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Capitolo VI: gli aspetti antropici.

IL PAESAGGIO PRIMA DI ROMA

Il paesaggio non è soltanto l’insieme di luoghi formati dalla territorio. E per territorio intendiamo uno spazio all’interno del
composizione di parti come il rilievo, la vegetazione e l’acqua, quale si esplicano i fattori fisici e umani con una loro peculiarità.
che insieme ne costituiscono gli elementi base1, ma è soprattutto Il primo operare dell’uomo in uno spazio fisico è quello di ri-
la testimonianza della presenza umana sul territorio. conoscere l’ambiente circostante. Il ripetersi poi di gesti primor-
Quindi i luoghi contengono i segni che l’attività antropica ha diali, come il ritrovare i sentieri, le sorgenti, i luoghi di caccia e i
impresso sulla natura: tutto il lavoro di modellazione, di trasfor- ripari in grotta, andranno man mano a far parte della sua memoria
mazione e di appropriazione effettuato dall’uomo per adattarla ai storica. Grazie a questa i gesti diverranno un fatto meccanico e,
propri bisogni. una volta affrancatosi dai gesti, potrà volgere l’attenzione
L’opera di modifica millenaria, condotta dalle popolazioni che all’orientamento territoriale, legato peraltro ai miti delle origini3,
hanno percorso e abitato questa terra, ha avuto bisogno però di potrà appropriarsi l’ambiente che diverrà territorio e soggetto, po-
una presa di coscienza dell’ambiente e, successivamente, di una trà consolidare i riti e le consuetudini, come apportare modifiche
forma di rappresentazione visiva e materiale della “cognizione” di al suo paesaggio.
natura intesa come precisazione dei luoghi2.
Fino al momento in cui il luogo non viene codificato, non av-
viene un’elaborazione dell’ambiente atta a costituire una trasfor- LA NATURA, IL POPOLAMENTO E L’AGRICOLTURA
mazione del paesaggio naturale che conduca alla definizione di
L’area compresa tra lo spartiacque costituito dai Monti Cimini-
Sabatini e la grande ansa del Tevere, nel Pleistocene Inferiore era
profondamente diversa dall’attuale, come abbiamo visto nel capi-
1
Norberg-Schulz C., Genius Loci, paesaggio ambiente architettura. Milano:
1986.
2 3
Turri E., Il paesaggio come teatro. Venezia: 1998. Guidoni E., Architettura primitiva, Milano: 1979.

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tolo II. La definitiva fase di modellazione del territorio per opera valli e bovidi (Bos primigenius), come testimonia un giacimento
dei vulcani era appena iniziata. fossile presso Riano Flaminio.
Durante la lunga era del Quaternario si sono avuti periodi al- Fu in questa fase, con la cessazione dell’attività vulcanica, che
terni di clima freddo (glaciale) e di clima mite (interglaciale) con il territorio trovò un proprio equilibrio da un punto di vista geolo-
temperature anche più calde di quelle attuali (postglaciale). Tali gico. L’abbondanza di selvaggina fu sicuramente sfruttata dai
variazioni climatiche, associate alle trasformazioni geologiche, primi abitatori: da quelli insediatisi lungo la costa tirrenica soprat-
hanno condizionato profondamente le caratteristiche naturali della tutto, ma anche da quelli con sporadici siti lungo il corso del Te-
flora e della fauna. vere.
I rinvenimenti di resti fossili annunciati sin dal secolo scorso in Il raffreddamento del clima in Italia centrale, intorno a 40 mila
alcune zone prossime alla Valle del Tevere, ma anche all’interno anni fa, se da una parte preservò la vita di forme animali come il
della città di Roma, hanno permesso la ricostruzione paleoclima- Mammuthus primigenius, il rinoceronte (Coelodonta antiquitatis)
tica e ambientale della regione4. I resti più antichi indicano, per le e gli stambecchi, dall’altra fece estinguere animali legati alla fo-
caratteristiche della fauna, l’esistenza di un ambiente paleoartico resta, o comunque ad ambienti a clima caldo: vedi l’elefante anti-
ricco di acque, con la presenza di elefanti (Elephas meridionalis), co e l’ippopotamo. La copertura boschiva inoltre si diradò, a tal
ippopotami (Hippopotamus major), il rinoceronte etrusco (Dicer- punto che le aree aperte si ridussero a delle steppe aride e fredde.
horinus etruscus), cavalli e cervidi. Gli animali in cerca di cibo iniziarono migrazioni stagionali
Le modifiche climatiche, avvenute nel corso del Pleistocene lungo percorsi vallivi che dalla pianura tiberina e tirrenica risali-
medio, provocarono un innalzamento della temperatura, col risul- vano verso gli altipiani appenninici. Il nomadismo divenne la ri-
tato di una variazione anche delle specie faunistiche. Variazione sposta dell’uomo alle mutate condizioni ambientali, approntando
che avvenne in due fasi: la prima, con clima mite, fu caratterizza- una serie di basi, lungo i percorsi migratori, che erano delle vere e
ta dalla presenza di foreste e bacini lacustri abitati da un elevato proprie stazioni di caccia costituite da ripari in grotta5.
numero di elefanti (Elephas antiquus e elephas trogontheri), da L’aumento progressivo della temperatura, intorno ai 12–15 mi-
cervi giganti e da ippopotami; la seconda, dapprima con clima la anni fa, portò alla trasformazione del paesaggio: la prateria si
temperato-caldo (60 mila anni fa) e successivamente freddo, ver- coprì di terreni boscati con specie decidue come querce e noccio-
so il Pleistocene superiore, si diversificò per un paesaggio di ba- li; la vegetazione prese ad assumere un aspetto del tutto simile a
cini lacustri dalle acque profonde e di boschi di caducifoglie con quello odierno.
estese radure. Qui, insieme con elefanti e rinoceronti (Dicerhori- Con la fine del Tardiglaciale anche la fauna selvatica cambiò
nus hemitoechus), convivevano cervi, daini, cani, volpi, leoni, ca- fisionomia, diventando simile a quella attuale. Alcune specie,

