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INDICE

1. Il signore delle diecimila nature 2. La decapitazione 3. Verit e armi 4. Pella 5. La missione del Lagide 6. Gesti regali 7. Il crepuscolo del cantore 8. Il medico e l'amuleto 9. In mezzo alle correnti 10. I fuochi di Persepoli

11. Il giocatore d'Occidente 12. Ambascerie dai confini del mondo 13. Il tempio degli di morti 14. Fine e cenere APPENDICE GLOSSARIO PERSONAGGI CRONOLOGIA

Gisbert Haefs ALESSANDRO IN ASIA


Marco Tropea - 2002. Traduzione di Giuseppe Cospito.

1. Il signore delle diecimila nature.

Il mattino era fresco e luminoso; dal cortile interno, attraverso la porta e la finestra, giungevano il russare della vecchia schiava, l'odore del sale e dell'erba umida di rugiada, il battito d'ala degli uccelli pi grandi e il canto armonioso di quelli pi piccoli. Senza parlare Pythias chiese aiuto a Peukestas, che avanz fino al centro della stanza e intrecci le mani. La giovane vi sal e, tenendosi per un istante al capo del macedone, allung le braccia verso il soffitto. Aveva le piante dei piedi dure e screpolate. Aristotele segu con gli occhi la figlia mentre apriva i lucernari. L'anta di legno cigol sui cardini e si abbatt rumorosamente sul tetto piatto. Alcuni uccelli volarono via tra le grida; nel cortile interno il russare si tramut improvvisamente in un borbottio. Prima, nel vago chiarore che penetrava nella stanza dal cortile, attraverso la porta e la finestra, il volto del filosofo era sembrato pi pieno, pi vitale rispetto alla notte. Ora i raggi di luce dai contorni netti che giungevano dal lucernario mostrarono a Peukestas un moribondo. Gli occhi erano carboni che si andavano spegnendo in una vaga lontananza, la pelle uno strato di cera raggrinzita il cui colore preannunciava il pallore della morte. Come un'ombra sfilacciata, la schiava scivol con le sue vesti scure attraverso la stanza per scomparire in cucina, dove apr l'imposta di legno della porta di servizio: la casa si riemp di altra luce e dell'odore di ortaggi, verdure e rifiuti. Prima di inginocchiarsi davanti al giaciglio, Pythias si riassett alla meglio il chitone bianco. Poi si gir a sinistra verso Peukestas, con uno sguardo triste e supplichevole, mentre la schiava ricompariva con il mastello per le evacuazioni. Il macedone annu, si volt e usc nel cortile interno, tolse gli scuri di legno dalla porta e

abbandon la casa passando sotto l'arco in muratura. All'ombra l'aria era fresca e umida. Il sole era ancora basso a oriente, al di l della costruzione bianca nella quale il pi grande pensatore ellenico attendeva la morte. Un'aquila volava alta sulla pianura verde scuro, attorniata da uno stormo di cornacchie. Il cavallo di Peukestas brucava dietro il pozzo circondato da un alto muro, ai piedi della collina. Per un istante i movimenti dell'animale gli parvero strani; poi si ricord che aveva le zampe anteriori legate insieme. Sulla pianura costiera spirava un debole vento da sudovest. Un misto di stanchezza, eccitazione ed estrema tensione aveva acuito al massimo i sensi di Peukestas. Vedeva la farfara e il dente di leone sul pendio, ogni foglia del cespuglio accanto al pozzo, ogni singolo filo d'erba nella pianura; sentiva il passo affrettato delle formiche, distingueva dal rumore se le zampe dei grilli erano asciutte oppure bagnate, il battito d'ala leggero dell'allodola affamata da quello pi pesante dell'uccello che stringeva un verme nel becco; sentiva l'odore del suo cavallo sudato, del cuoio umido delle briglie, la dolcezza sconosciuta dei frutti selvatici. Il chiarore accecante del mattino si dissolveva confusamente nella foschia che saliva dal braccio di mare... Eos era scontrosa, a quell'ora: non aveva ancora finito di scompigliare con le sue rosee dita la barba caprina dell'assonnato Poseidone. Pythias lo richiam in casa. Quando Peukestas entr, la giovane stava stendendo sul padre coperte pulite e pelli fresche. La schiava era accovacciata davanti al focolare. Aveva pulito la griglia, gettato via la cenere e ora cospargeva di trucioli e riccioli di rafia due grossi ceppi di legno. Quindi port dalla cucina una brocca d'acqua, un vassoio di legno con pane e carne, una coppa di frutta e un piatto di legno con alcuni cubetti marroncini. Dopodich, senza parlare, scivol di nuovo via per andare nell'orto. Pythias indic l'apertura del lucernario e Peukestas intrecci nuovamente le mani. Dopo aver richiuso il tetto, la giovane prese alcuni rotoli di papiro. Aristotele si schiar debolmente la voce.

Non quelli, figlia mia. Rimettili a posto e prendi quelli nel

ripiano pi in basso. Adesso come ghiaccio fino al ventre disse Pythias in un sussurro. Mi aiuti a richiudere tutto? Peukestas soffoc un gemito, pensando al fresco mattutino e alla calura del giorno, nella stanza priva d'aria. Poi, lento e meticoloso, mise gli scuri alla porta e alla finestra. Pythias accese il fuoco; quindi sorresse il padre mentre beveva dal bicchiere di metallo. Un cubetto? chiese. Aristotele esit, poi si lasci scivolare sotto le pelli. Non so se questo cumulo di macerie abbia bisogno di energie... ma s, voglio tentare. Preserver la dolcezza della notte dall'amarezza dell'ultimo giorno. Forse. Pythias gli porse uno dei cubetti marroncini. Che cosa sono? chiese Peukestas accovacciandosi sullo sgabello e riempiendo d'acqua il suo bicchiere. Mela cidonia ridotta in poltiglia e impastata col miele, seccata all'aria aperta e ricoperta di sesamo. Peukestas ne assaggi uno, suscitando le proteste di un dente. Quando il macedone lo sciacqu con acqua fredda, la protesta si trasform in rivolta. Ahi. Mio padre era solito dire che per i denti solo le tenaglie sono peggio del dolce. Credo che avesse ragione. Drakon, il collezionista di denti... a che punto della storia eravamo arrivati, figlio del mio amico? Stavamo parlando della fine di Alessandro e della spedizione in Asia, di Bagoas e degli amuleti. Ma tu hai detto che questa era un'altra storia. Aristotele succhi il cubetto dolce che teneva nella mano sinistra. Con la destra tir fuori dalla veste l'amuleto e lo fece oscillare. Fiss l'occhio di Horos e d'un tratto l'ankh d'oro arse e brill come acceso dal fuoco. S, un'altra storia... La voce del moribondo era fioca, ma conservava ancora un certo vigore; era come un fuoco ricoperto di cenere, non del tutto spento, in attesa di essere ravvivato. Cominciamo con la spedizione e i suoi antefatti. Aristotele mise via l'amuleto; Pythias distese una pelle sul pavimento e vi si sedette, appoggiando la schiena alla parete accanto all'ingresso della cucina. Parliamo di quello che si racconta e di quello che realmente accaduto. A che cosa alludi? Peukestas si stacc un pezzo di focaccia e allung la mano verso la carne. Ai preparativi? Ai doni del re? A tutto questo. E'

una bella storia... Alessandro, che racchiudeva in s molte persone e molti enigmi, suddivide e regala i territori che ha appena conquistato, e Perdikkas, etro del re, restituisce il regalo perch neanche lui vuole essere pi ricco di Alessandro, al quale non restano che gli amici e la speranza. Una storia bella e commovente, per coloro che amano raccontare storie belle nei giorni brutti. E questa versione dei fatti circola gi, nonostante siano tuttora vivi molti di coloro che vi presero parte. Una menzogna tranquillizzante e ben congegnata, Peukestas, molto pi piacevole e redditizia dell'obolo consunto della verit. Ma qual la verit, in questo caso? Che Alessandro, Antipatros, Parmenion e, non da ultimo, il corinzio Demaratos, coadiuvati dall'assemblea dei consiglieri e degli ufficiali pi importanti, avevano preparato da anni la spedizione in Asia. La rete di informatori creata da Demaratos era colma di pesci che parlavano con facilit e raccontavano che Dario, il nuovo Gran Re, aveva difficolt a imporsi nei distretti pi remoti del suo impero. Che all'inizio i capi delle satrapie occidentali avevano dovuto tenere testa da soli all'esercito di Parmenion, che si era gi spinto in Asia sotto Filippo. Che la maggior parte delle citt elleniche lungo la costa asiatica non erano disposte a tentare di ribellarsi ai persiani fino a che la forza della Persia non fosse stata intaccata. Il filosofo moribondo chiuse gli occhi, come se cos riuscisse a contemplare meglio i tesori della sua memoria. Rapidamente, a mezza voce e con frasi ben ponderate, descrisse la situazione che dodici anni e mezzo prima Alessandro aveva dovuto conoscere e modificare. Dopo l'esecuzione del traditore Attalos, Parmenion, ormai comandante unico dell'esercito in Asia, si era spinto molto verso sud. I satrapi occidentali avevano preso tempo prima di contrattaccare: nonostante l'astuzia e il valore del suo generale, l'esercito di Parmenion era troppo piccolo per poterli preoccupare eccessivamente. Le truppe scelte persiane, rafforzate dagli arruolamenti nei territori costieri e da un gran numero di mercenari ellenici al comando dell'abile Memnon, avevano fermato Parmenion ricacciandolo lentamente verso nord, verso l'Ellesponto, dove era acquartierato per l'inverno insieme ai suoi soldati. Le forze persiane, suddivise in diversi accampamenti invernali, erano troppo lontane per opporsi alla spedizione di Alessandro; e Alessandro era arrivato prima del previsto, quando la primavera non era quasi neppure iniziata. Ma anche se fossero state pi vicine, non sarebbero state lo stesso in grado di

bloccarne l'avanzata: l'esercito di Parmenion le avrebbe fatto da scudo, oppure avrebbe potuto muovere e trascinarsi dietro i persiani. Tutto questo disse Aristotele era stato preparato e organizzato in ogni dettaglio per due anni. Con carte geografiche su cui erano segnate le strade, le catene montuose e i passi; con informazioni precise su ogni sorgente, ogni villaggio, ogni citt e relative fortificazioni; con ricerche approfondite sui rapporti familiari e i possedimenti di ogni principe persiano. Calcolando quante provviste e materiale bellico avrebbero dovuto essere disponibili in ogni momento in ciascun luogo, quali fortezze e quali porti fortificati avrebbero dovuto essere conquistati, ehm... liberati per primi. E fissando gli obiettivi. E quali erano questi obiettivi, secondo la tua opinione? Aristotele sorrise ironico. Secondo la mia opinione? Chiedimi di ci che so, amico mio, non di ci che suppongo. Ad alcune discussioni sono stato presente perch conoscevo bene certe regioni a sud della Troade: la Misia e la Lidia. Di altre sono a conoscenza perch mi sono state riferite. No, non si tratta di opinioni, ma di conoscenze, Peukestas. L'obiettivo della grande spedizione punitiva degli elleni contro la Persia, che doveva cancellare l'antico oltraggio vendicando la profanazione dei santuari ellenici da parte di Serse, fu fin dall'inizio la conquista o la liberazione dei territori costieri colonizzati dagli elleni, fino alla Siria settentrionale, al corso superiore dell'Eufrate. Niente di pi, ma anche niente di meno. Peukestas rimuginava e masticava la carne fredda, che faticava a inghiottire. Eppure, fin dall'inizio, Alessandro ha... Aristotele lo interruppe con un gesto brusco della mano. Lui ne ha parlato: lui e alcuni dei suoi giovani amici. Ma tutti i preparativi e tutti i progetti terminavano in qualche luogo della Cilicia. Nessuno pensava davvero di arrivare fino a Babilonia, o addirittura a Persepoli. La grande spedizione punitiva degli elleni, decisa dal Consiglio della Lega di Corinto su iniziativa di Filippo e del vecchio Isocrate, nel frattempo defunto, non era progettata per giungere nel cuore del territorio persiano, ma doveva limitarsi a scacciare i barbari dalle zone dell'Asia colonizzate dagli elleni. D'altra parte, per tutto il resto non c'era abbastanza denaro. Neppure per iniziare. Lo so. Alessandro ne ha parlato, in seguito: per la spedizione aveva solo qualche centinaio di talenti, mentre i suoi debiti ammontavano al doppio. Aristotele fece una

secca risatina. Allora, mio giovane amico, dimentica i bei racconti e rifletti ancora una volta su come vennero assegnati i territori della Tracia appena conquistati. Alessandro sapeva esattamente come la pensa la gente. Se avesse venduto i nuovi territori reali agli amici e ai principi, oppure ai ricchi mercanti, per ricavarne il denaro per la spedizione, probabilmente tutti avrebbero detto che andava bene, che capivano che cos doveva essere, ma non sarebbe stato un atto glorioso n virtuoso. E' per questo, Peukestas, che Alessandro ha regalato i territori ai principi e agli amici, ai compagni e agli ufficiali. Un gesto davvero regale. Gloria, onore, lode e la pi nobile delle virt. E, dopo avere ricevuto questi doni, i beneficiari non poterono certo esimersi dal prestargli il denaro. Denaro armi e provviste. La magnanimit di Alessandro fu questa... in questo caso. Peukestas vuot il suo bicchiere e lo riemp nuovamente con l'acqua della brocca che teneva in mano. Rimase per qualche istante a giocare con il recipiente, apparentemente distratto; poi lo pos e disse: Non posso biasimarlo. E chi parla di biasimo? Ha agito in modo intelligente. Spesso le azioni intelligenti sono le meno adatte per le belle storie edificanti. Ma anche le belle storie sono il frutto di un'operazione molto intelligente. Peukestas fece un breve sorriso. Ti riferisci a Callistene? Mio nipote. Presuntuoso, pieno di s, velenoso e amante delle frasi ben tornite. Non si faceva scrupolo di alterare gli avvenimenti quel tanto da renderli belli da leggere. Nelle sue lettere ad Atene ha presentato le cose come voleva Alessandro-per questo il re non gli ha impedito di inserire, qua e l, le sue osservazioni mordaci: non facevano che rendere il tutto pi verosimile. Callistene, lo storiografo insigne, nipote di Aristotele: chi meglio di lui avrebbe potuto smerciare agli elleni le imprese del macedone? Ma io sono stanco... stanco. Incombe un'ombra nera. Aristotele indic lo scaffale con i rotoli che non dovevano essere bruciati. Prendi quelli del ripiano superiore. Scritti di Dymas, Drakon, Callistene, Ptolemaios. Leggili, e poi domanda.

Sulla sponda settentrionale dell'Ellesponto, presso Sestos, per alcuni giorni tutti i fili si intrecciarono. La citt si trovava di fronte alla testa di ponte di Parmenion in Asia; nel porto e nelle baie circostanti erano state radunate le navi destinate a rifornire e approvvigionare l'esercito. Dymas port a Parmenion i saluti di Antipatros e di Aristotele. Questo avvenne la prima sera, quando Alessandro e i suoi consiglieri pi importanti si incontrarono con il vecchio stratega nell'accampamento situato fuori Sestos. All'inizio del banchetto non propriamente sontuoso (focaccia, frutta secca, pesce essiccato, vino e acqua) nella tenda disadorna del re, su richiesta di Demaratos, Dymas cant due o tre ballate dal testo ironico. Osserv il corinzio mormorare qualcosa a Parmenion: probabilmente a proposito del suo passato, visto che da quel momento il vecchio stratega gli prest pi attenzione, come se fosse solo per via della musica, e poi lo invit ad approfittare dell'ospitalit della sua tenda, di l in Asia. Alessandro sembrava distratto, con la mente da tempo sulla sponda opposta. Mangi pochissimo, bevve soltanto acqua, ascolt e poi, come un attore che cambia la maschera, si cal in diversi ruoli, uno dopo l'altro: quello del giovane re, del condottiero preoccupato, del buon amico (Hephaistion era seduto accanto a lui), dell'uomo prudente, temerario, previdente, incerto. Parmenion e Demaratos si scambiarono le informazioni e i risultati delle ricognizioni ad ampio raggio. Arsites, il satrapo della Frigia ellespontica, Arsamenes, giunto dalla Cilicia e Spithridates, signore della satrapia lidia e ionica, si erano uniti al comandante dei mercenari, il rodio Memnon, e agli altri consiglieri importanti a Zeleia, al di l del fiume Granico. La maggior parte della costa dell'Ellesponto, da Perkote passando per Arisbe e Abydos, che si trovava di fronte a Sestos, fino alla pianura di Ilion era sicura, ellenica, pacifica e occupata da piccole guarnigioni macedoni; l'accampamento invernale fortificato di Parmenion si trovava davanti a una baia fuori da Abydos. L'esercito dei satrapi dominava l'entroterra e la costa nordorientale, a partire dalla citt di Lampsakos. La flotta del Gran Re, composta quasi esclusivamente di navi fenicie, era molto lontana: niente e nessuno avrebbe potuto impedire, o anche solo rallentare, il passaggio in Asia. Alessandro, che fino a un attimo prima pendeva dalle labbra di Hephaistion con lo sguardo languido, si trasform nel freddo stratega; con voce bassa ma tagliente, disse qualcosa a

Demaratos e a Parmenion. Il vecchio macedone inarc le sopracciglia, il corinzio trasal, poi entrambi risero e annuirono, senza sforzarsi minimamente di nascondere il loro stupore. Dymas lasci presto la riunione, quando fuori non era ancora completamente buio. Gli sarebbe piaciuto sapere quello che Alessandro aveva detto, ma non era riuscito a sentirlo in mezzo al frastuono degli altri ospiti. Cerc Tekhnef e la trov accanto ai cavalli. Era accovacciata sulla sua bisaccia da viaggio di cuoio e suonava piano il flauto doppio: si sentiva che l'ancia era nuova, non ancora abbastanza flessibile. La donna alta e slanciata, con la pelle nera, i corti capelli crespi e le profonde cicatrici tribali sulle guance, suscit un certo scalpore nelle osterie del porto di Sestos. Dopo il lungo periodo trascorso con l'esercito di Alessandro (dai tempi di Pella avevano visto soltanto soldati e salmerie), Dymas e Tekhnef volevano approfittare dei vantaggi della citt. Il porto brulicava di marinai e di mercanti, che facevano affari con gli eserciti su entrambe le rive dell'Ellesponto, ma c'era posto per due buoni musicisti. Trovarono una stanza, poco pi di un ampio letto di legno rivestito di cuoio, in una locanda a due piani sul molo, oltre a vino e cibo in cambio della loro musica, che attirava gli avventori, molti dei quali gettavano monete nella coppa sul tavolo dietro cui Tekhnef suonava l'aulos doppio duettando con la citara di Dymas: ballate veloci, allegre e movimentate con complessi cambiamenti di ritmo. Un pescatore si sedette accanto a loro e si mise a battere un tamburo ricoperto di pelle, seguendoli nel labirinto dei loro ritmi senza perdere il filo, n il sorriso dei suoi denti neri. Due giorni dopo Alessandro si mosse verso sudovest con le truppe scelte macedoni, circa seimila uomini. Lasci nelle mani di Parmenion e dei due stati maggiori l'impresa complessa e impegnativa, ma anche noiosa e interminabile, di traghettare l'esercito. Dymas e Tekhnef si unirono al re, che si diresse verso Elaios, per raggiungere l'Asia dallo stesso punto degli eroi omerici. Vennero innalzati altari, offerte libagioni e, osservando il fegato degli animali sacrificati e la direzione del volo di uno stormo di uccelli, il veggente Aristandros promise trionfi smisurati. Alessandro e Hephaistion si spalmarono d'olio e di unguenti per tributare gli onori dovuti alle tombe di Achille e Patroclo con la danza. Tekhnef volle assolutamente assistere

allo spettacolo; Dymas aveva desideri meno ambiziosi e le diede appuntamento per la sera alla tenda di Parmenion, nell'accampamento invernale che distava circa due ore di cavallo verso nordest. Quando part, Alessandro stava parlando dei meriti del grande Omero che, pur essendo elleno, era stato capace di elogiare anche i nobili nemici e aveva reso ancor pi grande la vittoria ellenica evitando di descrivere i troiani sconfitti come barbari asiatici. Alessandro giur ai seimila uomini riuniti di iniziare da dove Achille aveva terminato e di condurli di vittoria in vittoria; disse che invidiava soltanto una cosa all'irascibile eroe, di avere avuto un cantore come Omero: che ne sarebbe, infatti, delle imprese immortali, se non fossero degnamente cantate in versi eterni? Al che Callistene, parlando come suo solito con il cuore, disse in modo un po' caustico che intendeva narrare in prosa le grandi imprese del re, perch i versi sono riservati ai semidi. Questo accadde subito dopo il levar del sole. Quando Dymas raggiunse la zona collinare in cui, non lontano dall'accampamento invernale di Parmenion, avevano piantato le loro tende i soldati appena arrivati, molti di loro stavano ancora facendo colazione. Davanti a una tenda pi grande, con i teli d'ingresso bordati di porpora, era seduto Arridaios, il fratellastro di Alessandro di cui si diceva che, quando era ragazzo, fosse stato avvelenato da Olympias, in modo che non potesse accampare pretese al trono in qualit di figlio primogenito di Filippo e della danzatrice Philinna. Arridaios era considerato demente, in tutto o in parte; Dymas se l'era sempre immaginato come un relitto umano bavoso. Per un momento l'osserv da cavallo con grande attenzione: il suo volto era inespressivo e i movimenti controllati, tanto che il musico si chiese se Arridaios non fosse un altro attore, uno dei tanti che portavano la maschera dell'idiota per sopravvivere, a differenza di molti macedoni nobili, appartenenti a rami cadetti della stirpe reale.

Dymas cavalc lentamente attraverso il caos organizzato dell'accampamento sul mare. A met mattina regnava una certa calma: la colazione era terminata, il pranzo non era ancora pronto, numerosi reparti erano in giro a piedi, a cavallo o

sui carri, a setacciare ulteriormente il territorio gi ripulito, altre unit erano altrove con compiti speciali; alcuni fanti con gli attrezzi da sterro abbattevano gli sbarramenti, smuovevano e ripulivano i pali per poi ammucchiarli sui carri e riempivano le buche profonde scavate in diversi punti all'inizio dell'inverno. Nella pianura al di l del vallo migliaia di animali da sella e da tiro cercavano gli ultimi fili d'erba rimasti, oppure rosicchiavano i cespugli e i giovani alberi di cui da molto tempo avevano finito di rodere fogliame e corteccia. Per giungere all'accampamento Dymas aveva dovuto attraversare il ruscelletto che durante l'inverno aveva rifornito d'acqua potabile gli uomini di Parmenion e che sfociava nella piccola insenatura in cui, dal lato opposto dell'accampamento, si gettava anche un secondo torrente, diramazione del primo, che scorreva attraverso le latrine. In lontananza, le tende dell'accampamento sulla montagna erano macchioline grigio chiaro e marrone. Le staffette facevano la spola tra i due accampamenti, uomini delle rispettive salmerie andavano e venivano con questioni, incombenze, elenchi e oggetti. Alcuni forni da campo erano ancora in funzione; due, che si erano gi raffreddati a sufficienza, venivano smontati per la partenza dell'indomani, e le pietre, le lastre di ferro e le griglie venivano caricate sui carri. Il musico calcol che nell'accampamento non era presente neppure un terzo degli uomini di Parmenion; eppure era tutto un brulicare caotico. Un convoglio di schiavi delle salmerie, che trasportavano cereali, frutta e pesce in una delle grandi cucine da campo, gli blocc il passaggio. Dymas accarezz il collo del suo cavallo e strinse gli occhi per scrutare al di l dei portatori. Al centro dell'accampamento vide Parmenion seduto a un tavolo davanti a una tenda rinforzata con un rivestimento di legno. Quando finalmente raggiunse il piccolo spiazzo davanti all'alloggio dello stratega, scivol gi dalla gualdrappa, tolse il suo bagaglio e la borsa imbottita con la citara dal dorso del cavallo e affid l'animale a un ragazzino. A quel punto riconobbe alcuni di coloro che, con la schiena rivolta verso l'accampamento, erano seduti al tavolo di Parmenion: c'erano Philotas, il figlio dello stratega, alcuni scrivani, un vecchio comandante di cavalleria macedone di nome Lysandros ed Eumenes l'elleno rotondetto. Sul tavolo, circondati da rotoli e dal necessario per scrivere, c'erano alcuni bicchieri e due brocche con il vino e

l'acqua. Parmenion sollev lo sguardo. Ah, il nobile citaredo. Da dove vieni? Dymas indic con il pollice alle sue spalle. Dalla tetra pianura erbosa di Ilion, signore delle spade.

Parmenion fece un lieve sorriso Tetra pianura erbosa? Piove, laggi, o che cosa? Dymas appoggi il sacco e la citara in una nicchia all'ingresso della tenda, si sedette su uno sgabello e vers acqua e vino in un bicchiere pulito. Alla tua salute e alla tua gloria immortale, stratega. No, non piove. Stamattina presto Alessandro ha fatto innalzare alcuni altari; ora lui e Hephaistion danzano nudi con le corone tra i capelli intorno alle tombe di Achille e Patroclo. Intanto Callistene declama a squarciagola versi tratti dalle opere del divino Omero e Aristandros conta cornacchie o simili. Che nobile impresa disse Eumenes. Almeno hanno molti spettatori? S, alcune migliaia di uomini, che applaudono ritmicamente e tutto il resto. In lode agli di e agli eroi. Nel frattempo, probabilmente, avranno finito di danzare e staranno saccheggiando il tempio di Atena. Non essere ironico. Parmenion intrecci le mani dietro la testa e inarc la schiena con un sospiro. Sono i grandi gesti che l'esercito ama. Il popolo, in generale. E cos a questo punto Alessandro sta consacrando ad Atena la sua armatura e le sue armi e, in cambio, ricever quella grande spada che conservano nel tempio? La spada di Achille? Immagino che ormai abbiano finito anche con questo. Che cosa sai di questa spada? Parmenion si strinse nelle spalle; Philotas rivolse un'occhiata obliqua al padre e scoppi a ridere. Lui preferisce non parlarne, per cui lo sentirai da me. Laggi c'era una spada orribile, enorme, arrugginita e piena di tacche. Un anno e mezzo fa il sacerdote che sorvegliava il tempio si ammal mortalmente; per caso in quel momento si aggirava nelle vicinanze uno dei molti amici del corinzio. Il territorio, infatti... ... era sotto il nostro controllo intervenne Parmenion e la malattia del sacerdote era una di quelle che possono essere provocate da certe erbe... be',

comunque sia, ci fu un nuovo sacerdote e, per un miracolo degli di, anche una nuova spada: non cos enorme, ma in compenso nuova e affilata, un capolavoro dell'arte del mio migliore armaiolo. Dymas scosse lentamente il capo con un sorriso. Lui lo sa? Chi? Alessandro? Parmenion aggrott la fronte. E' stata un'idea sua. E' molto buona, peraltro. Demaratos ha fatto soltanto in modo che potesse essere messa in atto... Quindi saranno qui verso met pomeriggio, immagino. E dov' la tua dea nera? Si diverte a contemplare i principi macedoni nudi, cosa da cui io invece sono fuggito. Arriver insieme a loro. Qui c' posto in una delle tende, per la notte prima della partenza? Sarete miei ospiti borbott Parmenion. Andiamo avanti Eumenes. L'elleno picchi su un rotolo con un calamo per scrivere masticato. Le esigenze dei medici: soprattutto erbe e panni puliti. Sono calcoli per il futuro: potremo occuparcene nei prossimi giorni. I fabbri protestano perch hanno troppo poco ferro... Tutti protestano sempre disse Parmenion in tono quasi allegro. Chi il prossimo? Dymas si alz con il bicchiere in mano. Fece un cenno agli altri e si diresse alle latrine per alleggerirsi. Prima che il frastuono dell'accampamento diventasse troppo forte, sent Eumenes che parlava della mancanza di combustibile per i fuochi delle cucine. Quando dalle latrine si diresse alla piccola altura che sovrastava la baia, si fece riempire di nuovo il bicchiere davanti a un tavolo lungo su cui schiavi e cuochi preparavano il pranzo per gli ufficiali. Dalla collinetta sperava di avere un'ampia vista sull'Ellesponto, ma la giornata era nebbiosa. Nella baia, parte in acqua e parte tirate in secca a met sulla spiaggia, c'erano alcune piccole chiatte. Pi al largo, in mezzo alla nebbia sottile nelle vicinanze della costa asiatica, brillavano numerose vele: non era possibile calcolare quante potessero essere, in tutto, le imbarcazioni. Per la prima volta Dymas consider le enormi difficolt dell'approvvigionamento. L'esercito non si trovava in territorio ostile: la Frigia settentrionale, ellespontica, era assoggettata ai satrapi persiani, ma era abitata in maggioranza da elleni. Abydos e Arisbe, cos come Perkote pi a nordest, erano colonie elleniche popolate da elleni e piccole guarnigioni macedoni inviate laggi da Parmenion. Citt il cui aiuto e la cui buona volont erano decisivi, cos come i loro rifornimenti.

Citt i cui fertili dintorni erano coltivati da contadini anch'essi elleni. Non era possibile saccheggiare questi territori all'inizio di una grande spedizione militare panellenica. Inoltre la primavera era ancora all'inizio e, a parte l'erba per il bestiame, ci sarebbe stato ben poco da saccheggiare. Il periodo del raccolto era lontano.

A bordo di una chiatta nella baia belavano pecore e capre. Un vecchio si sporse oltre la murata, invit Dymas a salire con un cenno, si sollev il chitone e liber un getto pungente d'urina nell'acqua della riva. Davanti alla tenda di Parmenion era rimasto un solo scrivanoParmenion ed Eumenes scorrevano gli elenchi dei reparti, Philotas e Lysandros discutevano a bassa voce dei problemi della traversata. Dymas estrasse la citara, si sedette su uno sgabello e inizi ad accordare lo strumento, mentre Eumenes e Parmenion confrontavano le rispettive cifre. Cifre vertiginose e nello stesso tempo incredibili. L'esercito di Parmenion disponeva ancora di undicimila fanti e mille cavalieri, tutti macedoni; a questi si aggiungevano ora le truppe di Alessandro. Tra i fanti, c'erano dodicimila macedoni, settemila guerrieri delle trib ai confini della Macedonia, odrisi, triballi e altri, armati e addestrati come i soldati macedoni, cinquemila mercenari, mille arcieri e agriani, i temibili frombolieri e giavellottisti del nord, e settemila guerrieri delle citt della Lega ellenica. Tra i cavalieri, c'erano soltanto seicento elleni, di cui duecento ateniesi; e ancora milleottocento macedoni, milleottocento tessali e novecento guerrieri traci e peoni, cavalieri armati alla leggera per ricognizioni e perlustrazioni. In totale quarantatremila fanti e seimilacento cavalieri. Dopo aver accordato la citara, Dymas aveva iniziato a suonare una breve ballata leggera, che interruppe con una stridente dissonanza. Eumenes si volt verso di lui digrignando i denti; Parmenion alz lo sguardo. Fa male disse l'elleno grasso. Anche a me ribatt Dymas riponendo la citara nella borsa di cuoio. Dove sono andati a finire tutti i guerrieri macedoni degli ultimi anni? E poi, duecento cavalieri da Atene, qualche

soldato da altre localit alleate: questa la grande spedizione punitiva panellenica? Eumenes sogghign. Da buon elleno, so esattamente perch le cose vanno come vanno disse voltandosi nuovamente verso il tavolo e i rotoli. E perch vanno in questo modo? Nobile diffidenza? Parmenion scroll le spalle. Nobile? Non c' nulla di segreto, in tutto questo; in caso contrario, tu non potresti startene seduto qui. Neanche la diffidenza un segreto, Dymas. Alessandro ha lasciato ad Antipatros dodicimila fanti e millecinquecento cavalieri esperti, oltre a circa cinque o seimila uomini di guarnigione nelle citt elleniche. Questo per via del grande amore tra elleni e macedoni. Abbiamo racimolato una flotta che possa coprirci le spalle alla meglio. Dieci triremi macedoni, centotrenta navi provenienti da ogni dove e venti da Atene.. . Ma Atene dispone da sola di pi di duecento navi da guerra! Vorresti forse dipendere da una flotta della cui fedelt non sei certo? Che cosa succederebbe se all'arrivo delle valenti navi da guerra persiane, costruite ed equipaggiate da abili marinai fenici, duecento triremi ateniesi decidessero che in fondo, preferiscono i persiani ai macedoni? Magari dopo aver ricevuto una lettera amorevole di Demostene? Lo stratega si pieg in avanti e picchi sul tavolo con un rotolo di papiro. Dymas, se tu fossi il re o lo stratega, vorresti forse attraversare l'Asia con una grande quantit di soldati inaffidabili? I persiani dispongono di quasi diecimila mercenari ellenici, uomini validi, condotti da Memnon, uno stratega abile e intelligente. Quando si arriver allo scontro, potremo contare sui nostri mercenari, sui guerrieri delle trib e sui macedoni. E sui tessali, naturalmente. Ma gli elleni? Li suddivideremo per bene, in modo che forse non saranno di alcuna utilit, ma almeno non potranno provocare alcun danno. Se avessi diecimila opliti ellenici, non scenderei neppure in battaglia-tanto varrebbe arrendersi subito. Infatti si darebbero immediatamente alla fuga. Andiamo avanti! esclam Eumenes agitando i rotoli e la canna per scrivere. Abbiamo ancora molte cose da sbrigare. Lysandros e Philotas, che erano rimasti ad ascoltare con attenzione, ripresero a discutere tra loro a bassa voce, mentre Parmenion ed Eumenes confrontavano, correggevano e archiviavano gli ultimi elenchi. Dymas rest a sentire sommerso da cifre e necessit. Per i seimilacento soldati a cavallo c'erano poco pi di ottomila cavalcature, oltre ai duemila animali da tiro e da soma delle salmerie. Il numero di cuochi schiavi, fornai, fabbri, cuoiai,

medici, ausiliari, aiutanti, mandriani, prostitute, sacerdoti, scrivani, falegnami, agrimensori, musici, saltimbanchi, raccoglitori di erbe, costruttori di strade, muratori, attori, barbieri, assediatori, barbitonsori e di tutti gli altri non combattenti ammontava a quasi quindicimila persone, considerate complessivamente come salmerie. Secondo i calcoli di Eumenes, un uomo aveva bisogno di circa una choinix e mezzo di cereali al giorno, un cavallo o un mulo di cinque choinikes; a seconda della stagione e della disponibilit, era necessario procurarsi una quantit uguale di erba o foraggio per le bestie, nel caso in cui non potessero pascolare, mentre gli uomini avevano bisogno di frutta, verdura, pesce e carne: prodotti che non potevano essere conservati a lungo e che quindi occorreva procurarsi di continuo, esclusivamente con acquisti o saccheggi. Nella Frigia settentrionale, fertile e verde anche in primavera il terreno per il pascolo era abbondante cos come l'acqua, per cui l'approvvigionamento riguardava soprattutto i cereali. Dodicimila animali avevano bisogno di circa sessantamila choinikes di grano al giorno, sessantacinquemila persone di altri centomila, o forse qualcosa di meno: in totale oltre tremila medimni al giorno. Domattina presto avremo ancora circa trentamila medimni, e provviste per dieci giorni, come auspicato disse Eumenes visibilmente soddisfatto. Fino a che costeggiamo l'Ellesponto, in caso di bisogno possiamo macellare le pecore e i vitelli che muggiscono sulle chiatte e, con un po' di fortuna, Abydos, Arisbe e Perkote ci forniranno ancora qualcosa. Bene. Quanto... Dymas gli tocc una spalla. Per dieci giorni? Perch non di pi? Eumenes sospir. Sarebbe bello se tu riuscissi a limitarti ad ascoltare in silenzio, citaredo. Per trasportare pi provviste, occorre un numero proporzionalmente maggiore di animali, che a loro volta hanno bisogno di pi cibo, per cui il rapporto diviene sfavorevole. C' qualcos'altro, oppure possiamo andare avanti, adesso? Dymas rise. Soltanto una cosa, nobile Eumenes. Perch non vi portate dietro grandi mandrie di vitelli, pecore e capre? Quelli mangiano solo durante il giorno. Ma a noi il giorno serve per coprire le distanze. Chiaro? Allora, Parmenion, come siamo messi con il denaro? Lo stratega borbott a bassa voce. Male, come al solito. Come si addice ai nobili macedoni, per i quali servire il principe un piacere, la maggior parte degli ufficiali vive delle proprie sostanze. Parmenion non riceve alcun soldo. Del resto nessuno potrebbe pagarmi secondo il mio valore. Sorrise debolmente.

La cassa del denaro praticamente vuota, Eumenes. Finora gli uomini sono stati pagati, e forse ne abbiamo ancora per tre o quattro giorni. I miei uomini, beninteso. Alessandro quanto ha portato? Settanta talenti disse piano, quasi vergognandosi, Eumenes. Lysandros aspir tra i denti con un fischio stridulo, Philotas annu lentamente e Parmenion chiuse gli occhi per un istante. Settanta talenti? disse poi. Fammi fare i conti. Aggrott la fronte, mentre Eumenes scarabocchiava con il calamo su un pezzo di papiro e Dymas scorreva le cifre. Ai mercenari spettava una dracma e mezzo al giorno, agli opliti semplici una, ai cavalieri due, qualcosa di meno per gli elleni inesperti, qualcosa di pi per i veterani. Circa sessantamila: dieci talenti al giorno. Insomma, tra sette giorni, o forse otto, non potremo pi pagare il soldo? chiese Parmenion con tono pi di stanchezza che di sorpresa. E' cos, nobile stratega. Eumenes si alz e si infil alcuni rotoli sotto il braccio, mentre il suo scrivano prendeva gli altri. E va bene. Adesso che abbiamo confrontato e sommato tutto ... Ci vediamo. Parmenion annu. Sar inevitabile, elleno. Segu con lo sguardo i due uomini; Lysandros si schiar la voce. Posso parlare? Naturalmente; che bisogno hai di chiedermelo? Philotas rise. Perch tu sei lo stratega, padre, e io uno dei compagni di Alessandro, e Lysandros probabilmente ha qualcosa di spiacevole nel cuore. Parmenion si strinse nelle spalle. Parla. I nobili e gli ufficiali ne hanno sempre avuto diritto. Il re non che uno di noi. Lysandros indic genericamente l'accampamento. Tra gli uomini c' un po' di agitazione. Parmenion ammicc. Pensavo che vi foste tutti rilassati. Non c' da scherzare, signore. Agli uomini molte cose sono indifferenti, ma alcuni di loro, e quasi tutti gli ufficiali, non sono contenti del fatto che ora tutti questi elleni facciano parte dell'esercito. Philotas sorrise, ma quando parl lo fece con voce tagliente. Intendi forse dire che dovremmo cacciarli via tutti, anche Dymas ed Eumenes, e tenerci soltanto i macedoni purosangue? Magari facendo un'eccezione per Alessandro che, anche se macedone soltanto per met e per l'altra met molosso, pur sempre per intero re? E gli altri per te che cosa sono? Bestie? Lysandros non batt ciglio. Naturalmente no. Ma dovrebbero partecipare al massimo come soldati: opliti, peltasti e quant'altro, ma assolutamente non come ufficiali. Altrimenti, chiss, forse

poi a qualcuno potrebbe venire in mente di nominare ufficiali persiani o egizi o comunque barbari, e questa sarebbe la fine. Ah, davvero? disse Parmenion. E la fine di che cosa, esattamente? La fine di un esercito grande e glorioso. Non ti preoccupare di questo esercito, amico. Normalmente la fine degli eserciti avviene con le sconfitte oppure con lo scioglimento, ma non perch arruolano buoni soldati che, accidentalmente, parlano una lingua diversa. C' altro? Lysandros annu e si pieg in avanti; quindi parl in tono quasi confidenziale, guardando in tralice il musico. S, ancora una cosa. Sono ormai vent'anni che combattiamo insieme, Parmenion. Combattiamo, marciamo, sanguiniamo, moriamo... Philotas rise a singulti. Personalmente, per, sei morto poche volte. Parmenion scosse il capo. Stai zitto, ragazzo. . . che cosa c'entrano questi vent'anni? In tutto questo tempo abbiamo sempre saputo che cosa facevamo e perch. Rafforzare i confini della Macedonia, consolidare la pace e cose simili. E, presto o tardi, abbiamo sempre ricevuto il nostro soldo. Adesso non sappiamo quale sia lo scopo. Tutto questo parlare della spedizione punitiva contro la Persia su incarico di tutti gli elleni, bah. Non abbiamo idea di che cosa ci aspetti, ma sappiamo con certezza che presto non avremo pi denaro. Philotas apr la bocca furente, ma Parmenion lo zitt con uno sguardo severo. Lo stratega sembrava impassibile, quasi allegro. Dunque, per quanto riguarda il denaro: hai forse fame o sete, ti manca qualcosa? No? Bene, allora la situazione non pu essere poi tanto brutta, nobile principe Lysandros, ufficiale macedone. E... dove stiamo andando? qual il nostro scopo? Uno il denaro. Tutto l'oro della Persia. L'oro che i persiani hanno preso quando hanno conquistato le citt elleniche dell'Asia, quando hanno saccheggiato l'Ellade e la Macedonia, e tutti i nostri templi. Per quasi duecento anni sono stati una minaccia per tutti noi, elleni ed elleni macedoni, per esprimersi con precisione. Ora elimineremo questa minaccia e libereremo tutti coloro che sono stati oppressi dai persiani. E questo, amico Lysandros, ci procurer onore, gloria imperitura e una quantit d'oro destinata a durare ancora pi a lungo. Rifletti un po', torna indietro di vent'anni. Com'eri, allora? Lysandros sorrise. Pi giovane. Ah, certamente; questo vale per tutti noi. Te ne stavi rintanato in una piccola e misera

roccaforte lungo il confine paludoso; la maggior parte dei tuoi compagni d'arme erano pecorai, figli di pecorai e pertanto condannati a diventare padri e nonni di pecorai, che si guardavano sempre intorno preoccupati in cerca del prossimo pasto, nel perenne timore della prossima invasione di barbari che avrebbe distrutto il loro villaggio. Filippo vi ha trasformati in guerrieri, ha reso sicuri i confini e i villaggi. Nessun barbaro osa attaccare la Macedonia. E ora tu rimpiangi le tue condizioni di vita di un tempo? Ancora una cosa: soltanto un anno fa, qui c'erano due eserciti. Te lo ricordi? Lysandros annu lentamente. L'avevo quasi dimenticato. Attalos e i suoi uomini, tutti macedoni ma legati da vincoli tribali e interessi comuni. E poi noi. Adesso, dopo poco pi di un anno di marce, assalti e rovesci, non vedo pi alcuna differenza: ormai vedo soltanto macedoni. E quella disse indicando genericamente verso sudovest Troia. La sacra Ilion. Laggi elleni e barbari asiatici combatterono per dieci anni. I nostri antenati hanno impiegato dieci anni per conquistare un'unica citt. A noi non serviranno neppure cinque anni per liberare tutti i paesi sino all'Eufrate. Tra cinque anni sarete tutti ricchi, farete il bagno nell'oro e puzzerete d'argento. Allora, tra cinque anni, torna di nuovo a raccontarmi della differenza tra macedoni ed elleni nell'esercito. Oggi sono molto benevolo, amico mio. Se per quel giorno, tra cinque anni, non sarai rinsavito, Lysandros, ti aprir il culo con le mie mani e vi coler dentro oro fuso. E ora sparisci dalla mia vista. Quando Lysandros se ne fu andato, Philotas inizi a ridacchiare piano. Che cosa ti diverte, figlio mio? Philotas si alz in piedi, si diresse al tavolo e pos la mano destra sulla spalla del padre. Mi capitato raramente di ascoltare qualcuno esporre in modo cos convincente qualcosa in cui non crede. Parmenion gemette piano. Temo che mi ascolterai ancora spesso smerciare cose che io stesso non comprerei. Philotas si fece serio. E che cosa? Quest'arma meravigliosa, duttile, mortale... Guard oltre l'accampamento, verso le tende appena visibili sul pendio della catena di colline. Questo ancora l'esercito che Filippo, Antipatros e Parmenion hanno forgiato e condotto. Con i vecchi ufficiali e la vecchia forza bellica. Ancora. Ma tu lo conosci meglio, ragazzo. Sai che cosa sta progettando? Insieme a voi? A chi ti riferisci? Chi sono "voi"? I giovani compagni. Gli allievi di Mieza. Gli etri

di Alessandro. Non gli etri del re: quelli sono tutti macedoni nobili. Mi riferisco a voi, i giovani leoni. Philotas rise, cercando di emettere un ruggito da leone come quelli che aveva ascoltato durante le rappresentazioni dei domatori girovaghi, dopo di che si lasci cadere su uno sgabello. Non ha in mente niente insieme a noi, padre. Lui esamina la situazione e decide razionalmente in base all'obiettivo, non alle sue preferenze. Ma questo lo sai bene quanto me. Lo so? Forse non oso credere a ci che non conosco con precisione. Philotas si pieg in avanti e guard suo padre negli occhi. Dymas lo fiss come incantato. Per un istante Parmenion parve infinitamente vecchio, infinitamente stanco. Allora voglio dirtelo io. Qualcuno, non ricordo pi chi, Leonnatos o Meleagros, oppure forse Perdikkas, gli chiese eravamo ancora dall'altra parte, prima della traversata quale dovesse essere il nostro compito nell'esercito dei Vecchi. E Alessandro disse: "Obbedire e dare buona prova di voi. In guerra non esistono amici, ma soltanto buoni o cattivi ufficiali. Chi vuole sostituire Antigonos o addirittura Parmenion, deve prima di tutto superarli". Sei soddisfatto? Parmenion annu. Per il momento. Dymas si schiar la voce. Il musico sciocco vorrebbe poter fare una domanda... Chiedi pure. A che cosa fedele il nobile Parmenion? Lo stratega lo squadr a lungo, in modo penetrante; poi, quasi con indifferenza, disse: La fedelt di Parmenion rivolta alla Macedonia. E al re che la incarna. Philotas fece per parlare, ma s'arrest. Dymas strinse tra i molari la carne della guancia destra e se la morse per un istante. Poi scoppi a ridere. Una buona risposta a una cattiva domanda, signore. Immagino che a te non importi nulla che io traduca in versi le cifre e le riflessioni dei nobili signori Parmenion ed Eumenes, e che le canti negli accampamenti. Parmenion si limit a inarcare per un attimo le sopracciglia. E adesso? chiese piano Dymas. Provviste per dieci giorni soldo per sette. E poi che cosa accadr? Philotas arricci il naso. Questo lo decider il re. Voi che cosa potete fare? Parmenion mostr i denti: alcuni mancavano altri avevano un brutto aspetto. Che fare? Aspettare. Marciare. Sperare. Sperare? E in che cosa? Nei satrapi persiani. Che ci offrano presto battaglia. Altrimenti? Parmenion allarg le braccia.

Siamo finiti.

Parmenion trascorse met della notte a girare per gli accampamenti insieme ad Alessandro. Dymas e Tekhnef approfittarono del tempo, della tenda e della vicinanza. La nera egizia del sud disse che non si sentiva del tutto a suo agio in mezzo alla cerchia di macedoni puri dello stratega, avrebbe preferito trascorrere le giornate e le notti successive presso altri reparti dell'esercito. Dymas fu d'accordo: per lui era indifferente. La tenda di Parmenion, principe e stratega, era spoglia. Gli unici lussi erano rappresentati dal rivestimento di legno applicato per l'inverno al lato esposto alle intemperie e dal vestibolo dello stesso materiale. All'interno c'erano sacchi imbottiti di paglia, pelli d'animale cucite insieme e qualche coperta, cassapanche leggere fatte con telai di legno rivestiti di cuoio per conservare gli abiti, il necessario per scrivere e gli altri oggetti indispensabili; seggiole e tavolini pieghevoli; e armi. Su uno dei tavoli c'erano una brocca con un quarto di vino e tre quarti d'acqua, alcuni bicchieri, un vassoio con pane, carne fredda e frutta secca, una lampada a olio. Quando arriv lo stratega, Dymas e Tekhnef stavano per addormentarsi. Parmenion borbott qualcosa, vuot d'un fiato un bicchiere, si avvolse nel suo mantello e si distese su sacchi e pelli. Quando i rumori dell'accampamento li risvegliarono, lo stratega era nuovamente scomparso. Dymas si era aspettato un gran numero di domestici: cuochi, barbieri, schiavi e, soprattutto, uno stuolo di attendenti di stirpe principesca, figli dei nobili compagni del sovrano macedone che, prestando servizio, nello stesso tempo completavano la loro formazione di etri e futuri ufficiali, pegno della fedelt dei loro genitori e, occasionalmente, oggetti di piacere del loro signore e padrone. Ma Parmenion affidava il suo sonno, il suo sostentamento e la sua sicurezza a guerrieri incanutiti, per lo pi tessali, ormai troppo vecchi per combattere e senza una patria cui fare ritorno. Uno di questi port a Dymas e Tekhnef una bacinella di metallo

piena d'acqua fredda per lavarsi e mise fuori, sotto la tettoia, il tavolino con le provviste di cibo per la notte. La tenda del generale era un'isola in mezzo al caos della partenza. Almeno la met di tutti i reparti si era gi messa in marcia, eppure il numero dei soldati che si trovavano nell'accampamento sembrava essersi raddoppiato. Staffette a piedi e a cavallo tessevano una rete di fili invisibili tra le unit che si erano gi allontanate, i reparti che dovevano ancora mettersi in movimento, le salmerie e gli approvvigionamenti, le navi da carico che si trovavano ancora tutte nella baia, le unit sulle colline, i gruppi di cavalieri che si aggiravano per la pianura con misteriose incombenze e gli ufficiali che non si trovavano dove avrebbero dovuto essere... Tekhnef si sedette con la schiena rivolta all'accampamento, bevve vino allungato e mangi pane, carne fredda e un po' di frutta. Dymas rimase in piedi, troppo curioso ed eccitato, ma si costrinse a fare una specie di colazione mentre tempestava di domande il vecchio tessalo. Quando apparve Parmenion, seguito da uno stuolo di ufficiali, ausiliari, staffette e uomini delle salmerie, spunt un uomo alto, magro e con i capelli scuri con cui Dymas aveva gi avuto brevemente a che fare, una volta: Kleitos il Nero, uno dei capi della cavalleria degli etri, tra i collaboratori pi stretti di Alessandro, alto ufficiale gi sotto Filippo. Fece un cenno al musico, sorrise a Tekhnef e schiocc le dita per ottenere l'attenzione di Parmenion. Lo stratega alz la mano e impart ancora qualche ordine, per poi congedare tutti gli altri e avvicinarsi al tavolino traballante su cui era posata una ciotola di metallo. Conteneva forse una mezza choinix di cereali; i chicchi nuotavano in una mistura di vino, acqua ed erbe, e avevano iniziato a gonfiarsi: era la colazione di Parmenion. Dormito bene? disse strizzando l'occhio a Dymas e Tekhnef. Dovete perdonarmi la modesta ospitalit, ma... Quindi, rivolto a Kleitos: Allora? Tutto procede?. Kleitos si fece porgere un bicchiere dal tessalo, bevve un sorso e aggrott la fronte. Che brodaglia acquosa... S, tutto procede. L'accampamento principale presso Arisbe stato smantellato; in questo momento, Alessandro dovrebbe essere davanti a Perkote. Novit? Parmenion bevve rumorosamente dalla sua ciotola, mastic lentamente e deglut, il tutto senza sedersi n perdere per un istante di vista l'accampamento. Tutto come desiderato disse Kleitos con un sorriso. Siamo

tra noi? Parmenion gett un'occhiata a Dymas. Lo siamo. Dymas indic Tekhnef con il bicchiere. Lei sa quello che so io. Bene. Kleitos si guard intorno in cerca di una sedia o di uno sgabello, vi si sedette e strizz l'occhio a Parmenion. Un veliero veloce. I poderi di Arsites a Daskyleion sono stati dati alle fiamme; quelli di Memnon a Lampsakos sono stati risparmiati... be' comunque sia, Demaratos assicura che nel frattempo le informazioni desiderate sono giunte a Zeleia: ora i persiani sanno tutto quello che devono sapere. Sono questi i discorsi segreti che vi siete fatti dall'altra parte, a Sestos? chiese Dymas. Parmenion storse il naso. Sei molto attento. S, si trattava di questo, in parte. Ma tu hai certamente altre novit, non vero? Kleitos ridacchi. Vecchia volpe di Parmenion. Alessandro vuole che tu, con l'esercito principale, ti diriga verso sud, passando davanti a Lampsakos. Io devo assumere il comando della tua truppa di assediatori e condurla l. Diades e Charias si sono gi messi in marcia con le loro attrezzature. Parmenion aggrott le sopracciglia. Lui vuole davvero...? No, non vuole. Non abbiamo tempo, n denaro, n niente. Lo sai. Vuole soltanto fare un po' di solletico ai persiani. Bene. E poi? Come stabilito. Vale a dire, se i persiani fanno quello che devono fare. E se non lo fanno? Kleitos si strinse nelle spalle. Se, nonostante tutto, si attenessero a quello che Memnon non mancher di proporre, conosco qualcuno che ne sar molto deluso. Ma come fa Alessandro a essere cos sicuro che Arsites e gli altri satrapi non presteranno ascolto al rodio? Kleitos rivolse lo sguardo a Dymas. Tu conosci i persiani. Un po . E che cosa ne pensi? Non so di quali oscuri segreti stiate parlando. Parmenion scoppi a ridere, mastic e indic con il mento Kleitos. L'ufficiale vuot il suo bicchiere, rutt e incroci le braccia. E' molto semplice. E molto difficile disse lentamente. Non ti sei mai chiesto come mai ci troviamo qui proprio adesso, e non poco tempo fa o molto pi avanti? Dymas sporse il labbro inferiore. S, me lo sono chiesto, ma credevo che fosse stato soltanto un problema di preparativi. Non conosci il nostro daimon piccolo e scaltro. Kleitos scosse il capo-per un istante i suoi occhi tradirono una sorta di stupore, o di ammirazione. Lui... suo padre, Filippo, non ha mai fatto nulla senza poter sistemare o ottenere almeno tre

cose con un colpo solo. Alessandro uguale, anzi migliore. La prima cosa che ha calcolato sono i preparativi: le truppe, le navi, le provviste. La seconda, sono... i tuoi ex compagni di lavoro. Gli informatori e le spie del corinzio? E quelli dei persiani. Determinate informazioni dovevano essere divulgate ad arte, in modo che giungessero a poco a poco, come per caso, ai persiani. Una parente di Memnon, che vive a Rodi, ha ricevuto un dono del re dei macedoni, per esempio. Oppure le ultime novit di oggi: i poderi dei satrapi sono in fiamme, quelli di Memnon vengono risparmiati. Come sapete, abbiamo truppe di alleati ellenici; si dice che i mercenari ellenici di Memnon al servizio del Gran Re vogliano passare dalla nostra parte. Naturalmente non vero, ma Demaratos fa in modo che i persiani lo credano. E fa anche in modo che sopravvalutino la loro cavalleria, perch si dice che i lancieri persiani a cavallo siano l'unica cosa di cui Alessandro abbia davvero paura. Rise. Vedremo. . . Poi c'erano da considerare il terreno e il clima. I persiani dovevano avere gi abbandonato i loro accampamenti invernali, ma non essersi ancora radunati tutti. Per loro siamo arrivati in anticipo rispetto a quando, dopo l'inverno, avrebbero potuto attaccare la testa di ponte di Parmenion, ma abbastanza tardi perch potessero radunare il loro esercito qui vicino. Se fossimo arrivati prima, forse avrebbero evacuato la Frigia settentrionale; ma noi abbiamo bisogno che la battaglia avvenga presto. Se ce la offriranno, i primi cereali saranno maturi poco dopo, non appena le nostre provviste e quelle dei persiani saranno esaurite. Occorreva considerare tutto questo, e altro ancora. Avevo sempre creduto che la guerra consistesse nel confronto e nello scontro tra due eserciti disse Dymas. Ma questo quadro... I raccolti, il tempo, i movimenti del nemico. Quello che stiamo cercando di fare in questo momento seminare la sfiducia per raccogliere la vittoria. Memnon il migliore stratega del Gran Re. Dobbiamo fare il possibile per eliminarlo, prima che si giunga allo scontro. Che cosa potrebbe fare? Che cosa potrebbe fare di diverso rispetto ai satrapi? Parmenion pos sul tavolo la ciotola vuota. Si pettin la barba grigia con la punta delle dita e poi, con un lieve sogghigno disse: Se fossi Memnon e avessi voce in capitolo nell'esercito del Gran Re, saprei che cosa fare. Allora dillo. Portare via oppure distruggere le provviste del paese.

Dare alle fiamme i depositi. Devastare i campi coltivati. Rimanere con un piccolo esercito sempre alla minima distanza di sicurezza. E dirigermi verso la Macedonia con il grosso della flotta e le truppe migliori. Si pieg in avanti. Questa spedizione militare, la nostra, sarebbe annientata nel giro di tre lune. Dymas chiuse gli occhi. Se Memnon proporr questo, i persiani non gli presteranno ascolto. Perch? chiese Kleitos con voce penetrante. Il musico riapr gli occhi. Alessandro lo sa, immagino. Quando era fanciullo, non ha parlato a lungo con... ehm, Artabazos? Infatti. Lui cita il nobile persiano. E allora? Nei paesi dai quali provengono i persiani, nel cuore del territorio iranico, terra fertile e acqua sono sacre. Anche il fuoco sacro e non deve essere profanato. E' dovere sacro dei governanti e dei guerrieri quello di proteggere l'agricoltura. Kleitos sospir, apparentemente sollevato. Questo lo dice anche Alessandro, ma bello sentirlo da un'altra persona bene informata. Quindi tu sostieni che non presteranno ascolto a Memnon? chiese Parmenion. Dymas annu. Un satrapo che d alle fiamme quello che dovrebbe proteggere, tanto vale che si getti subito sulla sua spada.

