)

(MR.23)

A questo punto, per interpretare i vari termini aggiuntivi, conveniente


introdurre:
a( ) = a + ! ^ P + ! ^ (! ^ P )

(MR.24)

termine al quale si d il nome di accelerazione di trascinamento. Il


raffronto con la legge di distribuzione delle accelerazioni del corpo rigido
(CR.67), in maniera analoga a come si proceduto per definire la velocit di
trascinamento ci permette di interpretare l accelerazione di trascinamento.

cinematica relativa

143

Laccelerazione di trascinamento laccelerazione del punto dello


spazio rigido solidale con la terna relativa che, nellistante considerato,
si trova a coincidere con il punto mobile P
Si pu anche dire, in maniera equivalente che laccelerazione di
trascinamento laccelerazione che il punto mobile P avrebbe se, nellistante
considerato, fosse solidale con il sistema relativo.
Inoltre nel caso delle accelerazioni compare un ulteriore termine, che
denotiamo con:
a(c) = 2! ^ v (r)

(MR.25)

denominato accelerazione di Coriolis o accelerazione complementare , che


non presente se la velocit relativa nulla.
Giungiamo allora alla forma finale del nostro risultato:

a(a) = a(r) + a( ) + a(c)

(MR.26)

Questo il teorema di composizione delle accelerazioni o teorema di


addizione delle accelerazioni o teorema di Coriolis.
Osserviamo che laccelerazione assoluta e laccelerazione relativa
possono essere uguali, in ogni istante, anche se i due sistemi di riferimento
non sono in quiete luno rispetto allaltro. Infatti per avere che laccelerazione
di trascinamento e quella di Coriolis siano nulle, qualunque sia il moto del
punto P , basta e occorre che:

! 0,

a 0

144

A. Strumia, Meccanica razionale

ovvero il moto del sistema relativo rispetto a quello assoluto sia traslatorio
uniforme.

Teorema di composizione delle velocit angolari


Oltre alla cinematica relativa del punto si pu sviluppare anche una
cinematica relativa del corpo rigido, come di qualsiasi altro sistema di
punti. Nel caso del corpo rigido, che ora esaminiamo, si considera il moto
di un corpo rigido visto da due osservatori in moto relativo qualunque.
Caratterizzare istante per istante latto di moto del corpo rigido rispetto
allosservatore assoluto e allosservatore relativo significa, grazie alla legge
di distribuzione delle velocit (CR.34) conoscere la velocit di un punto del
corpo rigido rispetto ad entrambi gli osservatori e la velocit angolare del
corpo rigido rispetto agli stessi osservatori.

(r)

(a)

Figura MR. 2: moto di un corpo rigido rispetto a due osservatori

Poich la velocit di un punto del corpo rigido, come la velocit di un


punto mobile qualsiasi, si trasforma secondo il teorema di Galileo (MR.15),
lunica legge che rimane da determinare, per conoscere latto di moto, nei due
sistemi di riferimento, la legge di composizione delle velocit angolari.

cinematica relativa

145

Per determinarla consideriamo due punti P e Q del corpo rigido e il


vettore solidale al corpo da essi individuato QP . Rispetto allosservatore
assoluto la derivata del vettore solidale, ricordando la (CR.35) si scriver:
d(a)
QP = ! (a) ^ QP
dt

(MR.27)

Analogamente, rispetto al sistema relativo poich il corpo si comporta


come rigido rispetto ad entrambi gli osservatori, la derivata dello stesso
vettore solidale si scrive:
d(r)
QP = ! (r) ^ QP
dt

(MR.28)

In queste leggi le quantit ! (a) e ! (r) rappresentano, evidentemente


le velocit angolari del corpo rigido viste rispettivamente dallosservatore
assoluto e dall osservatore relativo. Ma grazie al teorema di derivazione
relativa (MR.7) possiamo legare le due derivate nel modo seguente:
d(a)
d(r)
QP =
QP + ! ^ QP
dt
dt

(MR.29)

dove ! senza alcuna etichetta rappresenta, come al solito, la velocit angolare


della terna relativa rispetto alla terna assoluta. Ora sostituendo le (MR.27) e
(MR.28) nella (MR.29) otteniamo:
(! (a)

! (r)

!) ^ QP = 0

(MR.30)

Questa relazione deve valere per ogni vettore QP solidale con il corpo; e
dal momento che le velocit angolari non dipendono dal punto P che viene
scelto, deve risultare necessariamente il legame fra le velocit angolari:
! (a) = ! (r) + !

(MR.31)

146

A. Strumia, Meccanica razionale

Il termine aggiuntivo rappresenta la velocit angolare che il corpo rigido


avrebbe se fosse solidale, nellistante considerato, con il sistema relativo,
essendo proprio la velocit angolare di questo sistema di riferimento. Perci
lo si denomina velocit angolare di trascinamento:
! ( ) = !

(MR.32)

Si giunge allora al teorema di composizione delle velocit angolari o


teorema di addizione delle velocit angolari:

! (a) = ! (r) + ! ( )

(MR.33)

Rotolamento di due superfici rigide


I risultati precedenti ci consentono di trattare il moto di due superfici (o di
due curve) che rotolano luna sullaltra. Il primo passo da fare a questo scopo
consiste nel tradurre in termini matematici la nozione intuitiva di rotolamento.
Consideriamo due superfici rigide regolari in moto relativo luna rispetto
allaltra: conveniamo di scegliere due terne di riferimento delle quali luna
solidale con la prima superficie rigida e laltra con la seconda superficie.
Ponendoci ad osservare il moto solidalmente ad una delle due terne, che
convenzionalmente chiameremo assoluta, diremo fissa la superficie solidale
con questa terna e mobile laltra superficie.
Diremo che le due superfici rotolano luna sullaltra se in ogni istante, nei
punti di intersezione presentano un contatto del primo ordine almeno, cio se
il piano tangente alle due superfici in quei punti comune.
Ciascuno dei punti di intersezione tra le due superfici un punto di
contatto: consideriamo uno di tali punti di contatto C: generalmente esso

cinematica relativa

147

varier istante per istante, sia rispetto alla superficie fissa che rispetto a quella
mobile, descrivendo due curve, una su ciascuna superficie, nel senso che non
sar sempre lo stesso punto di una delle due superficie a trovarsi a contatto
con il medesimo punto dellaltra. Pensando il punto di contatto come un
punto geometrico dotato di una sua individualit, che si muove lungo le curve
suddette, negli intervalli in cui tali curve sono regolari, sar possibile definire
una velocit assoluta di C rispetto alla terna assoluta e una velocit relativa di
C rispetto allaltra terna:
(a)

vC =

d(a)
OC,
dt

(r)

vC =

d(r)
C
dt

(MR.34)

Si definisce allora velocit di strisciamento delle due superficie nel punto


di contatto C la differenza fra le velocit che il punto C possiede rispetto ai
due osservatori:
(s)

(a)

vC = vC

(r)

vC

(MR.35)

Ma grazie al teorema di addizione delle velocit (MR.15) questa non


altro che la velocit di trascinamento del punto C, cio la velocit del punto
della superficie mobile che nellistante considerato coincide con C.

Figura MR. 3: rotolamento di due superficie


E immediato ora estendere questi risultati a due curve che rotolano luna
sullaltra, anzich due superficie.

148

A. Strumia, Meccanica razionale

Figura MR. 4: rotolamento di due curve

E chiaro che nel caso di due curve le traiettorie del punto C sono le curve
stesse.
Dal punto di vista cinematico rilevante il caso in cui due superfici o due
curve rotolano senza strisciare luna sullaltra.
Si dice che due superficie o due curve rotolano senza strisciare luna
sullaltra quando la velocit di strisciamento nel punto di contatto nulla.
Allora risulta:
(a)

(r)

(MR.36)

vC = vC

Si parla in questo caso di puro rotolamento. Stabilendo un sistema di


ascisse curvilinee sulla traiettoria di C sulla superficie (o curva) fissa e su
quella mobile possiamo rappresentare le velocit assoluta e relativa in forma
intrinseca, e cio:
(a)

v C = s (a) T ,

(r)

v C = s (r) T

(MR.37)

dove il versore tangente non ha etichetta perch comune alle due curve.
Allora la condizione di puro rotolamento (MR.36) si traduce nella condizione
differenziale scalare:
s (a) = s (r) ,

()

ds(a) = ds(r)

(MR.38)

cinematica relativa

149

La condizione scritta in forma di derivate significa luguaglianza


delle velocit scalari del punto C rispetto ai due osservatori, mentre la
condizione espressa in forma di differenziali significa luguaglianza degli
archi elementari di traiettoria percorsi dal punto C lungo le due superfici
(o curve). Se la condizione di puro rotolamento si mantiene per un tempo
finito possibile integrarla ottenendo luguaglianza di due percorsi finiti sulle
traiettorie:
s(a) (t)
(a)

(r)

(a)

s0 = s(r) (t)

essendo s0 e s0 le posizioni iniziali.

(r)

s0

(MR.39)

MP. Moti rigidi piani


Quanto abbiamo visto a proposito dei moti rigidi e di moti relativi ci
consente di trattare un esempio notevole di moto rigido come il moto rigido
piano.
Un moto rigido si dice piano quando possibile trovare un piano
solidale con il corpo che, durante il moto, si mantiene parallelo ed
equidistante ad un piano 0 solidale con losservatore

'

Figura MP. 1: moto rigido piano

Il fatto notevole che, per un moto rigido piano, lo studio del moto
riconducibile ad un problema in due dimensioni, ovvero allo studio del moto
di una figura rigida piana nel suo piano.
Infatti immediato verificare che tutti i punti di una retta ortogonale al
piano (o se si vuole 0 ) hanno la stessa velocit e, quindi, la velocit di
ogni punto del corpo conosciuta quando si conosce la velocit della sua
proiezione sul piano , ovvero la velocit dei punti della sezione del corpo
con il piano .

moti rigidi piani

151

Considerato un punto qualunque P del corpo distinto dalla sua proiezione


P sul piano 0 , affinch il moto sia rigido piano, il vettore P P 0 deve risultare
costante. Infatti si pu scrivere:
0

P P 0 = |P P 0 | u

(MP.1)

dove u il versore normale al piano , concorde con P P 0 . Allora derivando


rispetto al tempo abbiamo:
d |P P 0 |
du
dP P 0
=
u + |P P 0 |
dt
dt
dt
Ma:
d |P P 0 |
=0
dt
per la condizione di rigidit (CR.2) e:
du
=0
dt

(MP.2)

perch il piano si mantiene sempre parallelo a se stesso durante il moto e


quindi il versore ad esso normale costante. Dunque:
dP P 0
dP 0
=
dt
dt

dP
=0
dt

(MP.3)

Quindi:
vP 0 = vP

(MP.4)

152

A. Strumia, Meccanica razionale

qualunque sia il punto P appartenente alla retta passante per P e normale


al piano . Dunque il moto della sezione del corpo con il piano determina
completamente il moto del corpo.
Dalla legge di distribuzione delle velocit (CR.34) e dalla (MP.4)
otteniamo, di conseguenza, delle informazioni sulla velocit angolare;
abbiamo:
! ^ PP0 = 0

(MP.5)

ed essendo per ipotesi P 6 P 0 , per la velocit angolare nel moto rigido piano
rimangono le due seguenti possibilit:
prima possibilit: ! = 0
traslatorio;

nel qual caso latto di moto risulta

seconda possibilit: ! parallelo a P P 0


cio ! parallelo al
versore u normale al piano . In questo caso lasse di Mozzi esiste ed
normale al piano . Ricordiamo che per ogni punto A dellasse di Mozzi la
velocit si pu scrivere:

vA = u

(MP.6)

Non abbiamo ancora utilizzato linformazione relativa alla invariabilit


della distanza fra i piani paralleli e 0 : questa comporta che la componente
della velocit normale a questi piani deve essere nulla. Infatti considerando un
punto A appartenente alla sezione del corpo con il piano e la sua proiezione
A0 sul piano 0 , la distanza fra i due piani si pu esprimere come:
h = u A0 A
La sua invariabilit equivale a richiedere:

(MP.7)

moti rigidi piani

153

dh
= u vA = = 0
dt

(MP.8)

dal momento che la componente della velocit di A0 lungo u


necessariamente nulla, essendo A0 , per definizione, non un punto del corpo,
ma del piano fisso 0 . Ora la (MP.8) ci informa che le velocit dei punti del
corpo o sono nulle o sono parallele al piano , in quanto risultano ortogonali
al versore normale a . Questo significa anche che le velocit dei punti della
sezione del corpo con il piano costituiscono un sistema di vettori piani il cui
piano e quindi la sezione piana si muove nel suo piano, senza mai uscire
da esso.
Si conclude allora, che in un moto rigido piano latto di moto o
traslatorio, e allora tutti i punti hanno velocit uguali e parallele al piano
, oppure rotatorio con le velocit dei punti sempre parallele al piano .
Il piano si dice allora piano del moto. In questo caso il vettore velocit
angolare sempre normale al piano del moto.
Dunque in un moto rigido piano latto di moto o puramente traslatorio o
puramente rotatorio, e non pu mai essere elicoidale nel senso generale del
termine, cio con ! e contemporaneamente non nulli.

Centro di istantanea rotazione


Esaminiamo il caso in cui ! 6= 0: allora latto di moto rotatorio e lasse
di Mozzi un asse di istantanea rotazione, essendo una retta i cui punti hanno
velocit nulla, ed ortogonale al piano del moto.
Definiamo ora centro di istantanea rotazione il punto dintersezione
dellasse di istantanea rotazione con il piano del moto.
Si pu quindi dare, di conseguenza, anche una definizione diretta di centro
di istantanea rotazione che non faccia ricorso al concetto di asse di istantanea
rotazione, dicendo che:

154

A. Strumia, Meccanica razionale

In un moto rigido piano in cui latto di moto rotatorio, il centro


di istantanea rotazione quel punto della sezione del corpo che,
nellistante considerato, ha velocit nulla
Quando il centro di istantanea rotazione esiste possibile rappresentare
latto di moto, cio la velocit di ogni punto P del corpo nel modo seguente:
(MP.9)

v P = ! ^ CP
essendo C il centro di istantanea rotazione.

v
P

Figura MP. 2: centro di istantanea rotazione

Dal punto di vista geometrico possibile determinare C graficamente


quando si conoscono due vettori velocit fra loro non paralleli: infatti dal
momento che il centro di istantanea rotazione quel punto del corpo che
ha velocit nulla in un certo istante, segue che tutte le rette passanti per C
hanno velocit di scorrimento nulla e di conseguenza sono normali ai vettori
velocit dei loro punti distinti da C. Per cui, noti due vettori velocit non
paralleli, tracciando le rette normali ad essi condotte per i rispettivi punti di
applicazione, il centro viene determinato dal punto di intersezione di queste
normali.

moti rigidi piani

155

vQ

vP

Q
C

Figura MP. 3: determinazione grafica del centro di istantanea rotazione

Dalla figura (MP. 3) risulta chiaro, che se si scegliessero due vettori


velocit paralleli fra loro, essendo latto di moto rotatorio, i loro punti di
applicazione sarebbero allineati lungo la retta normale comune ai due vettori
e non si avrebbero abbastanza informazioni per determinare il centro.
Se invece latto di moto tende ad un atto di moto traslatorio i due vettori
velocit tendono a diventare paralleli ma con i punti di applicazione non
allineati sulla stessa normale; mentre le due normali tendono a diventare
parallele e il loro punto di intersezione, cio il centro diviene un punto
improprio. Per cui si pu pensare ad un atto di moto traslatorio come al limite
di un atto di moto rotatorio il cui centro un punto improprio, che definisce
la direzione delle rette normali ai vettori velocit.

Determinazione analitica del centro


Prima abbiamo indicato un metodo grafico per determinare il centro, ora
esponiamo un metodo analitico.
Per definizione di centro di istantanea rotazione si ha:
vC = 0

(MP.10)

156

A. Strumia, Meccanica razionale

ma grazie alla legge di distribuzione delle velocit (CR.34) possiamo scrivere:


v C = v + ! ^ C
Quindi:
v + ! ^ C = 0

(MP.11)

essendo un punto qualunque del corpo, scelto come origine di un sistema di


assi solidali nel piano del moto. Moltiplicando vettorialmente per ! a sinistra
la (MP.11) riusciamo ad isolare C:
! ^ v + ! ^ (! ^ C) = 0
Ovvero, svolgendo il doppio prodotto vettoriale:
! ^ v + (! C) !

! 2 C = 0

(MP.12)

Ma:
! C = 0

(MP.13)

essendo C appartenente al piano del moto e ! normale allo stesso piano.


Quindi supposto che latto di moto sia rotatorio, e cio che ! 6= 0 dalla
(MP.12) otteniamo:
C =

! ^ v
!2

(MP.14)

E possibile a questo punto riferire il centro allorigine O di un sistema di


assi solidale con losservatore del moto, semplicemente calcolando:

moti rigidi piani

157

OC = O + C

(MP.15)

Per cui abbiamo:

OC = O +

! ^ v
!2

(MP.16)

Ora al variare del tempo, in istanti differenti, il centro non , generalmente,


lo stesso punto del corpo, ma cambia in quanto, se in un istante t era un
certo punto del corpo ad avere velocit nulla, in un istante successivo sar,
generalmente, un altro punto del corpo ad avere velocit nulla. Il centro
coincide sempre con lo stesso punto del corpo solo se il corpo ruota attorno
ad un asse fisso: in questo caso non solo latto di moto, ma il moto come
tale rotatorio e il centro fisso lintersezione dellasse fisso con il piano del
moto. La relazione che abbiamo appena trovato ci dice, istante per istante
quale punto del corpo rigido rappresenta il centro di istantanea rotazione.

Base e rulletta
E utile considerare, a questo punto, linsieme di tutti i centri di istantanea
rotazione al variare del tempo t. Tale insieme rappresenta un luogo
geometrico caratterizzato da un solo parametro t, cio una curva. Va
sottolineato il fatto che si ottengono due curve distinte a seconda che si
definisca tale luogo geometrico rispetto al sistema di assi dellosservatore del
moto del corpo oppure rispetto ad un sistema di assi solidali con il corpo
stesso.
Avremo allora una curva descritta dal centro di istantanea rotazione
rispetto al sistema dellosservatore e una curva descritta dal centro di
istantanea rotazione rispetto al sistema solidale con il corpo.

158

A. Strumia, Meccanica razionale

Si dice base la curva descritta dal centro di istantanea rotazione rispetto


al sistema dellosservatore
Si dice rulletta la curva descritta dal centro di istantanea rotazione
rispetto al sistema solidale con il corpo
Anche se il punto C, in quanto punto del corpo, cambia istante per istante,
dal punto di vista geometrico le due curve si possono pensare generate da
C pensandolo come un punto geometrico che ha una sua individualit, il cui
moto descritto dalle leggi (MP.16) e (MP.14) rispetto ai due osservatori. Il
centro C, come punto geometrico che descrive le due curve appena definite
non solidale al corpo, ma si muove sia rispetto al sistema dell osservatore
(sistema assoluto), che rispetto al sistema solidale con il corpo (sistema
relativo). Abbiamo dunque un problema di cinematica relativa per il punto
C.
In particolare si pu stabilire, mediante il teorema di Galileo un legame
fra la velocit assoluta e la velocit relativa, definite da:

(a)

vC =

(r)

vC =

d(a)
OC
dt

(MP.17)

d(r)
C
dt

(MP.18)

Tale legame, come noto :


(a)

(r)

( )

vC = vC + vC

(MP.19)

Osserviamo che la velocit di trascinamento del punto C, che per la


definizione di velocit di trascinamento (MR.14) data da:

moti rigidi piani

159

( )

(MP.20)

v C = v + ! ^ C

risulta essere nulla grazie alla (MP.11). Infatti il centro il punto del corpo
che nellistante considerato coincide con C e questo ha velocit nulla.
Ma allora la relazione fra le velocit del punto C rispetto agli osservatori
assoluto e relativo semplicemente:
(a)

(r)

(MP.21)

vC = vC

Questa condizione confrontata con la condizione di puro rotolamento


(MR.36) ci consente di affermare che la base e la rulletta rotolano senza
strisciare luna sullaltra e che il centro di istantanea rotazione istante per
istante il loro punto di contatto.
y

rulletta

C
O

base

Figura MP. 4: base e rulletta


Le equazioni della base e della rulletta si possono determinare
analiticamente proiettando la (MP.16) sugli assi dellosservatore assoluto per
la base, e la (MP.14) sugli assi dellosservatore relativo per la rulletta. I sistemi
di assi si scelgono, come in figura (MP. 5) essendo xy il piano del moto.
Indicheremo con:

160

A. Strumia, Meccanica razionale

Figura MP. 5: Assi del riferimento assoluto e relativo

x = x (t),

y = y (t)

(MP.22)

le funzioni del tempo che danno le coordinate dellorigine del sistema


relativo, solidale con il corpo rigido, rispetto allosservatore assoluto e con:
# = #(t)

(MP.23)

la funzione che d langolo fra lasse e lasse x in funzione del tempo.


Allora otteniamo:
v (x , y , 0)

(MP.24)

! (0, 0, #)

(MP.25)

! ^ v ( # y , # x , 0)

(MP.26)

moti rigidi piani

161

Indicando con x, y le coordinate variabili di C nel piano del moto


abbiamo:
8
>
<
>
:

x = x

y /#

(MP.27)

y = y + x /#

Queste sono le equazioni parametriche della base nel parametro t.


Leliminazione del parametro, caso per caso, fornisce lequazione cartesiana
nel piano dellosservatore assoluto xy.
Notiamo che in molti casi le funzioni (MP.22) non dipendono
esplicitamente dal tempo, ma dipendono dal tempo solo come funzioni
composte, attraverso #, cio hanno la struttura:
x = x (#(t)),

y = y (#(t))

(MP.28)

0
y = y
#

(MP.29)

dy
d#

(MP.30)

Questo comporta:

x = x0 #,
dove abbiamo denotato:
x0 =

dx
,
d#

0
y
=

Allora, introducendo le (MP.29) nelle (MP.27) si ottengono delle


equazioni parametriche nel parametro # anzich t:
8
>
<
>
:

x = x

0
y

y = y + x0

(MP.31)

162

A. Strumia, Meccanica razionale

Queste equazioni hanno il vantaggio di contenere solo informazioni di


carattere geometrico e non pi cinematico, avendo eliminato la dipendenza
esplicita dal tempo.
Va notato che la dipendenza pi generale possibile delle coordiniate di
dal tempo avrebbe la forma:
x = x (#(t), t),

y = y (#(t), t)

(MP.32)

che contiene anche la dipendenza esplicita dal tempo.


Per ottenere le equazioni della rulletta si procede in modo analogo, per
occorre riferirsi agli assi del sistema relativo, solidale con il corpo.
Ricordiamo, che nel moto rigido, il legame fra le coordinate dei due
sistemi dato dalla relazione (CR.18):
xi = xi + Rik k

(MP.33)

T
dalla quale possiamo risolvere le k moltiplicando per Rji
e tenendo conto
che per la matrice di rotazione si ha:

T
Rji
Rik =

jk

Dunque si ottiene subito:


T
j = Rji
(xi

xi )

(MP.34)

Notiamo che le xi xi , grazie alla relazione che lega i vettori (MP.15),


non sono altro che le componenti del vettore C note dalla (MP.14) e la
matrice di rotazione R
rappresenta una rotazione di un angolo # attorno
allasse e perci si scrive:

moti rigidi piani

163

0
B
B
B
B
B
B
@

cos #

sen # 0

sen #

cos #

1
C
C
C
C
C
C
A

Quindi sviluppando i calcoli:


0
B
B
B
B
B
B
@

1
C
C
C
C
C
C
A

0
B
B
B
B
B
B
@

cos #

sen # 0

sen # cos # 0
0

10
CB
CB
CB
CB
CB
CB
A@

y /#
x /#
0

1
C
C
C
C
C
C
A

da cui otteniamo, nel piano relativo le equazioni parametriche della rulletta


nel parametro t:
8
>
<
>
:

=
=

y
#
y
#

cos # +

sen # +

x
#

x
#

sen #
(MP.35)

cos #

Nel caso poi in cui valgono le (MP.28), sostituendo le (MP.29) nelle


(MP.35) otteniamo le equazioni della rulletta nel parametro #:
8
>
<
>
:

=
=

0
y
cos # + x0 sen #
0
y
sen #

x0 cos #

(MP.36)

CS. Cinematica dei sistemi


Dopo aver esaminato la cinematica del punto e del corpo rigido, che
sono gli schemi pi semplificati con cui si possa rappresentare un corpo, ci
occupiamo ora dei sistemi vincolati. E necessario a questo scopo introdurre
il concetto di vincolo e dare una classificazione dei vari tipi di vincolo che si
possono incontrare.

Vincoli
Quando si considera un sistema di punti la conoscenza del moto del
sistema equivale, per definizione, alla conoscenza del moto di ogni punto del
sistema.
Perci se si considera, ad esempio, un sistema costituito da n particelle
nello spazio, occorrono 3n funzioni, date dalle coordinate delle particelle in
funzione del tempo, ovvero n funzioni vettoriali:
OPs = OPs (t),

s = 1, 2, , n

Se si ha un sistema continuo occorrono, in linea di principio, infinite


funzioni, 3 coordinate per ogni punto del continuo. Fissato un istante del
tempo t, le 3n coordinate (nel caso del continuo le infinite coordinate)
rappresentano la configurazione del sistema nellistante t. Un sistema di
questo tipo in cui tutte le coordinate dei punti sono necessarie per individuarne
la configurazione si dice sistema libero.
In molti casi, per, accade che non necessario un numero di parametri
pari al numero delle coordinate di tutti i punti del sistema per identificarne
la configurazione , ma basta un numero di variabili meno elevato. Abbiamo
gi visto il caso del corpo rigido per individuare le coordinate di ognuno

cinematica dei sistemi

165

dei punti del quale bastano sei parametri, caratterizzabili, per esempio con
le tre coordinate di un suo punto e con i tre angoli di Eulero; per
cui la configurazione del corpo rigido completamente definita quando si
conoscono i sei parametri:
x1 , x2 , x3 , #, ',
Questa circostanza si verifica perch vi sono delle relazioni fra le
coordinate dei punti che ne limitano larbitrariet riducendo il numero di
variabili indipendenti che caratterizzano il problema. Tali relazioni prendono
il nome di vincoli.
Nel caso del corpo rigido la condizione di rigidit (CR.1) o (CR.2) che
impone linvariabilit delle mutue distanze fra i punti del sistema il vincolo
responsabile della riduzione a sei del numero delle variabili necessarie per
lidentificazione della configurazione del sistema.
I vincoli possono essere di varia natura e possono essere identificati e
classificati in diversi modi. Vediamo alcune di queste classificazioni che si
dimostrano particolarmente utili nella trattazione dei sistemi vincolati.
Vincoli esterni e vincoli interni
Questa classificazione nasce dallesigenza di distinguere fra i vincoli che
nascono in forza della mutua interazione fra le particelle di un sistema (come
il vincolo di rigidit in un corpo rigido o il vincolo di incomprimibilit in un
fluido incomprimibile) e i vincoli che nascono dallinterazione fra il sistema e
lambiente ad esso esterno. Un esempio familiare di vincolo esterno potrebbe
essere costituito dai cardini di una porta, considerando la porta come il sistema
meccanico che ci interessa e i cardini come quelle strutture dellambiente
esterno che vincolano la porta a ruotare attorno ad un asse fisso.
Va detto che il concetto di esterno ed interno non univoco, n assoluto,
ma convenzionale: siamo noi che definiamo che cosa fa parte o meno di
un sistema. Se decidiamo, per esempio, di definire come sistema linsieme
terra-luna, il sole e gli altri pianeti saranno considerati come corpi esterni

166

A. Strumia, Meccanica razionale

al sistema. Viceversa, se decidiamo di definire come sistema lintero sistema


solare, ecco che, ci che prima consideravamo esterno, ora classificato come
interno.
Vincoli olonomi e anolonomi
Questa una delle classificazioni pi importanti, se non la pi importante,
perch fornisce una classificazione analitica del vincolo.
Diremo olonomo un vincolo fra le coordinate dei punti di un sistema,
che caratterizzabile mediante equazioni e disequazioni in termini finiti
Ad esempio, la condizione di appartenenza di un punto P ad una
superficie di equazione cartesiana:
(CS.1)

f (x1 , x2 , x3 ) = 0

rappresenta un vincolo olonomo per le coordinate x1 , x2 , x3 del punto P .


x3
P

dP

f(x ,x ,x ) = 0
1 2 3
O

x1

Figura CS. 1: punto vincolato su una superficie


Anche un vincolo esprimibile mediante una disequazione in termini finiti
un vincolo olonomo. Per esempio la condizione:

cinematica dei sistemi

167

x21 + x22

(CS.2)

R2

per le coordinate di un punto nel piano x1 x2 vincola il punto a non entrare


nella regione di piano rappresentata dal disco circolare di raggio R avente
centro nellorigine.
x2
P

dQ
x1

O
2 2
2
x 1+ x R
2

Figura CS. 2: punto vincolato a non penetrare allinterno del disco di raggio
R
In base a quanto detto finora si pu affermare che i vincoli olonomi
rappresentano dei vincoli per le posizioni del punto, come si vede anche
dagli esempi esaminati. Possiamo dire che un vincolo olonomo, vincolando
le coordinate dei punti del sistema, rappresenta una limitazione per le
configurazioni permesse al sistema. Non solo: supponendo che le funzioni
che caratterizzano i vincoli siano differenziabili, i vincoli per le posizioni si
traducono anche in vincoli per gli spostamenti del sistema.
Nellesempio del punto vincolato su una superficie, differenziando la
condizione del vincolo (CS.1) abbiamo:
df rf dP = 0
dove:

(CS.3)

168

A. Strumia, Meccanica razionale

rf

@f
,
@xi

dP (dxi )

Poich rf diretto lungo la normale alla superficie, ne consegue che gli


spostamenti infinitesimi dP , compatibili con il vincolo sono vettori tangenti
alla superficie nel punto P .
Nel secondo esempio, in cui il vincolo rappresentato da una
disuguaglianza, non nasce nessuna limitazione per gli spostamenti se
verificata la disuguaglianza stretta, dal momento che gli spostamenti sono
infinitesimi e la disuguaglianza stretta continuer ad essere verificata anche
dopo aver incrementato di un infinitesimo le coordinate del punto; mentre
nascono dei vincoli per gli spostamenti quando si parte da un punto di
frontiera (posizione di confine), posizione nella quale il vincolo verificato
come uguaglianza:
(CS.4)

x21 + x22 = R2

Infatti affinch lo spostamento sia compatibile con i vincoli occorre


che la condizione che vincola le posizioni sia soddisfatta anche dopo aver
incrementato le coordinate del punto, a meno di infinitesimi di ordine
superiore a quello dellincremento, cio al primo. Allora le coordinate
incrementate devono soddisfare la condizione di vincolo per le posizioni:
(x1 + dx1 )2 + (x2 + dx2 )2

R2

Sviluppando abbiamo:
x21 + (dx1 )2 + 2x1 dx1 + x22 + (dx2 )2 + 2x2 dx2

R2

Tenendo conto che prima dellincremento il vincolo sussiste nella forma


delluguaglianza (CS.4) e che i termini che contengono i quadrati dei

cinematica dei sistemi

169

differenziali sono del secondo ordine, e come tali sono trascurabili in


quanto infinitesimi di ordine superiore al primo, segue la condizione per gli
spostamenti:
x1 dx1 + x2 dx2

(CS.5)

risultato uguale a quello che si ottiene direttamente differenziando entrambi


i membri della disuguaglianza (CS.2). Questa condizione la possiamo
riscrivere in forma di prodotto scalare:
OP dP = |OP | |dP | cos #

(CS.6)

Poich i moduli sono non negativi resta di conseguenza la condizione


sullangolo #:
cos #

che deve essere acuto o al pi retto.


In conclusione un vincolo olonomo, cio esprimibile in termini finiti,
rappresenta un vincolo sia per le posizioni che per gli spostamenti del sistema.
Diremo anolonomo un vincolo che si presenta come una forma
differenziale non esatta, cio in termini differenziali non integrabili
In questo caso il vincolo rappresenta un vincolo per gli spostamenti del
sistema, ma non per le posizioni, perch non essendo possibile integrare la
forma differenziale che lo esprime, non si pu risalire ad una condizione in
termini finiti, la quale vincolerebbe le posizioni.
Un esempio interessante costituito dal vincolo di puro rotolamento per
un disco che rotola senza strisciare su un piano (o una superficie).

170

A. Strumia, Meccanica razionale

C
Figura CS. 3: vincolo anolonomo: puro rotolamento di un disco su un piano

Il vincolo di puro rotolamento impone la condizione differenziale di


uguaglianza dei cammini (MR.38):
ds(a) = ds(r)
Nel nostro caso possiamo anche esprimere:
ds(r) = R d#

(CS.7)

dove # langolo che un diametro solidale con il disco forma con una retta
solidale con losservatore e R il raggio del disco.
Inoltre, note le equazioni parametriche della curva che il disco percorre
con il suo punto di contatto sul piano:
OC = OC(s(a) )
differenziando otteniamo:

cinematica dei sistemi

171

dC =

dC (a)
ds = T ds(a)
ds(a)

(CS.8)

essendo T il versore tangente alla curva. Moltiplicando scalarmente per T


riusciamo ad isolare:
ds(a) = T dC = T1 dx1 + T2 dx2 + T3 dx3

(CS.9)

Allora la condizione di puro rotolamento si traduce nel vincolo


differenziale:
R d# = T1 dx1 + T2 dx2 + T3 dx3

(CS.10)

Questo non pu essere un differenziale esatto, perch la lunghezza del


cammino lungo la curva:
Z

Ti dxi

dipende dalla curva che il punto di contatto del disco descrive sul piano,
mentre un differenziale esatto d un integrale indipendente dal cammino.
Notiamo che il vincolo di puro rotolamento diviene olonomo quando il
problema ridotto a una sola dimensione, cio quando si assegna la curva
sulla quale deve avvenire il rotolamento del disco. In questo caso il disco non
vincolato a rotolare senza strisciare su un piano, ma vincolato addirittura
sulla curva: lesempio pi comune quello di un disco vincolato a rotolare
senza strisciare su di una retta.
In questo caso abbiamo:
ds(r) = R d#,

ds(a) = dx

(CS.11)

172

A. Strumia, Meccanica razionale

x2

x1

Figura CS. 4: vincolo olonomo: puro rotolamento di un disco su una retta

e il vincolo di puro rotolamento una forma differenziale esatta:


R , d# = dx

(CS.12)

in quanto la forma differenziale in una sola variabile e pu essere ricondotta


in termini finiti mediante integrazione:
R# = x

x0

(CS.13)

Il vincolo dunque olonomo. In generale, dunque, un vincolo anolonomo


si pu esprimere come una forma differenziale non esatta fra le coordinate dei
punti del sistema.
vincoli bilaterali e unilaterali
Abbiamo gi visto che i vincoli possono essere espressi mediante
uguaglianze o mediante disuguaglianze:
Un vincolo si dice bilaterale se esprimibile mediante sole relazioni di
uguaglianza

cinematica dei sistemi

173

Un vincolo si dice unilaterale se nella sua formulazione contiene


almeno una relazione di disuguaglianza
Fra gli esempi che abbiamo esaminato il vincolo espresso dalla (CS.1)
un vincolo bilaterale, mentre il vincolo espresso dalla (CS.2) unilaterale.
Notiamo che un vincolo pu comportare anche pi di una condizione
analitica.
x2

P
x1

O
x 1 0

x2 = 0

Figura CS. 5: punto vincolato su una semiretta

Ad esempio, se si vuole vincolare il punto P del piano x1 x2 ad appartenere


alla semiretta delle ascisse non negative si devono imporre le due condizioni:
(

x1 0
x2 = 0

(CS.14)

delle quali una una disuguaglianza; il vincolo dunque unilaterale. Quando


ci si trova nella posizione limite, che si dice posizione di confine, definita dalle
coordinate (0, 0), allora le limitazioni per gli spostamenti, a partire da quella
configurazione, si ottengono, praticamente, differenziando entrambi i membri
delle relazioni di vincolo:

174

A. Strumia, Meccanica razionale

dx1 0
dx2 = 0

(CS.15)

vincoli scleronomi (o indipendenti dal tempo ) e reonomi (o dipendenti


dal tempo )
Un vincolo si dice scleronomo quando nella sua formulazione analitica
non compare la dipendenza esplicita dal tempo
Un vincolo si dice reonomo quando nella sua formulazione analitica
compare la dipendenza esplicita dal tempo
Come esempio di vincolo olonomo reonomo possiamo pensare ad una
superficie, variabile nel tempo, a cui un punto vincolato ad appartenere. Per
un vincolo di questo genere si ha una condizione del tipo:
f (x1 , x2 , x3 , t) = 0

(CS.16)

Ad esempio, un punto vincolato sulla superficie di un palloncino sferico


che viene gonfiato e che ha, quindi, raggio variabile in funzione del tempo.
Lequazione del vincolo ha in questo caso la forma:
x21 + x22 + x23 = [R(t)]2

(CS.17)

vincoli lisci e vincoli scabri


Unulteriore classificazione dei vincoli fondamentale nella meccanica
quella che distingue i vincoli in lisci e scabri: questa distinzione, per non
puramente cinematica, in quanto richiede il concetto di forza e perci
dobbiamo rimandare ai capitoli successivi la sua formulazione.

cinematica dei sistemi

175

x3
P
R2
O

x2

R 1 = R(t1)

R1
R2 = R(t 2)

Figura CS. 6: vincolo reonomo

Sistemi olonomi
Un sistema meccanico soggetto a soli vincoli olonomi si dice olonomo.
Supponiamo di denotare con P1 , P2 , , Pn i punti del nostro sistema
meccanico, e con:

OPs (xs , ys , zs ),

s = 1, 2, , n

(CS.18)

le coordinate dei punti del sistema.


Supponiamo, poi, che esistano m relazioni di uguaglianza tra loro
indipendenti (con m 3n) e p relazioni di disuguaglianza, in termini finiti,
che rappresentano un vincolo olonomo per il sistema:
8
>
>
>
<

f1 (xs , ys , zs , t) = 0
f2 (xs , ys , zs , t) = 0
>

>
>
:
fm (xs , ys , zs , t) = 0

(CS.19)

176

A. Strumia, Meccanica razionale

8
>
>
>
<

g1 (xs , ys , zs , t)
g2 (xs , ys , zs , t)
>

>
>
:
gp (xs , ys , zs , t)

0
0

(CS.20)

Avendo supposto che le relazioni di uguaglianza siano fra loro


indipendenti, avremo che la matrice rettangolare m 3n:
@fi
@xs

@fi
@ys

@fi
@zs

ha rango m 3n. In tal caso il numero dei vincoli espressi da relazioni di


uguaglianza minore, o al pi uguale, al numero totale delle coordinate dei
punti del sistema. Ci significa che, mediante le m relazioni indipendenti
(CS.19) possiamo esprimere m delle coordinate dei punti del sistema in
funzione delle restanti 3n m e del tempo. Il problema caratterizzato da:
N = 3n

variabili indipendenti, oltre al tempo. Come abbiamo gi anticipato trattando


del corpo rigido:
Il numero delle variabili indipendenti che in un certo istante
identificano univocamente la configurazione di un sistema meccanico
si dice numero di gradi di libert del sistema
Non siamo obbligati a scegliere N coordinate di punti del sistema come
come variabili indipendenti, ma possiamo scegliere altrettanto bene delle
variabili che siano a loro legate mediante una legge di trasformazione
regolare; anzi questa la scelta pi frequente, perch in genere la pi
vantaggiosa.

cinematica dei sistemi

177

Si chiamano parametri lagrangiani o coordinate lagrangiane le


variabili indipendenti che identificano univocamente le coordinate di
tutti i punti di un sistema olonomo in un determinato istante di tempo
e si denotano con:
q1 , q2 , , qN
I punti di un sistema olonomo vengono allora identificati dalle relazioni:
OPs = OPs (q1 , q2 , , qN , t),

s = 1, 2, , n

(CS.21)

Leventuale dipendenza esplicita dal tempo che nasce dalla stessa


dipendenza presente nelle relazioni dei vincoli (CS.19) dovuta alla presenza
di vincoli reonomi nel sistema. Se i vincoli sono scleronomi i punti del
sistema olonomo sono individuati da relazioni del tipo:
OPs = OPs (q1 , q2 , , qN ),

s = 1, 2, , n

(CS.22)

Dal punto di vista del moto possiamo allora dire che la conoscenza del
moto di un sistema olonomo si riconduce alla conoscenza delle funzioni:
qh = qh (t)

(CS.23)

mediante le quali si possono identificare le coordinate di tutti i punti in


funzione del tempo.
Osserviamo che un sistema costituito da un solo punto un caso
particolare di sistema olonomo, per il quale i parametri lagrangiani sono le
coordinate indipendenti del punto o delle loro funzioni regolari. Anche un
corpo rigido costituisce un caso particolare di sistema olonomo: se il corpo
rigido libero ha sei gradi di libert e come parametri lagrangiani si scelgono

178

A. Strumia, Meccanica razionale

in genere le tre coordinate del punto , origine di un sistema solidale, e i


tre angoli di Eulero. Se il corpo rigido vincolato ad avere un punto fisso
si pu scegliere coincidente con il punto fisso e rimangono i tre gradi di
libert dati dagli angoli di Eulero. Se il corpo rigido ha un asse fisso rimane
solamente un grado di libert rappresentato dallangolo di rotazione attorno
allasse.
Tornando al problema generale non abbiamo ancora esaminato le
disuguaglianze (CS.20). Dopo aver espresso le coordinate dei punti
del sistema mediante i parametri lagrangiani queste disuguaglianze si
riconducono a funzioni delle qh e del tempo, per cui le riscriveremo nella
forma:
8
>
>
>
<
>
>
>
:

g1 (q1 , q2 , , qN , t)
g2 (q1 , q2 , , qN , t)

gp (q1 , q2 , , qN , t)

0
0

(CS.24)

Quando sono verificate come disuguaglianza stretta queste relazioni non


servono a ridurre il numero di variabili del problema, ma delimitano gli
intervalli permessi alle coordinate lagrangiane; nel caso che una o pi
di queste relazioni valga come uguaglianza (configurazioni di confine) il
problema diminuisce il numero di gradi di libert in quanto si possono
eliminare tante variabili quante sono le relazioni di uguaglianza e ci si
riconduce ad un numero minore di coordinate lagrangiane.

Spazio delle configurazioni e spazio degli eventi


Un sistema olonomo caratterizzato completamente dalla conoscenza dei
parametri lagrangiani in funzione del tempo:
q1 , q2 , , qN
E naturale e utile introdurre allora uno spazio ad N dimensioni, mediante

cinematica dei sistemi

179

il quale il sistema olonomo viene identificato da un punto le cui N coordinate


sono le coordinate lagrangiane del sistema. Questo spazio prende il nome di
spazio delle configurazioni in quanto permette di rappresentare, sotto forma
di punti, le configurazioni che il sistema meccanico pu assumere.
E conveniente, allora, introdurre i vettori ad N componenti:
(CS.25)

q (q1 , q2 , , qN )
per rappresentare in forma compatta le configurazioni del sistema.

In taluni casi comodo introdurre anche la coordinata temporale nel


vettore q nel modo seguente:
q (q0 , q1 , q2 , , qN ),

q0 = t

(CS.26)

dove la prima coordinata il tempo. Si ottiene allora uno spazio-tempo a


N + 1 dimensioni che prende il nome di spazio degli eventi i cui vettori
hanno N + 1 componenti.

Vettori velocit in un sistema olonomo


Se differenziamo rispetto al tempo la relazione (CS.21), che identifica
le posizioni dei punti di un sistema olonomo, otteniamo unespressione per
le loro velocit in funzione delle coordinate lagrangiane, delle loro derivate
rispetto al tempo e, se i vincoli sono reonomi, anche del tempo in maniera
esplicita; dobbiamo derivare una funzione composta del tempo e otteniamo:

vs =

d
@Ps
@Ps
Ps (qh , t) =
qh +
dt
@qh
@t

(CS.27)

con la convenzione di Einstein sugli indici h ripetuti che si intendono sommati


da 1 ad N . La derivata parziale rispetto al tempo, a secondo membro, compare

180

A. Strumia, Meccanica razionale

solo se il vincolo reonomo e rappresenta il contributo alla velocit dovuto


alla variazione del vincolo.

Spostamenti possibili e virtuali


Dato un sistema olonomo possiamo considerare diversi tipi di spostamenti
infinitesimi. Matematicamente tali spostamenti si ottengono differenziando in
maniera opportuna i vettori OPs che identificano i punti del sistema:
spostamento possibile
Uno spostamento possibile uno spostamento infinitesimo che tiene
conto dei vincoli e della loro eventuale dipendenza dal tempo (nel caso
che i vincoli siano reonomi)
Si ottiene differenziando la (CS.21) e lo indichiamo con il simbolo @Ps .
Si caratterizza come:
@Ps =

@Ps
@Ps
@qh +
@t
@qh
@t

(CS.28)

spostamento virtuale
Uno spostamento virtuale uno spostamento infinitesimo che tiene
conto dei vincoli, ma non della loro eventuale dipendenza dal tempo
Il tempo viene pensato come fissato al valore che ha allinizio dello
spostamento e mantenuto costante durante lo spostamento. Si pu anche
pensare lo spostamento virtuale come uno spostamento istantaneo, cio uno
spostamento che avviene con velocit infinita in un intervallo di tempo nullo.
Evidentemente si tratta di uno spostamento che noi immaginiamo di far
compiere idealmente al sistema. Indichiamo lo spostamento virtuale con Ps .
Poich t fissato durante lo spostamento virtuale, esso risulta caratterizzato
come:
Ps =

@Ps
qh
@qh

(CS.29)

cinematica dei sistemi

181

Osserviamo che se i vincoli sono scleronomi gli spostamenti possibili e


virtuali vengono a coincidere.
Vediamo invece un esempio con un vincolo reonomo: un punto vincolato
su una circonferenza di raggio variabile, di equazione cartesiana:
x2 + y 2 = [R(t)]2

(CS.30)

Se agiamo con loperatore , che tratta il tempo come una costante,


otteniamo:
x x+y y =0
Ovvero, in termini di vettori:
OP P = 0
relazione che ci dice che lo spostamento virtuale tangente alla curva del
vincolo nello spazio bidimensionale allistante t nel quale si effettua lo
spostamento. Se invece agiamo con loperatore @ otteniamo:
@t
x@x + y@y = R(t) R(t)
Ovvero: nello spazio-tempo a 3 dimensioni il vettore a tre componenti:
(@x, @y, @t) tangente alla superficie conica di equazione (CS.21).
Spostamenti reversibili e irreversibili
Sottolineiamo che sia gli spostamenti possibili che quelli virtuali sono
spostamenti ideali che noi immaginiamo di far compiere al sistema e non
vanno confusi con lo spostamento fisico che il sistema effettivamente compie

182

A. Strumia, Meccanica razionale

P
P
R1

Figura CS. 7: spostamento possibile e virtuale

t
P

P
O

x2

x1

Figura CS. 8: rappresentazione spazio-temporale degli spostamenti per un


punto su una circonferenza di raggio variabile

sotto lazione di forze che lo sollecitano, a partire da determinate condizioni


iniziali.
Per concludere la trattazione cinematica sui vincoli notiamo che quando
sono presenti dei vincoli unilaterali, affinch gli spostamenti siano compatibili
con i vincoli, dovranno essere rispettate, nelle configurazioni di confine,
anche le disuguaglianze per gli spostamenti che sono conseguenza delle
condizioni sulle posizioni. Infatti se presente un vincolo in termini finiti
del tipo:

cinematica dei sistemi

183

g(qh , t)

quando siamo in una configurazione di confine dovr valere come


uguaglianza:
g(qh , t) = 0
Dopo aver incrementato le coordinate lagrangiane non ci troveremo pi in
configurazione di confine, quindi dovremo avere:
g(qh + @qh , t + @t)

Ora sviluppando risulta:


g(qh + @qh , t + @t) = g(qh , t) + @g + O(2)
Segue che, a meno di infinitesimi di ordine superiore al primo deve essere
soddisfatta la condizione sugli spostamenti:
@g =

@g
@g
@qh +
@t
@qh
@t

Le condizioni che nascono per gli spostamenti, in presenza di


vincoli unilaterali, conducono a introdurre una ulteriore distinzione nella
classificazione degli spostamenti: si tratta della distinzione fra spostamento
reversibile e spostamento irreversibile:
Uno spostamento possibile (o rispettivamente virtuale) si dice
reversibile se lo spostamento opposto a partire dalla stessa configurazione
possibile (o rispettivamente virtuale). In caso contrario lo spostamento si dice
irreversibile.

184

A. Strumia, Meccanica razionale

-P

P
P

Figura CS. 9: spostamento reversibile (a sinistra) e irreversibile (a destra)

Geometria delle masse

BA. Baricentri
Per la trattazione riguardante i baricentri non ci pi sufficiente
considerare i corpi come insiemi di punti geometrici, ma abbiamo bisogno di
introdurre una nuova informazione che riguarda la distribuzione della materia
nei corpi stessi. Questa informazione viene dal concetto di massa che ora
introdurremo. Considereremo perci dei punti ai quali viene associata una
massa.
Un punto al quale viene associata una massa prende il nome di punto
materiale e lo indicheremo con: (P, m).
Un sistema di punti a ciascuno dei quali associata una massa si dice
sistema di punti materiali.
E importante rilevare che il capitolo riguardante i baricentri si pu
sviluppare indipendentemente dalla statica e dalla dinamica dei sistemi: esso
richiede oltre, alla conoscenza della geometria dei corpi in senso stretto,
solo una conoscenza che riguarda la distribuzione della massa. Non sono
necessarie n conoscenze riguardanti il moto del sistema, n conoscenze
riguardanti le forze agenti su di esso. Parlando dei baricentri e dei momenti di
inerzia, che vedremo nel prossimo capitolo, si parla perci di geometria delle
masse.

Massa
Quanto basta a noi del concetto di massa, in questo capitolo e in quello
successivo, sono le propriet indipendenti dal moto dei corpi.
Chiamiamo massa e la denotiamo con la lettera m uno scalare che gode
delle seguenti propriet:
sempre positivo (nullo nel caso di un punto geometrico o di un

188

A. Strumia, Meccanica razionale

sistema di punti geometrici);


indipendente dallo stato cinetico (cio dal moto del punto o del
sistema);
invariante rispetto a qualsiasi gruppo di trasformazioni del sistema di
coordinate;
additivo: la massa totale di un sistema di n punti materiali la somma
delle masse dei punti che lo costituiscono:

m=

n
X

ms

s=1

Questo comporta anche che se un corpo suddivisibile in parti la massa


totale del corpo uguale alla somma delle masse delle sue parti.

Densit
Se il corpo continuo si suppone di poter introdurre sempre la
funzione densit di massa. In un continuo consideriamo degli elementi
sufficientemente piccoli di volume V (se il continuo un corpo
tridimensionale), o di superficie A (se il continuo bidimensionale) o di
linea s (se il continuo distribuito lungo una curva), attorno ad ogni suo
punto P . Denotiamo con C lelemento generico del continuo, intendendo
che si potr trattare di un elemento di volume, di superficie o di linea, a
seconda dei casi. A ciascun elemento del continuo C, centrato in un punto
P pensiamo di associare un elemento di massa m.
Allora si suppone che esista il:

lim

C!0

m
C

baricentri

189

e che sia una funzione delle coordinate del punto P attorno al quale centrato
lelemento del continuo C.
Questa funzione prende il nome di densit e la si denota con:
m
dm
=
C
dC

= (P ) = lim

C!0

(BA.1)

e si tratter di una densit di volume se il corpo tridimensionale, di una


densit di superficie o superficiale se la materia del corpo distribuita su di
una superficie, di una densit lineare se distribuito lungo una curva.
Di conseguenza lelemento di massa associato a ciascun elemento di
volume del corpo continuo si pu scrivere come:
dm = (P ) dC

(BA.2)

Per la propriet additiva della massa possiamo allora scrivere la massa


totale del corpo sotto forma di integrale:
m=

(P )dC

(BA.3)

avendo indicato con C il dominio di integrazione.


Un corpo si dice poi omogeneo quando la funzione costante , cio
non varia al variare del punto P . In questo caso la funzione si pu portare
fuori del segno di integrale e si ottiene:
m=

dC =

dC = C

dove:
C=

dC

(BA.4)

190

A. Strumia, Meccanica razionale

rappresenta la misura (rispettivamente volume, area, o lunghezza a seconda


dei casi) del dominio di integrazione, cio del corpo in questione. Allora, per
un corpo omogeneo la densit il rapporto fra la massa totale del corpo e la
misura del dominio che caratterizza il corpo:

m
C

(BA.5)

Baricentro
Supponiamo di avere un sistema di punti materiali che, per semplicit,
pensiamo particellare (lestensione al continuo poi una conseguenza ovvia)
costituito da n punti materiali:

{(Ps , ms ) , s = 1, 2, , n}
Scelto poi un versore u qualunque, e uno scalare positivo k associamo a
ciascun punto materiale un vettore applicato, parallelo ad u tale che:

vs = ms k

(BA.6)

Otteniamo in questo modo un sistema di vettori paralleli e concordi con


u.
Possiamo allora introdurre anche la componente del risultante in direzione
di u, uguale al suo modulo, come:

R=

n
X

s=1

vs =

n
X

s=1

ms k = mk

(BA.7)

baricentri

191

essendo m la massa totale del sistema. Avendo supposto k positivo e quindi


non nullo (e supponendo che le masse dei punti non siano tutte nulle) ne
consegue che R 6= 0 e quindi esiste il centro del sistema di vettori applicati
paralleli che abbiamo introdotto. Tale centro dei vettori paralleli per
definizione il baricentro del nostro sistema di masse e lo denotiamo con G.
Si dice baricentro di un sistema di punti materiali il centro di qualunque
sistema di vettori paralleli concordi proporzionali alle masse e applicati
nei punti del sistema
Applicando la formula del centro dei vettori paralleli (VA.46) e
introducendovi le informazioni (BA.6) e (BA.7) otteniamo:

OG =

n
1 X
ms kOPs
mk s=1

dalla quale semplificando k abbiamo la formula che definisce il baricentro:

OG =

n
1 X
ms OPs
m s=1

(BA.8)

Scelto un riferimento cartesiano ortogonale Oxyz possiamo proiettare la


(BA.8) ottenendo le formule per le coordinate del baricentro:

n
1 X
xG =
ms xs ,
m s=1

avendo indicato con:

n
1 X
yG =
ms ys ,
m s=1

n
1 X
zG =
ms zs (BA.9)
m s=1

192

A. Strumia, Meccanica razionale

OG (xG , yG , zG ),

OPs (xs , ys , zs )

le coordinate del baricentro e rispettivamente dei punti del sistema.


Lestensione al caso del continuo conseguente alle definizioni date.
Abbiamo:
1 Z
OG =
OP dm
m C

(BA.10)

e tenendo conto della (BA.2):

OG =

1 Z
OP dC
m C

(BA.11)

Proiettando sugli assi le coordinate del baricentro, nel caso del corpo
continuo, sono date da:

xG =

1 Z
xdC,
m C

yG =

1 Z
ydC,
m C

zG =

1 Z
zdC (BA.12)
m C

Se il corpo continuo poi omogeneo, possiamo portare la densit,


costante, fuori dal segno di integrale e utilizzare la relazione (BA.5) e
ricondurci a formule puramente geometriche, in quanto non contengono pi
la massa. Abbiamo:
OG =

1 Z
OP dC
C C

E per le coordinate del baricentro:

(BA.13)

baricentri

xG =

193

1 Z
xdC,
C C

yG =

1 Z
ydC,
C C

zG =

1 Z
zdC
C C

(BA.14)

Osserviamo come tutte le formule che definiscono il baricentro non


dipendono mai dalla scelta della costante k di proporzionalit che si elide. Il
baricentro ha tutte le propriet del centro dei vettori paralleli e in particolare
dei vettori paralleli concordi.

Propriet di ubicazione del baricentro


E possibile dare alcune propriet, che prendono il nome di propriet di
ubicazione del baricentro che servono a localizzare almeno parzialmente il
baricentro, senza dover ricorrere al calcolo diretto di tutte le sue coordinate,
ma basandosi su informazioni geometriche relative alla forma del corpo
e al modo come distribuita la massa. Queste propriet divengono
particolarmente utili quando il corpo continuo, perch, in questo caso,
servono a ridurre il numero degli integrali che vanno calcolati per identificare
le coordinate del baricentro. Nel caso pi generale, infatti, si dovrebbero
calcolare quattro integrali: uno per valutare la massa totale del sistema, nota
la densit, e tre per le coordinate del baricentro.
Le enunciamo e le dimostriamo:
se un sistema di punti materiali appartiene ad un piano anche il
baricentro appartiene al piano del sistema.
Scelto il sistema cartesiano in modo che il piano coordinato xy coincida
con il piano del sistema materiale, le coordinate di ogni punto dovranno
soddisfare lequazione del piano:
z=0

194

A. Strumia, Meccanica razionale

Perci si ha:
s = 1, 2, , n

zs = 0,
z

O
P
m Pn
3 3
m1 P
n
1
G
m2 P 2 ms P
s
m

Figura BA.1: il baricentro di un sistema piano appartiene al piano


Di conseguenza nella terza delle (BA.9) segue:
zG = 0
Dunque anche il baricentro appartiene al piano. Analogamente nel caso
del corpo continuo.
se un sistema di punti materiali non esterno ad una superficie
convessa (o se il sistema sta su un piano non esterno ad una curva convessa)
allora il baricentro si trova non esterno alla superficie (o rispettivamente alla
curva) convessa.
In forza della definizione di baricentro che abbiamo dato, questa propriet
una conseguenza delle propriet del centro dei vettori paralleli concordi, ed
gi stata dimostrata nel capitolo riguardante i vettori applicati.
se un sistema di punti materiali appartiene ad un segmento di retta,
allora il baricentro si trova non esterno al segmento.

baricentri

195

Per dimostrare questa propriet utilizziamo la prima propriet: il


segmento si trova infatti sulla retta di intersezione di (almeno) due piani ai
quali il sistema viene di conseguenza ad appartenere. Allora il baricentro si
dovr trovare, per la prima propriet su ciascuno dei due piani, quindi sulla
loro retta di intersezione che la retta del segmento. Questo ci permette
di concludere che il baricentro si trova sulla retta del segmento al quale
appartiene il sistema di punti materiali.

Figura BA.2: se un sistema appartiene a un segmento anche il baricentro sta sul


segmento

Ora un segmento si pu racchiudere allinterno di una curva convessa che


passa per i suoi estremi: allora il baricentro si deve trovare non esterno alla
curva convessa. In conclusione il baricentro star nellinsieme intersezione
fra la retta e linsieme del quale la curva convessa frontiera: dunque si
trover non esterno al segmento (estremi inclusi: evidentemente il baricentro
si potr trovare su un estremo del segmento solamente quando tutta la massa
del segmento concentrata in quellestremo).
propriet distributiva del baricentro: se un sistema di massa M
suddivisibile in due sottosistemi di masse rispettive: M1 e M2 e di baricentri
G1 e G2 allora il baricentro del sistema complessivo il baricentro dei
baricentri dei due sottosistemi, cio:

196

A. Strumia, Meccanica razionale

OG =

M1 OG1 + M2 OG2
M1 + M2

G1

Figura BA.3: propriet distributiva del baricentro


Tabuliamo, per comodit, con s = 1, 2, , p i punti del primo
sottosistema, e con: s = p + 1, p + 2, , n i punti del secondo sottosistema.
Allora per la definizione di baricentro (BA.8) i baricentri dei sue sottosistemi
si possono identificare come:

OG1 =

p
1 X
ms OPs ,
M1 s=1

OG2 =

n
1 X
ms OPs
M1 s=p+1

Da questo otteniamo che:


0

p
n
n
X
M1 OG1 + M2 OG2
1 @X
1 X
=
ms OPs +
ms OPs A =
ms OPs
M1 + M 2
M s=1
M s=1
s=p+1

E quindi per la definizione di G, lenunciato. Suddividendo in pi di


due parti il sistema di partenza, possibile iterare il procedimento appena
illustrato e concludere che: se un sistema suddivisibile in pi sottosistemi,

baricentri

197

allora il baricentro del sistema complessivo si ottiene calcolando il baricentro


dei baricentri delle singole parti.
se un sistema ammette un piano diametrale allora il baricentro
appartiene al piano diametrale.
Per piano diametrale, coniugato ad una retta r, si intende un piano che
suddivide il sistema in coppie di punti, ciascuna delle quali costituita da
punti di uguale massa, che si trovano agli estremi di un segmento parallelo
alla retta r, il cui punto medio appartiene al piano. In particolare se il piano
diametrale coniugato con una retta ad esso ortogonale esso si dice piano di
simmetria di massa per il sistema.

Figura BA.4: piano diametrale

La dimostrazione di questa propriet di ubicazione del baricentro si


fonda sulle propriet precedenti: ciascuna coppia di punti costituisce un
sottosistema che appartiene ad un segmento, quindi il baricentro si trova
sul segmento; in particolare le masse dei due punti sono uguali, quindi il
baricentro si trova nel punto medio di ciascun segmento. Ora tutti i baricentri
di ciascun sottosistema di coppie di punti di ugual massa vengono a trovarsi
sul piano diametrale: di conseguenza, per la prima propriet il baricentro
dei baricentri si trova sul piano stesso; e per la propriet distributiva del
baricentro, questultimo il baricentro dellintero sistema.

198

A. Strumia, Meccanica razionale

Come esempi possiamo considerare i piani paralleli ai lati di un corpo


omogeneo piano a forma di parallelogrammo, normali al piano della figura e
passanti per il suo centro.

Figura BA.5: piani diametrali in un parallelogrammo omogeneo


In una figura piana, come quella dellesempio, si pu parlare anche di
retta diametrale intendendo la retta di intersezione fra il piano diametrale e il
piano della figura (traccia del piano diametrale sul piano della figura).

MI. Momenti dinerzia


Consideriamo un sistema particellare di n punti materiali:
{(Ps , ms ) , s = 1, 2, , n}
e una retta r nello spazio; indicata con s la distanza del generico punto Ps
dalla retta r, si definisce momento dinerzia rispetto alla retta r, del sistema
di masse considerato, lo scalare:

Jr =

r
X

ms

2
s

(MI.1)

s=1

Il momento dinerzia uno scalare e, perci invariante rispetto alle


rotazioni e traslazioni degli assi, dipendendo solamente dalle masse e dalle
distanze dei punti da una retta, che sono quantit invarianti rispetto alle
predette trasformazioni dei sistemi di coordinate. Esso pu variare nel tempo
solo se mutano le distanze o ci sono variazioni di massa.

P1

m1
1

2
P2 m 2

r
n

P
n

mn

s
P
s

ms

Figura MI. 1: momento dinerzia rispetto a una retta per un sistema discreto

200

A. Strumia, Meccanica razionale

Se il corpo continuo la definizione precedente viene estesa in modo


naturale e si ha:
Jr =

(MI.2)

dm

dm = dC

Figura MI. 2: momento dinerzia rispetto a una retta per un sistema continuo
da cui introducendo la densit:

Jr =

2 dC

(MI.3)

essendo e funzioni delle coordinate del punto variabile P nel quale


centrato lelemento dC.
Il momento dinerzia dipende dalla retta rispetto alla quale viene
calcolato.
Ci comporta, che per esempio, per un continuo bisogna calcolare
unintegrale per il momento dinerzia relativo ad ogni retta alla quale si
interessati in un certo problema meccanico. Per ridurre al minimo il numero
degli integrali da calcolare ci si pu servire di due metodologie:

momenti dinerzia

201

la prima permette di collegare fra loro i valori dei momenti dinerzia


relativi a rette fra loro parallele, nota lubicazione del baricentro del sistema;
la seconda permette, invece di collegare fra loro i valori dei momenti
dinerzia relativi a rette che escono tutte da uno stesso punto, quindi in
direzioni differenti. Ora le vediamo entrambe.

Teorema di Huygens-Steiner
Questo teorema costituisce la base della prima metodologia, che permette
di collegare fra loro i momenti dinerzia relativi a rette parallele una volta che
sia nota lubicazione del baricentro. Lo enunciamo e lo dimostriamo:
Dato un sistema di punti materiali la cui massa totale m, il momento
dinerzia J rispetto ad una retta r, correlato al momento dinerzia JG
rispetto ad una retta rG , passante per il baricentro, parallela alla r, e distante
d da essa, mediante la relazione:

J = JG + m d2

(MI.4)

DIMOSTRAZIONE
Conduciamo la dimostrazione per un corpo discreto, dal momento che il
caso continuo si tratta in maniera del tutto analoga.
Per la definizione di momento dinerzia (MI.1) abbiamo:

J =
e:

n
X

s=1

ms

2
s

202

A. Strumia, Meccanica razionale

JG =
dove con

0
s

n
X

ms

02
s

s=1

abbiamo indicato la distanza del punto Ps dalla retta rG .

Scegliamo due sistemi di assi cartesiani ortogonali Oxyz e O0 x0 y 0 z 0 come


in figura (MI. 3), con lasse y in comune, gli assi z e rispettivamente z 0 che
coincidano con le rette r ed rG . Il baricentro si trover allora sullasse z 0 e pu
anche essere scelto come origine degli assi (anche se ci non necessario).

z'
d
s
' P
s

s
O

y=
= y'
x

x'

Figura MI. 3: teorema di Huygens-Steiner: scelta degli assi


Rispetto a questi sistemi di assi le distanze al quadrato dei singoli punti del
sistema dalle rette r z e rG z 0 sono espresse in termini delle coordinate
come:
2
s

= x2s + ys2 ,

02
s

= x0s + ys0

essendo le quantit con lapice riferite al sistema il cui terzo asse contiene il
baricentro.

momenti dinerzia

203

Per passare da un sistema di coordinate allaltro occorre compiere la


traslazione:
x = x0 ,

y = y 0 + d,

che sostituita nellespressione di

z = z0

comporta il legame:

= x2s + ys2 = x0s + (ys0 + d)2 = x0s + ys0 + d2 + 2ys0 d

Ovvero:

02

+ d2 + 2ys0 d

(MI.5)

Sostituendo la (MI.5) nella espressione del momento dinerzia J


otteniamo:

J =

n
X

ms (

02

+ d2 + 2ys0 d) =

s=1

n
X

ms

02

s=1

n
X

s=1

ms d2 + 2

n
X

ms ys0 d

s=1

dalla quale arriviamo a:

J = JG + md2 + 2d

n
X

ms ys0

s=1

Ma lultimo termine nella relazione precedente nullo in quanto il


baricentro si trova sullasse z 0 rG e quindi:
n
X

s=1

0
ms ys0 = myG
=0

204

A. Strumia, Meccanica razionale

Rimane dunque:
J = JG + md2
Come conseguenza di questo teorema possibile legare anche i momenti
dinerzia J 0 e J 00 di un sistema di punti materiali calcolati rispetto a due
rette parallele r0 e r00 delle quali nessuna passa per il baricentro. Si considera
una terza retta rG parallela alle prime due, ma passante per il baricentro e si
applica due volte il teorema di Huygens-Steiner.
r
G

r'

r''
d'

G
d''
d

Figura MI. 4: rette parallele r0 e r00 non passanti per il baricentro e rG passante
per il baricentro
Abbiamo:
J 00 = JG + md00
J 0 = JG + md0

dove d0 e d00 sono le distanze del baricentro dalle rette r0 e r00 . Sottraendo
membro a membro le relazioni precedenti ricaviamo il legame cercato fra J 0
e J 00 :

momenti dinerzia

205

J 00 = J 0 + m(d00

d0 )

(MI.6)

Notiamo che non compare il quadrato della distanza fra le due rette r0
e r , ma la differenza dei quadrati delle loro distanze dal baricentro. Ora
il legame fra i quadrati delle distanze, non essendo lineare, ma quadratico,
richiede la conoscenza delle distanze fra le rette r0 e r00 che non passano per
il baricentro e la retta rG passante per il baricentro; e quindi linformazione
sulla localizzazione del baricentro influisce sulla determinazione dei momenti
dinerzia rispetto a rette fra loro parallele.
00

In realt c un caso in cui sussiste la relazione pitagorica:


d2 = d00

d0

dove d indica la distanza fra le rette r0 ed r00 , ed il caso in cui le tre rette r0 ,
r00 e rG sono rette generatrici di una superficie cilindrica la cui sezione retta
circolare e ha diametro d00 e le rette rG ed r00 appartengono a un piano passante
per lasse del cilindro.
rG
r'

r''
G
d''

d'
d

Figura MI. 5: caso in cui le rette r0 , r00 e rG sono generatrici di un cilindro


circolare retto
In questo caso legittimo scrivere:

206

A. Strumia, Meccanica razionale

J 00 = J 0 + md2
e il baricentro non figura direttamente; tuttavia la sua ubicazione nota a
causa delle condizioni geometriche ben precise che sono state assegnate.

Matrice dinerzia
Visto il legame fra i momenti dinerzia rispetto ad assi paralleli fra loro,
viene naturale chiedersi come si pu determinare un legame fra i momenti
dinerzia realtivi a rette uscenti da uno stesso punto, aventi direzioni fra loro
differenti. In altri termini ci domandiamo come varia il momento dinerzia
al variare del versore u di una retta uscente dallorigine O di un sistema
cartesiano scelto arbitrariamente. La risposta a questa domanda ci conduce
alla seconda metodologia per il calcolo dei momenti dinerzia di un corpo
rispetto ad una retta, con il minimo numero di integrali possibile.
x

3
r

u
O

x2

x1

Figura MI. 6: retta di direzione variabile uscente dallorigine

Vogliamo calcolare il momento dinerzia di un corpo rispetto alla retta r,


uscente da O in funzione del versore u della retta. Questa volta conduciamo

momenti dinerzia

207

i calcoli per un corpo continuo, anche perch, in questo modo, evitiamo gli
indici relativi alla numerazione dei punti del sistema.
Per la definizione di momento dinerzia (MI.3) abbiamo:
J =

2 dC

u
O

Figura MI. 7: determinazione della distanza del punto P dalla retta r


Ora la distanza del generico punto P del corpo dalla retta r di direzione
u si pu determinare mediante la relazione pitagorica:
2

= (OP )2

(OQ)2 = (OP )2

(OP u)2

(MI.7)

essendo Q la proiezione di P su r. Possiamo mettere in evidenza il versore u


che non dipende dal punto P , ma solamente dalla retta; infatti:
OP u = xi ui
avendo denotato con:

208

A. Strumia, Meccanica razionale

OP (xi ),

u (ui )

le rispettive componenti dei vettori rispetto agli assi cartesiani. Ma allora


possiamo scrivere:
(OP u)2 = (xi ui )(xk uk ) = ui [(xi xk )uk ]
Ora ricordiamo che per definizione di prodotto tensoriale si ha:
OP OP = kxi xk k
Dunque possiamo scrivere:
(OP u)2 = u [(OP OP )u]

(MI.8)

Le parentesi quadre sono di per s superflue e si possono omettere:


sono state introdotte solamente per visualizzare meglio lazione della matrice
OP OP sul vettore u e il fatto che il vettore trasformato (OP OP )u
viene poi moltiplicato scalarmente per il vettore u.
Notiamo che possiamo anche scrivere il primo termine della (MI.7) come:
(OP )2 = (OP )2 u2 = (OP )2 u (
I u)

(MI.9)

avendo tenuto conto del fatto che:


u2 = 1
trattandosi di un versore. Sostituendo i risultati (MI.8) e (MI.9) nella (MI.7)
otteniamo finalmente:

momenti dinerzia

209

= u [(OP )2
I

OP OP ]u

(MI.10)

Questa informazione, sostituita nellintegrale del momento dinerzia ci d:


J =

u [(OP )2
I

OP OP ]udC

Dal momento che u non dipende dal punto P , ma solo dalla direzione
della retta r che non varia durante lintegrazione, possiamo portarlo fuori dal
segno di integrale, ottenendo:
J =u

[(OP )2
I

OP OP ]dC u

(MI.11)

Si chiama matrice dinerzia la matrice:


=

[(OP )2
I

OP OP ]dC

(MI.12)

che non dipende dalla direzione u della retta, ma solamente dalla


distribuzione della massa nel corpo. Avendo introdotto la matrice dinerzia,
il momento dinerzia rispetto ad assi concorrenti in uno stesso punto, in
funzione della loro direzione u si esprime mediante la forma quadratica:
J =u u

(MI.13)

La matrice dinerzia gode delle seguenti due propriet:


simmetrica: infatti in base alla sua definizione immediato verificare
T
che =
definita positiva: ricordiamo che una matrice A
si dice definita
positiva se e solo se:

210

A. Strumia, Meccanica razionale

8
<
:

vA
v > 0 8v 6= 0
vA
v = 0 () v = 0

Osserviamo che se, in queste relazioni, introduciamo il versore u del


vettore v, risulta:
v = |v| u
E dunque:
2
vA
v = |v| u A
u

(MI.14)

Dire che la matrice A


definita positiva allora equivale a dire che:
uA
u > 0,

8u

perch essendo u un versore non mai nullo; e la forma quadratica (MI.14)


risulta nulla se e solo se |v| = 0 cio se e solo se v nullo.
Allora possiamo concludere che la matrice dinerzia definita positiva in
quanto il momento dinerzia per definizione un numero positivo. Fanno
eccezione i casi degeneri in cui la massa del sistema concentrata lungo una
retta (oppure nulla). In questi casi eccezionali la matrice dinerzia risulta
essere semidefinita positiva (o rispettivamente nulla).
Rappresentiamo la matrice dinerzia sugli assi cartesiani calcolando i suoi
elementi di matrice:

ik

(xj xj

ik

xi xk ) dC

(MI.15)

momenti dinerzia

211

Di qui ricaviamo gli elementi della diagonale principale, che solitamente


vengono denotati con le lettere A, B, C:
A=

B=

C=

(x22 + x23 ) dC =

22

(x21

33

11

(y 2 + z 2 ) dC

(MI.16)

(x2 + z 2 ) dC

(MI.17)

(x21 + x22 ) dC =

(x2 + y 2 ) dC

(MI.18)

x23 ) dC

Osservando queste relazioni si conclude che gli elementi della diagonale


principale della matrice dinerzia sono i momenti dinerzia calcolati rispetto
agli assi cartesiani.
Calcoliamo ora gli elementi che hanno indici fra loro diversi e che si
denotano nel modo seguente, in modo da eliminare i segni negativi che
compaiono nel calcolo:
A0 =

23

32

B =

13

31

C0 =

12

21

x2 x3 dC =

yz dC

(MI.19)

x1 x3 dC =

xz dC

(MI.20)

x1 x2 dC =

xy dC

(MI.21)

Le quantit A0 , B 0 , C 0 pur avendo le dimensioni di momenti dinerzia


non appaiono avere un significato immediatamente leggibile; essi tuttavia
sono responsabili dei fenomeni di deviazione dallasse di rotazione che
esamineremo nella dinamica del corpo rigido. Prendono perci il nome di
momenti di deviazione o momenti centrifughi.

212

A. Strumia, Meccanica razionale

Con queste notazioni la matrice dinerzia si rappresenta mediante la


tabella:
0

A
B
0
@ C0
B

C0
B
A0

B0
A0 C
A
C

(MI.22)

Anche le componenti del versore u solitamente vengono denotate in


maniera particolare: si scrivono cio come:
(MI.23)

u (, , )

e rappresentano i coseni direttori della retta variabile r rispetto agli assi


cartesiani. Con queste notazioni la forma quadratica del momento dinerzia
(MI.13) si scrive in maniera estesa come:

J = A2 + B

+C

2A0

2B 0

2C 0

(MI.24)

Sottolineiamo, infine, il fatto che la matrice dinerzia dipende dalla


scelta del punto O centro della stella di rette di direzione variabile u e
concorrenti in O. Di conseguenza per lo stesso corpo esistono tante matrici
dinerzia quanti sono i punti dello spazio, che possono essere scelti come
origine a cui riferire la matrice. Esistono, perci 13 matrici dinerzia per ogni
corpo. Di conseguenza, dove possano sorgere ambiguit conviene denotare
con O la matrice dinerzia di un corpo riferita al centro O.

Assi principali dinerzia


La matrice dinerzia, essendo simmetrica, sicuramente diagonalizzabile
e possiede autovalori reali e una base ortonormale di autovettori; in pi,
essendo anche definita positiva i suoi autovalori sono positivi.

momenti dinerzia

213

Possiamo, perci introdurre la seguente definizione di asse principale


dinerzia:
Si dice asse principale dinerzia, relativo ad una matrice una retta,
passante per O, che ha la direzione di un autovettore di
Per una matrice simmetrica i cui autovalori sono distinti gli assi principali
sono tre e sono fra loro ortogonali. Se la matrice possiede autovalori
multipli (cio non tutti distinti) gli assi principali sono infiniti in quanto in
corrispondenza di un autovalore doppio esiste un piano invariante rispetto
allazione della matrice. Se addirittura tutti e tre gli autovalori sono
coincidenti tutto lo spazio R3 risulta invariante.
Se si riferisce la matrice dinerzia ad un sistema cartesiano i cui assi
sono assi principali dinerzia la matrice assume forma diagonale e i momenti
di deviazione risultano essere nulli. In questo caso i momenti A, B e C relativi
agli assi cartesiani prendono il nome di momenti principali dinerzia.
In questo caso la forma quadratica che permette di calcolare il momento
dinerzia relativo ad una retta passante per O, di coseni direttori , , si
semplifica notevolmente, riducendosi a:
J = A2 + B

+C

(MI.25)

Ellissoide dinerzia
E noto dalla geometria (si possono vedere a questo proposito alcuni
richiami nellappendice AL - Algebra vettoriale e matriciale ) che ad ogni
matrice simmetrica pu essere associata una quadrica e, quando la matrice
definita positiva la quadrica, il cui centro coincide con lorigine degli assi ai
quali si riferisce la matrice, un ellissoide. Indicando con A
la matrice e con

214

A. Strumia, Meccanica razionale

x il vettore che identifica il generico punto della quadrica, lequazione della


quadrica si esprime nella forma:
xA
x = 1

(MI.26)

La nostra matrice dinerzia simmetrica e definita positiva, dunque ad


essa possiamo associare un ellissoide di equazione:

x x=1

(MI.27)

che prende il nome di ellissoide dinerzia.


Ma abbiamo visto che il momento dinerzia rispetto ad assi concorrenti in
O dato dalla relazione (MI.13), che possiamo riscrivere in una forma che
ora ci utile per un confronto con la (MI.27):
u
u
p p =1
J
J

(MI.28)

Evidentemente la (MI.27) e la (MI.28) devono identificarsi e questo


comporta che:
u
x= p
J

(MI.29)

Questa relazione definisce lellissoide dinerzia come il luogo geometrico


dei punti dello spazio la cui distanza dallorigine O, al variare della retta r
di versore u data da:
1
|x| = p
J

(MI.30)

momenti dinerzia

215

Figura MI. 8: ellissoide dinerzia

Anche da questa condizione si vede subito, senza bisogno di analizzare


le propriet della matrice, che la quadrica in questione un ellissoide, dal
momento che, essendo il momento dinerzia sempre positivo (a parte i casi
degeneri) risulta sempre:
1
|x| = p < +1
J
e quindi tutti i punti della quadrica si trovano a una distanza finita dallorigine
O, cio sono racchiudibili entro una regione limitata dello spazio, ovvero
la quadrica non possiede punti impropri. Ma lunica quadrica che non ha
punti impropri ed quindi racchiudibile in una regione limitata dello spazio
lellissoide.
La relazione (MI.30) ha anche unutilizzazione per la determinazione
grafica del momento dinerzia: infatti, noto lellissoide dinerzia di un corpo
possibile rappresentare su un foglio di carta la sua sezione con un piano al
quale appartiene una retta rispetto alla quale si vuole conoscere il momento
dinerzia (ellisse dinerzia). Allora sufficiente misurare la distanza |x|,
riportarla nella scala in cui stato fatto il grafico per ottenere il momento
dinerzia:

216

A. Strumia, Meccanica razionale

J =

1
|x|2

Scritta per esteso lequazione dellellissoide dinerzia, si ottiene


sviluppando la (MI.27) ed data dalla seguente relazione:
Ax2 + By 2 + Cz 2

2A0 yz

2B 0 xz

2C 0 xy = 1

(MI.31)

Nel caso in cui gli assi cartesiani siano assi principali dinerzia, come
abbiamo visto, la matrice dinerzia diviene diagonale, annullandosi i momenti
di deviazione. Allora lequazione dellellissoide dinerzia assume la forma
canonica:

Ax2 + By 2 + Cz 2 = 1

()

x2 y 2 z 2
+ 2 + 2 =1
a2
b
c

(MI.32)

dove i semiassi dellellissoide sono correlati ai momenti principali dinerzia


dalle relazioni:
1
a= p
A

1
b= p
B

1
c= p
C

Gli assi principali dinerzia, che abbiamo precedentemente definito in


relazione alla matrice , allora vengono a coincidere con gli assi di
simmetria dellellissoide dinerzia, in quanto, riferita a questi assi lequazione
dellellissoide assume forma canonica.
Osserviamo che se uno dei momenti principali dinerzia viene fatto
tendere a zero (il che equivale a ad avere tutta la massa giacente
sullasse cartesiano di indice corrispondente a quel momento) il semiasse
dellellissoide corrispondente tende allinfinito e lequazione dellellissoide
tende allequazione di un cilindro: ci troviamo in un caso degenere in cui

momenti dinerzia

217

la matrice dinerzia non pi definita positiva ma solamente semidefinita


positiva. Per esempio, poniamo che C ! 0: allora ne consegue che il
semiasse c ! +1 e lequazione dellellissoide diventa:
Ax2 + By 2 = 1
Notiamo ancora che, essendo associati alle matrici dinerzia, gli
ellissoidi dinerzia sono infiniti, tanti quante sono le matrici dinerzia, e cio
tanti quanti sono i punti dello spazio che si possono scegliere come centri
dellellissoide.
In particolare si dice ellissoide centrale dinerzia lellissoide dinerzia
il cui centro coincide con il baricentro del corpo.
Concludiamo questa sezione dando le definizioni di corpo a struttura
giroscopica e di giroscopio:
Un corpo si dice a struttura giroscopica rispetto ad un punto O quando
il suo ellissoide dinerzia di centro O un ellissoide di rivoluzione
(ellissoide rotondo)
Un corpo si dice giroscopio quando ha struttura giroscopica rispetto
al suo baricentro, cio quando il suo ellissoide centrale dinerzia
rotondo. Lasse di rivoluzione dellellissoide si dice asse giroscopico

Ricerca degli assi principali dinerzia


Come si visto la conoscenza degli assi principali dinerzia
particolarmente vantaggiosa perch consente di rappresentare la matrice
dinerzia mediante tre soli elementi non nulli, anzich i sei che si hanno
rispetto ad assi cartesiani qualunque. Ci significa, praticamente, tre integrali

218

A. Strumia, Meccanica razionale

da calcolare invece di sei. Perci conveniente, quando possibile, riferire la


matrice agli assi principali dinerzia.
Anche nel caso che si conosca un solo asse principale dinerzia, se lo
si fa coincidere con uno degli assi cartesiani, la matrice, pur non risultando
diagonale, viene semplificata. Supponiamo, infatti, di far coincidere lasse
principale con lasse z: allora il versore e3 viene ad essere un autovettore
della matrice. Perci possiamo scrivere:
e3 = e3
Ovvero:
0

A
B
@ C0
B0

C0
B
A0

10

B0
0
0 CB
A A@ 0 C
A
C
1

0
B
C
@ 0 A
1

da cui otteniamo le informazioni:


= C,

A0 = 0,

B0 = 0

La conoscenza di un solo asse principale dinerzia permette di eliminare


due momenti di deviazione. Viceversa se si annullano due momenti di
deviazione rimane identificato un autovettore della matrice e quindi un asse
principale dinerzia.
Ci comporta che se si conoscono due assi principali dinerzia e si
scelgono come assi cartesiani, si eliminano tutti e tre i momenti di deviazione;
questo non fa meraviglia, perch la conoscenza di due assi principali comporta
la conoscenza anche del terzo, che ortogonale ai primi due, in conseguenza
della simmetria della matrice. Allora scegliere due assi principali dinerzia
come assi cartesiani equivale a riferire la matrice ai tre assi principali, perci
la matrice risulta diagonalizzata.

momenti dinerzia

219

La ricerca degli assi principali dinerzia si pu effettuare, sempre,


diagonalizzando la matrice , tuttavia, quando il corpo possiede particolari
simmetrie di massa, la diagonalizzazione pu essere evitata. Enunciamo e
dimostriamo i seguenti criteri. che rappresentano delle condizioni sufficienti
per la determinazione degli assi principali:
se il corpo possiede un piano di simmetria di massa, allora ogni retta
ortogonale a questo piano un asse principale dinerzia per lellissoide che
ha centro nel punto di intersezione della retta con il piano.
Infatti, scelto un sistema di assi cartesiani, i cui assi x e y appartengono al
piano di simmetria, e z quindi ortogonale al piano, per definizione di piano
di simmetria di massa, possibile suddividere il corpo in coppie di punti di
ugual massa aventi quote opposte.
z
dC
z
O

y
-z

dC

Figura MI. 9: corpo dotato di un piano di simmetria di massa


Ne consegue che possiamo dividere il dominio di integrazione C in due
domini simmetrici C1 e C2 in ciascuno dei quali la funzione integranda assume
valori opposti punto per punto. Cio possiamo scrivere:

C = C1 [ C2 ,

C1 \ C2 = ;,

C2 = {(x, y, z) ; (x, y, z) 2 C1 }

220

A. Strumia, Meccanica razionale

Ne consegue che:

A0 =

C1 [C2

yz dC =

C1

yz dC+

C2

yz dC =

C1

yz dC

C1

yz dC = 0

e analogamente:
B0 = 0
Dunque lasse z un asse principale dinerzia per lellissoide di centro O
e quindi per la matrice dinerzia che lo definisce.
Se il corpo possiede due piani di simmetria fra loro ortogonali restano
individuati tutti e tre gli assi principali dinerzia di ogni ellissoide che ha il
centro sulla retta di intersezione dei due piani.

Figura MI. 10: corpo dotato di due piani di simmetria di massa ortogonali
Infatti applicando due volte il primo criterio si individuano due assi
principali dinerzia ortogonali fra loro, coincidenti con le normali ai piani
di simmetria condotte per il punto O appartenente alla retta di intersezione
dei due piani. Il terzo asse principale dinerzia la retta per O, normale ai

momenti dinerzia

221

due assi principali individuati, e coincide con la retta di intersezione dei due
piani.
Se un corpo possiede due piani di simmetria fra loro non ortogonali,
allora il corpo ha struttura giroscopica rispetto a tutti i punti della retta di
intersezione dei due piani e in particolare risulta essere un giroscopio.

G
O

Figura MI. 11: corpo dotato di due piani di simmetria di massa non ortogonali
Applicando il primo criterio a ciascuno dei due piani si individuano
per ogni ellissoide il cui centro O appartiene alla loro retta di intersezione,
due assi principali dinerzia non ortogonali. Ora la sezione dellellissoide
dinerzia con un piano ortogonale ai due piani di simmetria, passante per O,
unellisse, che viene ad avere due assi di simmetria non ortogonali. Ma
lunica ellisse che ha assi di simmetria non ortogonali la circonferenza. Di
conseguenza lellissoide di centro O un ellissoide di rivoluzione attorno alla
retta di intersezione dei due piani. Allora si pu concludere che qualunque sia
il punto O sulla retta di intersezione lellissoide che ha centro in O rotondo
e quindi il corpo ha struttura giroscopica rispetto ad O.
Daltra parte sappiamo che se esiste un piano di simmetria di massa (che
un caso particolare di piano diametrale) il baricentro si trova sul piano
di simmetria: nel nostro caso esistono due piani di simmetria di massa, di
conseguenza il baricentro si trova sulla loro retta di intersezione. Ma abbiamo
visto che il corpo ha struttura giroscopica rispetto a tutti i punti di questa retta,

222

A. Strumia, Meccanica razionale

quindi lavr anche rispetto al baricentro. Dunque il corpo un giroscopio e


la retta dintersezione lasse giroscopico.

Figure piane
Quando il corpo schematizzato con una figura piana ogni retta normale
al piano della figura risulta essere un asse principale dinerzia per lellissoide
che ha centro nellintersezione della retta con il piano.
Infatti: scelto il riferimento cartesiano in modo che gli assi x e y
appartengano al piano e lasse z sia, quindi, ortogonale al piano, ne consegue
che tutti i punti hanno quota nulla, e quindi risulta:
A0 =

B0 =

yz dC = 0,

xz dC = 0

e lunico momento di deviazione, in generale non nullo, C 0 .


Si hanno inoltre le seguenti conseguenze per le espressioni dei momenti
rispetto agli assi:

A=

y dC,

B=

x dC,

C=

(x2 + y 2 ) dC

Di conseguenza per una figura piana sussiste il legame:

C =A+B
e la matrice dinerzia individuata da soli tre elementi:

(MI.33)

momenti dinerzia

223

A
B
@ C0
0

C0
0
C
B
0
A
0 A+B

(MI.34)

che si riducono a due se ci si riferisce ad assi x e y principali dinerzia.

Traslazione degli assi


Pu rendersi necessario, nelle applicazioni, disporre di un legame tra le
matrici dinerzia relative a sistemi di assi cartesiani differenti. Un primo
problema si pone quando si effettua una traslazione degli assi cartesiani,
per cui si cambia lorigine delle rette concorrenti rispetto alle quali le
matrici dinerzia servono ad esprimere il momento dinerzia. Esprimiamo
la traslazione delle coordinate come:
xi = xi + di

()

+d
x=x

dove si sono marcate con un le coordinate relative ad uno dei due sistemi di
assi.
Allora avremo per definizione di matrice dinerzia, per esempio, per un
sistema materiale continuo:
=

ik =

ik

(xj xj

ik

xi xk ) dC

(
xj xj

ik

xi xk ) dC

Notiamo che la traslazione non cambia gli elementi di volume dal


momento che i parametri di traslazione di sono indipendenti dalle coordinate
e quindi:

224

A. Strumia, Meccanica razionale

f (
x) dC =

f (x) dC

per ogni funzione f integrabile sul dominio C.


Per cui possiamo scrivere:

ik

(xj xj

[(
xj + dj )(
xj + dj )

xi xk ) dC =

ik

(
xi + di )(
xk + dk )] dC

ik

Sviluppando e tenendo conto che per definizione di baricentro si ha:


m xGi =

xi dC

otteniamo la relazione tra le matrici dinerzia relative a centri diversi O e O,


origini dei sistemi di assi traslati:

ik

= ik + m [(dj dj + 2dj xGj )

ik

di dk

di xGk

xGi dk ]

(MI.35)

coincide con il baricentro G del sistema


In particolare se lorigine O
materiale le coordinate del baricentro risultano nulle:
xGi = 0
e quindi si ha la relazione pi semplice:

ik

= ik + m (dj dj

ik

di dk )

(MI.36)

momenti dinerzia

225

In forma simbolica abbiamo la relazione tra gli operatori dinerzia:


=

+ m (d2
I

d d)

(MI.37)

dove:

k ik k

Gli elementi di matrice risultano allora legati dalle relazioni seguenti:


A = AG + m (d22 + d23 )
B = BG + m (d21 + d23 )

(MI.38)

C = CG + m (d21 + d22 )
per quanto riguarda i momenti relativi agli assi. Questo risultato
evidentemente una conseguenza del teorema di Huygens-Steiner. Per i
momenti di deviazione abbiamo:
A0 = A0G + m d2 d3
0
B 0 = BG
+ m d1 d3

(MI.39)

C 0 = CG0 + m d1 d2
Osserviamo dunque che se gli assi aventi origine nel baricentro vengono
scelti in modo da essere assi principali dinerzia, gli assi traslati, in generale,
non sono principali.
Come caso particolare, quando il corpo una figura piana e la traslazione
viene effettuata nel piano della figura, per cui d3 = 0, lunico momento

226

A. Strumia, Meccanica razionale

di deviazione non nullo ancora C 0 . E questo rimane immodificato, dopo


la traslazione, solo se almeno uno dei due parametri d1 , d2 nullo, in altri
termini, se uno solo degli assi coordinati viene traslato. In questo caso, se gli
assi erano principali dinerzia prima della traslazione, anche gli assi traslati
sono assi principali dinerzia.

Rotazione degli assi


Quando si effettua una rotazione R
degli assi cartesiani, mantenendo
invariata lorigine, la rappresentazione della matrice dinerzia viene
modificata attraverso la trasformazione di similitudine:
T

(MI.40)

=R
R

In particolare notevole il caso in cui la figura piana e prima della


rotazione la matrice viene riferita ad assi principali dinerzia. Allora si
hanno le seguenti rappresentazioni per le matrici:

0 A+B

cos

sen 0

B
B
B
B
B
B
@

C
C
C
C,
C
C
A

0
B
B
B
B
B
B
@

C0

C0

A + B

1
C
C
C
C
C
C
A

e si ottiene:

0
B
B
B
B
B
B
@

sen cos 0
0

10
CB
CB
CB
CB
CB
CB
A@

0 A+B

10
CB
CB
CB
CB
CB
CB
A@

cos

sen 0

sen

cos

1
C
C
C
C
C
C
A

momenti dinerzia

227

Sviluppando si ottengono le seguenti leggi di trasformazione per gli


elementi di matrice:
A = A cos2 + B sen2
= B cos2 + A sen2
B
C0 = (A

(MI.41)

B) sen cos

essendo langolo di rotazione nel piano xy della figura. Notiamo che:


=A+B
A + B
= B , C0 = 0, che significa che se il
e inoltre, se A = B segue A = A , B
corpo ha struttura giroscopica la matrice dinerzia rimane inalterata dopo una
rotazione attorno allasse giroscopico.

Cinematica delle masse

CM. Cinematica delle masse


In questo capitolo introduciamo i concetti di quantit di moto, momento
della quantit di moto e di energia cinetica, e sviluppiamo i teoremi ad
essi relativi, indipendentemente dalla dinamica vera e propria, come abbiamo
fatto trattando dei baricentri e dei momenti dinerzia. Ora, per non ci basta
pi la sola conoscenza geometrica della distribuzione della massa del corpo,
ma abbiamo bisogno anche di informazioni relative allo stato cinetico del
sistema materiale che consideriamo: in particolare ci necessario conoscere
le velocit dei punti del sistema rispetto ad un osservatore. Perci questo
capitolo della meccanica viene denominato cinematica delle masse, in quanto
richiede informazioni cinematiche oltre che geometriche, relativamente ai
punti materiali che compongono il sistema.

Quantit di moto, momento della quantit di moto ed energia


cinetica
Introduciamo i concetti di quantit di moto, momento della quantit di
moto e di energia cinetica anzitutto per un punto materiale e successivamente
per un sistema di punti materiali.
a. punto materiale
Per un punto materiale P di massa m, dotato, in un certo istante, di
velocit v si definisce:
quantit di moto il vettore:

Q = mv
momento della quantit di moto

(CM.1)
rispetto ad un polo lo

230

A. Strumia, Meccanica razionale

pseudovettore:
K = P ^ mv

(CM.2)

energia cinetica lo scalare:


1
T = mv 2
2

(CM.3)

Queste tre grandezze si annullano se il punto ha velocit nulla, e


dipendono evidentemente dalla scelta dellosservatore del moto. Il momento
della quantit di moto dipende anche dalla scelta del polo e si annulla se
P . Lenergia cinetica inoltre sempre una quantit maggiore o uguale
a zero.
b. sistema di punti materiali
Per un sistema di punti materiali le definizioni precedenti si estendono in
modo del tutto naturale:
sistema discreto: per un sistema particellare abbiamo:

Q=

n
X

ms v s

(CM.4)

s=1

K =

n
X

s=1

Ps ^ ms v s

n
1X
T =
ms v 2s
2 s=1

(CM.5)

(CM.6)

sistema continuo: per un sistema continuo possiamo estendere le


definizioni precedenti associando a ciascun punto P un elemento di massa

cinematica delle masse

231

dm = dC dotato di velocit v; di conseguenza abbiamo, per ogni elemento


del corpo:
dQ = vdm = v dC

(CM.7)

dK = P ^ vdm = P ^ v dC

(CM.8)

1
1
dT = v 2 dm = v 2 dC
2
2

(CM.9)

Per cui, integrando sul dominio C che rappresenta linsieme dei punti del
corpo otteniamo, in termini finiti:
Q=

K =

v dC

P ^ v dC

1Z
T =
v 2 dC
2 C

(CM.10)

(CM.11)

(CM.12)

E immediato osservare che anche per un sistema di punti materiali


lenergia cinetica sempre maggiore o uguale a zero. Per quanto riguarda il
momento della quantit di moto esso varia al variare del polo secondo la legge
di distribuzione dei momenti, valida per tutti i sistemi di vettori applicati:
K 0 = K + 0 ^ Q

(CM.13)

Introdotte le definizioni procediamo ora con alcuni teoremi che sono utili
per il calcolo della quantit di moto, del momento della quantit di moto
e dellenergia cinetica, in quanto consentono di collegare fra loro queste

232

A. Strumia, Meccanica razionale

quantit valutate rispetto ad osservatori differenti, riducendo il numero di


integrali da calcolare.

Teorema del moto del baricentro


La quantit di moto di qualunque sistema materiale rispetto ad un
osservatore uguale alla quantit di moto del baricentro pensato come
se fosse un punto materiale al quale viene associata la massa dellintero
sistema
DIMOSTRAZIONE
Nel caso di un sistema discreto (il caso del continuo si tratta in modo
analogo) il baricentro identificato mediante la relazione (BA.8) dal vettore:

OG =

n
1 X
ms OPs
m s=1

dove m la massa totale del sistema. Riscriviamo, moltiplicando entrambi i


membri per m:

m OG =

n
X

ms OPs

(CM.14)

s=1

Derivando rispetto al tempo la (CM.14) otteniamo, tenendo conto che


lorigine O un punto fisso:

m vG =

n
X

s=1

ms v s = Q

cinematica delle masse

233

Dunque resta dimostrato il teorema del moto del baricentro, che in formula
si traduce nella:

Q = m vG

(CM.15)

Moto relativo al baricentro


Prima di passare ai due teoremi di Knig occorre introdurre il concetto di
sistema baricentrale e di moto relativo al baricentro.
Dato un osservatore qualunque Oxyz e un sistema materiale in moto
rispetto ad esso introduciamo un secondo sistema di riferimento, che prende
il nome di sistema baricentrale. Esso si caratterizza per il fatto che:
la sua origine coincide con il baricentro G del sistema materiale;
i suoi assi sono paralleli agli assi del sistema Oxyz
per cui il sistema baricentrale trasla rispetto al sistema dellosservatore
Oxyz.
Il moto del corpo in quanto osservato dallosservatore solidale con il
sistema baricentrale viene detto moto relativo al baricentro.
Per quanto riguarda le notazioni denoteremo con:
Q(G) =

n
X

ms v 0 s

(CM.16)

Ps ^ ms v 0s

(CM.17)

s=1

(G)

K =

n
X

s=1

234

A. Strumia, Meccanica razionale

z'

y'

x'

y
x

Figura CM. 1: sistema baricentrale

(G)

n
1X
=
ms v 02s
2 s=1

(CM.18)

la quantit di moto, e rispettivamente, il momento della quantit di moto e


lenergia cinetica rispetto al sistema baricentrale, avendo contrassegnato con
un apice le velocit dei punti rispetto agli assi baricentrali.
Osserviamo che, dal momento che nel sistema baricentrale il baricentro
coincide con lorigine degli assi, si ha di conseguenza:
v 0G = 0

(CM.19)

e grazie al teorema del moto del baricentro (CM.15) risulta:


Q(G) = 0

(CM.20)

cinematica delle masse

235

Primo teorema di Knig


Lenergia cinetica di un sistema materiale rispetto a un osservatore
qualunque uguale allenergia cinetica dello stesso sistema materiale
calcolata rispetto al sistema baricentrale sommata con lenergia
cinetica del moto del baricentro pensato come se fosse un punto
materiale al quale viene associata la massa dellintero sistema
DIMOSTRAZIONE
Conduciamo la dimostrazione per un sistema discreto; per definizione di
energia cinetica abbiamo:

T =

n
1X
ms v 2s
2 s=1

T (G) =

n
1X
ms v 02s
2 s=1

Per stabilire un legame fra queste due energie cinetiche occorre un legame
fra le velocit relative ai due osservatori. Il teorema di composizione delle
velocit di Galileo (MR.15) ci dice che, in generale, per un punto vale il
legame fra velocit assoluta e relativa:
v (a) = v (r) + v ( )
Nel nostro caso, per il generico punto Ps del sistema materiale, v s
rappresenta la velocit assoluta, v 0s la velocit relativa e la velocit di
trascinamento semplicemente la velocit del baricentro del sistema. Infatti,
per definizione, la velocit di trascinamento vale:
v ( ) = v + ! ^ P

236

A. Strumia, Meccanica razionale

Poich nel nostro caso G e ! = 0, dal momento che il sistema


baricentrale trasla rispetto al sistema assoluto, segue:
v ( ) = v G

(CM.21)

Quindi fra le velocit del generico punto Ps del sistema materiale sussiste
il legame:
v s = v 0s + v G

(CM.22)

Sostituendo questa legge di trasformazione nellespressione dellenergia


cinetica otteniamo:

T =

n
1X
ms (v 0s + v G )2 =
2 s=1

n
n
n
X
1X
1X
ms v 02s +
ms v 2G +
ms v 0 s v G =
2 s=1
2 s=1
s=1

1
= T (G) + mv 2G + Q(G) v G
2
Ma grazie al teorema del moto del baricentro abbiamo:
Q(G) m v 0G = 0
per cui lenunciato risulta dimostrato. In formula il primo teorema di Knig
risulta dunque espresso da dalla seguente relazione:
1
T = T (G) + mv 2G
2

(CM.23)

cinematica delle masse

237

Secondo teorema di Knig


Il momento della quantit di moto di un sistema materiale rispetto a
un osservatore qualunque uguale al momento della quantit di moto
dello stesso sistema materiale rispetto al sistema baricentrale sommato
con il momento della quantit di moto del baricentro pensato come se
fosse un punto materiale al quale viene associata la massa dellintero
sistema
DIMOSTRAZIONE
Per definizione di momento della quantit di moto di un sistema
particellare, calcolato rispetto a un polo abbiamo:

K =

n
X

Ps ^ ms v s

n
X

Ps ^ ms v 0s

s=1

(G)

K =

s=1

Introducendo il legame fra le velocit del generico punto Ps rispetto ai due


osservatori (CM.22) otteniamo:

K =

n
X

s=1

Ps ^ ms (v 0s + v G ) =

n
X

s=1

Ps ^ ms v 0s +

ma:
n
X

s=1

Ps ^ ms v G = m G ^ v G

n
X

s=1

Ps ^ ms v G

238

A. Strumia, Meccanica razionale

grazie alla definizione di baricentro. Da cui segue lenunciato; in formula il


secondo teorema di Knig viene dunque espresso dalla relazione:

(G)

K = K + G ^ mv G

(CM.24)

Notiamo che se il polo coincide con il baricentro i due momenti della


quantit di moto si uguagliano.
I vantaggi pratici di questi due teoremi di Knig risiedono nel fatto
che generalmente risulta pi semplice il calcolo dellenergia cinetica e del
momento della quantit di moto rispetto al sistema baricentrale, che rispetto
a un sistema qualunque.

Corpo rigido
Vediamo ora lapplicazione dei teoremi che abbiamo dimostrato al calcolo
delle grandezze che caratterizzano la cinematica delle masse nel caso del
corpo rigido.
quantit di moto
Cominciamo con losservare che, per quanto riguarda la quantit di moto,
grazie al teorema del moto del baricentro essa pu essere valutata, per
qualunque sistema meccanico, anche non rigido, con la sola conoscenza del
moto del baricentro del sistema e vale semplicemente:

Q = mv G
energia cinetica

cinematica delle masse

239

Per quanto riguarda lenergia cinetica esaminiamo i vari casi notevoli che
possono presentarsi:
corpo rigido libero
Grazie al primo teorema di Knig il calcolo dellenergia cinetica di
un corpo rigido libero si riconduce al calcolo dellenergia cinetica di un
corpo rigido con un punto fisso, in quanto rispetto al sistema baricentrale il
baricentro G del corpo risulta essere un punto fisso del moto coincidente con
lorigine degli assi.
z'
z
G

y'

x'
O

Figura CM. 2: il baricentro un punto fisso rispetto al sistema baricentrale

corpo rigido con un punto fisso


Il calcolo dellenergia cinetica di un corpo rigido con un punto fisso pu
essere effettuato partendo dalla definizione di energia cinetica di un sistema
e dalla legge di distribuzione delle velocit che lega fra loro le velocit dei
punti di un corpo rigido.
Adottando, per esempio lo schema continuo, dal momento che un corpo
rigido generalmente un continuo, avremo:

T =

1Z
v 2 dC
2 C

240

A. Strumia, Meccanica razionale

dove la velocit del generico punto del corpo :


v = v P = v + ! ^ P = ! ^ P
essendo:
v = 0
dal momento che un punto fisso. Ora calcoliamo il quadrato della velocit
del generico punto del corpo rigido con un punto fisso; abbiamo:
v 2 = (! ^ P ) (! ^ P ) = (! ^ P ) ^ ! P =
= ! 2 (P )2

(! P )2 = ! [(P )2
I

P P ]!

Introducendo questo risultato nellespressione dellenergia cinetica, e


tenendo conto che ! non dipende dal punto del corpo per cui si pu portare
fuori dal segno di integrale, otteniamo:
1
T = !
2

[(P )2
I

P P ] dC !

Ma sappiamo che:
=

[(P )2
I

P P ] dC

la matrice dinerzia riferita al centro , di conseguenza lenergia cinetica di


un corpo rigido con un punto fisso risulta essere data dalla forma quadratica,
definita positiva (se si eccettuano i casi degeneri in cui il corpo appartiene ad
una retta):

cinematica delle masse

241

T =

1
! !
2

(CM.25)

Osserviamo che se si rappresenta la matrice dinerzia su di un sistema di


assi solidali che siano assi principali dinerzia, la matrice risulta diagonale e
lespressione dellenergia cinetica si semplifica notevolmente. Denotando le
componenti del vettore velocit angolare rispetto agli assi solidali con:
! (p, q, r)
come di consueto, otteniamo infatti:
0

10

p
A 0 0
1
B
CB
C
T = (p, q, r) @ 0 B 0 A @ q A
2
0 0 C
r
ovvero:
T =

1
(Ap2 + Bq 2 + Cr2 )
2

(CM.26)

corpo rigido con un asse fisso


La formula dellenergia cinetica di un corpo rigido con un punto fisso
si pu riscrivere in un altro modo introducendo il versore u della velocit
angolare, per cui risulta:
! = !u
e sostituendo:
T =

1
1
!u !u = J ! 2
2
2

242

A. Strumia, Meccanica razionale

dove:
J =u u
rappresenta il momento dinerzia del corpo rigido rispetto alla retta passante
per il punto fisso avente, nellistante considerato, la direzione della velocit
angolare.
Nel caso in cui il corpo rigido ruoti attorno ad un asse fisso ci troviamo
in un caso particolare in cui non solo un punto, ma unintera retta del corpo
bloccata. Allora evidentemente la velocit angolare un vettore avente la
stessa direzione dellasse fisso e si pu esprimere, in termini della derivata
temporale dellangolo # che rappresenta lunico grado di libert del corpo:
! = # u

(CM.27)

Per cui lenergia cinetica di un corpo rigido con un asse fisso si pu


esprimere come:

T =

1 2
J#
2

(CM.28)

dove J rappresenta ora il momento dinerzia del corpo rigido rispetto allasse
fisso.
moto rigido piano
Nel caso del moto rigido piano sappiamo che latto di moto pu essere o
traslatorio o rotatorio: se latto di moto traslatorio e tutti i punti del corpo
rigido hanno la stessa velocit v, che quindi indipendente dal punto P , del
corpo, considerato, immediato, in base alla definizione di energia cinetica,
ottenere:

cinematica delle masse

243

1Z
1 2Z
1
1
2
T =
v dC = v
dC = mv 2 = mv 2G
2 C
2
2
2
C
energia che coincide con lenergia cinetica associata al moto del baricentro,
che si muove anchesso con la velocit di traslazione del corpo v.
Se latto di moto rotatorio, invece, il centro di istantanea rotazione un
punto del corpo rigido che nellistante considerato ha velocit nulla; perci la
velocit del generico punto del corpo rigido si pu esprimere come:

v = v P = ! ^ CP
e la velocit angolare ortogonale al piano del moto: il suo versore u perci
sempre lo stesso, e di conseguenza il calcolo dellenergia cinetica risulta
identico a quello che si ha per un corpo rigido con un asse fisso. In questo
caso per il momento dinerzia risulta calcolato rispetto ad un asse normale
al piano del moto e passante per il centro di istantanea rotazione C. Abbiamo
perci:

T =

1
JC ! 2
2

(CM.29)

dove JC rappresenta il momento dinerzia rispetto allasse di istantanea


rotazione, il quale passa per C.
Dal punto di vista operativo, per, non sempre facile o comodo
individuare il centro di istantanea rotazione e calcolare il momento dinerzia
rispetto allasse di istantanea rotazione, momento che pu essere anche
variabile nel tempo; per cui si pu sempre fare ricorso al primo teorema di
Knig, che risulta comunque valido. In questo caso possiamo scrivere:

244

A. Strumia, Meccanica razionale

T =

1
1
JG ! 2 + mv 2G
2
2

essendo, JG il momento dinerzia del corpo rigido rispetto ad un asse passante


per il baricentro e ortogonale al piano del moto.
Osserviamo che il modulo della velocit del baricentro si pu esprimere
come:
|v G | = |! ^ CG| = !d
dove si indicato:
d = |CG|
e si tenuto conto che il vettore velocit angolare ortogonale al piano del
moto e perci anche al vettore CG. Allora possiamo riscrivere:
T =

1
1
1
JG ! 2 + m ! 2 d2 = (JG + md2 ) ! 2
2
2
2

Evidentemente questo risultato deve essere compatibile con la (CM.29);


infatti il confronto ci d:
JC = JG + md2
in accordo con il teorema di Huygens-Steiner.
momento della quantit di moto
Passiamo ora al calcolo del momento della quantit di moto per un corpo
rigido, nei vari casi:
corpo rigido libero

cinematica delle masse

245

Analogamente a come si proceduto per il calcolo dellenergia cinetica,


anche il calcolo del momento della quantit di moto di un corpo rigido libero
si riconduce al caso del corpo rigido con un punto fisso, che in questo caso
il baricentro. Infatti grazie al secondo teorema di Knig ci si riconduce al
moto del corpo nel sistema baricentrale, nel quale esso risulta muoversi con il
baricentro fisso nellorigine; per cui:
(G)

K = K + G ^ mv G
corpo rigido con un punto fisso
Ricordiamo la definizione di momento della quantit di moto di un corpo
continuo, rispetto ad un polo (CM.11):
K =

P ^ v dC

e lespressione della velocit di un punto generico P di un corpo rigido con


un punto fisso coincidente con il quale scegliamo il polo :
v = v P = ! ^ P
Sostituendo nellespressione del momento della quantit di moto
otteniamo:
K =

P ^ (! ^ P ) dC

(CM.30)

Calcoliamo separatamente:

P ^ (! ^ P ) = (P )2 !

