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1970 di Panci Franco

1970 di Franco Panci

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A tutti quelli che hanno visto la luce nel 1970.

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Indice

Nota di edizione4 Prefazione5 Una Storia, una vita....9 Cenni storici...30

1970 di Panci Franco

Nota di Edizione
A cura di Elisa Gallo

Questa edizione di 1970 la seconda in ordine cronologico. Lautore dopo aver partorito lintero testo in un flusso di scrittura continuo e omogeneo nella prima versione, ha deciso di rielaborare il tutto e poi editarlo in questa seconda forma. Loperazione che ha eseguito su questa edizione stata per lo pi di messa in ordine dei vari pensieri, correzione sugli errori di battitura e completamento dei concetti principali. Le differenze fra le due edizioni sostanziale e rilevante in quanto il racconto stato prima partorito e lasciato nella sua forma infantile nella prima edizione e poi maturato in questa forma pi adulta nella seconda edizione. Ma non per questo una migliore dellaltra. La ragion dessere di entrambe le edizioni proprio legata alla qualit delle due testi: infatti nessuno dei due vuole prevaricare laltro, ma vogliono essere entrambi forme differenti dello stesso sapere. La prima edizione: sicuramente pi spontanea e immediata ha per una lettura pi difficoltosa dovuta alle imprecisioni di tempo e ortografia. La seconda edizione invece caratterizzata dalla precisione stilistica e la lettura scorrevole, ma naturalmente penalizzata nella sua mediazione mentale. Levoluzione del testo pu essere cos letta e toccata con mano aumentando i vari percorsi di lettura e lasciando lo scrittore, libero nella sua creativit, di porsi in diverse vesti e forme.

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Prefazione Da sempre Roma stata un crocevia, un punto di passaggio quasi obbligato. Prima della sua nascita era gi epicentro di un mondo fatto di comunit frammentate, sparse sui colli mitici. Molto tempo prima che Romolo e Remo dessero il via alla storia, nei pressi di Piazza Bocca della verit, sorgeva un tempio e un emporio. Erano affacciati sul Tevere, presso lisola tiberina, uno dei pochi posti dove allora si poteva guadare il fiume. Si dice che il tempio fu eretto da Ercole, e dedicato a lui stesso. La leggenda racconta che in quel luogo, Gerione tent di rubare i buoi ad Ercole, facendoli camminare a marcia indietro, per confondere le orme. Ercole per, si accorse dellinganno e pun Gerione. Fu cos che il tempio fu eretto a monito e ricordo di questo particolare fatto e da allora il luogo fu denominato, Foro Boario. Da primo crocevia, il foro boario e lemporio, diventano un passaggio obbligato per lo spostamento delle greggi e lapprovvigionamento del sale proveniente dalle saline di Ostia. Il sale veniva trasportato verso il centro del Lazio e da l ebbe inizio la Via Salaria che oltre il guado in direzione di Ostia prendeva il nome di Campana. Duemila anni prima di Cristo, la citt non era ancora nata e gi si trovava al centro di qualcosa di importante. Alle spalle del foro, cera il colle palatino, dove tutto ebbe inizio, con il famoso fossato tracciato da Romolo che dette una forma quadrata alla nascitura citt. Ma la citt non si limito a rimanere un semplice agglomerato cittadino ma divenne poi Capitale, punto di riferimento, di un impero che si espanse alla conquista, di tutto il mediterraneo e poi dellintera lEuropa. Influenzando nel bene o nel male, dodici secoli della nostra storia. Da allora fino ai giorni nostri, questa citt ha subito profonde modifiche nella sua struttura geografica dovendo ogni volta lottare con i cambiamenti dettati dalla storia degli uomini. La tradizione, fin dalle origini, ci riporta unimmagine di citt aperta, dove lo straniero si integra alla perfezione con i nativi. Ogni popolazione ha

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contribuito a far crescere questo nuovo popolo che fondendosi con gli altri, nasceva e cresceva, diventando il dominatore del mondo allora conosciuto. Etruschi, Sabini e Latini hanno contribuito a far crescere le varie anime, che da sempre, hanno forgiato questo luogo. E forse questo il vero segreto del suo successo, della sua fortuna: un popolo misto ed integrato che si riconosce e combatte per la propria identit. NellItalia centrale da secoli prima erano presenti altre popolazioni che si sono sapute fondere: gente e cultura, da ultimi arrivati, a primi della classe, bel colpo! Alcune cose sono cambiate altre non sembrano cambiate affatto. Nellanno cento dopo Cristo, a Roma, non si riusciva a camminare nemmeno a piedi, il traffico di bighe, carri e lettighe era talmente caotico, che sembra di vivere nei giorni nostri. Spesso scoppiavano incendi e laria diventava irrespirabile a causa del fumo. Un fetore maleodorante, accompagnava sempre le giornate dei romani, a causa degli escrementi animali e umani disseminati per le vie. Era difficile respirare allora nella grande citt, proprio come oggi. Anche se oggi lo smog crea nellaria una cortina spessa di un colore indecifrabile a cui non ci si fa mai labitudine. Una cosa, forse, rende diverse le due anime nel tempo di questa citt. Nella Roma antica si poteva incontrare persone di etnia o religione diversa, che da ogni angolo dellimpero venivano a visitare quella che, ancora oggi e con orgoglio, si pu definire Caput Mundi. Ognuna di queste persone si poteva definire, a buon diritto, cittadino Romano purch sottomesso alle leggi romane. Ma avevano anche piena libert di culto secondo la loro origine e cultura. Ovviamente da tutto ci erano esclusi gli schiavi. Ma la capacit dei romani di integrarsi con altre popolazioni, che produceva una mescolanza di etnie diverse senza snaturare le proprie origini culturali, produceva un sistema funzionante e rispettoso delle diversit. Oggi, che viviamo nel ventunesimo secolo, le cose dovrebbero essere diverse e soprattutto migliori, ma a differenza di allora, queste popolazioni straniere sono state ghettizzate. Vivono e lavorano qui, ma frequentano solo persone della stessa nazione e spediscono gli interi guadagni nella propria nazione di appartenenza. Non possiamo assistere a quella mescolanza e integrazione, che era in atto nella Roma antica. Forse perch, negli ultimi secoli pi vicini a

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noi, i cittadini romani hanno perso labitudine a vedere persone estranee. Anche il fatto di avere il Papa e la sede del Vaticano qui, nel cuore di Roma, non sembra aver aiutato gran che il discorso dellintegrazione. Ricordo che nel 1970, in Via del Corso, una persona di colore era alla fermata dellautobus e i passanti si voltavano per vedere la novit. Forse questo fatto spiega meglio di ogni altro, il perch ancora non assistiamo, alla tanto attesa integrazione delle persone venute da fuori, semplicemente, ancora non siamo pronti. A dispetto della storia, abbiamo ancora paura del diverso, della novit. Anche il romano che ho sempre ricordato, oggi cambiato, rimasto poco del carattere, indolente e bonario che testimoniano certi film della tradizione italiana. Oggi il cittadino romano mi sembra pi menefreghista, strafottente, assuefatto dalla presenza degli stranieri come essere che ci sono ma che non hanno niente a che fare con lui, e soprattutto sempre meno legato alle tradizioni. Nel quotidiano ci rendiamo conto che molti cittadini non conoscono la citt, i monumenti, i musei, che probabilmente hanno visto una volta in gita scolastica obbligatoria e poi ne hanno rimosso il ricordo. Non vede invece, lora di fuggire dal caos che li rende nevrotici, testimoni di questo sono le lunghe file ai caselli autostradali e lungo le strade che portano fuori Roma. Si riconosce direi molto poco del romano verace. Questa la mia opinione, da amante devoto di questa citt, mi duole vedere il suo degrado e la sua perdita progressiva di identit. Si pu, secondo me, essere cittadini del mondo e nello stesso tempo rimanere legati alle tradizioni, orali tramandate dai nostri avi. Nonostante tutto, io non sono nato a Roma, ma come tanti, ho subito il fascino che emana questa citt. Ho conosciuto uno spaccato di storia di una metropoli, che si avviava inevitabilmente verso un radicale cambiamento. Un canto del cigno, fatto di personaggi e attivit che sono morte con lestinguersi degli ultimi artigiani. I quali hanno portato con se i segreti tramandati da decenni di duro lavoro. Quelle botteghe, a volte minuscole, piccoli bugigattoli dove il lattoniere, il tornitore, limpagliatore di sedie e il riparatore di bambole rotte, svolgevano il loro lavoro. Con pochi arnesi, ma con tanta buona volont e inventiva.