Mentre alcune unit, soprattutto truppe a cavallo ed esploratori, percorrevano grandi distanze in ricognizione per rendere sicuro il terreno per molti stadi in avanti e verso sud, il corpo principale dell'esercito seguiva inizialmente la costa dell'Ellesponto verso nordest, protetto dalle truppe veloci sulla destra e dalle triremi sulla sinistra. Insieme alle navi da guerra navigavano lungo la costa, in parte a vela e in parte a remi, le innumerevoli chiatte e imbarcazioni da carico, che la sera rifornivano l'esercito di carne, pesce e frutta secca. Durante il giorno il grosso dell'esercito salmerie e fanteria - rimaneva indietro di una sessantina di stadi, una distanza che un buon camminatore avrebbe potuto coprire in due ore. Quando venivano smontate le prime tende, quelli che dormivano nelle ultime iniziavano a far colazione e quando, di solito nel primo pomeriggio, coloro che erano partiti per primi iniziavano a montare il campo, gli ultimi si erano appena

messi in marcia. Ogni giorno Dymas e Tekhnef si univano a un gruppo diverso. Percorsero il tragitto da Arisbe a Perkote insieme ad agrimensori e geografi, che disegnavano carte e raccoglievano ogni informazione possibile sulla regione. Gli uomini procedevano a coppie accanto ai carri sui quali si trovavano tutti i loro averi e gli attrezzi. I contapassi, sempre in coppia, portavano con s corde con perle di terracotta di diversi colori e dimensioni. Un carro piccolo, le cui ruote avevano un diametro di non pi di due piedi, veniva trainato dagli schiavi dietro un carro pi grande. A una delle ruote del veicolo pi piccolo era assicurato uno spunzone o un chiodo spesso, rivolto verso l'interno che, a ogni giro della ruota, picchiava con un sonoro ping contro una barra di ferro che sporgeva dal fondo del carro. Sul veicolo pi grande erano seduti alcuni uomini con tavolette di cera e stili; a ogni ping, uno di loro tracciava un segno sulla sua tavoletta, mentre al grido del contapassi un altro scarabocchiava qualcosa sul suo registro. Dymas avrebbe voluto parlare con il celebre Baiton, ma il capo dei geometri e dei bematisti non si vedeva. E' dal re disse con un forte accento ateniese un giovane matematico che sovrintendeva a uno dei numerosi gruppi di misuratori. E che cosa fa laggi? Non dovrebbe essere al lavoro? Il giovane rise. Per questo ci siamo qui noi. Tu sei Dymas, non vero? Ti ho ascoltato anni fa ad Atene, quella volta che hai cantato versi ironici contro Demostene. Dymas chin ostentatamente il capo. Sono onorato che gli uomini di scienza non dimentichino i futili passatempi nelle osterie e certi episodi secondari. Com' che da Atene sei arrivato fin qui? Sono troppo giovane per aver potuto imparare molto dal grande Platone, che per ho ascoltato, ma ho studiato con i suoi successori. Tramite conoscenti comuni, mi sono imbattuto anche in Aristotele, che preferisce raccogliere e misurare piuttosto che costruire edifici di idee sospesi per aria. Rise a singulti. E' stato lui a scrivermi, da Mieza, che Alessandro voleva prendere con s anche scienziati delle diverse discipline e mi ha informato della possibilit di mettere alla prova sul campo le mie conoscenze. Dymas indic i contapassi e poi il carro piccolo, il cuiping gli faceva male alle orecchie. A che cosa serve tutto questo, amico? Come ti chiami, in modo che possa rivolgermi a te con il tuo nome? Euclide. Dunque, il re vuole avere da noi descrizioni pi precise possibili del

paese. Distanze, altitudini, profondit, il percorso esatto dei fiumi e delle catene montuose, il numero degli abitanti, posizione ed estensione di citt e villaggi, natura del terreno e suo impiego, piante, animali domestici: semplicemente tutto. Questo il reparto addetto alle misurazioni; di esseri umani e animali si occupano altri. Euclide gli parl del lavoro preparatorio, della necessit di uniformare le unit di misura, e illustr a Tekhnef e a Dymas alcuni degli strumenti impiegati. Supponiamo disse di trovarci, per esempio, su una strada e di voler sapere quanto alta una montagna che si erge alla nostra destra e quanto dista dalla strada. Questa corda di cuoio aggiunse indicando un paletto intorno al quale era avvolta una striscia multicolore dello spessore di un mignolo lunga uno stadio. La posiamo sulla strada e rileviamo l'ipotetico centro della montagna sul terreno, vale a dire all'altezza del suolo. Poi, con l'aiuto di scandagli, stendiamo la corda in modo che le linee immaginarie tra le sue due estremit e la montagna formino lo stesso angolo rispetto a questa. Quando abbiamo le rette sul terreno e i due angoli, possiamo calcolare la lunghezza delle diagonali: i fianchi della montagna, che si trova nel punto in cui queste si incontrano e formano il terzo angolo. Euclide sollev uno strumento formato da numerosi paletti di legno, tenuti insieme con corde e anelli stretti, ognuno dei quali suddiviso in pi parti da tacche e segni colorati. Questo serve per determinare l'altezza. Un uomo preme la guancia contro il terreno, vicino alla corda di cuoio; un secondo solleva in alto questo strumento fino a che quello che disteso vede la cima del monte esattamente a dieci passi di distanza posteriormente o lateralmente rispetto alla punta del bastone misuratore. Determiniamo l'angolo e, poich sappiamo quanto distante la montagna, possiamo, almeno approssimativamente, calcolare la distanza della cima dal terreno: l'altezza. Pi difficile era stato uniformare le misurazioni delle distanze. Sulla base delle sue conoscenze delle diverse unit di misura, durante le riunioni preparatorie Aristotele aveva proposto le seguenti unit: l'unit fondamentale avrebbe dovuto essere lo stadio attico, costituito da cento orgyiai; un'orgyia sarebbe stata costituita da sei piedi, il piede da sessanta dattili, equivalenti alla larghezza di un dito. A loro volta trenta stadi avrebbero dovuto costituire una parasanga, che originariamente era soltanto una misura approssimativa persiana della distanza percorsa in un'ora da

un buon camminatore. La ruota del carro piccolo ha un diametro di meno di due piedi; ogni volta che compie un giro, ha percorso esattamente un'orgyia. Noi disse ridacchiando piano ormai definiamo questa misura un ping. A proposito, ci si fa l'abitudine: dopo qualche giorno, i dolori all'orecchio passano. Per molto tempo i contapassi hanno portato catene intorno alle caviglie con campanelli di segnalazione sul davanti. Se avvicinate i vostri nasi e occhi delicati ai loro piedi, potrete vedere come abbiano tutti molte piccole cicatrici. In questo modo si sono abituati a fare passi di una determinata lunghezza: tre passi per un'orgyia, che originariamente era considerata un passo doppio. Ma, sui terreni accidentati, spesso impossibile fare passi lunghi regolari. E le catene di perle? chiese Tekhnef. Servono per contare? S. Una perla sta per trenta passi, dieci orgyiai. Dieci perle per uno stadio; sulla corda, ogni dieci perle se ne trova una pi spessa. Ogni corda basta sempre per tre stadi; poi i bematisti avvertono gli uomini che si trovano sul carro grande di tracciare un segno sulle loro tavolette di cera. Alla sera i risultati vengono riportati sul papiro, insieme alle osservazioni degli uomini che si occupano delle curve, dei corsi d'acqua, delle montagne e dei centri abitati. Euclide spieg che i fondamenti per i calcoli erano stati introdotti gi secoli prima da uomini come Pitagora o Talete; lui stesso, con l'aiuto di Aristotele, li aveva semplificati per l'impiego quotidiano. Io non rimarr qui ancora a lungo disse alla fine. Ora so quello che mi interessava accertare. In autunno vorrei essere di nuovo ad Atene. Suonate, questa sera? Quella sera Tekhnef e Dymas intrattennero i geometri e gli altri scienziati; Euclide conosceva un numero incredibile di versi osceni sulle singole parti del corpo e sul loro impiego per provocare piacere o vergogna; Dymas li impar a memoria e Tekhnef delizi gli ascoltatori, che non le lesinarono osservazioni allusive, sia con il suono del suo flauto sia con i crudi racconti della sua patria nel sud dell'Egitto. Il giorno seguente legarono le briglie dei loro cavalli al carro su cui era seduto il medico Drakon, che masticava come sempre erbe, ramoscelli o steli. Quando si avvicinarono a lui, si trattava di un ramo di ciliegio; se lo sfil di bocca, sorrise loro con i suoi denti bianchi e forti e lo sollev in alto. Quello che vedete qui, non solo fa bene ai miei denti, ma ci assicurer anche la vittoria contro i persiani. Che cos'hai

in mente? chiese Dymas aiutando Tekhnef a salire sul carro e montandovi a sua volta. Vuoi fare una stregoneria con i fiori di ciliegio in modo da accecare i satrapi? Drakon rise fragorosamente. Ci prover, nonostante sia Aristandros quello preposto a simili sciocchezze. No, quello che vedete qui il fratello minore del grande albero che fornisce legno robusto e pesante. E, tra l'altro, anche una buona rafia: a Gordio stata impiegata per assicurare il timone di un certo carro. Ci trasciniamo dietro grosse scorte di questo legno, per la gioia dei fabbricanti di lance e degli armaioli. Blatera in modo meno dotto disse qualcuno seduto nel carro dietro a Drakon. A che cosa serve il legno? Come sappiamo, mio stupido amico, l'armamento di ciascun nobile cavaliere persiano consiste di una spada ricurva e, soprattutto, di due giavellotti leggeri. Leggeri, comodi da maneggiare, ma imprecisi nel lancio. Le sarisse della falange e i giavellotti dei cavalieri macedoni sono fatti invece di questo particolare legno di ciliegio, duro e pesante; e i giavellotti dei cavalieri sono anche pi lunghi di quelli dei persiani. Dal che potete vedere come io ne mastichi di questioni belliche. Bah disse l'uomo disteso, prima di sollevarsi appoggiandosi sui gomiti. Quando sar guarito il mio piede? Non riesco pi a sopportare i tuoi discorsi, Drakon. Allora scendi, corri, rilassati e buon divertimento. Che cos'ha? chiese Tekhnef. Drakon spinse il ramo nell'angolo della bocca. Due, anzi tre problemi. Il meno grave che quell'idiota si piantato una spina nel piede ed andato dai medici soltanto quando l'infiammazione era gi avanzata. Non era una spina, era una scheggia disse l'uomo facendo una smorfia. Una maledetta scheggia di una di quelle maledette navi durante quella maledetta traversata. Ha quattro problemi riprese Drakon strizzando l'occhio. Il secondo la sua stupidit; il terzo, come avete sentito, il suo vocabolario limitato, per non dire miserevole. E il quarto? Di, dillo, quale altro problema ho? Non un problema, ma un dato di fatto: sei cretese. E tutti i cretesi mentono. Io non mento disse con un largo sorriso l'uomo ferito al piede. Lo vedi? Hai gi ripreso a mentire. Sei cretese? S. E allora menti, perch tutti i cretesi mentono. Dunque non sei cretese, dal momento che hai detto di esserlo. Dunque menti, soprattutto quando dici la verit. Il cretese gemette. Ma smettila una buona volta, Drakon. Quando arriveremo finalmente al fiume? Quale fiume? Quello dove si svolger la battaglia. Drakon scosse il capo e

rivolse lo sguardo a Tekhnef e Dymas. Non so nulla di fiumi e di battaglie disse con aria sorpresa. Ovunque ormai non si parla d'altro. Che i persiani ci attendono nei pressi di un fiume. Gra, Gru o qualcosa del genere. Granico disse Dymas. Si sono radunati da qualche parte al di l del Granico. Ma perch mai dovrebbero aspettarci l? Il cretese si strinse nelle spalle. Non lo so, ma ne parlano tutti. Nessuno sapeva il perch, ma tutti lo confermarono quando, alla sera, Tekhnef e Dymas sedettero davanti ai fuochi dei mercenari a suonare e a bere insieme agli uomini. C'erano egizi, fuggiti dai persiani e arruolati nel Peloponneso meridionale, sulla penisola di Tainaron, come altre decine di migliaia di mercenari prima di loro; i celebri arcieri cretesi, la maggior parte arruolati direttamente a Creta; fanti provenienti dalle citt e dai villaggi dell'Acaia; guerrieri delle trib illire, con spade enormi e berretti di pelle di donnola; proscritti, reietti o criminali in fuga dalle citt elleniche della Sicilia e dell'Italia meridionale e, insieme ai sicelioti, perfino una manciata di etruschi e quattro romani; uomini senza patria n terra, provenienti dai territori asiatici: Klazomenai, Smirne, Efeso, Halikarnassos; molti elleni e meticci elleni provenienti da Licia e Cilicia; fenici girovaghi; centinaia di uomini dalle isole di Rodi, Samos, Delos, Chios, Lesbo, Imbros, Kos e perfino dal nord, da Samotracia, oltre ad alcuni ex pirati di Patmos; elleni provenienti dalle colonie cittadine del nord, da Bisanzio, Odessos, Sinope, da Kardia, la patria di Eumenes, da tutti i porti del Ponto Eusino; celti; soldati sciti e geti provenienti dalle steppe a nord del Ponto Eusino; elleni e libi di Cirene: una terribile mistura di lingue, abiti, armi, lineamenti del volto. Anche la maggior parte dei non elleni possedeva almeno qualche rudimento della lingua parlata. La pianura su cui erano accampati non era affatto punteggiata di fuochi come il cielo di stelle. C'era troppo poca legna da ardere e la maggior parte veniva utilizzata per il fuoco delle cucine. Seduto in mezzo agli achei, tutti opliti, Dymas descrisse con un lieve sogghigno le abitudini dei carovanieri dell'Arabia e dell'Asia, che raccoglievano gli escrementi dei loro animali, li facevano seccare e li utilizzavano come combustibile. Noi siamo fanti e non abbiamo animali disse uno degli uomini, che aveva una cicatrice dentellata sulla guancia. E, anche se li avessimo... puah! Ci farete l'abitudine, pi avanti. Quindi ripresero a

parlare della battaglia che si sarebbe svolta presto in riva a un fiume. Naturalmente c'era una spiegazione semplice: qualcuno aveva carpito qualcosa da uno degli esploratori o dei portaordini. Per, man mano che gli uomini ne parlavano, il fiume, che probabilmente era piuttosto un ruscello, si trasform in un immenso corso d'acqua ai confini del mondo e la battaglia in uno scontro immane tra Alessandro, il signore della luce, e i suoi alleati da una parte, e un'entit oscura e minacciosa al di l del fiume dall'altra. A tarda notte uno degli achei ritorn barcollando dai carri su cui le prostitute sbevazzavano e strillavano insieme ai soldati, quando non c'era nient'altro da fare. Balbettava un poco, ma era ancora in grado di farsi comprendere. Due giorni. Poi, il terzo, sar quello buono. Chi lo dice? borbott uno degli altri. L'uomo indic con il pollice alle sue spalle. Una delle donne... l'ha letto su un osso di montone. Le stelle iniziavano appena a impallidire quando finalmente Tekhnef ritrov la collinetta dove i due cavalli cui erano state legate le zampe anteriori avevano brucato, si erano distesi e ora annusavano il vento del mattino. Si avvolse nella grande coperta di cuoio accanto a Dymas. Nella luce incerta i suoi occhi apparivano spaventati. Che cosa c', amore? Dymas si era preoccupato e non aveva quasi dormito, ma non disse nulla. Tekhnef si strinse a lui. Sono rimasta insieme agli egizi sussurr. Abbiamo condiviso la nostalgia. E poi mi sono perduta. E' tutto cos... immenso. E confuso. Mi sento soffocare. Stava tremando. Dymas la strinse a s con entrambe le braccia. Andiamo alla deriva nel mare in tempesta; non c' tempo per riprendere fiato. Ma la corrente cambia il mondo. Restiamo a osservare la corrente da lontano. Armeggi con il perizoma di Dymas sotto la coperta. Voglio tornare a stendermi sola con te, sotto le stelle o tra le pareti di legno, senza essere circondati da quindicimila guerrieri. Girare per i porti, bere, suonare, ascoltare storie, vedere il sole calare sulle onde. Si mise a sedere e si sfil il chitone. Dymas allung una mano verso i suoi seni. Lacrime nere della penombra mormor. Pi tardi, quando giacquero l'uno accanto all'altra ansanti e accaldati, le raccont della strana battaglia in riva allo strano fiume: un evento del futuro che si era gi trasformato

in un mito remoto prima del tempo. Dopo la battaglia... ce ne andiamo dopo la battaglia.

Il giorno dopo, con l'adunata, la confusione parve crescere ancora. Le staffette correvano avanti e indietro tra i gruppi in marcia, in partenza o ancora fermi. Evidentemente alcuni reparti avevano ricevuto ordini particolari e marciavano pi rapidamente, lasciando indietro le rispettive salmerie; nel corso del pomeriggio sparirono tutti i mercenari e, d'un tratto, le colonne in marcia furono composte esclusivamente di fanti. Dei cavalieri macedoni e tessali nemmeno l'ombra; alla sera, mentre cercavano un accampamento, Dymas e Tekhnef incontrarono soltanto un piccolo gruppo di giovani a cavallo, dai quali per non ottennero alcuna informazione: gli altezzosi figli dei nobili macedoni, gli attendenti del re, non si sprecavano a parlare con due musici girovaghi. In patria, durante le campagne militari di Filippo e ancora al tempo delle prime imprese di Alessandro, valeva la vecchia regola secondo cui a ogni nobile guerriero della cavalleria degli etri spettava un attendente, anch'egli a cavallo, alle migliori truppe di fanteria uno schiavo, uno scudiero o un attendente ogni quattro uomini, agli opliti della falange ordinaria uno ogni dieci soldati; per la spedizione in Asia anche queste vecchie regole erano state annullate o modificate per non gonfiare a dismisura le salmerie. Pertanto il numero degli attendenti che si incontravano in un determinato posto non autorizzava alcuna supposizione riguardo al numero dei cavalieri di cui potevano essere al seguito. Inoltre, nessuno sapeva dove fossero il re e Parmenion. Ma la cosa non sembrava destare la minima preoccupazione; un sottocapo del reparto della falange di Perdikkas disse che il ragazzo e il vecchio sapevano certo quello che facevano e che li si poteva seguire alla cieca. Neppure l'assenza del taxiarca Perdikkas, uno dei giovani compagni di Alessandro, sembrava avere importanza. Verso il crepuscolo una staffetta giunse al fuoco davanti al quale si erano distesi Dymas e Tekhnef. Il re desidera la vostra compagnia disse senza smontare da cavallo. Come fa a sapere che siamo qui? Lui sa sempre dove sono tutti. Tekhnef e Dymas presero gli strumenti e seguirono il

cavaliere, senza prendere i cavalli. Le tende del re e dei comandanti si trovavano al di l di una piccola catena di colline. Un ruscello che sgorgava in mezzo alle alture sembrava attirare moltissimi fanciulli e uomini con recipienti; pi in basso i cavalli si accalcavano lungo il corso d'acqua come pioppi abbattuti. Il cielo mostrava ancora le tracce del giorno; a occidente fiammeggiava l'ultimo rosso. C'era troppa luce per le stelle, tranne che per quelle pi luminose e per la luna; dalla collina i fuochi che ardevano a destra e a sinistra del ruscello sembravano stelle cadute e le migliaia di punte di giavellotto, gli scudi decorati e gli ornamenti d'oro e d'argento delle tende e degli equipaggiamenti riflettevano le luci distorcendole. La staffetta scese di sella, indic la tenda pi grande e poi condusse il suo cavallo gi lungo il ruscello, fino a una specie di pascolo; l certamente gli schiavi e alcuni attendenti del re sorvegliavano gli animali pi preziosi. Erano stati piantati pali e tra questi erano state tese corde che, alla luce calante, si riuscivano ormai solo a intravedere. Mentre si avvicinavano alla tenda, il re giunse a passo svelto, quasi di corsa, dalla loro destra, evidentemente da un avvallamento in mezzo alle colline. Il suo medico ed etro Philippos lo seguiva ansante. Alessandro salt oltre il ruscello, si ferm a osservare l'ammasso scuro che teneva tra le mani e si volt verso Philippos. A proposito, il succo di quest'erba, opportunamente allungato produce strani sogni. Come se uno volasse. Non allungato, pu condurre alla follia. Philippos fece schioccare la lingua. Ma questo non l'abbiamo imparato da Aristotele. Alessandro sorrise; alla luce del fuoco, i suoi denti bianchi brillarono. Ah, non sei stato attento, amico mio. Philippos sbuff; il suo petto si alzava e abbassava rapidamente. No, lo sono stato. Sui veleni pi indicata tua madre che Aristotele. Alessandro gli premette tra le mani l'ammasso scuro e si pul le dita sul chitone. Olympias sa qualcosa sui veleni, ma Aristotele ne sa di pi. Solo che non ne ha mai parlato esplicitamente. Allora probabilmente ero troppo piccolo e troppo stupido per capirlo. Il re rise. Eri? Sei forse cresciuto e diventato pi intelligente? Si volt verso i musici che lo attendevano. Quando giunse vicino a Dymas, questi si accorse che Alessandro masticava qualcosa e percep il dolce aroma della menta. Dymas, Tekhnef, vi ringrazio di avere accolto la mia

richiesta. Entrate nella tenda e fatevi servire. Io arrivo subito, non appena mi sar ripulito. Abbass lo sguardo su di s: il chitone era lurido e i sandali incrostati di fango, cos come le sue gambe, dal ginocchio in gi. Siamo noi a ringraziarti per averci fatto l'onore di chiamarci, signore disse Dymas. Alessandro annu appena e si rec in una tenda pi piccola accanto a quella grande di cuoio e teli bianchi, davanti alla quale c'erano alcune sentinelle. Dall'ingresso proveniva una luce; quando furono pi vicini, udirono un groviglio di voci sorde. La tenda del re era alta un po' pi di due uomini, larga dieci passi e profonda almeno venti. Il pavimento era ricoperto da grandi pezze di cuoio e di pelle cucite insieme. C'erano moltissimi tavoli, piccoli e grandi, insieme a panche, sgabelli e klinai. Dymas conosceva o sapeva chi erano la maggior parte dei circa quaranta uomini che vi erano seduti o distesi, serviti dagli attendenti reali. C'era Parmenion, insieme ai suoi figli Hektor, Nikanor e Philotas; i capi dei sei reparti della falange: Perdikkas, Koinos, Amyntas, Philippos, Meleagros e Krateros; gli ufficiali e i consiglieri pi anziani come Demaratos, Antigonos e Demetrios; i capi della cavalleria Agathon, Philippos e Kalas, altri alti ufficiali ed etri come Klearchos, Attalos, Hephaistion, Ptolemaios, Laomedon, Seleukos, Kleitos il Nero e suo nipote Proteas. Il veggente Aristandros era accovacciato vicino all'ingresso come una cornacchia arruffata dal vento, avvolto nel suo mantello nero e d'umore visibilmente ancora pi nero. Al centro, ricoperto da semplici pelli, c'era il giaciglio del re, vuoto; Hephaistion era appoggiato a un giaciglio alla sua destra, alla sinistra si stiracchiava il fratellastro di Alessandro, Arridaios. Beveva da un semplice bicchiere di stagno e il vino gli colava dal mento sulla sopravveste, un tempo bianca e gi notevolmente sudicia; ma i suoi occhi erano freddi e attenti. Un ufficiale che comandava la maggior parte dei mercenari e Alexandros il Linceste aiutavano Proteas a bere mentre Kleitos li osservava di malumore. Il Linceste sosteneva il braccio con il bicchiere dell'uomo celebre per le bevute e le battute cattive, mentre l'altro lo riempiva di vino non allungato da una brocca di terracotta. Arridaios ammicc, rutt e indic il nipote di Kleitos. E-ehi t-tu. Balbettava: aveva la lingua troppo lunga. Eehi, P-Proteas, s-sei nel p-posto sba-sbagliato: avresti d-

dovuto f-fare l'oste. Davanti all'ingresso c'erano alcuni tavoli e panche leggere per gli intrattenitori: una suonatrice d'arpa - l'unica donna della compagnia oltre a Tekhnef -, due cantori, due attori con maschere comiche appese al collo, un mago, un suonatore di tamburo e due uomini con la lira. Dymas e Tekhnef si sedettero accanto a loro. Mentre si serviva di vino e arrosto freddo, il musico si chiese se l'assenza di determinate persone potesse significare qualcosa. Mancava Callistene, cos come il responsabile del tesoro, lo zoppo Harpalos; non c'erano Eumenes di Kardia e il cretese Nearchos, i capi delle squadre di tecnici e scienziati. A parte Arridaios, tutti i presenti appartenevano alle unit di combattimento oppure, come il vecchio Demaratos o Proteas, presumibilmente non proprio atto alle armi, erano etri del re e per questo appartenenti alla cavalleria dei compagni anche se non avrebbero dovuto scendere in battaglia. O gli altri dovevano occuparsi di preparativi particolari, oppure il re aveva invitato intenzionalmente soltanto coloro che sarebbero stati importanti nell'imminente battaglia. Arridaios batt le mani e indic i musici. Il tamburino e i due suonatori di lira attaccarono una ballata veloce in cui la donna con l'arpa entr dopo la prima met. Non suonavano male, ma neanche bene. Tekhnef estrasse il suo aulos doppio, suon piano alcune note, fece una smorfia e ripose nuovamente lo strumento: arpa e lire, che probabilmente si erano accordate prima l'una sulle altre, erano troppo basse di quasi un tono perch lei potesse suonare insieme a loro. Dopo la fine del primo pezzo, Dymas prese la citara e accenn ad alcuni accordi che risuonarono per la tenda; Tekhnef suon qualche passaggio veloce. Gli altri musici compresero e iniziarono ad accordare i loro strumenti, cosa che per l'arpa avrebbe richiesto molto tempo. Dymas suon una ballata lenta, quasi solenne, che aveva ascoltato anni prima ad Halikarnassos, una strana mistura di melodie persiane e carie. Tekhnef si strinse sul volto la cinghia di cuoio che sosteneva mascella e mandibola, in modo che l'auleta potesse dedicare tutta la sua attenzione alle note che emetteva, senza doversi preoccupare della pressione che si produceva sulla bocca (oltre che della smorfia sul suo viso). Suon una nota bassa di accompagnamento con l'aulos sinistro, mentre con il flauto destro riprese in una tonalit pi acuta, con piccoli abbellimenti, la melodia di Dymas. L'uomo con il tamburo, una ruota cava ricoperta di pelle di vitello, era evidentemente pratico delle stravaganze asiatiche: spost a poco a poco

l'accento dal primo colpo al secondo, al terzo, al quarto, al terzo e al secondo, suscitando in Dymas un sorriso gentile di gratitudine. Una delle due lire segu la melodia, mentre la seconda non riusciva ad accordarsi bene: la pallina di cotenna e resina intorno alla quale era avvolta la quarta corda continuava a cedere. Alla fine il musico borbott, lasci la corda completamente allentata e utilizz solo le altre. Quando anche lui riusc a trovare la melodia, Dymas annu con decisione e smise per un istante di suonare, dicendo a mezza voce: Continuate sempre cos, va bene?. Quando i suonatori di lira ammiccarono, Tekhnef abbandon la sua tonalit pi acuta. Senza modificare la nota dominante del flauto sinistro, scese con il destro di quasi due terzi della sua scala tonale e suon dapprima la melodia, e poi soltanto gli abbellimenti intorno a questa nuova dominante. Quello che inizialmente parve fastidiosamente inconsueto, si trasform in un tappeto di note multicolore e stratificato quando Dymas suon con la citara una terza voce, a sua volta sfalsata. Uno dei suonatori di lira incespic; improvvisamente sulla tenda cal un silenzio teso. L'inusuale polifonia impegnava molto i musici: i due suonatori di lira sudavano e facevano smorfie Il tamburino sorrise e inizi a battere un ritmo sincopato; alla fine l'arpa prese a ondeggiare in alto e in basso con singole note, come una scala a chiocciola piena di buchi che voltasse un po' a sinistra e un po' a destra. Quando il pezzo fu terminato, dapprima si sent soltanto il sospiro di sollievo dei suonatori di lira che, con le dita leggere uscivano da quella caotica terra sconosciuta. Dymas vide Parmenion annuire insieme a molti altri; Proteas rutt: probabilmente il massimo segno di riconoscimento fu avere evitato di farlo durante l'esecuzione. La maggior parte fissava un punto alle spalle dei musici. Una mano si pos sulla spalla di Dymas; poi il musico ud la voce di Alessandro. Il re doveva essere l gi da molto tempo. Un applauso sarebbe un'offesa infamante per una simile arte. Alessandro fece un cenno d'intesa agli altri musici, si chin verso Tekhnef, le sfior la fronte con un bacio e poi si diresse al suo giaciglio. Fece un cenno ai cantori. Mentre si faceva riempire il bicchiere di sola acqua da uno dei suoi attendenti e addentava un pezzo di pane, i cantori intonarono, senza accompagnamento e con voce troppo alta e drammatica, versi di Omero. I musici riposero gli strumenti e si dedicarono al vino e ai cibi.

Durante gli altri spettacoli - Tekhnef e Dymas suonarono ancora diverse volte insieme agli altri, senza tuttavia assumerne pi la direzione; il mago trasform, dietro un fumo bluastro e maleodorante, una focaccia in un bicchiere pieno di vino; gli attori recitarono qualche passo osceno delle opere di Aristofane - si parl con voce ora pi alta, ora pi bassa. Niente si avvicin alla forza sorprendente n alla perfezione di quel primo pezzo suonato insieme. Ogni tanto Tekhnef lanciava occhiate ironiche a Dymas. Il citarista aveva infilato di nuovo lo strumento nella borsa di cuoio e osservava gli uomini che, nel giro di poche ore, avrebbero dovuto fronteggiare l'esercito dei satrapi del Gran Re, le spade affilate, le lance insanguinate, i molti volti e le grida atroci della morte. Sembravano tutti tranquilli; alcuni erano sobri, altri leggermente ebbri o completamente ubriachi, e Dymas comprese improvvisamente che il loro compito era quello di condurre gli uomini e procurarsi l'immortalit morendo in battaglia, come il suo era quello di accordare la citara e produrre suoni: non c'era ragione di agitarsi. Poi osserv il re. In Alessandro c'era continuamente qualcosa in movimento: un muscolo, un piede, una mano, gli occhi azzurri; come se dovesse liberare costantemente energia, perch altrimenti il recipiente sarebbe scoppiato. A Dymas continuava a tornare alla mente un cristallo tagliente che un tempo possedeva e aveva perduto, un oggetto estremamente duro e resistente, con innumerevoli facce, ognuna delle quali era diversa dall'altra e a suo modo perfetta, sempre nuova e sorprendente con il cambiare della luce. Uno sguardo a uno degli attendenti, insieme a un gesto quasi impercettibile della mano verso Hephaistion, che si trovava a una distanza di quattro o cinque passi: due forme di scambio intimo che, per alcuni momenti, produssero un triangolo evanescente nel locale. Parole a bassa voce e uno sguardo gelido, che ridussero il monologo furente di Aristandros in parole smozzicate e gesti incerti. Gentilezza e cortesia nei confronti degli anziani, soprattutto di Parmenion; confidenza ironica nei confronti dei compagni suoi coetanei; il volto incupito per la preoccupazione quando Arridaios si lasci andare a movimenti nervosi; scherno aperto quando Kleitos e Demetrios trascinarono via, come una marionetta disarticolata, Proteas ubriaco fradicio. Sarcasmo feroce quando rifer dell'assedio simulato alla citt di Lampsakos - un assedio per il quale non aveva n il tempo, n la voglia, n i mezzi, fino a che l'esercito dei satrapi era nelle vicinanze - e dei cinquanta talenti che i ricchi mercanti avevano pagato perch

il centro abitato venisse risparmiato; scetticismo e disapprovazione quando Antigonos Monoftalmo parl dei carri di mercanti e di prostitute dai quali si diceva che Harpalos pretendesse troppo, in cambio del permesso di accompagnare e approvvigionare l'esercito. Un lieve sorriso nel volto rilassato, con la testa leggermente piegata, mentre ascoltava una sconcezza che Ptolemaios, figlio di Lagos, riferiva su un villaggio montano della Macedonia immediatamente cancellato da un'ondata di luce proveniente dall'interno, quando corresse un verso d'Omero storpiato da uno dei cantori, cui apparentemente non prestava attenzione; regalit senza condiscendenza nei gesti con cui conged musici e intrattenitori, poi un ordine, dato con occhi quasi supplichevoli, che indusse Tekhnef e Dymas a trattenersi. Quanto erano miseramente semplici e monotoni, al confronto, i due attori con le loro maschere! E ancora qualcosa che penetr lentamente nei sensi, annebbiati dal vino, di Dymas: la forza e la bellezza di ogni movimento, l'armonia e la padronanza di s, e il suo profumo. Gli altri uomini non profumavano, oppure puzzavano di sudore, di cavallo, di sporco sincero. Alessandro aveva fatto il bagno e si era fatto massaggiare e spalmare di unguenti dalle dita delicate del maestro Athenophanes. Pelle chiara, capelli chiari, occhi chiari, il chitone chiaro, il tutto per nulla offuscato dal nero di Aristandros, il cui precoce congedo non era spiaciuto a nessuno. A un certo punto Tekhnef diede un calcio a Dymas; era distesa accanto a lui nell'ampio giaciglio che prima aveva ospitato tre ufficiali. Guardami sussurr in modo quasi impercettibile la donna nera originaria dell'Egitto meridionale. Dymas distolse lo sguardo da Alessandro. Che cosa c'? Tekhnef gli pos una mano sul perizoma, palpandogli il membro. Anch'io lo amo, ma non perderti completamente nella sua magia gli disse con un sorrisetto. Erano tutti e due stanchi ma, quando il re li invit a suonare, lo fecero. Li ascoltarono soltanto lui ed Hephaistion; gli altri se ne erano andati a poco a poco, per ultimo Perdikkas dopo alcune parole brusche, anche se a bassa voce, cui Hephaistion aveva risposto con un'alzata di spalle. Il vino e la stanchezza privavano la musica della perfezione assoluta, ma Tekhnef e Dymas erano talmente bravi da brillare anche nell'imprecisione. Alla fine del lungo pezzo, lento, complesso e intricato, Hephaistion se ne and; tocc Alessandro sulla spalla e

rivolse un freddo cenno ai musici. Si ferm all'ingresso per lasciar passare una staffetta stanca e due attendenti del re che portavano coperte arrotolate e sacchi da viaggio. Siete miei ospiti. Alessandro si alz in piedi, sistem la pelle del giaciglio e indic con il mento i bagagli. E' tardi e ci sarebbe troppa strada fino ai vostri cavalli. Gli animali ci sono? Sissignore. A un cenno della mano di Alessandro, i servitori posarono a terra le coperte e i sacchi e si ritirarono. La staffetta si avvicin, port la mano al petto e porse al re un rotolo sgualcito. La disposizione dell'accampamento nemico, signore. Va bene; vai a dormire. Alessandro srotol il papiro, diede una scorsa alle comunicazioni dei suoi informatori, aggrott la fronte e mise da parte il rotolo. Suonate disse. Si freg le tempie con la punta delle dita e poi si pass le mani sugli occhi. Tekhnef parl a mezza voce; il suo tono roco esprimeva sorpresa e compassione. Non dovresti dormire, signore? Tu sei esausto e tutti noi abbiamo bisogno della tua forza. Alessandro ammicc, sprofond nel giaciglio e rimase a fissare la sommit della tenda. La maggior parte dei ceri e delle fiaccole si erano consumati; ardevano ancora soltanto alcune lampade a olio. La notte s'insinua nella mia testa disse in modo quasi impercettibile. La met oscura del kosmos. Il mio lato oscuro, che vuole impadronirsi di me. Odio il sonno. Suonate. Dymas vuot il suo bicchiere e lo riemp d'acqua, anzich di vino pesante. Suon una serie di note in scala, tristi e lontane, come un vento nero sull'acqua salmastra. Tekhnef le accompagn con note stridule e lamentose, per passare presto a un tono pi dolce e seguire il citarista in un canto notturno, vago come i pensieri che precedono il sonno. Alessandro se ne stava disteso con gli occhi chiusi, il suo petto si sollevava e si abbassava in modo lento e regolare. Dymas pens distrattamente alle storie che si narravano sulle abitudini notturne del re, come il fatto che disprezzava il vino, che poteva facilitare il sonno alle altre persone ma non a lui: troppo spesso infatti lo aveva visto portare alla luce la met oscura di suo padre, le grida e il furore. Dopo aver terminato il pezzo vero e proprio, Dymas ne riprese ancora una volta la parte principale, la modific in una tonalit pi sorda e pi morbida, la suon ancora una volta sino alla fine, arricchita dai virtuosismi di Tekhnef. Sicuri

di aver aiutato il re a prendere sonno, lasciarono finalmente cadere gli strumenti. Tekhnef sbadigli; Dymas non riusciva pi a tenere gli occhi aperti. Alessandro era ancora disteso sulla schiena, con gli occhi chiusi. Vi ringrazio per la benevolenza. Siete stanchi, non vero? Si alz, si avvicin a loro e prese la mano di Tekhnef, ma le sue parole erano rivolte a Dymas e, in un certo senso, non giungevano inaspettate. Il suono del flauto... mi piacerebbe trascorrere il resto della notte con la donna nera. Dymas percep lo sguardo di Tekhnef; i suoi pensieri corsero agli otto anni passati insieme. Distolse a fatica gli occhi dal re e osserv la donna, l'amante, la compagna. Sent un groppo alla gola: pi che parlare, gracchi. Tekhnef una persona, non una propriet. Non posso disporre di lei. Tekhnef chiuse gli occhi; lungo la guancia le scese una lacrima. La donna nera dorme soltanto insieme al citarista, oppure sola, signore. Finch vivr, ricorder l'onore che il re mi ha accordato. Sfior con le labbra la mano di Alessandro. Lui le accarezz la guancia con la punta delle dita e si alz in piedi. Dymas, spettatore muto e frastornato, ne osserv le espressioni mutare con incredibile velocit: la sorpresa del sovrano, i tremiti dell'uomo in cerca di calore, la collera della persona respinta, la solitudine del ragazzo, la stanchezza del condottiero di diecimila guerrieri. Come la superficie di uno stagno sferzata dal vento, su cui il cielo si rispecchia: nuvole che, sospinte, si sfilacciano in brandelli, coprono e scoprono il sole, si uniscono in ammassi spessi che poi si dissolvono, sempre in movimento, sempre sospinte. Poi apparve nuovamente pensieroso; incroci le braccia davanti al petto e cammin su e gi nello spazio ristretto tra tavoli e giacigli. A mezza voce, come smarrito, disse: Questa cosa che io sono mi tiene in vita. Un recipiente nel quale infuriano e si scontrano diecimila nature, ognuna delle quali ha un lato luminoso e uno oscuro. Quando la volont mi abbandona, quando dormo, spesso temo che uno dei serpenti, un daimon, sopraffaccia gli altri e me stesso. Non so chi sia Alessandro; penso con orrore e disgusto a quello che diventer un giorno. Il giorno scaccia le ombre sullo sfondo, ma la notte... i discorsi, le storie narrate da uomini della notte che hanno

girato il mondo, i labirinti luminosi della musica.... Sospir. Catene che tengono insieme il recipiente. Si massaggi nuovamente le tempie con la punta delle dita; per un momento sembr che gli occhi gli uscissero dalle orbite. Posso stabilire di farmi ritrarre soltanto da Apelle. Ma che i ritratti siano buoni o meno, sfugge alla mia volont. Posso ordinare a Callistene di scrivere, ma la sua arte non sar mai quella del divino Omero; questo supera la mia volont. Potrei dire che voglio soltanto la vostra musica: ma sarebbe ancora bella, se vi obbligassi a suonarla ogni giorno? Dymas si alz in piedi e si diresse verso il sovrano, fermandosi a due passi di distanza da lui. Signore, domani o quando mai sar, ordinerai ai tuoi guerrieri di scendere in battaglia, di seguirti. Quando la battaglia sar finita e l'esercito dei satrapi annientato, Tekhnef e io loderemo la tua vittoria e vi abbandoneremo. Cosi presto? Perch? Dymas esit, cercando le parole. Tekhnef, da qualche parte dietro di lui, disse piano: Soffochiamo. Alessandro inarc le sopracciglia: Soffocate?. Poi sorrise stanco. Ah, capisco. Troppa gente? Anche questo. Non facile da descrivere. Una citt un aggeggio confuso e inafferrabile, una macchina fatta di ruote, pistoni, cinghie, cavi che si inseriscono l'uno nell'altro, e ogni cosa ha il suo posto e la sua funzione; e tuttavia ci sono posti vuoti per coloro che non fanno parte della macchina: i musici, per esempio. Il tuo esercito, signore, ancora pi incomprensibile; almeno per noi. E qui, con il passare del tempo, per noi non ci sar pi posto. Dovremmo entrare a far parte dell'ingranaggio, e questo sarebbe la fine della nostra musica. La nostra unica alternativa andarcene. Alessandro si alz in piedi. D'un tratto i suoi occhi scintillavano; quando mise le mani sulle spalle di Dymas, qualcosa parve scorrere dal re al musico: fuoco, forza, furore. E brama insopprimibile di infinitezza. Io sono l'ingranaggio. La voce di Alessandro: amore, forza e lusinga. Io sono ogni parte e il tutto. Qui c' spazio per i musici; spazio e oro. Vuoi essere fuoco nel sole, sangue nel deserto, un grido sulla vetta? Tutta la stanchezza era svanita, il tempo non esisteva pi, si era come fermato. Dymas si limitava a guardare il re, percependo un'energia incontenibile, sentendo odore di sale e di lontananza, intuendo una musica inimmaginabile. Poi qualcosa s'insinu nella sua mano abbandonata e la strinse. Dymas abbass lo sguardo e vide Tekhnef, in ginocchio accanto a lui. Il fuoco si spense: le mani di Alessandro sulle

sue spalle ritornarono mani umane e Dymas inizi ad avere paura. No, signore. Voglio suonare la citara insieme all'aulos di Tekhnef, bere vino nelle osterie dei porti e ascoltare le storie narrate da uomini e donne. Le storie sempre nuove che si raccontano ogni giorno sui fatti quotidiani, il lavoro, l'amore e la morte. Alessandro sorrise e tolse le mani dalle spalle di Dymas. Vieni, ti voglio mostrare una cosa... Non preoccuparti, Tekhnef: torner indietro. Visibilmente contrariata, Tekhnef lasci andare la sua mano. Con il passo ancora leggero e libero dalla stanchezza, Dymas segu il re fino al punto pi interno della tenda, poi attraverso una piccola uscita, nella notte, e infine in un'altra tenda, pi piccola. Qui, accoccolati sul pavimento, dormivano due attendenti; una lampada a olio ardeva ai piedi del giaciglio di Alessandro, costituito di semplici coperte e pelli. Su una cassapanca di legno priva di ornamenti erano posate armi e le parti di un'armatura. Alessandro prese lo scudo dai riflessi arancioni e lo sollev; gli angoli mostravano la ruggine. Era di forma circolare e aveva il diametro di circa un braccio. Le altre armi di Troia erano false disse il re come probabilmente sai. Questa autentica. Forse non lo scudo di Achille, ma appartiene alla stessa epoca. Parl a voce bassa, senza modificare n la cadenza n l'espressione, mentre i servitori continuavano a dormire tranquilli; tuttavia qualcosa avvinse Dymas. Durante la battaglia il mio scudiero sar accanto a me, con le solite cose. Vuoi portare questo scudo per me, Dymas, uno scudo acheo dell'epoca della caduta di Ilion? Dymas cadde in ginocchio come intontito, allung il braccio destro e tocc il bordo arrugginito. Fammi scendere in battaglia accanto a te, signore disse con voce roca. Con questo scudo, fino al termine del cammino. Alz lo sguardo; nell'oscurit della tenda Alessandro fissava un lontano punto luminoso. Poi soffoc una breve risata; i suoi occhi ritornarono indietro, sfiorarono Dymas e si fermarono sullo scudo che ripose insieme alle altre armi. Alzati, citarista. E tutto un gioco. Lo scudo falso come tutto il resto. Va' dalla tua donna nera. Una nota di sarcasmo, o di disprezzo, risuon in quelle parole. Dymas si rialz a fatica e ritorn incespicando nella tenda

grande. Un gioco. Procedeva in salita, controvento, gli ci volle un anno buio di pensieri confusi prima di essere di nuovo insieme a Tekhnef. Lei lo guard tra le pieghe di una coperta. Quella di Dymas era accanto a lei, sul giaciglio. I suoi occhi erano neri e tristi. L'ho percepito sino a qui disse con voce rotta. Stai tremando. Vieni. Dymas strisci fino a lei, tra le sue braccia, in cerca di riparo come un animale inseguito. Dopo un lungo silenzio, carico di tensione, mormor: Le diecimila nature... deve sentire molto freddo, a quell'altezza, e molta solitudine... chi gli si avvicina, cade in suo potere. Chi vuole guardarlo, deve restarne lontano. Io l'ho amato, temuto, ammirato, commiserato: tutto in pochi istanti. E adesso? Dymas gemette piano. Provo soltanto orrore..

2. La decapitazione.

Alle prime luci dell'alba cadeva una pioggerella sottile. Ptolemaios, figlio di Lagos e compagno del re, si avvolse in un mantello grigio e si diresse verso il fuoco scoppiettante delle sentinelle. Uno degli uomini gli porse un bicchiere con un decotto di verdure, un po' di vino e miele. Pioggia schifosa; appesantisce le strade. Accovacciata sui calcagni davanti al fuoco, la sentinella pi anziana indic con il mento l'erba umida. Ptolemaios grugn, si strofin gli occhi con la mano sinistra e sorb la brodaglia. Mhmm. Bollente. Quali strade? Sorrise. Da qualche parte un cavallo nitr, imitato da un secondo e cos via. La grigia atmosfera nebbiosa si andava schiarendo, senza per migliorare la visibilit. Vada per il fango, allora. Il vecchio oplita sput. Filippo l'ha sempre detto: meglio il fango che niente. Ptolemaios rise. Estrasse una manciata di cereali dalla borsa appesa alla cintura e li mastic lentamente, fino in fondo, mandando gi ogni boccone con un piccolo sorso. Il fante l'osservava con il labbro inferiore proteso. Che bello disse alla fine. Che cosa? Vedere il nobile Ptolemaios, principe ed etro, accovacciato sotto la pioggia a mangiare la nostra stessa sbobba. Bah. Harpalos ritornato? E' nella sua tenda, da circa tre ore. Altre cose di rilievo? Niente. E lui? Parmenion mosse il capo in direzione della grande tenda del re. E fuori- Da quando? La sentinella aggrott la fronte. Mezz'ora, forse un po' di pi. Ha dormito? Non credo proprio. Prima la musica, poi i discorsi. Quando sono montato di guardia, era seduto a scrivere. I due musici dormono dietro l'ingresso. Ptolemaios annu. Bene. Aspettiamo. Gli altri non devono alzarsi prima della sveglia. Si rimise in piedi, scosse l'umidit dal suo mantello e fece un giro di

ricognizione. Neanche le altre sentinelle segnalarono nulla di particolare. Quando giunse al ruscello, ud un fremito sordo e un rumore attutito di zoccoli. Dal grigiore della nebbia emerse Bukephalos, lo stallone chiaro dal capo taurino che anni prima Demaratos aveva donato al figlio del re. Alessandro scivol gi dal dorso del cavallo e lo fece bere. Indossava soltanto un perizoma di cuoio e, come al solito, aveva cavalcato senza gualdrappa n finimenti. Il suo corpo muscoloso e i lunghi capelli biondi erano bagnati. Mi vengono i brividi solo a guardarti disse Ptolemaios. Alessandro fece una breve risata. Ti stai rammollendo, amico mio. Si rivolse nuovamente verso Bukephalos, gli accarezz il collo e parve sussurrargli qualcosa all'orecchio. Il cavallo fremette piano e cerc con il muso il palmo della mano di Alessandro. Ptolemaios estrasse dalla borsa un po' di cereali e li fece scivolare nella mano di Alessandro. Grazie. Il tuo pranzo? Mhmm. Alessandro schiocc le dita e Bukephalos gli ripul la mano con le labbra e con la lingua; poi pos il capo sulla spalla del re. E' ritornato Harpalos? Ptolemaios indic con il pollice alle sue spalle. Dorme nella sua tenda. Hai denaro con te? Tutto quello che possedevo e che portavo con me l'ho dato al mio re e amico, o nudo cavaliere del mattino. Sguazzo sconsolato in mezzo all'erba coperta di rugiada e mi cibo, simile alle bestie, di cereali ed erbe. Forse dovrei affidare a te il compito di poeta, anzich a Callistene. Quindi non hai niente? Ma quanto ti serve, di mattino cos presto? Alessandro storse il naso. Non molto... qualche statere. . Non molto! Ptolemaios si finse indignato. Uno statere d'oro sono venti dracme d'argento: il soldo di venti giorni, signore. Ricevi un soldo? Ptolemaios rise. Mi sono stati promessi la gloria immortale e i confini della terra; chi oserebbe mai chiedere un soldo? Bene. Alessandro schiocc le dita e si volt; lo stallone lo segu. Ptolemaios cammin accanto al re che si avvicinava alla tenda di Harpalos. Che cos'hai in mente? Di rubare, e che altro? Alessandro sorrise, si port un dito alle labbra e scomparve nella tenda del responsabile del tesoro. Dopo pochi istanti torn indietro senza far rumore, mostrando a Ptolemaios cinque monete d'oro nel palmo aperto della mano. Ha il sonno pesante, lo zoppo, non vero? Che cosa te ne fai

di tutti quei soldi di primo mattino? Non ho intenzione di corrompere la dea dalle rosee dita, se questo che pensi; sono per le muse. Eh? Chiudi la bocca, Ptolemaios: sembri un idiota. Sono per i due musici, come dono di commiato. Sono bravi; un peccato che vadano via. Oggi? Hanno detto dopo la battaglia, ma immagino che... S'interruppe; Ptolemaios osserv il suo viso e la sua postura, poi annu lentamente. Alessandro entr nella tenda grande; Bukephalos batteva lo zoccolo anteriore destro sul terreno morbido e giocava con le orecchie. Avevano suonato una musica eccellente, la migliore che Ptolemaios fosse in grado di ricordare, ed erano rimasti per ultimi insieme al re. La donna nera... Forse lei, o tutti e due, avevano rifiutato qualcosa ad Alessandro e lui per questo li aveva un po' mortificati in uno dei suoi diecimila modi. Non aveva importanza: il mattino prima di muovere battaglia, l'orgoglio ferito dei musici contava meno di un chicco di sabbia sul ciglio della strada.

Quando finalmente la visibilit miglior, era giorno fatto. Ptolemaios osserv dalla collina la partenza dell'esercito, le colonne dei fanti in marcia, i carri che continuavano a sprofondare nelle buche piene di fango, le truppe di cavalleria, le staffette al galoppo. Era un'immagine familiare, un movimento ordinato, incomprensibile soltanto per chi non lo conoscesse. Era familiare, eppure ogni volta diverso. E gli muoveva qualcosa nel petto; qualcosa su cui non voleva indagare. La sera, prima della festa nella tenda di Alessandro, aveva cercato di scrivere una lettera, gi pi volte interrotta, al signore delle domande, il suo vecchio maestro Aristotele, senza riuscire, ancora una volta, a terminarla. Forse doveva semplicemente rinunciare al tentativo di spiegare al filosofo lontano che Ptolemaios, figlio di Lagos, gli era riconoscente per molte cose, ma che ora aveva deciso di non indagare pi certe questioni, di non essere un filosofo ma il figlio di un principe, un amico del re e un condottiero di uomini. Sospir. Quando fece ritorno alla sua tenda, il ragazzo che gli faceva da attendente aveva gi impacchettato gli oggetti pi importanti; anche la lettera non terminata era stata

arrotolata e messa via insieme al necessario per scrivere. Ptolemaios diede alcune istruzioni; due uomini della guardia dello stato maggiore aiutarono il ragazzo e uno schiavo a smontare la tenda. I musici erano scomparsi. Ptolemaios spieg al servitore la strada e il luogo in cui si sarebbero incontrati; poi lo lasci insieme agli schiavi e ai cavalli da soma, per cavalcare sino alla schiera della cavalleria degli etri, di cui era il comandante. A loro non ebbe bisogno di impartire ordini: erano gi stati informati e conoscevano l'esatta posizione che avrebbero dovuto assumere lungo la riva. Ptolemaios diede il segnale della partenza ma non li segu, bens cavalc in lungo e in largo attraverso il terreno pesante, per impartire ordini o fornire aiuto dove si rendeva necessario. Determinati reparti di truppe si muovevano pi velocemente degli altri; da questi turbamenti dell'ordine consueto, Ptolemaios cerc di indovinare il piano esatto del re. A un certo punto rise forte: fu quando mise insieme nella sua mente le informazioni sulla disposizione dell'accampamento nemico e le sue supposizioni sulle intenzioni di Alessandro. Un cuneo che avanzava in diagonale verso sinistra e che avrebbe spezzato l'esercito dei satrapi... Nel pomeriggio venne sfiorata la catastrofe. Il re che, come Ptolemaios e altri, aveva impartito le sue istruzioni per poi intrattenersi lungo il cammino con molte unit differenti, raggiunse il terreno pianeggiante e paludoso sulla sponda occidentale del Granico quasi contemporaneamente al reparto della falange di Krateros. Ptolemaios vide Alessandro parlare con quell'orso gigantesco e ud la risata fragorosa di Krateros giungere da oltre il campo. Poi, d'improvviso, questa cess quando Alessandro si accorse di qualcosa e fece scartare il suo animale. Ptolemaios si avvicin a cavallo, imitato da altri ufficiali. Vide Kleitos il Nero, Parmenion e Perdikkas mentre, dal fiume, si avvicinava Demaratos. In quel punto il Granico scorreva quasi esattamente verso nord; pi a valle e pi a monte il terreno era pi scosceso e roccioso. Il laghetto nella pianura, distante appena tre stadi dal fiume, forse un tempo aveva coperto l'intera estensione pianeggiante; le sue sponde cespugliose e il verde pianoro circostante rappresentavano un luogo ideale per l'accampamento. La sponda opposta del Granico era pi elevata, una piattaforma di fango e pietrisco alta quasi come un uomo. L si era schierato l'esercito dei satrapi: il sole pomeridiano faceva

scintillare le migliaia di punte di lancia, elmi e armature. I persiani, i mercenari e le truppe ausiliarie non avrebbero messo un piede nell'acqua; i soldati di Alessandro avrebbero dovuto guadare il fiume, che era largo una trentina di passi e non molto profondo, ma neppure in secca. Gli ordini del re erano stati chiari: ogni reparto doveva occupare un determinato punto della riva in un determinato momento, e attaccare non appena l'avesse raggiunto. Ma qualcuno, probabilmente Parmenion, perch nessun altro avrebbe osato, aveva ordinato alla maggior parte dei cavalieri di scendere da cavallo, protetti da una catena di cavalieri tessali e di unit mercenarie, i fanti dei reparti della falange iniziavano a costruire l'accampamento. Nel frattempo sopraggiungevano i primi carri delle salmerie, ricoperti di fango Gli ipaspisti, i migliori fanti macedoni al comando del figlio di Parmenion, Nikanor, formarono una seconda protezione dietro i mercenari, ma i loro scudieri e i carri con i giavellotti di scorta e tutto il resto erano rimasti molto pi indietro, in riva al lago. Alessandro era infuriato. Prima che Ptolemaios fosse abbastanza vicino da sentire qualcosa, le grida erano terminate. Lo avrebbe chiesto a Callistene, che si teneva al suo cavallo brunastro, con le orecchie letteralmente puntate, o forse era meglio di no. Gli occhi di Alessandro erano iniettati di sangue, le vene delle tempie parevano piccoli serpenti malvagi. Parmenion sedeva immobile sul suo morello; il mantello rosso gli scendeva morbido dalle spalle, il volto e le mani apparivano rilassati. Intorno agli angoli della bocca sembrava balenare il barlume di un sorriso, ma poteva anche essere un gioco del sole con la sua barba ingrigita. Dietro di lui, unico appiedato, c'era uno degli ufficiali tecnici, Aristoboulos. La falda del suo cappello floscio gli nascondeva il viso; le sue gambe erano ricoperte di fango sino alle ginocchia. Quelli laggi disse tranquillo Parmenion sono riposati e hanno mangiato. I nostri uomini hanno marciato non per quattro, ma per sei ore, e non su un terreno buono, ma nel fango. Sono stanchi e accaldati, mentre il fiume ghiacciato. Si pieg in avanti, il morello drizz le orecchie. Alessandro, questa battaglia... se vinciamo, non che l'inizio. Qui non ci sono quasi truppe iraniche, il Gran Re lontano, la potenza dell'Asia non affatto in gioco. Se veniamo sconfitti, la fine. Perci... Alessandro rimase in silenzio a fissare lo stratega esperto,

come se volesse farlo a pezzi con le mani e con i denti. Ptolemaios si sent sfiorato da una specie di vento caldo; sapeva che, se seduto su quel morello ci fosse stato lui, ora sarebbe balzato gi per abbracciare le ginocchia di Alessandro e leggere gli ordini nei suoi occhi. Parmenion rimase immobile. Per molto tempo nessuno parl. Alla fine Kleitos si schiar la voce; fece cenno di avvicinarsi a Koinos, che si era tenuto a distanza, ad accarezzare, apparentemente distratto, la nuca del suo cavallo. Consiglio di guerra. I tuoi uomini che cosa dicono, Koinos? Il capo della taxis, i cui uomini provenivano prevalentemente dall'Orestide come lui, esit a rispondere. Spinse all'indietro il semplice elmo a calotta e inarc le sopracciglia. Ptolemaios si attendeva inconsciamente il sorriso ironico con il quale Koinos aveva osservato le prestazioni dei suoi allievi durante l'addestramento a Beroia; ma uno di questi allievi era il re furibondo e altri, come Meleagros o Perdikkas, nel frattempo avevano raggiunto lo stesso rango della loro guida di un tempo. Ptolemaios aveva sempre cercato, per certi aspetti, di emulare Koinos, cos come faceva anche l'"orso" Krateros. Koinos era un comandante eccellente, prudente e dal sangue freddo in battaglia, forte ed esperto gi sotto Filippo; a differenza di molti giovani ufficiali, per, soprattutto Hephaistion, ma anche uomini come Perdikkas, non sottolineava la sua origine nobile, non trattava i soldati semplici dall'alto in basso. Era amato dagli opliti come Parmenion, come Krateros. E come Kleitos, che con la sola espressione "Consiglio di guerra" aveva riportato l'ordine. Era diritto dei nobili e degli ufficiali consigliare il re prima di una decisione importante; era loro diritto non essere sempre della sua opinione. Poi il re avrebbe potuto non tenere conto delle voci contrarie, ma era tenuto ad ascoltarle. Alessandro si mosse e l'ira di Achille scem. Afferr il suo mantello da pioggia marrone e se lo sfil, scoprendo il pettorale dorato che riluceva a distanza. Era gi pronto per la battaglia e ora doveva sentirsi come un corridore che, svoltato l'angolo, va a sbattere contro un muro che non aveva potuto prevedere. Ptolemaios, che senza rendersene conto aveva trattenuto il fiato, espir. La durezza di Parmenion, l'ira di Alessandro, le parole di Kleitos, l'esitazione di Koinos... Improvvisamente vide il baratro nel quale erano stati sul punto di precipitare tutti

e, per un gelido istante, dubit che quella spaccatura sotto i loro piedi avrebbe potuto essere richiusa. Da una parte gli ufficiali anziani, l'esercito forgiato da Filippo e Parmenion, macedoni con i loro pregi e i loro limiti; dall'altra il giovane re e i suoi giovani amici, anch'essi macedoni, ma educati alla maniera ellenica; nel mezzo, in una posizione estremamente sgradevole, tutti coloro che, loro malgrado appartenevano ad ambo le parti: Hektor, Nikanor e Philotas, amici del re e figli di Parmenion Kleitos, la cui sorella era stata la balia di Alessandro, che aveva sempre ammirato e sostenuto il ragazzo, come un giovane zio o un fratello maggiore; oppure Ptolemaios, che si considerava tra gli amici pi intimi di Alessandro, eppure in quel momento si era reso conto di non riuscire a concepire l'esercito senza Parmenion. Strofin con l'indice destro il punto in cui un tempo il suo naso si era rotto, trasformandosi in una specie di becco di falco. Koinos parve ritenere che il silenzio fosse ormai durato abbastanza e che tutti dovessero essere ricondotti alla realt. I miei uomini disse indicando con il pollice dietro di s hanno visto l'oro sulle armature dei satrapi e vogliono farne bottino; pensano alle loro bisacce, ma anche alle loro pance. Sono stanchi e affamati. Alessandro armeggi con le cinghie di cuoio grazie alle quali lo splendido elmo con i due pennacchi bianchi era appeso a un pomello del pettorale. Accampiamoci. Attaccheremo domattina presto. Senza guardare nessuno, spinse avanti Bukephalos e si allontan, passando in mezzo a Parmenion e Kleitos. Callistene apr la bocca, ma la richiuse in modo chiaramente udibile quando Parmenion alz la mano. Al lavoro. Quando ci sono cose da sbrigare, bene farlo in silenzio. Quello che devo sbrigare io, non si pu fare in silenzio disse Callistene. Sporse le labbra e fiss Parmenion, poi sorrise. Devo riferire all'Ellade che Alessandro, dopo aver varcato l'Ellesponto, non ha potuto attraversare questo rigagnolo a causa di un Parmenion divenuto vecchio e rimbambito? Kleitos port la mano all'impugnatura della spada. A mezza voce, tra i denti, disse: Tieni a bada la tua lingua sfrontata, scrivano. Solo il rispetto per tuo zio.... Non mettere in mezzo Aristotele. Stiamo parlando di teste di legno macedoni e di ci che su di loro devo riferire

all'Ellade. Parmenion rise. Lascialo perdere, Kleitos. Soffre di una tendenza patologica all'ingiuria. Prima o poi inciamper nella sua lingua. Scrivi quello che vuoi, ma non ci disturbare nel nostro lavoro.

Poco prima del tramonto, nel suo giro di ricognizione, Ptolemaios giunse all'accampamento della taxis di Krateros; tra i millecinquecento opliti e i loro sottocapi c'erano molte sue vecchie conoscenze. Stava giusto scambiando ricordi su alcuni ragazzi in certi campi di addestramento con Emes lo spilungone, quando tutt'intorno gli uomini saltarono in piedi e si accalcarono, tra grida ed espressioni di giubilo, verso il centro dell'accampamento. Era apparso Alessandro, ancora con la sua armatura scintillante. Insieme a lui c'erano alcuni ufficiali dello stato maggiore, oltre ad Harpalos e ad alcuni suoi uomini che trainavano un pesante carretto. Alessandro attese che il frastuono si fosse placato. Appariva rilassato, quasi allegro; fece l'occhiolino a Ptolemaios e batt le mani. Uomini disse ad alta voce. Amici e compagni! Lo so che molti di voi sono impazienti, ma meglio riposare un poco e rimettersi in forze, prima di attraversare un fiume. Alcuni uomini risero; Krateros, che si ergeva dietro ad Alessandro come una torre imponente, represse un sogghigno. Lo so che potreste attraversare immediatamente il corso d'acqua e sbarazzarvi di qualche piccolo ostacolo sull'altra riva. Altre risate e mormorii d'approvazione. Gli di sono stati buoni con noi: ci hanno rinfrescato con la pioggia e hanno fatto in modo che la marcia non fosse troppo noiosa; il fango rende molto pi emozionanti cose che altrimenti sarebbero monotone e banali. Un risolino si propag come un'increspatura sull'acqua. Voi siete abbastanza freschi da guadare il Granico e mettere in fuga la gente che bivacca sull'altra riva. Tra di loro vi sono perfino alcuni buoni soldati, traditori: mercenari provenienti da molte citt elleniche. Ma non abbiate timore, piccoli miei: sono cos preziosi per i satrapi, che vengono tenuti sulle colline, non schierati lungo la riva. Potrebbero cadere in acqua e bagnarsi, le loro spade si

arrugginirebbero. Il risolino crebbe fino a diventare uno sghignazzare diffuso. So che per voi tutto questo sarebbe soltanto una passeggiatina pomeridiana, amici... ma dopo forse sareste un po' stanchi e non riuscireste a godervi la vittoria come si deve. Perci rimanderemo questa piccola scaramuccia a domattina presto. I nostri nemici sbadigliano, si annoiano, sono rimasti per mezza giornata in riva al fiume e dovranno trascorrere tutta la notte nel timore che noi possiamo ancora cambiare idea. Domattina presto saranno morti di sonno, di malumore e in cattive condizioni. Noi invece stasera vogliamo mangiare e bere bene, e poi dormire bene. Lo so che le vostre provviste scarseggiano, ma non importa: mangiate quello che avete... domani potrete banchettare con i rifornimenti abbondanti dei persiani! Si guard intorno e attese che gli applausi e le grida di giubilo si smorzassero insieme alle risate, poi indic alle sue spalle Harpalos, i suoi uomini e il carretto. Come sapete, non consuetudine pagare il soldo prima di una battaglia; i generali parsimoniosi preferiscono rimandare a dopo, perch il numero di coloro che lo percepiscono potrebbe ridursi in modo vantaggioso. Non ridete, amici, sapete bene che cos. Io per so che domani sarete ancora tutti presenti. A parte, forse, uno o due... uomini che avranno combattuto in modo particolarmente valoroso e avranno ottenuto gloria immortale. Quindi non uno spreco se ordino di pagarvi, questa sera stessa, il soldo degli ultimi cinque giorni e dei prossimi cinque. Fatemi soltanto un favore, amici: domani non cercate di corrompere i persiani con la vostra nuova ricchezza. Non ci sar piet per i disertori. Gli uomini di Harpalos, coadiuvati da alcuni ufficiali della taxis, si occuparono dei pagamenti; Alessandro scambi ancora alcune parole a mezza voce con Krateros. Poi lui e Harpalos proseguirono alla volta del successivo reparto della falange, dove presumibilmente li attendeva gi il carro successivo. Alla luce vaga delle stelle, della luna semicoperta e dei fuochi Ptolemaios attravers a piedi la sottile catena di sentinelle sino al fiume, dove trov Kleitos e Demaratos. Anche dall'altra parte, sulla riva opposta, si scorgevano le sagome delle guardie alla luce tremula delle migliaia di fuochi che ardevano nell'accampamento dei satrapi. A differenza delle truppe macedoni, forgiate da Filippo e

Parmenion, quelle non sembravano equipaggiate in modo uniforme. Una sentinella portava una morbida pelle d'animale e un berretto a punta, oltre a uno scudo-allungato e a un fascio di giavellotti; per quanto era possibile scorgere alla luce incerta, era completamente rasata. La successiva portava una lunga barba nera, una specie di fazzoletto in testa, parti di corazza dai riflessi opachi sul busto e una veste lunga sino al ginocchio; la sua arma era un arco. Era visibilmente impegnata in una fitta conversazione con un altro soldato, che aveva una protezione di cuoio per il volto, un ampio mantello chiaro e una spada ricurva. Qualche passo pi a valle rispetto a loro, la sentinella successiva indossava l'equipaggiamento consueto degli opliti ellenici: probabilmente era uno dei mercenari del rodio Memnon. Kleitos si accovacci su una pietra piatta lungo la riva e fiss oltre il fiume; Demaratos era in piedi accanto a lui. Allora, informazioni importanti? Kleitos volt la testa. Ah, Ptolemaios... informazioni? Soltanto che quelli l sono pazzi. Tutti gli di dell'Asia devono aver cagato nel loro cervello. Demaratos fece schioccare la lingua ed entr in acqua. Ehi, fratello grid. Da dove vieni? La sentinella ellenica si pieg in avanti, senza scendere dall'argine elevato. Sono Demophon, di Corinto. E tu? Demaratos rise. Vengo anch'io da Corinto. Il mondo piccolo. Avete almeno una buona vista da lass, visto che non siete ancora entrati in azione? L'altro sollev le braccia. Insomma. Comunque, per stare a guardare il soldo pi che sufficiente. Un grido secco, probabilmente di un ufficiale; il corinzio borbott, alz il braccio e arretr di alcuni passi; Demaratos raggiunse di nuovo la riva. Come volevasi dimostrare mormor. Se mai ce ne fosse stato bisogno. D'un tratto udirono un fischio stridulo, sinistro, seguito da un fragore lontano. Dall'altra sponda giunsero grida concitate, poi ritorn la calma. Kleitos indic verso sud, pi a monte, dove le sponde si innalzavano. Il convoglio degli assediatori disse. E alcuni cretesi. Hanno legato rotoli di tessuto alle frecce e di tanto in tanto le scagliano oltre il fiume. Dentro quegli arnesi l'aria fischia come in un flauto. E gli assediatori scavano ghiaia e poi la gettano dall'altra parte con una catapulta. Non danneggia nessuno, ma disturba il loro sonno. In che senso sono tutti pazzi? chiese Ptolemaios. Kleitos rimase in silenzio; Demaratos si chin a raccogliere un ciottolo piatto che lanci nel fiume. Prima di affondare,

il sasso rimbalz per tre volte. Avrebbero dovuto incendiare tutto, cos non avremmo trovato niente da mangiare. Non l'hanno fatto: i loro di non vogliono. Avrebbero dovuto seguirci, darci la caccia, logorarci; e invece ci offrono battaglia. Hanno un bravo stratega, Memnon, ma non si fidano di lui, perch noi non abbiamo dato alle fiamme i suoi possedimenti. Kleitos borbott. Non dimenticare che hai sparso alcune voci. Demaratos fece un cenno con la mano. S, anche. In ogni caso, non gli prestano ascolto; i satrapi sono buoni amministratori, ma non sono guerrieri. E hanno alcune migliaia di mercenari ellenici, che agli ordini di Memnon sono i migliori fanti dell'Asia. Per, dal momento che non si fidano n di lui n di loro, domani non li schiereranno lungo la riva, ma li faranno attendere sulle colline. Ptolemaios si strinse nel mantello; tremava. Esistono forse altre ragioni di questo comportamento? Demaratos gli gett uno sguardo obliquo. Non sei stupido, ragazzo. S, ne esistono. Prevedono che la cavalleria corazzata, a ranghi serrati, che dalla riva elevata si erge ancora pi in alto, incuta pi timore rispetto agli opliti. E poi, loro vogliono Alessandro. I satrapi saranno schierati molto avanti: sanno che Alessandro, per sua natura, si getter lui per primo su di loro. E, se cade lui disse lentamente Kleitos la guerra finita. Parmenion riporter l'esercito, o quel che ne resta, in Macedonia, ma l'Asia a quel punto sar al sicuro. Rivolse uno sguardo penetrante a Ptolemaios. Tu, io e qualcun altro staremo vicinissimi a lui. Davanti a lui. Dietro di lui. Lo sai, sarebbe la fine, almeno per la maggior parte di noi. Lui insostituibile. E poi. . . s'interruppe. Demaratos pos una mano sulla spalla di Kleitos. Lo so, tutti lo amano. Ma tu hai ragione. Ci terranno lungo la riva, ci trascineranno nella mischia e, se lui cade, i mercenari avanzeranno da destra e da sinistra e ci penetreranno nei fianchi. Questo non deve accadere. Perci fate attenzione a lui. Lo far anch'io. Kleitos trasal; Ptolemaios era rimasto senza parole per la sorpresa. Il corinzio, grande mercante, amico e ospite di Filippo e Alessandro, capo degli esploratori della Macedonia, aveva sessantasei anni; probabilmente non aveva mai temuto l'impresa estrema, ma era anche vero che nessuno l'aveva mai visto in battaglia. Tu? disse Kleitos con tono quasi d'irritazione. Gli di si sorprendono del tuo coraggio, amico, ma... chi potrebbe gettare, ritirare e ricucire la rete degli informatori, se tu

dovessi cadere? Demaratos alz le spalle. Uno di voi... voi due conoscete il grande gioco. Come Antigonos che, con un occhio solo, vede pi di quanto gli serva. Rise piano. Nearchos sa quello che so io. Nessuno insostituibile... a parte lui. Ptolemaios represse uno sbadiglio. Dove sono i nostri mercenari? chiese alla fine, quando il silenzio divenne insopportabile. Demaratos rivolse lo sguardo verso nord. Pi a valle. Gli esploratori hanno riferito che laggi c' un guado. E che i satrapi non ritengono necessario sorvegliarlo.