5
Probabilmente anche le grotte scavate dal Rellini, in prossimità di Civita Ca-
4
Angelelli F., Le Mammalofaune pleistoceniche dei principali giacimenti della stellana e Corchiano, assolvevano a queste funzioni. Incardona A., Le nuove
bassa Valle del Tevere, in Il Tevere un’antica via per il Mediterraneo Catalogo ricerche nelle cavernette e nei ripari dell’Agro Falisco. Atti Soc.Tosc. di
della mostra 21 aprile-29 giugno 1986. Roma: 1986. Scienze Naturali, 76, (I), 1969.

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d’altronde, sia a causa di leggere modifiche climatiche, sia per la nei pressi di Rieti), si trovavano nuclei le cui testimonianze ci in-
successiva e massiccia azione antropica, modificarono il loro a- dicano un precoce sviluppo legato ad attività agricole e di alleva-
reàle di diffusione o si estinsero addirittura. mento (Pienza)9.
Nelle zone umide dei laghi, stagni e paludi trovarono un habi- Questa differenziazione si attenuò nel Neolitico medio quando
tat ottimale varie specie di uccelli come l’oca grigia, l’oca lom- un’economia mista con la compresenza di attività legate
bardella minore e trampolieri (gru, cicogne, aironi, fenicotteri, all’allevamento, alla pastorizia, all’agricoltura e alla caccia, segnò
cavalieri d’Italia), rapaci come il falco di palude e il falco pesca- il primo attestarsi di insediamenti nelle aree interne, in particolare
tore, mammiferi come la lontra, il castoro e il topolino delle ri- lacustri, come il lago di Bolsena e Monte Venere sul lago di Vico.
saie. Qui era più semplice sfruttare tutte le condizioni ambientali di un
Nella foresta igrofila con roveri, frassini e olmi potevano nidi- territorio pianeggiante e ricco di acque10.
ficare il germano reale e il picchio, e abbondavano cinghiali, cervi La pratica di allevamento del bestiame era ancora relativamen-
e caprioli. te primitiva, le forme animali domestiche erano, ad eccezione del
Nelle foreste più fitte e più interne vivevano il gatto selvatico cavallo e dell’asino, simili alle odierne: ovini, caprini, bovini e
(felis sylvestris) e la lince (lynx lynx); in quelle ad alta quota, oltre suini. Questi venivano utilizzati soprattutto come fonte proteica
al cinghiale e al cervo, erano frequenti i tassi, le martore, le faine, ad integrazione della caccia11.
le volpi, i lupi e l’orso bruno (ursus arctos)6. Anche il sistema tecnico-produttivo agricolo fu testimone di
Nel Neolitico medio le tracce archeologiche confermano la una condizione primitiva ma già determinante in un processo di
presenza di insediamenti umani lungo la costa Tirrenica e lungo modifica delle strutture del paesaggio. Il sistema di coltivazione a
le valli fluviali che in essa sboccano direttamente come quella del campi liberi (prearatorio), fondato sul debbio, presupponeva an-
Fiora e quella del Mignone7. Tracce di insediamenti sul Tevere
sono invece rare8. 9
Potter W.T., Storia del paesaggio…, op. cit..
Fu una fase questa dove l’economia dei nuclei tribali si mani- 10
Fugazzola Delpino M.A., Le acque interne... op.cit.
11
festò molto differenziata da località a località. Accanto a gruppi Per importanza spiccano le forme ovicaprine che non sembrano state addo-
che praticavano ancora ed esclusivamente la caccia (Valle Ottara mesticate in loco ma provengono dall’area asiatica sudoccidentale dove, già
dal 10°-9° millennio, era presente questa pratica di allevamento. Nel Lazio la
dimensione delle pecore è mediamente più piccola rispetto all’Italia settentrio-
6
Caloi L., Palombo M.R., Romei C., La fauna e l’allevamento, in Etruria Me- nale e comunque, in entrambi i casi, non sembra sia stata introdotta la razza
ridionale conoscenza, conservazione, fruizione. Atti del Convegno di Viterbo “da carne” di taglia maggiore presente già in Europa dal III millennio. Anche
29/30 novembre-1 dicembre 1985. Roma: 1988. per i bovidi, comparsi in cattività in Tessaglia intorno al 7° millennio, si predi-
7
Fugazzola Delpino M.A., Le acque interne: appunti di archeologia preistori- ligono quelli di taglia più piccola fino all’età del Bronzo. La forma animale
ca, in Etruria Meridionale conoscenza, conservazione, fruizione. Atti del Con- probabilmente addomesticata in loco, sia per il difficile trasporto sia perché
vegno di Viterbo 29/30 novembre-1 dicembre 1985. Roma: 1988. abbondantemente presente, è stata il suino (sus scrofa). Nelle aree dove preva-
8
Angle M., Guidi A., Petitti P., Zarattini A., La Valle del Tevere in età pre e leva la pastorizia e quindi dove era più facile trovare delle prede era comune il
protostorica, in: Il Tevere un’antica via per il Mediterraneo, catalogo della capovaccaio (neophron percnopterus). Caloi L., Palombo M.R., Romei C., La
mostra 21 aprile-29 giugno 1986. Roma: 1986. fauna..., op. cit.