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Non essendo ancora nellera del consumismo sfrenato, i suppellettili, i giocattoli, le scarpe, i vestiti eccetera, si facevano riparare sia per necessita che per tradizione. Nessuno buttava niente, tutto poteva essere riciclato e tornare a nuova vita. Mi viene da sorridere oggi, che si fa un gran parlare di raccolta differenziata e che allora cera poco da differenziare, tutto poteva servire, anche in un secondo tempo. Perci guai a buttate via qualcosa. Prover quindi a farvi rivivere quellatmosfera, raccontando fatti veri a autobiografici. In questo testo cercher di non usare nomi propri di persone per descrivere i vari personaggi, se mai dovessi usarli saranno per cosi dire di fantasia, e questo per rispetto delle persone realmente esistite.

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Una storia Una vita (Roma sparita)

Non stato facile nel 1970, venti settembre per lesattezza. Quindici anni non ancora compiuti, poche certezze e tante speranze. Come tutti, alla ricerca di una posizione, di un futuro fatto di lavoro ma anche di indipendenza. Potersi gestire, guadagnare e poi si vedr. Sogni e aspettative a quellet sono tanti. Solo tre mesi prima, conseguita la licenza media, mio padre mi chiese: - vuoi studiare oppure vuoi andare a lavorare?- Ho deciso di andare a lavorare. Ma oggi penso che avrei fatto meglio a continuare gli studi, non ne sono del tutto convinto, ma credo di aver sbagliato. Allora, ero molto arrabbiato con lambiente scolastico, per un verso, non ero contento di quello che ci facevano studiare, ripetere sempre le stesse cose come se fosse una poesia da imparare a memoria. Senza unanalisi approfondita, era per me, di una noia mortale ed i professori con concezioni antiche, non ci aiutavano. Solo il professore di italiano era per me fonte di continua ispirazione oltre che un pozzo di sapere, e quando spiegava pendevo dalle sue labbra. Lanno precedente ero stato bocciato agli esami di terza media, mi sono confuso con lo scritto di matematica, materia che non ho mai digerito. Non sono stato aiutato, perch affermo questo? Perch qualcuno con la scusa che poi non avrebbe proseguito con gli studi stato come dire aiutato anche se era un caprone. Ho mal digerito il fatto, ho ripetuto lanno e finalmente ho conseguito la licenza media, evviva! Mio padre prese molto male la mia bocciatura, poi se ne fece una ragione, soffr, ma non parlo mai pi di questo. Poi ho capito che lui voleva che continuassi gli studi. Si pu capire questa sua posizione, avrebbe fatto ogni sacrificio per vedermi diplomato. Lui di estrazione contadina, si era per cosi dire riciclato in edilizia, gi in l con gli

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anni, quando agli inizi degli anni 60, la campagna non dava pi reddito. Cos, come molti al paese in quel periodo, andato in citt: di cui tanti sono proprio emigrati lasciandosi alle spalle tutto un mondo fatto di tante fatiche e sofferenze. Ma in genere si trattava di persone che vivevano in affitto e quindi non faceva differenza tra il paese e la citt. Ma mio padre non ha mai lasciato la casa costruita con tanti sacrifici, che ancora oggi abita con mamma. Si sobbarcato ore di viaggio in pullman come pendolare, perch la sera doveva rientrare a casa sua. Eccoli, tutti in citt a svolgere i lavori pi disparati di cui molti in edilizia. Forse perch si affacciavano nel mondo del lavoro da adulti, o vuoi perch non avevano nessuna esperienza di lavoro tranne che in agricoltura, entravano diciamo dalla porta di servizio e questo voleva dire una sola cosa: manovali. Ovviamente i pi bravi diventavano, muratori, carpentieri e cosi via, e gli altri? Continuavano ad essere manovali e in questa condizione hanno portato avanti una famiglia e cresciuto figli. Certo con sacrifici, senza far mancare mai niente in casa. Poi invecchiando, serenamente sono andati in pensione, con la convinzione di avere fatto il proprio dovere. Vorrei avere anchio quelle certezze, tempistiche rispettate, prima il lavoro, poi alla fine della vita lavorativa, dopo aver maturato le condizioni, la pensione e meritato riposo. Oggi manco a dirlo, quelle certezze sono state polverizzate. E dura per la mia generazione, quella di mezzo, nel senso che siamo rimasi in mezzo in un guado, senza lavoro e senza certezze. Per noi cresciuti con il mito del posto fisso, non sopportabile vedere nel giro di quarantanni lesaltazione e la decadenza della classe operaia. Parafrasando il titolo di un famoso film degli anni 70 con Gian Maria Volont la classe operaia va in paradiso, io aggiungerei: si ma poi ricaduta in un limbo paludoso dalla quale non riesce a uscire. Gli anni 60 sono stati quelli del boom economico, non poteva essere altrimenti. La fine della seconda guerra mondiale (la seconda nel giro di venti anni, che pazzia!) non era lontana, dopo la ricostruzione seguita allo sgombero e alla rimozione delle macerie, fisiche e mentali. Una nazione tutta proiettata verso un futuro radioso fatto di benessere e di prospettive. La storia ha scritto anche altre pagine ovviamente, ma allora la spensieratezza e lallegria che la gente

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voleva avere si respirava nellaria. Dopotutto, anche le canzoni di quel tempo lo testimoniano. Erano anche tempi di innovazioni e contaminazioni in vari campi. Nuovi stimoli arrivavano da altre nazioni: nuove mode, nuovi ritmi musicali e qualche piccola trasgressione che faceva gridare allo scandalo i soliti perbenisti. Penso alla minigonna, al bikini, ai capelloni,ecc Una rivoluzione del costume piuttosto radicale direi. Non stato facile, perch negli anni 70, abitare a 50km da Roma, era una distanza equiparata a quella che separa la terra dalla luna. Mentalit, opportunit, modi di fare, cera davvero un abisso. In quegli anni i romani venivano a villeggiare nel mio paese. Prendevano in affitto le case e quelli con pi disponibilit economica andavano in albergo. Nel mio paese vi erano alcuni alberghetti, certo non alberghi grandi e neanche di lusso ma dignitosi e anche caratteristici: Il Castagneto, La Sorgente e Villa Serena, erano pi che altro pensioni camuffate da alberghi ma sempre dignitosi. Dalla fine degli anni 60, ecco un vero albergo: Hotel Ai Pini, con incluso ristorante. Ah, quanti battesimi, comunioni, compleanni, anniversari e matrimoni un quel ristorante! E pensare che durante un matrimonio, la tradizione voleva che i commensali; amici e parenti degli sposi dovessero riportare a casa le pietanze non consumate, e se questo non avveniva, non era stato un buon pranzo e per un paese piccolo come il mio, i pettegolezzi acidi non mancavano di certo. Da dove nasce questa usanza? Vallo a sapere! sta di fatto che ha resistito per tanti anni. Un po come il piatto fritto, un piatto ricco di fritture ma non di pesce dove vi si potevano trovare suppl, carciofi, ricotta e limmancabile cotoletta alla milanese anche questa fritta e impanata con il pane grattugiato. Questo piatto da solo valeva un pranzo intero, e non mancava mai altrimenti erano guai. Sono cresciuto con certe convinzioni, con orizzonti stretti come sono quelli di un paesino di provincia, perci trasferirmi con armi e bagagli in un mondo diverso, con un modo di vivere differente stato traumatico. Tanto che nei primi giorni, ho meditato pi volte di abbandonare tutto e tornare al paese. In realt ogni sera da pendolare, tornavo a casa ma per me il salto era stato troppo grande e improvviso. Invece, pian piano con laiuto di colleghi, le paure sono svanite e tutto iniziato a filare liscio.

