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FILIAZIONI LEGITTIME

di Mattia Capelletti

Sherrie Levine, Untitled (After Edward Weston I), 1980 e Untitled (After Walker Evans), 1981

In pieno milieu decostruzionista, la pratica appropriativa che vedeva in Sherrie Levine ed Elaine Sturtevant le proprie madri (partenogenetiche, per volont del Dio innocente Marcel Duchamp), venne inevitabilmente letta nella prospettiva di una critica linguistica, le cui implicazioni filosofiche sullo spazio discorsivo dellarte sono pi che mai attuali. Trentanni pi tardi, lappropriazione ha invaso ogni ambito culturale, perdendo la sua carica rivoluzionaria, scontrandosi con il suo destino paradossale di (impossibile) avanguardia postmoderna1. Ma se il metodo sopravvive e normalizza in sampling e retwitting, la generfiazione dei nativi digitali sembra richiedere un diverso approccio alla sua critica: la conclusione di riflessioni sulla pratica in quanto tale e una rinnovata investigazione psicologica, iconologica e filologica nel rispetto dellintimit dei singoli casi. Una simile analisi, che eviti il congedo di tale pratica come semplice incarnazione dello spirito di questera post-era2, potrebbe rivolgersi alla questione primaria della scelta dei modelli, dei rapporti che intercorrono tra lappropriato (loriginale, il padre) e lappriopriatore (il falso, il figlio). Risalendo alle sue origini, una lettura retrospettiva delle opere di Levine e Sturtevant pu essere effettuata attraverso la lente psicoanalitica illustrata da Janine Chasseguet-Smirgel in Creativit e perversione. Nelluniverso pre-genitale narcisistico descritto nel testo dellanalista francese, il soggetto perverso mosso da una hybris dal potere rivoluzionario, capace di invertire gli ordini prestabiliti dalla natura, livellare le classi, in altre parole di erodere i confini del possibile.3 Chasseguet-Smirgel imputa una tale attitudine ai soggetti che in tenera et abbiano subito shock legati alla percezione delle differenze sessuali fra s e i genitori. allora che nel perverso entra in azione unattivit protettiva atta alla preservazione dellIo ideale e alla respinta della ferita. In casi di donne similmente inclinate, linvidia del pene congiunta a una mancata proiezione dellideale dellIo sul padre e sul pene paterno porteranno di conseguenza a delle carenze di identificazione, sentiranno, per ovvie motivazioni narcisistiche, la necessit di garantire a se stessi la propria identit mancante e carente con differenti mezzi, uno dei quali lattivit creativa. () Nonostante la sua incapacit di identificarsi con il padre, il soggetto sar indotto a creare; tuttavia, invece di creare unopera vera, ne creer una falsa.4
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Zygmunt Bauman, Il disagio della postmodernit, Bruno Mondadori, Milano, 2002

Pier Mario Masciangelo, Prefazione alledizione italiana in Janine Chasseguet-Smirgel, Creativit e perversione, Raffaello Cortina, Milano, 2006, p. VIII
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Douglas Coupland, On Craft da Shopping in Jail, Sternberg Press, Berlin, 2013, p. 20

Janine Chasseguet-Smirgel, Creativit e perversione, Raffaello Cortina, Milano, 2006, p. 105

In questa cornice teorica, le riflessioni dellautrice sono valide per molte pratiche artistiche connesse con la dialettica realt/illusione, ma risultano particolarmente interessanti se applicate agli specifici casi di Levine e Sturtevant, ad esempio notando che gli oggetti delle loro appropriazioni sono a loro volta creazioni anali nel senso che Chasseguet-Smirgel ne d: ready-made (after Duchamp), fotografie (after Weston) e stampe industriali (after Warhol) hanno infatti in comune la pulsione allibridazione, il carattere luciferino5 dellabbattimento delle differenze, del livellamento delle categorie, proprio del multiplo senza originale.6 Se scopo del perverso quindi confondere le categorie e stabilire un ordine in cui lillusione narcisistica della propria potenza sessuale possa essere mantenuta, normale sintomo di questa attitudine lattrazione per la falsit in quanto meccanica (non risponde a leggi naturali, immagine di qualcosa o il suo opposto) e sempre sostituibile. Data, nellattivit artistica, la detronizzazione dei processi manuali ad opera di quelli cognitivi, avvenuta in maniera irreversibile con Duchamp, e linnegabile parentela del ready-made con le pratiche di appropriazione, anche allinterno di esse si riconosce un ruolo primario allidealizzazione, che, come afferma Chasseguet-Smirgel, tende pi allestetismo che alla creazione, e quando la creazione si sviluppa ugualmente, porta spesso limpronta dellestetismo.7 A conferma di questa tesi pu essere fatto notare come non solo lessenza processuale degli originali (che si visto essere tuttaltro che tali), di cui le appropriazioni di Levine e Sturtevant sono i falsi, un aspetto predominante nella determinazione della scelta del modello per le artiste, ma lo anche il loro contenuto e lo stile.