(P !) ! = [(P )2
I

Questo risultato, introdotto nella (CM.30), comporta:

P P ] !

246

A. Strumia, Meccanica razionale

K =

[(P )2
I

P P ] dC !

Riconosciamo nellintegrale fra parentesi graffe la matrice dinerzia del


corpo rigido calcolata rispetto al centro , e quindi possiamo scrivere
lespressione finale del momento della quantit di moto di un corpo rigido
con un punto fisso preso come polo:

(CM.31)

K = !

Osserviamo che il confronto fra questo risultato e la corrispondente


espressione dellenergia cinetica (CM.25), comporta il legame seguente fra
lenergia cinetica e il momento della quantit di moto per un corpo rigido con
un punto fisso:

T =

1
! K
2

(CM.32)

Se proiettiamo la (CM.31) su un sistema di assi solidali con il corpo


rigido che siano anche assi principali dinerzia otteniamo unespressione
semplificata grazie al fatto che la matrice risulta essere diagonale.
Abbiamo allora:
0

E dunque:

10

A 0 0
p
B
CB
K @ 0 B 0 A @ q C
A
0 0 C
r

K = A p e1 + B q e2 + C r e3

(CM.33)

cinematica delle masse

247

corpo rigido con un asse fisso


Un corpo rigido con un asse fisso costituisce un caso particolare di corpo
rigido con un punto fisso, in quanto oltre ad un punto fisso vi unintera retta
fissa. Allora possiamo specializzare lequazione (CM.31) al caso del moto
con un asse fisso. Per comodit conviene scegliere un sistema di assi solidali
in modo che, ad esempio lasse 3 coincida con lasse fisso del moto.
z =
x

Figura CM. 3: sistema solidale in cui lasse 3 coincide con lasse fisso
In questo modo la velocit angolare di rotazione del corpo attorno allasse
fisso si pu scrivere:

! (0, 0, #)
Teniamo conto che lasse fisso assegnato dal problema e non lo possiamo
scegliere noi ad arbitrio, per cui, in generale, dobbiamo prevedere che esso
non sar un asse principale dinerzia. Di conseguenza dovremo eseguire
il calcolo scrivendo la matrice dinerzia nella sua espressione pi generale.
Abbiamo:
0

A
B
K @ C0
B0

C0
B
A0

10
1
0
1
0
B 0 #
B0
B
C
B
C
A0 C
A @ 0 A @ A0 # A
C
#
C #

248

A. Strumia, Meccanica razionale

Dunque in generale per un corpo rigido con un asse fisso il momento della
quantit di moto risulta espresso da:
A0 #,
C #)

K ( B 0 #,

(CM.34)

Denotando con il momento dinerzia del corpo rispetto allasse fisso C


semplicemente con J , come abbiamo fatto per il calcolo dellenergia cinetica,
possiamo esprimere il momento assiale della quantit di moto rispetto allasse
fisso come:
K3 = K = K e3 = C # = J #
Segue allora nella (CM.32) che per un corpo rigido con un asse fisso
sussiste il seguente legame fra lenergia cinetica e il momento assiale della
quantit di moto:
T =

1
K #
2

(CM.35)

Qualora poi lasse fisso risulti essere asse principale dinerzia il momento
della quantit di moto risulta essere parallelo allasse fisso, in quanto, per
definizione di asse principale dinerzia, il versore dellasse fisso autovettore
della matrice dinerzia. Allora si ha semplicemente:
3
K = J #e

(CM.36)

moto rigido piano


Nel caso del moto rigido piano, come abbiamo visto per il calcolo
dellenergia, il versore della velocit angolare costante e perci i calcoli
sono gli stessi che si hanno per il moto con un asse fisso, solamente che in
questo caso lasse non fisso, ma la retta passante per il centro di istantanea
rotazione, ortogonale al piano del moto. Notiamo poi che, quando il corpo

cinematica delle masse

249

rigido una figura piana che si muove nel suo piano, allora tutte le rette
normali al piano della figura sono assi principali dinerzia e quindi lasse di
istantanea rotazione risulta essere un asse principale dinerzia.

Sistema olonomo
In un sistema olonomo risulta di particolare interesse, ai fini pratici, la
struttura che assume lespressione dellenergia cinetica, perci ci limitiamo
solamente al calcolo di questa. Partiamo dalla definizione di energia cinetica
(nel caso di un sistema particellare):

T =

n
1 X
ms v 2s
2 s=1

Ricordiamo che per un sistema olonomo abbiamo:

OPs = OPs (q1 , q2 , , qN , t)


da cui derivando rispetto al tempo otteniamo per la velocit:

vs =

@Ps
@Ps
qh +
@qh
@t

con la convenzione di Einstein di sottintendere la somma da 1 fino ad N sugli


indici h ripetuti. Sostituendo nellespressione dellenergia cinetica abbiamo:
n
1 X
@Ps
@Ps
T =
ms
qh +
2 s=1
@qh
@t

@Ps
@Ps

qk +
@qk
@t

250

A. Strumia, Meccanica razionale

n
1 X
@Ps
@Ps
@Ps
@Ps @Ps @Ps
@Ps @Ps
=
qh
qk +
qh
+

qk +

2 s=1 @qh
@qk
@qh
@t
@t
@qk
@t
@t

n
n
n
X
1 X
@Ps @Ps
@Ps @Ps
1 X
@Ps
=
ms

qh qk +
ms

qh +
ms
2 s=1
@qh
@qk
@qh
@t
2 s=1
@t
s=1

!2

E conveniente introdurre ora le seguenti quantit:

ahk =

n
X

s=1

bh =

n
X

s=1

@Ps @Ps

@qh
@qk

(CM.37)

@Ps @Ps

@qh
@t

(CM.38)

!2

(CM.39)

ms

ms

n
1 X
@Ps
d=
ms
2 s=1
@t

Ne consegue che lespressione dellenergia cinetica per un sistema


olonomo a N gradi di libert, assume la forma generale, abbastanza semplice:

T =

1
ahk qh qk + bh qh + d
2

(CM.40)

Osserviamo che, in generale, dal momento che le funzioni OPs dipendono


dai parametri lagrangiani e dal tempo, date le loro definizioni, anche le
funzioni ahk , bh , d risultano dipendere dai parametri lagrangiani e dal tempo,
e non dalle qh . Perci lenergia cinetica di un sistema olonomo risulta essere
espressa da un polinomio di secondo grado nelle qh .

cinematica delle masse

251

Per non avere a che fare con gli indici possiamo introdurre la notazione
vettoriale, nello spazio delle configurazioni, per i parametri lagrangiani e le
loro derivate temporali:
q (q1 , q2 , , qN ) (qh )

(CM.41)

q (q1 , q2 , , qN ) (qh )

(CM.42)

da cui segue:

Allora i coefficienti che compaiono nellespressione dellenergia cinetica


si interpretano come una matrice, definita da:
(CM.43)

a
k ahk k
che prende il nome di matrice dellenergia cinetica; un vettore:

(CM.44)

b (bh )

e uno scalare d. Queste quantit sono in generale funzioni di q e di t:


a
=a
(q, t),

b = b(q, t),

d = d(q, t)

Allora la relazione (CM.40) si scrive in forma simbolica:

T =

1
q a
(q,t)q + b(q, t) q + d(q, t)
2

(CM.45)

252

A. Strumia, Meccanica razionale

Se i vincoli sono indipendenti dal tempo (scleronomi), data la loro


definizione, le quantit b e d sono nulle e la matrice a
non dipende
esplicitamente dal tempo. Abbiamo allora semplicemente:

T =

1
q a
(q)q
2

(CM.46)

Concludiamo evidenziando le propriet della matrice dellenergia


cinetica. Essa gode di due propriet:
una matrice simmetrica come si vede immediatamente dalla
definizione (CM.37) dei suoi elementi di matrice, che non vengono alterati
dallo scambio degli indici;
definita positiva come si vede dal fatto che lenergia cinetica

un numero sempre positivo e si annulla se e solo se si annullano le q.


Questa seconda propriet risulta evidente se si considera un sistema a vincoli
indipendenti dal tempo, ma lo anche per un sistema a vincoli reonomi, in
quanto si pu sempre pensare alla quantit:
1
T = q a
(q,t)q
2
come allenergia cinetica di un sistema uguale a quello assegnato, ma con
i vincoli bloccati nella configurazione che assumono nellistante t. Dunque
la forma quadratica T risulta pure positiva e la matrice a
quindi definita
positiva.
Quando si fanno particolari idealizzazioni matematiche di un sistema
meccanico possono presentarsi casi degeneri in cui la matrice sia semidefinita
positiva: questo accade quando si suppone che almeno un grado di libert del
sistema sia associato ad una parte del sistema meccanico che viene supposta
priva di massa; in questo caso lenergia cinetica associata a questa parte del
sistema nulla e la forma quadratica dellenergia cinetica pu annullarsi

anche se non si annullano tutte le q.

Lavoro e potenziale

LP. Lavoro e potenziale


Forza
In questa sezione dobbiamo introdurre un nuovo concetto che assumiamo
come primitivo dalla fisica: il concetto di forza. Ci occuperemo anzitutto di
una singola forza applicata ad un punto e successivamente dei sistemi di forze
applicate in pi punti.
Lesperienza mostra che i punti materiali non isolati sono capaci di
interagire fra loro. Le interazioni fra i punti materiali possono essere di
varia natura: gravitazionale, elettromagnetica, ecc. In ogni caso lazione
di uno o pi punti materiali su un altro punto materiale si pu descrivere
adeguatamente mediante un vettore applicato che chiamiamo forza.
Lesperienza permette di stabilire che la forza agente su un punto
materiale, nella sua caratterizzazione pi generale, una funzione della
posizione del punto P al quale applicata, cio delle sue coordinate, della
velocit del punto P e del tempo:
F = F (P, v, t)
ovvero indicando con:
OP (x, y, z)
le coordinate di P e con:
v (x,
y,
z)

le componenti della velocit, risulta che:

(LP.1)

lavoro e potenziale

255

F = F (x, y, z, x,
y,
z,
t)

(LP.2)

e cio la forza , nel caso pi generale, una funzione di sette variabili.


Denoteremo, indifferentemente, con Fi , i = 1, 2, 3 o con Fx , Fy , Fz le
componenti della forza rispetto al sistema di assi cartesiani prescelto.
In molti problemi fisici le forze non dipendono dal tempo, n dalla
velocit, ma solo dalle coordinate del punto P , cio dalla posizione del punto:
in tal caso la forza si dice posizionale:

F = F (P ) = F (x, y, z)

(LP.3)

Lavoro di una forza


Introduciamo ora il concetto di lavoro di una forza applicata ad un punto.
Consideriamo, anzitutto, i lavori infinitesimi: il lavoro infinitesimo una
forma differenziale lineare ottenuta prendendo il prodotto scalare della forza
per uno spostamento infinitesimo del suo punto di applicazione. Dal momento
che, come abbiamo visto in cinematica dei sistemi (CS), distinguiamo due tipi
di spostamenti infinitesimi, di conseguenza distinguiamo due tipi di lavoro
infinitesimo:
il lavoro possibile definito come il prodotto scalare della forza per lo
spostamento possibile del punto di applicazione:

@L = F @P = Fx @x + Fy @y + Fz @z

(LP.4)

il lavoro virtuale definito come il prodotto scalare della forza per lo


spostamento virtuale del punto di applicazione:

256

A. Strumia, Meccanica razionale

L = F P = Fx x + Fy y + Fz z

(LP.5)

Nella pratica nei casi in cui non c ambiguit di interpretazione si usa


generalmente il simbolo d, mentre si ricorre alle altre notazioni quando
necessario distinguere esplicitamente a quale tipo di lavoro si fa riferimento.
In particolare, nella dinamica utilizzeremo di regola la scrittura:

dL = F dP
per denotare il lavoro compiuto dalla forza durante il moto, cio in
corrispondenza dello spostamento fisico dP compiuto dal punto sotto lazione
della forza F .

Lavoro lungo un cammino finito


Scelta una curva di estremi P1 e P2 la forma differenziale del lavoro pu
essere integrata per ottenere il lavoro della forza lungo la curva , cio lungo
il cammino finito prescelto per andare da P1 a P2 .
Ora, la curva

nota quando si conosce una sua parametrizzazione:

OP = OP (s)

(LP.6)

che equivale a dire, rispetto ad una terna cartesiana ortogonale:


8
>
<

x = x(s)
y = y(s) ,
>
:
z = z(s)

s1 s s2

(LP.7)

lavoro e potenziale

257

P1

P
T
F

P2

Figura LP. 1: lavoro di una forza lungo un cammino finito

Inoltre il moto del punto P lungo la curva risulta completamente noto


se si assegna la legge oraria con la quale la traiettoria viene percorsa:
t1 t t2

s = s(t),

(LP.8)

essendo:
s1 = s(t1 ),

s2 = s(t2 )

le ascisse curvilinee di partenza e di arrivo agli estremi della curva,


corrispondenti agli istanti iniziale e finale t1 e t2 del tempo.
Vediamo ora come si calcola, nei vari casi, lintegrale del lavoro lungo un
cammino finito:
L=

F dP =

Fx dx + Fy dy + Fz dz

(LP.9)

258

A. Strumia, Meccanica razionale

caso generale
Nel caso pi generale in cui la forza abbia la struttura espressa dalla
(LP.1) lintegrale curvilineo pu essere ricondotto ad un integrale di Riemann
nel quale la variabile dintegrazione il tempo. Infatti la forza contiene
esplicitamente la variabile t e si pu esprimere come funzione di t facendo
uso delle equazioni della traiettoria (LP.6) e della legge oraria (LP.8). Allora
la forza F in funzione del tempo assume la forma:
F (t) = F (P (s(t)), v(s(t)), t)
dove:
v(s(t)) =

dP
(s(t))
dt

Il differenziale dello spostamento dP , che compare nellintegrale del


lavoro (LP.9), pu essere a sua volta espresso in termini del tempo, osservando
che:
dP = vdt
Allora lintegrale del lavoro lungo il cammino finito
allintegrale di Riemann:
L=

Z t2
t1

F (P (s(t)), v(s(t)), t) v(s(t)) dt

Ovvero, pi brevemente:
L=
dove la funzione integranda:

Z t2
t1

W (t) dt

(LP.10)
si riconduce

lavoro e potenziale

259

W (t) = F v

(LP.11)

prende il nome di potenza sviluppata dalla forza F . Osserviamo che la


velocit del punto P , in quanto funzione composta del tempo attraverso s
si pu anche scrivere nel modo seguente:
v=

dP
dP
(s(t)) =
s = T s
dt
ds

come noto dalla cinematica del punto. Allora la potenza si pu anche


scrivere:
W (t) = F T s = FT s

(LP.12)

FT = F T

(LP.13)

dove:

la componente, tangente alla curva, della forza F . Allora risulta che


solamente la FT contribuisce al lavoro e, di conseguenza, il lavoro risulta
essere nullo se la forza si mantiene, punto per punto, normale alla curva .
Nel caso pi generale il lavoro di una forza lungo un cammino finito
dipende dalla forma della traiettoria e dalla legge oraria con cui si muove il
punto di applicazione.
forza posizionale
Analizzato il caso pi generale esaminiamo il caso particolare della forza
posizionale , cio del tipo (LP.3). In questo caso lintegrale del lavoro
pu essere ricondotto a un integrale di Riemann nella variabile s, senza
coinvolgere il tempo. Infatti: tenendo conto del fatto che il versore tangente
alla traiettoria definito come:

260

A. Strumia, Meccanica razionale

T =

dP
ds

segue subito che:


dP = T ds

(LP.14)

legame che puramente geometrico e non pi cinematico come invece


la (LP.10). Daltra parte la F si pu esprimere in termini di s con la sola
conoscenza della traiettoria. Allora, quando la forza posizionale, la funzione
integranda diviene:
FT (s) = F (P (s)) T (s)

(LP.15)

e lintegrale del lavoro :


L=

Z s2
s1

FT (P (s)) ds

(LP.16)

Notiamo che, fissata una certa curva , potrebbe anche accadere che
solamente la componente tangente FT di una certa forza F fosse indipendente
da v e da t, mentre la componente della forza sul piano normale alla curva
potrebbe dipendere da queste variabili: in questo caso il lavoro sarebbe
sempre esprimibile mediante la (LP.16) anche se la forza non posizionale.
Naturalmente, per in questo caso, cambiando la curva si ritornerebbe al
caso generale. Se la forza F posizionale, invece, il lavoro espresso dalla
(LP.16) qualunque sia la scelta della traiettoria.
Il lavoro di una forza posizionale lungo un cammino finito dipende dalla
forma della traiettoria ma non dalla legge oraria con cui si muove il punto
di applicazione.

lavoro e potenziale

261

forza conservativa e potenziale


Introduciamo, anzitutto, la definizione di forza conservativa.
Una forza si dice conservativa quando la forma differenziale del suo
lavoro un differenziale esatto
Ricordiamo che una forma differenziale lineare si dice esatta quando
esiste una funzione U a un sol valore, regolare, tale che il suo differenziale
totale uguale alla forma differenziale esaminata; la funzione U si dice
potenziale.
Nel nostro caso il lavoro di una forza una forma differenziale del tipo:
dL = Fx dx + Fy dy + Fz dz
e risulta essere una forma differenziale esatta se esiste una funzione regolare
a un sol valore:
U = U (x, y, z)
tale che:

dL = dU

(LP.17)

Deve perci sussistere lidentificazione fra il differenziale della funzione


U e la forma differenziale del lavoro:
Fx dx + Fy dy + Fz dz

@U
@U
@U
dx +
dy +
dz
@x
@y
@z

262

A. Strumia, Meccanica razionale

Notiamo che affinch questa identificazione possa sussistere U deve


essere necessariamente funzione delle sole variabili x, y, z e non di eventuali
altre variabili, come le componenti della velocit o il tempo.
Ne consegue allora lidentificazione delle componenti della forza con le
derivate parziali della funzione U :

Fx =

@U
(x, y, z),
@x

Fy =

@U
(x, y, z),
@y

Fz =

@U
(x, y, z)
@z

Questo risultato ci informa anche del fatto che se una forza conservativa
le sue componenti, essendo le derivate parziali di una funzione di x, y, z,
possono essere funzioni solamente delle coordinate del punto di applicazione
e non possono dipendere dalla velocit e dal tempo. Di conseguenza una
forza conservativa necessariamente posizionale, mentre non vale il viceversa
in quanto possono esistere forze posizionali che non sono conservative, in
quanto il loro lavoro non un differenziale esatto.
Possiamo anche scrivere in termini di vettori:
F = rU

(LP.18)

Dire che una forza conservativa equivale anche a dire che essa il
gradiente della funzione potenziale U , che si dice allora potenziale della
forza F . Perci si dice anche che una forza conservativa quando ammette
potenziale.
Sottolineiamo che il potenziale essendo definito mediante una
condizione differenziale come la (LP.17) risulta definito sempre a meno di
una costante additiva arbitraria. Per individuare univocamente il valore del
potenziale in un punto bisogna assegnare il valore di tale costante, il che
equivale ad assegnare il valore zero al potenziale in un certo punto (proprio o
improprio) dello spazio.

lavoro e potenziale

263

Tornando ora al problema del lavoro lungo un cammino finito,


calcoliamo il lavoro finito di una forza conservativa. Dal momento che la
forza conservativa necessariamente posizionale, partiamo dallespressione
del lavoro (LP.16) e introduciamo linformazione (LP.18) nella (LP.15)
ottenendo:

FT (s) = rU (xi (s)) T (s) =

@U dxi
dU (xi (s))
dU (P (s))
=
=
@xi ds
ds
ds

Allora:

FT (s) =

dU (P (s))
ds

(LP.19)

la derivata direzionale di U lungo la tangente alla curva


lintegrale del lavoro (LP.16) si scrive:

L=

Z s2
s1

FT (s) ds =

Z s2

s=s

= [U (P (s))]s=s21 = U (P (s2 ))

s1

. Quindi

dU (P (s))
ds =
ds

U (P (s1 )) = U (P2 )

U (P1 )

Dunque quando la forza conservativa il lavoro dato dalla differenza del


potenziale calcolato nei punti estremi del cammino dintegrazione :
L = U (P2 )

U (P1 )

(LP.20)

Dal momento che il potenziale non dipende dalla curva, ma solamente


dalle coordinate del punto in cui viene calcolato, si ottiene che il lavoro
dipende solo dai punti estremi e non dalla curva percorsa per congiungerli.

264

A. Strumia, Meccanica razionale

Il lavoro di una forza conservativa lungo un cammino finito non dipende


n dalla forma della traiettoria n dalla legge oraria con cui si muove il punto
di applicazione, ma solo dai punti estremi della traiettoria.
Dal fatto che U per ipotesi una funzione a un sol valore (funzione
monodroma) segue anche che se si prendono P1 e P2 coincidenti (curva
chiusa) si ha:
U (P2 ) = U (P1 )
e quindi:
L=0
Possiamo mostrare che vero anche il viceversa e cio: se il lavoro non
dipende dalla curva , ma solamente dai suoi estremi (il che equivale a dire:
se il lavoro lungo un qualunque cammino chiuso nullo) allora la forza
conservativa. Infatti possiamo applicare il teorema della media allintegrale
del lavoro ottenendo:
L=

Z s2
s1

F T ds = F (P (
s)) T (
s) (s2

s1 )

dove s un valore opportuno dellintervallo [s1 , s2 ]. Ora tenendo conto della


(LP.20) abbiamo:
U (P (s2 ))

U (P (s1 )) = F (P (
s)) T (
s) (s2

s1 )

da cui segue, trascurando i termini di ordine superiore al primo, per piccoli


incrementi di s:
dU (P (s)) = F (P (s)) dP (s)

lavoro e potenziale

265

Ovvero:
F (P ) = rU (P )
e quindi la forza risulta essere conservativa.
Se invece la funzione U fosse una funzione a pi valori (relazione o
funzione polidroma), potrebbe risultare anche: U (P2 ) 6= U (P1 ) e quindi un
lavoro non nullo lungo un cammino chiuso ( quanto accade, ad esempio in
un circuito elettrico chiuso su un generatore).
In conseguenza dei teoremi noti dallanalisi per le forme differenziali
valgono i seguenti risultati:
condizione necessaria affinch una forza sia conservativa che sia
posizionale e che valga la condizione:
r^F =0

(LP.21)

la condizione (LP.21) diviene anche sufficiente se il dominio sul quale


definita la funzione F (P ) semplicemente connesso.

Superfici equipotenziali e linee di forza


Chiamiamo superficie equipotenziale il luogo geometrico dei punti dello
spazio per i quali il potenziale di una forza conservativa assume un valore
costante.
Detta U (x, y, z) la funzione potenziale questo luogo viene caratterizzato
mediante lequazione cartesiana:
U (x, y, z) = C

(LP.22)

266

A. Strumia, Meccanica razionale

Dal momento che il potenziale definito a meno di una costante additiva


arbitraria, segue che il valore della costante C pu essere determinato
univocamente per ogni superficie equipotenziale, solo dopo aver assegnato
convenzionalmente il valore zero (o un altro valore) al potenziale su di una
superficie equipotenziale di riferimento. In tal modo il valore del potenziale
viene ad essere identificato per ogni altra superficie.
Se differenziamo la (LP.22) otteniamo evidentemente:
dU = 0
che significa il risultato ovvio che spostando il punto di applicazione di
una forza conservativa lungo una curva appartenente ad una superficie
equipotenziale, il potenziale non cambia. Questo comporta, mediante la
(LP.17):
dL = 0
Ci significa che, spostando il punto di applicazione di una forza lungo
una curva appartenente ad una superficie equipotenziale, il lavoro della forza
nullo, ovvero per definizione di lavoro:
F dP = 0
Poich gli spostamenti dP sono tangenti alla superficie equipotenziale,
dal momento che ci muoviamo su di essa, lannullarsi del prodotto scalare del
lavoro equivale a dire che la forza normale punto per punto alla superficie
equipotenziale, o al pi nulla.
Si dicono allora linee di forza quelle curve che in ogni punto sono tangenti
ai vettori di forza.
Di conseguenza le linee di forza risultano essere punto per punto normali
alle superfici equipotenziali che attraversano.

lavoro e potenziale

267

Figura LP. 2: superfici equipotenziali e linee di forza

Esempi
Esaminiamo ora alcuni esempi fisici di forze conservative che si
incontrano molto di frequente, delle quali calcoliamo il potenziale.
Forza peso
La forza peso agente su un corpo costituito di punti materiali una forza
caratterizzabile mediante le seguenti due propriet note dallesperienza:
un vettore applicato nel baricentro G del corpo;
un vettore proporzionale alla massa del corpo:

F = mg

(LP.23)

dove il vettore g costante, in prima approssimazione, in vicinanza della


superficie terrestre.
E immediato verificare che la forza peso una forza conservativa, infatti
il suo lavoro vale:

268

A. Strumia, Meccanica razionale

dL = F dG = mg dOG = d(mg OG + C)
e risulta essere un differenziale esatto perch espresso proprio come il
differenziale di una funzione regolare a un sol valore:
(LP.24)

U = m g OG + C

Per calcolarlo esplicitamente abbiamo bisogno di scegliere un sistema


di assi cartesiani sui quali proiettare le grandezze vettoriali in gioco.
Generalmente sono convenienti due possibili scelte della terna di assi, luna
in alternativa allaltra:
prima scelta: prendiamo il sistema cartesiano in modo che il piano
xy coincida con il piano orizzontale, cio con il piano normale al vettore g
e lasse z, che risulta di conseguenza parallelo a g, sia orientato verso lalto,
cio in verso discorde rispetto a g.
z
G
mg
O

Figura LP. 3: prima scelta del riferimento per il calcolo del potenziale del peso

Allora possiamo rappresentare i vettori mediante le loro componenti,


ottenendo:

lavoro e potenziale

269

F (0, 0, mg),

OG (xG , yG , zG )

dove g il modulo di g. Introducendo queste informazioni nella (LP.24) segue


lespressione del potenziale:
U=

(LP.25)

mgzG + C

Generalmente comodo scegliere C = 0 in modo che il potenziale sia


nullo al suolo, cio per zG = 0.
Seconda scelta. Una scelta alternativa alla precedente consiste nella
scelta, a parit della altre condizioni, dellasse z orientato verso il basso, cio
in verso concorde con il vettore g.
x

y
G
mg
z

Figura LP. 4: seconda scelta del riferimento per il calcolo del potenziale del
peso
In questo caso le componenti dei vettori sono:
F (0, 0, mg),

OG (xG , yG , zG )

e quindi il potenziale risulta essere dato da:

270

A. Strumia, Meccanica razionale

(LP.26)

U = mgzG + C
con il vantaggio di avere eliminato il segno negativo dalla formula.
forza centrale

Si dice forza centrale una forza la cui retta dazione passa sempre per
un punto fisso C dello spazio detto centro di forza, comunque venga
fatto variare il suo punto di applicazione P
Quando una forza centrale dipende solo dalla distanza del suo punto di
applicazione dal centro di forza, allora risulta essere conservativa.

u
F

Figura LP. 5: seconda scelta del riferimento per il calcolo del potenziale del
peso

Infatti, detto u il versore di CP possiamo rappresentare, in base alla


definizione data, una forza centrale che dipende solo dalla distanza come:

F = F (r)u,

r = |CP |

(LP.27)

lavoro e potenziale

271

Se F (r) > 0 la forza si dice repulsiva in quanto tende ad allontanare il


punto P su cui agisce dal centro di forza, viceversa se F (r) < 0 viene detta
attrattiva.
Verifichiamo che una tale forza conservativa e ne calcoliamo il
potenziale. Calcoliamo il lavoro:
dL = F dP = F (r)u dCP
Ma:
CP = ru
e quindi:
dL = F (r)u (udr + rdu)
Tenendo conto che u un versore abbiamo:
u2 = 1

u du = 0

=)

da cui:
dL = F (r) dr
Supponendo che F (r) sia una funzione continua, come accade
generalmente per le variabili di natura fisica, possibile scrivere
F (r) dr = d

Z r
r0

F (
r) d
r

Abbiamo dunque espresso il lavoro come il differenziale della funzione:

272

A. Strumia, Meccanica razionale

U (r) =

Z r
r0

F (
r) d
r

(LP.28)

Un tipico esempio di forza centrale dipendente dalla distanza dato dalla


forza gravitazionale di Newton per la quale risulta:

F (r) =

Mm
r2

(LP.29)

e quindi:

U (r) = h

Mm
+C
r

(LP.30)

In questo caso lo zero del potenziale viene generalmente scelto allinfinito


in modo che risulti:

U (r) = h

Mm
r

(LP.31)

Lavoro di un sistema di forze


Oltre al lavoro di una singola forza applicata ad un punto si definisce il
lavoro di un sistema di forze applicate in pi punti. Un sistema di forze
pu essere un insieme discreto oppure una distribuzione continua di vettori
di forza i cui punti di applicazione costituiscono un insieme che ha la potenza
del continuo. Va evidenziato che se un sistema di forze agisce su di un corpo
non vi sono necessariamente forze applicate su tutti i punti del corpo, per
cui pu benissimo accadere che un corpo sia continuo, ma che i punti ai
quali sono applicate le forze che agiscono su di esso costituiscano un insieme
discreto. Perci linsieme dei punti di applicazione di un sistema di forze non

lavoro e potenziale

273

va identificato con linsieme dei punti materiali che costituiscono il corpo sul
quale il sistema di forze agisce.
Lavoro di un sistema discreto di forze
Dato il sistema discreto di n forze applicate in n punti:
F = {(Ps , F s ), s = 1, 2, , n}
si definisce lavoro del sistema di forze la somma dei lavori di tutte le forze al
variare dei rispettivi punti di applicazione. In particolare, come per il lavoro
di una sola forza si distinguono:
il lavoro possibile:

@L =

n
X

F s @Ps

(LP.32)

n
X

F s Ps

(LP.33)

s=1

e il lavoro virtuale:

L=

s=1

Nella pratica nei casi in cui non c ambiguit di interpretazione si usa


generalmente il simbolo d, scrivendo:

dL =

n
X

s=1

F s dPs

Si noti che qualora si voglia integrare il lavoro di un sistema di forze,


occorre considerare il lavoro finito di ogni forza integrato sulla traiettoria s
del rispettivo punto di applicazione, e cio:

274

A. Strumia, Meccanica razionale

L=

n Z
X

s=1

F s dPs

mentre si ricorre alle altre notazioni quando necessario distinguere


esplicitamente a quale tipo di lavoro si fa riferimento.
Lavoro di un sistema continuo di forze
Dato il sistema continuo di forze applicate ai punti di un dominio C, avente
la potenza del continuo, ad ogni elemento dC centrato in un punto P del
dominio si associa lelemento di forza:
dF = f (P, v, t) dC

(LP.34)

dove la funzione f (P, v, t), che si suppone definita su tutto il dominio, detta
densit di forza. La relazione (LP.34) si dice legge di distribuzione della forza.
In questo caso si definisce lavoro del sistema di forze lintegrale dei lavori
di tutti gli elementi di forza al variare dei rispettivi punti di applicazione. In
particolare si distinguono:
il lavoro possibile:
@L =

f (P, v, t) @P dC

(LP.35)

f (P, v, t) P dC

(LP.36)

e il lavoro virtuale:
L=

In questo caso, il lavoro finito lintegrale su tutto il dominio C, che


definisce il continuo, dei lavori delle singole forze integrati sulle rispettive
traiettorie (P ) dei punti di applicazione:

lavoro e potenziale

275

L=

Z Z
C

(P 0 )

f (P, v, t) @P dC 0

Nel seguito ci riferiremo a sistemi di forze discreti, avendo indicato qui


come procedere per lestensione dei risultati al continuo.

Lavoro di un sistema di forze applicate a un corpo rigido


Supponiamo di avere un sistema discreto di n forze applicate ad n punti
di un corpo rigido: in questo caso il lavoro possibile e il lavoro virtuale
acquistano una caratterizzazione particolare in quanto i punti del corpo non si
possono muovere arbitrariamente, ma i loro spostamenti sono soggetti alla
legge di distribuzione (CR.70) che possiamo specializzare nel nostro caso
come:

@Ps = @ + @

^ Ps

(LP.37)

^ Ps

(LP.38)

per gli spostamenti possibili e:

Ps = +

per gli spostamenti virtuali. Notiamo che se il corpo rigido libero gli
spostamenti virtuali e quelli possibili coincidono, perch lunico vincolo
presente il vincolo di rigidit che indipendente dal tempo. Se il corpo
rigido soggetto anche a vincoli esterni gli spostamenti non coincideranno se
i vincoli esterni dipendono dal tempo.
Introducendo la legge di distribuzione degli spostamenti nella definizione
di lavoro di un sistema di forze otteniamo, per esempio per il lavoro virtuale:

276

A. Strumia, Meccanica razionale

L=

n
X

s=1

n
X

s=1

Fs ( +

Fs +

n
X

^ Ps ) =

Fs

s=1

^ Ps

Dal momento che indipendente dallindice s possiamo raccoglierlo


a fattor comune nella prima sommatoria a secondo membro della relazione
precedente:
n
X

s=1

Fs =

n
X

s=1

Fs = R

avendo introdotto il vettore risultante delle forze applicate:

R=

n
X

Fs

s=1

Inoltre utilizzando la propriet commutativa del prodotto scalare,


possiamo scrivere:
Fs

^ Ps =

^ Ps F s

Infine per le propriet del prodotto misto possiamo scambiare gli operatori
^ e ottenendo:
^ Ps F s =

Ps ^ F s

Scrivendo ora la seconda sommatoria che compare nellespressione del


lavoro prima calcolata raccogliamo
a fattor comune:

lavoro e potenziale

n
X

s=1

277

Ps ^ F s =

n
X

s=1

Ps ^ F s = M

avendo introdotto il vettore momento risultante delle forze applicate:

M =

n
X

s=1

Ps ^ F s

Introducendo questi risultati nellespressione del lavoro abbiamo,


finalmente che il lavoro virtuale di un sistema di forze applicate ad un corpo
rigido si esprime mediante la relazione:

L = R + M

(LP.39)

Lo stesso risultato si ottiene per il lavoro possibile.


Come caso particolare si ha il lavoro di una coppia applicata ad un corpo
rigido avente momento M il cui valore , com noto indipendente dal polo.
Poich per una coppia il risultante nullo, abbiamo nella (LP.39):
Lcoppia = M

(LP.40)

Dai risultati precedenti traiamo unimportante conseguenza: poich il


lavoro di un sistema di forze applicate ai punti di un corpo rigido dipende
solo dal risultante e dal momento risultante delle forze, ne consegue che il
lavoro non alterato se si compiono delle operazioni elementari sul sistema
di vettori applicati delle forze, dal momento che tali operazioni non alterano
n il risultante n il momento risultante. In mancanza della condizione di
rigidit ci non pi vero, perch il lavoro viene a dipendere da ogni singola
forza applicata e dai singoli spostamenti dei punti di applicazione.

278

A. Strumia, Meccanica razionale

Tutti i risultati precedenti sono applicabili anche ad un corpo non rigido


quando viene sottoposto a soli spostamenti rigidi, cio tali da rispettare la
condizione di rigidit attraverso la legge di distribuzione degli spostamenti
rigidi.

Lavoro di un sistema di forze applicate a un sistema olonomo


Un sistema olonomo a N gradi di libert caratterizzato dalla relazione
(CS.21):

OPs = OPs (q1 , q2 , , qN , t)


che identifica le coordinate dei punti del sistema mediante i parametri
lagrangiani qh e il tempo. Se i vincoli sono dipendenti dal tempo gli
spostamenti possibili:

@Ps =

@Ps
@Ps
@qh +
@t
@qh
@t

si diversificano dagli spostamenti virtuali:

Ps =

@Ps
qh
@qh

E quindi anche i lavori virtuali e possibili si diversificano tra loro.


Abbiamo per il lavoro possibile:
n
X

@Ps
@Ps
@L =
Fs
@qh +
@t =
@qh
@t
s=1

lavoro e potenziale

279

n
X

s=1

Fs

n
X
@Ps
@Ps
@qh +
Fs
@t
@qh
@t
s=1

E per il lavoro virtuale:

L=

n
X

s=1

Fs

@Ps
qh
@qh

E conveniente introdurre le quantit:

Qh =

n
X

s=1

Fs

@Ps
@qh

che prendono il nome di forze generalizzate di Lagrange


componenti lagrangiane delle forze. Inoltre la quantit:

W =

n
X

s=1

Fs

@Ps
@t

(LP.41)
o anche di

(LP.42)

che rappresenta la potenza sviluppata dalle forze al variare dei vincoli.


Otteniamo allora, per i lavori delle forze agenti su di un sistema olonomo
le seguenti espressioni:

@L = Qh @qh + W @t

(LP.43)

L = Qh qh

(LP.44)

A queste formule possiamo dare in alternativa una rappresentazione


simbolica anzich indiciale introducendo i vettori a N componenti:

280

A. Strumia, Meccanica razionale

q (qh ),

Q (Qh )

Abbiamo allora nelle espressioni dei lavori:

@L = Q @q + W @t

(LP.45)

L=Q q

(LP.46)

nelle quali indica il prodotto scalare nello spazio delle configurazioni.

Sistemi di forze conservativi


Diamo la seguente definizione di sistema di forze conservativo.
Un sistema di forze si dice conservativo quando la forma differenziale
del lavoro totale delle forze un differenziale esatto, cio il
differenziale di una funzione regolare a un sol valore U
In tal caso il potenziale U rappresenta il potenziale relativo allintero
sistema di forze.
Notiamo che se ogni singola forza applicata a un punto del sistema
conservativa allora lintero sistema di forze conservativo, perch la
somma di differenziali esatti ancora un differenziale esatto. Tuttavia pu
anche accadere che le singole forze, considerate separatamente non siano
conservative, ma lo siano nel loro complesso, in quanto i differenziali dei
lavori di ciascuna forza non sono differenziali esatti, ma lo la loro somma.

lavoro e potenziale

281

Per un sistema olonomo, quando i vincoli dipendono dal tempo, il


potenziale sar generalmente una funzione dei parametri lagrangiani e del
tempo:
U = U (qh , t)
Infatti deve accadere che:
(LP.47)

@L = @U
ovvero:
Qh @qh + W @t =

@U
@U
@qh +
@t
@qh
@t

identit che viene soddisfatta se e solo se:


Qh =

@U
,
@qh

W =

@U
@t

(LP.48)

Mentre se i vincoli sono indipendenti dal tempo, dovendo essere di


conseguenza W = 0 identicamente, segue, dalla seconda delle (LP.48) che
U non pu contenere la dipendenza esplicita dal tempo.
Osserviamo che se il lavoro possibile un differenziale esatto anche il
lavoro virtuale un differenziale esatto, in quanto la prima delle (LP.48)
sufficiente a garantire che:
L=

@U
qh = U
@qh

Il viceversa non generalmente vero, perch il fatto che sussista la prima


delle (LP.48) non basta a garantire che la (LP.47) sia verificata, a meno che i

282

A. Strumia, Meccanica razionale

vincoli siano indipendenti dal tempo. Le conseguenze di questa circostanza


appariranno chiare dal confronto tra la statica e la dinamica: il risultato
trovato, infatti, significa che un sistema di forze applicate ad un sistema
olonomo a vincoli dipendenti dal tempo pu essere conservativo in regime
statico e non esserlo in regime dinamico, a causa del comportamento evolutivo
dei vincoli, dal momento che gli spostamenti fisici del sistema sono dei
particolari spostamenti possibili.
Unulteriore osservazione riguarda il fatto che il potenziale di un sistema
di forze conservativo, pur potendo dipendere anche esplicitamente dal tempo,
non pu comunque dipendere dalle qh , perch il differenziale del lavoro non
contiene mai il differenziale di tali variabili; e questo comporta, in forza
delle (LP.48) che anche le Qh e W , in un sistema conservativo, non possono
dipendere dalle qh .
Di conseguenza, se un sistema di forze conservativo contiene delle forze
che dipendono anche dalle velocit dei loro punti di applicazione, tali forze
non compiono lavoro.
Considerazioni analitiche
In conseguenza dei teoremi noti dallanalisi per le forme differenziali
valgono i seguenti risultati, che generalizzano quelli riportati nel caso del
lavoro di una sola forza applicata ad un punto:
condizione necessaria affinch un sistema di forze sia conservativo
che le forze generalizzate di Lagrange non dipendano dalle qh e che valgano
le condizioni:
@Qh
@Qk
=
,
@qk
@qh

@Qh
@W
=
@t
@qh

(LP.49)

le condizioni (LP.49) divengono anche sufficienti se il dominio sul


quale sono definite le funzioni Qh e W semplicemente connesso.
Tali condizioni si riducono alla prima delle (LP.49) quando i vincoli

lavoro e potenziale

283

sono indipendenti dal tempo, oppure quando ci si limita allesame dei lavori
virtuali.
Determinazione del potenziale
Dal punto di vista operativo quando si ha a che fare con una forma
differenziale lineare e si vuole verificare se esatta, e nel caso che lo sia
si vuole determinare il potenziale, possiamo procedere seguendo due vie
alternative.
La prima strada diretta: consiste nel cercare di esprimere
direttamente, se possibile, mediante manipolazioni algebriche, la forma
differenziale come differenziale di una funzione regolare a un sol valore. Se
si riesce in questo allora si verificato direttamente che tale funzione esiste e
si pervenuti a determinare il potenziale. Questo metodo facile da utilizzare
nei casi pi semplici.
Per esempio, sia data la forma differenziale:
d! = 2xy 2 dx + 2x2 y dy
E immediato che si tratta del differenziale di un prodotto e che si pu
scrivere:
d! = y 2 d(x2 ) + x2 d(y 2 ) = d(x2 y 2 + C)
e quindi il potenziale esiste e vale:
U (x, y) = x2 y 2 + C
La seconda strada indiretta: si pu sempre utilizzare, anche se
generalmente meno rapida della precedente; in particolare la si utilizza
quando non si in grado di procedere con il metodo diretto. Essa consiste
di due passi logici:

284

A. Strumia, Meccanica razionale

a) verifica delle condizioni (LP.49) necessarie e sufficienti, quando il


dominio semplicemente connesso, per lesistenza del potenziale;
b) se le condizioni (LP.49) sono soddisfatte si passa allintegrazione del
potenziale.
Lintegrazione del potenziale, ad esempio nel caso di una forma
differenziale lineare in due variabili del tipo:
d! = f (x, y) dx + g(x, y) dy
si pu fare nel modo seguente; dopo aver verificato che:
@f
@g
=
@y
@x
ed esserci assicurati che il dominio semplicemente connesso, sappiamo che
il potenziale esiste e quindi che:
@U
= f (x, y),
@x

@U
= g(x, y)
@y

(LP.50)

Integrando la prima rispetto alla variabile x abbiamo:


U (x, y) = F (x, y) + '(y)
dove:
F (x, y) =

Z x
x0

f (, y) d

essendo '(y) una funzione in y da determinare. Derivando rispetto a


y il potenziale ottenuto e imponendo la seconda delle condizioni (LP.50)
ricaviamo unequazione differenziale per la funzione incognita '(y):

lavoro e potenziale

285

@F (x, y) d'(y)
+
= g(x, y)
@y
dy
Integrando infine questultima rispetto alla variabile y otteniamo:
'(y) =

Z y
y0

g(x, ) d

F (x, y) + F (x, y0 )

Quindi il potenziale risulta dato da:


U (x, y) =

Z x
x0

f (, y0 ) d +

Z y
y0

g(x, ) d

(LP.51)

Riprendendo lesempio esaminato con il metodo diretto avremmo:


a) verifica delle condizioni (LP.49):
@f
@g
= 4xy =
@y
@x
b) integrazione del potenziale mediante la (LP.51):

U (x, y) =

Z x
x0

2y02 d +

Z y
y0

2x2 d = (x2

x20 )y02 + x2 (y 2

y02 )

ovvero:
U (x, y) = x2 y 2

x20 y02

Risultato che si identifica con quello ottenuto con il metodo diretto


ponendo:

286

A. Strumia, Meccanica razionale

C=

x20 y02

Esempi
Facciamo ora qualche considerazione di tipo esemplificativo sui sistemi di
forze che risultano essere conservativi nel loro complesso, mentre non sono
conservative le singole forze considerate separatamente.
Cominciamo con tre osservazioni di carattere analitico sulle forme
differenziali:
consideriamo come primo caso una forma differenziale in una sola
variabile:
d! = f (x) dx
essendo f una funzione regolare a valori in R. Questa forma differenziale
esatta dal momento che la continuit della funzione f sufficiente a garantire
la sua integrabilit, e le grandezze fisiche si assumono generalmente essere
continue. Per cui possiamo scrivere:
d! = d

Z x

f (
x) d
x

Z x

f (
x) d
x

x0

Il potenziale esiste e vale:


U (x) =

x0

come secondo caso consideriamo una forma differenziale in due


variabili:
d! = f (x, y) dx + g(x, y) dy

lavoro e potenziale

287

dove f, g sono regolari e definite su un dominio semplicemente connesso di


R2 a valori in R.
Se si verifica, per ipotesi, che g sia identicamente nulla, la forma
differenziale assume la struttura:
d! = f (x, y) dx

(LP.52)

Ora affinch questa sia un differenziale esatto deve accadere, in forza del
teorema sopra enunciato e dellipotesi che g identicamente nulla, che
@f
@g
=
=0
@y
@x
Di conseguenza:
@f
=0
@y
Quindi f non pu dipendere dalla y, ma deve essere solo funzione di x.
Perci affinch una forma differenziale del tipo (LP.52) sia esatta occorre che:
d! = f (x)dx
Nel qual caso ci ritroviamo nel caso precedentemente esaminato in cui
esiste il potenziale.
Ne concludiamo che una forma differenziale che ha la struttura (LP.52)
con f dipendente da entrambe le variabili, non pu essere esatta.
come terzo caso esaminiamo le tre forme differenziali:
d!1 = f (x, y) dx,

d!2 = g(x, y) dy

288

A. Strumia, Meccanica razionale

d! = f (x, y) dx + g(x, y) dy
con f, g regolari definite su un dominio semplicemente connesso di R2 a
valori in R e tali da soddisfare la condizione:
@f
@g
=
@y
@x
Se ne conclude che d!1 e d!2 non sono forme differenziali esatte, mentre
la loro somma d! esatta.
Forze elastiche
Tornando alla meccanica esaminiamo il comportamento del lavoro di due
forze elastiche che vengono scambiate tra due punti A e B collegati tra loro
mediante una molla ideale.
Chiamiamo molla ideale un sistema meccanico ai cui punti estremi A e
B si realizzano due forze esprimibili mediante i vettori applicati:

(A, F A ),

(B, F B ),

F A = k 2 AB,

FB =

FA

con k 2 costante positiva che prende il nome di costante elastica della


molla. Due forze di questo tipo formano una coppia di braccio nullo, sono
proporzionali alla lunghezza assunta dalla molla e si dicono forze elastiche.
E conveniente introdurre unascissa x lungo la retta dazione comune alle
due forze che coincide con la congiungente i punti A e B, denotare con xA e
xB le loro ascisse e chiamare con u il versore della retta dazione.
Allora le forze elastiche si esprimono in termini delle coordinate come:

F A = k 2 (xB xA )u,

FB =

k 2 (xB xA )u,

OA = xA u, OB = xB u

lavoro e potenziale

289

u
F
B
B
F
A
A

Figura LP. 6: forze elastiche

I lavori di queste forze considerate singolarmente sono allora:


dLA = F A dA = k 2 (xB
dLB = F B dB =

k 2 (xB

xA ) dxA ,

xA ) dxB

Queste sono forme differenziali del tipo (LP.52) nelle variabili xA , xB e


come tali non sono in generale differenziali esatti. Si deve concludere che
una forza elastica singola, realizzata da una molla ideale i cui estremi sono
entrambi mobili, non conservativa. Essa risulta essere conservativa se uno
degli estremi della molla bloccato, per cui la corrispondente ascissa diviene
costante. Per esempio, se blocchiamo A la xA non pi una variabile perch
stata fissata, e quindi i lavoro della forza applicata in A risulta nullo in quanto
A fisso e quindi dxA = 0. Possiamo prendere poi, per comodit A come
origine delle ascisse e quindi xA = 0. Allora il lavoro della forza applicata in
B vale:

dLB =

k xB dxB = d

1 2 2
k xB + C
2

290

A. Strumia, Meccanica razionale

Da cui il potenziale della forza elastica realizzata da una molla ideale


fissata nel suo estremo A O:
U=

1 2 2
k xB
2

(LP.53)

avendo scelto lo zero del potenziale quando la molla a riposo, cio per
xB = 0.
Nel caso invece che entrambi gli estremi della molla siano liberi le forme
differenziali dei lavori delle singole forze non sono esatte, tuttavia esatto il
differenziale del lavoro totale delle due forze. Infatti abbiamo:

dL = dLA + dLB = k 2 (xB

xA ) dxA

k 2 (xB

k 2 (xB

xA ) d(xB

xA )

xA ) dxB =

grazie alla linearit delloperatore di differenziale. E facile vedere che questo


un differenziale esatto: infatti denotando semplicemente lallungamento
della molla con:
x = xB

xA

possiamo scrivere il lavoro come forma differenziale della sola variabile x:


dL =

k 2 x dx = d

1 2 2
k x +C
2

Quindi
il potenziale delle due forze elastiche risulta essere complessivamente dato
da:

lavoro e potenziale

291

1 2 2
k x
2

U=

(LP.54)

con la solita scelta della costante C = 0.


Dal punto di vista fisico questo risultato significa che ci che immagazzina
lenergia la molla nel suo complesso per cui il bilancio delle energie del
lavoro deve essere valutato sul lavoro totale delle due forze perch si possa
parlare di sistema conservativo.
Potenziale di una coppia applicata a un corpo rigido
Come ulteriore esempio consideriamo una coppia applicata ad un corpo
rigido. Se il differenziale del suo lavoro risulta essere un differenziale esatto,
allora possiamo parlare di coppia conservativa e di potenziale della coppia.
Prendiamo, per esempio una coppia di momento:
M = f (#) u
dove # il parametro lagrangiano che identifica la configurazione di un corpo
rigido con un asse fisso di direzione data dal versore u, al quale applicata la
coppia e f una funzione integrabile.
Allora il lavoro della coppia vale:
dL = M d

= f (#) d# = d

Z #
#0

d#
f (#)

E quindi la coppia conservativa e il suo potenziale dato da:


U (#) =

Z #
#0

d#
f (#)

292

A. Strumia, Meccanica razionale

O
M

z =

Figura LP. 7: coppia applicata a un corpo rigido con un asse fisso

Principi della meccanica

PM. Principi della meccanica


Richiamiamo in questo capitolo i principi della dinamica che sono noti
dalla fisica e che ci serviranno come base per lo sviluppo della statica e della
dinamica. Ad essi aggiungiamo anche alcune informazioni e considerazioni
inerenti lattrito e la natura dei vincoli. Partiamo dai tre principi della
dinamica newtoniana.
Primo principio della dinamica o principio dinerzia: un punto
materiale non soggetto a forze si trova in quiete o in moto rettilineo uniforme.
Secondo principio della dinamica o equazione fondamentale della
dinamica: un punto materiale soggetto a un forza F si muove con
unaccelerazione direttamente proporzionale alla forza secondo la legge:

F = ma

(PM.1)

La costante m caratteristica del punto materiale prende il nome di massa


inerziale e risulta uguale alla massa gravitazionale che compare nella legge
della forza peso (LP.24).
Terzo principio della dinamica o principio di azione e reazione:
dato un sistema di punti materiali interagenti tra loro, le forze che tali
punti si scambiano a due a due (forze interne) sono uguali in modulo, di
verso opposto, e hanno la stessa retta dazione che coincide con la retta
congiungente i due punti; ovvero sono riducibili a coppie di braccio nullo.
Come evidente il primo principio, nella sua formulazione classica, non
indipendente dal secondo, ma ne una diretta conseguenza. Infatti basta
porre F = 0 nella (PM.1) per ottenere, essendo m 6= 0, a = 0 e cio il primo
principio.
La formulazione del primo principio, come stata data, ha una ragione
storica, in quanto esso fu stabilito prima del secondo principio. Tuttavia,

296

A. Strumia, Meccanica razionale

una volta stabilita la (PM.1) esso diviene superfluo. Per lesperienza mostra
che il secondo principio non valido per ogni osservatore, ma solo per una
particolare classe di osservatori ai quali si d il nome di inerziali. Allora il
primo principio della dinamica si sostituisce con il postulato dellesistenza
di almeno un osservatore rispetto al quale il secondo principio risulta valido.
Praticamente si ritiene inerziale losservatore solidale con le stelle fisse.
Ai tre principi della dinamica classica si aggiungono le seguenti leggi della
meccanica.
Principio di relativit galileiana: non possibile mediante esperimenti
di meccanica stabilire se ci si trova in quiete o in moto rettilineo uniforme;
ovvero: i concetti di quiete e di moto rettilineo uniforme non sono assoluti,
ma relativi ad un osservatore al quale vengono riferiti.
Questo risultato si spiega, come vedremo trattando della dinamica relativa,
per il fatto che due osservatori in moto rettilineo uniforme, dei quali uno sia
inerziale, risultano esserlo entrambi e, di conseguenza, i fenomeni meccanici
rispetto a ciascuno di essi obbediscono alla stessa legge (PM.1).
Principio di composizione delle forze: questo principio esprime il
carattere vettoriale della (PM.1). Esso si pu enunciare nel modo seguente: se
una forza F 1 applicata ad un punto produce unaccelerazione a1 e una forza
F 2 applicata allo stesso punto produce unaccelerazione a2 , quando le due
forze vengono applicate simultaneamente, esse producono laccelerazione
a = a1 + a2 corrispondente alleffetto della forza risultante F = F 1 + F 2 .
Ci significa che, agli effetti dinamici, un insieme di due o pi forze applicate
allo stesso punto, pu essere sostituito con una sola forza pari al loro
risultante.
Per trattare i problemi di meccanica celeste ci occorre anche la conoscenza
della:
Legge di gravitazione universale di Newton: la forza gravitazionale che
una massa puntiforme M esercita su unaltra massa puntiforme m data da:

principi della meccanica

297

F =

Mm
u
r2

(PM.2)

dove h la costante universale di Cavendish, r la distanza fra le due masse


e u il versore della congiungente le due masse uscente dal punto di massa M .
Si aggiungono a queste le leggi riguardanti i vincoli e lattrito. Quando
si studia il moto di un punto materiale vincolato, per poter trattare lazione
del vincolo in termini di una forza e valutarne quindi gli effetti dinamici, si
assume la validit del seguente:
Postulato delle reazioni vincolari: ad ogni vincolo agente su un
punto materiale pu essere sostituita una forza che realizza lo stesso effetto
dinamico del vincolo. Tale forza prende il nome di reazione vincolare. La
reazione vincolare si pu allora interpretare come la forza che il vincolo
deve esplicare sul punto per mantenerlo vincolato. Chiaramente se il vincolo
agisce su un sistema di pi punti materiali, ad ogni punto risulta applicata una
reazione vincolare che produce gli stessi effetti del vincolo.

Figura PM. 1: sostituzione di un vincolo con la corrispondente reazione


vincolare
Le forze esplicate dai vincoli (reazioni vincolari ) vengono denotate con
la lettera greca
per distinguerle dalle forze di natura non vincolare, alle
quali si d il nome di forze attive e che si denotano usualmente con F , salvo

298

A. Strumia, Meccanica razionale

che vengano specificate indicazioni in contrario. Con questa convenzione la


(PM.1), quando si ha a che fare con punti vincolati e risulta utile separare le
forze attive dalle reazioni vincolari, si riscrive:

F+

= ma

(PM.3)

Va osservato che, per determinare il moto di un punto da una legge come la


(PM.3), occorre la conoscenza delle forze; tuttavia, normalmente, si riesce a
conoscere solo la forza attiva agente su un punto, mentre la reazione vincolare
unulteriore incognita. Allora per determinare sia il moto che la occorre,
generalmente, aggiungere alla (PM.3) qualche informazione sui vincoli, in
modo da portare il numero delle equazioni di cui si dispone ad uguagliare il
numero delle incognite del problema rendendolo, cos, determinato. Queste
ulteriori informazioni sono legate alla conoscenza delle leggi dellattrito e alla
definizione di vincolo liscio.

Attrito
Dal punto di vista macroscopico si pu pensare un vincolo come realizzato
da un corpo che, mediante unazione di contatto, impedisce ad un altro corpo
di assumere determinate posizioni e di compiere determinati spostamenti.
Il contatto tra due corpi avviene, fisicamente, in superfici di contatto pi
o meno estese: pensare ad un solo punto o ad una curva di contatto ,
in effetti, unastrazione matematica, che in taluni casi costituisce tuttavia
una descrizione accettabile e che semplifica la trattazione del problema. In
realt, dal punto di vista fisico, possiamo pensare sempre allesistenza di una
superficie di contatto nei punti della quale sono applicate, al corpo vincolato,
le reazioni vincolari (superficie del vincolo). Caratterizzando con:

f (x, y, z) = 0

principi della meccanica

299

lequazione cartesiana della superficie di contatto, rispetto ad una terna di assi


ortogonali Oxyz, e considerando una qualunque di queste reazioni vincolari,
possiamo decomporla in una componente normale alla superficie e in una
componente sul piano tangente alla superficie stessa, nel punto di applicazione
della .

Figura PM. 2: attrito su una superficie

Possiamo cos rappresentare la reazione vincolare come somma vettoriale


delle due componenti tangente e normale:
=

Tu

nn

(PM.4)

dove:

n=

rf
|rf |

rappresenta il versore normale alla superficie di contatto e u il versore della


componente della reazione vincolare sul piano tangente.
Chiamiamo attrito la componente della reazione vincolare sul piano
tangente alla superficie di contatto con il vincolo. Ne consegue che:

300

A. Strumia, Meccanica razionale

In una superficie (o in una curva) priva di attrito la reazione vincolare


sempre normale alla superficie del vincolo oppure nulla.
attrito dinamico
Lesperienza mostra che se il punto di applicazione della si muove
con una velocit v 6= 0 rispetto alla superficie del vincolo, allora il versore u
dellattrito opposto al versore della velocit:
v
|v|

u=

Inoltre gli esperimenti mostrano che, quando v 6= 0 la componente


T , che rappresenta lattrito, legata alla componente normale
n da una
relazione di proporzione diretta del tipo:

T|

= fd |

n|

(PM.5)

nota come legge di Coulomb-Morin per lattrito dinamico.


La costante di proporzionalit fd si dice coefficiente di attrito dinamico
ed caratteristica dei materiali che venendo a contatto realizzano lattrito. La
struttura dellequazione (PM.5) suggerisce in maniera naturale lintroduzione
dellangolo di attrito dinamico definito dalla relazione:

tan 'd =

|
|

T|
n|

= fd

(PM.6)

Langolo di attrito viene a rappresentare langolo compreso tra la reazione


vincolare e il vettore n n. Poich la velocit del punto di applicazione
della
pu assumere qualunque direzione sul piano tangente, ne viene di
conseguenza che anche lattrito T u pu assumere tutte queste direzioni.
Quindi la pu assumere, al variare di u, la direzione di qualsiasi generatrice

principi della meccanica

301

Figura PM. 3: angolo di attrito

del cono circolare retto di semiapertura 'd , avente come asse di simmetria
la retta normale alla superficie condotta per il punto di applicazione della
reazione vincolare. A tale cono si d perci il nome di cono di attrito
dinamico.
Nel caso dinamico la giace sempre sul cono di attrito. In particolare
il cono avr una sola falda se il vincolo unilaterale e due falde se il vincolo
bilaterale.

Figura PM. 4: cono di attrito di una superficie

Ci sono casi in cui il vincolo pu essere idealizzato, in prima

302

A. Strumia, Meccanica razionale

approssimazione con una curva di contatto, anzich con una superficie:


un esempio tipico dato da un punto materiale vincolato a muoversi su
una curva assegnata. Questa schematizzazione rappresenta, evidentemente,
unastrazione, in quanto la curva sar realizzata in pratica con una guida o,
comunque, mediante un corpo che dotato di una superficie, e il punto sar,
di fatto, un cursore o un anello che scorre sulla guida. Quindi, nella realt
vi saranno sempre delle superfici di contatto. In prima approssimazione,
per, pu essere sufficiente una descrizione unidimensionale del problema
che approssima la guida ad una curva e il cursore ad un punto. Se si adotta
questo schema la legge dellattrito dinamico (PM.5) risulta ancora applicabile.
In tal caso, per, non avremo una sola normale, ma un intero piano
normale alla curva, mentre non avremo pi un piano tangente, ma una retta
tangente alla curva. E conveniente proiettare allora la reazione vincolare
sul triedro di Frenet:
=

TT

NN

BB

Figura PM. 5: attrito su una curva


essendo T il versore tangente, N il versore normale principale e B il
versore binormale. La componente lungo la tangente rappresenta lattrito.
La componente della
normale alla curva risulta in questo caso espressa
mediante la composizione N N + B B e quindi il suo modulo vale:

principi della meccanica

303

n|

2
N

2
B

Di conseguenza la legge di Coulomb-Morin per lattrito dinamico si pu


specializzare al caso di una curva di contatto come:

T|

= fd

2
N

2
B

(PM.7)

Figura PM. 6: cono di attrito di una curva


La reazione vincolare
un cono di semiapertura 2
relativo alla curva.

viene ad avere la direzione della generatrice di


'd che rappresenta il cono di attrito dinamico

attrito statico
Diverso il comportamento dellattrito nel caso in cui il punto di
applicazione della reazione vincolare considerata abbia velocit nulla rispetto
alla superficie o alla curva di contatto, cio si abbia v = 0 in un certo
intervallo di tempo. In questo caso si parla di attrito statico.

304

A. Strumia, Meccanica razionale

Lesperienza fornisce per questo caso la legge di Coulomb-Morin per


lattrito statico:
|

T|

fs |

n|

(PM.8)

nella quale il significato di T , n lo stesso, mentre fs , che prende il nome


di coefficiente di attrito statico ha in genere un valore diverso da quello
di fd . In questa situazione lattrito non ha una direzione identificata da
nessuna velocit, perch non c alcun moto. La direzione e il verso sono
invece identificate dalle condizioni che garantiscono lequilibrio del sistema
meccanico considerato, come si vedr in statica.
Si definisce poi un angolo di attrito statico mediante la relazione:
tan 's = fs

(PM.9)

e cos pure un cono di attrito statico in maniera del tutto analoga al caso
dinamico.
La presenza della disuguaglianza, nella legge dellattrito statico (PM.8)
comporta il fatto che la reazione vincolare cade non esternamente alla regione
di spazio delimitata dal cono di attrito statico e solo come caso limite si pu
trovare sulla superficie del cono.
Per comprendere il senso fisico della disuguaglianza nella (PM.8)
consideriamo, a titolo di esempio, un piano con attrito, inclinato di un angolo
rispetto al piano orizzontale. Poniamo poi un copro pesante, di massa
m, schematizzato con il suo baricentro G, sul piano inclinato. La reazione
vincolare , se il punto si mantiene in quiete, per cui v = 0, a = 0, grazie
alla (PM.3) tale che:
mg +

=0

Proiettando sul piano e sulla normale ad esso abbiamo, di conseguenza:

principi della meccanica

305

T|

= | |sen = mg sen

n|

= | |cos = mg cos

che sostituite nella (PM.8) comportano:


tan tan 's
e poich gli angoli in questione sono, per definizione, acuti o al pi retti,
segue:
's
Questo significa che lattrito statico pu garantire che il corpo appoggiato
rimanga nelle condizioni in cui si trova, per cui v = 0, a = 0, cio in quiete,
fino a che langolo di inclinazione del piano non supera langolo di attrito
statico 's , cio fino a che la reazione vincolare si mantiene non esterna al
cono di attrito statico.

mg

Figura PM. 7: piano inclinato con attrito statico

306

A. Strumia, Meccanica razionale

Come per lattrito dinamico anche nel caso dellattrito statico la (PM.8) si
pu specializzare per una curva dotata di attrito, nella forma:

T | fs

2
N

(PM.10)

2
B

vincoli privi di attrito


Lesperienza ci mostra che lattrito tende a compiere lavoro negativo
dissipando energia; un vincolo privo di attrito, invece, non dissipa energia.
In particolare immediato verificare che il lavoro virtuale delle reazioni
vincolari, in un vincolo privo di attrito, sempre non negativo, qualunque
sia lo spostamento virtuale considerato.
Per rendercene conto possiamo considerare una superficie, priva di attrito
che vincola un sistema materiale qualunque. Per semplicit supponiamo
che il contatto avvenga in un numero finito di punti P1 , P2 , , Pn ai quali
sono applicate le reazioni vincolari 1 , 2 , , n , lestensione al continuo
potendosi fare senza difficolt.
Consideriamo la generica reazione s applicata in Ps : non essendoci
attrito essa risulta normale alla superficie e il suo lavoro nullo per tutti
gli spostamenti virtuali che appartengono al piano tangente alla superficie,
che sono tutti reversibili, e se il vincolo unilaterale, positivo per tutti gli
spostamenti di distacco dalla superficie, che sono tutti irreversibili. Infatti:
Ls =

Ps = |

s ||

Ps |cos #s

8 Ps

essendo langolo #s tra la reazione vincolare e lo spostamento, acuto per


gli spostamenti irreversibili e retto per gli spostamenti reversibili. Questa

principi della meccanica

307

relazione vale per ogni reazione vincolare agente sul sistema meccanico e
quindi il lavoro totale delle reazioni vincolari risulta essere la somma di lavori
non negativi ed dunque non negativo.

f
dP

P
f(x,y,z) = 0

O
y

Figura PM. 8: superficie priva di attrito

Le stesse considerazioni si possono ripetere anche nel caso di una curva


priva di attrito. Osserviamo che il ricorso ai lavori virtuali, anzich ai lavori
possibili si giustifica per il fatto che i lavori virtuali non tengono conto delle
eventuali variazioni dei vincoli nel tempo il cui contributo potrebbe alterare il
segno dei lavori in un modo che dipenderebbe, caso per caso, dalla legge con
cui i vincoli variano nel tempo.

Principio delle reazioni vincolari


Siamo cos condotti, da queste considerazioni, ad introdurre un nuovo
principio detto principio delle reazioni vincolari che rappresenta la
definizione di una classe speciale di vincoli nota col nome di vincoli lisci
e si enuncia nella maniera seguente:

308

A. Strumia, Meccanica razionale

Si dicono lisci quei vincoli che sono capaci di esplicare tutte e


solamente quelle forze ( che sono le reazioni vincolari) il cui lavoro
virtuale risulta non negativo, per ogni spostamento virtuale
ovvero in formula:

L(v)

0, 8 Ps

(PM.11)

essendo:
L(v) =

n
X

s=1

Ps

Da questa definizione nascono le seguenti conseguenze:


In presenza di vincoli lisci, solamente le reazioni vincolari possono
esplicare un lavoro non negativo per ogni spostamento virtuale: quindi, se si
trovano delle forze che soddisfano tale condizione, esse sono necessariamente
delle reazioni vincolari. Anticipiamo fin dora che questa conseguenza sar
chiamata in causa nella dimostrazione della sufficienza del principio dei lavori
virtuali.
Nella classe dei vincoli lisci, cos definiti, vengono a trovarsi tutti i
vincoli privi di attrito e inoltre anche quei vincoli in cui lattrito, pur essendo
presente, non dissipa energia. Perci la classe dei vincoli lisci definiti dal
principio delle reazioni vincolari pi generale della classe dei vincoli privi
di attrito.
Consideriamo ora due casi notevoli di vincolo liscio che non sono
riconducibili allusuale definizione di vincolo privo di attrito e che soddisfano
tuttavia il principio delle reazioni vincolari.

principi della meccanica

309

corpo rigido con un punto fisso


Consideriamo un corpo rigido con un punto fisso . E chiaro che, dal
punto di vista fisico, il vincolo di un punto fisso si pu realizzare con una
cerniera che non un punto privo di dimensioni, ma ha una sua struttura,
con delle superfici di contatto, e se non vi attrito le reazioni vincolari
saranno normali alla superficie del vincolo. Tuttavia nellidealizzazione
matematica che noi operiamo, schematizzando tale vincolo con un punto
privo di dimensioni, non abbiamo superfici rispetto alle quali tracciare delle
normali. Perci non siamo in grado di stabilire se il vincolo sia privo di attrito
o meno. Possiamo, per, verificare che il vincolo liscio nel senso definito
dal principio delle reazioni vincolari.

Figura PM. 9: corpo rigido con un punto fisso


Infatti, essendo il vincolo costituito da un solo punto, la reazione vincolare
pu essere applicata solamente nel punto fisso e il suo lavoro risulta essere:
L(v) =

=0

in quanto = 0 essendo proibito al punto fisso ogni spostamento. E cos il


principio delle reazioni vincolari risulta soddisfatto.

310

A. Strumia, Meccanica razionale

vincolo di puro rotolamento


Un altro caso notevole di vincolo liscio dato dal vincolo di puro
rotolamento. Consideriamo, per esempio, un disco rigido che rotola senza
strisciare su una curva. In questo caso lesperienza ci mostra che lattrito
deve essere presente, altrimenti il disco striscerebbe.

C
Figura PM. 10: vincolo di puro rotolamento

Lunico punto in cui il vincolo pu interagire con il disco il punto di


contatto C tra il disco e la curva; dunque la reazione vincolare deve essere
applicata al punto del corpo rigido che si trova a coincidere istante per istante
con C. Il lavoro vale allora:
L(v) =

C=0

ed nullo in quanto il punto C un centro di istantanea rotazione. Infatti lo


spostamento del punto del corpo rigido che nellistante considerato si trova a
coincidere con C (spostamento di trascinamento), ovvero lo spostamento del
punto C pensato istante per istante come punto appartenente al corpo rigido,
risulta essere nullo.
In questo caso lattrito presente, ma non compie lavoro e non dissipa
quindi energia.

principi della meccanica

311

Chiaramente anche in questo caso lo schema adottato una idealizzazione


della realt: infatti se fosse vero che lattrito pur essendo presente non dissipa
energia, perch non compie lavoro, il disco dovrebbe continuare a muoversi
indefinitamente lungo la curva, senza arrestassi. Questo non succede (e
non succederebbe anche in assenza di resistenza dellaria al moto del disco
e in assenza di piccole deformazioni che riscaldano il disco a spese di
energia meccanica) perch nella realt lappoggio non avviene in un punto
geometrico, ma in una piccola area di contatto e quindi le reazioni vincolari
non sono riducibili a un solo vettore applicato, ma ad un vettore e a una coppia
il cui momento compie lavoro. La presenza di questo momento addizionale
responsabile del cosiddetto attrito volvente che rallenta il moto del disco fino
ad arrestarlo.

Unict della soluzione


Per concludere questo capitolo sui principi della meccanica dobbiamo
svolgere qualche considerazione di carattere analitico sullequazione
fondamentale della dinamica (PM.1), nella quale conglobiamo, in questo
momento, con lunico termine F tutte le forze agenti sul punto.
Essa rappresenta un sistema di equazioni differenziali per le funzioni
incognite OP (t). Assegnando le condizioni iniziali, cio la posizione e la
velocit del punto mobile P allistante iniziale t = 0, dal punto di vista fisico,
cio sperimentalmente, si ha sempre uno e un solo moto in corrispondenza
della forza assegnata. Dal punto di vista matematico questo significa che il
problema di Cauchy:
8
>
<
>
:

m P = F (P, P , t)
OP (0) = OP0 ,

P (0) = v 0

avendo denotato con il punto la derivata temporale, deve ammettere una e una
sola soluzione, per risultare ben posto. Com noto la condizione analitica

312

A. Strumia, Meccanica razionale

affinch il teorema di unicit della soluzione sia valido che la funzione


F (P, P , t) sia lipschitziana rispetto a P, P .
Ricordiamo che una funzione
f : A ! Rm , A Rn
si dice lipschitziana se esiste un C 2 R+ tale che:
kf (x0 )

f (x00 )k C kx0

x00 k,

8x0 , x00 2 A

Quando la funzione f differenziabile questa condizione equivale alla


limitatezza delle sue derivate parziali.
Per le forze che fisicamente si conoscono in natura tale condizione risulta
sempre verificata.
A titolo di esempio immaginiamo una forza non fisica, che non sia
lipschitziana, del tipo:
p
F (x) = k x,

Chiaramente la condizione di Lipschitz non pu valere perch la derivata


della F non limitata per x ! 0. Di conseguenza manca lunicit della
soluzione del problema di Cauchy:
8
>
<
>
:

p
m
x=k x
x(0) = 0,

x(0)

=0

Infatti una soluzione :


x(t) = 0

principi della meccanica

313

ed la soluzione che ha senso fisico, in quanto nellorigine la forza nulla


e il punto, inizialmente fermo nellorigine e sottoposto a forza nulla, rimane
indefinitamente fermo. Ma esiste anche la soluzione:

x(t) =
che non ha alcun significato fisico.

k
12m

!2

t4

STATICA

SP. Statica del punto


Per affrontare la statica del punto dobbiamo, anzitutto, introdurre i
concetti di quiete e di equilibrio, a cui ci si finora riferiti talvolta in modo
intuitivo, dandone ora una definizione in termini matematici.
quiete
Diciamo che un punto materiale P di massa m, al quale applicata una
forza f (P, v, t) in quiete nella posizione P0 , rispetto ad un osservatore
inerziale Oxyz, se si verificano le seguenti condizioni:
i) OP (0) = OP0 ,

v(0) = 0

ovvero il punto si trova allistante iniziale in P0 con velocit iniziale nulla;


ii) a(t) = 0,

8t

ovvero il sistema delle equazioni del moto m a = f ammette la soluzione


statica, cio la soluzione per cui le derivate temporali sono tutte nulle.
Integrando le equazioni del moto segue subito che:
v(t) = 0,

8t

OP (t) = OP0

Dunque il punto rimane indefinitamente fermo nella posizione in cui si


trovava allistante iniziale.
equilibrio
Diciamo che un punto P di massa m, al quale applicata una forza
f (P, v, t) in equilibrio nella posizione P0 , rispetto ad un osservatore
inerziale Oxyz, se soddisfatta la condizione sulla forza:
f (P0 , 0, t) = 0,

8t

(SP.1)

statica del punto

317

cio se la forza applicata al punto e calcolata per P = P0 , v = 0, si mantiene


nulla in ogni istante, a partire da quello iniziale.
Supposta la quiete segue sempre lequilibrio. Infatti se nellequazione
fondamentale della dinamica:
m a = f (P, v, t)
si impongono le condizioni i) e ii) si ottiene come conseguenza:
f (P0 , 0, t) = 0
cio la definizione di equilibrio.
Viceversa: dato lequilibrio la quiete segue solo se soddisfatto il
teorema di unicit della soluzione, cio se la f lipschitziana. In questo caso,
infatti dalla definizione di equilibrio, introdotta nellequazione fondamentale
della dinamica, segue che il problema del moto si riconduce al problema di
Cauchy:
8
>
<
>
:

P = 0
OP (0) = OP0 ,

v(0) = 0

che ha come unica soluzione: OP (t) = OP0 .


Poich le forze di natura fisica sono lipschitziane, la ricerca delle posizioni
di equilibrio equivale allindividuazione delle posizioni in cui un dato sistema
si mantiene in quiete.
Dal punto vista matematico il problema della ricerca delle posizioni di
equilibrio si presenta come un problema algebrico che consiste nella ricerca
degli zeri della funzione forza.

318

A. Strumia, Meccanica razionale

Affinch un punto possa stare in equilibrio sotto lazione di una forza


attiva non nulla dovr essere soggetto a vincoli; perci la definizione di
equilibrio (SP.1) si scrive convenientemente, per un punto materiale vincolato,
separando la forza attiva F dalla reazione vincolare , essendo f = F + :

F+

=0

(SP.2)

In questa equazione generalmente conosciuta, dalla fisica del problema,


solo la forza attiva F , mentre sono incognite, oltre alle coordinate del punto
P , le cui soluzioni rappresentano le posizioni di equilibrio del punto, anche le
componenti della reazione vincolare .
Proiettando la (SP.2) su un sistema di assi cartesiani si ottengono al
massimo tre equazioni, mentre le incognite possono essere pi di tre. Altre
condizioni si possono avere dalla legge dellattrito statico, o da ipotesi sulla
natura dei vincoli. In ogni caso il problema risulta essere determinato solo
quando il numero delle equazioni indipendenti uguaglia il numero delle
incognite. Si dice allora che il problema staticamente determinato. In caso
contrario si dice che il problema risulta essere staticamente indeterminato.
Osserviamo che le forze, in statica, possono essere funzioni solo di P e
di t, ma non della velocit del punto, essendo supposto in ogni istante: v = 0.
Per procedere alla risoluzione di un problema di equilibrio ci si riconduce
a tante equazioni indipendenti quanti sono i gradi di libert, che non
contengano le reazioni vincolari (equazioni pure dellequilibrio). Le soluzioni
di queste equazioni pure dellequilibrio, che risultino essere compatibili
con i vincoli, sono le posizioni di equilibrio che il punto pu assumere.
Denotata con P una qualunque posizione di equilibrio si determina poi la
corrispondente reazione vincolare allequilibrio, mediante la (SP.2):

F (P , t)

statica del punto

319

dove abbiamo eliminato lo zero al posto della velocit nellespressione della


forza.

Punto vincolato su una superficie priva di attrito


Consideriamo un punto materiale P vincolato ad appartenere ad una
superficie priva di attrito, di equazione cartesiana:
(SP.3)

f (x, y, z) = 0

riferita alla terna cartesiana ortogonale Oxyz che caratterizza un osservatore


inerziale. Al punto P applicata la forza attiva F che, nel caso pi generale
pu dipendere da P e da t, ma non dalla velocit che in statica si suppone
nulla, in quanto come abbiamo visto, lequilibrio definito imponendo che
sia nulla la velocit nellespressione della forza.

f
dP

P
f(x,y,z) = 0

O
y

Figura SP. 1: equilibrio di un punto vincolato su una superficie priva di attrito


Dal momento che la superficie priva di attrito, per la definizione di attrito
su una superficie, la componente della reazione vincolare sul piano tangente
alla superficie del vincolo risulta essere nulla e quindi la reazione vincolare

320

A. Strumia, Meccanica razionale

normale alla superficie stessa nel punto P . Possiamo tradurre in termini


analitici questa informazione imponendo al vettore di essere parallelo al
gradiente della funzione f che caratterizza la superficie, o al pi nullo. Infatti,
com noto dalla geometria, rf , punto per punto, normale alla superficie.
E immediato verificarlo supposto che la superficie sia regolare e, quindi
f sicuramente differenziabile: infatti agendo sulla (SP.3) con loperatore
differenziale (o se si vuole anche con @ dal momento che il vincolo
indipendente dal tempo e leffetto dei due operatori identico) si ha:
@f
@f
@f
x+
y+
z=0
@x
@y
@z
ovvero:
rf P = 0
e quindi, essendo gli spostamenti permessi dal vincolo solo quelli sul piano
tangente alla superficie in P , segue che rf risulta normale alla superficie
stessa.
Tornando al problema dellequilibrio: linformazione che la superficie del
vincolo priva di attrito si traduce in equazione come:
= rf

(SP.4)

dove unincognita che determina il modulo e il verso della reazione


vincolare. Sostituendo la (SP.4) nella condizione di equilibrio del punto
vincolato (SP.2) la veniamo a specializzare per il nostro problema, ottenendo:
F + rf = 0

(SP.5)

La condizione vettoriale (SP.5) proiettata sugli assi cartesiani fornisce


un sistema algebrico di tre equazioni per le tre incognite x, y, z che sono

statica del punto

321

le coordinate del punto P . Ma abbiamo in pi una quarta incognita


relativa alla reazione vincolare. Occorre dunque una quarta equazione per
determinare il problema, e questa data dallequazione della superficie (SP.3),
che rappresenta un vincolo olonomo per le coordinate (e per gli spostamenti)
del punto P . In conclusione il sistema algebrico che risolve il problema dato
dalle quattro equazioni:
Fx (x, y, z, t) +

@f
(x, y, z) = 0
@x

Fy (x, y, z, t) +

@f
(x, y, z) = 0
@y

Fz (x, y, z, t) +

@f
(x, y, z) = 0
@z

f (x, y, z) = 0
per le quattro incognite x, y, z, . Il problema staticamente determinato e le
soluzioni, se ne esistono, rappresentano le posizioni di equilibrio del punto e
determinano le corrispondenti reazioni vincolari. Denoteremo le posizioni di
equilibrio con un asterisco, per distinguerle dalle posizioni non di equilibrio
e potremo tabularle con un indice che le ordina. Ad esempio:
P1 (x1 , y1 , z1 ),

P2 (x2 , y2 , z2 ),

e cos pure le reazioni vincolari corrispondenti:

1,

2,

Notiamo che per determinare la


dopo aver trovato le posizioni di
equilibrio, anzich utilizzare la (SP.4), si pu ricorrere direttamente alla

322

A. Strumia, Meccanica razionale

condizione di equilibrio (SP.2), sostituendovi le coordinate delle posizioni di


equilibrio ottenute:

F (xs , ys , zs )

essendo s lindice che le tabula.


Come caso particolare di interesse esaminiamo il caso in cui la forza attiva
sia conservativa. Allora esiste il potenziale della forza, che funzione delle
sole variabili x, y, z ed tale che
F = rU
Dunque la condizione (SP.5) si specializza in:
rU + rf = 0

(SP.6)

E il sistema delle condizioni di equilibrio si scrive per esteso:


@U
@f
(x, y, z) +
(x, y, z) = 0
@x
@x
@U
@f
(x, y, z) +
(x, y, z) = 0
@y
@y
@U
@f
(x, y, z) +
(x, y, z) = 0
@z
@z
f (x, y, z) = 0
E interessante osservare che, dal punto di vista analitico, queste
rappresentano le condizioni perch un punto sia estremante della funzione

statica del punto

323

U (x, y, z), con le variabili vincolate sulla superficie di equazione (SP.3), che si
ottengono con il metodo dei moltiplicatori di Lagrange e il moltiplicatore
di Lagrange relativo al vincolo.

Punto vincolato su una curva priva di attrito


La metodologia dei moltiplicatori di Lagrange, appena sviluppata, ci
consente di determinare anche le poszioni di equilibrio di un punto vincolato
ad appartenere ad una curva priva di attrito, di equazioni cartesiane:
8
>
<
>
:

f (x, y, z) = 0
(SP.7)
g(x, y, z) = 0

rispetto al sistema cartesiano Oxyz che caratterizza un osservatore inerziale.

g(x,y,z) = 0
z

P
F

2
f(x,y,z) = 0

O
y
x

Figura SP. 2: equilibrio di un punto vincolato su una curva priva di attrito


Infatti una curva priva di attrito si pu pensare come lintersezione di
due superfici prive di attrito, di equazioni rispettive: f (x, y, z) = 0 e

324

A. Strumia, Meccanica razionale

g(x, y, z) = 0 . Di conseguenza la reazione vincolare


che mantiene il
punto sulla curva risulta realizzata dai contributi che ciascuna superficie priva
di attrito in grado di esplicare. Avremo cio:
=

dove, essendo le superfici prive di attrito, ciascuna delle due reazioni


componenti risulta normale alla superficie dalla quale viene esplicata, e quindi
parallela al rispettivo gradiente (o al pi nulla):

= rf,

= rg

Di conseguenza risulta:
= rf + rg

(SP.8)

La condizione vettoriale di equilibrio diviene allora:


F + rf + rg = 0

(SP.9)

che, proiettata sugli assi, fornisce un sistema di tre equazioni nelle cinque
incognite x, y, z, , . Le due equazioni mancanti sono date dalle equazioni
della curva a cui le coordinate del punto devono soddisfare per rispettare il
vincolo. Il sistema diviene cos un sistema di cinque equazioni per cinque
incognite e il problema risulta staticamente determinato:

Fx (x, y, z, t) +

@f
@g
(x, y, z) + (x, y, z) = 0
@x
@x

Fy (x, y, z, t) +

@f
@g
(x, y, z) + (x, y, z) = 0
@y
@y

statica del punto

Fz (x, y, z, t) +

325

@f
@g
(x, y, z) + (x, y, z) = 0
@z
@z
f (x, y, z) = 0

g(x, y, z) = 0
Nel caso in cui la forza attiva sia conservativa il sistema precedente si
specializza nella forma:
@U
@f
@g
(x, y, z) +
(x, y, z) + (x, y, z) = 0
@x
@x
@x
@U
@f
@g
(x, y, z) +
(x, y, z) + (x, y, z) = 0
@y
@y
@y
@U
@f
@g
(x, y, z) +
(x, y, z) + (x, y, z) = 0
@z
@z
@z
f (x, y, z) = 0
g(x, y, z) = 0
Dal punto di vista analitico queste rappresentano le condizioni per la
ricerca degli estremanti vincolati del potenziale. Essendo presenti due
equazioni di vincolo sono necessari due moltiplicatori di Lagrange , .

Punto vincolato su una superficie con attrito


Nel caso in cui sulla superficie del vincolo sia presente lattrito occorre far
uso della legge dellattrito statico di Coulomb-Morin:

326

A. Strumia, Meccanica razionale

T|

fs |

n|

Inoltre non conviene proiettare la:


F+

=0

sulla base del sistema cartesiano Oxyz dellosservatore, al quale


riferita lequazione cartesiana (in alternativa si possono avere le equazioni
parametriche):
f (x, y, z) = 0
che caratterizza la superficie del vincolo. In alternativa conviene scegliere una
base ortonormale intrinsecamente legata alla superficie del vincolo, del tipo:

B = {u, w, n},

n=

rf
|rf |

con u, w versori che risultano, di conseguenza, appartenere al piano tangente


alla superficie e possono essere scelti arbitrariamente su di esso, in modo da
rispettare le condizioni di ortonormalit della base. Denotando con gli indici
u, w, n le componenti dei vettori rispetto alla base, la reazione vincolare si
rappresenta nella forma:
=

Tu

ww

nn

e possiamo ora esprimere il modulo dellattrito come:


|

T|

2
u

2
w

statica del punto

327

E quindi scrivere il sistema completo di tutte le condizioni per lequilibrio


del punto vincolato di cui disponiamo:
8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<

Fu +

Fw +

=0

Fn +

=0

>
>
>
>
q
>
>
>
2
>
>
u
>
>
>
>
>
>
>
:

=0

2
w

fs |

(SP.10)
n|

f (x, y, z) = 0

Leliminazione delle reazioni vincolari, mediante sostituzione in questo


sistema, conduce alle condizioni pure dellequilibrio:
8 q
>
2
2
>
< Fu (x, y, z, t) + Fw (x, y, z, t)
>
>
:

fs |Fn (x, y, z, t)|

(SP.11)

f (x, y, z) = 0

Osserviamo che la presenza di una disequazione tra le condizioni di


equilibrio, a causa dellattrito statico, comporta che vi sia un insieme continuo
di posizioni di equilibrio, che rappresentano, sulla superficie del vincolo, una
regione in cui il punto si mantiene in equilibrio.
Determinato linsieme delle posizioni di equilibrio del punto P , si
possono determinare le corrispondenti reazioni vincolari tramite le rimanenti
equazioni del sistema (SP.10).
Osserviamo che il caso particolare in cui lattrito sia nullo si pu sempre
ottenere ponendo
fs = 0
nel sistema (SP.10), che si specializza allora come:

328

A. Strumia, Meccanica razionale

8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:

Fu (x, y, z, t) = 0
Fw (x, y, z, t) = 0
Fn (x, y, z, t) +

(SP.12)
=0

f (x, y, z) = 0

In questo caso il sistema contiene solo equazioni e risulta staticamente


determinato essendovi quattro equazioni, per le quattro incognite x, y, z, n .
Tre di queste equazioni non contengono reazioni vincolari e determinano
direttamente le posizioni di equilibrio. Nel caso di una superficie priva
di attrito questo metodo si pu utilizzare in alternativa al metodo dei
moltiplicatori di Lagrange.

Punto vincolato su una curva con attrito


Per determinare lequilibrio di un punto materiale vincolato ad
appartenere ad una curva con attrito la scelta pi conveniente consiste nel
proiettare la condizione di equilibrio del punto:
F+

=0

sul triedro di Frenet della curva, cio sulla base ortonormale dei versori
tangente, normale e binormale: T , N , B , che si ottengono note le equazioni
parametriche della curva:
OP = OP (s)
dalle relazioni:

statica del punto

T =

329

dP
,
ds

N =

d2 P
,
ds2

B =T ^N

Al sistema di tre equazioni ottenuto si aggiunge la legge dellattrito statico


di Coulomb-Morin specializzata per una curva. Il sistema delle condizioni di
equilibrio cos ottenuto allora il seguente:
8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:

FT +

=0

FN +

=0

FB +

=0

(SP.13)

T | fs

2
N

2
B

Eliminando le componenti della reazione vincolare, mediante le prime tre


equazioni, nella legge dellattrito, si ottiene la disequazione:
q

|FT (s, t)| fs FN2 (s, t) + FB2 (s, t)

(SP.14)

nellunica incognita s che individua la posizione del punto sulla curva.


Restano cos definiti degli intervalli di valori di s per i quali il punto si trova
in equilibrio. Dalle rimanenti condizioni si ottengono poi le componenti delle
reazioni vincolari corrispondenti.
Come caso particolare, quando il coefficiente di attrito statico nullo, la
curva risulta essere priva di attrito, quindi T = 0 e il sistema precedente
si riduce a un sistema, staticamente determinato, di tre equazioni in tre
incognite:

330

A. Strumia, Meccanica razionale

8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

FT (s, t) = 0
FN (s, t) +

=0

FB (s, t) +

=0

(SP.15)

La prima equazione non contiene reazioni vincolari, e quindi, costituisce


lequazione pura dellequilibrio. Risolta questa rispetto ad s si sostituiscono
le soluzioni trovate nelle rimanenti equazioni, determinando le componenti
della reazione vincolare allequilibrio.
Osserviamo che, in statica, le forze possono dipendere nella forma pi
generale, da s e da t e nel caso particolare in cui la componente tangente
della forza attiva dipenda solo da s, essendo il punto vincolato a muoversi su
ununica curva, la forza attiva risulta essere conservativa in quanto la forma
differenziale del lavoro vale:

dL = F dP = F T ds = FT (s) ds = d

Z s
s0

FT (
s) d
s

e quindi le posizioni di equilibrio del punto sulla curva rappresentano gli


estremanti del potenziale:

U (s) =

Z s
s0

FT (
s) d
s

Notiamo come, nel caso in cui la curva sia priva di attrito, la metodologia
ora esposta costituisce una via alternativa a quella dei moltiplicatori di
Lagrange. Il metodo dei moltiplicatori opera con le variabili vincolate x, y, z,
mentre il metodo del triedro di Frenet opera con la variabile indipendente
s, che costituisce lunico parametro lagrangiano, avendo il problema un solo
grado di libert.

statica del punto

331

Statica relativa del punto


Si ha un problema di statica relativa quando si cercano le condizioni di
equilibrio rispetto ad un osservatore che si muove di un moto qualunque
rispetto ad un osservatore inerziale Oxyz.
Per affrontare questo tipo di problema occorre considerare due
osservatori: un osservatore inerziale, che si denomina assoluto e losservatore
in moto qualunque rispetto ad esso, che in generale non sar inerziale, rispetto
al quale vogliamo studiare lequilibrio di un punto materiale e che chiamiamo
osservatore relativo.

O
y

Figura SP. 3: equilibrio relativo di un punto

Facciamo anche lipotesi che le forze dipendano solo dalle mutue distanze
tra il punto che costituisce il nostro sistema meccanico e i punti interagenti
esterni al sistema. In tal modo nel passaggio da un osservatore allaltro
le forze risultano rappresentate sempre dagli stessi vettori, in quanto le
distanze sono invarianti rispetto alle trasformazioni di rototraslazione degli
assi (trasformazioni euclidee) e quindi tutte le loro funzioni risultano di
conseguenza invarianti.
Il punto P di cui vogliamo studiare lequilibrio rispetto al sistema

332

A. Strumia, Meccanica razionale

relativo si trover, generalmente in moto rispetto al sistema assoluto; ed


essendo questultimo un sistema inerziale il moto di P risulta governato
dallequazione fondamentale della dinamica, che scriviamo per un punto che,
in generale, pu essere soggetto a vincoli:
(SP.16)

m a(a) = F +

avendo etichettato con (a) laccelerazione assoluta, mentre le forze, essendo


le stesse rispetto ad entrambi gli osservatori, non sono state etichettate.
Per vedere come la (SP.16) si trasforma nel passaggio dallosservatore
assoluto allosservatore relativo, dobbiamo far uso del teorema di Coriolis
(MR.26) che ci d il legame tra le accelerazioni rispetto ai due osservatori:
a(a) = a(r) + a( ) + a(c)
dove a(r) laccelerazione relativa e le accelerazioni di trascinamento e di
Coriolis sono date da:
a( ) = a + ! ^ P

! 2 QP,

a(c) = 2! ^ v (r)

La sostituzione del teorema di Coriolis nellequazione del moto di P


rispetto al sistema assoluto (SP.16) comporta:
(SP.17)

m a(r) + m a( ) + m a(c) = F +

Imporre che il punto P sia in equilibrio rispetto al sistema relativo,


supposto valido il teorema di unicit, comporta che esso sia in quiete rispetto
allo stesso sistema, e quindi che si abbia:
a(r) = 0,

v (r) = 0,

8t

statica del punto

333

Di conseguenza nella (SP.17) si ha:


m a( ) = F +
che si riscrive:
F+

+ F ( ) = 0

(SP.18)

dove si introdotto il vettore:


F ( ) =

m a( )

(SP.19)

ovvero:
F ( ) =

m a

m ! ^ P + m ! 2 QP

(SP.20)

al quale si d il nome di forza di trascinamento. La forza di trascinamento


non rappresenta una forza di interazione fra il punto P e i punti esterni al
sistema, ma nasce come conseguenza della non inerzialit dellosservatore
relativo, a causa del fatto che le accelerazioni si trasformano, nel
passaggio dallosservatore assoluto a quello relativo, secondo una legge di
trasformazione differente da quella con cui si trasformano le forze.
Questo risultato si pu interpretare nel modo seguente:
Per passare dalla condizione di equilibrio rispetto ad un osservatore
inerziale a quella rispetto ad un osservatore non inerziale (equilibrio relativo)
occorre aggiungere alle forze attive la forza di trascinamento.

334

A. Strumia, Meccanica razionale

Potenziale della forza centrifuga


Il contributo:
(SP.21)

F centrif. = m ! 2 QP

che compare nellespressione della forza di trascinamento prende usualmente


il nome di forza centrifuga.
Quando il sistema relativo si muove di moto rotatorio uniforme (cio !
costante) rispetto al sistema assoluto allora la forza centrifuga una forza
conservativa.
Infatti il suo lavoro, rispetto allosservatore relativo vale:
dL = m ! 2 QP dP
e pu essere portato sotto forma di differenziale esatto di una funzione
potenziale. Per calcolarlo conviene introdurre le seguenti rappresentazioni:
P = Q + QP = qk + ru
essendo:

Q = qk,

q = Q k,

QP = ru,

r = |QP |,

! = !k

Dunque, k il versore di ! e u il versore di QP . Allora, tenendo conto


che per ipotesi k costante, lo spostamento del punto P si rappresenta come:
dP = kdq + udr + rdu

statica del punto

335

Introducendo questa espressione nel calcolo del lavoro della forza


centrifuga e tenendo conto che, per definizione:
uk =0
e:
u2 = 1

=)

u du = 0

otteniamo:

1
dL = m ! ru (kdq + udr + rdu) = m ! rdr = d
m !2 r2 + C
2
2

che un differenziale esatto di una funzione regolare a un sol valore. Dunque


la forza centrifuga, in queste condizioni, risulta essere conservativa e il suo
potenziale dato da:
Ucentrif. =

1
m !2 r2
2

(SP.22)

avendo scelto lo zero del potenziale sullasse di rotazione (r = 0) ovvero la


costante C = 0.
Il risultato (SP.22) pu essere interpretato in una maniera utile per il
calcolo diretto del potenziale della forza centrifuga relativo a un osservatore
in rotazione uniforme, osservando che la sua espressione si identifica con
lenergia cinetica di un punto di massa m che si muove di moto circolare
uniforme con velocit !r. E facile rendersi conto che !r non altro che il
modulo della velocit di trascinamento del punto P . Infatti, se il moto del
sistema relativo rispetto al sistema assoluto puramente rotatorio e scegliamo
sullasse di rotazione, abbiamo:

336

A. Strumia, Meccanica razionale

v ( ) = ! ^ P = !r w,

w =k^u

E quindi lenergia cinetica associata al moto di trascinamento del punto


proprio:
T ( ) =

1
m !2 r2
2

essendo w un versore.
In conclusione abbiamo ottenuto il seguente risultato:
Quando il sistema relativo si muove di moto rotatorio uniforme (cio !
costante) rispetto al sistema assoluto allora la forza centrifuga una forza
conservativa e il suo potenziale uguale allenergia cinetica associata al moto
di trascinamento del punto.

Forza peso
Un esempio tipico di equilibrio relativo dato dal problema della
determinazione statica della forza peso.
Quando abbiamo un corpo
schematizzabile con un punto, soggetto alla forza peso, in equilibrio
sulla superficie terrestre, noi chiamiamo peso la forza m g risultante
dellattrazione gravitazionale e della forza di trascinamento prodotta dalla
rotazione della terra attorno allasse terrestre e la valutiamo misurando
lintensit della forza necessaria a mantenere in equilibrio il punto. La terra,
in rotazione attorno al proprio asse un sistema non inerziale, essendo in
moto accelerato rispetto allosservatore solidale con le stelle fisse, per cui
lequilibrio di un punto sulla superficie terrestre un equilibrio relativo.
Per studiare lequilibrio relativo dobbiamo considerare un sistema
inerziale avente origine nel centro della terra e assi diretti verso le stelle
fisse (trascuriamo in questo modo il moto traslatorio della terra la cui entit

statica del punto

337

poco rilevante rispetto alla rapidit della rotazione propria) e un sistema


relativo, non inerziale, avente sempre lorigine nel centro della terra, ma
gli assi solidali con la terra, schematizzata con una sfera rigida omogenea.
Gli assi z e dei due riferimenti vengono supposti coincidenti con lasse di
rotazione propria della terra.
z=
=
u

Figura SP. 4: equilibrio relativo sulla superficie terrestre


Nella condizione di equilibrio relativo (SP.18) la forza attiva la forza
gravitazionale che la terra esercita sul punto:

F =

Mm
u
R2

dove u il versore del vettore OP uscente dalla superficie della terra, M


la massa terrestre, R il raggio della terra. Per determinare la forza di
trascinamento valutiamo prima laccelerazione di trascinamento. Tenendo
conto che la rotazione terrestre uniforme e che lorigine del sistema relativo
coincide con lorigine del sistema assoluto O, abbiamo:
a = 0,

! = 0

338

A. Strumia, Meccanica razionale

E quindi otteniamo:
a( ) =

! 2 QP

F ( ) = m! 2 QP

=)

Di conseguenza la condizione di equilibrio relativo si scrive:

Mm
u + m! 2 QP +
2
R

=0

relazione che abitualmente scriviamo nella forma:


mg +

=0

Dal confronto otteniamo la caratterizzazione del peso:

mg =

Mm
u + m! 2 QP
R2

(SP.23)

e quindi del campo g:

g=

M
u + ! 2 QP
R2

(SP.24)

Come conseguenza di questo risultato abbiamo le informazioni seguenti:


La forza peso un vettore la cui retta dazione non passa esattamente
per il centro della terra se si eccettuano i casi in cui ci si trovi ai poli o
allequatore;
la forza peso risulta essere massima ai poli (dove la forza centrifuga
nulla) e minima allequatore (dove la forza centrifuga massima).

statica del punto

339

Equilibrio relativo su un piano ruotante con attrito


Un altro esempio di equilibrio relativo di un certo interesse rappresentato
dallequilibrio di un punto materiale soggetto alla forza peso, rispetto ad una
piattaforma rigida orizzontale, che ruota uniformemente attorno ad un asse
verticale, con velocit angolare !.
z =
=

()

y
mg
x

Figura SP. 5: equilibrio relativo in presenza di attrito


In questo caso alla forza peso agente sul punto P dobbiamo aggiungere,
nella condizione di equilibrio relativo, la forza di trascinamento dovuta alla
rotazione del sistema relativo, solidale con la piattaforma ruotante, che
rappresentata dalla forza centrifuga:
F ( ) = m ! 2 OP
dal momento che la proiezione Q di P sullasse di rotazione coincide con O.
La condizione di equilibrio relativo si scrive allora:
mg + m ! 2 OP +

=0

(SP.25)

Conviene scegliere il riferimento assoluto e il riferimento relativo, solidale


alla piattaforma, in modo che le origini O e siano coincidenti, e gli assi z

340

A. Strumia, Meccanica razionale

del sistema assoluto Oxyz e del sistema relativo siano coincidenti


con lasse di rotazione della piattaforma. Utilizzando le coordinate polari nel
piano orizzontale xy possiamo esprimere:
r = |OP |

OP = ru,
e quindi la forza centrifuga:

F ( ) = m ! 2 ru
La reazione vincolare e la forza peso si decompongono come:
=

ru

#w

n n,

mg =

mg n

Proiettando la (SP.25) sulla base del sistema relativo u, w, n otteniamo


tre equazioni alle quali va aggiunta la legge di Coulomb-Morin per lattrito
statico. Si ha cos il sistema completo delle condizioni di equilibrio relativo
del punto sulla piattaforma con attrito:
8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<

m !2r +
#

=0

=0

>
>
>
mg + n = 0
>
>
>
>
>
>
q
>
>
:
2+ 2 f |
r

(SP.26)

n|

Eliminando le reazioni vincolari nella legge dellattrito, mediante le altre


relazioni, otteniamo la condizione pura dellequilibrio:
m ! 2 r fs mg

()

fs g
!2

statica del punto

341

Resta in questo modo definita la regione in cui, in presenza di attrito, il


punto rimane in equilibrio sulla piattaforma:
D = {(r, #, 0) 2 R3 r r0 }
che costituita da una regione circolare di raggio:
r0 =
centrata nellorigine.

fs g
!2

LV. Principio dei lavori virtuali


Passiamo ora dalla statica del punto alla statica dei sistemi di punti
materiali. Anzitutto ci occorre una definizione di equilibrio per un sistema di
punti materiali.
Si dice che un sistema di punti materiali in equilibrio se e solo se ogni
suo punto in equilibrio
Quando consideriamo un sistema di punti materiali S (che
esemplificativamente consideriamo discreto), in cui possono essere presenti
vincoli, pu essere conveniente suddividerlo in due sottosistemi: il primo che
denotiamo con S` comprendente i punti liberi, cio non vincolati appartenenti
al sistema complessivo S, e il secondo, che denotiamo con Sv comprendente
i punti vincolati; cosicch risulta:
S = S` [ Sv ,

S` \ Sv = ;

Allora dire che lintero sistema in equilibrio equivale a dire che


sussistono le seguenti condizioni:
8
>
<
>
:

F s = 0,
Fs +

8 Ps 2 S`
= 0,

(LV.1)

8 Ps 2 Sv

Introdotta la nozione di equilibrio di un sistema di punti si possono


sviluppare due metodologie per la ricerca delle configurazioni di equilibrio:
la prima metodologia offerta dal principio dei lavori virtuali;
la seconda metodologia data dalle equazioni cardinali della statica.

principio dei lavori virtuali

343

Svilupperemo entrambe le metodologie per poi applicarle ai corpi rigidi e


ai sistemi olonomi. In questo capitolo ci occupiamo del principio dei lavori
virtuali: esso offre il vantaggio di chiamare in causa solamente le forze attive
ai fini della determinazione delle configurazioni di equilibrio di un sistema,
ignorando le reazioni vincolari, che sono normalmente delle incognite
aggiuntive rispetto al problema dellequilibrio. Ha come limitazione il fatto
di richiedere lipotesi che i vincoli siano lisci, ai fini della determinazione di
tutte le configurazioni di equilibrio di un sistema. Lo enunciamo.
Condizione necessaria e sufficiente affinch un sistema meccanico a
vincoli lisci sia in equilibrio in una configurazione C che il lavoro
virtuale delle forze attive sia non positivo, per ogni spostamento
virtuale compiuto a partire da C . In particolare il lavoro risulter
nullo per tutti gli spostamenti reversibili effettuati a partire da C
In formula possiamo scrivere la condizione espressa dal principio dei
lavori virtuali come:

8 Ps

(LV.2)

8 Ps reversibili

(LV.3)

L(a) 0,
E in particolare risulter:

L(a) = 0,

dove il lavoro virtuale delle forze attive , per definizione:

L(a) =

n
X

s=1

F s Ps

(LV.4)

344

A. Strumia, Meccanica razionale

Notiamo subito che la condizione (LV.3) sul lavoro relativo agli


spostamenti reversibili una conseguenza della condizione generale (LV.2)
e della definizione di spostamento reversibile. Infatti se facciamo compiere al
sistema gli spostamenti:
P1 , P2 , , Pn
la richiesta che tali spostamenti siano reversibili equivale a dire che anche gli
spostamenti opposti:
P1 ,

P2 , ,

Pn

risultano essere spostamenti virtuali, cio spostamenti compatibili con i


vincoli che non tengono conto delleventuale evoluzione nel tempo dei
vincoli. Ora se la condizione (LV.2), allequilibrio, viene soddisfatta da
tutti gli spostamenti virtuali, allora dovr risultare contemporaneamente
vera anche per gli spostamenti opposti a quelli considerati. Quindi devono
sussistere insieme le condizioni:
n
X

F s Ps 0

n
X

F s Ps

s=1

s=1

in quanto il lavoro per gli spostamenti opposti :


n
X

s=1

Fs (

Ps ) =

n
X

s=1

F s Ps

E il sistema delle disuguaglianze precedenti pu essere soddisfatto se e


solo se risulta verificata la (LV.3). Passiamo alla dimostrazione del principio
dei lavori virtuali.

principio dei lavori virtuali

345

DIMOSTRAZIONE
condizione necessaria
Dire che la condizione (LV.2) necessaria per lequilibrio di un sistema
a vincoli lisci in una configurazione C equivale a dire che: se c lequilibrio
necessariamente segue la conseguenza (LV.2). Dunque la dimostrazione della
condizione necessaria equivale alla dimostrazione del teorema:
equilibrio

L(a) 0,

=)

8 Ps

Ovvero, in base alla definizione di equilibrio di un sistema di punti


materiali:
8
>
<
>
:

8 Ps 2 S`

F s = 0,
Fs +

=)

= 0, 8 Ps 2 Sv

L(a) 0,

8 Ps

dove S` linsieme dei punti liberi e Sv quello dei punti vincolati.


Il lavoro delle forze attive si pu pensare come dovuto a due contributi:
uno esplicato dalle forze applicate ai punti non vincolati Ps 2 S` e il secondo
esplicato dalle forze applicate ai punti vincolati Ps 2 Sv . Cos possiamo
scrivere:
L(a) =

n
X

s=1

F s Ps =

Ps 2S`

F s Ps +

Ps 2Sv

F s Ps

Dal momento che per ipotesi i punti liberi sono in equilibrio e cio:
F s = 0,
segue:

8 Ps 2 S`

346

A. Strumia, Meccanica razionale

Ps 2S`

F s Ps = 0

E quindi rimane:
L(a) =

Ps 2Sv

F s Ps

Facendo intervenire lipotesi relativa allequilibrio dei punti vincolati:


Fs +

()

=0

Fs =

8 Ps 2 Sv

s,

otteniamo:
X

L(a) =

Ps 2Sv

L(v)

Ps =

Dunque:
L(a) =

L(v) ,

8 Ps

essendo L(v) il lavoro delle reazioni vincolari, dal momento che solo nei
punti Ps 2 Sv sono presenti le reazioni vincolari. Ma il sistema meccanico
che stiamo considerando un sistema a vincoli lisci e quindi, per esso vale il
principio delle reazioni vincolari che ci assicura che:
L(v)

0,

8 Ps

Di conseguenza:
L(a) =

L(v) 0,

8 Ps

principio dei lavori virtuali

347

e risulta verificata la tesi. Sottolineiamo lindispensabilit dellinformazione


relativa ai vincoli lisci per dimostrare la condizione necessaria.
condizione sufficiente
Dire che la condizione (LV.2) sufficiente per lequilibrio di un sistema
a vincoli lisci equivale a dire che: sufficiente che risulti verificata la (LV.2)
affinch il sistema sia in equilibrio. Dunque la dimostrazione della condizione
sufficiente equivale alla dimostrazione del teorema:
L(a) 0,

8 Ps

=)

equilibrio

Ovvero:

(a)

0,

8 Ps

8
>
<

=)

>
:

F s = 0,
Fs +

8 Ps 2 S`
= 0, 8 Ps 2 Sv

dove rispetto alla condizione necessaria lipotesi e la tesi sono state scambiate.
Dal momento che la (LV.2) soddisfatta, per ipotesi, per tutti gli
spostamenti virtuali a partire da una configurazione C , in particolare dovr
risultare verificata per la particolare classe di spostamenti C0 che lascia
invariati i punti vincolati e sposta arbitrariamente i punti liberi:
8
>
<
>
:

Ps arbitrari,
Ps = 0,

8 Ps 2 S`

8 Ps 2 Sv

Notiamo che questi spostamenti, per come sono stati definiti, sono
spostamenti reversibili in quanto i punti liberi, che sono gli unici a poter
compiere spostamenti non nulli, possono muoversi senza limitazioni sullo
spostamento e quindi, per ogni spostamento anche lopposto risulta permesso.