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cora uno spostamento delle comunità, anche se molto limitato. Il Probabilmente fu in questo momento che nelle comunità si in-
debbio, basato su piccoli appezzamenti dagli incerti contorni, nescò il meccanismo di riconoscibilità del luogo e di conseguenza
prodotti casualmente dall’irregolare allargarsi del fuoco e sui qua- il processo di ri-creazione continua del paesaggio. Ciò non solo a
li si interveniva con la vanga o la zappa, era destinato produtti- fini produttivi ma anche come presa di possesso del territorio at-
vamente a durare due o tre anni. La comunità era costretta succes- traverso la codificazione di percorsi lungo i quali, in breve tempo,
sivamente a spostamenti continui, anche se limitati. I campi ab- si attesteranno siti stabili dotati di proprie caratteristiche urbani-
bandonati venivano, dopo alcuni anni, riutilizzati con ulteriori stiche. Iniziava il processo di trasformazione della natura in un
passaggi del fuoco, creando così un’alternanza nel disegno del paesaggio culturale13. I percorsi di transumanza, battuti dagli ar-
paesaggio che doveva, anche se in limitate e circoscritte aree, mo- menti, divenivano i primi segni stabili nel paesaggio: tali itinerari
strarsi cosparso di macchie informi al centro dei boschi12. risalivano le valli fluviali verso l’Appennino allo scopo di evitare
i guadi14.
Tale sistema comporterà il passaggio da un regime di nomadi-
smo o di transumanza più o meno disordinato, a un regime di al-
peggio regolato, che si sviluppava e organizzava ancora più sta-
bilmente già nella prima età del Bronzo.
Intorno al XV secolo a.C. la vegetazione che si presentava in
pianura consisteva in un esteso manto di sugheri, lecci, roverelle,
tigli e aceri; integrato da frassini, ornielli, carpini bianchi e cor-
nioli. La pianura tiberina era caratterizzata da pioppi (alba, tremu-
la, nigra, italica) salici e ontani con radure e prati di erbe igrofile
come graminacee (festuca, avena). Un ambiente particolare dove-
va essere quello dei monti Cimini e Sabatini in cui erano svilup-
pati castagneti e faggeti con la presenza di frassino, orniello, oli-
vastro, alaterno, lentisco, erica, corbezzolo, pruni e peri selvatici,
agrifoglio, ginestre, alloro, pungitopo e asparago15.

13
Norberg-Schulz C., Genius Loci, ... op. cit.
14
Fig. 1. Il paesaggio del debbio. Cataldi G., La viabilità dell’Alto Lazio dalle origini alla crisi dell’Impero
Romano, in Quaderni dell’Istituto di Ricerca Urbanologica e Tecnica della
Pianificazione, 4. Roma: 1966-1970.
12 15
Sereni E., Città e campagna nell’Italia preromana, in Studi sulla città anti- Casoria G., La flora e le risorse agricole, in Etruria Meridionale conoscen-
ca. Atti del convegno di studi sulla città Etrusca e Italica preromana. Bologna: za, conservazione, fruizione. Atti del Convegno di Viterbo 29/30 novembre-1
1970. dicembre 1985. Roma: 1988.

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Con l’intensificarsi dell’allevamento si scoprì la funzione rivi- l’agricoltura aratoria. Questo sistema però, per tutta la durata del
talizzante del letame animale e questo contribuì gradualmente alla Bronzo, rimase ancora precario, e così i campi il più delle volte
scomparsa del sistema del debbio. Per conseguenza le comunità venivano abbandonati o sfruttati a pascolo19.
andarono ad attestarsi in siti relativamente stabili, generalmente Le caratteristiche del popolamento nel Bronzo medio e finale
su promontori in ottima posizione strategica alla confluenza di cambiarono radicalmente. La pressione demografica determinò un
due valli fluviali. Gli insediamenti dovevano essere collegati al più accentuato sfruttamento di tutte le risorse ambientali. Vi fu
crinale principale, l’antico percorso di transumanza, tramite un una diminuzione generale degli ovicaprini, probabilmente a causa
crinale di derivazione16. dello spostamento definitivo di comunità di pastori verso le zone
Fu questa la fase che in Italia è stata definita appenninica in montane e più interne a seguito della riduzione di aree di pascolo
quanto fondata su un’economia di transumanza specializzata: le a favore di coltivi. Si registrò invece un incremento
comunità divenivano più numerose in pianura e i siti erano colle- nell’allevamento di bovini e suini, come la riduzione (in alcuni
gati stagionalmente a percorsi verso gli alpeggi. Lungo questi casi l’assenza) della pratica della caccia. Un forte sviluppo lo eb-
sentieri probabilmente si trovavano delle stazioni notturne di so- be anche l’agricoltura con un incremento qualitativo e quantitati-
sta. Nelle valli fluviali del Tevere, Cremera, Treia e Rio Fratta, vo di graminacee e leguminose20.
sono stati individuati circa 20 dei suddetti siti. I percorsi dal Te- Tra la metà del XII e la fine del X secolo a.C., la distribuzione
vere per la Valle del Nera giungevano ai pascoli montani nei degli insediamenti passava da una localizzazione generalmente in
pressi di Terni.17 In alcuni casi non tutta la comunità affrontava luoghi aperti e in prossimità dei fiumi, a delle posizioni natural-
gli spostamenti stagionali: in pianura esistevano dei siti stabili mente fortificate e meglio difese21: i tavolati tufacei, le alture col-
dove l’attività prevalente era quella agricola e della caccia, in at- linari dei monti Cimini e Sabatini (Monte Sant’Angelo) e le aree
tesa del ritorno invernale degli armenti18. pianeggianti in prossimità della costa tirrenica e delle rive lacustri
Per quanto nei sistemi di coltivazione fosse ancora presente la (Bracciano, Martignano e Baccano)22.
tecnica prearatoria (debbio, sistema a campi ed erba), iniziava la La distribuzione territoriale si sviluppava in modo vario, a se-
sua comparsa, con l’impiego di aratri più o meno rudimentali, conda dei tipi di paesaggio agrario e delle condizioni ambientali:
pianoro tufaceo, collina vulcanica, pianura marina e lacustre, altu-
16
Cataldi G., La viabilità dell’Alto Lazio ... op. cit.
re sul Fiume Tevere. Anche se il modello insediativo non poteva
17
Potter W.T., Storia del paesaggio... op. cit. evidentemente essere unico, è possibile trovare delle analogie
18
Gli scavi effettuati a Narce, nei pressi di Calcata, sulla Valle del Treia, po- comuni. In primo luogo gli insediamenti erano frazionati in picco-
trebbero confermare questa tesi. Il sito era di carattere permanente dove veniva li abitati, ma soltanto quelli situati sui pianori più grandi, per mo-
praticata l’agricoltura (cereali), in minor parte la caccia e la pesca e soprattutto
l’allevamento del bestiame: bovini, suini e ovicaprini, di queste forme soltanto
19
i suini erano allevati prevalentemente per la carne mentre i bovini venivano Sereni E., Città e campagna ... op. cit.
20
utilizzati per l’aratura e per il letame. La parte maggiore dei resti è attribuita Caloi L., Palombo M.R., Romei C., La fauna... op. cit.
21
agli ovicaprini, utilizzati, quasi esclusivamente, per la produzione di formaggi De Lucia Brolli A.M., L’Agro Falisco. Roma: 1991.
22
e di lana. Ibidem. Fugazzola Delpino M.A., Le acque interne... op.cit.