Sherrie Levine, Fountain (After Marcel Duchamp), 1991

La fotografia di Edward Weston appropriata da Levine, ad esempio, rappresenta il figlio dellautore nudo, in una posizione che ricorda quella della statuaria post-rinascimentale8, con il pene pre-genitale non completamente esposto; sempre Chasseguet-Smirgel a osservare che il soggetto perverso affascinato, in questo processo idealizzante, dagli oggetti parziali9, incompleti, proprio come forma e soggetto del ritratto. Una natura sfigurata e sfigurante (ma estetizzata dallarte) anche quella presente nelle fotografie di Walker Evans di contadini dellera della Grande Depressione americana, ri-fotografata da Sherrie Levine per una serie seguente.
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Ibidem, pp. 9 e 19

Walter Benjamin, Lopera darte nellepoca della sua riproducibilit tecnica, Einaudi, Torino, 2010 Janine Chasseguet-Smirgel, Creativit e perversione, Raffaello Cortina, Milano, 2006, p. 138 Janine Chasseguet-Smirgel, Creativit e perversione, Raffaello Cortina, Milano, 2006, p.139 Hal Foster, Rosalind Krauss, Yve-Alain Bois, Benjamin Buchloch, Arte dal 1900, Zanichelli, Bologna, 2006, p.580

Elaine Sturtevant, Warhol Flowers, 1969-70

Comune a Levine e Sturtevant invece la scelta di Duchamp come padre simbolico e modello ideale, ma qui il loro operare a discostarsi. In Sturtevant, il ready-made preferito da Duchamp e in realt a sua volta unimitazione il cartello Eau et Gaz (1956-60), falsificato alla perfezione, senza alcuna apparente volont di modifica, mantenendo la sua qualit simbolica di inno positivista alla riproducibilit e governabilit della natura. Levine per, dopo un decennio di immacolata attivit appropriativa, introduce in Fountain (After Duchamp) (1991) un elemento di idealizzazione che ricorda in modo sorprendente i casi di alcuni pazienti illustrati da ChasseguetSmirgel: lorinatoio Fontaine (1917) diventa una copia identica in bronzo. Le caratteristiche anali delloggetto (non solo il suo scopo ma anche la sua uniformit e opacit) sono mascherate dalla brillantezza idealizzante del bronzo. Ma se lopposto porta limpronta indelebile di ci che nega10, la rivelazione della realt in definitiva ladorazione delle pulsioni pre-genitali del carattere perverso, quellIo idealizzato distante dalla realt di una possibile ferita narcisistica irrisolta. Questione di superficie anche in Sturtevant lapproccio a Warhol, ma con i risultati zen11 di una perfetta ripetizione affine alla pratica del modello di riferimento, non esente anchesso da tendenze anali: i fiori di Flowers (1964) riducono la natura (originale, unica) a modulo, forma attraverso lappiattimento dei colori del metodo serigrafico. Lassenza di processi di idealizzazione in Sturtevant pu essere spiegata dal conferimento da parte del padre artistico di una specie di autorit simbolica: alle domande riguardanti la tecnica dei suoi lavori, Warhol era solito rispondere Non chiedete a me, chiedete ad Elaine.12 Lontana dai falsi romantici di Elmyr De Hory13, la generazione di queste artiste ha inaugurato unappropriazione meccanica del meccanico le cui ripercussioni sono evidenti oggi nellarte al picco dellautoreferenzialit, tacciata di essere nientaltro che simulacro. Se una differenza con la filiazione legittima di Levine e Sturtevant pu essere trovata, la natalit nellepoca della riproducibilit digitale, incubatrice di artisti dalle caratteristiche liquide, che attingono e si fondono al materiale immaginifico senza soluzione di continuit e che esigono una critica che ne esamini i rapporti pi intimi.

Elaine Sturtevant, Duchamp Eau et gaz, 1970

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Massimiliano Gioni, Maurizio Cattelan, in Sergio Edelsztein et al., Ice Cream, Phaidon, London, 2007, p. 438 Bruce Hainley, Erase and Rewind, in Frieze, n 53, Frieze Publishing, London, 2000 Raccontato da Orson Welles in F for Fake (1973)

Ibidem, p. 148

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