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Roma allinizio era per me un triangolo, compreso tra via Cavour, Via dei Serpenti e Via Panisperna. Non lo sapevo lo sapevo allepoca ma avevo lonore, oltre che il piacere, di essere testimone di un ultimo spaccato di vita romana. A distanza di soli cinque anni, tutto sarebbe irrimediabilmente cambiato. Lanno santo del 1975 si portato via un mondo di suggestioni che resisteva da tanto tempo: arriv tanta gente, prima pellegrini, poi turisti, eravamo entrati senza accorgerci di niente, nel consumismo vero, fatto di addobbi natalizi che iniziavano ad ottobre e finivano a gennaio inoltrato. Ma nonostante tutto, sembrava che il tempo si fosse fermato, si perch aggirarsi nelle strade della vecchia Roma mi ricordava il paese. In fondo anche con tanti rioni, una grande citt non una sorta di agglomerato di tanti paesi piccoli o grandi? Ho visto le ultime rivendite di vino, dette fraschette, dove gli anziani andavano a farsi un bicchiere e giocare a carte. Mi sono inserito in una comunit dove ci si conosceva tutti, e soprattutto ho compreso il carattere del romano: un p indolente, bonario e sempre propositivo. Ma tutto questo ovviamente, prima che si perdesse la memoria e si dimenticassero le radici. Fare oggi delle cose che per noi allepoca erano normali, sarebbe impensabile, oltre che proibito: come per esempio giocare a pallone intorno e dentro il Colosseo. Noi lo facevamo e oggi invece ci vogliono 10 euro solo per una semplice visita turistica, cose da rabbrividire per me. Del resto, cosa vuoi fare, le cose vanno cos ed inutile rimpiangere quello che stato. Ricordare e sorridere con piacere, per certi scherzi o per situazioni strane che sono accadute, serve ad esorcizzare e mitigare quel velo di tristezza, che mi prende ogni volta che ripenso al passato. Se finora non si fosse capito, io mi sento un po cittadino romano, e certi luoghi li considero come una seconda casa. Pi di un romano originario, il quale alle prese con le problematiche quotidiane, non riesce a godere a pieno delle bellezze che la citt propone. Se poi cominciamo a parlare della citt eterna, c solo limbarazzo della scelta. Certe persone, come i luoghi appena descritti, mi sono entrati nel cuore e prima di tutti voglio ricordare il mio datore di lavoro: nato a Trastevere e traslocato a Via dei Serpenti. Il portone dove abitava si trovava di fianco a unoreficeria, oggi credo non si usi pi, ma

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allepoca e per tanti anni ancora, ogni oreficeria aveva davanti al negozio un palo con sopra un orologio. Quel palo fu cos protagonista di uno scherzo ideato e attuato dai commercianti vicini. Ricordo in sequenza venendo da via Cavour: prima la macelleria, poi bar torrefazione e infine loreficeria. Nel 1971, la Honda, mise in commercio due modelli di moto la 500 e la 750 Four. Queste moto si riconoscevano subito al loro passaggio, soprattutto perch avevano motori, che in accelerazione producevano quasi un sibilo pi che un rombo, una novit subito apprezzate sia dal mercato che dai giovani. Un ragazzo che io non conoscevo personalmente che abitava in Via dei Serpenti ed era appassionato di moto, aveva comprato un Honda 500 e subito la mise in mostra: tutto il giorno faceva avanti e indietro mettendo a dura prova la pazienza di tutti. In quel particolare periodo, nessuno in centro possedeva un garage e le auto venivano parcheggiate lungo i marciapiedi mentre le moto legate con grandi catene infilate in tubi di gomma per non rovinare la vernice e le cromature. Un giorno finiti i giri, quel ragazzo log soddisfatto al palo dellorologio, la moto con una grossa catena. La fiss per bene e dopo un ultimo sguardo amoroso, come farebbe con un padre con il proprio bambino in fasce, and a dormire. Lindomani tutti i negozianti, e anche noi che eravamo stati avvertiti, aspettavamo impazienti che scendesse il ragazzo per andare a riprendere la moto. Eccolo finalmente, che esce dal portone, senza casco naturalmente, allora non si guidava con il casco, primo perch rovinava la pettinatura (si perch andavano ancora di moda i capelli lunghi), poi perch non era da uomini duri guidare con il casco. Si avvia quindi per prendere la moto, e sorpresa delle sorprese, trov una catena aggiuntiva pi grossa della sua, che legava ancora pi saldamente la moto al palo. Con stupore, si guarda intorno, e noi tutti dentro il bar a fare capoccella non stavamo pi in piedi dalle risate. Il poveretto non sapeva cosa fare e alla fine, punto sullorgoglio, lascia perdere e si avvia a piedi: aveva capito benissimo quello che era successo durante la notte, i due negozianti che avevano aggiunto unaltra catena alla sua e i molti spettatori che lo guardavano di sottecchi quella stessa mattina. Perci, molto orgogliosamente, ha preferito andare a piedi e non dare soddisfazione ai cospiratori scherzosi. La sera stessa, ritrov la moto con la sua catena originale,

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ma le scorribande con la moto cap che cominci farle altrove. Questa era latmosfera che si respirava in quei luoghi. Il mio datore di lavoro si faceva confezionare le camice da una camiciaia molto brava abitante in zona. Quello era il tempo dei pantaloni a zampa di elefante, dei capelli lunghi e delle camice aderenti con i cugni: delle pieghe che modellavano lindumento al corpo. Cera per un piccolo problema; essendo lui alto poco pi di un metro e sessanta ed essendo un po rotondetto, si notavano sui fianchi e sulla pancia dei rotoletti di ciccia non proprio belli da vedere. Anche se a lui importava poco, anzi ne andava fiero, e ogni volta che poteva mostrava le sue camice di stoffa pregiata con orgoglio. Via Panisperna inizia passando da Via dei Serpenti, e si inerpica in salita fin dove Via Milano curva intorno al ministereo degli interni (Viminale). E pi avanti incrocia poi Via Nazionale, proprio di fronte al traforo che porta al tritone. In questa via, per un decennio intero, i ragazzi di Via Panisperna collaborarono con Enrico Fermi alla scoperta, nel 1934, delle propriet dei neutroni lenti. Una scoperta che dette lavvio alla realizzazione del primo reattore nucleare e della bomba atomica. Questo gruppo di fisici, quasi tutti giovanissimi, lavoravano nel Regio Istituto di fisica dellUniversit di Roma, allora ubicato proprio in questa via e per questo ne assunsero il soprannome. In questa strada si svolgevano varie attivit commerciali, perch come detto, in quel periodo tutte le strade dalle pi piccole alle pi grandi brulicavano di negozi e botteghe di artigiani. Non ricordo bene tutti i negozi che animavano quella Via Panisperna: ma ricordo che cera unofficina sul lato sinistro della strada, che effetuava riparazioni moto e rivendita. Il proprietario era stato un pilota negli anni 50 e 60, aveva partecipato a diverse gare e con buoni risultati. Finito per lui il periodo delle corse, decise di aprire questo punto di riparazione e vendita. Davanti allofficina era parcheggiata sempre una Harley Davidson bianca, grande, 1200 di cilindrata. Era talmente pesante da aver bisogno della retromarcia, e noi ci salivamo sempre, sognavamo di viaggiare per quelle strade diritte e lunghe che tagliano i tanti stati americani come grandi fette di torta.