348

A. Strumia, Meccanica razionale

Per questa classe di spostamenti reversibili lipotesi (LV.2) risulta quindi


verificata come uguaglianza:
L(a) =

Ps 2S`

F s Ps = 0,

8 Ps 2 C0

(LV.5)

Dal momento che Ps 2 C0 arbitrario per ogni punto libero Ps 2


S` la condizione (LV.5) deve valere anche considerando uno spostamento
particolare che arbitrario solo per un punto Ps tra i punti liberi, mentre lascia
invariati tutti i rimanenti; cio:
8
>
<
>
:

Ps arbitrario
Ps = 0,

per s 6= s

Per questo spostamento particolare la condizione sul lavoro delle forze


attive (LV.5) diventa:

F s Ps = 0,

8 Ps

()

|Fs|| Ps| cos #s = 0

Dal momento che Ps arbitrario, il prodotto scalare pu annullarsi se e


solo se:
F s = 0,

Ps 2 S`

(LV.6)

Data larbitrariet nella scelta di s abbiamo cos ottenuto linformazione


che tutti i punti non vincolati del sistema sono in equilibrio. Osserviamo
che le forze dipendono dalle posizioni dei punti e dal tempo, ma non dagli
spostamenti Ps , per cui le (LV.6) sono valide indipendentemente dagli
spostamenti virtuali che si effettuano. Allora possiamo considerare il lavoro
delle forze attive in corrispondenza di qualsiasi spostamento virtuale, e questo

principio dei lavori virtuali

349

risulter uguale, grazie alle (LV.6) al lavoro delle sole forze agenti sui punti
vincolati. Di conseguenza in forza dellipotesi (LV.2), tenendo conto che in
generale gli spostamenti possono essere anche irreversibili, abbiamo:
L(a) =

Ps 2Sv

F s Ps 0,

(LV.7)

8 Ps

Ora introduciamo i simboli di comodo:

(LV.8)

Fs

che rappresentano le forze che sarebbero necessarie a mantenere in equilibrio


i punti vincolati Ps 2 Sv e ci chiediamo se i vincoli del nostro sistema
sono in grado di esplicare tali forze. Per rispondere a questo interrogativo
introduciamo la definizione (LV.8) nella condizione sui lavori (LV.7),
ottenendo:
L(a) =

Ps 2Sv

dove L denota il lavoro delle

Ps =

L 0,

8 Ps

s.

Abbiamo finalmente ottenuto il seguente risultato:


L

0,

8 Ps

(LV.9)

Ma stiamo lavorando con un sistema a vincoli lisci e per il principio delle


reazioni vincolari che definisce i vincoli lisci sappiamo che:
Si dicono lisci quei vincoli che sono capaci di esplicare tutte e solamente
quelle forze (reazioni vincolari) il cui lavoro virtuale risulta non negativo, per
ogni spostamento virtuale. E quindi, come gi stato osservato in precedenza,
se in un sistema a vincoli lisci si incontrano delle forze che esplicano lavoro

350

A. Strumia, Meccanica razionale

non negativo, per qualunque spostamento virtuale, queste non possono che
essere reazioni vincolari. Di conseguenza la (LV.9) comporta che i vincoli
esplicano effettivamente le forze necessarie a mantenere in equilibrio i punti
vincolati del sistema. Dunque:

E quindi la (LV.8) effettivamente la condizione di equilibrio:


Fs +

= 0,

8 Ps 2 Sv

E la tesi risulta completamente dimostrata.


condizioni di sicurezza
Se il vincolo non liscio certamente ci troviamo in presenza di attrito.
Abbiamo gi osservato che se non vale il principio delle reazioni vincolari
la condizione necessaria del principio dei lavori virtuali non valida.
Fisicamente questo si spiega perch, come lesperienza dimostra, lattrito
rende possibili delle configurazioni di equilibrio che non sarebbero tali in
presenza di vincoli lisci.
La sufficienza del principio dei lavori virtuali rimane, invece, valida anche
in presenza di vincoli non lisci. Infatti essa permette di determinare solo
quelle configurazioni che sono di equilibrio quando il vincolo liscio; ma
se il vincolo non liscio certamente vi attrito, e lesperienza mostra che
lattrito non elimina le configurazioni che sono di equilibrio anche col vincolo
liscio, ma ne aggiunge ad esse delle altre. Trattare un vincolo che non liscio
come se fosse tale allora una condizione di sicurezza, perch la presenza
dellattrito favorisce lequilibrio e quindi, se vi equilibrio col vincolo liscio,
a maggior ragione vi sar quando il vincolo non liscio. In conclusione:
Il principio dei lavori virtuali costituisce una condizione necessaria e
sufficiente per lequilibrio in presenza di vincoli lisci e una condizione solo

principio dei lavori virtuali

351

sufficiente se i vincoli non sono lisci.

Equilibrio di un corpo rigido

Osserviamo, preliminarmente, che quando si applica il principio dei lavori


virtuali la prima verifica da fare riguarda la natura dei vincoli del sistema:
bisogna verificare se i vincoli sono lisci oppure non lo sono. Se i vincoli
risultano essere lisci allora il principio dei lavori virtuali vale come condizione
necessaria e sufficiente e la condizione (LV.2) serve a determinare tutte le
configurazioni di equilibrio del sistema. Diversamente la (LV.2) fornisce
una condizione solo sufficiente e determina solo alcune delle possibili
configurazione di equilibrio, e sono quelle che si avrebbero anche se il vincolo
fosse liscio.
lavoro delle forze interne
Volendoci occupare ora dellequilibrio di un corpo rigido, facendo uso del
principio dei lavori virtuali, verifichiamo anzitutto che il vincolo di rigidit
un vincolo liscio. Questo si pu dimostrare facendo due osservazioni:
le forze interne in un corpo rigido sono le forze di mutua interazione
tra le particelle del corpo, le quali realizzano il vincolo di rigidit. Dunque in
un corpo rigido le forze interne sono tutte di natura vincolare.
Le forze interne in un corpo rigido compiono lavoro nullo.
Questo importante risultato si ottiene ricordando che il lavoro di
qualunque sistema di forze applicate ai punti di un corpo rigido dato da:
dL = R d + M d
dove d indica indifferentemente il lavoro virtuale o il lavoro possibile che

352

A. Strumia, Meccanica razionale

coincidono dal momento che il vincolo di rigidit non dipende dal tempo.
Ma per il terzo principio della dinamica, che vale per qualunque sistema
materiale (e non solo per i corpi rigidi!) le forze interne costituiscono un
sistema di coppie di braccio nullo e quindi hanno risultante e momento
risultante nulli:
R(i) = 0,

(i)

M = 0

Di conseguenza il lavoro delle forze interne in un corpo rigido diventa:


(i)

dL(i) = R(i) d + M d

=0

(LV.10)

Se il corpo non fosse rigido il lavoro delle forze interne non sarebbe
nullo, se non quando il corpo viene sottoposto a soli spostamenti rigidi, cio a
spostamenti che conservano le mutue distanze fra le particelle. Diversamente
il lavoro delle forze interne dipender dalla variazione delle distanze fra le
particelle del corpo.
E quindi risulta verificato anche che il lavoro virtuale delle forze vincolari
interne che realizzano il vincolo di rigidit, essendo uguale al lavoro delle
forze interne, nullo e soddisfa dunque il principio delle reazioni vincolari.
E quindi il vincolo di rigidit liscio.
Dalla prima osservazione fatta viene pure la conseguenza che in un corpo
rigido le forze attive possono essere solo forze esterne dal momento che le
forze interne sono tutte di natura vincolare. Di conseguenza:
L(a) = L(e,a)
In un corpo rigido il principio dei lavori virtuali si traduce nella
condizione sulle sole forze esterne attive:

principio dei lavori virtuali

353

(e,a)

R(e,a) + M

0,

8 ,

(LV.11)

In particolare per spostamenti reversibili la condizione (LV.11) risulta


verificata come uguaglianza.
corpo rigido con un punto fisso
Abbiamo appena verificato che il vincolo di rigidit liscio; in precedenza
avevamo verificato anche che un punto fisso rappresenta un vincolo liscio per
un corpo rigido. Dunque possiamo concludere che un corpo rigido con un
punto fisso soggetto a vincoli lisci.
Scegliendo coincidente con il punto fisso del corpo lespressione del
lavoro si riduce al solo lavoro del momento risultante e la condizione di
equilibrio (LV.11) diventa semplicemente:
(e,a)

= 0,

(LV.12)

Luguaglianza giustificata per il fatto che gli spostamenti, che sono


rotazioni attorno ad un asse passante per , sono tutti reversibili, in quanto
il vincolo blocca i parametri di traslazione del corpo, ma non fornisce alcuna
limitazione sui parametri di rotazione. Data larbitrariet completa di
la
(LV.12) pu essere soddisfatta se e solo se:

(e,a)

=0

(LV.13)

Questa rappresenta dunque la condizione di equilibrio per un corpo rigido


con un punto fisso.
Condizione necessaria e sufficiente perch un corpo rigido con un punto
fisso sia in equilibrio che il momento delle forze esterne attive ad esso

354

A. Strumia, Meccanica razionale

applicate, calcolato rispetto al punto fisso preso come polo di riduzione, sia
nullo.
Se prendiamo, per esempio, una singola forza attiva (P, F ) agente sul
corpo, affinch il suo momento rispetto ad sia nullo, e quindi il corpo sia in
equilibrio deve accadere che:
P ^ F = 0
ovvero la forza, supposta non nulla, deve avere la retta dazione passante per
, in quanto P risulta parallelo ad F e questultimo applicato in P .
Per determinare le configurazioni di equilibrio del corpo si proietta la
condizione vettoriale (LV.13) su un sistema di assi cartesiani che pu essere
conveniente scegliere con lorigine nel punto fisso:
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

Mx(e,a) (#, ', , t) = 0


My(e,a) (#, ', , t) = 0

(LV.14)

Mz(e,a) (#, ', , t) = 0

Si ottengono in questo modo tre equazioni per le tre incognite costituite


dai tre gradi di libert del corpo rigido con un punto fisso, che generalmente
si identificano con gli angoli di Eulero. Le soluzioni del sistema sono le
configurazioni di equilibrio cercate.
corpo rigido con un asse fisso
Consideriamo ora un corpo rigido con un intera retta solidale fissa (asse
fisso). Assumiamo, analogamente a quanto abbiamo fatto per il caso del corpo
rigido con un punto fisso, che lasse fisso non abbia struttura e si possa quindi
schematizzare con una retta geometrica, dotata di una sola dimensione. In tal
caso il vincolo risulta essere liscio. Infatti le reazioni vincolari sono applicate

principio dei lavori virtuali

355

sulla retta, ove risiede il vincolo, e i loro punti di applicazione sono punti
fissi del corpo, per cui il lavoro delle reazioni vincolari sempre nullo e
il principio delle reazioni vincolari risulta verificato. Il principio dei lavori
virtuali esprime allora una condizione necessaria e sufficiente per lequilibrio
e consente di individuare tutte le configurazioni di equilibrio del corpo.
Scegliendo il punto sullasse fisso, possiamo specializzare la
condizione di equilibrio (LV.11) nella forma:
(e,a)

= 0,

(LV.15)

z=

'

Figura LV. 1: equilibrio di un corpo rigido con un asse fisso

Gli spostamenti virtuali sono le rotazioni attorno allasse fisso e sono


tutti reversibili; questo giustifica la condizione di equilibrio sotto forma di
uguaglianza.
Dobbiamo ora introdurre nella condizione di equilibrio (LV.15)
linformazione relativa la fatto che le rotazioni
hanno la direzione del
versore c3 dellasse fisso. Possiamo esprimere questa informazione nel modo
seguente:

356

A. Strumia, Meccanica razionale

= c3 #,

# = |

dove # langolo di rotazione del corpo attorno allasse fisso, rispetto al


sistema di assi dellosservatore, ed lunico grado di libert del problema.
Il segno esprime la reversibilit dello spostamento virtuale. La condizione
di equilibrio (LV.15) si riscrive allora:
(e,a)

c3 # = Mz(e,a) # = 0,

8 #

E viene soddisfatta se e solo se:

Mz(e,a) (#, t) = 0

(LV.16)

essendo Mz(e,a) il momento assiale delle forze attive, relativo allasse fisso z.
La condizione (LV.16) una sola equazione per lunico grado di libert # e le
sue soluzioni rappresentano le configurazioni di equilibrio del corpo.
Condizione necessaria e sufficiente perch un corpo rigido con un asse
fisso sia in equilibrio che il momento assiale delle forze esterne attive ad
esso applicate, calcolato rispetto allasse fisso, sia nullo.
Se per esempio consideriamo una forza attiva sola (P, F ), affinch essa
soddisfi la condizione di equilibrio (LV.16), per la definizione del momento
assiale, deve risultare:
P ^ F c3 = 0
condizione che richiede la complanarit dei tre vettori P, F , c3 . E dal
momento che appartiene allasse fisso e P alla retta dazione della forza,
segue che la retta dazione della forza e lasse fisso devono essere complanari.

principio dei lavori virtuali

357

Quindi affinch il corpo stia in equilibrio sotto lazione di una sola forza
esterna attiva occorre e basta che la retta dazione della forza sia parallela
oppure incidente rispetto allasse fisso.
corpo rigido scorrevole su una semiretta fissa
Consideriamo ora, come terzo caso significativo, lequilibrio del corpo
rigido che pu ruotare e scorrere lungo una semiretta solidale con
losservatore (semiretta fissa) ma non solidale con il corpo rigido.

z=
=

Figura LV. 2: equilibrio di un corpo rigido scorrevole su una semiretta fissa


In questo caso affinch i vincoli siano lisci occorre assumere che siano
privi di attrito i cursori sui quali il corpo scorre lungo la semiretta e sia liscio
il vincolo unilaterale che limita la traslazione del corpo lungo la semiretta;
ad esempio sia costituito da una superficie priva di attrito. Sotto questa
ipotesi il principio dei lavori virtuali condizione necessaria e sufficiente
per determinare tutte le configurazioni di equilibrio del sistema. Linteresse
di questo esempio sta nel fatto che, essendo presente un vincolo unilaterale,
dobbiamo esaminare anche le configurazioni di confine.
Scegliamo il punto del corpo rigido in modo che si trovi sulla retta

358

A. Strumia, Meccanica razionale

solidale del corpo che trasla lungo la semiretta fissa e denotiamo con z la sua
posizione lungo la semiretta fissa, assumendo che per z = 0 il corpo si trovi
al confine, mentre con # al solito indichiamo il parametro di rotazione del
corpo. Il problema ha due gradi di libert e sussiste la limitazione:
z

che caratterizza la presenza del vincolo unilaterale. La condizione di


equilibrio (LV.11) va specializzata introducendo le informazioni relative al
vincolo, cio al fatto che la semiretta z ha direzione fissa data dal versore c3 :
= c3 z,

= c3 #

Segue che la condizione di equilibrio si riscrive:


(e,a)

R(e,a) c3 z + M

c3 # 0,

8 z, #

Ovvero:
Rz(e,a) z + Mz(e,a) # 0,

8 z, #

(LV.17)

Distinguiamo il ora caso in cui il corpo si trovi in configurazione ordinaria,


cio non a contatto con la barriera unilaterale, dal caso in cui si trovi in
configurazione di confine, cio a contatto.
a) configurazioni ordinarie: z > 0
In questa situazione tutti gli spostamenti sono reversibili e la condizione
di equilibrio (LV.17) si scrive come uguaglianza:
Rz(e,a) z + Mz(e,a) # = 0,

8 z, #

(LV.18)

principio dei lavori virtuali

359

Scegliendo uno spostamento particolare per il quale risulti z = 0 e #


arbitrario tale condizione comporta:
Mz(e,a) # = 0,

Mz(e,a) = 0

8 #

informazione che introdotta nella (LV.18) fornisce:


Rz(e,a) z = 0,

Rz(e,a) = 0

8 z

Condizione necessaria e sufficiente affinch una configurazione


ordinaria sia di equilibrio per il corpo rigido scorrevole su una semiretta fissa
che:

Rz(e,a) (z, #, t) = 0,

Mz(e,a) (z, #, t) = 0,

z>0

(LV.19)

Notiamo che solo le soluzioni che rispettano il vincolo, cio la condizione


z > 0 sono configurazioni ordinarie di equilibrio.
b) configurazioni di confine: z = 0, z

Le configurazioni di confine sono caratterizzate dal vincolo per le


configurazioni z = 0 e dal conseguente vincolo per gli spostamenti z 0.
Di conseguenza le rotazioni che sono caratterizzate da:
z = 0,

# arbitrario

sono gli unici spostamenti reversibili, mentre gli spostamenti traslatori e


rototralsatori sono irreversibili. Allora la condizione (LV.17) nel caso di

360

A. Strumia, Meccanica razionale

spostamenti reversibili, cio puramente rotatori, comporta, come gi nel caso


precedente, lannullarsi del momento assiale delle forze esterne attive:
Mz(e,a) = 0
Questa informazione, introdotta nella (LV.17) ci d di conseguenza:
Rz(e,a) z 0,

8 z

Essendo z 0, a causa del vincolo unilaterale, la condizione precedente


pu essere soddisfatta se e solo se:
Rz(e,a) 0
Condizione necessaria e sufficiente affinch una configurazione di
confine sia di equilibrio per il corpo rigido scorrevole su una semiretta fissa
che:

Rz(e,a) (0, #, t) 0,

Mz(e,a) (0, #, t) = 0

(LV.20)

Si noti che al posto della variabile z si posto il suo valore al confine che
0.
Nel caso che abbiamo una sola forza attiva (P, F ) non nulla alla
condizione dellannullarsi del momento assiale, determinata nel caso del
corpo rigido con un asse fisso, occorre aggiungere la condizione sul risultante.
Quindi affinch il corpo stia in equilibrio sotto lazione della forza, oltre a
richiedere che la retta dazione della forza sia complanare con la semiretta

principio dei lavori virtuali

361

fissa, dobbiamo avere, per le configurazioni ordinarie che la forza sia


ortogonale alla semiretta, e in configurazioni di confine, che la forza abbia
componente z non positiva. La forza deve in questo caso puntare contro la
barriera unilaterale oppure essere normale alla semiretta fissa, per mantenere
lequilibrio.

Equilibrio di un sistema olonomo

Vediamo ora come il principio dei lavori virtuali pu essere utilizzato per
la ricerca delle configurazioni di equilibrio di un sistema olonomo a vincoli
lisci.
Ricordando lespressione del lavoro virtuale per un sistema olonomo a N
gradi di libert possiamo esprimere il lavoro virtuale delle forze attive nella
forma:
L(a) = Q q

(LV.21)

dove:
q (q1 , q2 , , qN ),

Q (Q1 , Q2 , , QN )

sono i vettori, nello spazio delle configurazioni, le cui componenti sono,


rispettivamente, i parametri lagrangiani del sistema e le componenti
lagrangiane, in questo caso, delle forze attive.
Allora la condizione di equilibrio (LV.2) fornita dal principio dei lavori
virtuali, per un sistema olonomo si traduce nella condizione:
Q q 0,

8 q

(LV.22)

362

A. Strumia, Meccanica razionale

Ora possono presentarsi due situazioni: la prima quella pi semplice e si


realizza quando si hanno solamente vincoli bilaterali; mentre il secondo caso
si ha quando sono presenti vincoli unilaterali. Li esaminiamo entrambi.
vincoli bilaterali
In presenza di vincoli solamente bilaterali non vi sono configurazioni di
confine per il sistema, ma tutte le configurazioni sono ordinarie e tutti gli
spostamenti sono reversibili, in quanto lo spazio delle configurazioni coincide
con tutto RN . Di conseguenza la condizione di equilibrio (LV.22) si riconduce
in termini di uguaglianza:
Q q = 0,

8 q

(LV.23)

Data larbitrariet dello spostamento q e tenendo conto del fatto che le Q


non dipendono dagli spostamenti, ma solo da q ed eventualmente dal tempo,
segue che il prodotto scalare nella (LV.23) si pu annullare se e solo se:

Q(q, t) = 0

(LV.24)

Ovvero, in rappresentazione indiciale:


Qh (qk , t) = 0
Ricordiamo che, nel caso in cui il sistema delle forze agenti sia
conservativo le componenti lagrangiane delle forze sono le derivate parziali
del potenziale, per cui le condizioni di equilibrio nelle configurazioni
ordinarie diventano:
@U
(qk , t) = 0
@qh

principio dei lavori virtuali

363

Dunque le configurazioni ordinarie di equilibrio di un sistema olonomo


a vincoli lisci, soggetto allazione di un sistema di forze conservativo, sono
gli estremanti del potenziale.
La condizione (LV.24) scritta per esteso rappresenta un sistema algebrico
di N equazioni per le N incognite q1 , q2 , , qN :
8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:

Q1 (q1 , q2 , , qN , t) = 0
Q2 (q1 , q2 , , qN , t) = 0

(LV.25)

QN (q1 , q2 , , qN , t) = 0

le cui soluzioni sono le configurazioni di equilibrio, che denoteremo con:

Cr (q1 , q2 , , qN
),

r = 1, 2,

essendo r un indice che le tabula.


vincoli unilaterali
Esaminiamo ora il caso in cui siano presenti anche dei vincoli unilaterali e
quindi delle configurazioni di confine. In questo caso non tutti gli spostamenti
sono reversibili e bisogna analizzare separatamente le conseguenze della
(LV.22) in presenza di spostamenti reversibili e di spostamenti irreversibili.
Lo spazio delle configurazioni risulter essere allora un sottoinsieme
A di RN , ad N dimensioni in quanto gli N parametri lagrangiani sono
variabili indipendenti, dotato di una frontiera che possiamo caratterizzare con
unequazione cartesiana:
f (q) = 0

(LV.26)

364

A. Strumia, Meccanica razionale

essendo una ipersuperficie N 1 dimensionale. Le configurazioni ordinarie


sono rappresentate dai punti di A che non appartengono alla frontiera (punti
interni). Le configurazioni di confine sono costituite dai punti della frontiera
di A e che quindi soddisfano lequazione (LV.26).
q

q1

q1

Figura LV. 3: posizioni ordinarie e di confine nello spazio delle configurazioni


i) limitazioni per un solo parametro
La situazione che si presenta con maggiore frequenza quella in cui
lo spazio delle configurazioni sia definito mediante delle limitazioni sui
singoli parametri. Cominciamo con il caso in cui un solo parametro, che
identifichiamo con q1 , sia soggetto a delle limitazioni del tipo:
a q1 b
Pu anche accadere che manchi la limitazione inferiore o quella superiore
(se mancano entrambe il parametro non evidentemente soggetto ad alcuna
limitazione).
Lo spazio delle configurazioni dato dal prodotto cartesiano:
A = [a, b] RN

principio dei lavori virtuali

365

configurazioni di equilibrio ordinarie


Le configurazioni ordinarie sono caratterizzate, allora dalle limitazioni:
a < q1 < b

(LV.27)

Gli spostamenti che si possono effettuare a partire da una configurazione


ordinaria sono tutti reversibili, per cui il problema si riconduce esattamente
al caso, gi esaminato, in cui tutti i vincoli sono bilaterali. Quindi
le configurazioni di equilibrio ordinarie si ottengono mediante il sistema
(LV.25).
Si deve fare attenzione, per, che in questo caso non tutte le soluzioni
del sistema (LV.25) sono configurazioni ordinarie di equilibrio, ma solamente
quelle soluzioni che soddisfano le limitazioni (LV.27).
configurazioni di confine
Quando un solo parametro soggetto a limitazioni le configurazioni di
confine si possono verificare in due modi:
a) q1 = a =)

q1

Notiamo che essendo a lestremo inferiore dellintervallo in cui pu


variare q1 , il vincolo olonomo comporta, oltre alla limitazione per le
configurazioni, anche la limitazione per gli spostamenti: q1
0. Ne
consegue che sono reversibili solo gli spostamenti del tipo:
q (0, q2 , , qN )
essendo la prima componente nulla e le rimanenti arbitrarie e sono irreversibili
tutti gli spostamenti la cui prima componente maggiore di zero.
La condizione sul lavoro fornita dal principio dei lavori virtuali, per
la classe degli spostamenti reversibili, allora, si scrive come uguaglianza e
inoltre manca del termine relativo ad h = 1:

366

A. Strumia, Meccanica razionale

Q2 q2 + Q3 q3 + + QN qN = 0,

8 q2 , q3 , , qN

Da cui, data larbitrariet dei qh , h = 2, 3, , N e lindipendenza delle


Qh dagli spostamenti, si ha che devono annullarsi i coefficienti dellidentit,
cio:
Qh = 0,

h = 2, 3, , N

Queste condizioni costituiscono un sistema di N


1 equazioni per le
N 1 incognite: q2 , q3 , , qN , mentre il valore della prima incognita fissato
essendo q1 = a. Si ha allora il sistema:
8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:

Q2 (a, q2 , , qN , t) = 0
Q3 (a, q2 , , qN , t) = 0

(LV.28)

QN (a, q2 , , qN , t) = 0

Da questo sistema si possono determinare le soluzioni per le N


incognite; tuttavia non si pu ancora concludere che le N-ple:

(a, q2 , q3 , , qN
)

siano configurazioni di equilibrio, in quanto, ai fini dellequilibrio, la


condizione (LV.22) deve essere verificata per tutti gli spostamenti virtuali,
mentre finora abbiamo esaminato solamente la classe degli spostamenti
reversibili. Per esaminare anche che cosa accade quando gli spostamenti sono
irreversibili, introduciamo le condizioni (LV.28) che allequilibrio devono
continuare a valere indipendentemente dagli spostamenti che si effettuano,

principio dei lavori virtuali

367

dal momento che le Qh non dipendono dallo spostamento nella (LV.22),


ottenendo:
Q1 q1 0,

8 q1

Ma q1 0 in conseguenza del vincolo unilaterale e quindi la condizione


precedente pu essere soddisfatta se e solo se:
Q1 0

(LV.29)

A questo punto abbiamo esaminato il lavoro in corrispondenza di tutti gli


spostamenti virtuali e abbiamo determinato tutte le condizioni di equilibrio
per le configurazioni di confine corrispondenti a q1 = a. Le condizioni sono
dunque date da:

8
>
<
>
:

Q1 (a, q2 , , qN , t) 0

(LV.30)

Qh (a, q2 , , qN , t) = 0, h = 2, 3, , N

Operativamente per risolvere questo sistema di condizioni si procede nel


modo seguente:
per prima cosa si risolve il sistema delle equazioni (LV.28) ottenendo
delle soluzioni:

(a, q2 , q3 , , qN
)

successivamente si introducono, una ad una le soluzioni trovate nella


Q1 , cio si valuta:

368

A. Strumia, Meccanica razionale

Q1 (a, q2 , , qN
, t)

Se questa quantit risulta essere non positiva, allora si conclude che nella
configurazione di confine esaminata c equilibrio, in caso contrario non c
equilibrio.
a) q1 = b =)

q1 0

In maniera del tutto analoga si procede quando q1 assume il valore estremo


superiore dellintervallo, con lunica differenza che questa volta il vincolo
comporta, per gli spostamenti, q1 0 e quindi la disuguaglianza cambia
ovunque senso. Si ottengono in questo modo le condizioni di equilibrio:
8
>
<
>
:

Q1 (a, q2 , , qN , t)

0
(LV.31)

Qh (a, q2 , , qN , t) = 0, h = 2, 3, , N

che si risolvono allo stesso modo del caso precedente.


ii) limitazioni per due o pi parametri
In questo caso, che si pu verificare solo se N
2, cio se il sistema
ha almeno due gradi di libert, si hanno due condizioni per i due parametri
soggetti a limitazioni, che supponiamo siano i primi due:
a1 q 1 b 1 ,

a2 q2 b2

Lo spazio delle configurazioni dato adesso dal prodotto cartesiano:


A = [a1 , b1 ] [a2 , b2 ] RN

principio dei lavori virtuali

369

configurazioni di equilibrio ordinarie


Le configurazioni di equilibrio ordinarie sono caratterizzate, allora dalle
limitazioni:

a1 < q1 < b1 ,

a2 < q2 < b2

(LV.32)

Gli spostamenti che si possono effettuare a partire da una configurazione


ordinaria sono tutti reversibili, per cui il problema si riconduce come prima al
caso, gi esaminato, in cui tutti i vincoli sono bilaterali. Le configurazioni di
equilibrio ordinarie si ottengono mediante il sistema (LV.25).
Si deve fare attenzione che sono configurazioni ordinarie di equilibrio
solamente quelle soluzioni che soddisfano le limitazioni (LV.32).
configurazioni di confine
Quando vi sono due parametri soggetti a limitazioni le configurazioni di
confine si possono verificare nei seguenti modi:
a) q1 = a1 ,

a2 < q2 < b2

b) q1 = b1 ,

a2 < q2 < b2

c) a1 < q1 < b1 ,

q2 = a2

d) a1 < q1 < b1 ,

q2 = b2

e) q1 = a1 ,

q2 = a2

f) q1 = a1 ,

q2 = b2

g) q1 = b1 ,

q2 = a2

h) q1 = b1 ,

q2 = b2

Seguendo il metodo utilizzato per il caso in cui un solo parametro


soggetto a limitazioni si giunge nei casi a), b), c), d) a risultati identici a quelli

370

A. Strumia, Meccanica razionale

ottenuti quando un solo parametro soggetto a limitazioni. Per esempio nel


caso a) si ottiene il sistema:
8
>
<
>
:

Q1 (a1 , q2 , , qN , t) 0

(LV.33)

Qh (a1 , q2 , , qN , t) = 0, h = 2, 3, , N

Bisogna fare attenzione che le soluzioni di questo sistema sono


accettabili solamente se verificano anche la limitazione a2 < q2 < b2 imposta
al parametro q2 nel caso a).
Analogamente si procede nei casi b), c), d).
Il caso e) in cui entrambi i parametri assumono un valore estremo
comporta la comparsa di due disequazioni e di N 2 equazioni per le N 2
incognite q3 , , qN , essendo i primi due parametri fissati nei valori rispettivi
a1 e a2 . Il sistema delle condizioni di equilibrio diviene allora:
8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:

Q1 (a1 , a2 , q3 , , qN , t) 0
Q2 (a1 , a2 , q3 , , qN , t) 0
Q3 (a1 , a2 , q3 , , qN , t) = 0

(LV.34)

QN (a1 , a2 , q3 , , qN , t) = 0

Analogamente si trattano i restanti casi, facendo attenzione a imporre


correttamente i segni delle disuguaglianze.
Quando le limitazioni coinvolgono pi di due parametri il modo di
procedere lo stesso e si moltiplica il numero di casi da esaminare.
Osserviamo che quando il numero di parametri soggetti a limitazioni
uguale a N , allora, nei casi in cui tutti i parametri assumono un

principio dei lavori virtuali

371

valore estremo, il sistema delle condizioni di equilibrio contiene solo delle


disuguaglianze. Per esempio, per N = 2 nel caso e) sopra esaminato, si
avrebbero le condizioni di equilibrio:
8
>
<
>
:

Q1 (a1 , a2 , t) 0

(LV.35)

Q2 (a1 , a2 , t) 0

I valori dei parametri lagrangiani sono gi noti, in quanto sono dati da


q1 = a1 , q2 = a2 e rimane solo da sostituirli nelle due condizioni per
controllare se sono soddisfatte.
iii) spazio delle configurazioni a frontiera regolare
Lo spazio delle configurazioni, in generale, pu non essere una striscia o
un intervallo rettangolare, ma essere un dominio con una frontiera qualunque.
Accenniamo a come si pu trattare questo caso limitandoci, per semplicit,
ad un sistema a due gradi di libert in cui lo spazio delle configurazioni un
dominio A R2 , semplicemente connesso:
A = {(q1 , q2 ) 2 R2 , f (q1 , q2 ) 0}
la cui frontiera, di equazione cartesiana:
f (q1 , q2 ) = 0
supponiamo essere una curva regolare, in modo che in ogni punto sia possibile
considerare la tangente e la normale.
Di conseguenza le limitazioni per i parametri lagrangiani si esprimono
mediante la condizione:
f (q1 , q2 ) 0

(LV.36)

372

A. Strumia, Meccanica razionale

Figura LV. 4: spazio delle configurazioni semplicemente connesso

configurazioni ordinarie
Le configurazioni ordinarie di equilibrio si ricercano con il solito metodo
e le soluzioni q1 , q2 del sistema:
8
>
<
>
:

Q1 (q1 , q2 , t) = 0

(LV.37)

Q2 (q1 , q2 , t) = 0

rappresentano delle configurazioni di equilibrio ordinarie solo se soddisfano


la condizione:
f (q1 , q2 ) < 0
configurazioni di confine
Sono configurazioni che si trovano sulla frontiera. Per determinarle
denotiamo con n il versore dello spazio delle configurazioni normale alla
frontiera, orientato verso linterno di A e con u il versore tangente alla
frontiera, in un suo punto generico. Osserviamo che gli spostamenti

principio dei lavori virtuali

373

tangenti alla frontiera sono reversibili, mentre gli spostamenti che hanno una
componente non nulla in direzione della normale sono irreversibili.
Introducendo la decomposizione della forza generalizzata lungo la
tangente e la normale alla frontiera:
Q = Qu u + Qn n,

Qu = Q u,

Qn = Q n

possiamo scrivere la condizione di equilibrio (LV.22) nella forma:


Qu u q + Qn n q 0,

8 q

(LV.38)

Quando gli spostamenti sono tangenti alla frontiera (reversibili) essa si


specializza nella condizione:
Qu u q = 0,

8 q

da cui si ricava:
Qu = 0

()

Q1 u1 + Q2 u2 = 0

(LV.39)

Se gli spostamenti sono irreversibili si ha, tenendo conto della (LV.39):


Qn n q 0,

8 q

Tenendo conto che lo spostamento irreversibile pu avere la componente


normale solo diretta verso linterno di A, cio: n q
0, segue la
condizione:
Qn 0

()

Q1 n1 + Q2 n2 0

(LV.40)

374

A. Strumia, Meccanica razionale

essendo u1 , u2 le componenti di u e n1 , n2 le componenti di n nello spazio


delle configurazioni.
Complessivamente le condizioni di equilibrio per le configurazioni di
confine si scrivono:
8
>
<
>
:

Q1 (q1 , q2 , t) n1 (q1 , q2 ) + Q2 (q1 , q2 , t) n2 (q1 , q2 ) 0

(LV.41)

Q1 (q1 , q2 , t) u1 (q1 , q2 ) + Q2 (q1 , q2 , t) u2 (q1 , q2 ) = 0

Se lo spazio delle configurazioni non semplicemente connesso, possono


essere presenti pi rami distinti della frontiera, caratterizzabili mediante
equazioni del tipo:
fr (q1 , q2 ) = 0,

r = 1, 2,

In questa situazione le configurazioni di confine si possono realizzare


alternativamente su ciascuno di questi rami e si procede per ogni ramo con
il metodo appena illustrato.
Come osservazione conclusiva, valida qualunque sia lo spazio delle
configurazioni considerato, notiamo che possono esistere delle configurazioni
di confine nelle quali le forze lagrangiane sono tutte nulle, come accade
nel caso delle configurazioni ordinarie.
Questo accade perch, tali
configurazioni, se non fosse presente un vincolo unilaterale sarebbero
ugualmente configurazioni di equilibrio e in quel caso sarebbero ordinarie.
Se invece le condizioni di equilibrio contengono almeno una disequazione,
soddisfatta come disuguaglianza stretta, ci significa che la configurazione di
confine in questione di equilibrio proprio grazie alla presenza del vincolo
unilaterale e non vi sarebbe equilibrio in assenza di esso.

principio dei lavori virtuali

375

Sistemi a legami completi


Vale la pena rilevare che vi sono sistemi olonomi, a vincoli lisci, per i
quali lequilibrio risulta sussistere per qualunque valore di uno o pi parametri
lagrangiani, a condizione che sia soddisfatta una opportuna condizione tra le
costanti di struttura (masse, costanti elastiche, ecc.); in questi casi esistono
infinite configurazioni di equilibrio del sistema, anche se non vi attrito. In
particolare se un tale sistema ha un solo grado di libert tutte le configurazioni
consentite dai vincoli risultano essere di equilibrio; si parla allora di sistema
a legami completi. Tipici esempi sono costituiti dalla leva e dal torchio a vite.
Leva
La leva una sbarra rigida con un punto fisso O (fulcro della leva), libera
di ruotare in un piano, ai cui estremi A e B sono applicate due forze parallele
e concordi, costanti, le cui rette dazione appartengono al piano della leva.
La condizione di equilibrio per un tale sistema, a un grado di libert e a
vincoli lisci, si ottiene mediante il principio dei lavori virtuali, tenendo conto
che tutti gli spostamenti sono reversibili. Il lavoro delle due forze esterne
attive dato da:
(e,a)

L(e,a) = M O

essendo:
(e,a)

M0

= OA ^ F A + OB ^ F B

Denotando:

OA = a u, OB =

b u,

otteniamo allequilibrio:

F A = FA w, F B = FB w,

= c3 #

376

A. Strumia, Meccanica razionale

L(e,a) = (FA a

FB b) u ^ w c3 # = 0,

8 #

Escludendo il caso insignificante in cui le forze siano parallele alla leva,


il prodotto misto sempre diverso da zero e si ottiene la condizione di
equilibrio:
FA a = FB b

()

FA
b
=
FB
a

nota come regola doro della leva. Notiamo come, se questa condizione si
verifica, lequilibrio sussiste per qualunque valore del parametro lagrangiano
#. Com noto questa semplice regola consente di equilibrare in uno dei due
estremi della leva una forza di intensit anche molto superiore a quella che
viene applicata allaltro estremo, giocando su un rapporto favorevole tra i due
bracci a e b.
Torchio
In maniera analoga funziona il torchio a vite, costituito da una vite che
ruota nella corrispondente madrevite. La vite avanza di una lunghezza h
(passo della vite) ogni giro completo della vite stessa, lungo lasse verticale z.
Il sistema possiede il solo grado di libert # che definisce langolo di rotazione
della vite. Le forze vengono applicate come in fig. (??): F A viene disposta
con la retta dazione normale al braccio e F B si oppone allavanzamento della
vite. La condizione di equilibrio si ottiene, anche in questo caso, mediante
il principio dei lavori virtuali, tenendo conto che tutti gli spostamenti sono
reversibili.
Il lavoro dato da:
L(e,a) = F B + A ^ F A
Denotando:

principio dei lavori virtuali

A = au

377

F A = FA w,

FB =

FB c3 ,

= c3 #

e tenendo conto che risulta:

B = c3

h
#
2

si ottiene allequilibrio:

FA a

h
FB
2

# = 0,

8 #

Da cui la regola doro del torchio:


FA
h
=
FB
2a
che consente di realizzare una forza FB molto pi intensa della FA accordando
opportunamente il braccio a e il passo della vite.
Equilibrio relativo e potenziale della forza centrifuga
Tutta la trattazione svolta in questo capitolo stata fatta assumendo che
losservatore rispetto al quale si riferisce lequilibrio di un sistema di punti
materiali sia inerziale. Tuttavia lestensione allequilibrio riferito ad un
sistema non inerziale (equilibrio relativo) immediata se si fa riferimento
alla definizione di equilibrio di un sistema data allinizio del capitolo. Se
un sistema, come si detto, in equilibrio se e solo se ogni suo punto
in equilibrio, ne consegue che lequilibrio relativo di un sistema di punti
materiali equivale allequilibrio relativo di ogni punto del sistema. Ora la
condizione di equilibrio relativo di ogni punto si ottiene aggiungendo le forze

378

A. Strumia, Meccanica razionale

di trascinamento nelle usuali condizioni di equilibrio. Per un sistema di punti


si avr allora:

)
F s + F (
s +

=0

Di conseguenza nella formulazione del principio dei lavori virtuali basta


aggiungere alle forze attive la forza di trascinamento agente su ogni singolo
punto.
In particolare quando losservatore relativo ruota uniformemente attorno
a una retta fissa rispetto al sistema assoluto, le forze centrifughe applicate ad
ogni punto risultano essere conservative e il loro potenziale la somma dei
potenziali di ciascuna di esse. Questa una conseguenza diretta di quanto
abbiamo visto nella statica relativa del punto. Ma per un punto abbiamo visto
che il potenziale della forza centrifuga uguale allenergia cinetica associata
con il moto di trascinamento del punto. Poich questo risultato continua a
valere per i singoli punti di un sistema, avremo, di conseguenza per lintero
sistema:

Ucentrif. =

N
N
X
1 X
1
1
ms ! 2 rs2 = ! 2
ms rs2 = J ! 2
2 s=1
2
2
s=1

dove J risulta essere il momento dinerzia del sistema materiale rispetto


allasse di rotazione del riferimento relativo.
Dunque il risultato:

Ucentrif. = T ( )
si estende dal caso del punto a quello di un sistema qualunque di punti
materiali.

principio dei lavori virtuali

379

Reazioni vincolari
Il principio dei lavori virtuali tiene in considerazione le sole forze attive,
perci, di per s, consente di determinare le configurazioni di equilibrio ma
non le reazioni vincolari di un sistema meccanico a vincoli lisci. Tuttavia
possibile, anche se in maniera spesso piuttosto laboriosa, determinare anche
le reazioni vincolari applicate ai punti di un sistema.
Per fare questo si utilizza il cosiddetto metodo dello svincolamento che
consiste nel considerare un sistema equivalente a quello dato, svincolato nel
punto in cui si vuole conoscere la reazione vincolare. Nel sistema svincolato,
che ha un numero maggiore di gradi di libert del sistema originario, viene
applicata una forza attiva che uguaglia la reazione vincolare e che quindi
realizza le stesse configurazioni di equilibrio. Note allora le configurazioni
di equilibrio del sistema originario possibile determinare le corrispondenti
reazioni vincolari nel punto considerato, uguali alle forze attive ad esse
sostituite e che rappresentano le incognite del problema. Per conoscere tutte le
reazioni vincolari, corrispondenti a tutti i vincoli presenti nel sistema, occorre
procedere allo svincolamento successivo di tutti i punti vincolati.
Generalmente, quando occorre la conoscenza delle reazioni vincolari,
preferibile il metodo delle equazioni cardinali della statica che esamineremo
nel prossimo capitolo, in quanto risulta pi diretto e pi rapido.

380

A. Strumia, Meccanica razionale

y
F

Figura LV. 5: metodo dello svincolamento

ES. Equazioni cardinali della statica


Il principio dei lavori virtuali risulta essere estremamente potente per la
ricerca delle configurazioni di equilibrio di un sistema a vincoli lisci perch
non chiama in causa le reazioni vincolari, che sono normalmente incognite del
problema. Tuttavia questo suo pregio viene a costituire anche il suo limite:
infatti in molti problemi di statica necessario calcolare anche le reazioni
vincolari per conoscere le forze alle quali vengono sottoposte le strutture di
sostegno del sistema. E possibile in questo caso ricorrere al metodo dello
svincolamento, ma questo risulta essere piuttosto laborioso e quindi scomodo
da utilizzare. Inoltre nei casi in cui i vincoli non sono lisci il principio dei
lavori virtuali non condizione necessaria per lequilibrio e pu quindi non
essere soddisfatto.
Per ovviare a questi problemi si sviluppa una seconda metodologia,
fondamentale nella statica, che si fonda sulle equazioni cardinali della statica
, delle quali ci occupiamo in questo capitolo. Le equazioni cardinali della
statica chiamano sempre direttamente in causa anche le reazioni vincolari.
E chiaro che questo pu essere uno svantaggio quando il problema non
richiede anche la loro determinazione, ma solo la ricerca delle configurazioni
di equilibrio; invece un vantaggio quando il problema richiede la loro
determinazione. Inoltre, le equazioni cardinali, a differenza del principio
dei lavori virtuali, come vedremo, sono sempre delle condizioni necessarie
per lequilibrio di un sistema meccanico. Non sono invece, generalmente
sufficienti, ma lo diventano solamente se il sistema un corpo rigido. Si
comprende allora come le due metodologie siano complementari.
Per giungere alle equazioni cardinali della statica si parte dalla definizione
di equilibrio per un sistema di punti materiali qualunque: un sistema
in equilibrio quando ogni suo punto in equilibrio. Scriviamo questa
condizione senza separare, per ora, le forze in forze attive e reazioni vincolari:

f s = 0,

s = 1, 2, , n

382

A. Strumia, Meccanica razionale

dove f s la forza complessiva applicata al punto Ps del sistema materiale.


Anzich separare le forze in attive e vincolari conveniente, ai fini delle
considerazioni che vogliamo sviluppare, considerare la classificazione in
forze esterne e forze interne riscrivendo le condizioni di equilibrio nella
forma:
(i)
f (e)
s + f s = 0,

s = 1, 2, , n

(ES.1)

Queste condizioni di equilibrio, dal punto di vista algebrico, qualora


vengano proiettate su di un sistema di assi cartesiani ortogonali, costituiscono
un sistema comprendente nel caso pi generale 3n equazioni per le 3n
incognite rappresentate dalle coordinate xs , ys , zs dei punti materiali Ps che
costituiscono il sistema meccanico.
Osserviamo che se tutte le forze fossero note, si potrebbe risolvere il
sistema e si determinerebbero le configurazioni di equilibrio. Le equazioni
cardinali nascono dalla constatazione che, se quanto affermato vero in
teoria, nella pratica non tutte le forze agenti sul sistema possono essere
conosciute; e, in particolare, in un corpo macroscopico le forze interne non
sono conosciute, in quanto rappresentano le interazioni mutue fra le particelle
del corpo: esse sono impossibili da misurare perch estremamente deboli e
troppo numerose, essendo forze di natura microscopica.
Lunica informazione universalmente valida in relazione alle forze
interne, per qualunque sistema di punti materiali, ci data dal terzo principio
della dinamica in base al quale, le forze interne sono riducibili a coppie di
braccio nullo, ovvero sono caratterizzate dalle condizioni:
R(i) = 0,

(i)

M = 0

Per chiamare in causa queste informazioni occorre combinare linearmente


le condizioni di equilibrio del sistema (ES.1) in modo da far comparire il
risultante e il momento risultante delle forze interne in luogo delle singole
forze. Possiamo far comparire il risultante sommando membro a membro le

equazioni cardinali della statica

383

(ES.1) rispetto allindice s che tabula i punti del sistema. Otteniamo in tal
modo:
n
X

f (e)
s +

s=1

n
X

f (i)
s = 0

s=1

La prima sommatoria rappresenta il risultante delle forze esterne, mentre


la seconda il risultante delle forze interne, che nullo per il terzo principio
della dinamica. Rimane cos:
R(e) = 0

(ES.2)

Abbiamo in questo modo ottenuto unequazione nella quale le forze


interne non sono presenti. Rimane ora da utilizzare linformazione fornita dal
terzo principio della dinamica in relazione al momento delle forze interne.
Scelto un polo , consideriamo lespressione:
(i)
P s ^ f (e)
s + P s ^ f s = 0

che risulta essere nulla, in conseguenza delle condizioni di equilibrio (ES.1).


Sommando sull indice s otteniamo di conseguenza:
n
X

s=1

P s ^ f (e)
s +

n
X

s=1

P s ^ f (i)
s = 0

La prima sommatoria rappresenta il momento risultante delle forze


esterne, mentre la seconda il momento delle forze interne, che risulta essere
nullo per il terzo principio delle dinamica. Rimane dunque:
(e)

M = 0

(ES.3)

384

A. Strumia, Meccanica razionale

Anche questa equazione non contiene le forze interne. Le equazioni


(ES.2) e (ES.3), che sono una conseguenza delle condizioni di equilibrio
(ES.1), ma a differenza di queste ultime non contengono le forze interne,
prendono il nome di equazioni cardinali della statica. A questo punto
conveniente tornare a separare le forze in attive e vincolari e riscrivere le
equazioni cardinali nella forma in cui normalmente le utilizzeremo:

8
>
<
>
:

R(e,a) + R(e,v) = 0
(e,a)

(e,v)

+ M

(ES.4)
=0

I vantaggi. Il primo vantaggio delle equazioni cardinali, rispetto alle


condizioni di equilibrio (ES.1) sta nel fatto che in esse sono state eliminate le
forze interne. Il secondo vantaggio, rispetto al principio del lavori virtuali, sta
nel fatto che per dedurle non abbiamo fatto ricorso a nessuna ipotesi sulla
natura dei vincoli del sistema, per cui le equazioni cardinali della statica
risultano valide anche quando i vincoli non sono lisci. Esse sono sempre
condizioni necessarie per lequilibrio.
Lo svantaggio, concomitante con il guadagno delleliminazione
delle forze interne, conseguenza del fatto che, per eliminare le forze
interne abbiamo combinato linearmente le condizioni di equilibrio (ES.1),
diminuendo il numero di equazioni linearmente indipendenti. Essendo partiti
dal sistema algebrico (ES.1) che, nel caso pi generale, costituito da 3n
equazioni, otteniamo il sistema delle equazioni cardinali, che nel caso pi
generale, formato da sei equazioni. Di conseguenza le equazioni cardinali
in genere non sono sufficienti per lequilibrio di un sistema.
Ci significa che con le equazioni cardinali si pu risolvere al massimo
un problema a sei incognite. Il tipico sistema che ha un massimo di sei gradi
di libert il corpo rigido libero. Se il copro rigido vincolato diminuisce il
numero dei gradi di libert, ma in compenso nascono delle nuove incognite
per la presenza delle reazioni vincolari.

equazioni cardinali della statica

385

Osserviamo, per inciso, che quando n = 1 abbiamo un solo punto e le


equazioni cardinali si riducono a sole tre equazioni indipendenti coincidenti
con la (ES.1) per un solo punto. Quando n = 2 abbiamo un sistema di due
punti, ma in questo caso, pur avendo sei coordinate incognite, le equazioni
indipendenti sono solo cinque e le equazioni cardinali non sono sufficienti
a determinare lequilibrio. Lesempio di due punti liberi non coincidenti
collegati con una molla ideale, mostra come il sistema non in equilibrio,
anche se le equazioni cardinali sono soddisfatte.

Figura ES. 1: due punti collegati da una molla ideale

Se il sistema materiale poi, ha pi di sei gradi di libert, o comunque


pi di sei incognite dovute alla presenza di reazioni vincolari, il problema
dellequilibrio risulta staticamente indeterminato.
Le equazioni cardinali della statica sono condizioni sempre necessarie
per lequilibrio di un sistema meccanico, ma generalmente non sono
sufficienti.
Che siano condizioni necessarie per lequilibrio immediato, per come
sono state dedotte: infatti, supposto lequilibrio, espresso dalle (ES.1) esse

386

A. Strumia, Meccanica razionale

risultano verificate di conseguenza, in quanto combinazioni lineari delle


(ES.1).

Sufficienza delle equazioni cardinali per i corpi rigidi


Nellesempio di un sistema di due punti materiali collegati con una molla,
sopra riportato, si pu osservare che se si impone il vincolo di rigidit fra
i due punti, per esempio interponendo fra essi una sbarretta rigida, allora,
grazie alla rigidit del sistema, i due punti vengono a trovarsi in equilibrio,
in quanto ogni punto si trova sottoposto ad una reazione vincolare, realizzata
dalla sbarra rigida, che equilibra la forza elastica ad esso applicata. Non si
tratta di una coincidenza, ma di un risultato generale che va sotto il nome di
sufficienza delle equazioni cardinali della statica per lequilibrio dei corpi
rigidi.

Le equazioni cardinali della statica sono condizioni necessarie e


sufficienti per lequilibrio di un corpo rigido

La via pi rapida per la dimostrazione fa ricorso allipotesi ausiliaria che


i vincoli siano lisci. Questa ipotesi anche se restrittiva dal punto di vista
matematico, non lo dal punto di vista fisico, in quanto, come abbiamo
gi visto a proposito del principio dei lavori virtuali, si tratta di unipotesi
di sicurezza. Se mostriamo che le equazioni cardinali sono sufficienti in
condizioni di vincolo liscio, a maggior ragione lo sono in presenza di
vincolo non liscio, in quanto dallesperienza, sappiamo che la presenza
dellattrito favorisce lequilibrio e, comunque non rimuove le configurazioni
che sarebbero di equilibrio quando il vincolo fosse liscio.

equazioni cardinali della statica

387

DIMOSTRAZIONE
Il teorema da dimostrare il seguente:

i)

8
>
<
>
:

R(e,a) + R(e,v) = 0
(e,a)

(e,v)

+ M

=0

9
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
=

=)

>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
;

ii) corpo rigido


iii) vincoli lisci

equilibrio

Per fare intervenire il principio dei lavori virtuali che ci fornisce una
condizione sufficiente per lequilibrio, ricordiamo anzitutto la relazione che
esprime il lavoro di un sistema di forze applicate ai punti di un corpo rigido:
L = R + M
Consideriamo poi i seguenti prodotti scalari che risultano nulli in
conseguenza delle equazioni cardinali che si assumono valide per ipotesi:
R(e,a) + R(e,v) = 0
(e,a)

(e,v)

+ M

=0

Sommando membro a membro queste equazioni scalari e ordinando


ricaviamo:
(e,a)

R(e,a) + M

(e,v)

+ R(e,v) + M

=0

Riconosciamo nei primi due addendi il lavoro delle forze esterne attive
e negli ultimi due il lavoro delle forze esterne vincolari. Possiamo dunque
concludere che:

388

A. Strumia, Meccanica razionale

L(e,a) + L(e,v) = 0,

(ES.5)

8 ,

risultato valido per qualunque spostamento virtuale, dal momento che non
abbiamo fatto alcuna ipotesi sugli spostamenti.
Ora dobbiamo tenere conto del fatto che il lavoro delle forze interne in un
corpo rigido nullo, come stato mostrato nel capitolo (LV). Di conseguenza,
possiamo scrivere:
L(i) = L(i,a) + L(i,v) = 0,

(ES.6)

8 ,

Sommando membro a membro la (ES.5) e la (ES.6) otteniamo:


L(e,a) + L(e,v) + L(i,a) + L(i,v) = 0,

8 ,

Ovvero:
L(a) + L(v) = 0,

8 ,

(ES.7)

Ora tenendo conto dellipotesi ausiliaria per cui i vincoli sono lisci, che
grazie al principio delle reazioni vincolari equivale a dire:
L(v)

0,

8 ,

L(a) 0,

8 ,

segue subito nella (ES.7):

Ma questa la condizione del principio dei lavori virtuali ed sufficiente


per lequilibrio del sistema. Resta cos provata anche la sufficienza delle
equazioni cardinali della statica per lequilibrio del corpo rigido.

equazioni cardinali della statica

389

Osservazioni
Il teorema che abbiamo appena provato afferma che le equazioni
cardinali della statica sono condizioni sufficienti per determinare le
configurazioni di equilibrio di un sistema rigido. Esse tuttavia, possono
non essere sufficienti a determinare anche le reazioni vincolari. Questo
non meraviglia se teniamo conto che la prova della sufficienza stata
condotta mediante il principio dei lavori virtuali che condizione necessaria
e sufficiente per determinare le configurazioni di equilibrio, ma non si
preoccupa delle reazioni vincolari. Pu dunque accadere, che alcuni problemi
di statica rigida si presentino indeterminati per quanto riguarda le reazioni
vincolari. Questo non inficia la sufficienza delle equazioni cardinali ai fini
della determinazione delle configurazioni di equilibrio.
Dal momento che nelle equazioni cardinali compaiono solo il risultante
e il momento risultante delle forze esterne, e poich le operazioni elementari
non alterano il risultante e il momento risultante di un sistema di vettori
applicati, ne consegue, grazie alla sufficienza delle equazioni cardinali provata
per i corpi rigidi, che se si effettuano delle operazioni elementari su un sistema
di forze che mantiene in equilibrio un corpo rigido, lequilibrio non ne viene
alterato, perch le equazioni cardinali continuano ad essere soddisfatte. Se
ne trae la conseguenza che quando il corpo rigido si possono applicare i
teoremi di riducibilit ai sistemi di forze agenti su di esso senza modificarne
lequilibrio.
Nella nostra indagine sullequilibrio dei sistemi vincolati assumeremo,
come si fa usualmente, che quando un vincolo non impossibilitato ad
esplicare le reazioni vincolari che mantengono in equilibrio un corpo, esse
vengano effettivamente esplicate, in risposta alle sollecitazioni attive che
intervengono sul vincolo. In altri termini consideriamo il vincolo in termini
teorici senza tener conto del fatto che la sua struttura possa cedere se
sottoposta ad una sollecitazione eccessiva. Per cui vengono considerate
usualmente necessarie e sufficienti per lequilibrio quelle condizioni che
dimostrano che il vincolo non impossibilitato ad esplicare le reazioni
vincolari richieste per lequilibrio. Un esempio di questo dato dal corpo
rigido appoggiato a un piano orizzontale privo di attrito che esamineremo in

390

A. Strumia, Meccanica razionale

seguito.
Applichiamo adesso le equazioni cardinali della statica al corpo rigido, per
determinare le condizioni di equilibrio e le reazioni vincolari. Esaminiamo il
caso del corpo rigido con un punto fisso, con un asse fisso e scorrevole su una
semiretta. Ritroveremo, per quanto riguarda le condizioni di equilibrio, gli
stessi risultati che abbiamo dedotto con il principio dei lavori virtuali; in pi
avremo anche le informazioni relative alle reazioni vincolari.

Corpo rigido con un punto fisso


Nel caso del corpo rigido con un punto fisso il vincolo costituito dal
punto fisso , per cui la reazione vincolare unica ed applicata nel punto
fisso.
z

linea dei nodi

Figura ES. 2: equilibrio di un corpo rigido con un punto fisso e reazione


vincolare
Per scrivere le equazioni cardinali conviene scegliere il punto fisso
come polo di riduzione dei momenti: in tal modo la reazione vincolare

equazioni cardinali della statica

391

che applicata in viene ad avere momento nullo e le equazioni cardinali


della statica, vengono specializzate per lequilibrio del corpo rigido con un
punto fisso, nel modo seguente:
8
>
<
>
:

R(e,a) +

=0
(ES.8)

(e,a)
M

=0

Lequazione dei momenti non contiene la reazione vincolare e perci


fornisce le equazioni pure dellequilibrio , mentre lequazione del risultante
permette di ricavare la reazione vincolare, dopo aver risolto il problema
dellequilibrio.
Notiamo come la condizione pura per lequilibrio la stessa che era stata
trovata anche con il principio dei lavori virtuali. Abbiamo in questo caso,
in pi ottenuto le equazioni che ci permettono di calcolare anche la reazione
vincolare.
Proiettando il sistema (ES.8) su una terna cartesiana ortogonale otteniamo
sei equazioni per le sei incognite costituite dai tre gradi di libert del corpo
rigido con un punto fisso, che generalmente sono identificati dagli angoli di
Eulero, e per le tre componenti della reazione vincolare:
8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:

Rx(e,a) (#, ', , t) +

=0

Ry(e,a) (#, ', , t) +

=0

Rz(e,a) (#, ', , t) +

=0

Mx(e,a) (#, ',

, t) = 0

My(e,a) (#, ', , t) = 0


Mz(e,a) (#, ', , t) = 0

(ES.9)

392

A. Strumia, Meccanica razionale

Il sistema staticamente determinato. Risolto il problema dellequilibrio,


mediante le equazioni dei momenti, si ottengono le configurazioni di
equilibrio espresse da delle terne ordinate del tipo:
C (# , ' ,

Sostituendo i valori trovati per gli angoli di Eulero nellequazione del


risultante si determina la corrispondente reazione vincolare.

Corpo rigido con un asse fisso


Lanalisi dellequilibrio del corpo rigido con un asse fisso con il metodo
delle equazioni cardinali della statica richiede una maggiore attenzione, in
quanto il problema risulta in genere staticamente indeterminato, a meno di
non fare qualche ipotesi che dia ulteriori informazioni sulla struttura dei
vincoli. Questa indeterminazione dovuta al fatto che unasse si pu fissare
vincolandolo in molti modi differenti.
Per fissare una retta possiamo, per esempio, pensare di fissare due punti
del corpo rigido: rimane cos bloccata la loro retta congiungente. A questo
scopo occorrono due reazioni vincolari, applicate nei due punti fissati 1 , 2 .
Le equazioni cardinali della statica, adottando questo schema per i vincoli,
si specializzano nel modo seguente:
8
>
<
>
:

R(e,a) +

=0
(ES.10)

(e,a)

M 1 + 1 2 ^

=0

avendo scelto, per comodit il polo di riduzione dei momenti coincidente


con il punto di applicazione 1 di una delle due reazioni vincolari, in modo

equazioni cardinali della statica

393

z=
=

2
1

Figura ES. 3: equilibrio di un corpo rigido con un asse fisso e reazioni


vincolari
che il suo momento si annulli. Rimane, per in questo caso il momento
dellaltra reazione vincolare. Il problema ha un solo grado di libert #
per cui occorre una sola equazione pura per lequilibrio, la quale si ottiene
proiettando lequazione dei momenti sullasse fisso, come immediato
verificare considerandone il prodotto scalare per c3 :
(e,a)

c3 + 1 2 ^

c3 = 0

Il prodotto misto:
1 2 ^

c3 = 0

si annulla in quanto contiene i due vettori tra loro paralleli 1 2 , diretto come
lasse fisso e c3 che il versore dello stesso asse; quindi i tre vettori del
prodotto misto sono complanari e il prodotto si annulla. Rimane allora:
Mz(e,a) = 0

394

A. Strumia, Meccanica razionale

che la stessa condizione di equilibrio che avevamo ottenuto facendo uso


del principio dei lavori virtuali. Lequilibrio resta dunque determinato, come
deve essere, in forza della sufficienza delle equazioni cardinali della statica
per i corpi rigidi.
Per calcolare le reazioni vincolari ci servono adesso le proiezioni di tutte
le equazioni su una terna cartesiana, scelta come in figura, in modo che lasse
fisso coincida con lasse z. Abbiamo il sistema completo di sei equazioni:
8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:

Rx(e,a) (#, t) +

1x

2x

=0

Ry(e,a) (#, t) +

1y

2y

=0

Rz(e,a) (#, t) +

1z

2z

=0

2y

=0

My(e,a) (#, t) + `

2x

=0

Mx(e,a) (#, t)

(ES.11)

Mz(e,a) (#, t) = 0

dove abbiamo denotato:


1 2 = ` c3 ,

` = 1 2 c3

Oltre allequazione pura dellequilibrio che abbiamo gi esaminato, il


sistema contiene altre cinque equazioni che coinvolgono le reazioni vincolari,
ma le componenti incognite delle reazioni sono sei. Il sistema rimane
staticamente indeterminato rispetto alle reazioni vincolari. Notiamo che se
avessimo vincolato pi di due punti dellasse avremmo avuto ancora pi
incognite.
Osserviamo che le componenti x e y delle reazioni vincolari sono
determinate in quanto disponiamo di quattro equazioni che contengono queste

equazioni cardinali della statica

395

incognite senza contenere le componenti z e sono le proiezioni sugli assi x, y


delle nostre equazioni. Le componenti z delle reazioni vincolari risultano
invece indeterminate, perch rimane solo unequazione disponibile per esse,
data dalla proiezione sullasse z dellequazione del risultante.
Questa indeterminazione, in effetti, comprensibile perch laver
fissato due punti per bloccare una retta di un corpo rigido, un vincolo
sovrabbondante in quanto lo scorrimento della retta gi bloccato dallaver
fissato un punto di essa, ad esempio 1 ; per cui in 2 basta bloccare la
direzione della retta, ad esempio mediante un cursore cilindrico privo di attrito
(cerniera cilindrica).

z=
=

2
1

Figura ES. 4: asse fisso realizzato mediante un punto fisso e una cerniera
cilindrica

Poich il cursore supposto privo di attrito, la reazione vincolare risulta


ortogonale alla superficie del cursore, cio ortogonale allasse fisso, ovvero si
ha:

2z

=0

396

A. Strumia, Meccanica razionale

Viene cos ad essere eliminata unincognita e il problema risulta


completamente determinato. Il sistema completo delle equazioni cardinali
contiene ora sei equazioni per sei incognite:
8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:

Rx(e,a) (#, t) +

1x

2x

=0

Ry(e,a) (#, t) +

1y

2y

=0

Rz(e,a) (#, t) +

1z

=0

Mx(e,a) (#, t)

(ES.12)

2y

=0

My(e,a) (#, t) + `

2x

=0

Mz(e,a) (#, t) = 0

Corpo rigido scorrevole su una semiretta fissa


Nel caso dellequilibrio di un corpo rigido scorrevole su di una semiretta
bisogna scrivere le equazioni cardinali separatamente per le configurazioni
ordinarie e per le configurazioni di confine.
configurazioni ordinarie
Per le configurazioni ordinarie, supposti privi di attrito i due cursori
mediante i quali il corpo scorre lungo lasse, le uniche reazioni vincolari sono
esplicate dai cursori e risultano normali allasse z.
Perci il sistema delle equazioni cardinali si scrive:
8
>
<
>
:

R(e,a) +

=0
(ES.13)

(e,a)
M

+ 1 2 ^

=0

equazioni cardinali della statica

397

z=
=

Figura ES. 5: corpo rigido scorrevole in configurazione ordinaria

come nel caso del corpo rigido con un asse fisso, con la differenza che ora i
punti 1 (che stato ancora scelto come polo di riduzione) e 2 sono mobili
rispetto allosservatore. Proiettando il sistema sugli assi cartesiani otteniamo:
8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:

Rx(e,a) (#, z, t) +

1x

2x

=0

Ry(e,a) (#, z, t) +

1y

2y

=0

2y

=0

My(e,a) (#, z, t) + `

2x

=0

Rz(e,a) (#, z, t) = 0
Mx(e,a) (#, z, t)

(ES.14)

Mz(e,a) (#, z, t) = 0

Grazie al fatto che le reazioni vincolari sono normali allasse z, per cui
le loro componenti lungo questasse risultano nulle, abbiamo due equazioni

398

A. Strumia, Meccanica razionale

pure per lequilibrio:


Rz(e,a) (#, z, t) = 0,

Mz(e,a) (#, z, t) = 0

che coincidono con quelle che avevamo ottenuto con il principio dei lavori
virtuali. Le rimanenti quattro equazioni determinano le quattro componenti
incognite delle due reazioni vincolari. Il problema allora staticamente
determinato.
configurazioni di confine
Per le configurazioni di confine, il problema risulta staticamente
determinato a condizione che si supponga che lappoggio in corrispondenza
del vincolo unilaterale, privo di attrito, avvenga in un solo punto di contatto
3 O: in tal modo la reazione vincolare corrispondente 3 risulta parallela
allasse z:

c3 ,

c3

Il sistema delle equazioni cardinali si scrive in questo caso:


8
>
<
>
:

R(e,a) +

=0
(ES.15)

(e,a)
M

+ 1 2 ^

=0

Notiamo che anche il momento della terza reazione vincolare risulta nullo,
in quanto:
1 3 ^

=0

essendo i due vettori paralleli tra loro, grazie al fatto che lappoggio privo
di attrito.

equazioni cardinali della statica

399

z=
=

z=0

Figura ES. 6: corpo rigido scorrevole in configurazione di confine

In questo caso il sistema precedente, proiettato sugli assi fornisce:


8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:

Rx(e,a) (#, 0, t) +

1x

2x

=0

Ry(e,a) (#, 0, t) +

1y

2y

=0

Rz(e,a) (#, 0, t) +

Mx(e,a) (#, 0, t)

=0
(ES.16)

2y

=0

My(e,a) (#, 0, t) + `

2x

=0

Mz(e,a) (#, 0, t) = 0

La condizione pura dellequilibrio data da:


Mz(e,a) (#, 0, t) = 0

400

A. Strumia, Meccanica razionale

per lunico parametro incognito #, in quanto il valore di z al confine fissato a


0. Le rimanenti cinque equazioni determinano le cinque componenti incognite
delle reazioni vincolari.
Ma, mediante il principio del lavori virtuali, avevamo ottenuto in pi la
disuguaglianza:
Rz(e,a) 0
Ora il vincolo unilaterale pu realizzare solamente reazioni vincolari
di pressione e non di trazione, in quanto il corpo libero di distaccarsi
dallappoggio; di conseguenza:

e quindi risulta:
Rz(e,a) =

Equilibrio di sistemi costituiti da pi corpi rigidi


Non ostante che le equazioni cardinali della statica siano condizioni
sufficienti, per lequilibrio, solo per un sistema rigido, esse si possono
applicare, in modo opportuno, anche a sistemi che, pur non essendo rigidi
nel loro complesso, sono costituiti di corpi rigidi. Molti sistemi olonomi, pur
non essendo rigidi sono scomponibili in sottosistemi rigidi.
In questo caso si pu affermare, in conseguenza della definizione di
equilibrio data per un sistema di punti materiali, che lintero sistema in
equilibrio quando ogni sua parte rigida in equilibrio.

equazioni cardinali della statica

401

Poich le equazioni cardinali sono condizioni sufficienti per lequilibrio


di un corpo rigido, si pu imporre lequilibrio dellintero sistema scrivendo
le equazioni cardinali per ogni sua parte rigida. Si ottiene in tal modo un
sistema di condizioni di equilibrio per lintero sistema meccanico costituito
dalle equazioni cardinali relative ad ogni parte rigida.
Vale la pena fare unosservazione che pu risultare non poco utile dal
punto di vista operativo. Molti sistemi meccanici sono costituiti da parti
rigide e inoltre sono soggetti a vincoli lisci. Per questi sistemi possiamo
fare uso sia delle equazioni cardinali, nel modo ora specificato, sia del
principio dei lavori virtuali; entrambe le metodologie fornendo in questi casi
delle condizioni necessarie e sufficienti per lequilibrio. In genere risulta
pi semplice utilizzare il principio dei lavori virtuali per la determinazione
delle configurazioni di equilibrio del sistema. Successivamente, qualora
siano richieste anche le reazioni vincolari, conviene fare ricorso alle
equazioni cardinali scrivendo solo quelle equazioni che sono necessarie
per la determinazione delle reazioni, e tralasciando le equazioni pure per
lequilibrio, che gi stato determinato con il principio dei lavori virtuali.
Questo metodo risulta particolarmente rapido quando, ai fini del calcolo delle
reazioni vincolari vengono chiamate in causa solo le equazioni del risultante
e non sono necessarie le equazioni del momento risultante.

Corpo rigido appoggiato a un piano orizzontale liscio


Esaminiamo ora il problema dellequilibrio di un corpo rigido soggetto
alla forza peso (ed eventualmente ad ulteriori forze di carico, cio forze
parallele e concordi con il peso), appoggiato a un piano orizzontale privo di
attrito.
Preliminarmente, anzitutto, analizziamo i sistemi delle forze in gioco:
le forze attive costituiscono un sistema di vettori applicati paralleli e
concordi (forza peso ed eventuali forze di carico) e come tali sono riducibili
al solo vettore risultante delle forze attive, che indichiamo con P applicato

402

A. Strumia, Meccanica razionale

al centro C delle forze attive, che, nel caso sia presente la sola forza peso,
coincide con il baricentro del corpo.
Le reazioni vincolari, essendo il vincolo liscio e unilaterale,
costituiscono un sistema di vettori paralleli e concordi, riducibili al solo
vettore risultante delle reazioni vincolari che indichiamo con V , applicato
nel centro delle reazioni vincolari Cv .
Notiamo che abbiamo applicato i teoremi di riducibilit e che questi, come
stato gi osservato, non modificano lequilibrio essendo il corpo rigido.
Si definisce poi centro di pressione la proiezione C del centro delle forze
attive, sul piano di appoggio.
Insieme discreto di punti di appoggio
Esaminiamo, per primo, il caso in cui linsieme dei punti in cui il corpo
si trova a contatto con il piano (punti di appoggio) costituisca un insieme
discreto costituito da n punti:

D = {A1 , A2 , , An }
ai quali sono applicate le reazioni vincolari:

1,

2, ,

Per trattare il problema introduciamo la definizione di poligono di


appoggio.
Si definisce poligono di appoggio un poligono che ha le seguenti tre
propriet:
i) i vertici del poligono sono tutti dei punti di appoggio;

equazioni cardinali della statica

403

ii) i punti di appoggio che non sono vertici si trovano non esternamente al
poligono di appoggio;
iii) il poligono convesso.

A1

A2
A7

A3
A8

A5

A4

Figura ES. 7: poligono di appoggio


Introdotto il poligono di appoggio si dimostra il seguente enunciato:

Condizione necessaria e sufficiente affinch un corpo rigido pesante


appoggiato a un piano orizzontale, privo di attrito, sia in equilibrio
che il centro di pressione cada non esternamente al poligono di
appoggio

DIMOSTRAZIONE
Abbiamo gi esaminato i sistemi delle forze attive e delle reazioni
vincolari, e abbiamo visto che ciascuno dei sistemi risulta riducibile a un solo
vettore applicato nel rispettivo centro delle forze parallele.
Inoltre le reazioni vincolari costituiscono un sistema di vettori paralleli e
concordi, i cui punti di applicazione sono non esterni ad una curva convessa

404

A. Strumia, Meccanica razionale

(che nel nostro caso il poligono di appoggio).


Ma conosciamo una propriet del centro dei vettori paralleli secondo
cui: se i punti di applicazione di un sistema di vettori paralleli e concordi
appartengono ad un piano e sono racchiudibili mediante una curva convessa,
allora il centro cade non esternamente alla curva.
Ne consegue che, nel problema che stiamo esaminando, il centro delle
reazioni vincolari cade non esternamente al poligono di appoggio. Ora la
condizione necessaria e sufficiente affinch il corpo sia in equilibrio fornita
dalle equazioni cardinali della statica che nel nostro caso si scrivono:
8
>
<
>
:

P +V =0
(ES.17)
C ^ P + Cv ^ V = 0

Ma questo equivale a richiedere che i vettori applicati (C, P ) , (Cv , V ),


ai quali sono stati ridotti i sistemi delle forze, formino una coppia di braccio
nullo. Ma affinch i vettori formino una coppia di braccio nullo devono avere
in comune la retta dazione e cio C e Cv devono trovarsi sulla stessa verticale,
ovvero Cv deve coincidere con la proiezione di C sul piano di appoggio,
ovvero il centro di pressione C deve coincidere con il centro delle reazioni
vincolari Cv .
Ora abbiamo visto che il centro delle reazioni vincolari non pu cadere
esternamente al poligono di appoggio: dunque affinch ci sia lequilibrio il
centro di pressione deve cadere non esternamente al poligono di appoggio.
In questo caso e solo in questo caso il vincolo non impossibilitato ad
esplicare le reazioni vincolari che realizzano lequilibrio. Si assume allora
che il vincolo sia capace di esplicare la reazione vincolare richiesta reagendo
alla sollecitazione della forza attiva (vincolo teorico).
Calcolo delle reazioni vincolari
Per procedere al calcolo delle reazioni vincolari scriviamo le equazioni

equazioni cardinali della statica

405

cardinali per il nostro problema, assumendo che il corpo si trovi in equilibrio


sul piano:

P+

n
X

=0

s=1

C ^ P +

n
X

s=1

As ^

=0

Proiettiamo le equazioni cardinali sugli assi di un riferimento cartesiano


ortogonale la cui origine coincide con il polo di riduzione , gli assi x, y
appartengono al piano di appoggio e lasse z, che risulta verticale, sia
orientato verso lalto, cio in verso discorde con il vettore della forza peso
P e quindi concorde con le reazioni vincolari.
1

2
A2

6
A6

A1
C* 5

A7 4

A3

A4

A5

Figura ES. 8: reazioni vincolari agli appoggi


Rispetto al sistema cos definito i vettori che ci interessano per il calcolo
si rappresentano come:

OAs (xs , ys , 0), OC (x , y , 0),

(0, 0,

s ),

P (0, 0, P )

406

A. Strumia, Meccanica razionale

Proiettando si hanno in tutto tre equazioni, una per il risultante, che ha


componente non nulla solo lungo lasse z e due per il momento che, essendo
normale ai vettori paralleli, ha componenti non nulle solo nel piano xy:
8 P
n
>
>
s=1 s
>
>
>
>
< P
n
s=1 ys s
>
>
>
>
>
>
: Pn
s=1

xs

P =0
yP = 0

(ES.18)

x P = 0

Abbiamo un sistema di tre equazioni nelle n incognite s . Il sistema


risulta indeterminato quando n > 3, cio nei casi di maggiore utilit pratica.
Esaminiamo, anzitutto, i casi in cui il problema risulta determinato.
caso n = 1
Se si ha un solo appoggio, lunica reazione vincolare allequilibrio
applicata nel centro di pressione, per cui le tre equazioni cardinali si scrivono:
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

P =0
y(

P) = 0

x (

P) = 0

(ES.19)

La sola equazione linearmente indipendente esprime la condizione di


equilibrio del punto di appoggio.
caso n = 2
Le equazioni cardinali si scrivono:

equazioni cardinali della statica

8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

407

P =0

y1

+ y2

yP = 0

x1

+ x2

x P = 0

(ES.20)

In questo caso una delle tre equazioni, allequilibrio, risulta linearmente


dipendente dalle altre due, in quanto il centro di pressione deve trovarsi non
esternamente al poligono di appoggio, che si riduce al segmento congiungente
i due punti di appoggio. Allora A1 , A2 , C appartengono ad una stessa retta,
cio le loro coordinate soddisfano ad unequazione lineare del tipo:
y = mx + q
Per cui possiamo riscrivere la seconda equazione come:
m (x1

+ x2

x P ) + q (

P) = 0

che una combinazione lineare delle altre due. Le reazioni vincolari sono
date dalla risoluzione del sistema delle due equazioni indipendenti:

x
x1

x2
P,
x2

x
x1

x1
P
x2

Evidentemente i due casi esaminati non sono di interesse pratico data l


instabilit dellequilibrio di un corpo su uno o due appoggi.
caso n = 3
Il caso di un corpo con tre appoggi conduce al sistema delle equazioni
cardinali seguente:

408

A. Strumia, Meccanica razionale

8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

x1

+ x2

+ x3

y1

+ y2

+ y3

=P
3

(ES.21)

= x P
= yP

Questo rappresenta un sistema lineare non omogeneo, supposto P 6= 0, di


tre equazioni nelle tre incognite 1 , 2 , 3 . Il determinante dei coefficienti
dato da:
1

= x1 x2 x3

= 2S

y1 y2 y3
dove si indicata con S larea del triangolo di vertici A1 , A2 , A3 .
Notiamo che se
= 0 i tre punti di appoggio risultano allineati, in
quanto le loro coordinate risultano linearmente dipendenti e quindi i punti
appartengono ad una stessa retta. In questo caso affinch ci sia equilibrio, il
centro di pressione che deve trovarsi non esterno al poligono di appoggio, che
un segmento, risulta anchesso allineato con i punti di appoggio. Il problema
risulta staticamente indeterminato in quanto le tre equazioni sono linearmente
dipendenti. Se invece
6= 0 il sistema di Cramer ammette una soluzione
unica. Indicando i determinanti delle incognite con:
1
1

= x x2 x3 P,
y y2 y3

risulta:

1
2

= x1 x x3 P,
y1 y y3

1
3

= x1 x2 x P
y1 y2 y

equazioni cardinali della statica

= 2S1 P,

409

= 2S2 P,

= 2S3 P

dove S1 , S2 , S3 sono le aree dei triangoli di cui un vertice il centro di


pressione e gli altri due vertici sono i punti di applicazione delle reazioni
vincolari con esclusione di quella che si sta calcolando. Si ottiene allora:

S1
P,
S

S2
P,
S

S3
P
S

Si vede allora che la reazione vincolare ha intensit tanto minore quanto


pi il suo punto di applicazione lontano dal centro di pressione. Inoltre se
il centro di pressione coincide con il baricentro geometrico del triangolo, per
cui le tre aree S1 , S2 , S3 sono uguali, le tre reazioni vincolari risultano uguali
e il carico quindi distribuito uniformemente sui tre appoggi.

A1

C*

A3

A2

Figura ES. 9: triangolo di appoggio

caso n > 3
Il caso con pi di tre appoggi, che quello pi interessante dal punto
di vista pratico, risulta staticamente indeterminato. Ci significa che per
risolverlo non bastano le sole equazioni cardinali della statica, ma occorre
qualche ulteriore informazione sulla natura dei vincoli, che dobbiamo trarre

410

A. Strumia, Meccanica razionale

da considerazioni fisiche sul problema. In altri termini lo schema corpo


rigido-appoggio rigido non sufficiente a descrivere il fenomeno. Procediamo
alle seguenti considerazioni che ci conducono a delle ipotesi aggiuntive, in
vista della risoluzione del problema.
Lesperienza mostra, infatti, che il suolo, quando sottoposto al carico
di un corpo, tende ad abbassarsi cedendo per realizzare lequilibrio. Sembra
ragionevole, perci fare lipotesi di una cedevolezza lineare del terreno in
funzione dellentit della reazione vincolare che in un dato punto di appoggio
deve essere esplicata. In prima approssimazione il suolo pu essere supposto
elastico e l elasticit del suolo rappresentata come una funzione lineare, in
accordo con la legge di Hooke. Ne consegue la:
prima ipotesi: si pu scrivere il legame tra la generica reazione vincolare
e labbassamento del punto di applicazione:

k 2 zs

(ES.22)

essendo k 2 la costante elastica del terreno che viene supposta uguale su tutta
la superficie del poligono di appoggio e zs la quota del punto di appoggio As
dopo labbassamento del suolo.
Labbassamento del suolo pu considerarsi piccolo rispetto a tutte le altre
lunghezze che entrano in gioco nel problema, per cui accettabile assumere
che:
seconda ipotesi: dopo il cedimento il poligono di appoggio si trova
ancora ad appartenere ad un piano, in quanto lappoggio avviene sugli stessi
punti del corpo, che essendo rigido, stanno ancora su un piano.
Sotto queste ipotesi ulteriori il problema della determinazione delle reazioni vincolari viene ricondotto a quello della determinazione
dellequazione del piano di appoggio dopo il cedimento.
Lequazione di tale piano unequazione lineare che, per comodit,
scriviamo nella forma esplicita rispetto a z:

equazioni cardinali della statica

411

(ES.23)

z = ax + by + c

Tenendo conto della seconda ipotesi, dopo labbassamento del suolo, tutti
i punti di appoggio devono appartenere al piano, e quindi le loro coordinate
devono soddisfare lequazione (ES.23):
zs = a xs + b ys + c
Di conseguenza, grazie alla prima ipotesi, le reazioni vincolari risultano
legate ai coefficienti che caratterizzano il piano e alle coordiniate dei punti sul
piano di appoggio:

(ES.24)

k 2 (a xs + b ys + c)

Il problema stato cos ricondotto alle tre incognite a, b, c e quindi le tre


equazioni cardinali sono sufficienti a determinarlo. Sostituendo le (ES.24) nel
sistema (ES.18) otteniamo il sistema risolutivo che scriviamo:
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

k 2 n xG a + k 2 n y G b + k 2 n c + P = 0
k 2 C 0 a + k 2 A b + k 2 n yG c + y P = 0
k 2 B a + k 2 C 0 b + k 2 n xG c + x P = 0

dove sono state introdotte le seguenti notazioni di comodo:

xG =

A=

n
X

s=1

n
1X
xs ,
n s=1

ys2 ,

B=

yG =
n
X

s=1

x2s ,

n
1X
ys
n s=1

C0 =

n
X

s=1

xs ys

(ES.25)

412

A. Strumia, Meccanica razionale

Notiamo che, anche se il problema che stiamo trattando non ha a che


fare con i baricentri e con i momenti dinerzia, tuttavia da un punto di
vista puramente formale, le quantit xG , yG hanno le stesse espressioni che
avrebbero le coordinate del baricentro di n masse unitarie calcolate nei punti
di appoggio; e le quantit A, B, C 0 uguagliano i momenti dinerzia relativi
agli assi x e y e il momento di deviazione della stessa distribuzione di masse
fittizie. Questa osservazione ci permette una notevole semplificazione del
sistema (ES.25) qualora scegliamo lorigine del sistema di assi cartesiani nel
baricentro delle masse fittizie, ottenendo in tal modo:
xG = 0,

yG = 0

e la direzione degli assi x, y in modo che risultino assi principali dinerzia,


ottenendo cos:
C0 = 0
Con questa scelta del sistema di assi le equazioni del sistema risolutivo
(ES.25) si riducono alle seguenti:
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

k2n c + P = 0
(ES.26)

k2A b + yP = 0
k 2 B a + x P = 0

Risolvendo otteniamo le tre incognite:


a=

x P
,
k2B

b=

yP
,
k2A

c=

P
k2n

Espressioni che sostituite nella (ES.24) determinano completamente tutte


le reazioni vincolari:

equazioni cardinali della statica

xs x ys y 1
+
+
B
A
n

413

(ES.27)

Notiamo come, grazie alla dipendenza lineare, da z, delle reazioni


vincolari, la costante elastica del terreno scompaia dallespressione finale
delle reazioni vincolari.
Inoltre va tenuto presente che le espressioni ottenute sono valide rispetto
al sistema di assi cartesiani che abbiamo scelto; con una scelta diversa le
espressioni risultano molto pi complicate.
Se il centro di pressione coincide con lorigine degli assi, cio con
il baricentro delle masse unitarie (ovvero con il baricentro geometrico del
poligono di appoggio) le reazioni vincolari risultano tutte uguali e valgono
1
P.
n
Dal punto di vista operativo va osservato che, nel corso del calcolo
delle reazioni vincolari, pu accadere che qualche reazione risulti nulla o
negativa. Se la reazione nulla ci significa che il corpo non appoggia in quel
punto, in quanto il vincolo non riceve alcuna sollecitazione in base alla quale
reagire: si tratta di un punto di distacco, che deve essere escluso dal poligono
di appoggio. Se la reazione risulta essere negativa come se il vincolo
dovesse esercitare una reazione vincolare in verso opposto a quella che pu
effettivamente esplicare: il corpo anzich appoggiare in quel punto dovrebbe
essere sottoposto a trazione per rimanere in equilibrio. Anche questo caso
va escluso in quanto non vi appoggio in quel punto. Eliminati, dunque i
punti in cui non vi appoggio si costruisce il nuovo poligono di appoggio e
si procede al calcolo delle reazioni vincolari fino a che tutte risultano essere
positive.
Insieme continuo di punti di appoggio
Esaminiamo ora lestensione al caso in cui linsieme dei punti di appoggio
costituisca un insieme continuo D R2 . Nel caso del continuo anche
le reazioni vincolari non costituiscono pi un insieme discreto, ma devono

414

A. Strumia, Meccanica razionale

essere rappresentate mediante una legge di distribuzione differenziale. Per


cui ad ogni elemento della superficie di appoggio dS viene associato un
contributo infinitesimo di reazione vincolare:
d

= dS

La funzione:

d
dS

pu essere integrata su una porzione finita S della superficie a cui il corpo


appoggiato, ottenendo la reazione vincolare risultante esercitata da quella
porzione di piano di appoggio:
=

dS

La funzione ha le dimensioni di una forza per unit di superficie, cio di


una pressione e viene a rappresentare la pressione vincolare, cio la pressione
che il vincolo deve esercitare sul corpo, nei punti della superficie di appoggio,
per mantenerlo in equilibrio ed opposta alla pressione che il corpo esercita
sul vincolo nello stesso punto.
Per trattare il problema dobbiamo generalizzare al caso continuo la
definizione di poligono di appoggio. Avremo questa volta unarea di
appoggio.
Si definisce area di appoggio un dominio D R2 che ha le seguenti tre
propriet:
i) i punti della frontiera di D sono tutti dei punti di appoggio;
ii) i punti di appoggio che non sono punti di frontiera si trovano non
esternamente a D;

equazioni cardinali della statica

415

iii) il dominio D convesso.


Osserviamo che come conseguenza della convessit di D esso risulta
anche semplicemente connesso. Evidentemente la dimostrazione della
condizione necessaria e sufficiente per lequilibrio del corpo rimane identica
a quella svolta per il caso discreto.
Ai fini della determinazione della pressione vincolare, in funzione delle
coordinate del punto di appoggio, occorre fare sempre le ipotesi relative alla
cedevolezza del suolo, in quanto il numero di appoggi risulta sempre infinito.
Denotando:
= c3

= c3 ,

le equazioni cardinali della statica si scrivono:


Z

dS + P = 0

A ^ dS + C ^ P = 0

essendo A il generico punto di appoggio. Queste, proiettate sugli assi


cartesiani, si riconducono, mediante la legge di elasticit lineare:
=

2 z

al sistema:
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

2 S xG a + 2 S yG b + 2 S c + P = 0
2 C 0 a + 2 A b + 2 S yG c + y P = 0
2 B a + 2 C 0 b + 2 S xG c + x P = 0

(ES.28)

416

A. Strumia, Meccanica razionale

dove:

xG =

1Z
x dS,
S D

A=

yG =

y 2 dS,

B=

1Z
y dS,
S D

S=

C0 =

x2 dS,

dS

xy dS

nello stesso modo del caso discreto. In luogo del sistema discreto di masse
unitarie si sceglie qui una distribuzione fittizia di materia di densit unitaria
e si giunge, seguendo la stessa procedura esaminata per il caso discreto, a
determinare la pressione vincolare in funzione delle coordinate del punto di
appoggio:

(x, y) =

x x y y
1
+
+
B
A
S

(ES.29)

Equilibrio di un tavolo
Come esempio di equilibrio di un corpo rigido pesante appoggiato a un
piano orizzontale liscio, consideriamo un tavolo rettangolare con quattro punti
di appoggio, di lati 2a e 2b.
In questo caso n = 4; il poligono di appoggio costituito dal rettangolo i
cui vertici sono i quattro punti di appoggio. Inoltre immediato identificare il
sistema di riferimento con lorigine nel baricentro delle masse unitarie fittizie
e gli assi x, y coincidenti con gli assi principali dinerzia, come rappresentato
in fig. (ES. 10). Le reazioni vincolari sono date allora da:

1
=
4

y
+
+1
a
b

P,

1
=
4

x y
+
+1 P
a
b

equazioni cardinali della statica

417

Figura ES. 10: equilibrio di un tavolo

1
=
4

x
a

y
+1
b

P,

1
=
4

y
+1 P
b

Osserviamo che il confine a partire dal quale le reazioni si annullano per


poi cambiare segno, cio a partire dal quale avviene il distacco nei rispettivi
punti di appoggio, dato dallintersezione del poligono di appoggio con le
rette di equazioni rispettive:
x y
+
+ 1 = 0,
a
b

distacco in A1

x y
+
+ 1 = 0,
a
b

distacco in A2

x
a

distacco in A3

x
a

y
+ 1 = 0,
b
y
+ 1 = 0,
b

distacco in A4

Si pu allora identificare larea di completo appoggio come il luogo dei


punti che, assunti come centri di pressione, comportano reazioni vincolari

418

A. Strumia, Meccanica razionale

tutte positive. Nel caso in esame questarea rappresentata dal rombo


ombreggiato nella fig. (ES. 11).

y
(-a,b)

(a,b)
C

(-a,-b)

(a,-b)

Figura ES. 11: area di completo appoggio del tavolo

Equilibrio della scala


A conclusione del capitolo esaminiamo un problema di equilibrio in cui
la presenza dellattrito indispensabile perch si realizzino configurazioni
di equilibrio significative dal punto di vista pratico: si tratta del problema
dellequilibrio della scala. Schematizziamo la scala come un corpo rigido
soggetto alla forza peso, in modo da fare uso delle equazioni cardinali della
statica come condizioni necessarie e sufficienti per lequilibrio, e supponiamo
che il pavimento e la parete su cui la scala viene appoggiata siano dotati di
attrito, con coefficienti che possono risultare anche diversi per le due superfici.
Nei punti di appoggio sono applicate le reazioni vincolari. Sotto le ipotesi che:
la scala sia omogenea;
il carico sia simmetrico rispetto allasse della scala;
le superfici di appoggio siano omogenee

equazioni cardinali della statica

419

il problema presenta una simmetria rispetto allasse longitudinale della scala.


In tale situazione le reazioni vincolari e il carico si possono ridurre a sistemi
di forze applicate sullasse, e il problema da tridimensionale si riconduce a un
problema bidimensionale.
Affinch il vincolo non sia impossibilitato a realizzare lequilibrio occorre
e basta che la retta dazione del risultante delle forze attive abbia punti comuni
con lintersezione degli angoli dattrito (intersezione tra i coni dattrito e il
piano di simmetria della scala) relativi al pavimento e alla parete. In tal
modo il vincolo non impossibilitato ad esplicare un risultante delle reazioni
vincolari che formi una coppia di braccio nullo con il risultante delle forze
attive. In generale il problema staticamente indeterminato, perch esiste un
intero segmento di punti di intersezione. Nel caso in cui la parete sia priva
di attrito si ha invece un solo punto di intersezione possibile. Notiamo che
indispensabile che il pavimento sia dotato di attrito, altrimenti la scala pu
stare in equilibrio solo verticalmente appoggiata al muro o orizzontalmente
distesa sul pavimento, posizioni ovviamente di nessuna utilit pratica.

TF. Statica delle travi e dei fili


Equilibrio delle travi
Una categoria di sistemi di punti materiali continui di particolare interesse
costituita dalle travi e dai fili.
Comunemente si definisce trave un solido tubolare in cui una dimensione
lineare prevale su tutte le altre. Geometricamente una trave pu essere
generata facendo scorrere una figura piana (sezione della trave), con il suo
baricentro, lungo una curva assegnata, che prende il nome di direttrice della
trave, in modo da mantenersi punto per punto normale ad essa.

++
+
+
+ s
+
+
+ C
+

+
++
+

Figura TF. 1: trave


Di una trave generalmente utile, come si comprende, lo studio della
statica. Per lo studio dellequilibrio di una trave si fa uso delle equazioni
cardinali della statica che servono a determinare le reazioni vincolari agli
appoggi o agli incastri, e gli sforzi e i momenti ai quali la struttura della trave
viene sottoposta in conseguenza del suo peso e di eventuali carichi esterni.
Se la trave in esame un continuo deformabile, supposto lequilibrio, si
utilizzano le equazioni cardinali della statica come condizioni necessarie per
lequilibrio e da esse si cerca di ottenere le reazioni vincolari e le informazioni
sugli sforzi e i momenti. Se la trave si pu pensare come un corpo rigido,

travi e fili

421

allora le equazioni cardinali saranno anche sufficienti a garantire lequilibrio.


Bisogner supporre rigida, comunque, almeno la sezione che genera la trave
muovendosi lungo la direttrice, perch ad essa si devono applicare i teoremi
di riducibilit senza che ne venga alterato lequilibrio della trave.
Considerata una sezione generica
si definisce pagina positiva della
sezione quella rivolta verso le ascisse crescenti e pagina negativa quella
rivolta verso le ascisse decrescenti.
Classificazione delle forze
Fissata unascissa curvilinea s sulla direttrice, si d la seguente
classificazione delle forze agenti sulla trave:
forze esterne
Le forze esterne agenti sulla trave possono essere di due tipi:
i) forze concentrate o forze di carico le quali sono forze applicate in un
numero finito di punti interni alla trave; queste si tabulano con un indice nel
modo seguente:

F 1, F 2, , F n
e si assume che la loro retta dazione passi per la direttrice, in modo che,
mediante unoperazione elementare di scorrimento possono essere portate ad
essere applicate a punti della direttrice.
ii) forze distribuite, cio forze applicate ad ogni elemento infinitesimo di
trave, come ad esempio il peso; queste si descrivono assegnando una legge di
distribuzione differenziale del tipo:

F (s) = f (s) ds

422

A. Strumia, Meccanica razionale

e si intendono applicate con continuit ai baricentri delle sezioni, cio ai punti


della direttrice.

ds

Fi

f (s) d s

Figura TF. 2: forze esterne applicate ad una trave

forze interne
Le forze interne ad una trave sono rappresentate dalle forze di interazione
tra le particelle, che nascono in opposizione alle sollecitazioni esterne, per
realizzare lequilibrio della trave, e si chiamano forze di contatto. Esse sono
applicate a tutti i punti di una generica sezione .
Applicando ad esse i teoremi di riducibilit, che non alterano lequilibrio,
in forza dellipotesi di rigidit della sezione, il sistema di vettori applicati
costituito dalle forze interne, si pu ridurre ad un vettore risultante, relativo
alla sezione , che denotiamo con R e che prende il nome di sforzo, e ad
una coppia di momento risultante M . Il momento risultante si intende, per
definizione calcolato rispetto al polo C, baricentro della sezione che si sta
considerando.
Per il principio di azione e reazione lo sforzo e il momento che le particelle
affacciate sulla pagina negativa di una sezione esercitano sulle particelle
affacciate sulla pagina positiva, risultano rispettivamente uguali ed opposti
allo sforzo e al momento esercitati dalle particelle affacciate sulla pagina
positiva nei confronti delle particelle affacciate sulla pagina negativa.

travi e fili

423

Convenzione sui segni. Si conviene di apporre un segno positivo davanti


agli sforzi e ai momenti esercitati dalla pagina negativa verso quella positiva
e un segno negativo agli sforzi e ai momenti esercitati in senso opposto.
In questo modo il sistema di tutte le forze applicate alla trave viene ridotto,
mediante operazioni elementari, ad un sistema di forze equivalente, applicate
ai punti della direttrice. Lequilibrio della trave cos ricondotto allequilibrio
della direttrice.

R
C

Figura TF. 3: riduzione delle forze interne ad una trave


Per completare la nomenclatura si definisce poi:
sforzo normale la componente di R lungo la normale alla sezione
;
sforzo di taglio la componente di R sul piano della sezione

momento torcente la componente di M lungo la normale alla sezione


;
momento flettente la componente di M sul piano della sezione

424

A. Strumia, Meccanica razionale

R taglio

M flettente

R
C

M
C

normale

torcente

Figura TF. 4: decomposizione dello sforzo e del momento

Equazioni delle travi in forma integrale


Quando si studia lequilibrio delle travi, generalmente interessa
conoscere, oltre alle reazioni vincolari agli appoggi, anche gli sforzi e i
momenti a cui la trave viene sottoposta a causa delle sollecitazioni esterne.
Ma le equazioni cardinali della statica contengono solamente le forze esterne,
mentre gli sforzi e i momenti sono originati dalle forze interne di mutua
interazione. Per mettere in evidenza queste sollecitazioni interne bisogna
scrivere le equazioni cardinali per un sottosistema che le vede come esterne,
cio per un tratto di trave compreso fra due generiche sezioni e 0 , anzich
per la trave intera. In tal modo gli sforzi e i momenti, che le parti della
trave escluse dal tratto considerato esercitano sul tratto esaminato, risultano
sollecitazioni esterne rispetto a quel tratto.
Vediamo ora come specializzare le equazioni cardinali della statica:
8
>
<
>
:

R(e) = 0
(e)

M = 0

allequilibrio di un tratto di trave, facendo uso delle notazioni e delle


convenzioni appena introdotte.

travi e fili

425

R '
'

F1

F
2

f (s) ds

C'

M '

Figura TF. 5: tratto di trave compreso tra due sezioni generiche

Il vettore risultante delle forze esterne comprende tre contributi:


R(e) = R carico + R distirib. + R contatto
Il risultante delle forze di carico presenti nel tratto di trave considerato:
R carico =

Fi

dove la sommatoria si intende estesa alle forze i cui punti di applicazione si


trovano inclusi nel tratto di trave compreso tra le due sezioni e 0 .
Il risultante delle forze distribuite si ottiene integrando la legge di
distribuzione tra gli estremi s ed s0 corrispondenti alle ascisse curvilinee
delle sezioni e 0 :

R distrib. =

Z s0
s

f (
s) d
s

Infine il risultante delle forze di contatto esterne al tratto di trave esaminato


comprende i contributi dovuti alle interazioni delle particelle delle pagine

426

A. Strumia, Meccanica razionale

adiacenti alle sezioni estreme della trave, con anteposti i segni loro dovuti
in forza della convenzione sui segni che abbiamo fatto:

R=R

Otteniamo allora la seguente specializzazione dellequazione del


risultante:

Z s0
s

f (
s) d
s+

Fi = 0

(TF.1)

Per specializzare lequazione dei momenti si procede in maniera analoga,


facendo attenzione, in questo caso, che tutti i momenti vanno calcolati rispetto
allo stesso polo. Di solito si conviene di scegliere come polo il baricentro C
della sezione iniziale del tratto di trave esaminato, cio della sezione estrema
la cui ascissa curvilinea minore. Allora il momento risultante si compone
dei tre contributi:
M (e) = M carico + M distirib. + M contatto
Il momento delle forze di carico i cui punti di applicazione si trovano
compresi nel tratto di trave considerato, che vale:

M carico =

X
i

essendo Ci il baricentro della sezione


F i.

CCi ^ F i
al quale applicata la forza di carico

Il momento delle forze distribuite, dato dallintegrale dei momenti


elementari, nel tratto di trave in questione:

travi e fili

427

M distrib. =

Z s0
s

C C ^ f (
s) d
s

dove C = C(
s) il centro della generica sezione, di ascissa curvilinea s ,
variabile nel tratto di integrazione.
Il momento delle forze di contatto, riferito al polo C:
M contatto = M

CC 0 ^ R

I segni sono scelti in modo da rispettare la convenzione e il prodotto


vettoriale aggiuntivo dovuto alla legge di distribuzione dei momenti,
in quanto dobbiamo trasformare il momento M 0 , che per definizione
calcolato rispetto a C 0 , nel momento riferito al polo C.
Abbiamo cos, finalmente, anche lequazione dei momenti specializzata
per le travi:

CC ^ R

Z s0
s

C C ^ f (
s) d
s+

X
i

CCi ^ F i = 0 (TF.2)

Le equazioni:

CC 0 ^ R

Z s0

f (
s) d
s+

Z s0
s

Fi = 0

C C ^ f (
s) d
s+

X
i

CCi ^ F i = 0

428

A. Strumia, Meccanica razionale

prendono il nome di equazioni di equilibrio delle travi in forma integrale.

Condizioni al contorno
Il sistema delle equazioni delle travi, come stato scritto, di per s
staticamente indeterminato, in quanto supposte note le forze di carico e le
forze distribuite, le forze di contatto sono generalmente incognite. Il problema
possiede, nel caso pi generale sei equazioni, per le dodici incognite date dalle
componenti dei vettori degli sforzi e dei momenti.
Per poter determinate il problema bisogna conoscere un numero
sufficiente di informazioni sulle forze di contatto in una o pi sezioni della
trave. Generalmente possibile avere delle informazioni sulle sezioni agli
estremi della trave in cui sono presenti dei vincoli (appoggi, incastri, ecc.) o
dei carichi assegnati. Le informazioni assegnate su queste sezioni vengono
dette condizioni al contorno. Se per esempio possibile conoscere sia il
risultante che il momento risultante su una sezione al contorno, si scrivono
le equazioni delle travi per un tratto di trave compreso tra la sezione per la
quale si danno le condizioni al contorno e una sezione generica. Restano cos
solamente sei incognite che si possono determinare mediante le sei equazioni.
Osserviamo che la presenza di forze di carico rende discontinuo lo
sforzo rispetto alla variabile s nei punti di applicazione di tali forze, mentre
il momento risultante non viene reso discontinuo dalla presenza di forze di
carico.
Per rendercene conto consideriamo un tratto di trave compreso tra due
sezioni di ascisse curvilinee rispettive s ed s0 , che includono il punto
di applicazione C0 di ascissa curvilinea s0 , di una sola forza di carico
F . Applicando il teorema della media agli integrali delle forze distribuite,
possiamo scrivere le equazioni delle travi, per questo tratto di trave, nella
forma:

+ f (s )(s0

s) + F = 0

travi e fili

429

CC 0 ^ R

+ CC ^ f (s ) + CC0 ^ F = 0

essendo s e s valori di s tali che:


Z s0
s

f (
s) d
s = f (s )(s0

Z s0

s),

C C ^ f (
s) d
s = CC ^ f (s )(s0

s)

Facendo tendere s ad s0 e s0 ad s0+ otteniamo che la discontinuit del


risultante nel punto C0 uguale alla forza di carico:
R

0+

=F

dove evidentemente:
R

= lim R
s!s0

Mentre per i momenti si ottiene una discontinuit nulla e quindi la


funzione M risulta continua rispetto ad s .

Esempi
Vediamo due problemi tipici di statica delle travi piane: il primo dato dal
problema della trave incastrata ad un estremo e soggetta ad un carico allaltro
estremo, mentre il secondo dato dallequilibrio di una trave appoggiata ai
suoi estremi, con una forza di carico in un punto intermedio.

430

A. Strumia, Meccanica razionale

Trave incastrata a un estremo


Consideriamo una trave rettilinea e omogenea di massa m e lunghezza `
disposta orizzontalmente, incastrata allestremo O e caricata allestremo A,
mediante un peso concentrato P . La trave inoltre soggetta al proprio peso.

A
x

M inc

mg

Figura TF. 6: trave incastrata a un estremo con carico al contorno

Determiniamo: i) la reazione vincolare , allincastro e il momento


M inc. che lincastro deve realizzare per mantenere in equilibrio la trave; ii)
landamento dello sforzo e del momento delle forze di contatto al variare della
sezione considerata lungo la trave. E utile scegliere un sistema cartesiano,
come in fig. (TF. 6) e identificare lascissa curvilinea s con lascissa
cartesiana x .
i) reazione vincolare e momento allincastro
Le condizioni al contorno si scrivono nel modo seguente:

RO =

, M O = M inc. ,

RA =

P , MA = 0

travi e fili

431

avendo indicato con R O lo sforzo relativo alla sezione iniziale, di centro O,


che uguale alla reazione vincolare incognita; con M O il momento relativo
alla stessa sezione, che uguaglia il momento incognito che lincastro deve
realizzare per mantenere in equilibrio la trave; con R A lo sforzo relativo alla
sezione estrema di centro A che uguaglia, a meno del segno introdotto sulla
base della convenzione fatta, il carico concentrato P ; con M A il momento
relativo alla stessa sezione, che nullo, in quanto non vengono applicati
momenti al contorno, ma solamente una forza P , la quale ha momento nullo
rispetto al centro della sezione alla quale viene applicata. La forza distribuita
la forza peso e la sua legge di distribuzione caratterizzata dalla densit
costante:
f (x) =

mg
`

Per determinare la reazione vincolare e il momento allincastro si scrivono


le equazioni delle travi per lintera trave:

+P +

Z `
0

M inc. + OA ^ P +

mg
dx = 0
`

Z `
0

OC ^

mg
dx = 0
`

Da queste si ottiene immediatamente:


+ P + mg = 0

M inc. + OA ^ P + OG ^ mg = 0
dove G il baricentro della trave. Infatti basta tenere conto del fatto che:

432

A. Strumia, Meccanica razionale

Z `
0

!
Z `
mg
m
OC ^
dx =
OC dx ^ g = m OG ^ g
`
0 `

Rappresentando i vettori sugli assi cartesiani abbiamo:


g=

g c2 , P =

P c2 , OA = `c1 , OG =

c1 +

c2 ,

1
`c1
2

M inc. = Minc. c3

Si ricava quindi:

= 0,

= mg + P,

Minc.