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tivi di maggior difesa e controllo strategico del territorio, poteva- Vignale, che con i suoi 13 ettari, è il più vasto sito protovillano-
no costituire una sorta di centro tribale23, ma senza vere e proprie viano tra quelli individuati in Etruria Meridionale24.
caratteristiche di egemonia politica. A questa fioritura economica corrispondeva anche una suddi-
La caratteristica comune di tutti i centri di questo periodo fu la visione etnica di popolazioni che, già dall’età del Ferro, si presen-
scelta e la definizione di uno spazio unitario, conchiuso e protetto tavano distinte attorno al Fiume Tevere: Etruschi, Falisci e Cape-
da recinzioni o difese naturali: tipologia questa segno di una con- nati sulla sponda destra; Latini, Sabini e Umbri più a nord sulla
dizione sociale diversa che si riflette soprattutto sulla costruzione sponda sinistra. Il fiume assunse importanza come via di comuni-
collettiva dell’opera di difesa. cazione per il commercio attraverso l’Italia centrale, con possibi-
Ma è al passaggio del I millennio a.C. che si determinava lità di diramazioni laterali, grazie ai suoi affluenti, sia verso
un’ulteriore sconvolgimento nel sistema insediativo e negli equi- l’entroterra che verso il nord25. Anche il sistema di insediamento
libri territoriali dell’Etruria Meridionale. Tale modifica derivava lungo la grande ansa fluviale tiberina testimonia un’occupazione
da un aumento consistente della popolazione con una conseguente più complessa con siti distribuiti in modo regolare e che rispetta-
e diversa utilizzazione del suolo: si adottava il sistema del magge- vano una “gerarchia” tra centri protourbani, villaggi medi e abitati
se biennale (o sistema dei due campi), che iniziava ad allargarsi modesti.26 A differenza del periodo precedente, dove i siti si tro-
su territori sempre più vasti, permettendo una produzione control- vavano sul fondovalle e sulle prime colline prospicienti il fiume
lata e stabile tramite il riposo annuale di una parte del terreno a- in posizione avanzata, traendo da esso tutti i vantaggi, in questa
gricolo. Attorno ai siti maggiori si creavano nelle campagne nu- fase la concentrazione protourbana degli insediamenti costrinse a
merose aziende rurali in diretta comunicazione con il centro prin- un arretramento delle postazioni fluviali: l’esplosione demografi-
cipale. Da un sistema insediativo polinucleare, dove i siti erano ca e agricola richiedeva terre estese e bene asciutte. Sul fiume re-
distribuiti senza particolari gerarchie lungo le principali vie di stavano le posizioni di controllo agli approdi e ai guadi, in comu-
comunicazione naturali, si passava a una concentrazione degli in- nicazione diretta con il centro principale27. Il fiume, a seguito del
sediamenti e a un modello mononucleare verso il quale conver-
gono tutte le attività. Tale modello si diffondeva anche oltre il 24
Tevere, in Sabina e nell’area laziale propriamente detta, dove la Ibidem.
25
De Lucia Brolli A.M., Il territorio sulla sponda destra del Tevere dall’età
maggioranza dei siti aveva un’estensione di quattro o cinque etta- del ferro all’epoca romana, in: Il Tevere un’antica via per il Mediterraneo.
ri, più di cento abitanti e il controllo del territorio per una qualche Catalogo della mostra 21 aprile-29 giugno 1986. Roma: 1986.
decina di kmq. Tra questi troviamo Torre dell’Isola di due ettari e 26
Angle M., Guidi A., Petitti P., Zarattini A., La Valle del Tevere... op. cit.
27
Non a caso le maggiori città della regione tiberina (Veio, Capena, Falerii,
Ferento, Orvieto) sorgono ad una certa distanza dal fiume, in posizioni baricen-
triche di estesi territori e che guardano al Tevere come confine. Colonna G., Il
23
Di Gennaro F., Il popolamento dell’Etruria Meridionale e le caratteristiche Tevere e gli Etruschi, in Quaderni del Centro di Studio per l’Archeologia E-
degli insediamenti tra l’età del Bronzo e l’età del Ferro, in Etruria Meridiona- trusco-Italica, 12, 1986. Quilici Gigli S., Scali e traghetti sul Tevere in epoca
le conoscenza, conservazione, fruizione, Atti del Convegno di Viterbo 29/30 arcaica, in Quaderni del Centro di Studio per l’Archeologia Etrusco-Italica,
novembre-1 dicembre 1985. Roma: 1988. 12, 1986.