Nei pressi della tenda di Alessandro, davanti al fuoco di un gruppo di sentinelle, Ptolemaios riconobbe due ufficiali dello stato maggiore di Parmenion. Uno era disteso sulla schiena e russava; il suo volto era illuminato dai riflessi del fuoco. L'altro aveva posato le braccia sulle ginocchia raccolte e fissava le fiamme. Una delle sentinelle gli rifer che Parmenion era gi da parecchio tempo con Alessandro; Ptolemaios esit un istante, poi si strinse nelle spalle e si diresse alla sua tenda. Al mattino lo schiavo gli port vino caldo allungato, aromatizzato con spezie e miele, insieme a una focaccia e a un pezzo di arrosto freddo. Ptolemaios mangi, si accovacci a evacuare sul mastello dai bordi larghi, che poi lo schiavo avrebbe ripulito, e osserv il servitore che preparava le armi e l'equipaggiamento. Poco pi tardi, nella confusione generale che regnava tra le tende, riusc a interrogare uno degli attendenti reali. Era il tredicenne Peukestas, figlio del medico Drakon. Sono rimasti seduti a fissarsi in silenzio, fino alle prime luci dell'alba. Poi Parmenion tornato dai suoi uomini e Alessandro ha dormito per un po'. A fissarsi in silenzio? Mhmm. Ptolemaios si tir la cinghia dell'elmo. Si ricord di un breve scoppio d'ira di Alessandro, di uno sguardo fisso che gli aveva strappato le viscere dell'anima e gli aveva sconvolto i pensieri, e prov una sensazione di rispetto, di stupore reverenziale. Chi, oltre a Parmenion, avrebbe potuto tenere testa al re per ore? A met strada rispetto al fiume si riun agli altri, i pi nobili, i migliori, il fiore dei principi compagni. Vide soltanto volti amichevoli, ud scherzi

e risa. Alessandro montava un cavallo baio: evidentemente aveva deciso di risparmiare Bukephalos. Indossava il suo mantello rosso scuro e stava congedando tre portaordini con le ultime istruzioni. Poi ebbe inizio l'ebbrezza. Ptolemaios si rese conto confusamente che l'altra sponda offriva uno spettacolo meraviglioso: migliaia di cavalieri, molti con i pettorali decorati e dorati, con gli elmi preziosi, con le vesti dei colori pi diversi; in seguito avrebbe saputo che si trattava di sei grandi reparti di truppe: verso valle, sull'ala destra, i medi, poi i battriani, entrambi al comando di Rheomithres; accanto a loro i paflagoni guidati da Arsites, il satrapo della Frigia ellespontica; quindi gli ircani di Spithridates, satrapo di Lidia e Ionia; accanto a loro i cavalieri della Cilicia capitanati dal loro satrapo Arsames-infine, sull'ala sinistra, cavalieri provenienti da tutte le altre regioni, condotti da Memnon. Alessandro part al trotto, ma fece cenno ai compagni di rimanere un po' indietro e di prendere posizione lungo la riva. Cavalc da solo davanti ai reparti delle truppe schierati, poi all'improvviso gett via il suo mantello e allung il braccio destro. Il suo pettorale mandava un riflesso accecante; i pennacchi bianchi dell'elmo si stagliarono abbaccinanti in quello splendore: fu come se fosse apparso un dio. I macedoni lanciarono grida di giubilo. Lentamente, senza preoccuparsi della gragnuola di pietre e lance, il re continu a cavalcare verso sinistra, l dove lo attendeva Parmenion. La sua ala era composta di tre taxeis: i cavalieri traci, la cavalleria degli alleati elleni e i tessali. I due uomini si scambiarono i saluti; Alessandro pos la mano sul braccio di Parmenion, poi volt bruscamente il cavallo e part al galoppo verso l'ala destra, che era ai suoi ordini. L si trovavano le altre tre taxeis: gli ipaspisti, i lancieri leggeri, i cavalieri peoni; quindi la cavalleria dei compagni al comando di Philotas e infine gli arcieri e gli agriani. Ma tutti questi dettagli, di cui Callistene prese accuratamente nota, Ptolemaios li venne a sapere molto pi tardi. Il nipote del grande Aristotele non prese parte alla battaglia: rimase dietro le linee con gli scrivani e il necessario per scrivere, ad annotare quello che accadeva, che vedeva, che gli veniva riferito. Ptolemaios attese il ritorno del re con il cuore che gli batteva e le orecchie che gli fischiavano, come gli altri compagni, come Aretes, lo scudiero di Alessandro, come

Demaratos, come Kleitos, come i pi nobili e i migliori tra i macedoni. Improvvisamente Alessandro scomparve, non lo si vide per lunghi istanti quando gli arcieri, che si erano disposti alla destra della cavalleria dei compagni, avanzarono verso la riva del fiume e riversarono un nugolo di frecce sui persiani. Avevano ricevuto l'ordine di mirare ai cavalli, per provocare la massima confusione possibile, e lo fecero. Dietro di loro, semicoperti rispetto ai nemici ma sufficienti a innervosirli, i quattro reparti di truppe al comando di Amyntas, disposti alla sinistra della cavalleria degli etri, avanzarono verso destra, diagonalmente, sino al fiume, nell'acqua, e attaccarono le truppe di Memnon schierate, che costituivano l'ala sinistra dei nemici e che vennero spinte ancora pi a sinistra dall'impeto violento, lontane dai guerrieri al comando di Arsames. Ptolemaios vide il varco sull'altra sponda, poi non vide pi nulla, non sent pi nulla, non vi fu altro che sangue e violenza, movimento e fuoco. Dietro Alessandro, che in quei movimenti apparentemente scoordinati era tornato a essere visibile, irruppe la cavalleria degli etri: verso sinistra, non nel fiume contro le truppe di Arsames, ma diagonalmente, pi a valle, dove si trovavano gli ircani di Spithridates. Per un momento si apr un varco tra i reparti persiani; i primi compagni raggiunsero la riva in quel punto e costituirono una testa di ponte, poi un cuneo. Finalmente Arsames decise di mandare una parte dei suoi uomini sulla sinistra, in aiuto di Memnon, e gli altri a Spithridates, contro Alessandro. Il resto dell'ala di Alessandro, inizialmente molto pi a sinistra rispetto agli etri, ora si trov dietro o accanto a loro e avanz a ranghi serrati sino al fiume. Parmenion aspettava. In qualche modo giunsero sull'altra sponda, in qualche modo sconfissero le prime file dei persiani che erano entrate nell'acqua a cavallo. Dall'alto piovevano lance, le lance leggere scagliate dai cavalieri del Gran Re. L'acqua spumeggiava, qua e l rossa di sangue, i soldati precipitavano dai cavalli in corsa, Ptolemaios spinse di lato uno dei compagni, che era rimasto immobile come una statua con una lancia nella gola e poi si rivers nell'acqua insieme agli altri. La riva rialzata, fango, detriti e pietre; cavalli che nitrivano e uomini che strillavano grida di morte e incitamenti in molte lingue. Nel fitto intrico i cavalli lottavano con i cavalli, i soldati con i soldati, gli opliti che avanzavano si infilavano nei varchi, calpestavano i morti,

spingevano indietro i cavalieri persiani con le loro sarisse lunghissime. Gli etri erano al margine della mischia, dentro la mischia, erano la mischia; le loro lance robuste, con i manici di legno di ciliegio, erano migliori di quelle dei nemici, fragili e leggere. Al centro del turbine c'era Alessandro, visibile da lontano grazie alla corazza scintillante e all'elmo abbacinante. I cavalieri persiani lo evitavano: non per paura, ma per aprire la strada ai loro principi, che volevano sconfiggere personalmente il re dei macedoni. In uno di questi duelli, la lancia di Alessandro si spezz. Il re lanci un grido, che come per miracolo si ud chiaramente in mezzo al tumulto, al suo scudiero Aretes, ma questi duellava non molto lontano, con in mano un giavellotto spezzato. Ptolemaios cacci l'arma nell'incavo dell'ascella del suo nemico e fece per lanciare al galoppo il suo cavallo, ma nel frattempo Demaratos si era gi accostato al re e gli porgeva la sua lancia. Mithradates, genero del Gran Re, si gett nel tumulto sanguinoso alla testa di un nucleo di cavalieri; Alessandro si volt verso di lui, gli cacci la lancia nel volto e lo fece cadere da cavallo. Dietro di lui spunt Roisakes, che abbatt la sua spada ricurva sull'elmo del re; ma riusc soltanto a staccare uno dei pennacchi bianchi e una parte dell'elmo. Intontito, barcollante, Alessandro si pieg in avanti per un terribile istante; poi volt il cavallo e trapass con la sua lancia la corazza e il petto di Roisakes. Il satrapo Spithridates, che era accanto a Roisakes, aveva ucciso due etri e ora si trovava alle spalle di Alessandro. Sollev la lama ricurva insanguinata. Colpito da una lancia, il cavallo montato da Ptolemaios croll con un nitrito. Tutt'intorno infuriava la folle danza sui cavalli morti e moribondi, abbattuti e strepitanti. Ptolemaios sent la terra traballare, ma erano soltanto il naso e i denti di un caduto che si rompevano sotto il suo piede. Vide Philotas che si piegava all'indietro sul suo cavallo ed estraeva il giavellotto dall'occhio di un persiano; vide Seleukos con la lancia e la spada, Hephaistion con una scimitarra trovata da qualche parte che impugnava con due mani, spalla contro spalla tra i nemici a cavallo e a piedi; un persiano su una gamba sola, in piedi sul suo cavallo morto, che tamponava con la spada lo zampillo di sangue che sgorgava dal moncone, prima di cadere lentamente, come se l'aria fosse densa come melassa; vide gli ipaspisti di Nikanor penetrare in mezzo ai cavalieri persiani, difendersi con lo scudo rotondo dai colpi e dai fendenti provenienti dall'alto e colpire con

la spada le gambe dei cavalieri, il ventre e i tendini dei cavalli; vide Perdikkas sull'argine con la spada e la lancia, che strillava davanti al muro delle sarisse dei suoi opliti; vide un etro caduto ricacciarsi i visceri nel ventre e sulla sua spalla sogghignare una seconda testa, appartenente a un nemico decapitato; vide attraverso un velo di sangue, la mandibola di un persiano scivolare gi dal suo petto lasciando dietro di s una scia bavosa e appiccicosa; vide una spada ritirarsi e affondare nel collo del nemico, sotto il punto in cui prima c'era la mascella, senza rendersi del tutto conto che si trattava della sua spada. Vide la lama ricurva insanguinata in mano a Spithridates sul capo di Alessandro, che l'elmo fracassato non era pi in grado di proteggere, ud se stesso gridare, vide la lama scendere con estrema lentezza e d'un tratto vorticare e brillare e volare via come un uccello spaventato, allorch Kleitos il Nero stacc dalla spalla il braccio del satrapo con un violento fendente e poi affond la punta della sua arma nel ventre del principe, sotto il pettorale. Liber il suo grido, lo fece seguire da un secondo, che raggiunse il primo nel cielo, e Alessandro sorrise a Kleitos, come se ci fosse il tempo per sorridere. Poi non ebbe pi nemici; sent il sapore e l'odore del sangue, l'odore dei visceri, degli escrementi e del ferro caldo e umido, la vista gli si schiar, il frastuono nelle orecchie si fece meno intenso, il piacere e la brama smisurata di uccidere si dissolsero. Rimase in piedi con il braccio proteso e la spada sollevata, vide il reparto della falange di Perdikkas avanzare ordinatamente, con le sarisse abbassate. Quando il centro dello schieramento croll, sopraggiunsero rinforzi dal gruppo dei cavalieri persiani che erano rimasti in attesa pi verso valle. Era il momento che Parmenion aveva pazientemente atteso. Mand le sue tre taxeis all'attacco dei reparti di truppe allo sbando, che premevano verso il centro, distrusse con la sua cavalleria i resti dell'ala destra dei persiani, poi la condusse dietro le file del nemico, lasciando che delle estremit confuse si occupassero i mercenari che avevano attraversato il guado pi a nord durante la notte e avevano raggiunto il campo di battaglia in quel momento. Qualcuno aveva perso un cavallo; Ptolemaios si infil tra i denti la spada grondante, salt in groppa all'animale e part al galoppo dietro Alessandro. La cavalleria degli etri distrusse le file dei soldati persiani in fuga; gli opliti della falange la seguivano. Le braccia di Alessandro si

muovevano come brandelli di tessuto nella tempesta: indicavano la collina. Il cavallo di Ptolemaios inciamp su qualcosa di morbido e lo sbalz in mezzo ai persiani morti. Dopo essersi rimesso in piedi, vide le spalle della cavalleria degli etri, poi si volt lentamente e fiss Kleitos in volto. I suoi occhi erano pieni di stupore. E di orrore. Sanguinava da numerose ferite lievi, alle mani e alle braccia. Il suo cavallo aveva puntato tutte e quattro le zampe nel terreno, mostrava i denti e soffiava bava sporca. Kleitos si lasci scivolare gi dal dorso dell'animale e spinse l'elmo all'indietro. L'ira di Achille mormor; i suoi occhi seguirono i cavalieri e i fanti che si avvicinavano alla collina come una marea spumeggiante. L'altura su cui si trovavano cinquemila mercenari ellenici, in file ordinate e rilucenti. Opliti che, agli ordini di Memnon, sarebbero stati in grado di sorvegliare e difendere la sponda del fiume ma che non erano entrati in battaglia, non avevano avuto il permesso di farlo perch la vittoria, la gloria e l'onore dovevano appartenere ai satrapi e ai loro guerrieri. Alcuni ufficiali dello stato maggiore di Parmenion giunsero lentamente a cavallo, seguiti dalle sue guardie del corpo tessale. Ptolemaios e Kleitos videro il vecchio stratega guardare verso le colline, gemere e portarsi per un momento la mano destra davanti agli occhi. Oh no, questo no. No, anche questo no. Kleitos tocc il ginocchio dello stratega; la sua mano trem. Qualcuno deve impedirlo... Parmenion mostr i denti. S. Ma chi riuscirebbe a trattenerlo?

Alessandro si ferm nel passaggio tra la tenda piccola e quella grande, si volt e disse: Bruciate quegli stracci insanguinati. Poi fece il suo ingresso nel gruppo degli ufficiali e dei compagni. Indossava abiti puliti, aveva fatto il bagno ed era raggiante. A parte Hephaistion, gli altri non si erano ancora lavati lo sporco, il sangue e le ferite. Si guard intorno e si volt verso gli scrivani che si trovavano accanto all'ingresso principale. I nomi dei nostri morti? Fatto? Bene. Le loro famiglie riceveranno tutti i loro

beni, il soldo di tre lune e l'esenzione dalle tasse. Poi, lentamente, aggiunse: Devono essere onorati. I loro nomi devono vivere. Eumenes!. L'elleno grasso era gi completamente ubriaco; era disteso su una kline e sollev il capo a fatica: Alessandro?. Sei ancora in grado di far trascrivere e mettere in ordine tutto? Per te sempre, o mio r-re. Si alz in piedi, fece alcuni passi barcollanti, inciamp su uno sgabello e giacque lungo disteso sul pavimento. Nessuno rise. Parmenion fissava la fiamma di una lampada a olio, con entrambe le mani posate su un bicchiere. Kleitos tossicchi. Che ne sar degli elleni prigionieri? Alessandro prese il bicchiere d'argento con il vino che Hephaistion gli porgeva. Dov' Callistene? Qui. Il nipote di Aristotele era rimasto in un angolo a parlare a bassa voce con Nearchos; ora si avvicin al re, spingendo di lato Ptolemaios che era in mezzo. Erano tutti in piedi. A parte Eumenes. Bevevano quasi tutti. I cibi sul tavolo erano intatti. Portati dietro alcuni dei nostri elleni, ufficiali delle truppe federate, e stabilisci quali prigionieri sono ateniesi. Separali: non so ancora che cosa farne. Gli altri, in catene verso la Macedonia, ai lavori forzati, nei prossimi giorni. Si lev un mormorio, si accrebbe e mor di nuovo; tutti gli occhi erano fissi su Alessandro. Parmenion annu lentamente. Hai ragione, Alessandro. Non lo avevo capito subito. Alessandro sorrise e bevve un sorso di vino. Capire che cosa? chiese Demetrios brusco. Che senso ha, Alessandro, avventarsi come un lupo rabbioso sui mercenari ellenici, che non hanno combattuto contro di noi in battaglia, ucciderne i tre quinti e farne schiavi gli altri? Molti ufficiali borbottarono in segno d'approvazione; altri annuirono in silenzio. Alessandro inarc le sopracciglia; sembrava completamente distaccato. Voi tutti sapete bene quanto ci amano le citt elleniche, non vero? Alcuni uomini risero. Anche tu lo sai, Demetrios. Atene importante. Dobbiamo conservare la benevolenza degli ateniesi nei nostri confronti, per quanto possibile. Gli altri seguiranno Atene ovunque vada. Gli altri, per, devono anche sapere che cosa li aspetta, se combattono come mercenari o alleati dei persiani. Lentamente i volti si distesero; la maggior parte degli uomini parve comprendere.

Molti annuirono, alcuni sorrisero. Parmenion guard a lungo Alessandro. Ma questo lo pensavi gi prima... prima del massacro? Alessandro pos il bicchiere, si avvicin a Parmenion e appoggi entrambe le mani sulle sue spalle. Ha importanza Parmenion, padre mio, dal momento che giusto? Perdikkas rise a singulti. Come pensi di conservare gli ateniesi di buonumore? Piangeranno, quando verranno a sapere della nostra vittoria. Alessandro si volt. Aveva un sorriso obliquo e molto perfido: Con un dono... un dono come un miele in cui si nascondano molte spine. E cio? Alessandro chiuse gli occhi. Trecento delle migliori corazze per Pallade Atena, con un biglietto: da parte di Alessandro, figlio di Filippo, e degli altri elleni, eccetto gli spartani, dal bottino sottratto ai persiani che abitano l'Asia. Per la prima volta scoppiarono le risa. Antigonos Monoftalmo batt le mani. Esclusi gli spartani... questa buona, mi piace. E piacer anche agli spartani. Ma perch trecento corazze, amico mio? Alessandro apr gli occhi, prese in mano il bicchiere, lo sollev e guard Antigonos oltre il bordo. Trecento immortali, amico mio, hanno difeso le Termopili sotto il re Leonida di Sparta, fino all'ultima goccia di sangue, contro l'esercito di Serse. Trecento spartani. Questa volta Sparta non ha voluto farlo: non sotto il comando dei barbari macedoni. Quella volta non ci fu nessun ateniese. Neanche questa volta, amici... tranne alcuni mercenari dalla parte dei persiani. Nessuno dalla nostra. Per questo trecento... per la dea di Atene. Ptolemaios appoggi le natiche sulla testata di un giaciglio; sorseggi il suo vino e continu a rimuginare sogghignando su quella raffinata e cordiale sfacciataggine. La stanchezza gli paralizzava le membra, solo la testa era sveglia, fin troppo sveglia. Una parte di lui ascoltava le parole precise, scelte con cura, con le quali il re ringraziava gli amici, i compagni, i nobili e gli ufficiali; un'altra parte ritornava confusamente alla battaglia, per gustarne ancora una volta l'orrore e l'estasi. Gli innumerevoli scontri senza nome, nei boschi della Tracia e nelle gole dell'Illiria, perfino il giorno della battaglia di Cheronea, erano tutti cancellati. Il grido dei comandanti, il suono e il fragore. Un'altra parte ancora si meravigliava della luminosit della tenda, i cui teli di tessuto bianco trasparente erano illuminati solo da due modeste lampade a olio. Poi comprese, con un gemito muto, che era pomeriggio presto; che lui e gli altri non avevano davanti la sera e i

festeggiamenti, il fuoco e la tranquillit, ma lunghe ore di lavoro. La battaglia era iniziata circa un'ora dopo il sorgere del sole e non era durata pi di un'ora, e un'altra ora il terribile bagno di sangue sulle colline. Nella sua stanchezza non riusciva neppure a ricordare di aver attraversato di nuovo il fiume, a piedi o a cavallo, per raggiungere la tenda del re.

I carri e il resto delle salmerie erano stati portati fin quasi alla sponda occidentale del Granico: schiavi, inservienti delle salmerie, fanti di unit scarsamente impegnate nella battaglia e uomini dei reparti tecnici, tutti agli ordini di Drakon, avevano trasportato il necessario oltre il fiume dove, sotto la supervisione dei medici, avevano iniziato a prendersi cura dei feriti. Ptolemaios vide Drakon trattenere uno degli scrivani di Eumenes. Tu dovrai completare l'elenco dei gloriosi defunti disse. Philippos, con le bende arrotolate intorno al collo e sporco del sangue schizzato dappertutto, gemette piano. Drakon inarc un sopracciglio ed estrasse dal cinturone un lungo coltello scintillante. Vieni, ragazzo. Hai ancora qualcosa da imparare. Poi si volt e si diresse verso il punto in cui Alessandro, accovacciato accanto a un paio di feriti lievi, parlava e rideva insieme a loro, e si faceva raccontare a quali imprese eroiche dovevano le loro ferite. Philippos fiss il cielo per un istante, mosse le labbra senza emettere suono, osserv il lungo pugnale. Ptolemaios lo perse di vista per breve tempo: finalmente giungevano gli uomini che aveva atteso, Emes lo spilungone e un'altra dozzina di opliti della taxis di Krateros. Per ordine del re, Ptolemaios avrebbe dovuto, con l'aiuto di alcuni prigionieri e coadiuvato dai propri uomini, raccogliere i persiani caduti ed esaminarli, separare i nobili dai soldati semplici, annotare i nomi dei capi morti e preparare tutti per la sepoltura. Krateros e i suoi uomini erano entrati in battaglia soltanto verso la fine e non erano troppo stanchi; inoltre Ptolemaios poteva essere certo che Emes e i compagni che si era scelto si sarebbero appropriati, nel peggiore dei casi, solo della met degli oggetti di valore che qualunque

altra squadra avrebbe fatto sparire. Tuttavia, per i suoi gusti, c'erano ugualmente troppi uomini sul campo di battaglia. Dall'altra parte del fiume, sulle colline, Perdikkas aveva ordinato ai prigionieri e ad alcuni macedoni di spogliare i mercenari morti, di raccoglierli e di scavare un'immensa buca. Drakon e Philippos, con altri medici e ausiliari, si prendevano cura dei feriti; Alessandro, Parmenion e altri andavano avanti e indietro e parlavano con i sopravvissuti; Hephaistion era in piedi accanto alla montagna crescente di armi e parti dell'equipaggiamento dei mercenari ellenici caduti e dei prigionieri, che si occupava di sorvegliare e rifocillare. Ptolemaios represse un sogghigno: gli altezzosi nobili Hephaistion e Perdikkas avrebbero certo preferito altre occupazioni. Ma nel complesso... Si infil due dita in bocca e lanci un fischio lungo e stridulo. Molti degli oltre duecento uomini che si aggiravano per il campo di battaglia e continuavano a chinarsi per poi rimettersi in movimento, trasalirono e alzarono lo sguardo. Erigyios, che cavalcava lentamente lungo la riva, spinse il suo cavallo verso Ptolemaios. Che cosa c'? Ptolemaios indic vagamente il campo. Puoi prendere con te qualche uomo e radunare tutti quelli che non aiutano n Drakon n me? Erigyios strinse gli occhi. Sciacalli, vero? Stanno ripulendo tutto per bene. Tutte cose che poi mancheranno dalle casse dell'esercito. Va bene; me ne occupo io. Pochi istanti dopo, come spuntato dal terreno, tra il campo di battaglia e il fiume si ergeva un muro di giavellotti; Erigyios era ricorso ai tessali delle truppe scelte di Parmenion, acquartierati nelle vicinanze. Ptolemaios ritorn soddisfatto alle sue occupazioni. L'ufficiale persiano accanto a lui, appartenente alla guardia del corpo del satrapo Arsites, che era fuggito, piangeva nel passare in rassegna i caduti che giacevano l'uno accanto all'altro. Si strapp i capelli e si lacer la veste sul petto. A Ptolemaios erano rimasti abbastanza rudimenti, dall'epoca in cui Laomedon gli aveva insegnato il persiano durante l'esilio, per intendersi con quell'uomo; a poco a poco comprese che cosa turbasse tanto l'ufficiale. Non era la quantit dei morti. Un caduto un brutto spettacolo, due, tre, quattro lo stesso e cos via, e non che, dopo la quinta o la sesta battaglia, per chi deve raccoglierli, spogliarli e seppellirli, le cose diventino pi semplici. Ma la quantit non moltiplica l'orrore. A Cheronea e in Tracia, Ptolemaios aveva visto scene peggiori, montagne di

cadaveri pi alte, ferite anche pi orribili. Potevano essere forse seicento i persiani caduti che erano stati raccolti l; sulle colline gli uomini di Perdikkas dovevano occuparsi di quasi tremila mercenari morti. Non era la quantit: erano i nomi e i volti. I comandanti dei battaglioni, imparentati con il Gran Re, Roisakes, Niphates e Petines. Spithridates, satrapo di Lidia e Ionia. Mithrobarzanes, satrapo della Cappadocia. Mithradates, genero del Gran Re Dario. Arbupales, figlio di Dario e nipote di Artaserse. Pharnakes, fratello della sposa di Dario. Omares, capo di tutte le truppe mercenarie dell'esercito persiano occidentale. Pi l'elenco si allungava, tanto pi chiaramente Ptolemaios comprendeva quale fosse il vero risultato della battaglia. I cavalieri e i fanti, invitti e invincibili nell'Ellade, che Filippo e Parmenion avevano trasformato in un'arma eccezionale, al comando di Alessandro avevano dimostrato di essere invincibili anche in Asia. Le perdite del nemico erano minori rispetto a molti altri combattimenti di entit paragonabile, ma quello era l'unico esercito tra l'Ellesponto e Babilonia. Dei quasi quaranta squadroni che erano fuggiti (oltre ai duemila elleni, erano stati presi prigionieri appena cinquecento persiani), la maggior parte si sarebbe rifugiata nell'entroterra o avrebbe fatto ritorno alle citt costiere nelle quali ognuno era stato arruolato o reclutato; altri avrebbero potuto cercare rifugio nelle fortezze, mettersi a disposizione degli strateghi locali e attendere i nuovi ordini del Gran Re. Ma prima che Dario in persona conducesse un nuovo esercito dalle regioni remote dell'Asia, non vi sarebbe pi stata una grande resistenza organizzata, soltanto assedi e scaramucce. Avevano decapitato l'esercito occidentale dello smisurato impero. Memnon, nel quale per i persiani non avevano fiducia, si era salvato cos come il satrapo della Frigia settentrionale, Arsites. Tutti gli altri capi, che avrebbero potuto tenere unita l'Asia occidentale e allestire un nuovo esercito, giacevano l, caduti valorosamente in combattimento. Ptolemaios pens ai cinquantasei etri, agli altri centotrentasette cavalieri e ai duecentoundici fanti, tra macedoni e alleati che non erano pi in vita; la maggior parte di loro erano caduti sulle colline, contro i mercenari ellenici, la cui offerta di resa era stata rifiutata da Alessandro. Troppi, troppi, ma del resto quello era il prezzo. Callistene avrebbe raddoppiato senza dubbio il numero dei nemici morti, ridotto a un terzo quello dei propri caduti e

avrebbe fatto vincere ad Alessandro la disputa con Parmenion e la battaglia in un giorno solo. Comunque sia... in un certo senso avrebbe avuto ragione, pur senza rendersene conto, non avendo partecipato al combattimento. Nelle sue belle relazioni, pi strumento di persuasione che descrizioni, quello sarebbe stato il giorno dopo, perch la battaglia si sarebbe svolta nel pomeriggio. Il giorno dopo la battaglia, con i discorsi enfatici e le esequie solenni dei caduti di ambo le parti. Ed era il giorno dopo per Ptolemaios e per molti altri, che riuscivano appena a reggersi ancora sulle gambe, come se in poche ore fossero trascorsi molti giorni, senza mai riposare: forse met della vita. In mezzo ai cavalli morti Emes e i suoi uomini trovarono uno degli ipaspisti di Nikanr; era cosciente e gemette in modo sordo quando cercarono di muoverlo: era orribilmente mutilato. Ptolemaios fischi ancora e fece cenno di avvicinarsi a Philippos, che era inginocchiato non molto lontano, accanto a un altro ferito. La mano del medico, che come molti altri era stato allievo di Aristotele a Mieza e si era prefigurato tutt'altre cose, si strinse spasmodicamente intorno all'impugnatura del lungo coltello, fino a che le nocche divennero bianche. Pos l'altra mano sulla fronte dell'uomo sofferente. Sei conciato male, amico disse. Credo per di poterti aiutare. Per un istante far male. Perci trattieni il fiato per un po', chiudi gli occhi e pensa a non ridere. Il ferito si rilass; Philippos gli infil la lama lunga e rilucente nel cuore. Duecentododici mormor Ptolemaios.

Nei pressi del tumulo, alla luce dei fuochi e delle fiaccole gli uomini di Harpalos selezionavano le parti migliori del bottino (escluse le trecento corazze decorate, tutte dorate, che dovevano essere mandate ad Atene), mentre gli armaioli e i loro aiutanti esaminavano le scorte di corazze semplici, spade, lance e altre parti d'equipaggiamento: quello che era ancora utilizzabile, quello che poteva essere fuso, quello che non poteva essere recuperato neppure in questo modo. A parte questi due gruppi, oltre ai prigionieri e ai loro sorveglianti

nonch i feriti e coloro che li assistevano, tutti gli altri ritornarono nuovamente all'accampamento sulla sponda occidentale del fiume. Ptolemaios barcollava dalla stanchezza; ma, prima di poter crollare nella sua tenda, aveva ancora qualcosa da fare. Non lo faceva volentieri, ma sapeva quanto fossero scarse le scorte di monete e di metallo da coniare, quanto avessero urgente bisogno di bottino; e che, nonostante le dichiarazioni dei prigionieri, l'accampamento dei generali persiani non era stato ancora trovato. L avrebbe dovuto esserci il tesoro della guerra... se i fuggitivi non erano riusciti a portarsi via tutto. Ma lui e Philotas se ne sarebbero occupati l'indomani. Si strinse nel mantello scuro, si copr il volto con il cappuccio floscio e si avvicin al fuoco intorno al quale sedevano gli uomini scelti da Emes. Nessuno lo vide arrivare. I soldati erano accovacciati sui calcagni, sulle coperte, per terra, bevevano vino e acqua, mangiavano pane e carne arrostita fredda, frutta secca, uno addentava una cipolla che doveva aver trovato da qualche parte nel campo di battaglia, forse nella bisaccia di un caduto. Emes, una schiena immensa che produceva una lunga ombra guizzante, porse qualcosa a uno dei commilitoni. Tu tieni stretto. Io tiro. Quello strinse; Emes tir e tir e alla fine grugn. Per gli di! Forse si incastrato! Ma come ha fatto? Estrasse il coltello dal cinturone e sollev l'oggetto di tutto quel tirare. Era una mano, amputata all'altezza del polso. A ognuna delle quattro dita erano infilati due anelli, solo il pollice ne era completamente privo. Emes tagli il mignolo dalla mano. Impossibile combattere. Qualcuno di voi riuscirebbe a tenere una spada con questa... zavorra? Gli altri risero. Uno degli uomini pass la punta delle dita sul manico di una spada, ricoperto di pietre dai riflessi rossi e verdi. Dipende. Si strinse nelle spalle. Per darsi delle arie va benissimo, ma per combattere? Tre uomini contavano le monete di una bisaccia di cuoio, dividendole in dodici mucchietti. Altri, alla luce del fuoco, esaminavano le curvature di parti di equipaggiamento dorate. Un oplita picchi sul pettorale del cavallo di un principe, probabilmente d'oro puro; il suo vicino indic la criniera di un cavallo ornata d'oro e di pietre brillanti. Finalmente Emes era riuscito a sfilare gli anelli dalle dita. Ne sollev uno alla luce. La pietra parve ardere di un fuoco che da questa ritorn alla notte trasformato, come il torrente

di luce di una stella lontana. Bene. Ma come facciamo a dividere tutta questa roba? Ho una proposta per voi bricconi disse Ptolemaios. Quelli trasalirono e si voltarono di scatto; lui si sfil il cappuccio e si alz faticosamente in piedi. Dietro di s ud alcuni passi. Che cosa c' in questa bisaccia? Monete? Stateri? Darici? Oro, in ogni caso. Una per ciascuno, gente; il resto si liber dal mantello e lo gett per terra accanto a Emes mettetelo qua dentro; lo porter a Harpalos. Nessuno disse niente; gli uomini avevano lo sguardo fisso per terra o su un punto alle spalle di Ptolemaios. Questi si volt: Hephaistion stava l in piedi, con gli occhi scuri e le labbra strette a formare una linea sottile. Ci vuole tanto? Ptolemaios si volt nuovamente verso gli opliti. Lentamente, controvoglia, Emes raccolse gli oggetti preziosi e li lasci cadere nel mantello senza guardarli. Continuate. Ptolemaios sorrise stanco, si chin, infil il mantello nella bisaccia e sbadigli. E non fatevi pi sorprendere a fare una cosa del genere, amici. Il saccheggio si fa soltanto quando viene esplicitamente autorizzato, oppure ordinato. Hephaistion lo accompagn per qualche passo. Non ho detto nulla soltanto per non provocare una disputa tra ufficiali davanti a quella feccia borbott. Ma sei impazzito? Quelli meriterebbero di essere frustati tutti... e tu di a ognuno venti giorni di soldo! Grazie per il tuo silenzio vicino al fuoco disse Ptolemaios tra i denti. Quelli non sono feccia; sono i migliori soldati macedoni. Zoticoni. Togli dalla falange tutti i figli di contadini, nobilissimo Hephaistion: e poi che cosa ti rimarr per vincere le battaglie? Non una ragione per trattarli come nobiluomini! Fammi un favore, va bene? Dopo che tu, nobile figlio di un principe, allievo di Aristotele, etro e amasio del re, sei rimasto cos elegantemente in silenzio vicino al fuoco... chiudi semplicemente il becco. Raccontalo ad Alessandro, se vuoi, ma... ... di questo puoi stare certo! ... ma lasciami in pace. Non mi puoi ordinare nulla..

L'attendente lo dest prima dell'alba. Ptolemaios continuava a sentirsi a pezzi; vuot borbottando un bicchiere di liquido caldo e mastic qualcosa di duro, senza sentire alcun sapore. Philotas lo stava gi aspettando; insieme a lui lo attendevano due reparti di etri a cavallo e un reparto di tessali, centocinquanta uomini in tutto. Attraversarono il fiume a cavallo, passarono davanti ai tumuli, alle colline; seguivano un'indicazione che Drakon aveva ricevuto da un persiano lievemente ferito. Due ore dopo, quando l'alba lasci il posto al mattino, giunsero in una vallata con un ruscelletto, circa tre parasanghe e mezzo a sudest del fiume; l trovarono alcune tracce e ripartirono al galoppo. L'accampamento dei principi persiani, smontato in fretta e caricato su carri e bestie da soma, era un convoglio lungo e lento tra i pendii verde scuro. I servitori, gli schiavi e alcuni uomini di scorta, forse tre dozzine di soldati fuggiti, non di pi. Ptolemaios, con alcuni uomini a cavallo, super di un pezzo la testa del convoglio e trov orme fresche di zoccoli e i segni delle ruote dei carri. Ce ne sono altri disse quando ritorn a cavallo da Philotas, che impartiva ordini e osservava i carri e gli animali costretti a compiere un semicerchio e ritornare verso il Granico. Il figlio di Parmenion sogghign. Sembri avido. Eraclito ha detto che il conflitto il padre di tutte le cose. L'avidit deve essere la madre. Ptolemaios rise. Molto bello, Philotas. Tra parentesi.. . io amo questa madre; se potessi conservare gli occhi, diventerei tranquillamente Edipo. Comunque sia: qualunque cosa siamo in grado di trovare, ci servir. Philotas annu e indic i carri. A un primo esame, sembrerebbe che qui ci fossero soltanto monetine. Nessun tesoro di guerra. Dove potrebbe essere? Quanti uomini posso avere? Bastano cinquanta? Ptolemaios si strinse nelle spalle. Devono bastare. Mandamene ancora qualcuno, non appena riuscirai a recuperarlo. Philotas si chin verso di lui e gli diede una pacca sulle spalle. Buona caccia! Partirono al galoppo, attraversarono un piccolo fiume, seguirono una lunga catena di colline, giunsero a una verde vallata con le case bruciate - alcune fumavano ancora e si precipitarono attraverso un passo che si trovava a un'altezza non eccessiva. Da l videro quello che avevano cercato: un altro convoglio con carri e animali da soma.

I pochi cavalieri che lo scortavano non offrirono molta resistenza quando gli etri a cavallo li circondarono e bloccarono il convoglio. Un carro particolarmente imponente, una specie di nave con otto ruote e quattro assi, trainato da dodici cavalli, attir subito l'attenzione e l'interesse particolare di Ptolemaios. Vi si avvicin a cavallo con un piccolo seguito, ordin ai tre uomini che guidavano il carro di scendere immediatamente e a uno dei suoi di aprire con la spada il pesante tendone ricamato. L'interno era un palazzo, con mobili e cassapanche dagli intagli preziosi. Su un giaciglio fatto di innumerevoli tappeti finemente intessuti era disteso un uomo molto grasso, vecchio e calvo. Era avvolto in panni di seta gialla e nera e portava anelli a tutte le dita e alle orecchie. Aveva in una mano una sottile coppa d'oro splendidamente lavorata, nell'altra un mezzo pollo arrosto. In mezzo alle sue gambe pelose era inginocchiata una schiava nuda, impegnata a sollazzarlo con la bocca e con le mani. Quando il tendone venne lacerato, l'uomo grasso non mostr alcuna sorpresa n irritazione. Borbott qualcosa; la fanciulla scivol al di l della sua gamba destra e si nascose dietro una pila di tappeti. Agit il pollo quasi amichevolmente, sollev la coppa e bevve alla salute di Ptolemaios. Che fortuna incontrare per la strada amabili stranieri disse. E' davvero triste, per un vecchio, viaggiare solo e senza distrazioni. Proprio cos, senza distrazioni. Ptolemaios salt dal cavallo sul carro-palazzo. Davvero uno spettacolo sconvolgente, quello che vedo qui. Tu chi sei? Il vecchio grasso sorrise di nuovo e chin il capo calvo. Il mio trascurabile nome Bagoas. Ho sprecato sessantacinque anni, prima di provare il piacere di contemplare la tua nobile figura. Ptolemaios sorrise, si gratt la testa e apr la bocca. I cavalli, innervositi dalla confusione intorno a loro, fecero improvvisamente alcuni passi, prima che i macedoni riuscissero a fermarli di nuovo. Il carro sal rumorosamente su una pietra; Ptolemaios fu sul punto di cadere, ma riusc a reggersi in piedi, tenendosi a un tessuto prezioso sopra di lui che si strapp, rendendo visibile il blu del cielo. Vecchio e fragile, senza alcun valore disse Bagoas. Ti devo ringraziare per la bont con la quale mi dimostri la pessima qualit del tessuto. Diede un morso al suo pollo; i suoi occhi erano freddi e

penetranti. Ptolemaios annu lentamente e grid un ordine. Il carro-palazzo si mosse, compiendo un semicerchio per dirigersi nuovamente verso nordovest. E' disdicevole essere schiavi della fretta, quando si in buona compagnia disse Bagoas. Rendimi partecipe della tua voce di miele, nobile macedone. Ho forse dimenticato qualcosa di importante, nel partire stamattina presto? Ptolemaios sorrise di nuovo. Voglio riversarti nell'orecchio il miele del mio nome, illustre Bagoas. Ptolemaios, figlio di Lagos... non vorrei sembrarti scortese. Bagoas annu in modo ostentatamente amichevole. Molto gentile. E quale onore. Quel Ptolemaios di cui si dice che il vero padre sia Filippo? Ptolemaios lo fiss per un istante, impassibile. Bagoas sorrise. Un onore davvero immeritato. E... viaggi da solo o in nobile compagnia? Ptolemaios sogghign mostrando i denti. Nobile compagnia, s, e numerosa. Non il caso che tu ricorra a stupidi trucchi, nell'eventualit in cui ne avessi l'intenzione. Bagoas vuot la sua coppa. Trucchi? Il povero, vecchio Bagoas conosce molte canzoni, anche alcuni passi di danza, ma trucchi. . . Durante la lunga via del ritorno verso il Granico, Ptolemaios mise due cavalieri accanto al carro. Bagoas rimase accovacciato sui suoi tappeti e non si fece vedere. Verso mezzogiorno li raggiunse Philotas, con alcune dozzine di etri. Ho pescato un pesce molto strano in campagna disse Ptolemaios con un ghigno. In effetti, sembra che l dentro un po' di denaro ci sia. Dopo un'occhiata veloce dentro il carro, Philotas gli si avvicin a cavallo. Sei sicuro di avere tutto? Ptolemaios annu. Ho mandato alcuni uomini pi avanti: non ci sono pi tracce, se non di fuggitivi sparpagliati. No, dovrebbe essere tutto l dentro. E quello che c', molto pesante e puzza di potere e di ricchezza. Philotas si strinse nelle spalle. Se ne occuper Alessandro. Io mi domando soltanto dove siano andati a finire gli altri persiani. Prima o poi li troveremo, da qualche parte, non ti preoccupare. Ptolemaios sorrise. Quelli devono badare a se stessi. O forse avevi intenzione di prenderti amorevolmente cura di loro?.

3. Verit e armi.

Per la maggior parte dell'esercito, il giorno successivo alla battaglia fu dedicato al riposo e alle pulizie. Reparti di tutte le truppe di cavalleria (esploratori, etri, tessali, traci, elleni) andarono in giro per il paese per stabilire dove si fossero diretti i persiani fuggiti, dove potessero essere i comandanti scomparsi come Memnon o Arsites, se fossero state ritrovate davvero tutte le parti dell'accampamento nemico e, soprattutto, che cosa stesse accadendo nei territori circostanti. Gli altri soldati dormirono, mangiarono, giocarono a dadi, si lavarono, tormentarono gli addetti agli approvvigionamenti e attesero che, dopo la vittoria, finalmente i mercanti della Frigia settentrionale uscissero dalle loro citt fortificate e si recassero da loro, senza temere la vendetta del satrapo. Ci fu tuttavia lavoro per gli ufficiali delle truppe e degli stati maggiori, e naturalmente per i medici e i loro aiutanti, oltre che per gli addetti agli approvvigionamenti e per altri non combattenti. Le provviste portate via dai sette accampamenti del nemico fino ad allora scoperti dovevano essere esaminate, inventariate e imballate; il bottino in monete, o in metallo che poteva essere fuso per coniarle, doveva essere contato e pesato; i fabbri e gli armaioli controllarono la qualit di molte migliaia di spade, corazze, punte di giavellotti; queste ultime, se erano ancora utilizzabili, venivano separate dai manici di poco valore, fornite di nuovi cappucci e quindi munite di un manico di legno di ciliegio resistente. Alessandro aveva girato tutto il giorno per l'accampamento insieme ai suoi consiglieri pi stretti, sempre seguito da Eumenes o dai suoi numerosi scrivani, impegnati a trascrivere fedelmente ogni cosa nei Diari Reali, e da Callistene e i suoi aiutanti. Il nipote di Aristotele era rimasto stranamente silenzioso,

non tanto perch, seguendo il consiglio di Parmenion, tenesse a fren la lingua, quanto perch era sopraffatto dal numero, dalla molteplicit e dalla variet degli eventi: per lui un caos, per gli uomini dell'esercito un kosmos. Tieni a mente le cifre, oppure scrivitele disse Alessandro con un sorriso ironico quando si accorse che Callistene e i suoi uomini si mettevano al collo gli scrittoi portatili e rovistavano nelle loro borse di cuoio per vedere se vi fossero ancora abbastanza tavolette di cera. E, prima di fissare definitivamente tutto sul papiro, dobbiamo verificare i numeri. Sono sempre sbagliati. In che senso sbagliati? Alessandro si morse il labbro inferiore; poi rise. Bisogna correggerli, per i destinatari delle tue lettere. Ti renderai conto, per esempio, che nella battaglia sono caduti soltanto venticinque etri della cavalleria. Ma... Lo so, il numero dei morti pi grande. Ma gli altri sono stati feriti e sono morti dopo la battaglia. Quindi non rientrano nell'elenco, o almeno non nelle lettere che invii ad Atene, per la gioia degli elleni che, leali ed entusiasti, dovranno ammutolire per la grande vittoria. Inoltre, e questo tu non puoi saperlo, dei persiani morir circa il doppio di quanti ne siano morti finora. Callistene sogghign: quel gioco gli piaceva. E di che cosa moriranno, e quando? Alessandro allarg le braccia. Con i nostri uomini siamo precisi perch ne abbiamo la possibilit: possiamo distinguere chi morto in battaglia, chi subito dopo e chi nei giorni successivi. Con il nemico no, perch non siamo presenti: non possiamo fare nessuna distinzione precisa, perch la precisione diverrebbe pignoleria, capisci? In base a un'antica esperienza, molti muoiono durante la fuga precipitosa; altri si smarriscono nei dintorni e muoiono di fame o di sete. Se, diciamo, sono caduti cinquecento persiani, puoi calcolare circa mille morti. Bisogna sempre raddoppiarne il numero? Assolutamente no. Dipende dalle circostanze. Se intorno a noi ci fosse il deserto, molti fuggitivi finirebbero per morire di sete: ben pi di cinquecento. Se invece lo scontro fosse stato particolarmente violento, raddoppiare il numero dei nemici caduti potrebbe facilmente portare a una cifra superiore al totale di quanti ne siano scesi in battaglia all'inizio. Allora bisogna accrescere in proporzione l'esercito nemico. Callistene tossicchi; Eumenes gli gett uno sguardo obliquo, quasi malevolo. In ogni caso, quindi, opportuno aggirare la verit, in modo da non scontrarsi con lei? Alessandro rise.

Molti sono rimasti feriti. Ma che cos' la verit? Qui la verit quello che dobbiamo sapere per poter operare: abbiamo bisogno delle cifre esatte. Nell'Ellade, e in particolare ad Atene, la verit quello che giova a noi e alla nostra causa. Callistene si attenne alla sottile distinzione: le sue lettere ad Aristotele contenevano solitamente entrambe le verit. Gli raccont di come Alessandro parlasse con ogni capo di ogni ile, che era composta di sedici file di sedici uomini ciascuna, e di come gli ilarchi riferissero che alcune file fossero notevolmente pi corte. Soltanto nella fanteria c'erano unit pi numerose: due ilai per una pentecosiarchia, tre di queste insieme per una taxis. All'inizio, il fatto che la cinquecenturia fosse formata in realt da cinquecentododici soldati (e quindi ognuna delle sei taxeis di opliti macedoni da millecinquecentotrentasei uomini) lo turbava da un punto di vista puramente linguistico, ma poi vi fece l'abitudine, cos come al fatto che i capofila venissero chiamati dekadarchoi, sebbene non comandassero dieci, ma quindici soldati, e fossero a loro volta il sedicesimo di ogni fila. Decise che nulla l'avrebbe mai pi sorpreso a questo proposito perch, come scrisse allo zio:

Il logos infinitamente duttile, lo spirito vaga dove vuole e, per comprendere il modo in cui grandi masse umane convivono in pace o in guerra, costretto a vagare terribilmente. La sola constatazione che la pesante sarissa, che lunga sei passi, possa essere tenuta con ambo le mani soltanto dai fanti tanto sorprendentemente vera che, al confronto, il fatto che ci sia una ile di cavalieri traci detti sarissophoroi perch vanno a cavallo tenendo la sarissa con una mano sola, appare decisamente sospetta. Anche il fatto che gli opliti della falange comune si chiamino complessivamente compagni a piedi, che prima era il nome delle guardie del corpo del re non a cavallo, una di quelle ampie divagazioni; oggi le guardie del corpo, insieme ai cavalieri nobili, costituiscono gli ipaspisti armati di scudo e, perch non si differenzino dagli opliti soltanto per l'armamento pi leggero e la maggiore velocit, la loro taxis composta di quattro ilai, e non di sei come tutte le altre. Ma del resto, in questa vaga confusione, chi sarebbe in grado di comunicare con precisione cifre, esigenze, necessit e preferenze? Per questo c' bisogno di uno spirito molto vago, nobile

Aristotele; ma mi accorgo che sto divagando. Perci voglio anche comunicarti, senza ulteriori digressioni, che in una fila di sedici soldati il primo il primo, ma il secondo l'ultimo e il terzo, invece, il secondo. Il primo, il capo, il soldato pi importante, il dekadarchos, conduce la fila in battaglia; il secondo uomo per importanza sta in coda, per smorzare sconvenienti accessi di vilt o di stanchezza da parte di quelli che lo precedono... I dekadarchoi sono il fior fiore: non credo che uno di loro sappia scrivere o che si pulisca le dita dopo essersi grattato il culo. Alessandro per - e gli di lo sanno che non un democratico - li conosce quasi tutti per nome; non li tratta come misere bestie, ma come fratelli d'arme, simile in questo a Parmenion, che gli anni di battaglie hanno privato di quella raffinatezza grazie alla quale perfino i democratici zelanti riescono a distinguere tra compagnie degne e indegne. Altri, pi nobili, il cui spirito ancora integro e puro, disprezzano profondamente tutto questo; cos, quando il sovrano faceva battute idiote con quel dekadarchos zoticone di nome Emes sull'effigie in oro del Gran Re, il cui possesso avrebbe aiutato Emes a ottenere il favore del Lagide Ptolemaios, ho visto un velo di cupo malumore scendere sui lineamenti regolari di Hephaistion. Quell'Emes aveva anche l'insolenza di chiamare il re per nome, senza nessun appellativo onorifico, e di pretendere che Alessandro facesse in breve tempo realizzare ritratti fedeli alla sua bellezza e li distribuisse tra i rozzi guerrieri. Il figlio di Filippo ne rise di cuore, come se si trattasse di una bella battuta, e diede perfino una pacca sulla spalla a quel balordo.

Alessandro parl per tutto il giorno con i capi delle file, delle squadre (quattro file), dei gruppi o semi-ilai (quattro squadre), delle ilai, delle pentecosiarchie, delle taxeis; ebbe parole di lode e di biasimo, rimase ad ascoltare storie eroiche inventate, attravers di nuovo a cavallo il fiume per dare ancora un'occhiata ai feriti, aiutando personalmente, con ribrezzo di Callistene, a curare per mezzo di erbe e impacchi piaghe ripugnanti di opliti disgustosi. Con dispiacere di Callistene, l'unico nutrimento del giorno furono un pugno di

cereali e un bicchiere d'acqua, trangugiati in piedi. Con tutte le cose del cui significato dubitava e di cui non riusciva a cogliere il ruolo nell'economia complessiva dell'esercito, a un certo punto Callistene perse completamente il quadro generale, nonch la pazienza. Aveva la vaga sensazione di assistere a sviluppi importanti, che per non riusciva a esprimere con le parole; non tanto per lo zio Aristotele, che comunque comprendeva sempre di pi rispetto a Callistene, quanto piuttosto per gli uomini che avevano il delicato incarico di ricopiare e distribuire le lettere nelle citt elleniche. Voleva trattare anche di questioni militari, delle imponenti innovazioni iniziate da Filippo con l'aiuto di Parmenion e proseguite e sviluppate da Alessandro, sempre con la sua collaborazione: l'impiego contemporaneo di truppe e armi diverse per scopi differenti. Cos incideva con lo stile di ferro segni confusi sulle tavolette, equipaggiava i giavellottisti agriani velocissimi con il pesante xyston di legno di ciliegio degli etri a cavallo, dei tessali e degli ipaspisti, trasformava sui due piedi i peoni in traci e gli odrisi in illiri, dichiarava che erano cretesi le ilai degli arcieri macedoni, assegnava ai cretesi anche gli uomini armati alla leggera, trasformava tutti i catafratti da cavalieri pesanti in macchine d'assedio. Alla fine gett a terra le sue tavolette e le calpest tra grida di rabbia, mentre nella mente gi abbozzava una lettera a un amico ateniese. Gli avrebbe confidato quanto desiderasse la semplice confusione di maschere e abiti, di profumi e variet di viti, di metri e figure retoriche, e quanto bramasse di nuovo le delizie dei ventri depilati delle donnacce attiche, anzich le gambe pelose dei guerrieri. Per adempiere agli obblighi impostigli dal re si affid completamente ai tre scrivani, le cui annotazioni avrebbe confrontato in seguito con quelle dello stato maggiore di Eumenes.

Quando ud la risata di Demaratos, Nearchos stava soffiando via la sabbia che aveva cosparso sull'ultimo papiro. Il vecchio corinzio indic in direzione del brulichio dell'accampamento: doveva avere una vista eccezionalmente acuta.

Che cosa c'? Demaratos rideva a singulti. L. Callistene sta ballando. Antigonos sollev lo sguardo dal suo occhio finto, che fece rotolare nel palmo della mano sinistra. Dove? chiese strizzando l'occhio sano; poi scoppi anche lui a ridere. Nearchos si alz in piedi, si port alle spalle di Demaratos e guard nella direzione del suo braccio. Schiocc piano le dita. Probabilmente non ha di nuovo capito qualcosa e si infuria, ma sempre con gli altri, mai con se stesso. Antigonos si schiar la voce. E' strano come, in una stessa famiglia, si possano trovare insieme la massima acutezza di spirito e altrettanta stupidit. Ma sempre stato cos? L'ufficiale macedone dai capelli grigi strizz l'occhio al cretese. Nearchos si rimise a sedere sul suo sgabello e pos il papiro insieme agli altri. Sempre una parola grossa. A Mieza, per un certo tempo, stato sopportabile: ma allora noi eravamo ragazzi sciocchi e lui poteva insegnarci qualcosa. Perch Alessandro l'ha preso con s? Nearchos si strinse nelle spalle. Per via di Aristotele, presumo. E per una sorta di fedelt: abbiamo pur sempre vissuto insieme per anni. Demaratos scosse leggermente il capo. Non sottovalutatelo: la sua lingua come il morso di una vipera. Antigonos rise a singulti. Questo vero, nobile Demaratos; in compenso la sua mente rapida come, ah... eh... diciamo limpida come la pappa di miglio e acuta come la vista di quest'occhio. Sollev la pallina di terracotta levigata con la quale aveva giocato. Ma il valente Callistene controbilancia tranquillamente tutto questo sogghign Nearchos. Grazie a doti eccellenti quali la presunzione e l'arroganza, per esempio. Non c' nulla di pi bello che celebrare malignamente i difetti degli altri in un pomeriggio tiepido. Demaratos diede un pugno sul tavolo pieghevole. Abbiamo da lavorare, amici! Nearchos fiss l'occhio artificiale che Antigonos continuava a tenere in alto e a rivolgere verso se stesso. Mi fai impazzire, amico. Perch non ti infili quel coso, una buona volta? Antigonos sospir. Mi fa male. Tutti gli occhi artificiali che ho avuto finora mi hanno fatto male. Allora buttalo. Antigonos fece una smorfia. Buttarlo? Be' s, forse posso liberarmene in un altro modo... posso regalartelo? In cambio di una delle tue palle, per esempio? Demaratos borbott. Finirete pi tardi di giocare a togliervi e scambiarvi le cose. Al lavoro! Abbiamo finito con gli

informatori, Nearchos? Il cretese annu. Nome, posizione, ultima relazione, nuove istruzioni. Pos la mano sui rotoli accatastati, tenuti fermi da una pietra piatta. Demaratos sorrise. Allora ne sapete tanto quanto me. Nella prossima battaglia non dovr pi essere cos prudente. Tu sei insostituibile, vecchio, e piuttosto bravo, per essere un corinzio. Antigonos ammicc con l'orbita vuota. Che cosa ci resta? Il problema di dove debbano arrivare i dispacci della rete degli informatori. Antigonos lanci l'occhio in aria e l'afferr al volo. Un problema difficile. Ma come hai fatto, quando eri in giro per l'Ellade? Non sei certo stato sempre a Corinto, n a Pella. Questo vero, ma uno poteva riferire a Corinto oppure a Pella, e quello che era importante veniva ritrasmesso. Inoltre, per quanto fossi in viaggio, potevo sempre comunicare dove sarei stato in ogni dato momento. Ora, invece... in questa spedizione? Si strinse nelle spalle. Dobbiamo poter comunicare luoghi e tempi. Quali saranno? Lo scopriremo nei prossimi giorni disse Antigonos. Al prossimo Consiglio di guerra, o a quello successivo. Finora Alessandro non ha detto molto, non vero? Qualcosa. Nearchos estrasse dalla catasta di papiri una carta estremamente precisa e dettagliata. Due cose sono chiare. Dobbiamo impadronirci delle citt pi importanti, che sono soprattutto le capitali delle satrapie e i porti: i satrapi sono gli unici che potrebbero opporre resistenza, hanno denaro, e Dario ne nominer di nuovi al posto di quelli caduti; i porti ci servono per poter conservare i collegamenti con la madrepatria e liquidare la flotta persiana, vale a dire fenicia. Questa sarebbe la prima cosa. La seconda, in base a tutti i rapporti e a ci che sappiamo grazie alle carte ritrovate nell'accampamento nemico, che l'entroterra largamente impraticabile: zone aride, altipiani rocciosi, catene di montagne. Demaratos teneva gli occhi chiusi e le braccia conserte; non si muoveva e Nearchos comprese di essere sotto esame. Tent di scambiare un'occhiata con Antigonos, ma l'ufficiale esperto si limit a un lieve sogghigno. Ah, allora sai gi tutto anche tu? Ti prego, piccolo, stupido cretese Nearchos, andiamo avanti con l'esame? Demaratos inarc un sopracciglio, come se fosse estremamente pesante. Tutti i cretesi mentono, come sappiamo; per questo ti sottoponiamo al procedimento dell'accertamento della verit. Vai avanti. Nearchos gemette, poi indic diversi punti sulla carta. Tyaly Drayahya disse. Sparda. Yauna. Karka.

Antigonos rise di nuovo a singulti. Eccellente, il piccolo parla l'iranico. Perch fai l'elenco delle satrapie? Perch questo il punto. La satrapia daskylica a nord, quella sardica, la ionica, la caria. I nostri prossimi obiettivi sono questi. Suppongo che lass si svolgeranno alcune operazioni di pulizia... forse Alessandro mander Parmenion a Daskyleion per catturare Arsites e ripulire il paese. Il resto dell'esercito dovrebbe ripercorrere la costa sino a Lampsakos e a Ilion, e da l ancora pi a sud. E' la strategia migliore: cos la flotta pu proteggerci e rifornirci. Sappiamo dove si trova la flotta persiana? A sud, molto, molto pi a sud. Demaratos sbadigli senza aprire gli occhi. Fenici e ciprioti hanno qualche esigenza particolare, non hanno fretta e comunque hanno una tale superiorit che un po' di ritardo non far che accrescere il loro piacere. Andiamo avanti. Forse arriveremo sino a Mileto, prima che vi giunga la flotta fenicia. Poi sar... difficile. Tu che cosa faresti? I cretesi infatti non sono soltanto abili mentitori, ma anche buoni navigatori. Nearchos esit. Hanno i migliori marinai, la loro flotta quasi il triplo della nostra, che per di pi composta soprattutto di elleni inaffidabili. Non lo so. Demaratos apr gli occhi. Questo ti fa onore. Quando qualcuno ammette di non sapere qualcosa, questa la migliore dimostrazione che disposto ad apprendere. Dunque, ora siamo alla fine di daisios borbott Antigonos. Tharghelion disse Nearchos con un sorriso. Non sono mai riuscito ad abituarmi ai vostri nomi dei mesi. Bah. Diciamo entro la fine di gorpiaios... voi dite metagheitnion? Oppure credete che ci occorra pi tempo per arrivare a Mileto? Nearchos inarc le sopracciglia e indic verso l'estremit settentrionale dell'accampamento, dove in quel momento Alessandro e i suoi accompagnatori si erano fermati a parlare con i tessali. Chiedilo al capo. Scrivi. Demaratos arricci il naso. Su tutte le lettere, cretese: "Apelle dipinge la cariatide di Shkudra nell'atto di sacrificare il gatto ad Artemide". E' chiaro? Assolutamente no. Antigonos mostr i denti. Che senso ha? Che cosa c'entra Apelle, quale cariatide e che gatto? Hai ancora molto da imparare, amico. Demaratos scosse il capo e assunse l'espressione di uno cui fosse morto un parente prossimo, senza lasciargli niente in eredit. Shkudra la ex satrapia di Tracia e Macedonia, non vero? La cariatide , al di l di ogni dubbio, una donna, una fanciulla: kore, la costellazione che segue il leone, vale a dire il gatto. A Efeso c' un tempio di Artemide diroccato,

come dovrebbero sapere perfino i barbari macedoni. E attualmente il celebre Apelle soggiorna a Efeso. Se conosco Alessandro, si far ritrarre da lui. Quindi Efeso, che non lontana da Mileto. Ci troveranno. Mi chiedo soltanto se non sia troppo trasparente per le persone che potrebbero impadronirsi delle lettere. Se non lo capisco neppure io... Proprio per questo ridacchi Demaratos. Per il fatto che tu, valente Antigonos, non lo comprendi, c' il rischio che lo capisca tranquillamente ogni persiano.

Il sole era gi tramontato quando il lungo convoglio giunse all'accampamento. Gli alti ufficiali e i consiglieri, raccolti davanti alla tenda del re, bevevano vino e mangiavano pane in attesa che i mezzi buoi, i polli e gli agnelli che erano sul fuoco fossero finalmente pronti: sembrava che per i satrapi l'abbondanza delle provviste fosse stata importante quanto la gloria, l'onore e la morte. Alessandro discuteva con Parmenion nella tenda; Nearchos coglieva di tanto in tanto alcuni brandelli di parole. Philotas e Ptolemaios cavalcarono sino al centro del gruppo, seguiti da un carro lungo e pesante, trainato da un numero eccessivo di cavalli. Quando il frastuono aument, Parmenion e Alessandro uscirono dalla tenda. Philotas e Ptolemaios scivolarono gi dalle loro cavalcature e si pararono davanti al re ridacchiando. Allora, avete trovato qualcosa? S, qualcosina. A giudicare dalle vostre facce, deve trattarsi di qualcosa di grosso. Ptolemaios rise forte. Piuttosto grosso, Alessandro. E anche grasso. Credo che abbiamo fatto una buona pesca. Montagne di monete, schiavi, tappeti, tessuti preziosi, profumi e tutto il resto. Ci possono tornare utili. Ma perch ridete in questo modo? Ptolemaios protese una mano. Vieni, magnifico principe, guarda tu stesso. Alessandro lo segu fino al carro. Che cosa c' l dentro? Una vecchia signora? Ptolemaios fece una risatina stridula. Non proprio. Apr il pesante tendone decorato. Alla luce dei fuochi e delle fiaccole, Bagoas socchiuse gli occhi, sorrise e chin il capo, senza alzarsi dai suoi tappeti.