1
=
mg + P
2

ii) andamento dello sforzo e del momento


Per determinare landamento dello sforzo e del momento al variare della
sezione, cio dellascissa x , lungo la trave, si scrivono le equazioni della
trave per un tratto compreso tra una sezione estrema e una sezione generica
di ascissa x . Per esempio consideriamo il tratto compreso tra la sezione
generica e la sezione di centro A; abbiamo:
R +P +

Z `

mg
dx = 0
`

M + OA ^ P +

Z `

OC ^

mg
dx = 0
`

Da queste ricaviamo:
R =

mg
(`
`

x)

travi e fili

433

M = P (`

x) +

mg
(`
2`

x)2

c3

Notiamo che lo sforzo interamente di taglio, e il momento solo


flettente. Introdotte, allora, le rappresentazioni:
R = R(x) c2 ,

M = M (x) c3

si hanno le funzioni che descrivono landamento dello sforzo e del momento:


R(x) =

M (x) =

mg
(`
`

mg
(`
2`

x) + P

x)2 + P (`

x)

Lo sforzo ha un andamento rettilineo, mentre il momento un andamento


parabolico. Notiamo anche che, essendo assenti forze di carico interne alla
trave, il risultante una funzione continua.
y

R(x)
P
M(x)
O

x
L

Figura TF. 7: andamento dello sforzo e del momento in una trave incastrata

434

A. Strumia, Meccanica razionale

Trave appoggiata agli estremi


Consideriamo ora una trave rettilinea e omogenea di massa m e lunghezza
` disposta orizzontalmente, appoggiata ad entrambi gli estremi e caricata in
un punto interno Q, mediante una forza concentrata verticale F . La trave
inoltre soggetta al proprio peso.

y
O

A
x
F
mg

Figura TF. 8: trave appoggiata agli estremi con un carico concentrato

Ricerchiamo: i) le reazioni vincolari agli appoggi O e A ; ii)


landamento dello sforzo e del momento delle forze di contatto al variare della
sezione considerata lungo la trave. E utile scegliere anche in questo caso il
sistema cartesiano, come in fig. (TF. 8) e identificare lascissa curvilinea s
con lascissa cartesiana x .
i) reazioni vincolari agli appoggi
Le condizioni al contorno si scrivono ora nel modo seguente:

RO =

O,

MO = 0

RA =

A,

MA = 0

travi e fili

435

Gli appoggi vengono considerati cerniere puntiformi, che sono in grado


di esplicare delle reazioni vincolari, ma non dei momenti, a differenza degli
incastri.
Per determinare le reazioni vincolari, come nel caso precedente, si
scrivono le equazioni di equilibrio per lintera trave:

OA ^

A+

Z `
0

Z `

mg
dx + F = 0
`

mg
dx + OQ ^ F = 0
`

OC ^

Indicando con a lascissa del punto di applicazione Q della forza di


carico, e sviluppando otteniamo il sistema:
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

Ox

Ax

Oy

Ay

Ay

1
2

=0
mg

mg`

F =0

aF = 0

che risulta in genere staticamente indeterminato, in quanto contiene quattro


incognite mentre le equazioni sono soltanto tre. Si riescono a determinare
solamente le componenti y delle reazioni vincolari. Per determinare
completamente il sistema occorre fare qualche ipotesi sui vincoli, per
esempio, assumere che uno dei due appoggi, poniamo O sia costituito,
anzich da una cerniera puntiforme, da una piccola superficie piana priva di
attrito, disposta orizzontalmente, in modo che la reazione vincolare in quel
punto, sia normale alla superficie di appoggio, e quindi:

Ox

=0

Questo comporta nel sistema precedente la possibilit di determinare le


incognite, ottenendo:

436

A. Strumia, Meccanica razionale

8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

Ax

=0

Oy

= 12 mg +

Ay

= 12 mg + a` F

` a
`

ii) andamento dello sforzo e del momento


Per determinare landamento dello sforzo e del momento delle forze di
contatto, in questo caso, scriviamo le equazioni di equilibrio per un tratto di
trave compreso tra la sezione di centro O e una sezione generica , di ascissa
x:
R +

OC ^ R +

Z x

Z x
0

mg
d
x + H(a) F = 0
`

OC ^

mg
d
x + H(a) OQ ^ F = 0
`

dove abbiamo fatto uso della funzione gradino di Heavyside:

H(a) =

8
>
<
>
:

0,

x<a

1,

Anche in questo caso lo sforzo risulta essere interamente di taglio e il


momento solo flettente. Seguono le funzioni che descrivono gli andamenti:

R(x) =

M (x) =

x2

2x
` a
mg +
2`
`
`x

2`

mg +

`
`

H(a)

x F + H(a) (x

a) F

travi e fili

437

La presenza della funzione gradino evidenzia la discontinuit dello sforzo,


mentre il momento risulta essere una funzione continua in a.
Equazioni delle travi in forma differenziale
La presenza delle forze di carico determina, come abbiamo visto una
discontinuit dello sforzo: di conseguenza, nei punti in cui sono presenti delle
forze di carico lo sforzo non una funzione differenziabile. Al contrario
quando non vi sono forze di carico, legittimo assumere che lo sforzo, come
pure il momento, oltre ad essere funzioni continue, siano anche differenziabili
rispetto ad s lungo lintera trave. Sotto queste ipotesi possibile passare
dalla formulazione integrale delle equazioni di equilibrio ad una formulazione
differenziale.
Possiamo infatti riscrivere le equazioni di equilibrio delle travi in forma
di rapporti incrementali:
R

s0

s0

M
s

R
s

Z s0

1
s0

CC 0
^R
s0 s

f (
s) d
s=0

s0

Z s0
s

C C ^ f (
s) d
s=0

Facendo uso del teorema della media per eliminare i due integrali e
semplificando, otteniamo:
R

s0
M

s0

R
s
!

f (s ) = 0

M
CC 0
+ 0
^R
s
s s

CC ^ f (s ) = 0

438

A. Strumia, Meccanica razionale

Passando al limite per s0 ! s , avendo assunto che le funzioni siano


differenziabili rispetto ad s , otteniamo le equazioni differenziali delle travi:

dR
ds

f (s) = 0
(TF.3)

dM
+T ^R =0
ds

Riconosciamo nel vettore:

T = lim
0

s !s

CC 0
s0 s

il versore tangente alla direttrice della trave.

Equilibrio dei fili


La schematizzazione adottata per descrivere le travi allequilibrio, pu
essere specializzata ulteriormente per trattare la statica dei fili.
Per filo
propriet:

intendiamo un particolare tipo di trave che soddisfa a due

il momento delle forze di contatto identicamente nullo:


M 0
lo sforzo ha carattere di tensione:

(TF.4)

travi e fili

439

Questa seconda propriet si pu esprimere matematicamente, tenendo


conto della convenzione sui segni, mediante le condizione:
R T 0

(TF.5)

A differenza di una trave un filo ideale non ha una struttura interna


capace di realizzare un momento di torsione o di flessione del filo; inoltre
reagisce solo alle sollecitazioni che lo tendono, mentre non offre risposta alle
sollecitazioni di pressione esercitate sulle sue sezioni.
Se non sono presenti forze di carico sul filo, il suo equilibrio pu essere
descritto ricorrendo alle equazioni differenziali delle travi, specializzate
tenendo conto delle informazioni che caratterizzano i fili, appena introdotte.
Dalla (TF.4) segue che anche la derivata del momento rispetto ad s
identicamente nulla:
dM
=0
ds
Questa informazione introdotta nellequazione differenziale del momento
comporta:
T ^R =0
E da questa possiamo dedurre che lo sforzo parallelo al versore tangente
oppure nullo; ovvero esiste una funzione scalare tale che:
R =

E inoltre, grazie alla (TF.5), otteniamo anche la condizione sul segno di :


0

440

A. Strumia, Meccanica razionale

A questo punto comodo introdurre la tensione:

ed esprimere lo sforzo in termini della tensione:

R =

(TF.6)

Rimane allora solo da sostituire questa espressione dello sforzo


nellequazione differenziale degli sforzi, ottenendo lequazione differenziale
dei fili:

d( T )
+ f (s) = 0
ds

(TF.7)

Questa equazione quella a cui si ricorre normalmente trattando la statica


dei fili, perch i fili non vengono generalmente sottoposti a carichi concentrati,
come invece accade frequentemente per le travi. Se per presente, in un
punto, una forza di carico, come abbiamo visto per le travi, il risultante
discontinuo e lentit della discontinuit uguaglia la forza di carico. Poich lo
sforzo dato dalla (TF.6), nasce una discontinuit sia per che per il versore
tangente, che non pi definito nel punto di applicazione della forza di carico,
ma solamente a destra e a sinistra di esso: una forza di carico crea un punto
angoloso nel filo.
Problemi di equilibrio dei fili
Esistono due classi di problemi riguardanti lequilibrio dei fili:

travi e fili

441

La prima classe comprende quei problemi nei quali nota la forma che
il filo assume allequilibrio ed incognita la tensione. Si richiede perci di
determinare la tensione del filo conoscendo le forze esterne;
La seconda classe comprende i problemi nei quali sono incognite sia
la forma del filo allequilibrio che la tensione. Si richiede di determinarle
entrambe conoscendo le forze esterne.

Equazioni intrinseche dei fili


La prima categoria di problemi si pu trattare ricorrendo alle equazioni
intrinseche dei fili. Esse si ottengono proiettando lequazione differenziale per
lequilibrio di un fili (TF.7) sul triedro di Frenet della curva che rappresenta
la forma del filo allequilibrio. E possibile riscrivere la (TF.7) sviluppando la
derivata del prodotto:

d
dT
+
+ f (s) = 0
ds
ds

Ricordando che:
dT
1
= N
ds

otteniamo:

+ N + f (s) = 0
ds

Proiettando sul triedro di Frenet si ottengono le equazioni intrinseche


dellequilibrio di un filo:

442

A. Strumia, Meccanica razionale

8 d
>
>
ds
>
>
>
>
<

>
>
>
>
>
>
:

+ fT (s) = 0

+ fN (s) = 0

(TF.8)

fB (s) = 0

nelle quali anche la forza stata rappresentata sul triedro di Frenet:


f (s) = fT (s) T + fN (s) N + fB (s) B
Una osservazione di carattere generale nasce dalla terza equazione dalla
quale si ha linformazione che: allequilibrio il filo si dispone sempre in modo
tale che non vi sia forza distribuita lungo la binormale; ovvero in modo che il
piano osculatore alla curva che rappresenta la forma del filo contenga la forza
distribuita.
Una seconda osservazione, immediata, riguarda lequilibrio di un filo
non soggetto a forze distribuite: esso si dispone lungo una retta e trasmette
inalterata, da un capo allaltro, la tensione.
Infatti si ha:
fT (s) = 0, fN (s) = 0, fB (s) = 0
e quindi le (TF.8) ci forniscono le nuove informazioni:
8 d
>
< ds
>
:

=0
=0

Dalla prima si ricava linformazione:

travi e fili

443

= costante
E quindi: il filo trasmette la tensione da un estremo allaltro in quanto
la tensione sulla sezione iniziale e quella sulla sezione finale del filo sono
identiche. Un filo pu essere utilizzato per trasmettere una forza da un punto
ad un altro dello spazio.
Dalla seconda, supposta non nulla la tensione del filo si ottiene:
C = lim

!+1

1
=0

E cio la curvatura del filo deve essere nulla: il filo si dispone lungo
una retta. Quindi non solo la tensione, ma anche la direzione dello sforzo
si mantiene inalterata lungo il filo.
Filo fortemente teso su una superficie
Unapplicazione delle equazioni intrinseche si pu fare esaminando
lequilibrio di un filo fortemente teso su una superficie fissa, conosciuta. In
questo caso il filo si dispone lungo una curva appartenente alla superficie, che
supponiamo conosciuta.
Dire che il filo fortemente teso sulla superficie significa dire che le
reazioni vincolari, esplicate dalla superficie che vincola la forma del filo, sono
preponderanti rispetto alle altre forze esterne agenti sul filo, le quali risultano
pertanto trascurabili. Risulta allora trascurabile, per esempio il peso del filo,
e lunica forza distribuita rappresentata dalle reazioni vincolari che sono
applicate con continuit nei punti del filo. Le reazioni vincolari sono cos
caratterizzabili mediante una legge di distribuzione differenziale:
d (s) = (s) ds
e si ha allora che la forza distribuita agente sul filo data da:

444

A. Strumia, Meccanica razionale

(s) d s

Figura TF. 9: filo fortemente teso su una superficie

f (s) = (s)
Sostituendo nelle (TF.8) segue:
8 d
>
>
ds
>
>
>
>
<

>
>
>
>
>
>
:

dove:
(s) =

T (s)
N (s)

B (s)

T (s) T

=0
(TF.9)

=0

=0

N (s) N

B (s) B

Notiamo che il sistema appare staticamente indeterminato, in quanto


contiene quattro incognite T , N , B , , con sole tre equazioni. Per
determinarlo occorrono delle informazioni sul vincolo.
Esaminiamo ora due possibilit:

travi e fili

445

i) superficie priva di attrito


Se la superficie priva di attrito, la componente tangente della reazione
vincolare nulla e quindi le equazioni precedenti divengono:
8 d
>
>
ds
>
>
>
>
<

>
>
>
>
>
>
:

=0

N (s)

B (s)

=0

(TF.10)

=0

Si ricavano le seguenti informazioni:


Dalla prima equazione si ha:
= costante
Dunque il filo trasmette la tensione inalterata da un capo allaltro.
Notiamo che la tensione uno scalare e rappresenta lintensit dello sforzo,
mentre non contiene informazioni sulla sua direzione, che data dal versore
tangente T . Ci che rimane costante lungo il filo lintensit dello sforzo che
viene trasmessa inalterata, mentre la direzione dello sforzo viene modificata
seguendo la tangente alla curva. Vincolando il filo a rimanere teso su una
superficie conosciuta possibile allora trasmettere una forza da un punto
allaltro dello spazio, modificandone la direzione. Lutilizzo di cavi di
trazione guidati da pulegge si basa su questo risultato.
Dalla terza equazione ricaviamo che la componente binormale della
reazione vincolare sempre nulla. Ma non essendoci attrito anche la
componente tangente sempre nulla; dunque la reazione vincolare tutta
diretta lungo la normale principale alla curva secondo la quale il filo si
dispone:
(s) =

446

A. Strumia, Meccanica razionale

Essendo la superficie priva di attrito essa sar capace poi di esplicare


solamente reazioni vincolari dirette lungo la normale alla superficie:

(s) = n
essendo n il versore normale alla superficie a cui aderisce il filo. Il confronto
tra i due risultati ci dice che, allequilibrio, il filo fortemente teso sulla
superficie priva di attrito si dispone lungo una curva la cui normale principale
N risulta parallela alla normale alla superficie n e cio lungo una geodetica.
i) superficie con attrito
Se sulla superficie presente lattrito al nostro sistema (TF.9) si aggiunge
la legge di Coulomb-Morin per lattrito statico su una curva ottenendo:
8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:

d
ds

T (s)
N (s)

=0
(TF.11)

B (s)

=0

=0

T | fs

2
N

2
B

Eliminando le reazioni vincolari nellultima condizione, tramite le altre,


otteniamo una condizione per la tensione:
d

fs
ds

dove a secondo membro stato eliminato il modulo essendo presente una


quantit non negativa. Tenendo conto che > 0 e che non pu essere nulla
essendo il filo fortemente teso per ipotesi, possiamo riscrivere:

travi e fili

447

1 d
1
fs
ds

Questa condizione comporta che:


Z `
0

Z `
1 d
fs
ds
ds
ds
0

(TF.12)

dove ` la lunghezza del tratto di filo aderente alla superficie.


Infatti se consideriamo una qualunque funzione f (x), integrabile su un
intervallo [a, b], per il teorema della media, esiste un c 2 [a, b] tale che:
Z b
a

f (x) dx = f (c)(b

a)

Ora se:
f (x) 0,
essendo b

8x 2 [a, b]

0 si ha:
Z b
a

f (x) dx = f (c)(b

a) 0

Inoltre sappiamo che:


Z b
a

f (x) dx

Z b
a

|f (x)| dx

Per cui se vale la (TF.12) a maggior ragione si ha:

448

A. Strumia, Meccanica razionale

Z `
0

Z `
d
fs

ds

(TF.13)

avendo effettuato il cambiamento di variabili s ! , per cui:


Z `
0

Z `
1 d
d
ds =
ds
0

ed essendo:
(0) = 0 ,

(`) = `

le condizioni al contorno.
Dalla (TF.13) abbiamo infine:

`
log
0

Z `
fs
0

ds

Posto di considerare come estremo finale del filo (s = `) quello nel quale
la tensione risulta maggiore (in caso contrario si pu sempre scambiare la
denominazione degli estremi) il logaritmo risulta positivo e si ha la condizione
per la tensione agli estremi:

` 0 exp

Z `
fs
0

ds

(TF.14)

Dal momento che largomento dellesponenziale positivo ne viene di


conseguenza che, allequilibrio, grazie alla presenza dellattrito, ` sempre
maggiore e pu essere anche molto maggiore di 0 . Risulta allora possibile
equilibrare, sfruttando la presenza dellattrito, una forza molto intensa con
una notevolmente meno intensa.

travi e fili

449

Per esempio avvolgendo un filo ben teso attorno ad un cilindro di raggio


r e coefficiente di attrito costante fs si ha:
` 0 e2nfs
essendo n il numero delle spire del filo. Quando invece, manca lattrito, si ha
fs = 0 e quindi lesponenziale diventa uguale allunit, e si ha:
` = 0
Il filo in questo caso pu equilibrare solo due forze uguali.

Figura TF. 10: filo avvolto su un cilindro: a) in assenza di attrito; b) in presenza


di attrito

Equazioni cartesiane dei fili


Nella seconda categoria di problemi di statica dei fili non conosciuta
alcuna informazione sulla forma n sulla tensione del filo. In questo caso
lequazione di equilibrio dei fili (TF.7) si proietta sul sistema di assi cartesiani
dellosservatore Oxyz, ottenendo:

450

A. Strumia, Meccanica razionale

8 d dx
>
ds + fx (s)
>
ds
>
>
>
>
>
<

dy

ds

ds

=0
(TF.15)

ds + fy (s) = 0
ds
>
>
>
>
>

>
>
: d
dz + f (s) = 0
z

Il sistema, cos come scritto, appare indeterminato in quanto contiene


quattro funzioni incognite x(s), y(s), z(s), (s) con sole tre equazioni. In
realt esiste una quarta equazione che fornita dallinformazione relativa al
fatto che:

dx dy dz
, ,
ds ds ds

un versore, per cui sussiste il legame:


dx
ds

!2

dy
+
ds

!2

dx
+
ds

!2

=1

(TF.16)

e questa completa il sistema rendendolo determinato.


Fili soggetti a forze parallele
Sono di particolare interesse, per la loro semplicit di soluzione, i
problemi in cui i fili sono soggetti a forze distribuite tutte parallele tra loro,
come accade per esempio per la forza peso. In questo caso il problema diviene
un problema piano, in quanto il filo si dispone in un piano.
Per rendersene conto imponiamo nella (TF.7) la condizione:
f (s) = f (s) u

travi e fili

451

essendo u il versore comune delle forze parallele. Dal momento che la


funzione di una sola variabile f (s) si suppone continua e quindi sempre
integrabile, possiamo riscrivere la (TF.7) nella forma:

Z s
d
T +u
f (
s) d
s =0
ds
s0

da cui si ottiene lequazione in forma integrale:

T +u

Z s
s0

f (
s) d
s = R0

Ponendo s = s0 la funzione integrale si annulla e si ottiene che il vettore


costante R 0 rappresenta lo sforzo sulla sezione iniziale del filo. Allora si pu
concludere che, allequilibrio, il vettore tangente al filo T , in una generica
sezione, dato da una combinazione lineare del versore delle forze parallele u
e del vettore R 0 che rappresenta lo sforzo al contorno nella sezione iniziale.
Dunque la tangente al filo, e quindi il filo, appartiene sempre al piano dei
vettori u e R 0 , passante per il punto di applicazione dello sforzo iniziale.
Nel caso che i due vettori siano paralleli il filo si dispone lungo una retta ad
essi parallela.
Allora conviene scegliere gli assi cartesiani in modo che il piano del filo
in equilibrio coincida con il piano cartesiano xy e lasse y abbia direzione
parallela alle forze distribuite. In tal caso per i punti del filo risulta z 0 e il
sistema (TF.15) diviene:

8
d
dx
>

>
ds
< ds

=0

>
>
: d dy + f (s)
ds

ds

(TF.17)
=0

Dalla prima equazione del sistema si ricava subito linformazione:

452

A. Strumia, Meccanica razionale

dx
=C
ds

(TF.18)

Questa pu essere utilizzata introducendo lequazione incognita per la


forma del filo, nella forma cartesiana:
y = y(x)
che permette di esprimere:
dy
dy dx
dx
=
= y0
ds
dx ds
ds
denotando con 0 la derivata rispetto allargomento x. Introducendo questo
risultato nella seconda equazione del sistema (TF.17) otteniamo lequazione
differenziale per la forma del filo:

dy 0
+ f (s) = 0
ds

Considerando y(x(s)) come funzione composta di s attraverso x e


sviluppando la derivata si ha:
dy 0
dx
C
= y 00
= y 00
ds
ds

Quindi la forma finale dellequazione per la forma del filo diviene:

C 2 00
y + f (x, y) = 0

(TF.19)

travi e fili

453

nella quale f va ora pensata come funzione di x e y anzich di s.


Integrata la forma del filo si risale alla tensione tramite la (TF.18), tenendo
conto che, grazie alla (TF.16) si pu ricavare:

dx
1
=q
ds
1 + (y 0 )2

(TF.20)

Il valore della costante C si determina tramite le condizioni al contorno.


Vediamo due applicazioni nelle quali le forze parallele sono realizzate dal
peso.
Curva dei ponti sospesi
Il problema della determinazione della forma e della tensione del cavo
di sostegno di un ponte sospeso si pu risolvere sotto alcune assunzioni,
generalmente verificate.
Si suppone che:
il ponte sia omogeneo e longitudinalmente simmetrico, in maniera che
le due funi risultino ugualmente caricate;
i tiranti siano a distanza piccola luno dallaltro rispetto alla lunghezza
della campata, in modo da poter considerare la distribuzione delle forze sul
filo come una distribuzione continua;
il peso delle funi di sospensione e quello dei tiranti sia trascurabile
rispetto al peso del ponte, condizione questa del tutto ovvia.
Notiamo che i tiranti si comportano come dei fili non soggetti a forze
distribuite, e quindi, trasmettono da un capo allaltro la tensione senza
modificarla. La loro funzione quella di trasmettere la forza peso, distribuita
sugli elementi del ponte, ai cavi di sospensione.

454

A. Strumia, Meccanica razionale

fds

pdx

Figura TF. 11: ponte sospeso

Denotando con 2p il peso per unit di lunghezza del ponte, lelemento di


lunghezza dx soggetto al peso p dx che viene a scaricarsi per la met, data
la supposta simmetria longitudinale, sullelemento ds di ognuna delle due
funi di sostegno. Rimane cos determinata la densit lineare di forza agente
sullelemento di fune. Si ha infatti:

f ds = p dx
Scegliendo lorientazione dellasse y in maniera che risulti:

f = f c2 ,

p=

p c2

si ottiene:

f ds =

p dx

()

e quindi, tenendo conto della (TF.18):

f=

dx
ds

travi e fili

455

f=

Questa informazione inserita nellequazione per la forma del filo (TF.19)


fornisce lequazione differenziale del secondo ordine:
y 00

p
=0
C

Tenendo conto che p costante, per l omogeneit del ponte, lequazione


si integra immediatamente ottenendo lequazione per la forma del filo:

y=

1 p 2
x + ax + b
2C

Le costanti a, b, C si ricavano imponendo che la parabola passi per i due


punti di sospensione le cui coordinate si suppongono conosciute e assegnando
la lunghezza ` del filo:
`=

Z xf q
xi

1 + (y 0 )2 dx

essendo xi , xf le ascisse dei punti di sospensione.


Catenaria
Il secondo problema che esaminiamo, in questa categoria, quello di un
filo sospeso tra due punti, soggetto al proprio peso.
Denotando con:
p=

p c2

456

A. Strumia, Meccanica razionale

Figura TF. 12: catenaria

il il peso per unit lineare, del filo, otteniamo lequazione differenziale per la
forma del filo:
y 00

p
=0
C2

(TF.21)

Ora possiamo esprimere in termini della funzione incognita y, facendo


uso della (TF.18) e della (TF.20), ottenendo:
=C

1 + (y 0 )2

(TF.22)

che, sostituita nella (TF.21), porta allequazione differenziale nella sola


funzione incognita y
y 00

p q
1 + (y 0 )2 = 0
C

Si tratta di unequazione non lineare a variabili separabili. Per integrarla


procediamo nel modo seguente:
i) primo passo.
Poniamo:

travi e fili

457

u = y0
e riscriviamo lequazione che diviene del primo ordine in u:
p p
1 + u2 = 0
C

u0
ovvero:

u0
p
=
2
C
1+u

E quindi:
Z u
u0

Z x
d
u
p
=
d
x
0 C
1 + u2

Lintegrale a primo membro noto e vale:


Z u
u0

d
u
= arcsenh u
1 + u2

arcsenh u0

(si pu ricavare mediante la sostituzione u = senh ).


Abbiamo allora, dopo la prima integrazione:
arcsenh u =

p
x+a
C

dove per brevit abbiamo posto:


a = arcsenh u0

458

A. Strumia, Meccanica razionale

Invertendo si ottiene:

u = senh

p
x+a
C

ii) secondo passo. Ricordiamo che u = y 0 e quindi:


y 0 = senh

p
x+a
C

Integrando per la seconda volta otteniamo infine linformazione sulla


forma del filo:
C
y = cosh
p

p
x+a +b
C

(TF.23)

La curva descritta da questa equazione prende il nome di catenaria


omogenea. Le costanti a, b, C si ricavano imponendo che il filo passi per i
punti di sospensione e abbia una lunghezza assegnata.
Filo fortemente teso
Mostriamo che quando il filo molto teso la catenaria si approssima a una
parabola.
Esaminiamo il caso in cui i due punti di sospensione siano alla stessa
altezza, simmetrici rispetto agli assi cartesiani, avendo coordinate:
A1 ( x0 , y0 ), A2 (x0 , y0 ),

x0 > 0

Allora imponendo che essi appartengano alla catenaria otteniamo le


informazioni:

travi e fili

459

8
>
>
<
>
>
:

y0 =

C
p

cosh

y0 =

C
p

cosh

p
C

x0 + a
p
C

x0 + a

Sottraendo membro a membro e semplificando otteniamo:


cosh

p
x0 + a = cosh
C

p
x0 + a
C

Luguaglianza dei coseni iperbolici si verifica se i due argomenti sono


uguali oppure sono opposti. Il caso degli argomenti uguali conduce a x0 = 0
ed escluso per ipotesi non essendo di alcun interesse; rimane allora il caso in
cui gli argomenti sono opposti che comporta a = 0. Tenendo conto di questa
informazione e imponendo la condizione sulla lunghezza del filo abbiamo:

`=

Z x0

x0

Z x0 s
x0

cosh

1 + senh2

p
x dx =
C

p
C
x dx = 2 senh
C
p

p
x0
C

Se il filo molto teso possiamo considerare che la lunghezza del filo sia
circa uguale alla lunghezza della campata:
` 2x0
da cui segue:
senh
p
C

p
C

x0

x0

460

A. Strumia, Meccanica razionale

Ma questa approssimazione, come noto, sussiste solamente al limite


per Cp x0 ! 0. Si conclude quindi che lipotesi che il filo sia molto teso
equivale a richiedere che Cp x0 sia prossimo allo zero. Ora facendo variare
x allinterno della campata del filo si ha che |x| x0 e quindi anche Cp x
risulta prossimo allo zero. Dunque legittimo, nello sviluppo in serie del
coseno iperbolico intorno allo zero, trascurare i termini di ordine superiore al
secondo, ottenendo:

cosh

p
1 p2 2
x 1+
x
C
2 C2

Questa informazione inserita nellequazione della catenaria (TF.23) la


approssima alla parabola:

y=

1 p2 2 C
x +
2 C2
p

DINAMICA

DP. Dinamica del punto


Integrale generale e integrali particolari del moto
Lequazione fondamentale della dinamica del punto, riferita ad un
osservatore inerziale:

m a = f (P, v, t)

quando viene proiettata su un sistema di assi cartesiani ortogonali Oxyz, si


presenta come un sistema differenziale del sesto ordine che si scrive, nella
sua forma pi generale:
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

m x = fx (x, y, z, x,
y,
z,
t)
m y = fy (x, y, z, x,
y,
z,
t)

(DP.1)

m z = fz (x, y, z, x,
y,
z,
t)

Questo sistema prende il nome di sistema delle equazioni differenziali del


moto del punto. Il problema ben posto, come accade per le forze di natura
fisica conosciute, quando la forza una funzione lipschitziana.
Si dice integrale generale del moto lintegrale generale del sistema
delle equazioni del moto, ovvero la famiglia delle 16 soluzioni del sistema
(DP.1), caratterizzata da sei parametri, tanti quanto lordine del sistema
differenziale. Lintegrale generale, dunque si pu rappresentare come
linsieme di funzioni del tempo e di sei costanti:

dinamica del punto

8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

x = x(t, c1 , c2 , , c6 )
y = y(t, c1 , c2 , , c6 )

(DP.2)

z = z(t, c1 , c2 , , c6 )

Dal punto di vista fisico questo risultato, ben noto dallanalisi, significa
che la stessa forza f , applicata al punto P di massa m, pu realizzare non un
solo moto, ma tutti i moti corrispondenti alle soluzioni (DP.2).
Si dice integrale particolare del moto un integrale particolare del
sistema differenziale del moto, cio una delle soluzioni che si ottiene
assegnando un valore particolare a ciascuna delle sei costanti c1 , c2 , , c6 .
Un integrale particolare rappresenta uno dei possibili moti che la forza f
pu realizzare quando applicata al punto P di massa m.
Il valore delle costanti c1 , c2 , , c6 correlato con le condizioni iniziali,
cio con il valori che le funzioni x(t), y(t), z(t) e le loro derivate temporali
prime, assumono allistante iniziale del moto, generalmente fatto coincidere
con t = 0, attraverso il sistema algebrico:
8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:

x(0, c1 , c2 , , c6 ) = x0
y(0, c1 , c2 , , c6 ) = y0
z(0, c1 , c2 , , c6 ) = z0

(DP.3)

x(0,
c1 , c2 , , c6 ) = x 0
y(0,
c1 , c2 , , c6 ) = y0
z(0,
c1 , c2 , , c6 ) = z0

Il teorema di unicit della soluzione garantisce che il sistema delle

A. Strumia, Meccanica razionale

sei equazioni (DP.3) per le sei incognite c1 , c2 , , c6 ammette una e una


sola soluzione in corrispondenza di ogni insieme di valori iniziali assegnati
x0 , y0 , z0 , x 0 , y 0 , z0 .
Risolto il sistema (DP.3) si ottengono le costanti:
ck = ck (x0 , y0 , z0 , x 0 , y 0 , z0 ),

k = 1, 2, , 6

in termini delle condizioni iniziali.

Integrali primi del moto


Una funzione:
= (x, y, z, x,
y,
z,
t)
si dice integrale primo del moto di un punto, governato dal sistema
(DP.1), quando, sostituendo in essa alle variabili x, y, z, x,
y,
z,
le funzioni
x(t), y(t), z(t) che rappresentano un integrale particolare del moto e le loro
derivate temporali, assume un valore costante nel tempo:
(x (t) , y (t) , z (t) , x (t) , y (t) , z (t) , t) = C,

8t

Si pu quindi dire che un integrale primo del moto una grandezza che si
mantiene costante durante il moto, o anche che si conserva durante il moto.
Notiamo che per un dato sistema di equazioni del moto possono non
esistere integrali primi del moto.
Il valore della costante C, che dipende dallintegrale particolare
considerato, e quindi dalle condizioni iniziali, pu essere calcolato in maniera

dinamica del punto

rapida, tenendo conto che, dal momento che si mantiene costante durante il
moto, essa mantiene in ogni istante il valore iniziale. Allora si ha:
C = (x0 , y0 , z0 , x 0 , y 0 , z0 , 0)

Teorema dellenergia cinetica


Moltiplicando entrambi i membri dellequazione fondamentale della
dinamica del punto, scalarmente per lo spostamento dP che il punto mobile
compie nellintervallo di tempo dt (spostamento fisico) otteniamo:
m a dP = f dP
Riconosciamo subito, a secondo membro il lavoro della forza f :
dL = f dP
Il primo membro lo possiamo riscrivere:

m a dP = m

dv
d
v dt =
dt
dt

1
dT
m v 2 dt =
dt = dT
2
dt

essendo:
T =

1
m v2
2

lenergia cinetica del punto. Si giunge cos al teorema dellenergia cinetica:

A. Strumia, Meccanica razionale

dT = dL

(DP.4)

Considerazioni analitiche
Vale la pena fare una considerazione di carattere analitico. Il teorema
dellenergia cinetica non fornisce un identit tra forme differenziali, come
si ha invece nel caso della relazione tra lavoro e potenziale di una forza
conservativa, ma unuguaglianza valida solamente durante il moto. Infatti:
dL = Fx dx + Fy dy + Fz dz
una forma differenziale nelle variabili x, y, z, mentre:
dT = m vx dvx + m vy dvy + m vz dvz
una forma differenziale nelle componenti della velocit. Luguaglianza
(DP.4) non pu quindi sussistere per qualunque spostamento del punto dP ,
non essendo unidentit, ma sussiste solamente in corrispondenza dello
spostamento dP = v(t) dt che il punto compie effettivamente durante il moto,
spostandosi lungo la traiettoria fisica del moto. In altri termini x, y, z non sono
qui variabili indipendenti e neppure lo sono vx , vy , vz , ma sono delle funzioni
del tempo, che lunica variabile indipendente durante il moto. Le due forme
differenziali cos calcolate vengono allora a identificarsi. Il lavoro calcolato
lungo un elemento di traiettoria si pu esprimere:
dL = f v dt = W dt
dove:

dinamica del punto

W =f v
rappresenta la potenza sviluppata dalla forza, durante il moto. La (DP.4) si
pu allora scrivere anche nella forma:
dT
=W
dt

(DP.5)

Integrale primo dellenergia


Quando la forza f applicata al punto P (xi ) conservativa possibile,
esprimerla come il gradiente del potenziale U = U (xi ):
f = rU
Introducendo linformazione che la forza conservativa nel teorema
dellenergia cinetica, per esempio utilizzando la forma (DP.5), otteniamo:
dT
dP
dxi @U
dU
=
rU =
=
dt
dt
dt @xi
dt
pensando U (xi (t)) come funzione composta del tempo tramite xi .
conseguenza si ottenuto:
d
(T
dt

U) = 0

Segue:
T

U = costante

Di

A. Strumia, Meccanica razionale

La quantit T
U assume valore costante durante il moto del punto.
Per il moto del punto soggetto a una forza conservativa si introduce allora
la funzione:
E=T

(DP.6)

che prende il nome di energia meccanica la quale risulta essere un integrale


primo del moto. Ad esso si d il nome di integrale primo dellenergia.
Scritta per esteso lenergia meccanica di un punto si presenta come:
E=

1
m(x 2 + y 2 + z 2 )
2

U (x, y, z)

Essa una funzione delle coordinate del punto e delle componenti


della velocit che assume valore costante quando alle variabili si sostituisce
unintegrale particolare del moto.
Spesso in fisica si preferisce introdurre lenergia potenziale:
V =

in modo da esprimere lenergia meccanica sotto forma di somma di due


contributi energetici, anzich come differenza:
E =T +V

Integrale primo delle aree


Un altro esempio di integrale primo del moto si ha nei moti centrali, che
avvengono quando un punto si muove in un campo di forze centrali. In questo

dinamica del punto

caso, infatti, per definizione di forza centrale, la forza f parallela al vettore


OP , essendo O il centro delle forze:
OP ^ f = 0
Di conseguenza, essendo supposto che losservatore del moto sia
inerziale, per lequazione fondamentale della dinamica del punto, si ha:
OP ^ m a = 0
Supposta evidentemente non nulla la massa del punto segue che il moto
centrale, cio:
OP ^ a = 0
Ma questa condizione, come si visto in cinematica comporta:
d
(OP ^ v) = 0
dt
ovvero:
OP ^ v = c
con c vettore costante. Dunque la funzione vettoriale OP ^ v si mantiene
costante durante il moto, cio quando al posto di OP si sostituisce un integrale
particolare OP (t) del moto e al posto di v la derivata temporale di OP (t): Si
conclude, allora, che si tratta di un integrale primo del moto. Esso prende
il nome di integrale primo delle aree in quanto esprime la costanza della
velocit areale durante il moto. Notiamo anche che la quantit:
K O = OP ^ m v = m c

10

A. Strumia, Meccanica razionale

che rappresenta il momento della quantit di moto del punto P rispetto al


polo O esso pure costante durante il moto, e rappresenta un integrale primo
dipendente da quello delle aree. Si pu quindi anche dire che in un moto
centrale lintegrale primo delle aree equivalente alla legge di conservazione
del momento della quantit di moto del punto mobile, calcolato rispetto al
centro delle forze, preso come polo.

Dinamica del punto materiale libero


Moto di un grave
Iniziamo con la dinamica di un grave in assenza di resistenza del mezzo.
Un grave un corpo soggetto alla forza peso: in prima approssimazione,
quando non si tiene conto della struttura del corpo, si schematizza il grave
con un punto, coincidente con il suo baricentro, al quale applicata la forza
peso. In tal modo il problema viene ricondotto ad un problema di dinamica del
punto materiale libero. Lequazione differenziale del moto si scrive, rispetto
ad un osservatore inerziale:
ma = mg
Supposta la massa non nulla segue:
dv
=g
dt
Questa pu essere integrata immediatamente, mantenendo la forma
vettoriale, ottenendo:
v(t) = v 0 + gt
essendo:

(DP.7)

dinamica del punto

11

v(0) = v 0
le condizioni iniziali sulla velocit. Riscrivendo la (DP.7) come equazione
differenziale per il vettore incognito OP abbiamo:
d
OP = v 0 + gt
dt
Integrando una seconda volta abbiamo finalmente:
OP (t) = OP0 + v 0 t +

1 2
gt
2

Ovvero:
P0 P (t) = v 0 t +

1 2
gt
2

(DP.8)

essendo:
OP (0) = OP0
le condizioni iniziali per la posizione del grave. Si osserva immediatamente
nella (DP.8) che il vettore P0 P (t) una combinazione lineare dei vettori v 0 e
g: dunque il moto avviene nel piano di questi vettori, passante per la posizione
iniziale P0 . Per proiettare le equazioni del moto (DP.8) e ottenere le equazioni
parametriche della traiettoria riferita ad un sistema cartesiano, conveniente
scegliere lorigine degli assi O P0 , il piano xy coincidente con il piano del
moto e lasse y verticale, per esempio, orientato in senso discorde rispetto a
g. I vettori sono cos rappresentati:

OP (x, y),

g (0, g),

v 0 (v0 cos , v0 sen )

12

A. Strumia, Meccanica razionale

essendo langolo che la velocit iniziale forma con lorientazione positiva


delle ascisse.
Si hanno allora le equazioni della traiettoria nel parametro t:
8
>
<
>
:

x = v0 t cos
y = v0 t sen

(DP.9)
1
2

g t2

Eliminando il parametro t si ottiene lequazione cartesiana


traiettoria:
y=

g
x2 + (tan ) x
2v02 cos2

della

(DP.10)

Figura DP. 1: traiettoria di un grave in assenza di resistenza del mezzo

parabola di sicurezza
Immaginando un problema balistico nel quale si vuole colpire un bersaglio
avente coordinate (x , y ), dobbiamo imporre che le coordinate del bersaglio
soddisfino lequazione della traiettoria di un proiettile o di un missile,
schematizzato con il grave puntiforme e cio:

dinamica del punto

13

y =

2v02

g
x2 + (tan ) x
cos2

(DP.11)

Supposta conosciuta la velocit iniziale del proiettile v0 , lincognita


rappresentata ora dallangolo con il quale il lancio deve essere effettuato
per colpire il bersaglio. Tenendo conto che:
cos2 =

1
1 + tan2

possiamo riscrivere e riordinare lequazione (DP.11) rispetto a tan :


gx2 tan2

2v02 x tan + 2v02 y + g x2 = 0

Il discriminante ridotto di questa equazione di secondo grado in tan


vale:

= x2 v04

2v02 g y

g 2 x2

Si hanno allora le seguenti tre possibilit:


i)

<0

In questo caso le radici sono complesse coniugate, e quindi non si hanno


soluzioni reali: il bersaglio troppo alto per poter essere raggiunto;
ii)

=0

Le radici sono reali e coincidenti: il bersaglio pu essere colpito in un solo


modo, puntando con un angolo la cui tangente vale:

tan =

v02
g x

14

A. Strumia, Meccanica razionale

iii)

>0

Si hanno due radici reali distinte: il bersaglio pu essere raggiunto


scegliendo tra due possibili puntamenti:

tan =

v02 x

g x2

Langolo minore corrisponde a un tiro diretto e langolo maggiore a un


tiro indiretto. La parabola di equazione:

y=

g 2 v02
x +
2v02
2g

luogo geometrico dei bersagli per i quali il discriminante si annulla (oltre


allorigine che non significativa dal punto di vista balistico, perch coincide
con il punto di partenza del proiettile) prende il nome di parabola di sicurezza
in quanto rappresenta la curva al di sopra della quale il bersaglio non pu
venire colpito.
y

Figura DP. 2: parabola di sicurezza

dinamica del punto

15

Moto di un punto in presenza di resistenza del mezzo


Esaminiamo ora il problema del moto di un punto in presenza di resistenza
del mezzo. Anzitutto forniamo le informazioni sperimentali che ci servono
per determinare la forza di resistenza dellaria o, pi in generale del mezzo,
attraverso il quale un corpo si sta muovendo.
Quando un corpo trasla attraverso un mezzo resistente, il risultante della
forza di resistenza del mezzo F r , pensato applicato nel suo baricentro, dato
dalla seguente legge sperimentale:
Fr =

(DP.12)

A f (v) u

A larea investita, cio larea della proiezione del corpo sul piano
ortogonale alla velocit di traslazione, pari alla velocit del baricentro del
corpo;

v
A

Figura DP. 3: area investita

un numero puro positivo, ed detto fattore di forma, in quanto


dipende dalla forma del corpo e si pu determinare sperimentalmente;
la densit del mezzo resistente;

16

A. Strumia, Meccanica razionale

f (v) una funzione positiva che dipende dal modulo della velocit di
traslazione del corpo v.
Sperimentalmente, fino a velocit non superiori a 2 m/sec essa
approssimabile con una funzione lineare:
f (v) / v
Si parla in questo caso di resistenza viscosa.
Quando la velocit superiore, fino ad un massimo di 200 m/sec la
funzione f (v) si approssima ad una funzione quadratica:
f (v) / v 2
Si parla in questo caso di resistenza idraulica.
u il versore della velocit di traslazione del corpo.

Problema del paracadute


Esaminiamo il moto di un grave in caduta libera e in presenza di resistenza
del mezzo. Il problema viene denominato anche problema del paracadute.
Le velocit in caduta libera, per un corpo di densit e di dimensioni ordinarie,
come nel caso del sistema uomo-paracadute, sono tali da determinare una
resistenza di tipo idraulico. Schematizzando il sistema meccanico con un
punto, coincidente con il suo baricentro, si ha cos lequazione differenziale
del moto:
ma = mg
essendo:

A c v2 u

(DP.13)

dinamica del punto

17

f (v) = c v 2 ,

c>0

Le condizioni iniziali, per il moto in caduta libera sono:


OP (0) = 0,

v(0) = 0

Il problema si presenta unidimensionale e quindi possiamo proiettare la


(DP.13) su un asse verticale y avente origine nella posizione iniziale e verso
concorde con il peso:
m v = m g

A c v2

essendo v = y.
Possiamo riscrivere lequazione differenziale per la velocit
nella forma pi comoda:

v = 1

v2
V2

(DP.14)

avendo introdotto la costante:

V =

mg
Ac

(DP.15)

che ha chiaramente le dimensioni di una velocit. La (DP.14) unequazione a


variabili separabili e si integra con la condizione iniziale v(0) = 0, ottenendo:

t=
La decomposizione:

1 Z v d
v
g 0 1 Vv22

(DP.16)

18

A. Strumia, Meccanica razionale

v2
V2

2 1+

v
V

2 1

1
v
V

consente di ottenere:
Z v
0

d
v
1

v2
V2

V
v
=
log 1 +
2
V

1 Z v d
v
1 Z v d
v
+
=
v
2 0 1+ V
2 0 1 Vv

V
log 1
2

v
V

1+
V
=
log
2
1

v
V
v
V

v
V
v
V

Dunque nella (DP.16) segue:


1+
V
gt =
log
2
1
E quindi risolvendo per v:

v(t) = V

2g t
V

1+e

2g t
V

(DP.17)

Il significato della costante V risulta adesso comprensibile considerando


che dal risultato precedente si ha:
lim v(t) = V

t!+1

Allora V la velocit limite che il corpo tende a raggiungere


asintoticamente. Da un punto di vista fisico, in realt, dopo un tempo finito
la velocit del paracadute diviene indistinguibile da tale velocit limite, a
causa degli errori di misura. Quando la resistenza dellaria divenuta in
modulo uguale alla forza peso, il moto di caduta tende a divenire uniforme

dinamica del punto

19

con velocit V e la caduta procede con velocit costante fino allimpatto con
il suolo.

v(t)

Figura DP. 4: andamento asintotico della velocit del paracadute

Si pu integrare anche la legge oraria del moto tenendo conto che:


e

2g t
V

1+e

2g t
V

gt

gt
V

eV +e

gt
V

eV

gt

= tanh

gt
V

e quindi la (DP.17) fornisce lequazione differenziale per y:

gt
y = V tanh
V

con la condizione iniziale y(0) = 0.


Abbiamo allora:

y(t) =

Z t
0

g t
V tanh
dt
V

20

A. Strumia, Meccanica razionale

E quindi:

V2
gt
y(t) =
log cosh
g
V

(DP.18)

y(t)

Figura DP. 5: legge oraria del moto del paracadute

Moto di un punto soggetto a una forza elastica


Consideriamo un punto materiale P di massa m soggetto ad una forza
elastica:
F = k2P O
che lo richiama verso il centro O delle forze; k 2 rappresenta la costante
elastica. La forza di tipo centrale e lequazione differenziale del moto:
m a = k2P O

(DP.19)

dinamica del punto

21

proiettata sugli assi cartesiani di un sistema di riferimento Oxyz fornisce il


sistema di equazioni disaccoppiate:
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

m x + k 2 x = 0
m y + k 2 y = 0

(DP.20)

m z + k 2 z = 0

La risoluzione del problema tridimensionale si riconduce allora, come


si vede dal fatto che le tre equazioni del sistema sono disaccoppiate, alla
risoluzione del problema unidimensionale relativo ad ogni componente, noto
come problema delloscillatore armonico semplice.

Oscillatore armonico semplice


Esaminiamo allora il problema delloscillatore armonico in una
dimensione, che governato da unequazione differenziale del tipo:
x + ! 2 x = 0

(DP.21)

avendo denotato:
!2 =

k2
m

(DP.22)

La (DP.21) unequazione differenziale del secondo ordine, lineare e


omogenea, a coefficienti costanti. Il suo integrale generale si ottiene come
combinazione lineare di due (tanti quanto lordine dellequazione) integrali
particolari indipendenti di tipo esponenziale:
xp (t) = C e

(DP.23)

22

A. Strumia, Meccanica razionale

Sostituendo la funzione test (DP.23) si ottiene che, affinch una funzione


di questo tipo sia una soluzione dellequazione differenziale (DP.21), deve
essere soddisfatta lequazione caratteristica:
2

+ !2 = 0

che fornisce:

i !,

= i!

Dunque lintegrale generale:


x(t) = c1 e

1t

+ c2 e

2t

risulta dato da:


x(t) = c1 e

i!t

+ c2 ei ! t

(DP.24)

caratterizzato dalle due costanti arbitrarie c1 , c2 , il cui valore pu essere


determinato in funzione delle condizioni iniziali. Per identificare un integrale
particolare baster allora assegnare un valore alle condizioni iniziali:
8
>
<
>
:

x(0) = x0
x(0)

= v0

Imponendo le (DP.25) otteniamo il sistema:


8
>
<
>
:

c1 + c2 = x0
i ! c1 + i ! c2 = v0

(DP.25)

dinamica del punto

23

che ammette la soluzione unica:


8
>
>
<
>
>
:

c1 =

1
2

c2 =

1
2

x0 + i v!0
x0

v0
!

(DP.26)

Sostituendo questo risultato nellintegrale generale (DP.24) otteniamo:


v0
+
!

x(t) = x0 cos ! t +

ei ! t + e
2

sen ! t =

ei ! t + e
x(t) = x0
2

i!t

ei ! t

e
2i

i!t

ovvero:
v0
!

sen ! t

essendo:

cos ! t =

i!t

ei ! t

e
2i

i!t

E a questo punto conveniente introdurre lampiezza di oscillazione:

A=

x20 +

v02
!2

(DP.27)

e langolo di fase iniziale , caratterizzabile come:

arctan

v0
,
! x0

=)

cos

x0
,
A

In questo modo lintegrale generale si pu scrivere:

sen

v0
!A

24

A. Strumia, Meccanica razionale

x(t) = A (cos ! t cos

sen ! t sen )

e quindi nella forma finale:


x(t) = A cos (! t + )

(DP.28)

Appare chiaro il significato della costante, positiva per definizione:

!=

k2
= 2
m

(DP.29)

essendo legata alla frequenza delle oscillazioni. Essa detta pulsazione del
moto oscillatorio, anche se spesso nel linguaggio abituale, viene detta essa
stessa impropriamente frequenza, dal momento che differisce da questultima
soltanto per un fattore di scala, ed la quantit che ricorre di fatto nelle
formule. Infine langolo:
' = !t+
detto angolo di fase attuale del moto.

Composizione di moti armonici nel piano


Un risultato interessante si ottiene quando si compongono, nel piano, due
moti armonici rispondenti ad un sistema del tipo:
8
>
<
>
:

x + ! 2 x = 0
y + (p !)2 y = 0

dinamica del punto

25

x(t)

Figura DP. 6: legge oraria delloscillatore armonico semplice

dove p il rapporto fra le frequenze. Un moto di questo tipo si pu


pensare realizzato da due forze elastiche, di differenti costanti elastiche, che
si mantengono ciascuna parallela a un asse cartesiano, agendo sullo stesso
punto P .

A
p k 2 PA

P
k2

PB

Figura DP. 7: composizione di moti armonici nel piano

Le traiettorie che il punto percorre prendono il nome di figure di Lissajous


e variano al variare del rapporto p tra le frequenze dei moti armonici e in

26

A. Strumia, Meccanica razionale

Figura DP. 8: figura di Lissajous; p = 3.

corrispondenza delle condizioni iniziali del moto. Il moto risulta periodico


in corrispondenza di valori razionali di p, che sono gli unici fisicamente
realizzabili.

Moto di un punto soggetto a forza elastica e resistenza viscosa


Aggiungiamo una resistenza viscosa alla forza elastica che sollecita il
moto di un punto P nello spazio. Lequazione differenziale del moto, in forma
vettoriale, si scrive:

m a = k2P O

hv

Il termine aggiuntivo che rappresenta la forza viscosa :

Fr =

hv,

h>0

(DP.30)

dinamica del punto

27

Proiettando la (DP.30) sugli assi cartesiani si ottiene il sistema di


equazioni disaccoppiate:
8
>
>
>
>
>
>
<

m x + h x + k 2 x = 0
m y + h y + k 2 y = 0

>
>
>
>
>
>
:

(DP.31)

m z + h z + k 2 z = 0

Notiamo che a causa della linearit della resistenza viscosa il sistema


continua ad essere disaccoppiato, come nel caso in cui presente la sola forza
elastica. Per cui il problema tridimensionale si risolve, anche in questo caso
risolvendo separatamente i tre problemi unidimensionali.
Problema unidimensionale
Consideriamo il problema unidimensionale riscritto nella forma pi
comoda:
x + 2p x + ! 2 x = 0

(DP.32)

dove abbiamo introdotto la nuova costante positiva:

2p =

h
m

(DP.33)

oltre alla ! gi definita. Lequazione differenziale del secondo ordine


lineare, omogenea, a coefficienti costanti; e la sua equazione caratteristica
data da:
2

+ 2p + ! 2 = 0

28

A. Strumia, Meccanica razionale

Il coefficiente 2 di comodo, che stato inserito, ci consente di introdurre


il discriminante ridotto dellequazione caratteristica:

= p2

!2

Il comportamento del discriminante permette di distinguere tre casi,


corrispondenti a tre tipi di moto del punto:
i) moto aperiodico: p > !
Questa situazione si verifica quando il termine p, che regola la resistenza,
prevale sul termine elastico !, e cio quando la resistenza del mezzo elevata,
mentre la molla debole nei suoi confronti. In questo caso lequazione
caratteristica ha due radici reali distinte. Tali radici risultano sempre entrambe
negative, come si deduce facendo uso della regola dei segni di Cartesio,
avendo due permanenze di segno nei coefficienti: +, +, +. Le radici sono
date da:

p2

!2,

p+

p2

!2

Di conseguenza lintegrale generale del moto risulta dalla combinazione


lineare di due esponenziali decrescenti:
x(t) = c1 e

p2 ! 2 t

+ c2 e

p+

p2 ! 2 t

Le costanti, espresse in termini delle condizioni iniziali, sono date da:


8
>
>
>
>
<
>
>
>
>
:

c1 =

1
2

c2 =

1
2

v0 +p x0
x0 + p
2
2
p

x0

v0 +p x0
p

p2 ! 2

dinamica del punto

29

Il moto detto, in questo caso, aperiodico in quanto la resistenza


del mezzo cos elevata da non permettere al punto di compiere alcuna
oscillazione completa attorno alla posizione di riposo. Il moto detto anche
asintotico, perch:
lim x(t) = 0

t!+1

e quindi il punto tende asintoticamente alla posizione di riposo.

x(t)

Figura DP. 9: andamento asintotico della legge oraria nel caso p > !

ii) moto oscillatorio smorzato: p < !


In questo caso il termine elastico prevale su quello di resistenza e il moto
risulta essere oscillatorio, con ampiezza che si riduce asintoticamente a zero
(smorzamento ), a causa della dissipazione dellenergia meccanica dovuta alla
resistenza del mezzo. Le radici dellequazione caratteristica sono complesse
coniugate:

i !2

p2 ,

p + i !2

p2

30

A. Strumia, Meccanica razionale

Di conseguenza lintegrale generale del moto risulta dalla combinazione


lineare di due esponenziali complessi:
x(t) = e

pt

c1 e

! 2 p2 t

+i

+ c2 e

! 2 p2 t

I coefficienti c1 , c2 in termini delle condizioni iniziali risultano dati da:


8
>
>
>
>
<
>
>
>
>
:

c1 =

1
2

c2 =

1
2

v0 +p x0
x0 + i p
2
2
!

x0

v0 +p x0
ip

! 2 p2

Di conseguenza lintegrale generale si pu riscrivere procedendo in modo


analogo a quello illustrato nel caso delloscillatore armonico semplice:
x(t) = Ae

pt

cos

!2

p2 t +

Dove:

A=

x20 +

(v0 + p x0 )2
! 2 p2

e la fase iniziale definita:

v 0 + p x0
p
arctan
x0 ! 2 p2

risultato che ci mostra come, a causa della resistenza del mezzo, le oscillazioni
del moto riducono la loro ampiezza esponenzialmente e si compiono con una
pulsazione:

dinamica del punto

31

!2

p2 < !

Il punto P tende asintoticamente alla posizione di equilibrio, in quanto:


lim x(t) = 0

t!+1

x(t)

Figura DP. 10: oscillazioni smorzate

iii) moto critico: p = !


E il caso limite tra i due precedenti. In questo caso le radici
dellequazione caratteristica sono reali coincidenti:

e lintegrale generale del moto :


x(t) = (c1 + c2 t) e

pt

32

A. Strumia, Meccanica razionale

I coefficienti espressi in termini delle condizioni iniziali sono dati da:


8
>
<
>
:

c1 = x0
c 2 = v 0 + p x0

Il moto critico tende a zero pi rapidamente del moto aperiodico; infatti:


lim

xcritico

t!+1

xaperiodico

=0

in quanto il rapporto si comporta come il rapporto tra una funzione lineare e


un esponenziale. Questa situazione viene sfruttata negli strumenti di misura
con un indice meccanico nei quali lindice deve raggiungere rapidamente la
posizione di lettura.
Notiamo che nel moto critico (come anche in quello aperiodico), se i
coefficienti c1 , c2 hanno segni opposti esiste un valore del tempo positivo,
cio nel futuro, nel quale il punto passa per la posizione di riposo e che vale,
nel caso del moto critico:
=

c1
=
c2

x0
v 0 + p x0

x(t)

Figura DP. 11: legge oraria del moto critico

dinamica del punto

33

Oscillazioni forzate e risonanza


Lo studio delle oscillazioni forzate nasce dallidea di fornire, ad un
oscillatore soggetto a resistenza viscosa, la quantit di energia dissipata,
in modo da ristabilire un regime di oscillazioni non smorzate, che si
mantengono, nel tempo, fino a che si fornisce energia dallesterno. Per
fare questo si applica alloscillatore smorzato una forza, oscillante con una
frequenza controllabile (frequenza forzante ), diretta lungo lasse x del
moto:
F (t) = C sen t
In questo modo lequazione differenziale del moto diviene:
x + 2p x + ! 2 x = c sen t

(DP.34)

avendo introdotto il coefficiente:

c=

C
m

Lequazione da integrare (DP.34) unequazione differenziale del secondo


ordine, lineare, a coefficienti costanti, non omogenea. Il suo integrale generale
si ottiene come somma dellintegrale generale x(t) dellequazione omogenea
associata:
x + 2p x + ! 2 x = 0
e di un integrale particolare x1 (t) dellequazione non omogenea (DP.34):
x(t) = x(t) + x1 (t)

34

A. Strumia, Meccanica razionale

Osserviamo che lequazione omogenea associata non altro che


lequazione differenziale che abbiamo appena studiato; e, dal momento che
stiamo supponendo di lavorare con un oscillatore smorzato, ci veniamo a
trovare nel caso in cui p < !. Di conseguenza conosciuto lintegrale
generale dellequazione omogenea associata, che ha la forma:
x(t) = A e

pt

cos

!2

p2

t+

Per determinare poi un integrale particolare dellequazione non omogenea


facciamo uso di una funzione test, oscillante con la frequenza forzante :
(DP.35)

x1 (t) = S cos ( t + )
dove S e sono quantit indipendenti dal tempo, da determinare.

Sostituendo la funzione test (DP.35) nellequazione non omogenea


(DP.34) si ottiene che essa soluzione a condizione che:
n

S cos t (! 2

2 )cos

2p sen

sen t S (! 2

2 )sen + 2p S cos + c = 0,

8t

Data larbitrariet di t questa condizione pu essere soddisfatta se e solo


se si annullano i coefficienti di cos t e di sen t, cio quando:
8
>
<
>
:

(! 2

2 ) cos

S {(! 2

2p sen = 0

2 ) sen + 2p cos } =

Dalla prima equazione possiamo ricavare:

dinamica del punto

35

tan =

!2 2
2p

escludendo che possa annullarsi; e allora la seconda equazione, dopo aver


eliminato ci d lespressione dellampiezza S dellintegrale particolare:
S=q

c
(! 2

2 )2 + 4p2 2

(DP.36)

Sono stati cos determinati S, in maniera che la funzione test x1 (t) sia
un integrale particolare dellequazione non omogenea (DP.34).
Osserviamo che lintegrale generale x(t) della (DP.34) risulta dalla
somma di due contributi: la soluzione x1 (t) che oscilla con ampiezza S
indipendente dal tempo, e il contributo x(t) che tende asintoticamente a zero
per t ! +1. Ci significa che dopo un tempo sufficientemente grande la
x(t) tende a scomparire, perci viene detta transiente, mentre la x1 (t) rimane
lunica soluzione a regime. La soluzione x1 (t), inoltre, non dipende dai dati
iniziali.
La relazione (DP.36) permette di studiare la risposta del sistema oscillante
sotto lazione della forza oscillante, in quanto d landamento dellampiezza
in termini della frequenza forzante . Lampiezza presenta un punto di
massimo, come si pu verificare analizzando la funzione:
f ( 2 ) = (! 2

2 )2 + 4p2 2

Allora a un minimo di f ( 2 ) corrisponde un massimo di S, essendo:


S=q

c
f ( 2 )

Considerando 2 come variabile abbiamo:

36

A. Strumia, Meccanica razionale

f 0 ( 2 ) =

2(! 2

2 ) + 4p2

che si annulla per:


2 = ! 2

2p2

(DP.37)

Allora se accade che 2 > 0 esiter una frequenza reale che rende nulla
la derivata di f . Inoltre, per la derivata seconda si ha:
f 00 ( 2 ) = 2 > 0
Dunque f minima e quindi S massima in corrispondenza della
frequenza (DP.37) e vale:
S =

2p

c
!2

p2

(DP.38)

Va sottolineato il fatto che S pu assumere anche valori molto pi grandi


dellampiezza massima del transiente A, grazie al fatto che lenergia viene
fornita al sistema con il ritmo giusto per accrescere lentit del moto, e che,
se non vi fosse resistenza, lampiezza diventerebbe infinita, in quanto:
lim S = +1

p!0

Quando sussiste la condizione per cui lampiezza diviene massima si


dice che il sistema entrato in risonanza e si dice che la frequenza
(DP.37) rappresenta la frequenza di risonanza del sistema. La curva che
descrive landamento della funzione S( 2 ) prende il nome di curva di
risonanza. Notiamo che quando la resistenza tende allo zero, la frequenza di
risonanza tende alla frequenza ! delloscillatore armonico semplice associato
al sistema.

dinamica del punto

37

Figura DP. 12: curva di risonanza

Dinamica del punto materiale vincolato

Moto di un punto su una superficie priva di attrito


Finora abbiamo considerato la dinamica del punto materiale libero. Ora
passiamo alla dinamica del punto materiale vincolato.
Il primo caso che esaminiamo il moto di un punto su una superficie priva
di attrito, di equazione cartesiana:

f (x, y, z) = 0
riferito alla terna cartesiana ortogonale Oxyz di un osservatore inerziale.
Poich la superficie priva di attrito, sappiamo, dalla legge
dellattrito dinamico, che la reazione vincolare che compare nellequazione
fondamentale della dinamica, scritta per il punto vincolato:

38

A. Strumia, Meccanica razionale

ma = F +
normale alla superficie. Perci, come accade anche nel caso statico, si pu
stabilire un legame tra la reazione vincolare e la funzione che descrive la
superficie:
=

rf

Quindi lequazione fondamentale si specializza nella:


m a = F + rf
Proiettandola sugli assi cartesiani otteniamo il sistema differenziale del
sesto ordine delle equazioni del moto, che completiamo con la condizione di
vincolo che impone al punto di appartenere alla superficie:
8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:

m x = Fx (x, y, z, x,
y,
z,
t) +

@f
@x

m y = Fy (x, y, z, x,
y,
z,
t) +

@f
@y

m z = Fz (x, y, z, x,
y,
z,
t) +

@f
@z

(DP.39)

f (x, y, z) = 0

Il sistema fornisce quattro equazioni per le quattro funzioni incognite:


x(t), y(t), z(t), (t)
che in linea di principio sono determinate. Restano allora caratterizzati il moto
e la reazione vincolare in regime dinamico. Come casi particolari notevoli

dinamica del punto

39

esaminiamo il caso in cui la forza attiva conservativa e il caso in cui la forza


attiva nulla.
i) forza attiva conservativa
Notiamo che se la forza attiva conservativa sussiste lintegrale primo
dellenergia e in esso entra in gioco solamente il potenziale della forza attiva,
in quanto la reazione vincolare non compie lavoro, essendo normale agli
spostamenti consentiti dal vincolo.
Infatti abbiamo:
F = rU
Inoltre, moltiplicando scalarmente lequazione fondamentale del moto del
punto vincolato, per la velocit si ha:
m a v = rU v
E quindi, seguendo la stessa procedura adottata per il punto libero:
d
(T
dt

U) = 0

da cui:
T

U = costante

La potenza sviluppata dalla reazione vincolare risulta nulla; infatti:


v =

rf v

40

A. Strumia, Meccanica razionale

Ma durante il moto f = 0 identicamente e quindi anche la sua derivata


temporale nulla:
df
@f
=
x i = rf v = 0
dt
xi
che equivale a dire che la reazione vincolare e la velocit, quando non si
annullano, sono sempre tra loro normali.
ii) forza attiva nulla
Un altro caso di interesse quello che si verifica quando il punto vincolato
sulla superficie non soggetto ad alcuna forza attiva (moto per inerzia ):

F =0
Lunica forza agente la reazione vincolare e lequazione differenziale
del moto si scrive:

ma =

rf

Ma rf ha la direzione della normale alla superficie sulla quale vincolato


a muoversi il punto, per cui abbiamo linformazione che laccelerazione del
punto diretta lungo la normale n alla superficie, o nulla. Possiamo
scrivere:

a = n
Ora se rappresentiamo laccelerazione sul triedro di Frenet della traiettoria
(rappresentazione intrinseca) abbiamo:

dinamica del punto

41

a = s T +

v2
N

dove T e N sono rispettivamente il versore tangente e il versore normale


principale della traiettoria.
Ponendo a confronto le due espressioni
dellaccelerazione si ottiene:

n = s T +

v2
N

(DP.40)

Ora la traiettoria deve appartenere alla superficie sulla quale il punto


vincolato a muoversi, quindi il versore tangente alla curva appartiene a un
piano tangente anche alla superficie, e come tale risulta ortogonale al versore
normale alla superficie; cio:
T n=0
Possiamo sfruttare questa condizione considerando il prodotto scalare per
T della (DP.40) da cui otteniamo:
m s = 0

()

s = 0

supposta la massa non nulla. Di qui abbiamo linformazione che la legge


oraria quella di un moto uniforme lungo la traiettoria:
s(t) = s0 + v0 t
Nella (DP.40) rimane allora:

n =

v2
N

42

A. Strumia, Meccanica razionale

E cio la condizione di parallelismo tra N e n. La traiettoria deve essere


allora una curva della superficie per la quale la normale principale diretta
come la normale alla superficie, e cio una geodetica.
Per quanto riguarda lintegrale dellenergia, essendo la forza attiva nulla,
essa ha un potenziale costante (che si pu assumere nullo) e quindi lenergia
cinetica risulta essere un integrale primo del moto:

T =

1
m v02
2

in accordo con il risultato prima ottenuto che il moto lungo la traiettoria


avviene con velocit costante. Leffetto della reazione vincolare, che lunica
forza agente, quello di modificare la direzione del vettore velocit del punto,
senza alterare il suo modulo.

P
O
y

f
v
N
f(x,y,z) = 0

Figura DP. 13: geodetica

dinamica del punto

43

Moto di un punto su una curva priva di attrito


Il metodo dei moltiplicatori di Lagrange si pu applicare, analogamente
a come si fatto in statica, anche per lo studio del moto di un punto su una
curva assegnata, priva di attrito. In questo caso, assegnato il sistema delle
equazioni cartesiane della curva:

8
>
<
>
:

f (x, y, z) = 0
g(x, y, z) = 0

la reazione vincolare si esprime come combinazione lineare dei gradienti delle


funzioni f, g:

rf + rg

Lequazione fondamentale della dinamica viene specializzata come:

m a = F + rf + rg

Proiettando sugli assi e aggiungendo le due equazioni del vincolo


otteniamo il sistema che determina le funzioni che caratterizzano il moto e
i due moltiplicatori di Lagrange:

44

A. Strumia, Meccanica razionale

8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:

m x = Fx (x, y, z, x,
y,
z,
t) +

@f
@x

@g
+ @x

m y = Fy (x, y, z, x,
y,
z,
t) +

@f
@y

@g
+ @y

m z = Fz (x, y, z, x,
y,
z,
t) +

@f
@z

+ @g
@z

f (x, y, z) = 0
g(x, y, z) = 0

Anche in questo caso quando la forza conservativa lintegrale primo


dellenergia coinvolge solamente il potenziale della forza attiva. Se poi il
moto avviene in assenza di forza attiva lenergia cinetica un integrale primo
del moto e il moto quindi uniforme lungo la traiettoria.

Moto di un punto su una curva qualunque


Quando la curva sulla quale il punto vincolato a muoversi dotata di
attrito, occorre fare uso della legge di CoulombMorin per lattrito dinamico.
In questo caso il problema va trattato ricorrendo alla formulazione intrinseca,
cio proiettando lequazione differenziale del moto:

ma = F +
sul triedro di Frenet della curva sulla quale il punto vincolato a muoversi. E
questo perch la legge dellattrito chiama in causa le componenti tangente,
normale e binormale della reazione vincolare. Il sistema differenziale
che otteniamo risulta determinato se si tiene conto della legge dellattrito
dinamico.
Si ha allora:

dinamica del punto

45

P
B

Figura DP. 14: moto di un punto lungo una curva assegnata

8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:

m s = FT (s, s,
t) +

m s = FN (s, s,
t) +
0 = FB (s, s,
t) +
|

T|

= fd

2
N

(DP.41)

B
2
B

i) caso generale
Il sistema cos costituito da quattro equazioni per le quattro incognite
s(t) che determina il moto lungo la traiettoria assegnata (problema a un solo
grado di libert) e T , N , B . Eliminando le componenti della reazione
vincolare nella legge dellattrito, mediante le prime tre equazioni, si ottiene
lequazione pura del moto, nella sola incognita s ; determinato il moto
si possono determinare le componenti della reazione vincolare in regime
dinamico.
ii) curva priva di attrito
Il metodo delle equazioni intrinseche del moto si pu utilizzare
convenientemente anche quando la curva sulla quale il punto vincolato

46

A. Strumia, Meccanica razionale

a muoversi risulta priva di attrito. Si tratta di un caso particolare di


quello precedente. In questo caso fd = 0 e la legge dellattrito fornisce
linformazione T = 0. Il sistema delle equazioni del moto si riduce allora a:
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

m s = FT (s, s,
t)
2

m s = FN (s, s,
t) +
0 = FB (s, s,
t) +

(DP.42)

Queste sono tre equazioni per le tre incognite s(t), N , B . Notiamo


che, in questo caso la prima equazione non contiene la reazione vincolare,
ed , perci, lequazione pura del moto, per la funzione incognita s(t).
Determinata la legge oraria del moto, mediante le restanti equazioni del
sistema si determinano le componenti della reazione vincolare in regime
dinamico. Questo metodo si pu utilizzare in alternativa al metodo dei
moltiplicatori di Lagrange.
iii) forza attiva posizionale: metodo delle quadrature
Quando poi, oltre a non essere presente lattrito sulla curva, la forza attiva
non qualunque, ma posizionale, abbiamo una classe notevole di problemi
di moto del punto lungo una traiettoria prestabilita. Il sistema delle equazioni
differenziali del moto si scrive:
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

m s = FT (s)
2

m s = FN (s) +
0 = FB (s) +

(DP.43)

Anche in questo caso il problema ha tre sole incognite, che come nel caso
precedente sono s(t), N , B . In pi, per, in questo caso la forza, essendo

dinamica del punto

47

funzione di una sola variabile, avendo a disposizione una sola curva lungo
la quale il punto pu muoversi, risulta essere conservativa. Sottolineiamo il
fatto che una forza posizionale, in generale non conservativa, ma lo diviene
quando il punto vincolato a muoversi lungo una curva fissata. Infatti, in
questo caso la forma differenziale del lavoro vale:

dL = F (s) dP = F (s) T ds = FT (s) ds = d

Z s
s0

FT (
s) d
s

Si tratta di una forma differenziale esatta il cui potenziale vale:


U (s) =

Z s
s0

FT (
s) d
s

Notiamo che, ai fini dellesistenza del potenziale ci che essenziale che


la componente tangente della forza dipenda solo da s ; le altre componenti
possono dipendere anche dalla velocit e dal tempo.
Ora, se la forza conservativa, ne consegue per la dinamica del punto, che
esiste lintegrale primo dellenergia:
1
m s 2
2

U (s) = E

La costante dellenergia si pu determinare mediante le condizioni iniziali


del moto e vale:

E=

1
m s 20
2

U (s0 )

Quando si ha un sistema a un solo grado di libert, come in questo caso,


lesistenza e la conoscenza dellintegrale primo dellenergia sufficiente a
determinare la derivata temporale del parametro lagrangiano:

48

A. Strumia, Meccanica razionale

s =

2
[E + U (s)]
m

(DP.44)

In altri termini, per s 6= 0 lequazione fornita dallintegrale primo


rappresenta unequazione differenziale del primo ordine e si pu partire da
questa per determinare la funzione incognita s(t), anzich dallequazione del
moto che del secondo ordine. Lequazione fornita dallintegrale primo
dellenergia unequazione a variabili separabili e pu essere portata a
quadrature quando si sa calcolare lintegrale:
t=

Z s
s0

d
s
2
m

[E + U (
s)]

(DP.45)

Il risultato dellintegrazione una funzione che esprime il tempo in


termini di s:
t = t(s)
Si ottiene cos la funzione inversa della funzione oraria del moto; si dice
allora che il problema stato portato a quadrature. Per ottenere la legge oraria
bisogna invertire la funzione ottenuta, nei tratti del suo dominio in cui risulta
essere monotona.
Osserviamo che nella (DP.44) deve sussistere la condizione di realt
della radice quadrata e perci deve essere soddisfatta la condizione:
E + U (s)

Questa condizione identifica gli intervalli permessi per la variabile s


e cio quelle posizioni del punto che sono permesse durante il moto,
compatibilmente con le condizioni iniziali assegnate.

dinamica del punto

49

Pendolo semplice
Come esempio esaminiamo il moto del pendolo semplice: un pendolo
semplice un punto materiale di massa m soggetto alla forza attiva peso,
vincolato a muoversi su una circonferenza di raggio ` priva di attrito,
appartenente a un piano verticale.

mg

Figura DP. 15: pendolo semplice

i) moto in assenza di resistenza del mezzo


Lequazione differenziale del moto in forma vettoriale si scrive:

ma = mg +
E conveniente proiettare tale equazione sul triedro di Frenet, ottenendo,
dopo qualche semplificazione, il sistema differenziale seguente:

50

A. Strumia, Meccanica razionale

8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

# =

g
`

sen #

m ` # 2 =
B

m g cos # +

(DP.46)

=0

avendo introdotto il legame tra langolo #, che il filo del pendolo forma con
la verticale, e lascissa curvilinea:
s = `#
Dal momento che la forza conservativa e il suo potenziale vale:
U=

m g yP = m g ` cos #

esiste anche lintegrale primo dellenergia:


1
m `2 # 2
2

m g ` cos # = E

Se assegnamo, per esempio, le condizioni iniziali:


#(0) = #0 ,

#(0)
=0

possiamo determinare la costante dellenergia:


E=

m g ` cos #0

Il problema pu essere portato a quadrature ottenendo:

dinamica del punto

51

t=

Z #
#0

d#
2g
(cos # cos #0 )
`

Gli intervalli permessi per il moto si ottengono imponendo la condizione


di realt della radice quadrata:
cos #

cos #0

cos |#|

cos |#0 |

che si pu anche scrivere:


0

(DP.47)

dal momento che il coseno non dipende dal segno del suo argomento. Ora
le configurazioni fisicamente distinte del pendolo sono identificabili tutte
nellintervallo 0 |#| , a causa della periodicit del coseno; ma in questo
intervallo il coseno una funzione decrescente di |#|, per cui la condizione
(DP.47) si traduce nella condizione sugli angoli:
|#| |#0 |
Il moto dunque, con le condizioni iniziali assegnate, pu avvenire solo in
modo tale che non venga oltrepassata lordinata della posizione iniziale del
pendolo.
m
Quando si considerano le piccole oscillazioni del pendolo, nellequazione
pura del moto lecito asumere lapprossimazione:
sen # #
In questo caso lequazione del moto diviene semplicemente:

52

A. Strumia, Meccanica razionale

cos ||
1
cos ||
cos |0|
O

/2
| |

| 0 |

| |

Figura DP. 16: intervallo permesso per il moto del pendolo semplice

g
# + # = 0
`
cio lequazione di un oscillatore armonico semplice caratterizzato dalla
pulsazione:

!=

g
`

ii) moto in presenza di resistenza viscosa


Quando presente anche una resistenza viscosa, dovuta al mezzo in cui
il pendolo si trova immerso, lequazione differenziale del moto in forma
vettoriale si scrive:
ma = mg

hv +

(DP.48)

dinamica del punto

53

Proiettando tale equazione sul triedro di Frenet, otteniamo il sistema


differenziale:
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

m # =

m g` sen #

m ` # 2 =
B

h #

m g cos # +

(DP.49)

=0

In questo caso solo la forza peso conservativa e ammette potenziale,


mentre la forza viscosa non conservativa, per cui non esiste lintegrale primo
dellenergia. Tuttavia possiamo avere delle informazioni utili sul bilancio
dellenergia mediante il teorema dellenergia cinetica, che ci dice che:
dT
=W
dt
Ora W si compone di due contributi: una dovuto alla forza peso, che
conservativa e quindi dato dalla derivata temporale del suo potenziale;
laltro che dato dalla potenza dissipata dalla forza viscosa. Abbiamo cos:
dT
dU
=
dt
dt

h v2

Ma:
E=T

rappresenta lenergia meccanica del sistema, che non un integrale primo in


questo caso, e la velocit del pendolo data da:
v = ` #

54

A. Strumia, Meccanica razionale

Di conseguenza si pu scrivere la legge di bilancio dellenergia nella


forma:
dE
=
dt

h `2 # 2 0

Come si vede la presenza della forza viscosa provoca una dissipazione


di energia, in quanto lenergia meccanica, avendo derivata temporale non
positiva, risulta essere una funzione decrescente del tempo.
Una forza come la forza viscosa, dipendente linearmente dalla velocit e
che compie lavoro non positivo durante il moto viene detta forza dissipativa
e la quantit:
R=

1
h v2
2

viene chiamata funzione di dissipazione. Una forza dissipativa non


esprimibile come gradiente di un potenziale rispetto alle coordinate, ma
in termini del gradiente della sua funzione di dissipazione rispetto alle
componenti delle velocit:
F (diss) =

rv R

()

(diss)

Fi

@R
@vi

(DP.50)

Il sistema delle equazioni del moto, nella sua generalit non si integra
analiticamente, mentre nel caso delle piccole oscillazioni, lequazione pura
del moto si riconduce a quella di un oscillatore soggetto a forza viscosa:
g
# + 2p # + # = 0,
`

2p =

h
m

DR. Dinamica relativa


Abbiamo finora affrontato la dinamica del punto riferita ad un osservatore
inerziale; ora passiamo ad esaminare la dinamica del punto rispetto ad un
osservatore in moto relativo qualunque rispetto ad un osservatore inerziale, e
che quindi, in generale, risulter essere non inerziale.
Come si gi visto in precedenza in statica, quando le forze dipendono
solo dalla distanza tra il punto mobile P ed altri punti interagenti con
esso, il vettore di forza rimane invariante nel passaggio da un osservatore
che denominiamo assoluto e che supponiamo inerziale, ad un altro che
denominiamo relativo e che risulta, generalmente non inerziale:
F (a) = F (r) = F
Mentre laccelerazione si trasforma secondo il teorema di Coriolis:
a(a) = a(r) + a( ) + a(c)
Dalla cinematica relativa sappiamo che laccelerazione di trascinamento
data da:
a( ) = a + ! ^ P

! 2 QP

e laccelerazione di Coriolis vale:


a(c) = 2 ! ^ v (r)
Di conseguenza, introducendo queste leggi di trasformazione nellequazione fondamentale della dinamica, valida rispetto allosservatore
inerziale:

56

A. Strumia, Meccanica razionale

m a(a) = F (a)
otteniamo:
m a(r) = F

m a( )

ma(c)

che si riscrive:

m a(r) = F + F ( ) + F (c)

(DR.1)

avendo introdotto la forza di trascinamento:


F ( ) =

m a( )

(DR.2)

come gi si era fatto in statica, e in pi la forza di Coriolis:


F (c) =

ma(c)

(DR.3)

Notiamo che in statica la forza di Coriolis non presente in quanto


la velocit relativa nulla allequilibrio relativo e quindi si annulla
laccelerazione di Coriolis.
Notiamo che affinch i due osservatori risultino entrambi simultaneamente inerziali, occorre e basta che essi si muovano di moto traslatorio
uniforme luno rispetto allaltro.
Infatti:
La condizione necessaria, in quanto, affinch i due osservatori siano
simultaneamente inerziali devono annullarsi sia la forza di trascinamento che

dinamica relativa

57

la forza di Coriolis, qualunque sia il moto del punto P . Questo equivale a


richiedere che si annullino simultaneamente laccelerazione di trascinamento
e laccelerazione di Coriolis. Ora laccelerazione di Coriolis 2 ! ^ v (r) si
annulla qualunque sia il moto, cio per qualunque v (r) se e solo se:
!0
identicamente. E questo equivale a dire che il moto deve essere traslatorio.
Ma allora nellaccelerazione di trascinamento rimane solo il termine a e
occorre richiedere che anche questo si annulli. In questo modo il moto
traslatorio risulta uniforme.
La condizione sufficiente, in quanto se il moto traslatorio si ha
! 0 identicamente; e questo comporta lannullarsi dellaccelerazione e
quindi della forza di Coriolis. Inoltre, se uniforme, anche laccelerazione
dellorigine del sistema relativo nulla; quindi laccelerazione assoluta
uguale a quella relativa.

Teorema dellenergia cinetica


Se consideriamo il prodotto scalare della (DR.1) per v (r) otteniamo:
m a(r) v (r) = F v (r) + F ( ) v (r) + F (c) v (r)
La forza di Coriolis non compie lavoro. Infatti la potenza esplicata dalla
forza di Coriolis vale:
W (c) = F (c) v (r) =

2m ! ^ v (r) v (r) = 0

essendo sempre nullo il prodotto misto. Rimane allora il risultato:

58

A. Strumia, Meccanica razionale

dT
= W + W ( )
dt
essendo:

T =

1 (r) 2
m v
,
2

W ( ) = F ( ) v (r)

W = F v (r) ,

Quando la forza di interazione F conservativa e ha potenziale U si pu


scrivere:
d
(T
dt

U ) = W ( )

Notiamo che, in generale, questo non comporta alcun integrale primo


dellenergia rispetto allosservatore relativo, a causa della presenza della
potenza della forza di trascinamento, che non in genere conservativa.
Tuttavia, sappiamo che la forza di trascinamento diviene conservativa quando
il sistema relativo ruota uniformemente attorno ad un asse fisso. In questo
caso la forza di trascinamento coincide con la forza centrifuga, che risulta
essere conservativa e ha potenziale:
Ucentrif. =

1
m r2 ! 2
2

dove r rappresenta la distanza del punto mobile P dallasse di rotazione. In


questo caso esiste lintegrale primo dellenergia e si scrive:

Ucentrif. = E ()

1
2
m (v (r) )
2

1
m r2 ! 2 = E (DR.4)
2

dinamica relativa

59

Problema dei due corpi


Il problema dei due corpi un tipico problema di dinamica relativa, nato
nellambito della meccanica celeste studiando il moto dei pianeti, osservato
dal sole, o di un satellite osservato dal pianeta; ritrovato poi nella meccanica
atomica classica studiando il moto di un elettrone osservato dal nucleo.
Poniamo di voler studiare il moto di un pianeta, che schematizziamo con
un punto materiale P , di massa m, rispetto ad un osservatore la cui origine
si trova nel sole (osservatore relativo), anchesso schematizzato come un
punto S, di massa M . Rispetto ad un osservatore solidale con le stelle fisse
(osservatore assoluto), che inerziale, il sole si muove di moto accelerato; di
conseguenza un osservatore la cui origine si trova nel sole non inerziale.
Scelta degli assi
Osserviamo, poi, che esistono infinite possibili scelte degli assi cartesiani
per un sistema la cui origine si trova nel sole; la scelta pi conveniente quella
di prendere gli assi del riferimento relativo in modo che si mantengano sempre
paralleli a quelli del sistema assoluto. In questo modo il sistema relativo, non
inerziale, si muove di moto traslatorio rispetto a quello assoluto, inerziale.
Avendo effettuato questa scelta degli assi ne viene subito, di conseguenza,
che laccelerazione di trascinamento del pianeta coincide con laccelerazione
del sole rispetto allosservatore assoluto e che laccelerazione di Coriolis
nulla. Infatti, poich i due sistemi di riferimento traslano luno rispetto
allaltro, la velocit angolare risulta essere identicamente nulla:
!0

=)

! = 0

Inoltre lorigine del sistema relativo S. Quindi:


a( ) = aS ,

a(c) = 0

60

A. Strumia, Meccanica razionale

S
O

Figura DR. 1: osservatore assoluto e relativo nel problema dei due corpi

essendo aS laccelerazione del sole rispetto al sistema assoluto delle stelle


fisse. Perci le corrispondenti forze di trascinamento e di Coriolis sono date
da:
F ( ) =

m aS ,

F (c) = 0

Perci lequazione della dinamica relativa del pianeta rispetto al sistema


solare si scrive:
m a(r) = F

m aS

(DR.5)

Supposta conosciuta la forza di interazione F , questo sistema contiene


tuttavia ancora troppe incognite, in quanto, oltre al moto relativo del
pianeta descritto dalla funzione vettoriale P (t), che compare attraverso
laccelerazione relativa, incognito anche il moto assoluto del sole dato da
OS(t), che compare attraverso laccelerazione del sole rispetto alle stelle
fisse. Possiamo eliminare, per, aS scrivendo lequazione della dinamica
inerziale del sole rispetto alle stelle fisse:

dinamica relativa

61

M aS =

tenendo conto che per il principio di azione e reazione la forza che il pianeta
esercita sul sole opposta alla forza che il sole esercita sul pianeta, e ha in
comune con essa la retta dazione che la congiungente i due punti P ed S.
Possiamo cos ricavare:

aS =

F
M

ed eliminare laccelerazione del sole nella (DR.5) ottenendo:


m a(r) = F +

m
F
M

Riscriviamo:
m a(r) = F

(DR.6)

m
mM
m =
1+ M
m+M

(DR.7)

avendo introdotto:
m =

A questa quantit si d il nome di massa ridotta in quanto evidentemente


minore della massa di ciascuno dei due corpi e, in particolare della massa del
pianeta.
Notiamo che, grazie al principio di azione e reazione e alla scelta degli
assi che abbiamo compiuto, la dinamica non inerziale di un punto si riconduce
alla stessa legge della dinamica inerziale, a condizione di sostituire alla massa
del punto mobile, la massa ridotta.

62

A. Strumia, Meccanica razionale

La massa ridotta fornisce una misura quantitativa del grado di non


inerzialit dellosservatore relativo: infatti essa tende alla massa del pianeta
m quando losservatore relativo tende a divenire inerziale; mentre si discosta
da m tanto pi quanto pi grande laccelerazione sole, cio quanto meno
inerziale losservatore relativo.
m
Ci che determina lentit della massa ridotta il rapporto M
delle masse
dei due corpi. Quando la massa m molto piccola rispetto ad M il rapporto
tende a zero e la massa ridotta tende ad m; se m tende ad uguagliare M , come
pu accadere nelle stelle doppie, la massa ridotta diviene la met della massa
m.

m*

Figura DR. 2: andamento della massa ridotta al variare di M , con m fissato

Forza centrale
Scelti i sistemi di assi degli osservatori analizziamo le forze di interazione
fra i due corpi: la prima informazione che ci viene dalla fisica che la forza
di interazione che il sole esercita sul pianeta una forza centrale il cui centro
risiede nel sole S, per cui vale la condizione:
SP ^ F = 0

dinamica relativa

63

Ma tramite la (DR.6) discende che:


SP ^ a(r) = 0
E quindi il moto centrale. Osserviamo che, grazie al fatto che la (DR.6)
ha la stessa struttura dellequazione fondamentale della dinamica inerziale,
una forza centrale comporta, anche rispetto allosservatore non inerziale, che
il moto sia centrale.
Di conseguenza:
Esiste lintegrale primo delle aree ovvero, per il moto del pianeta
sussiste la seconda legge di Keplero. E cio il raggio vettore sole-pianeta
descrive aree uguali in tempi uguali.
Il moto essendo centrale quindi piano e il piano della traiettoria il
piano che contiene i vettori velocit e posizione iniziale.
Essendo nulla laccelerazione areale nulla anche laccelerazione
trasversale e quindi laccelerazione interamente radiale e si pu fare uso
della formula di Binet (CP.83) per esprimerla:

ar =

c2
r2

d2 1r
1
+
2
d#
r

essendo r = |SP |.
Legge di forza
Sappiamo che la forza centrale che governa linterazione sole-pianeta
dipende dalla sola distanza r:
F = F (r) u

64

A. Strumia, Meccanica razionale

e la legge di forza data dalla legge di gravitazione universale di Newton:

F (r) =

Mm
r2

Introducendo queste ulteriori informazioni nellequazione differenziale


del moto (DR.6) otteniamo:
d2 1r
1
+
2
d#
r

c2
m 2
r

Mm
r2

Possiamo riscrivere, semplificando:


d2 1r
1
1
+ =
2
d#
r
p

(DR.8)

dove abbiamo introdotto la costante:

p=

m c2
c2
=
hM m
h (M + m)

(DR.9)

Integrazione della traiettoria


Lequazione differenziale (DR.8) non contiene il tempo, ma rappresenta
lequazione per la traiettoria in coordinate polari, caratterizzata dalla funzione
incognita r = r(#). Per procedere allintegrazione della traiettoria,
introduciamo la variabile di comodo:
=

1
r

e riscriviamo la (DR.8) nella forma pi leggibile:

dinamica relativa

65

00

1
p

(DR.10)

dove lapice denota la derivata rispetto a #. La (DR.10) unequazione


del secondo ordine, lineare, non omogenea, la cui omogenea associata
identica allequazione di un moto armonico di pulsazione unitaria, con lunica
differenza che in luogo del tempo t, compare langolo #:
00

(DR.11)

=0

Sappiamo che lintegrale generale (#) dellequazione non omogenea


(DR.10) dato dalla somma dellintegrale generale (#) dellequazione
omogenea (DR.11) e di un integrale particolare 1 (#) dellequazione non
omogenea:
(#) = (#) +

1 (#)

Abbiamo gi integrato unequazione del tipo (DR.11) trattando


loscillatore armonico e sappiamo che:
(#) = A cos (# + )
dove A e dipendono dalle condizioni iniziali che si assegnano per # = 0.
In particolare, osserviamo che langolo rappresenta langolo che il raggio
vettore SP forma con lorientazione positiva delle ascisse, in corrispondenza
del valore iniziale # = 0 e pu essere reso nullo scegliendo opportunamente,
volta per volta, gli assi cartesiani xy nel piano del moto. In questo caso
abbiamo lulteriore semplificazione:
(#) = A cos #

66

A. Strumia, Meccanica razionale

Per quanto riguarda la determinazione di un integrale particolare


dellequazione non omogenea, lidentificazione pi semplice, quando il
termine di non omogeneit costante come nel nostro caso, di scegliere
una funzione test costante:

test

=C

00
test

=)

=0

E quindi si ha immediatamente:

1 (#)

=C=

1
p

Abbiamo finalmente lintegrale generale della (DR.10), con la scelta degli


assi specificata:

(#) = A cos # +

1
p

E conveniente introdurre:
e = pA

(DR.12)

in modo da ottenere:

(#) =

1 + e cos #
p

Ritornando alla variabile originaria abbiamo lequazione della traiettoria


in coordinate polari:
r=

p
1 + e cos #

(DR.13)

dinamica relativa

67

Questa lequazione di una conica della quale S uno dei fuochi. La


costante e rappresenta leccentricit della conica: per i pianeti la traiettoria
sempre chiusa (orbita ) ed perci unellisse; si ha quindi e < 1.
E stata allora ottenuta la prima legge di Keplero: le orbite dei pianeti
sono delle ellissi delle quali il sole occupa uno dei fuochi.
Integrale primo dellenergia
La forza gravitazionale, essendo una forza centrale dipendente dalla sola
distanza del punto P dal centro di forza, una forza conservativa e il suo
potenziale vale:
U (r) = h

Mm
r

Di conseguenza esiste lintegrale primo dellenergia che si scrive:


1 2
mv
2

Mm
=E
r

(DR.14)

Questo rappresenta un integrale primo per il problema di dinamica relativa


(DR.6) per questo in esso compare la massa ridotta m in luogo della massa
m del pianeta; con v si intende la velocit relativa del pianeta. E possibile
riscrivere lintegrale primo dellenergia in maniera da stabilire un legame tra
lenergia meccanica E del sistema, che dipende dalle condizioni iniziali del
moto, e leccentricit e dellorbita. Per fare questo utilizziamo la formula
stabilita per i moti centrali (CP.84):
2

d1
v =c 4 r
d#
2

!2

1
+ 25
r

nella quale sostituiamo le informazioni che provengono dalla conoscenza


della traiettoria del moto (DR.13):

68

A. Strumia, Meccanica razionale

1
1 + e cos #
=
r
p

d 1r
=
d#

=)

e
sen #
p

Di conseguenza si ottiene:

v2 =

c2 2
(e + 1 + 2e cos #)
p2

Esprimiamo poi:
e cos # =

p
r

ottenendo:

v2 =

c2 2
(e
p2

1) + 2

c2
pr

E finalmente, tenendo conto della definizione di p, possiamo riscrivere:

v2 =

c2 2
(e
p2

1) + 2h

Mm
m r

(DR.15)

Informazione che, inserita nellintegrale primo dellenergia (DR.14)


fornisce il legame tra lenergia meccanica e leccentricit:

E=

m c2 2
(e
2 p2

1)

(DR.16)

Si ha cos la tabella seguente riguardante le traiettorie del moto di un corpo


celeste nel campo di gravitazione del sole:

dinamica relativa

8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

69

E<0

(sistema legato)

e<1

(ellisse)

E=0

(sistema non legato)

e=1

(parabola)

E>0

(sistema non legato)

e>1

(iperbole)

Un pianeta si trova sempre legato al sole e la sua orbita ellittica, per cui
lenergia meccanica, risulta negativa. Le comete possono invece realizzare i
tre casi potendo essere legate (comete periodiche) o non legate al sole. Il caso
della traiettoria parabolica un caso limite tra i restanti due casi.
Considerando poi il limite per r ! +1 nellintegrale primo dellenergia
(DR.14) otteniamo:

v1 =

2E
m

Se E > 0 il corpo P giunge a distanza molto grande da S avendo una


quantit residua di energia cinetica e possiede perci una velocit allinfinito
non nulla che gli permette di sfuggire dal campo gravitazionale di S.
Se E = 0 il corpo P giunge a distanza molto grande da S avendo
speso tutta la sua energia cinetica per vincere lattrazione gravitazionale e
possiede perci una velocit allinfinito nulla, e non risente pi dellattrazione
gravitazionale.
Se E < 0 il corpo P si muove in una regione limitata dello spazio,
si dice perci che legato ad S, e non pu giungere allinfinito non
avendo a disposizione una energia cinetica sufficiente a vincere lattrazione
gravitazionale. Notiamo che il limite della velocit per r ! +1 in questo
caso risulta immaginario.

70

A. Strumia, Meccanica razionale

Terza legge di Keplero


La terza legge di Keplero, secondo la quale il rapporto fra il quadrato del
periodo e il cubo del semiasse maggiore dellorbita una costante identica
per tutti i pianeti del sistema solare, cio:
T2
=K
a3
in realt una legge approssimata e non esatta. Possiamo infatti calcolare K,
per un pianeta, partendo dallintegrale primo delle aree. La velocit areale,
essendo costante, uguale al rapporto dellarea dellellisse e del periodo,
e quindi la costante delle aree che il doppio della velocit areale si pu
scrivere:
c=2

Areaellisse
2 a b
=
periodo
T

avendo denotato con a e b i semiassi maggiore e minore dellorbita ellittica.


Daltra parte in unellisse i due semiassi sono legati dalla relazione:
b2 = a2 (1

e2 )

Possiamo poi esprimere a in termini di p e di e, tenendo conto che lasse


maggiore, di lunghezza 2a si pu esprimere come somma della minima e della
massima distanza di P da S:
2a =

p
1

p
1+e

()

a=

p
1

Quindi:
b2 =

p2
1

e2

=)

b2
=p
a

e2

(DR.17)

dinamica relativa

71

b
ea

r min

r max

Figura DR. 3: orbita ellittica di un pianeta

Allora possiamo esprimere:

c2 =

4 2 a3 b2
4 2 a3 p
=
T2 a
T2

E quindi:

K=

4 2p
c2

Introducendo poi la definizione di p (DR.9) si ha:

K=

4 2
h (M + m)

(DR.18)

Si osserva che solo a condizione che la massa del pianeta sia trascurabile
rispetto alla massa del sole (m M ) la costante K indipendente dal
pianeta, ed la stessa per tutti i pianeti del sistema solare. Questa condizione,
di fatto, entro gli errori di misura, si pu ritenere abbastanza buona per tutti

72

A. Strumia, Meccanica razionale

i pianeti; lerrore pi sensibile riguarda Giove che la cui massa pi elevata


degli altri pianeti.
Legge oraria del moto
La legge oraria del moto per il problema dei due corpi si pu ottenere
con il metodo delle quadrature, partendo dallintegrale primo dellenergia
(DR.14) nel quale introduciamo lespressione polare della velocit:
v = r u + r # w
nella quale possiamo eliminare # tramite lintegrale delle aree. Abbiamo:
c = r2 #

c
# = 2
r

=)

E quindi:
c2
v 2 = r 2 + r2 # 2 = r 2 + 2
r
Allora lintegrale primo dellenergia si scrive:
1
m
2

c2
r + 2
r
2

Mm
=E
r

Alla funzione:

Uef f. = h
si d il nome di potenziale efficace.

Mm
r

m c2
2 r2

(DR.19)

dinamica relativa

73

Il problema si porta a quadrature separando le variabili:

t=

Z r
r0

d
r
2
m

E+h

Mm
r

(DR.20)

c2
r2

Ueff

Figura DR. 4: andamento del potenziale efficace

Velocit di fuga
Qual la velocit minima che occorre imprimere ad un satellite
perch possa sfuggire dal campo di gravitazione terrestre, allontanandosi
indefinitamente dalla terra? Si pu dare una stima di questa velocit, che
viene detta velocit di fuga, scrivendo lintegrale primo dellenergia (DR.14)
per il moto del satellite. In questo caso M indicher la massa terrestre e m
la massa del satellite. Supponiamo di far partire il satellite immediatamente
al di sopra dellatmosfera da una distanza R dal centro della terra, che in
prima approssimazione uguaglia il raggio terrestre; in modo da non dover
tener conto della resistenza al moto dovuta alla presenza dellatmosfera.

74

A. Strumia, Meccanica razionale

Allora, per allontanarsi indefinitamente dalla terra, il satellite deve


percorrere una traiettoria aperta (non ellittica); in caso contrario rimarrebbe in
orbita attorno alla terra. Lenergia meccanica minima richiesta per compiere
una traiettoria aperta zero e la traiettoria corrispondente parabolica. In
questo caso lintegrale primo dellenergia si scrive:
1 2
m vf uga
2

Mm
=0
R

Da cui si ricava il modulo della velocit:

vf uga =

2h (M + m)

2h M
R

(DR.21)

dal momento che la massa di un satellite artificiale molto piccola rispetto


alla massa terrestre.

Deviazione dei gravi verso oriente


Un altro problema classico di dinamica relativa del punto costituito dallo
studio del moto di un grave in caduta libera sulla superficie terrestre, quando
si tenga conto che il sistema terrestre non inerziale a causa della rotazione
propria della terra attorno al proprio asse. In questo caso nascono degli effetti
misurabili, anche se di piccola entit, dovuti alla forza di Coriolis. Il pi
rilevante di questi effetti una deviazione dalla verticale con uno spostamento
verso oriente del punto di caduta del grave.
Scegliamo il sistema di assi dellosservatore assoluto con lorigine nel
centro della terra e assi diretti verso le stelle fisse, trascurando la traslazione
della terra attorno al sole, i cui effetti, nel breve tempo del moto di un grave,
risultano irrilevanti rispetto agli effetti dovuti alla rotazione propria. Il sistema
relativo lo scegliamo con lorigine nella posizione iniziale del grave P0 ,

dinamica relativa

75

P0

O
x

Figura DR. 5: deviazione dei gravi verso oriente: scelta degli assi

lasse delle ascisse tangente al parallelo passante per P0 e rivolto verso


oriente, lasse diretto come la verticale, cio come g e orientato in senso
concorde con g e, conseguentemente, lasse tangente al meridiano passante
per P0 e orientato verso nord.
Lequazione della dinamica relativa si scrive allora:
m a(r) = m g + F (c)
avendo incluso la forza di trascinamento nella definizione del peso che
abbiamo dato in statica. Assumiamo che il moto si verifichi in una regione
sufficientemente limitata dello spazio, in modo da poter considerare il vettore
g come costante. Esplicitando la forza di Coriolis ed eliminando la massa
otteniamo:
a(r) = g

2 ! ^ v (r)

(DR.22)

essendo ! la velocit angolare, costante, con cui la terra ruota attorno al


proprio asse.

76

A. Strumia, Meccanica razionale

Possiamo introdurre la decomposizione dei vettori rispetto agli assi del


sistema relativo:
,

v (r) (,
),

P (, , ),
g (0, g, 0),

, )

a(r) (,

! (0, ! sen , ! cos )

Con si denota la latitudine, che un angolo compreso tra


positivo nellemisfero nord e negativo in quello sud.

,
2

Proiettando lequazione (DR.22) sugli assi del sistema relativo otteniamo


il sistema differenziale delle equazioni del moto relativo:
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

= 2 !( sen + cos )
= g
=

2 ! cos

(DR.23)

2 ! sen

dove il punto denota qui la derivata relativa. Le condizioni iniziali per la


caduta libera e con la scelta dellorigine degli assi che abbiamo fatto si
scrivono:
8
>
<
>
:

(0) = 0,

(0)
= 0,

(0) = 0,

(0) = 0

(0)

= 0,

(0)
=0

(DR.24)

Possiamo riscrivere la seconda e la terza equazione rispettivamente nella


forma:
d(r)
(
dt

g t + 2 ! cos ) = 0

dinamica relativa

77

d(r)
( + 2 ! sen ) = 0
dt
Da queste immediato ottenere, tenendo conto delle condizioni iniziali:
= g t

2 ! cos

2 ! sen

(DR.25)

(DR.26)

Risultati che, sostituiti nella prima equazione del sistema (DR.23)


conducono a unequazione per la sola variabile :
+ 4! 2 = 2 g ! t cos

(DR.27)

Lintegrale generale (t) di questa equazione lineare non omogenea si


dellequazione omogenea
ottiene come somma dellintegrale generale (t)
associata:
+ 4! 2 = 0

(DR.28)

e di un integrale particolare 1 (t) dellequazione non omogenea:


+ 1 (t)
(t) = (t)
La (DR.28) si presenta come lequazione di un moto armonico di
pulsazione 2 ! e quindi il suo integrale generale dato da:
= A cos (2 ! t + )
(t)

78

A. Strumia, Meccanica razionale

Un integrale particolare della (DR.27) si pu ottenere mediante una


funzione test lineare:
test = a t + b
Sostituendo nella (DR.27) otteniamo:
4! 2 (a t + b) = 2 g ! t cos
Dovendo essere soddisfatta 8t, la condizione precedente conduce alle
identificazioni:
a=

g
cos ,
2!

b=0

Quindi:
1 (t) =

gt
cos
2!

Rimane allora determinato lintegrale dellequazione (DR.27):


(t) = A cos (2 ! t + ) +

gt
cos
2!

Imponendo le condizioni iniziali determiniamo A e :


8
>
<
>
:

A cos

=0

2 ! A sen

g
2!

cos = 0

Da queste, tenendo conto che A positivo, ricaviamo:

(DR.29)

dinamica relativa

79

A=

g
cos ,
4! 2

Finalmente abbiamo:
(t) =

g cos
(2 ! t
4! 2

(DR.30)

sen 2 ! t)

E possibile poi ricavare anche (t) e (t) mediante le (DR.25) e (DR.26).


Quello che interessa qui osservare che il grave non cade lungo la
verticale, come ci si aspetterebbe se il sistema terrestre fosse inerziale, e cio
non si ha x = 0, y = 0, ma esiste una deviazione dalla verticale lungo lasse x
che sempre non negativa, cio verso oriente. Infatti riscrivendo la (DR.30)
nella forma seguente risulta:

g t cos
(t) =
1
2!

sen 2 ! t
2!t

0,

8t

grazie al fatto che:


sen x
1,
x

8x

Si osserva anche che essendo 0 presente anche una piccola


deviazione verso lequatore.

ED. Equazioni cardinali della dinamica


Dinamica dei sistemi
La dinamica dei sistemi di punti materiali si pu trattare, rispetto ad un
osservatore inerziale, scrivendo lequazione fondamentale della dinamica per
il moto di ogni singolo punto materiale del sistema; per cui, per un sistema
discreto di n punti materiali:
S = {(Ps , ms ) ; s = 1, 2, , n }
possiamo scrivere il sistema di equazioni differenziali del moto:
ms as = f s ,

s = 1, 2, , n

(ED.1)

supponendo di conoscere le forza complessiva f s applicata ad ogni punto


materiale, che sar, in generale funzione della posizione, della velocit del
punto Ps e del tempo:
f s = f s (Ps , v s , t)
Il sistema (ED.1) un sistema di n equazioni vettoriali, che nel caso pi
generale, proiettato sugli assi cartesiani, fornisce 3n equazioni differenziali:
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

ms xs = fs x
ms ys = fs y ,
ms zs = fs z

s = 1, 2, , n

(ED.2)

equazioni cardinali della dinamica

81

per le 3n funzioni incognite che caratterizzano il moto di tutti i punti:


xs (t),

ys (t),

zs (t)

Il sistema delle equazioni differenziali del moto (ED.2) un sistema di


ordine 6n. Se si conoscono le forze e le equazioni sono indipendenti tale
sistema risulta determinato.
Integrale generale e integrali particolari del moto
Si estendono in modo naturale, dalla dinamica del punto materiale alla
dinamica di un sistema di punti materiali, le definizioni di integrale generale
e particolare del moto:
Si dice integrale generale del moto lintegrale generale del sistema
delle equazioni del moto, cio la famiglia delle 16n soluzioni del sistema
(ED.2), caratterizzata da 6n parametri, tanti quanto lordine del sistema
differenziale. Lintegrale generale, dunque, si pu rappresentare come:
8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

xs = xs (t, c1 , c2 , , c6n )
ys = ys (t, c1 , c2 , , c6n ),

s = 1, 2, , n

(ED.3)

zs = zs (t, c1 , c2 , , c6n )

Si dice integrale particolare del moto un integrale particolare del


sistema differenziale del moto, cio una delle soluzioni che si ottiene
assegnando un valore particolare a ciascuna delle 6n costanti c1 , c2 , , c6n ,
ovvero assegnando le condizioni iniziali sulle posizioni e le velocit di tutti
i punti del sistema materiale; grazie al teorema di unicit, se le forze sono
lipschitziane, ogni insieme di condizioni iniziali determina una sola soluzione
per il moto.

82

A. Strumia, Meccanica razionale

Integrali primi del moto


Analogamente si estende la definizione di integrale primo del moto. Una
funzione:

= (xs , ys , zs , x s , y s , zs , t)
dove s pu assumere tutti i valori da 1 a n, si dice integrale primo del moto del
sistema di punti materiali, governato dal sistema (ED.2), quando, sostituendo
in essa alle variabili xs , ys , zs , x s , y s , zs , le funzioni xs (t), ys (t), zs (t) che
rappresentano un integrale particolare del moto e le loro derivate temporali,
la funzione assume un valore costante nel tempo:

(xs (t), ys (t), zs (t), x s (t), y s (t), zs (t), t) = C,

8t

Teorema dellenergia cinetica


E immediata anche lestensione del teorema dellenergia cinetica alla
dinamica dei sistemi di punti materiali. Infatti moltiplicando entrambi i
membri della (ED.1) scalarmente per lo spostamento fisico dPs di ogni punto,
otteniamo:
ms as dPs = f s dPs
e sommando sull indice s:
n
X

s=1

Ma:

ms as dPs =

n
X

s=1

f s dPs

equazioni cardinali della dinamica

dL =

83

n
X

s=1

f s dPs

il lavoro totale delle forze agenti sul sistema di particelle. Inoltre:


n
X

d
ms as dPs =
dt
s=1

n
1X
ms v 2s
2 s=1

dt = dT

essendo:

T =

n
1X
ms v 2s
2 s=1

lenergia cinetica totale del sistema meccanico. Si ha cos il risultato:


dT = dL

Integrale primo dellenergia


Quando il sistema di forze conservativo il differenziale del lavoro si pu
esprimere come differenziale esatto di un potenziale U :
dL = dU
Quindi, facendo uso del teorema dellenergia cinetica si ha, di
conseguenza, che durante il moto:
dT = dU
da cui segue:

()

d(T

U) = 0

84

A. Strumia, Meccanica razionale

U = costante

cio lintegrale primo dellenergia, essendo:


E=T

lenergia meccanica totale del sistema di punti materiali.

Equazioni cardinali della dinamica


Analogamente a quanto accade per il problema statico, che un caso
particolare di problema dinamico, in generale non conosciamo tutte le
forze applicate al sistema di punti materiali, in quanto ci troviamo nella
impossibilit pratica di determinare le forze interne al sistema. Lunica
informazione, sempre valida, per le forze interne ci data dal terzo principio
della dinamica che ci assicura che le forze interne costituiscono un sistema
di coppie di braccio nullo, per cui:
R(i) = 0,

(i)

M = 0

Seguendo la stessa strada utilizzata per il problema statico, allora, anche


per la dinamica possiamo riscrivere il sistema (ED.1) separando le forze
esterne dalle forze interne:
(i)
ms as = f (e)
s + fs ,

s = 1, 2, , n

(ED.4)

e manipolarlo in maniera tale da fare comparire il risultante e il momento


risultante delle forze interne, che sono nulli per il terzo principio.
Sommando sull indice s otteniamo:

equazioni cardinali della dinamica

n
X

ms as =

s=1

85

n
X

f (e)
s +

s=1

n
X

f (i)
s

s=1

ovvero:
n
X

ms as = R(e) + R(i)

s=1

Ma il risultante delle forze interne nullo per il terzo principio della


dinamica, e cos le forze interne scompaiono e si ottiene:
n
X

(ED.5)

ms as = R(e)

s=1

Analogamente si procede per i momenti. Si agisce con loperatore di


prodotto vettoriale Ps ^ su entrambi i membri della (ED.4) ottenendo:
(i)
Ps ^ ms as = Ps ^ f (e)
s + Ps ^ f s

essendo un polo scelto arbitrariamente.


sullindice s si ha:
n
X

s=1

ovvero:

Ps ^ ms as =
n
X

s=1

n
X

s=1

Considerando poi la somma

Ps ^ f (e)
s +

(e)

n
X

s=1

Ps ^ f (i)
s

(i)

Ps ^ ms as = M + M

Il momento risultante delle forze interne nullo per il terzo principio


della dinamica e quindi rimane, anche per il momento, unequazione che non
coinvolge le forze interne:

86

A. Strumia, Meccanica razionale

n
X

(e)

Ps ms as = M

(ED.6)

s=1

Rispetto al caso statico abbiamo ora in pi , a primo membro, dei termini


cinetici, che dobbiamo riscrivere in modo da esprimerli mediante grandezze
macroscopiche, rendendo cos utilizzabili le equazioni (ED.5) e (ED.6) che
abbiamo ottenuto.
Per quanto riguarda la (ED.5) cominciamo con losservare che:
n
X

s=1

ms as =

n
X

ms

s=1

n
dv s
d X

=
ms v s = Q
dt
dt s=1

essendo:

Q=

n
X

ms v s

s=1

la quantit di moto totale del sistema.