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processo di appropriazione territoriale, diventava quindi un segno L’espansione demografica e l’allargamento delle superfici col-
naturale riconosciuto come limite, ma anche come delimitazione tivate furono rese possibili dalla diffusione ormai in tutta l’Etruria
di uno spazio paesaggistico, dove termina un luogo e inizia un del sistema dei due campi, testimoniato dal prevalere dei cereali
percorso. superiori (frumento) su quelli inferiori (farro e miglio utilizzati
Nella regione il periodo villanoviano vide la nascita dei grandi nel sistema del debbio).
insediamenti urbani che occupavano superfici anche superiori ai La trasformazione del paesaggio tramite la modifica delle
cento ettari e controllavano territori di mille-duemila kmq.28. strutture territoriali e tecnico-produttive sarebbe divenuta inarre-
Nell’area falisca si individuavano due tipologie territoriali distin- stabile già dall’VIII secolo a.C. a seguito dei progressi del mag-
te: una tipicamente villanoviana facente capo a Veio, l’altra se- gese biennale. Il disegno del paesaggio agrario, dapprima una tes-
guiva invece una continuità insediativa individuata nell’area di situra a chiazze non nettamente delimitate da pascoli, radure e ce-
Falerii. spuglieti secondo il sistema a campi liberi, veniva ridelineato dal
Veio controllava un territorio dove gli abitati, esclusivamente lavoro dell’aratro e dal maggese biennale (Fig. 2). Aratro e mag-
agricoli (circa 100 identificati), erano distribuiti in modo radio- gese impressero una tessitura ortogonale determinata dai percorsi
centrico verso il nucleo principale e non presentavano traccia di rettilinei del vomere e sottolineata, più tardi, dalle prime piantate
fortificazioni. Si suppone quindi un sistema dove la popolazione (vite nel VII-VI secolo e olivo nel VI). Queste forme, associate
viveva in insediamenti unifamiliari sparsi sui propri campi, mo- alle opere di irrigazione e drenaggio e con la viabilità interpodera-
dello questo ripreso, come vedremo, dai romani. le, avrebbero in seguito costituito le fondamentali unità metriche
Questo fenomeno, tipico dei centri etruschi, non sembrò verifi- di delimitazione del terreno connesse anche a scelte urbanistiche e
carsi per l’area falisca, laddove si assistette a un continuum di codificate dai romani30.
frequentazione dei siti fortificati del Bronzo finale anche nel vil- Lo sviluppo dell’agricoltura introdusse l’uso di sistemi di dre-
lanoviano. Pur essendo Falerii la capitale riconosciuta, il territorio naggio delle acque meteoriche. Nell’Agro Falisco il sistema era
era comunque occupato da numerose città e villaggi: Nepi, Sutri, costituito di cunicoli, veri e propri condotti orizzontali scavati nel
Corchiano, Gallese e altre comunità minori come Grotta Porciosa tufo con fondo piatto e tetto concavo, dalle dimensioni sufficienti
(nei pressi di Borghetto), Ponte del Ponte (a nord-ovest di Cor- per accogliere un uomo per lo scavo e per la manutenzione. I cu-
chiano) e Torre dell’Isola (a nord di Nepi). Tutti insediamenti si-
tuati in posizioni strategiche e rinserrati all’interno di fortificazio- 30
“È così, ad esempio, che l’heredium è unità paesaggistica (e proprietaria) a
ni29. struttura ortogonale (più particolarmente, anzi quadrata), risultante dalla giu-
stapposizione di due campi (destinati, alternativamente, alla coltura e al ripo-
so), ciascuno dei quali ha le dimensioni di un jugerum: di un rettangolo, cioè,
due volte più lungo che largo (1 x 2 actus), la cui metrica è pertanto sempre
28
Di Gennaro F., Il popolamento dell’Etruria Meridionale ... op. cit. riferibile alla lunghezza del solco, che un paio di buoi è capace di tracciare
29
Ward-Perkins J.B., Città e pagus: considerazioni sull’organizzazione primi- d’un sol tratto. Un quadrato di 20 x 20 actus, del pari, è quello che esprime la
tiva della città nell’Italia centrale, in Studi sulla città antica. Atti del convegno struttura e la metrica della centuria, l’unità di colonizzazione romana...” Sereni
di studi sulla città Etrusca e Italica preromana. Bologna: 1970. E., Città e campagna ... op. cit.

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nicoli, collegati con l’esterno da un sistema di pozzi verticali di- ta anche di fonti latine laddove vengono menzionate le bianche
stanti tra loro 30 metri circa, venivano tracciati in modo da con- giovenche della regione falisca33, indizio questo dell’uso di una
vogliare dagli avvallamenti sui pianori verso le forre le acque me- pratica selettiva. Sempre nello stesso periodo ebbero un sensibile
teoriche31 (Fig. 3). incremento i suini, mentre l’allevamento degli ovicaprini subì un
calo, ciò anche se l’attività casearia non smise di essere conside-
revole34.

Fig. 3. I cunicoli di drenaggio delle acque.