Il re dei macedoni. Non la mancanza della luce solare o la forza del fuoco ad accecare i miei vecchi occhi spenti, signore, ma lo splendore della tua bellezza e della tua gloria. Il volto di Alessandro si indur in una maschera, mentre intorno a lui gli ufficiali lanciavano grida di giubilo. Allora chiudi gli occhi e dimmi chi sei. Bagoas continuava a sorridere. Come ho gi detto al tuo valente compagno Ptolemaios, il mio nome del tutto insignificante. Bagoas... un nome davvero esile, che non riesce a ricoprire il mio ventre e invece soffoca la mia mente da pigmeo. Philotas rise a singulti. Non carino? Alessandro annu molto lentamente; si guard intorno e fece segno a Demaratos di avvicinarsi. Bagoas brancic tra cuscini e tappeti. Non vuoi abbassarti a una piccola chiacchierata con un cadavere senza valore, o magnifico? Alessandro scambi un'occhiata con Demaratos, che gli si era avvicinato; quando il corinzio si strinse nelle spalle, Alessandro fece un cenno alle sue guardie. Perquisitelo. Ptolemaios lo guard sorpreso, Philotas fischi piano. Nearchos si avvicin a Demaratos e osserv le guardie del re salire sul carro. Se non lo gettarono letteralmente fuori, non furono certo delicate. I suoi occhi sembravano di ghiaccio; tuttavia rimase impassibile, si limit a sollevare le mani e a mostrare un lieve stupore. Perquisirmi? Certo, fate pure, ma non troverete molte cose di valore. Prima per permettimi di baciarti la mano, signore... come si conf a un Nessuno vecchio e grasso, quando si trova di fronte alla personificazione della magnificenza. Alessandro fece cenno alle guardie di procedere con la perquisizione. Alcuni uomini rovistarono nel carro, due tennero fermo Bagoas, altri due frugarono nelle sue vesti. Tra le file degli ufficiali, che si erano alzati e avvicinati quasi tutti, risa e grida di giubilo si erano spente. Si sentiva la legna scricchiolare nel fuoco e, da qualche parte, lo sfrigolio del grasso che colava su una fiamma. Parmenion annu con gli occhi stretti, in segno di aperta approvazione, poi si volt per prendere uno dei primi polli arrosto; ne strapp via una coscia e la porse ad Alessandro. Sotto gli strati di seta che avvolgevano il suo corpo, Bagoas aveva nascosto una considerevole scorta di armi che a poco a poco veniva alla luce: tre pugnali, una spada corta, una specie di ago di vetro con il manico, due bottigliette che presumibilmente contenevano veleno, un fodero di cuoio con una punta di freccia colorata, evidentemente avvelenata, un altro

pugnale pi piccolo nella manica destra, una spazzola di metallo con le setole sottilissime nella sinistra e infine un piccolo cestino che portava al collo appeso a una cinghia di cuoio, davanti alla trippa principesca, fino ad allora invisibile sotto gli strati degli abiti. Bagoas si ritrov nudo, con solo il perizoma di cuoio, davanti al re. Attenzione disse secco Ptolemaios. Prese il cestino, apr il gancetto di legno che lo teneva chiuso e gett il tutto a terra, a qualche passo di distanza. Ne scivol fuori un piccolo serpente, che una delle guardie uccise con un colpo di spada. Bestia ripugnante; veleno assolutamente mortale. Il medico Drakon si inginocchi accanto al serpente, l'osserv, poi strapp un filo d'erba, l'annus, se l'infil in bocca e lo mastic. Si alz in piedi e fece un cenno d'intesa al re. Molto emozionante. Gli di ti hanno fatto dono di una sana diffidenza. Posso? Alessandro annu; Drakon estrasse il suo coltello e lacer il perizoma di Bagoas. Per una volta. Sogghign. La maggior parte di quelli che si chiamano Bagoas sono eunuchi: questo no. Afferr con cautela uno dei polsi del persiano grasso che, circondato dalle punte delle lance, non si mosse. Drakon esamin le dita della mano, poi quelle dell'altra. Quando alz lo sguardo, sul suo volto si potevano intuire sorpresa e spavento. Sono tutte sue? chiese indicando la catasta di armi. Bel tipo! Che carogna, per gli di! Perfino le unghie delle sue dita sono affilate e avvelenate. D un po', con chi avevi appuntamento? Bagoas si strinse nelle spalle. Le masse di grasso dondolarono appena: sembravano nascondere pi muscoli di quanto inizialmente si potesse immaginare. Ogni cordialit era scomparsa; la voce di Bagoas suon aspra. Con chi? Avevo appuntamento con tutti voi. E' un peccato che tu sia cos attento e cos scrupoloso, signore. E te lo dico in segno di stima. Chi sopravvive a me, se l' meritato. Il volto di Alessandro continuava a restare impassibile. Fece cenno ad altre guardie di avvicinarsi. Lo affido a te, Drakon. Strappagli la pelle, fallo bollire, mozzagli le unghie delle dita, lavagli le viscere con l'aceto, qualunque cosa tu ritenga opportuna per ripulirlo dal veleno. Ma lascialo in vita. Voglio discutere con lui. Non c' motivo per tanta crudelt, magnifico re disse Bagoas agitando le mani. Gli dir tutto quello che nascosto dentro di me. Ma prima permettimi soltanto di baciarti la mano. Alessandro inarc un

sopracciglio; dall'angolo della sua bocca spunt un sorriso obliquo. Tenetegli la testa. Si avvicin a Bagoas che, nella stretta dei soldati, non poteva pi muoversi. Ora apri la bocca. Ho imparato qualcosa sulle erbe e sui veleni da Aristotele. Oh, ma che belle zanne. I due canini superiori di Bagoas erano appuntiti e colorati. Qualche veleno contro il quale ti sei immunizzato, immagino. Portatelo via. Ma senza farlo a pezzi. Drakon sogghign. Posso? Con la mano destra fece il gesto di strappare qualcosa. Alessandro sorrise dolcemente. Ah s, la tua collezione dei denti pi belli. Naturalmente. Lui ne ha fin troppi, in bocca. Ma stai attento. Demaratos fece un cenno d'intesa a Nearchos e pos una mano sul braccio di Alessandro. Se tu permetti, vorremmo assistere e fargli alcune domande. Alessandro si accarezz il lobo dell'orecchio destro. E quel Bagoas? Demaratos scosse il capo. Non credo, ma... Bene. Fategli molte domande. E riferitemi le sue risposte pi divertenti. Uno degli uomini che si trovavano sul grande carro lanci un gridolino di sorpresa e di gioia. Sotto il giaciglio di tappeti, che era lungo circa tre passi e largo due, c'erano quattro casse di legno con la chiusura di ferro. Qualcuno port su un'ascia. Le casse erano piene sino all'orlo di darici d'oro; Nearchos stim che ogni cassa potesse contenere circa quattro talenti, forse anche cinque. Venti talenti d'oro, corrispondenti a quattrocento talenti d'argento. Moltiplic quattrocento per seimila dracme... quasi il sestuplo dell'ammontare del tesoro di Alessandro all'inizio della spedizione in Asia: pi di quaranta giorni di soldo per l'esercito intero. Eppure era ancora poco rispetto a quanto necessario. Pens al resto del bottino che avevano fatto dopo la battaglia. Ora nel complesso la situazione poteva apparire molto migliore, ma anche se le scorte di monete fossero state sufficienti per sessanta o forse settanta giorni, soltanto per giungere sino a Mileto ci sarebbe voluto di pi e non c'era un altro esercito persiano da sconfiggere n un altro accampamento da saccheggiare; in compenso bisognava pagare anche la flotta, con centosessanta navi e quasi trentamila uomini, oltre all'esercito. Rivolse uno sguardo obliquo a Bagoas, che osservava il tutto; il persiano non sembrava sorpreso, n particolarmente turbato. Alessandro si stir e intrecci le mani dietro la testa. In effetti mi ero un po' sorpreso che non riuscisse neppure ad alzarsi. Ptolemaios toss.

Mi spiace, amico. Credo di essere stato un po' distratto, per via del suo corpo grasso. Alessandro gli mise una mano sulla spalla. Impariamo tutti continuamente, Ptolemaios. Sono contento che tu sia stato distratto, perch stato proprio questo a rendermi diffidente. Se fosse stato in piedi in catene, forse avrei potuto porgergli la mano da baciare. Uno dei guerrieri che era sul carro batt le mani. Lui e altri due o tre avevano schiodato il pavimento con asce e spade, sollevando alcune assi. Al di sotto di queste, per tutta la lunghezza e la larghezza del carro, c'era uno strato di monete e lingotti d'oro profondo come un avambraccio, sotto il quale si trovava il pavimento vero e proprio, rinforzato da barre di ferro. Ora comprendo i quattro assi e tutti quei cavalli disse Philotas con voce roca. Alessandro sorrise. Una buona pesca, amici. Sufficiente per parecchi giorni. Si volt, fece un cenno d'intesa a Drakon e indic Bagoas. Non trattarlo in modo troppo duro. In fondo ci ha fatto un bel regalo..

Nearchos entr nella grande tenda del re poco prima della mezzanotte. Sapeva che, alla luce delle lampade a olio e delle fiaccole, il suo volto appariva pallido e probabilmente la sua andatura tradiva le ginocchia molli, ma cerc di dominarsi. Con gli omaggi di Drakon, Demaratos e Bagoas il Benevolo. Pos un panno sul tavolo accanto al giaciglio di Alessandro. Il re lo apr con le sue dita affusolate. Bene. Gli piaciuto? Osserv i quattro denti colorati e le dieci unghie delle dita affilate e dipinte. Parmenion si alz, spinse da parte Seleukos ed Erigyios che gli ostacolavano il cammino, guard i quattordici oggettini insanguinati e fece una smorfia. Deve aver riso di cuore. Con il tuo permesso... Chin il capo. Alessandro balz in piedi e accarezz la spalla di Parmenion. Stai bene, padre mio Parmenion... e torna presto! Rimase in piedi fino a che il vecchio stratega non ebbe lasciato la tenda insieme ad alcuni ufficiali che, prima dell'alba, avrebbero dovuto condurre i reparti di truppe scelte fino a

Daskyleion, dove era gi diretto un convoglio di assediatori. Allora, che cosa dice? Nearchos attese che Alessandro si fosse disteso di nuovo, poi avvicin uno sgabello, si sedette e afferr un bicchiere di vino. Le sue mani tremavano leggermente; lo sguardo del re era quasi compassionevole. Tra i molti... gli manc la voce; Nearchos se la schiar e toss pi volte. Ptolemaios balz in piedi e gli diede un colpo sulla schiena; Hephaistion emise un sospiro sprezzante; Antigonos ammicc, come a dire: non fa niente. Tra i molti altri uomini ed evirati di nome Bagoas, ve ne sono tre in particolare che meritano di essere ricordati. Bagoas il Veloce, Bagoas il Sano e Bagoas il Benevolo. Alcuni ufficiali risero; Perdikkas e Krateros si diedero pacche sulle spalle ridacchiando. E cosa ne direste di Perdikkas il Ficcanaso e di Krateros il Ronfatore? disse Laomedon che era seduto dietro di loro. Alessandro fece un cenno di diniego con la mano fiacca. Andiamo avanti. Bagoas il Veloce ha fatto carriera sotto il Gran Re Artaserse, circa vent'anni fa. L'evirato gestiva le cose nella capitale quando Artaserse era lontano, vale a dire spesso. A quell'epoca Bagoas il Benevolo serviva gi il re come responsabile del tesoro dell'esercito e Bagoas il Sano dirigeva gli informatori, cio le spie, in tutti i paesi sul mare che fossero importanti per Persepoli. Naturalmente Demaratos lo conosce da molto tempo, ma non l'ha mai incontrato. Alessandro mosse le dita della mano destra e scambi un'occhiata con Hephaistion. Vai avanti, Nearchos. Evidentemente non ci sono mai stati dubbi che Bagoas il Sano fosse un fedele servitore del Gran Re; in ogni caso, ha superato indenne tutti i cambiamenti. Il grande eunuco e il Benevolo, invece, avevano accumulato troppa influenza, potere e ricchezza: Artaserse divenne diffidente e decise di emarginare il pi possibile entrambi. Loro sono venuti a saperlo. Da chi? Alessandro si mise a sedere e aggrott la fronte. Lo ha detto, questo? Sostiene di non saperlo. E' inverosimile. Anche Demaratos ha i suoi dubbi, ma... ma s. Chi avrebbe potuto saperlo, se non Bagoas il Sano, che deve sapere sempre tutto? Forse non si rivelato poi cos fedele al Gran Re. In ogni caso, i due sono venuti a sapere che avrebbero dovuto essere liquidati. . . Liquidati! disse Alessandro ridendo. Una bella parola per un simile

provvedimento. Viene da Bagoas il Benevolo. Hanno offerto denaro e favori, e hanno eliminato Artaserse; probabilmente stato lo stesso Bagoas il Veloce a mettere mano al pugnale, ma questo non sicuro; il Benevolo non era a Persepoli, quando successo. Poi il Veloce ha messo sul trono Arsete, per un... periodo di transizione. Ma Arsete non si lasciato guidare cos facilmente come sperato. Allora il Benevolo e il Veloce hanno eliminato anche questo Gran Re. Questa volta, per, non personalmente. Cos ha preso il potere Dario, ma non stata una scelta di quei due, bens dei principi d'Oriente: aveva condotto la guerra ai confini della terra e, a quanto si dice, si era messo in buona luce. Il Veloce lo ha appoggiato perch non gli restava altro da fare; il Benevolo si unito all'eunuco. Entrambi si attendevano certo di conservare le loro posizioni precedenti, ma poi Dario ha fatto ammazzare il Veloce... Vicende analoghe a quelle macedoni disse ad alta voce Callistene. Nessuno rise; Alessandro gli rivolse uno sguardo irritato. E il Benevolo ha dovuto collaborare in modo ancora pi stretto di prima con Bagoas il Sano, che evidentemente godeva di enorme fiducia da parte del Gran Re. Da lui, capo degli informatori persiani, ha ricevuto l'incarico di amministrare il denaro dell'esercito occidentale; e quello, in caso di necessit, di lasciarsi catturare per risolvere con il veleno alcune cose che non si riuscivano a sistemare con la spada. Alessandro strinse le labbra e scosse il capo sfiduciato. Dal tuo sguardo impotente e rabbioso, si vede che sai esattamente come me che questa storia presenta delle lacune. Si tratta di un'impresa suicida, anche nel caso in cui tutto riesca. Per una missione simile, o ci si offre di propria spontanea volont, oppure per punizione; ma chi viene punito non conserva una posizione nella quale dispone del tesoro dei satrapi occidentali e dei loro soldati. Nearchos sorrise impotente. Neanche Demaratos ne sa di pi; e comunque si interroga da anni sulle motivazioni di determinate azioni del suo avversario persiano, il Sano. Porr alcune domande al Benevolo, domani. Forse non lo avete interrogato in modo sufficientemente energico. Nearchos abbass lo sguardo al pavimento, lasciando lavorare i muscoli del collo. Lo abbiamo interrogato cos a fondo e con tanta energia, che al momento non in grado di rispondere ad altre domande: svenuto.

Nei giorni successivi Ptolemaios non venne a sapere nulla sui risultati degli ulteriori interrogatori; Alessandro gli aveva affidato mezza ile della cavalleria degli etri oltre ad alcuni arcieri cretesi che montavano cavalli frutto del bottino di guerra e a guide esperte dei luoghi. Setacciarono per giorni il paese, sempre pi inospitale man mano che si dirigevano verso sud, senza trovare nulla degno di nota: solo alcuni fuggiaschi sparpagliati e quasi nulla da mangiare. Alla sera Ptolemaios stendeva lettere per Aristotele, Antipatros e per gli amici e i parenti a Pella. Qualche volta, da un'altura, scorgevano a nord una parte del lungo serpente che, lento e variopinto, dal Granico ritornava verso occidente. Era un piacere cavalcare nell'aria pulita di quei luoghi deserti e non avere intorno a s tutta quella gente; Ptolemaios comprendeva molto bene che Alessandro doveva mettere alla prova i suoi giovani compagni e amici con piccoli compiti come quelli, prima di poter affidare loro il comando di unit pi grosse, i cui capi esperti non si potevano sostituire tanto alla leggera. Si ricongiunsero all'esercito presso Abydos; Alessandro utilizz quel che restava dell'accampamento invernale di Parmenion per una sosta di due giorni, per rimuovere alcuni ostacoli e preparare la tratta successiva. Ptolemaios fece la sua relazione in breve, senza sedersi, nel pomeriggio, e si rinfresc con un bagno nell'Ellesponto. Poi si fece aggiornare sulle ultime novit dagli altri ufficiali. Parmenion era atteso per quella sera stessa o, al pi tardi, per l'indomani: aveva gi svolto il suo compito. Dopo aver perso in battaglia Arsites, satrapo della Frigia ellespontica, si era recato nella sua capitale Daskyleion e, senza discutere molto con le autorit locali, aveva fatto condurre a bordo di una nave, che si trovava in un porto ad alcune parasanghe di distanza e che avrebbe fatto rotta verso Bisanzio, le sue mogli e i figli, insieme alla maggior parte degli schiavi; portavano con s denaro e lettere per amici mercanti. Poi si era recato a cavallo nel vicino paradeisos, la riserva di caccia del re, scortato da due schiavi e da alcuni uomini della sua guardia del corpo. Nel piccolo palazzo del paradeisos aveva scritto una lettera a Dario e si era quindi gettato sulla spada. Poich, dopo la morte del satrapo e quella di molti comandanti

sul Granico, non c'era nessuno in grado di condurre una resistenza ordinata, le citt della satrapia avevano aperto le porte. Parmenion vi aveva lasciato piccole guarnigioni, che in seguito sarebbero state rafforzate, aveva affidato le amministrazioni guidate da funzionari persiani o tiranni locali ad assemblee democratiche sorte immediatamente ed era partito per Abydos. L Alessandro si occupava dei problemi dei rifornimenti e delle comunicazioni con la madrepatria. La flotta trasport i mercenari ellenici del Gran Re in catene e la loro scorta fino a Sestos, per la lunga marcia verso le miniere e le cave di pietra in Macedonia. Ptolemaios si un ad Alessandro che, insieme ad alcuni consiglieri e a Drakon (il medico masticava un ramoscello di ciliegio), visitava i feriti e li suddivideva in base alle loro condizioni. Alcuni sarebbero dovuti rimanere nell'accampamento fino alla guarigione; ad altri il re lasci scegliere se fare ritorno in Macedonia (erano i feriti pi gravi, che non avrebbero potuto reggere nessuna marcia o combattimento ulteriori) oppure stabilirsi nelle citt sull'Ellesponto, come parte delle guarnigioni. A un certo punto comparve Philippos, seguito da tre schiavi che trascinavano alcuni sacchi, grandi ma evidentemente non troppo pesanti. Erbe di ogni genere disse il giovane medico. Provenienti in parte dai monti, in parte dalle scorte dei persiani. Alessandro annu, apr uno dei sacchi e ne annus il contenuto. Bene. Ci pensi tu a...? A tutto. Philippos sorrise e fece cenno a uno degli schiavi di avvicinarsi. I due sacchi sono per Aristotele. Mi domando soltanto che cosa se ne far. Un persiano, un medico, ha detto che servono a questo e a quello, ma sono erbe che non conosciamo. Alessandro sorrise. Ah, al vecchio Aristotele piacciono i piccoli indovinelli di questo genere. Portatele a Eumenes. L'elleno grasso, in un bagno di sudore, stava sorvegliando schiavi e scrivani che cucivano i fasci di rotoli di papiro all'interno di bisacce impermeabili. Alla comparsa di Philippos, di Ptolemaios e dello schiavo con i sacchi di erbe, intrecci le mani. E questo a che cosa dovrebbe servire? Probabilmente a nulla rispose Philippos mostrando i denti. Ma Alessandro ritiene che Aristotele dovrebbe riceverli ugualmente. Sono erbe. Eumenes digrign i denti. Dunque ancora qualcosa per

Atene. Ma che cosa sono io: un portalettere? Ehi, apri di nuovo quel sacco. Uno dei suoi scrivani gemette, prese un coltello e tagli il legaccio di un grande imballo. C' ancora qualcosa per Atene? chiese Eumenes. Su un carro non molto lontano era accovacciato Callistene, che alz un braccio. Qui. Aspettate ancora un momento. Sto per finire una lunga lettera ad Aristotele. Eumenes fece una smorfia. Non che tutto questo apparato marcia attraverso l'Asia soltanto per far divertire Aristotele?

Il mattino dopo scoppi il solito caos della partenza. Insieme a Leonnatos e Perdikkas, la cui taxis avrebbe dovuto seguire a un giorno di distanza come retroguardia appiedata, e ad alcuni altri ufficiali, Ptolemaios si assunse il compito supplementare, sempre ambto, di radunare i soldati sparpagliati e cacciare via prostitute e mercanti. L dove i loro carri erano in fila o in cerchio in mezzo a capanne costruite in fretta e tende colorate, non c'era ancora aria di partenza. Leonnatos si arrest davanti a una tenda, rimase per un po' in ascolto e poi sbrait verso l'ingresso: Presto, tutti fuori, si parte! . Dall'interno risuon una voce che a Ptolemaios parve familiare. Sono appena arrivato, e ora devo anche andarmene. Maledizione. Nell'ingresso apparve Emes lo spilungone, vestito solo di un ghigno a tutta bocca, con gli abiti in mano. Dietro di lui scivol via una donna, tanto ricca di nudit quanto di anni e di peso. Nobili signori! Scopr una dentatura difettosa. Siete in cerca di un po' di svago? Svago? Perdikkas sput. Potrei averne davvero bisogno, oltre a qualche comodit... ma qui? Bah! Leonnatos rise. Non essere troppo rude con lei, amico. In caso di bisogno, potresti anche... Perdikkas indic una grande gabbia, piena di starne e di altri uccelli commestibili, che stava per essere caricata su un carro. Potrei anche appuntirmi l'affare con un coltello e scoparmi le anatre. Andiamo, uomini, sbrigarsi! Dalle tende spuntarono fuori

altri guerrieri, tra cui un gruppo di tre che presero congedo da una vera e propria montagna traboccante femminilit. Leonnatos strabuzz gli occhi. Tre in una volta sola? O di! Ptolemaios ridacchi. Di? Quei tre l? Be', insomma... I mercanti, che smerciavano soprattutto carne, cereali, verdura, frutta e pane, dolci, ma anche coltelli, monili a poco prezzo, o amuleti, se la prendevano comoda. Uno di loro, appoggiato al proprio carro con le braccia conserte, intento a osservare il suo mulo mangiare, disse ad alta voce: Non abbiamo nessuna fretta. Vi seguiamo, lentamente. Senza di noi non andrete molto lontano. Perdikkas alz le spalle. Siamo arrivati fin qui senza di voi, o sbaglio? Ah, ma ora diverso. Vi siete divertiti con i persiani e con il loro esercito. Ora non c' pi un esercito, per cui che cosa rimane ai guerrieri in cerca di divertimento? Di che cosa hanno bisogno? Di donne e mercanti, non di ufficiali. Rise. Tre giorni dopo si accamparono sulla costa, alle porte di Antandros; c'era la nebbia e la lontana Lesbo non si intravedeva neppure. Alessandro ricevette i messi della citt; dopo che furono ripartiti, non senza lasciare doni e provviste fresche, uno degli attendenti reali port a Ptolemaios l'ordine di recarsi nella tenda del re. L c'erano volatili arrosto, agnello, quarti di manzo e vino sufficiente per annegare un'ile intera. Nei sostegni ardevano le fiaccole, su ogni tavolo in mezzo ai giacigli c'erano due lampade a olio. Ptolemaios salut Alessandro, si distese sul giaciglio che gli venne indicato e si guard intorno. Non era esattamente la solita riunione: c'erano Parmenion e Philotas, ma non Hektor e Nikanor. Mancava anche il fratellastro di Alessandro, Arridaios, cos come Proteas e alcuni alti ufficiali. Ptolemaios fece lenti cenni d'intesa ad amici, compagni e consiglieri: Hephaistion, Krateros, Perdikkas, Callistene, Drakon, Philippos, Eumenes, Baiton il bematista, Nikias degli assediatori, Kleitos, Koinos, Meleagros, Amyntas, Kalas... Al centro, vicino ad Alessandro, due personaggi piuttosto insoliti in quell'ambiente: il veggente Aristandros, per una volta vestito di chiaro, e Bagoas, una montagna che si andava rimpicciolendo, con le dita senza unghie e vistosi abiti di seta. Sembrava che la discussione fosse nuovamente orientata sui retroscena della presenza di Bagoas, il veleno e l'oro. Il persiano alz il bicchiere e scosse il capo con insistenza.

Ve l'ho detto cos tante volte che mi sembra di cantare una vecchissima canzone... non lo so. Sono stato scaraventato gi dal culmine del favore, signore, e non ho domandato quanto in basso avrei dovuto cadere. Ho messo in atto quella che mi stata presentata come una possibilit per sopravvivere. Demaratos e Nearchos, seminascosti dietro un telo penzolante della tenda, emisero mormorii dubbiosi; Antigonos si mise seduto e si sporse in avanti fin quasi a cadere dal giaciglio. Ma tutti questi elementi che ci presenti non si combinano in un quadro ragionevole, persiano! Tu perdi potere e influenza, ma ottieni il controllo del denaro dell'esercito occidentale. Sei sottoposto ai satrapi, che fino ad allora potevi comandare da lontano, ma loro devono chiedere a te quando vogliono spendere del denaro. In passato gliene hai offerto, forse hai fatto anche favori a qualcuno di loro, e noi dovremmo credere che non mostrino nei tuoi confronti n sete di vendetta n riconoscenza? Dici di essere sottoposto a loro, ma, secondo me, sei sul loro stesso piano, eppure ti armi di veleno e di pugnale come un sicario prezzolato? Evidentemente hai l'incarico di uccidere Alessandro e il maggior numero possibile di noi, ma non muovi le chiappe dai tappeti e dalle casse d'oro... Bagoas mosse il braccio che reggeva il bicchiere; le sue vesti rilucevano di tutti i colori brillanti dell'arcobaleno. Ptolemaios vide Alessandro socchiudere gli occhi. Potrebbe essere la voce di Bagoas suon untuosa come olio e ambigua come la perfidia che tutto questo, i tesori e questo misero corpo, dovesse essere un regalo per voi. . . Da parte di chi? Demaratos non fece il minimo tentativo di celare l'ironia e lo scetticismo della sua voce. Forse da parte di Bagoas il Sano? disse il persiano. Il corinzio sbuff. In tutti questi anni, Bagoas ci ha fatto un solo regalo: ci ha messi in guardia dal tentativo di assassinare il re Filippo. Perch mai... ah, tutto troppo confuso. Alessandro protese la mano destra. Fammi toccare la tua veste, Bagoas. Il persiano si rotol fuori dal suo giaciglio e si avvicin al re. Alessandro prese il tessuto tra pollice e indice, lo sfreg, lo tast, l'osserv: d'un tratto nel suo sguardo comparve una sorta di nostalgia.

Questa seta, non vero? Ma immensamente pi fine di tutta quella che ho visto finora. Dove viene tessuta questa stoffa? Quale pianta fornisce i fili? Bagoas si sfil la sopravveste e la porse al re. Un infimo omaggio, signore; che possa procurarti piacere e farti ricordare che un grassone inutile pensa a te con rispetto e ammirazione. Alessandro aggrott la fronte. Pensa a me rispondendo alle mie domande. Comunque, grazie per il regalo. Bagoas ritorn barcollando al suo giaciglio e vi si abbandon con un sospiro. Si dice che siano alcuni piccoli vermi, che si nutrono di particolari piante, a secernere i fili, signore... Callistene ridacchi rumorosamente. Come dire che dagli escrementi si pu ottenere qualcosa di pi prezioso dell'oro... Non lo so con esattezza. Proviene da un paese al di l dell'India, molto al di l delle montagne del confine iranico. Quante cose da vedere mormor Alessandro. Poi si pass la mano libera sugli occhi, cancellandone l'espressione di nostalgia. Questo vecchio rugoso disse Bagoas dispiaciuto, e non sai quanto di non riuscire a convincerti in nessun altro modo. Il miserabile balbettio della mia lingua come aceto per le tue orecchie, ma dove posso trovare il miele? Il sorriso di Alessandro fu quasi sprezzante. Non ho bisogno n di miele n di altre sostanze appiccicose nelle mie orecchie, Bagoas: soltanto della semplice verit. L'uomo fece un largo sorriso. La verit, signore dei macedoni? La verit una per il sommo stratega della Lega di Corinto; un'altra per il figlio di Filippo. E un'altra ancora per il vincitore sul Granico. Moltissimi vostri filosofi e nostri sacerdoti ci hanno offerto, o spacciato, cos tante verit differenti: come potrei io... Aristandros batt le mani e fece una smorfia. Alla fine, tutte queste verit differenti sono solo una piccola parte dell'unica grande verit. Ma temo che tu, finora, non abbia neppure tentato di dirci la tua piccola verit, Bagoas. Finora io ho sentito soltanto menzogne: piccole menzogne, che di certo nascondono qualcosa di grande. Alessandro osserv il volto tetro del suo sommo veggente con un misto di attesa e approvazione. E che cosa nasconde, secondo te? Aristandros alz le spalle e fiss il suo bicchiere. Bagoas come il vino: Bagvayh. Pesante, dai molti sapori, lo si pu osservare in trasparenza ma non guardare attraverso di esso e,

se se ne assume troppo provoca vomito e cerchi dolorosi alla testa. Aristandros alz gli occhi e fece un sorriso obliquo. Credo che nasconda molte cose a noi, ma anche a se stesso. Non sono sicuro che sappia perfino lui che cosa desidera davvero. Ma insomma, nobile persiano, che cos' che ti muove? E' la cupidigia, la sete di conoscenza, la fame di potere? Alessandro annu e squadr Bagoas. Allora? Bagoas sporse le labbra e ammicc in direzione di Aristandros. Cupidigia? Sete di conoscenza? Fame di potere? Ah, mio buon Aristandros, tu mi sottovaluti. Che cosa sono mai la conoscenza, il potere, la ricchezza, l'influenza? Nulla, a paragone di ci cui aspiro. Parmenion si appoggi su un gomito e, con una smorfia scettica, disse: Deve essere qualcosa di immenso... Sii gentile, nobile Bagoas, informaci su quello cui aspiri. Che cosa c' mai di pi grande di queste cose che rigetti?. Lentamente e scandendo le parole, Bagoas rispose: Qualcosa che voi non comprenderete, tranne forse Eumenes. Voi siete tutti guerrieri. Io sono soltanto un vecchio grassone inoffensivo e senza amici. E cerco qualcosa che molto vicino eppure cos lontano. Ora il suo sguardo era estremamente serio. Voglio soltanto vivere. Sopravvivere. Durare. Perdikkas sput. Questo un discorso da vigliacco. Alessandro squadr Bagoas con gli occhi ridotti a sottili fessure. Tutto qui? Niente gloria, niente potere, niente saggezza? Soltanto una vita lunga? Una vita eterna, di durata e infamia indicibili? Bagoas allarg le braccia. Semplicemente questo, essere e non finire. Questa la premessa indispensabile per tutto il resto. Tu non puoi avere n ricchezza n gloria, n saggezza n potere, se sei morto, Alessandro. Devi ottenerli prima della morte. Perci rimandala e ottieni pi tempo per le cose che ti interessano. La morte non la fine, dicono i nostri sacerdoti; per la fine di tutte le cose concrete, terrene. Ma che cosa dicono i vostri sacerdoti? chiese Philippos. Ho sezionato moltissimi uomini morti senza mai trovare qualcosa di nome anima. Che cosa dicono i tuoi sacerdoti, persiano? Bagoas chiuse gli occhi, come se dovesse guardare davvero dentro di s. Ci sono molti sacerdoti e ancora pi dicerie. C'era l'antica fede, donataci da Mitra il toro, Mitra il signore dell'alleanza; e ce la diede anche Anahita, la dea dell'amore e della fertilit. Divinit antiche, antichissime, antiche come l'egizio Apis o il toro cretese Minosse, e quali

siano state le loro dottrine originali, oggi non lo sanno pi neppure i sacerdoti. E, dal momento che non lo sanno ma non possono ammetterlo, mescolano insieme un po' dell'una e un po' dell'altra. Si dice che Mitra sia nato da una roccia e che avesse diecimila occhi e orecchie. Ha sopraffatto e rinchiuso in un antro il Grande Toro, creazione primordiale delle misteriose divinit superiori. In seguito gli ha tagliato la gola e dal suo sangue sono sorte tutte le piante. Bagoas apr gli occhi, si mise a sedere e sorrise un po' ironico. Ma tutto questo incerto. Mitra significa "amico", ma amico di chi? E' il dio dell'aria tiepida, dispensatrice di vita, ma il suo santuario l'antro. In suo onore le persone continuano a raggrupparsi negli antri e a ubriacarsi con l'hauma, una bevanda ottenuta dai funghi velenosi; nell'ebbrezza si prova la sensazione di volare. E altre cose, alle quali ai potenti evirati dispiace dover rinunciare. Sogghign e si strinse nelle spalle. Ma nel complesso le antiche divinit non sono altro che immagini, immagini sensibili della forza vitale e del piacere, pretesti per orgie insensate. Che preferisco di gran lunga al morire, ma non questo il significato attribuito loro dai sacerdoti. Poi venne Zarathushtra, un profeta che annunci cose nuove, che forse erano soltanto quelle vecchie in una veste nuova. Ma anche il suo annuncio risale cos indietro nel tempo, che il modo in cui stato trasmesso non sicuro. Alcuni dicono che abbia parlato di un dio supremo segreto che ha mandato nel mondo due forze contrastanti: Ormuzd, Ahura Mazda, signore della parte superiore, luminosa, del bene, e Ahriman, signore della parte inferiore, oscura, del male. Altri dicono che Ormuzd sarebbe lo stesso dio superiore e Ahriman il suo avversario. Mitra sarebbe l'aiutante di Ormuzd. Altri ancora dicono che il profeta abbia soltanto separato le due parti dell'antico Mitra e scelto Ormuzd per l'aria tiepida e Ahriman per gli antri oscuri. Comunque sia: gli antichi di sono elementi della vita, delle piante, degli animali, degli esseri umani, ma non dello spirito. Forse anche il grande toro che Mitra continua a uccidere la vita che lo spirito dell'essere umano deve sottomettere e ammansire creando le leggi e gli ordinamenti... Il dio dello spirito, lo spirito puro, il signore onnisciente, lo chiamiamo Ormuzd; lui vuole che viviamo e ci comportiamo con animo giusto. Il suo comandamento, il suo regno e la sua dottrina rtam, vale a dire l'ordine giusto, e la sua attuazione il suo dominio sugli esseri umani. Che ognuno compia il suo lavoro quotidiano, con gioia, come un dovere

puro e immacolato. Che non si sacrifichi nessun animale, ma si preghi e ci si prostri. Non hauma, ma pensieri. Che si offrano frutti: la purezza dello spirito come la fiamma del fuoco, alimentato da oggetti impuri come il legno; oppure il fegato degli esseri umani, ma la fiamma deve sollevarsi sulle cose. Perci preghiamo il signore onnisciente che ha prodotto tutte le cose; lo adoriamo offrendogli frutta sui nostri nudi altari di fuoco, cuocendo il pane nel forno, aprendo in due i datteri o altri frutti, in modo che possa respirarne l'anima, il profumo, lo spirito. Diciamo, come dicono alcuni sacerdoti, che il signore onnisciente ha inviato due grandi, Ormuzd e Ahriman, il signore luminoso e quello oscuro, e noi dobbiamo seguire uno dei due, deciderci per il bene oppure per il male, per la purezza o per la contaminazione. Per lo spirito oppure per il corpo, il pensiero oppure la soddisfazione dei sensi. Dopo la morte, le nostre anime finiscono nell'abisso dell'orrore, sopra il quale passa il ponte dello Sceglitore. Lo Sceglitore il terzo grande inviato dall'Onnisciente: uno spirito che esamina e pesa le anime e, a seconda dei loro meriti, le manda nei giardini eterni della luce oppure negli antri eterni dell'oscurit. Durante il suo lungo discorso Bagoas aveva dondolato lentamente avanti e indietro il busto; la sua voce era parsa roca e lontana, come una cantilena sconosciuta, difficile da tradurre in ellenico. Quindi alz gli occhi, sorrise alla cerchia silenziosa e tossicchi. Naturalmente non credo a una parola di tutto questo. Ma una bella storia e, come tutte le storie di di e le dottrine, anche questa serve a conservare lo stato e a indurre gli uomini al rispetto delle leggi. Si deve rendere sacra la morte, in modo che gli uomini non ne abbiano paura: e il modo migliore per farlo quello di spiegarla come una porta, un passaggio verso un'altra vita e, se laggi le anime saranno valutate in base ai loro meriti, questo significa che prima della morte devono essere state virtuose e aver rispettato le leggi. La paura della morte la catena che lega il rapaceuomo. E la trasfigurazione della morte l'esca che fa andare l'eroe in battaglia. Aristandros annu molto lentamente, ma non disse una parola. Alessandro spostava continuamente lo sguardo tra il suo veggente e il persiano grasso; poi sorrise, ma fu un sorriso triste. Cos, nei vostri di e nei vostri grandi spiriti, non c' alcuna verit?

Bagoas si strinse nuovamente nelle spalle. E chi pu dirlo? Chi cerca la verit, la trova ovunque la riponga. In tutte queste storie c' sempre un dio dietro gli di; forse c' davvero, da qualche parte; forse la verit presso di lui. Pu essere cos, pu essere diverso, pu esistere una verit e un ordine che non conosciamo ancora oppure, forse... forse non esiste nessuna verit e nessun ordine, ma solo un caos confuso nel quale ci sogniamo un ordine per non andare a fondo. Noi poveri mortali lo scopriremo quando saremo morti. Niente, dopo la morte, oppure qualcosa? Ma finora non tornato indietro nessuno a raccontarcelo. Per questo preferisco conservarmi, durare, sopravvivere, interrogarmi, credere oppure non credere, oppure dubitare in modo costruttivo; la mia sete di conoscere queste cose minore della mia sete di vino. E, a differenza della mia fame di cibo, la mia fame di illuminazione pu attendere molto a lungo. Parmenion, con un tono di disprezzo ancora pi marcato, disse: Vivere come una pianta... Tu quindi non vuoi fare nessuna grande cosa per soddisfare e realizzare te stesso? Curare i malati, costruire citt, aiutare il tuo popolo a stare bene, dare da mangiare agli affamati, guidare le navi, trovare una morte gloriosa in battaglia o essere elogiato in versi come benefattore del mondo... niente di tutto questo, solo durare come... si, insomma, come una pietra, un fungo, un pesce?. Sono forse un pesce? Bagoas sorrise. Nuoto, dunque sono un pesce? Penso, dunque sono un pensiero? E' cos? Non mi muovo, dunque sono una pietra? Oh, Parmenion, sommo stratega del re, voglio dirti la mia verit: non voglio morire n in ricchezza n in miseria, n glorificato n disprezzato. Preferirei non morire affatto. Alessandro disse quasi amorevolmente: Per uno che teme la morte e che vuole soltanto vivere, sei stato molto coraggioso, Bagoas. Se tu fossi riuscito ad avvelenare me o qualunque altro dei nostri, saresti morto in modo atroce e ti saresti augurato mille volte di perdere soltanto le unghie e i denti. Drakon ridacchi asciutto. Questo comunque non gli piaciuto, Alessandro. Ha cercato di mordermi. Prese alcune foglie di salvia, menta e timo da una ciotola piena d'acqua, se le mise in bocca e inizi a masticarle. Eh si, ora che ha perso il suo veleno vuole impastoiarci con il miele. So bene che possiede ancora entrambe le sue armi migliori: la lama della sua lingua e la falange dei suoi pensieri. Alessandro socchiuse gli occhi. Ma io da te voglio soltanto la verit, Bagoas. Il persiano sorrise. Te l'ho

data. Se vuoi, signore, posso ripeterla con parole aspre. Come ho detto all'inizio della sera: non troverai braccia aperte n risposte da nessuna parte. Dovrai sempre farti strada combattendo, perfino contro le citt elleniche dell'Asia. Tutte le risposte, tutte le verit, le dovrai scoprire e creare da solo. E non hai ancora toccato neppure il bordo dell'impero iranico. No? Neppure il bordo? disse Ptolemaios. E che cosa sarebbe la battaglia che abbiamo vinto? Bagoas aggrott la fronte e fece un movimento della mano, come se lasciasse cadere della sabbia. Alcuni soldati iranici e mercenari ellenici che si trovavano per caso nelle vicinanze. Quanto siete andati lontani? Cento parasanghe? Centocinquanta? Di meno? Ma lo sapete che, a volo d'aquila, ci sono pi di mille parasanghe da qui al confine dell'India, dove finisce l'impero del re Darayava'ush? E voi non siete aquile, valorosi macedoni. Voi dovrete fare a piedi ogni passo e lottare per ogni passo, su strade tortuose, attraverso montagne che toccano la parte inferiore del cielo, sul ghiaccio e sulla neve, attraverso deserti infuocati, che sono pi desolati e sterili delle parole dei vostri filosofi. Diecimila miglia di stanchezza per voi, prima che possiate soltanto vedere il cuore del territorio iranico, la Parsa e la Media. Le montagne, i deserti, i grandi fiumi che dovrete attraversare, le roccaforti imponenti che non vi lasceranno passare. E Darayava'ush non ha ancora neppure iniziato ad allestire un esercito contro di voi. La vostra grande battaglia... stata soltanto una scaramuccia. Quarantamila guerrieri, quarantacinquemila, questo il vostro esercito? Quando, prima o poi, Darayava'ush muover contro di voi, questo sar soltanto il numero dei soldati della sua avanguardia. Forse riuscirete ad aprirvi una via contro questa avanguardia, ma poi vi imbatterete in centomila guerrieri che vi attenderanno, e dietro di loro molti di pi. Quindi scoppi improvvisamente a ridere, chin il capo verso la spalla destra e rivolse uno sguardo indagatore al re. Ma forse voi non volete affatto spingervi tanto lontano. Quali sono gli obiettivi della vostra guerra? La Ionia? La Cilicia? Le regioni costiere colonizzate dagli elleni? Alessandro fece un gesto vago con il braccio. Pi tardi. La tua suona come... una promessa di disfatta. Sappiamo che la Persia grande e potente, ma di questo ci occuperemo quando sar il momento. Parmenion borbott a bassa voce. Su alcuni punti, per, ha ragione, Alessandro. Per esempio, riguardo a quel che ci aspetta. Le citt elleniche dell'Asia che dobbiamo liberare o conquistare, il che poi la

stessa cosa. Sono giunte a un accordo con i persiani, vengono lasciate in pace e pagano al Gran Re e ai satrapi meno tasse di quante, per esempio, imponesse Atene alle citt della Lega navale attica. Bagoas fece una smorfia. Se il denaro un problema cos grande... Eumenes sollev una coscia di pollo rosicchiata e, con la bocca piena, disse: Certo che lo . E anche un piacere. Perch?. Quando le risate si furono placate Bagoas disse, come per inciso: Be' s, questo personaggio modesto, privo d'importanza, probabilmente potrebbe.... Alessandro picchi sul tavolino, facendo cadere un bicchiere. Smettila con questi discorsi, Bagoas. Parla in modo diretto. Lo so che pensi in modo contorto, ma raddrizza la tua lingua, altrimenti te la faccio staccare. Bagoas sorrise gentile. Come desideri, nobile signore. Chi sono io, per contrastarti? Per questo voglio dirti, in modo assolutamente diretto: quanto? Perdikkas balz in piedi e grid: Quanto cosa?. Ptolemaios indic Bagoas con un sogghigno perfido: Credo che ci chieder quanto pretendiamo in cambio della rinuncia ad avanzare ulteriormente. Alessandro sorrise appena. Soltanto per ipotesi, Bagoas: tu quanto credi che pagherebbe il tuo re? Bagoas si strinse nelle spalle. Non lo so. A quanto ammontano le entrate annuali della Macedonia? Mille talenti d'argento? Duemila?, Eumenes sventol un'ala di pollo che colava grasso. Be' s, all'incirca... quanto, Harpalos? Si guard intorno, ma Harpalos non era nella tenda. Bagoas si freg il naso. Mhmm. Un soldato riceve una dracma al giorno, in media, vero? Quindi un talento al giorno basta per seimila uomini. Diciamo che sono quarantaduemila guerrieri: sette talenti al giorno, all'incirca duemilacinquecento all'anno. Pi di quanto incassi la Macedonia. Senza l'esercito, non puoi conservare l'Ellade, o re; la Macedonia perderebbe di nuovo ogni importanza. E, se vuoi mantenere l'esercito, per vedere l'Ellade piccola e la Macedonia grande, devi condurre guerre e fare bottino... Se ora il grande Alessandro, i suoi nobili amici e gli ufficiali si ritirassero dall'Asia... diecimila talenti? Si guard intorno e osserv i volti, vide lo stupore, l'incredulit, il disprezzo, l'entusiasmo. In oro; in argento sono duecentomila. Parmenion borbott qualcosa nel silenzio opprimente; Eumenes si distese nel suo giaciglio, sollev sopra di s l'osso di pollo e disse piano: Ullall!. Hephaistion inizi a ridacchiare; Krateros fece schioccare la

lingua. Tutto questo denaro? disse Callistene. Tu credi che Dario sprecherebbe tutto questo denaro per noi? Bagoas sospir. Si, uno spreco. Ma, nella sua imperscrutabile saggezza, potrebbe decidere di fare proprio questo. Il silenzio cal nuovamente nella tenda come una nebbia fredda. Alla fine Alessandro, ancora con un lieve sorriso, disse: Allora, miei nobili amici? Che cosa ne dite?. Philotas guard Parmenion. Padre? Parmenion fissava inerte il vuoto. Cos tanto per cos poco mormor. Aristandros si mise a sedere. Sorrise, ma la sua voce fu tagliente. Come dice Parmenion, cos tanto per cos poco. Dunque la Persia, di cui non abbiamo toccato neppure i bordi, un'ampia veste nella quale noi ci accingiamo a strisciare come pidocchi? Chi spende tutto questo oro per scacciare i pidocchi? Mi sembra quindi che siamo qualcosa pi che pidocchi. Guard Bagoas, il cui volto era di ghiaccio. E' cos, Bagoas? E dimmi ancora una cosa: se Dario in grado di spendere tanto per liberarsi dei pidocchi, allora quanto spenderebbe per non ricevere visite di guerrieri? Alessandro annu. E quanto possiede in tutto? Bagoas gemette e sorrise nello stesso tempo; il suo volto era l'incarnazione della letizia, mentre le sue rughe esprimevano tutto il suo disagio. Nobili macedoni, permettetemi di farvi una domanda. Se mai concesso a uno come me... Krateros sbadigli: Per gli di, ora ricomincia di nuovo!. Bagoas storse il naso: Se dovete proprio... ma quali sono i vostri obiettivi, alla fine?. Tutti rivolsero lo sguardo ad Alessandro, che per rimase in silenzio. Hephaistion attese che Parmenion parlasse; alla fine, visto che il silenzio continuava, si schiar la voce. Il nostro re Alessandro, signore della Macedonia, anche lo stratega con pieni poteri di tutte le truppe elleniche, a eccezione di quelle di Sparta, e il Consiglio sacro di Corinto ha incaricato lui e noi di riparare all'ingiustizia. Ingiustizia? Di quale cosa terribile si tratta? La voce di Bagoas era piena di disprezzo. Qualcuno ha rubato un corredo da letto? Ha pisciato sulla soglia di un tempio? Scompigliato il pelo pubico di una prostituta ellenica? E quante centinaia d'anni fa? Qualcosa del genere.

Aristandros si alz dal suo giaciglio, si avvicin al persiano e lo fiss dall'alto in basso. Hai dimenticato che, per duecento anni, non potuto accadere nulla nell'Ellade senza l'intromissione dei persiani? Che avete ridotto la Macedonia a una vostra satrapia e i nostri antenati... Ma tu sei di Telmessos, non vero? chiese Bagoas. E in Asia, macedone! ... avete costretto i nostri antenati a sopportare i costi della guerra contro i loro fratelli elleni? Dimenticato che Serse, non solo ha ucciso guerrieri ellenici e devastato citt elleniche... ... come avviene in ogni guerra mormor Parmenion. ... ma ha anche fatto quello che nessuno pu fare: Serse ha profanato i templi e gli oggetti pi sacri, le immagini degli di, gli altari, le statue degli antenati, ha fatto portare tutto questo in Persia? Altari e statue che erano sacri per tutti e che erano affidati in eterno alla nostra custodia? Lo hai dimenticato, grassone? I santuari sono stati profanati, cos come quelli dell'Egitto, quando il re Artaserse schiacci sotto il suo stivale quel paese antichissimo e venerabile. Lo hai dimenticato? Hai dimenticato che macell il toro sacro ad Apis? E pu anche darsi che le citt elleniche dell'Asia abbiano fatto la pace con voi, ma perch sono state costrette: Mileto, Efeso, Halikarnassos, Priene, esistevano tutte prima che uno dei tuoi antenati osasse soltanto sognare un impero iranico. Dubiti, anche per un solo battito di ciglia, che non saprebbero scegliere, se avessero la scelta tra la libert ellenica e la servit barbarica? Bagoas sospir piano, quasi con dolcezza. Un discorso impressionante, veggente. S, grande Aristandros di Telmessos, ne dubito. Gli uomini, infatti, scelgono sempre quello che fa meno male, che costa meno, che meno scomodo. E, per le citt sulle coste dell'Asia, pagare le tasse al Gran Re semplice, mentre cambiare le cose sarebbe molto costoso, molto faticoso e molto sanguinoso.. . Potr essere pi semplice, ma nella comodit degli schiavi non c' alcuna virt. A chi importa della virt, quando questa significa fame? Sarebbe dunque questo il tuo obiettivo, Alessandro? Liberare gli elleni dell'Asia? Alessandro sbadigli e si freg gli occhi. Questo e alcune altre cose. Ma adesso il mio obiettivo e il mio volere supremo soprattutto quello di vedervi andare via tutti e di riposarmi un poco. Tutti vuotarono i loro bicchieri, si alzarono in piedi e abbandonarono la tenda. Ptolemaios, cui toccava la sorveglianza dell'accampamento per

quella notte, aiut Eumenes a rimettersi sulle gambe; il cardio era troppo pieno e troppo ubriaco per alzarsi da solo. Alla fine, oltre ad Alessandro e a Hephaistion, nella tenda rimasero soltanto Ptolemaios e alcuni attendenti ai quali il re fece cenno di preparargli il letto l, anzich nella tenda pi piccola in cui dormiva di solito. Rimase in piedi davanti all'ingresso; mentre i servitori e gli schiavi preparavano un ampio giaciglio sul terreno e spogliavano Alessandro, Ptolemaios spense le fiaccole tuffandole in un secchio d'acqua. Hephaistion era seduto sul bordo del letto e osservava il re. Il volto di Alessandro era stanco, esausto, invecchiato. Il re sorrise e gli prese la mano. Non ti preoccupare, amico mio. Voglio soltanto riposare, parlare ancora un po', sentire la tua vicinanza che scaccia via le tenebre dalla mia testa. Nient'altro. Hephaistion si apr il cinturone, si sfil i sandali e si distese accanto ad Alessandro, che fissava la sommit scura della tenda. Ardevano ancora solo tre lampade a olio; tutti gli schiavi e i servitori se ne erano andati. Hephaistion allung la mano verso la coperta pesante, vi si avvolse insieme ad Alessandro e quindi pos la mano sul petto dell'amico. Dove sarei, senza di voi? chiese Alessandro. Sarei al freddo e solo. Ma fa freddo, e sono solo. Non ti diamo abbastanza calore? S. E no. Ah, non lo so. Forse il vento. Quale vento, mio caro? Quando uno si muove, anche se l'aria immobile, la sente trasformarsi in vento. Pi vai veloce, pi diventa forte. Ho la sensazione di non aver fatto altro che correre, dalla morte di Filippo. Che cosa ho perduto e che cosa ho guadagnato? Ptolemaios si mise ad ascoltare i rumori nella notte, che era senza vento. In lontananza sent, attutite, le onde del mare, pi vicino nitrirono alcuni cavalli. Poi il passo regolare delle guardie. Hai guadagnato il potere, Alessandro, e sei capace di usarlo molto bene. Ma. . . Alessandro borbott piano. S, c' un ma. Senza il potere, sarebbe tutto pi facile. Posso fidarmi di qualcuno? Qual il significato, lo scopo del potere? La gloria, la giustizia, la libert? Il divertimento disse Ptolemaios a mezza voce; Alessandro sollev la testa e guard verso di lui. Le persone vogliono tutto contemporaneamente, ma soprattutto non vogliono annoiarsi. Dei re giusti, sotto il cui dominio nessuno morto di freddo o di fame, n ha patito ingiustizia, si racconta soltanto che furono giusti. Le storie pi belle da

ascoltare si raccontano dei principi che innanzitutto hanno liberato il proprio popolo dal fardello della noia, con la guerra e con altri giochi. Alessandro si lasci nuovamente scivolare nel giaciglio. A volte torno con il pensiero a Mieza, dove Aristotele ci faceva lezione e dove potevamo fingere che fossero tutte cose serie. Allora penso di aver perduto pi di quanto potr mai riguadagnare. E9' cos disse Hephaistion ma anche diverso. Tu sei andato oltre Filippo, fin quasi dove giungevano i suoi sogni. Tu sei dove Achille non arrivato. La voce di Alessandro parve insonnolita: Verrai insieme a me, mio Patroclo?. Hephaistion si chin su di lui e gli baci la fronte. Sino alla fine. Ma non dimenticare gli ostacoli: pensa a Bagoas. Alessandro borbott. Non ti preoccupare, non dimentico nulla. Mai. So come dobbiamo trattare le citt. E come? Pi tardi... domani. Bagoas: la sua lingua veleno purissimo. Dobbiamo anche chiedergli dell'amuleto. Quel... quell'affare egizio che porta tua madre? E Aristandros... Non parlare di Olympias, amico mio. Hephaistion gemette. No, meglio di no. Ma tutto quel discorso sul denaro... Bagoas ha seminato la sfiducia: molto intelligente. Vuole vedere che frutti dar la semina. Dobbiamo stare attenti, Alessandro. A qualcuno potrebbe venire in mente di ucciderti e di ottenere la pi alta ricompensa che sia mai stata pagata. Alessandro volse il capo verso l'ingresso. E' per questo che, stanotte, Ptolemaios rester di guardia. Va' pure, amico mio: lasciaci soli..

4. Pella.

Pi di tre lune dopo essersi congedati tanto bruscamente dall'esercito del re, Tekhnef e Dymas giunsero nel cuore del territorio macedone. In piena estate la portata dell'Axios non era eccessiva, perci, anzich accalcarsi sul traghetto insieme ai carri dei contadini e alla miriade di passeggeri a piedi, condussero i loro cavalli attraverso un guado nella zona paludosa a monte della foce. Met pomeriggio disse Dymas; tenne a freno il suo cavallo e osserv le case nuove di legno e mattoni di argilla che erano state costruite sul margine orientale del porto di Pella. Qui hanno fatto qualcosa. Restiamo nel porto, senza suonare? Tekhnef lo fiss con un sorriso obliquo. Stai scommettendo con te stesso? Mi conosci troppo bene, dea nera rispose ridendo. S, sto scommettendo. Anche se non suoniamo, domani verr qualcuno per condurci da Antipatros. Diciamo domani pomeriggio; e probabilmente, gi verso mezzogiorno, un uomo di Olympias. Tekhnef rivolse lo sguardo verso l'acqua, dove accanto al vecchio bacino del porto ora ne sorgeva forse un secondo, o per lo meno un nuovo lungo molo. Io scommetto diversamente disse a mezza voce. Olympias? D'accordo, uno dei suoi uomini domani a mezzogiorno, ma quello di Antipatros domattina presto. Accetto. Qual la posta? Tekhnef ridacchi. Se perdi tu, questa notte dividi il letto con me. Se perdo io, lo divido con te.

All'inizio del regno di Filippo, il porto di Pella era un bacino mezzo interrato, con una banchina che cadeva a pezzi, alcuni depositi, botteghe e mescite: la trascurabile appendice

di una citt insignificante, alla quale era unita da un canale. Filippo aveva rimesso immediatamente in funzione bacino e banchina, non solo per il commercio ma anche per la flotta militare, inizialmente poco importante. Da allora e fino alla partenza per la spedizione in Asia, numerosi collegamenti viari ed edifici avevano reso doppia l'estensione primitiva della zona del porto che, nell'ultimo mezzo anno, si era trasformata in una vera e propria citt, ulteriormente raddoppiata ed estesa sul territorio paludoso prosciugato. Sulla banchina di blocchi di pietra, che era stata prolungata verso levante (a ponente iniziava il canale che impediva ogni estensione), Tekhnef e Dymas trovarono alloggio in una nuova locanda a due piani, munita di stalle. A parte qualche fiore e alcuni arbusti trapiantati, le aiuole ornamentali del cortile interno erano ancora spoglie; il giovane schiavo che li condusse alla loro stanza al piano superiore, portando una brocca con l'acqua del pozzo che si trovava nel cortile, li avvert: Acqua stagnante, no buona per bere, solo lavare. Dymas gli gett mezza dracma d'argento; il giovane tracio le diede un morso, sorrise e la fece sparire tra le pieghe del suo perizoma. Voi altra acqua? E vino. La stanza aveva le pareti intonacate ed era luminosa e pulita, cos come l'ampio letto costituito da un telaio di legno imbottito di cuoio; le coperte profumavano come appena lavate e nemmeno un esame approfondito rivel la presenza di animaletti fastidiosi. Mentre Dymas sistemava gli strumenti dentro e sopra la semplice cassapanca di legno, si spogliava e si ripuliva con l'acqua della brocca e del bacile davanti al lavabo, Tekhnef tolse dal vano della finestra i telai ricoperti di budello di maiale trasparente e osserv il porto, la banchina e la gente. Egizi disse meravigliata. Una nave... potrebbe venire da Creta. Fenici. Un mercante attico, una nave di Carcedonia. Non pi il confine del mondo; diventato il porto pi importante di un regno. Sette, anzi, nove navi da guerra dentro e fuori dal porto... vino, tessuti, spezie, gioielli: dove siamo finiti, Dymas? E' il porto della capitale, come dici tu, e il principale scalo per i rifornimenti destinati ad Alessandro. Mi domando soltanto che aspetto avr la citt vera e propria. Che cosa vuoi dire? Dymas grugn. Se ora tutte le merci rimangono al porto, nella citt di Pella i traffici saranno diventati molto miseri, o no? Quando lo schiavo comparve con il vino e l'acqua da bere, Dymas tir fuori un'altra mezza dracma e gliela diede, affinch facesse in modo che i cavalli ricevessero un buon

trattamento. Il tracio guard alternativamente Tekhnef e Dymas, annu, sembr contare per un istante i peli neri e spessi sul corpo del musico e calcolare il peso del suo pendaglio, parve sul punto di fare una proposta, ma se ne and senza dire nulla. Dymas sorrise e mise il catenaccio alla porta. Che cosa facciamo? chiese Tekhnef allontanandosi dalla finestra. Spogliati, lavati. Odori di cavallo. E poi? Lei sfil sorridendo il chitone sporco, lungo fino alle ginocchia, il perizoma, i sandali. Be', vedremo. Dymas si lasci cadere sul letto. Forse nel frattempo ci viene in mente qualcosa... riguardo alla scommessa, intendo dire. Perci dobbiamo prima sbrigare le questioni pi importanti.

Sulla piazza del mercato al centro della banchina, dove alcuni edifici pi vecchi erano stati abbattuti, Tekhnef sprofond nei ricordi e nella nostalgia davanti al banco di un egizio che vendeva rozzi dipinti su papiro, figure e caratteri della tradizione antica, insieme a piccole riproduzioni in terracotta dell'uomo-leone chiamato sfinge, statuette di divinit e sovrani in pietra morbida, bottiglie colorate con "meraviglie per il naso e per la pelle, profumi che soltanto i maestri del Nilo sono in grado di miscelare". Su altri banchi c'erano pesce della costa, frutta e verdura dell'entroterra, vino locale e anche di Rodi e dell'Attica. Alcuni uomini alti, con fluenti chiome bionde, presumibilmente celti, stavano accovacciati sul bordo del loro carro che trasportava gabbie con tassi, donnole, due giovani lupi e un cucciolo di orso. Le grida delle oche, dei polli e dei piccioni da ingrasso erano soltanto una lingua tra le tante: macedone, alto macedone, attico iranico della costa, assiro, aramaico, caldeo, fenicio, tracio, illirico... Un gigante con i capelli neri e crespi, la barba nera e gli orecchini d'oro offriva splendidi ghiri; aveva le unghie delle dita e i denti dipinti di nero. In un attico stentato, ma il suo persiano non era molto migliore, elencava i prezzi e descriveva la prelibatezza degli animaletti marinati con vino e cipolla e quindi arrostiti a fuoco vivo con le erbe, borbottava brandelli di storie

antichissime (uno degli animali discendeva in linea diretta dalla stirpe che per anni era stato il cibo preferito dei dimenticati sovrani della Lidia), attirando pi clienti per il suo aspetto e la sua voce tonante che per le sue merci. Incuriosito, Dymas lo coinvolse in una discussione in cui venne a sapere che l'uomo si chiamava Nhiyar (o qualcosa del genere), era sfuggito a un mercante persiano di cui era stato a lungo schiavo e proveniva da qualche posto sull'Halys, in Cappadocia, dove esistevano ancora alcuni villaggi con personaggi della sua levatura, tutti grandi frombolieri, suonatori di zampogna come lui e bevitori, gli ultimi dei luviya, che avevano regnato laggi molto prima dei khattu, a Dymas altrettanto ignoti, e infinitamente prima di tutti i popoli conosciuti. A un certo punto una bambina pallida lo tir per la manica e picchi su un tamburo, mentre Dymas avanz fino al banco di un carcedone. L'uomo portava un berretto di feltro a forma di vaso, una veste di lana lunga sino al polpaccio, chiusa da una cintura, e stivali bassi di cuoio; nonostante la calura estiva, non sembrava sudare. Aveva sistemato sul suo tavolo alcuni oggetti misteriosi, tra cui un cono di metallo grigio chiaro, poco pi alto di mezzo cubito, con la punta rivolta verso l'alto e la superficie decorata con strani segni di una scrittura a Dymas sconosciuta, che sembravano incisi. Quando tocc il cono, sent un freddo gelido; quando lo prese in mano, lanci un gridolino di sorpresa. L'oggetto di metallo era incredibilmente pesante; dopo averlo posato, sul palmo della sua mano gli rimase per molto tempo l'impronta circolare. Accanto, su una lastra di ferro, c'era una piramide di porfido; alla stessa lastra era fissata una spirale di ferro che reggeva un minuscolo uccello con le ali spalancate, riprodotto con straordinaria precisione. Che cos', amico? chiese Dymas; senza pensarci, si era espresso in fenicio occidentale e, insieme alle parole da tempo inutilizzate, gli tornarono alla mente i ricordi dell'infanzia e della giovinezza. Il carcedone non sorrise n si mostr minimamente sorpreso che qualcuno l a Pella gli si rivolgesse nella lingua della sua patria lontana. Con l'indice della mano destra premette l'uccello e la spirale verso il basso, contro la base di ferro; quando li lasci, l'animale, costituito di pietruzze e schegge di metallo di infiniti colori, salt su, la spirale oscill, un'ala dell'uccello sfior la piramide di porfido producendo un rumore stridulo che suon come il grido impercettibile di una creatura impercettibile. A Dymas scese

un brivido freddo lungo la schiena; la sua mano cerc a tentoni quella di Tekhnef. L'uccello fenice disse il carcedone. Quando avr consumato tutta la piramide sfregandovi la sua ala, sar trascorso un millesimo di eternit. Tekhnef inspir profondamente tra i denti; Dymas scosse il capo e osserv gli altri oggetti: una ciotola con un liquido oleoso nel quale nuotava un ago che, per quanto si facesse ruotare il contenitore, indicava immancabilmente l'occidente; un minuscolo cranio di argento sottile, con pietre rosse al posto degli occhi, che seguivano ogni volta l'ultima persona che le aveva guardate; un piatto quadrato d'oro che ruotava intorno a un perno centrale e che, dopo infiniti movimenti circolari vorticosi, si trasformava in un cerchio immobile. E un sistema complicatissimo di cavi e di sfere, nove in tutto, ordinate intorno a una grande sfera gialla al centro: i cavi che sorreggevano le altre nove sfere disegnavano una traiettoria alquanto appiattita, pi ellittica che circolare; la seconda sfera era arancione scuro, la terza blu e verde brillanti, la quarta rossastra, la quinta, enorme a confronto di quelle vicine, sembrava un occhio di demone fiammeggiante e aveva a sua volta intorno a s un suo sistema di sfere pi piccole, cos come la sesta. Che cos'? Il carcedone guard Dymas fisso negli occhi. E la vergogna di Adherbal, Dymas. Il citarista emise un gemito muto; per un istante la mano di Tekhnef fu l'unico punto immobile in un cosmo turbinante di pensieri viscidi. Per me non esiste pi disse roco. Il carcedone mostr i denti, robusti e giallastri. Questo lo sappiamo. Ma il signore dei cavalli vorrebbe discutere con te. Non ora, poi... o prima. E una preghiera, un consiglio, non un ordine. Discutere? E di che cosa? Il mercante alz le spalle. Di molte cose. Cose come il sorgere del sole su Kanopos, la paternit di Amn, una lunga vita nell'occhio del falco e simili. Dove? Questo ago disse il carcedone indicando la ciotola con il liquido oleoso segna il sudovest. Qui, in mezzo alle case, non cos semplice localizzarlo. Indica sempre un meteorite nero nel tempio di Tanit. Dymas si volt e trascin con s Tekhnef via dal mercato, dalla gente, seguendo la banchina verso oriente, sino alla fine delle costruzioni. Si sedettero sulla sabbia tiepida, con i piedi nelle onde del mare che vi si infrangevano; il sole non era l'astro luminoso e splendente del re macedone, ma un crudele

disco incandescente, un mostro l a occidente, trafitto e lacerato, ma non indebolito, dagli alberi maestri e dai pennoni delle navi del porto. Riuscir mai a liberarmene? mormor Dymas dopo essere rimasto a lungo in silenzio. Tekhnef raccolse la sabbia con entrambe le mani e la lasci scorrere lentamente tra le dita. Puoi forse perdere la pelle, i ricordi? La tua musica? Non voglio. Non pi. Si lasci cadere sulla schiena e affond le mani aperte nella sabbia. Tekhnef si inginocchi e si sollev il chitone, sempre pi in alto, fin sopra l'orlo del perizoma chiaro dove, sotto l'ombelico si potevano vedere le cicatrici, orribili segni seghettati lasciati dalle anziane del suo popolo che non avevano voluto che la fanciulla generasse figli lontano, al di fuori della comunit. Posso levarmi la pelle, le mie cicatrici? Lasci cadere il chitone e si accovacci sui calcagni. Con voce bassa e suadente, disse: Tu sei quello che hai fatto e quello che hai vissuto. Non puoi gettarlo al vento. Non posso creare un mondo nuovo? Come Alessandro? Devo trascinarmi dietro quello vecchio? Sembrava un bambino disperato. Alessandro? Forse lui cambier il mondo, ma non ne creer uno nuovo. E lui non nessuno. Oppure cos tante persone che deve diventare tutti, per essere qualcuno, prima o poi. Che modo di esprimersi prolisso per dire: non esiste, un sogno multiforme, un incubo infinito, un recipiente dal contenuto mutevole. Si distese accanto a lui e gli pos una mano sul petto. Tu esisti. Anche grazie al coraggio di accettare te stesso e le cose. Ti amo per questo: amo il tuo essere uomo, il tuo coraggio e la tua musica. Se perdi il coraggio, anche la musica svanir. Allora io ti lascer, Dymas..