Per quanto riguarda la (ED.6), analogamente, ci aspettiamo di poter fare
entrare in gioco la derivata temporale del momento della quantit di moto.
Abbiamo, infatti:

K =

n
X

s=1

Ps ^ ms v s

Derivando:
n
n
X
X
d
= d
K
Ps ^ ms v s =
(Ps ^ ms v s ) =
dt s=1
s=1 dt

equazioni cardinali della dinamica

n
X

d
(OPs
s=1 dt
n
X

s=1

O) ^ ms v s +

v s ^ ms v s
=

87

v ^

n
X

s=1
n
X

n
X

s=1

Ps ^

v ^ ms v s +

ms v s +

s=1

n
X

s=1

n
X

s=1

d
(ms v s ) =
dt

Ps ^ ms as =

Ps ^ ms as

Dove O un punto fisso, mentre pu essere anche variabile. Dunque in


conclusione abbiamo ottenuto il legame:
n
X

s=1

+ v ^ Q
Ps ^ ms as = K

E comodo poi tenere conto che, per il teorema del moto del baricentro si
ha:
Q = m vG
Tenendo conto di questi risultati possiamo finalmente scrivere le equazioni
cardinali della dinamica nella loro forma definitiva:

8
>
<
>
:

= R(e,a) + R(e,v)
Q
(ED.7)
(e,v)
+ m v ^ v G = M (e,a)
K
+ M

dove abbiamo distinto le forze esterne in esterne attive e esterne vincolari.


Le equazioni cardinali della dinamica prendono anche il nome di teorema

88

A. Strumia, Meccanica razionale

della quantit di moto e, rispettivamente teorema del momento della quantit


di moto.
Le equazioni cardinali della dinamica, proiettate sugli assi cartesiani,
sono al massimo sei, perci possono servire a determinare il moto in problemi
che hanno al massimo sei incognite: per questo esse vengono utilizzate
nella dinamica del corpo rigido. Hanno il vantaggio di non contenere le
forze interne e permettono di ottenere informazioni sulle reazioni vincolari
in regime dinamico.
Il termine m v ^ v G pu essere eliminato dallequazione dei momenti
con unopportuna scelta del polo. E sufficiente infatti scegliere il polo in
modo che sia in quiete rispetto allosservatore del moto per ottenere v = 0,
oppure sceglierlo coincidente con il baricentro. In questo caso le equazioni
cardinali assumono la forma pi semplice:
8
>
<
>
:

= R(e,a) + R(e,v)
Q
(ED.8)
(e,v)
= M (e,a)
K
+ M

Equazione del moto del baricentro


La prima equazione cardinale della dinamica si pu scrivere in unaltra
forma, in taluni casi molto comoda, che prende il nome improprio di
equazione del moto del baricentro. Grazie al teorema del moto del baricentro,
derivando rispetto al tempo si ha:

Q = m vG

=)

= m aG
Q

Sostituendo nellequazione del risultante si ottiene:

equazioni cardinali della dinamica

m aG = R(e)

89

(ED.9)

La denominazione di equazione del moto del baricentro per la (ED.9)


nasce dallanalogia formale con lequazione fondamentale della dinamica
per il moto di un punto. Come lequazione fondamentale sufficiente a
determinare il moto di un punto P soggetto alla forza f , cos sembrerebbe che
la (ED.9) fosse sufficiente a determinare il moto del baricentro di un sistema
di punti materiali. Ma questo non generalmente vero. Per comprenderlo
basta esaminare le variabili da cui le forze possono dipendere:
Nellequazione del moto di un solo punto:
m a = f (P, v, t)
la forza pu dipendere solo dalla posizione, dalla velocit del punto, e dal
tempo, mentre:
Nellequazione del moto del baricentro:
m aG = R(e) (P1 , P2 , , Pn , v 1 , v 2 , , v n , t)
il risultante delle forze esterne dipende, in generale dalle posizioni, dalle
velocit di tutti i punti del sistema e dal tempo. Infatti:

(e)

(e)

R(e) = f 1 (P1 , v 1 , t) + f 2 (P2 , v 2 , t) + + f (e)


n (Pn , v n , t)
Di conseguenza lequazione non sufficiente a determinare il moto del
baricentro, perch contiene troppe incognite, a meno che non siano note tutte
le funzioni OPs (t), cio sia noto il moto dellintero sistema.

90

A. Strumia, Meccanica razionale

Lequazione del moto del baricentro pu determinare il moto del


baricentro, anche quando non si conosce il moto dellintero sistema, a
condizione che il risultante dipenda dalle incognite nello stesso modo che
si verifica per la dinamica di un solo punto. Cio occorre che:
R(e) = R(e) (G, v G , t)

(ED.10)

In questo caso le incognite del problema sono effettivamente solo le


coordinate del baricentro in funzione del tempo e il sistema determinato. Un
sistema meccanico in cui sia verificata questa condizione si dice sistema Gdeterminato. In un sistema di questo tipo il moto del baricentro si determina
indipendentemente dal moto delle particelle che compongono il sistema
stesso. Lesempio pi familiare fornito da un sistema soggetto alla sola
forza peso; allora lequazione del moto del baricentro si scrive:

m aG = m g
Essendo costante, il peso una forza che certamente soddisfa la
condizione (ED.10). E noto, infatti lesempio del proiettile che esplode in
volo senza influenzare il moto del baricentro, qualora si trascuri la resistenza
dellaria, che evidentemente non soddisfa la condizione (ED.10), risentendo
di una modifica dellarea investita e del fattore di forma. Il fatto che il sistema
soggetto alla sola forza peso risulti G-determinato il motivo per cui un grave
si pu schematizzare con un punto materiale coincidente con il baricentro del
corpo senza doversi preoccupare della struttura del corpo.

Dinamica del corpo rigido


Corpo rigido libero
Le equazioni cardinali della dinamica per un corpo rigido libero si
specializzano nelle seguenti:

equazioni cardinali della dinamica

91

G
G

Figura ED. 1: sistema Gdeterminato

8
>
<
>
:

= R(e,a)
Q
(ED.11)
+ m v ^ v G = M (e,a)
K

non essendo presenti le reazioni vincolari per un corpo libero. Se si proiettano


queste equazioni su un sistema di assi cartesiani si ottengono sei equazioni per
i sei gradi di libert del corpo, costituiti, per esempio, dalle tre coordinate
del baricentro xG , yG , zG e dai tre angoli di Eulero , ', #. Il sistema
cos determinato. In generale il risultante delle forze esterne attive e il loro
momento risultante sono funzioni di questi sei parametri, delle loro derivate
temporali e del tempo, per cui le sei equazioni sono accoppiate tra loro.
Osserviamo che possono esservi casi in cui il risultante dipende solo dalle
coordinate del baricentro, dalle loro derivate e dal tempo, mentre il momento
dipende solo dagli angoli di Eulero, dalle loro derivate e dal tempo. In questi
casi il moto del baricentro si disaccoppia dal moto rotatorio del corpo attorno
al baricentro. E allora opportuno riscrivere la prima equazione cardinale nella
forma di equazione del moto del baricentro, in quanto il sistema risulta essere

92

A. Strumia, Meccanica razionale

G-determinato. Inoltre conviene scegliere il polo di riduzione dei momenti


coincidente con il baricentro.

z'

y'

x'

O
y
x

Figura ED. 2: corpo rigido libero


In questo modo, grazie al secondo teorema di Knig si ottiene
linformazione che il momento della quantit di moto viene a coincidere con
quello calcolato dallosservatore inerziale:
(G)

KG = KG

Le equazioni cardinali possono essere cos riscritte:


8
>
>
<
>
>
:

m aG = R(e,a)
(G) = M (e,a)
K
G
G

(ED.12)

In questa situazione il moto di traslazione del baricentro e il moto rotatorio


del corpo attorno al baricentro risultano disaccoppiati e possono essere
determinati separatamente, in quanto:

equazioni cardinali della dinamica

R(e,a) = R(e,a) (xG , yG , zG , x G , y G , x G , t),

93

(e,a)
t)
M G ( , ', #, , ',
#,

Per quanto riguarda la determinazione del moto rotatorio attorno


al baricentro, esso si riconduce al moto come visto dallosservatore
baricentrale, il quale vede il corpo muoversi con il punto fisso G, coincidente
con lorigine.

Corpo rigido con un punto fisso: equazioni di Eulero


Le equazioni cardinali della dinamica, specializzate per un corpo rigido
con un punto fisso , scelto come polo di riduzione dei momenti sono le
seguenti:
8
>
<
>
:

= R(e,a) +
Q
(ED.13)
= M (e,a)
K

Essendo presente una sola reazione vincolare , applicata nel punto


fisso, conviene scegliere il punto fisso come polo di riduzione ottenendo due
vantaggi: i) la scomparsa del termine cinetico che contiene la velocit del
polo, ii) la scomparsa del momento della reazione vincolare, che risulta nullo
in quanto calcolato rispetto al punto di applicazione della reazione stessa.
Il sistema, proiettato su una terna di assi cartesiani, contiene sei equazioni
nelle sei incognite rappresentate dai tre angoli di Eulero, che sono i tre gradi di
libert, e dalle tre componenti della reazione vincolare in regime dinamico. Si
determinano, in questo modo, sia il moto che la reazione vincolare. Per quanto
riguarda la determinazione del moto, chiaramente, le tre equazioni pure del
moto sono date dallequazione vettoriale dei momenti, che non contiene la
reazione vincolare.

94

A. Strumia, Meccanica razionale

Equazioni pure del moto


Le equazioni del moto si possono scrivere in maniera conveniente
introducendo lespressione del momento della quantit di moto per un corpo
rigido con un punto fisso:
K = !
dove la matrice dinerzia relativa al punto fisso preso come centro.

A noi serve la derivata rispetto al tempo di K , valutata da un osservatore


inerziale xyz, la quale compare nellequazione dei momenti. Questo
calcolo, per comporta linconveniente di dover considerare la matrice
come variabile nel tempo, in quanto i momenti dinerzia di un corpo che si
muove rispetto ad una terna di assi, sono variabili. E conveniente, allora,
introdurre anche una terna di assi solidali con il corpo rigido rispetto
alla quale risulta evidentemente costante, in quanto le masse risultano
fisse rispetto agli assi solidali. Allora, facendo uso del teorema di derivazione
relativa che collega le derivate temporali dei vettori, valutate rispetto al
sistema relativo, che nel nostro caso il sistema solidale, con quelle valutate
rispetto al sistema assoluto, che il sistema inerziale possiamo scrivere:
d(a)
d(r)
K =
K + ! ^ K
dt
dt
Lavorando rispetto allosservatore relativo abbiamo il vantaggio che
costante, e quindi si ha:
d(r)
d(r)
K =
( !) = !
dt
dt
Abbiamo denotato con il punto la derivata di ! ricordando che per il
vettore velocit angolare e per tutti i vettori ad esso paralleli la derivata
assoluta e la derivata relativa coincidono e non vi , dunque, possibilit di
confusione. Si pu allora concludere che:

equazioni cardinali della dinamica

95

d(a)
K = ! + ! ^ !
dt
Questo risultato, inserito nellequazione dei momenti, che fornisce le
equazioni pure del moto del corpo rigido con un punto fisso, conduce a:

(ED.14)

(e,a)
! + ! ^ ! = M

scelta degli assi solidali


Ora facciamo due osservazioni per poter procedere convenientemente:
A differenza di quanto accade in statica le equazioni della dinamica
del corpo rigido con un punto fisso coinvolgono la matrice dinerzia, per
cui non conviene proiettare le equazioni sugli assi del sistema assoluto, ma
conviene proiettarle sugli assi del sistema relativo, perch rispetto ad essi
ha elementi di matrice costanti.
Tra tutte le possibili scelte di assi solidali che si possono effettuare,
conviene scegliere una terna di assi principali dinerzia, perch rispetto
ad assi principali la matrice si rappresenta in forma diagonale, con il
vantaggio di ottenere delle equazioni pi semplici.
Avremo allora:

0
B
B
B
B
B
B
@

A 0

0 B

0 C

10
C
C
C
C
C
C
A

B
B
B
B
B
B
@

p
q
r

1
C
C
C
C
C
C
A

0
B
B
B
B
B
B
@

Ap
Bq
Cr

1
C
C
C
C
C
C
A

96

A. Strumia, Meccanica razionale

linea dei nodi

Figura ED. 3: corpo rigido con un punto fisso

essendo p, q, r le componenti di ! rispetto al sistema solidale. Di conseguenza


si ha:
! ^ ! ((C

B) q r, (A

C) p r, (B

A) p q)

Allora lequazione vettoriale (ED.14), proiettata sugli assi principali


dinerzia conduce al sistema differenziale:
8
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
:

(e,a)

A p

(B

C) q r = M

B q

(C

A) p r = M(e,a)

C r

(A

B) p q = M

(ED.15)

(e,a)

Queste equazioni sono note come equazioni di Eulero. Le incognite sono


gli angoli di Eulero , ', # che compaiono, insieme alle loro derivate nelle

equazioni cardinali della dinamica

97

espressioni di p, q, r e nel momento delle forze esterne attive. Il sistema


non lineare e generalmente non risolubile analiticamente. Qualora sia stato
integrato il moto possibile determinare anche la reazione vincolare in regime
dinamico, mediante lequazione del risultante.

Corpo rigido con un asse fisso


Per il corpo rigido con un asse fisso, supposto di avere bloccato
lasse fissando due punti di esso, le equazioni cardinali della dinamica si
specializzano nel modo seguente:
8
>
<
>
:

= R(e,a) +
Q

(ED.16)
1 = M (e,a) + 1 2 ^
K
1

avendo scelto per convenienza il polo coincidente con il punto fisso 1 .


Con questa scelta si ha il duplice vantaggio di eliminare, dallequazione del
momento, il termine cinetico che coinvolge la velocit del polo, e quello di
eliminare il momento di 1 che, essendo applicata nel polo, ha momento
nullo.
Poich il corpo rigido con un asse fisso un caso particolare di corpo
rigido con un punto fisso, il momento della quantit di moto si esprime nella
forma:
K = !
e la sua derivata assoluta rispetto al tempo allora:
d(a)
K = ! + ! ^ !
dt

98

A. Strumia, Meccanica razionale

z=
=

2
1

Figura ED. 4: corpo rigido con un asse fisso

Di conseguenza lequazione del momento si riscrive:


(e,a)
! + ! ^ ! = M 1 + 1 2 ^

(ED.17)

Equazione pura del moto


Il problema ha un solo grado di libert # e quindi occorre una sola
equazione pura del moto: questa si pu ottenere dalla componente lungo
lasse fisso dellequazione del momento scritta nella forma (ED.17). Infatti
considerando il prodotto scalare della (ED.17) per e3 otteniamo:

(e,a)
e3 ! + e3 ! ^ ! = e3 M 1 + e3 1 2 ^

I prodotti misti sono entrambi nulli perch i vettori ! e 1 2 sono


paralleli a e3 e quindi:

equazioni cardinali della dinamica

e3 ! ^ ! = 0,

99

e3 1 2 ^

=0

Possiamo allora riscrivere:


(e,a)
e3 ! = e3 M 1

A secondo membro riconosciamo il momento assiale delle forze esterne


(e,a)
attive rispetto allasse fisso M . A primo membro, esprimendo la velocit
angolare come:
! = # e3
otteniamo:
e3 ! = e3 e3 #
Ma:
e3 e3 =

33

=C

elemento di matrice che rappresenta il momento dinerzia C del corpo rispetto


allasse fisso e che indichiamo, abitualmente, con J . Abbiamo allora
lequazione del moto del corpo rigido con un asse fisso:

(e,a)
t)
J # = M (#, #,

(ED.18)

100

A. Strumia, Meccanica razionale

Momento posizionale: integrale primo dellenergia


Un caso particolare notevole si realizza quando il momento assiale delle
forze esterne attive, relativo allasse posizionale, cio dipende solo da #.
In questo caso, infatti lequazione pura del moto si scrive:
(e,a)
J # = M (#)

(ED.19)

Il momento risulta essere conservativo; infatti il lavoro un differenziale


esatto:

(e,a)

dL(e,a) = M d

(e,a)

(e,a)

= M e3 d# = M

(#) d# = d

Z #
#0

(e,a)

d#
(#)

Il potenziale dato da:

U (#) =

Z #
#0

(e,a)

d#
(#)

Di conseguenza esiste lintegrale primo dellenergia, non essendoci altri


contributi non nulli del lavoro:
1
J # 2
2

U (#) = E

mediante il quale si ottiene:


s

# =

2
[E + U (#)]
J

Il problema si porta allora a quadrature, ottenendo:

equazioni cardinali della dinamica

t=

Z #
#0

101

d#
2
J

(ED.20)

E + U (#)

La condizione di realt della radice quadrata:

E + U (#)

permette di identificare gli intervalli di # in cui il moto pu avvenire.


Forza peso: pendolo composto
Un esempio classico dato dal pendolo composto o pendolo fisico, che
un corpo rigido con un asse fisso orizzontale, privo di attrito, soggetto alla
forza peso.

1
G

z=
=

Figura ED. 5: pendolo composto


In questo caso le forze esterne attive sono riducibili al vettore risultante:

102

A. Strumia, Meccanica razionale

R(e,a) = m g
applicato nel baricentro G del corpo. Il momento delle forze esterne attive,
rispetto al polo 1 risulta, di conseguenza, dato da:
M 1 = 1 G ^ m g =

m g ` sen # e3

essendo:
` = |1 G|
e # caratterizzato come in figura (ED. 5).
Abbiamo chiaramente:
(e,a)

(#) =

m g ` sen #

Quindi il potenziale dato da:


U (#) = m g ` cos #
Assegnando le condizioni iniziali si pu calcolare lenergia meccanica
totale del moto. Per esempio, lasciando partire il pendolo con velocit iniziale
nulla:
#(0) = #0 ,

#(0)
=0

si ha:
E=

U (0) =

m g ` cos #0

equazioni cardinali della dinamica

103

Il problema si porta a quadrature ottenendo la seguente espressione per


lintegrale (ED.20):

t=

Z #
#0

d#
2
J

m g `(cos #

(ED.21)

cos #0 )

Osserviamo che il moto risulta essere identico a quello di un pendolo


semplice di lunghezza:

J
m`

Determinazione delle reazioni vincolari


Ritorniamo al caso generale del corpo rigido con un asse fisso. Per il
calcolo delle reazioni vincolari, dopo aver affrontato il problema del moto,
occorre scrivere tutte le componenti delle reazioni vincolari sul sistema di assi
cartesiani. Proiettiamo su un sistema solidale, come abbiamo fatto nel caso
del corpo rigido con un punto fisso, in modo che gli elementi della matrice
dinerzia risultino costanti nel tempo; in questo caso, per, non possiamo
scegliere gli assi solidali in modo che siano assi principali dinerzia, in quanto
lasse fisso sul quale abbiamo proiettato lequazione dei momenti per ottenere
lequazione pura del moto, assegnato dal problema e, in generale non sar
un asse principale. Per cui dobbiamo rappresentare la matrice dinerzia nella
sua forma pi generale. Otteniamo allora le seguenti rappresentazioni per i
vettori che entrano in gioco nelle equazioni cardinali:

0
B
B
B
B
B
B
@

C0

C0

B0

A0

B0

10

C
C
C
0 C
A C
C
A

B
B
B
B
B
B
@

0
0
#

1
C
C
C
C
C
C
A

0
B
B
B
B
B
B
@

1
B 0 #

A0 #

C #

C
C
C
C
C
C
A

104

A. Strumia, Meccanica razionale

! ^ ! (A0 # 2 ,

B 0 # 2 , 0)

Abbiamo, cos:

= ! + ! ^ ! ( B 0 # + A0 # 2 ,
K

A0 #

B 0 # 2 , J #)

Possiamo allora scrivere le equazioni cardinali per componenti nella


seguente forma:
8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<

dove si introdotto:

>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:

(e,a)
Q = R +

Q = R(e,a) +

(e,a)
Q = R +

(e,a)
B # + A # 2 = M

A0 #

(ED.22)
`

B 0 # 2 = M(e,a) + `

(e,a)
J # = M

` = |1 2 |
Lultima equazione lequazione pura del moto ed gi stata utilizzata;
rimangono cinque equazioni per le sei incognite costituite dalle componenti
delle reazioni vincolari. Come nel problema statico anche nel caso dinamico
rimangono indeterminate le componenti delle reazioni vincolari lungo lasse
fisso. Il sistema pu essere completamente determinato nel caso in cui si

equazioni cardinali della dinamica

105

faccia lipotesi che uno dei due vincoli sia costituito da una cerniera cilindrica
priva di attrito (per esempio in 2 ), perch, in questo caso si ha lulteriore
informazione:

=0

Equilibratura dinamica
Il problema dell equilibratura dinamica consiste nel ricercare se esistono
e in caso affermativo determinarle, delle condizioni alle quali, a parit di
forze esterne attive, le reazioni vincolari in regime dinamico sono uguali alle
reazioni vincolari allequilibrio.
Affinch questa situazione possa verificarsi occorre che i termini cinetici
che compaiono nelle equazioni del risultante e nelle componenti , delle
equazioni del momento che sono le uniche che contengono le reazioni
vincolari siano nulli qualunque sia il moto del corpo rigido con un asse
fisso.
Infatti si pu scrivere la seguente tabella di comparazione tra equazioni
dinamiche ed equazioni statiche.

Dinamica
8
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
:

m aG = R(e,a) +

(D)
1

B 0 # + A0 # 2 = M

Statica
+

(e,a)

A0 #

(D)
2

(D)
2

B 0 # 2 = M(e,a) + `

(D)
2

8
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
:

(S)
1

0 = R(e,a) +
(e,a)

(S)
2

0 = M(e,a) + `

(S)
2

0 = M

E chiaro allora che lannullarsi dei termini cinetici:

(S)
2

106

A. Strumia, Meccanica razionale

m aG = 0,

B 0 # + A0 # 2 = 0,

A0 # + B 0 # 2 = 0

# pu
in ogni istante e qualunque sia il moto, cio qualunque siano #, #,
realizzarsi solo a condizione che:
aG = 0,

A0 = 0,

B0 = 0

Ma il moto di G rotatorio e la sua accelerazione, si esprime mediante le


formule dei moti rigidi:
aG = ! ^ G

! 2 QG

essendo un punto dellasse fisso e Q la proiezione di G sullasse; aG pu


essere nulla per qualunque moto se e solo se G Q, cio se il baricentro si
trova sullasse fisso. Le restanti condizioni su A0 e B 0 significano, poi, che
lasse fisso deve essere un asse principale dinerzia.
Qualora queste condizioni non siano verificate nascono degli incrementi
del risultante delle reazioni vincolari e del momento delle reazioni vincolari,
dovuti al fatto che il sistema si trova in regime dinamico, anzich in equilibrio.
i) Se il baricentro G fuori asse si ha un incremento delle reazioni
vincolari normale allasse fisso, per cui il moto del corpo tende a portarlo
fuori dallasse e il vincolo deve contrastare questa sollecitazione:
3 ^ G
R(e,v) = m aG = m (#e

# 2 QG)

Evidentemente i due contributi sono normali rispetto allasse, in quanto


il prodotto vettoriale contiene il versore dellasse fisso, mentre il termine di
accelerazione centripeta contiene QG ? e3 .
ii) Se lasse fisso non un asse principale dinerzia nasce una coppia, che
il vincolo deve contrastare con lincremento del momento:

equazioni cardinali della dinamica

107

(e,v)
M 1 ( B 0 # + A0 # 2 ,

A0 #

B 0 # 2 , 0)

normale allasse di rotazione, il cui effetto , quindi, quello di far deviare


il corpo dalla rotazione attorno allasse fisso. Di qui la denominazione di
momenti di deviazione introdotta per gli elementi della matrice dinerzia che
non appartengono alla diagonale principale.
In modulo si ha:
(e,v)

| M 1 | =

(A02 + B 02 )(#2 + # 4 )

Lentit del momento addizionale a cui sono sottoposti i vincoli


proporzionale alla combinazione pitagorica dellaccelerazione angolare e del
quadrato della velocit angolare. Notiamo che in assenza di accelerazione
angolare il momento risulta proporzionale al quadrato della velocit angolare,
e questo ricorda il comportamento della forza centrifuga; per cui i momenti
di deviazione sono detti anche momenti centrifughi.

Principio delleffetto giroscopico


Dopo aver esaminato il moto del corpo rigido nella sua generalit,
passiamo allanalisi di qualche caso notevole di moto di un corpo rigido con
un punto fisso.
Il primo caso notevole si ha quando il corpo rigido in questione un
giroscopio. Abbiamo visto che le equazioni di Eulero, che regolano il moto
di un corpo rigido con un punto fisso, sono non lineari e generalmente
non integrabili per via analitica; tuttavia quando il corpo un giroscopio,
si possono trarre delle informazioni importanti sullandamento del moto,
facendo unapprossimazione delle equazioni di Eulero, sotto opportune
ipotesi.

108

A. Strumia, Meccanica razionale

G
y

Figura ED. 6: principio delleffetto giroscopico: scelta degli assi

Scegliamo gli assi come in figura (ED. 6) in maniera che il punto fisso
O sia lorigine comune del sistema assoluto Oxyz e del sistema relativo,
solidale al corpo rigido . Inoltre lasse sia coincidente con lasse
giroscopico. Di conseguenza anche gli assi , risultano essere assi principali
dinerzia, in quanto assi di simmetria per la sezione dellellissoide normale
allasse giroscopico, sezione che una circonferenza.
Il principio delleffetto giroscopico, che ora trattiamo, un principio di
approssimazione che si fonda sulle seguenti tre ipotesi:
ipotesi di struttura: il corpo un giroscopio e il punto fisso si trova
sullasse giroscopico;
ipotesi sulle forze: il momento assiale delle forze esterne attive rispetto
allasse giroscopico nullo;
ipotesi sulle condizioni iniziali: la velocit angolare iniziale diretta
lungo lasse giroscopico ed ha modulo opportunamente grande.
Traduciamo matematicamente queste tre ipotesi. Per quanto riguarda

equazioni cardinali della dinamica

109

lipotesi di struttura, osserviamo che, per definizione di giroscopio, il


baricentro del corpo si trova sullasse giroscopico, in quanto il centro
dellellissoide centrale dinerzia. Tracciando le rette G , G per G, parallele
rispettivamente agli assi , , la condizione che il corpo un giroscopio si
traduce nella:
AG = BG
dove AG , BG sono i momenti principali dinerzia relativi agli assi G , G . Per
il teorema di Huygens-Steiner abbiamo di conseguenza:
A = AG + m |G|2 ,

B = BG + m |G|2

da cui segue:
A=B
dove A, B sono i momenti principali dinerzia relativi agli assi solidali , .
Possiamo allora riscrivere le tre ipotesi nella forma seguente:

1)

(ED.23)

A=B
(e,a)
M

2)
=0
3) ! 0 (0, 0, r0 ), |r0 |

(ED.24)
(ED.25)

essendo una quantit che dovremo caratterizzare in seguito.


Fatte queste premesse, la trattazione del principio delleffetto giroscopico
si svolge attraverso i seguenti passi logici:
primo passo: determinazione di un integrale primo

110

A. Strumia, Meccanica razionale

Figura ED. 7: un giroscopio ha struttura giroscopica rispetto a tutti i punti


dellasse giroscopico

Si introducono le informazioni (ED.23) e (ED.24) nella terza equazione


di Eulero:
C r

(A

(e,a)

B) p q = M

ottenendo:
C r = 0
Evidentemente, essendo C 6= 0 segue:
r = r0

(ED.26)

Questo significa che la componente della velocit angolare lungo lasse


giroscopico un integrale primo del moto.

equazioni cardinali della dinamica

111

secondo passo: approssimazione


Con il primo passo non stata fatta ancora alcuna approssimazione nelle
equazioni del moto. Lapprossimazione viene fatta al secondo passo, agendo
sul momento della quantit di moto. La rappresentazione di K sugli
assi solidali, che sono assi principali dinerzia, tenendo conto anche delle
informazioni (ED.23) e (ED.26), si scrive:
K = A p e1 + A q e2 + C r0 e3
in quanto la matrice dinerzia diagonale rispetto agli assi principali
dinerzia.
Ora sappiamo che le funzioni:
p = p(t),

q = q(t)

sono nulle allistante t = 0; inoltre sono anche funzioni continue, dal


momento che sono derivabili, quindi non potranno assumere in tempi brevi
valori molto elevati. Di conseguenza scelto un istante di tempo > 0 e
definito:
= max

t2[0, ]

Ap Aq
,
C
C

sar possibile determinare un valore di sufficientemente piccolo da garantire


che: |r0 |
. Lesistenza del massimo garantita analiticamente dal
teorema di Weierstrass, essendo le funzioni continue definite su un intervallo
compatto.
E conveniente a questo punto riscrivere:
K = C r0

Ap
Aq
e1 +
e2 + e3
C r0
C r0

112

A. Strumia, Meccanica razionale

Nellintervallo di tempo [0, ] allora si pu assumere:


Ap

1,
C r0
|r0 |

Aq

1
C r0
|r0 |

Quindi lecita lapprossimazione:


K C r0 e3

(ED.27)

terzo passo: conseguenze nelle equazioni del moto


Le conseguenze dell approssimazione (ED.27) nellequazione vettoriale
del moto del corpo rigido con un punto fisso:
= M (e,a)
K

si valutano procurandoci anzitutto la derivata temporale del momento della


quantit di moto nella forma approssimata (ED.27):
C r0 de3
K
dt
e introducendola nellequazione del moto, ottenendo:
C r0

de3
(e,a)
= M
dt

(ED.28)

Da questo risultato discendono due propriet dei fenomeni giroscopici:


prima propriet: tenacia dellasse giroscopico
Riscrivendo lequazione del moto approssimata (ED.28) nella forma:

equazioni cardinali della dinamica

113

(e,a)

de3
M
=
dt
C r0

si osserva che essendo, per ipotesi, |r0 | opportunamente elevato, il secondo


membro dellequazione tende a zero, se il momento delle forze non
troppo grande. Questo significa che il versore dellasse giroscopico e3
tende a rimanere costante durante il moto. Dal punto di vista meccanico
questo significa che lasse giroscopico tende a mantenere inalterata la propria
direzione rispetto allosservatore assoluto. La tenacia tanto pi rilevante
quanto pi elevato |r0 | e quanto pi grande il momento dinerzia C del
giroscopio. Questa propriet viene utilizzata negli stabilizzatori giroscopici
impiegati sulle navi.
seconda propriet: tendenza al parallelismo
Qualora il momento delle forze esterne attive non sia trascurabile la
variazione della direzione dellasse giroscopico risulta, istante per istante,
parallela al momento delle forze e non alle forze stesse.
Lesperienza ci dice che, nella pratica il valore di che pu essere
raggiunto con opportune scelte di r0 e C pu essere anche notevolmente
elevato. Compensando le perdite di energia cinetica dovute alla presenza
degli attriti, possibile mantenere le condizioni che verificano il principio
delleffetto giroscopico per il tempo voluto.
Giroscopio pesante
Quando la forza attiva la forza peso, il giroscopio viene detto pesante.
Lesempio pi familiare dato dalla trottola. Notiamo che, essendo la forza
peso applicata al baricentro del corpo, che si trova sullasse giroscopico, la
condizione (ED.24) risulta verificata:
(e,a)

= G ^ m g e3 = 0

114

A. Strumia, Meccanica razionale

essendo G parallelo a e3 e quindi i tre vettori che compaiono nel prodotto


misto sicuramente complanari.

mg
y

Figura ED. 8: giroscopio pesante


Osserviamo che quando la forza attiva non il peso, il principio
delleffetto giroscopico applicabile anche se il corpo non un giroscopio,
ma solamente a struttura giroscopica rispetto ad . Mentre la forza peso pu
avere momento assiale nullo solo quando lasse di rivoluzione dellellissoide
dinerzia contiene il baricentro.
Mostriamo che, in assenza di attrito, il moto del giroscopio pesante un
moto di precessione. Per vederlo, basta esplicitare nella (ED.28) la derivata
del versore dellasse giroscopico, facendo uso delle formule di Poisson:
de3
= ! ^ e3
dt
ottenendo:
C r0 ! ^ e3 = G ^ m g

equazioni cardinali della dinamica

115

essendo:
(e,a)

= G ^ m g

(ED.29)

il momento polare della forza peso. Introduciamo le rappresentazioni dei


vettori sugli assi:
G = ` e3 ,

g=

g c3

dove con ` si indicata la distanza del baricentro dal punto fisso e con c3 il
versore dellasse z del riferimento assoluto. Allora la (ED.29) diviene:
C r0 ! ^ e3 =

m g ` e3 ^ c3

che si pu riscrivere invertendo il prodotto vettoriale a secondo membro e


raccogliendo:
m g ` c3 ) ^ e3 = 0

(C r0 !

Questa condizione soddisfatta se il vettore entro parentesi parallelo al


versore e3 oppure nullo, e cio se:
C r0 !

m g ` c3 = e3

Possiamo allora esprimere:


!=

mg`
c3 +
e3
C r0
C r0

(ED.30)

La velocit angolare risulta dunque dalla composizione di un vettore


diretto come lasse giroscopico (asse di figura) e di un vettore diretto come

116

A. Strumia, Meccanica razionale

lasse z solidale con lo spazio assoluto (asse di precessione). Per poter parlare
di moto di precessione rimane da dimostrare che langolo compreso fra questi
due assi si mantiene costante durante il moto (integrale primo). Abbiamo che
tale angolo definito da:
cos # = c3 e3
Quindi, derivando e tenendo conto delle formule di Poisson e del fatto che
c3 costante rispetto allosservatore assoluto, abbiamo:
d cos #
de3
= c3
= c3 ! ^ e3 = 0
dt
dt
Il prodotto misto risulta nullo, in quanto, come abbiamo appena
dimostrato ! una combinazione lineare di c3 e e3 ; quindi i tre vettori sono
complanari. Si pu, dunque scrivere lintegrale primo:
cos # = cos #0

(ED.31)

Nella realt la presenza dellattrito dissipa energia meccanica in calore e


la trottola non riesce a mantenere indefinitamente il moto di precessione.
Moltiplicando scalarmente la (ED.30) per e3 e tenendo conto della
(ED.31) otteniamo:
r0 =

mg`
cos #0 +
C r0
C r0

dal momento che ! e3 = r = r0 . Ricaviamo allora:


= C r02

m g ` cos #0

Finalmente abbiamo lespressione della velocit angolare:

equazioni cardinali della dinamica

117

! = !p c3 + !f e3
che fornisce le velocit angolari di precessione !p e di rotazione propria !f :
!p =

mg`
,
C r0

!f = r0

mg`
cos #0
C r0

Osserviamo che !p e !f sono costanti e quindi la precessione del


giroscopio pesante risulta essere regolare.

118

A. Strumia, Meccanica razionale

Moti alla Poinsot


Il moto di un corpo rigido con un punto fisso si dice moto alla Poinsot o
moto per inerzia quando avviene in assenza di momento delle forze esterne
attive:
(e,a)

=0

(ED.32)

essendo il punto fisso. In tal caso mostriamo che esistono due integrali
primi del moto tra loro indipendenti:
i) K = costante
ii) T = costante
E in conseguenza di questi risulta costante la proiezione della velocit
angolare nella direzione del momento della quantit di moto, cio sussiste
una terza condizione:
iii) |!| cos # = costante

Figura ED. 9: proiezione della velocit angolare sul momento della quantit
di moto
Dimostriamo entrambe le affermazioni.

equazioni cardinali della dinamica

119

Conservazione del momento della quantit di moto


Le equazioni del moto si ottengono introducendo linformazione (ED.32)
nella seconda delle equazioni (ED.13), ottenendo:
=0
K

(ED.33)

E quindi:
K = costante

Conservazione dellenergia cinetica


Per mostrare che lenergia cinetica un integrale primo del moto possiamo
procedere in due modi.
DIMOSTRAZIONE A
Partiamo dallespressione dellenergia cinetica per un corpo rigido con un
punto fisso:

T =

1
1
! ! = ! K
2
2

avendo tenuto conto che, in un corpo rigido con un punto fisso:


K = !
Ma abbiamo appena dimostrato che il momento della quantit di moto
un integrale primo, quindi, derivando lenergia cinetica rispetto al tempo
avremo semplicemente:

120

A. Strumia, Meccanica razionale

1
1
1
T
T = ! K = ! ! = ! !
2
2
2
La matrice dinerzia simmetrica e quindi:
T

Dunque:
1
T = ! !
2

(ED.34)

Ora lequazione del moto (ED.33) scritta nella forma esplicita:


! + ! ^ ! = 0
ci permette di ottenere:
! =

!^ !

che sostituita nella (ED.34) comporta:


T =

1
!!^ ! =0
2

per lannullarsi del prodotto misto che contiene addirittura due vettori uguali.
Dunque:
T = 0

()

T = costante

equazioni cardinali della dinamica

121

DIMOSTRAZIONE B
Un modo alternativo di giungere allo stesso risultato si basa sul teorema
dellenergia cinetica, in base al quale:
dT = dL
Il problema si sposta allora nel dimostrare che il lavoro di tutte le forze
agenti sul sistema nullo. Abbiamo il seguente bilancio dei lavori:
dL = dL(e,a) + dL(e,v) + dL(i)
Ora, grazie alla formula del lavoro per un sistema di forze agenti su un
corpo rigido:
dL = R d + M d
il lavoro delle forze esterne attive si pu scrivere:
(e,a)

dL(e,a) = R(e,a) d + M

Ma il punto fisso, per cui d = 0 e il momento delle forze esterne


attive nullo, per lipotesi (ED.32). Dunque:
dL(e,a) = 0
Il lavoro delle forze esterne vincolari si scrive:
dL(e,v) =

d = 0

122

A. Strumia, Meccanica razionale

ed nullo in quanto il punto di applicazione della reazione vincolare il punto


fisso.
Infine il lavoro delle forze interne, in un corpo rigido:
(i)

dL(i) = R(i) d + M d

=0

sappiamo che nullo, perch, per il terzo principio della dinamica, le forze
interne costituiscono un sistema di coppie di braccio nullo, e quindi, il loro
risultante e momento risultante sono nulli.
Dunque si conclude:

dL = 0

()

dT = 0

()

T = costante

Conseguenza
Di conseguenza possiamo scrivere:
T =

1
1
! K = |!||K | cos # = costante
2
2

Quindi:
|!| cos # =

2T
= costante
|K |

grazie al fatto che sia T che K sono integrali primi del moto.
Considerazioni geometrico-cinematiche
Nei moti alla Poinsot si dimostra anche che:

equazioni cardinali della dinamica

123

lellissoide dinerzia di centro , durante il moto, rotola senza


strisciare su un piano invariabile che si mantiene ortogonale a K e a
distanza costante dal punto .

Figura ED. 10: ellissoide dinerzia nei moti alla Poinsot


Procediamo nella dimostrazione svolgendo i seguenti passi logici.
primo passo
Mostriamo anzitutto che: il piano tangente allellissoide dinerzia, nel
punto dintersezione con lasse di istantanea rotazione, normale al momento
della quantit di moto.
Consideriamo lequazione dellellissoide dinerzia che scriviamo:
f (x) x x

1=0

(ED.35)

Ora, il piano tangente allellissoide dinerzia in un suo punto, ortogonale


al gradiente della funzione f che caratterizza la superficie, essendo il
gradiente sempre diretto come la normale alla superficie. E facile verificare
che:
rf = 2 x

124

A. Strumia, Meccanica razionale

Infatti, in notazione indicale abbiamo:


@f
@
=
(xj
@xi
@xi

jk xk

1) =

ik xk

+ xj

ji

=2

ik xk

per la simmetria della matrice dinerzia. Daltra parte a noi interessa il piano
tangente allellissoide dinerzia non in un punto qualunque, ma nel punto di
intersezione con lasse di istantanea rotazione, perci dobbiamo scegliere x
nella direzione di questo asse, cio di !. Dobbiamo allora imporre:
x=

(ED.36)

Segue allora:
rf = 2 ! = 2 K
Quindi la normale alla superficie diretta come il momento della quantit
di moto. Il piano tangente si mantiene normale al momento della quantit di
moto, e quindi, essendo questultimo un vettore costante, il piano tangente si
mantiene sempre parallelo a se stesso.
secondo passo
Il secondo passo consiste nel verificare che lellissoide dinerzia rotola
senza strisciare sul piano tangente.
Questo immediato, in quanto il punto di tangenza un punto dellasse
di istantanea rotazione, quindi, istante per istante, quel punto dellellissoide
che ha velocit nulla; la velocit di trascinamento del punto di contatto, che
per definizione coincide con la velocit di strisciamento dunque nulla.
terzo passo

equazioni cardinali della dinamica

Rimane da dimostrare che


invariabile.

125

la distanza di dal piano tangente

Si tratta di mostrare che tale distanza un integrale primo.

Figura ED. 11: distanza del punto fisso dal piano tangente
Detto:
n=

K
|K |

il versore normale al piano, che coincide con il versore del momento della
quantit di moto, la distanza di dal piano tangente data da:
h=xn=

!n=

|!| cos #

Ma la proiezione |!| cos # costante per quanto visto in precedenza;


rimane allora da determinare e mostrare che costante. Inserendo la
(ED.36) nellequazione dellellissoide (ED.35) otteniamo:
2

! !

1 = 2 2T

1=0

126

A. Strumia, Meccanica razionale

Quindi:
2

1
2T

Dunque:
|!| cos #
h= p
= costante
2T
essendo rapporto di due integrali primi del moto. Si noti che esistono due
soluzioni e quindi due piani paralleli tra loro ed equidistanti dal punto fisso
sui quali lellissoide rotola senza strisciare.

EL. Equazioni di Lagrange


Abbiamo seguito, finora, un certo parallelismo fra il modo di trattare
la statica e la dinamica: siamo riusciti a stabilire, per il punto materiale,
la condizione di equilibrio e, in corrispondenza, lequazione fondamentale
del moto; per i sistemi di punti materiali, con particolare vantaggio per
i corpi rigidi, le equazioni cardinali della statica e le equazioni cardinali
della dinamica, equazioni che risultano essere necessarie e sufficienti per
lequilibrio, e rispettivamente, per determinare il moto dei corpi rigidi.
Per la statica dei sistemi a vincoli lisci abbiamo, poi stabilito, come
condizione necessaria e sufficiente a determinare lequilibrio, il principio dei
lavori virtuali, che costituisce una metodologia molto potente, richiedendo la
sola conoscenza delle forze attive e non coinvolgendo le reazioni vincolari nel
problema dellequilibrio.
Problema. Ora ci domandiamo se possibile proseguire il parallelismo
tra statica e dinamica dando una versione del principio dei lavori virtuali per
la dinamica dei sistemi a vincoli lisci, e in particolare, specializzarlo per i
sistemi olonomi.
Osservazione. A questo scopo osserviamo che il principio dei lavori
virtuali pu essere stabilito in forza del principio delle reazioni vincolari
che permette di definire in maniera generale i vincoli lisci. Storicamente
tale principio nato nellambito della statica, tuttavia viene comunemente
ammesso come valido anche in dinamica, in quanto lesperienza mostra
che esso viene rispettato anche in regime dinamico da quei vincoli che lo
soddisfano in regime di equilibrio.
Con questa assunzione si pu stabilire lestensione del principio dei lavori
virtuali, in modo del tutto analogo a quanto si visto in statica, anche nella
dinamica.
Possiamo riassumere quanto finora osservato nel seguente schema che
mostra il parallelismo tra statica e dinamica per un sistema di punti materiali:

128

A. Strumia, Meccanica razionale

S = {(Ps , ms ) ; s = 1, 2, , n}
a vincoli lisci.

Statica

Dinamica

condizioni di equilibrio
Fs +

equazioni del moto

=0

ms as = F s +

vincoli lisci
L(v)

vincoli lisci
L(v)

0, 8 Ps

0, 8 Ps

principio dei lavori virtuali


???

L(a) 0, 8 Ps

Disuguaglianza variazionale della dinamica


Per ogni punto materiale del sistema vale, in dinamica, supposto che
losservatore del moto sia inerziale, lequazione fondamentale:
ms as = F s +

s,

s = 1, 2, , n

che possiamo riscrivere esplicitando la reazione vincolare:

(F s

ms as )

equazioni di Lagrange

129

Moltiplicando scalarmente entrambi i membri per


sullindice s otteniamo:
n
X

s=1

s Ps =

n
X

s=1

(F s

Ps e sommando

ms as ) Ps

A primo membro riconosciamo il lavoro virtuale delle reazioni vincolari;


assumendo che i vincoli siano lisci e che il principio delle reazioni vincolari
sia valido anche in dinamica abbiamo:
L(v)

0,

8 Ps

Di conseguenza risulta:

n
X

s=1

(F s

ms as ) Ps 0,

8 Ps

(EL.1)

Questa condizione rappresenta lestensione cercata del principio dei lavori


virtuali alla dinamica. Essa prende il nome di disuguaglianza variazionale
della dinamica.

Principio di DAlembert
Il risultato appena ottenuto ammette uninterpretazione interessante.
Infatti si pu osservare che il passaggio dal principio dei lavori virtuali alla
disuguaglianza variazionale della dinamica si ottiene con una regola molto
semplice: dove nella statica sono presenti le forze attive F s in dinamica
troviamo le quantit F s ms as :

130

A. Strumia, Meccanica razionale

Statica

Dinamica
!

Fs

Fs

ms as

In particolare, applicando questa regola, lequazione fondamentale del


moto del singolo punto del sistema Ps si pu ottenere partendo dalla
corrispondente condizione di equilibrio:
Statica
Fs +

=0

Dinamica
!

(F s

ms as ) +

=0

DAlembert osserv che lequazione del moto cos scritta si pu


interpretare come una condizione di equilibrio fra le forze F s
ms as e
le reazioni vincolari e diede il nome di forze perdute alle quantit che
rimpiazzano le forze attive:
F (p)
s = Fs

ms as

Forze perdute in quanto vengono spese contro il vincolo e non sviluppano


accelerazione; sono quindi perdute ai fini del moto. Si pu dunque affermare
che:
Durante il moto le forze perdute e le reazioni vincolari si fanno
equilibrio
Questo enunciato noto come principio di DAlembert ed equivale alla
regola di passaggio dalla statica alla dinamica stabilita in precedenza.
Si pu allora riscrivere la disuguaglianza variazionale della dinamica nella
forma semplice:

equazioni di Lagrange

131

L(p) 0,

8 Ps

Equazioni di Lagrange
Ora, per poter utilizzare la disuguaglianza variazionale della dinamica,
ed ottenere le equazioni del moto di Lagrange, dobbiamo procedere facendo
diverse ipotesi:
i) vincoli lisci
ii) vincoli bilaterali
iii) sistema olonomo
Lipotesi che i vincoli siano lisci, come sappiamo, comporta che
il principio dei lavori virtuali sia una condizione anche necessaria per
lequilibrio di un sistema meccanico, e permette, quindi, di determinare
tutte le configurazioni di equilibrio del sistema. Analogamente, dal punto
di vista dinamico, la condizione che i vincoli siano lisci comporta che la
disuguaglianza variazionale della dinamica sia una condizione necessaria,
oltre che sufficiente, ai fini della determinazione del moto di un sistema
meccanico, e permette, quindi, di determinare tutti i moti del sistema.
Lipotesi che i vincoli siano bilaterali garantisce che tutti gli
spostamenti siano reversibili e quindi comporta che la (EL.1) risulti valida
sotto forma di uguaglianza:
n
X

s=1

(F s

ms as ) Ps = 0,

8 Ps

(EL.2)

A tale condizione si d il nome di relazione simbolica della dinamica.


Questa condizione valida anche in presenza di vincoli unilaterali, fino a che

132

A. Strumia, Meccanica razionale

il sistema si mantiene in configurazioni ordinarie, mentre perde la sua validit


nelle configurazioni di confine.
Dal punto di vista analitico lesclusione delle configurazioni di confine
si rende necessaria per il fatto che in configurazione di confine possono
verificarsi gli urti, cio quelle situazioni in cui le grandezze cinematiche
possono perdere la continuit; e quindi, essendo la continuit condizione
necessaria per la differenziabilit, non pi possibile la formulazione del
problema in termini di equazioni differenziali, ma occorre una formulazione
in termini di leggi di bilancio integrali.

vi

vx

x
v

vx

Figura EL. 1: perdita di continuit della velocit in configurazione di confine


Dal momento che noi siamo qui interessati ad una formulazione in termini
di equazioni differenziali del moto, questa ipotesi si rende indispensabile.
Osserviamo che in statica questo problema non sussiste, in quanto
le equazioni della statica sono equazioni algebriche e non differenziali; di
conseguenza non richiedono alcuna differenziabilit, e quindi, lequilibrio in
configurazioni di confine pu essere studiato senza problemi.
Lipotesi che il sistema sia olonomo permette di introdurre i parametri
lagrangiani e lo spazio delle configurazioni per descrivere il moto del sistema
meccanico.

equazioni di Lagrange

133

Se il sistema olonomo, a N gradi di libert, possiamo identificare i punti


del sistema mediante le relazioni:
OPs = OPs (q1 , q2 , , qN , t)
ed esprimere gli spostamenti virtuali come:

Ps =

@Ps
qh
@qh

Questa informazione, introdotta nella (EL.2) comporta:


n
X

@Ps
Fs
qh
@qh
s=1

n
X

s=1

ms as

@Ps
qh = 0,
@qh

8 qh

Possiamo introdurre le componenti lagrangiane delle forze attive:

Qh =

n
X

s=1

Fs

@Ps
@qh

E analogamente le quantit:

h =

n
X

s=1

ms as

@Ps
@qh

Otteniamo allora la condizione:


(Qh

h ) qh = 0,

8 qh

Ovvero in termini di vettori nello spazio delle configurazioni:

(EL.3)

134

A. Strumia, Meccanica razionale

(Q

) q = 0,

8 q

(EL.4)

essendo:

Q (Qh ),

(h )

Dal momento che le forze possono dipendere solo dalle posizioni e dalle
velocit dei punti e al pi dal tempo, ma non dagli spostamenti virtuali, si ha:

t)
Q = Q(q, q,
Le quantit coinvolgendo le accelerazioni dipendono anche dalle
derivate seconde, ma comunque non dagli spostamenti virtuali:

q , t)
= (q, q,
Allora il prodotto scalare (EL.4), grazie allarbitrariet degli spostamenti
virtuali, pu annullarsi solo a condizione che:

=0

()

Qh

h = 0

Scritto per esteso il risultato ottenuto rappresenta un sistema di N


equazioni differenziali per le N funzioni incognite qh (t) che descrivono il
moto del sistema olonomo:

equazioni di Lagrange

135

8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<

1 = Q1
2 = Q2

>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:

N = QN

in cui i termini differenziali compaiono in h . Per rendere utilizzabile


praticamente questo sistema di equazioni differenziali dobbiamo esprimere h
mediante una grandezza macroscopica, caratteristica del sistema meccanico e
che siamo in grado di calcolare.
Mostriamo che sussiste il seguente legame di h con lenergia cinetica del
sistema:

h =

d @T
dt @ qh

@T
@qh

(EL.5)

DIMOSTRAZIONE
Partendo dallespressione dellenergia cinetica di un sistema particellare:

T =

n
1X
ms vs2
2 s=1

abbiamo:
d @T
dt @ qh

n
@T
1X
d @vs2
=
ms
@qh
2 s=1
dt @ qh

Bisogna allora dimostrare che:

@vs2
@qh

136

A. Strumia, Meccanica razionale

1 d @vs2
2 dt @ qh

1 @vs2
@Ps
= as
2 @qh
@qh

(EL.6)

Esaminiamo il primo termine a primo membro:


1 d @vs2
d
=
2 dt @ qh
dt

@v s
vs
@ qh

= as

@vs
d @vs
+ vs
@ qh
dt @ qh

Ma la velocit in un sistema olonomo si scrive:

vs =

ha:

@Ps
@Ps
qh +
@qh
@t

Essendo OPs indipendente da qh derivando rispetto a questa variabile si

@v s
@Ps
=
@ qh
@qh
Quindi sostituendo si ottiene:
1 d @vs2
@Ps
d @Ps
= as
+ vs
2 dt @ qh
@qh
dt @qh

(EL.7)

Esaminando ora il secondo termine si ha:


1 @vs2
@ dPs
d @Ps
= vs
= vs
2 @qh
@qh dt
dt @qh

(EL.8)

Nella precedente lo scambio dellordine di derivazione risulta legittimo in


quanto:

equazioni di Lagrange

137

@ dPs
@
=
@qh dt
@qh

@Ps
@Ps
qk +
@qk
@t

@
@
= qk
+
@qk @t

@ 2 Ps
@ 2 Ps
qk +
=
@qh @qk
@qh @t

@Ps
d @Ps
=
@qh
dt @qh

Ma i risultati (EL.7) e (EL.8) comportano proprio la (EL.6).


Dunque le equazioni differenziali del moto di un sistema olonomo a
vincoli lisci assumono la forma definitiva:

d @T
dt @ qh

@T
= Qh
@qh

(EL.9)

Sono queste le equazioni di Lagrange.


Sistemi conservativi: lagrangiana
Quando il sistema delle forze attive conservativo le componenti
lagrangiane delle forze si possono esprimere come derivate parziali di un
potenziale rispetto ai parametri lagrangiani:

Qh =

@U
,
@qh

U = U (qk , t)

Dal momento che il potenziale non dipende dalle qh si ha:


@U
=0
@ qh

138

A. Strumia, Meccanica razionale

Quindi le equazioni di Lagrange (EL.9) si possono riscrivere:


d @
(T + U )
dt @ qh

@
(T + U ) = 0
@qh

Quando il sistema delle forze conservativo, allora, si introduce in


maniera naturale la funzione di Lagrange o lagrangiana:
L=T +U

(EL.10)

e si scrivono mediante essa le equazioni di Lagrange nella forma:


d @L
dt @ qh

@L
=0
@qh

(EL.11)

Si osserva che la funzione di Lagrange definita a meno di una costante


additiva a causa del fatto che contiene come addendo il potenziale che
indeterminato a meno di una costante additiva. Inoltre, moltiplicando la
lagrangiana per un fattore costante non nullo, si ottengono sempre le stesse
equazioni del moto; per cui la lagrangiana risulta definita anche a meno di un
fattore di scala.
Potenziali generalizzati
Il caso del sistema conservativo non lunico che rende possibile
lintroduzione della lagrangiana e la scrittura delle equazioni di Lagrange
nella forma (EL.11). Infatti questa scrittura risulta essere compatibile con
la scrittura (EL.9) delle stesse equazioni del moto qualora le componenti
lagrangiane delle forze attive si possano esprimere nella forma:

Qh =

@U
@qh

d @U
dt @ qh

(EL.12)

equazioni di Lagrange

139

dove la funzione U , che prende il nome di potenziale generalizzato, non


rappresenta pi, in generale, un potenziale di una forza conservativa, essendo
una funzione che pu dipendere anche dalle qh :
U = U (qk , qk , t)
Va messo in evidenza il fatto che U pu dipendere solo linearmente da
qk , infatti dalla (EL.12) si ha:

Qh (qk , qk , t) =

@2U
q`
@ qh @ q`

@U
@qh

@2U
q`
@ qh @q`

@2U
@ qh @t

Dal momento che Qh non dipende da qk chiaro che deve risultare:


@2U
=0
@ qh @ q`
Quindi si pu scrivere:
U = fh (qk , t) qh + g(qk , t)
E quindi:

Qh =

@fk
@qh

@fh
@qk

qk +

@g
@qh

@fh
= hk qk +
@t

dove sussiste evidentemente la condizione di antisimmetria:


kh =

hk

140

A. Strumia, Meccanica razionale

Per distinguere un potenziale generalizzato da un potenziale che


caratterizza un sistema di forze conservativo chiameremo, dora in poi,
questultimo potenziale ordinario.
Forze giroscopiche
Un sistema di forze si dice giroscopico quando il lavoro di tali forze si
mantiene nullo durante il moto.
In particolare si osserva che, quando le forze derivano da un potenziale
generalizzato e h = 0, il lavoro compiuto dalle forze attive durante il moto
risulta essere nullo, ovvero nulla la potenza sviluppata dalle forze attive:
W = Qh qh = hk qh qk = 0
a causa dellantisimmetria dei coefficienti e quindi il sistema di forze
giroscopico.
Un esempio fisico ben noto fornito dalla forza di Lorentz agente su di
una carica elettrica puntiforme e che si muove con velocit v in un campo
magnetico B:
F = e v ^ B,

B =r^A

essendo A il potenziale vettore. Tenendo conto che, grazie alle propriet


delloperatore r si ha:

r(vA) = (Ar) v+(vr) A + A^(r^v) + v^(r^A),

8v, A

e che in questo caso v, essendo la velocit, una variabile indipendente dalle


coordinate della carica, segue:

equazioni di Lagrange

141

r(v A) = (v r) A + v ^ (r ^ A)
E quindi:

F = e v ^ B = e v ^ (r ^ A) = r(e v A)

d
r (e v A)
dt v

da cui potenziale generalizzato della forza di Lorentz:


U (x, v) = e v A
La forza risulta essere giroscopica dal momento che il termine
infatti la potenza sviluppata durante il moto chiaramente nulla:

= 0;

W = F v = ev ^ B v = 0
Forze dissipative
Un sistema di forze si dice dissipativo quando il lavoro compiuto durante
il moto si mantiene negativo o al pi nullo.
In particolare se le corrispondenti forze generalizzate di Lagrange sono
funzioni lineari omogenee di qk :
Qh =

hk qk

esse risultano dissipative se la matrice k hk k semidefinita positiva, in quanto


la potenza sviluppata da tali forze data da:
W = Qh qh =

hk qh qk

142

A. Strumia, Meccanica razionale

Si pu allora introdurre la funzione di dissipazione:

R=

1
2

(EL.13)

hk qh qk

Di conseguenza le forze dissipative di questo tipo si possono far derivare,


anzich da un potenziale ordinario come le forze conservative o da un
potenziale generalizzato come le forze giroscopiche, da una funzione di
dissipazione. Risulta allora:

Qh =

@R
@ qh

Nel caso in cui siano presenti contemporaneamente forze conservative,


forze giroscopiche e forze dissipative lineari, allora, le equazioni di Lagrange
possono essere scritte nella forma seguente:
d @L
dt @ qh

@L
@R
+
=0
@qh @ qh

avendo separato la parte delle forze generalizzate che deriva da un potenziale


da quella che deriva da una funzione di dissipazione.

Considerazioni analitiche
Il sistema delle equazioni di Lagrange un sistema differenziale di ordine
2N , come si vede facilmente sviluppando la derivata rispetto al tempo nella
(EL.9), da cui si ottiene:
@2T
@2T
@2T
qk +
qk +
@ qh @ qk
@ qh @qk
@ qh @t

@T
= Qh
@qh

equazioni di Lagrange

143

In un sistema olonomo lenergia cinetica si scrive come forma quadratica:


T =

1
ahk (q` , t) qh qk + bh (q` , t) qh + d(q` , t)
2

Per cui si ha che la matrice dei coefficienti delle derivate seconde, che
sono le derivate di ordine pi elevato, la matrice dellenergia cinetica:
@2T
= ahk
qh qk
Salvo casi degeneri, questa matrice definita positiva e quindi non
singolare. Perci il sistema delle equazioni di Lagrange pu essere portato
in forma normale risolvendolo rispetto alle derivate di ordine pi elevato.
Notiamo che la presenza di un potenziale generalizzato, dovendo essere
questultimo una funzione lineare delle q` non contribuisce alla formazione
dei coefficienti delle q` .
Integrale generale e integrali particolari del moto
Si estendono alle equazioni di Lagrange i concetti di integrale generale
del moto e di integrale particolare del moto gi noti per la dinamica del
punto e dei sistemi.
Si dice integrale generale del moto lintegrale generale del sistema
delle equazioni del moto, cio la famiglia delle 12N soluzioni del sistema
(EL.9), caratterizzata da 2N costanti, tante quanto lordine del sistema
differenziale. Lintegrale generale si pu rappresentare come:
qh = qh (t, c1 , c2 , , c2N )

(EL.14)

Si dice integrale particolare del moto un integrale particolare del


sistema differenziale del moto, cio una delle soluzioni che si ottiene
assegnando un valore particolare a ciascuna delle 2N costanti c1 , c2 , , c2N ,

144

A. Strumia, Meccanica razionale

ovvero assegnando le condizioni iniziali sui parametri lagrangiani e sulle loro


derivate prime rispetto al tempo.
Integrale primo del moto
Una funzione:
= (q1 , q2 , , qN , q1 , q2 , , qN , t)
si dice integrale primo del moto quando, sostituendo in essa alle variabili
qh , qh le funzioni qh (t) che rappresentano un integrale particolare del moto e
le loro derivate temporali, la funzione assume un valore costante nel tempo:

(q1 (t), q2 (t), , qN (t), q1 (t), q2 (t), , qN (t), t) = C,

8t

Il valore della costante pu essere calcolato facilmente utilizzando le


condizioni iniziali, grazie al fatto che mantiene in ogni istante il valore
iniziale.
Coordinate cicliche o ignorabili
Quando il moto di un sistema meccanico governato da una lagrangiana
L possibile dare la definizione di coordinata ciclica o ignorabile .
Una coordinata lagrangiana qh si dice coordinata ciclica o ignorabile se
non compare direttamente nella lagrangiana, ma solamente attraverso la sua
derivata temporale.
Di conseguenza L risulta indipendente da qh e si ha:
@L
=0
@qh

equazioni di Lagrange

145

E perci la corrispondente equazione di Lagrange diviene:


d @L
=0
dt @ qh
E quindi la funzione:
ph =

@L
= costante
@ qh

un integrale primo del moto. Ad ogni coordinata ciclica viene quindi


a corrispondere un integrale primo del moto; questo risultato rende
particolarmente utile la presenza di coordinate cicliche in una lagrangiana.
Un esempio familiare pu essere offerto dalla seguente lagrangiana:
L=

1
m (x 2 + y 2 + z 2 )
2

1 2 2
k x
2

che conduce alle equazioni del moto di un punto materiale soggetto ad una
forza elastica parallela allasse delle ascisse, avente centro nellorigine. I
parametri lagrangiani sono qui le coordinate del punto x, y, z e si osserva
che le coordinate y, z sono cicliche, in quanto non compaiono direttamente
nella lagrangiana, ma solamente attraverso le loro derivate temporali. Restano
allora individuati i due integrali primi:
@L
= m y = m y 0 ,
@ y

@L
= m z = m z0
@ z

che rappresentano le componenti y e z della quantit di moto del punto.

146

A. Strumia, Meccanica razionale

Osservazioni
A conclusione facciamo qualche considerazione complementare sul
principio di DAlembert che stato esaminato sopra. Viene naturale
domandarsi se linterpretazione delle equazioni del moto come condizioni
di equilibrio una formalit matematica oppure ha un senso fisico; in altri
termini se esiste un osservatore rispetto al quale, durante il moto il sistema
si trova effettivamente in equilibrio. La risposta immediata, in quanto ogni
punto sempre in equilibrio rispetto ad un osservatore la cui origine si trova
in quel punto.
Infatti se scriviamo, per il generico punto Ps la condizione di equilibrio
relativo del punto rispetto ad un osservatore la cui origine si trova in Ps e i
cui assi sono comunque orientati, avremo:
)
F s + F (
s +

=0

essendo:
)
F (
s =

)
ms a(
s

la forza di trascinamento. Ma Ps e quindi laccelerazione di


trascinamento vale semplicemente:
)
a(
s = as

La condizione di equilibrio relativo si scrive, dunque:


Fs

ms as +

=0

E questa proprio lequazione del moto rispetto allosservatore inerziale


(assoluto).

equazioni di Lagrange

147

Figura EL. 2: legame fra il moto e lequilibrio relativo del punto di un sistema

Evidentemente se il sistema materiale costituito da un solo punto


basta individuare un unico osservatore relativo rispetto al quale il punto si
trova in equilibrio, mentre se il sistema materiale costituito da pi punti,
generalmente non si riesce a trovare uno stesso osservatore relativo rispetto al
quale lintero sistema sia in equilibrio. Tuttavia vale la pena osservare che se
il corpo rigido ogni sistema di assi solidale con il corpo rigido rappresenta
un osservatore relativo rispetto al quale ogni punto del corpo sempre
in equilibrio. Scrivendo le equazioni cardinali della statica per lequilibrio
relativo del corpo rigido rispetto ad un osservatore solidale abbiamo:
8
>
<

Ma:

>
:

R(e,a) + R( ) + R(e,v) = 0
(e,a)

( )

(e,v)

+ M + M

R( ) =

n
X

s=1

)
ms a(
s

=0

148

A. Strumia, Meccanica razionale

( )

M =

n
X

s=1

)
Ps ^ ms a(
s

Ma allequilibrio relativo laccelerazione relativa e laccelerazione di


Coriolis sono nulle, perci, per il teorema di Coriolis laccelerazione di
trascinamento e laccelerazione assoluta coincidono:
)
as = a(
s

Dunque:

R( ) =

n
X

ms as =

s=1

( )

M =

n
X

s=1

Ps ^ ms as =

m v ^ vG

E le equazioni dellequilibrio relativo divengono le equazioni cardinali


della dinamica.
Nel caso del sistema, olonomo, infine, il sistema si pu rappresentare
con un punto dello spazio delle configurazioni ed esiste, in questo spazio,
la possibilit di scrivere rispetto allo stesso osservatore le condizioni di
equilibrio relativo, imponendo lannullarsi delle componenti lagrangiane delle
forze attive alle quali si aggiungono le componenti lagrangiane delle forze di
trascinamento:
( )

Qh + Qh = 0
Ma in questo caso:

equazioni di Lagrange

( )

Qh =

n
X

s=1

149

)
ms a(
s

@Ps
=
@qh

n
X

s=1

ms as

@Ps
=
@qh

E quindi la condizione di equilibrio relativo conduce alle equazioni


di Lagrange. A conclusione vale la pena notare come la sufficienza
delle equazioni cardinali della statica per lequilibrio di un corpo rigido,
grazie al principio di DAlembert si estende automaticamente alla dinamica,
garantendo, in questo modo, che le equazioni cardinali della dinamica oltre
ad essere condizioni necessariamente verificate durante il moto di qualunque
sistema meccanico, divengono condizioni anche sufficienti a determinare tutti
i possibili moti di un sistema se questo rigido.

EH. Equazioni di Hamilton


Iniziamo questo capitolo con unosservazione di carattere preliminare.
Consideriamo, per esempio, un sistema differenziale costituito da N
equazioni ciascuna del secondo ordine, in forma normale:
y 00 h = fh (x, y` , y 0 ` ),

h, ` = 1, 2, , N

Evidentemente sempre possibile abbassare lordine delle equazioni dal


secondo al primo, introducendo delle nuove variabili zh uguali alle derivate
prime di yh . Si ottiene allora un sistema di 2N equazioni differenziali,
ciascuna del primo ordine, equivalente al sistema da cui siamo partiti:
8
>
<
>
:

yh = zh
0

zh = fh (x, y` , z` )

Si dice allora, che si passati da una formulazione del secondo ordine ad


una formulazione del primo ordine. Questo metodo, qui illustrato mediante un
esempio, del tutto generale e pu essere utilizzato per abbassare di ununit
lordine delle equazioni di qualsiasi sistema differenziale dal quale si voglia
partire.
Osserviamo che labbassamento dellordine delle equazioni che
compongono un sistema differenziale richiede lintroduzione di tante nuove
variabili quante sono le variabili incognite del sistema di partenza e il
raddoppio del numero di equazioni del sistema, per cui nel suo complesso
lordine del sistema differenziale rimane immutato.
Non esiste un unico modo di scegliere le nuove variabili per effettuare
la riduzione dellordine delle equazioni di un sistema. Questo risulta chiaro,
in quanto, dopo aver effettuato labbassamento dellordine delle equazioni

equazioni di Hamilton

151

del sistema nel modo indicato, sempre lecita unulteriore trrasformazione


regolare di variabili, che lascia immutato lordine delle equazioni.

Formulazione del primo ordine delle equazioni del moto


Considerando le equazioni del moto di Lagrange, nella forma in cui
esiste la lagrangiana, sappiamo che costituiscono un sistema di equazioni
differenziali, ciascuna del secondo ordine, riducibile in forma normale, se
si fa eccezione di quei casi degeneri in cui la matrice dellenergia cinetica
semidefinita positiva. Si dice, allora che la formulazione lagrangiana del
problema del moto di una sistema olonomo una formulazione del secondo
ordine.
E possibile passare dalla formulazione del secondo ordine del problema
del moto ad una formulazione del primo ordine, introducendo tante nuove
variabili quante sono le derivate prime rispetto al tempo dei parametri
lagrangiani. Otteniamo cos il sistema:
8
>
<

qh = vh

>
: d @L

dt @vh

@L
@qh

(EH.1)
=0

Le variabili (qh , vh ) (qh , qh ) si dicono variabili lagrangiane. Come


si osservato prima, per, la scelta delle variabili non univoca e si pu
ottenere un sistema di equazioni differenziali equivalente a quello di partenza,
a condizione che lulteriore trasformazione di variabili che si effettua, sia
regolare. In particolare una scelta di variabili significativa quella che
utilizza, anzich le variabili lagrangiane, le variabili (qh , ph ) che vengono
dette variabili hamiltoniane o variabili canoniche, dove le nuove variabili:

ph =

@L
@ qh

(EH.2)

152

A. Strumia, Meccanica razionale

sono dette momenti coniugati o momenti canonici. Con questa scelta il


sistema assume la forma normale. La regolarit della trasformazione:
(qh , vh )

! (qh , ph )

garantita dalla non singolarit della matrice jacobiana della trasformazione:


0

B
J
@

hk
@ph
@qk

@ph
@vk

1
C
A

in tutti i punti dello spazio delle variabili (qh , vh ). Condizione che garantita
dalla regolarit della trasformazione che coinvolge le sole variabili che
vengono modificate:
v

! p

che equivale a richiedere che il sistema lagrangiano sia riducibile in forma


normale:
@ph
@2L
det(J
)
=
det
=
det
6= 0,

@vk
@vh @vk

(EH.3)

Notiamo che supposto che il potenziale sia ordinario, oppure che


leventuale potenziale generalizzato sia lineare in q,
tale condizione equivale
alla non singolarit della matrice dellenergia cinetica in tutti i punti dello
spazio degli eventi nei quali la matrice definita. Ed essendo la matrice
dellenergia cinetica definita positiva, questo equivale alla convessit della
funzione rispetto alle variabili lagrangiane.

equazioni di Hamilton

153

Trasformate di Legendre
Il tipo di trasformazione che ci interessa esaminare ben nota e prende il
nome di trasformazione di Legendre.
Essa si pu caratterizzare nel modo seguente. Consideriamo una funzione
differenziabile:
f :A

A RN

! R,

di classe C (2) almeno. Denotiamo con x (xh ) gli elementi di A e definiamo


una seconda funzione:
g :AA

! R

In maniera tale che:


g(xh , yh ) = xh yh

f (xh )

(EH.4)

Notiamo che x e y sono variabili indipendenti. Per come stata definita,


la g essa pure differenziabile e della stessa classe della f . Tra tutte le
possibili funzioni del tipo g vogliamo indagare se esiste, e a quali condizioni,
una funzione g che sia indipendente da x. Imporre lindipendenza della g
da x equivale a richiedere che in ogni punto del dominio sia soddisfatta la
condizione:
'k (xh , yh ) = yk

@f
=0
@xk

(EH.5)

che rappresenta un vincolo per le variabili x, y. La funzione


g(yh ) = xh yh

f (xh )

(EH.6)

154

A. Strumia, Meccanica razionale

cos caratterizzata prende il nome di trasformata di Legendre della f .


Per calcolare le derivate parziali della f rispetto a xh , e rispettivamente
della g rispetto a yh , le variabili xh e yh vanno trattate come variabili
condizionate. Questo significa che differenziando entrambi i membri della
(EH.6), in forza del vincolo (EH.5) tra le variabili, si ha:
dg = d(xh yh )

df +

d'k

dove sono stati introdotti i moltiplicatori di Lagrange

@g
dyh = xh dyh + yh dxh
@yh

@f
dxh +
@xh

k.

Sviluppando si ha:

@'k
dxh +
@xh

@'k
dyh
@yh

dal momento che la condizione (EH.5) comporta:


d'k = 0
Data larbitrariet di dxh e dyh seguono le condizioni:
@g
= xh +
@yh

@'k
,
@yh

@f
= yh +
@xh

@'k
@xh

Tenendo conto del vincolo (EH.5) otteniamo i seguenti risultati:


@g
= xh ,
@yh

@f
= yh ,
@xh

=0

a condizione che:

det

@'k
=
@xh

det

@2f
6= 0,
@xh @xk

8x 2 A

(EH.7)

equazioni di Hamilton

155

Essendo tale matrice non singolare non pu avere autovalori nulli e quindi
k = 0; diversamente esisterebbe un autovettore associato ad un autovalore
nullo. Osserviamo anche che la richiesta che la matrice hessiana della f
sia non singolare su tutto il dominio A equivale a richiedere che la forma
quadratica:
@2f
vh vk 6= 0
@xh @xk
sia non nulla per ogni v, in ogni punto di A. Ma se tale forma quadratica non
si annulla (essendo f di classe C (2) ) essa ha lo stesso segno in tutto il dominio
A, ad esempio, sempre positiva; allora la condizione equivale a richiedere
che la funzione f sia convessa su tutto A. Osserviamo che questa condizione
di convessit anche la condizione che rende legittimo il cambiamento di
variabili x ! y in tutto il dominio A. Possiamo allora passare dalla
formulazione di un problema nelle variabili x alla formulazione dello stesso
problema nelle variabili y facendo entrare in gioco la trasformata di Legendre
g che dipende solo da y in luogo della f che dipende da x.

Equazioni di Hamilton
Lapplicazione della trasformazione di Legendre:

! p

al sistema delle equazioni del moto (EH.1) comporta lintroduzione della


trasformata di Legendre della lagrangiana:

H = vh ph

(EH.8)

156

A. Strumia, Meccanica razionale

che prende il nome di funzione di Hamilton o hamiltoniana, la quale dipende


da p invece che da v, oltre che, naturalmente dalle variabili q che non vengono
coinvolte nella trasformazione, ed eventualmente dal tempo:
H(qh , ph , t) = vh ph

L(qh , vh , t)

Si ha allora, in base ai risultati del paragrafo precedente:


@H
= vh ,
@ph

@L
= ph
@vh

(EH.9)

Dobbiamo poi tenere conto che le funzioni H e L dipendono anche da q, t


e quindi, grazie alla (EH.8) si ha:
@H
=
@qh

@L
,
@qh

@H
=
@t

@L
@t

(EH.10)

Introducendo i risultati (EH.9) e (EH.10) nel sistema di equazioni del


primo ordine (EH.1) otteniamo le equazioni di Hamilton o equazioni
canoniche:

qh =

@H
,
@ph

ph =

@H
@qh

(EH.11)

Osserviamo che lequivalenza tra la formulazione lagrangiana e la


formulazione hamiltoniana delle equazioni del moto, garantita a condizione
che il sistema delle equazioni del moto dal quale si parte sia riducibile
in forma normale. Per sistemi non riducibili in forma normale le due
formulazioni non si equivalgono, per cui possono esistere sistemi meccanici
che ammettono la trattazione lagrangiana e non quella hamiltoniana o
viceversa.

equazioni di Hamilton

157

Integrale generale e integrali particolari del moto


Si estendono, come al solito, anche per le equazioni di Hamilton i concetti
di integrale generale del moto e di integrale particolare del moto.
Si dice integrale generale del moto lintegrale generale del sistema
delle equazioni canoniche, cio la famiglia delle 12N soluzioni del sistema
(EH.11), caratterizzata da 2N costanti, tante quanto lordine del sistema
differenziale. Lintegrale generale si pu rappresentare come:
8
>
<
>
:

qh = qh (t, c1 , c2 , , c2N )

(EH.12)

ph = ph (t, c1 , c2 , , c2N )

Si dice integrale particolare del moto un integrale particolare del


sistema differenziale delle equazioni canoniche, cio una delle soluzioni che
si ottiene assegnando un valore particolare a ciascuna delle 2N costanti
c1 , c2 , , c2N , ovvero assegnando le condizioni iniziali per le variabili
canoniche qh , ph .
Integrale primo del moto
Una funzione:

= (q1 , q2 , , qN , p1 , p2 , , pN , t)
si dice integrale primo del moto quando, sostituendo in essa alle variabili
qh , ph le funzioni qh (t), ph (t) che rappresentano un integrale particolare del
moto, la funzione assume un valore costante nel tempo:

(q1 (t), q2 (t), , qN (t), p1 (t), p2 (t), , pN (t), t) = C,

8t

158

A. Strumia, Meccanica razionale

Il valore della costante pu essere calcolato facilmente utilizzando le


condizioni iniziali, grazie al fatto che mantiene in ogni istante il valore
iniziale.
Coordinate cicliche o ignorabili
Una coordinata canonica qh si dice coordinata ciclica o ignorabile, per
un sistema governato dallhamiltoniana H, se non compare nellhamiltoniana,
ma compare solamente il suo momento coniugato ph . Di conseguenza dalle
equazioni di Hamilton si ottiene:
ph = 0

()

ph = costante

Ad ogni coordinata ciclica viene quindi a corrispondere un integrale primo


del moto.
Notiamo che se una coordinata qh ciclica per la lagrangiana, essa
risulta ciclica anche per lhamiltoniana e viceversa.
Infatti si ha:
@H
=
@qh

@L
=0
@qh

Parentesi di Poisson e integrali primi del moto


Consideriamo una funzione differenziabile delle variabili canoniche ed
eventualmente del tempo:
= (q` , p` , t)
E ci domandiamo a quali condizioni questa funzione pu essere un
integrale primo del moto. A questo scopo dobbiamo richiedere che:

equazioni di Hamilton

159

d
@
@
@
(q` , p` , t) =
qh +
ph +
=0
dt
@qh
@ph
@t
Eliminando qh , ph mediante le equazioni di Hamilton ricaviamo:
d
@ @H
(q` , p` , t) =
dt
@qh @ph

@ @H @
+
=0
@ph @qh
@t

Introducendo le parentesi di Poisson definite, per ogni coppia di funzioni


differenziabili delle variabili hamiltoniane f, g ed eventualmente del tempo,
come:

[f, g] =

@f @g
@qh @ph

@f @g
@ph @qh

(EH.13)

si pu riscrivere:
d
@
(q` , p` , t) = [ , H] +
=0
dt
@t
Osserviamo, in particolare, che quando la funzione
esplicitamente dal tempo, cio si ha:

non dipende

@
=0
@t
la condizione affinch una funzione delle sole variabili canoniche sia un
integrale primo del moto si riduce a richiedere che si annulli la sua parentesi
di Poisson con lhamiltoniana:
d
(q` , p` ) = [ , H] = 0
dt

160

ha:

A. Strumia, Meccanica razionale

Si osserva ancora che qualora la funzione

sia lhamiltoniana stessa si

dH
@H
@H
= [H, H] +
=
=0
dt
@t
@t
Lhamiltoniana, dunque, risulta essere un integrale primo del moto se e
solo se non dipende esplicitamente dal tempo. Grazie alla seconda delle
(EH.10) sappiamo che questo equivale a richiedere che la lagrangiana non
dipenda esplicitamente del tempo.
Facendo uso delle parentesi di Poisson possibile riscrivere in una nuova
forma le equazioni canoniche. Si ha infatti:
8
>
<
>
:

qh = [qh , H]

(EH.14)

ph = [ph , H]

Questa forma ha il vantaggio di eliminare il segno negativo, dando un


aspetto simmetrico alle equazioni.
Hamiltoniana
Lhamiltoniana stata definita come trasformata di Legendre della
lagrangiana mediante la (EH.8) che possiamo riscrivere in termini delle usuali
notazioni:
H = qh ph
essendo:
L=T +U

equazioni di Hamilton

161

Per calcolare esplicitamente lespressione di H ricordiamo che lenergia


cinetica di un sistema olonomo si pu scrivere nella forma:
T = T0 + T1 + T2
dove:
T0 = d,

T1 = bh qh ,

T2 =

1
ahk qh qk
2

E il potenziale (generalizzato) si pu scrivere:


U = U0 + U1 ,

U0 = g,

U1 = fh qh

Allora abbiamo:
ph = ahk qk + bh + fh
Quindi:
qh ph = ahk qh qk + bh qh + fh qh = 2T2 + T1 + U1
Segue:
H = T2

T0

U0

(EH.15)

A questo stesso risultato si pu giungere anche facendo uso della formula


di Eulero per le funzioni omogenee di grado n:
xi

@f
= nf
@xi

(EH.16)

162

A. Strumia, Meccanica razionale

essendo f = f (xi ) una funzione omogenea, a valori reali, di grado n delle


variabili xi .
Nel nostro caso le funzioni T2 , T1 , T0 sono omogenee nelle variabili qh
di gradi rispettivi 2, 1, 0, e le funzioni U 1, U0 sono funzioni omogenee delle
stesse variabili di gradi rispettivi 1, 0. Di conseguenza si ottiene:
qh ph = qh

@L
= 2 T2 + T1 + U1
@ qh

E quindi:

H = qh ph

L = 2 T2 + T1 + U1

(T2 + T1 + T0 + U1 + U0 ) = T2

T0

U0

Quando i vincoli sono indipendenti dal tempo, come stato evidenziato


nel capitolo relativo alla cinematica delle masse, abbiamo che:
T0 = 0, T1 = 0

=)

T = T2

Di conseguenza lespressione dellhamiltoniana si specializza come:


H=T

U0

(EH.17)

Come conseguenza abbiamo il seguente risultato:


Quando i vincoli sono indipendenti dal tempo e il potenziale
ordinario, cio le forze sono conservative, lhamiltoniana coincide con
lenergia meccanica del sistema ed un integrale primo del moto.
Infatti se il potenziale ordinario si ha U = U0 e la (EH.17) diviene:
H=T

U =T +V =E

(EH.18)

equazioni di Hamilton

163

Inoltre, essendo i vincoli indipendenti dal tempo, sia T che U non


dipendono dal tempo, perci H non dipende esplicitamente dal tempo ed
quindi un integrale primo del moto, che coincide con lintegrale primo
dellenergia. Lhamiltoniana viene perci considerata come una funzione che
generalizza il concetto di energia meccanica.

Formulazione mista: funzione di Routh


Si chiama funzione di Routh la trasformata di Legendre ridotta alle prime
M , con M < N variabili:

R=

M
X

qh ph

h=1

(EH.19)

Una simile funzione si comporta come unhamiltoniana rispetto alle prime


M coordinate generalizzate qh e come una lagrangiana rispetto alle restanti
N M coordinate. Essa viene a dipendere, infatti dalle variabili nel modo
seguente:

R = R(q1 , q2 , qN , p1 , p2 , , pM , qM +1 , qM +2 , , qN , t)
Le equazioni del moto del sistema sono allora date da un sistema misto di
equazioni di Hamilton e di equazioni di Lagrange:
8
>
>
>
>
>
>
<

qh =
p =

h
>
>
>
>
>
>
: d @R

dt @ qh

@R
@ph
@R
,
@qh
@R
@qh

h = 1, 2, M
= 0,

h = M + 1, M + 2, , N

(EH.20)

164

A. Strumia, Meccanica razionale

Un formulazione mista di questo tipo pu essere particolarmente


conveniente quando le prime M variabili sono cicliche, perch, in questo caso
i primi M momenti coniugati sono gi determinati, in quanto sono integrali
primi del moto e la funzione di Routh viene a dipendere, durante il moto,
da M costanti e solo dalle ultime N M coordinate lagrangiane, dalle loro
derivate prime e dal tempo, come se il problema avesse N M gradi di libert:
R = R(qM + 1, qN , p1 (0), , pM (0), qM +1 , , qN , t)
Quindi il sistema delle N
disaccoppiato.

M equazioni di tipo lagrangiano risulta

SO. Stabilit e piccole oscillazioni


Largomento della stabilit, nato nellambito della meccanica, ai fini di
fornire dei criteri matematici per formalizzare la nozione intuitiva di stabilit
di una configurazione di equilibrio, divenuto, ormai da tempo, un capitolo
della teoria delle equazioni differenziali. Si parla allora di stabilit di una
soluzione di un sistema differenziale. Facciamo qualche premessa a questo
proposito per passare poi alle applicazioni che riguardano la meccanica.

Criterio di stabilit di Ljapunov


E dato un sistema differenziale di equazioni del primo ordine:
(SO.1)

u = f (u, t)
Si suppone che:
f :AR

! Rn ,

A Rn

sia lipschitziana, in modo che, assegnate le condizioni iniziali u(0) = u0


esista ununica soluzione (integrale particolare). Allora si d il seguente
criterio di stabilit di Ljapunov.
(t) del sistema (SO.1), relativa alle
Una soluzione particolare u
(0) = u
0 , si dice stabile se per ogni " 2 R+ esiste
condizioni iniziali u
+
un (") 2 R , tale che qualunque soluzione u(t) le cui condizioni
e raggio ("), cade
iniziali u(0) = u0 cadono nella sfera di centro u
(t) e
in ogni istante successivo a quello iniziale, nella sfera di centro u
raggio "

166

A. Strumia, Meccanica razionale

In formula questo si traduce nella condizione:

8" 2 R+ 9 (") 2 R+ :
ku0

0 k < (")
u

(SO.2)
=)

ku(t)

(t)k < ",


u

8t > 0

Ci significa che modificando di poco le condizioni iniziali viene


modificata di poco anche la soluzione.
Considereremo instabile ogni soluzione che non soddisfa questo criterio.
Stabilit asintotica
Diremo poi che una soluzione asintoticamente stabile se verificata la
condizione:
lim ku(t)

t ! +1

(t)k = 0
u

(SO.3)

Ci significa che la soluzione modificata tende asintoticamente a alla


soluzione stabile. Si noti come questultima una condizione pi forte della
(SO.2).
Stabilit dellequilibrio
Se il sistema (SO.1) ammette la soluzione statica:
(t) = u ,
u

8t

e quindi risulta, di conseguenza, verificata la condizione di equilibrio:


f (u, t) = 0,

8t

stabilit e piccole oscillazioni

167

si dice che u rappresenta un punto di equilibrio per il sistema. Se tale


soluzione risulta stabile nel senso appena definito, cio si ha:
8" 2 R+ 9 (") 2 R+ :
ku0

u k < (")

(SO.4)
=)

ku(t)

u k < ",

8t > 0

si parla di equilibrio stabile. In particolare se:


lim ku(t)

t ! +1

u k = 0

(SO.5)

lequilibrio si dice asintoticamente stabile.


Stabilit dellequilibrio di un sistema meccanico
A noi interessa qui specializzare i criteri di stabilit introdotti, ai fini dello
studio della stabilit dellequilibrio di un sistema olonomo a vincoli lisci e N
gradi di libert.
Le equazioni differenziali che governano un sistema di questo tipo
possono essere scritte sotto forma di equazioni di Lagrange:
d @T
dt @ qh

@T
= Qh
@qh

e ricondotte ad un sistema di equazioni del primo ordine del tipo:


8
>
<

qh = vh

>
: d @T

dt @vh

@T
@qh

= Qh

Questo sistema si pu portare, come abbiamo visto, nella forma normale


(SO.1). Le incognite sono rappresentate dal vettore a 2N componenti:

168

A. Strumia, Meccanica razionale

u (qh , vh )
che appartiene allo spazio degli stati del sistema, che denotiamo con U, di
cui lo spazio delle configurazioni C, al quale appartengono i vettori q (qh ),
e lo spazio delle velocit V, al quale appartengono i vettori v (vh ),
rappresentano dei sottospazi. Denotata con k kU la norma nello spazio degli
stati del sistema, possiamo caratterizzare le norme nei sottospazi C e V nel
modo seguente:
kqkC = k(qh , 0)kU ,

kvkV = k(0, vh )kU

essendo un fattore positivo inserito per evidenziare la differenza di


dimensioni delle velocit rispetto alle posizioni. Data una configurazione di
equilibrio del sistema meccanico:
u (qh , 0)
la condizione di stabilit dellequilibrio (SO.4) si traduce allora nella seguente
condizione di stabilit di Dirichlet:

8", "0 2 R+ 9 (", "0 ), 0 (", "0 ) 2 R+ :


kq 0

q kC < (", "0 ) >


=
0

kv 0 kV < (", " )

>
;

8
>
<

=)

>
:

kq(t)

q kC < "

kv(t)kV < "

che si deduce tenendo conto del fatto che:


kqkC kukU ,

kvkV kukU

8t > 0
(SO.6)

stabilit e piccole oscillazioni

169

Teorema di Ljapunov
Uno stato di equilibrio u di un sistema differenziale:
u = f (u, t)
stabile se esiste una funzione '(u), detta funzione di Ljapunov,
differenziabile in un intorno I(u), tale che:
i) '(u) ha un minimo relativo stretto in u , cio:
8
>
<
>
:

u 2 I(u )
'(u) = '(u )

=)

'(u )

'(u)

u = u

()

ii) In corrispondenza di ogni integrale particolare u(t) le cui condizioni


iniziali u0 cadono nellintorno I(u ), la funzione '(u(t)) risulta monotona
non crescente, cio:
d
'(u(t)) = ru ' u = ru ' f 0,
dt

8t > 0

DIMOSTRAZIONE
Consideriamo lo sviluppo in serie di Taylor della funzione '(u)
nellintorno del punto di equilibrio u :

'(u) = '(u ) + ru '(u )(u


1
+ (u
2

u ) [(ru ru ) '(u )](u

{z

=0

u ) +
}

u ) + O(3),

170

A. Strumia, Meccanica razionale

dove:

@2 '
(u` ) = H
,

@ uj @ uk

(ru ru ) '(u ) =

la matrice hessiana di'(u) calcolata nel punto di equilibrio u .


Il termine del primo ordine nullo nel punto di minimo.
Per cui rimane:
'(u)

'(u ) =

1
(u
2

u ) H
(u

u ) + O(3).

(SO.7)

Possiamo esprimere, in coordinate polari ipersferiche:

u = r e,

r = ku

u k,

e=

u
ku

u
.
u k

(SO.8)

E quindi ottenere:
'(u)

'(u ) =

1
(e H
e) r2 + O(3).

(SO.9)

Ma:

eH
e=H

rr

@2 '
(u ),
@ r2

(SO.10)

non altro che lelemento della matrice hessiana relativo alla coordinata
polare r, il cui asse identificato dal versore e.
Infatti la derivata direzionale lungo e non altro che la derivata parziale
rispetto ad r:
e ru =

@
.
@r

stabilit e piccole oscillazioni

171

Per cui possiamo riscrivere:

'(u)

"

1 @2 '
'(u ) =
(u ) r2 + O(3).
2
2 @r

(SO.11)

In particolare la relazione precedente vale per un integrale particolare del


moto e per la sua condizione iniziale:
"

(SO.12)

"

(SO.13)

1 @2 '
'(u ) =
(u ) r(t)2 ,
2 @ r2

'(u(t))

'(u0 )

1 @2 '
'(u ) =
(u ) r02 .
2 @ r2

Sottraendo membro a membro le due relazioni precedenti, otteniamo:

'(u(t))

"

1 @2 '
'(u0 ) =
(u ) [r(t)2
2 @ r2

r02 ].

(SO.14)

Ovvero:

'(u(t))

"

1 @2 '
'(u0 ) =
(u ) [r(t) + r0 ][r(t)
2 @ r2

Ora dobbiamo tenere conto che:


i) '(u) ha un minimo relativo stretto in u , per cui:
@2 '
(u ) > 0,
@ r2

r0 ] 0.

(SO.15)

172

A. Strumia, Meccanica razionale

ii) '(u(t)) una funzione non crescente di t durante il moto, per cui:
'(u0 ) 0,

'(u(t))

Da cui segue:
r0 0.

r(t)

Se si sceglie la condizione iniziale in modo che:


r0 < (") = ",
abbiamo subito:
r(t) r0 < (") = ",

8 t > 0.

E quindi la stabilit dellequilibrio.


Infatti abbiamo la seguente situazione per i segni dei termini che
compaiono nellequazione (SO.15):
"

1 @2 '
'(u(t)) '(u0 ) =
(u ) [r(t) + r0 ] [r(t) r0 ] 0.
|
{z
}
|
{z
}|
{z
}
2 @ r2
0

{z

>0

Da cui la condizione di stabilit.

stabilit e piccole oscillazioni

ku0

u k < (")

=)

173

ku(t)

u k r0 < ",

8t > 0

per ogni condizione iniziale appartenentene ad un intorno di raggio (")


racchiuso dallipersuperficie.

Teorema di Dirichlet
Applichiamo il teorema di Ljapunov allo studio della stabilit nel caso di
un sistema meccanico soggetto a forze conservative. Si dimostra in questo
caso il teorema di Dirichlet.
Se un sistema olonomo a vincoli indipendenti dal tempo, soggetto
a sole forze conservative e il potenziale presenta un massimo relativo
stretto in una configurazione di equilibrio ordinaria q allora questa
una configurazione di equilibrio stabile
DIMOSTRAZIONE
In questo caso esiste una funzione di Ljapunov rappresentata dallenergia
meccanica del sistema:
= T (q, q)

E(q, q)

U (q)

Lequilibrio caratterizzato da q = q , q = 0. Osserviamo che lenergia

cinetica, che sempre positiva o nulla, allequilibrio nulla essendo nullo q.


Inoltre il potenziale massimo, di conseguenza V = U minima. Infatti
fuori dallequilibrio lenergia meccanica viene incrementata, rispetto a U ,
dallenergia cinetica che positiva. Dunque lenergia meccanica minima
allequilibrio e vale:

174

A. Strumia, Meccanica razionale

Eequil. =

U (q )

E cos verificata la prima propriet che definisce una funzione di


Ljapunov. Anche la seconda propriet verificata, in quanto lenergia
meccanica, in presenza di forze conservative un integrale primo del moto,
per cui si ha:
d

E(q(t), q(t))
=0
dt
Notiamo che la seconda propriet soddisfatta come uguaglianza.
Di conseguenza la configurazione di equilibrio q stabile.
Il teorema si estende facilmente anche al caso in cui, oltre alle forze
conservative, sono presenti delle forze dissipative, perch in questo caso
lenergia meccanica sempre una funzione di Ljapunov, in quanto ha ancora
un minimo per q = q , q = 0, cio allequilibrio; ma non pi un integrale
primo del moto. Tuttavia, dal momento che il lavoro delle forze dissipative,
per definizione, non positivo, il bilancio dellenergia comporta:
d

E(q(t), q(t))
= Wdissip. 0
dt
Dunque lenergia meccanica una funzione di Ljapunov e lequilibrio
stabile.
Studio del potenziale nelle configurazioni di equilibrio
E importante osservare che il teorema di Dirichlet consente di ricondurre
lanalisi dinamica della stabilit dellequilibrio di un sistema soggetto a forze
conservative (ed eventualmente anche dissipative) alla ricerca dei punti di
massimo della funzione potenziale, che viene analizzata nelle configurazioni
di equilibrio ordinarie del sistema, senza coinvolgere lo studio del moto. Il

stabilit e piccole oscillazioni

175

problema della stabilit viene allora ricondotto da un problema dinamico ad


un problema statico.
Sviluppando il potenziale in serie di Taylor nellintorno della
configurazione di equilibrio, possiamo scrivere:
"

@2U
(q ) (qh
@qh @qk `

qh )(qk

U (q` ) =
1
+
2

"

U (q` )

@U
+
(q` ) (qh
@qh

qh )+
qk ) + O(3)

Si pu rendere pi compatta la scrittura precedente facendo uso della


notazione simbolica in luogo di quella indiciale. Si ha allora:

U (q) = U (q ) + rq U (q ) (q

1
q ) + (q
2

q) H
(q )(q

q ) + O(3)

dove:
@2U
(q)

(q)
H

@qh @qk
la matrice hessiana del potenziale.
Richiedere che la configurazione di equilibrio rappresenti un punto
di massimo per il potenziale, come noto dallanalisi, comporta come
condizione necessaria, che sia nullo il gradiente del potenziale:
Q = rq U (q ) = 0
condizione che, per il principio dei lavori virtuali, in presenza di vincoli lisci,
equivale a richiedere che la configurazione ordinaria q sia una configurazione
di equilibrio.

176

A. Strumia, Meccanica razionale

Rimane allora:

U (q)

U (q ) =

1
(q
2

q) H
(q

q ) + O(3) < 0,

q 6= q

E la condizione di massimo relativo stretto del potenziale, se si trascurano


i contributi di ordine superiore al secondo, per incrementi piccoli dei
parametri lagrangiani, equivale alla richiesta che la matrice hessiana:
H

=H
(q )

sia definita negativa. Notiamo che qualora, invece, la matrice risulti definita
positiva il potenziale possiede un minimo relativo, mentre i punti in cui la
matrice hessiana non definita di segno, essendo non singolare, sono punti
di sella del potenziale. Dal punto di vista meccanico consideriamo entrambe
queste possibilit come configurazioni di equilibrio instabili.
Lo studio del comportamento della matrice hessiana pu essere condotto
con i metodi noti dallanalisi, come lo studio dei segni degli autovalori,
metodo conveniente soprattutto se la matrice si presenta in forma diagonale,
oppure con il metodo di Sylvester che risulta maggiormente conveniente se la
matrice non si presenta in forma diagonale.

Piccole oscillazioni
Quando sussiste la condizione di stabilit sempre possibile approssimare
le equazioni del moto di Lagrange di un sistema olonomo, a vincoli
indipendenti dal tempo e soggetto a forze conservative, equazioni che in
genere non sono lineari linearizzandole nellintorno di una configurazione
di equilibrio stabile del sistema. Le equazioni cos approssimate hanno
il vantaggio di essere integrabili analiticamente e di fornire informazioni

stabilit e piccole oscillazioni

177

sullandamento del moto nellintorno della configurazione di equilibrio


stabile.
Procediamo in tre passi:
determinazione della lagrangiana approssimata;
determinazione delle equazioni linearizzate del moto;
integrazione delle equazioni linearizzate e determinazione delle
frequenze proprie delle piccole oscillazioni del sistema nellintorno di una
configurazione di equilibrio stabile.

Lagrangiana approssimata
Lapprossimazione lineare delle equazioni del moto si pu ottenere
approssimando la lagrangiana ad una forma quadratica rispetto ai parametri
lagrangiani e alle loro derivate, in modo che le derivate della lagrangiana
rispetto a queste variabili, che compaiono nelle equazioni del moto, siano
lineari. Ci occorrono allora, gli sviluppi in serie di Taylor del potenziale e
dellenergia cinetica i quali devono essere troncati al secondo ordine.
Consideriamo il potenziale che, nellintorno di una configurazione di
equilibrio stabile q (q` ), si sviluppa nel modo seguente:
"

@2U
(q` ) (qh
@qh @qk

qh )(qk

U (q` ) =

1
+
2

"

U (q` )

@U
+
(q ) (qh
@qh `

qh )+

qk ) + O(3)

Sottolineiamo ancora il fatto che grazie alla stabilit della configurazione


di equilibrio, se assumiamo:

178

A. Strumia, Meccanica razionale

q k < (", "0 )

kq 0

e allistante iniziale trascuriamo i termini di ordine superiore al secondo, essi


risulteranno limitati allo stesso modo e quindi trascurabili anche in tutti gli
istanti successivi.
Teniamo, inoltre, conto del fatto che allequilibrio, in una configurazione
ordinaria, le derivate prime del potenziale sono nulle; possiamo poi definire
lo zero del potenziale in modo che la costante U (q` ) sia nulla; in ogni caso
una costante additiva non rilevante, in quanto la lagrangiana dovr essere
poi derivata e le costanti additive quindi non contribuiscono.
E comodo, infine, alleggerire ulteriormente la scrittura introducendo le
coordinate relative alla configurazione di equilibrio:
z=q

()

zh = qh

qh

Il potenziale approssimato al secondo ordine si scriver allora:

U=

1
H zh zk
2 hk

dove Hhk
sono gli elementi della matrice hessiana calcolata nella
configurazione di equilibrio.

Per quanto riguarda lapprossimazione dellenergia cinetica, poich i


vincoli sono supposti indipendenti dal tempo, possiamo scrivere lenergia
cinetica nella forma:

T =

1
ahk (q` ) qh qk
2

La funzione da sviluppare in serie qui la ahk (q` ):

stabilit e piccole oscillazioni

ahk (q` ) =
1
+
2

"

179

ahk (q` )

"

@ahk
+
(q ) (qh
@qh `

@ 2 ahk
(q ) (qh
@qh @qk `

qh )(qk

qh )+

qk ) + O(3)

Bisogna fare attenzione, per, al fatto che T si presenta gi come


una forma quadratica e quindi lo sviluppo di ahk (q` ) deve essere arrestato
allordine zero, altrimenti si ottengono in T potenze di ordine superiore al
secondo. Si ha allora lenergia cinetica approssimata a forma quadratica:
T =

1
a zh zk
2 hk

nella quale abbiamo denotato:


ahk = ahk (q` )
e abbiamo introdotto le coordinate relative, tenendo conto che risulta zh = qh .
Abbiamo allora la lagrangiana approssimata a forma quadratica:
L=T +U =

1
1
ahk zh zk + Hhk
zh zk
2
2

Equazioni linearizzate
Le equazioni di Lagrange approssimate si scrivono di conseguenza:
d @L
dt @ zj

@L
=0
@zj

180

A. Strumia, Meccanica razionale

Abbiamo:
@L
1
= ahk
@ zj
2

jh zk

1
a zh
2 hk

jk

= ajk zk

grazie alla simmetria della matrice dellenergia cinetica. Analogamente:


@L
1
= Hhk
@zj
2

jh zk

1
H zh
2 hk

jk

= Hjk
zk

Seguono le equazioni linearizzate del moto:


ajk zk

Hjk
zk = 0

Equazioni che possiamo riscrivere in forma simbolica:

H
z=0

(SO.16)

Frequenze proprie di oscillazione


Le equazioni linearizzate nellintorno di una configurazione di equilibrio
stabile, dal punto di vista analitico, rappresentano un sistema differenziale
di ordine 2N , lineare, omogeneo, a coefficienti costanti. Di conseguenza il
suo integrale generale dato da una combinazione lineare di 2N integrali
particolari indipendenti. Per determinare gli integrali particolari utilizziamo
una funzione test esponenziale del tipo:
z test = d e

stabilit e piccole oscillazioni

181

con costante e d vettore costante. Derivando due volte rispetto al tempo


otteniamo:
2

=
z

de

Quindi sostituendo nel sistema (SO.16) abbiamo:

a
d

H
de

=0

Tenendo conto che lesponenziale sempre non nullo, e raccogliendo il


vettore d, otteniamo la condizione a cui devono soddisfare e d affinch la
funzione test sia soluzione:
(H

a
)d = 0

(SO.17)

Questo rappresenta un problema agli autovalori. Lannullarsi del


determinante dei coefficienti del sistema algebrico omogeneo, le cui incognite
sono gli autovettori, fornisce la condizione che determina gli autovalori:
det (H

a
)=0

(SO.18)

Abbiamo, cos ottenuto lequazione caratteristica del sistema differenziale


(SO.16), che unequazione di grado N per 2 , quindi di grado 2N per , che
determina 2N valori di e ci consente di ottenere 2N integrali particolari del
moto. Se, per esempio N = 2 lequazione risulter biquadratica.
Possiamo ottenere delle informazioni sul segno di
(SO.17) nella forma:

H
d=

riscrivendo la

a
d

e prendendo il prodotto scalare per d in modo da poter risolvere per

182

A. Strumia, Meccanica razionale

dH
d

da
d

Notiamo che il denominatore non si annulla essendo la matrice


dellenergia cinetica definita positiva, inoltre il numeratore negativo in
conseguenza della stabilit dellequilibrio che richiede che la matrice hessiana
del potenziale sia definita negativa. Dunque 2 < 0. Gli autovalori sono
immaginari e si possono esprimere introducendo le quantit reali ! tali che:
!2 =

>0

Allora lequazione caratteristica si pu riscrivere, in termini delle !, nella


forma:

2a
det (H
+ ! )=0

(SO.19)

Gli integrali particolari sono delle funzioni oscillanti di cui le quantit !


rappresentano le frequenze di oscillazione. Ad ogni frequenza corrispondono
due integrali particolari corrispondenti a = i !, e allo stesso autovettore
relativo allautovalore 2 , essendo le ! per definizione positive. Si ha allora
lintegrale generale delle equazioni linearizzate:

(+)

z(t) = dh ch ei !

(h) t

( )

+ ch e

i ! (h) t

essendo ! (1) , ! (2) , , ! (N ) le N le frequenze proprie di oscillazione, radici


dellequazione caratteristica (SO.19) e con la somma su h da 1 ad N
sottintesa come al solito. La frequenza pi bassa prende il nome di frequenza
fondamentale di oscillazione.

stabilit e piccole oscillazioni

183

Coordinate normali
Poniamo di rappresentare il vettore z sulla base degli autovettori dk
relativi al problema agli autovalori (SO.17) Abbiamo:
(SO.20)

z = Zk dk
Sostituendo nel sistema differenziale (SO.16) otteniamo:

a
(Zk dk )

H
(Zk dk ) = 0

Tenendo conto che per la (SO.19) si ha:

H
dk =

! (k)

segue moltiplicando scalarmente per dh :

Zk + ! (k)

a
dk

Zk dh a
dk = 0

a
Come noto il problema agli autovalori, essendo H
simmetrica e
simmetrica e definita positiva, ammette una base di autovettori tali che:

dh a
dk =

hk

Di conseguenza rimane:

Zh + ! (h)

Zh = 0

(SO.21)

Rispetto alle coordinate Zh il sistema delle equazioni linearizzate del


moto (SO.21) si presenta come un sistema di N moti armonici disaccoppiati,
relativi a ciascuna delle frequenze proprie di oscillazione:

184

A. Strumia, Meccanica razionale

8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:

Z1 + ! (1)

Z2 + ! (2)

2
2

ZN + ! (N )

Z1 = 0
Z2 = 0

ZN = 0

Le coordinate Zh cos definite prendono il nome di coordinate normali e


i rispettivi moti armonici si dicono modi normali di oscillazione.
Le coordinate normali si possono esplicitare moltiplicando scalarmente la

(SO.20) per a
dh :

za
dh = Zk dk a
dh
Tenendo conto che:

dh a
dk =

hk

si ricava:

Zh = z a
dh

(SO.22)

AQ. Analisi qualitativa del moto


Lintegrazione delle equazioni differenziali del moto di un sistema
meccanico nella maggior parte dei casi non pu essere condotta
analiticamente a causa delle non linearit delle equazioni. In questi casi si pu
ricorrere a metodi di integrazione numerica; comunque molto utile condurre
lanalisi qualitativa del moto, che consente di trarre molte informazioni senza
integrare le equazioni differenziali del moto. Questo metodo di approccio alle
equazioni differenziali ordinarie si sviluppato anche autonomamente dallo
studio dei problemi meccanici e costituisce ormai una metodologia propria
della teoria delle equazioni differenziali ordinarie. In questo capitolo ne
sviluppiamo i concetti pi elementari, che applicheremo allo studio del moto
dei sistemi meccanici a un grado di libert.

Sistemi non autonomi e sistemi autonomi


Come si gi visto in precedenza, quando si lavora con un sistema di
equazioni differenziali ordinarie di ordine qualunque, sempre possibile,
attraverso successivi abbassamenti del grado delle equazioni, ricondursi
ad un sistema le cui equazioni differenziali sono tutte del primo ordine.
Di conseguenza assumeremo sempre di partire da sistemi differenziali di
equazioni del primo ordine; la struttura pi generale per un sistema del genere
data da:
(AQ.1)

u = f (u, t)
essendo:
f : A R ! Rn ,

A Rn

186

A. Strumia, Meccanica razionale

Linsieme delle variabili u(t) corrispondenti a una soluzione particolare


del sistema (AQ.1), valutato in un istante del tempo, si dice stato del sistema
nellistante t e il sistema stesso si dice sistema dinamico. Se la funzione
f lipschitziana rispetto a u, in un dominio D, cio se esiste una costante
C 2 R+ tale che:
kf (u, t)

f (u0 , t)k C ku

u0 k, 8u, u0 2 D A

assegnate le condizioni iniziali u(t0 ) = u0 , la soluzione del sistema unica.


Un sistema del tipo (AQ.1) in cui la funzione f contiene la dipendenza
esplicita dal tempo si dice sistema non autonomo.
Un sistema del tipo (AQ.1) in cui la funzione f non contiene la
dipendenza esplicita dal tempo si dice sistema autonomo.
Di conseguenza un sistema autonomo si presenta in generale nella forma:

u = f (u)

(AQ.2)

Osserviamo che se il sistema non autonomo e la funzione f dipende


esplicitamente dal tempo in maniera non lineare, non possibile traslare lasse
dei tempi e quindi un istante iniziale generico t0 6= 0 non pu essere fatto
coincidere con t = 0; se invece il sistema autonomo il problema non sussiste
e si pu sempre assumere t0 = 0.
La distinzione fra sistema autonomo e non autonomo pu sembrare, a
prima vista, non rilevante, in quanto un sistema non autonomo si pu sempre
ricondurre ad un sistema autonomo mediante lintroduzione di una variabile
ausiliaria, che rimpiazza il tempo. Per esempio in un sistema in cui presente
una dipendenza esplicita dal tempo periodica si pu introdurre # = ! t, con
! > 0. In tal caso il sistema non autonomo (AQ.1) si riscrive:

analisi qualitativa del moto

U = F (U ),

187

U B
@

u
#

C
A,

F (U ) B
@

f (u, !# )
!

1
C
A

Un sistema di questo tipo ha per ha, per, linconveniente di avere


soluzioni divergenti nel tempo, in quanto:
lim # = 1

t!1

anche quando u(t) si mantiene limitato o addirittura tende asintoticamente


a zero. La forma autonoma, quindi, non consente in questo caso sviluppi
asintotici per tempi molto grandi e bisogna mantenere il sistema nella forma
non autonoma.