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Dopo lofficina si trovava in nostro magazzino, dopo di noi, il portone del palazzo delluniversit. Pi avanti iniziava un muro fatto con grandi massi di tufo, che era stato costruito per livellare Via Milano. Di fronte il muro, si trovava una stazione di carabinieri, con il piantone davanti al portone. Era da un mese circa che proprio sotto il muro si trovava parcheggiata una Giulia Alfa Romeo 1600 biscione, del tutto uguale alla macchina del mio datore di lavoro, tranne che per il colore: chiara la prima e amaranto la seconda. Una mattina che avevamo poco da fare, si presenta al magazzino il principale per dare le direttive: io andai da una signora per cambiare una guarnizione ad un rubinetto, mentre laltro ragazzo venne mandato a smontare le gomme a quella macchina per poi montarle sulla sua. A lavoro eseguito (bene e in modo veloce), sotto la supervisione del piantone carabiniere, abbiamo domandato per curiosit quale tipo di accordo fosse intercorso tra il nostro datore e il proprietario dellauto. Con tranquillit assoluta, ci mise a conoscenza del fatto che nemmeno lui conosceva il proprietario della vettura e che aveva solo bisogno di cambiare le gomme! Il mio amico sbianc al solo pensiero, se fosse stato beccato, quale giustificazione avrebbe potuto dare? Questo era il clima che si viveva: fatto di goliardia, un tempo dove gli uomini contavano ancora qualcosa e si riusciva ad avere amici veri. A proposito di amici, il mio datore di lavoro, ne aveva uno. Tipico romano di allora: alto, con i capelli lunghi tirati indietro, la camicia sempre aperta e appesa al collo una catena doro con un grande crocifisso. In chiesa non ci andava mai, come la maggior parte delle persone seguiva semplicemnte la moda, che allora prevedeva crocefissi di ogni tipo e foggia. In gergo la collana si chiamava capezza, per via di una certa somiglianza con le briglie che servono al cavaliere per guidare il cavallo. E questa persona condizionava non poco la vita del mio datore di lavoro. Questo amico, aveva una ditta di trasporti teatrali. Oggi con i mezzi moderni, una ditta del genere sarebbe anacronistica, ma allora scenografie e gruppi elettrogeni, erano spostati a mano, da un operaio che era in grado di portare carichi spropositati: un vero e proprio

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muletto umano. Tutto era affidato alle braccia forti ed esperte degli operai e anche per questo tanti mestieri da allora sono scomparsi. Tornando al mio datore di lavoro ed il suo amico: uno scapolo impenitente, laltro separato, non avevano nessuno a cui rendere conto. Perci cercavano di rimediare compagnia frequentando posti non proprio per bene, anzi di dubbia fama. Qualche sera rimediavano mentre altre, spesso pi numerose, tornavano a casa ubriachi e pi soli di prima. In quel tempo, anche una citt come Roma era trasgressiva di notte, ma con certi canoni prestabiliti. Il giorno dopo il mio datore si alzava con certi occhi gonfi che raccontavano meglio di qualsiasi altra cosa i patimenti di un fisico costretto a subire certi scossoni dati da alcol e fumo. E la domanda nostra era una sola, sempre la stessa: se il tuo amico alto un metro e ottanta e tu sei alto un metro e sessanta, bevendo la stessa quantit di alcolici, quando lui ubriaco tu come mai non sei affogato? inutile dire che questa domanda lo mandava su tutte le furie, minacciando chiss quali ritorsioni e finendo inesorabilmente al bar torrefazione, davanti ad un buon caff. Una miscela buonissima con chicchi appena tostati, che solo il proprietario riusciva a fare. In ogni tempo gli stereotipi, nati forse per ricordare cosa facessero persone e a volte comunit intere, continuano ancora oggi a esistere. Esistenti dalla notte dei tempi, accompagnano luomo da sempre. In un mondo, come il mio poi, fatto di modi di dire ed esempi pi o meno coloriti per raccontare e descrivere situazioni ecco che ci rendiamo conto di non poterci sottrarre: il meccanico non ha voglia di lavorare e sporca per far credere il contrario, lidraulico diventa lo sturacessi, lelettricista scintilla ed ogni volta che si poteva, qualcuno gli chiedeva un secchio di corrente. Ci vogliono poi quelli di Foligno, i funari (costruttori di funi), per ricordarci che i lavori li fa chi ne capace e non fare il milanese che vuole far tutto e poi non capace di far niente. Cos come sappiamo che i potatori di piante migliori, sono di Lucca. E cosi scorrono come fiumi in piena i modi dire: che servivano e servono tuttoggi a tutti, per spiegare meglio un concetto o un racconto. A Roma negli anni 70, vi era una convinzione legata alle automobili che identificavano i loro proprietari, e cos: lauto dei protettori e dei ricconi era lAlfa Romeo, mentre la Mercedes era di tutti quelli che, come i nobili, nascevano ricchi. Noi giravamo con con unAlfa

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1600 biscione (per via di una biscia disegnata sul logo) e puntualmente, in ogni posto di blocco, venivamo fermati da carabinieri e polizia che ci guardavano tutti con sospetto. Dovendo spiegare ogni volta che eravamo gente (pi o meno) per bene e non ladroni. Certo bisogna dire che vivevamo in un periodo non facile: appena usciti dalla rivoluzione studentesca, dentro la stagione delle stragi, le prime avvisaglie della crisi energetica, un periodo di contestazioni feroci e contrapposizioni politiche continue. Le strade di Roma erano percorse sempre pi spesso da cortei, prima di studenti e ora di operai. La polizia ancora impreparata sparava lacrimogeni a casaccio. Un pomeriggio stavo a Piazza dei 500, in attesa dellautobus per tornare a casa, quando vedo sbucare da Via Giolitti un corteo di persone urlanti con slogan contro il governo. Deve essere stata una manifestazione non autorizzata, allora non era raro vederne anche pi di una. Dallatra parte della piazza avanzava un reparto celere, in assetto antisommossa, noi in mezzo sotto i portici non sapevamo che fare. Laria si subito riempita dellodore acre dei lacrimogeni, io e la gente intorno ame che non centrava nulla con quei fatti, abbiamo trovato riparo dentro una rosticceria. Mentre di fuori infuriava una vera e propria battaglia: pietre, manganelli e aste di bandiere usate come bastoni. Da allora, questo rituale violento abbiamo imparato a conoscerlo, ed oggi continua a esistere. Anche se oggi, si aggiunta una nuova guerriglia urbana, quella sportiva o meglio calcistica. Io non li capisco e se riesco a malapena a giustificare chi, con il pretesto di rivendicare diritti a volte sacrosanti, ingaggiava lotte corpo a corpo con gli agenti, questi pseudo tifosi mi fanno solo pena. In giro per le strade di Roma per non cerano solo manifestazioni o eventi tragici, anzi nonostante tutto, respiravo unaria quasi nuova, un misto di fiducia e speranza che faceva pensare ad un futuro sicuramente migliore. Il fatto pi evidente agli occhi di un adolescente come me erano forse i turisti. Roma stata da sempre meta di pellegrinaggi e visite di stranieri, il Vaticano, e tutte le bellezze di Roma Antica, hanno attratto persone da tutto il mondo, in tutti i tempi. Ma quello che stava cambiando era il modo: i viaggi organizzati, pullman pieni di americani (attratti anche