La mescita della locanda si riempiva piuttosto lentamente: evidentemente molti di quelli che vi dormivano preferivano la cena e gli intrattenimenti delle altre osterie, situate pi verso il centro del porto. Dopo lunghe contrattazioni, si accordarono con l'oste per un pasto sontuoso: una scodella con

pezzetti di pesce in salsa di vino, cipolla ed erbe; una focaccia fresca con carne di manzo tritata fine, molto speziata; piccioni arrosto, avvolti nella pancetta e ripieni di pasta e verdure; latte rappreso con frutti di bosco freschi e pezzetti di frutta; inoltre vino in abbondanza e acqua fresca, non del pozzo del cortile. La mescita era illuminata da fiaccole che erano infilate in pugni di bronzo conficcati alle pareti all'altezza del petto, da lampade a olio sui tavoli di legno di conifera e da un lume a olio che si trovava su un tavolino al centro del locale: un recipiente di vetro giallognolo o di sottilissima pietra trasparente, riempito d'olio di rose e con un lungo lucignolo. Non c'era musica; gli avventori discutevano piano, facendo di tanto in tanto osservazioni amabilmente salaci sulle cameriere dell'osteria, le cui mantelline sembravano fatte di nebbia, pi che di panno, e che nell'insieme apparivano svestite pur senza esserlo. Tekhnef sembrava assorta o distratta; mangiava senza prestare attenzione ai cibi. Dymas osservava gli altri avventori: un mercante egizio con la pelle color bronzo, un turbante bianco e pesanti anelli; quattro ufficiali delle navi da guerra; un uomo di mezza et, pallido, con la faccia da topo e le dita sporche d'inchiostro; un mercante locale, con la moglie e il figlio adolescente; un tracio che continuava a restare in silenzio, probabilmente anche lui un mercante; un giovane elleno, forse trasportatore marittimo; e tre macedoni di et matura, che potevano essere sia ufficiali fuori servizio, sia funzionari dell'amministrazione o proprietari terrieri. In fin dei conti, non ho guadagnato male disse Dymas con un filo di voce dopo che una delle cameriere ebbe portato via le scodelle. Erano le sue prime parole dopo la spiaggia, senza contare quelle per contrattare e ordinare. Con il coraggio si pu affrontare l'ansia di essere perennemente vincolato ai committenti. Tekhnef sorrise: fu come se tirasse un profondo sospiro di sollievo. Dymas le sfior la mano. Ti ringrazio: per questo e tutto il resto. Una parola intelligente compensa molte coltellate. Lei gli mostr la punta della lingua. Due anni disse poi, sempre con voce cos bassa che non giungeva neppure al tavolo vicino da quando ti hanno mandato ad Aigai. Dopo di che basta, non vero? Lui si schiar la voce e si fiss le mani. Naturalmente uno potrebbe fare qualche resoconto a questo o a quell'altro, se vede qualcosa. In cambio di buone monete. Senza alcun vincolo, senza che questo comporti un incarico

continuativo. Uno dei tre macedoni, che aveva mangiato da solo e sembrava non avere nulla a che fare con gli altri due, si alz dal suo tavolo e si avvicin con il suo bicchiere di vino. Ma perch io? chiese Dymas con voce un po' pi alta, stizzito. Il macedone gli tocc il naso con l'orlo del bicchiere. Perch gli occhi che un tempo hanno imparato a vedere, vedono meglio degli altri. Posso sedermi insieme a voi? Tekhnef ridacchi piano; Dymas sospir. Da parte di chi ci porti i saluti? Il macedone avvicin una seggiola, vi si sprofond e si pieg in avanti. Da parte dello stratega d'Europa. La sua voce era poco pi di un sussurro. E di chi altri mai? Tekhnef continuava a ridacchiare. Abbiamo perduto tutti e due disse ridendo a singulti. Che cosa avete perduto? Una scommessa. Se sarebbe venuto da noi prima un uomo di Olympias o uno di Antipatros. Ma li avevamo previsti soltanto per domattina presto. Il macedone sogghign. Una delle cameriere del locale lavora anche per Olympias; siete sotto osservazione da quando avete messo piede qui. Dymas annu con un'espressione imbronciata. Va bene. E allora? Domattina presto dovete cavalcare verso Pella; lo stratega vi attende in tarda mattinata. Peccato. Dymas indic con il mento il mercante egizio. Per lo stratega, intendo. Saremo costretti a deluderlo. Stavo per domandare a quel mercante laggi quando parte la sua nave. E se ci prende a bordo dietro compenso. Il macedone incroci le braccia. La sua nave parte domattina presto; senza di voi. Ne sei sicuro? I vostri cavalli... Possiamo venderli. Il macedone scosse il capo; sui tratti del suo volto scese una sorta di tristezza ironica. Non rendete la cosa troppo difficile per me e per voi. Devo forse far bloccare la nave da un'imbarcazione da guerra?.

Antipatros li ricevette nella grande sala del Consiglio della fortezza reale, che anche sotto il luminoso cielo estivo era troppo tetra per corrispondere all'immagine di un palazzo. Sulla pelata del vecchio stratega si era diffusa una rete di finissime perle di sudore, che di tanto in tanto cercava

invano di tamponare con un panno marroncino. Le finestre del locale, le cui pareti erano rivestite di tavole di legno, erano oscurate; davanti alle finestre c'erano ciotole d'acqua con fiori che aggiungevano uno strano odore di marcio all'aria viziata. Antipatros portava soltanto un perizoma di cuoio. La peluria grigio chiara rivelava l'et di quel corpo; il resto erano muscoli, tendini, cicatrici, nessun tessuto molle: il fisico di un rude guerriero, rimasto giovane. Tekhnef si rifocill con bevande e frutta in una piccola stanza adiacente, fuori dalla vista delle spie di Olympias, libera dalla noia che, come aveva detto, l'avrebbe colta nella sala del Consiglio. Pella, troppo tranquilla in quel pomeriggio caldo, forse le avrebbe fatto venir voglia di fare spese, ma non da sola, e in ogni caso non nel momento in cui poteva temere di essere chiamata o trascinata dalla madre del re. Antipatros venne subito al punto. Aveva costruito una piccola catasta di tetradrammi d'argento sul lungo tavolo delle riunioni. Prima di interrogare Dymas, la indic con un cenno. Voleva sapere soprattutto quello che il musico aveva visto o sentito in Tracia, durante il viaggio dall'Ellesponto a Pella. Dymas glielo rifer in modo preciso e dettagliato; alla fine Antipatros riemp nuovamente i bicchieri di succo di frutta e acqua e digrign i denti. Nulla che ci debba per forza mettere subito in allarme... in ogni caso la tua versione di certe discussioni nelle osterie sembra meno ottimistica di quella riferita da ufficiali e funzionari. Comunque... Fiss il piano del tavolo, spingendo qua e l tavolette e stili. Due anni? Tre? Prima della grande rivolta? Dymas aggrott la fronte. Dipende da molte cose. Un paese immenso, nel quale avete distribuito troppo pochi uomini. I principi... temono la durezza del vostro esercito, ma aspirano a darsi nuovamente le leggi da soli. Un oste ha detto qualcosa come "meglio l'ingiustizia del proprio signore che la giustizia degli stranieri". Antipatros annu. Un sentimento che comprendo. Ora per non posso inviare pi truppe; siamo gi fin troppo sparpagliati ovunque, capisci, una focaccia troppo grande, ripiena di pezzettini di carne quasi invisibili. Dymas sogghign. Allora lasciateli liberi. Questo non risolverebbe il problema. Antipatros si appoggi all'indietro e si gratt i peli del petto. Indic con il mento il mucchio di monete. Sono troppo vicini ai luoghi d'estrazione del Pangeo; non appena ci ritireremo dalla

Tracia, i traci ci attaccheranno di nuovo, come hanno fatto tante volte; e, a prescindere da tutto il resto, abbiamo bisogno del collegamento terrestre per i rifornimenti, almeno fino a quando i persiani e i fenici si agitano con la loro flotta. Dymas mise entrambe le mani intorno al bicchiere che durante la notte era stato riempito d'acqua fredda e che ora trasudava e teneva in fresco la bevanda. Adesso finirebbero per trovarsi tra l'incudine e il martello: tu da occidente, Alessandro da sudest. Aspetteranno fino a che Alessandro si trovi nel cuore dell'Asia e non possa pi attaccarli. Antipatros spinse sul tavolo la catasta di monete. Se, nei tuoi viaggi futuri, vedessi qualcosa di importante... dove volete andare? Dymas si strinse nelle spalle. Prima del tuo cordiale invito, avevamo intenzione di imbarcarci su una nave e andare dove ci avrebbe portato... ora? Non lo so. Probabilmente viaggeremo a cavallo, lentamente, tra molte osterie e molta musica. In linea di massima verso sud: ad Atene in primavera? Vogliamo unire l'inutile allo spiacevole. Antipatros sorrise senza gioia. Olympias vorr parlarvi; continua a tessere la sua rete, e qualche volta devo dedicare pi tempo a spezzarla che agli affari di stato. Qual l'opinione di Alessandro? Che devo onorare la madre del re e bloccare le sue intromissioni nelle cose dello stato. Lo stratega fece una smorfia. Qualche volta difficile mettere insieme le due cose: onorarla e bloccarla. Per... ma s. Questa sera siete miei ospiti, trascorrerete la notte al palazzo. Niente obiezioni, Dymas. C' una piccola festa, con i racconti di un uomo che ha girato il mondo e, speriamo, un po' della vostra buona musica. Se necessario... chi sono io per disobbedire ai tuoi ordini? Infil le monete nella borsa che portava alla cintura. Proprio cos. Il giramondo un mercante, navigatore, scrivano e geografo di Nikaia. Si chiama Knephalos. Quale Nikaia? Quella nei pressi delle Termopili? No, quella nel lontano occidente, la colonia di Massalia. Dymas fischi piano. Un uomo che ha davvero girato il mondo. Conosce la Sardonia, Kyrnos, le terre italiche, le citt siceliote e perfino Carcedonia. Il che mi riporta a un'altra domanda, che avevo quasi dimenticato. Che cosa voleva da te Bonqart? Chi? Dymas raddrizz la schiena. Antipatros sorrise stanco. Il mercante di Carcedonia. Tu sai che ho parlato con un carcedone? So tutto, citarista. Perch devo sapere tutto. Nonostante ci siano molte cose che preferirei non sapere.

Dymas si morse il labbro inferiore. Allora saprai certamente. . . ... che hai lavorato per Demaratos, per Hamilkar e per Bagoas? Lo so. Bonqart un uomo importante, non il braccio destro ma certamente il dito mignolo destro di Hamilkar. Il mondo piccolo, stratega. A volte l'ecumene mi appare come una piccola pozzanghera torbida. Antipatros si alz in piedi. Che cosa ti aspettavi? Nell'ecumene esistono tre potenze: la Macedonia, la Persia e, a occidente, Carcedonia. La Macedonia, qui e ora, sono io. Io devo sapere tutto ci che accade tra il deserto libico e le coste dell'Asia. Sorrise appena. Hamilkar e io non ci siamo mai visti, ma ognuno di noi conosce molto bene l'altro. Qualche volta abbiamo scambi di idee. Allora, che cosa voleva Bonqart? Dirmi che Hamilkar vuole parlare con me di molte cose. Della paternit di Ammon, per esempio, e della lunga vita nell'occhio del falco. Antipatros inspir profondamente e si sedette di nuovo. Questo amuleto incomprensibile... Ne hanno uno Olympias, una mezza dozzina di sacerdoti e veggenti inaffidabili, e Aristotele; se ne occupano i servizi segreti di tre grandi potenze. Ma che cosa lo rende tanto importante?.

La festa si svolse nel cortile della fortezza. Sui fuochi, accesi molto prima del calar del sole, giravano mezzi buoi, agnelli, porcellini e volatili ingrassati; schiavi e servitori portavano ai tavoli ciotole e scodelle con frutta, verdure fresche e marinate nell'aceto. C'erano montagne di paste dolci, fiumi di latte, acqua, vino e succo di frutta, focacce sufficienti a riempire gli avvallamenti della Tessaglia. Sul primo gradino della grande scalinata Tekhnef e Dymas suonarono alcune ballate veloci e poi, accogliendo l'invito di Antipatros, si sedettero al suo tavolo, mentre altri musici, saltimbanchi e un mago celta intrattenevano gli ospiti. Dymas continuava a volgere lo sguardo verso la madre del re. Nel frattempo Olympias doveva avere raggiunto i quarant'anni, forse anche qualcuno di pi, ma si comportava come una donna giovane. N l'et, n le battaglie e gli intrighi avevano lasciato tracce o, se l'avevano fatto, queste erano attenuate, mascherate e cancellate dall'arte del trucco. Nella sua breve conversazione con lei Dymas era riuscito, cos credeva, a non

dire nulla di importante; tuttavia aveva la sensazione di essere stato spogliato, sviscerato e tagliato a pezzi minuscoli da quei coltelli che erano i suoi occhi. Che femmina! disse piano quando si accorse che anche Tekhnef continuava a guardare nella sua direzione. Che strega! Antipatros rise a singulti. E' bella, non vero? Forse ancora pi attraente di quando Filippo se la port via da Samotracia. Ma io la conosco e devo elogiarti, Dymas. Elogiarmi? E perch? Antipatros rise. E' furibonda. Arde di rabbia. Se lei fosse un letamaio e la sua ira un calore, l'intero cortile di questa fortezza sarebbe inabitabile, per via della puzza e dell'aria soffocante. Voleva sapere molte cose da te, ma evidentemente non le hai detto nulla. Probabilmente si ritirer presto. Invece Olympias non si ritir; rimase ad ascoltare i racconti del giramondo Knephalos, che parl dei luoghi che aveva visto e di ci che vi aveva trovato: era un uomo alto e sottile, con i capelli radi, il naso a forma di falce, la barba pallida e gli occhi vivaci. Portava un anello d'oro all'orecchio sinistro che ogni tanto tirava, come se volesse strapparsi via tutta la pelle della testa. Con digressioni ironiche e amplissimi gesti delle braccia, raccont di tre prostitute del porto di Lindos, del tramonto sull'immensa flotta da guerra, dei fenici al servizio di Dario e della sua traversata fino a Halikarnassos, dove era rimasto, anche se avrebbe voluto spingersi molto pi a nord. Ma l c'erano quegli altri: non abbiatevene a male, nobili principesse e principi, sto parlando di voi, della flotta degli alleati. Non erano buone acque per un viaggio commerciale, proprio no. Rifer delle opinioni mutevoli che circolavano a Halikarnassos, delle notizie provenienti da nord, della spaccatura della popolazione tra sostenitori e nemici dei persiani. Della sorpresa quando si era venuto a sapere che la grande flotta non era riuscita a liberare Mileto dall'assedio, Mileto, il cui porto era bloccato dalla flotta degli alleati, molto pi piccola e impossibile da attaccare in quel ristretto specchio d'acqua. Della sorpresa ancora maggiore quando si era venuto a sapere che, subito dopo, Alessandro aveva sciolto la flotta alleata e l'aveva rimandata in patria. Allora comprendemmo di avere a che fare con un nemico tanto disperato quanto audace. Domando scusa se ho detto "noi": sto parlando dal punto di vista della citt. E perch disperato? chiese uno degli ufficiali. Se disponesse del denaro e della fiducia degli elleni,

potrebbe allestire una flotta ancora pi grande. Purtroppo gli mancano entrambi: per questo ha rimandato in patria gli elleni con le loro navi. E ha deciso di ridurre all'impotenza la flotta fenicia dei persiani conquistando l'intera costa. Privati di tutti i loro porti, quelli non avrebbero pi avuto un posto in cui fare rifornimento o trovare acqua, non avrebbero potuto pi operare: e all'improvviso eccoli l, davanti a Halikarnassos..

Il caldo implacabile dell'ottava luna aveva fatto seccare l'erba. Molte fonti si erano prosciugate. Durante il giorno, e nelle notti in cui soffiava un debole vento di mare, tutt'intorno a Halikarnassos si sentiva odore di alghe marce, di pesce e di acqua stagnante. Il mare si era trasformato in uno specchio di un blu splendente, che raddoppiava la luce e il calore. La citt portuale opponeva da dieci giorni una resistenza accanita. I macedoni non erano riusciti ad avanzare di un solo passo. Lo scintillio dei raggi del sole sulle armi e alcune voci sconosciute risvegliarono Ephialtes. L'ateniese balz fuori dal suo giaciglio, afferr la spada e sal di corsa la scala di legno che conduceva al tetto. Knephalos lo segu: in quanto ospite involontario della citt, si trovava anche lui assediato e cercava di rendersi utile a Ephialtes come suo assistente, consigliere e scrivano. La citt era tranquilla; sui muri spessi di pietre squadrate giungevano i primi raggi del sole. Con un rapido sguardo circolare Ephialtes vide che tutte le guardie erano sui tetti, sulle mura semicircolari e sulle rupi dei due promontori. Che cosa significa questo fracasso, uomo? esclam portando entrambe le mani al mento barbuto. Attaccano, una buona volta? Forse pi tardi. Erano davanti al porto, questa notte. Adesso ritornano indietro. Il fossato a nord? Continuano a interrarlo. Dobbiamo disturbare il loro lavoro? Non ancora. Dobbiamo prima discutere. Il porto fortificato si apriva verso nordovest. La citt si elevava come un teatro, con le strade disposte a semicerchio a livelli sempre pi alti, in mezzo ad alberi antichissimi, fino alle mura. Verso la campagna e il

bassopiano era protetta da un fossato scavato nella roccia, largo venti passi e profondo dieci. I due uomini, che si trovavano sul tetto di una delle case pi alte, avevano la vista quasi completamente libera al di l delle mura e verso il mare aperto. Dapprima fissarono il punto in cui i nemici stavano dandosi da fare. Una bava di vento port fino a loro l'odore penetrante del sudore. Sembrava che il figlioletto di Filippo avesse intenzione di assediare la citt per poterla poi radere al suolo. Capanne di tavole e pelli umide difendevano i macedoni dalle frecce e dalle pietre scagliate dagli assediati. Centinaia di uomini sudati trasportavano continuamente ceste di pietre e di terra e innalzavano nell'argine un'ampia diga sulla quale sarebbero state sistemate le macchine d'assedio. Sul lato interno della cinta muraria cresceva la torre dei difensori, costruita dai mercenari al comando dell'uomo di Rodi, Memnon: una piramide di legno, sulle cui piattaforme avrebbero potuto mettere catapulte, baliste e guerrieri. Durante la notte si era lavorato poco, ora fabbri e carpentieri tornavano a farsi numerosi. Da una delle torri delle mura risuon uno stridore fastidioso, poi un forte colpo turb la pace del giorno nascente e dalle mura uno sciame di frecce corte si abbatt fischiando sui macedoni al lavoro. Gli uomini si gettarono imprecando dietro il riparo delle pelli umide. Hanno vinto sul Granico, tre lune fa mormor con lo sguardo rivolto alle nuvole attraversate dall'aurora dalle rosee dita. E raderanno al suolo anche Halikarnassos, quelle furie. Sentiva che quel giorno non era che un anello in una lunga catena ineluttabile, al termine della quale ci sarebbero stati caos e morte. Forse anche per lui. Ognuno moriva la propria morte. Ephialtes infil la spada nel fodero del cinturone e ridiscese nella minuscola guardiola. Alle pareti erano appoggiate o appese armi, su una mensola c'era una brocca. L'ateniese bevve, poi pos le armi e si diresse verso la rocca, gi al porto. La citt brulicava di guerrieri di Dario, con le loro vesti e armature dagli splendidi colori, e di mercenari con i volti segnati dalle intemperie. Aveva percorso solo pochi passi quando, dietro di s, ud grida selvagge. S'arrest, volt la testa e si infil in una porta aperta. Una roccia appuntita, grande come il busto di un bambino, fendette l'aria con un sibilo sordo, discese obliquamente, ruot su se stessa e si abbatt contro un arco di pietra retto da due

colonne. Frammenti di roccia e parti del cornicione e delle statue frantumate caddero a terra in una nuvola di polvere e sabbia. I polli volarono schiamazzando in ogni direzione, un cavallo si imbizzarr e gli uomini si scansarono imprecando. Le colonne tremarono. Una croll fragorosamente e maciull due pecore che erano rimaste immobili a belare. Il pezzo di roccia schiantato rotol lentamente lungo la strada ripida. Ehi, Ephialtes, dove vai? Gi da Memnon. Deve dirci che cosa fare contro il ragazzo di Pella. Qui nessuno riesce a dormire tranquillo. Arriver Dario e sconfigger i macedoni. Quello ha altro da fare borbott Ephialtes, ingoiandosi il resto di un'imprecazione. Le mura e le loro torri, i merli e i terrapieni dietro il potente vallo circolare si andavano riempiendo di guerrieri armati. La piramide di legno cresceva di giorno in giorno. Diffidando della calma apparente, avevano appeso pelli umide alle travi e davanti alle piattaforme. Era tutto un martellare di artigiani che montavano i lanciafrecce e le parti delle catapulte. I macedoni avrebbero potuto attaccare solo da nordest o da ovest. La citt era decisa a contrastarli fino all'ultima goccia di sangue. Bambini e ragazzi raccoglievano pietre e frammenti di roccia, che ordinavano in grossi mucchi vicino alle catapulte. I macedoni montavano e avvicinavano le torri d'assedio. Nel loro accampamento erano state costruite e posizionate catapulte pi piccole. Anche gli attaccanti avevano raccolto grandi quantit di pietre e frammenti di roccia, che si trovavano in abbondanza nel bassopiano e ai bordi dei campi davanti alle mura. Di tanto in tanto gli addetti alle macchine da lancio facevano un tiro. Dovevano regolare la gittata dei loro proiettili. All'interno delle mura i pesanti pilastri di sostegno venivano ampliati, rinforzati e muniti di gradini. Le truppe del piccolo macedone ritornarono a mani vuote dal porto occidentale, che aveva solo fatto finta di arrendersi. Il fossato intorno alla citt era stato riempito, tra le tende ardevano i fuochi e colonne di fumo si innalzavano verso un cielo privo di nuvole, nel quale il sole picchiava implacabile. Le catapulte avevano aggiustato il tiro e ricacciavano indietro i difensori dalle mura con una pioggia continua di piccole pietre, spezzate a colpi di martello in modo da trasformarle in proiettili acuminati. Ogni giorno che passava mostrava a entrambi, difensori e attaccanti, i progressi di quelle strane costruzioni simili a insetti, fatte

di tavole, assi e cordame. La piramide dietro le mura cittadine cresceva. Ormai superava i merli di una trentina di cubiti. I difensori osservavano da dietro le protezioni di pelli umide e assi, gli addetti alle baliste che prendevano di mira le torri d'assedio in avvicinamento. Mentre queste avanzavano rumorosamente sulle loro ampie ruote e gli assi di ferro, frammenti di roccia si abbattevano contro le mura, penetravano attraverso i tetti, ferivano e uccidevano i difensori oppure rimbalzavano sulle tavole di protezione delle baliste. Le torri d'assedio, i cui fianchi erano rivestiti di scudi ricurvi, si avvicinavano inesorabili da pi parti. Gli uomini che le spingevano erano nascosti sotto tettoie protettive sporgenti. Ogni volta che dalla pianura giungevano gragnuole di frecce e frammenti di roccia, i difensori si allontanavano dalle mura. I macedoni moltiplicavano di giorno in giorno i loro sforzi e il loro furore. Il calore si fece appena meno intenso e solo una volta cadde una breve pioggia. Le torri d'assedio raggiunsero un ampio settore delle mura tra le porte e le relative fortificazioni. Dalla parte inferiore delle torri vennero tese in fuori tavole spesse come un uomo, sospese con delle corde. Oscillavano avanti e indietro e le loro teste metalliche si abbattevano fragorosamente contro le mura. Ogni colpo scheggiava un pezzo di pietra, lo frantumava e lo faceva cadere gi, spezzava un'altra parte del blocco e lo staccava dal resto del muro. Su ogni lato della pesante tavola, trenta guerrieri macedoni ben riposati facevano oscillare l'ariete su e gi, avanti e indietro. Per un giorno intero i bracci delle catapulte volarono verso l'alto, le aste delle baliste partirono facendo scattare in avanti le corde, le frecce corte con le punte di ferro sibilarono oltre le mura e attraverso le viuzze di Halikarnassos. Giunse la notte: una notte terribile, durante la quale nessuno dorm. Due pilastri di sostegno e gran parte delle stesse mura erano semidistrutti e potevano crollare da un'ora all'altra. Nel bel mezzo della notte, quando il sibilo delle frecce e delle pietre scem, sul muro traballante e perforato spuntarono alcuni uomini. Si proteggevano con scudi pesanti e avevano con s fiaccole particolarmente lunghe che scagliarono contro le torri d'assedio. L'olio bollente schizz infiammandosi. Le fiaccole arsero e fumarono, ed erano sempre di pi mentre ondeggiavano nell'oscurit come strane stelle cadenti. Puzzavano e fumavano cos tanto che i guerrieri

balzarono gi dalle macchine e cercarono di sfuggire alle frecce scagliate dalle mura. Le macchine iniziarono a incendiarsi. L'olio bollente col lungo le tavole e penetr tra le assi di legno. Poi le mura crollarono. I difensori si precipitarono fuori passando attraverso i blocchi di pietra, in mezzo a un'immensa nuvola di polvere. Erano armati pesantemente e la loro avanzata veniva coperta da centinaia di arcieri. Non appena scorsero le sentinelle sullo sfondo dei fuochi da campo semispenti, lanciarono i loro giavellotti. Le frecce sibilanti scagliate dalle mura seminarono morte. Sciami di difensori iniziarono a trascinare via frammenti e blocchi di pietra. Alla debole e incerta luce dei fuochi, delle fiaccole e delle fiamme che guizzavano alte dalle torri d'assedio, si poteva vedere un secondo muro semicircolare, costruito dietro al primo. Quando le prime tende andarono in fiamme e balenarono le lame lunghe e appuntite delle sarisse, e quando un rumore di passi pesanti annunci l'arrivo della falange macedone, i difensori indietreggiarono passo dopo passo. La loro ritirata venne coperta da quel che restava delle vecchie mura e dal nuovo vallo, mentre dall'accampamento dei macedoni giungeva l'ordine di spegnere le macchine d'assedio con l'acqua potabile. Sul terreno calpestato, simili a fagotti scuri, giacevano ben pochi difensori, ma molti attaccanti. Durante il giorno attaccanti e difensori ripararono le macchine e le mura. I morti vennero sepolti e chiunque conoscesse il meccanismo della guerra e dell'assedio distingueva i segnali di un combattimento sempre pi furioso e spietato. La stretta dei conquistatori si serrava intorno ad Halikarnassos. Alcune notti pi tardi un paio di guerrieri della taxis di Perdikkas, due macedoni completamente ubriachi, attraversarono una parte dell'immenso accampamento. Erano considerati buoni soldati e amici che avrebbero condiviso con il proprio vicino l'ultimo sorso d'acqua, cos come le ferite che avevano subto in innumerevoli combattimenti. Non gridavano e non barcollavano ancora, ma il loro coraggio era cresciuto a dismisura. Rapidamente altri si unirono a loro, senza sapere di che cosa si trattasse. I guerrieri riuscirono a proporre un piano allettante. Gli uomini si sparpagliarono in fretta, si armarono e si riunirono al di fuori dell'accampamento. Volevano fargliela vedere a quelli di Halikarnassos: il nuovo vallo difensivo avrebbe

dovuto essere abbattuto quella notte stessa. Centinaia di macedoni, molti dei quali ebbri di buon vino. Oltre alle armi, portavano fiaccole e tizzoni ardenti che avevano strappato ai fuochi da campo. Un lungo serpente di soldati si avvicin all'immensa voragine nel muro esterno. Il silenzio della notte venne spezzato dal rimbombo dei passi minacciosi dei macedoni, dal tintinnio delle armi e dalle grida roche. Il terreno davanti alla citt era bagnato e pesante in seguito a un temporale notturno. Quando i primi guerrieri scivolarono attraverso la fanghiglia umida, i difensori non apparvero. N si fecero vedere quando i macedoni furono davanti al muro e cercarono di appoggiarvi le scale che avevano con s. Quando tra gli attaccanti inizi a regnare una certa confusione, i difensori osarono la sortita. Provenivano da ogni direzione. Scendevano dal nuovo muro lungo scale di corda, si precipitavano fuori dalle nuove porte sottili, si lanciavano tenendosi a funi legate ai bracci della catapulta, e dalle torri che mostravano le tracce del lungo assedio. Tra i soldati comparvero gli arcieri, che presero di mira i macedoni. Le baliste emettevano rumori sordi. I cucchiai delle catapulte si sollevavano e facevano piovere pietre sugli attaccanti. La controffensiva, al cui comando si pose dopo breve tempo lo stesso Memnon, ricacci indietro i macedoni con gravi perdite. Vennero portate altre fiaccole e lo spiazzo antistante le mura si trasform in una valle di morte. Una fiumana di donne e uomini di Halikarnassos usc alle spalle dei soldati e trascin dentro la citt i cadaveri degli attaccanti. Quelli che erano ancora vivi vennero finiti. Soltanto allora si accesero le fiaccole al centro dell'accampamento macedone. I corni ruppero il silenzio della notte. Risuonarono gli ordini e il tintinnio delle armi risvegli anche quelli che avevano il sonno pi pesante. Si formarono rapidamente le file degli opliti. Davanti alle sarisse sollevate a perpendicolo, correva avanti e indietro un uomo di bassa statura con i capelli al vento, i cui ordini venivano eseguiti con una rapidit spaventosa. Le prime file si avvicinarono a passo di corsa agli uomini che combattevano, ai fuggitivi e agli inseguitori. Le sarisse lunghe si abbassarono e il grido di battaglia macedone sovrast il frastuono. Nei giorni e nelle notti successive il tempo cambi. Il cielo si popol di nubi, alla sera e di notte si vedevano lampi

lontani sul mare, il vento e le precipitazioni aumentarono. Il boato dei tuoni faceva a gara con quello dei colpi d'ariete. I macedoni aumentarono i loro attacchi. Le loro macchine colpivano e distruggevano senza interruzione, mentre i loro addetti si davano il cambio. Ma i difensori erano rapidi e coraggiosi. Ed erano esperti nella tattica militare. Azzardavano attacchi fulminei. I mercenari della citt potevano competere con i macedoni quanto a esperienza e coraggio in battaglia. Inoltre, non si arrischiavano mai ad allontanarsi molto dalla protezione delle mura. I loro compagni coprivano ogni passo delle unit da combattimento disposte a cuneo. Pochi giorni dopo, verso sera, i difensori, condotti da Ephialtes, intrapresero un attacco molto ben congegnato. Dapprima la piramide di legno dietro le mura si trasform in un mostro furioso che lanci sugli attaccanti una pioggia di frammenti di pietra e un vero e proprio torrente di frecce. Una massa di difensori, silenziosi e decisi a tutto, usc dalle porte con le fiaccole in mano. I guerrieri si precipitarono verso le torri d'assedio, che si trovavano davanti alle mura di nordest e si stagliavano nette contro il cielo al tramonto. Le prime fiaccole volarono contro le torri dando di nuovo alle fiamme il legno asciutto. Le sentinelle dei macedoni, colte di sorpresa, combatterono contro i difensori e morirono colpite dalle frecce e dai frammenti di pietra che si abbattevano su di loro dalla citt. Intorno alle torri d'assedio scoppiarono combattimenti accesissimi, uomo contro uomo. Quando il tumulto intorno alle macchine e alle torri raggiunse il culmine, dalla citt usc un secondo gruppo. Centinaia di guerrieri si precipitarono fuori dalla porta occidentale, si riunirono all'ombra delle mura e attaccarono con le lance abbassate, brandendo le spade sopra la testa. Si disposero a cuneo e percorsero una lieve curva sino al punto in cui le macchine d'assedio avevano iniziato a bruciare: l stavano sopraggiungendo dall'accampamento i primi armati di sarissa e difensori e attaccanti combattevano corpo a corpo. Il tintinnio delle spade e i gemiti dei soldati formarono un'isola di morte in mezzo alle fiamme e alle ombre lunghe che si facevano sempre pi scure. Quando Memnon si accorse che a combattere non erano accorsi i macedoni anziani, i veterani, ma i guerrieri pi giovani, apr la porta ai suoi uomini. Un altro gruppo di alcune centinaia di guerrieri, riposati e pronti a morire, usc fuori dalla citt e diede battaglia. Gli attaccanti vennero ricacciati

indietro, mentre solo pochi di loro tentavano di spegnere le macchine che ardevano e bruciavano. Attaccanti e difensori si massacravano in un ampio semicerchio davanti alle mura. Allora il terzo gruppo si gett sui combattenti. Scoppi il caos. Gli ordini venivano disattesi o male eseguiti. Poi si form un nuovo fronte di combattimento. I guerrieri anziani abbassarono le loro sarisse, serrarono le fila sino a trovarsi spalla a spalla e avanzarono con un'espressione feroce. Di nuovo in mezzo a loro si vide un uomo non particolarmente alto, che gridava ordini secchi e sapeva esattamente cosa occorresse fare in ogni circostanza. Si form una prima fila di quaranta o pi unit, seguita da una seconda, poi da una terza e alla fine, su entrambi i fianchi, si aggiunsero altri gruppi. Il ritmo del loro passo si modific, si fece pi rapido mentre, alla vista di queste schiere di combattenti appena formate, i macedoni in fuga si rinfrancarono. Lasciarono sfilare i compagni esperti e si raccolsero dietro le loro schiere. I difensori, la cui prima ondata si era scagliata e aveva trovato la morte contro le punte delle sarisse, si arrestarono. Nel frattempo, l'ultimo splendore rosso del crepuscolo era svanito; soltanto le cime dei monti vicini e le nuvole alte riflettevano il rosso sangue del sole che si tuffava nel mare. Gli uomini di Halikarnassos si ritirarono. In breve tempo il ripiegamento ordinato si trasform in una fuga che degener sempre pi nel panico. Difensori e attaccanti calpestavano cadaveri e feriti. I primi difensori raggiunsero le mura della citt e si diressero verso le porte. Sulle mura erano rimasti ancora arcieri e peltasti. Pietre delle dimensioni di un pugno sibilarono nel buio incipiente, le frecce trapassarono con uno stridore secco le dure corazze di cuoio e lacerarono le carni. Ma i difensori sui merli e sulle torri non riuscivano pi a distinguere tra nemici e amici, e colpivano anche i propri compagni. Le porte si spalancarono mentre alle loro spalle si schieravano soldati armati pi pesantemente. Sulle mura comparvero altre fiaccole. La confusione cresceva. I primi si ritirarono, si infilarono attraverso le porte strette, vennero spinti da quelli che si trovavano dietro di loro al riparo delle mura cittadine, delle case e dei vicoli, i cui gradini erano ingombri di macerie. Gli uomini sulle torri e sulle mura raddoppiarono i loro sforzi per respingere i macedoni. I difensori si accalcavano davanti alle porte e soltanto pochi di loro si voltarono a combattere contro gli

attaccanti. Quando i macedoni furono vicini, le porte si chiusero. Nessuno aveva dato quell'ordine. I difensori si trovarono talmente stretti tra i macedoni e le mura da non riuscire a combattere, in quello spazio terribilmente angusto. Ephialtes cadde combattendo contro numerosi macedoni, che non lo riconobbero quando lo abbatterono. Intorno alle porte della citt scoppi un combattimento spaventoso; i macedoni trascinarono fin l un ariete di legno e lo scagliarono contro le porte in mezzo a combattenti e cadaveri. Giunsero alcuni capi che, rivolti verso le mura gridarono: Il nostro sovrano esige la resa della citt. Allora vi tratter con clemenza. Imprecazioni in persiano risuonarono nella notte. Gli elleni parvero esitare, mentre alcuni di loro ripresero a bersagliare gli attaccanti. Le porte rimbombarono sotto i duri colpi dell'ariete. Davanti agli ingressi della citt regnava una confusione spaventosa. Vennero portate e accese altre fiaccole. Senza che gli attaccanti se ne accorgessero, i persiani stavano attuando un piano, frutto della difficile situazione. Le mura erano crollate, avevano appreso della morte di Ephialtes e sembravano temere un tradimento all'interno della citt. Improvvisamente dalla torre delle catapulte si alzarono enormi fiamme che, nel giro di breve tempo, la trasformarono in uno scheletro ardente che, con le sue braci accese, illumin anche ci che accadeva davanti alle mura. Per alcuni istanti l'assalto furibondo si arrest, perch i macedoni non credevano ai loro occhi. Il vento fece salire le fiamme ancora pi in alto. Lingue di fuoco si sollevarono mugghiando e crepitando da quasi tutte le case lungo le mura. I persiani danno alle fiamme la prima linea difensiva! Sfruttano la furia del vento! Bruciava un gruppetto di case evacuate. Ardevano anche i falsi pilastri della sala d'armi. Gli abitanti fuggirono verso la roccaforte nei pressi del porto. Orontobates, il satrapo persiano, poteva contare sulla flotta e sulle mura, ancora pi alte e imponenti, che proteggevano i due promontori dalle pareti scoscese. Le prime fiaccole volarono sulle case quando il vento inizi a soffiare davanti alle mura, facendo turbinare verso l'alto grossi nugoli di scintille. Alessandro apparve in mezzo ai suoi cavalieri. Il calore ardente lambiva le fortificazioni. Il re impart i suoi ordini.

Smettetela con l'ariete e abbattete le mura. Dovete spianarne una grande superficie, in modo da poter correre facilmente verso i promontori. Uccidete gli incendiari, se riuscite a prenderli, ma che nessuno aggredisca gli abitanti della citt!.

Quando Knephalos ebbe terminato, la voce squillante della madre del re fendette il mormorio di approvazione degli ufficiali come un coltello nel burro. Troppe macerie e mercanti, e troppo poco splendore. Considero un'arroganza da villano bastardo narrare in questo modo ai nobili ospiti le imprese dei loro amici e parenti. Knephalos si irrigid; sul cortile cal un silenzio imbarazzato. L'uomo di Nikaia inspir profondamente. Principessa disse accennando un inchino che rimase appena abbozzato avevo immaginato che il resoconto di ci che ho visto, se non altro, non vi avrebbe annoiato. Avevo pensato che i canti di lode, nelle forme tradizionali del peana degli eroi e dell'invocazione agli di, vi fossero sufficientemente noti e non ci fosse bisogno di ripeterli. Mi dispiace molto di avervi infastidita. Affinch questo non abbia a succedere di nuovo, chiedo il permesso di poter lasciare la vostra festa e la vostra citt. Olympias mosse la mano; quel gesto avrebbe potuto significare qualunque cosa: vattene; stai attento; domani sarai morto... Antipatros applaud e afferr il bicchiere. Beviamo alla salute dell'abile narratore. Io trovo che abbia fatto un dono prezioso a quelli di noi che conoscono la guerra e gli orrori dell'assedio: la verit. Percepisco dal mormorio che anche i guerrieri sono di questa opinione. Che cosa ne pensa il venerabile Medios? Il principe pi anziano, a capo del Consiglio di Stato e primo consigliere, si pieg in avanti e sollev a sua volta il bicchiere. Se quell'elleno inattendibile, Callistene, nipote del ben pi grande Aristotele, fosse in grado di redigere i suoi resoconti con meno retorica e la met delle verit che ci ha offerto Knephalos, per noi sarebbe tanto di guadagnato. Dobbiamo

decidere su questioni come i rifornimenti, le alleanze, le ricompense e il futuro; e per questo non ci servono eroici canti di lode. Ti ringrazio, nicaio, per le preziose informazioni che ci hai comunicato. Olympias non brind; il suo volto era una maschera di pietra. Improvvisamente si rivolse a Dymas. Forse il citarista, che anche un citaredo, in grado di ristabilire l'equilibrio. La sua voce era soffocata dall'odio e dalla bramosia. Tekhnef sfior con il piede la gamba di Dymas. Il musico esit, cerc gli occhi di Antipatros. Lo stratega d'Europa sorrise appena. Sono sicuro che un cantore intelligente abbia anche le sue opinioni sull'importanza delle cose. Non vero, Dymas? Avanti! Non ti preoccupare, amico. Antipatros non attribuisce alcun valore alle stupide lodi. Dymas chiuse gli occhi; le sue dita si diedero da fare con i piroli metallici per accordare la citara su una tonalit pi alta. Senza particolare intonazione, quasi stordito nel tentativo di farsi coraggio, disse: Ho pensato a parecchie cose. Ne sono venuti fuori versi scadenti, ma se proprio li volete sentire... Cos, per esempio, mi sono arrovellato intorno a che cosa potr pensare il grande re dei macedoni, tornato in patria vittorioso e invecchiato nella gloria, alla fine della sua vita. Quando la forza divina gli sar scivolata via come sabbia tra le dita. Pizzic le corde libere; poi attacc una melodia bassa e lamentosa, ma nella parte centrale anche aspra. /.. Le formiche sghignazzano quando tu le minacci sbraitando, tu che un tempo hai alterato il rombo del tuono, e il sole sotto il mare hai fatto muggire. La lira e la spada esultarono tra le tue dita, ora neppure il calamo si piega. Leoni hai domato per lo svago delle donne, ora ti nutrono le balie con formaggio di latte di leonessa. Meglio non essere neppure mai nati, che i denti ricordare e non riuscire a morire sdentato. Antipatros represse una smorfia e si limit ad annuire. Il vecchio Medios sbirci in direzione di Olympias, che strabuzz gli occhi. E questo che cosa c'entra con mio figlio, il ricettacolo di Ammon? disse quasi gridando. Re, eroe, stratega, sacerdote! E tu parli di un vecchio sdentato! Incredulo, Dymas ud Tekhnef dire: Ma lui ha cantato anche lo stratega, principessa. E lo ha cantato bene: lo ha lodato perch il

vostro re non si vanta come certi altri condottieri, e in quel canto non lo fa diventare sdentato, ma morire in Asia, pieno di gloria e coraggio.

Olympias mostr i denti e rimase in silenzio; Antipatros ridacchi piano. Medios, che anche da seduto continuava ad appoggiarsi al suo bastone, ne sfreg energicamente la punta sul terreno. Vogliamo sentire! Dymas sospir, gett un'occhiata irritata a Tekhnef e inizi a suonare. La melodia era quella di un celebre canto solenne di lode, leggermente modificata, pi sostenuta e acuta. /.. Quello stratega che, a gambe divaricate, con passi pesanti avanza, i riccioli scuote, il petto gonfia e di spazzare le nuvole si vanta, per me non vale molto. Evviva invece il nano, che impavido gli uomini alla vittoria conduce, con le gambe curve ma i piedi ben saldi per terra. Vale di meno chi come un folle i venti e le acque e le distese dell'Asia attraversa, con femmine premurose a bendargli le ferite; e di pi il coraggioso, albero maestro nella mischia, che gli uomini incita e alla fine si sposa con cinque piedi di asiatica terra. Gli ufficiali applaudirono, qua e l qualcuno ridacchi. Olympias sedeva immobile; i suoi occhi sprizzavano veleno. E' questo l'unico futuro che vedi, cantore e veggente? chiese Antipatros. Dymas si sent perduto, inerme, condannato a morire soffocato dalla seta o affogato in acque putride. Odi Tekhnef che lo pungolava e Antipatros che lo utilizzava come strumento contro Olympias, ma soprattutto se stesso perch lasciava che le cose accadessero, anzich determinarle. Con voce roca, disse: Ci sono ancora alcuni versi; non sono ancora finiti, e non contengono nessuna saggezza, n tantomeno profezie. Soltanto... cose che ho provato. Le sue dita si mossero meccanicamente; Dymas chiuse di nuovo gli occhi e guard dentro di s, in un abisso senza fine di paure e di caparbiet dimenticata. Le dita suonarono una ballata ironica nella tonalit pi alta; poi fece scivolare gi i plettri ricoperti di metallo, le corde gemettero e

stridettero, e con quelle modifiche la ballata si trasform in un canto funebre, solenne e doloroso. /.. L'astro del Cane abbaia. Gli altri tirano avanti altezzosi. Krios, l'ariete di Ammon: a lui si tira il vello d'oro sulle orecchie. Minosse e Mitra uccisero il Toro; ossa, nient'altro rimane, di fanciulli e fanciulle nel Labirinto.

Castore e Polluce, i didymoi andarono a Oriente, dove tramontarono separati. Schiacciato venne Karkinos quando, con le sue chele di granchio, fer d'improvviso i calcagni di Eracle. Leone il potente, con la zampa oltraggiosamente ferita da una spina, morendo dilania Kore la fanciulla, che avrebbe potuto dargli la salute, e Chelai, le chele dello Scorpione, come una Bilancia allineata nel cielo, finiscono di lacerarla. Lo stesso Scorpione, la cui coda ebbe la meglio sul potente Cacciatore, viene sopraffatto dalle frecce di Toxotes, che lo insegue. Ma l'Arciere muore sulle corna del capro Aigokeros, che perisce nell'acqua, riversata da Hydrochos. Ichthye vi nuotano dentro: quando Afrodite ed Eros fuggirono da Tifone, il drago, si salvarono solo in forma di pesce. Ma non ritornano mai pi sulla terra, mai pi da noi umani, che solo ci inebriamo d'amore come affoghiamo ebbri di morte. Amare, dormire e morire sono il buio con tre teste, la battaglia il pieno giorno, confuso tutto ci che non battaglia. Luce nel buio, stella nella notte o logos nel caos vorresti essere, eroe lucente, per sposare il buio con la luce? Allora devi morire, cos come prima di te le stelle per diventare di. Ariete-ricettacolo, generato dal toro, partorito dalla leonessa, mille volte Castore e Polluce nel tuo petto; fango o refrigerio, soffio o incendio per l'ecumene, che tu divenga Scorpione, o Cancro, o Arciere o Acquario: mille luci e oscurit in un'anfora signore dalle diecimila nature, servitore di diecimila orrori l'astro solare nel tuo stemma, la notte pi nera nell'animo il tramonto nell'alba tu cerchi;

tu, venuto da Occidente, tu devi in Oriente oscurare l'Occidente per diventare un semidio, al quale gli di immortali riservano un posto nel cielo: stella tra le stelle. Per gli di sono stati inventati dagli uomini, simili a loro. Se fossimo urodeli, gli di striscerebbero negli antri. Le stelle sono lapilli ardenti, deserto l'Olimpo, certi son solo il tuo tramonto e l'oscurarsi di ogni cosa. il drago-luna che hai sognato ha divorato la tua stella: secerne la notte che presto si insinuer nella tua anima. Meglio entrare a far parte, come servitore, dell'astro del Cane, bruciando e abbaiando. Lentamente e pesando le parole, Antipatros disse: E cos? Potrebbe essere cos. Bisognerebbe... cautelarsi. Medios ridacchi: un risolino perfido da vecchio, un rumore fastidioso. Pu essere... pu essere. Dovresti rinforzare i bastioni e mettere uomini sulle mura, amico..

Dymas apr gli occhi, come risvegliandosi da un incubo. Tekhnef lo guardava pensierosa; nei suoi occhi lesse domande, un briciolo di incoraggiamento, un accenno (un ricordo sbiadito?) d'amore. Il posto che era stato occupato da Olympias era vuoto.

5. La missione del Lagide.

Peukestas diede una scorsa piuttosto distratta ai rotoli successivi, anche questi scritti da Dymas: in altre circostanze avrebbe potuto trovare avvincenti le opinioni nonch le esperienze avventurose del musico, che ricordava per averlo incontrato numerose volte. Una lunga occhiata ad Aristotele, che si stava consumando sempre pi, come... Peukestas cerc un paragone: un tessuto vecchio, un tempo prezioso e ora logoro, lavato troppe volte con l'acqua troppo calda, ristretto e sfilacciato. I contorni del cranio sembravano lacerarne la pelle e le carni dall'interno per uscire allo scoperto; nei suoi occhi c'era come una fiamma spropositata, che sembrava aver consumato quasi tutto l'olio e ora, dopo l'ultima vampata, stava per svanire dal lucignolo. Le esperienze di Dymas, le sue titubanze, i dubbi e le necessit, la musica sua e di Tekhnef nelle osterie tessale, simili cose interessavano ben poco al macedone. Troppe domande e troppo poche ore, prima che il filosofo finisse tra le ombre. D'altra parte... Dai rotoli, tutti quei rotoli preziosi che Aristotele gli aveva dato da leggere e, presumibilmente, da tenere, il suo sguardo vag a quegli altri che alimentavano il fuoco, e da qui al collo del filosofo. Nella penombra soffocante, la catena sottile si vedeva a stento. Ancora l'amuleto? La voce di Aristotele fu come un secco colpo di vento che s'infrange contro la scogliera sfrangiandosi in mille refoli. Pythias, sopraffatta dalla fatica delle giornate, dalle veglie notturne e dalle preoccupazioni, si agit nel sonno senza per svegliarsi.

Ancora e sempre. Ho appena letto dell'esclamazione di Antipatros, prima che quel mercante di Nikaia parlasse di Halikarnassos. Ma insomma, qual il suo significato? Pi tardi, pi tardi. Sei ancora troppo indietro nella storia degli eventi e degli uomini, per comprendere quanto sia grande e insignificante questo affare. La sua mano cerc a tentoni la catena; quando Aristotele tir fuori l'ankh con l'occhio di Horos, le sue dita tremarono. Dymas ha risolto l'enigma, ma questo non l'ha reso felice. A mio nipote, a volte velenoso e a volte sciocco, avrebbe fatto piacere, ma era gi morto. Callistene? L'amuleto stato spiegato cos tardi? S, cos tardi. Ma Callistene ha avuto molte altre occasioni di compiacersi; se lo avesse saputo, la sua fine non sarebbe stata pi amara, n pi piacevole. E' vero che inviava nell'Ellade due resoconti, due versioni diverse dei fatti? Aristotele lasci cadere l'amuleto che si pos sulla coperta di pelliccia che lo ricopriva fino al collo. Spesso; a volte soltanto una, a volte anche tre. Non era sempre facile comprendere quali fossero le sue motivazioni. Ha distorto talmente la verit che oggi nell'Ellade nessuno vuole credere a nulla di diverso da quello che lui ha messo in circolazione. Peukestas ammicc. Eppure le parole dei guerrieri che ritornano in patria dovrebbero essere sufficienti a ristabilire alcune verit, o no? A chi interessano i racconti dei vecchi soldati, indubbiamente falsati e inaffidabili, quando la verit vera, redatta da un elleno famoso, conosciuta da tempo? Aristotele toss: probabilmente avrebbe voluto essere una debole risata. E a chi potrebbe interessare, ti domando, nella prevedibile finitezza del futuro, se Parmenion ha rimandato la battaglia del Granico contro la volont di Alessandro, oppure no? Se Alessandro, a Gordio, ha tagliato il nodo, oppure no? O se Parmenion, dopo la battaglia di Isso, gli ha impedito di inseguire il Gran Re in fuga, oppure no? Storie! Peukestas si pieg in avanti; per un momento fu tentato di torcersi le mani. Storie, Aristotele, di cui non so nulla... io che sono stato presente! Io so che Alessandro non ha tagliato il nodo, che non intendeva inseguire Dario! Ma finora non sapevo che queste favole... queste menzogne circolassero per l'Ellade! Aristotele inarc un sopracciglio. Agitarsi non serve a nulla, mio giovane amico. Rifletti: Callistene aveva un compito. Cos come Harpalos..

Harpalos?. Pi tardi, pi tardi. Il compito del mio inglorioso nipote era quello di mostrare agli elleni uno splendido eroe, un semidio, non le circostanze fattuali pi o meno importanti. Le decisioni giuste o sbagliate di uno stratega macedone? Irrilevanti, per l'Ellade. Non enumerare i fatti, ma i grandi gesti. Quando non ce n'erano, li ha inventati; a volte, quando i gesti non gli piacevano o non li comprendeva bene, Callistene ha anche prodotto una terza versione. La prima, diretta a me, riferiva gli avvenimenti in modo estremamente asciutto. La seconda, per l'Ellade, li trasformava in imprese sovrumane. La terza, per certi amici nell'Ellade e incidentalmente anche per me, modificava un po' la seconda, e dietro l'eroe faceva trasparire, per cos dire, un daimon ambiguo. Non capir mai voi elleni borbott Peukestas. Proprio tu che hai collezionato fatti... Aristotele sorrise debolmente. Ma io non sto parlando di me: non si trattava di me, ma della... cio, del popolo. Molte cose mi hanno fatto male: non dimenticare che Parmenion stato un buon amico, cos come Antipatros; Alessandro stato... un'apparizione, che mi sorprese e, per molti aspetti, mi lascia ancor oggi sbalordito. Ho provato sentimenti di amicizia anche per altre persone. Tra queste ci sono, o c'erano, Ptolemaios, Kleitos, Antigonos: amicizia tra pari, oppure tra insegnante e allievi divenuti adulti. Alessandro? Lui era troppi uomini diversi: per alcuni ho provato amicizia, amore, venerazione; per altri disprezzo o disapprovazione, ma stupore per tutti. Indic prima il fuoco che si stava spegnendo, poi una pila di rotoli sullo scaffale. Peukestas si alz controvoglia, per aumentare ancora il caldo gi insopportabile dell'ambiente. Phytias apr gli occhi per un istante, ma li richiuse subito e riprese a dormire. Mentre il macedone rimuoveva la cenere e accendeva un nuovo fuoco, il filosofo parl delle muse e delle leggi che non possono essere uguali per tutti e per tutto. Disse che Callistene non aveva fatto opera di storiografia, ma di prosa encomiastica, di propaganda epica per il re dei macedoni che la maggior parte degli elleni continuava a rifiutare. Quelle leggi imponevano che, cos come nella catena di perle del contapassi, dopo un certo numero di perle pi piccole doveva essercene una pi grande, vertici e tratti pianeggianti dovessero essere distribuiti in modo equilibrato. Qualunque fosse stata la verit, in base alle leggi della prosa che intenda lodare un eroe, sul Granico Parmenion non poteva aver avuto ragione; in base alle stesse leggi, la decisione presa

dal re di comune accordo con i suoi consiglieri di sciogliere la flotta e rimandarla in patria dopo la presa di Mileto, doveva essere presentata come uno scontro drammatico; e la scelta, inevitabile per via dell'inaffidabilit degli equipaggi ellenici delle navi e della mancanza di denaro, di impadronirsi del territorio costiero, dei porti e delle sorgenti per opporsi alla flotta fenicia al servizio del Gran Re, infinitamente superiore, non poteva essere stata semplicemente una strategia saggia, ma doveva derivare dall'imperscrutabile volont semidivina del re. Molte cose mi hanno entusiasmato e inorridito, spesso nello stesso tempo. Era come per suo padre: ottenere contemporaneamente il massimo numero possibile di effetti con il minimo sforzo. Alessandro lascia inalterata la struttura e l'amministrazione delle satrapie persiane, i funzionari esperti e le procedure sperimentate da secoli. Ma rafforza ed esautora, insieme, i nuovi satrapi da lui stesso nominati. Peukestas ritorn al suo sgabello. Ti stai esprimendo per enigmi armoniosi, o uomo saggio. Illuminami. Per esempio, in che misura ha rafforzato ed esautorato Kalas? I satrapi del Gran Re sono sempre stati oberati di lavoro e troppo potenti. Governavano i loro territori per conto del re, guidavano l'amministrazione, amministravano la giustizia, riscuotevano le tasse, garantivano l'ordine e la sicurezza, e comandavano le truppe da loro stessi arruolate oppure inviate loro dal Gran Re. Tutto il potere in una mano sola: quante volte questo ha condotto a rivolte dei satrapi contro il Gran Re? Peukestas chin il capo. Questo vero, e non lo avevo mai considerato in questo modo. Alessandro ha suddiviso il potere: quasi sempre, comunque. Ha conservato i confini e le amministrazioni delle antiche satrapie e, in ognuno di questi distretti, ha nominato uno stratega, un responsabile del tesoro e un difensore dello stato. Tre persone, non una sola; e nessuna pu agire senza le altre. Intelligente, non c' dubbio, ma non vedo come, per mezzo di questo accorto provvedimento, potessero essere ottenuti effetti molto diversi. E inoltre non capisco che cosa ti entusiasmi e che cosa ti faccia orrore in tutto questo. Aristotele pass le dita tremanti sulla pelliccia che gli ricopriva il petto; poi tast per un momento l'amuleto. No? Ma cos semplice, Peukestas. Gli strateghi sono soggetti al generale dell'alleanza, al re della Macedonia, vale a dire Alessandro. I responsabili del tesoro sono

soggetti al tesoriere reale, all'epoca Harpalos. Gli amministratori devono rispondere al re, ancora una volta Alessandro. Nelle satrapie non possono esserci rivolte, o comunque non come quando erano soggette ai persiani. Rivolte contro gli amministratori di Alessandro s, ma nessuna rivolta di questi ultimi contro di lui. Kalas, che ricevette la satrapia della Frigia settentrionale, era un ufficiale macedone veterano: degno di fiducia incondizionata, non correva alcun rischio di prestare ascolto alle lusinghe degli elleni o dei persiani. Cos come Antigonos nella grande Frigia, cos come gli innumerevoli strateghi che hanno tenuto singole fortezze o citt. Nearchos... be', Nearchos stato un caso diverso: ha amministrato la Licia e la Pamfilia per cinque anni, le zone pi importanti delle comunicazioni terrestri tra la met ellenica dell'ecumene e l'interno dell'Asia. Un intimo amico, necessariamente affidabile e inoltre, come sappiamo, come tu hai letto, il principale collaboratore dell'accorto Demaratos insieme ad Antigonos. Raccogliere e valutare le informazioni... in quale altro posto sarebbe stato impiegato meglio? Per tutto questo, a eccezione della nomina del cretese, aveva anche conseguenze ulteriori. Sono state queste a entusiasmarmi, per via dell'ottimo rapporto tra minimo sforzo e grande effetto. Peukestas scosse il capo senza parlare. Continui a non vederlo? Tu, fedele adoratore del re defunto, non sai quanto fosse effettivamente grande e accorto? Voglio dirtelo io. Tutte le iniziative importanti, le battaglie principali, gli assedi di Mileto e Halikarnassos, la spedizione fino a Sardi, la conquista della costa meridionale. Sono state condotte personalmente da Alessandro, oppure affidate all'unico uomo che come stratega gli stava alla pari: Parmenion. Le altre imprese, pi piccole, le ha fatte condurre da ufficiali pi giovani. Con truppe miste, in modo che nessuno dei taxiarchi o degli ilarchi potesse sentirsi trascurato, dal momento che non veniva impiegata tutta la taxis o l'ile, ma sempre e soltanto una parte, insieme a parti di altre truppe. In questo modo ha messo alla prova i suoi giovani compagni: Perdikkas, Ptolemaios, Seleukos, Erigyios, Krateros e tutti gli altri. E, non appena stato certo che avrebbero potuto assumersi compiti pi importanti, a poco a poco ha nominato governatori e amministratori delle satrapie i vecchi ufficiali, quelli che avevano condotto l'esercito di Filippo e di Parmenion. L'esercito di Filippo e di Parmenion, quell'arma terribile, rimase immutato, ma progressivamente gli amici di

Alessandro presero il posto dei vecchi uomini e, a poco a poco, divenne l'esercito di Alessandro. Nello stesso tempo i veterani, con i loro stretti rapporti con i casati macedoni, erano gli uomini migliori quando si trattava di mantenere le relazioni. E' stato questo a entusiasmarmi, mio giovane amico. E che cosa ti ha fatto orrore? Aristotele sospir. L'imbarbarimento. Il cambiamento degli obiettivi che si poteva intuire da queste prime nomine. Peukestas esit. Intendi dire... ho sempre pensato che le decisioni in proposito fossero state prese soltanto pi tardi. Aristotele si appoggi sui gomiti. Divennero visibili solo pi tardi ma vennero prese, audaci e spaventose, fin dall'inizio. Alessandro lo ha saputo e voluto: ha indirizzato tutto in questa direzione. Si lasci scivolare di nuovo tra pelli e coperte. Vedi, si tratta di una spedizione punitiva panellenica sotto il comando macedone. Liberare i territori costieri dell'Asia dal dominio persiano; vendicare la profanazione dei templi; diminuire l'influenza del Gran Re: tutto questo va bene, ma nient'altro. Il sogno di Filippo sarebbe stato quello di seguire la Via Reale persiana da Sardi a Gordio, raggiungere i monti e le coste della Cilicia, forse - nel migliore dei casi per quel sogno temerario giungere alla sponda dell'Eufrate. Che cosa ci vuole per questo, oltre alla vittoria in qualche battaglia? La distruzione di quanto i persiani avevano costruito. Alessandro non solo l'ha distrutto, ma se ne impadronito, limitandosi a cambiare le teste. Ha restituito le loro antiche democrazie alle citt elleniche nelle quali governava un tiranno persiano o alleato dei persiani. Alessandro il liberatore. Per ha imposto un tiranno indigeno o macedone alle citt nelle quali regnava una democrazia filopersiana. Amico mio, era tutto indirizzato al fine di creare un nuovo impero: non a cacciare i persiani e a dare la libert agli elleni, ma a sostituire il dominio persiano con quello di Alessandro. Peukestas rimase in silenzio, alquanto sconcertato. Pensava al riordinamento di citt e territori; alla restituzione del dominio su Halikarnassos alla principessa Ada, regina della Caria: Ada, che adott Alessandro come proprio figlio, e quindi erede al trono, e quindi co-reggente legittimo... Questo mi ha fatto orrore, Peukestas; e non solo pi tardi, quando divenne evidente a tutti, ma subito. Fin dall'inizio, non si trattato di una spedizione militare al termine della

quale lo stratega vittorioso e re sarebbe ritornato in patria, dove sarebbe vissuto felice fino alla fine dei suoi giorni: lo scopo era invece quello di instaurare un nuovo impero, separato dall'Ellade e dalla Macedonia. Prima o poi, mi dicevo allora, colui che mantiene inalterata l'amministrazione delle satrapie lascer al suo posto anche un satrapo particolarmente abile, un barbaro. E cos un persiano nominato da Alessandro, in quanto rappresentante del comandante dell'esercito alleato ellenico, e rappresentante del re dei macedoni, vorr... potr... dovr dare ordini a elleni e macedoni. E questi gli ubbidiranno, perch costretti. L'Ellade, luce e ragione, sorta dall'eterna guerra contro l'oscurit barbarica. Alessandro, mi dicevo, non potr reggere l'Asia sterminata con pochi guerrieri macedoni; prima o poi dovr arruolare i barbari nell'esercito e nell'amministrazione, con pari dignit; e, sotto il mantello della pace di Alessandro, l'oscurit, sempre respinta con la guerra, sommerger l'Ellade. E' proprio questo... Cerc nuovamente a tentoni l'amuleto; poi chiuse gli occhi e gemette. Ma non voglio anticipare le cose. Leggi i rotoli successivi, Peukestas, quelli scritti da Ptolemaios, e poi quelli degli altri. Leggi, testimone dei fatti, cos capirai che Aristotele non era condizionato dai travisamenti di Callistene..

Finalmente di nuovo in movimento. Fu come se il sole primaverile non avesse sciolto soltanto la neve, ma anche le energie dell'esercito intorpidite dal freddo. Con il disgelo, fiumi e ruscelli uscivano dagli argini; qua e l si scorgeva il primo verde. Nel giro di qualche giorno, o al massimo di una settimana, i cavalli avrebbero potuto di nuovo brucare l'erba e non essere pi costretti a vivere solo di fieno e cereali. Ptolemaios si scherm gli occhi con la mano e guard in lontananza: lungo la Via Reale cavalcavano due esploratori. In quel luogo non lontano da Gordio, il percorso dalla lontana Persepoli fino a Sardi, quasi interamente fortificato, si trovava in molti punti all'ombra gelida di piccole fortezze montane. Sarebbe stato assurdo avanzare su Gordio senza prima eliminare quelle roccaforti; e altrettanto assurdo attaccarle in inverno. Ma

ormai numerosi gruppi di unit miste si erano messi in marcia dagli accampamenti invernali; nei giorni successivi sarebbero giunti gli agognati rinforzi dalla Macedonia, insieme alle notizie di Parmenion; finalmente finiva l'attesa in mezzo alla neve, a contare i giorni e le notti tremando dal freddo. Alessandro gli aveva assegnato il comando di cavalieri tessali, etri, esploratori, una piccola squadra di assediatori e di fanteria leggera, macedoni e mercenari, per un totale di quasi cinquecento uomini. Negli ultimi giorni avevano conquistato e occupato due villaggi arroccati, distruggendone le fortificazioni; ne restava ancora uno, la roccaforte pi robusta. Gli esploratori erano partiti a cavallo prima dell'alba; che ne ritornassero indietro soltanto due era un buon segno. Ptolemaios attese che giungessero fino a lui. Le strade sono libere, signore. L'uomo, un tracio, fece un rapido sorriso. Abbiamo catturato tre uomini. Uno era in giro solo per caso; gli altri due erano partiti da uno dei villaggi di ieri e volevano mettere in guardia gli altri. Ottimo lavoro. Ptolemaios fece un cenno con la testa al sottocapo che attendeva accanto a lui. Partenza. Due ore dopo attraversavano il piccolo ponte di pietra presidiato dagli altri esploratori. Davanti a loro la strada si inerpicava sinuosa sempre pi in alto, sempre pi ripida. Un nido d'aquila, con mura e una roccaforte; di per s insignificante, ma avrebbe potuto ospitare soldati persiani e, da lass, un capo intelligente avrebbe potuto continuare a bloccare le strade e impedire il passaggio di rifornimenti e informazioni... Le montagne circostanti erano spoglie: un paesaggio squallido e desolato. Di che cosa avrebbe potuto vivere quella gente? Probabilmente, al di l di quel paesucolo, c'era un tratto di altopiano fertile, di pascolo, di terreno coltivabile. Ptolemaios si strinse nelle spalle e diede gli ultimi ordini. Le sue truppe avanzarono e si sparpagliarono al di sotto delle mura, ancora fuori della gittata di pietre e frecce. Il decadarco che aveva mandato avanti per intimare la resa agli abitanti ritorn di corsa dalla porta, un'orribile accozzaglia di legno, pezzi di metallo e pietre di cava, inseguito dalle frecce e da due o tre giavellotti. Ptolemaios sospir e ordin l'attacco. Nel giro di pochi istanti, gli assediatori avevano scaricato le loro bestie da soma, montato insieme le diverse parti delle scale d'assalto e assemblato le catapulte, mentre altri uomini raccoglievano pietre delle dimensioni di una testa. Gli arcieri scagliarono

alla cieca frecce incendiarie oltre le mura. Ptolemaios aveva affidato la custodia dell'ariete a Emes lo spilungone e alla sua doppia fila. Gli opliti tenevano con una mano lo scudo sopra la testa e con l'altra afferravano l'impugnatura dell'ariete, che era lungo dodici passi, in legno rinforzato da cerchi di ferro e con la punta di bronzo. Dalle mura volavano pietre, frecce, recipienti pieni d'acqua bollente e di liquidi schifosi e puzzolenti. Le scale d'assalto vennero posate in sette punti, mentre le piccole catapulte prima scagliarono grosse pietre contro l'abitato, poi cercarono di allontanare i difensori dalle mura con lanci di pietre appuntite, chiodi e frammenti metallici. Una delle scale, sulla sinistra rispetto a quella sulla quale Ptolemaios era salito per primo, venne rovesciata da sopra, ma i macedoni si trovavano ancora sui gradini inferiori e non caddero da molto in alto. Ptolemaios si arrampic rapidamente in cima, tenendo xyston e scudo sopra la testa e la spada corta in mezzo ai denti. Pi a destra ud l'ariete infrangersi contro l'orribile porta e qualcosa andare in frantumi. Fu un lavoro breve, quasi noioso; nel villaggio e nella roccaforte non stazionavano guerrieri persiani. Gli abitanti si difesero senza particolare vigore; soltanto quando Ptolemaios ordin di distruggere la roccaforte e le mura si arriv a un vero e proprio scontro, ma ormai i macedoni e i loro alleati erano entrati gi da tempo nel villaggio. Lasciateli scappare disse Ptolemaios quando finalmente gli abitanti si diedero alla fuga: quelli che erano ancora vivi e ancora in grado di correre. Prendete quello che ci pu servire; e fate in fretta. Sulla roccaforte si alzarono fitte nuvole di fumo; gli assediatori esperti cercarono e trovarono i punti in cui le mura si potevano abbattere facilmente. Altri uomini spinsero fuori dal villaggio vitelli, capre e polli. Emes allontan una vecchia che gridava e cercava con le unghie e con i denti di riprendersi le sue poche bestie, scansandola semplicemente con un braccio. Uno degli armati alla leggera, un agriano, si volt come per caso e la trafisse con il suo giavellotto. La donna stramazz al suolo continuando a gridare; poi il suo grido divenne un gemito mentre afferrava il manico del giavellotto. Quindi grid ancora una volta, quando l'agriano le estrasse l'arma. Emes lo fiss. Ma perch l'hai fatto? Per la vecchia rispose l'agriano sputando. Come? L'ho fatto per lei. Ora non rimpiange pi le sue capre.