Spazio delle fasi


Lo spazio in cui sono definiti gli stati u di un sistema dinamico prende il
nome di spazio delle fasi.
Esaminiamo qualche esempio di spazio delle fasi legato a sistemi
differenziali che descrivono dei sistemi meccanici.
i) Equazioni del moto di un punto
Lequazione fondamentale della dinamica inerziale del punto:
m xi = Fi (xk , x k , t),

i, k = 1, 2, 3

si pu riscrivere riducendo le equazioni al primo ordine, nella forma:

188

A. Strumia, Meccanica razionale

8
>
<
>
:

x i = vi
v i =

1
m

Fi (xk , vk , t)

Questo sistema si riconduce alla forma compatta (AQ.1) introducendo i


vettori a sei componenti:
0

uB
@

xi
vi

C
A,

B
@

vi
1
m

Fi (xk , vk , t)

1
C
A

Lo spazio delle fasi del punto lo spazio delle posizioni e delle velocit.
Si osserva, poi, che il sistema risulta autonomo qualora la forza non dipenda
esplicitamente dal tempo e non autonomo in caso contrario.
ii) Equazioni di Hamilton
Un altro esempio semplice offerto dalle equazioni di Hamilton, le quali
sono gi del primo ordine:

qh =

ph =

@H
@ph
@H
@qh

In questo caso si ha:


0
B

u@

qh
ph

C
A,

0
B
@

@H
@ph
@H
@qh

1
C
A

analisi qualitativa del moto

189

Lo spazio delle fasi di un sistema canonico lo spazio delle variabili


canoniche, cio lo spazio delle posizioni e dei momenti. Il sistema risulta
autonomo se lhamiltoniana non dipende esplicitamente dal tempo.

Sistemi a un grado di libert: piano delle fasi


La descrizione del moto mediante lo spazio delle fasi diventa
particolarmente comoda quando il sistema meccanico ha un solo grado di
libert, perch in questo caso lo spazio delle fasi si riduce a un piano, al quale
si d il nome di piano delle fasi, ed possibile rappresentare su un foglio di
carta, o sul monitor di un computer, gli stati del sistema e la loro evoluzione.
Il vettore degli stati del sistema ha due sole componenti: u (x, y). Qualche
esempio.
i) Punto materiale
Nel caso di un punto abbiamo semplicemente:
0
B

u@

x
y

C
A,

0
B

f @

y
1
m

F (x, y, t)

1
C
A

ii) Sistema olonomo a vincoli scleronomi


Nel caso di un sistema olonomo a un grado di libert, il cui moto viene
descritto mediante una sola equazione di Lagrange, per lunico parametro
lagrangiano q = x, abbiamo:
d @T
dt @ x

@T
=Q
@x

190

A. Strumia, Meccanica razionale

Se i vincoli sono indipendenti dal tempo, lenergia cinetica espressa


semplicemente da:
T =

1
a(x) x 2
2

(AQ.3)

Notiamo che la matrice dellenergia cinetica ora semplicemente una


funzione scalare positiva. Derivando otteniamo:
@T
= a(x) x
@ x

=)

d @T
= a(x) x + a0 (x) x 2
dt @ x

@T
1
= a0 (x) x 2
@x
2
dove lapice denota la derivata rispetto allargomento x. E quindi lequazione
di Lagrange si specializza nella forma seguente:
a(x) x +

1 0
a (x) x 2 = Q(x, x,
t)
2

(AQ.4)

Dal momento che a(x) strettamente positivo possiamo ridurre


lequazione in forma normale:

x = g(x, x,
t),

1
g(x, x,
t) =
Q(x, x,
t)
a(x)

1 0
a (x) x 2
2

(AQ.5)

Essa si presenta allora sotto la stessa forma dellequazione del moto di


F
un punto nella quale g prende il posto di m
. In questo caso gli stati del
sistema sono dati dal vettore u (x, y) (q, q).
Notiamo che se la forza
generalizzata di Lagrange Q non dipende esplicitamente dal tempo, il sistema
autonomo.

analisi qualitativa del moto

191

Rappresentazione grafica
Uno stato del sistema differenziale u, valutato in un certo istante, viene
rappresentato da un punto sul piano delle fasi (punto di fase). Assegnando
delle condizioni iniziali u0 (x0 , y0 ) (x0 , x 0 ) si individua il punto di
partenza del moto. Lintegrale particolare u(t) corrispondente unico se la
funzione f lipschitziana, ed caratterizzato da:
8
>
<
>
:

x(t) = x(t, x0 , y0 )
y(t) = y(t, x0 , y0 )

Geometricamente queste sono le equazioni parametriche di una curva del


piano delle fasi alla quale si d il nome di traiettoria di fase. La traiettoria di
fase ha un verso di percorrenza dato dallevoluzione temporale del moto: se
la derivata temporale di x, che data da y, positiva la funzione x cresce nel
tempo; se y negativa x decresce. Di conseguenza i rami delle traiettorie di
fase che si trovano nel semipiano delle y > 0 sono percorsi nel senso delle x
crescenti, mentre quelli che si trovano nel semipiano delle y < 0 sono percorsi
nel senso delle x decrescenti.
Linsieme delle traiettorie di fase che descrivono un sistema si dice
diagramma di fase del sistema.
Quando lo si ritenga conveniente possibile dare anche una
rappresentazione tridimensionale del moto introducendo lasse dei tempi: si
parla in questo caso di spazio delle fasi ampliato.
Velocit di fase
Si introduce poi la velocit di fase come derivata temporale del vettore
che d lo stato del sistema:

v f = u (x,
y)
(x,
x)

(AQ.6)

192

A. Strumia, Meccanica razionale

y
y>0
(x 0 ,y 0 )
x

O
y<0

Figura AQ. 1: traiettorie di fase e loro orientamento

Questo vettore non va confuso con la velocit del moto nello spazio delle
configurazioni che costituisce solo la prima componente della velocit di fase,
mentre la seconda componente data dallaccelerazione. La velocit di fase
un vettore che si mantiene tangente alle traiettorie di fase durante il moto.
Osserviamo che quando viene dato un sistema differenziale di equazioni
del primo ordine, la funzione f descrive il campo delle velocit di fase che
caratterizza il sistema.
Punti fissi e punti di equilibrio
Si dicono punti fissi quei punti del sistema che hanno velocit di fase
nulla: in questi punti la velocit e laccelerazione sono contemporaneamente
nulle, per cui il sistema meccanico si trova in quiete; di qui la denominazione
di punti fissi.
Essendo nulla la velocit i punti fissi appartengono sempre allasse delle
ascisse, in quanto y = x = 0. Tuttavia non tutti i punti dellasse delle ascisse
sono punti fissi in quanto la condizione di appartenenza a tale asse y = 0, da
sola, non dice nulla sullaccelerazione.
Se la f lipschitziana cos che valga il teorema di unicit della soluzione

analisi qualitativa del moto

193

(x ,y )
0 0

Figura AQ. 2: spazio delle fasi ampliato

del problema di Cauchy, allora la quiete equivale allequilibrio e i punti fissi


sono i punti di equilibrio del sistema e viceversa.
I punti fissi sono le traiettorie di fase corrispondenti a quel caso
particolare di moto che la quiete.

Sistemi autonomi: equazione delle curve integrali


Dora in avanti ci occuperemo dei sistemi autonomi. Dal punto di vista
dei problemi meccanici i sistemi di interesse sono quelli che derivano da
unequazione differenziale del secondo ordine del tipo:

x = f (x, x)

(AQ.7)

nella cui struttura rientra lequazione del moto di un punto o di un generico


sistema olonomo a un grado di libert, con vincoli e forze indipendenti dal
tempo. E quindi sistemi di equazioni del primo ordine, ad essa equivalenti,
della forma:

194

A. Strumia, Meccanica razionale

8
>
<
>
:

x = y
(AQ.8)
y = f (x, y)

In corrispondenza delle condizioni iniziali (x0 , y0 ), lintegrale particolare:


8
>
<
>
:

x = x(t)
(AQ.9)
y = y(t)

fornisce le equazioni parametriche della traiettoria di fase, la cui equazione


cartesiana:
y = y(x)
si ottiene eliminando il parametro t dalle (AQ.9).
E lecito domandarsi se indispensabile integrare le equazioni del moto
per determinare le traiettorie di fase di un sistema. E chiaro che linteresse
dellanalisi qualitativa del moto nel piano delle fasi legato alla possibilit di
avere informazioni sul moto, mediante le traiettorie di fase anche quando non
si riesce ad integrare il sistema differenziale del moto. Osserviamo che per un
sistema autonomo sempre possibile giungere ad unequazione differenziale
per la funzione incognita y(x), senza coinvolgere il tempo, e quindi senza
conoscere la legge di evoluzione temporale del moto. Ci possibile grazie
al fatto che la funzione f nel sistema (AQ.8) non contiene esplicitamente il
tempo.
Per giungere a questa equazione differenziale calcoliamo la derivata di
y(x(t)) rispetto ad t, tenendo conto che y funzione composta di t attraverso
x. Abbiamo:
y =

d
dy dx
y(x(t)) =
= y 0 x
dt
dx dt

analisi qualitativa del moto

195

Se si escludono i punti del piano delle fasi nei quali si annulla y = x


possiamo esprimere:

y0 =

y
,
x

y = x 6= 0

Tenendo conto delle informazioni che vengono dal sistema (AQ.8)


possiamo scrivere lequazione:

y0 =

1
f (x, y)
y

(AQ.10)

che prende il nome di equazione delle curve integrali e non contiene pi il


tempo. Le soluzioni di questa equazione, possono essere delle curve a pi
rami che rappresentano traiettorie di fase distinte, in quanto i punti di un
ramo non sono raggiungibili assegnando delle condizioni iniziali, al sistema
differenziale del moto, su un altro ramo. Per questo si preferisce allora
chiamare curve integrali, anzich traiettorie di fase, le curve rappresentative
delle soluzioni di questa equazione.
Osserviamo che y 0 , dal punto di vista geometrico, rappresenta il
coefficiente angolare della tangente alla curva integrale nel punto del piano
delle fasi di coordinate x, y. Si possono determinare, allora, le curve nei punti
delle quali la tangente alle curve integrali che passano per quei punti ha uno
stesso valore C assegnato. Queste curve, la cui equazione :
1
f (x, y) = C
y

(AQ.11)

prendono il nome di curve isocline e sono utili per avere informazioni


sullandamento delle curve integrali anche senza integrare la (AQ.10).

196

A. Strumia, Meccanica razionale

Singolarit
Analizziamo ora il comportamento delle curve integrali nei punti
singolari, in cui y = x = 0, cio nei punti dellasse delle ascisse del piano
delle fasi. Notiamo che questi punti che sono singolari dal punto di vista
geometrico, per le curve integrali, sono punti estremamente significativi dal
punto di vista del problema meccanico. Essi perci devono essere analizzati
e classificati.
i) punti di equilibrio: x = 0, x = 0
Sono i punti fissi del sistema, nei quali oltre alla velocit y = x si
annulla anche laccelerazione y = x, cio si annulla la velocit di fase. Di
conseguenza risulta nulla anche la funzione f (x, 0). Nella (AQ.10) la derivata
y 0 presenta unindeterminazione del tipo 00 . Geometricamente la tangente
risulta indeterminata.
ii) Punti di inversione del moto: x = 0, x 6= 0
Questi punti si trovano sullasse delle ascisse del piano delle fasi, ma non
sono punti fissi, in quanto la velocit di fase non nulla, essendo non nulla
laccelerazione y = x. Perci dal sistema (AQ.8) abbiamo linformazione
f (x, 0) 6= 0. Lequazione delle curve integrali ci d linformazione
conseguente relativa al limite della derivata:
lim y 0 = lim

y!0

y!0

1
f (x, 0) = 1
y

Geometricamente questo significa che la tangente alla curva integrale, nel


punto singolare, verticale. La curva attraversa lasse delle ascisse nel punto
singolare e quindi la velocit cambia segno, invertendo il verso del moto. Il
punto detto, perci punto dinversione del moto.
Notiamo che attraversando lasse delle ascisse, la y = x cambia segno e
perci la x(t) passa da funzione crescente a decrescente rispetto a tempo o

analisi qualitativa del moto

197

viceversa. Perci la x(t) raggiunge per y = 0 il suo massimo o il suo minimo.


y

Figura AQ. 3: punti di inversione del moto

Sistemi conservativi: curve di livello dellenergia


Se il sistema, oltre ad essere autonomo anche conservativo, allora le
forze si possono esprimere mediante un potenziale U (x), e quindi, come
in genere si preferisce fare trattando i sistemi dinamici, mediante lenergia
potenziale V (x) = U (x), funzioni in questo caso del solo parametro x.
Esaminiamo prima il caso di un punto e poi il caso di un sistema olonomo.
i) Punto materiale
Nel caso di un punto, soggetto a forza conservativa lequazione delle curve
integrali assume la forma seguente:
y0 =

1
V 0 (x)
my

(AQ.12)

Avendo denotato con lapice la derivata rispetto a x. Possiamo riscriverla


nella forma:

198

A. Strumia, Meccanica razionale

m y y0 =

V 0 (x)

()

d 1
m y 2 + V (x) = 0
dx 2

Da cui, integrando:
1
m y 2 + V (x) = costante
2
Ma y = x la velocit del punto, e quindi lequazione precedente esprime
lintegrale primo dellenergia meccanica. Concludendo:
le curve integrali del moto di un punto soggetto a forza conservativa
sono le curve di livello dellenergia meccanica, cio le curve lungo le quali
lenergia mantiene valore costante.
Possiamo riscrivere lequazione delle curve di livello indicando la costante
con il valore dellenergia:

1
m y 2 + V (x) = E
2

(AQ.13)

Lo studio dellandamento delle curve di livello si pu condurre


esplicitando rispetto ad y (metodo di Weierstrass):
s

y=

2
[E
m

V (x)]

(AQ.14)

dalla quale landamento delle curve di livello pu essere dedotto


dallandamento dellenergia potenziale. La condizione di realt della radice
quadrata:
E

V (x)

analisi qualitativa del moto

199

fornisce le informazioni relative agli intervalli permessi per le posizioni x


del punto. Notiamo che il dominio di realt della radice pu essere non
connesso, con la conseguenza che possono esistere, in corrispondenza di un
valore assegnato dellenergia, pi rami (traiettorie di fase) separati della stessa
curva integrale, i cui punti sono raggiungibili solo partendo da condizioni
iniziali appartenenti allo stesso ramo.
Il risultato ottenuto molto potente in quanto ci consente di ottenere
informazioni qualitative sullandamento del moto, nel piano delle fasi, senza
integrare le equazioni, ma calcolando solamente lenergia meccanica del
sistema. Al variare di E si ottiene lintera famiglia delle curve integrali del
moto del punto.
Come esempio possiamo considerare loscillatore armonico semplice, per
il quale:

V (x) =

1 2 2 1
k x = m ! 2 x2 ,
2
2

!2 =

k2
m

Quindi lintegrale primo dellenergia si esprime come:


1
1
m y 2 + m ! 2 x2 = E
2
2
Possiamo scrivere in una forma meglio leggibile dal punto di vista
geometrico questo risultato:
x2
2E
m !2

y2
2E
m

=1

Le curve di livello dellenergia sono delle ellissi il cui centro lorigine


del piano delle fasi e i cui assi di simmetria sono gli assi cartesiani del piano
delle fasi. Lorigine rappresenta un punto fisso del sistema meccanico (punto
di equilibrio). che le curve di livello non si intersecano e sono curve chiuse
includenti il punto di equilibrio stabile del sistema.

200

A. Strumia, Meccanica razionale

Figura AQ. 4: curve di livello delloscillatore armonico semplice

ii) Sistema olonomo a vincoli indipendenti dal tempo


Affinch il sistema delle equazioni differenziali sia autonomo, occorre che
i vincoli siano indipendenti dal tempo e quindi anche lenergia potenziale deve
essere indipendente dal tempo. In questo caso, tenendo conto del risultato
generale (AQ.5) e del fatto che:
Q(x) = U 0 (x) =

V 0 (x)

lequazione delle curve integrali si scrive:


y0 =

1
1
V 0 (x) + a0 (x) y 2
a(x) y
2

(AQ.15)

Rispetto allequazione del punto notiamo che qui la funzione a(x) che
caratterizza lenergia cinetica prende il posto della massa. Abbiamo allora:

1
a(x) y y + a0 (x) y 2 +V 0 (x) = 0
2
0

()

d 1
a(x) y 2 + V (x) = 0
dx 2

analisi qualitativa del moto

201

Essendo:

d 1
1
a(x) y 2 = a(x) y y 0 + a0 (x) y 2
dx 2
2
Dunque le curve integrali sono caratterizzate dallequazione:
1
a(x) y 2 + V (x) = costante
2
che rappresenta lintegrale primo dellenergia del sistema olonomo, essendo:
T =

1
a(x) x 2 ,
2

x = y

Otteniamo allora la generalizzazione al sistema olonomo del risultato


ottenuto per il punto.
le curve integrali del moto di un sistema olonomo a vincoli indipendenti
dal tempo, soggetto a ad un sistema di forze conservativo, sono le curve di
livello dellenergia meccanica.

1
a(x) y 2 + V (x) = E
2

(AQ.16)

In forma esplicita si ha in questo caso:


s

y=

2
[E
a(x)

V (x)]

(AQ.17)

Essendo a(x) > 0, le informazioni relative ai punti fissi e ai punti


di inversione si ottengono anche in questo caso, mediante lo studio
dellandamento dellenergia potenziale.

202

A. Strumia, Meccanica razionale

Notiamo che ogni curva di livello identificata dal valore dellenergia


che corrisponde al moto ad essa associato. Ne viene di conseguenza che: due
curve di livello relative a differenti valori dellenergia non hanno punti in
comune.
Infatti, i punti dintersezione di due curve di livello relative ad energie
distinte E1 , E2 sono dati dalle soluzioni, se esistono, del sistema algebrico:
8 1
>
< 2
>
: 1
2

a(x) y 2 + V (x) = E1
a(x) y 2 + V (x) = E2

Sottraendo membro a membro la seconda equazione dalla prima


otteniamo E1 E2 = 0 contrariamente allipotesi che le energie siano distinte.
Dunque le due curve non si intersecano in alcun punto.
Curve di livello degli integrali primi
Se il sistema autonomo (AQ.8) ammette un qualunque integrale primo
indipendente dal tempo
= (x, y), che non necessariamente quello
dellenergia, allora, durante il moto, per definizione di integrale primo si deve
avere:
(x(t), y(t)) = C
Quindi, le curve di equazioni parametriche:
8
>
<
>
:

x = x(t)
y = y(t)

che rappresentano le traiettorie di fase del moto, non sono altro che le curve
di livello dellintegrale primo. Di conseguenza abbiamo:

analisi qualitativa del moto

203

d
@
@
(x(t), y(t)) =
x +
y = 0
dt
@x
@y
Da cui ricaviamo:

y0 =

y
=
x

@
@x
@
@y

Ma questo risultato deve essere compatibile con lequazione delle curve


integrali (AQ.10), per cui abbiamo la condizione affinch una funzione
(x, y) sia un integrale primo per un sistema autonomo di equazioni del moto:
@
@x
@
@y

1
f (x, y)
y

(AQ.18)

Lintegrale primo dellenergia costituisce un caso particolare, vantaggioso


in quanto consente di esplicitare facilmente y e di ricondurre lo studio
qualitativo del moto allo studio dellenergia potenziale.
Vale la pena osservare che, per un sistema autonomo, ogni funzione
differenziabile che dipende dalle variabili (x, y) mediante largomento:
=y

y(x)

essendo y = y(x) lequazione cartesiana che definisce le curve integrali,


risulta essere un integrale primo del moto. Infatti durante il moto si ha:
d
d
((t)) =
() (y
dt
d
Ma durante il moto y

y 0 x = 0 e dunque:

y 0 x)

204

A. Strumia, Meccanica razionale

d
((t)) = 0,
dt

((t)) = costante

Per questo identificare un integrale primo del moto equivale ad identificare


le curve integrali e viceversa.

Andamento di V(x) e curve di livello dellenergia


Studiamo ora il comportamento delle curve di livello dellenergia in
dipendenza del comportamento dellenergia potenziale V (x) del sistema
conservativo.
i) V (x) monotona crescente (decrescente)
Iniziamo con lanalisi degli zeri della funzione E
V (x). Se V (x)
una funzione crescente possibile determinare, per ogni valore assegnato
dellenergia meccanica E, una sola soluzione xE dellequazione:
V (x) = E

=)

xE = V

(E)

grazie alla biunivocit della funzione che pu essere invertita in tutto


il dominio di monotonia. La soluzione ha molteplicit M = 1 in
quanto V 0 (xE ) 6= 0 grazie alla monotonia della V (x). Di conseguenza
laccelerazione del moto non nulla e il punto xE rappresenta un punto
di inversione del moto. La condizione di realt della radice quadrata nella
(AQ.17) soddisfatta a condizione che:
x xE

(AQ.19)

condizione che identifica lintervallo delle x permesso durante il moto. Nel


punto di inversione la tangente alla curva di livello verticale; assegnando
valori diversi allenergia si ottengono altrettante curve di livello con altrettanti

analisi qualitativa del moto

205

punti di inversione. Qualora la V (x) fosse decrescente nella (AQ.19) si


scambia il segno di con quello di e il grafico diviene simmetrico rispetto
ad un asse verticale.
ii) V (x) dotata di un massimo relativo stretto
Quando V (x) massima in un punto x si ha un punto di equilibrio (punto
fisso) instabile (potenziale minimo). Indicando con V = V (x ) il valore
massimo dellenergia potenziale, distinguiamo tre casi.
a) E < V
In questo caso la condizione di realt della radice in (AQ.17) soddisfatta
in due intervalli disgiunti:
(1)

x xE ,

(2)

xE

In quanto la disequazione:

V (x)

ammette due sole soluzioni del tipo esaminato nel caso dellenergia potenziale
monotona, perch lenergia potenziale monotona crescente per x < x e
monotona decrescente per x > x e quindi la retta di equazione V = E ha due
(1)
(2)
intersezioni distinte con la curva dellenergia potenziale. I due punti xE , xE
sono due punti di inversione del moto e il moto non permesso nellintervallo
compreso tra essi.
b) E > V
In questo caso la condizione di realt della radice in (AQ.17) sempre
soddisfatta e tutto lasse delle x pu essere percorso dal moto, in quanto si ha:

206

A. Strumia, Meccanica razionale

E
x

x*

x
O

Figura AQ. 5: punti di inversione nellintorno di un massimo dellenergia


potenziale

V (x) V

=)

V (x)

V >0

La curva di livello relativa allenergia E possiede due rami, corrispondenti


al segno positivo e negativo nella (AQ.17), che non possono connettersi tra
loro, perch non hanno intersezioni con lasse delle ascisse in quanto non pu
mai verificarsi la condizione di intersezione E V (x) = 0. Mentre si ha
unintersezione, con la retta di equazione x = x che per comodit possiamo
identificare come asse y, per ogni ramo, corrispondente alle ordinate:
s

y =

2
(E
a(x )

V )

analisi qualitativa del moto

207

La tangente nei punti di intersezione ha coefficiente angolare, dato


dallequazione delle curve integrali, che, vale:
0
y
=

a0 (x ) y
2 a(x )

in quanto, in un punto di massimo dellenergia potenziale V 0 (x ) = 0.


Notiamo che nel caso in cui a0 (x ) = 0, come avviene per esempio per
un punto, la y assume minimo modulo nel punto di intersezione, in quanto,
0
altrove E V (x) > E V (x ) e la y
si annulla; quindi la tangente risulta
orizzontale.
V
E

x*

x
O

Figura AQ. 6: Curve di livello con energia superiore al massimo dellenergia


potenziale

208

A. Strumia, Meccanica razionale

c) E = V curve separatrici
Siamo nel caso limite tra i due precedenti. In questo caso, come
nel precedente, la condizione di realt della radice in (AQ.17) sempre
soddisfatta e tutto lasse delle x pu essere percorso dal moto, in quanto si
ha:
V (x) V

=)

V (x) = V

V (x)

La radice x dellequazione:
V (x) = E
ha molteplicit M = 2, come si verifica tenendo conto che la funzione
da annullare f (x) = V (x)
E, la cui derivata prima in x nulla:
0
0
f (x ) = V (x ) = 0. La retta di equazione y = E e la curva dellenergia
potenziale hanno un contatto del primo ordine in x , e sono quindi tangenti.
La curva di livello corrispondente ha equazione:
s

y=

2
[V
a(x)

V (x)]

(AQ.20)

Come si vede facilmente i due rami corrispondenti ai due segni, hanno in


comune solo un punto di fase, di coordinate (x , 0). Si noti che questo un
punto fisso, essendo un punto di equilibrio, e quando viene assegnato come
condizione iniziale esso coincide con la traiettoria di fase (quiete).
I due rami della curva di livello cos caratterizzata prendono il nome
di curve separatrici. Le tangenti alla curva di livello nel punto fisso sono
indeterminate, come si vede esaminando la (AQ.15), a causa del fatto che i
due rami delle separatrici, incontrandosi nel punto fisso, danno luogo a due
tangenti nello stesso punto. Lindeterminazione 00 si elimina con il metodo di

analisi qualitativa del moto

209

De LHospital, considerando il rapporto delle derivate del numeratore e del


denominatore delle (AQ.15):
0
y

= lim
x!x

= lim
x!x

V 0 (x) + 12 a0 (x) y 2
a(x) y

V 00 (x) + 12 a00 (x) y 2 + a0 (x) y y 0


a0 (x) y + a(x) y 0

V 00 (x )
0
a(x ) y

da cui si ricava:

0
y
=

v
u
u
t

V 00 (x )
a(x )

(AQ.21)

Come si vede esistono due tangenti alle separatrici nel punto di fase
(x , 0).

Conglobando i risultati relativi a tutti gli intervalli dellenergia meccanica


otteniamo il diagramma di fase nellintorno di un punto di massimo
dellenergia potenziale (punto di equilibrio instabile).
Possiamo verificare analiticamente che i punti di equilibrio instabile
rappresentano dei punti di sella per lenergia meccanica del sistema. Infatti,
considerata la funzione:
E(x, y) =

1
a(x) y 2 + V (x)
2

in corrispondenza di un massimo dellenergia potenziale in x , e imponendo


y = 0 abbiamo:
@E
1
(x, y) = a0 (x) y 2 + V 0 (x),
@x
2

@E
(x, y) = a(x) y
@y

210

A. Strumia, Meccanica razionale

E
x

x*

x
O

Figura AQ. 7: Curve separatrici

E questo comporta:

@E
(x , 0) = 0,
@x

@E
(x , 0) = 0
@y

condizione necessaria per avere un estremante.


seconde:

@2E
1
(x, y) = a00 (x) y 2 + V 00 (x),
@x2
2

Esaminando le derivate

@2E
(x, y) = a0 (x) y
@x@y

analisi qualitativa del moto

211

Figura AQ. 8: punto di sella instabile

@2E
(x, y) = a(x)
@y 2
Da cui:
@2E
(x , 0) = V 00 (x ) < 0,
@x2

@2E
(x , 0) = 0
@x@y

@2E
(x , 0) = a(x ) > 0
@y 2
essendo in un punto di massimo per lenergia potenziale, ed essendo sempre
positiva la a(x). Allora la matrice hessiana di E non definita di segno e
siamo in un punto di sella:
0
B
@

V 00 (x )
0

a(x )

1
C
A

212

A. Strumia, Meccanica razionale

Figura AQ. 9: sella dellenergia meccanica in un punto di equilibrio instabile

iii) V (x) dotata di un minimo relativo stretto


Quando V (x) minima in un punto x si ha un punto di equilibrio (punto
fisso) stabile (potenziale massimo). Indicando con V = V (x ) il valore
minimo dellenergia potenziale, distinguiamo anche qui tre casi.
a) E < V
In questo caso la condizione di realt della radice in (AQ.17) non mai
soddisfatta, in quanto:

V (x)

V =)

V (x)

V =) E

V (x) E

V <0

E quindi la disequazione:
E

V (x)

non ammette soluzioni e non vi sono intersezioni tra la retta di equazione


y = E e la curva dellenergia potenziale. In questo intervallo di energia il
moto non permesso.

analisi qualitativa del moto

213

b) E > V
In questo caso la condizione di realt della radice in (AQ.17) ammette
(1)
(2)
sempre due radici distinte xE , xE , corrispondenti alle due intersezioni della
retta di equazione y = E con la curva dellenergia potenziale; e dal momento
che V (x) monotona crescente per x > x e monotona decrescente per
x < x il moto pu avvenire solo nellintervallo:
(1)

(2)

xE x xE

La curva di livello relativa allenergia E possiede anche due intersezioni


con la retta x = x che per comodit possiamo identificare come asse y,
corrispondenti alle ordinate:
s

y =

2
(E
a(x )

V )

e quindi i due rami si raccordano in ununica curva chiusa.


La tangente nei punti di intersezione ha coefficiente angolare, dato
dallequazione delle curve integrali, che vale:
0
y
=

a0 (x ) y
2 a(x )

in quanto, in un punto di minimo dellenergia potenziale V 0 (x ) = 0.


Notiamo che nel caso in cui a0 (x ) = 0, come avviene per esempio per
un punto, la y assume massimo modulo nel punto di intersezione, in quanto,
0
altrove E V (x) < E V (x ) e la y
si annulla; quindi la tangente risulta
orizzontale.
Inoltre una curva integrale chiusa comporta che il moto sia periodico,
perch ripassa per gli stessi punti di fase, cio nelle stesse posizioni e con
la stessa velocit dopo uno stesso tempo, che si dice periodo del moto.

214

A. Strumia, Meccanica razionale

Data la simmetria delle velocit rispetto ai punti della traiettoria, il periodo


si pu calcolare come:

T =2

Z x(2)
E
(1)
xE

Z x
dx
E
= 2 (1) q
y(x)
xE
(2)

dx
2
a(x)

[E

V (x)]

x*
E

x
O

Figura AQ. 10: curve di livello con energia superiore al minimo dellenergia
potenziale

c) E = V
In questo caso, la condizione di realt della radice in (AQ.17), unitamente
alla condizione di minimo relativo, comporta:

analisi qualitativa del moto

8
>
<
>
:

215

V (x) = V

V (x) 0

V (x)

E quindi esiste lunica radice x dellequazione:


V (x) = E
che ha molteplicit M = 2, in quanto la retta di equazione y = E e la
curva dellenergia potenziale hanno un contatto del primo ordine in x , e sono
tangenti. Lunico punto di fase permesso per il moto il punto fisso (x , 0)
che rappresenta lunica traiettoria di fase possibile (quiete).
Conglobando i risultati relativi a tutti gli intervalli dellenergia meccanica
otteniamo il diagramma di fase nellintorno di un punto di massimo
dellenergia potenziale (punto di equilibrio stabile).
Un punto di equilibrio stabile prende il nome di centro.
y

x
O

Figura AQ. 11: centro stabile


Possiamo verificare analiticamente che i punti di equilibrio stabile
rappresentano dei punti di minimo per lenergia meccanica del sistema. I

216

A. Strumia, Meccanica razionale

calcoli sono identici al caso del punto di sella, con la differenza che ora
V 00 (x ) > 0 trattandosi di un punto di minimo dellenergia potenziale.
Ne viene di conseguenza che la matrice hessiana dellenergia meccanica
definita positiva:
0
B
@

V 00 (x )

a(x )

1
C
A

e quindi siamo in un punto di minimo dellenergia.

Figura AQ. 12: minimo dellenergia meccanica in un punto di equilibrio


stabile
iv) V (x) dotata di un flesso ascendente (discendente) con tangente
orizzontale
Quando V (x) presenta un flesso ascendente, con tangente orizzontale, in
un punto x si ha un punto di equilibrio (punto fisso) che si comporta come
fosse stabile rispetto a spostamenti positivi e instabile rispetto a spostamenti
negativi, in un intorno del punto; e quindi, complessivamente risulta essere
instabile. Indicando con V = V (x ) il valore dellenergia potenziale nel
punto di flesso, distinguiamo, come al solito, i tre casi.
a) E < V
Questo caso si presenta identico al caso in cui V (x) monotona crescente
e valgono tutte le considerazioni svolte al punto i).

analisi qualitativa del moto

217

Esiste un punto di inversione del moto xE < x e il moto si pu realizzare


solo nella regione x xE . Non esistono intersezioni della curva di livello
con la retta di equazione x = x .
V

x*

x
E

Figura AQ. 13: punto di inversione a sinistra di un flesso ascendente


dellenergia potenziale

b) E > V
Anche in questo caso il comportamento simile a quello che si ha con
V (x) monotona, e quindi esiste un solo punto di inversione xE > x in
corrispondenza di ogni valore dellenergia meccanica. Tuttavia la funzione
V (x) non strettamente crescente dappertutto, in quanto nel punto di flesso
la sua derivata si annulla. Esistono due punti di intersezione della curva di
livello con la retta x = x , che possiamo scegliere coincidente con lasse y,
le cui ordinate valgono:

218

A. Strumia, Meccanica razionale

y =

2
[E
a(x )

V ]

La derivata di y nei punti di intersezione vale:

0
y
=

a0 (x ) y
2 a(x )

Notiamo che quando a0 (x ) = 0, come nel caso di un punto materiale, la


tangente nei punti di intersezione orizzontale, in quanto y 0 = 0 e i rami della
curva di livello che sono rispettivamente decrescente nel semipiano y > 0
e crescente nel semipano y < 0, come nel caso di V (x) strettamente crescente
presentano, di conseguenza, dei flessi nei punti di intersezione con lasse
y.
c) E = V
Data la condizione di non decrescenza della funzione V (x), dalla
condizione di realt della radice in (AQ.17):
E

V (x) = V

V (x)

=)

segue che il moto pu avvenire solo nella regione x x .


La radice dellequazione:
V (x) = E
allora x e ha molteplicit M = 3, dal momento che la funzione da annullare
f (x) = V (x) E ha nulle sia la derivata prima che la derivata seconda in x ,
a causa della presenza del flesso, che richiede V 0 (x ) = 0, V 00 (x ) = 0. La
retta di equazione y = E e la curva dellenergia potenziale hanno un contatto

analisi qualitativa del moto

219

V
E

x*

x
O

Figura AQ. 14: punto di inversione a destra di un flesso ascendente


dellenergia potenziale

del secondo ordine in x , e sono quindi tangenti. Il punto (x , 0) una cuspide


ed un punto di equilibrio instabile.
La curva di livello corrispondente ha equazione:
s

y=

2
[V
a(x)

V (x)]

(AQ.22)

Come si vede facilmente i due rami corrispondenti ai due segni, hanno in


comune solo il punto di fase di coordinate (x , 0). Si noti che questo un
punto fisso, essendo un punto di equilibrio, e quando viene assegnato come
condizione iniziale esso coincide con la traiettoria di fase (quiete).

220

A. Strumia, Meccanica razionale

La tangente alla curva di livello nella cuspide indeterminata, come si


vede esaminando la (AQ.15) e lindeterminazione 00 si elimina con le stesso
metodo utilizzato per le curve separatrici. I calcoli sono gli stessi, ma ora
V 00 (x ) = 0 e quindi le due tangenti sono coincidenti tra loro:

0
y
=

v
u
u
t

V 00 (x )
=0
a(x )

Nella cuspide la tangente doppia e orizzontale.


Conglobando i risultati relativi a tutti gli intervalli dellenergia meccanica
otteniamo il diagramma di fase nellintorno di un punto di flesso dellenergia
potenziale (punto di equilibrio instabile).
y

Figura AQ. 15: cuspide instabile


Qualora si consideri un flesso discendente il diagramma diviene
simmetrico rispetto allasse delle y.
v) V (x) dotata di massimi e minimi alternati
Basandosi sui risultati precedenti possibile trattare casi pi complicati
in cui massimi e minimi e flessi si combinano fra loro nellandamento
dellenergia potenziale. Bisogna, in ogni caso, considerare separatamente gli
intervalli dellenergia meccanica totale determinati dai valori che lenergia

analisi qualitativa del moto

221

potenziale assume in corrispondenza dei massimi, dei minimi e dei flessi.


I grafici illustrano i casi di un massimo compreso fra due minimi e di un
minimo compreso fra due massimi.
y

Figura AQ. 16: punto di sella instabile compreso fra due centri stabili
Si noti che quando sono presenti pi punti di sella si hanno tante curve
separatrici distinte quanti sono i massimi di V (x) distinti.

222

A. Strumia, Meccanica razionale

Figura AQ. 17: centro stabile compreso fra due punti di sella instabili

Diagramma di fase del pendolo semplice


Il pendolo semplice caratterizzato dallenergia potenziale:
V (#) =

m g `cos #

E lintegrale primo dellenergia dato da:


1
m `2 # 2
2

m g `cos # = E

Le variabili che caratterizzano lo stato del pendolo sono allora x = #, y =


Di conseguenza lequazione delle curve di livello dellenergia si ottengono
#.
trascrivendo lintegrale primo dellenergia in termini di queste variabili:
1
m `2 y 2
2

m g `cos x = E

analisi qualitativa del moto

223

Esplicitando y si ha:
s

y=

2
(E + m g ` cos x)
m `2

essendo a(x) = m `2 .
I punti fissi sono dati dallannullarsi della derivata prima dellenergia
potenziale e sono alternativamente punti di massimo (punti di sella instabili)
e punti di minimo (centri stabili). Infatti abbiamo:
V 0 (x) = m g` sen x,

V 00 (x) = m g` cos x

V 0 (x) si annulla per x = k , k = 0, 1, 2 .


V 00 (k ) = ( 1)k m g`
Seguono i seguenti risultati:
8
>
<
>
:

x = 2 k ,

V2k
= mg`

V2k+1
=

x = (2 k + 1) ,

minimi (centri stabili)


mg`

massimi (selle instabili)

Notiamo che i valori dei massimi di V (x) sono tutti uguali, per cui le
due curve separatrici sono comuni a tutti punti di sella. Lequazione delle
curve separatrici si ottiene imponendo allenergia meccanica totale il valore
del massimo dellenergia potenziale m g `. Abbiamo perci:
s

y=

2g
g
x
(1 + cos x) = 2
cos
`
`
2

224

A. Strumia, Meccanica razionale

Figura AQ. 18: diagramma di fase del pendolo semplice

Si osserva come, nellintorno di un centro stabile, per esempio lorigine


del piano delle fasi, le curve di livello si approssimano a delle ellissi, cio
alle curve di livello di un oscillatore armonico semplice. Infatti, nel caso
di piccole oscillazioni nellintorno della posizione di equilibrio stabile, le
equazioni del moto del pendolo si approssimano come noto, alle equazioni
di un oscillatore armonico semplice di frequenza:
!=

g
`

e le relative curve di livello, in questa approssimazione, hanno equazione:


x2 y 2
+ 2 = 1,
a2
b

a2 =

2 (E + m g `)
,
mg`

b2 =

2 (E + m g `)
m `2

Il termine m g ` aggiunto allenergia dovuto al fatto che lo zero del


potenziale non coincide, in questo caso, con la posizione di equilibrio stabile
del pendolo.

analisi qualitativa del moto

225

Quando un sistema ammette soluzioni periodiche, come nel caso del


pendolo semplice il diagramma di fase si ripete a intervalli regolari e il
sistema meccanico assume le stesse configurazioni ad intervalli di tempo
regolari. Si pu allora dare una rappresentazione pi realistica del diagramma
di fase, rappresentandolo sulla superficie laterale di un cilindro circolare retto
(cilindro delle fasi ) del quale la rappresentazione nel piano, relativa a un
periodo, rappresenta lo sviluppo.

Sistemi autonomi non conservativi


Ci occupiamo ora dei sistemi autonomi non conservativi. In questo caso
non disponiamo dellintegrale primo dellenergia e si possono presentare varie
situazioni:
i) il sistema delle equazioni del moto integrabile, come accade, per
esempio quando le equazioni sono lineari. In questo caso le traiettorie di
fase si ottengono per integrazione diretta delle equazioni del moto;
ii) lequazione delle curve integrali integrabile: in questo caso le curve
integrali si ottengono integrando questa equazione;
iii) possibile trovare qualche altro integrale primo del moto, diverso
dallenergia; in questo caso le curve di livello dellintegrale primo sono le
curve integrali del sistema;
iv) nessuna delle situazioni precedenti si verifica.
Il primo caso si verifica, ad esempio, quando si tratta il moto armonico
in presenza di resistenza viscosa. In questa situazione sappiamo integrare il
moto e quindi disponiamo delle equazioni parametriche delle traiettorie di
fase. Lintegrale generale del moto del tipo:

x = Ae

pt

cos (
! t + ),

!
=

!2

p2

226

A. Strumia, Meccanica razionale

Da cui segue:
y=

px

!
Ae

pt

sen (
!t + )

Le equazioni parametriche rappresentano una traiettoria di fase


dallandamento spiraliforme, che tende asintoticamente alla posizione di
equilibrio stabile delloscillatore. Una rappresentazione significativa della
traiettoria di fase si ottiene eliminando parzialmente il parametro t,
esprimendo:
cos (
!t+ ) =

x
Ae

pt

sen (
!t+ ) =

y + px
!
A e pt

Da cui quadrando e sommando otteniamo:


x2
(y + p x)2
+
=1
A2 e 2 p t !
2 A2 e 2 p t
Equazione che ricorda quella di unellisse di centro nellorigine e assi
non coincidenti con gli assi cartesiani; si nota per che a denominatore sono
presenti delle funzioni del tempo che hanno leffetto di modificare istante per
istante le lunghezze dei semiassi.
Come secondo esempio consideriamo un caso in cui si integra
facilmente lequazione delle curve integrali, come accade quando si considera
il moto di un corpo che si muove in presenza di una resistenza idraulica,
al quale stata impressa una elevata velocit iniziale, di modo che le altre
forze sono trascurabili, almeno in un certo intervallo di tempo, rispetto alla
resistenza del mezzo.
In questa situazione, schematizzando il corpo con un punto, lequazione
differenziale del moto si scrive:
m x =

h x 2

analisi qualitativa del moto

227

Figura AQ. 19: traiettorie di fase delloscillatore smorzato

E lequazione delle curve integrali diviene semplicemente:


y0 =

h
y
m

Questa unequazione lineare e si integra subito, ottenendo:


y = y0 e

h
m

(x x0 )

Al variare delle condizioni iniziali del moto (x0 , y0 ) si ottiene lintera


famiglia delle curve integrali.
Come terzo esempio consideriamo un punto soggetto ad una forza che
somiglia a una forza elastica elastica ma, in luogo della costante elastica,
presente una funzione lineare della velocit x:

m x + x x = 0
Lequazione del moto si pu riscrivere evidenziando lesistenza di un
integrale primo del moto:

228

A. Strumia, Meccanica razionale

Figura AQ. 20: curve integrali del moto di un punto soggetto a resistenza
idraulica

d
1
(m x + x2 ) = 0
dt
2

=)

m x +

1
x2 = C
2

Allora le curve di livello di questo integrale primo:


y=

1
C
m

1
x2
2

rappresentano le curve integrali del sistema.

Linearizzazione nellintorno di un punto singolare


In molti problemi, per, non si sanno integrare n le equazioni del moto,
n lequazione delle curve integrali, n si conoscono degli integrali primi del
moto. In questi casi si pu ricorrere ad un metodo di approssimazione del
sistema differenziale delle equazioni del moto, linearizzandole nellintorno di
un punto di fase, per avere delle indicazioni sullandamento delle traiettorie
di fase in quellintorno.

analisi qualitativa del moto

229

Consideriamo un sistema autonomo:

u = f (u),

0
B

u@

x
y

C
A,

f (u) @

y
'(x, y)

1
C
A

(AQ.23)

in cui:
f : A ! R2 ,

A R2

supposta, al solito, differenziabile e lipschitziana, per garantire lunicit


della soluzione; inoltre richiediamo che nel punto di fase u 2 A la matrice
jacobiana della f :

@fi
(u )
@uk `

(AQ.24)

sia non singolare. Allora possiamo scrivere lo sviluppo in serie di Taylor della
f nellintorno di u :
fi (u` ) = fi (u` ) +

@fi
(u )(uk
@uk `

uk ) + Ri (2)

Ovvero in forma simbolica:

f (u) = f (u ) + A
(u

u ) + R(2)

Fino a che il moto, e quindi le traiettorie di fase, si mantengono in un


intorno di u di raggio " opportunamente piccolo, si ha:
ku

u k < "

230

A. Strumia, Meccanica razionale

e il resto della serie si pu considerare trascurabile a meno di un errore


dellordine di "2 . Grazie al fatto che la matrice supposta non singolare,
il termine del primo ordine sempre non nullo per u 6= u .
Notiamo che questa circostanza pu essere verificata in ogni istante di
tempo successivo a quello iniziale solo quando u un punto di equilibrio
stabile, in quanto in questo caso, se la condizione iniziale viene assegnata in
un intorno di u , il moto e quindi le traiettorie di fase non escono dallintorno.
Se invece u non un punto di equilibrio stabile, lapprossimazione
sar verificata solamente nei limiti di un opportuno intervallo di tempo,
entro il quale le traiettorie si mantengono nellintorno. Successivamente i
termini di ordine superiore al primo divengono gradualmente pi elevati e
lapprossimazione non pi valida.
Nellapprossimazione lineare, allora il sistema delle equazioni del moto
viene scritto nella forma:

u = f (u ) + A
(u

u )

Normalmente i punti di fase nellintorno dei quali interessante studiare


il comportamento delle traiettorie di fase, sono punti singolari e in particolare
i punti di equilibrio del sistema. Ma in un punto di equilibrio si ha f (u ) = 0;
quindi il sistema delle equazioni linearizzate si riscrive:

z = A
z,

z=u

(AQ.25)

dove, per comodit sono state introdotte le coordinate relative al punto di


equilibrio.

analisi qualitativa del moto

231

Classificazione dei punti singolari


Per classificare i vari tipi di punti singolari che possono presentarsi in
un sistema linearizzato ed esaminare landamento delle traiettorie di fase, e
quindi la stabilit dellequilibrio, occorre integrare il sistema lineare (AQ.25);
infatti le soluzioni del sistema forniscono le equazioni parametriche delle
traiettorie di fase. Ora, per facilitare leliminazione del parametro t e ottenere,
di conseguenza, delle equazioni cartesiane delle traiettorie di fase pi semplici
e pi facilmente interpretabili, conviene effettuare un cambio di variabili
prima di integrare il sistema (AQ.25).

Lideale cercare di diagonalizzare, quando possibile, la matrice A


,
perch questo equivale ad ottenere delle equazioni disaccoppiate. A questo
scopo consideriamo il problema agli autovalori:
(A

I )d = 0

Gli autovalori sono dati dallequazione caratteristica:

det (A

I)=0

che , in questo caso, unequazione di secondo grado:


2

(AQ.26)

2p + q = 0

nella quale:

2 p = tr (A
),

q = det (A
)

Data la struttura (AQ.23) del sistema differenziale, la matrice A

generalmente simmetrica avendo la struttura seguente:

non

232

A. Strumia, Meccanica razionale

0
@'
(x , 0)
@x

1
@'
(x , 0)
@y

essendo u (x , 0) il punto di equilibrio considerato. Questo comporta


che i suoi autovalori non sono necessariamente reali, diversamente da quanto
accade per le matrici simmetriche. Dovremo esaminare, perci, le diverse
possibilit che possono presentarsi in dipendenza del segno del discriminante
= p2 q dellequazione caratteristica (AQ.26) del sistema.
4

1 - autovalori reali distinti:

p2

q>0

Gli autovalori sono dati da:


(1)

=p

p2

(2)

q,

=p+

p2

In corrispondenza dei due autovalori distinti, il problema agli autovalori


ammette sempre due autovettori linearmente indipendenti d1 , d2 , i quali non
sono generalmente ortogonali tra loro. La trasformazione di similitudine
ottenuta mediante la matrice S
di elementi:
(k)

Sik = di

porta la matrice A
nella forma diagonale:

=S

A
S

e trasforma i vettori z secondo la legge:

z=S
z

analisi qualitativa del moto

233

(, ) diviene allora:
Il sistema differenziale per i nuovi stati z

= A

S
z
S
z

E quindi:

= A z

Ovvero, esplicitamente:
8
>
<
>
:

(1)

(2)

Le due equazioni sono disaccoppiate e lintegrale generale si scrive nella


forma, comoda da gestire:
(

= 0 e
= 0 e

(1)

(2)

(AQ.27)

Queste rappresentano anche le equazioni parametriche delle traiettorie di


fase nel nuovo sistema di coordinate. Si osserva subito che per 0 = 0 si
ottiene come traiettoria di fase lasse delle ordinate e per 0 = 0 si ottiene
lasse delle ascisse. Per valori non nulli delle condizioni iniziali si procede
alleliminazione del parametro t, ricavando:
2

t = log 4
0
E quindi:

1
(1)

3
5

234

A. Strumia, Meccanica razionale

= 0

(2)
(1)

In conclusione le traiettorie di fase hanno equazioni cartesiane:

= k ,

(2)

(1)

k = 0 0

(AQ.28)

Discutiamo i vari casi che si presentano in funzione dei valori assunti dal
rapporto tra gli autovalori. Non dimentichiamo che la matrice, per ipotesi
non singolare e quindi gli autovalori sono entrambi non nulli, per cui si ha,
in ogni caso 0 < || < +1 e inoltre 6= 1, in quanto gli autovalori devono
essere distinti.
Nodi: > 0
Cominciamo ad esaminare il caso in cui > 0: le traiettorie presentano
un andamento simile a quello parabolico e le singolarit si dicono nodi. Si
hanno le due possibilit:
i) 0 < < 1
In questa situazione le traiettorie di fase, che passano tutte per lorigine,
hanno tangente comune verticale. Infatti:
d
= k
d
Ed essendo,

1 < 0 segue:

lim

!0

d
= +1
d

analisi qualitativa del moto

235

Per quanto riguarda la stabilit del nodo, occorre determinare il verso di


percorrenza delle traiettorie, facendo attenzione che, dopo la trasformazione,
lordinata non rappresenta pi la derivata temporale dellascissa, e quindi
non determina il verso di percorrenza. Bisogna tornare alle equazioni
parametriche (AQ.27). La positivit di impone agli autovalori di avere
segno concorde: allora o sono entrambi positivi o entrambi negativi. Nel
primo caso || ed || sono esponenziali crescenti e il moto tende ad
allontanarsi dallorigine e si ha, quindi, instabilit; nel secondo caso gli
esponenziali sono decrescenti e si ha stabilit asintotica.
Notiamo, che per la regola dei segni di Cartesio, nellequazione
caratteristica, due radici positive (instabilit) corrispondono a due variazioni
di segno dei coefficienti, e due radici negative (stabilit) a due permanenze.
Ma il determinante q = (1) (2) > 0 in ogni caso, dovendo essere > 0, e
quindi la stabilit decisa dal segno di p. Si ha stabilit per p < 0 e instabilit
per p > 0. La stabilit asintotica come si vede considerando il limite per
t ! +1 nelle equazioni parametriche (AQ.27).

Figura AQ. 21: nodo stabile con tangente verticale

236

A. Strumia, Meccanica razionale

Figura AQ. 22: nodo instabile con tangente verticale

ii) > 1
In questo caso la struttura delle traiettorie simile alla precedente, ma la
tangente comune nellorigine orizzontale, in quanto 1 > 0 e quindi:
lim

!0

d
=0
d

Figura AQ. 23: nodo stabile con tangente orizzontale

analisi qualitativa del moto

237

Figura AQ. 24: nodo instabile con tangente orizzontale


Punti di sella: < 0
Quando < 0 i segni degli autovalori risultano discordi e si ha:
=

||,

q<0

Lequazione cartesiana delle traiettorie si pu scrivere allora:


|| = k
Le traiettorie presentano una struttura di tipo iperbolico. I segni degli
autovalori sono discordi e di conseguenza i punti di sella sono sempre
instabili, come si vede esaminando le equazioni parametriche (AQ.27); la
matrice non definita di segno.

2 - autovalori reali coincidenti:

p2

q=0

Le singolarit che si ottengono in questo caso, in cui gli autovalori sono


dati da:

238

A. Strumia, Meccanica razionale

Figura AQ. 25: punti di sella instabili

(1)

(2)

= p

sono chiamate:
Nodi degeneri
Quando gli autovalori sono coincidenti possono presentarsi due situazioni.

analisi qualitativa del moto

i) A

239

diagonalizzabile

In corrispondenza dei due autovalori reali coincidenti, esistono due


autovettori linearmente indipendenti.

In questo caso A
diagonalizzabile, in quanto si pu costruire una
matrice S
non singolare, che porta i vettori di base dello spazio a coincidere
con gli autovettori, che formano essi pure una base. Allora il sistema
differenziale (AQ.25) si riconduce, nelle nuove variabili in cui la matrice
diagonale, nella forma:
8
>
<
>
:

= p
= p

lintegrale generale del quale fornisce le equazioni parametriche delle


traiettorie di fase:
(

= 0 ep t
= 0 ep t

(AQ.29)

Anche in questo caso gli assi cartesiani sono traiettorie di fase,


come si vede assegnando alternativamente una condizione iniziale nulla.
Leliminazione del parametro conduce allequazione delle traiettorie:
= k ,

k=

0
0

La stabilit decisa dal segno dellautovalore doppio che uguale a p; e


risulta anche in questo caso che il nodo stabile per p < 0 e instabile per
p > 0.
Osservazione. In questo caso in cui si hanno due autovettori linearmente
indipendenti (base) con un autovalore doppio, tutti i vettori del piano delle
fasi, essendo esprimibili come combinazione lineare degli autovettori, sono a

240

A. Strumia, Meccanica razionale

Figura AQ. 26: nodo degenere stabile

Figura AQ. 27: nodo degenere instabile

loro volta autovettori e la matrice una trasformazione isotropa: A


I.
= p
Di conseguenza la matrice gi in forma diagonale. Per cui questo caso non
pu verificarsi quando il sistema deriva da unequazione del secondo ordine,
come nel nostro caso.
ii) A

non diagonalizzabile

In corrispondenza dei due autovalori reali coincidenti, esiste un solo


autovettore linearmente indipendente.
In questo caso si ha a disposizione un solo autovettore indipendente, in
quanto anche gli autovettori sono coincidenti, e manca una base di autovettori.

analisi qualitativa del moto

241

E quindi non si pu diagonalizzare la matrice. Tuttavia possibile portare la


matrice in una forma parzialmente semplificata (forma di Jordan ), costruendo
una matrice di similitudine S
definita nel modo seguente:
0
B

S
@

d1 u1
d2 u2

1
C
A

dove:
d (d1 , d2 )
lunico autovettore, normalizzato allunit e:
u (u1 , u2 )
un vettore che forma con esso una base ortogonale e non evidentemente
autovettore. Allora si ha:
d2 = 1,

du=0

Gli elementi della matrice riferita alla base di questi due vettori, cio dopo
la trasformazione di similitudine indotta da S
sono allora i seguenti:

A11 = d A
d=

A21 = u A
d=

= p,

ud=0

A12 = d A
u=1

A22 = u A
u=p

I valori di A11 e di A21 si ottengono facilmente tenendo conto che d


autovettore ricordando la relazione di ortogonalit tra i due vettori d, u. Il

242

A. Strumia, Meccanica razionale

valore di A12 non noto a priori, e pu essere sempre posto uguale allunit,
definendo opportunamente il modulo di u. Siamo sicuri che A12 6= 0,
altrimenti la matrice risulterebbe diagonale, e u sarebbe autovettore, contro
lipotesi. Il valore di A22 si determina tenendo conto che la trasformazione di
similitudine non altera la traccia di una matrice, per cui:

tr (A ) = tr (A
),

=)

p + A22 = 2 p

=)

A22 = p

Allora si ha la matrice nella forma di Jordan:

0
B

1
C
A

Il sistema delle equazioni differenziali, per le nuove variabili diviene, di


conseguenza:
8
>
<
>
:

= p +
= p

E immediato ottenere, dalla seconda equazione:


= 0 ep t
Sostituendo nella prima equazione abbiamo:
= p + 0 ep t
Lintegrale generale di questultima la somma dell integrale generale
della omogenea associata:

analisi qualitativa del moto

243

= p
e di un integrale particolare 1 della non omogenea. E facile verificare che:
= 0 ep t ,

1 = 0 t ep t

Quindi lintegrale generale del sistema risulta essere:


8
>
<
>
:

= (0 + 0 t) ep t
= 0 ep t

Sono queste le equazioni parametriche delle traiettorie di fase. Si osserva


che le traiettorie attraversano lasse delle ordinate, in corrispondenza del
valore del tempo = 00 .
Il rapporto tra le due equazioni conduce a:
=

0 + 0 t

Leliminazione completa del parametro si effettua risolvendo t dalla


seconda equazione parametrica:
1

t = log
p
0

Si ha allora lequazione cartesiana delle traiettorie di fase in forma


esplicitata rispetto a :
0

=
+ log
0
p
0

244

A. Strumia, Meccanica razionale

Differenziando possiamo ricavare informazioni sul comportamento della


tangente alla traiettoria di fase:

d =

"

0 1

+
1 + log
0 p
0

!#)

Da cui:
d
= n
0
d
+
0

1
p

1
1 + log

io

Si ha allora:
lim

!0

d
=0
d

Quindi la tangente nellorigine comune a tutte le traiettorie di fase ed


orizzontale.
Per quanto riguarda la stabilit, esaminando le equazioni parametriche e
osserviamo che per t ! +1 il fattore esponenziale prevalente e risulta
crescente per p > 0 e decrescente per p < 0, e lequilibrio risulta instabile nel
primo caso e asintoticamente stabile nel secondo.

analisi qualitativa del moto

245

Figura AQ. 28: nodo degenere stabile

Figura AQ. 29: nodo degenere instabile

3 - autovalori complessi coniugati:

p2

q<0

Fuochi
Gli autovalori sono dati da:
(1)

=p

p2 ,

(2)

=p+i q

p2

Anche nel caso complesso, come in quello reale, in corrispondenza di due


autovalori distinti, il problema agli autovalori ammette sempre due autovettori

246

A. Strumia, Meccanica razionale

linearmente indipendenti d1 , d2 , che formano, quindi, una base, essendo


luno il complesso coniugato dellaltro. La trasformazione di similitudine
ottenuta mediante la matrice S
di elementi:
(k)

Sik = di

porta, anche in questo caso, la matrice A

=S

nella forma diagonale:

A
S

e trasforma i vettori z secondo la legge:

z=S
z
(, ) diviene allora:
Il sistema differenziale per i nuovi stati z
= A S z

z
S


E quindi:

= A z

Ovvero, esplicitamente:
8
>
<
>
:

(1)

(2)

Le due equazioni sono disaccoppiate e sono luna complessa coniugata


dellaltra; lintegrale generale si scrive:

analisi qualitativa del moto

8
>
>
<
>
>
:

247

= 0 ep t e
= 0 ep t ei

q p2 t

q p2 t

essendo , 0 complesse coniugate di , 0 . Conviene allora separare la parte


reale da quella immaginaria:

= X + i Y, = X

i Y, 0 = X0 + i Y0 , 0 = X0

i Y0

ottenendo:
8
>
<
>
:

p
X = A ep t cos ( q

p2 t + )

p
A ep t sen ( q

Y =

(AQ.30)
p2 t + )

dove si tenuto conto del fatto che:

cos # =

ei # + e
2

i#

sen # =

cos

ei #

e
2i

i#

e si posto:
A=

X02 + Y02 ,

X0
,
A

sen

Y0
A

Abbiamo cos ricavato, anche in questo caso, le equazioni parametriche


della traiettoria di fase. Quadrando e sommando eliminiamo parzialmente il
parametro t ricavando:
X 2 + Y 2 = A2 e2 p t

248

A. Strumia, Meccanica razionale

Questa rappresenta una traiettoria di fase ad andamento spiraliforme. Una


singolarit di questo tipo prende il nome di fuoco. Per p > 0 il moto tende
ad allontanarsi indefinitamente dal punto di equilibrio e si ha quindi un fuoco
instabile, mentre per p < 0 la curva tende a schiacciarsi sul punto fisso, e il
moto tende asintoticamente allorigine; si ha allora un fuoco stabile. Quando
il fuoco stabile il sistema compie delle oscillazioni smorzate nellintorno
della configurazione di equilibrio stabile, come si gi visto esaminando
loscillatore armonico smorzato.

Figura AQ. 30: fuoco stabile

Figura AQ. 31: fuoco instabile

analisi qualitativa del moto

249

Stabilit
Si pu osservare che in tutti i casi esaminati, con la sola eccezione dei
punti di sella, che sono sempre instabili, vale il seguente criterio generale per
la stabilit dei punti di equilibrio:

lim k
zk =

t!+1

+1 se p > 0 equilibrio instabile


0
se p < 0 equilibrio asintoticamente stabile

Notiamo anche come i segni degli autovalori sono legati alla definitezza
di segno della matrice, la quale definita negativa se lequilibrio stabile e
definita positiva o non definita di segno se lequilibrio instabile.
Regola della divergenza. Ricordiamo, infine, che il parametro p legato

alla traccia della matrice A


dalla relazione:

2 p = tr (A
) = A11 + A22

Inoltre, per la (AQ.24), che definisce la matrice A


, abbiamo:
A11 =

@f1
(x , 0),
@x

A22 =

@f2
(x , 0)
@y

Quindi si ottiene:

@f1
@f2
2p =
(x , 0) +
(x , 0) = r f |u=u , r
@x
@y

@
@
,
@x @y

La stabilit di un punto singolare, non di sella, si pu valutare calcolando


la divergenza del vettore f che caratterizza il sistema, nel punto singolare. Se
questa negativa lequilibrio stabile, se positiva instabile.

250

A. Strumia, Meccanica razionale

Quadro riassuntivo

Possiamo riassumere tutti i risultati precedenti nel seguente quadro.

p2

8
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
<

8
>
>
>
>
>
>
<

> 0, q >
>
>
>
>
>
:

q > =0
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
>
:

> 0 nodi,

>
:

> 0 instabili
< 0 stabili

< 0 punti di sella instabili

nodi degeneri,
8
>
>
>
>
>
>
<

8
>
<

8
>
<

p >
:

> 0 instabili
< 0 stabili

> 0 f uochi instabili

< 0, p > = 0 centri stabili


>
>
>
>
>
:

< 0 f uochi stabili

che risulta meglio visualizzabile mediante un grafico nel piano delle variabili
q, p.

analisi qualitativa del moto

251

p
nodi instabili

p2 = q
fuochi instabili

selle instabili

selle instabili

centri stabili

fuochi stabili
nodi stabili

Figura AQ. 32: grafico riassuntivo delle singolarit al variare di p, q

Pendolo in presenza di resistenza del mezzo


Lequazione del secondo ordine che governa il moto del pendolo, in
presenza di resistenza del mezzo, la seguente:
m `2 # + h `# + m g sen # = 0
Il sistema delle equazioni del primo ordine allora:
8
>
<

essendo:

>
:

x = y
y =

! 2 sen x + 2 p y

252

A. Strumia, Meccanica razionale

g
!2 = ,
`

2p =

h
m`

Notiamo, che per definizione p sempre negativo. Si ha quindi:


'(x, y) =

! 2 sen x + 2 p y

Segue che:
@'
=
@x

@'
= 2p
@y

! 2 cos x,

I punti di equilibrio sono:


x1 = 0,

x2 =

Le soluzioni periodiche individuano le stesse configurazioni. Abbiamo


allora, allequilibrio le seguenti matrici:
i) nel punto di equilibrio: x1 = 0

0
1
!2 2 p

Lequazione caratteristica :
2

2 p + !2 = 0

Quando il suo discriminante ridotto:

analisi qualitativa del moto

253

= p2

!2

positivo abbiamo due radici reali distinte. Poich p < 0 e q = ! 2 > 0 si


ha che la singolarit un nodo stabile. Siamo nel caso in cui la resistenza del
mezzo prevalente.
Quando il discriminante nullo si hanno due radici reali coincidenti, e
quindi si ha un nodo degenere, che, essendo p < 0, stabile.
Quando il discriminante negativo si hanno due radici complesse
coniugate, quindi si ha un fuoco stabile, essendo p < 0.
ii) nel punto di equilibrio: x2 =
A

0 1
!2 2 p

Lequazione caratteristica :
2

2p

!2 = 0

Il discriminante ridotto:

= p2 + ! 2

sempre positivo e quindi abbiamo due radici reali distinte. Poich p < 0 e
q = ! 2 < 0 si ha che la singolarit un punto di sella sempre instabile.

254

A. Strumia, Meccanica razionale

Figura AQ. 33: diagramma di fase del pendolo in presenza di forte resistenza
del mezzo

analisi qualitativa del moto

255

Figura AQ. 34: diagramma di fase del moto oscillatorio smorzato del pendolo

256

A. Strumia, Meccanica razionale

Soluzioni periodiche e cicli limite


Si dice soluzione periodica di un sistema differenziale, una soluzione u(t)
tale che possibile trovare un intervallo di tempo dopo il quale la soluzione
si ripete in ogni istante, cio:
8t > 0

u(t + ) = u(t),

Si chiama allora periodo il minimo dei valori positivi che pu assumere:

T = min ,
2A

A = { 2 R+ ; u(t + ) = u(t), 8t > 0}

Si dice ciclo limite una soluzione periodica uL (t) che gode delle seguenti
propriet:
i) esiste un " 2 R+ tale che qualunque altra traiettoria di fase, distinta dal
ciclo limite, per cui, almeno in un punto u si ha:
ku

uL k < "

non una soluzione periodica del sistema. Per questo si dice che il ciclo limite
rappresenta una soluzione periodica isolata.
ii) Ogni altra soluzione nellintorno del ciclo tende asintoticamente al
ciclo o proviene asintoticamente dal ciclo, cio si verifica una delle due
condizioni:
lim ku(t)

t!+1

oppure:

uL k = 0

analisi qualitativa del moto

257

lim ku(t)

uL k = 0

t! 1

Se si verifica, per ogni soluzione nellintorno del ciclo, la prima


situazione, si dice che il ciclo stabile; se si verifica sempre la seconda
situazione si dice che il ciclo instabile. Se si verifica una delle due situazioni
per le soluzioni le cui condizioni iniziali sono esterne alla curva di fase che
identifica il ciclo e laltra per le soluzioni le cui condizioni iniziali sono
interne, si parla di ciclo semistabile.
Perch si abbia un ciclo limite il sistema autonomo deve essere non
lineare. Infatti un sistema lineare che ammette una soluzione periodica ne
ammette infinite altre vicina ad essa, poich lequazione caratteristica del
sistema non dipende dalle condizioni iniziali.
Un esempio si ha considerando il sistema differenziale:
8
>
<

La soluzione:

>
:

x2

x = y + x (1

y2)
(AQ.31)

y =

x + y (1

x(t) = cos t,

x2

y(t) =

y2)

sen t

identifica la traiettoria di fase:


x2 + y 2 = 1
che rappresenta un ciclo limite. Si pu evidenziare il fatto che le
altre soluzioni, in prossimit del ciclo, non sono periodiche e tendono
asintoticamente al ciclo, passando in coordinate polari e scrivendo
lequazione differenziale per r. Possiamo moltiplicare la prima equazione
del sistema (AQ.31) per x e la seconda per y e sommare; otteniamo:

258

A. Strumia, Meccanica razionale

x x + y y = (x2 + y 2 )(1

x2

y2)

In termini di:
r=

x2 + y 2

abbiamo:
r r = r2 (1

r2 )

Ovvero, semplificando:
r = r(1

r2 )

nella quale il ciclo rappresentato dallequazione r = 1.


Possiamo allora linearizzare lequazione per r nellintorno del ciclo,
sviluppando la funzione:
(r) = r(1

r2 )

nellintorno di r = 1.
Si ha allora:
(r) =

2 r + 2 + O (r

E quindi lequazione linearizzata per r:


r + 2 r = 2

1)2

analisi qualitativa del moto

259

Lintegrale generale della quale :


r(t) = r0 e

2t

+1

che rappresenta una soluzione non periodica. Poich si ha:


lim r(t) = 1

t!+1

il ciclo stabile.

Figura AQ. 35: ciclo limite stabile

Figura AQ. 36: ciclo limite instabile

260

A. Strumia, Meccanica razionale

Figura AQ. 37: ciclo limite semistabile

Figura AQ. 38: ciclo limite semistabile

Un esempio classico di ciclo limite in un sistema autonomo dato


dallequazione di Van der Pol, nata nellambito dellelettronica:
x

(1

x2 ) x + x = 0

(AQ.32)

che rappresenta un oscillatore con il coefficiente di resistenza variabile in


funzione del campo.

analisi qualitativa del moto

261

Figura AQ. 39: ciclo limite di Van der Pol

Anche i sistemi non autonomi possono generare dei cicli limite, e questo
pu accadere anche se il sistema lineare, come nel caso della risonanza
delloscillatore forzato: la frequenza forzante tende a stabilizzare il moto su
una soluzione periodica isolata di frequenza pari alla frequenza forzante; i
transienti smorzandosi asintoticamente comportano che ogni soluzione tenda
al ciclo limite che rappresenta una soluzione asintoticamente stabile.

262

MECCANICA DEI CONTINUI

264

A. Strumia, Meccanica razionale

MC. Meccanica dei continui deformabili


Cinematica
Un sistema di punti materiali in numero sufficientemente elevato da non
essere macroscopicamente distinguibili luno dallaltro, per rapporto ai mezzi
strumentali che si impiegano o allinteresse dellindagine che si conduce, pu
essere, in molti casi, descritto adeguatamente come una distribuzione di punti
che ha la potenza del continuo. In questo caso se non si sottomette il sistema
al vincolo di rigidit, si ha un sistema continuo deformabile.
La descrizione cinematica del continuo si pu realizzare assegnando,
istante per istante, le coordinate dei suoi punti in funzione di una variabile
di evoluzione che, solitamente, il tempo t. Si distinguono allora una
configurazione di riferimento, che descrive il continuo per un valore fissato
di t (generalmente listante iniziale t = 0) e una configurazione attuale,
corrispondente al valore attuale t del tempo.

P*
x
X
C

Figura MC. 1: configurazione di riferimento e configurazione attuale


Scelta unorigine O si possono identificare i punti della configurazione di
riferimento C , mediante il loro vettore posizione:
X = OP

meccanica dei continui

265

e i punti della configurazione attuale C mediante i corrispondenti vettori


posizione:
x = OP (t)
Le variabili attuali x verranno a dipendere sia dal punto P considerato,
che mantiene durante il moto la sua individualit fisica, sia dallistante
considerato. Dunque si pu scrivere:
x = x(X, t)

(MC.1)

Punto di vista lagrangiano


Se si considera un punto particolare del continuo, cio si fissa un valore
allora la:
X,
t)
x = x(X,
Al
rappresenta una curva nello spazio, che la traiettoria del punto X.
si ha la famiglia di tutte le traiettorie dei punti del continuo.
variare di X
Stiamo descrivendo levoluzione del continuo dal punto di vista lagrangiano.

266

A. Strumia, Meccanica razionale

P*

^
X

x(^
X , t)
O

Figura MC. 2: punto di vista lagrangiano

Punto di vista euleriano


Se invece fissiamo listante di tempo a un valore assegnato t, la funzione:
x = x(X, t)
rappresenta una legge di corrispondenza geometrica tra i punti della
configurazione di riferimento e quelli della configurazione attuale. Stiamo
adottando il punto di vista euleriano, dal momento che assegnamo la
legge di distribuzione dei punti del continuo nella configurazione attuale,
corrispondenti ai punti della configurazione di riferimento, assunta come uno
spazio di controllo.
La condizione che garantisce che i punti mantengano la propria
individualit si traduce nella richiesta che la legge di trasformazione che
permette di passare dalla configurazione di riferimento alla configurazione
attuale sia biunivoca.

meccanica dei continui

267

P*

Q*
x(X , ^t)
C

Figura MC. 3: punto di vista euleriano

Deformazione
Adottando il punto di vista euleriano possiamo mettere in evidenza
i mutamenti geometrici intercorsi nel passaggio dalla configurazione di
riferimento alla configurazione attuale. In particolare se possibile trovare
un operatore di rotazione propria R
tale che:
x=R
X

(MC.2)

diremo che il corpo ha compiuto una rotazione rigida; in caso contrario


diremo che esso ha subito una deformazione. In questultimo caso la legge:

x = x(X)

(MC.3)

sar la legge di deformazione globale del corpo. Omettiamo la variabile


t che dal punto di vista euleriano fissata. Facendo lipotesi che tale
legge sia rappresentata mediante una funzione differenziabile e passando ai
differenziali, otteniamo la legge di deformazione locale:

dx = F
dX

(MC.4)

268

A. Strumia, Meccanica razionale

La matrice F
che rappresenta la matrice jacobiana della trasformazione
prende il nome di gradiente di deformazione. Si usa anche la notazione
equivalente:

dP = F
dP

(MC.5)

Poich la legge di deformazione, in forma globale, supposta biunivoca,


segue che la matrice F
non singolare:
(MC.6)

det(F
) 6= 0
Infatti, scelti due punti vicini X 1 , X 2 in C segue che:
x1

x2 = F
(X 1

X 2 ) + O(2)

Dovendo essere:
x1

x2 = 0

()

X1

X2 = 0

si ha, trascurando gli infinitesimi del secondo ordine, che:


F
(X 1

X 2) = 0

()

X1

X2 = 0

Quindi F
non pu avere autovettori corrispondenti ad autovalori nulli, e
dunque non pu avere determinante nullo.
La deformazione del corpo viene caratterizzata dalla violazione della
condizione di rigidit, cio, in termini locali, dal legame tra |dP |2 e |dP |2 .
Abbiamo:
2

|dP | = F
dP F
dP = dP F
F
dP

meccanica dei continui

269

Matrice di deformazione di Green


Risulta naturale allora introdurre la matrice di deformazione di Green:
T

(MC.7)

B
=F
F

dalla quale effettivamente dipende la deformazione, e riscrivere:

|dP |2 = dP B
dP

(MC.8)

La matrice B
evidentemente non singolare, in quanto F
non
singolare, e gode delle seguenti due propriet:
i) simmetrica. Infatti:

= F
F

=F
F
=B

ii) definita positiva. Infatti si ha:

2
vB
v =vF
F
v=F
vF
v = |F
v| > 0,

8v 6= 0

Osserviamo che se B
I si ha la condizione di rigidit:
=
|dP |2 = |dP |2
cio non c deformazione. Questa condizione si traduce, per il gradiente di
deformazione, nella condizione:
T

F
I
F
=

=)

det(F
) = 1

270

A. Strumia, Meccanica razionale

Ovvero la matrice F
deve essere unitaria (ortogonale). Se il determinante
vale +1 la matrice rappresenta una rotazione propria; se vale 1 la rotazione
viene ad essere composta con una inversione spaziale. Dunque le matrici di
rotazione sono quelle che realizzano gli spostamenti rigidi del continuo.
Ricordiamo che ogni matrice F
non singolare si pu rappresentare nella
forma polare, cio come prodotto di una matrice di rotazione e di una matrice
2
T
simmetrica e definita positiva F
= R
A
, dove A
= F
F
. Allora la
matrice di deformazione di Green descrive leffettiva parte di deformazione
del gradiente di deformazione, laltra parte essendo una rotazione rigida del
corpo.
Matrice di deformazione di Cauchy
Si introduce anche la matrice di deformazione di Cauchy:
1
" = (B
2

I)

(MC.9)

Questa matrice simmetrica , ma non definita positiva. Si ha allora la


seguente scrittura per la legge di deformazione locale:
|dP |2 = |dP |2 + 2 dP " dP

(MC.10)

Lintroduzione di questa matrice permette di separare il contributo dovuto


alla deformazione come addendo rispetto al contributo dovuto alla rotazione
rigida del continuo.
Scelta delle basi di riferimento: rappresentazione indiciale
Le equazioni espresse in forma assoluta possono essere opportunamente
proiettate, scegliendo le basi degli spazi ai quali riferire i vettori e
gli operatori. E opportuno considerare come distinti gli spazi della

meccanica dei continui

271

configurazione di riferimento e della configurazione attuale, scegliendo le


basi per ciascuno di essi. Abitualmente si denota con {ei } la base dello
spazio della configurazione attuale e con {eI } la base dello spazio della
configurazione di riferimento. Si ha allora, se le basi sono ortonormali:
ei ek =

eI eK =

ik ,

IK

(MC.11)

Si assume come regola che gli indici minuscoli si riferiscono alle


componenti relative alla base dello spazio della configurazione attuale, e le
lettere maiuscole si riferiscono alle componenti relative alla base dello spazio
della configurazione di riferimento. Le grandezze dotate di indici maiuscoli
prendono il nome di variabili lagrangiane, mentre quelle dotate di indici
minuscoli prendono il nome di variabili euleriane. Grandezze a pi indici
possono presentarsi anche in forma mista lagrangiana ed euleriana, quando
possiedono indici maiuscoli e minuscoli.
Scelte le basi nello spazio possiamo rappresentare il gradiente di
deformazione F
. Abbiamo la rappresentazione indiciale della (MC.5):
dxi = FiK dXK
Ma:

dxi =

@xi
dXK
@XK

Quindi risulta:

FiK =

@xi
@XK

(MC.12)

Si ha allora anche la rappresentazione relativa della matrice di


deformazione di Green:

272

A. Strumia, Meccanica razionale

T
BIK = FIj
FjK = FjI FjK

(MC.13)

Notiamo come la matrice di deformazione sia lagrangiana, mentre il


gradiente di deformazione presenta una forma mista, in quanto lega le due
rappresentazioni.
Per la matrice di deformazione di Cauchy si ha:
"IK =

1
(BIK
2

IK )

(MC.14)

Coefficiente di dilatazione lineare


Consideriamo un vettore dP , di versore u , nella configurazione di
riferimento C e il corrispondente vettore dP nella configurazione attuale C.
Si definisce coefficiente di dilatazione lineare nella direzione u la quantit
adimensionale:

u =

d`
d`

(MC.15)

dove:
d` = |dP |,

d` = |dP |

Tenendo presente la (MC.8) si ha:

d` =

u B
u d`

E quindi segue lespressione del coefficiente di dilatazione lineare:

meccanica dei continui

273

u =

u B
u

(MC.16)

Notiamo che la radice sempre definita in quanto la matrice B


definita
positiva.
In termini della matrice di deformazione di Cauchy si ha poi:

u =

1 + 2 u " u

(MC.17)

Il coefficiente di dilatazione lineare dipende generalmente dalla scelta del


versore u . In particolare la scelta di u coincidente con uno dei versori degli
assi cartesiani fornisce i tre coefficienti:

B11

1,

B22

1,

B33

Questo risultato permette di interpretare il significato degli elementi della


diagonale principale della matrice di deformazione di Green, in quanto legati
ai coefficienti di dilatazione lineare in direzione degli assi:

B11 = (1 +

2
1) ,

B22 = (1 +

2
2) ,

B33 = (1 +

2
3)

Se i tre coefficienti sono uguali si ha una dilatazione lineare isotropa; se


solo due coefficienti sono uguali lisotropia limitata al piano dei versori degli
assi corrispondenti.
Per la matrice di Cauchy si ha poi:

274

A. Strumia, Meccanica razionale

"11 =

1
2

[(1 +

2
1)

1] =

1
2

2
1

"22 =

1
2

[(1 +

2
2)

1] =

1
2

2
2

"33 =

1
2

[(1 +

2
3)

1] =

1
2

2
3

Notiamo che per piccole deformazioni (teoria linearizzata), trascurando


i termini quadratici, i coefficienti di dilatazione lineare coincidono con gli
elementi della diagonale principale della matrice di deformazione di Cauchy.

P*

P
dP*

C*

dP

Figura MC. 4: dilatazione lineare

Deformazione angolare
La deformazione angolare
di un continuo viene caratterizzata
considerando langolo fra due vettori dP e dP 0 , di versori rispettivi u e
u0 , prima e dopo la deformazione.
Si ha allora:

0
dP dP 0 = F
dP F
dP = dP B
dP = |dP ||dP | u B
u

meccanica dei continui

275

dP*
P*

dP

dP'

dP'*
C

Figura MC. 5: deformazione angolare

Ma grazie ai risultati precedenti:

dP dP = |dP ||dP | cos # = |dP ||dP |

0
u0 B
u cos #

Di conseguenza rimane determinato il coseno dellangolo tra i vettori


dopo la deformazione:

cos # = r

0
u B
u

u0

u0

(MC.18)

che si pu riscrivere, mediante i coefficienti di dilatazione lineare, nella forma


pi semplice:

cos # =

0
u B
u

(1 + u )(1 + u0 )

(MC.19)

Lintroduzione della matrice " consente di far comparire cos # ,


ottenendo una relazione che lega direttamente gli angoli nelle due
configurazioni:

276

A. Strumia, Meccanica razionale

cos # =

cos # + 2 u " u0
(1 + u )(1 + u0 )

(MC.20)

Si nota che se i due versori coincidono non c deformazione angolare, in


quanto i versori sovrapposti prima della deformazione rimangono tali anche
dopo la deformazione.
Se si scelgono i versori degli assi eI si ottengono i seguenti risultati:

cos #IK =

cos #IK =

BIK
(1 + I )(1 +
IK

(1 +

K)

+ 2 "IK
I )(1 + K )

essendo I i coefficienti di dilatazione lineare relativi ai versori degli


assi cartesiani e non essendoci somma sugli indici. Solo se I 6= K
si ha deformazione angolare; dunque gli elementi che non appartengono
"
alla diagonale principale delle matrici B
e sono responsabili della
deformazione angolare:
BIK = (1 +

"IK =

I )(1

1
BIK ,
2

K ) cos #IK

I 6= K

Le direzioni degli autovettori della matrice B


, che sono anche autovettori
della matrice " , si dicono direzioni principali di deformazione. Se le
matrici di deformazione si presentano in forma diagonale i versori degli assi,
essendo autovettori, rimangono inalterati dopo la deformazione e non si ha
deformazione angolare relativamente alle loro direzioni.

meccanica dei continui

277

Coefficiente di dilatazione superficiale


Lanalisi della deformazione di un elemento di superficie si pu realizzare
considerando la trasformazione di un elemento d di C legato al prodotto
vettoriale di due vettori dP e dP 0 aventi origine comune in un punto P del
continuo.

dP*

P*

dP

dP'

dP'*
C

*
Figura MC. 6: dilatazione superficiale

Si pu allora scrivere:

dP ^ dP 0 = n d ,

dP ^ dP 0 = N d

essendo n , N i versori normali ai parallelogrammi dei vettori in C e in C.


Si definisce coefficiente di dilatazione superficiale
adimensionale:

d
d

Ora dallalgebra delle matrici sappiamo che:

la quantit

(MC.21)

278

A. Strumia, Meccanica razionale

A
a^A
b=A

(a ^ b)

Quindi:

0
dP ^ dP 0 = F
dP ^ F
dP = F

(dP ^ dP 0 )

Segue allora:
Nd =F

n d

Notiamo che N differisce normalmente da n = F


n.

Possiamo eliminare N e risolvere per d elevando al quadrato entrambi i


membri della relazione appena ottenuta, tenendo conto che N un versore.
Abbiamo in tal modo:

(d )2 = (d )2 F

n F

n = (d )2 n F

Ora:

= det(F
)F

Per cui si ha:

In conclusione:

i2

= det(F
) F

1 T

=B

meccanica dei continui

279

i2

(d )2 = (d )2 det(F
)

n B

Da cui, tenendo conto delle relazioni tra i determinanti:


r

|d | = |d | det(B
)n B

(MC.22)

Si ha allora il coefficiente di dilatazione superficiale:

det(B
)n B

(MC.23)

Si noti, come anche in questo caso non compare direttamente la matrice


F
, ma la matrice B
che contiene le sole informazioni sulla deformazione e
non influenzata dalle eventuali rotazioni rigide.

Coefficiente di dilatazione cubica


Le deformazioni dei volumi sono le pi semplici da ottenere, in quanto
sappiamo che gli elementi di volume centrati in P, P si trasformano secondo
la legge:

dC = det(F
) dC

Di conseguenza il coefficiente di dilatazione cubica definito come:

dC
dC

(MC.24)

280

A. Strumia, Meccanica razionale

dato semplicemente da:

= | det(F
)|

(MC.25)

Notiamo che c = 0 non solo per i corpi rigidi, ma pi in generale


per i continui per i quali | det(F
)| = 1, condizione molto pi debole della
unitariet della matrice. Tali continui si dicono incomprimibili.

P
P*

~
dC*

dC
C

*
Figura MC. 7: dilatazione cubica

Problema inverso
Finora ci siamo preoccupati di ottenere informazioni sulla configurazione
attuale di un continuo supponendo di conoscere la configurazione di
riferimento (problema diretto ). Ci chiediamo ora come si pu ottenere
la configurazione di riferimento quando sia nota la configurazione attuale
(problema inverso ).
Nel problema diretto tutte le deformazioni dipendono dalla matrice B
=

F
F
. Ci chiediamo ora da quale matrice di deformazione dipendono le
deformazioni nel problema inverso.

meccanica dei continui

281

F -1

Figura MC. 8: problema diretto e problema inverso

Per rispondere partiamo dalla relazione:

dP = F
dP

che risolviamo ora per dP :


1

dP = F

dP

Elevando al quadrato entrambi i membri otteniamo:

(dP ) = F

dP F

dP = dP F

1 T

dP = dP C
dP

Calcoliamo esplicitamente la nuova matrice di deformazione:

C
= F

Osserviamo che:

1 T

= F
F

282

A. Strumia, Meccanica razionale

C
= F
F

non coincide con B

Introducendo:

(MC.26)

come ci si sarebbe a prima vista potuti aspettare.

D
=C

=F
F

(MC.27)

possiamo confrontare D
eB
. Rappresentando F
in forma polare possiamo
scrivere:
F
=R
A
,

=B
,

=A

essendo R
una rotazione rigida. Allora si pu scrivere:
D
=F
F

=R
A

R
A

=R
A
R

Quindi:
D
=R
B
R

()

B
=R
D
R

(MC.28)

Le due matrici risultano legate tra loro da una trasformazione di


similitudine che chiama in causa la rotazione rigida conglobata nel gradiente
di deformazione. Se F
I , le matrici
una deformazione pura, cio se R
=
D
eB
coincidono.

Statica
Dopo lanalisi geometrica e cinematica delle deformazioni, per passare
alla statica e alla dinamica dei continui occorre introdurre una classificazione

meccanica dei continui

283

delle forze agenti sul continuo. Classifichiamo le forze in forze esterne


forze interne al continuo o al tratto di continuo in esame.

Forze esterne
Le forze esterne possono agire su ogni elemento di volume del continuo
(come ad esempio il peso) e in questo caso vengono chiamate forze di massa
, e descritte mediante una legge di distribuzione del tipo:

dF massa = F dC

(MC.29)

essendo la densit di massa per unit di volume, e F la densit di forza


per unit di massa, cosicch F rappresenta la densit di forza per unit
di volume; F dC fornisce allora lelemento di forza nella configurazione
attuale.

C
dC

F dC
Figura MC. 9: forze di massa agenti su un continuo

Unaltra classe di forze esterne rappresentata dalle forze di superficie


le quali sono presenti solo sulla superficie esterna del continuo (o del tratto
di continuo considerato). Queste si descrivono mediante una legge di
distribuzione alla superficie, del tipo:

284

A. Strumia, Meccanica razionale

(MC.30)

dF sup = f d

essendo d lelemento della superficie esterna del continuo, e f la densit


di forza per unit di superficie. (Si escludono forze concentrate se si
vuole mantenere la continuit per passare dalla formulazione integrale alla
formulazione differenziale).

fd

d
Figura MC. 10: forze di superficie in un continuo

Forze interne
Vi sono poi le forze interne che nascono come sforzi ai quali il materiale
sottoposto, in reazione alle forze esterne, per realizzare lequilibrio. Poich
gli sforzi sono di natura interna, per evidenziarli occorre considerare un
sottosistema costituito da una parte interna al continuo. Tale tratto di continuo
sar contenuto da una superficie che lo delimita. In ogni punto della superficie
consideriamo il piano tangente e il versore u, normale ad esso, uscente dalla
superficie, che opposto alla normale geometrica n che, convenzionalmente
scelta rivolta verso linterno.
Denotiamo con d lelemento darea nel piano tangente e con:
dF cont = tu d

(MC.31)

meccanica dei continui

285

la legge di distribuzione che d lelemento della forza interna, denominata


anche forza di contatto. In generale tu non avr la direzione di u, ma una
direzione diversa che varia al variare di u, cio della scelta della superficie,
che delimita il tratto di continuo che si prende in esame, e del punto
considerato. Il vettore tu prende il nome di sforzo specifico nella direzione
u.

tn

Figura MC. 11: forze di contatto in un continuo

Formula di Cauchy
Supposto lequilibrio del continuo sussiste, come condizione necessaria,
la prima equazione cardinale della statica:
R(e) = 0
Sappiamo, infatti, che le equazioni cardinali sono condizioni sempre
necessarie per lequilibrio di un corpo, e divengono sufficienti solamente
se il corpo rigido. Su ogni tratto interno al continuo devono, perci farsi
equilibrio le forze di massa e le forze di contatto. Le forze di superficie,
presenti sulla superficie esterna del continuo, non sono qui chiamate in causa,
perch stiamo esaminando una parte interna del continuo, che non delimitata
dalla superficie esterna.

286

A. Strumia, Meccanica razionale

Sono dunque presenti solamente le forze di massa e le forze di contatto.


La condizione di equilibrio del continuo perci data, in forma globale,
integrando sul dominio interno C, che rappresenta un sottosistema rispetto
a tutto il continuo C.
Abbiamo:
Z

essendo

tn d +

(MC.32)

F dC = 0

= @ C la superficie di frontiera del dominio

C.

Questa relazione specializza la prima equazione cardinale della statica per


il tratto interno al continuo C.
In particolare, utilizzando il teorema della media, si pu scrivere:
Z

F dC =
^
F C

da cui segue, nella (MC.32):


Z

tn d =

^
F C

essendo
^
F il valore della funzione F calcolata in un punto opportuno del
dominio C e:
C=

dC

la misura (volume) del dominio stesso.


Di conseguenza in ogni punto P del dominio si ha, passando al limite:

meccanica dei continui

287

lim

C!0

1 Z
C

tn d =

(MC.33)

Questo risultato ci consente di stabilire il legame tra lo sforzo specifico


in una direzione qualunque e gli sforzi specifici nella direzione dei versori
degli assi ti . Infatti se consideriamo un dominio C costituito da un tetraedro
che ha il vetrice in un punto P scelto come origine di un sistema di assi
cartesiani P x1 x2 x3 e la faccia obliqua rispetto agli assi normale al versore
u nella direzione del quale vogliamo calcolare lo sforzo specifico, avremo:
=
essendo
obliqua.

le facce del tetraedro giacenti sui piani coordinati e

x 3

u
e
P 3
e
e
1 2

x2

x1

Figura MC. 12: tetraedro di Cauchy


Allora si ha:
Z

tn d =

t1 d +
1

t2 d +
2

t3 d
3

tu d

la faccia

288

A. Strumia, Meccanica razionale

avendo tenuto conto che il versore u rivolto verso lesterno della superficie,
mentre i versori ei sono diretti verso linterno; questo spiega il segno negativo
nellultimo integrale. Allora la relazione (MC.33) si specializza nella:

lim

h!0

3
Ah

t1 d +
1

t2 d +
2

t3 d
3

tu d

dove C = 13 A h il volume del tetraedro che ha base A e altezza h. Dal


momento che la quantit a secondo membro F limitata, mentre h1 ! 1
necessariamente deve essere zero il limite:
1
h!0 A
lim

t1 d +
1

t2 d +
2

t3 d
3

tu d

=0

Applicando il teorema della media ai vari integrali possiamo ottenere:


lim

h!0

1
(Ai^
ti
A

A^
tu ) = 0

essendo ^
ti ,^
tu i valori medi degli sforzi sulle rispettive superfici e Ai , A le
aree delle rispettive facce del tetraedro. E facile verificare che, essendo i le
proiezioni di sui piani coordinati, risulta:
A i = A ui
dove le ui sono le componenti di u, cio i coseni direttori della retta di versore
u. Allora si pu riscrivere:
lim (^
ti ui ^
tu ) = 0

h!0

Da cui:

meccanica dei continui

289

tu = ti ui

(MC.34)

t u = t 1 u1 + t2 u2 + t3 u 3

(MC.35)

Per esteso:

Questo risultato noto come formula di Cauchy. Osserviamo che, dal


momento che gli sforzi in direzione degli assi non dipendono da u, la formula
di Cauchy viene a stabilire una dipendenza lineare dello sforzo specifico tu
dalle componenti di u. Utilizzando la rappresentazione indiciale possiamo
legare, allora, le componenti di tu alle componenti di u mediante la relazione
lineare:
ti u = tik uk

(MC.36)

relazione che evidenzia il carattere matriciale della distribuzione degli sforzi


nel continuo. Introducendo la matrice degli sforzi:
t ktik k

(MC.37)

si pu scrivere la relazione in termini simbolici, come:


tu = t u

(MC.38)

Principio di Pascal
Come applicazione della formula di Cauchy consideriamo il principio
di Pascal nei fluidi: tale principio afferma che in un fluido la pressione
identica in tutte le direzioni.

290

A. Strumia, Meccanica razionale

La deduzione del principio di Pascal si pu realizzare considerando, come


fece Cauchy, che la pressione in un fluido uno sforzo che sempre parallelo
al versore u, cio:
tu = pu u,

8u

In particolare nella direzione degli assi si ha:


t1 = p1 e1 ,

t2 = p2 e2 ,

t3 = p3 e3

Di conseguenza la formula di Cauchy diventa:


pu u = p1 e1 u1 + p2 e2 u2 + p3 e3 u3
Proiettando sui versori della base si ottiene:
pu = p1 ,

pu = p 2 ,

pu = p 3

Dunque la pressione in direzione degli assi la stessa e si pu indicare


semplicemente con p e uguaglia la pressione in qualsiasi direzione u. La
matrice degli sforzi, in un fluido, risulta allora essere una dilatazione isotropa:
t = p
I

(MC.39)

Il risultato ovvio dal punto di vista dellalgebra delle matrici, dal


momento che la condizione imposta da Cauchy che lo sforzo sia sempre
parallelo ad u si traduce nella richiesta per la matrice t che il problema
agli autovalori:
(t

I)u = 0

meccanica dei continui

291

sia soddisfatto da qualunque vettore dello spazio. Ma questo significa che la


matrice necessariamente proporzionale allidentit e i suoi autovalori sono
quindi coincidenti.
Un continuo la cui matrice degli sforzi ha la forma (MC.39) con p > 0
prende il nome di fluido perfetto.
Condizioni al contorno
Finora abbiamo esaminato il comportamento degli sforzi allinterno del
continuo. Ora coinvolgiamo anche la superficie esterna, occupandoci delle
condizioni al contorno. A questo scopo esaminiamo il bilancio delle forze su
un tratto del continuo, una faccia della cui superficie si trova adiacente alla
superficie esterna del continuo stesso. Consideriamo un cilindretto le cui basi
sono infinitesime, luna delle quali, denotata con d, appartiene alla frontiera
del continuo; mentre laltra, denotata con d , interna al continuo stesso.
Lelemento di volume del cilindretto elementare di base d e altezza d si
pu allora scrivere:

dC = d d
Quindi lelemento della forza di massa agente sul cilindretto elementare
dato da:

F dC = F d d
Per cui integrando lungo laltezza del cilindro di altezza finita `, si ottiene
il contributo delle forze di massa agenti su questo cilindro:

dF massa =

Z `
0

F d d

292

A. Strumia, Meccanica razionale

dove abbiamo identificato con = 0, = ` le ascisse dei centri delle due basi
lungo un asse diretto come lasse di simmetria del cilindro. Sulla superficie
laterale del cilindro agiscono solo le forze di contatto il cui elemento vale:
tn0 d

= 2 tn0 dr d

= 2 dr d

essendo:

lelemento della superficie laterale del cilindro di raggio elementare dr; e


avendo denotato con n0 la normale alla superficie laterale. Integrando lungo
laltezza abbiamo il contributo delle forze di contatto agenti sulla superficie
laterale del cilindro di altezza `:

dF lat = 2

Z `
0

tn0 d dr

Rimane ancora il contributo delle forze di contatto sulla base interna, la


cui normale N :
dF int = tN d
Il contributo della forze di superficie agenti sulla base esterna dato invece
dallespressione:
dF sup = f d
Imponendo allora la prima equazione cardinale della statica, specializzata
per il cilindro considerato, otteniamo la condizione:

meccanica dei continui

Z `
0

293

F d d + 2

Z `
0

tn0 d dr + tN d + f d = 0

Applicando il teorema della media ai due integrali otteniamo:

^
F ` d + 2 `^
tn0 dr + tN d + f d = 0
Passando al limite per ` ! 0 verso la superficie esterna rimane:
(tN + f ) d = 0
dove abbiamo raccolto lelemento di superficie comune che si identifica con
quello della superficie esterna. Si ottiene quindi:
tN + f = 0
Per quanto riguarda le normali abbiamo evidentemente:
N=

in quanto le due normali puntano verso linterno del cilindro partendo dai
centri delle basi opposte. Si ottiene dunque la condizione al contorno:
tn = f

(MC.40)

Mediante la formula di Cauchy questa condizione si esprime anche nella


forma:
ti ni = f

(MC.41)

294

A. Strumia, Meccanica razionale

ovvero in termini della matrice degli sforzi:


(MC.42)

t n = f

n
N

'

Figura MC. 13: condizioni al contorno

Principio di indifferenza materiale


E noto che il lavoro delle forze interne in un corpo rigido nullo, grazie
al principio di azione e reazione e alla legge di distribuzione degli spostamenti
rigidi. Si ritiene del tutto ragionevole, perci, assumere che anche in un corpo
non rigido, qualora esso venga assoggettato a spostamenti rigidi, il lavoro
delle forze interne risulti nullo.

Condizioni di equilibrio di un continuo


Per determinare lequilibrio del continuo assumeremo che:
i) i vincoli siano lisci, in modo che il principio dei lavori virtuali
costituisca una condizione necessaria e sufficiente per lequilibrio;

meccanica dei continui

295

ii) i vincoli siano bilaterali, in modo da avere solo spostamenti reversibili e


ottenere delle equazioni e non delle disequazioni. Questo necessario perch
le condizioni di equilibrio sono, per il continuo, delle equazioni differenziali
per le funzioni incognite e occorre escludere le configurazioni di confine dove
possono verificarsi delle discontinuit;
iii) valga il principio di indifferenza materiale per poter determinare il
lavoro delle forze interne.
Sotto queste ipotesi il principio dei lavori virtuali fornisce la seguente
condizione di equilibrio:
L(e,a) + L(i,a) = 0,

8 x

Dal momento che il corpo non rigido si avr in generale:


L(i,a) 6= 0
Mentre per un corpo rigido sappiamo che le forze interne sono tutte di
natura vincolare e compiono lavoro nullo, di conseguenza non c lavoro delle
forze interne attive perch queste sono nulle.
Uno spostamento virtuale porta la configurazione attuale C nella
configurazione variata C + C, agendo sulle variabili euleriane x. Per cui,
introdotte le variabili relative:
u=x

()

ui = xi

ei eI XI

(MC.43)

si ha, essendo le X e le basi, fissate:


x= u
E conveniente, per semplicit, scegliere le basi in modo che ei eI =

iI .

296

A. Strumia, Meccanica razionale

C*
P*

P
P

x
X

P+P

x+x
O
C+C

Figura MC. 14: spostamento virtuale del continuo

Allora per il calcolo dei lavori virtuali abbiamo, integrando su un dominio


C che identifica un tratto del continuo:
per le forze di massa:
Z

F x dC =

F u dC

f u d

per le forze di superficie:


Z

@C

f x d =

@C

essendo @C la superficie di frontiera del dominio C. Daltra parte le condizioni


al contorno ci forniscono linformazione:
f = t n
e dunque:
Z

@C

f x d =

@C

(t n) u d

meccanica dei continui

297

Ma:
(t n) u = tik nk ui = ( u t ) n
Inoltre grazie al teorema di Gauss si ha:
Z

( u t ) n d =
@C

r ( u t ) dC

Il segno negativo dovuto al fatto che la normale rivolta verso linterno


del continuo, mentre la normale rispetto alla quale si calcola il flusso di Gauss
uscente. In conclusione il lavoro delle forze di superficie stato ricondotto
da un integrale di superficie a un integrale di volume:
Z

@C

f x d =

r ( u t ) dC

Infine conviene esprimere anche il lavoro incognito delle forze interne


attive mediante un integrale di volume, introducendo la densit di tale lavoro
`(i,a) :
L

(i,a)

`(i,a) dC

Dunque la condizione di equilibrio che richiede che il lavoro virtuale


delle forze attive sia nullo risulta essere, raccogliendo sotto un unico segno
di integrale:
Z h
C

F u

u t + `(i,a) dC = 0,

8 u

(MC.44)

Tale condizione deve essere soddisfatta su qualunque tratto del continuo,


in quanto il continuo risulta essere in equilibrio se ogni suo tratto in
equilibrio. Perci dovr risultare nulla la funzione integranda:

298

A. Strumia, Meccanica razionale

F u

u t + `(i,a) = 0,

(MC.45)

8 u

Svolgendo la divergenza otteniamo:


r

u t

@
@tik
@ ui
( ui tik ) = ui
+ tik
=
@xk
@xk
@xk

@tT
@ ui
= ui ki + tik
= u r t
@xk
@xk

+ t r u

E quindi la condizione di equilibrio si riscrive:

r t

t r u + `(i,a) = 0,

8 u

(MC.46)

Ovvero, in termini indiciali:

ui Fi

@tik
@xk

tik

@ ui
+ `(i,a) = 0
@xk

(MC.47)

Il significato della scrittura simbolica chiarito dalla scrittura indiciale.


Spostamenti rigidi
A questo punto occorre fare intervenire il principio di indifferenza
materiale; se la condizione di equilibrio deve essere soddisfatta per ogni
spostamento virtuale, essa deve sussistere anche per spostamenti rigidi del
continuo, in corrispondenza dei quali il lavoro virtuale delle forze interne
attive nullo.
In particolare cominciamo effettuando uno spostamento rigido
traslatorio arbitrario. In questo caso, per definizione di spostamento rigido
traslatorio, tutti i punti compiono lo stesso spostamento u.

meccanica dei continui

299

C+C

Figura MC. 15: spostamento rigido traslatorio

Dunque u indipendente dal punto x, e quindi si ha:

@ ui
t r u = tik
=0
@xk

Per cui rimane nella condizione di equilibrio:

u F

r t

= 0,

8 u rigido traslatorio

E quindi segue lequazione di equilibrio:

r t

=0

()

Ora consideriamo uno


rappresentiamo nella forma:

u=

Fi

spostamento

^x=A
x

@tik
=0
@xk
rigido

(MC.48)
rotatorio,

che

300

A. Strumia, Meccanica razionale

essendo A
la matrice antisimmetrica di cui
suoi elementi di matrice sono dati, allora, da:
Aij =

rappresenta il vettore duale. I

"ijk

Ora:
@ ui
@
=
(Aij xj ) = Aik
@xk
@xk
in quanto A
non dipende da x. Dunque si ha:

@ ui
t r u = tik
= tik Aik =
@xk

tr t A

Tenendo conto della (MC.48), la cui validit ai fini dellequilibrio non


dipende dal tipo di spostamento che si effettua, nella (MC.46) rimane allora:

t r u =

tr t A

= 0,

8A
=

Risultato che conduce a concludere che la matrice euleriana degli sforzi


t deve essere simmetrica.
In conclusione abbiamo ottenuto le due equazioni fondamentali della
statica dei continui:

r t = 0,

= t

avendo riscritto la prima tenendo conto della seconda.

(MC.49)

meccanica dei continui

301

x
C+C
x+x

Figura MC. 16: spostamento rigido rotatorio

Dal momento che queste condizioni di equilibrio sono indipendenti


dal tipo di spostamento che si effettua esse devono sussistere anche
se si compiono spostamenti non rigidi. Di conseguenza, in tal caso,
essendo il lavoro delle forze interne non nullo, dalla condizione (MC.47)
resta determinato anche il lavoro delle forze interne attive, che assume
lespressione:

(i,a)

1
= tik
2

@ ui @ uk
+
@xk
@xi

(MC.50)

avendo tenuto conto della simmetria della matrice degli sforzi e quindi
del fatto che la parte antisimmetrica del gradiente dello spostamento non
contribuisce al lavoro.

Dinamica
Il passaggio dalla statica alla dinamica si pu realizzare, in modo diretto,
tramite il principio di DAlembert. Basta sostituire, nella condizione di

302

A. Strumia, Meccanica razionale

equilibrio (MC.46), il lavoro virtuale delle forze perdute a quello delle forze
attive, cio aggiungere la quantit:
Z

a u dC

che si congloba con la prima equazione fondamentale, che si ottiene


imponendo uno spostamento rigido traslatorio. Si ottiene allora, in luogo della
condizione di equilibrio, la prima equazione fondamentale della dinamica dei
continui, mentre la seconda equazione rimane inalterata. Si hanno allora le
due equazioni fondamentali della dinamica dei continui nella forma:

a = F

r t ,

= t

(MC.51)

Laccelerazione definita mediante la derivata della velocit rispetto al


tempo:
a=

dv
dt

Equazioni di bilancio
Le equazioni della meccanica dei continui si possono esprimere, in
forma integrale, come equazioni di bilancio, cio equazioni che esprimono
una legge di conservazione.
Si assume, in accordo con lesperienza, che le equazioni di bilancio
valgano localmente
oltre che globalmente. Ci significa che esse
devono essere verificate in ogni tratto del continuo e non solo sullintero
sistema. Dunque esse devono essere soddisfatte in qualunque dominio C di
integrazione.

meccanica dei continui

303

Bilancio della massa


Il primo bilancio di cui ci occupiamo quello della massa: la massa si
conserva durante il moto e la deformazione.
Dal punto di vista lagrangiano si dovr avere che, per qualsiasi
dominio, la massa di un certo tratto di continuo resti inalterata nel passaggio
dalla configurazione di riferimento ad una configurazione attuale (deformata).
F

*=

C*

Figura MC. 17: conservazione della massa dal punto di vista lagrangiano
Ora nella configurazione di riferimento C si ha il valore della massa di
un tratto di continuo C :
M =

dC

Mentre nella configurazione attuale si avr:


M=

dC

Ora il legame tra gli elementi di volume dato da:


dC = D dC ,

D = | det(F
)|

304

A. Strumia, Meccanica razionale

Per cui effettuando un cambio di variabili si pu scrivere in termini delle


variabili lagrangiane:
M=

D dC

La conservazione della massa impone che le masse prima e dopo la


deformazione siano immutate e quindi, identificando i rispettivi integrali si
ha:
Z

D) dC = 0,

8C

Perci si ha la legge di bilancio della massa in forma lagrangiana:

= D

(MC.52)

Dal punto di vista euleriano


il bilancio della massa si studia
esaminando la massa che entra e quella che esce da un certo dominio C della
configurazione attuale, assunto come spazio di controllo.

C
C

Figura MC. 18: bilancio della massa dal punto di vista euleriano

meccanica dei continui

305

Possiamo stabilire luguaglianza tra la variazione della massa al variare


del tempo e il flusso di massa attraverso la superficie di frontiera di C:
@M
=
@t

(MC.53)

Dove:
M=

dC

Mentre il flusso entrante :


=

@C

v nd

essendo n la normale rivolta verso linterno del dominio.


Come si vede facilmente v n d il volume attraversato, nellunit di
tempo, dalle particelle del continuo che transitano attraverso la superficie d .

vn

Figura MC. 19: volume attraversato nellunit di tempo


Per il teorema di Gauss si ha:

306

A. Strumia, Meccanica razionale

@C

v nd =

r ( v) dC

Quindi sostituendo nella legge di bilancio (MC.53) si ottiene:


Z "
C

@
+ r ( v) dC = 0,
@t

8C

Di conseguenza si ottiene la legge di bilancio della massa (equazione di


continuit) in forma euleriana:

@
+ r ( v) = 0
@t

(MC.54)

d
+ r v = 0
dt

(MC.55)

che si pu anche riscrivere:

avendo denotato con:


d
@
=
+vr
dt
@t
la derivata lagrangiana o totale rispetto al tempo.
Notiamo che la conservazione della massa si pu anche formulare
richiedendo che la derivata totale della massa sia nulla, e cio:
dM
=0
dt

meccanica dei continui

307

Allora si pu scrivere:
Z
d Z
d Z
dC =
D dC =
dt C
dt C
C

d
dD
D+
dt
dt

d
1 dD
+
dt
D dt

dC =

dC

Da cui, per larbitrariet del dominio segue lequazione di continuit nella


forma:
d
1 dD
+
=0
dt
D dt
Il confronto fra le due forme dellequazione di continuit porta a
concludere che sussiste la relazione:
1 dD
=rv
D dt

(MC.56)

Teorema del trasporto


Grazie al risultato precedente possiamo esprimere la derivata totale di
qualunque grandezza :
=

dC

nel modo seguente:


d Z
dt C

dC =

Z
d( D)
dC =
dt
C

d
+
dt

1 dD
D dt

dC

308

A. Strumia, Meccanica razionale

E grazie alla (MC.56):


d Z
dt C

dC =

d
+
dt

rv

dC

(MC.57)

Questa scrittura prende il norme di teorema del trasporto.


Posto che sia presente una sorgente allinterno della superficie:
S=

s dC

e un extraflusso attraverso la superficie esterna:


=

nd =

@C

dC

siamo in grado di scrivere la legge di bilancio di una grandezza qualunque


nella forma:
Z

d
+
dt

rv

s dC = 0

Da cui si ha la legge di bilancio locale:


d
+
dt

rv =r

+s

(MC.58)

ovvero:
@
+ r ( v) = r
@t
che esprime il bilancio di .

+s

(MC.59)

meccanica dei continui

309

Bilancio della quantit di moto


La prima equazione fondamentale della dinamica dei continui si pu allora
rappresentare come legge di bilancio della quantit di moto:
Q=

v dC

Infatti la prima delle (MC.51) si pu riscrivere nella forma:


d
( v) + (r v) = F
dt

r t

che rappresenta la legge di bilancio di Q essendo s = F la sorgente di


quantit di moto dovuta alle forze di massa e
= t lextraflusso di

quantit di moto attraverso la frontiera. Si pu anche riscrivere la legge di


bilancio locale della quantit di moto nella forma equivalente:
@
( v) + r( v v + t ) = F
@t

(MC.60)

Bilancio del momento della quantit di moto


Come conseguenza delle equazioni fondamentali della dinamica dei
continui e dellequazione di continuit della massa, si ottiene anche la legge
di bilancio del momento della quantit di moto.
Infatti, partendo da:
a = F

r t

e moltiplicando vettorialmente a sinistra per x x0 , essendo x0 le coordinate


euleriane di un polo (fisso) di riduzione per il calcolo dei momenti, si ha:

310

A. Strumia, Meccanica razionale

(x

x0 ) ^ ( a) = (x

x0 ) ^ ( F )

x0 ) ^ (r t )

(x

Integrando sul volume C segue:


Z

(x

x0 ) ^ ( a) dC =

x0 ) ^ ( F ) dC

(x

(x

x0 ) ^ (r t ) dC

Esaminiamo questi tre integrali.