Un elemento particolare del paesaggio agrario dell’Etruria fu


la diffusione della coltivazione della vite, allevata su lunghi tralci
Fig. 2. Il pasaggio dell’aratro e del maggese biennale. che si appoggiavano a dei sostegni vivi. Si trattava di un sistema
diverso da quello ad alberello basso o a palo secco utilizzato nella
In età orientalizzante e arcaica, attraverso pratiche selettive e Magna Grecia. Il primo sistema di coltivazione evitava il contatto
più orientate, si introdussero nell’allevamento animali da cortile dei tralci con i terreni umidi e permetteva una coltura promiscua
quali i columbidi, i fasanidi, gli anatidi (mancavano i leporidi), con i cereali. Esso altresì, con la vite maritata a sostegni vivi quali
come animali importati dall’oriente quali il cavallo, il gallo e il olmi, aceri, querce e pioppi, introdusse ulteriori segni lineari nel
gatto).32 I bovini avevano una mole notevole e grandi corna, a det- paesaggio35 (Fig. 4).

31 33
Casoria G., La flora e le risorse ... op. cit. Cascianelli M., Gli Etruschi e le “... Ducuntur niveae, populo plaudente, iuvencae, quas aluit campis herba
acque. Roma: 1991. falisca suis ...”, Ovidio, Amores III 13, 13.
32 34
Azzaroli A., Il cavallo domestico in Italia dall’Età del Bronzo agli Etruschi, Caloi L., Palombo M.R., Romei C., La fauna... op. cit.
35
in Studi Etruschi, vol.XV, (serie II). Firenze: 1972. Sereni E., Storia del paesaggio agrario italiano, Bari: 1979.

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Poco si conosce dell’organizzazione agricola praticata dalle
popolazioni su questi territori. È plausibile un parallelo con le no-
tizie che ci provengono sull’organizzazione Etrusca tramite gli
autori latini. La terra doveva essere coltivata sia da lavoratori se-
miliberi che da piccoli proprietari e contadini liberi. Grazie a que-
ste forme di conduzione le coltivazioni furono incrementate, ma
l’avvento della grande proprietà terriera e l’istituto della schiavi-
tù, spinto alle estreme conseguenze, ne decretarono una forte fles-
sione.
Lo sviluppo e la selezione delle varietà vegetali portò a una di-
screta molteplicità di produzioni. La coltivazione dei cereali era
abbastanza sviluppata, anche se non raggiungeva i nove quintali
per ettaro. Le specie e le varietà erano il farro, la spelta, il grano
tenero, l’orzo, l’avena, il panico, il miglio e la segale. A Falerii e
Fig. 4. Vite maritata a sostegno vivo nei pressi di Orte. a Tarquinia era fiorente la coltivazione del lino. Per la frutta tro-
viamo il melo, il pero, il fico e il melograno; tra gli ortaggi le fa-
ve, i piselli, la veccia, le lenticchie, i ceci, i lupini, la cicerchia, le
cipolle, l’aglio, le carote, le rape, i cavoli e i finocchi36.
Fin verso il IV secolo a.C. continuò l’aumento demografico,
come l’espansione delle terre coltivabili e la formazione di nume-
rosi altri siti dispersi nella campagna. A tutto ciò si sarebbe asso-
ciata un’imponente espansione commerciale con la creazione di
porti e guadi sul Tevere e con la fioritura culturale ed economica
sia di Falerii che di altri centri più settentrionali come Corchiano
e Vignanello37. A questo processo si accompagnò la contempora-
nea fortificazione dei centri maggiori in conseguenza
dell’espansionismo di Roma. Questa già nel 435-416 a.C. aveva

36
Casoria G., La flora e le risorse ... op. cit..
37
Secondo il Potter i siti dal VI secolo al IV passano, nell’Agro Falisco, da 72
Fig. 5. “Le bianche giovenche”. a 104 anche se vi è una tendenza all’agglomerarsi nei dintorni dei centri prin-
cipali e l’abbandono di quelli più marginali e più vulnerabili. Potter W.T., Sto-
ria del paesaggio ... op. cit.