La maggior parte delle truppe ripercorse la strada tortuosa fino all'accampamento principale, portando con s il bottino animato e inanimato; Ptolemaios prese una scorciatoia tra le montagne insieme ad alcuni suoi cavalieri. In cima al valico, dove il sentiero ripido passava in mezzo alle rocce, videro Callistene. Lo scrivano era accovacciato su un macigno piatto e guardava verso occidente dove, mentre il sole tramontava al di l della vallata, si accendevano i primi fuochi in mezzo alle tende. Teneva sulle ginocchia il suo scrittoio portatile, al quale il rotolo levigato era assicurato da fermagli di ferro, mentre il vasetto con l'inchiostro era posato su una roccia sporgente alla sua destra. Per non stava scrivendo, ma masticava il calamo e aveva lo sguardo fisso, come smarrito, lontano a occidente. Quando ud il rumore degli zoccoli, trasal e si riscosse. Ah, Ptolemaios. Pensavo gi... tutto finito? Naturalmente; che cosa credevi? Potevi benissimo aver sfruttato la gita per uno dei tuoi soliti o insoliti tiri, macedone. Prima o poi la tua lingua diventer cos appuntita che ti perforer le guance dall'interno. Ptolemaios indic il fondovalle davanti a s. Sembra che ci sia una moltiplicazione. Callistene ridacchi. Una moltiplicazione: proprio cos. E' di ritorno un'avanguardia degli sposi novelli; il grosso seguir nel giro di qualche giorno, insieme a Koinos, Meleagros e a Ptolemaios la guardia del corpo. Hanno senza dubbio dedicato l'inverno in Macedonia a riprodursi; e si sono vantati delle loro gesta eroiche. Con successo? Dal tuo punto di vista... s. Ptolemaios mostr i denti. Quindi hanno fatto un buon lavoro e portano con s i rinforzi. E quale sarebbe un successo, dal tuo punto di vista? Callistene allarg le braccia. Rotoli con nuove opere avvincenti... ballerine dalle caviglie incantevoli: cose del genere. Il giorno successivo fecero ritorno gli ultimi gruppi di truppe di sgombero; alla sera gli ufficiali e i consiglieri si riunirono nella tenda del re. Alessandro sembrava pi rilassato; l'inattivit delle ultime settimane che, dopo un inverno mite, avevano portato all'improvviso grandi quantit di neve e il gelo, era terminata. Leonnatos, con in mano un bicchiere di vincotto bollente, diede una pacca sulla spalla di Ptolemaios. Credo che ci siamo disse a bassa voce. Ed era anche l'ora.

Durante la marcia alcune cose saranno pi facili. Non sarebbe pi stato necessario inventarsi attivit per tenere occupati gli uomini; gli ufficiali non avrebbero pi dovuto, come bambinaie, impedire ai guerrieri annoiati di divorare in un solo giorno le provviste di una settimana per poi litigarsi gli avanzi nascosti; il numero delle risse e delle coltellate sarebbe diminuito... Soltanto negli ultimi giorni, fin troppo tranquilli dal momento che il brusco ritorno dell'inverno aveva lasciato l'esercito a congelare in una vallata a poche giornate di marcia da Gordio, Callistene era riuscito ad adempiere alle sue promesse nei confronti di Aristotele, a confrontare, unire insieme e completare le annotazioni scarabocchiate in fretta, a raccontare gli eventi importanti. Nell'inattivit forzata, nel silenzio serale dell'accampamento, quando le colonne di fumo salivano a perpendicolo nel cielo blu ghiaccio, apparivano le prime stelle ed erano terminate le ultime zuffe tra i guerrieri annoiati, si rese conto con stupore di quanta strada si fossero lasciati alle spalle dal Granico, di quali imprese avessero compiuto. Durante la marcia, con le sue esigenze continuamente diverse, tutto gli era apparso come naturale, a un fatto ne seguiva un altro e nessuno trovava il tempo di riflettere sulla loro eccezionalit. Ora fu come se gli uomini, le citt e i territori riattraversassero la sua tenda. Sardi: l'importante centro dell'entroterra, alla fine della via Reale, il cui reggente Mithrines era andato incontro ad Alessandro per cedergli la citt, il tesoro e la satrapia; il cui satrapo Spithridates era stato ucciso sul Granico da Kleitos il Nero. Efeso: occupata da mercenari ellenici che erano fuggiti all'avvicinarsi di Alessandro, perch temevano che li attendesse il medesimo destino dei mercenari di Memnon sul Granico; l Alessandro aveva fatto celebrare sacrifici nel tempio di Artemide, che si diceva fosse stato distrutto dalle fiamme la notte della sua nascita e da allora era un mucchio di macerie; le citt ioniche, lidie ed eoliche: pacificate da due gruppi di soldati guidati da Parmenion e da Alkimachos; ovunque erano state instaurate democrazie cittadine, che Alessandro aveva esentato dall'imposta annuale che fino ad allora erano state costrette a versare al Gran Re. Era stata una delle azioni astute che avevano fatto acclamare al liberatore: il liberatore che aveva urgente bisogno di denaro e non avrebbe potuto permettersi gesti simili. Ma, in quanto citt elleniche libere, le localit liberate dovettero entrare nell'alleanza e fornire i loro contributi alla spedizione

militare panellenica; contributi che non erano meno onerosi delle imposte precedenti... La conquista di Mileto, il terribile assedio di Halikarnassos, le nomine e le ridistribuzioni di cariche: Kalas per la Frigia settentrionale, con truppe di alleati ellenici, a esclusione degli argivi; Asandros, fratello di Parmenion, per la Lidia, con Pausanias come comandante della guarnigione di argivi e Nikias come responsabile del tesoro: vecchi ufficiali affidabili allontanati dall'esercito, nuovi posti creati per uomini giovani, e nello stesso tempo l'esercito macedone liberato dal fastidio costituito dalle truppe degli alleati ellenici. Quindi, dopo la presa di Halikarnassos, la separazione: Parmenion con etri, tessali, traci, odrisi e con la maggior parte dei guerrieri delle altre trib, oltre alla maggior parte degli assediatori, si era diretto nuovamente verso nord, fino a Sardi, per liberare l'entroterra; Alessandro aveva marciato con gli altri lungo la costa di Licia e Pamfilia per bloccare l'accesso alla flotta persiano-fenicia e quindi dirigersi verso l'entroterra, fino a Gordio, dove in primavera avrebbe dovuto incontrare di nuovo Parmenion, insieme agli sposi novelli rimandati in patria per l'inverno, che in Macedonia avrebbero dovuto glorificarlo, lodarlo e arruolare rinforzi. Telmessos, patria del veggente Aristandros, dove a Nearchos venne in mente di inviare sull'acropoli un gruppo di danzatrici con le loro schiave, come dono di un concittadino illustre al comandante persiano della fortezza. Nei flauti erano stati nascosti coltelli sottili e affilati; dopo che i persiani furono appesantiti dal cibo e dall'abbondante vino bevuto, con il contenuto dei loro flauti le danzatrici aprirono i cuori degli occupanti e le porte della fortezza. E poi Xanthos, e poi Phaselis, dove Parmenion aveva inviato come ambasciatore suo figlio Philotas, capo della cavalleria degli etri, uno degli ufficiali di rango pi alto, ma si trattava di un'ambasceria un po' speciale...

Ci hai portato qualcosa, amico? Philotas si alz in piedi, annu in direzione dei due uomini che si trovavano

all'ingresso della tenda e attese che se ne fossero andati. Un dono un po' particolare... e un consiglio per te, Alessandro. E quale sarebbe? Philotas sorrise. Cos parla lo stratega Parmenion: "Re, amico, figlio: salute e prosperit. I tuoi ordini vengono eseguiti e il paese reso sicuro. Ci vediamo a Gordio. Con il dono comportati come ritieni opportuno. E considera che, se vuoi il vino, non devi per forza rompere l'anfora; spesso sufficiente levare il tappo". Fine dell'ambasceria. L'ingresso della tenda venne sollevato e gli uomini di Philotas vi fecero entrare due individui con le mani legate. Uno era un persiano, l'altro un ufficiale macedone che tutti conoscevano molto bene: Alexandros il linceste. Il volto di Bagoas mostrava soltanto uno stupore, quasi infantile, cos aperto che, secondo Ptolemaios, poteva essere soltanto simulato. Questo il dono di mio padre. Un nobile persiano, che ha dichiarato di chiamarsi Sisines, stato catturato dai nostri cavalieri. E' stata necessaria un po' di... persuasione, prima che ci rivelasse l'ambasceria che doveva trasmettere. Un'ambasceria di Dario ad Alexandros il linceste che, dopo la nomina di Kalas a satrapo, comanda la cavalleria tessala, amico ed etro del re e, non dobbiamo dimenticarlo, fratello dei traditori e regicidi Heromenes e Arrhabaios. Nonostante il caldo soffocante, per un istante sembr che tra gli uomini scendesse il gelo. Tutti fissarono Philotas, poi il persiano e Alexandros, che rest impassibile. Il senso dell'ambasceria questo: Dario offre ad Alexandros mille talenti d'oro, il trono della Macedonia e l'amicizia indissolubile del Gran Re. Philotas non riusc a proseguire, ma non era necessario. Sapevano tutti quale potesse essere la contropartita; ci volle molto tempo prima che le imprecazioni, le grida di rabbia e d'indignazione, le parole d'odio e tutta la confusione di cinquanta voci si placassero. Alessandro rimase indifferente. Scambi un'occhiata con Demaratos (il vecchio corinzio si limit a stringersi appena nelle spalle) e indic alle guardie di portare via Sisines. Poi si guard intorno e allung la mano; Hephaistion prese un pugnale e lo porse al re. D'un tratto nella tenda cal la notte, fredda e silenziosa. Alessandro si diresse a passi corti e misurati, tra klinai e tavoli, verso Alexandros, che ora si trovava vicino all'ingresso senza guardie, con le mani legate davanti al ventre da cinghie di cuoio. Giunto a due passi dal linceste, Alessandro si ferm, si volt

per met e osserv gli ufficiali e i consiglieri con un sorriso ironico. I consigli di un sovrano barbaro... Sisines ci conosce: anni fa stato presso mio padre come inviato del satrapo d'Egitto. Perci sa che esistono alcune divergenze di opinione tra i grandi casati della Macedonia. Philotas, ti devo ringraziare per avermi trasmesso la tua ambasceria; e mai potr ringraziare a sufficienza Parmenion, il grande stratega e padre dell'intero esercito, per la sua previdenza e la sua vigilanza. Lo stupore degli uomini era quasi palpabile; Ptolemaios osserv l'espressione del volto di Bagoas, di Demaratos e poi nuovamente quella del re. Quale delle sue innumerevoli nature impersonava Alessandro, in quel momento? Non quella dello stratega, non quella dell'amico d'infanzia, n del sovrano, o dell'indeciso; in quel momento assomigliava piuttosto a un lupo vecchio e astuto, a uno che da anni giocava a dadi o mercanteggiava con uomini del calibro di Demaratos e non perdeva mai. Alessandro si volt verso il linceste, che lo fissava con gli occhi sbarrati; aveva il volto pallido, la sottile barba nera arruffata, la lingua che guizzava sulle labbra protese. Poi, come per un'attrazione magica, chin lo sguardo sulla punta del pugnale che brillava alla luce delle fiaccole. Con due movimenti rapidi Alessandro tagli i legacci; poi infil il coltello nel cinturone e abbracci il linceste. Benvenuto, amico e compagno. Chi riceve la lettera di un traditore, non per questo un traditore egli stesso. La tua scelta dopo la morte di Filippo conta pi dell'ambasceria di un barbaro. Vai a rinfrescarti nella mia tenda piccola; poi vieni da noi e aiutaci a prendere le decisioni.

Per ordine di Alessandro, dopo la mezzanotte rimasero con il re Leonnatos, Krateros, Laomedon, Demaratos, Hephaistion e Ptolemaios. Dopo che gli altri se ne furono andati tutti, per qualche tempo regn il silenzio; alla fine, Demaratos disse: Hai agito con intelligenza, sovrano dei macedoni. Ma dovrai affidargli nuovi incarichi. Alessandro vers qualche goccia di vino nel suo bicchiere pieno d'acqua, ma rimase in silenzio. Krateros si pass la lingua su un dente, fece una smorfia e si

pieg in avanti: Ma non sarebbe forse meglio che tu lo portassi davanti al tribunale degli etri e.... Fece passare il dito davanti alla gola. Laomedon rise a singulti. Krateros, temo che il tuo dente ti renda feroce. Parla con Drakon: te lo caver e te ne metter uno nuovo, strappato alla bocca di qualche nobile. Purtroppo gli uomini non sono cos facili da sostituire. Hephaistion pos una mano sul braccio di Alessandro. E' solo per riguardo alle famiglie laggi in patria, oppure hai altre ragioni? Forse Alexandros davvero innocente; in ogni caso, quello che ho detto vero: non necessariamente chiunque riceve una lettera, diciamo da Demostene, fa parte di una congiura. Se Dario intende tentare questa via, Alexandros senza dubbio il destinatario di una simile ambasceria; questo certamente vero. Ma ora riflettete, amici. I nobili casati della Lincestide, e alcuni altri, preferirebbero vedermi morto oggi anzich domani. Questo lo sappiamo tutti. E poi cercherebbero di mettere sul trono uno dei loro uomini. Chi il primo aspirante? Alexandros rispose Demaratos con un rapido sorriso. L'ho pur detto che hai agito con intelligenza. Non capisco disse Krateros serrando i pugni. A Pella Antipatros regge tutto con il pugno di ferro: contro i lincesti, contro gli amici di Demostene, contro... ehm, la tua nobile madre, Alessandro. . . Lo so. Mi perseguita con le sue lettere per mezza Asia. Alessandro inarc un sopracciglio. E allora? Alexandros a capo della cavalleria tessala? Alexandros uno degli ufficiali pi importanti? Con la sua schiatta di vipere in patria? Il pericolo non troppo grande? Altrimenti il pericolo sarebbe ancora pi grande disse Ptolemaios. Credo di sapere dove intende arrivare il corinzio. Finch Alexandros vivo e rimane tra noi, che sia colpevole oppure no, a Pella nessuno cercher di mettere sul trono un altro linceste. Per dobbiamo tenerlo d'occhio. Krateros borbott: La notte piena di pugnali. A chi vorresti affidarlo?. Alessandro guard in direzione di Leonnatos. Potrebbe servirti. Parla l'aramaico, conosce le buone maniere, ha una buona istruzione. Inoltre, come tuo collaboratore nel settore politico, non ha bisogno di portare armi, tranne che in combattimento. Leonnatos sospir. E va bene, ho capito. Cos non deve neanche venirti vicino ogni giorno: le notizie poco importanti passano di scrivano in scrivano, quelle importanti

te le riferisco io di persona. Un'altra domanda. Demaratos si schiar la voce. Che cosa vuoi fare con il nodo? Quale nodo? Krateros aggrott la fronte. Il consiglio di Parmenion... Alessandro sorrise. Chi vuole il vino non deve rompere l'anfora, ma levare il tappo. Credo che non si riferisca soltanto ad Alexandros. Parmenion un uomo intelligente. Demaratos si pettin la barba con le unghie delle dita. Si tratta del nodo di Gordio, Krateros. Nel suo tempio c' un carro antichissimo; come al solito il timone assicurato a un paletto, ma intorno al paletto mille uomini saggi e dalle dita sottili hanno avvolto e annodato migliaia di volte una corda di rafia di ciliegio e di cuoio. Una profezia dice che, chi riuscir a sciogliere il nodo, regner sull'Asia. Krateros gemette. Quindi prima dobbiamo conquistare la citt, poi radere al suolo il tempio e, alla fine, sciogliere mille nodi? Che cosa dice esattamente la profezia? chiese Alessandro. Non vero che non si parla assolutamente del nodo? Demaratos si strinse nelle spalle; Laomedon si gratt la testa. Io credo disse lentamente se ricordo le varie discussioni con i persiani... dunque, penso che parli di chi riesce a sciogliere il timone dal carro. Ma comunque si tratta della stessa cosa. Hephaistion sorrise truce. Non puoi conquistare l'Asia senza badare alle profezie? L'esercito si sente sicuramente meglio, se si presta attenzione a tutti i segni premonitori, alle voci divine e alle volont eterne. Allora prendi la spada... taglia il nodo. Demaratos? Il corinzio ammicc. E' una possibilit, Alessandro, vero, Hephaistion potrebbe avere ragione. Per... Intrecci le mani e appoggi la punta delle dita sul naso. Lo sai che cosa lo faranno diventare i persiani, non vero? Senza dimenticare Demostene. "Mille uomini saggi con le dita sottili hanno stretto nodi per duecento anni, e ora arriva questo barbaro macedone e distrugge il capolavoro con un colpo di spada. Tratter allo stesso modo l'Asia intera, se questa non gli oppone resistenza." Diranno questo. Alessandro sorrise. Allora dovremo farci venire in mente qualcos'altro. I suoi pensieri sembravano essere decisamente altrove. Il mattino successivo Sisines venne trafitto dalle lance dei macedoni; Philotas ripart per raggiungere Parmenion insieme a Erigyios, che avrebbe dovuto prendere il posto di Alexandros; l'esercito riprese a marciare lungo la costa, si inebri - o

almeno coloro che erano sensibili a queste cose per la magnificenza del territorio e del mare, che si era ritirato grazie a un vento favorevole proveniente da nord, consentendo ad Alessandro di costeggiare il promontorio di Nimax, per poi dirigersi verso nord, nell'entroterra, tra numerose scaramucce e fortezze montane, ed espugnare l'importante citt di Kelainai che, grazie alle sue mura, era considerata imprendibile ma che dopo dieci giorni di assedio si arrese senza combattere, costretta dalla pazienza di Alessandro, dalla fame e dalla sete. Antigonos Monoftalmo rimase a Kelainai con millecinquecento uomini, per mantenere aperti i collegamenti e liberare la Frigia vera e propria, in qualit di satrapo della Grande Frigia.

Demaratos era andato in avanscoperta a cavallo con una piccola squadra agli ordini di Kleitos il Nero. Una sera, a una mezza giornata di marcia da Gordio, ritorn nuovamente all'accampamento, che si estendeva al margine della Via Reale, tra campi coltivati e pascoli. Com' la situazione a Gordio? chiese Alessandro, versando personalmente il vino nei bicchieri e porgendoli a Demaratos e Kleitos. Il corinzio sorrise. La citt aperta e ti accoglier in modo pacifico, anche se forse non con giubilo. Per fortuna. Kleitos bevve una lunga sorsata. Le mura sono buone, difficili da prendere. Sarebbe stata una battaglia sanguinosa. Per c' qualcos'altro ribatt Alessandro osservando il corinzio con gli occhi socchiusi. Demaratos pos il bicchiere e si pass le mani tra la barba grigia. La tua perspicacia straordinaria, signore dei macedoni. S, c' qualcos'altro: i resoconti degli informatori: sai, i nostri amici segreti sparsi qua e l. Avevo ordinato loro di far sapere a Gordio ogni notizia importante, per fare in modo che i miei, ehm... amici di laggi ci aprissero le porte. E allora? Di che resoconti si tratta? Demaratos si fiss le dita. Voci confuse sui provvedimenti del Gran Re, nel cuore del territorio iranico, ma anche sul mare. Il quadro non ancora del tutto chiaro, ma pare che adesso abbiano affidato al rodio Memnon il comando militare a occidente.

Alessandro annu. E' l'unica mossa ragionevole; io l'avrei fatto gi da tempo. Non va bene per noi, ma... non sai ancora nulla di preciso? No. Immagino che anche Parmenion ci porter notizie. E, nei prossimi giorni, arriveranno senz'altro ulteriori rapporti degli informatori..

Nel primo pomeriggio Alessandro lasci l'accampamento che era stato eretto davanti alla citt. Insieme ai suoi consiglieri pi importanti and incontro a cavallo, lungo la Via Reale, ai dignitari del luogo, che lo attendevano da ore in mezzo alle tombe degli antichi sovrani frigi. Nessuno sapeva perch mai Alessandro avesse discusso tanto a lungo con il suo veggente e con un vecchio contadino locale. Il cielo si faceva sempre pi scuro: sarebbe stato ragionevole entrare in citt e lasciarsi alle spalle le celebrazioni prima che scoppiasse il temporale. Davanti all'antico arco assiro della porta iniziava la calca: persone di ogni et volevano osservare e ammirare il giovane sovrano che sfidava il Gran Re e che aveva compiuto gi tante meraviglie. Quando Alessandro, i dignitari e le persone pi importanti del suo seguito salirono verso l'acropoli, li seguirono numerosi frigi ma anche i soldati macedoni che erano entrati nella citt. Davanti al tempio di Zeus c'era il carro che si diceva appartenuto a re Mida e da lui consacrato al dio. Quando lo spazio antistante inizi a riempirsi, Ptolemaios si trov per caso accanto ad Aristandros. Vide il telmesso osservare il cielo e annuire. Di che cosa ti compiaci, Aristandros? Il veggente ammicc. Un contadino esperto del tempo ci ha detto non soltanto che piover, ma che ci sar un temporale. Nel giro di una mezz'ora, a partire da adesso. E allora? Che cosa c' da annuire? Avr senz'altro ragione... e lo vedrai. Il carro non dovrebbe trovarsi nel tempio? Aristandros sorrise. I sacerdoti lo hanno portato fuori in modo che pi persone potessero vedere Alessandro disperarsi con il nodo, come tanti prima di lui. Alessandro e i sacerdoti di Zeus avevano scambiato alcune parole, presumibilmente di cortesia; ora il macedone girava intorno

all'antichissimo carro, tutto tarlato. Era un miracolo, pens Ptolemaios, che il veicolo avesse retto al tragitto dal tempio al cortile. Un altro miracolo che Alessandro si mostrasse assolutamente impassibile, quasi spensierato; eppure in quel momento si stava giocando tutto. La profezia, il dominio sull'Asia, la fede dei macedoni nel loro re favorito dagli di, la speranza di altrettanti frigi nel fallimento di quel giovane arrogante... Alessandro si inginocchi; prima di dedicarsi al nodo, alz ancora una volta gli occhi al cielo scuro. Aristandros tocc Ptolemaios sulla spalla, ammicc e si spinse pi avanti, fino ad arrivare alla parte posteriore del carro. Nel punto in cui il vecchio paletto tutto tarlato teneva insieme timone e carro, uomini intelligenti e dalle dita sottili avevano avvolto con mille nodi intorno alla giunzione una grossa palla di rafia di ciliegio e corde di cuoio, lasciando libero forse un dito di spessore del paletto in alto e in basso. Alessandro tocc i nodi qua e l; il mormorio tutt'intorno divenne pi forte, alcuni volti mostrarono tensione, altri scherno manifesto. Ptolemaios si avvicin a Hephaistion, Kleitos, Koinos e agli altri ufficiali. Vide Krateros portare la mano all'impugnatura della sua spada corta, sguainarla e porgerla ad Alessandro; sent il re dire: Il saggio consiglio di Parmenion: chi vuole il vino deve stappare l'anfora, non distruggerla; dubit quando il figlio di Filippo si rialz, apparentemente incerto sul da farsi, si gratt la testa, guard verso il cielo e si volt verso il sommo sacerdote del tempio. Che cosa dice esattamente la profezia? Con palese disprezzo, il sacerdote disse: Chi separa il timone dal carro, regner sull'Asia. Aristoboulos afferr la manica corta di Ptolemaios. Che cosa... Poi lo scienziato tacque, perch Alessandro si inginocchi di nuovo. Una goccia di pioggia cadde rumorosamente sul terreno tutto calpestato accanto a lui. Separare il carro e il timone, vero? disse il re non sciogliere il nodo. Con le sue dita sottili e robuste afferr la punta del paletto, ancora visibile a stento, e la scosse; frammenti del legno antichissimo, tutto marcio e divorato dalle tarme, scivolarono lungo la parte inferiore della palla di rafia e cuoio, intrecciata in modo incredibile, cadendo a terra. Alessandro scosse pi forte; poi annu appena ed estrasse lentamente il paletto tarlato dal nodo. Si alz in piedi, sorrise ai sacerdoti, si chin, tir il timone che non

era pi tenuto fermo dal paletto e lo separ dall'intrico dei nodi. Callistene sussurr: Con la spada sarebbe stato pi bello per l'Ellade, ma.... Tutt'intorno continuava a regnare un silenzio assoluto. Alessandro lasci cadere il timone; il sacerdote di Zeus alz le mani. Aristandros si mosse dalla parte posteriore del carro ed esclam: Il signore dell'Asia! Attendete che gli di parlino! O Zeus, tu che sei anche Ammon, ecco qui: tuo figlio!. In quel momento il cielo si ruppe. Lampi di colore giallo acceso fuoriuscirono dalle masse nere delle nubi lungo tutto l'orizzonte. Poi scoppi il tuono, assordante, tremendo, atteso eppure stupefacente. Il sacerdote di Zeus si mise in ginocchio; Aristandros lev le mani al cielo; Alessandro rimase sorridente in piedi accanto al carro, a godersi lo stupore, le grida e la pioggia fresca.

Gli sposi novelli avevano portato con s tremila fanti macedoni, cinquecento cavalieri e centocinquanta volontari di Elide: rinforzi benvenuti. In questo modo furono pi che bilanciate le perdite subite nei combattimenti, ma non quelle dovute alle guarnigioni lasciate alle loro spalle. Comunque, quando le truppe di Parmenion giunsero a Gordio, l'esercito aveva raggiunto di nuovo quasi la stessa forza dell'anno prima; e, con le salmerie, i mercanti, le prostitute, i saltimbanchi e i musici, i curiosi, i postulanti e gli avventurieri, ora erano giunte a Gordio e dintorni ben oltre settantamila persone, che dovevano vivere a spese della regione, senza arrecare eccessivo disturbo a questa e alla citt. I procacciatori di vettovaglie, che compivano a cavallo cerchi sempre pi ampi intorno a Gordio, spesso giungevano troppo tardi: prima di loro c'erano stati i mercanti, che avevano comprato tutti i cereali, la verdura, la frutta, i polli, le pecore e i vitelli, e ora li rivendevano ai soldati a prezzo raddoppiato. I comandanti dei singoli reparti dovevano sorvegliare i loro uomini affinch non si rubassero le vettovaglie tra loro, n provocassero scontri con i frigi; dovevano riferire su ogni singola questione, preparare le mosse successive, discutere con gli ufficiali superiori e con

il re. Coloro che, come Ptolemaios, non comandavano una propria unit, avevano ancora pi impegni, perch c'era sempre e ovunque da intervenire, pacificare, equilibrare, rifornire, organizzare, approvvigionare, sorvegliare. Il giorno dopo l'arrivo di Parmenion, uno degli scrivani del vecchio corinzio si present a Ptolemaios, che stava consumando, sempre in piedi, una manciata di cereali e due sorsi d'acqua. Demaratos desidera tanto vederti. Ptolemaios fin di masticare, si mise le mani nei capelli, affid la sorveglianza delle latrine a un giovane ufficiale e segu lo scrivano dentro la citt, Demaratos si era installato in alcuni locali inutilizzati dell'acropoli. Dalle finestre si poteva guardare lontano sulla pianura nebbiosa, che si stendeva come un tappeto a riquadri: gruppi di alberi, campi coltivati, prati, tende, tende, tende... Il locale ampio era misero e spoglio, il soffitto e una parete erano stati riparati alla meglio, non c'erano n intonaco n mobilia, a parte uno scaffale per i rotoli, un tavolo, quattro sgabelli e un ampio giaciglio. I cornicioni delle finestre e il pavimento tutt'intorno erano ricoperti di escrementi di uccello. Siediti. Demaratos, impegnato con calamo e papiro, gli indic uno sgabello. Ptolemaios saltellava da un piede all'altro. Non c' tempo, non c' tempo borbott. Che cosa vuoi da me? Il corinzio alz gli occhi, lo squadr da capo a piedi e sorrise ironico. L'impulso del re al moto perpetuo si diffonde tra i suoi giovani compagni, non vero? Siediti. Ti devi sedere, hai capito? E rimarrai seduto fino a che non avr finito. Ptolemaios digrign i denti. C' troppo da fare. Se mi siedo non mi alzo pi in piedi. Ti devi sedere e bere un sorso di vino, poi inizierai a sbadigliare. E mi presterai ascolto. E' un ordine, hai capito? Alessandro ti ha subordinato a me. Ptolemaios gemette e si sedette sul bordo anteriore di uno sgabello, inarcando la schiena e intrecciando le braccia. Cos? Sbadigli. Demaratos annu. Va gi meglio. Dunque: c' molto da fare. Allora inizia, una buona volta. Ptolemaios sorrise e si freg gli occhi. Poi bevve un sorso dal bicchiere che il corinzio gli aveva offerto. Abbiamo alcuni piccoli problemi, che sono pi importanti delle tue latrine. Ora sei in grado di ascoltarmi? Ptolemaios annu; Demaratos si alz e prese a camminare su e gi dietro

il suo tavolo, con le mani dietro la schiena. Inizi con una breve lezione sull'importanza delle informazioni. Disse che la politica la guerra condotta con altri mezzi; che bisogna sempre sapere che cosa sta progettando il nemico, che cosa in grado di fare, quali sono le sue possibilit e i suoi piani. Per questo ci sono gli informatori segreti; a volte sono addirittura utili, cosa che non possibile dire di politici e ufficiali. Come Ptolemaios sapeva da qualche tempo, il vecchio mercante corinzio Demaratos aveva riorganizzato e guidato per decenni i servizi segreti di Filippo. Che ora lavoravano per Alessandro. C'erano collaboratori buoni e cattivi; uno dei migliori era stato il musico Dymas, che purtroppo non voleva pi continuare. La rete ha molti nodi, ragazzo; uno lo tiene in mano Antipatros, uno io. In questo momento i due principali sono presso Nearchos e Antigonos: ci forniscono notizie e, nello stesso tempo, ci coprono le spalle con la spada. Io non vivr in eterno: questo dimostrato dal semplice fatto che finora non capitato a nessuno di non morire. Per questo, e poich non vi sono mai abbastanza persone valide, sono continuamente alla ricerca di uomini che oggi mi possano aiutare e domani continuare a lavorare da soli, senza di me. E perch io? Demaratos allung il mento a indicare il giovane macedone. Tu, Ptolemaios, figlio di Lagos, in Illiria hai imparato un po' di iranico da Laomedon, non vero? Il re, tuo amico d'infanzia, ti ha messo alla prova: sei in grado di dirigere le latrine e le cucine, nonch di condurre una squadra di mille uomini contro una roccaforte montana. Gli uomini che ti sono sottoposti ti vogliono bene perch li tratti come tuoi pari e preferisci il valore all'arroganza. Perdikkas il migliore comandante di truppe; ma ha una taxis. Cos come Krateros. Hephaistion potr avere una mente pi acuta, ma la utilizza solo per discutere con Alessandro. Tu non sei in grado, per ora, di comandare una taxis; o forse lo sei gi, ma non ci sono posti liberi da taxiarca. Sei troppo bravo, sei sprecato per le latrine e cose del genere. Sei cresciuto in una famiglia nobile, conosci le nefandezze della politica fin da bambino; con il tuo naso ricurvo e il tuo sguardo ingenuo, sembri assolutamente incapace di fingere. Sei abbastanza intelligente per afferrare i miei discorsi e immaginare i propositi che nascondono, ma abbastanza stupido per considerare ci nonostante lusinghiere le mie chiacchiere su di te.

Per farla breve, sei la persona adatta. Ptolemaios rise forte. Grazie, grazie; che cosa hai in mente per me? Demaratos gli rivolse uno sguardo indagatore. Chi sono i miei migliori aiutanti, qui e ora? Ptolemaios aggrott la fronte. I tuoi aiutanti? Che cosa vuoi sentirti dire? Nomi, cariche, compiti? Demaratos sbuff; sembrava un po' impaziente. Di, usa il cervello. Tu sei il vecchio corinzio Demaratos, ospite e amico del re. Soltanto pochi sanno che dirigi gli informatori. Uhm... Chi ti aiuta in questo? Ptolemaios fiss il brutto soffitto fatiscente. Laomedon? E' responsabile dei prigionieri: sicuramente li interrogher anche. Demaratos annu. Vai avanti. Leonnatos e Seleukos? Incaricati sempre di nuovi compiti politici da Alessandro; anche da te? Avanti! Eumenes, che il punto di raccolta di ogni fatto degno di essere conosciuto? Harpalos, perch custodisce il denaro e cerca di accrescerlo, l'attivit pi segreta di tutte? Sogghign. Demaratos riprese di nuovo a camminare su e gi. Non male. E ora ascolta. Ci sono alcune notizie... probabilmente le voci corrono da tempo, ma al momento il quadro complessivo deve restare tra noi. Alessandro... Lui lo conosce? Il quadro complessivo? Demaratos grugn. Mio giovane amico, qui non accade nulla che Alessandro non sappia. Ed ecco il quadro che egli dipinse a Ptolemaios con le parole: pi prendeva forma, e pi freddo sembrava diventare il locale. Kleandros, uno dei capi degli etri, aveva accompagnato gli sposi novelli in Macedonia e da Pella aveva cavalcato verso sud, attraverso tutta l'Ellade, fino al promontorio di Tainaron nel Peloponneso meridionale, dove si raccoglievano e si arruolavano i mercenari in cerca di occupazione. Era riuscito a recuperare ben pochi mercenari, ma in compenso alcune notizie terribili. Finalmente Dario aveva nominato stratega supremo dell'Occidente il suo uomo migliore, Memnon di Rodi, cui aveva assegnato pieni poteri e denaro. Memnon faceva arruolare mercenari; Memnon inviava ambasciatori in tutte le citt importanti; Memnon riforniva di argento e oro persiani tutti quelli che potevano essergli utili. Memnon aveva a disposizione la flotta persiana, allestita dalle citt fenicie: pi di trecento navi da guerra. Agis, re di Sparta, preparava la sollevazione dell'Ellade meridionale contro la Macedonia; nelle ultime lune il suo esercito era raddoppiato; la sua flotta (quasi duecento navi)

bloccava l'accesso a Tainaron a chiunque non fosse contro la Macedonia come lui. All'ombra di questi avvenimenti, Atene aveva accresciuto la sua flotta sino a quasi quattrocento navi. Sparta, Atene, la Beozia e addirittura parti della Tessaglia, vecchia alleata dei macedoni, aspettavano soltanto un segnale. Memnon aveva fatto un buon lavoro occupando, da sud verso nord, le isole davanti alle coste dell'Asia: Rodi lo appoggiava, Kos e Samos erano passate dalla sua parte, cos come Chios; a Lesbo Mitilene era stata assediata, e alcune delle citt importanti della costa della Ionia, tra cui Priene e Mileto, erano gi in mano sua. Dopo l'occupazione di Mitilene, restavano da prendere o da bloccare soltanto Efeso, Halikarnassos e poche altre; poi l'esercito di persiani e mercenari condotto da Memnon avrebbe dovuto passare in Euboia e l'Ellade intera sarebbe insorta. Contemporaneamente Dario raccoglieva a Susa l'esercito pi grande dai tempi del suo lontano predecessore Serse, avvalendosi soprattutto dei consigli di un abile stratega ateniese di nome Charidemos. Dunque, che te ne pare? chiese Demaratos dal momento che Ptolemaios continuava a restare in silenzio. E' il sogno di ogni stratega. Quale? La nostra situazione? No; quella di Memnon e Dario. Se le cose si sviluppano in questa direzione, probabilmente si aggiunger anche una rivolta in Tracia; allora la Macedonia sar un'isola, non avremo pi contatti con Antipatros e ci nasconderemo tra i monti dell'Asia. Una piccola noce in un'immensa tenaglia. Demaratos rise a singulti. Ben detto. E tu che cosa faresti, figlio di Lagos, se fossi Alessandro? Ptolemaios si alz, si diresse a una delle finestre, guard fuori verso la pianura, le tende, la striscia sottile delle latrine ripugnanti; poi si appoggi con il fondoschiena al cornicione e guard Demaratos negli occhi. Condotti dal fuoco di Alessandro e dal ghiaccio di Parmenion, noi siamo invincibili. Io mi dimenticherei degli elleni: passeranno di nuovo dall'altra parte non appena cambier il vento. Avrei fiducia in Antipatros: pu reggere la Macedonia; non in eterno, ma abbastanza a lungo. Forse... Si tocc il naso ricurvo. Non so quanto denaro abbia accumulato Harpalos, ma forse si potrebbe inviare denaro ad Antipatros da usare come meglio crede: paghe, corruzione e cose simili. Bisognerebbe tenere l'Ellesponto: per questo abbiamo bisogno della flotta degli alleati, oppure di una nostra. Non deve essere molto grande, ma abbastanza. Nearchos, Antigonos, Kalas e Asandros hanno bisogno di denaro per

arruolare altri soldati; oppure di soldati, dei quali per noi non possiamo privarci. Demaratos socchiuse gli occhi e sorrise in modo quasi impercettibile. E poi, amico del re? Un'avanzata verso sud, fino al mare; Susa lontana: per approvvigionare e far marciare un esercito enorme, Dario ha bisogno di tempo; denaro ne ha a sufficienza. Noi... noi dobbiamo avanzare attraverso la Cilicia fino al mare, interrompere i collegamenti tra l'Iran e la Ionia e attaccare le citt fenicie. Quando Tiro, Sidone e Byblos saranno minacciate, quelli richiameranno in patria le navi e la Persia non avr pi la flotta. Giunger anche Dario, in Siria o in Fenicia, e quando l'esercito del Gran Re sar distrutto, Memnon rimarr appeso a un filo. Demaratos ridacchi piano. Dalle tue parole, si direbbe una passeggiata. Sar tremendo e sanguinoso e logorante. Per e indic con il pollice fuori dalla finestra chi ci pu sconfiggere, fino a che ci condurranno Alessandro e Parmenion? Abile, amico mio, audace e... si, intelligente. Per manca qualcosa. Che cosa? Innanzitutto la fortuna. Ptolemaios soffoc una risata. La fortuna? Chi non confida nella propria fortuna, dovrebbe restarsene a casa. Senza fortuna, abilit e pianificazione intelligente sono inutili. Che cosa far Alessandro? All'incirca quello che proponi tu. Amphoteros, il fratello di Krateros, da ieri sera in viaggio per l'Ellesponto, dove ricostruir e comander la flotta. Hegelochos cavalca insieme a lui, portando con s e con i suoi uomini cinquecento talenti d'argento per le nuove navi e per le truppe presso Abydos. C' anche Proteas; ha seicento talenti e istruzioni per Antipatros. Proteas? Ptolemaios rise. Per tutti gli di... Non stupido; quello che non si ancora bevuto del suo cervello potrebbe essere utile e, durante le dure cavalcate, non si mette a bere. E noi? Tra qualche giorno ci metteremo in marcia: verso nordest. Ankyra, ai confini con la Cappadocia e la Paflagonia, per consolidare un po' l'entroterra. E poi? Verso sud, come hai proposto tu. Ptolemaios annu. Bene. Sono contento di non aver fallito del tutto in questo compito... ma hai appena detto che ho dimenticato qualcosa, innanzitutto la fortuna. E che altro? Demaratos si sedette dietro il suo tavolo e sorrise. I pensieri nobili e audaci, macedone, cos come la fortuna, non aiutano a uscire da guai simili. Dovremo fare alcune cose disdicevoli. Ptolemaios alz le spalle. Ma queste gi le conosciamo: gli intrighi dei nobili casati della Macedonia... quanto disdicevoli? Parmenion conosce Charidemos e alcuni

dei suoi uomini pi importanti; inoltre conosce le cose e gli uomini e non nutre alcuna illusione a proposito della malvagit del kosmos. Ha gi progettato qualcosa; Alessandro ha approvato. Te lo spiegher quando sarai ritornato dal tuo viaggio. Quale viaggio? Se dovessi cadere tra le mani delle persone sbagliate, non sarebbe bene se ne sapessi di pi; ne sai gi fin troppo. Ti sceglierai alcuni accompagnatori e percorrerai la Via Reale fino a Sardi, e da qui fino a Efeso; il pi rapidamente possibile. Ptolemaios inspir profondamente. E che cosa devo fare laggi? La sua voce era impastata. Demaratos esit, poi disse lentamente: Questa parte, amico mio, stata escogitata da Alessandro. E' il suo contributo. Io, cio io e te, l'eseguiremo. E' davvero disdicevole e davvero audace; a me non sarebbe venuta in mente neppure in sogno, per quanto sia ovvia, ma.... Parla! Alessandro ha fatto osservare che, insieme alla Persia, all'Ellade e alla Macedonia, al tavolo da gioco seduto un altro giocatore. Un giocatore importante, al quale nessuno di noi ha pensato. E allora dimmelo, una buona volta! Demaratos glielo disse e Ptolemaios rimase senza parole.

Gli etri Ophellas e Sakadas, Emes lo spilungone, cinque opliti scelti da lui - fanti, ma bravi a cavalcare - e Ptolemaios si affrettarono verso occidente. Erano tutti armati, come mercanti in viaggio, ma non portavano la corazza. Il pacchetto con le erbe, preparato da Alessandro in persona che glielo aveva consegnato prima della partenza, era nascosto in una bisaccia di cuoio che Ptolemaios portava appesa al collo, sotto la veste. Dopo due giorni raggiunsero Hegelochos, Amphoteros e Proteas che, con tutte le loro bestie da soma, non potevano procedere rapidamente come loro. Il quinto giorno attraversarono a cavallo un passo angusto; sulla strada al centro della gola, all'ombra delle rocce appuntite c'era un albero. Sakadas lo vide troppo tardi, non fece in tempo a trattenere il suo cavallo e, quando l'animale si scontr contro l'ostacolo nitrendo, venne scaraventato in avanti e rimase a terra con l'osso del collo rotto. Uno degli opliti mor con

un'espressione di meraviglia e le dita sull'asta della freccia che gli aveva trafitto la gola. Rimasero entrambi insepolti, come gli otto grassatori che non furono in grado di resistere all'abilit in combattimento e alla rabbia dei presunti mercanti. Lasciarono andare i loro cavalli e quello dell'oplita, mentre Ophellas liber l'animale dell'etro morto dal dolore per le due zampe spezzate e dalla vita; presero con s i borsellini dei predoni e quello del commilitone defunto. A Sardi ricevettero cavalli freschi e alcuni consigli da parte di Asandros, che poco prima aveva fatto rinforzare la guarnigione di Efeso. A questo punto fecero una deviazione rispetto al tragitto previsto e giunsero a Notion, il porto della citt di Kolophon, in un tardo pomeriggio afoso. Ptolemaios, Emes e un oplita si recarono immediatamente al mercato del porto; Ophellas e gli altri rimasero insieme ai cavalli in una locanda davanti alle mura. La baia del porto di Notion sembrava rivestita di tavole: per sfuggire alle conseguenze della guerra, vi si erano ancorate infinite navi. Ptolemaios chiese del pescatore Paralos e gli venne indicata una piccola imbarcazione, non lontano dalla riva, pronta per salpare. Emes e l'altro guerriero rimasero sulla spiaggia; Ptolemaios cammin nell'acqua bassa fino al peschereccio a vela. Quando fu all'altezza della nave, l'acqua gli arrivava fino all'ombelico. Il vecchio, che stava caricando cestini pieni di sabbia come zavorra insieme a un ragazzo, probabilmente suo nipote, e nel frattempo fischiava attraverso i pochi denti che gli erano rimasti, gett uno sguardo inespressivo a Ptolemaios quando questi mise una mano sulla murata. Sei tu Paralos il pescatore? Certo non Paralos il sacerdote di Zeus. Che cosa vuoi? Ptolemaios picchi il palmo della mano nell'acqua. Posso salire a bordo? Il vecchio si alz in piedi. Stavo per prendere il largo; se tu non mi trattieni... Ptolemaios si punt sulle mani e scivol oltre la murata. Vuoi pescare pesci notturni dagli occhi d'oro brillanti? Paralos fece una smorfia. Se solo ce ne fossero di pi... Indic la quantit sterminata di navi: imbarcazioni a remi grandi e piccole, mercantili a vela, chiatte, due o tre navi da guerra di incerta provenienza, mezze in avaria. Questo branco di idioti fa scappare i pesci. E' gi abbastanza difficile fare in modo che lascino libero almeno un piccolo passaggio per i pescatori. Che cosa vuoi? Sbarazzarmi di alcuni occhi d'oro di pesce che mi

appesantiscono. Portare i saluti di un mercante di pesce di Corinto. Paralos strizz gli occhi. Per chi sono? Lui pensa che tu sappia se qui, negli ultimi tempi, qualcuno ha domato un cavallo di mare e l'ha legato a una palma. Paralos sospir e stese la mano aperta; Ptolemaios estrasse dal cinturone cavo due darici d'oro e li mise nella manaccia rugosa del pescatore. L'equivalente di quaranta dracme: pi di una luna di lavoro e di guadagno. E questa quando saremo di ritorno. Mostr al pescatore un'altra moneta, anch'essa d'oro; su una faccia si poteva vedere una palma, sull'altra la testa di un cavallo. Paralos borbott qualcosa, poi disse: C' un buon vento di terra. Salpiamo. Ptolemaios si volt verso la riva e fece il segnale convenuto; Emes rispose con un altro segno. Presero il largo al calar del sole, passando in mezzo alle altre navi. Ptolemaios fece asciugare il chitone bagnato al vento della sera e bevve qualche sorso dalla borraccia di cuoio che Paralos gli porse. Quando si fece buio, il vento cal. Ptolemaios si rassegn sospirando al proprio destino, afferr il remo che Paralos gli indicava e inizi a remare. Quando il pescatore smise di remare e fece segno davanti a s, aveva perduto completamente il senso del tempo e sentiva soltanto il proprio respiro ansimante e il dolore ai muscoli. Alla luce della luna calante e delle stelle, sull'acqua piatta si muoveva una massa scura: cinque navi da guerra pesanti, ognuna con tre ponti di rematori: triremi, cos vicine l'una all'altra da dare l'impressione di un unico scafo. Il ragazzo, che era rimasto in silenzio al timone della nave, accese una lampada a olio, la sollev e la mosse in senso semicircolare. Qualcuno a bordo della nave pi vicina borbott qualcosa; Paralos rispose borbottando a sua volta. Ptolemaios non comprendeva una parola. Ancora un borbottio proveniente dalla trireme. Paralos brontol e riprese il remo; alcune palate e la manovra efficace del ragazzo al timone spostarono di lato il peschereccio; qualcuno dall'alto lanci una gomena-Ptolemaios fu costretto a gettare il capo all'indietro per poter vedere la murata della trireme. Paralos annod la cima intorno all'albero e indic con il capo la scala di corda che veniva calata dalla nave. Come in un sogno fatto da altri, Ptolemaios si arrampic lungo la scala. In alto lo attendeva un uomo con un chitone chiaro e

un pettorale di cuoio; sulla spalla sinistra brillava una spilla. Portava una folta barba scura e anelli a entrambe le orecchie. Il suo ellenico era buono, la pronuncia gutturale e insieme morbida faceva parte dello strano sogno. Che cosa vuoi e chi sei? Prima di rispondere, Ptolemaios si guard intorno. I ponti con i sedili dei rematori, che durante gli attacchi erano tenuti chiusi, cos che boccaporti e passerelle costituissero un campo di battaglia sgombro, qua e l erano aperti; gli uomini di tutti e tre gli ordini di remi erano distesi alla luce delle stelle e russavano; alcuni, probabilmente svegliati dal borbottio, avevano alzato la testa e guardavano verso di loro. A prora e sotto il ponte di poppa rialzato brillavano le armi e le parti delle armature dei fanti che facevano parte dell'equipaggio; sul ponte di poppa, ai piedi dell'albero maestro, e pi avanti, sopra al rostro, c'erano sentinelle. Ptolemaios riflett sul fatto che i rematori non erano schiavi n, come accadeva presso elleni e macedoni, soldati mercenari, ma qualcosa di simile agli etri, i figli migliori della potente citt occidentale. Per un istante si sent come tra fratelli sconosciuti; questo pensiero assurdo lo aiut a ritornare dallo strano sogno alla realt di quella notte nera e argentea. Un mercante di cavalli macedone vuole parlare di palme e oltraggiare Adherbal. L'ufficiale sorrise appena. Aspetta. Si volt e si diresse verso il ponte di poppa, parl con un uomo, dopo averlo probabilmente svegliato, poi si diresse all'estremit opposta della nave e parl nell'oscurit. Dopo qualche tempo ritorn e condusse Ptolemaios in mezzo agli uomini addormentati fino alla murata opposta, pi o meno all'altezza dell'albero maestro. Da l, passando a malincuore su alcune assi lente, molli e cigolanti, si trov sulla seconda nave, dove lo attendeva un altro carcedone che lo salut annuendo senza parlare e lo accompagn dalla parte opposta. Altre tavole malferme sul mare sciabordante e finalmente il passaggio verso un ponte di poppa, i gradini per salirvi, un tavolino pieghevole e due sedie. L'uomo che lo attendeva assomigliava molto all'ufficiale a bordo della prima nave: capelli scuri, barba scura, anelli alle orecchie, chitone chiaro ma non aveva il pettorale. Poteva avere tra i trenta e i quarant'nni. Aveva gli occhi neri e svegli; le mani, che mescolarono acqua e vino per poi porgerli a Ptolemaios in un boccale, erano sottili e insieme robuste. Parla, macedone; e volta la testa di lato, in modo che io

possa vedere il tuo naso. Ptolemaios si strinse nelle spalle e guard prima verso la quarta nave, poi verso la seconda e infine nuovamente verso il suo interlocutore. Cos? Tutto a posto, Ptolemaios figlio di Lagos. Benvenuto a bordo. Ptolemaios ricord, come se si trattasse di un incantesimo, l'incontro con il grasso Bagoas, che lo aveva riconosciuto altrettanto rapidamente. Gli venne in mente quello che gli aveva detto Demaratos durante la loro lunga discussione: tutti i servizi dovevano conoscere le persone pi importanti delle parti avversarie. Sono lusingato che mi consideriate abbastanza importante disse. Posso sapere il tuo nome? Il carcedone sorrise. Hamilkar: basta questo. Chi ti manda? Ptolemaios esit per un istante, mentre avvertiva un brivido di freddo e di spavento. Quell'Hamilkar? Pu essere. Chi ti manda? La consapevolezza di avere seduto di fronte l'uomo che comandava gli esploratori e gli informatori della potenza che dominava una parte della Sicilia, la Sardonia, mezza Kyrnos, l'Iberia meridionale e la Libia a occidente dell'Egitto, ebbe uno strano effetto su Ptolemaios, che si sent come liberato. Il figlio del principe lagide poteva parlare apertamente con quel principe carcedone, che era talmente esperto in tutti i giochi di dissimulazione da rendere sufficiente osservare le comuni regole di prudenza, ma nient'altro: niente di quello che sarebbe stato necessario dimostrare nei confronti di qualcun altro della cui attendibilit si fosse dubitato. Demaratos. E Alessandro. Per mezzo istante gli occhi del carcedone si chiusero; la lampada a olio che un uomo armato aveva posato sul tavolo emetteva abbastanza luce per accorgersene. Che cosa mi devi dire? Ptolemaios tir fuori la piccola bisaccia di cuoio e la pos sul tavolo. Queste erbe sono state raccolte dal re in persona; come impiegarle, come impiegare altre cose, o non impiegarle, tutto questo nelle tue mani. Hamilkar prese la bisaccia, la apr, la odor, ebbe un sussulto e quindi la richiuse. Bah. Ne so abbastanza per... va bene. Vai avanti. L'ambasceria questa: se uno dei tuoi cugini, per esempio della citt madre di Tiro, con i buoni consigli o in altro modo in grado di distogliere il rodio dal suo atteggiamento attuale, per... Ptolemaios esit ... dieci anni non ci saranno n intromissioni n appoggi. Perch hai esitato? Demaratos mi ha detto che dovevo offrire cinque anni per poi arrivare fino a dieci contrattando. Ptolemaios sorrise. Ma mi sembrava irriguardoso nei tuoi confronti.

Hamilkar inarc appena le sopracciglia. Vai avanti. Nessun avanzamento al di l dei confini di Cirene o, pi precisamente, al di l degli altari; nessun appoggio ai sicelioti da parte delle regioni dell'Ellade governate dai macedoni: n per Siracusa n per nessun altro. Nessun dazio supplementare per i vostri mercanti nei nostri porti. Maggiore, se non illimitato, scambio di informazioni. Hamilkar si strinse tra i denti il labbro superiore. E tutto ci in cambio di... questo. Tocc la bisaccia. Ptolemaios si strinse nelle spalle. Si potrebbe pensare a certi altri favori. Per esempio? La consegna di un persiano grasso. Sulla fronte di Hamilkar comparvero rughe verticali. Avete Bagoas il Benevolo, non vero? Che cosa potremmo mai nasconderti? Solo le cose importanti. Hamilkar ridacchi a bassa voce. Come accaduto, se posso chiederlo, che l'uomo pi importante di Carcedonia si sia spinto cos a oriente? Con navi da guerra e una scorta? Quando accadono cose importanti, che ti riguardano, devi assistere. E, in caso di necessit, dare una mano. L'apertura dei porti finora posseduti dai persiani... dieci anni, hai detto? Dieci anni. Hamilkar tacque per parecchio tempo. Alla fine, a mezza voce, disse: L'Ellade, l'Iran, Carcedonia. Tre giocatori. Tre pesi che io devo spostare oggi, questa notte? O per gli di!. Che cosa puoi spostare questa notte? Nella domanda di Ptolemaios suon una lieve ironia involontaria. Hamilkar si pieg in avanti e disse con enfasi: Molte cose, figlio di Lagos. Ellade e Carcedonia, si tratta di un vecchio e brutto gioco, quattrocento anni di ostilit. Ma... si tratta di un nemico che conosciamo. La Macedonia, se si impadronisce dell'Ellade, una cosa nuova. Non ti nascondo che assistiamo alle imprese del tuo re con ammirazione e con una certa simpatia. Se voi, e con questo mi riferisco all'Ellade nel suo insieme, Ptolemaios, se voi vi rafforzate, l'Iran si indebolir; Carcedonia rimarr com'. La Macedonia non prova vecchi odi nei nostri confronti: perci andrebbe bene. Ti dar quello che vuoi avere e prender quello che il tuo re mi offre. Se mi darai Bagoas, ti dar anche qualcos'altro. Che cosa? Hamilkar sogghign. Abbiamo alcuni uomini presso Arsames, che ha il compito di sorvegliare i passi della Cilicia per conto di Dario... Quando giungerete a Tarsos, saprete se avremo mantenuto la

parola oppure no. Allora lascerete libero Bagoas. Lasciatelo semplicemente andare. E non vi meravigliate se scomparir, a Tarsos. Vuot il suo bicchiere e si alz in piedi. Ptolemaios si alz a sua volta, un po' pi lentamente. Demaratos sta meditando disse. E gli piacerebbe sapere se tu sei in grado di aiutarlo nelle sue meditazioni. Hamilkar storse il naso. Le meditazioni del corinzio... da molti anni sono per noi occasione di pensieri aspri e repentini. Su che cosa si sta spremendo le meningi? Su certe cose riguardanti Bagoas il Sano. Soprattutto l'amuleto: l'ankh con l'occhio di Horos. Se si lasciano da parte gli elementi simbolici, ne risulta uno degli antichi caratteri cuneiformi per "dio". Lo so. Olympias ne ha uno; in Egitto la resistenza contro il Gran Re utilizza questo simbolo. E poi? Anche Bagoas il Sano ne porta al collo uno, come ha potuto notare una volta il musico Dymas. Ogni mattina, mezzogiorno e sera, Demaratos si gratta per alcuni istanti la testa e ci pensa. A questo e a tutte le monete che Bagoas il Benevolo, presumibilmente per ordine del Sano, aveva con s quando l'abbiamo catturato, proprio quando avevamo urgente bisogno di denaro. Hamilkar gli rivolse un'occhiata inespressiva e disse, con voce piatta: Non appena sapremo qualcosa di pi preciso....

I due opliti avevano dormito sulla spiaggia. Il fido Emes stava mangiando una focaccia arrotolata, riempita con pesce tritato molto speziato, quando, poco dopo l'alba, Ptolemaios cammin nell'acqua sino alla riva. Emes balz in piedi, diede la borraccia di cuoio a un altro, si cacci in bocca il resto della sua colazione, mastic e deglut in fretta per poi precipitarsi incontro al Lagide. Allora, capo? Ptolemaios annu e sbadigli; per un momento si appoggi alla spalla di Emes. Da voi tutto a posto? S, e tu? Mi sembri stanco, signore, e come se non fossi del tutto tranquillo. Ptolemaios indic la strada del lungomare, dove dalle prime taverne saliva verso il cielo del mattino un fumo maleodorante. Mangiare, bere, dormire. Sbadigli di nuovo e si stropicci gli occhi.

Hai ottenuto quello che volevi ottenere? Ptolemaios annu. Possiamo tornare indietro. Un po' pi lentamente. Emes sogghign. Buon per il mio didietro. Probabilmente non mi lecito chiedere di cosa mai si trattasse, o sbaglio? E' meglio che tu non lo sappia. Emes ammicc. Indovinare per posso, non vero? Ptolemaios inarc le sopracciglia, ma non disse nulla. Per esempio che, nei prossimi giorni, non mi piacerebbe essere Memnon. Ptolemaios si port un dito alle labbra. E, nel giro di qualche luna, mi piacerebbe ancora di meno essere Bagoas pens.

6. Gesti regali.

Nauseato dalla rigogliosa miseria delle gozzoviglie austere; disgustato dal formaggio brulicante di vermi e dagli arrosti carbonizzati; schifato dal pane insipido e dalla verdura stracotta; stomacato dai cereali in poltiglia, stizzito per il vino scadente; immalinconito dalle prostitute a poco prezzo e dai loro dimenamenti; infastidito dal guanciale ruvido, di cuoio e pelle; le cosce tutte piagate per le cavalcate... e il fallo, callo suppurato! Irritato da persone dall'animo grossolano e dai modi dei macedoni; eternamente circondato dalla calca opprimente della folla... Callistene mosse le labbra senza emettere alcun suono; poi sospir. Il suo sguardo, attratto come per magia dal bagliore del blu oltre il tremolio della pianura costiera, ritorn allo scrittoio portatile, ai rotoli vuoti, all'inchiostro e al calamo. Era seduto all'ombra dell'assiro morto, piacevolmente fresca nel calore autunnale. Vi aveva trascorso anche la notte, insieme a un comandante indigeno e ad alcuni uomini della squadra di ricognitori in avanscoperta, che erano ritornati alle prime luci dell'alba. Sardanapalos, che l'indigeno chiamava Ashurbanipal, si trovava sulla cima di un piccolo passo attraverso una catena di colline, pi che di montagne. Oltre le rocce color grigio piombo, la strada scendeva fino a un'ampia vallata, ricca di sorgenti, dove l'esercito avrebbe potuto accamparsi; il serpente di polvere che solcava la pianura si stava gi avvicinando ai piedi della catena di colline. Presto, prima del calar del sole, i due re si sarebbero scambiati i saluti: il piccolo macedone vivo e il grande assiro morto. Callistene ridacchi, come se pregustasse gi una sorta di meschina soddisfazione: l'indigeno gli aveva detto che cosa significava il gesto dell'assiro e gli aveva letto ad alta voce, in un borbottio sordo, i simboli cuneiformi dell'iscrizione prima di tradurglieli. Vi veniva

menzionata la piccola localit attraverso la quale l'esercito stava passando in quel momento, insieme alla grande e lontana Tarsos, che avevano lasciato il mattino di due giorni prima. Il gesto non si poteva pi interpretare in modo univoco: probabilmente l'assiro faceva schioccare il pollice e il medio della mano destra, oppure li univa a mo' di anello. In ogni caso, il medio era in gran parte distrutto; quello che ne rimaneva sembrava diritto, come se il dito fosse stato proteso. Si diceva che le ossa del re giacessero sotto il basamento con l'iscrizione; la statua, alta come due uomini, rappresentava simbolicamente la potenza e l'onore regali, pi che raffigurare i tratti di una persona: una figura dallo sguardo assente, con la sottile barba crespa, i lineamenti severi, il pettorale abbozzato, lo scettro nella mano sinistra, la spada nel cinturone, gli schinieri e i sandali alti. Vedremo che cosa dir lui mormor Callistene. Il piccolo macedone, al quale aveva fatto lezione anni prima, a Mieza... sapeva di fargli torto, ora lo sapeva di nuovo, ma c'erano volute la distanza e la solitudine: la vicinanza di Alessandro sconvolgeva tutto. Tarsos, sovraffollata e soffocante, nella quale Demaratos era riuscito a perdere il persiano grasso che si trascinavano dietro dai tempi del Granico; l'accampamento dell'esercito fuori dalla citt, sovraffollato e soffocante, nel quale Alessandro aveva lottato con la morte; gli uomini, i mercanti, le prostitute; lo sporco, la polvere, le armi e i cavalli... Chiuse gli occhi e vide nuovamente la grande tenda del re, con i teli disadorni di lino e cuoio, i semplici giacigli, i tavoli pieghevoli da poco prezzo; il cibo misero, il vino cattivo della regione che attraversavano di volta in volta; la tenda piccola di Alessandro, un ampio giaciglio duro, dove Hephaistion o qualcuno degli attendenti reali gli procuravano gli unici agi; il mastello di legno nel quale Alessandro faceva il bagno, il misero telaio rivestito di cuoio sul quale si faceva massaggiare e ungere dal suo inserviente... Sospir di nuovo. Tutto questo faceva parte dell'esercito, della spedizione, delle marce forzate: era inevitabile. Poteva agognare gli amici dalle vesti chiare, l'arte di passare il tempo sotto il cielo attico, le prostitute leggiadre e profumate, il vino migliore e i cibi pi delicati, conditi, saporiti, il tutto con una compagnia diversa. Ma in quel momento, rafforzato dalla solitudine, doveva di nuovo ammettere che Alessandro si circondava di uomini straordinariamente istruiti. Il re stesso dormiva sempre con

la sua spada e l'edizione dell'Iliade di Aristotele e Callistene; gli uomini educati a Mieza insieme a lui, come Hephaistion, Krateros, Ptolemaios, Perdikkas, potevano avere gusti diversi ma conoscevano a memoria le opere di Omero, Euripide, Sofocle e degli altri grandi. Musici, attori, poeti e perfino saltimbanchi e maghi erano sempre presenti, tranne che nelle brevi notti durante le marce forzate; e c'erano anche filosofi, matematici e ogni altro genere di scienziati. Lass, fresco e tranquillo all'ombra di Sardanapalos, Callistene ammetteva con se stesso che probabilmente quelle riunioni serali superavano per finezza e acume tutto ci che Atene avesse da offrire. E non soltanto per finezza, ma anche per stranezza. Doveva assolutamente riferire ad Aristotele di quei vecchi barbuti, gli "uomini della notte", cantastorie e poeti girovaghi dell'Asia, che Alessandro aveva riunito intorno a s e che lo distraevano quando il nero della notte voleva insinuarsi nella sua mente. Tocc il papiro che era assicurato allo scrittoio e che attendeva da ore di essere compilato; poi prese un sorso d'acqua mista a vino dalla borraccia di cuoio che, a quel che si diceva, aveva la forma del porto militare della grande Carcedonia e pertanto si chiamava allo stesso modo: kothon. Ma forse si chiamava cos perch la sua forma era ispirata all'antica tromba con lo stesso nome e perch la si portava alla bocca come quella. Scosse il capo quasi involontariamente; i pensieri volarono di nuovo via. Ritorn faticosamente agli ultimi lunghi scritti, che ora non intendeva rileggersi. Alla fine aveva riferito della malattia di Alessandro: pneumona, secondo l'avviso di Drakon e di Philippos, medico personale del re, polmonite. Esausto e sudato dopo una lunga cavalcata, si era tuffato da sopra Tarsos nella corrente di un fiume che trasportava le acque ghiacciate del disgelo provenienti dai monti della Cilicia. Lo avevano estratto dall'acqua privo di sensi e scosso dai crampi; durante la notte era sopraggiunta una febbre ardente. Nel frattempo Parmenion, che era andato in avanscoperta con una parte dell'esercito per garantire la sicurezza dei collegamenti, aveva catturato una spia persiana che, sotto tortura, aveva ammesso di dover offrire, o di avere gi offerto, oro al medico di Alessandro perch lo avvelenasse. Alessandro lesse la lettera di Parmenion mentre Philippos gli preparava una pozione; poi il re prese il bicchiere e diede la lettera a Philippos. Il medico la lesse mentre il re beveva;

quando Philippos ebbe finito di leggerla, il bicchiere era vuoto. Alessandro disse: Che cosa sarei, senza i miei amici?. E Philippos rispose: Saresti morto. L'hai bevuta? Bene. In una sorta di poscritto, Callistene avrebbe voluto descrivere il clima nell'esercito: i due duri opliti che discutevano come padri preoccupati per il loro figlio prediletto, ma anche come bambini che, senza la guida della sua mano, sarebbero stati perduti in terra straniera; e avevano parlato di Ada, la regina caria che aveva adottato Alessandro e aveva cercato di convincerlo a riposarsi e ad approfittare di cibi e bevande; lui ne aveva davvero bisogno, eccome, ma quello che non era riuscito alla madre adottiva non potevano ottenerlo, con tutto il loro amore, nemmeno quei due; e per questo forse era meglio che la febbre lo costringesse a letto e che il medico gli potesse somministrare i suoi brodi. Aveva deciso di non riferire tutto questo perch riteneva che simili particolari non avrebbero potuto interessare molto a suo zio. In precedenza aveva scritto, con caustica ironia, della fortuna sfacciata del piccolo macedone, una fortuna tre volte sfacciata. Di come il rodio Memnon, lo stratega migliore dei persiani, si fosse ammalato dopo un banchetto insieme ai capitani della sua flotta fenicia nel porto di Mileto e fosse morto qualche giorno dopo. Di come l'ateniese Charidemos, stratega dell'esercito terrestre a Susa, avesse abbandonato ogni riguardo e deferenza nei confronti di Dario, perch uno del suo seguito gli aveva detto che solo cos le sue proposte avrebbero potuto trovare ascolto; di come, in mezzo agli effetti personali di Charidemos, si fosse trovata una lettera nella quale l'ateniese veniva scongiurato di non attenersi agli accordi con Hephaistion, firmata da Aristion, uno dei figli adottivi di Demostene, da poco tempo nel seguito di Hephaistion; di come Charidemos fosse stato giustiziato a Susa e avesse profetizzato che questa ingiustizia sarebbe costata a Dario il trono e la vita. E di come infine Arsames, che con poche centinaia di soldati avrebbe potuto difendere in eterno la Porta Cilicia dai macedoni, vi avesse lasciato solo una piccola guarnigione per condurre, mal consigliato, la strategia della terra bruciata, proposta da Memnon sul Granico ma completamente sbagliata in Cilicia, fino a che la guarnigione superstite, affamata dal suo stesso generale, aveva abbandonato i passi e si era data alla fuga non appena i macedoni si erano avvicinati. Che cosa avrebbe dovuto ancora riferire? L'esatta suddivisione

dei singoli reparti dell'esercito per le operazioni di pulizia in Cilicia? Il motivo per cui, da Tarsos, Callistene si era mosso verso occidente con l'esercito di Alessandro, anzich accompagnare Parmenion, che si era diretto a oriente verso la Siria, per rafforzare e bloccare i passi e appurare dove si trovava esattamente l'immenso esercito di Dario: ancora sull'Eufrate o gi quasi sulla costa? Riferire di un'accesa discussione con Arridaios, il fratellastro di Alessandro, dal pensiero lento e malvagio, che era soltanto volont indomabile di sopravvivenza, senza alcuno spazio per qualcosa di pi elevato? Raccontare di quella sera a Tarsos in cui Alessandro, guarito, aveva fatto danzare e scintillare come un cristallo dalle innumerevoli sfaccettature gli spettri sinuosi delle sue diecimila nature interiori, in un discorso che continuava a ramificarsi e a ritornare all'argomento dell'immortalit e della prossimit alla morte? Callistene decise di non farlo: il resoconto di quella serata incredibile avrebbe dovuto riportare l'ammissione che il re aveva parlato tranquillamente per ore in esametri perfetti e che l'acuto Callistene se n'era accorto soltanto in un secondo momento. Le prime truppe attraversarono il piccolo passo, dispensando Callistene dalla necessit di continuare a dedicarsi ai suoi pensieri inutili. Si alz in piedi, raccolse lo scrittoio e gli altri oggetti, chiam il cavallo che brucava sul pendio opposto e rimase in attesa. Alessandro cavalcava alla testa del gruppo successivo; non lontano da lui, si potevano vedere Demaratos e Ptolemaios. Il re gett a Callistene un'occhiata dall'alto in basso. Ah, eccoti qui a girovagare! All'ombra delle rocce recasti disonore alle muse fugaci? Gli uomini che lo accompagnavano scoppiarono a ridere. Callistene esit un istante, per riuscire a dare anche la sua risposta in versi. Con l'ombra del potente assiro ho conversato disse poi, indicando la grande statua. Sullo scorrere del tempo, sul valore e la grandezza degli antichissimi sovrani e sulla bassa statura di quelli attuali. Nessuno rise. Bukephalos sbuff e saltell sul posto; Alessandro accarezz il collo del suo stallone e sorrise appena. Infatti all'assiro manc la parola, quello tace ostinato. O forse dice ancora qualcosa? Che cosa significano quei segni sul basamento? Callistene si schiar la voce. Me li ha tradotti un uomo istruito; si riferiscono a molte cose, tra cui un gesto che il re avrebbe fatto con le dita della mano destra. Alessandro ammicc. Che cosa dicono i segni?