Abbiamo per il primo integrale:
Z

Z (

d
[(x
dt

x0 ) ^ ( a) dC =

(x

x0 ) ^ ( v)] + (x

x0 ) ^ ( v) (r v)

dC

come si verifica tenendo conto dellequazione di continuit della massa. Di


conseguenza, per il teorema del trasporto, si ha alla fine:
Z

(x

x0 ) ^ ( a) dC =

d Z
(x
dt C

x0 ) ^ ( v) dC =

dK 0
dt

Il primo termine della relazione da cui siamo partiti rappresenta allora la


derivata del momento della quantit di moto.
Il secondo integrale il momento risultante delle forze di massa, e nel
bilancio, rappresenta una sorgente di momento della quantit di moto:
M0 =

(x

x0 ) ^ ( F ) dC

meccanica dei continui

311

Per interpretare lultimo integrale cominciamo con losservare che,


per avere il bilancio corretto del momento della quantit di moto, lultimo
integrale dovrebbe risultare uguale al flusso entrante del momento della
quantit di moto attraverso la frontiera del dominio C:
=

@C

(x

x0 ) ^ f d =

@C

x0 ) ^ (t n) d

(x

grazie alle condizioni al contorno. Per il teorema di Gauss si ha:


Z

@C

(x

x0 ) ^ (t n) d =

r (x

x0 ) ^ t dC

Ovvero mediante la rappresentazione indiciale:


Z

@C

"ijk (xi

x0 i ) tj` n` d =

"ijk

@
[(xi
@x`

x0 i )tj` ] dC

Rimane dunque da valutare il termine:

"ijk

@
[(xi
@x`

x0 i ) tj` ] = "ijk tj`

= "ijk (xi

@
(xi
@x`
x0 i )

x0 i ) + "ijk (xi

x0 i )

@
tj` =
@x`

@
tj` + "ijk tji
@x`

in quanto, essendo x0 i costante, si ha:


@
(xi
@x`

x0 i ) =

`i

Inoltre, grazie alla seconda equazione fondamentale della dinamica dei


continui, la matrice degli sforzi simmetrica, e questo comporta lannullarsi

312

A. Strumia, Meccanica razionale

del termine "ijk tji . Per cui, in conclusione il bilancio del momento della
quantit di moto viene soddisfatto:
dK 0
= M0 +
dt
Bilancio dellenergia
Come conseguenza delle equazioni del moto, in un continuo puramente
meccanico (cio nel quale non entrano in gioco le funzioni di stato
termodinamiche), partendo dalla prima equazione fondamentale si ottiene
anche il bilancio dellenergia meccanica. Infatti, moltiplicando la:
a = F

r t

scalarmente per v otteniamo:


d

dt

v2
2

= F v

v (r t )

Integrando:
Z

v2
2

dt
C

dC =

F v dC

v (r t ) dC

Lintegrale a primo membro, tenendo conto che D = e dC =


D dC si riscrive:
Z

dt
C

v2
2

d
dC =

dt
C

v2
2

dC =

meccanica dei continui

313

2
d Z
d Z v2
dT
v

dC =
dC =

dt C
2
dt C 2
dt

essendo lenergia cinetica del continuo data da:


Z

T =

v2
dC
2

Lultimo integrale a secondo membro si riscrive riaggiustando


largomento:

v (r t ) = vi

@
@
tji =
(tji vj )
@xj
@xj

@
(tji vj )
@xj

@
vi = r (t v)
@xj

tij

tji

@
vi =
@xj

tr t (r v)

dove si tenuto conto della simmetria di t .


Dunque:
Z

v (rt ) dC =

r (t v) dC

tr t (r v) dC
C

Mediante il teorema di Gauss il primo integrale a secondo membro si


scrive poi:
Z

r (t v) dC =

@C

v tn d =

@C

f vd

Introducendo allora la potenza esplicata dalle forze di massa e dalle forze


di superficie:

314

A. Strumia, Meccanica razionale

P =

F v dC +

@C

f vd

e la potenza esplicata dagli sforzi interni:


W =

tr t (r v) dC
C

si ottiene il bilancio dellenergia meccanica:


dT
=P +W
dt
Notiamo che per continui che non sono descrivibili in termini puramente
meccanici, ma che richiedono una descrizione termodinamica, lequazione di
bilancio dellenergia non include la sola energia meccanica, ma tiene conto
anche dellenergia interna del continuo e degli eventuali scambi di calore. In
questo caso la legge di conservazione dellenergia non pi una conseguenza
delle equazioni della meccanica dei continui, ma una legge ulteriore che
costituisce il primo principio della termodinamica.

Equazioni costitutive
Ora dobbiamo occuparci del problema fondamentale della meccanica
dei continui, che consiste nella determinazione del moto. Le incognite
del problema che caratterizzano levoluzione del continuo sono le quattro
funzioni:
x = x(X, t),
Le equazioni a disposizione sono:

= (X, t)

meccanica dei continui

315

8
>
>
>
>
>
>
>
<

a = F

t
>
>
>
>
>
>
>
: d
dt

r t

=T

(MC.61)

+ r v = 0

Notiamo che si hanno quattro equazioni nelle incognite x, . Il problema


pu essere risolto a condizione che siano note le forze di massa e sia nota
la matrice degli sforzi t . Ora le forze di massa sono forze esterne e
si pu supporre di riuscire a conoscerle; mentre gli sforzi nascono dalle
forze di contatto che sono interne al continuo e sono, perci, generalmente
sconosciute. Lunica informazione che abbiamo relativamente alla matrice
degli sforzi che essa simmetrica. Una matrice simmetrica ha 6 elementi,
dunque ci mancano altre 6 relazioni per determinare il problema.
Per determinare il problema occorre aggiungere un gruppo di 6 condizioni
che forniscano il legame tra sforzo e deformazione:

t = t (" )

(MC.62)

Queste relazioni prendono il nome di equazioni costitutive.


Dal punto di vista fisico il fatto che la matrice t non sia
automaticamente determinata dalle equazioni fondamentali della meccanica
dei continui e dallequazione di continuit, ma vada assegnata in funzione
della matrice di deformazione, rende conto del fatto che i materiali hanno
propriet meccaniche differenti e queste sono caratterizzate dalle equazioni
costitutive. Diversamente tutti i materiali avrebbero esattamente lo stesso
comportamento, contrariamente a quanto noto dallesperienza. Si possono
perci classificare vari tipi di materiali, in ordine alle caratteristiche delle loro
equazioni costitutive.

316

A. Strumia, Meccanica razionale

Fluidi
Come si gi visto si dicono fluidi perfetti i continui la cui matrice degli
sforzi ha la forma:
t = p
I
essendo p > 0 la pressione. Le equazioni della dinamica dei fluidi si
ottengono, allora, specializzando le equazioni dei continui:
8
>
<

a = F

>
: d
dt

rp

(MC.63)

+ r v = 0

Si hanno 4 equazioni nelle 5 variabili , v, p. Di conseguenza occorre


una relazione costitutiva per determinare il problema. La relazione costitutiva
che caratterizza le propriet del fluido lega la pressione alla densit:
(MC.64)

p = p()

Fluidi incomprimibili
In alternativa, anzich assegnare la pressione come funzione costitutiva
della densit, si pu fissare il valore della densit ad un valore costante,
ottenendo, in questo modo la riduzione a 4 del numero delle incognite. Fluidi
di questo tipo si dicono incomprimibili o ideali. Essi sono definiti dalla
condizione di incomprimibilit:
=

()

D=1

(MC.65)

meccanica dei continui

317

Per i fluidi incomprimibili le equazioni della dinamica divengono, di


conseguenza le seguenti:
8
>
<
>
:

a = F

rp

(MC.66)

rv =0

Si ha cos un sistema di 4 equazioni per le 4 incognite v, p. In questo caso


p una variabile indipendente, mentre la relazione costitutiva stata imposta
alla variabile richiedendo che sia una costante del problema, caratteristica
del fluido esaminato.
La condizione di incomprimibilit rappresenta un vincolo interno al
fluido. Viene naturale domandarsi, in presenza di un vincolo quale sia
la variabile che gioca il ruolo di reazione vincolare. Possiamo rispondere
interpretando la prima equazione fondamentale della dinamica come prima
equazione cardinale della dinamica:
a = F +
Si vede allora che:
=

rp

In sostanza, in un fluido incomprimibile la pressione gioca un ruolo


legato alla reazione vincolare che nasce dalla presenza del vincolo di
incomprimibilit.
Fluido ideale pesante in quiete
Vediamo unapplicazione di tipo statico:
incomprimibile soggetto alla forza peso.

lequilibrio di un fluido

318

A. Strumia, Meccanica razionale

x
O

Figura MC. 20: equilibrio di un fluido ideale pesante

Immaginiamo che z = 0 rappresenti lequazione del piano che delimita


superiormente il fluido. La distribuzione delle forze di massa quella delle
forze peso:
F = g
Allora la condizione di equilibrio del fluido:
F

rp = 0

che si ottiene dalla corrispondente equazione della dinamica del fluido,


annullando il termine cinetico, si specializza nella condizione:
g

rp = 0

(MC.67)

Risulta chiaro che il gradiente della pressione gioca il ruolo di una


reazione vincolare che si oppone alla forza attiva (peso). Proiettando sugli assi
cartesiani, scelti come in figura (MC. 20), si ottengono le seguenti equazioni:

meccanica dei continui

319

8 @p
>
>
@x
>
>
>
>
<
@p

@y
>
>
>
>
>
>
: @p
@z

=0
=0
= g

Integrando questo sistema con una condizione al contorno del tipo:


p|z=0 = p0
dove p0 si pu interpretare, ad esempio, come la pressione atmosferica sulla
superficie del fluido, si ottiene che la pressione indipendente da x, y e
dipende dalla quota z secondo la legge:
p = p 0 + g z

(MC.68)

relazione che esprime la nota legge della proporzionalit diretta tra la


pressione e la profondit.
Teorema delle tre quote
Esaminiamo ora la dinamica del fluido ideale pesante. Lequazione del
moto si scrive:
a = g

rp

Moltiplicandola scalarmente per v otteniamo il teorema dellenergia:


v a = v g

v rp

320

A. Strumia, Meccanica razionale

Ora si ha per ciascun termine:


dv
d
va= v
=
dt
dt

v g =

v2

dz
d
=
( g z)
dt
dt

avendo scelto, in questo caso lasse z orientato verso lalto, in modo che
g = g e3 .
Nellipotesi di flusso stazionario, cio quando si assume che la pressione
dipenda dal tempo soltanto tramite il moto delle particelle, cio che non
dipenda esplicitamente dal tempo, si ha anche:

p = p(x)

=)

dp
@p dxi
=
= v rp
dt
@xi dt

Allora il bilancio dellenergia in forma locale si scrive:


d
dt

v2

+ p + g z = 0
2

Da cui si ricava:
1 2
v + p + g z = E
2

(MC.69)

essendo E la costante dellenergia. Si pu riscrivere anche nella forma:


v2
p
+
+ z = h0 ,
2 g g

h0 =

E
g

(MC.70)

meccanica dei continui

321

nella quale i singoli addendi hanno le dimensioni di una lunghezza. La


(MC.70) prende il nome di teorema delle tre quote, dal momento che le tre
lunghezze in questione sono interpretabili come quote di interesse fisico:
2

quota cinetica: 2v g E laltezza dalla quale occorre lasciar cadere , nel


vuoto, una massa in caduta libera, perch raggiunga il suolo con velocit v;
quota piezometrica: p g E la quota alla quale il fluido in equilibrio
sarebbe soggetto alla pressione p, a causa del suo peso, se la pressione in
superficie, alla quota z = 0, fosse nulla;
quota reale: z E la quota reale alla quale viene considerato il fluido
soggetto alla pressione p e caratterizzato dalla velocit v delle particelle. Il
valore di h0 viene valutato mediante le condizioni al contorno, cio per z = 0:

h0 =

v02
p0
+
2g g

Lavoro delle forze interne


Ci occupiamo ora, per concludere del lavoro delle forze interne attive,
espresso dalla (MC.50); espressione che vale in generale per spostamenti
qualunque e non solo per gli spostamenti virtuali, e quindi, in particolare vale
per gli spostamenti effettuati durante il moto:
(i,a)

d`

1
= tik
2

@dui @duk
+
@xk
@xi

del quale cerchiamo unespressione specializzata per i fluidi e per i solidi.

322

A. Strumia, Meccanica razionale

A) nei fluidi
In un fluido la matrice degli sforzi si caratterizza mediante gli elementi:
tik = p

ik

Quindi otteniamo la seguente specializzazione del lavoro delle forze


interne attive:
d`(i,a) = p

@d ui
= pr du
@xi

Tenendo conto che durante il moto si ha:


d u = v dt
si ottiene:
d`(i,a) = p r v dt
Tenendo poi conto dellequazione di continuit della massa ricaviamo
lespressione finale:
d`(i,a) =

p
d

(MC.71)

Notiamo che se il fluido incomprimibile abbiamo d = 0 e quindi il


lavoro delle forze interne risulta nullo come in un corpo rigido.
B) nei solidi
Per il fluido, grazie alla particolare forma isotropa della matrice degli
sforzi, possibile esprimere, come si visto, il lavoro delle forze interne

meccanica dei continui

323

in termini delle variabili , p, eliminando le variabili cinetiche v. Nel caso di


un continuo che non sia un fluido (solido) non si pu ottenere lo stesso tipo di
risultato mantenendosi dal punto di vista euleriano.
Nellespressione del lavoro per eliminare la velocit bisogna passare alle
variabili lagrangiane. A questo scopo osserviamo che:
@
@XJ @
@
1 C @
=
= FJk1
= FkJ
@xk
@xk @XJ
@XJ
D
@XJ
Abbiamo cos la regola di passaggio da operatori di derivazione euleriani
a operatori di derivazione lagrangiani:
@
1 C @
= FkJ
@xk
D
@XJ

(MC.72)

Nellespressione del lavoro si ha allora:


d`(i,a) =

1
C @dui
tik FkJ
D
@XJ

Viene allora naturale introdurre la matrice non simmetrica:


C
TiJ = tik FkJ

(MC.73)

che prende il nome di matrice non simmetrica di Piola-Kirchhoff. Si pu


allora scrivere il lavoro nella forma:
d`(i,a) =

1
@dui
TiJ
D
@XJ

in cui compaiono le derivate rispetto alle variabili lagrangiane in luogo di


quelle euleriane. Questo vantaggioso in quanto ui non dipende dalle

324

A. Strumia, Meccanica razionale

XJ , mentre dipende dalle xk . Ci significa che mentre non possibile


scambiare gli operatori d e @x@ k , invece possibile scambiare gli operatori
d e @X@ J . Questo il vantaggio che nasce dalluso delle variabili lagrangiane.
Effettuando lo scambio si ottiene:
(i,a)

d`

1
= TiJ d
D

@ui
@XJ

Ricordiamo che:
ui = x i

iI

XI

E quindi:
@ui
= FiJ
@XJ

iJ

Di conseguenza possiamo esprimere il lavoro delle forze interne nella


forma in cui non compaiono le velocit:
d`(i,a) =

1
TiJ dFiJ
D

(MC.74)

Questa formulazione ha ancora linconveniente di coinvolgere delle


matrici in forma mista, con un indice lagrangiano e un indice euleriano;
possiamo evitare questo introducendo la matrice degli sforzi completamente
lagrangiana e simmetrica:
1
C
TIJ = FIi 1 TiJ = FIiC tik FkJ
D

(MC.75)

che prende il nome di matrice simmetrica di Piola-Kirchhoff. Esprimendo il


lavoro delle forze interne attive in termini di questa nuova matrice possiamo
scrivere la sua espressione in forma completamente lagrangiana:

meccanica dei continui

325

d`(i,a) =

1
FkI TIJ dFkJ
D

Ora:

1
1
T
TIJ FkI dFkJ = (FkI dFkJ + FkJ dFkI ) = TIJ d FIk
FkJ
2
2

grazie alla simmetria di TIJ .


Quindi si ottiene la forma completamente lagrangiana del lavoro delle
forze interne attive:
d`(i,a) =

1
1
TIJ dBIJ = TIJ d"IJ
D
D

(MC.76)

326

COMPLEMENTI DI
MECCANICA ANALITICA

PV. Principi variazionali


Questi ultimi capitoli sono dedicati alla meccanica analitica vera e
propria, cio a quella parte della meccanica che ha ricevuto la sua trattazione
pi elegante e potente grazie alla sua riformulazione in termini di principi
variazionali e a quello sviluppo della formulazione hamiltoniana che,
attraverso la teoria delle trasformazioni canoniche, conduce alla teoria di
Hamilton-Jacobi, preparando la strada alla deduzione dellequazione di
Schrdinger della meccanica ondulatoria.
Per poter parlare di principi variazionali dobbiamo anzitutto introdurre
almeno i concetti e i risultati elementari del calcolo delle variazioni.

Introduzione al calcolo delle variazioni


La teoria delle funzioni usuale, nellambito dellanalisi matematica, si
occupa di funzioni che trasformano variabili numeriche, o vettoriali, in altre
variabili numeriche o vettoriali; in particolare se le funzioni sono a valori
reali ne ricerca i massimi e i minimi, ecc. Il calcolo delle variazioni, invece,
costituisce un settore dellanalisi funzionale che si occupa di funzioni i cui
argomenti non sono delle variabili numeriche o vettoriali, ma sono a loro
volta delle funzioni e ne ricerca i massimi e i minimi al variare della funzione
argomento. Una funzione di questo tipo, il cui argomento a sua volta una
funzione detta funzionale.
Funzionale
Sia X un insieme di funzioni:

f : A !B
e Y un qualunque altro insieme.

Chiamiamo funzionale

qualsiasi

principi variazionali

329

applicazione:
F : X !Y
Allora F associa ad ogni funzione f 2 X un elemento y dellinsieme Y :
X3f !y2Y
Denoteremo i valori y del funzionale con le scritture:
F[f ],

F[f (x)]

essendo f (x) i valori di f . In particolare a noi serviranno funzionali a


valori reali (Y = R), i cui argomenti sono delle funzioni f definite su un
sottoinsieme A di R o di Rn , a valori in RN .
Esempi
i) Data una curva

nel piano x, y, di equazione cartesiana y = f (x):

F[f (x)] =

v
Z x2 u
u
t
x1

!2

df
1+
(x)
dx

dx

(PV.1)

il funzionale che associa alla funzione f la lunghezza del tratto di curva


compreso tra i punti di ascisse x1 , x2 .
ii) Dato un corpo rigido con un punto fisso, i cui punti costituiscono un
insieme continuo C, che ruota con velocit angolare !(t), lenergia cinetica
un funzionale della funzione !(t), definito dalla relazione:
T [!(t)] =

1
!(t) !(t)
2

(PV.2)

330

A. Strumia, Meccanica razionale

iii) Dato un sistema olonomo governato da una lagrangiana L(qh , qh , t)


lintegrale:

S[qh (t)] =

Z t2
t1

(PV.3)

L(qh (t), qh (t), t) dt

un funzionale dei parametri lagrangiani in funzione del tempo.


Si noti come in un funzionale le funzioni argomento possono comparire
anche attraverso le loro derivate. Il problema tipico del calcolo delle
variazioni consiste nella ricerca di quelle funzioni argomento che rendono
massimo o minimo il valore del funzionale.
Funzionale lineare
Un funzionale F si dice lineare quando soddisfa le condizioni tipiche di
ogni funzione lineare, e cio:
a) F[f + g] = F[f ] + F[g]
b) F[ f ] = F[f ]
Esempi
i) loperatore differenziale d un funzionale lineare, dal momento che per
ogni funzione differenziabile f, g e per ogni numero reale si ha:

d[f + g] = d[f ] + d[g],


R

ii) loperatore integrale


Z

[f + g] =

d[ f ] = d[f ]

un funzionale lineare, in quanto:

[f ] +

[g],

[ f ] =

[f ]

principi variazionali

331

Variazione
Dato un funzionale F[f ] si dice variazione di f e si indica con f la
differenza:
f =f

(PV.4)

f0

tra due valori qualunque della funzione argomento f . Il concetto di


variazione appena definito corrisponde a quello di incremento della variabile
indipendente di una funzione ordinaria.
Lincremento del funzionale si denota usualmente con
F = F[f + f ]

F:

F[f ]

(PV.5)

Funzionale continuo
La definizione di continuit per un funzionale richiede una certa
accuratezza, in quanto non pu essere trasportata automaticamente dalla
teoria delle funzioni di variabili numeriche o vettoriali. Infatti, la definizione
usuale di continuit ci porterebbe a ritenere sufficiente affermare che un
funzionale F[f ] continuo in f0 quando:
8" 2 R+ 9 2 R+ :
|f (x)

f0 (x)| <

=) |F[f (x)]

(PV.6)
F[f0 (x)]| < "

Tuttavia un funzionale potrebbe dipendere anche dalle derivate della


funzione argomento rispetto alle variabile x, e quindi occorre imporre una
condizione anche su tutte le derivate, fino allordine in cui compaiono nel
funzionale, per assicurare che lincremento del funzionale sia limitato quanto
si vuole. Si definisce allora la continuit in f0 fino allordine n per un
funzionale in cui compaiono le derivate di f fino a tale ordine:

332

A. Strumia, Meccanica razionale

F[f ] = F (f, f 0 , f 00 , , f (n) )


nel modo seguente:

8" 2 R+ 9 2 R+ :
|f (x) f0 (x)| <
|f 0 (x) f00 (x)| <

(n)
(n)
|f (x) f0 (x)| <

9
>
>
>
>
=

|F[f (x)]

=)

>
>
>
>
;

F[f0 (x)]| < "


(PV.7)

y
fo

fo

x
a)

O
b)

Figura PV. 1: continuit: a) fino allordine 0; b) fino allordine 1


Si osservi che con le notazioni 0 ,00 , (n) abbiamo denotato sinteticamente le
derivate di primo, secondo e n-simo ordine, intendendo che se x una sola
variabile reale si tratta di derivate ordinarie, mentre se x una n-pla di Rn si
tratta di tutte le derivate parziali dellordine considerato.

principi variazionali

333

Massimi e minimi relativi di un funzionale


Anche per la definizione di massimo (minimo) relativo di un funzionale
occorre specificare lordine di vicinanza tra le funzioni argomento, come
si fatto per definire la continuit. Solitamente ci si limita a considerare gli
ordini 0 e 1.
Massimi e minimi relativi forti
Diremo che un funzionale F[f ] possiede un massimo (minimo ) relativo
forte in f0 se e solo se:
9" 2 R+ ; 8f (x) :
i) |f (x)

f0 (x)| < "

F[f (x)] ( )F[f0 (x)],

=)

ii) F[f (x)] = F[f0 (x)]

()

(PV.8)

f (x) = f0 (x)

Massimi e minimi relativi deboli


Diremo che un funzionale F[f ] possiede un massimo (minimo ) relativo
debole (primo ordine) in f0 se e solo se:
9" 2 R+ ; 8f (x) :
|f (x) f0 (x)| < "
i)
|f 0 (x) f00 (x)| < "

ii) F[f (x)] = F[f0 (x)]

=)

()

F[f (x)] ( )F[f0 (x)],


f (x) = f0 (x)

(PV.9)

Questa seconda condizione detta debole rispetto al prima in quanto


se una funzionale possiede un massimo (minimo) forte esso tale anche in

334

A. Strumia, Meccanica razionale

senso debole, ma non viceversa. Infatti la condizione forte deve essere vera
per tutte le funzioni f , comprese quelle per le quali vale anche la condizione
sulle derivate prime.
Variazione di un funzionale
Il concetto di variazione di un funzionale costituisce lestensione ai
funzionali del concetto di differenziale per le funzioni ordinarie e pu
essere introdotto in maniera semplice scrivendo lincremento della funzione
argomento f mediante lausilio di un parametro di controllo 2 R. La
variazione di un funzionale, cos definita, si denota con loperatore .

F[f (x)] =

@
F[f (x) + f (x)]
@
=0

(PV.10)

Un funzionale si dice stazionario in f0 quando si annulla la sua


variazione in f0

Condizione necessaria di massimo e minimo


Formuliamo ora la condizione necessaria affinch un funzionale abbia
un massimo o un minimo, che generalizza quella ben nota per le funzioni
ordinarie.
Condizione necessaria affinch un funzionale F[f ] abbia massimo o
minimo relativo (forte o debole) in f0 che sia stazionario in f0
Infatti se in f0 il funzionale F ha un massimo o un minimo relativo (forte
o debole), introdotta la variazione della funzione argomento:

principi variazionali

335

f (x) = f (x)

f0 (x)

per ogni funzione f (x) nellintorno di f0 che soddisfa le condizioni (PV.8),


o rispettivamente (PV.9), si ha che i valori del funzionale hanno massimo
(minimo) per = 0, ovvero:
() = F[f (x) + f (x)]
ha un massimo (minimo) in = 0. Ma una funzione nella sola variabile
, per la quale vale condizione necessaria di massimo (minimo):
d
() = 0
d
E di conseguenza, per la definizione di variazione del funzionale (PV.10),
segue:
F[f0 (x)] = 0
Equazioni di Eulero
Consideriamo ora due classi particolari di funzionali che risultano
particolarmente importanti per le loro applicazioni alla meccanica e alla fisica
in genere.
1. Funzioni f dipendenti solo dal tempo
Sia:
f : [t1 , t2 ] ! RN

336

A. Strumia, Meccanica razionale

una funzione di una variabile reale t (che nei problemi evolutivi il tempo) a
valori vettoriali in RN , e F[f ] il funzionale definito da:
F[f (t)] =

Z t2
t1

F (t, fh (t), fh (t)) dt

(PV.11)

essendo fh le componenti del vettore f . Vogliamo determinare le condizioni


alle quali devono soddisfare le funzioni fh affinch il funzionale sia
stazionario rispetto a variazioni delle funzioni fh supposte nulle negli estremi
di integrazione:
(PV.12)

fh |t=t1 = fh |t=t2 = 0

Geometricamente questo equivale a ricercare la curve di stazionariet del


funzionale facendo variare le curve di confronto in maniera tale che passino
tutte per gli stessi estremi.

f(t)
f

f+f
t

Figura PV. 2: curve con variazione nulla agli estremi

La ricerca delle condizioni di stazionariet per il funzionale (PV.11) si


riconduce alla determinazione delle condizioni che annullano, in = 0, la
derivata della funzione a valori reali:

principi variazionali

337

Z t2

() = F[f (t) + f (t)] =

t1

F (t, fh (t) + fh (t), fh (t) + fh (t)) dt


(PV.13)

Tenendo conto che non dipende dalla variabile di integrazione t,


possiamo scrivere:
"

d
d Z t2
(0) =
F (t, fh (t) + fh (t), fh (t) + fh (t)) dt
d
d t1

Z t2 "
t1

@
F (t, fh (t) + fh (t), fh (t) + fh (t))
@

=
=0

dt
=0

Sviluppando la derivata:
2

Z t2
d
@F
4
(0) =
d
@ fk
t1

=0

@F
fk (t) +
@ f

k =0

fk (t)5 dt

avendo denotato con fk le funzioni incrementate. Osserviamo, ora, che la


variazione della derivata (di qualsiasi ordine) delle funzioni fk uguale alla
derivata della variazione. Infatti:
fk = fk

d
fk = (fk
dt

fk ) =

d
( fk )
dt

Inoltre evidentemente:
@F
@ fk

=
=0

@F
,
@fk

@F
@ fk

=
=0

@F
@ fk

(PV.14)

338

A. Strumia, Meccanica razionale

Ma allora si pu riscrivere il risultato, precedentemente calcolato, come:


"

Z t2
d
@F
@F d
(0) =
fk (t) +
fk (t) dt =
d
@fk
t1
@ fk dt

Z t2
t1

Z t2
@F
@F d
fk (t) dt +
fk (t) dt
@fk
t1 @ fk dt

Integrando per parti il secondo integrale otteniamo:


"

Z t2
d
@F
(0) =
d
@fk
t1

d @F
dt @ fk

"

#t2

@F
fk (t) dt +
fk (t)
@ fk

t1

Ma grazie alla condizione (PV.12) le variazioni agli estremi sono nulle,


per cui la condizione di stazionariet del funzionale diventa:
"

Z t2
d
@F
(0) =
d
@fk
t1

d @F
dt @ fk

fk (t) dt = 0

(PV.15)

Data larbitrariet delle variazioni fk lintegrale (PV.15) pu annullarsi


se e solo se nulla la funzione integranda, e in particolare il termini entro
parentesi quadra:
@F
@fk

d @F
=0
dt @ fk

(PV.16)

Queste condizioni che equivalgono alla stazionariet del funzionale sono


note come equazioni di Eulero. Esse saranno utilizzate in relazione alla
dinamica lagrangiana e hamiltoniana dei sistemi olonomi ad un numero finito
di gradi di libert.

principi variazionali

339

2. Funzioni f dipendenti dal tempo e dalle coordinate


I risultati precedenti si generalizzano in maniera abbastanza diretta al
caso in cui le funzioni dipendano anche dalle coordinate dello spazio (che
considereremo essere R3 ), oltre che dal tempo.
Sia:

f : [t1 , t2 ] D ! RN ,

D R3

una funzione delle variabili t, xJ , (J = 1, 2, 3), a valori vettoriali in RN , e


F[f ] il funzionale definito da:

F[f (t, xJ )] =

Z t2 Z
t1

F (t, xJ , fh (t, xJ ), fh (t, xJ ), fh,I (t, xJ )) dV dt


(PV.17)

essendo fh le componenti del vettore f e dV lelemento di volume spaziale.


Denotiamo con le lettere maiuscole I, J, K = 1, 2, 3 gli indici delle
componenti delle coordinate spaziali per distinguerli dagli indici h, k, ` =
1, 2, , N che tabulano le funzioni fh . Inoltre denotiamo:
fh,J =

@fh
@xJ

(PV.18)

Vogliamo determinare le condizioni alle quali devono soddisfare le


funzioni fh affinch il funzionale sia stazionario rispetto a variazioni delle
funzioni fh supposte nulle negli estremi di integrazione temporali e sulla
frontiera spaziale di D:
fh |t=t1 = fh |t=t2 = 0,

fh |(xJ )2@D = 0

(PV.19)

340

A. Strumia, Meccanica razionale

Geometricamente questo equivale a ricercare, per ogni punto di coordinate


xJ la curve di stazionariet del funzionale, facendo variare le curve di
confronto in maniera tale che passino tutte per gli stessi estremi.
f(t)
f

P1

f+

P
2
f

t
D

Figura PV. 3: curve su superfici con variazione nulla agli estremi


La ricerca delle condizioni di stazionariet per il funzionale (PV.17) si
riconduce alla determinazione delle condizioni che annullano, in = 0, la
derivata della funzione a valori reali:
() = F[f (t, xJ ) + f (t, xJ )] =

Z t2Z
t1

F (t, xJ , fh + fh , fh + fh , fh,I + fh,I ) dV dt

dove abbiamo sottinteso gli argomenti (t, xJ ) delle funzioni fh per alleggerire
la scrittura. Tenendo conto che non dipende dalle variabili di integrazione
t, xI , possiamo scrivere:

d
d
(0) =
d
d

Z t2Z
t1

F (t, xJ , fh + fh , fh + fh , fh + fh,I ) dV dt

=
=0

principi variazionali

Z t2Z
t1

341

@
F (t, xJ , fh + fh , fh + fh , fh,I + fh,I )
dV dt
@
=0

Sviluppando la derivata:
"

Z t2 Z
d
@F
@F
@F
(0) =
fk +
fk +
fk,I dV dt
d
@fk,I
t1
D @fk
@ fk

Ma le variazioni delle derivate (di qualsiasi ordine) delle funzioni fk sono


uguali alle derivate delle variazioni rispetto alle stesse variabili. Ma allora si
pu riscrivere il risultato, precedentemente calcolato, come:
"

Z t2Z
d
@F
@F @
@F @
(0) =
fk +
fk +
fk,I dV dt =

d
@fk,I @xI
t1 D @fk
@ fk @t

Z t2Z
t1

Z t2Z
@F
@F @
fk dV dt +
[ fk ] dV dt+
@fk
t1 D @ fk @t

Z t2Z
t1

@F @
[ fk ] dV dt
@fk,I @xI

Abbiamo cos ottenuto la somma di tre integrali che dobbiamo esaminare:


d
(0) = I1 + I2 + I3
d
dove I1 , I2 , I3 sono i tre integrali nellordine in cui compaiono nello sviluppo
precedente. Ora dobbiamo far scomparire le derivate delle variazioni di
fk , rispetto al tempo e alle coordinate, in I2 , I3 . Tenendo conto che il
dominio spaziale D non dipende dal tempo, possiamo scambiare lordine di
integrazione in I2 , e integrare per parti rispetto al tempo, ottenendo:

342

A. Strumia, Meccanica razionale

"Z

I2 =

#t2

@F
fk dV
@ fk

t1

Z Z t2
D

t1

"

@ @F
@t @ fk

fk dV dt

Ed essendo nulle le variazioni in t1 e t2 , rimane:

I2 =

Z t2Z

t1

"

@ @F
@t @ fk

(PV.20)

fk dV dt

dove si nuovamente scambiato lordine di integrazione nellultimo integrale.


Per quanto riguarda I3 , lo riscriviamo mettendo in evidenza la derivata del
prodotto:

I3 =

"

Z t2Z
t1

@
@F
fk dV dt
@xI @fk,I

Z t2Z

t1

"

@
@F
@xI @fk,I

fk dV dt

Ora possiamo applicare il teorema di Gauss allintegrale di volume


che contiene la divergenza, trasformandolo nellintegrale del flusso normale
attraverso la superficie di frontiera del dominio D:
Z

"

Z
@
@F
@F
fk dV =
fk nI d
@xI @fk,I
@D @fk,I

dove (nI ) il vettore normale alla frontiera del dominio D. Ma questultimo


integrale nullo, perch le variazioni sono supposte nulle sulla frontiera del
dominio spaziale D. Dunque in I3 rimane:
I3 =

Z t2Z
t1

"

@
@F
@xI @fk,I

fk dV dt

(PV.21)

Combinando finalmente I1 con i risultati (PV.20) e (PV.21), ottenuti per


I2 e I3 otteniamo le condizioni di stazionariet del funzionale:

principi variazionali

343

"

Z t2Z
d
@F
(0) =
d
t1 D @fk

@ @F
@t @ fk

@ @F
@xI @fk,I

fk dV dt = 0

Data larbitrariet delle variazioni fk lintegrale pu annullarsi se e solo


se nulla la funzione integranda, e in particolare il termini entro parentesi
quadra:

@F
@fk

@ @F
@t @ fk

@ @F
=0
@xI @fk,I

(PV.22)

Questa forma delle equazioni di Eulero sar utilizzata in relazione alla


dinamica lagrangiana e hamiltoniana dei sistemi olonomi continui ad un
numero infinito di gradi di libert come i campi elettromagnetici, o di altra
natura.
E utile osservare come sia nel caso di funzioni fh dipendenti solo dal
tempo, come nel caso di funzioni dipendenti anche dalle coordinate spaziali,
loperatore variazionale si comporta come un operatore differenziale che
agisce solo sulle funzioni fh e le loro derivate (non sulle variabili indipendenti
t, xI ) per cui, dal punto di vista operativo la variazione di un funzionale si pu
calcolare direttamente agendo con e scambiando loperazione di variazione
con quella di integrale e di derivata rispetto al tempo o alle coordinate spaziali.
Passiamo ora ad applicare alla meccanica i metodi variazionali che abbiamo
finora esaminato dal punto di vista analitico.

Principio di Hamilton
Prima formulazione
Consideriamo un sistema olonomo a N gradi di libert, governato da una
lagrangiana L(qh , qh , t) e definiamo il funzionale dei parametri lagrangiani:

344

A. Strumia, Meccanica razionale

S[qh ] =

Z t2
t1

L(qh (t), qh (t), t) dt

(PV.23)

al quale si d il nome di integrale dazione.


Durante il moto di un sistema lagrangiano il funzionale dellintegrale
dazione stazionario
Spesso si denomina il principio di Hamilton anche come principio di
minima azione formulandolo nel modo seguente: Durante il moto lintegrale
dazione minimo, sottintendendo che si tratta di un minimo relativo proprio.
Per questo occorre che lintervallo di integrazione sia abbastanza piccolo,
perch non si tratta di un minimo assoluto. In ogni caso la condizione di
stazionariet sufficiente per dedurre le equazioni del moto del sistema.
Ora il funzionale S[qh ] ha la struttura definita dalla (PV.11) e perci risulta
essere stazionario se sono soddisfatte le equazioni di Eulero (PV.16), che in
questo caso vengono a coincidere con le equazioni del moto di Lagrange:
d @L
dt @ qh

@L
=0
@qh

(PV.24)

Pu essere istruttivo fare anche la verifica diretta del risultato, mediante


la regola operativa precedentemente indicata, che consente di utilizzare
loperatore di variazione come un qualsiasi operatore differenziale che
commuta con gli integrali e le derivate rispetto al tempo e alle coordinate.
Abbiamo allora:

S[qh ] =

Z t2
t1

L(qh (t), qh (t), t) dt =

Z t2
t1

L(qh (t), qh (t), t) dt =

principi variazionali

345

Z t2 "
@L
t1

Z t2 "
@L
t1

@qh

@qh

@L
qh +
qh dt =
@ qh

d @L
dt @ qh

"

@L
qh dt +
qh
@ qh

#t2

=0

t1

Tenendo conto che le variazioni sono nulle agli estremi dellintervallo


dintegrazione, segue:
Z t2 "
@L
t1

@qh

d @L
dt @ qh

qh dt = 0

E quindi le equazioni di Lagrange (PV.24).


Uno dei vantaggi e degli aspetti pi eleganti della formulazione
variazionale risiede nel fatto che con un unico principio, come quello di
Hamilton, possibile dedurre sia le equazioni di Lagrange che quelle di
Hamilton, per i sistemi meccanici come per le teorie di campo; dunque un
vasto settore delle leggi della fisica.
Seconda formulazione del Principio di Hamilton
La seconda formulazione del principio di Hamilton definisce lintegrale
dazione in termini delle variabili hamiltoniane qh , ph , anzich di quelle
lagrangiane, esprimendo la lagrangiana in funzione dellhamiltoniana,
tenendo conto della trasformazione di Legendre che lega le due funzioni:
L = qh ph

(PV.25)

In questo caso il funzionale dellintegrale dazione espresso in termini


di un numero doppio di funzioni e le variazioni si fanno rispetto alle variabili
canoniche qh , ph :

346

A. Strumia, Meccanica razionale

S[qh , ph ] =

Z t2
t1

H(qh , ph , t)] dt

[qh ph

(PV.26)

Applicando il principio di Hamilton, annulliamo la variazione del


funzionale (PV.26) e scriviamo le equazioni di Eulero (PV.16) per la funzione:
F (qh , ph , qh , t) = qh ph

H(qh , ph , t)

(PV.27)

Tenendo conto che:

@F
=
@qh

@H
,
@qh

@F
= ph ,
@ qh

@F
= qh
@ph

@H
,
@ph

@F
=0
@ ph

si hanno le equazioni di Eulero seguenti:


ph =

@H
,
@qh

qh =

@H
@ph

che sono le equazioni di Hamilton.


Determinazione della traiettoria: principio di Maupertuis
Consideriamo ora un sistema hamiltoniano per il quale lhamiltoniana non
dipende esplicitamente dal tempo; in tal caso essa, come abbiamo visto nel
capitolo sulle equazioni canoniche, un integrale primo del moto, il cui valore
costante denotiamo con E:
H(qh , ph ) = E

(PV.28)

Di conseguenza lintegrale dazione (PV.26) si pu riscrivere,


introducendovi la (PV.28):

principi variazionali

S[qh , ph ] =

347

Z t2
t1

[ph qh

E] dt =

Z t2
t1

ph qh dt

Z t2
t1

E dt

Tenendo conto che E costante, abbiamo:


S[qh , ph ] =

Z t2
t1

qh ph dt

E (t2

t1 )

(PV.29)

E allora abbastanza naturale prendere in considerazione il funzionale:


h , ph ] =
S[q

Z t2
t1

qh ph dt

(PV.30)

che viene denominato azione ridotta e domandarsi se si pu compiere una


variazione delle variabili hamiltoniane in modo tale da ottenere una variazione
nulla dellazione ridotta durante il moto:
S[q
h , ph ] = 0

(PV.31)

A questo scopo occorre che la variazione, il cui operatore stato denotato


con per distinguerlo dalloperatore di variazione , abbia le seguenti
propriet:
i) durante la variazione lenergia deve mantenersi costante e uguale al
valore E dellintegrale primo dellhamiltoniana (variazione isoenergetica);
ii) le variazioni possono avere durata diversa le une dalle altre, in modo
che sia soddisfatta la condizione che garantisce la validit della (PV.31):
S[qh , ph ] + E (t2

t1 ) = 0

(PV.32)

La seconda condizione sostituisce alla richiesta di percorrere tutte le curve


di controllo nello stesso intervallo di tempo t2 t1 con la condizione che

348

A. Strumia, Meccanica razionale

tutte le curve vengano percorse con la stessa energia E. Di conseguenza,


con questo tipo di variazione isoenergetica non pi stazionario il funzionale
dellazione usuale, ma lo quello dellazione ridotta.
il vantaggio di questo risultato consiste nel fatto che in questultimo
funzionale si pu eliminare il tempo, ottenendo una condizione puramente
geometrica per la traiettoria del moto nello spazio delle configurazioni.
Infatti, tenendo conto che:
(PV.33)

dqh = qh dt
possiamo riscrivere:
h , ph ] =
S[q

(PV.34)

ph dqh

dove la curva di controllo


pu essere parametrizzata mediante una
parametrizzazione che non coinvolge il tempo. Un parametrizzazione
comoda, per un sistema a vincoli indipendenti dal tempo e con un potenziale
ordinario, si ottiene scrivendo lintegrale primo dellenergia:

T +V =

1
ahk qh qk + V (qh ) = E
2

da cui si ricava, tenendo conto della (PV.33):

dt =

2T

d =

2 [E

V (qh )]

(PV.35)

Lelemento d definito dalla forma quadratica fondamentale:


(d)2 = ahk dqh dqk

(PV.36)

principi variazionali

349

nella quale la matrice dellenergia cinetica gioca il ruolo di tensore metrico


nello spazio delle configurazioni. In questo modo il principio di stazionariet
dellazione ridotta viene espresso indipendentemente dal tempo, nella forma
puramente geometrica:

Z 2 p
1

2 T d =

Z 2 q

2 [E

V (qh )] d = 0

(PV.37)

che prende il nome di principio di Maupertuis. Si noti come per una particella
singola di massa m si ha:
ahk = m

hk

la (PV.37) si scrive semplicemente:

Z s2
s1

2
[E
m

V (qh )] ds = 0

(PV.38)

essendo ds lascissa curvilinea sulla curva . La (PV.38) rappresenta la


condizione variazionale alla quale deve soddisfare la traiettoria della particella
durante il moto.
Evidentemente, in assenza di forze, V = costante e la traiettoria
rettilinea, dovendo avere lunghezza minima nello spazio euclideo:

Z s2
s1

ds = 0

Si osservi come questo risultato si generalizza ad un sistema ad N gradi di


libert non soggetto a forze: infatti in questo caso la condizione variazionale
(PV.37) diviene:

350

A. Strumia, Meccanica razionale

Z 2
1

d = 0

cio la condizione che la lunghezza dellarco di curva, misurato secondo


la metrica ahk , sia stazionaria (minima tra due punti vicini), ovvero che la
traiettoria sia una geodetica dello spazio delle configurazioni.

Principio di Hamilton per le teorie di campo


Prima formulazione
Consideriamo il seguente funzionale che supponiamo rappresentare un
integrale dazione per un campo h (t, xJ ) continuo a infiniti gradi di libert,
dove h rappresenta qui un eventuale indice che caratterizza il campo in
qualche spazio:

S[

h] =

Z t2 Z
t1

L(

h (t, xJ ),

h (t, xJ ),

h,J , t, xJ ) dV

dt

(PV.39)

La funzione L cos definita viene detta densit di lagrangiana del campo


h.

Diremo che il campo h ammette una descrizione lagrangiana se le


equazioni che lo governano sono le equazioni di Eulero che rendono
stazionario lintegrale dazione (PV.39). Ora le equazioni di Eulero (PV.22)
in questo caso sono date da:

@ @L
@ @L
+

@t @ h @xI @ h,I

@L
=0
@ h

(PV.40)

principi variazionali

351

Queste equazioni, che generalizzano le equazioni di Lagrange ai sistemi


continui ad infiniti gradi di libert prendono in il nome di equazioni di
Eulero-Lagrange.
Si osservi che, in generale, i continui materiali (solidi, fluidi) non
ammettono una formulazione lagrangiana.
Esempio
Consideriamo un campo scalare
L=

governato dalla densit di lagrangiana:

1 1 2
2 c2

,I

,I

(PV.41)

Calcoliamo le derivate:
@L
1
= 2 ,
c
@

@L
=
@ ,I

,I ,

@L
=
@

Otteniamo le equazioni di Eulero-Lagrange seguenti, che rappresentano


le equazioni di campo:

,I,I

1
=
c2

Ovvero:
r2

1 @2
=
c2 @t2

(PV.42)

che lequazione di Klein-Gordon. Per = 0 si ottiene lusuale equazione


delle onde lineari di DAlembert.
Anche il campo elettromagnetico si pu descrivere mediante una densit
di lagrangiana:

352

A. Strumia, Meccanica razionale

L=

1 2
B
2

1
jA
c

E2 +

(PV.43)

mediante la variazione dei campi e A e tenendo conto delle relazioni che


legano i potenziali ai campi elettrico e magnetico.
Seconda formulazione
La seconda formulazione del principio di Hamilton, per i sistemi continui,
considera lintegrale dazione in termini del campo h e del suo coniugato,
che definiamo:

h =

@L
@ h

(PV.44)

Seguendo un procedimento analogo a quello che si utilizza per i sistemi


hamiltoniani ad un numero finito di gradi di libert, si introduce la trasformata
di Legendre della densit di lagrangiana:
H = h h

(PV.45)

che prende il nome di densit di hamiltoniana e si interpreta come densit


di energia del campo. Lintegrale dazione viene allora scritto nella forma
hamiltoniana come:

S[

h , h ]

Z t2 Z h
t1

h h

H(

h , h ,

h,J , t, xJ )

dV dt

(PV.46)

Applicando il principio di Hamilton, annulliamo la variazione del


funzionale (PV.46) e scriviamo le equazioni di Eulero-Lagrange (PV.22) per
la funzione:

principi variazionali

F(

353

h,

h , h ,

h,J , t)

= h h

H(

h , h ,

h,J , t, xJ )

(PV.47)

Calcolando le derivate:
@F
=
@ h

@H
,
@ h

@F
= h
@h

@F
= h ,
@ h
@H
,
@h

@F
=
@ h,I

@F
= 0,
@ h

@H
,
@ h,I

@F
=0
@h,I

si hanno le equazioni di Eulero-Lagrange seguenti:


h

@ @H
=
@xI @ h,I

@H
,
@ h

h = @H
@h

(PV.48)

che rappresentano le equazioni hamiltoniane per i sistemi continui e i campi.


Esempio
Riprendendo lo stesso esempio visto nella prima formulazione abbiamo
che, per il campo scalare governato dallequazione di Klein-Gordon, il campo
coniugato dato da:
=

@L
1
= 2

c
@

Quindi la densit di hamiltoniana risulta:

H=

1
2

1 2
+
c2

,I

,I

1 1 2
+ (r )2 +
2 c2

354

A. Strumia, Meccanica razionale

Leggi di conservazione
Concludiamo questo capitolo sulla formulazione variazionale delle
leggi della fisica con qualche importante considerazione sulle leggi di
conservazione. Abbiamo visto in precedenza, trattando delle coordinate
cicliche o ignorabili, come ad ognuna di tali coordinate, sia nella
formulazione lagrangiana come in quella hamiltoniana, corrisponde un
integrale primo del moto, che si identifica con il momento canonico
corrispondente. Si ha dunque la legge di conservazione di quel momento.
Osserviamo che tale risultato vale anche per i sistemi continui e i campi, in
quanto se una coordinata del campo, ad esempio h ciclica rispetto alla
densit di lagrangiana, si ha:
@L
=0
@ h
e quindi la corrispondente equazione di Eulero-Lagrange diviene la legge di
conservazione:
@h
@ @L
+
=0
@t
@xI @ h,I

dove h rappresenta la densit della grandezza che si conserva, che vale:


Z

Ph =
e

@L
@

h,I

ph dV

(PV.49)

la densit del flusso della grandezza conservata, flusso che pari a:

I
h

@L
dV
@ h,I

(PV.50)

principi variazionali

355

Si noti come nelle equazioni di Eulero-Lagrange il termine a secondo


membro, quando non nullo, rappresenta la sorgente che produce (o
dissipa) il momento definito dalla (PV.49).
Teorema di Noether
Il legame tra integrali primi del moto e coordinate cicliche costituisce
un caso particolare di un risultato generale che si basa su considerazioni di
simmetria, cio su criteri di invarianza della lagrangiana rispetto a un gruppo
di trasformazioni, noto come teorema di Noether.
Ad ogni gruppo, ad un parametro, di trasformazioni biunivoche
differenziabili (diffeomorfismi) nello spazio delle configurazioni, che
lascia invariante una lagrangiana indipendente dal tempo, corrisponde
un integrale primo del moto
DIMOSTRAZIONE
E data la lagrangiana che non dipende esplicitamente dal tempo:

L(qh , qh )
Consideriamo una legge di trasformazione biunivoca delle coordinate
lagrangiane:

qh

! qh0 ( )

che lascia invariata la lagrangiana. Si suppone che il gruppo di trasformazioni


sia caratterizzato da un solo parametro : ci significa che:

356

A. Strumia, Meccanica razionale

dqh0 = uh d

()

uh =

@qh0
@

(PV.51)

essendo u (uh ) per definizione il versore del differenziale di q 0 (qh0 ). Ora


se L invariante rispetto al gruppo di trasformazioni ad un solo parametro in
questione, deve risultare, dopo la trasformazione:
@L
=0
@
Ma:
@L
@L @ qh0
@L @qh0
= 0
+ 0
@
@ qh @
@qh @

0=

(PV.52)

Ora dalla (PV.51) si ha:

uh =

@qh0
,
@

u h =

d @qh0
@ q0
= h
dt @
@

Quindi sostituendo nella (PV.52) risulta:

0=

@L
@L
u h + 0 uh
0
@ qh
@qh

(PV.53)

Se la lagrangiana invariata continuano a valere le equazioni del moto di


Lagrange anche rispetto ai nuovi parametri lagrangiani e possiamo esprimere:
@L
d @L
=
@qh0
dt @ qh0
Di conseguenza risulta finalmente nella (PV.53):

principi variazionali

357

@L
d @L
d
0 = 0 u h + uh
=
0
@ qh
dt @ qh
dt

@L
uh
@ qh0

Dunque resta individuato lintegrale primo del moto:


I=

@L
uh
@ qh0

(PV.54)

Il teorema si estende anche a lagrangiane dipendenti esplicitamente dal


tempo, lavorando nello spazio degli eventi e scegliendo una variabile evolutiva
diversa da t, in modo da considerare q0 = t come un parametro che ha una
derivata non costante rispetto alla variabile evolutiva.
Si noti che nel formalismo dello spazio degli eventi una lagrangiana che
non dipende esplicitamente dal tempo si pu considerare ciclica rispetto a q0 :
in tale caso il suo momento coniugato p0 , che risulta essere lhamiltoniana,
un integrale primo del moto.
Come casi particolari notevoli si ha che per la lagrangiana che governa il
moto di una particella:
linvarianza per traslazione di una coordinata cartesiana comporta la
conservazione della componente della quantit di moto nella direzione della
traslazione;
linvarianza per rotazione attorno ad un asse fisso comporta la
conservazione del momento della quantit di moto nella direzione dellasse
fisso.

TC. Trasformazioni canoniche


Funzione generatrice
Consideriamo le equazioni di Hamilton:

qh =

@H
,
@ph

ph =

@H
@qh

(TC.1)

per le variabili canoniche qh , ph , relative ad unhamiltoniana generica


H(qh , ph , t), e supponiamo di effettuare un cambio di variabili mediante una
trasformazione regolare del tutto generale: 1
Qh = Qh (qk , pk , t),

Ph = Ph (qk , pk , t)

(TC.2)

Dopo una trasformazione cos generale le equazioni di Hamilton possono


venire trasformate in equazioni che non hanno pi la forma canonica (TC.1):
nasce allora il problema di determinare a quali condizioni una trasformazione
come la (TC.2) lascia invarianti le equazioni di Hamilton, ovvero a quali
condizioni le nuove variabili sono ancora variabili canoniche. In genere le
nuove equazioni di Hamilton si scriveranno:
@H0
Q h =
,
@Ph

Ph =

@H0
@Qh

potendo a priori la nuova hamiltoniana H0 differire da H.


Definiremo allora trasformazione canonica
o di contatto
una
trasformazione che porta variabili canoniche in nuove variabili canoniche. In
1

Evidentemente qui i simboli Qh non vanno confusi con le componenti lagrangiane delle
forze con le quali non hanno alcuna relazione.

trasformazioni canoniche

359

ogni caso, prima e dopo la trasformazione deve valere il principio di Hamilton


nella seconda forma, e cio devono risultare uguali a zero le variazioni dei due
funzionali che esprimono gli integrali dazione:
S[qh , ph ] =

Z t2

S 0 [Qh , Ph ] =

Z t2

t1

t1

[qh ph

H(qh , ph , t)] dt = 0

[Q h Ph

H0 (Qh , Ph , t)] dt = 0

Ci significa che i due integrali dazione non sono necessariamente uguali,


ma possono differire per un funzionale F a variazione identicamente nulla:
F[qh , ph , Qh , Ph ] = S[qh , ph ]

S 0 [Qh , Ph ]

Ora la variazione risulta essere identicamente nulla solo gli estremi


dellintervallo dintegrazione [t1 , t2 ], perci F deve dipendere solo dalle
variabili calcolate in tali estremi. Ha quindi la forma:

F[qh , ph , Qh , Ph ] =
= F (qh (t2 ), ph (t2 ), Qh (t2 ), Ph (t2 ), t2 )

Z t2
t1

F (qh (t1 ), ph (t1 ), Qh (t1 ), Ph (t1 ), t1 ) =

d
F (qh (t), ph (t), Qh (t), Ph (t), t) dt
dt

Infatti si ha proprio:
"

@F
@F
@F
@F
F[qh , ph , Qh , Ph ] =
qh +
Qh +
ph +
Ph
@qh
@Qh
@ph
@Ph

#t2
t1

=0

360

A. Strumia, Meccanica razionale

Allora abbiamo il seguente legame fra le funzioni integrande degli


integrali dazione e la funzione F :

qh ph

H = Q h Ph

H0 +

dF
dt

(TC.3)

La funzione F prende il nome di funzione generatrice


della
trasformazione canonica, perch, come vedremo, nota tale funzione, si pu
determinare completamente la trasformazione stessa.
Osserviamo che le 4 N variabili qh , ph , Qh , Ph non possono essere
tutte indipendenti, a causa delle 2 N leggi di trasformazione (TC.2) che le
legano fra loro; di conseguenza solo 2 N di esse sono indipendenti. Dunque
la funzione F , espressa in termini delle sole variabili indipendenti potr
contenere al pi 2 N variabili. Distingueremo, perci, i 4 tipi di funzioni
generatrici che legano le vecchie variabili alle nuove, e le denoteremo con
F1 (qh , Qh , t), F2 (qh , Ph , t), F3 (ph , Qh , t), F4 (ph , Ph , t).
Funzione generatrice del tipo F1 (qh , Qh , t)
Se la funzione generatrice del tipo F1 (qh , Qh , t) la sua derivata totale
rispetto al tempo risulta essere:
dF1
@F1
@F1
@F1
=
qh +
Qh +
dt
@qh
@Qh
@t

(TC.4)

Confrontando la (TC.4) con la (TC.3) e identificando i coefficienti


delle variabili indipendenti, abbiamo la determinazione completa della
trasformazione in termini della funzione generatrice:

ph =

@F1
,
@qh

Ph =

@F1
,
@Qh

H0 = H +

@F1
@t

(TC.5)

trasformazioni canoniche

361

Esplicitando dalla prima relazione le nuove variabili Qh in funzione delle


qh e di t, mediante la seconda relazione si ottengono anche le Ph in funzione
delle vecchie variabili. Lultima relazione lega le due hamiltoniane.
Osserviamo che se la F , e quindi le leggi di trasformazione (TC.2) non
dipendono esplicitamente dal tempo, le hamiltoniane coincidono.
Funzione generatrice del tipo F2 (qh , Ph , t)
Se la funzione generatrice , invece, del tipo F2 (qh , Ph , t), la sua derivata
totale rispetto al tempo si scrive:
dF2
@F2
@F2
@F2
=
qh +
Ph +
dt
@qh
@Ph
@t

(TC.6)

Per confrontare la (TC.6) con la (TC.3) e, identificando i coefficienti delle


variabili indipendenti, ottenere:
ph =

@F2
,
@qh

Qh =

@F2
,
@Ph

H0 = H +

@F2
@t

(TC.7)

abbiamo bisogno, in questo caso di una trasformazione di Legendre che leghi


F2 a F1 :

F2 (qh , Ph , t) = Qh Ph

[ F1 (qh , Qh , t)],

Ph =

sostituita nella (TC.3), che diviene:


ph qh

H=

Qh P h

H0 +

dF2
dt

@( F1 )
@Qh

362

A. Strumia, Meccanica razionale

Funzione generatrice del tipo F3 (ph , Qh , t)


Se la funzione generatrice , questa volta, del tipo F3 (ph , Qh , t), la sua
derivata totale rispetto al tempo data da:
dF3
@F3
@F2
@F3
=
ph +
Qh +
dt
@ph
@Qh
@t

(TC.8)

Per confrontare la (TC.8) con la (TC.3) e, identificando i coefficienti delle


variabili indipendenti, ottenere:

qh =

@F3
,
@ph

Ph =

@F3
,
@Qh

H0 = H +

@F3
@t

(TC.9)

occorre in questo caso introdurre una trasformazione di Legendre che lega


F3 a F1 :

F3 (ph , Qh , t) = qh ph

F1 (qh , Qh , t),

ph =

@F1
@qh

sostituita nella (TC.3), che diviene:

qh ph

H = Q h Ph

H0 +

dF3
dt

Funzione generatrice del tipo F4 (ph , Ph , t)


Infine, se la funzione generatrice del tipo F4 (ph , Ph , t), la sua derivata
totale rispetto al tempo vale:
dF4
@F4
@F4
@F4
=
ph +
Ph +
dt
@ph
@Ph
@t

(TC.10)

trasformazioni canoniche

363

Per confrontare la (TC.10) con la (TC.3) e identificando i coefficienti delle


variabili indipendenti, ottenere:
qh =

@F4
,
@ph

Qh =

@F4
,
@Ph

H0 = H +

@F4
@t

(TC.11)

occorre in questo caso introdurre due trasformazioni di Legendre combinate


che legano F4 a F1 :
F4 (ph , Ph , t) = Qh Ph

qh ph + F1 (qh , Qh , t)

che sostituite nella (TC.3), comportano:


H=

qh ph

Qh Ph

H0 +

dF4
dt

Esempi
Esaminiamo alcuni semplici esempi di trasformazioni canoniche,
partendo dalla loro funzione generatrice:
i) trasformazione identica
La trasformazione identica evidentemente canonica, dal momento che
lascia inalterate le variabili qh , ph . Essa generata dalla funzione di tipo F2
indipendente dal tempo:
(TC.12)

F2 (qk , Pk ) = qk Pk
Dalle (TC.7) abbiamo:
ph =

@F2
= Ph ,
@qh

Qh =

@F2
= qh ,
@Ph

H0 = H

364

A. Strumia, Meccanica razionale

La trasformazione non dipende dal tempo e quindi lhamiltoniana rimane


pure inalterata.
ii) Trasformazioni puntuali
La trasformazione identica un caso particolarissimo di quella classe di
trasformazioni che definiscono le Qh solamente in funzione delle vecchie
coordinate qh e del tempo, e che prendono il nome di trasformazioni puntuali.
Esse si caratterizzano mediante la funzione generatrice di tipo F2 :
(TC.13)

F2 (qk , Pk , t) = fk (q` , t) Pk

dove fk (q` , t) una funzione arbitraria delle sole q` e del tempo. Si ha allora,
grazie alla (TC.7), la trasformazione:

ph =

@F2
@fk
=
Pk ,
@qh
@qh
H0 = H +

Qh =

@F2
= fh (q` , t)
@Ph

@F2
@fk
=H+
Pk
@t
@t

iii) Trasformazione di scambio


La trasformazione di scambio generata dalla funzione di tipo F1
indipendente dal tempo:
(TC.14)

F1 (qk , Qk ) = qk Qk
Mediante le (TC.5) abbiamo:

ph =

@F1
= Qh ,
@qh

Ph =

@F1
=
@Qh

qh ,

H0 = H

(TC.15)

trasformazioni canoniche

365

Linteresse di questa trasformazione sta nel suo valore concettuale: essa


scambia, a meno di un segno, le coordinate con i momenti canonici.
Ci significa che dopo una trasformazione canonica le nuove variabili
non sono pi vincolate a rappresentare delle coordinate nello spazio delle
configurazioni e dei momenti coniugati ad esse tramite una lagrangiana, ma
vengono liberamente trasformate in tutto lo spazio delle fasi, con la sola
condizione di lasciare invariata la struttura canonica delle equazioni del moto.
Per cui esse possono essere, in un certo senso ruotate nello spazio delle fasi
fino a scambiarsi.
La verifica della canonicit di questa semplice trasformazione si pu
effettuare anche direttamente sostituendola nelle equazioni di Hamilton, le
quali vengono semplicemente a scambiarsi nelle nuove coordinate.

Invarianti canonici
Condizioni di canonicit - Parentesi fondamentali di Poisson
Nota la funzione generatrice, come abbiamo visto, siamo in grado di
costruire la trasformazione canonica corrispondente. Ci poniamo ora un altro
problema:
A quali condizioni una legge di trasformazione delle variabili
canoniche qh , ph deve soddisfare affinch le nuove variabili Qk , Pk siano
anchesse variabili canoniche?
E chiaro che se si riesce a determinare una funzione generatrice F
dalla quale discende la nostra trasformazione, essa sar certamente una
trasformazione canonica, ma vorremmo ora trovare un criterio del tutto
generale, cio delle condizioni di canonicit alle quali tutte le variabili
canoniche devono soddisfare. Possiamo quindi anche riformulare la nostra
domanda nel modo seguente:

366

A. Strumia, Meccanica razionale

A quali condizioni le 2 N variabili Qk , Pk devono soddisfare per essere


variabili canoniche?
Possiamo determinare queste condizioni mediante un calcolo diretto.
Supponiamo che le variabili qh , ph siano canoniche, relativamente
allhamiltoniana H e valgano, di conseguenza, le equazioni di Hamilton:
qh =

@H
,
@ph

ph =

@H
@qh

(TC.16)

Consideriamo la generica trasformazione delle variabili, che assumiamo


essere non singolare e differenziabile:
Qk = Qk (qh , ph , t),

Pk = Pk (qh , ph , t)

Calcoliamo:
@Qk
@Qk
@Qk
Q k =
qh +
ph +
@qh
@ph
@t

(TC.17)

@Pk
@Pk
@Pk
Pk =
qh +
ph +
@qh
@ph
@t

(TC.18)

Mediante le equazioni di Hamilton (TC.16) possiamo eliminare qh , ph


nelle (TC.17), (TC.18), ottenendo:
@Qk @H
Q k =
@qh @ph

@Qk @H @Qk
+
@ph @qh
@t

(TC.19)

@Pk @H
Pk =
@qh @ph

@Pk @H @Pk
+
@ph @qh
@t

(TC.20)

trasformazioni canoniche

367

Ora esprimiamo le derivate dellhamiltoniana H in termini delle nuove


variabili Qk , Pk :
@H
@H @Qk
@H @Pk
=
+
@qh
@Qk @qh
@Pk @qh

(TC.21)

@H
@H @Qk
@H @Pk
=
+
@ph
@Qk @ph
@Pk @ph

(TC.22)

Sostituiamo le (TC.21), (TC.22) nelle (TC.19), (TC.20) e raccogliamo


opportunamente:
@H
@H @Qk
Q k = [Qk , Q` ]q,p
+ [Qk , P` ]q,p
+
@Q`
@P`
@t

(TC.23)

@H
@H @Pk
Pk = [Pk , Q` ]q,p
+ [Pk , P` ]q,p
+
@Q`
@P`
@t

(TC.24)

dove con la notazione:

[f, g]q,p =

@f @g
@qh @ph

@f @g
@ph @qh

(TC.25)

abbiamo indicato le parentesi di Poisson per qualunque coppia di funzioni


f, g delle variabili canoniche e del tempo, relativamente alle variabili
hamiltoniane qh , ph . Dalle (TC.23), (TC.24) otteniamo le condizioni di
canonicit che cerchiamo. Infatti queste relazioni si identificano con le
equazioni di Hamilton per le nuove variabili Qk , Pk , relative a una nuova
hamiltoniana H0 :
@H0
Q k =
,
@Pk

Pk =

@H0
@Qk

(TC.26)

368

A. Strumia, Meccanica razionale

se e solo se:

[Qk , Q` ]q,p = 0,

[Qk , P` ]q,p =

@H0
@H
@Qk
=
+
,
@Pk
@Pk
@t

k` ,

[Ph , P` ]q,p = 0

@H0
@H
=
@Qk
@Qk

@Pk
@t

(TC.27)

(TC.28)

Le relazioni (TC.27) sono le condizioni di canonicit richieste e prendono


il nome di parentesi fondamentali di Poisson. Le (TC.28), invece, risultano
automaticamente soddisfatte. Infatti, sappiamo che le due hamiltoniane sono
sempre legate mediante la funzione generatrice F , dalla relazione:
H0 = H +

@F
@t

(TC.29)

E quindi le (TC.28) si riscrivono:


@
Qk
@t

@F
@Pk

= 0,

@
@F
Pk +
@t
@Qk

=0

(TC.30)

La prima di queste relazioni soddisfatta grazie alla (TC.7), o alla


(TC.11), quando si scrive F nella forma F2 , o F4 , mentre la seconda lo , per
la (TC.5), o (TC.9), quando si scrive F nella forma F1 o F3 . Daltra parte le
funzioni generatrici nelle varie forme sono legate da opportune trasformazioni
di Legendre, per cui possibile passare dalla forma F1 ad una qualsiasi delle
altre forme.
Le parentesi fondamentali di Poisson sono invarianti per trasformazioni
canoniche (invarianti canonici) in quanto sono state dedotte per una
trasformazione delle variabili del tutto generale, e non dipendono da una
scelta particolare delle Qk , Pk , n delle qh , ph . Perci possiamo omettere,
in seguito, lindice p,q al piede.

trasformazioni canoniche

369

Ne consegue che le parentesi di Poisson tra due funzioni qualunque f, g


sono invarianti canonici.
Infatti si pu sempre ricondurre una parentesi di Poisson alle parentesi
fondamentali, tenendo conto che:
[f, g]q,p = [f, Qk ]q,p

@g
@g
+ [f, Pk ]q,p
@Qk
@Pk

(TC.31)

e, applicando questo stesso risultato a Qh e Ph , in luogo di g:


[f, Qh ]q,p = [Qh , Qk ]

[f, Ph ] = [Ph , Qk ]

@f
@f
+ [Qh , Pk ]
@Qk
@Pk

@f
@f
+ [Ph , Pk ]
@Pk
@Pk

Tenendo conto delle parentesi fondamentali (TC.27), da queste relazioni


si ha il risultato:
@f
= [f, Pk ]q,p ,
@Qk

@f
=
@Pk

[f, Qk ]q,p

(TC.32)

che, sostituito nella (TC.31), comporta linvarianza canonica di qualsiasi


parentesi di Poisson:
[f, p]p,q =

@f @g
@Qk @Pk

@f @g
= [f, g]Q,P
@Pk @Qk

(TC.33)

Si pu, inoltre verificare che le parentesi di Poisson godono delle seguenti


propriet:
i) [f + g, h] = [f, h] + [g, h]
ii) [f g, h] = f [g, h] + g [f, h]

370

A. Strumia, Meccanica razionale

Parentesi di Lagrange e invarianti integrali di Poincar


Consideriamo una ipersuperficie 2N -dimensionale dello spazio delle fasi,
descritta mediante le equazioni parametriche:

qh = qh (uk , vk ),

ph = ph (uk , vk )

(TC.34)

essendo uk , vk i 2N parametri che la descrivono.


Si chiamano parentesi di Lagrange le seguenti quantit:

{uk , v` } =

@qh @ph
@uk @v`

@qh @ph
@v` @uk

(TC.35)

Si pu mostrare, con un calcolo diretto, che tra le parentesi di Lagrange e


le parentesi di Poisson intercorre la seguente relazione:

{uh , vk } [uh , v` ] =

(TC.36)

k`

e cio che la matrice i cui elementi sono le parentesi di Lagrange la trasposta


dellinversa della matrice i cui elementi sono costituiti dalla corrispondente
parentesi di Poisson.
Di conseguenza anche le parentesi di Lagrange sono degli invarianti
canonici.
Introduciamo ora gli integrali sulle ipersuperfici S, a 2n dimensioni, dello
spazio delle fasi:

Jn =

Z Z

S2n

d qh d ph d qk d pk d q` d p` ,

nN

(TC.37)

trasformazioni canoniche

371

che prendono il nome di invarianti integrali di Poincar. Questa scrittura


significa che, per n = 1 si ha un integrale su una superficie bidimensionale:
J1 =

Z Z

S2

dqh dph

Se n = 2 si ha un integrale su una ipersuperficie a 4 dimensioni:


J2 =

Z Z Z Z

S4

d qh d ph d qk d pk

e cos via. Questi integrali sono detti invarianti perch sono in effetti
degli invarianti canonici. Lo si pu vedere riconducendosi alle parentesi di
Lagrange. Infatti, utilizzando la parametrizzazione (TC.34), lelemento di
ipersuperficie nellintegrale (TC.37), si scrive come prodotto di n somme (su
h) di elementi di superficie bidimensionale del tipo:

d qh d ph =

@ (qh , ph )
d uk d v`
@ (uk , v` )

Ora la somma (su h) dei determinanti jacobiani (bidimensionali), si pu


anche scrivere:
@ (qh , ph )
@qh @ph
=
@ (uk , v` )
@uk @v`

@qh @ph
= {uk , v` }
@v` @vk

Ma le parentesi di Lagrange sono invarianti canonici, dunque anche gli


integrali Jn lo sono.

Trasformazioni infinitesime di contatto


Tra tutte le trasformazioni canoniche sono di particolare interesse quelle
infinitesime, che vengono dette trasformazioni infinitesime di contatto.
Linteresse per questa classe di trasformazioni risiede nel fatto che permettono

372

A. Strumia, Meccanica razionale

di stabilire un legame fra la funzione generatrice dalla quale esse nascono e


gli integrali primi del moto. Una trasformazione infinitesima delle variabili
hamiltoniane differisce di una quantit infinitesima dalla trasformazione
identica, per cui la sua funzione generatrice pu essere scritta, nella forma
F2 , incrementando di una quantit infinitesima quella dellidentit (TC.12):
(TC.38)

F2 (qh , Ph ) = qh Ph + " (qh , Ph , t)

dove il parametro di controllo " va considerato infinitesimo e la funzione


, che usualmente viene detta funzione generatrice in luogo della F2 ,
arbitraria, supposta regolare. Dalla (TC.38), tenendo conto delle (TC.7),
segue la trasformazione infinitesima di contatto:

ph =

@F2
@
= Ph + "
,
@qh
@qh

Qh =

@F2
@
= qh + "
@Ph
@Ph

(TC.39)

Ovvero, esplicitando le nuove variabili canoniche e a meno di infinitesimi


di ordine superiore al primo, possiamo scrivere:
Qh = qh + "

@
+ O(2),
@ph

Ph = ph

"

@
@qh

(TC.40)

Ora, data una funzione f delle variabili canoniche ed eventualmente


del tempo, dopo la trasformazione (TC.40) essa risulta espressa, a meno di
infinitesimi di ordine superiore al primo, dallo sviluppo in serie di Taylor:

f (Qh , Ph , t) = f (qh , ph , t) +

@f
(Qh
@qh

qh ) +

@f
(Ph
@ph

ph ) + O(2)

dove le derivate si intendono calcolate in (qh , ph , t); allora si ottiene, grazie


alla (TC.40):

trasformazioni canoniche

f (Qh , Ph , t) = f (qh , ph , t) + "

373

@f @
@qh @ph

"

@f @
+ O(2)
@ph @qh

Risultato che si pu riscrivere introducendo la parentesi di Poisson:


f (Qh , Ph , t) = f (qh , ph , t) + " [f, ] + O(2)

(TC.41)

Dunque si pu concludere che:


In una trasformazione infinitesima di contatto lincremento di una
funzione delle variabili canoniche e del tempo proporzionale alla parentesi
di Poisson della funzione f con la funzione generatrice della trasformazione
e la costante di proporzionalit il parametro infinitesimo di controllo ".
In particolare la funzione generatrice invariante rispetto alla
trasformazione infinitesima di contatto da essa generata, dal momento che
la parentesi di Poisson di una funzione con se stessa nulla.
Inoltre se la funzione f lhamiltoniana la (TC.41) diviene:
H0 (Qh , Ph , t) = H(qh , ph , t) + " [H, ] + O(2)

(TC.42)

Ora abbiamo visto che se una funzione un integrale primo del moto la
sua parentesi di Poisson con lhamiltoniana nulla; dunque:
se anche integrale primo del moto lhamiltoniana non modificata
dalla trasformazione infinitesima di contatto di cui la funzione generatrice.

374

A. Strumia, Meccanica razionale

Esempi
i) Traslazione degli assi
Scegliamo come funzione generatrice della trasformazione infinitesima di
contatto la funzione:

= p h ah

=)

@
= ah ,
@ph

@
=0
@qh

(TC.43)

dove le ah sono le componenti di un vettore costante nello spazio delle


configurazioni. La trasformazione infinitesima di contatto che viene generata,
grazie alla (TC.40) allora:
Qh = qh + " ah ,

Ph = ph

(TC.44)

Dunque si pu concludere che:


la componente del momento nella direzione di un versore la funzione
generatrice di una traslazione infinitesima di contatto nella direzione del
versore.
In particolare, per un punto materiale libero il cui moto descritto,
nello spazio fisico R3 , in coordinate cartesiane ( xi ), i momenti coincidono
con le componenti della quantit di moto che sono i generatori delle
traslazioni infinitesime lungo gli assi cartesiani dello spazio fisico:
Xi = xi + " ai ,

Pi = pi

e quindi sono invarianti rispetto a tali traslazioni.


ii) Rotazione degli assi
Scegliamo questa volta la funzione generatrice come:

(TC.45)

trasformazioni canoniche

375

= (qk p`

q ` p k ) ak b `

(TC.46)

dove a` , bk sono le componenti di due vettori costanti dello spazio delle


configurazioni. Abbiamo in conseguenza:
@
=
@ph

(ah bk

@
= (ah bk
@qh

b h ak ) q k

b h ak ) p k

Quindi, tramite la (TC.40) si ha la trasformazione infinitesima di contatto:


Qh = qh

" (ah bk

bh ak ) qk + O(2)

Ph = p h

" (ah bk

b h ak ) p k

(TC.47)

in particolare nel caso di un punto materiale, in coordinate cartesiane,


si ha:
= (xj pk

pj xk ) aj bk = "ijk Ki aj bk

(TC.48)

Introducendo il prodotto vettoriale:


ci = "ijk aj bk = |c| ni

(TC.49)

dove n = (ni ) il suo versore, si ha:


= Ki ci = |c| K n = |c| Kn

(TC.50)

376

A. Strumia, Meccanica razionale

La funzione generatrice risulta, a meno di un fattore di scala, che possiamo


prendere anche uguale allunit, la componente del momento della quantit di
moto lungo n. Allora otteniamo la trasformazione infinitesima di contatto:
Xi = xi

" (ai bj

bi aj ) xj + O(2),

Pi = p i

" (ai bj

b i aj ) p j

(TC.51)

che possiamo esprimere, in termini vettoriali come:


X=x

" x ^ (a ^ b) + O(2) = x

P =p

" p ^ (a ^ b) = p

" x ^ c + O(2)

"p ^ c

Possiamo esprimere i termini infinitesimi come:


" c = " |c| n = d

(TC.52)

= nd#

In questo modo la trasformazione diventa:


X =x+d

^ x + O(2),

P =p+d

^x

(TC.53)

che rappresenta una rotazione (rigida) infinitesima del sistema degli assi
cartesiani.
Possiamo quindi concludere che:
la componente del momento della quantit di moto, rispetto allorigine
presa come polo, nella direzione di un versore la funzione generatrice di una
rotazione infinitesima di contatto nella direzione del versore. In particolare le
componenti cartesiane del momento della quantit di moto sono le funzioni
generatrici delle rotazioni infinitesime intorno agli assi.

trasformazioni canoniche

377

iii) Funzione generatrice del moto


Consideriamo ora il caso interessante in cui la funzione generatrice della
trasformazione infinitesima di contatto lhamiltoniana.
(TC.54)

=H
Si ha subito, come prima conseguenza dalla (TC.40):
Qh = qh + "

@H
+ O(2),
@ph

Ph = ph

"

@H
@qh

(TC.55)

E tenendo conto delle equazioni di Hamilton (TC.1), si pu riscrivere:


Qh = qh + " qh + O(2),

Ph = ph + " ph

(TC.56)

Ora possiamo esprimere con un opportuna scelta della scala dei tempi:
" = dt
E quindi ottenere:
Qh = qh + qh d t + O(2),

Ph = ph + ph d t

(TC.57)

Notiamo come gli incrementi rappresentano lo spostamento e lincremento del momento fisicamente realizzati dal sistema durante il moto. Dunque si
pu concludere che:
gli spostamenti compiuti dal sistema durante il moto si possono
interpretare come una trasformazione infinitesima di contatto generata
dallhamiltoniana.
Inoltre dalla (TC.41) segue anche che per ogni funzione f :

378

A. Strumia, Meccanica razionale

f (Qh , Ph , t) = fh (qh , ph , t) + " [f, H] + O(2)

(TC.58)

Se si suppone che f sia anche un integrale primo del moto, ne consegue


che la sua parentesi di Poisson con lhamiltoniana nulla, e quindi f non
modificata dalla trasformazione generata dallhamiltoniana. E questo in
accordo con il risultato appena ottenuto, perch la trasformazione generata
dallhamiltoniana rappresenta lo spostamento compiuto durante il moto e un
integrale primo si mantiene costante durante il moto.

Teorema di Liouville
Un altro risultato molto importante costituito dal teorema di Liouville
che trova particolare applicazione nellambito della meccanica statistica.
La misura (ipervolume) di qualunque regione D dello spazio delle fasi
si mantiene costante nel tempo durante il moto dei sistemi meccanici
rappresentati dai punti di D
DIMOSTRAZIONE
Supponiamo che D sia un dominio rettangolare: il suo ipervolume D
un prodotto di invarianti integrali di Poincar con n = 1, associati ad ogni
singolo grado di libert:
D=

d C,

d C = d q1 d p1 d q2 d p2 d qN d pN

Quindi un invariante canonico. In particolare possiamo considerare una


trasformazione infinitesima di contatto che al valore qh (t), ph (t) delle variabili

trasformazioni canoniche

379

canoniche fa corrispondere il valore incrementato qh (t+d t), ph (t+d t) che le


variabili assumono durante il moto, per ciascun punto del dominio D. Anche
rispetto a questa trasformazione canonica lintegrale si mantiene invariante;
dunque la misura del dominio non varia nel tempo durante il moto. Inoltre
ogni dominio si pu pensare come limite dellunione di domini rettangolari;
quindi il teorema risulta dimostrato in generale.

p
D(t)

D(t+dt)
O

Figura TC. 1: Conservazione del volume nello spazio delle fasi

Teoria di Hamilton-Jacobi
Funzione principale di Hamilton Equazione di Hamilton-Jacobi
Supponiamo di avere un sistema hamiltoniano ad N gradi di libert, dotato
di 2 N integrali primi del moto tra loro indipendenti:

h (qk , pk , t)

dove le costanti h ,

= h ,

h (qk , pk , t)

sono legate alle condizioni iniziali del moto:

(TC.59)

380

A. Strumia, Meccanica razionale

h =

h (qk0 , pk0 , 0),

(TC.60)

h (qk0 , pk0 , 0)

Se gli integrali primi sono indipendenti lo jacobiano:

J=

@( h , k )
6= 0
@(qj , p` )

(TC.61)

su tutto lo spazio delle fasi. Questo significa che si possono risolvere le


(TC.59) rispetto alle variabili qh , ph , cio ottenere lintegrale generale del
moto nella forma:
qk = qk (

h,

h , t)

= qk (h ,

h , t)

pk = pk (

h,

h , t) = pk (h ,

h , t)

(TC.62)

E quindi ricondurlo in termini delle condizioni iniziali tramite le (TC.60).


Osserviamo che le relazioni (TC.59) non costituiscono una situazione
eccezionale, come sembrerebbe a prima vista, ma sussistono in ogni problema
del moto. Per rendercene conto cominciamo con losservare che le relazioni
(TC.59) possono essere interpretate anche come una trasformazione canonica
nella quale gli integrali primi sono le nuove variabili hamiltoniane; cio:

Ph =

h (qk , pk , t)

= h ,

Qh =

h (qk , pk , t)

(TC.63)

E di conseguenza, durante il moto si avrebbe, per le nuove variabili


canoniche:
Q h = 0,

Ph = 0

con la conseguenza, nelle equazioni di Hamilton:

(TC.64)

trasformazioni canoniche

381

@H0
Q h =
= 0,
@Ph

Ph =

@H0
=0
@Qh

Quindi la nuova hamiltoniana H0 non deve dipendere dalle variabili


canoniche, ma al pi una funzione solo del tempo. Quindi il legame tra
le hamiltoniane dato da:
H0 (t) = H +

@F
@t

Ora, giocando sulla scelta della funzione generatrice F , tra tutte le


hamiltoniane H0 possiamo scegliere la pi semplice che quella nulla. Con
questa scelta rimane identificata lequazione differenziale per la funzione
generatrice F :
H+

@F
=0
@t

(TC.65)

A questo punto conviene scegliere la funzione generatrice nella forma


F2 (qh , Ph , t), da cui si ricava, grazie alla (TC.7):
ph =

@F2
@qh

(TC.66)

E quindi nella (TC.65) segue:


@F2
H qh ,
@qh

@F2
=0
@t

(TC.67)

Questa unequazione alle derivate parziali per la funzione generatrice


incognita F2 . Si noti che F2 funzione solo delle qh e del tempo grazie al
fatto che le Ph sono degli integrali primi del moto, per cui durante il moto si
ha:

382

A. Strumia, Meccanica razionale

F2 (qh , Ph , t) = F2 (qh , h , t)
La funzione generatrice F2 solitamente si indica con S e quindi
lequazione (TC.67) si scrive usualmente come:
!

@S
@S
H qh ,
,t +
=0
@qh
@t

(TC.68)

ed nota come equazione di Hamilton-Jacobi. La risoluzione di questa


equazione alle derivate parziali equivalente alla risoluzione del problema del
moto, in quanto, una volta nota la funzione generatrice S, grazie alle (TC.7)
si ottengono:
ph =

Qh =

@S
(qk , k , t)
@qh

@S
(qk , k , t) =
@Ph

(TC.69)

(TC.70)

Il problema del moto si pu considerare risolto quando nella (TC.70) si


possono esplicitare le qk . Daltra parte questo assicurato dalla canonicit
della trasformazione.
Ai fini della risoluzione del moto sufficiente conoscere la pi generale
soluzione che si ottiene fissando i nuovi momenti Ph ai loro valori costanti
durante il moto h , e cio quello che si chiama un integrale completo
dellequazione di Hamilton-Jacobi:
S = S(qh , h , t) + S0 (h )
Si noti come lintegrale completo non coincida con lintegrale generale
che ha la forma:

trasformazioni canoniche

383

S = S(qh , Ph , t, ch ) + S0 (Ph , ch ) + c0
Per quanto riguarda lintegrale completo, la funzione S, come abbiamo gi
osservato, durante il moto risulta essere funzione solo delle qh e del tempo,
per cui la sua derivata totale rispetto al tempo vale:
dS
@S
@S
(qh (t), t) =
qh +
dt
@qh
@t
Ma dalla (TC.69) e (TC.68) segue:
dS
(qh (t), t) = ph qh
dt

H=L

Dunque, durante il moto si ha:

S(t) = S0 +

Z t
0

L(qh (t), qh (t), t) d t

(TC.71)

Questa funzione prende il nome di funzione principale di Hamilton.


Notiamo come questo risultato non sia utile operativamente ai fini della
determinazione del moto in quanto per il calcolo della funzione integrale
occorre conoscere le funzioni qh (t). Tuttavia esso utile a mostrare
luguaglianza tra il valore assunto dalla funzione principale di Hamilton e il
valore assunto dallintegrale dazione sulla traiettoria del moto nellintervallo
di tempo che intercorre tra listante iniziale e listante generico t.
Osserviamo ancora come, adottando il formalismo dello spazio degli
eventi, possiamo interpretare lhamiltoniana come il momento p0 = H
associato alla coordinata temporale q0 = t. Allora la funzione principale di
Hamilton genera anche una trasformazione di q0 , p0 nelle nuove coordinate
costanti Q0 = 0 , P0 = H0 e si ha:

384

A. Strumia, Meccanica razionale

p0 =

@S
,
@q0

@S
@P0

Q0 =

(TC.72)

La prima di queste relazioni non altro che la (TC.65) e la seconda


trasforma il tempo in una costante.
Funzione caratteristica di Hamilton
In generale lequazione di Hamilton-Jacobi difficilmente integrabile,
tuttavia esistono condizioni che rendono possibile lintegrazione grazie
alla struttura particolare dellhamiltoniana e della funzione principale di
Hamilton.
Cominciamo a considerare il caso in cui lhamiltoniana non dipende
esplicitamente dal tempo. In questo caso lequazione di Hamilton-Jacobi si
riscrive nella forma:
@S
@S
+ H qh ,
@t
@qh

(TC.73)

=0

che si integra subito rispetto al tempo dal momento che H un integrale primo
del moto, ottenendo lintegrale completo:
S(qh , h , t) = S (0) (qh , h ) +

(TC.74)

dove:

@S
H qh ,
@qh

(TC.75)

Ricordiamo, poi, che quando i vincoli del sistema olonomo sono


indipendenti dal tempo e il potenziale ordinario lhamiltoniana coincide con

trasformazioni canoniche

385

lintegrale primo dellenergia, per cui in tale caso 0 = E. Ora, grazie alla
(TC.74), derivando rispetto alla coordinate canoniche si ha:

ph =

@S
@S (0)
=
@qh
@qh

(TC.76)

E quindi la (TC.75) diviene:


@S (0)
H qh ,
@qh

(TC.77)

Abbiamo cos unequazione differenziale indipendente dal tempo per la


funzione S (0) che prende il nome di funzione caratteristica di Hamilton.
Dunque, la presenza dellintegrale primo dellhamiltoniana (energia
generalizzata) ci ha consentito, come gi altre volte nei problemi di
meccanica, di separare la variabile tempo, isolando la parte geometrica del
problema rispetto a quella evolutiva.
Quando si fa uso della funzione caratteristica di Hamilton risulta
naturalmente dallintegrazione la costane 0 che uguale al momento P0
associato alla coordinata costante Q0 dello spazio degli eventi. Vedremo
lutilit di questa osservazione negli esempi.
Coordinate cicliche
Un risultato analogo a quello appena trovato si ottiene nel caso che
lhamiltoniana possieda una coordinata ciclica, che identificheremo ad
esempio con q1 . In questo caso le equazioni di Hamilton, come sappiamo,
comportano che il momento canonico p1 un integrale primo del moto:
p1 =
con

costante. E quindi dalla (TC.69) abbiamo:

386

A. Strumia, Meccanica razionale

@S
=
@q1

Da cui:
S(q1 , q2 , , qN , t) = S (1) (q2 , , qN , t) +

1 q1

(TC.78)

Il procedimento si pu iterare nel caso in cui esistano M N coordinate


cicliche, ottenendo:

S(q1 , q2 , , qN , t) = S (M ) (qM , , qN , t) +

M
X

k qk

(TC.79)

k=1

Nel caso in cui lhamiltoniana risultasse anche indipendente dal tempo si


avrebbe:

S(q1 , q2 , , qN , t) = S

(M )

(qM , , qN , t) +

M
X

k qk

(TC.80)

k=0

Nel formalismo dello spazio degli eventi si potrebbe allora interpretare il


tempo come una coordinata q0 = t che ciclica, il cui momento canonico
p0 = H quindi un integrale primo.
Separazione delle variabili
Il metodo di separazione delle variabili si pu applicare quando
lhamiltoniana indipendente dal tempo (per cui un integrale primo del
moto) e si presenta nella forma:
H(qh , ph ) = H(f1 (q1 , p1 ), f2 (q2 , p2 ), , fN (qN , pN ))

trasformazioni canoniche

387

Affinch lhamiltoniana sia un integrale primo del moto, allora, occorre e


basta che ciascuno degli argomenti fh da cui dipende siano a loro volta degli
integrali primi, e quindi, che sussistano le N equazioni differenziali:

f1

@S (0)
q1 ,
@q1

= 1 ,

f2

@S (0)
q2 ,
@q2

= 2 , , fN

@S (0)
qN ,
@qN

= N

dove le h sono costanti. Supposto che in ciascuna di queste equazioni


si possa esplicitare la derivata rispetto alla rispettiva qh , ottenendo delle
equazioni nella forma:

@S (0)
= g1 (q1 , 1 ),
@q1

@S (0)
= g2 (q2 , 2 ), ,
@q2

@S (0)
= gN (qN , N ),
@qN

lintegrale completo per la funzione caratteristica di Hamilton risulta espresso


da:

S (0) =

Z q1
q10

g1 (1 , 1 ) d 1 +

Z q2
q20

g2 (2 , 2 ) d 2 + +

Z qN
qN 0

gN (N , N ) d N

Esempi
Consideriamo ora due esempi di integrazione del moto con il metodo di
Hamilton-Jacobi.
i) Oscillatore armonico
Il primo esempio quello delloscillatore armonico semplice che un
sistema ad un solo grado di libert q associato al momento canonico p che
rappresenta la quantit di moto del punto oscillante. Lhamiltoniana si scrive
immediatamente e ha la forma ben nota:

388

A. Strumia, Meccanica razionale

H(q, p) =

p2
1
+ m !2q2
2m 2

(TC.81)

che indipendente dal tempo e rappresenta lintegrale primo dellenergia.


Lequazione di Hamilton-Jacobi per la funzione principale di Hamilton S si
scrive:
@S
+H=0
@t

(TC.82)

!2

(TC.83)

che diviene:
@S
1
+
@t
2m

@S
@q

1
m !2q2 = 0
2

Dal momento che lhamiltoniana non dipende esplicitamente dal tempo,


possiamo separare questultima variabile mediante la sostituzione:
S = S (0) +

t = S (0)

Et

(TC.84)

Otteniamo lequazione per la funzione caratteristica di Hamilton S (0) :


1
2m

@S (0)
@q

!2

1
m !2q2 = E
2

(TC.85)

Questultima gi unequazione a variabili separabili dal momento che


abbiamo un solo grado di libert e pu essere risolta rispetto alla derivata di
S (0) :
@S (0)
= m !
@q

2E
m !2

q2

(TC.86)

trasformazioni canoniche

389

Integrando abbiamo:

(0)

= m !

Z q
q0

2E
m !2

q2 d q

(TC.87)

E quindi:

S = m !
Tenendo conto che P0 =
Q0

Z q
q0

2E
m !2

q2 d q

Et

(TC.88)

E, possiamo ricavare:

@S
1Zq
q
=
=
@P0
! q0

d q
2E
m !2

q2 )

d q + t

Di qui si ottiene direttamente:

q(t) =

2E
cos (! t
m !2

ii) moto di un punto materiale in un campo centrale conservativo


Il secondo esempio che esaminiamo dato dal moto piano che avviene in
un campo di forze centrali conservativo di potenziale U (r). Le variabili sono
separabili se si lavora in coordinate polari nel piano del moto: il sistema ha
due gradi di libert q1 = #, q2 = r. Lhamiltoniana, che indipendente dal
tempo, si scrive:
1
p2
H(r, pr , p# ) =
p2r + #2
2m
r

U (r) = E

(TC.89)

Di conseguenza la coordinata # ciclica e quindi il momento della


quantit di moto p# , ad essa coniugato, un integrale primo del moto.

390

A. Strumia, Meccanica razionale

Essendoci una coordinata ciclica, grazie alla (TC.78) la funzione caratteristica


di Hamilton si pu scrivere:
(TC.90)

S (0) = S (1) (r) + 1 #

Allora lequazione di Hamilton-Jacobi per la funzione S (1) diventa:


2

1 4 @S (1)
2m
@r

!2

2
+ 21 5
r

(TC.91)

U (r) = E

Lequazione a variabili separabili e si pu isolare la derivata:


s

@S (1)
= 2 m [E + U (r)]
@r

12
r2

Da cui si ricava:

(0)

Z r
r0

2 m [E + U (
r)]

12
d r + 1 #
r2

(TC.92)

E quindi per la (TC.74) si ha la funzione principale di Hamilton:

S=

Z r
r0

2 m [E + U (
r)]

12
d r + 1 #
r2

Et

(TC.93)

Derivando rispetto al parametro P1 = 1 otteniamo lequazione della


traiettoria in coordinate polari:
Q1

Z r
r0

r2 2 m [E + U (
r)]

21
r2

d r + #

(TC.94)

trasformazioni canoniche

391

Mentre derivando rispetto a P0 =


variabile r:
Q0

Z r
r0

E si ottiene lequazione oraria per la

m
2 m [E + U (
r)]

21
r2

d r + t

(TC.95)

APPENDICI

AL. Algebra vettoriale e matriciale


Vettori
Somma di vettori: struttura di gruppo
Come abbiamo richiamato nellintroduzione vi sono delle grandezze
fisiche caratterizzabili come vettori, cio tali da poter essere descritte
mediante segmenti orientati che seguono una regola di somma nota come
regola del parallelogrammo. Dal punto di vista algebrico queste entit
fisiche sono trattabili come gli elementi di un gruppo commutativo rispetto
alloperazione di somma. Detto X linsieme dei vettori si ha dunque la
struttura di gruppo (X, +):
i) 8a, b : a, b 2 X =) a + b 2 X
ovvero: la somma di due vettori dello spazio un vettore dello spazio, per cui
il gruppo risulta chiuso rispetto alloperazione di somma;
ii) 90 2 X ; 8a 2 X : a + 0 = a
cio: esiste il vettore nullo (elemento neutro) ed unico;
iii) 8a 2 X 9 ( a) 2 X ; a + ( a) = 0
cio: esiste lopposto di ogni vettore;
iv) 8a, b, c 2 X : (a + b) + c = a + (b + c)
ovvero vale la propriet associativa della somma;
v) 8a, b 2 X : b + a = a + b
cio il gruppo commutativo.

algebra vettoriale e matriciale

395

Prodotto di un vettore per uno scalare: spazio vettoriale


Loperazione di prodotto di un vettore per uno scalare, scelto in un
insieme S, ci permette poi di caratterizzare, dato un vettore a e uno scalare
un nuovo vettore a che ha la stessa direzione di a, modulo pari a |||a|
e verso concorde o discorde con a a seconda che il segno di sia positivo
o negativo, oppure un vettore nullo se = 0. Dal punto di vista algebrico
loperazione di prodotto di un vettore per uno scalare viene ad introdurre
una struttura di spazio lineare o spazio vettoriale nel gruppo; nello spazio
vettoriale (X, S) valgono le seguenti propriet che si aggiungono a quelle di
gruppo:
i) 8,

2 S, a 2 X : ( + )a = a + a

ii) 8,

2 S, a 2 X : ( )a = ( a)

iii) 8 2 S, a, b 2 X : (a + b) = a + b
iv) 9 1 2 S ; 8a 2 X : 1 a = a
In particolare lo spazio fisico con il quale abbiamo abitualmente a che
fare viene rappresentato mediante le terne ordinate di numeri reali, per cui
X = R3 e gli scalari sono numeri reali, per cui S = R. Mentre quando
trattiamo dei sistemi olonomi facciamo uso dello spazio RN , con gli scalari
in R. Nel seguito ci occuperemo di vettori in R3 .
Prodotto scalare: metrica euclidea dello spazio
Tra le grandezze, caratterizzabili come vettori, si introduce poi il prodotto
scalare che uno scalare che denotiamo con a b, e che si definisce come:
a b = |a||b| cos #
essendo # langolo compreso tra i vettori a e b.

396

A. Strumia, Meccanica razionale

a
Figura AL. 1: angolo compreso fra due vettori

Segue immediatamente che:


Il prodotto scalare si annulla: se almeno uno dei due vettori nullo;
oppure se i due vettori sono ortogonali.
Se il prodotto scalare di due vettori non nulli nullo, i due vettori sono
ortogonali (condizione di ortogonalit).
Valgono poi evidentemente le propriet commutativa e distributiva:
i) 8a, b 2 R3 : b a = a b
ii) 8a, b, c 2 R3 : (a + b) c = a c + b c
Inoltre:
iii) 8 2 R, a, b 2 R3 : (a b) = ( a) b = a ( b)
Dal punto di vista geometrico lintroduzione di un prodotto scalare
equivale allintroduzione di una metrica nello spazio; la metrica introdotta
con lusuale definizione del prodotto scalare la metrica euclidea dello spazio
R3 .
Il modulo di un vettore viene cos a rappresentare una norma euclidea
nello spazio:

algebra vettoriale e matriciale

397

|v| =

v v = kvk

Prodotto vettoriale
Dati due vettori a, b 2 R3 si dice prodotto vettoriale dei due vettori, e lo
denotiamo con a ^ b, un terzo vettore di direzione normale al piano di a e b e
verso tale che a, b, c nellordine formino una terna levogira cio tale che
per portare un vettore sul successivo si debba compiere una rotazione in senso
antiorario osservando dal vertice del terzo vettore e modulo pari allarea
del parallelogrammo i cui lati sono i due vettori:
|a ^ b| = |a||b| sen #
essendo # langolo (convesso) compreso fra i due vettori stessi.
a

a
A

Figura AL. 2: prodotto vettoriale


Segue immediatamente che:
Il prodotto vettoriale si annulla: se almeno uno dei due vettori nullo;
oppure se i due vettori sono paralleli.

398

A. Strumia, Meccanica razionale

Se il prodotto vettoriale di due vettori non nulli nullo, i due vettori


sono paralleli (condizione di parallelismo).
Notiamo che il parallelismo fra due vettori si pu esprimere anche con la
condizione che richiede che un vettore si ottenga dallaltro moltiplicandolo
per uno scalare non nullo; se invece lo scalare nullo il vettore b risulta nullo.
In ogni caso sussiste evidentemente la seguente equivalenza:
a^b=0

()

b=

a,

2R

Vale poi evidentemente la propriet distributiva. Notiamo che il prodotto


vettoriale non commutativo, ma anticommutativo:
i) 8a, b 2 R3 : b ^ a =

a^b

ii) 8a, b, c 2 R3 : (a + b) ^ c = a ^ c + b ^ c
Inoltre:
iii) 8 2 R, a, b 2 R3 : (a ^ b) = ( a) ^ b = a ^ ( b)
Prodotto misto
Dati tre vettori a, b, c 2 R3 lo scalare a ^ b c si dice prodotto misto.
Evidentemente loperazione di prodotto vettoriale ha la precedenza
sulloperazione di prodotto scalare, altrimenti la scrittura non avrebbe senso,
dovendo il prodotto vettoriale agire tra due vettori.
Geometricamente il prodotto misto rappresenta il volume del
parallelepipedo i cui tre spigoli sono i tre vettori, preso con segno positivo
se i tre vettori, nellordine in cui compaiono nel prodotto, formano una terna
levogira, e negativo in caso contrario. Infatti possiamo scrivere:
a ^ b c = |a ^ b||c| cos # = A |c| cos # = A h

algebra vettoriale e matriciale

399

essendo A larea di base del parallelepipedo pari al modulo del prodotto


vettoriale e h laltezza del parallelepipedo.

c
b
a

Figura AL. 3: significato geometrico del prodotto misto


Segue immediatamente che:
Il prodotto misto si annulla: se almeno uno dei tre vettori nullo;
oppure se i tre vettori sono complanari. In questo caso infatti il volume del
parallelepipedo nullo.
Se il prodotto misto di tre vettori non nulli nullo, i tre vettori sono
complanari (condizione di complanarit).
Oltre alle propriet conseguenti alle propriet del prodotto vettoriale e del
prodotto scalare, il prodotto misto gode della propriet per cui possibile
scambiare loperatore di prodotto vettoriale con loperatore di prodotto
scalare:
a^bc=ab^c
la quale risulta facilmente se si calcola il volume del parallelepipedo
considerando come base il parallelelogrammo generato dai vettori b, c
anzich a, b.

400

A. Strumia, Meccanica razionale

Doppio prodotto vettoriale


Dati tre vettori a, b, c 2 R3 il vettore (a ^ b) ^ c si dice doppio prodotto
vettoriale. Le parentesi sono necessarie per stabilire un ordine di precedenza
tra i due prodotti vettoriali.
Sussiste la seguente relazione:
(a ^ b) ^ c = (a c) b

(b c) a

che dimostreremo in seguito. E in ogni caso facile rendersi conto che il


doppio prodotto vettoriale un vettore che appartiene al piano di a e b, in
quanto a ^ b ortogonale ad a e a b e il doppio prodotto a sua volta
ortogonale a a ^ b. Quindi deve appartenere al piano di a e b.

a
(a

b)

Figura AL. 4: doppio prodotto vettoriale


Notiamo che il doppio prodotto vettoriale non associativo, cio si ha
generalmente:
a ^ (b ^ c) 6= (a ^ b) ^ c
Infatti, grazie alla anticommutativit del prodotto vettoriale risulta:

algebra vettoriale e matriciale

401

a ^ (b ^ c) = (a c) b

(a b) c

in quanto:
a ^ (b ^ c) =

(b ^ c) ^ a

e ci si riconduce al caso precedentemente esaminato.


In ogni caso la regola mnemonica per sviluppare il doppio prodotto
vettoriale la seguente: si calcola prima il prodotto scalare del vettore esterno
alla parentesi con il vettore pi lontano e si moltiplica lo scalare ottenuto per
il vettore pi vicino; si sottrae poi il prodotto scalare del vettore esterno alla
parentesi con il vettore pi vicino moltiplicato per il vettore pi lontano.
Triplo prodotto misto
Dati quattro vettori a, b, c, d 2 R3 si dice triplo prodotto misto lo scalare
(a ^ b) ^ c d.
Grazie ai risultati precedenti sussistono le relazioni seguenti:
(a ^ b) ^ c d = (a ^ b) (c ^ d)
(a ^ b) ^ c d = (a c)(b d)

(b c)(a d)

Vettori linearmente indipendenti


Dati n vettori non nulli a1 , a2 , , an e n scalari 1 , 2 , , n si dice
che i vettori sono linearmente indipendenti se si ha:

402

A. Strumia, Meccanica razionale

1 a1 + 2 a2 + + n an = 0

()

1 = 0, 2 = 0, , n = 0

Si dice poi dimensione di uno spazio il numero massimo di vettori


linearmente indipendenti che in esso si possono ottenere. Lo spazio fisico,
che rappresentiamo con (R3 , R) ha tre dimensioni, in quanto si possono avere
al massimo tre vettori linearmente indipendenti. Infatti ogni terna ordinata di
R3 si pu esprimere, ad esempio mediante la combinazione:
(x, y, z) x (1, 0, 0) + y (0, 1, 0) + z (0, 0, 1)
Base di vettori nello spazio
Un insieme di vettori linearmente indipendenti in numero pari alla
dimensione dello spazio prende il nome di base dello spazio. In particolare in
R3 una base costituita da tre vettori linearmente indipendenti e la indichiamo
con:
{e1 , e2 , e3 }
o anche:
{ei , i = 1, 2, 3}
Base ortonormale
Una base dello spazio, in particolare in R3 , si dice ortonormale quando
i vettori di base sono tra loro ortogonali e di modulo unitario. Solitamente

algebra vettoriale e matriciale

403

si chiamano versori i vettori di modulo unitario, per cui si parla, in questo


caso di versori della base. E comodo scrivere le relazioni di ortogonalit e di
norma unitaria dei vettori di base nella forma sintetica:
ei ek =

ik ,

i, k = 1, 2, 3

(AL.1)

che prende il nome di condizione di ortonormalit.


Il simbolo:

ik

8
>
<
>
:

0 per i 6= k
1 per i = k

si dice simbolo di Kronecher. La relazione precedente ci dice semplicemente


che due vettori di base di indice diverso sono tra loro ortogonali:
e1 e2 = 0,

e1 e3 = 0,

e2 e3 = 0

E ogni vettore della base ha modulo unitario (versore):


e1 e1 = 1

e2 e2 = 1,

e3 e3 = 1

La base si dice poi levogira se per portare un vettore a sovrapporsi a


quello successivo si deve compiere una rotazione antioraria, osservando dal
vertice del terzo vettore.