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dal cambio dollaro lira), anche se i giapponesi ancora non si vedevano, sono arrivati qualche tempo dopo. Sono stato testimone di una scena bellissima: ad un semaforo si era piazzato un venditore ambulante di fotografie, di quelle che si aprono come una fisarmonica, chiss se ce ne sono ancora in giro. Un pullman stracolmo di americani si ferma per rispettare il semaforo, una signora si sporge per cercare di comperare le foto, nella concitazione la donna porge al venditore, diecimila lire, prende le foto e aspetta il resto. Considerando che quelle cartoline potevano costare 500 o al massimo 1000 lire (ed era comunque unesagerazione), il semaforo divenne verde nel bel mezzo della transizione e mentre il mezzo ripart, la poveretta rimase con il braccio teso, le cartoline in mano e niente resto, mentre luomo si era dileguato. Era il periodo in cui nasceva e si amplificava un sottobosco fatto di piccoli truffatori, borseggiatori, ladruncoli e finti invalidi, che sbarcavano il lunario derubando e truffando i turisti. Le nostre giornate trascorrevano pi o meno allo stesso modo, se non andavamo a lavorare in qualche cantiere facevamo qualche lavoretto nel quartiere, cose di poco conto, come cambiare una guarnizione oppure qualcosa di pi importante. Uno di questi lavori mi ha portato ad attraversare un bel pezzo di Roma, un bel pezzo di storia. Il lavoro consisteva nel cambiare una caldaia di un impianto di riscaldamento situato in Via del Babbuino, presso una sartoria. Se osservate una mappa di Roma vi rendete conto che ci troviamo nel cuore della citt, ma soprattutto, ci trovavamo nel cuore pulsante di un quartiere composto da strade con negozi di alta moda di cui la pi nota: Via condotti. Strade che trasudano di storia ancora oggi. Via Margutta per esempio era dove avevano bottega gli artisti pi in voga, pittori in particolare, si trattava certamente di un posto magico. Tutte queste strade confluiscono in una piazza che una vera e propria bomboniera: con la sua fontana, la barcaccia e la scalinata di trinit dei monti. Era Piazza di Spagna, una delle piazze pi belle del mondo. Non essendo una piazza molto estesa geograficamente, appare quasi allimprovviso, se si accede da vie laterali. Mentre solo da Via Condotti si pu godere di tutta la sua bellezza e imponenza, sia da lontano che da vicino. Noi pi che altro eravamo interessati alle straniere, sedute allineate sugli scalini, sotto le piante di azalea in fiore che ogni anno adornano i

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lati della scala. Le ragazze passeggiavano incuranti del vento sbarazzino che faceva alzare le gonne, e capite che, la bellezza della cornice ai nostri occhi passava cos in secondo piano. Il negozio dove si doveva effettuare la riparazione era molto elegante: moquette, carta da parati ricercata e una caldaia che poteva avere let di Garibaldi. Il proprietario era pure affezionato alla caldaia, e non cera verso di fargli capire che non unoggetto da collezione, ma che deve fare la sua funzione altrimenti se non va, si cambia. Era un sarto affermato che faceva vestiti per persone famose e cantanti in cima alle classifiche. Sicuramente un bravo artigiano ma che in fatto di impianti di riscaldamento aveva le sue convinzioni molto personali. Una sera di quelle solite, passate in qualche locale della zona, in cui anche il sarto era presente, il mio datore di lavoro finalmente lo convince e una mattina abbiamo sostituito tutto: caldaia e radiatori. Anche se, ad essere sinceri, durante le operazioni mi osservava con aria strana: E dire che per andare nel suo laboratorio, percorrevo a piedi, Via Milano, Il Traforo, Via Due Macelli e Piazza di Spagna. Mi sobbarcavo due chilometri a piedi con la borsa dei ferri a tracolla e quello mi guardava brutto, cose da pazzi! Come si dice, il lavoro lavoro e qualcosa bisogna sempre sopportare: sarebbe bello poter scegliere cosa fare, ma non sempre cosi. Durante il tragitto ricordo che avevo una grande deferenza per la Madonna che sormonta la colonna in piazza, e sotto quella struttura mi trovavo in soggezione. Non so spiegare il perch ma sempre stato cos. Via del Boschetto e Via dei Serpenti, partono parallele e poi si uniscono prima di arrivare in Via Nazionale. Lunica freschetta ancora in zona, serviva esclusivamente vino dei Castelli Romani come il proprietario precisava ogni volta che poteva. Scendeva un tipo losco da Velletri, con un camioncino Fiat anteguerra, per come era ridotto. Io non mi sarei mai fidato di un tipo cosi, ma loste diceva che lo conosceva da tanto tempo e che mai gli aveva rifilato una fregatura. In questo locale ci passava tanta gente, soprattutto gli artigiani che lavorano in zona, che prima di tornare a casa la sera o dopo pranzo,

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andavano a bere un goccetto. Se poi, a forza di goccetti, si svuotavano litri poco importava. Questo locale fungeva da termometro del quartiere, se volevi sapere cosa succedeva in zona, bastava frequentare il posto per sapere tutto. Una specie di giornalino, sempre aggiornato su tutto. In un certo periodo in tutta la zona, non si parlava daltro che delle gattare in agitazione. Queste donne portavano regolarmente cibo ai felini di Via dei Fori Imperiali, luogo tanto famoso quanto la citt stessa. Da qualche tempo si trovavano per le strade, gatti uccisi in modo orrendo. Il fatto fu riportato anche dai giornali quotidiani di tiratura nazionale. Le ipotesi erano le pi disparate: dal serial killer di gatti, allimmancabile ipotesi su un gruppo terroristico attivo, che tanto andava di moda allora. Attribuire fatti delittuosi di non facile soluzione a questo o quel gruppo sedicente era diventato un argomento di discussione non cos inusuale come dovrebbe. Ci fu poi un tizio che giur di avere visto una pantera nera aggirarsi tra le rovine dei fori. La verit si venne a sapere quando tutto era finito nel dimenticatoio e la conobbero solo in pochi: lamico del principale, quello che aveva una ditta di trasporti teatrali, possedeva due cani boxer, un maschio e una femmina. Ricordo la loro ferocia e soprattutto ricordo la totale avversione per i gatti. Certe sere, dopo la solita bevuta, certi tizi insieme al proprietario dei cani, si divertivano a sguinzagliare gli animali verso i poveri gatti del quartiere. Quando le scorribande iniziarono a destare linteresse polizia, i divertimenti notturni smisero, ma il danno ormai era fatto. Il mio lavoro, come quello dei miei colleghi, consisteva spesso nellinstallare impianti di riscaldamento, rigorosamente centralizzati. La grande novit rispetto agli anni60 era rappresentata dal combustibile che alimentava le caldaie, diesel invece del carbone, di conseguenza le caldaie si erano ridotte notevolmente di dimensione e necessitavano spesso di uninstallazione personalizzata. Una mattina il principale annunci un lavoro in una zona di Roma chiamata Garbatella. Di solito restavamo in zona e non ci spostavamo di molto, ma questo quartiere rimaneva sicuramente pi fuori mano del solito. Fu costruito a cavallo tra ottocento e novecento, ed era compreso tra Via Cristoforo Colombo, la ferrovia della metropolitana