Callistene alz il braccio. Questo: "Io, Sardanapalos, in un giorno solo edificai Tarsos e Anchiale, in un altro distrussi sedici citt. Tu, epigono, mangia, bevi e fotti, il resto non vale pi di questo", vale a dire del gesto. Le risate degli ufficiali, dapprima trattenute, divennero sempre pi fragorose; Alessandro sorrise e guard il mare in lontananza. Poi alz la mano e salut Sardanapalos con il medesimo gesto delle dita. Salute a te, triste cadavere putrefatto: le mie citt dureranno pi a lungo delle tue. Quindi, rivolto agli uomini del suo seguito: Quando ci sar l'occasione, per esempio a Soloi, pensate ai suoi consigli, in modo che i vostri discendenti parlino pi a lungo di noi che di lui. Avanti!.

Inizialmente Soloi non intendeva aprire le porte, per cui le fu imposta una guarnigione macedone e il pagamento di duecento talenti. Mentre Alessandro dedicava i dieci giorni successivi a ripulire le colline e le montagne a nord della citt dalle squadre di ricognizione persiane e dai predoni, Callistene ritorn a Tarsos insieme a Demaratos e ad alcuni altri consiglieri. Il vecchio corinzio era attirato dal porto, sul corso inferiore del Kydnos, a poche parasanghe soltanto di distanza dal suo sbocco al mare e utilizzabile dalle navi. Callistene lo accompagn, ma ritorn ben presto all'accampamento davanti alla citt. Demaratos ironizz sull'elleno che aveva girato il mondo e che in terra straniera cercava soltanto l'Ellade, ma non voleva comprendere le caratteristiche degli altri paesi e delle altre genti. Callistene si ferm per un istante accanto a lui, davanti all'osteria del porto; osserv il fiume ghiacciato, le cui acque il re aveva sperimentato fin troppo bene, vide i marinai barbuti, i mercantili all'ancora, lo sporco e lo sterco della via lungo la banchina, la parete laterale dell'osteria, priva di finestre, di legno e mattoni d'argilla, la mescolanza di genti provenienti da ogni regione dell'Asia. E dimmi, Demaratos, che cosa degno di nota in tutto questo? Il corinzio si sedette su una bitta sbuffando. Davanti a loro passavano i portatori, bruciati dal sole, a torso nudo, piegati sotto i sacchi o con le balle che oscillavano sulla testa. Davanti all'osteria un oplita

macedone contrattava con una giovane donna, che indossava soltanto una fusciacca rosso chiaro intorno ai fianchi e un panno bianco sui seni. Aveva le unghie delle mani e dei piedi dipinte di nero, le labbra e le palpebre di verde; il viso, una penombra brunastra, dall'eternit tranquillo come la notte ed eccitante come il mattino, celava una brama violenta di vivere, che avrebbe potuto distruggere per non essere distrutta: nelle parole mormorate dal vecchio corinzio c'era tutto questo. Probabilmente ha un quarto di sangue ellenico, un quarto assiro, un quarto fenicio e un quarto frigio. Quell'uomo l, con il turbante bianco e la veste lunga: un mercante arabo; che conosca le coste lungo le quali si produce l'incenso? Quello laggi, vicino al palo, potrebbe essere un carcedile, quello accanto un siceliota, probabilmente originario di Siracusa. Eternamente in guerra, eppure qui stanno vicini e parlano. L'egizia laggi: non una prostituta, una nobildonna, probabilmente sposa di un ricco mercante che deve saperne molte sui persiani, perch altrimenti non potrebbe commerciare qui e in Egitto. I contadini dell'entroterra: guarda come strabuzzano gli occhi e fissano a bocca aperta le prostitute davanti all'osteria. E tu mi chiedi che cosa in questo sia degno di nota? Callistene rise a mezza voce e sput nel fiume. Tutto quello che importa sapere su egizi, persiani, frigi e simili l'ha raccontato Erodoto amico mio, oggi di loro dovrebbe attirarci soltanto ci che li lega a noi: il profumo dell'Ellade, la finezza e la superiorit della natura ellenica. Non forse per questo che siamo qui? Per liberare l'Asia dal giogo dei barbari, per cancellare la vergogna, per ellenizzare questi paesi? Demaratos si alz in piedi e gli diede una pacca sulla spalla. Tornatene all'accampamento e sognati l'Ellade, nipote del grande Aristotele. Temo che non ti abbia bastonato abbastanza quando eri piccolo. Un giorno ti sveglierai cresciuto e allora, probabilmente ti accorgerai che la morte dista soltanto un braccio e che la tua vita andata sprecata. Nell'accampamento Callistene trov turbamento e indignazione. Harpalos lo zoppo, amico d'infanzia del re, responsabile del tesoro dell'esercito e uno dei consiglieri pi importanti, era fuggito insieme a un elleno di nome Tauriskos, anche lui collaboratore della tesoreria; si erano portati via tutto l'oro e l'argento che potevano trasportare; dovevano aver lasciato il porto con una nave fenicia o carcedone.

Callistene poteva capire come mai gli ufficiali di grado pi alto - Koinos, che in assenza degli altri aveva il comando dell'accampamento, o il Lagide Ptolemaios che lo aiutava - non sollevassero molto rumore: convivevano con la notizia da molti giorni e ci avevano fatto l'abitudine. Quello che non comprendeva era l'eterno sogghigno del Lagide ogni volta che il discorso cadeva su Harpalos; e non capiva neppure perch, dopo alcune osservazioni sprezzanti, Demaratos avesse lasciato di nuovo l'accampamento e fosse ritornato al porto, e ancor meno capiva Alessandro, che avrebbe dovuto reagire in modo terribile al tradimento del vecchio amico: il re che si fidava incondizionatamente dei suoi amici! Una volta ritornato a Tarsos aveva ascoltato il resoconto e tenuto un discorso ironico sui perigli che potevano provenire da onde e tavole traballanti a uno zoppo che soffriva di mal di mare. Poi parl dei passi successivi. Callistene conosceva molto bene quella sensazione di non comprendere le cose. Spesso si trattava di qualcosa che non voleva capire: complicazioni del pensiero asiatico, se mai esisteva qualcosa di simile, oppure usanze delle popolazioni tutte barbariche che la spada di Alessandro adattava allo spirito ellenico. C'erano anche cose dell'accampamento o delle marce, cose dell'esercito che lo preoccupavano tanto poco come il vento che scompigliava le palme lontane: palme straniere, vento distante, scompiglio insignificante. E c'erano cose che non gli venivano spiegate: dettagli organizzativi, per esempio, oppure disposizioni di carattere puramente militare. A tal proposito distingueva tra due tipi di mancanza di spiegazioni, tra rifiuto intenzionale e inintenzionale di informazioni. Quello intenzionale doveva accettarlo: per esempio le decisioni segrete, il Consiglio di guerra per una cerchia ristretta, le macchinazioni di Demaratos riprovevoli e indegne di un guerriero valoroso, che era necessario tenere riservate affinch potessero essere portate avanti. Il rifiuto inintenzionale di informazioni lo accettava ugualmente, poich si trattava di cose che gli erano indifferenti. Cose per comprendere le quali sarebbero state necessarie informazioni che non possedeva n intendeva ottenere. Quando, nel corso delle discussioni alle quali partecipava, si trattava di simili questioni, di solito lui teneva lo sguardo fisso nel vino o in lontananza, gli tornavano alla memoria versi sbiaditi oppure completava in silenzio, con un sorriso distaccato, le figure di un gioco che a poco a poco prendeva forma nella sua mente.

Gli ufficiali e i consiglieri pi importanti vi prendevano parte senza immaginarselo. Non appena avesse terminato di modellare le figure, nella sua mente il gioco si sarebbe svolto su una scacchiera inventata con cento caselle. Non aveva ancora pensato alle regole, dal momento che continuava a occuparsi del gioco prima del gioco, di dare forma alle figure. Erano figure di animali immaginari, non prive di una loro valenza simbolica, descritte in forbiti esametri muti. Tra le figure c'erano Parmenion, l'astuto cinghiale grigio dei monti della Macedonia (Callistene omise il suo scambio epistolare con Aristotele perch gli dava fastidio); Demaratos, rospo verrucoso dalla lingua triforcuta; Hephaistion, gru tronfia e vanitosa che di tanto in tanto saltellava per dimostrare di essere in grado di volare, se solo l'avesse voluto; Krateros, orso rabbioso, traboccante di forza; Koinos, il toro prestante, con quattro zampe salde sul terreno; Ptolemaios era un problema: donnola oppure ariete? Si impegn in questo gioco anche nelle successive sedute di consiglio che ebbero luogo negli intervalli delle marce, alla sera, quando l'accampamento si trasformava da tempesta in zefiro. Ascoltava le notizie che giungevano da lontano sulle battaglie tra le truppe macedoni e i successori persiani del defunto Memnon; era presente quando il messo di Parmenion annunci che Dario stava avanzando nel bassopiano siriaco e presto sarebbe giunto nei pressi dei due passi, attraverso i quali avrebbe potuto irrompere verso la costa. Durante le discussioni, mentre i suoi aiutanti, quando era ammessa la loro presenza, annotavano i dettagli pi importanti, Callistene scriveva agli amici lettere ricolme di perfidia, piene di frasi tortuose e traboccanti di allusioni. In tal modo comunic ad Aristotele che si trovavano in un paesucolo costiero senza importanza, il cui nome nessuno aveva mai sentito n in seguito avrebbe pi sentito, sulle rive di un fiume insignificante, e che Alessandro contrattava con Parmenion per la giusta distribuzione delle truppe. Che questa era una delle loro occupazione preferite; che ultimamente si era passati a impiegare singoli reparti di truppe in modo indipendente, dedicandosi a giochi assurdi come "se Koinos marcia con la sua taxis attraverso i monti, passando per A, fino a X, quante vettovaglie servono alla taxis di Perdikkas per poter compiere il percorso fino a X passando per B, in modo da giungervi mezza giornata prima di Koinos?" e a simili sciocchezze. Eppure era del tutto evidente che un esercito indiviso, coeso, aveva maggiore impeto e forza di combattimento e rendeva superflue simili sofisticherie,

mentre i presunti vantaggi delle piccole unit indipendenti erano illusori. Che anche Aristandros aveva scoperto la mistica dei numeri, e in particolare del numero tre. Che si era discusso anche di questo: un segno della barbarie non ancora sufficientemente ellenizzata di certi macedoni. Che il veggente aveva udito tre galli notturni, il sacerdote aveva visto tre cigni, l'indovino aveva macellato tre agnelli; la triplice triade prometteva felicit in quel luogo: proprio in quel villaggio senza importanza su un fiume insignificante! A edificazione del nobile zio e per soddisfare la sua mente eternamente affamata di fatti, Callistene alleg la bella copia delle annotazioni dei suoi scrivani. Per parte sua, diede loro soltanto una breve occhiata: gli sembrava che si trattasse nuovamente di uno di quegli osceni elenchi militari... Parmenion, che aveva occupato i valichi a nord, si allontan dalle sue truppe per consigliarsi con Alessandro. Si avvicinava l'immenso esercito del Gran Re; Dario tuttavia non aveva alcuna fretta, oppure tentennava. Per accrescere la mobilit dei soldati, aveva fatto condurre a Damasco, sotto scorta, le salmerie, il tesoro e la maggior parte delle donne; ora attendeva nelle pianure siriache... ma che cosa? In ogni caso, diceva Parmenion, tutte le citt della regione erano rafforzate, nella loro resistenza contro i macedoni, dalla vicinanza dell'esercito pi potente dell'epoca. Alessandro rimase per un po' in silenzio; il suo sguardo cercava alternativamente i volti dei consiglieri e degli ufficiali che erano nella tenda insieme a lui: i taxiarchi Koinos, Krateros, Perdikkas, Meleagros, Amyntas e Ptolemaios il Seleucide; Parmenion; i suoi figli Nikanor, capo degli ipaspisti, e Philotas, capo della cavalleria degli etri; Protomachos, Ariston, Antiochos, Attalos, Sittalkes e gli altri comandanti dei singoli reparti; i "politici" intorno a Demaratos: Seleukos, Leonnatos, Ptolemaios il Lagide, Laomedon; gli altri alti ufficiali dello stato maggiore come Kleitos, Hephaistion, Antigenes e Lysimachos; Eumenes e i suoi scrivani. Tu che cosa faresti Parmenion, padre mio, se fossi Dario? chiese alla fine Alessandro. Parmenion fece una smorfia. Sei fortunato che io sia Parmenion; se fossi Dario, saresti perduto. Ha quasi il triplo dei soldati rispetto a noi, tra cui mercenari ellenici di prima categoria; i suoi cavalieri da soli sono tanti quanti tutti i nostri soldati. Io, amico mio e re Alessandro, darei l'assalto ai passi, li occuperei e ti seguirei. Non ti

attaccherei: ti seguirei soltanto, in modo che tu non possa prendere una citt, bere un sorso d'acqua, sgozzare un pollo senza essere disturbato. Cos prima o poi dovresti attaccare, attraversare i monti, raggiungere la pianura dove i suoi cavalieri sono superiori. Giorno e notte, durante il cammino, i cavalieri infastidirebbero il tuo esercito, e il mio, vale a dire quello di Dario, non ti offrirebbe battaglia, ma continuerebbe a sottrarsi. E poi, re dei macedoni, quando tu ti trovassi con i tuoi uomini ai margini del deserto privo d'acqua e di strade e, non riuscendo a trovare il nemico, ti dessi per vinto e cercassi di ritornare in patria, allora io ti tenderei una trappola e ti farei a pezzi con la mia superiorit. Alessandro annu lentamente, pensieroso. Anch'io agirei in modo simile, ma bello sentirlo da te, Parmenion. Quindi noi sappiamo che cosa non possiamo assolutamente fare. Non dobbiamo spingerci nella pianura, n accettare una strategia di logoramento, n aspettare. Che cosa possiamo fare? Attaccare rispose Krateros. Solo: dove, e come? Se lui si ritira come farebbe Parmenion... Continuarono a discutere il problema in ogni suo aspetto, da ogni punto di vista. Callistene paragon Laomedon a un gatto che avrebbe dovuto essere grasso per realizzare le proprie aspirazioni, e il comandante degli agriani, Attalos, a un picchio, i cui movimenti violenti del capo e i cui gesti colpissero a vuoto perch non erano indirizzati contro il legno, ma contro la sabbia. Era da molto tempo che non prestava pi ascolto, quando Alessandro si rivolse a Demaratos. Di quanto tempo hai bisogno per assicurarti che Dario riceva certe informazioni? Il corinzio scambi un'occhiata con Parmenion. Si trova ancora dove, secondo le tue informazioni, era ultimamente? Bene; diciamo tre giorni. Di quanto tempo ha bisogno per giungere fin qui, se si mette immediatamente in marcia, Parmenion? Il vecchio stratega mostr i denti; nella tenda era sceso il silenzio. Fin qui a Isso? Se quello che vuoi fargli sapere lo attirasse davvero... cinque giorni. Quindi otto in tutto. Alessandro si appoggi all'indietro, puntandosi sui gomiti, e fiss l'oscurit fumosa sotto il culmine della tenda. Che cosa stai covando, figlio mio? chiese Parmenion; la sua voce suon quasi amorevole. Alessandro si rimise a sedere e sorrise. Faremo in questo modo, amici miei: Parmenion, tu ritiri le tue truppe, liberando il territorio intorno al passo. Noi lasciamo qui i nostri feriti, i malati e un po' di provviste, con una minima

copertura; oltre a tutte le navi che riusciamo a trovare. Verranno costruiti capanni, granai e depositi; inoltre costruiremo, almeno a grandi linee, un porto fluviale sulla foce. Tu, Demaratos, sfrutta i tuoi uomini per far sapere ai persiani che stiamo trasformando Isso nel nostro principale punto d'appoggio. Poi ci metteremo in marcia verso sud e occuperemo il valico meridionale verso la Siria. Parmenion inspir profondamente; non disse nulla, si limit ad annuire e rivolse al re uno sguardo raggiante. Che cosa... perch tutto questo? chiese Eumenes che rosicchiava un osso di pollo ed evidentemente aveva afferrato solo una parte dei ragionamenti. Per due ragioni disse Alessandro rilassato. Se noi consolidiamo questo buco quaggi, Isso, Dario dovr per forza cercare di impadronirsene. In tal modo ci taglierebbe contemporaneamente i collegamenti con la madrepatria e ci porterebbe via la quantit immensa di provviste, armi e denaro che si presume che abbiamo lasciato qui. E per farlo, si infiler in questa stretta vallata fluviale, nella quale non potr impiegare i suoi cavalieri come nella pianura; allora noi ritorneremo. Io disse Parmenion ancora con un sorriso raggiante se fossi Dario lascerei l'esercito nelle pianure siriache e prenderei Isso solo con una piccola parte delle truppe. E tu allora che faresti, ragazzo? Alessandro si alz in piedi, si avvicin a Parmenion e gli mise entrambe le mani sulle spalle. Allora, padre mio Parmenion, ci dirigeremo verso Damasco attraverso il passo meridionale e gli porteremo via la citt, le salmerie e il tesoro. Allora avremo davanti a noi la Fenicia, i porti importanti che dovranno richiamare immediatamente le loro navi. E a quel punto, se non prima, Dario sar costretto ad attaccarci. Alle nostre condizioni..

Durante la marcia, almeno per qualche giorno l'autunno cedette il passo all'inverno. Un vento gelido, proveniente dall'interno dell'Asia, spazz le montagne costiere, venti ore di pioggia sferzante resero le strade pesanti e faticose. Callistene si strinse nel suo mantello di cuoio, lasci che il suo cavallo seguisse gli animali degli ufficiali e rimugin semiaddormentato sul suo argomento preferito: lo spirito delicato di Callistene che attraversava il fango dell'Asia

insieme ai barbari macedoni, anzich ricrearsi con buoni amici di spirito ellenico e leggere gli scritti raffinati di autori raffinati su personaggi raffinati.

Smise di piovere quando giunsero a Myriandros, un'altra citt di secondaria importanza su quella costa di secondaria importanza. Era tardo pomeriggio; Alessandro ordin di erigere l'accampamento al di l della citt, nella pianura fluviale, e cavalc avanti e indietro per incoraggiare i soldati, esausti e infangati, e parlare con i capi. Callistene lo accompagn per una piccola parte del cammino, sino alla taxis di Krateros, dove il re, tutto sporco come i suoi uomini, tenne un breve discorso seduto in groppa a un Bukephalos imbrattato di fango. Avete l'aspetto... che ho io. Risate. Tutti belli riposati, in salute e rinfrescati dai bagni di fango, non vero? Spero che il vento cambi di nuovo direzione e spiri dal mare, in modo da sospingere il nostro profumo squisito verso l'interno dell'Asia. Amici, potrete lavarvi subito. Ho fatto in modo di far scorrere qui un fiume che ieri non c'era; ho fatto tutto questo nella mia regale benevolenza e preoccupazione per il benessere di tutti voi, e per la vostra pulizia. Vi laverete, luridi maiali, fino a che splenderete tanto da accecare gli occhi da civetta di Pallade nella lontana Atene. E radetevi, ragazzi. Nel giro di qualche giorno intendiamo scompigliare la barba ai persiani; allora mi auguro che abbiate tutti le guance lisce, in modo che quelli non vi possano prendere per i peli. Uomini, puzzate: su, tutti insieme nell'acqua! Scuotendo il capo e reprimendo un sogghigno, Callistene discese nuovamente il fiume a cavallo. Dietro di s ud risuonare risate, sghignazzi e colpi di tosse; grazie alla magia della sua persona e delle sue parole, Alessandro aveva cancellato la stanchezza e la fatica della lunga marcia, accresciute dal fango e dal pantano. L'elleno decise di ripulirsi. Affid il suo cavallo agli scrivani e agli schiavi e percorse a piedi la strada che portava all'abitato. Myriandros poteva contare quattromila abitanti: contadini, pescatori, artigiani, qualche mercante, una dozzina di osterie.

Al di fuori delle mura piene di buchi, da molto tempo prive di riparazioni (la guarnigione di persiani e mercenari fenici era fuggita), c'era un grande spiazzo per le carovane, e nel complesso era tutto grigio e desolato come il crepuscolo: un progressivo oscurarsi delle nuvole, niente pi sole in vista, niente tramonto. Sulla spiaggia (non c'era un porto) si trovavano numerose piccole imbarcazioni, pi al largo erano ancorate alcune navi di dimensioni maggiori. Da lontano vide Demaratos accovacciato su una barca rovesciata, che contava i tarli e gettava la sabbia in acqua. In una delle osterie Callistene trov una camera piuttosto pulita, con un letto e coperte che non avevano bisogno di essere prima disinfestate con il fumo, l'oste, mezzo assiro e mezzo fenicio, procur all'elleno una prostituta abbastanza pulita, che lo aiut a rilassarsi; pi tardi, nella sala da pranzo, mangi una ciotola con diversi generi di carne e verdure ben condite, dopo di che si ubriac con un mercante cretese che preconizz la grande rivolta ellenica, l'occupazione di Creta da parte degli spartani e l'imminente crollo dell'esercito macedone. Callistene dorm fino al mattino, fece un'abbondante colazione e non si lasci turbare dai segni di agitazione dentro e fuori dal centro abitato. Nel primo pomeriggio, quando usc per raggiungere nuovamente l'accampamento, vi trov soltanto uno dei suoi scrivani, due schiavi e le loro rispettive cavalcature. L'esercito era scomparso. Mentre inseguivano a cavallo le truppe dirette verso nord, lo scrivano gli rifer che al mattino, sulla spiaggia davanti a Myriandros, era giunta una delle navi degli esploratori. Il giorno prima l'esercito di Dario aveva raggiunto Isso, massacrato i malati e i feriti lasciati indietro e saccheggiato le provviste; sicuramente vi si sarebbe riposato per alcuni giorni. Che cosa dice Alessandro? Lo scrivano si strinse nelle spalle. Che cosa deve dire? E inorridito, come chiunque altro, del fatto che i persiani abbiano assassinato tutti quei commilitoni inermi. Ieri a mezzogiorno l'esercito era stanco, ieri sera era lavato di fresco, rasato e rilassato; oggi ribolle di rabbia e vuole vendetta al pi presto possibile. Poco prima della mezzanotte raggiunsero le truppe, che avevano occupato un passo a circa tre parasanghe e mezzo a sud di Isso e si erano accampate all'aperto, senza tende, con qualche fuoco soltanto, protette da sentinelle mandate in avanscoperta. Gli esploratori rimasero fuori per tutta la

notte; poco prima dell'alba, dopo non pi di cinque ore di sonno, i macedoni ripartirono di nuovo. Callistene, spinto dalle circostanze alla fine del lungo convoglio, lungo le strade strette, alternativamente fangose e pietrose, riusc a superare solo le salmerie che procedevano lentamente e che sarebbero giunte in riva al Pinaros molto dopo i soldati. Solo quando la strada abbandon le montagne e discese verso la sottile striscia costiera, l'elleno riusc a far aumentare l'andatura al suo cavallo. Subito a sud del Pinaros la striscia costiera era larga forse cinque stadi; su una delle ultime colline prima di raggiungere La vallata fluviale, Callistene vide un gruppo di portaordini e ufficiali dello stato maggiore; ogni momento qualcuno partiva a cavallo, altri arrivavano da chiss dove, evidentemente ricevevano ordini e poi scomparivano. Quando l'elleno si fu inerpicato in cima alla collina, vi trov ancora soltanto Demaratos ed Hephaistion, circondati da un piccolo gruppo di portaordini; da qualche parte sulla loro destra, in una delle colline vicine, Eumenes stava accovacciato su una pietra piatta. Qualunque fosse stato il compito o la richiesta di Hephaistion, Callistene non lo venne a sapere; prima che raggiungesse il gruppo, il macedone alz il braccio destro, grid qualcosa a Demaratos, mostr i denti bianchi in una specie di sorriso e part al galoppo. Callistene balz gi da cavallo e si avvicin a Demaratos, che aveva posato un piede su una pietra e guardava in basso verso la pianura fluviale. Sotto i brandelli di nuvole sospinti dal vento di mare calante, ai raggi spezzati del sole brillavano migliaia di lance, elmi, scudi: potevano mancare due ore al tramonto. Il terreno era talmente umido a causa del fiume e della lunga pioggia, che i movimenti delle truppe non sollevavano polvere; perfino le tende dell'esercito persiano, in mezzo alle catene di colline a nord, sembravano a portata di mano. Chi arriva troppo tardi disse Demaratos viene punito dalla storia che non pu raccontare. Dove ti eri cacciato, elleno? Callistene non rispose; trattenendo il fiato, guard gi verso le sponde del Pinaros. Stai osservando i vantaggi delle piccole unit indipendenti borbott Demaratos. E lui ha tutto in mente... Almeno da un certo punto di vista i persiani avevano fatto tutto il lavoro: il villaggio di Isso era sparito senza lasciare tracce. A nord della foce del fiume si accalcava la cavalleria, due grandi squadroni uno accanto all'altro e dietro di loro, al centro, un terzo.

Per gli di! La voce di Callistene era roca. E io che consideravo gonfiate le informazioni sulla loro forza! Demaratos segu il suo sguardo e rise a singulti. Questi sono i soldati a cavallo, al comando di Narzabanes. Circa trentamila, pi o meno tanti quanti tutto il nostro esercito. Dario li ha schierati bene, l sulla spiaggia: niente colline, niente pi macerie di case, cos possono muoversi. In modo molto ordinato. Callistene sospir. Che cosa mi sono perso? Il corinzio gesticol con entrambe le braccia. Ovviamente tutto quello che accaduto finora, testa vuota. Mentre in basso reparti di truppe si muovevano avanti e indietro, si spostavano di lato in formazioni differenti e si preparavano chiaramente alla battaglia, cosa che Callistene considerava una follia, per via dell'ora tarda e della lunga marcia, Demaratos gli diede le spiegazioni necessarie. Alcuni informatori avevano comunicato la disposizione dell'accampamento persiano, dalla quale si potevano fare alcune deduzioni: le truppe che dovevano costituire l'ala destra venivano acquartierate di rado dietro la zona di quella che poi sarebbe stata l'ala sinistra. Lungo la strada, durante la marcia forzata di nuovo verso nord, ai secchi ordini di Alessandro i cavalieri avanzarono in mezze ile e i fanti in mezze pentecosiarchie e, due parasanghe a sud del luogo del combattimento, sapevano gi esattamente quale posizione avrebbero dovuto assumere in seguito. Tutte le unit sopraggiunsero, si riunirono con la rispettiva altra met forse a uno stadio e mezzo dalla riva del Pinaros e formarono la falange scaglionata su sedici file, con minimi spazi intermedi tra i blocchi. I persiani, impegnati nei lavori di trinceramento ed evidentemente sorpresi dal rapido ritorno dei macedoni, si avvicinarono alla sponda settentrionale, inizialmente coperti dai giavellottisti e dagli arcieri. Demaratos indic alcuni punti sulla riva del fiume in cui il paesaggio era deturpato dagli sbarramenti non ancora terminati. E' tardi, siamo in marcia da molto tempo; stanno arrivando le salmerie. Indic con il pollice alle sue spalle, dove comparivano i carri e le bestie da soma. Callistene riconobbe Drakon alla testa di un convoglio di medici e sanitari. Dunque si tratta soltanto di una specie di prova? Demaratos sogghign. I duellanti che si fronteggiano, gridano uno contro l'altro, si battono il petto e poi mangiano e se ne vanno a dormire, in modo che lo scontro possa svolgersi l'indomani? Cos crede Dario. Ed bene che sia cos.

Callistene si scompigli i capelli. Se c' una cosa che non posso sopportare, sono i discorsi confusi di un vecchio corinzio. Corse al suo cavallo, balz in sella e cavalc gi verso la valle del fiume. Sulla destra, nelle colline a sud del Pinaros, vide all'improvviso del movimento: i persiani avevano mandato in avanscoperta alcune centinaia di uomini armati alla leggera, per spiare il nemico e impegnare il fianco destro dei macedoni. Callistene strizz gli occhi: non era sicuro, ma gli parve di vedere cavalleria leggera e agriani che avanzavano contro le postazioni sulle colline. Era un diversivo o si sarebbe davvero combattuto presto? Si ferm ancora una volta a met del pendio. Vide il grosso della cavalleria persiana sulla sinistra, al di l del Pinaros; accanto, dietro una protezione di arcieri, i cardaci armati alla leggera; al centro, sicuramente forti ognuno di circa ventimila uomini, due blocchi di mercenari ellenici, facili da riconoscere per l'equipaggiamento uniforme da opliti, e tra di loro la guardia del corpo di Dario, gli Immortali a cavallo o sui carri da guerra. Infine, sull'ala sinistra dei persiani, ancora una volta arcieri e armati alla leggera, e dietro, per tutta la lunghezza dello schieramento, una seconda fila: decine di migliaia di fanti asiatici. Dall'altra parte del fiume dovevano esserci in tutto circa centomila uomini. Improvvisamente i rozzi macedoni delle montagne del nord non erano pi barbari, ma elleni come lui, ed egli ripens ai volti, ai nomi, alle serate insieme. E al fatto che questi macedoni di Alessandro si trovavano tra lui e gli squadroni degli asiatici; che non avrebbe visto mai pi l'agor, l'acropoli e il teatro di Dioniso, se quelli, tre volte tanti di numero, avessero imposto la loro superiorit. Un pugno freddo gli strinse lo stomaco, glielo contorse, gli rivolt le budella. Vide il gruppetto dei mercenari ellenici tra le fila dei macedoni, forse sei o sette pentecosiarchie, che si trovavano dietro la falange con il compito di attaccare, difendere e chiudere i varchi; vide alcune centinaia di mercenari ellenici a cavallo sull'ala sinistra, contrapposti ai trentamila cavalieri persiani; vide i fanti dell'ala sinistra, come sempre agli ordini di Parmenion: giavellottisti traci, arcieri cretesi, le quattro taxeis di opliti di Amyntas, Ptolemaios il Seleucide, Meleagros e Krateros; poi, all'interno dello schieramento di destra guidato da Alessandro, le taxeis di Perdikkas e Koinos, gli ipaspisti di Nikanor, gli etri a cavallo di Philotas con dietro peoni e odrisi e infine, all'estrema destra, arcieri macedoni e

agriani. Li vide, li scrut, li fiss, ma non li scorse distintamente, vide soltanto un nugolo di schiene, di elmi e di cavalli. Dietro le file, invisibili per i persiani, i cavalieri pesanti tessali stavano accorrendo sulla sinistra, per rafforzare la debole ala di Parmenion contro la cavalleria di Nabarzanes. Sent il cuore pulsargli nella gola, nelle tempie, nelle orecchie. In mezzo ai rumori metallici, sent confusamente Alessandro e Parmenion parlare della lunga marcia e del pernottamento sul Granico, e del fatto che Dario non avrebbe potuto prevedere un attacco; poi Parmenion cavalc verso l'ala sinistra, lento e tranquillo, come se andasse a bere un bicchiere di vino insieme a qualche amico, mentre Alessandro, seguito da alcuni etri, attravers la falange nello splendore della sua corazza dorata con l'elmo decorato di bianco, cavalcando lungo la riva del fiume e gridando qualcosa a ufficiali e singoli soldati. Callistene ud solo frammenti come "perfettamente lavati", "barbe persiane" e "nasi sensibili dell'Asia", poi ud da ambo le parti le risate scoppiare come un fuoco di sterpaglie e immagin di vedere i volti increduli sull'altra sponda, ma questa era troppo lontana. A destra, sulle colline, improvvisamente la cavalleria leggera attacc l'avanguardia dei persiani, cos, quasi per caso, come se quello non avesse a che fare con il mondo, con quel pomeriggio e quel luogo. Alessandro e coloro che lo accompagnavano, Hephaistion, Ptolemaios il Lagide e Leonnatos, che poi scomparvero alla sua vista dietro la massa dei combattenti, cavalcarono davanti alle ilai della cavalleria degli etri. Gli arcieri persiani sull'altra sponda continuavano a scagliare frecce al di l del fiume con traiettorie ampie, come se volessero verificare la gittata dei proiettili. Il vento si era calmato; per un momento angosciante nella calma profonda del tardo pomeriggio non si sent altro se non il dolce mormorio del Pinaros, a parte qualche stridore metallico, uno sbuffare, un accenno di brusio qua e l. Presto, pens, gli eserciti avrebbero prevedibilmente, necessariamente, auspicabilmente iniziato a rompere lentamente le righe, a ritirarsi negli accampamenti per la notte dietro la copertura degli armati alla leggera, a ritemprarsi per la carneficina dell'indomani. Un terremoto, un'onda di marea, una tempesta; il terribile allallalai dei macedoni, poi nuovamente un silenzio irreale, nessun grido di guerra dopo quel frastuono. In silenzio, a parte l'ansimare e qualche nitrito isolato, gli etri, i

migliori tra i migliori, si precipitarono all'improvviso, senza alcun segnale, verso il fiume poco profondo; si form il cuneo, con alla testa Alessandro ed Hephaistion, scomparve per un istante in mezzo agli spruzzi dell'acqua, tocc terra sulla sponda sinistra, non galopp pi in linea retta, ma verso sinistra: il cuneo d'assalto obliquo, che non puntava contro i cardaci, non contro i mercenari ellenici, bens direttamente contro Dario e i suoi Immortali, mentre gli arcieri persiani sbandati, schiacciati dai cavalli, dispersi, si ritirarono scompigliando le prime file di elleni e cardaci. A folle velocit, eppure silenzioso come un sogno spettrale, il cuneo si avvicin al nucleo centrale dello schieramento persiano, dove rilucevano i carri da combattimento e le corazze dorate. Per sei, sette, otto respiri, nessuno si mosse a parte gli etri a cavallo e l'avanguardia degli arcieri in rotta. Sembravano tutti paralizzati, congelati, stupefatti, incapaci di compiere un movimento. Alla fine, come una rete a strascico attaccata a una lunga gomena, avanzarono gli ipaspisti e gli etri a cavallo dei due reparti di destra della falange. Poi fu il finimondo. Callistene, l'elleno raffinato, il freddo osservatore dei comportamenti dei barbari, perse ogni senso del tempo e degli avvenimenti, e divenne solo un elemento strepitante del caos. In seguito, nei giorni successivi, quando lui e i suoi scrivani, insieme a quelli di Eumenes, interrogarono ufficiali e soldati, prepararono gli elenchi dei caduti e presero informazioni presso i prigionieri, riusc a ricostruire una specie di quadro d'insieme: l'audace avanzata dei mercenari ellenici della Persia contro il punto pi debole delle file macedoni, laddove l'ala destra all'attacco e quella sinistra in difesa, minacciavano di separarsi; Parmenion, l'incudine che attirava su di s i colpi di cavalieri e fanti in modo che la freccia di Alessandro potesse volare sino al cuore del Gran Re; il crollo delle truppe scelte, gli Immortali di Dario, sotto l'impeto indescrivibile dell'assalto degli etri, la fuga del Gran Re che saltava gi dal carro sulle colline, gettava via scudo e mantello e tutto il resto per poter fuggire a cavallo insieme a un piccolo seguito; l'inseguimento dei fuggitivi, interrotto per soccorrere le unit di Parmenion sotto pressione; l'oscurit che salvava dall'annientamento totale le macerie dell'immenso esercito dei persiani...

Su decisione degli ufficiali Callistene, insieme all'attendente reale Peukestas, figlio di Drakon, era stato incaricato di sorvegliare la tenda di Alessandro e di trattenere il re mentre gli altri preparavano la festa e la sorpresa. Tanto non puoi essere impiegato in occupazioni utili, elleno gli aveva detto Demaratos. A destra e a sinistra del fiume ardevano mille fuochi; come se a rendere omaggio non fossero giunte soltanto stelle isolate ma l'intera Via Lattea, sui manici delle lance ardevano fiaccole: numerose file doppie che segnalavano il percorso attraverso il terreno buio. Callistene era seduto su uno sgabello all'ingresso della tenda del re, beveva vino, osservava lo splendore multicolore delle migliaia di corazze decorate con oro e pietre preziose, delle impugnature delle spade, delle lance ornamentali e dei finimenti che erano ammassati ovunque e riflettevano i fuochi; Peukestas era in piedi dietro di lui, per lo pi immobile e silenzioso, a parte qualche breve osservazione che l'elleno dimenticava subito dopo. Alla luce delle fiaccole era iniziata la raccolta dei caduti, la ricerca dei feriti in grado di sopravvivere e la soppressione di quelli pi gravi. Pi a nord si accalcava una massa scura: migliaia di cavalli depredati, pi grandi, pi forti e pi veloci dei piccoli animali europei. Verso l'entroterra, accanto al recinto dei cavalli, ce n'era un altro, quello dei prigionieri, disarmati e attentamente sorvegliati. Alcuni uomini erano continuamente in movimento: medici, ausiliari, portatori, schiavi; sui fuochi si arrostiva la carne proveniente dalle abbondanti provviste dell'accampamento persiano, il vino scorreva a fiumi impetuosi e lavava via ogni tristezza, stanchezza e ritegno. Una parte delle salmerie macedoni, tra cui la tenda grande del re e quella pi piccola, era stata trasportata sulla sponda settentrionale. Alessandro, insieme con una parte della cavalleria degli etri, dopo la fine dello scontro sull'ala sinistra era ripartito a cavallo nella notte per cercare Dario, sia pure senza eccessive speranze. E contro il consiglio di Parmenion il vecchio stratega vedeva il giovane re spiato da cinquantamila persiani che potevano interrompere la fuga per ottenere ugualmente, dopo la sconfitta, la vittoria grazie a un unico colpo di giavellotto; vedeva

Alessandro addentrarsi nel buio impenetrabile, precipitare in una gola, cadere da un ponte traballante, rompersi l'osso del collo sotto il suo cavallo imbizzarrito. Ma Alessandro torn indietro, neppure un'ora dopo essere partito. I soldati accorsero da ogni parte, circondarono il loro re, gli gridarono qualcosa, volevano sollevarlo da cavallo e prenderlo sulle spalle. Alla luce delle fiaccole Callistene vide Alessandro scivolare gi, lentamente e con cautela, da Bukephalos e ritirarsi con Peukestas nell'interno della tenda. Ci volle qualche tempo prima che il tumulto si calmasse e Alessandro congedasse provvisoriamente i guerrieri e gli etri. Udirono i passi, la voce del re, bassa e trattenuta, quella di Hephaistion, chiara e tagliente, poi un rumore sordo, come se qualcuno fosse inciampato su qualcosa, il grido di dolore di un ferito che si risvegliava da una pietosa incoscienza, la voce di Hephaistion: Uh, questo ha le budella di fuori; eliminatelo!, e l'ordine di Alessandro: Lasciatelo! Che cosa c', amico? . Una voce roca rispose: Un dono dopo la vittoria, signore?. Certo, amico mio. Che cosa desideri?. La tua spada. Con voce dolce e suadente, quasi paterna, Alessandro disse: L'avrai, guerriero vittorioso. Un suono metallico, un gemito sordo; poi, sempre dolce e molto triste, Alessandro ordin: Portatelo insieme agli altri; domani tributeremo loro gli onori. I passi si avvicinarono; Hephaistion borbott qualcosa sugli attendenti di rango inferiore con i quali i principi non avrebbero dovuto avere rapporti, e Alessandro sospir. Tu continui a non sapere che cosa vuol dire essere re, non vero? Hephaistion scoppi in una breve risata; si ud il fruscio di un tessuto come per un rapido gesto del braccio. Avrebbero potuto almeno farti luce nella tenda, Achille. Alessandro vi entr, seguito da Hephaistion. L'unica fiaccola che era al centro illumin due guerrieri imbrattati di sangue. Hephaistion non sembrava ferito, ma solo sporco; Alessandro sanguinava da numerose ferite: un taglio al volto; un colpo di lancia che gli aveva raggiunto la spalla; una ferita di pugnale alla coscia, dalla quale stava srotolando uno straccio rosso scuro. Zoppicava parecchio; si appoggiava con la mano sinistra sulla spalla di Hephaistion. Salute al sovrano vittorioso disse Callistene che ha sconfitto le schiere del Gran Re, le orde dell'Asia, le ha

scompigliate come fa la tempesta con le foglie secche. Hephaistion gemette; Alessandro serr le labbra. Il mio alloro Callistene? Allora avrei preferito perdere disse con voce fioca. Che cosa succede qui? I tuoi nobili amici stanno preparando una festa per te. Questo servitore ed io dobbiamo accompagnarti, in modo che tu non ti perda. Alessandro fece un gesto stanco con la mano; Callistene and avanti, mentre Peukestas si mise di retroguardia. Dopo circa trecento passi, la stretta via delle fiaccole termin- sotto il cielo stellato si stagliavano i contorni di una tenda enorme. Dall'interno proveniva una luce fioca. Se permetti... Callistene fece alcuni passi veloci per sollevare il pesante tendone davanti all'ingresso; in quel momento il tessuto vol via e apparve un persiano grasso, con i capelli grigi, in abiti di seta, che si gett a terra, tocc Alessandro con la fronte e sollev le mani davanti a lui; poi, in buon ellenico ma con voce quasi piagnucolosa, disse: Non oso aprire la modesta tenda del Gran Re al glorioso vincitore, al re dei macedoni. Perch non osi farlo, custode del tesoro? chiese Alessandro reprimendo un sorriso. E' misera e senza alcuno splendore, principe del Nord; soltanto una semplice tenda da campo. Gli alloggi migliori, nei quali viene preservato e accresciuto il benessere del corpo, si trovano a Damasco. Alzati in piedi. Va bene. Quello che bastava a Dario sul campo, accontenter anche me. Non oso mormor il persiano, ma nel frattempo si alz in piedi, si inchin pi volte e cedette il passo. La tenda era divisa in due; dalla parte pi interna, la met pi grande, provenivano voci, il tintinnio dei bicchieri, ma tutto in modo sordo, attutito da pesanti tendoni. Nella parte anteriore sembrava che Dario facesse il bagno e dormisse pi di frequente. Callistene si guard intorno e sospir; con la coda dell'occhio scrut il volto di Alessandro, che era irrigidito in una maschera di stupore. La piccola e misera tenda da campo del Gran Re era costituita esteriormente da teli di cuoio decorati e ricamati. I pali di legno nero erano impreziositi da intagli geometrici, ricoperti d'oro, d'argento e di pietre preziose; si perdevano nell'oscurit che regnava nella parte superiore della tenda. Lampade a olio dai grandi lucignoli, fatte di vetro multicolore, di sottili scagliette d'ambra, di pelle umana ricoperta d'oro, la illuminavano tutta. Le pareti interne erano costituite da teli bianchi, di lino intrecciato con fili

d'oro e bordato d'argento; sopra l'ampio letto in legno nero, legno chiaro, decorazioni d'avorio e metalli nobili, le gambe simili a colonne, con pietre e perle su tutta la lunghezza, ingombro di cuscini imbottiti, morbide coperte e lenzuoli di lino di un bianco accecante, era appeso un quadro, un telaio di seta sottilissimo. Rappresentava cime montane arrotondate, un lago di un azzurro incredibilmente chiaro, un paesaggio estremamente tranquillo e piacevolmente rilassante. Ovunque erano appese pelli di leone, di leopardo e di tigre, alternate e inframmezzate a piccoli uccelli colorati, impagliati e disposti con abilit, grandi scudi araldici dorati con strane iscrizioni o simboli, spade decorate d'oro dall'impugnatura scintillante, uno specchio alto come un uomo, di argento lucidato dentro un telaio d'oro. Il pavimento era costituito da sette o nove strati di tappeti pesanti, splendenti di ogni colore. Da tutte le parti c'erano cassapanche scure, intagliate, decorate con cerniere d'argento e serrature d'oro. Su una di queste c'erano magnifiche vesti intessute d'oro, su un'altra lo scrittoio del Gran Re: di semplice legno nero, con recipienti per l'inchiostro in oro, una penna d'aquila appuntita per scrivere, uno stilo d'oro per incidere le tavolette di cera. Schiavi muscolosi, dalla pelle scura, quasi nera, trascinarono fin l due vasche nelle quali era possibile stare distesi, diversamente che nei mastelli con il sedile di legno del re macedone. Queste vasche erano di oro puro, dai riflessi caldi. Dodici schiave dalla pelle chiara, adorne di gioielli preziosi e per il resto nude, si inginocchiarono davanti alle cassapanche; a un cenno del persiano grasso, strisciando sulle ginocchia si avvicinarono ad Alessandro e a Hephaistion per spogliarli. Su una stufa di ferro con i piedi di leone e le ante a forma di ali d'aquila c'erano recipienti di metallo pieni d'acqua riscaldata, con accanto, sul pavimento, brocche d'acqua fredda. Tavoli leggeri con le gambe arcuate e intagliate reggevano centinaia di vasetti e recipienti per unguenti; il profumo che emanavano si mescolava a quello delle lampade, al cui olio erano state aggiunte essenze di ogni genere: rosa, cinnamomo, sesamo... Come intontito, Hephaistion si lasci spogliare dalle schiave; Alessandro fece cenno alle fanciulle di allontanarsi e si liber da solo di corazza e chitone, mentre diceva assorto, quasi trasognato: Dunque essere re vuol dire questo. E restare re vuol dire questo. Callistene schiocc le dita: sei opliti macedoni, con elmo, pettorale, gambali, xyston e

spada corta, spuntarono dagli angoli oscuri tra i teli, si portarono il pugno al cuore e si ritirarono nuovamente con un lieve sorriso. Peukestas, scomparso senza dare nell'occhio, comparve di nuovo; lo seguiva l'amico medico di Alessandro, Philippos, che pul le ferite del re, controll la temperatura dell'acqua, durante il bagno parl del ferimento e delle gesta eroiche di alcuni uomini e, dopo il bagno, medic Alessandro prima di lasciarlo (insieme a Hephaistion) alle dita abili e grassocce del massaggiatore di Dario.

Anche la tenda grande era pi che sfarzosa: era un sogno regale. Anche qui pesanti tappeti multicolori sui quali i consiglieri, gli ufficiali e gli amici di Alessandro camminavano a piedi nudi dopo aver sopportato, con un sogghigno o un'espressione di disagio, che alcuni schiavi lavassero loro i piedi; anche qui pareti decorate, oro e pietre preziose. Tra i giacigli imbottiti o coperti da tessuti pesanti c'erano piccoli tavolini pieghevoli e pesanti scaffali scuri con delicati lavori d'intarsio (Laomedon, che se ne intendeva pi degli altri, parl di ossa d'elefante), sui quali torreggiavano vassoi d'oro e d'argento con torte dolci, frutta sciroppata ricoperta da uno strato sottile di zucchero, pietanze di carne e focacce ripiene ottimamente speziate. Gli schiavi correvano avanti e indietro e versavano da brocche d'oro e d'argento vini squisiti e profumati in bicchieri che erano alberelli argentati o teste d'animale dorate, con i tralci lavorati a sbalzo e i frutti o gli occhi di pietre scintillanti. I macedoni si stravaccarono su quei giacigli con le vesti insanguinate; bevvero da quei bicchieri, mangiarono da quei vassoi e da quelle coppe. Su bracieri di ferro, carichi di carbone di legna e incenso, erano appoggiate griglie riscaldate dal basso, con sopra sottili bastoncini di cedro. Colonne di legno ricoperto d'oro si ramificavano in tre, cinque o sette braccia, con i pugni riprodotti in modo perfetto, che reggevano fiaccole realizzate con legno di pino o di cedro, e dentro palline d'incenso. Anche qui, su sostegni preziosi o pesanti cassapanche, le lampade a olio multicolori lambivano ogni cosa dando vita a giochi di luce irreali e

innumerevoli ombre. Musici asiatici ed ellenici, saltimbanchi e mangiatori di fuoco, ballerine flessuose li intrattennero durante il banchetto. Alessandro doveva provare dolori violenti, anche se non lo dava assolutamente a vedere. Tuttavia, su consiglio di Philippos, eccezionalmente beveva vino. Molti degli altri si addormentarono sui giacigli o si congedarono dal re e barcollarono esausti fino alle loro tende. Pi tardi, quando ci fu pi silenzio, si udirono alcune donne piangere, dapprima debolmente e poi in modo sempre pi deciso. A un certo punto Alessandro si sollev dal giaciglio e alz la mano. Che cosa sono questi lamenti? Cerc di alzarsi in piedi, si tocc la coscia fasciata e ricadde all'indietro. Laomedon si schiar la voce; il suo volto era volutamente inespressivo. La madre, la moglie e i figli del Gran Re. Abbiamo eretto le loro splendide tende accanto alla tua. Alessandro fiss Laomedon come se avesse appena affermato che i deserti dell'Arabia erano fatti di formaggio. Chi sono? Parmenion sbuff. Hai sentito bene. A Damasco ha mandato le cose importanti: il tesoro e l'equipaggiamento pesante. Oggi, nel fuggire, ha lasciato qui qualche cosuccia insignificante. Madre, moglie e figli. Alessandro sembrava sul punto di vomitare. Che cosa ha lasciato qui? Madre, moglie e figli? Incredibile, non vero? E ancora qualche altra cosa. Questa misera tenda, per esempio. E un po' d'oro e d'argento, monete e recipienti; e altre donne, per il divertimento dei nostri uomini. . . Leonnatos indic la parete della tenda attraverso la quale sembravano provenire i pianti. Non sapevamo bene che cosa fare di loro. E' il tuo bottino, Alessandro. Non possiamo semplicemente sbatterle insieme ai guerrieri prigionieri. Alessandro si pass una mano sugli occhi. Si pu perdere una battaglia e restare sovrani. Ma questo... non ha pi nessun diritto di definirsi signore di nulla. Credo disse Laomedon a mezza voce che non piangano per la paura di ci che le aspetta, ma per la tristezza, chiss, forse anche per l'indignazione. La tristezza di sicuro: hanno visto il suo carro, la sua corazza e il suo scudo. Credo che dovrebbero avere... Tu parli persiano, Leonnatos? L'uomo annu. Bene. I muscoli delle guance di Alessandro si stagliarono in modo netto. Va' da loro. D loro, da parte di Alessandro, che Dario fuggito, ma che, per quanto ne sappiamo, ancora vivo. Non lo abbiamo n catturato vivo, n ritrovato morto. D loro anche che non hanno nulla da temere; conserveranno i loro servitori

e i loro averi, e verranno trattate come ospiti regali. Leonnatos and; Parmenion storse il naso e si rivolse al re. Quando? Alessandro sospir. Dopodomani. Callistene alz la mano. Di che cosa state parlando laggi? Ptolemaios gli diede una spinta. Di Damasco disse piano. Del tesoro, delle armi, della fortezza che difende le strade tra Babilonia, l'Egitto e i paesi nordoccidentali. E' chiaro, sciocco elleno? Leonnatos ritorn indietro. Nell'altra tenda il pianto, pur senza smettere, si era fatto pi lieve. Ho riferito loro le tue parole, ma temo che non mi credano. Alessandro, gemendo, si mise a sedere. Hephaistion scivol gi dalla sua kline, gli si avvicin e lo aiut a rialzarsi. Andiamo noi due disse Alessandro; si appoggi sulle spalle dell'amico, strinse i denti e lasci la tenda con le sue gambe. Lo segu Callistene e altrettanto fecero Laomedon e Demaratos. Schiavi o servitori, tra cui un persiano dai capelli grigi, i lineamenti fini e l'atteggiamento energico, li precedettero e aprirono la tenda delle donne; l'uomo con i capelli grigi disse qualcosa in iranico. Nella parte pi interna della ricca tenda si trovava, velata, Stateira, moglie e sorella del Gran Re, di cui si diceva che fosse la donna pi bella dell'Asia. Aveva circondato con le braccia i suoi figli, due femmine e un maschio. Sisygambis, la madre di Dario e di Stateira, indossava una semplice veste da lutto chiara e si era tolta i gioielli. Aveva avvolto intorno ai capelli un panno bianco, che lasciava scoperto soltanto il volto e soprattutto i grandi occhi pieni di dolore. Rivolse lo sguardo prima ad Alessandro e poi a Hephaistion; entrambi indossavano soltanto un chitone bianco pulito. Alessandro aveva messo piede per primo nella tenda, come se fosse un araldo; Hephaistion era pi prestante ed era entrato per secondo. Sisygambis si gett a terra davanti a lui, gli tocc i piedi e mormor qualcosa che termin in un secco singhiozzo. Hephaistion, visibilmente imbarazzato, indic Alessandro; l'uomo dai capelli grigi disse di nuovo qualcosa in iranico. Sisygambis alz gli occhi verso Alessandro; in un ellenico quasi perfetto, disse: Perdona il mio errore imperdonabile, grande re. Alessandro sorrise, si pieg in avanti, le porse la mano e la fece alzare. Quindi mise il braccio intorno alle spalle di Hephaistion. Non ti preoccupare, principessa. Anche lui Alessandro. Per

molti respiri nessuno disse nulla. Alessandro e la madre del re si guardarono reciprocamente negli occhi; a poco a poco il volto di Sisygambis si rasseren. Anche Alessandro sembrava pi disteso. L'uomo dai capelli grigi avanz di mezzo passo. Questa, nobile sovrano, la madre del Gran Re. Dal momento che voi elleni, con rispetto parlando, non siete in grado di pronunciare i nostri nomi nel modo in cui andrebbero pronunciati, voglio dirvi che in ellenico il suo nome dovrebbe essere Sisygambis. Tuttavia.. . Alessandro lo interruppe con un piccolo ma inequivocabile gesto della mano: come se tagliasse via qualcosa. Qui non abbiamo bisogno di te; vai fuori a contare le stelle. Quindi si rivolse a Sisygambis. Nobilissima Tshissagambysh sorrise dolcemente tu faresti a noi, e soprattutto a me, un grande onore accettando la nostra ospitalit. Tu, tua figlia e i tuoi nipoti. Ho dato ordine che non vi trattino come prigionieri, ma come ospiti regali. In quanto figlio di una regina, biasimo profondamente il modo in cui si comportato l'indubbiamente nobile Darayava'ush, che ha abbandonato sua madre e sua moglie con i figli. In quanto re, tuttavia, mi considero fortunato perch un onore raro quello di poter accogliere ospiti tanto nobili. Sisygambis fece un inchino quasi impercettibile. Ti ringrazio, signore dei macedoni. Ma dimmi: che cosa sai della sorte di mio figlio? Il volto di Alessandro si oscur. E' fuggito. Per poter fuggire pi rapidamente, si sbarazzato di alcune cose. Del suo scudo, del suo mantello, del suo carro. E di voi. La donna chiuse gli occhi e, con voce roca, disse: In questa battaglia tremenda devono essere caduti molti nobili. Amici e parenti. Alessandro annu; la sua espressione era di nuovo dolce. S, Tshissagambysh, sono caduti molti nobili guerrieri da ambo le parti. Si guard intorno e indic Laomedon. Domani questo principe ti accompagner, se vuoi cercare quelli che hai conosciuto e stimato e ai quali vuoi tributare onori, conformemente al loro valore e al tuo giudizio. Sisygambis emise un sospiro e sembr sul punto di inginocchiarsi di nuovo, poi per rimase in piedi e rivolse ad Alessandro un sorriso triste. Sei generoso. Ti ringrazio di cuore, nobile sovrano. Alessandro chin il capo in modo quasi impercettibile. Chiamami Alessandro... madre.

Durante la notte Callistene si svegli circondato da macedoni che russavano. Non li cont, ma potevano essere quasi venti gli uomini che non avevano pi trovato la via del ritorno alle loro tende. Erano distesi sui tappeti, appoggiati ai giacigli, acciambellati sotto i tavoli. Il loro sonno era protetto dalle sentinelle, che stazionavano all'ingresso e davanti al passaggio verso la parte pi piccola, dove Alessandro ed Hephaistion si riposavano e parlavano a bassa voce nell'ampio letto del Gran Re. Le lampade erano tutte spente tranne due nella parte principale e una in quella per la notte; quando Callistene si alz, uno schiavo balz in piedi. L'elleno fece un cenno di diniego e usc per fare un po' d'acqua nella notte, ferita da fuochi stanchi e stelle prepotenti. Quando fu di ritorno, scelse un giaciglio libero pi vicino al luogo in cui dormiva Alessandro e pi lontano possibile da quel tremendo russare. Tuttavia non riusc ugualmente a riaddormentarsi per molto tempo. Ud un movimento vicino a s; strizz gli occhi e guard in quella direzione. Alessandro era disteso sulla schiena e fissava in alto verso l'infinita vicinanza del tetto della tenda; Hephaistion si era messo a sedere e giocava con un rotolo. Devo leggerlo, Achille? Questo il libro in cui si dice come Odisseo si addormenti e Atena si disponga a preparare Nausicaa. Alessandro pass la mano sulla coperta, grattando con l'unghia un filo d'oro. No, non ora, ma grazie lo stesso. Non voglio ascoltare n come Nausicaa perda la sua dubbia verginit, un oggetto senza valore, n come Odisseo dorma. Per lo invidio. Vorrei poter dormire. Il vino non fa questo effetto, su di me. Hephaistion mise da parte il papiro. Ancora tuo padre? Filippo morto tre anni fa e questa sera noi siamo al di l di dove lui avesse mai pensato di arrivare. No, ogni tanto lo sento e lo vedo ancora, ubriaco, con l'occhio rosso sangue, le vene come un intrico di vermi, acceso come un fuoco e mugghiante come un toro... Ma non questo, Patroclo. Il vecchio corinzio l'ha detto anni fa, lass in Illiria, che il vino fa parte dell'amicizia come un sorriso, una mano o ascoltarsi a lungo. In una cerchia di sbronzi, il sobrio diviene sempre pi solo; bere insieme come libare agli di e alle dee dell'amicizia. Rimase per un

po' in silenzio; la mano di Hephaistion accarezz la fronte del re. Alla fine Alessandro disse, a mezza voce: La notte una vipera; fuori dal cerchio di fuoco sono in agguato leoni neri. Il vino non scaccia via la vipera n ammansisce i leoni, ma ce li fa percepire in modo meno netto. Tutti gli Alessandri che sono dentro di me ora non si agitano. Non sono un groviglio di serpenti, ma come... come lance su un ripiano. Forse il vino; far la prova di nuovo. Ridacchi. Mi aiuterai, nelle prossime mille notti? Hephaistion borbott una risposta che poteva essere affermativa. Poi disse: Con quale Alessandro sto parlando ora, Achille? . Con uno che vuole andare lontano. Uno che vuole ammazzare i lattanti. Violare le vecchie. Abbattere divinit. Inseguire Dario. Ricostruire Babilonia. Declamare poesie. Sentire il profumo delle rose.