75
conquistato Fidene. Ciò avrebbe favorito tra il 402 e il 395 vano inoltre scavati profondi fossati artificiali anch’essi rafforzati
l’alleanza tra falisci, capenati e veienti in funzione antiromana. da mura. L’acropoli, dove erano presenti le più antiche tracce di
Dopo alterne vicende e una serie di guerre, Roma nel 241 a.C. a- insediamento, appariva di solito isolata e collegata con ponti o i-
vrebbe conquistato definitivamente il territorio falisco. stmi. Le necropoli, di varia fattura, erano disposte ad anello intor-
no alla città39.
Falerii costituiva un ottimo esempio di questa tipologia inse-
LA CITTÀ diativa. Il nucleo più antico appariva quello collegato con una via
istmica sul pianoro di Vignale (le prime tracce risalgono al Bron-
Tra la metà del XII secolo a.C. e la fine del X, si consolidò la zo finale40) dove si sarebbe costituita l’acropoli. In seguito
tendenza già in atto di formazione dei nuclei urbani con lo sfrut- l’abitato si sarebbe spostato sull’altopiano di Civita Castellana
tamento delle eccezionali condizioni morfologiche del territorio. (VIII-VII secolo a.C.).
I siti prescelti si collocavano sulla sommità di pianori tufacei, L’abitato di Falerii, con una superficie di circa 30 ettari, era
alla confluenza di due corsi d’acqua, generalmente perenni, dove posizionato strategicamente sul territorio e collegato al pianoro
le pareti dell’altura erano più ripide e inaccessibili. verso occidente. Tale collegamento era interrotto dal fossato arti-
È stupefacente come gli insediamenti si adattavano armonio- ficiale che ancora oggi si può notare sotto la rocca Borgiana41. Al-
samente alle caratteristiche geomorfologiche. L’arroccarsi in cima tre strutture di difesa, realizzate intorno al V secolo a.C., proba-
agli speroni tufacei, protesi verso le valli sottostanti, significava bilmente con l’inizio delle ostilità nei confronti di Roma, erano i
aver raggiunto una profonda coscienza dell’ambiente circostante, tratti di mura in opera quadrata in tufo42 creati a rafforzare il pe-
tanto da riprodurre anche negli insediamenti le caratteristiche del rimetro urbano nei punti più deboli o comunque meno livellati.
paesaggio (la forma a fuso/pianoro, il vallum/forra, le fortifica- Le necropoli erano disposte tutte intorno all’abitato al quale erano
zioni/parete, le sepolture rupestri/grotte). collegate tramite strade e tagliate viarie (Fig.6).
La particolarità fondamentale nella città fu la concentrazione-
recinzione e il collegamento interno-esterno tramite la porta prin-
cipale attraverso la quale si materializzava l’asse longitudinale del
crinale. E fu sul rapporto centro-asse che si articolarono tutti gli
insediamenti del territorio38. 39
Schmiedt G., Il contributo della fotografia aerea alla ricostruzione
L’asse longitudinale era generatore di tutta l’area urbana e su dell’urbanistica della città italica ed Etrusca preromana, in Studi sulla città
di esso, in perpendicolare, dovevano attestarsi gli isolati. Il peri- antica. Atti del convegno di studi sulla città Etrusca e Italica preromana. Bolo-
metro, già difeso naturalmente, veniva rafforzato con muri in ope- gna: 1970.
40
Di Gennaro F., Il popolamento dell’Etruria Meridionale ... op. cit.
ra quadrata, mentre nel lato meno protetto (in corrispondenza del 41
Moscati P., Nuove ricerche su Falerii Veteres, in La Civiltà del Falisci. Atti
passaggio interno-esterno) veniva collegato con il pianoro. Veni- del XV Convegno di Studi Etruschi e Italici, Civita Castellana 28-31 maggio
1987. Firenze: 1990.
38 42
Norberg-Schulz C., Genius Loci, ... op. cit. De Lucia Brolli A.M., L’Agro... op. cit.

76
Fig. 6. L’abitato di Falerii Veteres

77
LA VIABILITÀ PREROMANA COME sentieri sfruttavano le condizioni orografiche adattandosi ai crina-
li. Ciò per evitare, ove possibile, i guadi fluviali (Fig.7).
ESPERIENZA PAESAGGISTICA Con l’aumento demografico e lo stabilizzarsi degli insedia-
menti, fu organizzata una fitta rete di percorsi, anche se limitati,
I primi percorsi sul territorio erano delineati dalla necessità dei
per congiungere gli abitati con le fertili campagne circostanti. I
cacciatori di seguire stagionalmente i branchi di animali selvatici
percorsi più lunghi che collegavano i siti principali seguivano
nei loro spostamenti dalla pianura pliocenica verso le alture
prevalentemente i fondovalle. Quello della Valle del Treia con-
dell’Appennino. Tali movimenti, non ancora codificati e quindi
giungeva al Tevere i maggiori centri falisci di Narce e di Falerii.
non derivanti da tracciati permanenti nel paesaggio, dovevano es-
C’è da dire che gli itinerari di allora erano facilitati da un clima
sere orientati da punti di riferimento territoriali che costituivano
più asciutto dell’attuale. La scarsità di alluvioni fluviali rendeva
una delle categorie di segni principali nella percezione
la percorrenza più sicura per quasi tutto l’anno44.
dell’ambiente.
Gli elementi primari d’orientamento erano (ma lo sono tuttora)
costituiti dai rilievi orografici come il monte Soratte, la catena
appenninica e le alture vulcaniche dei Cimini e dei Sabatini. Le
loro presenze determinavano stati attenzionali sia visivi che psi-
cologici, ciò in quanto confini visivi del plateau vulcanico e,
spesso, mete dei percorsi. E furono proprio gli elementi percettivi
tutt’intorno che consentirono ai primi abitanti di stabilire una po-
sizione e una direzione in un’area dove i segni naturali (torrenti,
boschi, forre) non avevano ancora assunto una propria differen-
ziazione visiva nel tessuto del paesaggio. Gli elementi naturali di-
vennero a loro volta punti di riferimento, e non più sfondo soltan-
to, nel momento in cui, grazie a un processo di modifica del terri-
torio, presero a emergere come figure. In tal modo assunsero un
valore simbolico comune a una cultura e a una popolazione.
Fu proprio con la pratica della transumanza che la migrazione
stagionale si perfezionò. Piste che percorrevano le valli fluviali
del Treia e del Rio Fratta, risalendo il Tevere fino alla confluenza Fig. 7. Le piste di transumanza (da Potter)
del Nera, permettevano di raggiungere i pascoli estivi dei monti
Sibillini, del Velino e del Gran Sasso43. Con molta probabilità i

43 44
Potter W.T., Storia del paesaggio... op. cit. Fugazzola Delpino M.A., Le acque interne... op.cit.