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e le Mura Aureliane, nei pressi di Porta Latina. Il lavoro era proprio alluscita della metropolitana, la Linea B, che oggi parte da Rebibbia e termina a Laurentino, mentre in quegli anni partiva da Termini. Una delle fermate era la stazione di San Paolo, dove si poteva cambiare per andare al Lido di Ostia. Nelle domeniche estive era davvero difficile trovare posto nei convogli diretti al mare. Ostia essendo il lido pi vicino a Roma veniva preso dassalto dalle famiglie che andavano al mare e si portavano il pranzo dentro dei fagotti, che per questo venivano chiamati fagottari. Questo lavoro non era cos distante in realt, ma non la sentivamo comunque la nostra zona e ci sentivamo come in trasferta. Tre giorni solo di lavoro, veloce facile e ben remunerato: si trattava di installare dei contatori dellacqua, aspettare gli addetti dellazienda competente, che dovevano applicare un piombo sul regolatore di pressione, e il gioco fatto. In realt un problema cera: dove andiamo a mangiare? Io come burino(con questo nomignolo da sempre i romani hanno apostrofato le persone che venivano dalla provincia), portavo per pranzo un pezzo di pagnotta che mamma riempiva con ogni ben di dio. Gli altri non avendo questa abitudine erano costretti a comprare, rosette o sfilatini imbottiti di mortadella o prosciutto, e il pranzo era servito. Trovammo la soluzione, non molto distante dal luogo di lavoro. Da Tto agli Scapicolli si poteva mangiare: un piatto di spaghetti al pomodoro oppure tonno e pomodori, una fettina ai ferri e una frittata. Naturalmente la scelta era limitata ma nessuno si scoraggiava per questo. Ogni giorno operai di tutti i generi affollavano questo posto. Il proprietario era lattrazione principale dopo il cibo: poteva avere sessanta o settanta anni (non si riusciva a quantificare bene la sua et), alto almeno un metro e novanta, magro e per via di questa magrezza tendeva a curvarsi un poco. Era di poche parole e si esprimeva a gesti per lo pi lenti e compassati. Preparava un certo numero di piatti, primi soprattutto, poi verso le tredici, sedeva in un angolo e finalmente mangiava pure lui. Puntualmente in quel momento entrava qualcuno che voleva pranzare, cos Tto senza scomporsi gli indicava la pentola, il fuoco, gli spaghetti e il sugo: se voleva mangiare doveva cucinare, perch lui

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non avrebbe abbandonato il suo pasto. Se il tizio voleva pranzare si doveva mettere ai fornelli. Finito il lavoro, eccone un altro nella stessa zona: evidentemente era destino, dovevamo rimanere a lavorare in trasferta. Un bagno in Via Guglielmo Massaia, terzo piano. In realt la casa era quella di mio zio ed anche qui il lavoro era relativamente semplice: tolti i vecchi sanitari, tolto il materiale di risulta, si doveva rifare limpianto ex novo. Scarichi e tubazioni per lacqua calda e fredda. Sanitari, mattonelle, tutto nuovo. Nellappartamento sottostante quello di mio zio abitava una signora anziana, con la quale mio zio aveva avuto qualche battibecco. Per via dei panni stesi e dellacqua che cadeva durante lannaffiatura dei gerani in estate. Nomale amministrazione per tutti i palazzi condominiali, ogni giorno ancora oggi come allora, possiamo osservare scene di litigi per futili motivi. Per questo motivo ci preg di non fare rumone, per non avere altri problemi con la signora. Ma tra il dire e il fare Abbiano rassicurato lo zio, purtroppo, nonostante le attenzioni, durante il lavoro di imbocco degli scarichi nella tubazione centrale si form un buco, proprio allangolo. Eravamo stati attenti, evidentemente lintonaco tra la braga e il soffitto della casa sottostante era talmente sottile che si sgretol subito. Ma adesso chi lo dice alla vecchia? In mio datore di lavoro si prende lincarico di andare a parlare con la signora. Poco dopo sentiamo urlare, e ci precipitiamo di corsa sul pianerottolo: era la signora che sbraitava e non la smise fino allintervento di mio zio che si precipitato per calmarla promettendole naturalmente tutte le spese di riparazione. Tra la sorpresa generale di tutti noi involontari spettatori, la vecchia non era arrabbiata molto per il piccolo danno provocato, ma soprattutto perch, secondo lei, avevamo mandato solo un ragazzo ad avvertirla invece di una persona adulta. A trentasette anni e unaltezza poco sopra il metro e cinquanta, non sembrava proprio un ragazzo, ma vallo a spiegare alla vecchia che non voleva sentire ragioni e urlava sempre pi offesa. Noi intanto avevamo il nostro bel da fare per tenere fermo il nostro datore di lavoro che voleva saltarle addosso.

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A lavoro finito, qualcosa ci era rimasto: prendere in giro il nostro datore alludendo a questo fatto, fu per noi un divertimento ricorrente per tutti i mesi successivi. La ditta era quasi a conduzione familiare, per questo non aveva grandi attrezzature: per trasportare il materiale usavamo una R4, una macchina che ha fatto furore negli anni 70, spartana e con accessori limitati allessenziale. La Renault deve molto della sua fama a questa autovettura indistruttibile, non si fermava mai, e su ogni terreno grazie ai suoi ammortizzatori diventava alloccorrenza un fuoristrada. Tolto il sedile posteriore, era diventata una van. Ci caricavamo di tutto: la cassetta dei ferri, quando servivano, le bombole di ossigeno e acetilene, tubi, raccordi e quantaltro. Qualche volta oltre al materiale, uno di noi era costretto a stare dietro anche senza sedile. Un giorno mentre percorrevamo in discesa la circonvallazione Giannicolense, allaltezza dellospedale San Camillo, ci fermammo ad un semaforo e affiancata a noi cera una Bianchina, guidata da un signore anziano. Cos mettemmo in atto uno scherzo che eravamo soliti fare: ci siamo messi a guardare fissi quella persona senza dire o fare niente, solo occhi fissi, sgranati. Di solito ci beccavamo rimproveri o qualche parolaccia, ma quella volta la persona per guardare noi, forse intimorito o soltanto incuriosito, ha mollato il freno. Ed essendo in discesa ha tamponato la macchina che si trovava davanti a lui. Il semaforo fortunatamente divenne subito verde, e noi siamo spariti in pochi istanti. La scena che si lasciammo dietro era tragicomica: il tamponato che inveiva contro laltro, mentre questi cercava di spiegare la dinamica. Nella nostra incoscienza, chiamiamola anche goliardia, facevamo anche queste cose. Venne il tempo della cena estiva: facevamo due cene allanno, di cui una pagata con i ricavati della vendita della trippa. Cio tutti i rimasugli di ferro, vecchi rubinetti di ottone, piombo e rame. Tutta questa roba aveva un valore che si traduceva in una bella cena, da fare insieme tutti quanti.