Rappresentazioni di un vettore
Di un vettore, e quindi delle relazioni tra vettori, si possono dare tre tipi
di rappresentazione:

404

A. Strumia, Meccanica razionale

1. Rappresentazione assoluta o simbolica


Questa rappresentazione considera il vettore come ente algebrico
indipendentemente dalla scelta di una base di riferimento nello spazio. In
questo caso, come abbiamo visto, il vettore viene rappresentato mediante un
simbolo che lo identifica: a, b, ecc. Relazioni assolute o simboliche tra vettori
sono del tipo:

a + b = c,

a^b=c

In questa formulazione le leggi della meccanica vengono espresse in una


forma che non dipende dal sistema di assi cartesiani del riferimento.
2. Rappresentazione semicartesiana
Poich il massimo numero di vettori linearmente indipendenti che si
possono trovare nello spazio R3 3, un quarto vettore, qualunque v 2
R3 risulta linearmente dipendente dai vettori di una base prescelta, e in
particolare di una base ortonormale. E possibile allora rappresentare un
vettore qualunque nello spazio come combinazione lineare dei tre vettori della
base, nella forma:

v = v1 e1 + v2 e2 + v3 e3 =

3
X

vi ei

(AL.2)

i=1

essendo v1 , v2 , v3 degli scalari opportuni che prendono il nome di componenti


del vettore v rispetto alla base. La rappresentazione (AL.2) del vettore
v si dice rappresentazione semicartesiana. La scrittura (AL.2) pu essere
abbreviata in:

v = vi ei

algebra vettoriale e matriciale

405

dove si conviene di sottintendere la somma da 1 a 3 sugli indici ripetuti


(convenzione di Einstein). La determinazione delle componenti risulta molto
semplice se la base utilizzata ortonormale, in quanto, grazie alla relazione
di ortonormalit si ha:
(AL.3)

vk = v ek
Infatti si ha:
v ek = vi ei ek = vi

ik

= vk

in quanto il simbolo di Kronecher nullo quando lindice k 6= i e vale 1


quando k = i. Osserviamo allora che la presenza di tale simbolo muta il
nome di un indice sommato in quello dellaltro indice.
Quando si lavora con pi indici ogni coppia di indici ripetuti deve avere
denominazione diversa per evitare confusioni. Ad esempio si scrive:
ai b i v k u k
in modo che risulti chiaro labbinamento degli indici che vanno sommati.
Quando un indice ripetuto, cio sommato, si pu cambiare il nome
dellindice senza modificare il significato della scrittura. Per esempio:
ai b i = a1 b 1 + a2 b 2 + a3 b 3 = ak b k

3. Rappresentazione relativa o indiciale o cartesiana


Scelta una base {ei } nello spazio restano individuate le componenti di
ogni vettore v relative alla base, che se la base ortonormale, risultano
espresse dalla (AL.3).
Fissata la base ogni vettore viene posto in

406

A. Strumia, Meccanica razionale

corrispondenza biunivoca con le sue componenti, cio con una terna ordinata
di numeri reali. E possibile, perci rappresentare ogni vettore dello spazio
mediante le sue componenti e scrivere:
v (v1 , v2 , v3 ) (vi )

(AL.4)

Questa rappresentazione viene detta relativa in quanto le componenti


dipendono dalla scelta della base e cambiano per lo stesso vettore se si cambia
la scelta della base. Si parla anche di rappresentazione indiciale, o cartesiana.
Ogni relazione tra vettori, per esempio:
a+b=c
che si pu riscrivere utilizzando la rappresentazione semicartesiana di ogni
vettore:
ai ei + bi ei = ci ei
equivale anche alla scrittura:
(ai + bi

ci ) ei = 0

dove sottintesa la somma da 1 a 3 sullindice i ripetuto. Ma essendo i vettori


di base, per definizione, dei vettori linearmente indipendenti, devono essere
nulli i coefficienti della combinazione lineare e quindi risulta:
ai + b i

ci = 0

Di conseguenza ogni relazione fra vettori in forma assoluta, una volta


fissata la base, equivalente ad una relazione fra le componenti, cio ad una
relazione in forma indiciale; nellesempio si ha:

algebra vettoriale e matriciale

a+b=c

407

()

ai + b i = c i

Notiamo che la rappresentazione per componenti quella con la quale


concretamente si fanno i calcoli numerici.
E immediato verificare che le componenti dei versori di una base
ortonormale relative alla stessa base sono date dal simbolo di Kronecher;
infatti si ha:
(ei )k = ei ek =

ik

E quindi i versori della base, rispetto alla base stessa hanno la


rappresentazione cartesiana:
e1 (1, 0, 0),

e2 (0, 1, 0),

e3 (0, 0, 1)

E importante sottolineare che la base sulla quale vengono proiettati i


vettori e le relazioni tra vettori, ai fini della risoluzione di un problema non
coincide necessariamente con la base dellosservatore di un fenomeno fisico,
o del moto di un corpo. In molti casi utile scegliere una base i cui versori
sono orientati in maniera diversa dagli assi cartesiani dellosservatore, come
accade, per esempio nei problemi di dinamica del corpo rigido.
Rappresentazione indiciale del prodotto scalare
E facile ottenere, una volta scelta una base ortonormale, la
rappresentazione del prodotto scalare di due vettori a, b relativa alla base,
o indiciale. Abbiamo infatti:
a = ai ei ,

b = bk ek

408

A. Strumia, Meccanica razionale

Da cui segue, utilizzando le propriet viste in precedenza:


a b = ai ei bk ek = ai bk ei ek = ai bk

ik

= ai b i

Quindi la rappresentazione del prodotto scalare relativa ad una base data


da:
a b = ai b i = a1 b 1 + a2 b 2 + a3 b 3

(AL.5)

Simbolo di Levi-Civita
Consideriamo ora i prodotti vettoriali dei versori di una base ortonormale
levogira; abbiamo i prodotti non nulli:
e1 ^ e2 = e3

e2 ^ e3 = e1

e3 ^ e1 = e2

Gli altri possibili prodotti non nulli si ottengono dai precedenti per
anticommutazione del prodotto vettoriale. E i prodotti nulli sono quelli dei
versori per se stessi, in quanto vettori uguali sono certamente anche paralleli:
e1 ^ e1 = 0

e2 ^ e2 = 0

e3 ^ e3 = 0

E possibile riassumere questi risultati con la seguente scrittura compatta:


ei ^ ej = "ijk ek

(AL.6)

Il simbolo "ijk detto simbolo di Levi-Civita ed caratterizzato dalla


seguente struttura:

algebra vettoriale e matriciale

"ijk =

8
>
<
>
:

409

se almeno due indici sono uguali

1 altrimenti

essendo +1 se la classe della permutazione degli indici di ordine pari e


se di ordine dispari, assumendo:

"123 = +1
Ne viene di conseguenza che il simbolo di Levi-Civita cambia segno ogni
volta che si scambiano due indici; per cui si ha, ad esempio:
"231 =

"213 = "123 = +1

Rappresentazione indiciale del prodotto vettoriale


Siamo allora in grado di dare la rappresentazione indiciale del prodotto
vettoriale di due vettori a, b, cio di scriverne le componenti rispetto ad una
base ortonormale {ei }. Partendo dalla rappresentazione semicartesiana dei
due vettori:
a = ai ei ,

b = bj ej

possiamo scrivere:
a ^ b = ai ei ^ bj ej = ai bj ei ^ ej = ai bj "ijk ek
Rimangono identificate le componenti del prodotto vettoriale rispetto alla
base come:

410

A. Strumia, Meccanica razionale

a ^ b ("ijk ai bj )
Esplicitando si ha:
a ^ b (a2 b3

a3 b2 , a3 b1

a1 b3 , a1 b2

a2 b 1 )

Una regola mnemonica semplice per costruire le componenti del prodotto


vettoriale data dal determinante simbolico:
e1 e2 e3
a ^ b = a1 a2 a3
b1

b2

b3

il cui sviluppo, secondo gli elementi della prima riga, fornisce direttamente la
rappresentazione semicartesiana del prodotto vettoriale.
Rappresentazione indiciale del prodotto misto
Dati tre vettori a, b, c le cui rappresentazioni semicartesiane sulla base
ortonormale {ei } sono:
a = ai ei ,

b = bj ej ,

c = ck ek

il loro prodotto misto viene rappresentato mediante le componenti nel modo


seguente:

a ^ b c = (ai ei ) ^ (bj ej ) (ck ek ) = ai bj ck ei ^ ej ek =

algebra vettoriale e matriciale

411

= ai bj ck "ij` e` ek = "ij`

`k

ai bj ck = "ijk ai bj ck

Dunque la rappresentazione relativa alla base del prodotto misto :


(AL.7)

a ^ b c = "ijk ai bj ck

Da questo risultato facile verificare la propriet del prodotto misto


secondo cui a ^ b c = a b ^ c.
Tenendo conto della regola del determinante simbolico che esprime
il prodotto vettoriale possiamo dare una rappresentazione in termini di
determinante anche per il prodotto misto:
a2 a3
a ^ b c = c1

a1 a3
c2

b2 b3

a1 a2
+ c3

b1 b3

b1 b2

Questa scrittura si pu interpretare come lo sviluppo secondo gli elementi


della terza riga di un determinante costruito mediante le componenti dei tre
vettori; per cui si ha:
a1 a2 a3
a^bc=

b1 b2 b3
c1 c2 c3

(AL.8)

412

A. Strumia, Meccanica razionale

Rappresentazione indiciale del doppio prodotto vettoriale


Dati tre vettori a, b, c la cui rappresentazione semicartesiana sulla base
ortonormale {ei } :
a = ai ei ,

b = bj ej ,

c = ck ek

il doppio prodotto vettoriale si scrive:

(a ^ b) ^ c = [(ai ei ) ^ (bj ej )] ^ (ck ek ) = ai bj ck (ei ^ ej ) ^ ek =


= ai bj ck "ij` e` ^ ek = ai bj ck "ij` "`km em
Non difficile verificare che:
"ij` "`Km =

ik jm

im jk

(AL.9)

Infatti gli indici j, k devono simultaneamente differire da i ed essere


diversi tra loro, e dal momento che ogni indice pu assumere solamente tre
valori, rimangono solo le possibilit i = k, j = m oppure i = m, j = k.
Nel primo caso i due simboli di Levi-Civita risultano uguali e quindi il loro
prodotto comunque 1, nel secondo caso risultano opposti e il loro prodotto
quindi 1.
Di conseguenza il doppio prodotto vettoriale si riscrive:

(a ^ b) ^ c = (

ik jm

im jk ) ai bj ck

em = ai ci bm em

Rimane cos identificata la rappresentazione:

bj cj am em

algebra vettoriale e matriciale

413

(a ^ b) ^ c (ai ci bm

bj cj am ) em

(AL.10)

Tenendo conto della rappresentazione indiciale del prodotto scalare


possiamo anche scrivere:
(a ^ b) ^ c = (a c) b

(b c) a

Resta verificata dunque la regola del doppio prodotto vettoriale data in


precedenza senza dimostrazione.
Rappresentazione indiciale del triplo prodotto misto
E immediato allora ottenere, in base ai risultati precedenti, anche la
rappresentazione indiciale del triplo prodotto misto:
(a ^ b) ^ c d = ai ci bj dj

bi ci aj dj

Operatori lineari e matrici


Operatori lineari
Dato uno spazio lineare (X, S) una funzione:
f :X !X
si dice operatore lineare quando soddisfa le seguenti propriet:
i) 8x, y 2 X : f (x + y) = f (x) + f (y)

(AL.11)

414

A. Strumia, Meccanica razionale

ii) 8x 2 X, 8 2 S : f ( x) = f (x)
Noi ci occuperemo degli operatori lineari nello spazio tridimensionale
reale (R3 , R) dotato di metrica euclidea; e indicheremo tali operatori con
simboli del tipo A
,B
, ecc., tralasciando, come si fa usualmente le parentesi

davanti allargomento. Le propriet di linearit di un operatore A


si scrivono
allora:
i) 8x, y 2 R3 : A
(x + y) = A
x+A
y
ii) 8x 2 R3 , 8 2 R : A
( x) = A
x

In base allazione di un operatore su un vettore si definiscono le operazioni


di somma tra operatori e di prodotto di un operatore per uno scalare:
(A
+B
)x = A
x+B
x
definisce loperatore somma dei due operatori A
,B
; e:
( A
)x = A
x
definisce loperatore prodotto di A
per lo scalare .
Rappresentazioni di un operatore lineare
Come per un vettore, anche per un operatore lineare e per le relazioni che
coinvolgono operatori lineari possibile dare tre tipi di rappresentazione.
1. Rappresentazione assoluta o simbolica
Come per un vettore la rappresentazione assoluta o simbolica di un
operatore lo designa come ente indipendente dallosservatore e permette di

algebra vettoriale e matriciale

415

scrivere le relazioni che coinvolgono degli operatori in forma indipendente


dalla base dello spazio. Relazioni assolute sono relazioni del tipo:
A
+B
=C
,

(A
+B
)x = y

2. Rappresentazione relativa o indiciale: matrice di un operatore


La relazione che lega il vettore v 2 R3 al suo trasformato w 2 R3
mediante lazione di un operatore A
:
(AL.12)

w=A
v

una relazione assoluta. Possiamo ottenere una rappresentazione di questa


relazione, relativa ad una base ortonormale {ei } dello spazio, facendo uso
delle rappresentazioni semicartesiane dei vettori:
w = wi ei ,

v = vk ek

Sostituendo nella (AL.12) abbiamo:


wi ei = A
vk ek
Prendendo il prodotto scalare con ej otteniamo:

ej (wi ei ) = ej A
vk ek

()

wi ej ei = ej A
ek vk

E grazie alla relazione di ortonormalit (AL.1) si ha:


wi

ij

= ej A
ek vk

()

wj = ej A
ek vk

416

A. Strumia, Meccanica razionale

Introduciamo allora il simbolo a due indici:


(AL.13)

Ajk = ej A
ek

che prende il nome di elemento di matrice delloperatore A


rispetto alla base
{ei }. Otteniamo allora la scrittura completamente indiciale:
wj = Ajk vk
che rappresenta, in forma relativa alla base, la relazione (AL.12). Gli elementi
di matrice sono per un operatore ci che le componenti sono per un vettore. La
tabella rappresentativa di tutte le componenti di un operatore lineare, rispetto
ad una base, prende il nome di matrice delloperatore. Cambiando base la
matrice di uno stesso operatore cambia i suoi elementi, analogamente a quanto
accade per un vettore, le cui componenti cambiano se si muta la base rispetto
alla quale vengono calcolate. La matrice rappresentativa di un vettore sar
scritta per esteso nella forma:

0
B
B
B
B
B
B
@

A11 A12 A13


A21 A22

C
C
C
A23 C
C
C
A

A31 A32 A33

o in forma abbreviata:
A
kAjk k
Spesso, nella pratica, il termine matrice e il termine operatore vengono
usati indifferentemente, anche se propriamente parlando la matrice la
rappresentazione relativa ad una base di un operatore, mentre per operatore

algebra vettoriale e matriciale

417

si intende un ente assoluto, indipendente dalla base alla quale lo si riferisce


per effettuare i calcoli numerici.
Utilizzando la rappresentazione matriciale di un operatore conveniente
rappresentare i vettori sui quali un operatore agisce in forma di vettori colonna
, in maniera tale che il risultato dellazione di un operatore su di un vettore
risulta essere un nuovo vettore ottenuto effettuando il prodotto righe per
colonne. In altri termini la scrittura:
A
v (Ajk vk )
si sviluppa per esteso come:
0
B
B
B
B
B
B
@

A11 A12 A13


A21 A22

10

CB
CB
CB
B
A23 C
CB
CB
A@

A31 A32 A33

v1

C
C
C
v2 C
C
C
A

v3

B
B
B
B
B
B
@

A11 v1 + A12 v2 + A13 v3

C
C
C
A21 v1 + A22 v2 + A23 v3 C
C
C
A

A31 v1 + A32 v2 + A33 v3

Una forma quadratica del tipo u A


v viene rappresentata allora come:
0

B
B
B
(u1 , u2 , u3 ) B
B
B
@

A11 A12 A13


A21 A22

CB
CB
CB
B
A23 C
CB
CB
A@

A31 A32 A33


0

B
B
B
(u1 , u2 , u3 ) B
B
B
@

10

v1

C
C
C
v2 C
C
C
A

v3

A11 v1 + A12 v2 + A13 v3

C
C
C
A21 v1 + A22 v2 + A23 v3 C
C
C
A

A31 v1 + A32 v2 + A33 v3

418

A. Strumia, Meccanica razionale

Il prodotto scalare tra due vettori, in questo formalismo, risulta scritto


come prodotto righe per colonne di un vettore riga per un vettore colonna.
prodotto tensoriale
Dati due vettori a, b 2 R3 riferiti ad una base ortonormale {ei }, la cui
rappresentazione semicartesiana :
a = ai ei ,

b = bk ek

si dice prodotto tensoriale di a per b, e lo si denota con a b, loperatore la


cui matrice relativa alla stessa base definita come:
(AL.14)

a b kai bk k
Per esteso si ha allora:

ab

0
B
B
B
B
B
B
@

a1 b 1 a1 b 2 a1 b 3
a2 b 1 a2 b 2

C
C
C
a2 b 3 C
C
C
A

(AL.15)

a3 b 1 a3 b 2 a3 b 3

Se si eccettuano i casi in cui almeno uno dei due vettori sia nullo, oppure
i due vettori siano paralleli, il prodotto tensoriale non commutativo.
Valgono le seguenti propriet:
i) (a b) v = a (b v)
ii) v (a b) = (v a) b
che si verificano facilmente passando alla rappresentazione indiciale; infatti
per la prima si ha:

algebra vettoriale e matriciale

419

(ai bk ) vk = ai (bk vk )
E per la seconda:
vi (ai bk ) = (vi ai ) bk
Come esempio di prodotto tensoriale esaminiamo il prodotto tensoriale di
due versori di una base ortonormale. Un versore ei ha tutte le componenti
nulle eccettuata la i-esima che vale 1. Di conseguenza il prodotto tensoriale
di due versori ei ek ha tutti gli elementi di matrice nulli eccettuato quello
di indici ik che vale 1. Si ha perci:
ei ek k

ij `k k

Si ha cos ad esempio:

e1 e2

0
B
B
B
B
B
B
@

0 1 0
0 0 0
0 0 0

C
C
C
C,
C
C
A

e2 e3

0
B
B
B
B
B
B
@

0 0 0
0 0 1
0 0 0

1
C
C
C
C
C
C
A

3. Rappresentazione semicartesiana di un operatore


A questo punto possiamo dare la rappresentazione semicartesiana di un
operatore. Sappiamo che, scelta una base nello spazio:
w=A
v
e tenendo conto che:

()

wi = Aik vk

420

A. Strumia, Meccanica razionale

w = wi ei ,

vk = ek v

possiamo scrivere:
w = wi ei = Aik ei (ek v) = (Aik ei ek ) v
per la prima propriet del prodotto tensoriale. Ma data larbitrariet di v segue
lidentificazione:
(AL.16)

A
= Aik ei ek

che fornisce la rappresentazione semicartesiana di un operatore. Per esteso


questa scrittura equivale a dire:
0

A
=

B
B
B
A11 B
B
B
@

1 0 0
0 0 0
0 0 0

C
B
C
B
C
B
C + A12 B
C
B
C
B
A
@

0 1 0
0 0 0
0 0 0

C
B
C
B
C
B
C + + A33 B
C
B
C
B
A
@

0 0 0
0 0 0
0 0 1

1
C
C
C
C
C
C
A

Determinante
Per una matrice N N , come noto dallalgebra, si dice determinante la
somma algebrica di tutti i prodotti di N elementi ottenuti scegliendo un solo
elemento per ogni riga e per ogni colonna e convenendo di moltiplicare per
1 i prodotti nei quali le permutazioni dei primi e dei secondi indici degli
elementi di matrice sono di classe diversa.
Per una matrice 3 3 ci significa che il determinante dato da:

algebra vettoriale e matriciale

421

det(A
) = A11 A22 A33 + A21 A32 A13 + A12 A23 A31
A13 A22 A31

A11 A32 A23

(AL.17)

A21 A12 A33

Per una matrice 2 2 si ha semplicemente:


det(A
) = A11 A22

A12 A21

(AL.18)

Per denotare il determinante in forma estesa si usa la scrittura:


A11 A12 A13
det(A
) = A21 A22 A23
A31 A32 A33
Operatore trasposto e matrice trasposta
Data una matrice kAik k si dice matrice trasposta la matrice kAki k che
si ottiene scambiando le righe con le colonne, cio scambiando lordine degli
indici di ogni elemento di matrice. Si dice, poi, operatore trasposto di A

loperatore la cui matrice rappresentativa la matrice trasposta di A


rispetto
T

alla stessa base dello spazio. Loperatore trasposto si denota con A


. Si ha,
allora:
ATik = Aki

(AL.19)

Mostriamo che sussiste la seguente propriet per il trasposto di un


operatore. Dato un operatore A
si ha:

422

A. Strumia, Meccanica razionale

(AL.20)

8a, b 2 R3

aA
b = (A
a) b,

Infatti, scelta una base dello spazio si pu scrivere:


T

T
aA
b = ai Aik bk = Aki ai bk = (A
a) b

Operatore inverso
Dato un operatore A
per cui si pu scrivere:
w=A
v
si dice operatore inverso di A
, quando esiste, loperatore A

v=A

per cui si ha:

Loperatore inverso, quando esiste unico. Infatti, supposto che esista un

secondo operatore A
che gode della propriet:

v=A
w
segue:

A
w=A

e data l arbitrariet di w si ha A

8w 2 R3

w,

=A

algebra vettoriale e matriciale

423

Operatore e matrice identit


Si dice operatore identit loperatore
I che lascia inalterato ogni vettore
dello spazio:
8v 2 R3

I v = v,

La matrice che rappresenta loperatore identit rispetto ad una base


ortonormale qualunque dello spazio una matrice i cui elementi sono i
simboli di Kronecher. Infatti, scelta una base ortonormale qualunque si ha,
per definizione di elemento di matrice:
Iik = ei
I ek = ei ek =

ik

avendo tenuto conto che lidentit non modifica i vettori sui quali agisce.
Si noti che questo risultato non dipende dalla scelta della base, per
cui loperatore identit ha la stessa rappresentazione rispetto a qualsiasi
base ortonormale. La matrice rappresentativa delloperatore identit si dice
matrice identit:

0
B
B
B
B
B
B
@

1 0 0
0 1 0
0 0 1

1
C
C
C
C
C
C
A

(AL.21)

La rappresentazione semicartesiana dellidentit risulta allora la seguente:


I =

Ovvero:

ik ei

ek = ei ei

424

A. Strumia, Meccanica razionale

(AL.22)

I = e1 e1 + e2 e2 + e3 e3

che significa, evidentemente:

0
B
B
B
B
B
B
@

1 0 0
0 1 0
0 0 1

1
C
C
C
C
C
C
A

B
B
B
B
B
B
@

1 0 0
0 0 0
0 0 0

C B
C B
C B
C+B
C B
C B
A @

0 0 0
0 1 0
0 0 0

C B
C B
C B
C+B
C B
C B
A @

0 0 0
0 0 0
0 0 1

1
C
C
C
C
C
C
A

Operatore e matrice prodotto


Si dice operatore prodotto tra due operatori A
kAij k e B
kBjk k e

lo si denota con A
B
un operatore C
i cui elementi di matrice, rispetto alla
base a cui si riferiscono gli operatori, sono dati da:

(AL.23)

Cik = Aij Bjk

cio dal prodotto righe per colonne degli elementi della prima matrice per
gli elementi della seconda. La matrice rappresentativa, rispetto a una base,
delloperatore prodotto prende il nome di matrice prodotto. Per induzione si
pu definire il prodotto di pi operatori.
Il prodotto tra operatori generalmente non commutativo.
Dalla definizione segue subito la seguente propriet inerente il trasposto
del prodotto:
T

T
(A
B
) =B
A

(AL.24)

algebra vettoriale e matriciale

425

Infatti, detto C
=A
B
si ha, passando alla rappresentazione indiciale:
T
Cik
= Cki = Akj Bji = BijT ATjk

che equivale alla relazione assoluta (AL.24).


Operatori di proiezione
Un operatore di proiezione un operatore la cui azione quella di
trasformare un vettore dello spazio nella proiezione di quel vettore su un
sottospazio. Se lo spazio R3 il vettore viene proiettato su di una retta o su
un piano. Un operatore di proiezione caratterizzabile matematicamente per
il fatto che si comporta come lidentit quando agisce su qualunque vettore
del sottospazio su cui proietta.

u
v

v
u

Pv
~

Pv

Figura AL. 5: azione di un operatore di proiezione

Cerchiamo una traduzione in termini algebrici di questa caratteristica, per


ora esposta in modo intuitivo.
Scelto un vettore v 2 R3 qualunque, e indicato con P
loperatore di
3
proiezione su un sottospazio S R si pu scrivere:

426

A. Strumia, Meccanica razionale

3
S = {w 2 R3 ; w = P
v, v 2 R }

E inoltre:
w=P
v

=)

w=P
w

in quanto loperatore di proiezione non altera i vettori del sottospazio. Allora


un operatore di proiezione risulta caratterizzato dalla propriet:
2

P
v=P
v,

8v 2 R3

(AL.25)

avendo denotato con P


= P
P
il prodotto delloperatore per se stesso.
Data larbitrariet di v resta identificata la propriet algebrica che caratterizza
un operatore di proiezione:
P

=P

(AL.26)

Notiamo che anche lidentit gode della propriet (AL.26); infatti


lidentit si pu considerare come un operatore di proiezione che proietta
lintero spazio su se stesso.
Vediamo come si pu rappresentare un operatore di proiezione che
proietta su di una retta di versore u. Il vettore proiezione di un vettore v 2 R3
dato da u (u v), ma:
P
v = u (u v) = (u u) v
Dunque rimane individuato, data larbitrariet di v:
P
=uu

algebra vettoriale e matriciale

427

Il vettore P
v prende il nome di vettore componente di v lungo la retta.
E immediato che si tratta di un operatore di proiezione in quanto si ha:
P

= (u u)(u u) = u u = P

Infatti, in rappresentazione indiciale si ha:


(ui uj )(uj uk ) = ui (uj uj ) uk = ui uk
essendo uj uj = 1 dal momento che u un versore.
E facile, allora, individuare anche loperatore di proiezione su di un piano
ortogonale a un versore u. In questo caso, infatti, lazione delloperatore deve
rimuovere da v la proiezione lungo u.
Allora si deve avere:
P
v=v

(u u) v =
I

uu v

Rimane individuato, allora, loperatore di proiezione sul piano ortogonale


a u:
P
I
=

uu

Come osservazione conclusiva, notiamo che detti:


P1 = e1 e1 ,

P2 = e2 e2 ,

P3 = e3 e3

gli operatori di proiezione sugli assi cartesiani, cio sulle rette che hanno
la direzione dei versori di una base ortonormale dello spazio R3 , la
rappresentazione semicartesiana dellidentit (AL.22) ci consente di scrivere:

428

A. Strumia, Meccanica razionale

I = P 1 + P2 + P3

Ovvero lidentit si pu pensare come la somma degli operatori di


proiezione lungo tre rette ortogonali dello spazio.
Notiamo che un operatore di proiezione anche simmetrico.
Operatore e matrice complementare
Si dice complemento algebrico relativo allelemento Aik di una matrice
kAik k il determinante (minore) che si ottiene sopprimendo la riga i-esima e la
colonna k-esima della matrice, moltiplicato per ( 1)i+k .
Denotato con Cik il complemento algebrico di Aik si dice matrice
complementare di kAik k la matrice kCik k i cui elementi di matrice sono i
complementi algebrici.
Si chiama poi operatore complementare delloperatore A
kAik k
C
loperatore A
kCik k, la cui rappresentazione relativa alla base data
dalla matrice complementare.
Teoremi di Laplace e matrice inversa
Riportiamo senza dimostrarli gli enunciati dei due teoremi di Laplace, che
sono in ogni caso di verifica immediata per le matrici 3 3 e 2 2 delle quali
qui ci occupiamo:
i) La somma dei prodotti degli elementi di una riga (o di una colonna) di
una matrice per i rispettivi complementi algebrici uguale al determinante
della matrice.
ii) La somma dei prodotti degli elementi di una riga (o di una colonna) di
una matrice per i complementi algebrici di unaltra riga (o colonna) uguale

algebra vettoriale e matriciale

429

a zero.
I due teoremi si possono conglobare nellunica relazione seguente:

det(A
)

jk

()

= Cij Aik

det(A
I = A
)

(AL.27)

Segue immediatamente che il determinante non cambia se si scambiano


righe e colonne di una matrice, cio: il determinante della trasposta di una
matrice uguale al determinante della matrice di partenza.
Questi teoremi consentono, poi, di ottenere la condizione di esistenza
e, nel caso che esista, la matrice delloperatore inverso. Infatti, in base alla
definizione, loperatore inverso gode della propriet:
1

A
I =A
=
A

e quindi, dalla (AL.27), se:


det(A
) 6= 0
si pu ottenere:

1
det(A
)

Una matrice per la quale il determinante nullo si dice singolare, in


caso contrario si dice non singolare. Possiamo allora dire che la condizione
affinch esista linverso di un operatore che la matrice rappresentativa
delloperatore sia non singolare. In questo caso loperatore inverso esiste ed
unico.

430

A. Strumia, Meccanica razionale

Operatore inverso delloperatore prodotto


Dati due operatori A
,B
le cui matrici relative a una base dello spazio
sono non singolari loperatore inverso del loro prodotto esiste ed dato da:
(A
B
)

=B

(AL.28)

Infatti possiamo scrivere:


8v 2 R3

w=A
B
v,
1

Moltiplicando a sinistra per A

Ma A

entrambi i membri otteniamo:

w=A

A
B
v

A
I , quindi:
=
1

Moltiplicando a sinistra per B

ragionamento si ha:
B

w=B
v

entrambi i membri e ripetendo lo stesso

w=B

B
v

Ovvero:
B

w=v

Ma per definizione di operatore inverso si ha:

algebra vettoriale e matriciale

431

1
(A
B
) w=v

E dunque dal confronto risulta:


1
(A
B
) w=B

w,

8w 2 R3

Quindi, per larbitrariet di w segue la (AL.28).


Prodotto misto dei vettori trasformati
Dati tre vettori qualunque a, b, c 2 R3 e un operatore A
sussiste la
seguente relazione tra il prodotto misto dei vettori trasformati e il prodotto
misto dei vettori di partenza:
A
a^A
bA
c = det(A
)a ^ b c

(AL.29)

Geometricamente questa relazione equivale al legame tra i volumi


dei parallelepipedi formati dai vettori trasformati e da quelli di partenza
ed esprime la variazione del volume dovuta allazione di deformazione
delloperatore.
Notiamo che se la matrice delloperatore singolare il volume
trasformato si annulla, e quindi loperatore trasforma vettori linearmente
indipendenti in vettori linearmente dipendenti.
Per dimostrare questo risultato osserviamo che se i tre vettori sono i
versori della base si ha:
A
ei ^ A
ej A
ek = det(A
) "ijk
Infatti per i versori della base si pu scrivere:

(AL.30)

432

A. Strumia, Meccanica razionale

A
~

'
c'

'

'

b'

'

V'

Figura AL. 6: deformazione del volume del parallelepipedo di tre vettori

A
ej (Aik
essendo ej (
determinante:

kj ).

kj )

(Aij ) = (A1j , A2j , A3j )

Allora il prodotto misto si pu esprimere in forma di

A1i
A
ei ^ A
ej A
ek =

A2i

A3i

A1j A2j A3j

A1k A2k A3k


A1i A1j A1k
= A2i A2j A2k

= det(A
) "ijk

A3i A3j A3k


dove si tenuto conto che il determinante non cambia scambiando righe e
colonne. Lultima uguaglianza nasce dal fatto che assegnando dei valori agli

algebra vettoriale e matriciale

433

indici si ottiene il determinante moltiplicato per 1 a seconda che la classe


della permutazione con cui gli indici sono stati scelti sia pari o dispari.
Ora possiamo esprimere:
A
a^A
bA
c=A
(ai ei ) ^ A
(bj ej ) A
(ck ek ) =

= (A
ei ^ A
ej A
ek ) ai bj ck = det(A
) "ijk ai bj ck = det(A
)a ^ b c
avendo utilizzato la (AL.30). Quindi la (AL.29) verificata.
Prodotto vettoriale dei vettori trasformati
Dati due vettori qualunque a, b 2 R3 e un operatore A
sussiste la
seguente relazione tra il prodotto vettoriale dei vettori trasformati e il prodotto
vettoriale dei vettori di partenza:
A
a^A
b=A

(AL.31)

(a ^ b)

Geometricamente questa relazione equivale al legame tra le aree e le


normali dei parallelogrammi formati dai vettori trasformati e da quelli di
partenza dovuta allazione di deformazione delloperatore.
Per dimostrare questo risultato consideriamo un terzo vettore arbitrario
v 2 R3 ; in base alla (AL.29) risulta:
A
a^A
bA
v = det(A
)a ^ b v
Ora possiamo sempre esprimere v = A

w e riscrivere:

A
a^A
b w = det(A
)a ^ b A

434

A. Strumia, Meccanica razionale

A
~

a'

b'

N
n

b'

S'

a'

Figura AL. 7: deformazione dellarea del parallelogrammo di due vettori

Ma:

1
det(A
)

E quindi rimane:

(A
a^A
b) w = (a ^ b) A

Ora in un prodotto scalare si pu trasportare un operatore da un fattore


allaltro, trapsonendolo:

(a ^ A
b) A

w=A

(a ^ b) w

Quindi si ottiene:
(A
a^A
b) w = A

(a ^ b) w

algebra vettoriale e matriciale

435

Ovvero:

A
a^A
b

(a ^ b) w = 0

Larbitrariet di v garantisce che anche w del tutto arbitrario, e di


conseguenza il prodotto scalare pu annullarsi se e solo se verificata la
relazione (AL.31).
Operatore complementare di un operatore prodotto
Dati due operatori lineari A
,B
si ha la seguente relazione:
C
(A
B
) =A

(AL.32)

Infatti dati due vettori arbitrari a, b 2 R3 e loperatore (A


B
), in forza
della (AL.31) possiamo scrivere:
C
(A
B
) a ^ (A
B
) b = (A
B
) (a ^ b)

Ma si possono anche considerare i vettori B


a, B
b e loperatore A
e
scrivere:
A
(B
a) ^ A
(B
b) = A

(B
a^B
b)

A sua volta:
B
a^B
b=B

Di conseguenza:

(a ^ b)

436

A. Strumia, Meccanica razionale

A
(B
a) ^ A
(B
b) = A

(a ^ b)

Daltra parte, evidentemente:


(A
B
)a ^ (A
B
)b = A
(B
a) ^ A
(B
b)
Quindi confrontando i due risultati si ha:
C
(A
B
) (a ^ b) = A

(a ^ b)

Arbitrariet di a, b assicura anche larbitrariet di a ^ b e quindi segue


lidentificazione (AL.32).
Determinante del prodotto di matrici
Dati due operatori A
,B
e loperatore prodotto A
B
sussiste la seguente
relazione tra i determinanti delle loro matrici rappresentative:
(AL.33)

det(A
B
) = det(A
) det(B
)

Infatti grazie ai teoremi di Laplace (AL.27) applicati alla matrice prodotto


abbiamo:
h

C
det(A
I = (A
B
)
B
)

iT

(A
B
)

Ma grazie alla (AL.32):


h

i
C T

(A
B
)

= A

= B

algebra vettoriale e matriciale

437

Ancora per la (AL.27) possiamo scrivere:

A
I,
= det(A
)

B
I
= det(B
)

Quindi:

det(A
I = det(A
I
B
)
) det(B
)
E di conseguenza si ottiene la (AL.33).
Operatori simmetrici
Un operatore lineare si dice simmetrico se uguale al suo trasposto:

A
=A

(AL.34)

In forma indiciale questa scrittura equivale a dire che:

Aik = Aki

(AL.35)

Ovvero la matrice rappresentativa delloperatore si mantiene identica a se


stessa scambiando le righe con le colonne. Anche la matrice si dice allora
simmetrica.
Una matrice simmetrica 3 3 possiede al massimo 6 elementi distinti.
Infatti si ha:

438

A. Strumia, Meccanica razionale

0
B
B
B
B
B
B
@

A11 A12 A13


A12 A22

C
C
C
A23 C
C
C
A

A13 A23 A33

Operatori antisimmetrici
Un operatore lineare si dice antisimmetrico se opposto al suo trasposto:

A
=

(AL.36)

In forma indiciale questa scrittura equivale a dire che:

Aik =

Aki

(AL.37)

Ovvero la matrice rappresentativa delloperatore ha elementi di matrice


che cambiano segno scambiando le righe con le colonne. Anche la matrice si
dice allora antisimmetrica. Ne consegue che:
gli elementi della diagonale principale di una matrice antisimmetrica
sono sempre nulli.
Una matrice antisimmetrica 3 3 possiede al massimo 3 elementi
distinti.
Infatti si ha:

algebra vettoriale e matriciale

0
B
B
B
B
B
B
@

439

A12

A13

A12

A13

A23

C
C
C
A23 C
C
C
A

Vettore duale
Lazione di un operatore antisimmetrico su di un vettore v 2 R3
qualunque tale che:
8v 2 R3

vA
v = 0,

(AL.38)

Infatti, trasportando loperatore da un fattore allaltro del prodotto scalare


si ha:

vA
v= A
v v
Ma per la condizione di antisimmetria segue:
vA
v=

A
v v

Da cui portando a primo membro segue la condizione (AL.38).


Geometricamente questa condizione significa che il vettore trasformato
mediante un operatore antisimmetrico o nullo o ortogonale al vettore di
partenza.
Come abbiamo gi osservato una matrice 3 3 antisimmetrica pu avere
al pi 3 elementi di matrice non nulli, tanti quante sono le componenti di un
vettore: questo fa pensare che gli elementi della matrice possano essere le
componenti di un vettore e che lazione delloperatore antisimmetrico possa

440

A. Strumia, Meccanica razionale

ricondursi ad una operazione tra vettori. La verifica della validit di questa


congettura si ottiene introducendo il vettore duale della matrice, definito
mediante le sue componenti come:
1
"ijk Ajk
2

!i =

(AL.39)

Moltiplicando per "`mi possiamo esplicitare gli elementi di matrice Ajk in


termini di !i . Infatti abbiamo:
1
"`mi "ijk Ajk
2

"`mi !i =
Ma:

"`mi "ijk =

`j

mk

`k mj

Per cui si ha:

"`mi !i =

1
(
2

`j

mk

`k mj ) Ajk

1
(A`m
2

Am` )

E quindi, grazie allantisimmetria della matrice

A`m =

"`mi !i = "i`m !i

(AL.40)

Abbiamo cos ottenuto una rappresentazione di una matrice antisimmetrica in termini del suo vettore duale. Per esteso si ha:

algebra vettoriale e matriciale

441

0
B
B
B
B
B
B
@

!3

!3

!2

!1

!2

C
C
C
!1 C
C
C
A

(AL.41)

Lazione delloperatore antisimmetrico su un vettore v si pu allora


esprimere, in rappresentazione indiciale come:
A`m vm =

"`mi !i vm = "`im !i vm

ovvero in rappresentazione assoluta:


A
v =!^v

(AL.42)

In conclusione:
Il trasformato di un vettore v 2 R3 mediante un operatore
antisimmetrico il prodotto vettoriale del vettore duale per il vettore v.
Questo risultato vale solamente quando lo spazio ha 3 dimensioni. Infatti
in questo caso e solo in questo caso il numero di componenti di una matrice
antisimmetrica 3, tante quante sono le componenti di un vettore, mentre
in uno spazio di dimensione diversa manca questa coincidenza. Ad esempio
in R4 una matrice antisimmetrica ha 6 componenti significative, mentre un
vettore ha solo quattro componenti. Solamente in R3 il prodotto vettoriale
si presenta come un vettore, mentre in spazi di dimensione maggiore si
comporta come un tensore antisimmetrico a pi di un indice.

442

A. Strumia, Meccanica razionale

Parte simmetrica e parte antisimmetrica di un operatore


Dato un operatore qualunque B
sussiste la seguente identit:
1
=
B

B
+B

1
2

Si pu allora decomporre sempre un operatore nel modo seguente:


B
=S
+A

dove:
1
=
S

B
+B

=S

(AL.43)

un operatore simmetrico e prende il nome di parte simmetrica di B


, e:
1
=
A

(AL.44)

un operatore antisimmetrico e prende il nome di parte antisimmetrica di


B
.
Quando si usa la rappresentazione indiciale spesso si introduce anche
la notazione (ik) per denotare la simmetrizzazione degli indici e [ik] per
denotare l antisimmetrizzazione. Per cui si scrive:
Bik = B(ik) + B[ik] ,

B(ik) = Sik ,

B[ik] = Aik

algebra vettoriale e matriciale

443

Traccia di un operatore
Si dice traccia di un operatore la somma degli elementi della diagonale
principale della sua matrice rappresentativa e si denota:

Tr (A
) = Aii = A11 + A22 + A33

(AL.45)

Valgono le seguenti propriet:

i) Tr A

= Tr (A
)

ii) Tr (A
) = Tr (A
)
iii) Tr (B
A
) = Tr (A
B
)
iv) Tr (A
+B
) = Tr (A
) + Tr (B
)

che sono di verifica immediata.

Si hanno poi alcuni risultati che riguardano gli operatori simmetrici e


antisimmetrici:
a) la traccia di un operatore antisimmetrico nulla:
A

=)

Tr (A
)=0

come evidente dal momento che la diagonale principale della matrice di un


operatore antisimmetrico costituita da elementi tutti nulli. Del resto questo
risultato discende direttamente anche dalla propriet i).
b) La traccia del prodotto di un operatore simmetrico per un operatore
antisimmetrico nulla:

=S
, A

=)

Tr (S
A
)=0

444

A. Strumia, Meccanica razionale

Infatti:
h

Tr (S
A
) = Tr (S
A
)
=

= Tr A
S

Tr (A
S
)=

= Tr ( A
S
)=

Tr (S
A
)

e quindi, portando a primo membro, lannullarsi della traccia del prodotto.


c) Se la traccia del prodotto di un operatore A
per qualunque operatore

simmetrico S
nulla, allora A
antisimmetrico:
Tr (S
A
) = 0, 8S
; S

=S

=)

Infatti se ci non fosse vero si potrebbe sempre separare la parte


simmetrica da quella antisimmetrica: A
= A
S+A
A . Di conseguenza
si avrebbe:

Tr (S
A
) = Tr S
A

+ Tr S
A

= Tr S
A

grazie alla propriet b). E per lipotesi dovrebbe risultare:

Tr S
A

=0

()

Sik (AS )ik = 0

per tutti gli operatori simmetrici S


. Ma questo pu avvenire solamente se
A
= 0, cio solo se loperatore antisimmetrico.
S

d) Se la traccia del prodotto di un operatore S


per qualunque operatore

antisimmetrico A
nulla, allora S
simmetrico:

algebra vettoriale e matriciale

445

Tr (S
A
) = 0, 8A
; A

=)

=S

Questultima si dimostra in maniera del tutto analoga alla c).


Operatori unitari o ortogonali e operatori di rotazione
Un operatore U
si dice unitario o ortogonale se gode della propriet:
T

U
I =U
U
=
U

(AL.46)

Si hanno le seguenti propriet:


i) esiste sempre loperatore inverso di un operatore unitario e vale:
U

=U

Il risultato una conseguenza diretta della definizione (AL.46).


ii) Il modulo di qualsiasi vettore v 2 R3 invariante rispetto allazione di
un operatore unitario. Infatti:

2
U
I v) v = |v|
v =U
vU
v= U
U
v v = (

grazie alla (AL.46).


Geometricamente ci significa che le lunghezze non vengono alterate
dalle trasformazioni unitarie.
Questa propriet in effetti una conseguenza di una propriet pi
generale:

446

A. Strumia, Meccanica razionale

iii) Il prodotto scalare di due vettori qualunque a, b 2 R3 invariante


rispetto allazione di un operatore unitario. Infatti si ha:

U
I a) b = a b
aU
b= U
U
a b = (
Geometricamente questo risultato comporta che gli angoli tra coppie di
rette dello spazio non vengono alterati dalle trasformazioni unitarie.
Per quanto riguarda il determinante di una matrice unitaria, tenendo conto
delle propriet del determinante abbiamo:

det U
U

= det U

i2

det(U
) = det(U
)

Di conseguenza dalla (AL.46) segue:


h

i2

det(U
)

=1

()

det(U
) = 1

Si definisce operatore di rotazione (propria) un operatore unitario il cui


determinante vale +1.
Le rotazioni proprie oltre a lasciare invariante il modulo di ogni
vettore dello spazio, conservano inalterato, dopo la trasformazione, anche
lorientamento levogiro (o rispettivamente destrogiro) di ogni base dello
spazio.
Infatti in conseguenza della (AL.29) si ha:
U
e1 ^ U
e2 U
e3 = det(U
) e1 ^ e2 e3
Se la base si partenza {ei } ortonormale levogira si ha:
e1 ^ e2 e3 = +1

algebra vettoriale e matriciale

447

Dopo la trasformazione il prodotto misto dei trasformati dei vettori di base


vale ancora 1 se il determinante delloperatore +1 e quindi la base ancora
levogira, mentre vale 1 in caso contrario; le trasformazioni unitarie non
proprie mutano allora, una base levogira in una base destrogira.
Le rotazioni proprie rappresentano dunque delle trasformazioni rigide
dello spazio euclideo.
Nel seguito denotiamo con R
gli operatori di rotazione propria.
Riassumendo essi sono caratterizzati dalle due propriet:
T

R
I =R
R
=
R
,

det(R
) = +1

Rotazioni degli assi coordinati


Lazione di un operatore di rotazione R
si pu interpretare in due modi:
primo modo: si pensa lazione di R
su un vettore v come unazione
che ruota il vettore v di un certo angolo # senza alterarne il modulo e
lasciando inalterata la base dello spazio associata agli assi cartesiani del
sistema di riferimento.
Langolo fra il vettore di partenza e il vettore ruotato caratterizzato dalla
relazione che nasce dalla definizione di prodotto scalare e dallinvarianza del
modulo per rotazione:

cos # =

vR
v
|v|2

Secondo modo: si pensa il vettore v come fisso nello spazio e si


interpreta lazione di R
come unazione che fa compiere ai vettori della base

448

A. Strumia, Meccanica razionale

3
v
R

~
v
O
x

Figura AL. 8: rotazione di un vettore

associata agli assi cartesiani, una rotazione inversa a quella che prima si faceva
compiere al vettore v.
In questo modo si pu esprimere mediante un operatore di rotazione una
rotazione degli assi cartesiani.
Se indichiamo con R
la rotazione a cui sono soggetti i versori della base
e marchiamo con lapice i versori della base dopo la rotazione, abbiamo:
e0k = R
ek

(AL.47)

Gli elementi della matrice di rotazione si possono scrivere, di


conseguenza:
0
0
Rik = ei R
ek = ei ek = (ek )i =

ik

(AL.48)

dove ik rappresentano i coseni direttori dei versori della base trasformata


rispetto a quelli della base di partenza, e coincidono con le componenti dei
versori trasformati rispetto alla base di partenza:

algebra vettoriale e matriciale

449

x3
x '3

x'
2

x'
1

Figura AL. 9: rotazione degli assi cartesiani

e0k (

1k ,

2k ,

3k )

Ne viene di conseguenza che, operativamente, se si vuole costruire la


matrice di rotazione che caratterizza loperatore che trasforma i versori di
base {ek } nei nuovi versori {e0k } basta costruire le colonne della matrice con
le componenti dei nuovi versori rispetto ai vecchi. La matrice risulta allora
nel modo seguente:

0
B
B
B
B
B
B
@

(e01 )1 (e02 )1 (e03 )1


(e01 )2

(e02 )2

(e03 )2

(e01 )3 (e02 )3 (e03 )3

1
C
C
C
C
C
C
A

Osserviamo come la condizione di unitariet della matrice di rotazione


(AL.46) si traduce nella condizione di ortonormalit dei versori della nuova
base; infatti si ha:

450

A. Strumia, Meccanica razionale

T
Rij
Rjk =

ik

()

(e0i )j (e0k )j = e0i e0k =

ik

Le componenti di un vettore v dopo la rotazione degli assi si ottengono


tenendo conto che si hanno, per lo stesso vettore le due rappresentazioni
semicartesiane:
vk ek = vk0 e0k
Moltiplicando scalarmente per ej otteniamo:
vj = ej ek vk = ej e0k vk0 = Rjk vk0
La condizione det(R
) = +1 si traduce invece nella condizione che
la base dei versori trasformati sia levogira. Infatti il determinante viene a
rappresentare il prodotto misto dei versori:
e1 ^ e2 e3 = +1
Possiamo denotare le rappresentazioni relative alle due basi anche in
forma simbolica nel modo seguente:
v 0 (vk0 ),

v (vk )

Intendendo qui con v 0 , v non tanto il vettore in se stesso, che non cambia al
variare della base, quanto la terna che lo rappresenta rispetto alla base. Allora
si pu scrivere la legge di trasformazione delle componenti di un vettore per
una rotazione R
degli assi nella forma compatta:
T

v0 = R
v

()

0
v=R
v

(AL.49)

algebra vettoriale e matriciale

451

Esempio
Come esempio possiamo considerare una rotazione di un angolo # del
piano coordinato x1 x2 attorno allasse x3 .

x'
2

2
x'
1

x3 =
= x '3

Figura AL. 10: rotazione degli assi nel piano z=0


Le componenti dei versori ruotati rispetto alla base non ruotata sono:

e01 (cos #, sen #, 0),

e02 ( sen #, cos #, 0),

e03 (0, 0, 1)

La matrice di rotazione, costruita ponendo in colonna le componenti dei


versori della base ruotata risulta essere:

0
B
B
B
B
B
B
@

cos #

sen # 0

sen #

cos #

1
C
C
C
C
C
C
A

Segue che la trasformazione delle componenti di un vettore v avviene


secondo la legge (AL.49) e diviene:

452

A. Strumia, Meccanica razionale

8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

v10 = v1 cos # + v2 sen #


v20 =

v1 sen # + v2 sen #

v30 = v3

Trasformazione di similitudine
Abbiamo visto come una matrice di rotazione serve a rappresentare la
legge di trasformazione delle componenti di un vettore quando si effettua
una rotazione degli assi cartesiani, ovvero della base dello spazio associata
al sistema di riferimento. Abbiamo ottenuto linformazione secondo cui se i
versori sono ruotati in base alla legge:
e0k = R
ek
Allora la rappresentazione di ogni vettore si modifica secondo la legge:
0
v=R
v,

v0 = R
v

Ci domandiamo ora con quale legge si trasforma la matrice


rappresentativa di un qualunque operatore lineare A
.
Denotiamo con:

A
kAik k ,

0
0
A
kAik k

Le matrici che rappresentano loperatore rispetto alle due basi; in ognuna


delle due rappresentazioni deve valere una legge di trasformazione del tipo:

algebra vettoriale e matriciale

453

w=A
v

(AL.50)

0
w0 = A
v

(AL.51)

Ma per i vettori si hanno le leggi di trasformazione:


0
w=R
w,

0
v=R
v

che sostituite nella (AL.50) comportano:


0
0
R
w =A
R
v

Moltiplicando a sinistra per R

otteniamo:

0
0
R
R
w =R
A
R
v
T

E tenendo conto che R


I si ha:
R
=
T

0
w0 = R
A
R
v

condizione che si identifica con la (AL.51) se e solo se:


T

0
A
=R
A
R

(AL.52)

Questa regola di trasformazione, che prende il nome di trasformazione


di similitudine, fornisce la legge con cui si modificano le matrici, cio le
rappresentazioni relative degli operatori, ruotando la base del riferimento
cartesiano.

454

A. Strumia, Meccanica razionale

Le propriet di simmetria e di antisimmetria di una matrice sono


propriet assolute, cio non dipendono dalla scelta della base di riferimento,
ma sono propriet delloperatore. Infatti queste propriet sono invarianti per
trasformazione di similitudine.
T

La verifica immediata. Sia infatti A


= A
una matrice, che risulta
essere simmetrica nel caso si prenda il segno positivo e antisimmetrica se si
prende il segno negativo; dopo la trasformazione di similitudine abbiamo:
T

0
0
A
=R
A
R
= R
A
R
= A

Dunque le stesse propriet di simmetria o antisimmetria.


Trasformazioni non unitarie
In alcuni casi pu accadere di avere bisogno di passare da una base
ortonormale {ek } ad una nuova base {e0k } che non ortonormale. In questi
casi la matrice S
che lega tra loro i versori delle due basi:
e0k = S
ek
i cui elementi di matrice, rispetto alla base ortonormale di partenza, sono dati
sempre dalla regola:
0
Sik = ei S
ek = ei ek

non una matrice unitaria e la sua azione non lascia inalterati n i moduli
dei vettori, n gli angoli fra le rette dello spazio. Essa comunque una
matrice non singolare, altrimenti il prodotto misto dei vettori della base
trasformata si annullerebbe, a causa della (AL.29), e i vettori trasformati
risultando complanari non formerebbero una base. In questa situazione le
leggi di trasformazione delle rappresentazioni dei vettori e delle matrici si
ottengono esattamente come prima, con lunica differenza che in luogo di

algebra vettoriale e matriciale

455

R
compare ora S
. Infatti la relazione tra le componenti di un vettore,
rappresentato sulle due basi, data da:
vi ei = vk0 e0k
Moltiplicando scalarmente per ej e tenendo conto del fatto che la base
{ei } ortonormale, si ha:
vj = ej e0k vk0 = Sjk vk0
Si ha allora per la trasformazione della rappresentazione dei vettori:
0
v=S
v

v0 = S

()

(AL.53)

E quindi per le matrici la seguente trasformazione di similitudine di cui la


(AL.52) costituisce un caso particolare:
0
A
=S

(AL.54)

A
S

Inversione spaziale
Consideriamo il piano reale R2 . Nel piano una rotazione degli assi
cartesiani di un angolo # pu essere scritta nella forma che si desume dai
risultati precedenti:
0

B
R
@

cos #
sen #

sen #
cos #

1
C
A

Ora, se consideriamo una rotazione


di un angolo piatto, cio # = si ha:

456

A. Strumia, Meccanica razionale

1
C
A

Dove in questo caso


I rappresenta lidentit 2 2 nel piano. Loperatore

equivale a una inversione dellorientamento di entrambi gli assi cartesiani


e pu essere espresso, in R2 mediante un operatore di rotazione propria.

x2

x1

x'1

x' 2

Figura AL. 11: inversione degli assi nel piano

Se passiamo nello spazio tridimensionale R3 e definiamo loperatore di


inversione degli assi 3 3:

0
B
B
B
B
B
B
@

1
0
0

0
1
0

0
0
1

1
C
C
C
C
C
C
A

algebra vettoriale e matriciale

457

ci accorgiamo subito, che a differenza di quanto accadeva in R2 , in R3


linversione non un operatore di rotazione propria, perch, pur essendo un
T
operatore unitario, in quanto
I , il determinante negativo:

=
det(
)=

Dunque in R3 e in generale in uno spazio di dimensione dispari


linversione degli assi non una rotazione propria. Essa viene a rappresentare
un operatore unitario non di rotazione al quale si d il nome di inversione
spaziale. In fisica questo operatore noto come operatore di parit.
Vettori polari o veri
3
Applicando
a un vettore di R si ottiene la sua rappresentazione dopo
linversione degli assi:

v0 =
v=

()

vi0 =

vi

(AL.55)

Vettori le cui componenti cambiano segno per inversione degli assi


prendono il nome di vettori polari o vettori veri. Sono vettori di questa
natura gli spostamenti, le velocit, le accelerazioni, ecc.
Notiamo che il prodotto scalare di due vettori veri non cambia segno per
inversione degli assi, ma rimane invariante. Infatti:
a0 b0 =
a
b = ( a) ( b) = a b
Uno scalare che rimane invariante anche per inversione degli assi si dice
scalare vero.

458

A. Strumia, Meccanica razionale

Vettori assiali o pseudovettori


Proviamo ora a calcolare il prodotto vettoriale di due vettori polari, dopo
un inversione degli assi. Abbiamo:
a0 ^ b0 =
a^
b = ( a) ^ ( b) = a ^ b
Si osserva che il prodotto vettoriale non cambia il segno delle sue
componenti dopo uninversione degli assi.
In realt il prodotto vettoriale non un vero vettore; infatti, come abbiamo
gi osservato, in uno spazio a pi di 3 dimensioni il prodotto vettoriale risulta
caratterizzato da pi di 3 componenti. Anche se in R3 il prodotto vettoriale si
caratterizza con lo stesso numero di componenti di un vettore e obbedisce alla
regola di somma del parallelogrammo, tuttavia, il suo comportamento rispetto
allinversione degli assi non quello di un vettore. Perci si dice che uno
pseudovettore o anche un vettore assiale.
Se prendiamo il prodotto scalare di un vettore vero per uno pseudovettore
otteniamo uno pseudoscalare cio uno scalare il cui segno cambia per
inversione degli assi. Il prodotto misto di tre vettori veri un esempio di
pseudoscalare:
a0 ^ b0 c0 =
a^
b
c=

a^bc

Invarianti principali di un operatore


3
Dato un operatore lineare A
in R :

le quantit scalari det(A


sono indipendenti dalla
), Tr (A
), Tr A

base rispetto alla quale loperatore viene rappresentato e si dicono invarianti


principali delloperatore.

algebra vettoriale e matriciale

459

Tutti gli altri invarianti che caratterizzano loperatore si ottengono come


funzioni di questi invarianti principali.
Invarianza del determinante
Effettuando una trasformazione di similitudine, mediante una matrice S

non singolare, non necessariamente di rotazione, abbiamo:

0
det(A
) = det S

A
S

= det S

essendo evidentemente det S

Invarianza della traccia

det(A
) det(S
) = det(A
)

det(S
) = 1.

Per la traccia abbiamo:


0
Tr (A
) = Tr

= Tr

S
S

= Tr S

= Tr (A
)

In maniera analoga si ottiene linvarianza della traccia di A

Problema agli autovalori


Il problema agli autovalori nasce come risposta al seguente quesito: dato
un operatore A
esistono dei vettori d i cui trasformati sono paralleli ai
vettori d di partenza?
La condizione di parallelismo tra un vettore d e il suo trasformato si scrive
in questo modo:

460

A. Strumia, Meccanica razionale

A
d= d
essendo uno scalare da determinare. Il problema geometrico meglio
leggibile da un punto di vista algebrico se lo si riscrive nella forma:

(A

(AL.56)

I)d = 0

Dal punto di vista algebrico questa scrittura rappresenta un sistema lineare


omogeneo di 3 equazioni nelle 3 incognite costituite dalle componenti del
vettore d. In forma indiciale infatti si ha:

(Aik

ik ) dk

=0

che scritta per esteso fornisce il sistema lineare omogeneo:


8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

(A11

) d1 + A12 d2 + A13 d3 = 0

A21 d1 + (A22

) d2 + A23 d3 = 0

A31 d1 + A32 d2 + (A33

) d3 = 0

Questo sistema ammette soluzioni non banali se e solo se il determinante


dei coefficienti nullo; e cio se soddisfatta lequazione caratteristica del
sistema:

det(A

Ovvero in forma estesa:

I) = 0

(AL.57)

algebra vettoriale e matriciale

A11

461

A12

A21
A31

A13

A22

A23

A32

=0

A33

Lequazione caratteristica, per una matrice 3 3 si pu sviluppare e


semplificare ottenendo lequazione cubica:
3

Tr (A
)

+ Tr A

det(A
)=0

(AL.58)

Nel caso di una matrice 2 2 si ha pi semplicemente:


2

Tr (A
) + det(A
)=0

(AL.59)

Risolvendo lequazione caratteristica si determinano i valori del


parametro in corrispondenza dei quali il problema ammette soluzioni non
banali Per il teorema fondamentale dellalgebra lequazione caratteristica
ha soluzioni in campo complesso in numero pari al grado dellequazione,
contando le soluzioni multiple tante volte quanto la loro molteplicit.
Le radici dellequazione caratteristica prendono il nome di autovalori
delloperatore A
e i vettori d, che si determinano in corrispondenza, si
dicono autovettori delloperatore A
.

La condizione (AL.57) equivale a richiedere che le equazioni del sistema


omogeneo (AL.56) siano linearmente dipendenti. In R3 se solo due equazioni
del sistema sono linearmente indipendenti, il sistema ammette 11 soluzioni
per ogni autovalore. Geometricamente questo significa che, in corrispondenza
di ogni autovalore esiste una retta dello spazio, invariante rispetto allazione
di A
, e tutti i vettori che identificano i punti di quella retta sono autovettori
corrispondenti allautovalore considerato.

462

A. Strumia, Meccanica razionale

Per ogni autovalore esistono allora infiniti autovettori; infatti se d un


autovettore corrispondente allautovalore ogni vettore ad esso parallelo
autovettore:
a
A
( d) = ( d) = d =

( d)

qualunque sia . La retta invariante risulta allora identificata dalle equazioni


parametriche:
x = d
Quando si vogliono identificare gli autovettori di un operatore allora
conveniente scegliere la norma dei vettori uguale allunit, assegnando cos i
versori delle rette invarianti.
Le rette invarianti rispetto allazione di un operatore si chiamano assi
principali delloperatore. Di conseguenza: gli assi principali di un operatore
sono le rette che hanno la direzione degli autovettori delloperatore.
Notiamo anche che in R2 il problema agli autovalori pu non avere radici
reali, mentre in R3 esiste sempre almeno una radice reale, dal momento che
le soluzioni complesse si presentano sempre a due a due insieme alle loro
coniugate; quindi essendo le radici in numero di 3, che dispari, una di esse
deve coincidere con la sua complessa coniugata, ed essere perci reale.
Notiamo che i coefficienti dellequazione caratteristica sono gli
invarianti principali delloperatore; di conseguenza gli autovalori, che si
esprimono in funzione di tali coefficienti, risultano essere essi pure invarianti
rispetto alla scelta della base.

algebra vettoriale e matriciale

463

Autovalori di un operatore simmetrico


Gli autovalori di un operatore simmetrico sono reali.
Per provarlo consideriamo una radice
dellequazione caratteristica,
ammettendo in generale che possa essere complessa. Allora il sistema
omogeneo (AL.56) avr come soluzioni degli autovettori le cui componenti
possono esse pure essere complesse. Scriviamo, nella forma indiciale:
Aik dk =

di

(AL.60)

Tenendo conto che gli elementi della matrice Aik sono quantit reali, la
relazione complessa coniugata della precedente ci d:
Aik dk =

di

(AL.61)

avendo denotato con loperazione di coniugazione complessa.


moltiplicando la (AL.60) per di e la (AL.61) per di , otteniamo:
di Aik dk =

di di = 0

di Aik dk =

di di = 0

Ora

Grazie alla simmetria della matrice le due quantit a primo membro sono
uguali, per cui, sottraendo membro a membro le due equazioni precedenti e
raccogliendo possiamo ottenere linformazione:
(
Ora:

) di di = 0

464

A. Strumia, Meccanica razionale

di di = d1 d1 + d2 d2 + d3 d3 > 0
rappresentando una somma dei quadrati di moduli di numeri complessi non
tutti nulli, in quanto le di sono soluzioni non banali, e quindi non tutte nulle,
di un sistema lineare omogeneo. Di conseguenza rimane
= , che
significa che lautovalore reale. Questa considerazione si pu ripetere per
ogni soluzione dellequazione caratteristica, perci tutti gli autovalori sono
reali.
Autovettori di un operatore simmetrico
Gli autovettori di un operatore simmetrico sono reali e formano una
base ortonormale dello spazio.
Per il teorema fondamentale dellalgebra le radici dellequazione
caratteristica sono in numero uguale al grado dellequazione caratteristica,
cio uguale alla dimensione dello spazio in cui loperatore definito,
ed eventualmente possono esservi radici multiple. Inoltre per il risultato
precedente tali autovalori sono reali. Di conseguenza anche gli autovettori,
soluzioni del sistema lineare omogeneo (AL.56), sono reali.
Autovalori distinti
Cominciamo con il considerare gli autovettori corrispondenti ad
autovalori tra loro distinti e mostriamo che: gli autovettori corrispondenti
ad autovettori distinti sono tra loro ortogonali.
Infatti, detti ,

due autovalori distinti avremo:


A
d= d
0
A
d =

0 0

algebra vettoriale e matriciale

465

Moltiplicando scalarmente per d0 la prima di queste equazioni e per d la


seconda e sottraendo otteniamo:
0

) d d0 = 0

Ora se gli autovalori sono distinti si ha:


d d0 = 0
E dal momento che gli autovettori non possono essere nulli, essendo le
loro componenti soluzioni non banali di un sistema lineare omogeneo, segue
che essi sono tra loro ortogonali.
Dunque: un operatore simmetrico che ammette tre autovalori distinti,
possiede anche tre autovettori tra loro ortogonali, ciascuno in corrispondenza
ad un autovalore.
Dal momento che gli autovettori possono essere
normalizzati allunit, si conclude che loperatore ammette una base
ortonormale di autovettori {di }; e si pu quindi scrivere:
di dk =

ik

Autovalori multipli
i) Cominciamo con il considerare il caso in cui 2 autovalori su 3 siano
coincidenti (autovalore doppio ). Scriviamo allora, per esempio:
(1)

(2)

6=

(3)

In questo caso il sistema omogeneo (AL.56) possiede una sola equazione


linearmente indipendente e quindi si hanno 12 soluzioni. Ci significa che
esiste un piano invariante rispetto allazione di A
. E quindi qualunque vettore
del piano autovettore e tutte le rette del piano passanti per lorigine sono assi

466

A. Strumia, Meccanica razionale

principali delloperatore. Inoltre asse principale la retta normale al piano


passante per lorigine.
In particolare possiamo scegliere due vettori nel piano, tra loro ortogonali
normalizzati allunit, formando cos una base ortonormale con lautovettore
corrispondente allautovalore distinto che risulta ortogonale ad essi, grazie al
risultato ottenuto precedentemente.
Notiamo che in questo caso non esiste una sola base ortonormale di
autovettori, ma ne esistono infinite, in quanto si possono scegliere, nel piano
invariante infinite coppie di versori ortogonali, che risultano automaticamente
ortogonali anche con il terzo autovettore.
ii) Se gli autovalori delloperatore sono tutti coincidenti si ha:

(1)

(2)

(3)

In questo caso il sistema omogeneo (AL.56) identicamente soddisfatto


in corrispondenza del valore comune degli autovalori e quindi tutto lo spazio
risulta essere invariante rispetto allazione della matrice A
e tutte le rette
dello spazio passanti per lorigine sono assi principali delloperatore. Dunque
si ha:

(A

8d 2 R3

I ) d = 0,

Larbitrariet di d comporta lidentificazione:

A
=

0
B
B
B
B
B
B
@

0 0
0
0 0

1
C
C
C
C
C
C
A

algebra vettoriale e matriciale

467

Loperatore dilata (| | > 1) o contrae (| | < 1) tutti i vettori dello spazio


dello stesso fattore indipendentemente dalla loro direzione (deformazione
isotropa).
Diagonalizzazione di una matrice simmetrica
Abbiamo visto che dato un operatore simmetrico questo possiede sempre
autovalori reali e una base di auotovettori ortonormali. In particolare
possiamo sempre fare in modo che la base risulti levogira, in quanto, in
caso che ci non risultasse vero, basta moltiplicare uno dei vettori per 1
ottenendo in tal modo lorientamento corretto.
Fatta questa scelta sempre possibile, allora, costruire una matrice di
rotazione che permette di passare dalla base {ei }, nella quale loperatore
rappresentato, alla base degli autovettori:

dk = R
ek
Gli elementi della matrice di rotazione cercata sono dati allora dalle
componenti degli autovettori posti in colonna:

(AL.62)

Rik = ei dk = (dk )i
Per esteso si ha:

0
B
B
B
B
B
B
@

(d1 )1 (d2 )1 (d3 )1


(d1 )2 (d2 )2

C
C
C
(d3 )2 C
C
C
A

(d1 )3 (d2 )3 (d3 )3

468

A. Strumia, Meccanica razionale

Si noti che il determinante di questa matrice ha il valore del prodotto misto


degli autovettori ortonormalizzati e affinch questo valga +1 occorre che la
terna degli autovettori sia stata orientata in modo levogiro.
Rispetto alla base degli autovettori la matrice che rappresenta loperatore
ha
la nuova rappresentazione:
A

0
A
=R
A
R

Ma in questo caso non necessario ricorrere alla trasformazione di


similitudine per ottenere gli elementi di matrice, in quanto i versori della
nuova base, essendo gli autovettori, consentono un calcolo diretto. Abbiamo:
A0ik = di A
dk =

(k)

(AL.63)

ik

Questa scrittura, per esteso equivale alla rappresentazione:

0
A

0
B
B
B
B
B
B
@

(1)

(2)

(3)

C
C
C
C
C
C
A

Questa rappresentazione di un operatore si dice forma diagonale e


il procedimento di determinazione degli autovalori e degli autovettori,
necessario per determinare la base rispetto alla quale la matrice delloperatore
assume forma diagonale si dice diagonalizzazione delloperatore.
Rispetto alla base degli autovettori anche la rappresentazione semicartesiana delloperatore diviene, di conseguenza, particolarmente
semplice, in quanto si ha:
A
=

(k)

ik di

dk

() A
=

(k)

dk dk

algebra vettoriale e matriciale

469

E quindi, per esteso:


A
=

(1)

d1 d1 +

(2)

d2 d2 +

(3)

d3 d3

dove i prodotti tensoriali degli autovettori ortonormalizzati non sono altro che
gli operatori di proiezione sugli assi principali delloperatore A
.

Questa rappresentazione consente di comprendere bene leffetto


dellazione di un operatore su un vettore dello spazio; infatti se
rappresentiamo un vettore v 2 R3 sulla base degli autovettori di A
, abbiamo
la forma semicartesiana:
v = vk dk
Facendo ora agire loperatore A
sul vettore v si ottiene:
A
v=

(i)

di di vk dk =

(i)

di (di dk ) vk =

(2)

v2 d2 +

(i)

vi di

Ovvero in forma estesa:


A
v=

(1)

v1 d1 +

(3)

v3 d3

Loperatore si comporta come un agente che deforma i vettori in maniera


anisotropa, modificandone la prima componente secondo un coefficiente
di dilatazione (1) , la seconda componente secondo il fattore (2) e la
terza componente secondo il fattore (3) . Se due autovalori coincidono
la deformazione diviene isotropa, cio indipendente dalla direzione di v,
nel piano dei corrispondenti autovettori; se tre autovalori coincidono la
deformazione isotropa in tutto lo spazio.

470

A. Strumia, Meccanica razionale

Operatori definiti di segno


Un operatore A
si dice definito positivo se e solo se:
i) v A
v>0

8v 6= 0

ii) v A
v=0

()

v=0

Analogamente si dir che un operatore definito negativo se al posto del


segno di > compare il segno di <.
Un operatore A
si dice semidefinito positivo se e solo se:
vA
v

8v 2 R3

Analogamente si dir che un operatore semidefinito negativo se al posto


del segno di compare il segno di .
Geometricamente il fatto che un operatore sia definito positivo indica che
langolo tra un vettore v 6= 0 e il suo trasformato acuto, ovvero che il
trasformato si trova nel semipiano aperto, che contiene v, delimitato dalla
retta normale a v passante per lorigine.
Infatti:

vA
v = |v| |A
v| cos # > 0
comporta, per v 6= 0, che cos # > 0.
Diamo ora un criterio operativo per verificare se un operatore definito di
segno:
Un operatore risulta essere definito positivo (rispettivamente, definito
negativo ) se gli autovalori della sua parte simmetrica sono tutti positivi
(rispettivamente, negativi).

algebra vettoriale e matriciale

471

Av

Figura AL. 12: azione di un operatore definito positivo

Infatti rappresentando i vettori sulla base degli autovettori delloperatore


si ha:

vA
v == vi di A
vk dk = vi vk di A
dk = vi vk di A
dk =
S

= vi vk

= vi vk

(i)

ik

= v12

(i)

di dk =

(1)

+ v22

(2)

+ v32

(3)

Questultima quantit pu risultare positiva (negativa) per vettori non nulli


se e solo se gli autovalori sono tutti positivi (negativi). Per avere un operatore
semidefinito di segno si pu ammettere anche che uno o due autovalori siano
nulli. Se tutti gli autovalori sono nulli loperatore stesso nullo. Si noti come
solo la parte simmetrica delloperatore contribuisce alla forma quadratica.
Questo criterio particolarmente comodo quando la matrice si presenta
in forma diagonale. Se la matrice non si presenta in forma diagonale pi
conveniente ricorrere al criterio di Sylvester noto dallanalisi.

472

A. Strumia, Meccanica razionale

Matrici 2 2
A titolo di esempio esaminiamo il caso di una matrice simmetrica 2 2.
Se la matrice non in forma diagonale non necessario diagonalizzarla, ma
basta studiare la sua equazione caratteristica, che si presenta nella forma:
2

Tr (A
) + det(A
)=0

Sappiamo che gli autovalori sono reali, grazie alla simmetria della
matrice; allora possiamo determinare i segni degli autovalori mediante la
regola dei segni di Cartesio. Affinch gli autovalori siano entrambi positivi
(negativi) dovremo avere due variazioni (permanenze ) dei segni dei
coefficienti dellequazione. Questo si realizza a condizione che:
Tr (A
) > 0 (< 0),

det(A
)>0

E sufficiente perci esaminare i segni della traccia e del determinante per


stabilire il segno degli autovalori. Si pu ancora osservare che in una matrice
simmetrica 2 2 queste condizioni si traducono nelle seguenti:
A11 + A22 > 0 (< 0),

A11 A22

A212 > 0

La condizione sul segno del determinante si pu riscrivere:


A11 A22 > A212

=) A11 A22 > 0

che comporta che A11 e A22 abbiano lo stesso segno. Di conseguenza la


richiesta che la traccia sia positiva (negativa) si riconduce alla richiesta che
A11 > 0 (< 0).
Riassumendo le condizioni per verificare se una matrice simmetrica 2 2
definita positiva (negativa) si possono ricondurre alla richiesta che:

algebra vettoriale e matriciale

473

A11 > 0 (< 0),

det(A
)>0

Si ritrovato cos il criterio di Sylvester applicato alla matrice 2 2.


Osservazioni
i) Se un operatore diagonalizzabile i suoi invarianti principali, che non
dipendono dalla scelta della base, possono essere calcolati a partire dalla
matrice in forma diagonale che rappresenta loperatore rispetto alla base degli
autovettori. Gli invarianti principali risultano allora espressi mediante gli
autovalori. Si ottiene subito:

det(A
)=

(1)

Tr (A
)=

(1)

Tr A

(2)

(3)

(2)

(3)

(1)

(2)

(1)

(3)

(2)

(3)

Come si vede facilmente:


lannullarsi del determinante equivale allannullarsi di almeno un
autovalore, per cui una matrice non singolare ha autovalori tutti non nulli.
Se oltre al determinante si annulla anche la traccia delloperatore
complementare allora almeno due autovalori sono nulli e viceversa.
Se i tre invarianti principali sono nulli contemporaneamente allora i tre
autovalori sono nulli e viceversa.
ii) Un problema agli autovalori pu presentarsi anche sotto la forma,
diversa dalla (AL.56):

474

A. Strumia, Meccanica razionale

(A

(AL.64)

H
)d = 0

dove A
un operatore simmetrico e H
un operatore simmetrico definito
positivo. Questa forma pu essere ricondotta alla (AL.56) grazie al fatto che
loperatore H
non singolare. Infatti esiste in questo caso loperatore inverso
e moltiplicando a sinistra la (AL.64) per linverso si ha:
H

(A

H
)d = H

I d=0

Introdotto allora il nuovo operatore:


1

B
=H

possiamo riscrivere il problema agli autovalori nella forma equivalente alla


(AL.64):
(B

(AL.65)

I )d = 0

Osserviamo che gli autovalori del problema nella forma (AL.64) e


(AL.65) sono gli stessi. Infatti gli autovalori sono determinati, per il problema
(AL.65), dalla condizione:
det(B

I)=0

Ma essendo:
det(B

e:

I ) = det H

det(A

H
)

algebra vettoriale e matriciale

475

det H

6= 0

per la non singolarit di H


segue che gli autovalori del problema (AL.65)
soddisfano anche lequazione caratteristica del problema (AL.64) che
rappresentata dalla:
det(A

H
)=0

e viceversa. Dunque gli autovalori sono gli stessi.


Anche gli autovettori sono gli stessi. Infatti se d autovettore del
problema (AL.65) dovr esserlo anche per il problema (AL.64) grazie alla
non singolarit di H
. Si ha:
H

Ma H

(A

(A

H
)d = B

d=0

H
) d pu essere nullo se e solo se:
(A

H
)d = 0

in quanto se fosse diversamente risulterebbe:


H

w = 0,

w = (A

H
)d

cio w sarebbe autovettore di H


in corrispondenza di un autovalore

1
nullo; ma H
non singolare e non pu avere quindi autovalori nulli

che renderebbero nullo il determinante, contrariamente allipotesi di non


singolarit.

476

I.

A. Strumia, Meccanica razionale

Gli autovettori formano una base che risulta ortonormale solo se H


=

Infatti loperatore B
non simmetrico, perci non valgono i teoremi
provati per la diagonalizzazione degli operatori simmetrici. Se si considerano
due autovettori d, d0 relativi ad autovalori distinti , 0 , si pu scrivere:
A
d= H
d
0
A
d =

0
H
d

Moltiplicando scalarmente la prima per d0 e la seconda per d e sottraendo,


si ha, tenendo conto della simmetria dei due operatori:
(

0
) dH
d =0

Essendo gli autovalori distinti per ipotesi segue che gli autovettori sono
soggetti alla condizione:
0
dH
d =0

(AL.66)

che prende il posto della condizione di ortogonalit. Rimane arbitraria la


norma dei singoli vettori che, grazie al fatto che H
definita positiva, pu
essere scelta in maniera che risulti:
dH
d=1>0
Si pu allora scrivere una relazione:
di H
dk =

ik

(AL.67)

algebra vettoriale e matriciale

477

E chiaro che se H
coincide con lidentit, e solo in questo caso, la
base risulta ortonormale. La (AL.67) ci informa anche del fatto che se
rappresentiamo gli operatori rispetto alla base degli autovettori sia la matrice
H
, che la matrice A
divengono simultaneamente diagonali e la H
coincide
con lidentit, infatti:
0
Hik
= di H
dk =

A0ik = di A
dk =

(i)

ik

di H
dk =

(i)

ik

Si noti che necessario richiedere che H


sia definita positiva, altrimenti
non si potrebbe imporre la (AL.67), perch non si conoscerebbe il segno delle
quantit:
d1 H
d1 ,

d2 H
d2 ,

d3 H
d3

Equazione di un ellissoide riferita al suo centro


Consideriamo lequazione di un ellissoide riferita ad un sistema cartesiano
ortogonale Ox1 x2 x3 dello spazio R3 , avente origine nel centro dellellissoide:

A11 x21 + A22 x22 + A33 x23 + 2A12 x1 x2 + 2A13 x1 x3 + 2A23 x2 x3 = 1 (AL.68)
A questa equazione si pu dare una forma assoluta se introduciamo la
matrice simmetrica:
A
kAik k

478

A. Strumia, Meccanica razionale

e il vettore:
x (xi )
Allora lequazione si riscrive:
(AL.69)

xA
x=1

E facile osservare che, trattandosi di un ellissoide la matrice risulta essere


definita positiva. Infatti, dal momento che la matrice simmetrica, essa
si pu diagonalizzare e lequazione pu essere riscritta facendo uso delle
coordinate relative alla base degli autovettori della matrice, che denotiamo
con x01 , x02 , x03 . La matrice in questo sistema di coordinate risulta diagonale
e possiede autovalori reali, essendo simmetrica, e positivi, essendo definita
positiva.
Si ha allora lequazione dellellissoide:
(1) 0 2
x1

(2) 0 2
x2

(3) 0 2
x3

=1

Essendo gli autovalori tutti positivi possibile esprimerli come quadrati


di numeri reali, e in particolare introdurre a1 , a2 , a3 tali che:
(1)

1
,
a21

(2)

1
,
a22

(3)

1
a23

Allora lequazione dellellissoide assume la forma canonica ben nota:


x0 21 x0 22 x0 23
+ 2 + 2 =1
a21
a2
a3

(AL.70)

Osserviamo che gli assi principali della matrice A


vengono a
rappresentare gli assi di simmetria dellellissoide. Dunque la ricerca degli

algebra vettoriale e matriciale

479

assi principali di un ellissoide viene ricondotta alla diagonalizzazione di una


matrice simmetrica.
Notiamo anche che se la matrice fosse stata non singolare, ma non definita
di segno, vi sarebbero stati autovalori positivi e negativi e la stessa equazione
avrebbe rappresentato un iperboloide.
Potenze di un operatore
Dato un operatore lineare A
si pu definire il quadrato delloperatore
come il prodotto delloperatore per se stesso:
A

(AL.71)

=A
A

Di conseguenza per induzione si definisce la potenza (n + 1)-esima, di un


operatore:
A

n+1

(AL.72)

n2N

=A
A
,

Ne viene di conseguenza che:


Se A
ammette un autovalore
A
d=

e d il corrispondente autovettore si ha:


2

=) A
d=

E quindi iterando:
n

A
d=
Ovvero:

A
d=

480

A. Strumia, Meccanica razionale

la potenza n-esima di un operatore A


ha gli stessi autovettori di A
e
autovalori uguali alla potenza n-esima dei suoi autovalori.
In particolare se loperatore A
simmetrico, A

e si ha la rappresentazione semicartesiana:
A

i
(i) n

risulta diagonalizzabile

di di

Rappresentazione polare di un operatore


Un operatore non singolare A
tale che:
(AL.73)

det(A
)>0
pu sempre essere espresso nella forma polare:

(AL.74)

A
=R
B

dove R
un operatore di rotazione e B
un operatore simmetrico definito
positivo (operatore di dilatazione).
Infatti dato loperatore A
si pu osservare che loperatore:
T

A
A

simmetrico e definito positivo.


Tale operatore simmetrico; infatti si ha:

A
A

=A
A

algebra vettoriale e matriciale

481

E definito positivo; infatti:

2
v A
A
v = (A
v) (A
v) = |A
v|

Di conseguenza diagonalizzabile e i suoi autovalori (i) sono positivi.


Questo significa che possibile estrarre la radice quadrata di ogni autovalore
e definire loperatore lineare simmetrico e definito positivo:
p

B
=

(i)

(AL.75)

di di

per il quale si ha evidentemente:


B

(AL.76)

=A
A

Dal momento che B


non singolare, essendo definito positivo, esiste il
suo inverso e possiamo definire loperatore:
R
=A
B

(AL.77)

Ora rimane da verificare che R


appena definito un operatore di
rotazione. Abbiamo infatti:

R
R
= A
B

1 T

A
B

= B

1 T

A
A
B

grazie al fatto che B


simmetrico, e alla (AL.76).

Inoltre per quanto riguarda il determinante si ha:

det(R
) = det A
B

= det(A
) det B

=
I

482

A. Strumia, Meccanica razionale

Ora dalla (AL.76), tenendo conto che il determinante non cambia per
trasposizione, abbiamo:
h

i2

det(A
)

i2

= det(B
)

Ma A
ha determinante positivo per ipotesi e B
ha determinante positivo
essendo definito positivo, segue:
det(A
) = det(B
)
E quindi:

det(A
) det B

=1

dal momento che il determinante delloperatore inverso linverso del


determinante.
Osserviamo che in alternativa alla rappresentazione (AL.74) si pu dare
anche la seguente:
(AL.78)

A
=C
R

Dal momento che il prodotto non generalmente commutativo, C

differisce da B
.
Si
ha
infatti
dal
confronto
fra
la
(AL.74)
e
la
(AL.78):

R
B
=C
R

da cui si ricava moltiplicando a destra per R


:
C
=R
B
R

(AL.79)

algebra vettoriale e matriciale

483

Dal punto di vista dellazione di un operatore A


non singolare, questo
risultato significa che lazione delloperatore si pu pensare realizzata dalla
composizione di una rotazione rigida che non deforma i vettori, ma li ruota
conservandone il modulo, e da una dilatazione che li deforma senza ruotarli.

484

A. Strumia, Meccanica razionale

CU. Propriet differenziali delle curve


Richiamiamo in questa appendice alcune delle propriet differenziali delle
curve, che pi frequentemente vengono utilizzate in meccanica classica.
Un curva un insieme di punti caratterizzabile mediante una funzione
vettoriale di una sola variabile OP (), continua, definita su un intervallo
reale:
(CU.1)

OP : [ a , b ] ! R3
Il vettore OP = OP () funzione di un parametro
nellintervallo reale [ a , b ].

che varia

OP()

[
a

Figura CU. 1: parametrizzazione di una curva


La legge (CU.1) prende il nome di parametrizzazione della curva e le
equazioni:
OP = OP ()

(CU.2)

che equivalgono, se proiettate sugli assi di un sistema cartesiano ortogonale


Ox1 x2 x3 Oxyz, al sistema algebrico:

propriet differenziali delle curve

8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

485

x1 = x1 ()
(CU.3)

x2 = x2 ()
x3 = x3 ()

si dicono equazioni parametriche della curva.


Se OP (b) = OP (a) la curva si dice chiusa; in caso contrario si
dice aperta. Inoltre se OP () una funzione differenziabile la curva si
dice differenziabile. Nel seguito assumiamo di lavorare con curve le cui
parametrizzazioni sono differenziabili quante volte si vuole.
La parametrizzazione di una curva non unica, ma si possono dare infinite
parametrizzazioni di una stessa curva, passando dalluna allaltra mediante un
cambio di variabile:
' : [,

] ! [a, b],

= '()

(CU.4)

Si hanno due parametrizzazioni equivalenti di una curva, quando si pensa


la variabile come funzione di unaltra variabile , essendo la funzione '
biunivoca e differenziabile nei due sensi, e della stessa classe della funzione
OP (). Allora si pu rappresentare la stessa curva, indifferentemente
mediante le equazioni parametriche (CU.2) o le:
OP = OP ()

Ascissa curvilinea
Su una curva, come su un asse rettilineo, possibile fissare unorigine P0 ,
un verso di percorrenza e ununit di misura. Effettuate queste scelte si dice
che si fissata unascissa curvilinea sulla curva. Ci si messi cos in grado

486

A. Strumia, Meccanica razionale

di misurare la distanza orientata, lungo la curva, di un punto dallorigine della


curva stessa.
Lelemento di lunghezza lungo la curva definito dalla relazione seguente:

(ds)2 = |dP |2 = dP dP = (dx1 )2 + (dx2 )2 + (dx3 )2

(CU.5)

Ovvero:
(ds)2 = dxi dxi =

dxi dxi
(d)2
d d

(CU.6)

Da cui:
s

ds =

dxi dxi
d
d d

(CU.7)

dove il segno risulta positivo se s definita in maniera da risultare crescente


quando crescente, e negativo in caso contrario.
Integrando lungo un cammino finito che parte dallorigine e termina nel
generico punto della curva, abbiamo:
s() =

ds =

Z
0

ds()

(CU.8)

essendo il tratto della curva lungo il quale si effettua lintegrazione. La


variabile s che rappresenta la distanza orientata, lungo la curva, di un punto
dallorigine della curva, rappresenta il parametro pi naturale da utilizzare
per parametrizzare una curva. In questo caso le equazioni parametriche si
scrivono in forma vettoriale:
OP = OP (s)

(CU.9)

propriet differenziali delle curve

487

Ovvero esplicitando le componenti:


8
>
>
>
>
>
>
<
>
>
>
>
>
>
:

Triedro di Frenet

x1 = x1 (s)
(CU.10)

x2 = x2 (s)
x3 = x3 (s)

Versore tangente
Consideriamo due vettori OP (s) e OP (s + s) che caratterizzano due
punti molto vicini di una curva parametrizzata mediante lascissa curvilinea
s, essendo s la loro distanza orientata lungo la curva.
s
P
OP(s+s)
P0

OP(s)
O

Figura CU. 2: determinazione del versore tangente


La corda:
P = OP (s +

s)

OP (s)

tende ad assumere la direzione della retta tangente alla curva in P al tendere


di s a zero. Di conseguenza il vettore:

488

A. Strumia, Meccanica razionale

dP
= lim
s!0
ds

P
s

che esiste, avendo supposto che la curva sia differenziabile, ha la direzione


della tangente alla curva in P . Denotiamo tale vettore con T e notiamo che
esso un vettore unitario (versore). Infatti:
dP
T =

ds

dxi
ds

(CU.11)

e quindi si ha:

|T | =

dx1
ds

!2

dx2
+
ds

!2

dx3
+
ds

!2

=1

grazie alla (CU.5).


Il versore T prende il nome di versore tangente alla curva ed funzione
dellascissa curvilinea s. Notiamo che T sempre orientato verso le ascisse
(curvilinee) crescenti: infatti P risulta orientato verso le ascisse crescenti se
s > 0 e verso le ascisse decrescenti se s < 0; di conseguenza il rapporto
incrementale risulta sempre orientato verso le ascisse crescenti e quindi anche
il suo limite.
Versore normale principale
Se si deriva ulteriormente la funzione OP (s) si ottengono ulteriori
informazioni relative all curva. In particolare si ha:
d2 P
dT
=
2
ds
ds

(CU.12)

propriet differenziali delle curve

489

Il vettore che si ottiene considerando la derivata di un versore, normale


al versore stesso (o al pi nullo). Infatti si ha:

T T =1

=)

dT
=0
ds

Se si eccettua il caso in cui la curva una retta, o ha un flesso nel punto


in esame, esistono e sono unici, in quel punto, un versore N ortogonale a T ,
orientato verso la concavit della curva, e uno scalare C tali che:
dT
= C N,
ds

(CU.13)

T N =0

Il versore N prende il nome di normale principale alla curva nel punto


considerato e lo scalare C si dice curvatura principale della curva in quel
punto:

C=

v
u
u
t

d2 x1
ds2

!2

d2 x2
+
ds2

!2

d2 x3
+
ds2

!2

(CU.14)

I versori T , N appartengono a un piano che ha un contatto del secondo


ordine (almeno) con la curva, che prende il nome di piano osculatore.
Infatti se consideriamo lequazione di un piano, scritta nel formalismo
vettoriale:
ax+b=0
e imponiamo che questo piano abbia un contatto del secondo ordine con la
curva di equazioni parametriche (CU.9), deve annullarsi la funzione:
f (s) = a OP (s) + b

490

A. Strumia, Meccanica razionale

insieme alla sue derivate prima e seconda rispetto ad s; cio:


f (s) = a OP (s) + b = 0

(CU.15)

f 0 (s) = a T = 0

(CU.16)

f 00 (s) = C a N = 0

(CU.17)

Segue allora, se si eccettua il caso C = 0 che rappresenta una retta, che


a ortogonale simultaneamente a T e a N , dunque il piano passante per P
generato dai vettori T , N il piano osculatore alla curva nel punto P .
La curvatura principale linverso del raggio di una circonferenza
che appartiene al piano osculatore e ha con la curva, nel punto considerato,
un contatto del secondo ordine (almeno), e che prende il nome di cerchio
osculatore.
Infatti se consideriamo lequazione, scritta in forma vettoriale, di una sfera
di raggio e centro Q appartenente al piano osculatore:
(x

OQ)2 = 2

e imponiamo un contatto del secondo ordine con la curva, deve risultare che
la funzione:
F (s) = (OP (s)

OQ)2

e le sue derivate prima e seconda rispetto ad s devono annullarsi; cio si deve


avere:
F (s) = (OP (s)

OQ)2

2 = 0

(CU.18)

propriet differenziali delle curve

491

F 0 (s) = 2 (OP (s)

f 00 (s) = 2 [1 + C (OP (s)

OQ) T = 0

(CU.19)

OQ) N ] = 0

(CU.20)

avendo tenuto conto delle informazioni prima ottenute. La (CU.19) ci informa


del fatto che il vettore del piano osculatore OP (s) OQ ortogonale alla
tangente alla curva e quindi diretto come la normale principale:
OP (s)

OQ =

Combinando questo risultato con la (CU.18) e tenendo conto che la


normale principale per definizione diretta verso la concavit della curva,
mentre il vettore QP (s) = OP (s) OQ diretto in verso opposto, abbiamo
linformazione:
OP (s)

OQ =

N,

Introducendo queste informazioni nella (CU.20) segue allora:


C=

(CU.21)

dove il raggio del cerchio osculatore.


Versore binormale
Introducendo un terzo versore:
B =T ^N

(CU.22)

492

A. Strumia, Meccanica razionale

che prende il nome di versore binormale si ottiene una base ortonormale


levogira, legata punto per punto alla propriet intrinseche della curva,
identificabile mediante le sue equazioni parametriche. Questa terna prende il
nome di triedro fondamentale o triedro di Frenet. Il triedro di Frenet rimane
indeterminato se la curva una retta oppure nei punti di flesso della curva.
Noto il triedro di Frenet possibile scrivere lo sviluppo in serie di Taylor
seguente, che identifica, a meno di infinitesimi di ordine superiore al secondo,
i punti della curva nellintorno di un punto OP (s) assegnato:

OP (s +

s) = OP (s) +

h
i
dP
1 d2 P
(s) s +
(s) ( s)2 + O ( s)3
2
ds
2 ds

da cui segue:

OP (s +

s) = OP (s) + T (s) s +

h
i
1
C(s) N ( s)2 + O ( s)3
2

Torsione e formule di Frenet


La relazione (CU.13) fornisce lespressione della derivata di T rispetto
ad s in termini di C e di N . Supposto che la curva sia ulteriormente
differenziabile almeno due volte, si possono determinare anche le derivate
di N e di B rispetto ad s, ottenendo cos un sistema di equazioni differenziali
a cui devono soddisfare i vettori del triedro fondamentale.
Partiamo dalla derivata di B. Trattandosi di un versore segue subito che
la sua derivata ortogonale a B. Ma per lortogonalit della base si ha anche:

BT =0

=)

dB
dT
T +B
=0
ds
ds

propriet differenziali delle curve

493

Grazie alla (CU.13) e alla ortogonalit della base, nella precedente segue
allora:
dB
T =0
ds
Allora la derivata di B risulta contemporaneamente ortogonale sia a B
che a T . Necessariamente perci o nulla o parallela a N . Esiste dunque
uno scalare tale che:
dB
=N
ds

(CU.23)

Lo scalare prende il nome di torsione della curva nel punto P e il suo


inverso si dice raggio di torsione. Dalla definizione segue subito che se la
curva piana, la torsione nulla, in quanto il versore binormale costante,
essendo ortogonale al piano della curva, che coincide con il piano osculatore.
A questo punto, sfruttando lortogonalit della base, abbiamo:
N =B^T
da cui possiamo ricavare anche:
dN
dB
dT
=
^T +B^
ds
ds
ds
Tenendo conto delle (CU.13) e (CU.23) otteniamo:
dN
=
ds

CT

(CU.24)

Le tre equazioni differenziali (CU.13), (CU.23) e (CU.24) sono note come


formule di Frenet.

494

A. Strumia, Meccanica razionale

P0
N
P
B

Figura CU. 3: triedro di Frenet

NA. Operatore nabla


Consideriamo una funzione scalare:
A R3

f : A !R,

differenziabile, di classe C (2) almeno. Il valore di questa funzione dipende


dalle tre variabili:
x (xi ) (x1 , x2 , x3 )
Il suo differenziale si scrive allora:
df =

@f
@f
@f
dx1 +
dx2 +
dx3
@x1
@x2
@x3

Possiamo abbreviare la scrittura come:


df =

@f
dxi
@xi

Gradiente
Questa scrittura si presenta come un prodotto scalare di un vettore le cui
componenti sono le derivate parziali della funzione f e del vettore dx.
Si chiama gradiente della funzione f il vettore:
grad f

@f
@xi

@f @f @f
,
,
@x1 @x2 @x3

(NA.1)

496

A. Strumia, Meccanica razionale

Si pu allora esprimere il differenziale di f nella forma di prodotto scalare,


come:
(NA.2)

df = grad f dx

Va notato il fatto che il carattere vettoriale del gradiente non dipende


dalla funzione f su cui agisce loperatore, ma proprio delloperatore stesso,
poich le tre derivate parziali si comportano come un vettore, formando un
operatore scalare quando vengono combinate con i differenziali delle variabili
indipendenti. Nasce allora lidea di introdurre loperatore differenziale
vettoriale nabla, definito da:

@
@xi

@
@
@
,
,
@x1 @x2 @x3

(NA.3)

Il gradiente viene allora ottenuto mediante lazione delloperatore nabla


su una funzione scalare:
grad f = r f

(NA.4)

Si ha allora, per il differenziale la nuova scrittura:


df = r f dx

(NA.5)

Divergenza
Il vettore nabla, come ogni altro vettore, pu essere moltiplicato sia
scalarmente che vettorialmente per un altro vettore. Occorre per fare
attenzione in quanto nabla, essendo un operatore differenziale, agisce come
tale sulle funzioni che vengono scritte alla sua destra, di conseguenza i
prodotti sono soggetti alle regole del calcolo differenziale. Per cui, per

operatore nabla

497

esempio la scrittura r f differisce dalla scrittura f r; la prima designa un


gradiente, mentre la seconda indica una operatore che manca ancora del suo
argomento.
Data una funzione vettoriale (campo vettoriale ):
v (vi ) : A ! R3 ,

A R3

differenziabile, si dice divergenza di v lo scalare:


rv =

@v1
@v2
@v3
+
+
@x1 @x2 @x3

(NA.6)

Si usa anche la notazione:


(NA.7)

div v = r v

Rotore
Il prodotto vettoriale di nabla che agisce su un campo vettoriale v:

r ^ v "ijk

@vj
@xi

(NA.8)

prende il nome di rotore di v. Su usa anche la notazione:


rot v = r ^ v

(NA.9)

498

A. Strumia, Meccanica razionale

Laplaciano
Combinando insieme lazione di due operatori nabla si possono costruire
degli operatori del secondo ordine. Si chiama laplaciano loperatore ottenuto
mediante il prodotto scalare di nabla per se stesso; si ha:
r2 = r r =

@ @
@2
@2
@2
=
+
+
@xi @xi
@x21 @x22 @x23

(NA.10)

Il laplaciano, essendo un operatore scalare, si applica altrettanto bene a


funzioni scalari come a funzioni vettoriali. E indicato talvolta anche con .

Formule
Basandosi sulle propriet dei vettori e sui teoremi di derivazione, si
verificano le seguenti identit:
1) r( + ) = r + r
2) r (v + w) = r v + r w
3) r ^ (v + w) = r ^ v + r ^ w
4) r ( v) =

rv+vr

5) r ^ ( v) =

r^v

v^r

6) r (v ^ w) = w r ^ v

vr^w

7) r ^ (v ^ w) = (w r) v

w (r v)

(v r) w + v (r w)

8) r (v w) = (w r) v + (v r) w + w ^ (r ^ v) + v ^ (r ^ w)
9) r r = r2
10) r ^ r = 0

operatore nabla

499

11) r r ^ v = 0
12) r ^ (r ^ v) = r (r v)

r2 v

Campo irrotazionale
Un campo vettoriale v = v(x) si dice irrotazionale se soddisfa la
condizione:
r^v =0

(NA.11)

Se un campo irrotazionale, allora, esiste una funzione scalare


differenziabile U = U (x) tale che v = rU e se il dominio semplicemente
connesso U una funzione a un sol valore (potenziale).

Campo solenoidale
Un campo vettoriale v = v(x) si dice solenoidale
condizione:
rv =0

se soddisfa la

(NA.12)

Se un campo solenoidale, allora, esiste una funzione vettoriale


differenziabile A = A(x) tale che v = r ^ A (potenziale vettore).

500

A. Strumia, Meccanica razionale

Rappresentazione di un campo vettoriale qualunque


Qualunque campo vettoriale v = v(x) differenziabile si pu
rappresentare come somma di un campo solenoidale e di un campo
irrotazionale, cio si pu scrivere nella forma:
v = r ^ A + rU

(NA.13)

Infatti se v differenziabile si possono definire i nuovi campi:


= r v,

w =r^v

(NA.14)

Ma per le propriet precedentemente enunciate si ha allora:


rw =rr^v =0
Dunque w un campo solenoidale. Quindi esiste una funzione vettoriale
B = B(x) tale che:
w =r^B

(NA.15)

Per come stata definita tale funzione risulta indeterminata a meno di un


gradiente, per cui se si prende:
B0 = B + r
al posto di B si ottiene sempre lo stesso w. Confrontando la (NA.15) con la
seconda delle (NA.14) si ottiene:
r ^ (v

B) = 0

operatore nabla

501

Dunque esiste una funzione scalare U = U (x) tale che:


B = rU

(NA.16)

Ricordiamo che B definito a meno di un gradiente, per cui come se la


funzione U fosse del tutto arbitraria. Prendendo la divergenza della (NA.16)
abbiamo:
r v = r B + r2 U
e per la prima delle (NA.14) segue:
= r B + r2 U
Giocando ora sull arbitrariet di U scegliamo questultima funzione in
maniera tale che soddisfi lequazione di Poisson:
r2 U =

(NA.17)

Questa scelta di U equivale ad una scelta di B tale che:


rB =0
e dunque allidentificazione di un campo B solenoidale, definito come rotore
di una altro campo vettoriale A:
B =r^A
Rimane cos verificata la (NA.13).

INDICE
PARTE PRIMA
Introduzione

PRELIMINARI

OG. Osservatori e grandezze


Scalari
Vettori
Operatori lineari

4
4
5
6

VA. Vettori applicati


Momento polare di un vettore applicato
Momento assiale di un vettore applicato
Sistemi di vettori applicati
Legge di distribuzione dei momenti
Invarianza del momento rispetto al polo
Coppia
Sistemi a momento nullo rispetto a un polo
Teorema di Varignon
Momento assiale di un sistema di vettori
Trinomio invariante
Asse centrale di un sistema di vettori applicati
Operazioni elementari
Sistemi riducibili
Teoremi di riducibilit

8
9
12
15
16
17
18
21
21
22
23
24
34
35
36

462

Sistemi a invariante nullo


Centro dei vettori paralleli

41
45

Cinematica

57

CP. Cinematica del punto


Cinematica lungo una traiettoria assegnata
Cinematica vettoriale
Moti piani in coordinate polari
Velocit areale
Moti centrali
Formula di Binet
Moti celesti

58
60
64
71
76
77
81
83

CR. Cinematica del corpo rigido


Corpo rigido e condizione di rigidit
Retta solidale e velocit di scorrimento
Riferimento solidale
Velocit angolare e formule di Poisson
Legge di distribuzione delle velocit
Derivata di un vettore solidale
Moto rigido
Classificazione dei moti rigidi
Accelerazione in un moto rigido
Legge di distribuzione degli spostamenti
Angoli di Eulero
Punti di vista lagrangiano ed Euleriano
Atto di moto
Teorema di Mozzi

86
86
88
92
95
101
103
104
104
118
121
122
126
128
130

MR. Cinematica relativa


Teorema di derivazione relativa
Teorema di composizione delle velocit
Teorema di composizione delle accelerazioni

135
136
138
141

463

Teorema di composizione delle velocit angolari


Rotolamento di due superfici rigide

144
146

MP. Moti rigidi piani


Centro di istantanea rotazione
Determinazione analitica del centro
Base e rulletta

150
153
155
157

CS. Cinematica dei sistemi


Vincoli
Sistemi olonomi
Spazio delle configurazioni e spazio degli eventi
Vettori velocit in un sistema olonomo
Spostamenti possibili e virtuali
Spostamenti reversibili e irreversibili

164
164
175
178
179
180
181

Geometria delle masse

185

BA. Baricentri
Massa
Densit
Baricentro
Propriet di ubicazione del baricentro

187
187
188
190
193

MI. Momenti dinerzia


Teorema di Huygens-Steiner
Matrice dinerzia
Assi principali dinerzia
Ellissoide dinerzia
Ricerca degli assi principali dinerzia
Figure piane
Traslazione degli assi
Rotazione degli assi

199
201
206
212
213
217
222
223
226

464

Cinematica delle masse

229

CM. Cinematica delle masse


Quantit di moto, momento della quantit di moto
ed energia cinetica
Teorema del moto del baricentro
Moto relativo al baricentro
Primo teorema di Knig
Secondo teorema di Knig
Corpo rigido
Sistema olonomo

230

Lavoro e potenziale

253

LP. Lavoro e potenziale


Forza
Lavoro di una forza
Lavoro lungo un cammino finito
Forza conservativa e potenziale
Superfici equipotenziali e linee di forza
Forza peso
Forza centrale
Lavoro di un sistema di forze
Lavoro di un sistema di forze applicate
a un corpo rigido
Lavoro di un sistema di forze applicate
a un sistema olonomo
Sistemi di forze conservativi
Determinazione del potenziale
Forze elastiche
Potenziale di una coppia applicata a un corpo rigido

254
254
255
256
261
265
267
270
272

230
232
233
235
237
238
249

275
278
280
283
288
291

465

Principi della meccanica

293

PM. Principi della meccanica


Attrito
Attrito dinamico
Attrito statico
Vincoli privi di attrito
Principio delle reazioni vincolari
Corpo rigido con un punto fisso
Vincolo di puro rotolamento
Unicit della soluzione

295
298
300
303
306
307
309
310
311

STATICA

315

SP. Statica del punto


Quiete
Equilibrio
Punto vincolato su una superficie priva di attrito
Punto vincolato su una curva priva di attrito
Punto vincolato su una superficie con attrito
Punto vincolato su una curva con attrito
Statica relativa del punto
Potenziale della forza centrifuga
Forza peso
Equilibrio relativo su un piano ruotante con attrito

317
317
317
319
323
325
328
331
334
336
339

LV. Principio dei lavori virtuali


Condizione necessaria
Condizione sufficiente
Condizioni di sicurezza
Equilibrio di un corpo rigido
Lavoro delle forze interne
Corpo rigido con un punto fisso

342
345
347
350
351
351
353

466

Corpo rigido con un asse fisso


Corpo rigido scorrevole su una semiretta fissa
Equilibrio di un sistema olonomo
Sistemi a legami completi
Equilibrio relativo e potenziale della forza centrifuga
Reazioni vincolari

354
357
361
375
377
379

ES. Equazioni cardinali della statica


Sufficienza delle equazioni cardinali per i corpi rigidi
Corpo rigido con un punto fisso
Corpo rigido con un asse fisso
Corpo rigido scorrevole su una semiretta fissa
Equilibrio di sistemi costituiti da pi corpi rigidi
Corpo rigido appoggiato a un piano orizzontale liscio
Insieme discreto di punti di appoggio
Insieme continuo di punti di appoggio
Equilibrio di un tavolo
Equilibrio della scala

381
386
390
392
396
400
401
402
413
416
418

TF. Statica delle travi e dei fili


Equilibrio delle travi
Classificazione delle forze
Equazioni delle travi in forma integrale
Condizioni al contorno
Trave incastrata a un estremo
Trave appoggiata agli estremi
Equazioni delle travi in forma differenziale
Equilibrio dei fili
Equazioni intrinseche dei fili
Filo fortemente teso su una superficie
Equazioni cartesiane dei fili
Fili soggetti a forze parallele
Curva dei ponti sospesi
Catenaria

420
420
421
424
428
430
434
437
438
441
443
449
450
453
455

467

PARTE SECONDA
DINAMICA

DP. Dinamica del punto


Integrale generale e integrali particolari del moto
Integrali primi del moto
Teorema dellenergia cinetica
Integrale primo dellenergia
Integrale primo delle aree
Dinamica del punto materiale libero
Moto di un grave
Moto di un punto in presenza di resistenza del mezzo
Moto di un punto soggetto a forza elastica
Moto di un punto soggetto a forza elastica e
resistenza viscosa
Oscillazioni forzate e risonanza
Dinamica del punto materiale vincolato
Moto di un punto su una superficie priva di attrito
Moto di un punto su una curva priva di attrito
Moto di un punto su una curva qualunque
Pendolo semplice

2
2
4
5
7
8
10
10
15
20

DR. Dinamica relativa


Teorema dellenergia cinetica
Problema dei due corpi
Integrazione della traiettoria
Legge oraria del moto
Velocit di fuga
Deviazione dei gravi verso oriente

55
57
59
64
72
73
74

ED. Equazioni cardinali della dinamica


Dinamica dei sistemi

80
80

26
33
37
37
43
44
49

468

Integrale generale e integrali particolari del moto


Integrali primi del moto
Teorema dellenergia cinetica
Integrale primo dellenergia
Equazioni cardinali della dinamica
Equazione del moto del baricentro
Dinamica del corpo rigido
Corpo rigido libero
Corpo rigido con un punto fisso: equazioni di Eulero
Corpo rigido con un asse fisso
Equilibratura dinamica
Principio delleffetto giroscopico
Giroscopio pesante
Moti alla Poinsot

81
82
82
83
84
88
90
90
93
97
105
107
113
118

EL. Equazioni di Lagrange


Disuguaglianza variazionale della dinamica
Principio di DAlembert
Equazioni di Lagrange
Sistemi conservativi: lagrangiana
Potenziali generalizzati
Forze giroscopiche
Forze dissipative
Integrale generale e integrali particolari del moto
Integrale primo del moto
Coordinate cicliche o ignorabili

127
128
129
131
137
138
140
141
143
144
144

EH. Equazioni di Hamilton


Formulazione del primo ordine delle equazioni
del moto
Trasformate di Legendre
Equazioni di Hamilton
Integrale generale e integrali particolari del moto
Integrale primo del moto

150
151
153
155
157
157

469

Coordinate cicliche o ignorabili


Parentesi di Poisson e integrali primi del moto
Hamiltoniana
Formulazione mista: funzione di Routh

158
158
160
163

5SO. Stabilit e piccole oscillazioni


Criterio di stabilit di Ljapunov
Stabilit asintotica
Stabilit dellequilibrio
Stabilit dellequilibrio di un sistema meccanico
Teorema di Ljapunov
Teorema di Dirichlet
Studio del potenziale nelle configurazioni di equilibrio
Piccole oscillazioni
Lagrangiana approssimata
Equazioni linearizzate
Frequenze proprie di oscillazione
Coordinate normali

165
165
166
166
167
169
173
174
176
177
179
180
183

AQ. Analisi qualitativa del moto


Sistemi non autonomi e sistemi autonomi
Spazio delle fasi
Sistemi a un grado di libert: piano delle fasi
Velocit di fase
Punti fissi e punti di equilibrio
Sistemi autonomi: equazione delle curve integrali
Sistemi conservativi: curve di livello dellenergia
Curve di livello degli integrali primi
Andamento di V(x) e curve di livello dellenergia
Diagramma di fase del pendolo semplice
Sistemi autonomi non conservativi
Linearizzazione nellintorno di un punto singolare

185
185
187
189
191
192
193
197
202
204
222
225
228

470

Classificazione dei punti singolari


Nodi
Punti di sella
Nodi degeneri
Fuochi
Quadro riassuntivo
Pendolo in presenza di resistenza del mezzo
Soluzioni periodiche e cicli limite

231
234
237
238
245
250
251
256

MECCANICA DEI CONTINUI

263

MC. Meccanica dei continui deformabili


Cinematica
Punto di vista lagrangiano
Punto di vista euleriano
Deformazione
Coefficiente di dilatazione lineare
Deformazione angolare
Coefficiente di dilatazione superficiale
Coefficiente di dilatazione cubica
Problema inverso
Statica
Forze esterne
Forze interne
Formula di Cauchy
Principio di Pascal
Condizioni al contorno
Principio di indifferenza materiale
Condizioni di equilibrio di un continuo
Spostamenti rigidi
Dinamica
Equazioni di bilancio
Bilancio della massa
Teorema del trasporto

264
264
265
266
267
272
274
277
279
280
282
282
284
285
289
291
294
394
298
301
302
303
307

471

Bilancio della quantit di moto


Bilancio del momento della quantit di moto
Bilancio dellenergia
Equazioni costitutive
Fluidi
Fluidi incomprimibili
Fluido ideale pesante in quiete
Teorema delle tre quote
Lavoro delle forze interne

309
309
312
314
316
316
317
319
321

COMPLEMENTI DI MECCANICA ANALITICA

326

PV. Principi variazionali


Introduzione al calcolo delle variazioni
Funzionale continuo
Massimi e minimi relativi di un funzionale
Variazione di un funzionale
Condizione necessaria di massimo e minimo
Equazioni di Eulero
Principio di Hamilton
Prima formulazione
Seconda formulazione
Principio di Maupertuis
Principio di Hamilton per le teorie di campo
Prima formulazione
Seconda formulazione
Leggi di conservazione
Teorema di Noether

327
327
331
333
334
334
335
344
344
345
346
350
350
325
354
355

TC. Trasformazioni canoniche


Funzione generatrice
Invarianti canonici
Condizioni di canonicit - Parentesi di Poisson
Parentesi di Lagrange e invarianti integrali di Poincar

359
359
366
366
370

472

Trasformazioni infinitesime di contatto


Teorema di Liouville
Teoria di Hamilton-Jacobi
Funzione principale di Hamilton
Equazione di Hamilton-Jacobi
Funzione caratteristica di Hamilton
Coordinate cicliche
Separazione delle variabili

371
378
379
379
379
384
385
386

APPENDICI

403

AL. Algebra vettoriale e matriciale


Vettori
Rappresentazioni di un vettore
Operatori lineari e matrici
Rappresentazioni di un operatore lineare
Prodotto tensoriale
Determinante
Operatori di proiezione
Teoremi di Laplace e matrice inversa
Operatori simmetrici
Operatori antisimmetrici
Traccia di un operatore
Operatori unitari o ortogonali e operatori di rotazione
Trasformazione di similitudine
Inversione spaziale
Problema agli autovalori
Diagonalizzazione di una matrice simmetrica
Operatori definiti di segno
Rappresentazione polare di un operatore

404
404
414
423
424
428
430
435
438
447
448
453
455
462
465
469
417
480
490

CU. Propriet differenziali delle curve


Triedro di Frenet
Torsione e formule di Frenet

494
497
502

473

NA. Operatore nabla


Gradiente
Divergenza
Rotore
Laplaciano
Formule
Campo irrotazionale
Campo solenoidale
Rappresentazione di un campo vettoriale qualunque

505
505
506
507
508
508
509
509
510

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