78
Seguire un percorso di fondovalle significava stare al di sotto La costituzione di sistemi territoriali basati sui crinali, con le
del mondo circostante: la percezione tutt’intorno era fortemente città situate alle testate dei promontori e collegate direttamente
condizionata dal limitato campo di visibilità, chiuso su ogni lato con i guadi fluviali, portava all’utilizzo sia di quei percorsi che
dalle pareti tufacee erose dal meandro fluviale. Il cambio di livel- stavano alla sommità degli altopiani tufacei, sia del grande per-
lo, tra la sommità dei pianori e il fondo della forra, suscitava una corso di crinale della Via Flaminia. Quest’ultimo costituiva il col-
sensazione di intimità e di protezione. Si creava una sorta di per- legamento con il guado fluviale di Fidene. L’utilizzo dei percorsi
corso protetto in stretto rapporto con gli elementi naturali: acqua, di crinale consentiva di congiungere i crateri vulcanici con la Val-
luce e vegetazione. Il verso di scorrimento del fiume assumeva le del Tevere per via delle strette lingue tufacee delimitate dai
valore di direzione in un luogo che, per le sue caratteristiche (as- fiumi e perciò senza bisogno di guado. Il tutto creava una nuova
senza di orizzonte e di riferimenti territoriali), poteva indurre a un direzionalità antipeninsulare46. Tali direzioni, adeguate al sistema
senso di disorientamento (Fig.8). orografico, sarebbero state funzionali ai nuovi contatti tra il Tir-
Le modifiche del clima, in senso più umido, verificatesi dal reno e il centro della penisola, basandosi sulla grande via di co-
XVII fino all’VIII-VII sec. a.C., portarono all’innalzamento del municazione naturale costituita dalla Valle Tiberina.
livello delle acque45 e quindi alla necessaria realizzazione di stra- L’uso dei percorsi di crinale rappresentò anche il raggiungi-
de alternative ai fondovalle. mento di un completo controllo del territorio: percorrere il crinale
voleva dire essere al di sopra, il cambio di livello dava una sensa-
zione di superiorità e dominio anche se non di protezione. Percet-
tivamente la linea dell’orizzonte era più bassa dell’osservatore e il
campo visivo lungo permetteva di avere la sicurezza dei riferi-
menti territoriali (Fig. 9).
A partire dal VII secolo a.C. l’enorme sviluppo dei commerci e
l’aumento proporzionale dei trasporti su ruote condussero a una
modifica radicale del sistema delle comunicazioni. Ciò consentì il
collegamento tra centri di testata con i rispettivi antipolari dei
versanti opposti.
L’esigenza di percorsi più veloci e agevoli, richiesta dagli im-
mensi mercati che coinvolgevano i centri sulla costa tirrenica con
quelli tiberini, sviluppò nuove capacità ingegneristiche applicate
alla costruzione delle strade.
La necessità di contatti commerciali e politici fra i maggiori
Fig. 8. Percorso di fondovalle. centri dell’Etruria pose il problema dell’attraversamento di un ter-
45 46
Ibidem. Cataldi G., La viabilità dell’Alto Lazio... op. cit.

79
ritorio “difficile” dal punto di vista morfologico, quale era quello La caratteristica delle strade cave era quella di avere un anda-
falisco. I lunghi percorsi di scavalcamento si servirono perciò si- mento più o meno curvilineo, al fine di mantenere durante il per-
stematicamente di tagliate viarie (vie cave) e di ponti, per realiz- corso pendenze costanti che oscillavano a seconda delle vie dal-
zare l’opera di saldatura tra i percorsi di crinale e di fondovalle. l'11 al 18%. Un andamento rettilineo, infatti, avrebbe comportato
un’eccessiva inclinazione della sede stradale Tale sistema, nel ca-
so della Fantibassi, permetteva di affrontare un dislivello del ter-
reno dai 30 ai 40 metri circa, tra la sommità del pianoro e il fon-
dovalle, con una lunghezza in trincea di 190 metri. Le tagliate
viarie generalmente avevano una sezione a bottiglia che consenti-
va di riparare la sede stradale anche per mezzo di canali di scolo
delle acque ricavati sulle pareti. La larghezza variava da due a tre
metri e mezzo e la pavimentazione presentava solitamente dei si-
stemi di smaltimento dalle acque piovane (canalette laterali o cen-
trali, marciapiedi).
Le vie cave sono testimoni ancora oggi della coscienza territo-
riale raggiunta dalle popolazioni preromane attraverso il concetto
di ri-creazione del paesaggio, le cui necessarie trasformazioni
comportavano il dover fare i conti dapprima con le sfavorevoli
condizioni del territorio. Tra le tipologie stradali preromane la ta-
Fig. 9. Percorso di crinale. gliata era quella che in maggior misura suscitava delle sensazioni
legate al cinetismo dell’osservatore. Avendo in primo luogo la
funzione di tramite fra due livelli (altipiano-forra), la tagliata co-
La tagliata era il sistema più economico per mantenere un per- stituiva il passaggio tra l’ombra della forra e la luce del pianoro.
corso viario a una quota costante quando si trovava ad affrontare Chi percorreva la tagliata viaria stava "al di dentro" del masso tu-
una depressione del suolo. Nei pressi del percorso romano della faceo e gli aspetti percettivi erano condizionati da un campo visi-
Via Amerina se ne trovano vari esempi: l’area denominata i Ca- vo corto e poco illuminato. Le sensazioni di mistero lungo il per-
voni a sud di Nepi, la Via Cava di Fantibassi a circa tre km ad o- corso e di sorpresa alla fine dello stesso, costituivano una delle
vest di Civita Castellana, le vie cave di sant’Egidio e della Canna- più interessanti esperienze psico-percettive che il territorio pre-
ra nei pressi di Corchiano47. romano poteva offrire (Fig.10).

47
Per una descrizione esauriente e dettagliata del sistema costruttivo delle vie del territorio falisco, in: La Civiltà dei Falisci, atti del XV convegno di Studi
cave nel territorio falisco: Quilici L., La cava buia di Fantibassi e le vie cave Etruschi e Italici, Civita Castellana 28-31 maggio 1987. Firenze: 1990.

80
Fig. 10. La tagliata
Fig. 11. Percorso di fondovalle sul Rio Maggiore.

Fig. 12. Schema dei percorsi.

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