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Di solito questa cena si faceva in estate, mentre a Natale cra la cena aziendale: prima delle feste andavamo tutti a mangiare, ma questa volta era il datore di lavoro a pagare. Quella volta andammo a Trevignano sul lago di Bracciano, non ricordo chi propose quel ristorante, non ricordo il nome del locale, ma deve essere stato un posto che ha colpito qualcuno di noi perch solo per andare e venire ci vollero quasi due ore. Partimmo di venerd sera, e per una serie di contrattempi, arrivammo a notte inoltrata. Il locale era carino, ben tenuto e ci siamo accomodati sulla terrazza direttamente sul lago. Latmosfera un po galante non era proprio il massimo per una cena aziendale, ma nessuno ci faceva troppo caso, talmente eravamo presi dalle varie portate. Tutte buone e abbondanti, bisogna dirlo, e non ci facevamo di certo mancare le bevande, rigorosamente alcoliche. Non cerano ancora le giuste restrizioni di oggi, su alcol e limiti di velocit. Andando avanti con le consumazioni ci siamo accorti che il cameriere non portava indietro le bottiglie vuote, e da li lidea: lanciammo dentro il lago due bottiglie, con la speranza che il cameriere non le prendesse in considerazione nel conto finale. Il lago, che era uno specchio, non faceva nessuna increspatura e per un po tutto and bene, finch non udimmo un tintinnio. Cosa era successo? Le due bottiglie riempitosi per met di acqua, si erano messe dritte e toccavano luna con laltra, suonando allegramente in modo inequivocabile dalla superficie del lago. Ogni volta che compariva il cameriere abbozzavamo colpi di tosse oppure alzavamo in maniera anomala il tono della nostra voce. Ovviamente il conto delle bottiglie consumate era scritto da unaltra parte, e probabilmente il cameriere si era accorto di quello che volevamo fare. Ma fortunatamente non lo fece notare al ristoratore per questo che gli lasciammo una buona mancia. Non eravamo comunque vergognosi, poich tutti questi piccoli scherzi e screzi ci portavano allegria e buon umore. Senza contare che poi non facevamo niente di male, perch rispettavamo sempre tutti e lavoravamo sodo per guadagnarci da vivere. Come quando siamo andati a fare un impianto termico al km14, della Via Ardeatina dove un altro amico del mio datore di lavoro, aveva costruito l la sua casa insieme alla sorella. La donna era impiegata allo stabilimento dellacqua di Laurentina, lungo la via omonima,

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dove era presente anche unaltra fonte di acqua leggermente frizzante la San Paolo. Per raccogliere lacqua che sgorgava dal sottosuolo hanno dovuto scavare, lacqua non aveva abbastanza pressione per raggiungere gli strati superiori del suolo, cosicch, per riempire, bottiglie, taniche o damigiane bisognava scendere diversi gradini. Noi eravamo stati poche volte l, perch non era proprio quello il genere di liquido che ci piaceva bere. La casa era a due piani, fatta di cemento e blocchetti di tufo, era stata costruita su una collinetta non lontano dalla strada. Nonostante fosse da rifinire sia allinterno che allesterno, era carina, e risultava in armonia con il paesaggio circostante. Dalle finestre si godeva di un bel panorama della campagna romana, con vasti prati e qualche boschetto di acacie qua e l. Le tegole del tetto non erano state ancora montate perci uno specialista, tale Ninetto detto il roscio, di professione tettarolo. Montava tegole e coppi, stare sui tetti era il suo pane quotidiano. Uno serio e se vogliamo, a suo modo, professionale. Aveva un solo difetto per, era amico degli altri due: il mio datore e il padrone di casa. Abitava vicino a Via dei Serpenti, il che era tutto dire, praticamente una combriccola bella e buona. Il giorno seguente linizio dei lavori ecco il primo guaio: inizi a piovere, e nonostante il tetto era perfettamente a posto perch le tegole poggiavano sul cemento quindi anche se non era finito, il tetto era impermeabile lo stesso. Non si poteva certo dire lo stesso per la macchina del tettarolo: una fiat 124 decappottabile con tanto di capote in tela cerata, che lui per fare il figo, non alzava mai nemmeno in inverno. Dieci minuti dacqua sono bastati per fare un disastro, quando ha tirato su il tettino, ormai in guaio era fatto. Fermiamo le attivit per cercare di asciugare il pi possibile la macchina e la fortuna ha voluto che almeno i sedili in simil pelle siamo riusciti ad asciugarli in fretta. Erano talmente plasticati che la pioggia non si nemmeno avvicinata, in pratica si potrebbe dire che si rifiutata di bagnarli. Ma non fin qui: avevamo appena consumato il pasto quando ritornato il padrone di casa con una cassaforte in macchina chiusa. Una cassaforte austriaca e bisogna dire che gli austriaci sono bravi a fare casseforti, praticamente inattaccabili. Certo per i professionisti dello scasso magari poteva essere una passeggiata, ma noi gli

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giravamo intorno senza trovare un punto debole dove infilare un piede di porco o una leva per aprirla. Decidemmo di usare le fiamma ossidrica, quella che usavamo per saldare i tubi. Fu una decisione sofferta perch avevamo paura di bruciare i soldi contenuti nella cassaforte. Avevamo discusso pure su come fare la spartizione. La cassaforte laveva portata il padrone di casa perci voleva tutto quello che avremmo trovato. Il mio datore voleva dividere in parti uguali, poich secondo lui essendo in grado di aprirla, gli spettava la stessa quota di chi laveva portata a casa. Ad un certo punto, rimandammo la discussione a dopo lapertura visto che non sembravamo pronti a raggiungere un compromesso a priori. Mentre operavamo, cercando il modo di venirne a capo, si fantasticava su quello che avremmo trovato. Ma le operazioni di apertura andavano a rilento perch non sapevamo da che parte cominciare. Abbiamo tagliato e smontato una specie di cornice, questo ci ha dato fiducia, ma non era cosi facile, la parte che proteggeva il prezioso contenuto non ne voleva sapere di cedere. Siamo dovuti andare a prendere altre bombole, quelle che portavamo dietro per fare il lavoro erano del tipo piccolo e dopo un po si sono svuotate. Finalmente dopo tre ore trascorse ad aver trascurato tutti il lavoro principale, eravamo pronti ed eccitati per conoscere finalmente il contenuto, sperando davvero di trovare un tesoro. Ultimo colpo di fiamma, uno scalpello usato come leva e i cardini del pesante sportello saltarono. Allinterno la cassaforte era composta da ripiani, miseramente vuoti, in alto sulla destra uno sportello mezzo annerito dallesposizione alla fiamma. Allinterno con nostra grande delusione, niente soldi, niente preziosi. In fondo legate da un elastico delle lettere . Le buste erano di quelle colorate sui bordi, con i colori della bandiera italiana e riconoscemmo subito la posta aerea. Non ci rimaneva che aprirle: corredate da data e firma, era una donna il mittente. Scriveva da un paese nordafricano e informava una persona sulla salute e la crescita di una bambina. Il destinatario delle missive era un grande costruttore romano, molto importante a quei tempi: ha venduto molte case e palazzi per tutti gli anni 70 in tutta Roma. La data era di due anni prima rispetto al nostro ritrovamento.

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Ci siamo guardati in faccia: unidea malsana che, sinceramente non ricordo a chi sia venuta ma subito scartata ci spingeva a ricattare questa persona. Gli avremmo riconsegnato le lettere in cambio di denaro, tanto denaro. Per noi era evidente che si trattasse di una figlia naturale avuta con una relazione extra coniugale ma parliamoci chiaro, non eravamo ne delinquenti ne cos disperati da dover fare un gesto simile. E poi se non fosse stato come lavevamo immaginato noi, pensa che figura, ci saremmo beccati una bella denuncia e basta. Lidea migliore fu quella di andare a comperare pane, porchetta e vino, perch tutto quel trambusto ci aveva messo appetito. Lasciammo la cassaforte da quello che compra il ferro vecchio, cos la merenda lavremmo comprata con quella e le lettere finiro in fiamme e cos sia. Venne il tempo di una trasferta vera: Civitavecchia. Se per andare alla Garbatella avremmo volentieri chiesto la trasferta, figuriamoci per questo lavoro, roba da passaporto. Come al solito era gi tutto deciso e, e approfittammo delloccasione per fare conoscenza con questa cittadina. Un luogo che con il suo porto molto rinomato era ed tuttora al centro di traffici marittimi, fatti di merci e passeggeri. In seguito ebbi a conoscerla davvero meglio, per via di molte vacanze passate in Sardegna. A novembre iniziammo i lavori, si trattava naturalmente di impianti di riscaldamento, per questa volta non erano abitazioni civili, ma la Polveriera militare che si trova a met strada tra Civitavecchia e i paesi di Tolfa e Allumiere. Per quanto riguarda il lavoro non trovammo nessun ostacolo tranne il freddo, non potevamo immaginare che in un luogo di mare facesse cos freddo: lavoravamo dentro caseggiati di nuova costruzione insieme ad una squadra di muratori, nel versante della collina rivolto al nord, spirava una tramontana che gelava lacqua e le ossa. I muratori spesso non lavoravano, noi uomini duri si, loro avevano la scusa del gelo che non gli permetteva di impastare la calce. Noi invece con il fatto che usavamo la fiamma ossidrica tenevamo duro. Ma era comunque difficile fare le saldature perch il ferro si freddava alla svelta. Al confine della zona militare cera una vigna, con un vitigno basso, e ad un certo punto cominciammo a chiederci se quel contadino vendesse il vino che produceva. Come al solito toccava a me la

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piccola vedetta lombarda, superare la recinzione e con una certa circospezione, stando attento a non incappare nelle grinfie del cane di turno, il quale si acquatta e ti addenta i polpacci non appena gli capiti a tiro. Trovai il contadino nei pressi della cantina, niente cane, meglio cosi, mi guard con un poco di stupore, gli spiegai il motivo della visita e gli raccontai cosa mi aveva portato l. Acquistai due litri di vino rosso che risult davvero buono, ma fu la nostra rovina, a furia di andare e venire nei giorni successivi avevo tracciato un sentiero tra noi e la cantina del contadino. Una novit in questa attivit la ricordo: usavo per trasportate il vino, una bottiglia di plastica. Da poco erano state messe in commercio, anche questo era il segno del consumismo che avanzava. Non potendo fare avanti e indietro da Roma nella stessa giornata, alloggiavamo quindi in un appartamento, che in estate veniva affittato per la stagione balneare. Per la cena andavamo in un locale vicino al porto, in una di quelle stradine della citt vecchia. Questo ristorante o osteria, non saprei come definirlo, aveva una particolarit: allingresso posto su di un trespolo faceva bella mostra un merlo indiano. Quando entravi non ti si filava di pezza, ma ad ogni cliente che usciva gridava con quanto fiato aveva in corpo sempre la stessa frase: -Mariooo! ha pagato questo?Era una vera e propria attrazione, tanto da far venire gente da fuori per venire a sentirlo. Noi come al solito dovevamo lasciare il segno anche in questa citt e finimmo per fare una delle nostre uscite infelici: il cugino del principale, maniaco per le armi compr una pistola, una calibro ventidue semi automatica, una di quelle pistole con il caricatore a dieci colpi pi uno in canna. Siccome si lavorava anche il sabato mattina, mentre i muratori terminavano il venerd sera, port con se larma, come non bastasse fece una scommessa con suo cugino, il quale affermava che non era una pistola seria. Lo sfid a colpire ad una certa distanza una scala di legno cercando di trapassare i montanti che tengono insieme i pioli, per chi la conosce, si trattava di una scala usata dagli operai del gestore per lenergia elettrica, i montanti sono di un certo spessore.

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Esplose due colpi, effettivamente riusci a trapassare il legno. Peccato che avevano dimenticato che ci trovavamo in una zona militare, e dopo pochi minuti arriv una camionetta con due soldati. Noi negammo tutto, senza prove e con il confine della zona ristretta poco distante, riuscimmo a farla franca. Come al solito non avevamo perso loccasione di dimostrare la nostra superficialit Questo il racconto di alcuni episodi, che hanno caratterizzato la mia vita in quel posto, in quel mondo, che andava piano piano trasformandosi. Il cambiamento era forse inevitabile, come stato inevitabile il mio di cambiamento. Per assicurarmi una crescita professionale e un ritorno economico congruo, ho dovuto cambiare ditta. Tutto questo ha prodotto una migliore posizione nella mia vita, ma ha voluto dire perdere definitivamente il contatto con persone e luoghi davvero belli e irripetibili. Comunque sia, sono stato felice e orgoglioso di aver fatto parte, anche se per poco di quel mondo.

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Cenni storici

Bisogna dire che gli anni a cavallo tra il 1960 e 1970, sono stati di grande fermento in tutti campi da quello politico a quello culturale e sociale. Storicamente il sessantotto ricordato per la cosiddetta rivolta studentesca. Partendo da questo, dobbiamo ricordare che, scioperi e manifestazioni erano gi in atto da diversi anni. Ma nella seconda meta del decennio le contestazioni diventano pi dure, operai elettrici, meccanici, ma anche medici e dipendenti delle poste; tutti a turno scendono in piazza per reclamare i loro diritti. Il culmine di tutto questo si raggiunge alla fine degli anni sessanta, con la rivolta studentesca, e nel sessantanove con lautunno caldo. Non mancano le bombe fatte esplodere contro il ministero della pubblica istruzione e il palazzo di giustizia. Dobbiamo dire, ad onor del vero , che a Roma la tanto attesa crescita andava a rilento, la politica, di centro o di sinistra non aveva dato risposte adeguate ai problemi fondamentali. Ad esempio il traffico sempre pi caotico, la costruzione della metro che andava sempre pi a rilento, fattacci di cronaca e il dilagare sempre pi diffuso della droga (con 400 casi segnalati dallufficio digiene). Questi eventi contribuivano ad alimentare le incertezze e quando poi, a scioperare furono anche i netturbini, il caos fu totale. Qualcuno, in queste condizioni, ha trovato il terreno fertile per mettere in atto veri e propri tentativi di colpo di stato. La strategia della tensione frutto di quellincertezza. Non si parlava apertamente di terrorismo, ma i segnali erano quelli, anche dopo, ed negli anni settanta hanno continuato a proliferare e a colpire. In quel clima di incertezza, Paolo VI, non era convinto di proclamare il giubileo dellanno settantacinque. Unanno santo, una cosa seria, e il decadimento dei valori cristiani, il disinteresse pratico di tanta gente, del mondo moderno in generale, verso espressioni rituali di altri tempi ne sono la prova. E per tutte queste ragioni che non suggerivano di indire questo evento, il papa non era convinto. Ma alla fine il si decise

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e proclam, anche se con riserva, il nuovo anno di rinnovamento e riconciliazione. Ma and a finire, purtroppo, che lanno santo per Roma non fu santo per niente. Una serie di delitti politici profanarono levento, dando ragione al Papa. Ma questa unaltra storia, il cambiamento era in atto, e si stava modificando per sempre, il modo di agire e di pensare di tutti. Si perse a tal punto la serenit e la spensieratezza, tanto che oggi siamo ancora alla ricerca di unidentit ormai perduta per sempre. Prima che tutto questo accadesse, abbiamo avuto ancora il tempo per vivere in un certo modo, fatto di cose semplici, di persone umili, che ti davano la sensazione di trovarti sempre, in ogni posto, a casa tua. La sensazione di sentirsi amici insieme a gente sconosciuta. Il riferimento a questo tempo, unito ai ricordi di unadolescente, trapiantato dalla provincia, hanno dato vita allo scritto che avete appena letto. Semplicemente Franco

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