La sua voce mut; a Callistene corsero brividi gelidi su e gi per la schiena. Un borbottio sdentato: Vino bollente; un fanciullo che mi fa il solletico sotto le piante dei piedi; gli uomini della notte che raccontano storie sul mondo che come un fagiolo... incerto, perduto, disperato in mezzo a mille altri fagioli, un daimon l'ha cotto e l'ha divorato e noi, alla ricerca degli di, non sappiamo che veniamo triturati nel suo intestino. Brama infinita, rabbia infinita: Bersi il mare, spappolare le montagne, annegare i deserti con il mio seme. Roco, perfido, suadente: Eroe bello, dai muscoli duri e i capelli chiari: in te tutto chiaro e duro? Lasciati succhiare, amico... con i denti. Balbettante, impaurito: Il drago-luna, padre; lui... lui cova un uovo; un occhio malvagio; brulica, mi fissa, mi fissa dal fondo di un pozzo, un pozzo pieno di materia purulenta, vi precipito, io.... Hephaistion lo riscosse: Ritorna in te, torna indietro, amico! Devo chiamare Arridaios?. Alessandro rispose con un gemito; Callistene avrebbe voluto essere molto lontano e nello stesso tempo pi vicino a quei due che lottavano con il daimon nell'ampio letto del Gran Re. Si strinse le palme delle mani sulle tempie e cerc di

comprendere che cosa accadesse alle sue spalle, cerc di pensare ad Arridaios, il fratellastro demente, avvelenato, a quel che si diceva, da Olympias quando era piccolo, per spianare ad Alessandro la strada verso il trono; Arridaios, che era tenace volont di vivere e nient'altro, al quale il veleno e la magia avevano portato via l'anima e... l'elleno si irrigid; un'idea folle: che fosse possibile che la strega molossa avesse legato le anime di tutte le persone da lei uccise, avvelenate, torturate, e le avesse costrette a servire, a soddisfare, ad affollare lui, il figlio che per lei non era il figlio di Filippo, ma il ricettacolo del dio? Perch Hephaistion voleva chiamare il fratellastro, a quell'ora di notte, per curare o calmare Alessandro, per una ragione esile, oscura, incomprensibile, non ellenica? La voce di Alessandro parve di nuovo ragionevole, anche se debole. Ah, lascia perdere, Patroclo. La mia testa come un'anfora, ed tutta incrinata. Dalle incrinature lascio trapelare qualcosa di orrendo, di appiccicoso; e qualcos'altro si insinua dentro di me. La notte penetra nella mia testa, se non mi difendo. L'oscura parte inferiore del mondo e delle cose... Hephaistion, il freddo e arrogante Hephaistion, sembrava scosso e ancor pi preoccupato: amorevole? Dremuroso? Se tutto quello che Aristotele ci ha insegnato, se la conoscenza e l'intelletto, diciamo il logos, se tutto questo luce, allora che cos' questo bordo scuro, questa schiuma scura che si muove dentro di me e si avvicina e mi vuole sommergere? Quando uno stanco, il torpore distende il suo mantello sotto il quale ci si pu riposare. E' questa la tua oscurit. Ma tu dimentichi quello che dice Omero, Patroclo, e tu non dovresti dimenticarlo perch ha a che fare con la morte dell'altro Patroclo, amico mio: il sonno e la morte sono fratelli gemelli. Dormire come morire, almeno un poco. Hephaistion rise piano, a singulti. Allora muori un po' ogni notte, Achille, come tutti noi. Se abbracciassi uno dei gemelli e lo stringessi a te, l'altro potrebbe starti lontano pi a lungo. Alessandro sospir. Ma come faccio a sapere quale dei due prendo con me? La mia mente come una lampada a olio: il sonno la spegne. E allora non sono morto? E mentre sono un po' morto, allora chi sono io? Forse allora io sono da qualche altra parte, in un luogo di muco grigio e draghi che covano occhi, dai quali sgusciano occhi... In quel momento chi devasta il mio corpo, chi conduce l'esercito alla perdizione? Considera quello che diceva

Aristotele. L'essere umano al suo interno un sistema di piatti e bilance che deve essere in equilibrio, altrimenti inizia la follia. La veglia, amico mio, deve essere riequilibrata dal riposo e dal sonno. Alessandro rise. Sei bravo a consolare, ma non ti credo. Quando veglio, quando penso, mi trovo nell'ardente sole meridiano della ragione, al quale non possibile sottrarsi. Vedo il mio potere e la mia colpa, non posso nascondermi dalle mie paure n dalle mie vergogne. Ma quando questo bordo oscuro si avvicina, vuole divorarmi: divorare tutto quello che sono io da sveglio; e sotto questo mantello mi rannicchier, gracchier, striscer. Un mantello-daimon. Forse la mano del Signore Oscuro Ahriman; forse hanno ragione i persiani, a ragionare... a percepire in termini di luce e oscurit. La luce sono io e il mio dominio razionale su me stesso; l'oscurit sono io sotto il dominio di qualcosa di estraneo, di mostruoso: un daimon, Ahriman, Thanatos, Hades. Quando veglio, vedo dove sto correndo; quando dormo, non posso vedere dove mi spinge quel qualcosa. E' per questo che ho paura del sonno. Hephaistion si pieg in avanti e baci Alessandro sulla fronte. Tuo padre diceva sempre che poteva dormire perch Antipatros vegliava per lui. Tu non puoi dormire sapendo che io veglio per te? Questo non mi far dormire meglio. Per, Patroclo, mi far godere di pi, molto di pi la veglia. Dopo un silenzio pi lungo, Hephaistion disse: E il vino? Uno degli attendenti? Una donna? Senza dimenticare... l'erede che Parmenion e Antipatros e Olympias vogliono? Il vino, anche se non ti aiuta a dormire, forse rende l'oscurit meno minacciosa; un giovane attendente potrebbe riscaldarti meglio, con pi dolcezza di me; una donna.... Alessandro lo interruppe: Voi, tu e gli altri, mi date il calore di cui ho bisogno per rendere malleabile, plasmabile e utilizzabile il mastice che deve riparare le incrinature dell'anfora. Un fanciullo, una donna per una notte... e quando mai sarei stato casto?. Io parlo di una moglie, Alessandro; di una regina, la madre del tuo erede. Non di una che giochi con i tuoi lombi. Questo mi legherebbe a un luogo. Io voglio andare avanti. Devo andare avanti. La regina e i figli possono rimanere in un luogo stabile, sicuro. Mentre tu prosegui. Ah, ora sono gi pi di uno: i figli. E perch no? Riflettici: che cosa sarebbe accaduto se oggi un giavellotto ti avesse ucciso? Antipatros tiene in ordine l'Europa; Parmenion, Krateros

Philotas, con l'aiuto tuo e di altri, riporterebbero in patria l'esercito; i macedoni eleggerebbero un nuovo re. E questo non ti preoccupa? Ti indifferente chi sarebbe il nuovo re? Perch non tuo figlio? Che cosa m'importa di quello che accade dopo la mia morte? Se, come dicono i filosofi, sono un essere umano come tutti, come tutti sar finito e non parteciper pi alle cose. Se, come assicurano Olympias e Aristandros, sono il ricettacolo di un dio e diventer io stesso un dio, potr guardare gi dall'Olimpo e divertirmi con gli errori dei miei successori. Hephaistion sbuff. Tu ti rifiuti di pensarci. Ho paura di quello che comporterebbe. Paura? O per gli di: la paura dell'impavido! E di che cosa avresti paura? Di tutto quello che c' qui: la ricchezza della tenda, il nuovo modo di essere re. La sua voce si fece seria, quasi severa. Tu non capisci, Patroclo: il sistema di piatti, aste e bilance che dentro di me in equilibrio o almeno lo spesso, perch posso dominarlo. Ogni cambiamento dovrebbe comportare un nuovo bilanciamento. Non sto parlando dei cambiamenti di luogo: possiamo arrivare fino agli estremi confini del mondo, combattere con i titani, abbattere gli di e ridurre in polvere le montagne, senza che questo cambi davvero qualcosa. Ma quello che c' qui: un giaciglio morbido, cibi squisiti e raffinati, passare dall'acqua al vino, sono questi i cambiamenti di cui adesso ho paura. Una moglie... l'amore o l'odio di una moglie, l'amore che vorrei dare a un figlio generato da me: questi sarebbero cambiamenti enormi. Forse sarebbero cambiamenti positivi, verso la parte luminosa; ma dovrebbero essere equilibrati da nuovi contrappesi dalla parte del daimon. E provo orrore a pensare a tutti gli Alessandri che allora potrebbero scivolare fuori dalla mia ombra..

7. Il crepuscolo del cantore.

Fu l'inverno pi orribile di cui Dymas riuscisse a ricordarsi; e l'ultimo insieme a Tekhnef. Pella, Aloros, Aigai, Methone, Dion, Herakleia, poi verso la foce del Tempe; quell'autunno afoso, eccessivamente caldo, li aveva seguiti fin l. Alla sera avevano suonato per i sottostrateghi della vallata fluviale, presidiata dalle truppe scelte macedoni, l'unico passaggio agevole verso la Tessaglia e l'Ellade; in quella notte soffocante si erano messi a dormire sotto le stelle ardenti, in una terrazza alberata al di sopra del fiume. Si erano risvegliati tremanti sotto una pioggerellina fine, nuvoloni bassi e un gelido vento di nordovest. Avevano cavalcato fino a Larissa, dove erano rimasti per venti giorni, avevano suonato nelle osterie e si erano procurati abiti invernali da mercanti di stoffe e sarti. Da quella notte nel porto di Pella, non avevano quasi pi parlato tra loro, se non di cose banali o riguardanti le necessit della vita quotidiana. Tekhnef sembrava aspettare qualcosa, ma non voleva o non era in grado di influenzarne lo svolgimento. Dymas guardava se stesso, per cos dire, dall'alto in basso, si vedeva cambiato, distrutto, ma si sentiva stranamente impotente. Nemmeno la rovina della sua musica lo toccava realmente. Le dita si impegnavano con le corde, ma la sua anima era dall'altra parte del mondo. I pezzi che suonavano si trasformarono in edifici disabitati, attraverso i quali l'aulos di Tekhnef soffiava come il vento del nord. All'inizio i muri, le pietre, le strutture ressero; ma a poco a poco, nel giro dei pochi giorni trascorsi a Larissa, le pareti iniziarono a sbriciolarsi: le dita e le corde persero la loro intesa e il musico, che gli esigenti ateniesi definivano come il citarista pi abile dell'ecumene, inizi a produrre suoni sporchi, fino a che se ne accorsero anche i

frequentatori delle osterie della citt, che non erano altrettanto esigenti. Che cosa ne sar di noi? chiese Tekhnef, osservando Dymas appoggiata sul gomito sinistro. Lui era disteso sulla schiena e fissava le assi del soffitto. Nella piccola stanza sopra il locale della mescita l'aria era viziata; la lampada a olio tremolava per lo spiffero proveniente dalla finestra. Nell'angolo accanto alla porta, vicino alla cassapanca di paglia sulla quale giacevano i loro vestiti, erano appoggiati gli strumenti. Non c' pi molto da fare, vero? disse Dymas senza cambiare posizione e tuttavia accorgendosi dello sguardo di Tekhnef, come se lo sentisse sulla pelle. E' finita. Che cosa? Tutto. Dymas fece un gesto nervoso della mano; il giaciglio di sacchi di paglia, coperte di cuoio e pelli scricchiol. Dovresti lasciarmi. Tekhnef aspir l'aria attraverso i denti; lui sent una specie di fischio stridulo. Hai deciso di arrenderti? Tu stai per compiere ventinove anni, Tekhnef, e io trentasette. Tu sarai ancora una donna per qualche anno, io sar presto un vecchio. I quaranta sono il confine... Tekhnef gli accarezz il petto, si avvolse alcuni peli neri intorno all'indice, tir, ritrasse la mano, s'infil il dito in bocca e, con la punta delle dita bagnate di saliva e le unghie appuntite, disegn una serpentina sul corpo di Dymas, dal capezzolo destro sino all'ombelico e di qui al membro, che da molte notti non si ergeva pi, non voleva pi diventare fallo. Vecchio? Filippo ne aveva... quarantasei? Quando si spos per l'ultima volta e gener un figlio. Antipatros ne ha sessantasei e regge con pugno di ferro la Macedonia, la Tessaglia e l'Ellade, per non parlare della Tracia; Parmenion ne ha sessantasei, cavalca in battaglia e ama le donne. Dymas borbott a bassa voce. Le mie dita... sollev la mano sinistra e la lasci ricadere. Sono flaccide, come quello. Un otre bucherellato che non tiene pi il vino. Sono finito, donna. Sei finito se ti arrendi! Dymas rimase per alcuni momenti a riflettere sui diversi accenti della voce di Tekhnef: noia, disperazione, preoccupazione, passione ferita, speranza gi quasi sepolta... Non c' da arrendersi, non c' da resistere, Tekhnef. Non c' pi niente.

La donna tacque, spense la lampada e si avvolse nella pelle. Forse, prima di addormentarsi, pianse un poco. Dymas rimase immobile accanto a lei, fiss il vuoto e si lasci andare. Le parole, le immagini presero forma; volarono, anzi ondeggiarono in pensieri audaci, senza limiti, senza un filo; una chiglia senza nave, una banchina scivolosa; la vela che Tekhnef voleva innalzare per il nuovo viaggio era la tela grigia e umida dell'indifferenza che lo soffocava, che rodeva il basamento, anzi il piede dell'albero maestro, che non si poteva pi ergere. Rise in silenzio; qualcuno che non era lui se ne chiese la ragione, come tante volte in passato. La musica: singoli steli che non volevano pi lasciarsi trasformare in covoni sotto le sue dita. Il vino: poteva berne sino a traboccare, sino a scoppiare, ma neanche il vino pi pesante del mondo aveva pi alcun effetto... come se non vi fosse pi nulla che potesse essere stordito, oppure eccitato. L'amore? Se fosse esistita una via, non sarebbe riuscito a immaginarsi di andare con qualcuno diverso da Tekhnef, ma davanti a lui non c'era nessuna via, soltanto una palude informe grigio scuro, infinitamente estesa e insignificante. Si ricord di un Dymas che era stato un fanciullo siceliota. Un altro, schiavo a Carcedonia. Dymas l'artigiano. Dymas il musico. Dymas il marinaio. Dymas la spia. La citara sotto le dita. Una lima tra le mani. L'impugnatura dei remi e le corde delle vele, gli spruzzi salati e il vento freddo sotto le stelle. Tekhnef tra le sue braccia. La spada di Alessandro; la semplice e raffinata eleganza di Hamilkar, come un pugnale avvolto nella seta; le follie di Bonqart; Antipatros come olio e ferro, durezza inflessibile e scaltra elasticit; Olympias la vipera; Demaratos e Bagoas il Sano e Demostene; Kleonike nell'orrenda notte di Kanopos. Troppo, troppo di tutto. Le tracce di un Dymas che voleva fondersi con Tekhnef e durare in eterno; le tracce di un Dymas che suonava la citara e cantava versi immortali; le tracce di un Dymas che origliava, spiava e riferiva; le tracce di un Dymas che teneva in mano la sega oppure la spada; le tracce di un Dymas che si dissolveva in un luvio enorme e in un nano gobbo. Era stato molti e ora non era nessuno, il legame che aveva tenuto insieme il covone, strappato da mille mani in mille pezzi. La notte come l'occhio immenso di Polifemo e Nessuno davanti a un lungo viaggio.

Tekhnef rimase all'osteria. Il mattino era umido e grigio, le strade di Larissa un miscuglio di argilla e letame. Dymas si strinse nel mantello. Dopo pochi passi era imbrattato sino al ginocchio di fango, di sterco, dei rifiuti della notte, del contenuto dei vasi vuotati dalle finestre. Nel punto in cui la via stretta dove si trovava l'osteria, insieme ad altri edifici di legno e mattoni, tutti inclinati di lato o in avanti, come se dovessero sorreggersi l'uno con l'altro, raggiungeva l'agor, un mulo stava frantumando a forza di calci le merci di un vasaio cadute dallo scaffale su cui erano esposte. L'animale aveva un nastro rosso nella criniera. Il vasaio usc a precipizio dall'edificio, gridando e gesticolando, strappandosi barba e capelli e colpendo la bestia con i pugni chiusi. Un ragazzo seminudo spingeva alcune capre, irsute e fradice di pioggia, verso la bottega del macellaio. Nell'agor, che peraltro fungeva anche da piazza del mercato, c'era poca animazione: soltanto due o tre contadini, che avevano teso teli di cuoio sui loro carri, in attesa di compratori per le loro verdure autunnali. All'angolo successivo, accanto al tempietto di Era, il cui timpano colorato sembrava un grido d'estate in quella pioggerellina fine, Dymas si sfil i sandali infangati, si pul gambe e piedi con un panno che gi parecchi altri avevano usato prima di lui, lo strizz, lo pos di nuovo sul bordo di un mastello pieno d'acqua marrone scuro ed entr nel grande edificio. Qui, oltre a numerosi scrivani e mercanti stranieri, lavorava anche l'emissario di una banca corinzia. Era la stessa banca che curava gli affari del nobile Demaratos, sparsi per tutto il mondo; come Dymas aveva appreso tempo prima, apparteneva a un gruppo di mercanti, il pi importante dei quali era Demaratos, e chi altri? Il piano terra dell'edificio non era in realt che un alto colonnato. Sulla destra e sulla sinistra, separati da sottili pareti di legno, alte appena come un uomo, si trovavano circa due dozzine di rivendite, stanze da lavoro, botteghe, uffici e simili; il corridoio centrale brulicava di mendicanti, venditori ambulanti, compratori, curiosi, in parte in cerca di riparo dalla pioggia, e di banchetti mobili sui quali venivano offerti ortaggi, pane, vino e altre merci che, con un tempo diverso, avrebbero animato l'agor.

Il banchiere con i capelli grigi, o forse era soltanto un semplice impiegato, era accovacciato su uno sgabello di legno dietro la sua scrivania. Portava un mantello di lana e stivali di pelle. Il suo sguardo, pervaso di noia infinita, si alz solo a fatica dal piano di lavoro ingombro di tavolette, rotoli, canne e stili.

Che cosa desideri, straniero? La sua voce era roca, raffreddata; aveva il naso rosso. Qualunque cosa sia, possa rischiarare per te e per me questo splendido giorno. Dymas estrasse il tubetto di cuoio che portava appeso a una cinghia intorno al collo. Al suo interno conservava alcuni ritagli di papiro che porse al banchiere. Mhmm. Il molto onorevole Dymas... un vecchio credito, garantito e suggellato da... oh, Demaratos in persona. E' un onore, un onore. In aggiunta... sommare gli interessi... ulteriori versamenti... molto tempo che non ti rechi con questo in una banca, nobile Dymas. Gli ultimi versamenti e questo titolo di credito Dymas picchi con la punta del dito su uno dei pezzi di papiro come vedi risalgono a luoghi remoti. L non avevo a portata di mano il foglio principale. Che cosa posso fare per te? Hai bisogno di denaro? Devo mettere insieme e ricalcolare tutto? Dymas annu. Calcola per favore l'ammontare del patrimonio di cui posso disporre attualmente. Il banchiere prese uno stilo e una tavoletta di cera, la sistem, estrasse un abaco con palline di terracotta di diversi colori da un cassetto del tavolo, aggrott visibilmente la fronte e si mise a fare i conti. L'onorario per questa operazione disse a mezza voce, distrattamente ammonta a un centesimo del patrimonio e comunque al massimo a cinque dracme... Cala. Un centesimo sarebbe troppo. Dymas sorrise senza manifestare alcun sentimento. Finalmente l'uomo appoggi lo stilo e rimise a posto l'abaco. E' sorprendente... avere a che fare con uomini benestanti pu rischiarare perfino la pi oscura delle giornate. Il tuo patrimonio, nobile signore Dymas, ammonta, mhmm, a nove talenti, undici mi... In dracme, per favore. In dracme, chiedo scusa. Cinquantacinquemilacentosessantatr dracme e

quattro oboli. Ho gi detratto le cinque dracme. Bene. Vorrei una nuova lettera di credito, garantita e valida ovunque, per cinquantamila. Il resto dovresti pagarmelo subito. Nella lettera di credito deve esserci scritto... Il banchiere alz la mano. Nobile e benestante signore, queste sono altre due prestazioni: altre cinque dracme ciascuna. Dymas digrign i denti. I grassatori sono meno esosi. Ma sono anche pi poveri. L'uomo con i capelli grigi rise. Dymas sospir, poi spieg all'uomo che cosa scrivere sulla lettera di credito.

Alla sera, come sempre, musica, vino e cibo. L'oste, ripromettendosi di guadagnarci, si era accollato il vitto e l'alloggio dei musici; gli ascoltatori, quando li trovavano particolarmente bravi, di tanto in tanto pagavano loro uno o pi bicchieri di vino; mentre Tekhnef suonava ancora un'ultima ballata veloce con l'aulos doppio, Dymas andava di tavolo in tavolo con in mano il suo berretto di cuoio a falde larghe. Qualcosa dentro di lui gli guidava la mano, gli muoveva la bocca e ringraziava; un'altra parte si accorgeva che la musica (o l'umore degli ospiti) sembrava migliore rispetto alla sera precedente, ma lontana da quello che sarebbe stato normale fino a non molto tempo prima. Nel berretto la moneta pi grande era una mezza dracma, il resto soltanto oboli, in tutto forse due dracme e mezzo o tre. L'uomo che gli aveva dato la mezza dracma poteva essere sulla trentina. Portava un pettorale di cuoio e il cinturone, ma non aveva armi. Il volto abbronzato, incorniciato da una barba nera curata, mostrava lineamenti fini e gentili; l'orecchio sinistro mancava e, quando si mosse, corazza e chitone gli scivolarono di lato permettendo a Dymas di vedere una parte della brutta cicatrice che aveva sulla spalla sinistra: come per un colpo di spada che, dopo avergli mozzato l'orecchio, avesse tagliato la spalla a met. Grazie al suo spirito di osservazione esercitato da spia, anche se intorpidito dalla lunga apatia, Dymas not le dita snelle, pulite e curate dell'uomo e lo sguardo che sembrava volergli ricordare qualcosa, come se lo avesse gi visto, incontrato, sentito una volta.

L'oste port loro le scodelle, una densa zuppa di verdura con pezzetti di carne, e due bicchieri; Dymas e Tekhnef mangiarono e bevvero per un po' in silenzio, all'ultimo tavolo nell'angolo accanto al fuoco. Dove? chiese alla fine Tekhnef. Nel frattempo si guardava attorno nel locale: ai tavoli grezzi, non rifiniti, scarsamente illuminati da poche lampade a olio e fiaccole alle pareti, potevano essere sedute in tutto cinquanta persone, la maggior parte uomini, soprattutto contadini e artigiani. Dove cosa?

Siamo qui gi da troppo tempo. Come sai. Come dicono l'espressione e l'atteggiamento dell'oste, e come senza dubbio pi tardi, o al massimo domattina presto, lui stesso dir ad alta voce. Dymas annu. Pu darsi. S. Forse. Non lo so. Tekhnef fece una smorfia; i denti bianchi le brillarono nel volto. Dymas, alzando lo sguardo come per caso, vide una delle cicatrici tribali serpeggiarle sulla guancia come una vipera. Tu dovresti andare ad Atene, se ho capito bene ci che mi hai riferito sui desideri del nobile e potente Antipatros. Io voglio andare ad Atene, via dalla provincia. Tu, nelle condizioni in cui sei ora, ad Atene andrai a fondo: l non ti getteranno nemmeno qualche obolo nel berretto, ma ti diranno di andare a suonare altrove, oppure per conto tuo. Tekhnef si era chinata in avanti e parlava con voce bassa e aspra; Dymas non batt ciglio. Quelle parole taglienti avrebbero dovuto almeno scalfirlo, e lui lo sapeva, ma non prov nulla, soltanto noia e indifferenza. Allora dove? Qualcuno si schiar la voce. Tekhnef alz lo sguardo; accanto a lei c'era l'uomo barbuto senza l'orecchio sinistro. In una mano teneva un bicchiere e nell'altra una brocca. Posso sedermi insieme a voi? Dymas si strinse nelle spalle; Tekhnef annu e indic uno sgabello libero. Dev'essere l'ambiente disse lo sconosciuto. Si sedette e vers il vino della brocca in tutti e tre i bicchieri. Che cosa dev'essere l'ambiente? Tekhnef l'osserv con attenzione; d'un tratto strizz gli occhi. Io ti conosco...

stato in Asia? L'uomo sorrise; fu un sorriso piacevole e Dymas avvert una lieve emozione, non perch lo riconoscesse, ma perch gli sembrava di aver appena incontrato una di quelle persone che ci appaiono amiche pur senza conoscerle, e con le quali si potrebbero trascorrere lunghe notti piacevoli a parlare e a bere. Ma l'emozione venne immediatamente repressa di nuovo dalla piatta apatia. Si, in Asia. Indic il suo orecchio. Allora per non avevo ancora subito quest'orribile mutilazione. Dove hai perduto l'orecchio? Ad Halikarnassos, dea nera. Ho condotto laggi una mezza ile di cavalieri tessali. Vi ho ascoltati, e visti naturalmente, nel corso di molte tappe, all'inizio della marcia: tra Pella e Sestos, ad Abydos, sulla via verso il Granico. Poi non pi. Esit. Allora vi ho ammirati... Dymas rise. Sei molto gentile, straniero. Iason. Dymas annu e rimase in silenzio; Tekhnef coinvolse il tessalo in una lunga conversazione alla quale il musico prest ascolto solo distrattamente. Era una delle solite storie, con alcuni elementi insoliti. Iason, principe di alcuni villaggi montani e roccaforti sul pendio orientale dell'inospitale catena del Pindos, tra Tessaglia ed Epiro, aveva seguito la chiamata del re, che era anche stato eletto sovrano della Tessaglia. Agli ordini di Kalas e poi di Alexandros Linceste, sempre sotto Parmenion, aveva combattuto sul Granico, a Mileto, in scaramucce minori lungo il cammino, poi nell'assedio di Halikarnassos e nelle battaglie nei dintorni; era stato ferito: la sciabolata di un cavaliere persiano. Drakon lo aveva guarito, a parte l'orecchio. Poi era giunta un'ambasceria da parte del suo amministratore: una febbre gli aveva rapito la principessa, la moglie intelligente e fragile della quale parl con tristezza e calore. Una figlia di nove anni e un figlio di sette, la roccaforte, il paese, gli abitanti... Cos, quando Alessandro aveva mandato in patria per l'inverno gli sposi novelli dell'esercito, aveva chiesto al sovrano di essere congedato. Sar un inverno freddo e tranquillo; senza storie, a parte quelle dei campi coltivati e delle greggi, senza musica, senza di lei, il cui ricordo per me vivr sempre nei figli. Iason vuot il suo bicchiere, lo riemp di nuovo e alz le spalle. Ma ora basta parlare di me. Voi dove trascorrerete l'inverno?.

Dieci giorni dopo raggiunsero la roccaforte di Iason, un casermone grigio su una rupe grigia, circondato da un muro grigio di pietre squadrate, costruito con frammenti di roccia grigia e tavole di legno di quercia ingrigite dagli anni, su un pendio grigio sotto un cielo grigio. Il territorio, sul quale gli antenati di Iason avevano governato per secoli, era povero e misero: villaggi di montanari che possedevano pecore e capre, qualche vite sui pendii rocciosi, verdure e cereali nei campi terrazzati, una lunga vallata scoscesa piena di querce, sotto le quali facevano pascolare i maiali, un altopiano stepposo per i cavalli, una cava di pietra, una miniera di stagno e due filoni d'argento quasi esauriti. Insieme a lui erano partiti cinquanta duri soldati, cavalieri senza paura. Tre avevano pagato il sommo tributo e ottenuto il massimo onore; otto, tutti con ferite subite nelle battaglie dell'Asia, ritornavano indietro insieme a lui. Portavano i saluti degli altri e, oltre ai racconti, agli oggetti depredati, alle monete e agli onori, recavano qualcosa che contava pi di tutte le esperienze e dei metalli preziosi: grazie al loro valore e a quello del loro principe, Alessandro aveva esentato per cinque anni il territorio governato da Iason da ogni imposta. Nei villaggi ai quali giungevano, il principe e i soldati venivano accolti in modo cordiale, quasi amorevole. Era pi che evidente che non era un tiranno, quello che ritornava in patria. Era raggiante nel congedare gli uomini, giunti ai loro villaggi, con qualche buona parola, qualche moneta proveniente dalle sue tasche, un rapido abbraccio; sorrise quando, durante la strada, in una fattoria isolata gli vennero offerti acqua, vino, pane e lo squisito prosciutto locale; non disse nulla quando, sotto un cielo grigio, si avvicinarono alla roccaforte lungo una strada stretta, ingombra di detriti; pianse quando abbracci i suoi figli e li strinse a s rest a lungo in silenzio, dopo essere rimasto in piedi davanti alla tomba della moglie, che giaceva accanto ai suoi genitori, nonni e antenati. La piccola roccaforte, per quanto l'esterno fosse spoglio, all'interno era accogliente e gradevole. Nelle mura di cinta c'erano stalle per il bestiame e per i cavalli, alle quali nel cortile lastricato si aggiungevano le officine, costruite con un misto di pietre mattoni e legno, e le abitazioni dei

servitori, che accolsero tutti il loro padrone come un fratello o un cugino particolarmente amato e di cui avevano sentito particolarmente la mancanza, anzich come un sovrano. La parte pi interna della roccaforte, che non si poteva certo definire un palazzo, anch'essa costruita di pietre, mattoni e legno, era su tre piani. Al posto delle porte c'erano pesanti tendoni di cuoio; i corridoi e i saloni erano ricoperti di tappeti di lana colorati; in ogni stanza si trovava un ampio letto costituito da un telaio di legno rivestito di cuoio, con cuscini e coperte, una o pi antichissime cassapanche intagliate, un lavabo con una brocca e una bacinella, un vaso da notte per i bisogni. Nel salone principale, accanto al camino in muratura, erano appese vecchie spade arrugginite e piene di tacche, coltelli, asce da combattimento e giavellotti degli antenati, alle pareti laterali tappeti preziosi provenienti da paesi lontani. C'era un grande tavolo nero e seggiole di quercia intagliata e morbido cuoio decorato. Mancavano le klinai: tra i monti della Tessaglia non si mangiava distesi. Dymas osserv tutto con il suo sguardo allenato, ne prese per cos dire nota, ma rimase distaccato e indifferente. Neanche quando vide i figli che portavano il nome dei genitori, Philinna e Iason (bene educati dalla defunta madre, rispettosi nei confronti degli stranieri e allo stesso tempo gentili e amorevoli nei confronti del padre ritornato a casa, nel complesso niente di paragonabile ai marmocchi spesso viziati e sfrontati delle case principesche macedoni), iniziare dopo poche ore a voler bene a Tekhnef e l'egizia, circondata dai bambini che lei stessa non avrebbe mai potuto avere, subire un cambiamento, si riscosse dalla sua sorda apatia. Alla sera sedettero davanti al fuoco nell'ampio salone; di tanto in tanto suonarono, n meglio n peggio che a Larissa, e Iason descrisse la vita della regione. La solitudine e i duri inverni, l'inimicizia dei vicini, i predoni dell'Epiro (nella maggior parte dei villaggi c'erano gli "abeti epiroti", chiamati cos perch a questi erano soliti impiccare i predoni), gli orsi e i lupi: tutte queste cose avevano insegnato agli abitanti che avrebbe potuto sopravvivere soltanto chi collaborava efficacemente con gli altri; le merci del paese: prosciutti, salsicce, carbone di legna, pietre da costruzione, vino leggero, cavalli e metalli, avevano insegnato loro che i mercanti che viaggiano per il mondo sono peggio di lupi, orsi e predoni messi insieme; i compiti del principe, che metteva la sua mano ovunque, nelle cave di pietra come nella caccia all'orso, e che conduceva

ogni trattativa con i mercanti stranieri per la sua gente, ottenendo per questo i quindici centesimi del ricavo: un decimo per il sovrano, da cui erano adesso esonerati per cinque anni, e un ventesimo per s. Dymas si accorse dei cambiamenti in Tekhnef; sapeva anche che accadevano soltanto perch lui non era pi quel Dymas che lei aveva amato per otto anni. O comunque che questi cambiamenti avrebbero potuto avvenire diversamente, se non fosse stato lui per primo a cambiare . Si sforzava di partecipare, senza grande entusiasmo, alle conversazioni tra Iason e Tekhnef. Il giorno successivo a una sera in cui Tekhnef aveva salutato i bambini in modo particolarmente affettuoso e aveva avuto un dialogo particolarmente intimo con Iason, gli venne perfino un po' di energia, sufficiente per discutere con un vecchio servitore del sentiero di montagna che conduceva all'Epiro; sufficiente per suonare, la sera, qualcosa che sembrava quasi musica; sufficiente per ottenere gli sguardi stupiti di Tekhnef e l'applauso di Iason, quando cant alcuni versi su una melodia triste e lontana, versi ispirati a una stupida storia che gli aveva narrato un mercante a Larissa. /.. Evviva il sole! Kleombrotos di Ambrakia esclam, e poi dall'alto delle mura per morire si precipit. Ah, non aveva patito una tremenda disgrazia, soltanto letto le righe in cui Platone loda l'immortalit. Nessuno affermi che la morte viene a prendere troppo in fretta solo i buoni. Qui nella tomba giace uno sciocco: facci sopra la tua acqua. Quella notte inizi a nevicare; quella notte, per la prima volta dopo tante notti, Tekhnef e Dymas cercarono di offrire un atto sacrificale alla dea dell'amore, ma invano. Nevic per due giorni; il pomeriggio del terzo giorno da occidente si abbatt sul paese una tempesta che soffi via la neve dai monti e l'ammucchi intorno alla roccaforte e nel cortile. Alla sera Dymas non aveva assolutamente fame; qualcosa dentro di lui lo rodeva e gli bruciava. Cerc di annegarlo nel vino e, per la prima volta dopo tanto tempo, ne avvert un certo effetto; forse per era solo frutto della sua immaginazione. Tekhnef e Iason erano seduti l'uno di fronte all'altra davanti al fuoco; Dymas non sapeva che cosa attribuire alle loro espressioni e che cosa al gioco delle fiamme, n lo voleva sapere. Mezzo ubriaco, afferr la citara; le dita, che non gli ubbidivano, suonarono alcune note sconosciute, che non appartenevano a nessuna tonalit a lui nota. La canzone che

cant gli era altrettanto ignota e forse non fu lui a cantarla, ma qualcuno... qualcosa. /.. Guarda, un alto cedro hanno tagliato. Legno profumato diventer per le pareti della sposa, cassapanche e manici di giavellotto e un magnifico aulos, il telaio di una lira, un arco per le frecce, le tavole di una nave, un bastone da viandante per il cantore, un fallo tornito ad arte per notti solitarie, il paletto del timone e uno scaffale per papiri: questo e altro. Solo alcuni frammenti di corteccia, pezzi di radice e rami sono rimasti, nell'acqua scura della gelida notte galleggiano, alla deriva, fradici. Presto sar annegato. A un certo punto, durante la notte, si ridest per il troppo vino; il letto accanto a lui era vuoto. Vuot la vescica nel vaso da notte e rimase per un po' immobile vicino alla cassapanca. Quindi prese dal tavolo la brocca e il catino dell'acqua. Estrasse le monete dalla cintura cava e da diverse bisacce, le divise in due mucchi di grandezza uguale, se ne rimise in tasca una met, infil l'altra, una vera e propria montagna del valore di pi di tremila dracme, sotto il papiro di Larissa con l'indicazione degli averi di Tekhnef la Nera, egizia. Fece in fretta a raccogliere le altre cose: spada corta, coltello, abiti di ricambio, la borsa di pelle con la citara. Abbandon la stanza che aveva diviso con Tekhnef. Qualcosa cui non riusciva a dare il nome lo spinse a sollevare, prudentemente e senza farsene accorgere, il tendone di cuoio davanti alla porta di Iason. Un ultimo sguardo all'amante di tanti anni? Un istinto autolesionista? L'esigenza di assaporare la delusione, di infilare una spina nella carne di Nessuno, una spina uncinata che Nessuno non sarebbe riuscito a strappare via, che lo avrebbe tormentato e forse lo avrebbe costretto a vivere, o finalmente l'avrebbe cacciato nel buio dell'oblio e del non-pi-essere. Nella stanza di Iason ardevano due lampade a olio; quando Dymas spost il tendone, le fiamme tremarono. Nello stesso tempo ud quello che il cuoio pesante aveva celato. Quello che voleva sentire e che odiava sentire. Vide quello che desiderava e temeva vedere; quello che per un istante lo fece vacillare e poi lo precipit nel baratro. Ud il brontolio profondo, di stomaco, del tessalo e l'ansimare gutturale dell'egizia. Vide Tekhnef sdraiata su Jason in quella che gli elleni chiamavano posizione fenicia. Intu il capo di lui tra le cosce di lei il suo fallo nella

bocca dell'egizia. Il vecchio servitore, insonnolito ma non sorpreso, lo aiut ad avvolgere gli zoccoli del cavallo con panni, in una specie di calzature da neve. Gli port cereali, pane e arrosto freddo, riemp di vino la fiasca di cuoio e gli apr la porta. La tempesta era terminata; nella notte di luna piena, chiara e fredda, si vedeva chiaramente il varco tra le cime attraverso il quale il sentiero montano conduceva in Epiro.

La citt, che praticava il commercio con i territori ellenici dell'Italia meridionale al di l del mare, si chiamava Dyrrachion ed Epidamnos, era rivendicata come colonia da Korkyra e da Corinto, da entrambe odiata per la concorrenza commerciale e utilizzata come scalo per i traffici delle merci con i paesi illirici. I principi dei taulanti maledivano quella citt ben fortificata che si trovava nel loro territorio e offriva loro resistenza, di tanto in tanto apprezzavano i molteplici divertimenti che offriva ed elogiavano il porto e i mercanti, che portavano nel paese oggetti preziosi e pagavano il dazio senza digrignare troppo forte i denti. I taulanti erano anche gli unici danneggiati dalla nuova situazione ed evitavano di digrignare i denti in modo udibile da lontano, solo perch altrimenti avrebbero strappato loro gli incisivi e i molari. Da tre anni i proventi del dazio affluivano a Pella, sotto forma di contributo per la protezione: Alessandro aveva fatto guerra ai taulanti (come dicevano loro) e li aveva pacificati (come sostenevano i macedoni). In un momento di distrazione e di euforia per la calma sopraggiunta nell'entroterra, gli arconti di Dyrrachion avevano aperto le porte a un'ambasceria macedone: cinquecento inviati che sopraggiunsero pochi per volta e, quando furono al completo, si trasformarono in una truppa di occupazione agli ordini del vecchio e coriaceo Antipatros. La met circa di loro preservava l'acropoli della citt dai mutamenti del clima e delle opinioni; gli altri, in unit variabili, accompagnavano i convogli commerciali attraverso il paese in cambio di un contributo. Lo zio e cognato di Alessandro, il sovrano epirota Alexandros, avrebbe preferito spostare i suoi confini di tre giornate di marcia pi a nord, ma non gli era stato possibile opporsi alle decisioni prese a Pella, dieci

giornate di marcia pi a est. Alla fine gli abitanti di Epidamnos, o Dyrrachion, si arresero all'inevitabile, che comunque comportava alcuni vantaggi. Non per orgoglio, ma per accrescere il loro patrimonio personale e quello della citt, avevano sempre cercato di respingere i tentativi di avvicinamento di Corinto e di Korkyra: per gli abitanti elleni, epiroti, illiri, celti, etruschi, latini, macedoni e di sangue variamente misto, l'orgoglio aveva ben poca importanza. Era pi importante l'indipendenza, anche da compagini lontane come la Lega di Corinto, perch imponeva alla citt l'obbligo di fornire truppe e pagare imposte. Gli inviati provenienti da Pella, tra i quali numerosi giudici e appaltatori di imposte, che rispondevano al re che si trovava in Asia e al suo governatore a Pella, ora prelevavano anche le decime, insieme a tutti i contributi, ma in cambio di questo esentavano la citt dall'arruolamento o dal pagamento di truppe proprie; le poche navi da guerra restavano in servizio, ma quanto meno i macedoni retribuivano di persona gli opliti che mandavano a bordo. Tra le mura cittadine e l'acropoli, entrambe piuttosto ordinarie e di dimensioni insufficienti, il resto della citt era variopinto proprio come la sua popolazione. C'erano templi per tutti gli di ellenici, oltre a santuari e altari all'aperto per due dozzine di divinit di altre regioni. Nel quartiere egizio vivevano ormai pochi egizi, ma in compenso c'erano fenici orientali e occidentali, iberi, sardoni, siri, cretesi e perfino due o tre famiglie di persiani. Pelle nera e bianca, migliaia di sfumature di marrone, ulteriormente moltiplicate dagli incroci cos come gli strani colori dei capelli, dei costumi e delle vesti; un labirinto di giardini pensili sulle case a due piani di legno e mattoni, ammassate l'una all'altra; a pochi passi di distanza, le case ampie e luminose nelle quali vivevano i mercanti ricchi, con i giochi d'acqua nei verdi cortili interni; i cantieri e le officine, le fucine e le osterie, venti lingue e tutti i modi di morire che messi insieme fanno la vita. In quella citt Dymas rinacque. Vi giunse all'inizio dell'estate, a piedi nudi e zoppicando, con i capelli lunghi e la barba incolta, con addosso i brandelli di un chitone e nella tasca cucita strani oggetti metallici tintinnanti. In seguito si ricord oscuramente dei carbonai nel territorio montuoso tra Tessaglia ed Epiro, dei predoni nelle paludi molosse, di un cavallo macellato e mangiato, di un fuoco nel quale era stata bruciata la citara. Sapeva ancora che, dopo

che i predoni erano scomparsi, aveva recuperato il pirolo frugando nella cenere; tuttavia non avrebbe mai saputo spiegare le numerose ferite piene di croste che ricoprivano il suo corpo. Visse alcuni giorni all'ombra dei muri, rovistando tra i rifiuti in cerca di qualcosa da mangiare e mormorando tra s; quando due mendicanti promisero a un mercante di schiavi corinzio di mostrargli, per dieci dracme, o anche otto, almeno cinque, per, un uomo distrutto che sarebbe stato sufficiente rifocillare un po' per poterlo fare lavorare, una vecchia, senza denti e con una gamba sola lo nascose sotto i cadaveri di alcuni cani. Alla sera il soffocante vento di terra che soffiava da giorni cal, sostituito al tramonto da un vento pi forte da occidente, che portava l'odore del sale e pi tardi, quando si trasform quasi in tempesta, il rumore della risacca. Dymas si svegli in piena notte, sent i suoni e gli odori, scivol via in mezzo ai cani morti e strisci a quattro zampe lungo le mura cittadine verso le dune cespugliose, verso la spiaggia, verso il mare. Alle luci dell'alba un mercante di Delos usc barcollando da un'osteria, ebbro di vino, di canti e di nostalgia di casa, e scelse la via che conduceva al porto attraverso il ponte levatoio per raggiungere la sua abitazione e i magazzini nella parte meridionale. Inciamp su Dymas che, disteso sul ponte, cercava di mettere insieme i numerosi frammenti della sua immagine riflessa nelle agitate acque sottostanti e borbottava a bassa voce. Via di qui brontol il mercante. Barcoll, si resse alla gomena tesa tra i pali del parapetto, rutt, sent di nuovo il gusto del vino, il troppo vino di una notte troppo lunga, si ricord una delle canzoni e cant a squarciagola, nel mattino lattiginoso: Nobili compagni, uniti dal vino, piangiamo e lamentiamoci, domani si sale a bordo; io sfido la morte salata, verranno i baaarbariii dell'Aaasiaa.... Dymas ridacchi. Be'? disse il delio. Che cosa c'? Felice l'uomo che possiede fanciulli leggiadri e monete luccicanti, mordaci cani di parole e amici in Asia mormor Dymas. Il delio si chin barcollando. Cani di parole? Sput. Cani da caccia! Cani della notte disse Dymas. Cani del giorno. Cani di parole. Cani da fossa. Cani assassini. Cani da pane. Cani da vino. Cani da vino? Vino da cani, o no? Il mercante ammicc e allung un calcio a Dymas. Vino da piede. Il mercante ridacchi. I piedi da vino barcollano verso occidente. Tu sei in grado di barcollare?

Dymas non rispose; si volt lentamente sulla schiena e guard in faccia l'ubriaco. Lavarsi disse il delio. Lavarsi e barcollare. Il vino, bah. Vieni. Schiocc le dita, si volt e caracoll sino alla fine del ponte, inciamp sull'acciottolato della banchina meridionale, si alz in piedi, osserv le aperture delle finestre delle case strette e colorate, borbott qualcosa a proposito degli occhi strabici delle belle di notte, fece alcuni passi di danza e s'infil in un varco in mezzo agli edifici, largo appena un passo. Dymas gli tenne dietro, strisciando sulle mani e sulle ginocchia. Alla fine del passaggio, che conduceva alla via successiva, sulla destra, all'interno di un piccolo cortile con magazzini e rimesse, si trovava la piccola abitazione del delio. Il mattino dopo, quando il mercante usci nel cortile con i capelli arruffati, gli occhi rossi e l'abito macchiato di vomito, Dymas era seduto sui calcagni all'ombra, con la schiena appoggiata alla parete della rimessa. Il delio gli gett uno sguardo obliquo, si diresse alla cisterna, un grande recipiente di mattoni, munito in alto di un imbuto per l'acqua piovana e sorretto da piedi in muratura, e apr il tubo di scarico. Vi mise sotto la testa, ma ne fuoriusc soltanto un rivolo intermittente. Per gli di! Cani! Porci schifosi! Il mercante rimise il tappo e alz le mani. Colpa dell'assenza, dell'eccesso di fiducia! Lasci cadere le mani, pest per un momento i piedi davanti alla cisterna e indic Dymas. Ehi tu, fuori di qua! Ma come hai fatto a entrare? Si volt e vide che la porta del cortile era soltanto appoggiata. Aah. Dymas abbai piano. Il delio trasal, poi sorrise. Ah. Il cane da vino. Oh, la mia testa; non posso ridere. E poi non ce n' ragione. . . Sporse la bocca, pieg il capo di lato e toss. Hai un nome, cane da vino? Argos. Argos? Quello che dormiva sul letame e riconobbe il padrone? Il mercante rise a singulti. E va bene, un nome brutto come un altro. Sei in grado di lavorare? Dymas si strinse nelle spalle. Domanda idiota. E chi non in grado? Ma chi vuole farlo? Il mercante socchiuse gli occhi. Io mi chiamo Aristippos. Sono di Delos, nel caso in cui non te ne fossi gi accorto dalla cantilena. Tutto questo mi appartiene fece un gesto circolare con entrambe le braccia e sono stato abbastanza avventato da affidarlo, per qualche tempo, a un amministratore e a due schiavi. Vedi... ah, per gli di, che brutto aspetto che hai!

Sembra che i predoni che ho ospitato e stipendiato ti abbiano beccato al momento di andarsene. Vedremo se sei un cane oppure un uomo, Argos, quando ti sarai lavato. Un'ora pi tardi Dymas si era rasato con un coltello affilato, aveva accorciato alla meglio i capelli con una forbice, si era lavato con l'acqua di un pozzo della citt; Aristippos gli diede un bicchiere di vino molto allungato e chiese in prestito a una vicina uno schiavo che and a prendere nella cucina di un'osteria pane, frutta, pesce arrostito e una pentola di carne. Dymas riacquist sembianze umane; pi tardi, mentre mangiavano, Aristippos gli parl dell'amministratore e degli schiavi, del commercio, delle mercanzie, di un viaggio nel nord con un piccolo mercantile a vela, del ritorno, del vento di terra che li aveva bloccati per giorni, della tempesta grazie alle prime folate della quale erano finalmente giunti in porto, dell'orrore alla scoperta del denaro depredato, della casa vuota e del deposito incustodito... Comunque sia, si sono presi le monete, alcuni oggetti pi piccoli che potevano trasportare e poi hanno abbandonato la citt. I vicini hanno dato un'occhiata al deposito: non manca nient'altro. Solo un grande disordine e confusione... Hai di nuovo un aspetto quasi umano, cane da vino Argos. Che cosa hai fatto, prima di ridurti ad abbaiare? Dymas si freg le tempie. Sono stato malato disse con voce sorda. La febbre, la fame, i predoni, il gelo tra i monti, non so cosa nelle paludi molosse. E prima? Gioc con il pirolo della citara nella tasca del chitone usato, ma pulito, che Aristippos gli aveva dato. Prima, tanto tempo fa... sono stato un musico, un cantore, un bevitore, una spia, un marinaio, un sicario. E molto prima ancora, uno schiavo e un artigiano. Sono stato molte cose, ora non sono nessuno. Se tu vuoi farmi lavorare nel tuo deposito... Aristippos sbuff. Troppa mistica: molti, nessuno, bah. Musico e cantore, hai detto? Ti eri fatto un nome, grande o piccolo che fosse? Dymas si strinse nelle spalle. Va bene Argos, per il momento. E sia. Argos. E magari sai perfino leggere e scrivere? In diverse lingue. Davvero? Aristippos fece una smorfia. Grandi discorsi, vero? Aggrott la fronte, poi disse qualcosa in una lingua aspra. Dymas sorrise debolmente. Credo che sia illirico, ma questa lingua mi sconosciuta. Aristippos annu. Comunque hai indovinato. E che altro? Latino? Etrusco? Celtico? Dymas scosse il capo. Ho soggiornato di pi a sud e a est. Il persiano, l'egizio, anche

il fenicio orientale, ma meglio quello occidentale, come si parla a Carcedonia. Aristippos tossicchi. Vedremo... Lingue utili, senza dubbio, ma il mio persiano, che a Delos serviva cos tanto, arrugginito. Solo brandelli, troppo pochi per metterti alla prova. L'eccellente signore delle merci delie disse Dymas in persiano comprender tuttavia senza dubbio abbastanza, anche se la sua capacit espressiva dovesse aver subto danni in seguito al mancato utilizzo. Ah disse Aristippos.

Misero in ordine il magazzino semidistrutto, inizialmente soltanto per fare posto. Aristippos continuava a imprecare, invocava gli di, li scongiurava di dare in pasto alle termiti i due schiavi e di strappare i denti e i testicoli all'amministratore con un raschietto incandescente. Evidentemente era scomparso molto pi di quanto avesse supposto all'inizio. Ma soltanto la scorta di vasellame delio (tutto pagato, tutto mio, eh) rappresentava un patrimonio: brocche, ciotole, scodelle, lampade, anfore, oggetti sia ornamentali sia d'uso quotidiano, le serie complete di uno dei pi grandi vasai, con successioni di immagini tratte da tutte le mitologie del mare orientale, ricoperte da una vetrinatura segreta, nota solo a quel vasaio, simile a seta fusa. C'era anche vasellame pi economico; dietro a questo, e perci trascurate da quei delinquenti, probabilmente partiti in tutta fretta, alcune casse pi piccole con spezie e incenso; sacchetti con cristalli di sale grosso dell'Arabia; scaffali con eleganti bottigliette di vetro provenienti dall'Egitto; prodotti artistici in legno, cuoio e avorio; uova di struzzo di Carcedonia, sottilissime eppure ancora intagliate, dorate e adornate con pietre colorate; papiri di ogni livello di qualit... Nel pomeriggio andarono a prendere le balle e le casse di propriet di Aristippos dalla nave che si trovava nel bacino del porto; i suoi compagni di viaggio, anch'essi mercanti, avevano gi portato via le loro parti. C'erano pelli d'animale provenienti dal nord (orsi, linci, lupi), gioielli celtici e ambra. Dymas port tutto nel magazzino, pul in giro, mise in ordine e inizi la stesura di nuovi elenchi, dal momento che quelli vecchi erano andati distrutti; Aristippos vi avrebbe aggiunto pi tardi il valore delle merci. Il

mercante rimase assente per molto tempo; prima del suo ritorno, Dymas aveva compilato un elenco grossolano e iniziato a riempire la cisterna, facendo la spola fino al pozzo della piazza nella quale sboccava il vicolo con due secchi attaccati a un giogo sulle spalle, riempiendoli e trascinandoli fino al grande recipiente. Aristippos port con s una vecchia cretese, presa in prestito da un mercante suo amico; provvisoriamente avrebbe dovuto tenere in ordine la casa, cucinare e fare le pulizie. Il mercante annu, mentre Dymas partiva con i secchi per una nuova spedizione fino al pozzo, e si diresse al deposito. In casa non c'era n olio, n farina, poco vino e le altre provviste erano andate a male. La cretese fece pulizia e port via i rifiuti; al calar del crepuscolo, il mercante la mand alla cucina di un'osteria a prendere qualcosa di decente da mangiare, per tre, hai capito?. Mangiarono nella terrazza sul tetto; c'erano acqua, vino e succo di frutta, polpettine di pesce in foglie di vite, pesce arrostito in una salsa leggera di vino, pane e frutta. Dymas mangi in silenzio; il mercante e la cretese parlarono della gente e dei fatti della citt, pettegolezzi. Il delio trattava la vecchia schiava come una sua pari, la chiamava madre e a un certo punto ricord che apparteneva alla famiglia di un suo amico, al quale aveva fatto da balia.

La vecchia and a dormire presto. Dymas e Aristippos rimasero seduti insieme ancora un po' a bere vino e a contare le luci sui mille tetti piatti della citt, a guardare le stelle e a godersi il reciproco silenzio. Cane da vino disse a un tratto il mercante ti ho calpestato la notte scorsa, quando sono inciampato su di te? Dymas sorrise. Appena appena. Per me stata una fortuna, e ti ringrazio. Mhmm. Grrr. Aristippos agit il bicchiere. Caso, fortuna, la mano degli di e chiss che cos'altro. Hai messo bene a posto le cose; i tuoi elenchi sono ordinati, la tua scrittura migliore della mia. La cisterna piena e non sei un chiacchierone. Sono soddisfatto, Argos. Si pieg appena in avanti, come se cos potesse spingere via l'oscurit della notte. Oggi ho messo cento dracme di taglia sulla testa dell'amministratore

infedele. Gli schiavi devono finire nelle miniere, se li trovano. Non sono vendicativo, ma non dimentico nulla. Dymas annu. Parliamo di denaro. So che un giorno te ne andrai. Finch resti... di solito pago quattro oboli al giorno un magazziniere e una dracma un amministratore. Senza vitto e alloggio. Tu avrai una dracma e potrai vivere e mangiare qui. Va bene? Dymas annu di nuovo, accennando appena a un inchino. Aristippos non sembrava attendersi una risposta accalorata; si gratt la nuca, si tir il lobo dell'orecchio e bevve un sorso. Vuoi qualcosa in anticipo? Oppure ogni giorno? Dymas esit. Mhmm... Un bagno bollente, un bel massaggio, qualcosa di pulito da indossare? Aristippos grugn. Domattina presto ti dar tre dracme. Gli spieg la strada per arrivare a un bagno pubblico nel quale la pulizia ha la precedenza sulla ruberia..

Dymas rimase quasi un anno con Aristippos, inizialmente come aiutante e amministratore, alla fine quasi come vicedirettore delle sue imprese. In autunno il delio gli aument la paga a una dracma e mezzo; quando Dymas, dopo un'accesa contrattazione, riusc a vendere la maggior parte del vasellame fine a un mercante romano, Aristippos gli assegn un terzo del guadagno. Poco dopo il delio port dal mercato degli schiavi una giovane e selvaggia celta e un getulo robusto, con la pelle molto scura, originario della lontana Libia nordoccidentale. La vecchia cretese fece ritorno alla famiglia alla quale apparteneva; Dymas si trasfer dalla casa in una stanza dietro il magazzino, dove non era disturbato dai rumori dei combattimenti notturni nel talamo di Aristippos. Una volta, prima di trasferirsi, un po' eccitato da quei suoni, si era recato in una delle numerose osterie del porto che erano nello stesso tempo case di piacere. L'acarnana che si prese cura di lui non era pi molto giovane, ma era pulita, esperta e interessata al suo piacere, per non accadde nulla. Ogni tanto, alla sera, cercava di pensare o di scrivere versi, ma anche questo invano.

Mancava qualcosa: lui lo sapeva, o quantomeno lo intuiva, anche se non aveva idea di che cosa potesse essere. Un mercante di Pherai, interrogato con circospezione, gli raccont delle buone condizioni del principe delle montagne tessale Iason, la cui nuova sposa, una dea nera, con la sua grazia proteggeva la roccaforte e il paese da ogni ingiustizia. La notizia gli suscit sentimenti contrastanti, ma serv a fare chiarezza nel suo animo: non era quello. Le informazioni che giungevano da lontano, trasmesse o lette ad alta voce dagli araldi macedoni, certamente lo colpivano, ma non era neppure quello, n la difficile situazione di Alessandro quando la flotta persiana, nuovamente padrona del mare e delle coste orientali, minacciava di far scoppiare la rivolta in met dell'Ellade, n la strana malattia e la morte improvvisa del rodio Memnon o il tradimento e la fuga di Harpalos, e neppure l'immensa, incredibile vittoria presso Isso, che fu oggetto di discussione nelle osterie durante l'inverno. Gli arconti della citt, eletti da tutti gli uomini adulti su proposta di gruppi e fratrie, in autunno proposero di abbandonare definitivamente il vecchio nome, Epidamnos, e di chiamare d'ora in poi quella localit soltanto Dyrrachion. L'occasione fu rappresentata dalla comunicazione che a Pella si parlava del distretto amministrativo di Epidamnos. Fu un gesto d'orgoglio che non serviva a nulla, ma non era neppure dannoso. Nel corso del tempo Dymas impar a conoscere, senza grande coinvolgimento interiore, i vicini, gli alleati e gli avversari commerciali del delio, le officine, le botteghe e le osterie del quartiere. A poco a poco divenne pratico della citt, che all'inizio gli era sembrata inevitabilmente uguale a tutti i porti di mare, fondati sulla pesca e sul commercio, la cui intima diversit si rende visibile solo lentamente. Dal bassopiano fertile della costa, la grande lingua di terra si allungava come un braccio verso occidente. Nell'incavo della sua, per cos dire, ascella, secoli prima emigranti di Korkyra e Corinto avevano fondato quella localit: cos si diceva, e senza dubbio nel farlo avevano ucciso o scacciato i pescatori autoctoni, di cui ormai nessuno si ricordava pi. Negli immediati dintorni della citt, al di sopra della spiaggia piatta, prima era stato eretto un potente argine, poi la sabbia era stata portata via ed era stata costruita un'ampia banchina in muratura, che delimitava una darsena sufficientemente profonda anche per grandi imbarcazioni, con officine, cantieri, magazzini, manifatture del pesce, e senza

una protezione in caso di pericolo. Quasi esattamente al centro del lato delle mura che dava verso il mare, c'era uno stretto varco che permetteva il passaggio al bacino portuale interno, di forma rettangolare, con le vecchie case degli artigiani e dei mercanti. In caso di necessit l'accesso poteva essere bloccato da cancelli di ferro; dal pontile si poteva vedere verso sudovest, verso il mare aperto. All'estremit anteriore del bacino il terreno saliva verso la fortezza, verso l'acropoli, nella quale risiedevano i macedoni. Al di fuori delle mura cittadine c'erano gli orti e i vasti campi dei contadini; soltanto a sud, dove era pi roccioso, il terreno veniva sfruttato in un altro modo: vi si trovavano le fosse per gli escrementi e i rifiuti, che suscitavano in Dymas una vaga sensazione di nausea. Il mare, che l'aveva raccolto come un mucchio di macerie e l'aveva risputato fuori come una creatura quasi umana, continuava ad attirarlo. Durante le sue lunghe passeggiate attraverso le vie del molo, le spiagge a ovest e a sud, a volte anche lungo le mura, provava sempre una specie di riconoscenza, oltre a una sorta di gioia del ritorno; e, a poco a poco, una crescente nostalgia, il desiderio del mare di chi ha molto viaggiato. Nei pomeriggi in cui non aveva niente da fare per Aristippos, spesso se ne stava accovacciato accanto agli uomini sudati che, all'estremit meridionale della banchina - il vento, che soffiava prevalentemente da occidente, spingeva il puzzo verso la campagna, anzich verso la citt -, sminuzzavano gli abeti dell'entroterra in grosse caldaie di pietra dalle lunghe scanalature, soffiavano con i mantici e facevano bollire la pece; oppure si spingeva fino al centro della banchina e stava a guardare le mogli dei pescatori mentre sventravano il pescato, ascoltava le storie sul vento, il tempo e le rotte dei pesci, mangiava in una delle innumerevoli cucine, alla sera beveva nelle osterie insieme ai marinai e agli artigiani, sempre alla ricerca di quello che non sapeva come si chiamasse. Nessuno poteva darglielo: n il falegname egizio (le cui cassapanche costate due mesi di fatica gli ricordavano il suo lavoro giovanile da schiavo a Carcedonia, quelle da tre mesi erano capolavori dell'arte dell'intaglio e quelle da quattro erano indescrivibili, realizzate su lunga prenotazione al prezzo di settecentocinquanta dracme), n l'altrettanto talentuoso cuoiaio, uno schiavo scita che anni prima era fuggito dal suo padrone ateniese, n i velai e i cordai, i fabbricanti di pane e paste dolci, i mercanti di pesce, i

fabbricanti di salsicce, gli affumicatori di pesce, gli argentieri e nemmeno quelli che producevano le corde o costruivano gli strumenti. Con uno di loro, i cui nonni erano giunti dall'Euboia, Dymas discusse nel corso di una notte luminosa e dopo moltissimo vino, della forma ideale, l'archetipo platonico, di una citara. Ma non era neanche quello; e non lo erano neanche i canti e i racconti vivaci dei guerrieri macedoni, alla sera nelle osterie sotto l'acropoli, n tantomeno le fusciacche rosso vivo delle prostitute o i monconi dello storpio che aveva il suo posto fisso davanti al tempio di Apollo e, in caso di necessit, lo difendeva con il coltello, e neanche il mistero della giovane donna che, ogni mattina e ogni sera, saliva sulle mura con il volto coperto, scopriva il seno agli di dei venti e del mare e poi, di nuovo velata, si recava in una capanna a nordovest delle mura. Una volta qualcosa si riaccese dentro Dymas; fu quando Aristippos gli chiese di accompagnarlo nel luogo in cui gli scuoiatori gettavano i loro rifiuti, e i cani e i gatti morti facevano la felicit di vermi e avvoltoi. Il delio portava sotto braccio un fagotto informe. Quando raggiunsero il luogo maleodorante degli ultimi orrori, lo apr, ne estrasse la testa, mezza putrefatta, deformata, a brandelli, del suo amministratore infedele, la osserv con una strana luce negli occhi e la scagli in mezzo ai cadaveri senza dire una parola. Ma, qualunque cosa avesse potuto significare quel bagliore, si spense di nuovo immediatamente sotto la cenere dell'indifferenza. Poi venne quella notte, una delle prime notti di primavera del nuovo anno. La sera Dymas e Aristippos avevano mangiato insieme a un mercante etrusco in un'osteria sul bacino del porto. Nel locale, affollato da una sessantina di persone, si sentiva odore di corpi e di sudore, dei profumi delle prostitute, di vino e aceto, di arrosto e di pesce, di spezie, dell'olio delle lampade sui tavoli e della resina delle fiaccole di pino che ardevano nei pugni di ferro alle pareti. Un filosofo ubriaco, continuamente interrotto dalle prostitute e dagli uomini che passavano per la scala stretta sulla quale stava in piedi a gridare, annunciava al mondo che ogni battaglia era inutile, ogni guerra un orrore e che neanche la libert o la vita di qualcuno che si ama meritavano di essere difese; soltanto l'astinenza da ogni cosa era gradita agli occhi degli di. E allora astieniti da queste stupidaggini! grid qualcuno. Tra grida di giubilo, il pensatore venne spinto via dagli altri. Alcuni musici, sul basamento lievemente rialzato

della scala, suonarono qualche ballata vivace e malinconica con barbiton, flauti e tamburi. A un certo punto Dymas si rese conto che le sue dita tamburellavano sul piano del tavolo, come se vi fossero delle corde, e si accorse che Aristippos l'osservava attentamente, mentre l'etrusco cercava di annegare nel vino. I suonatori di flauto e di tamburo iniziarono un pezzo nuovo, un po' pi lento; il suonatore di barbiton avanz di un passo, accarezz le corde libere, produsse una serie crescente di singole note stridule (a Dymas tornarono in mente i ditali di metallo con i quali una volta, tanto tempo prima, riusciva a produrre note pi pulite, senza stridori) e inton un canto che avrebbe dovuto confutare il filosofo, o comunque contraddirlo. /.. Questo il mio tesoro pi grande: un giavellotto, una spada, uno scudo rotondo; e il coraggio che mi difende. Lo devo a lui se canto e aro e raccolgo, a lui se posso pigiare gli acini e bere, a lui se sono libero in mezzo a tutti gli altri schiavi.

Ma quelli che hanno paura di portare giavellotto e spada e scudo rotondo, cadono indifesi e timorosi sulle ginocchia non appena sentono il tuono e mi lodano come loro buon vicino. Quando il cielo si rasserena mi chiamano macellaio. Vi fu un sonoro applauso; alcuni macedoni, che sedevano vicino alla porta, pestarono i piedi e picchiarono i pugni sul tavolo. Uno di loro, pi vecchio e probabilmente decadarca, se non addirittura ufficiale superiore, lanci una moneta sul tavolo e grid che si portasse del vino per i musici. Quelli ringraziarono, si inchinarono e iniziarono una nuova ballata. All'improvviso vennero interrotti da un forte urlo di spavento proveniente dall'alto, seguito da un fracasso e da un altro urlo, un acutissimo grido di dolore. Una prostituta dalla pelle scura apparve sulla scala, perse l'equilibrio, precipit gi, in mezzo ai musici, si rimise in piedi si fece strada tra i tavoli fino all'uscita, gesticolando e sbraitando, con le braccia distese come per prendere il volo. Era nuda: con la strana capacit di osservazione che manifestava in quei

momenti, Dymas not il bianco acceso degli occhi spalancati e il ventre depilato. Dymas, Aristippos e l'etrusco sedevano a uno dei quattro tavoli che formavano un semicerchio ai piedi della scala. La nera gli sfior le spalle-sent qualcosa di caldo, alz gli occhi e vide la lunga ferita da taglio, che dalla spalla le arrivava fino alle natiche e da cui scorreva il sangue. In cima alla scala comparve il suo inseguitore, un oplita macedone seminudo, lungo come una pertica, con i muscoli rigonfi e la spada grondante. Un po' barcollando e un po' scivolando, giunse in fondo alla scala, sbatt contro i musici che erano riusciti a stento a evitare la prostituta, colp l'auleta aprendogli il petto con la punta della spada, diede una gomitata in faccia al cantore, calpest il barbiton che giaceva a terra e, continuando a gridare calva! calva! , cerc di inseguire la donna, trov il passaggio tra i tavoli bloccato da avventori e musici, lanci un grido di rabbia e inizi a roteare su se stesso come una trottola, con il braccio e la spada protesi. Il suonatore di barbiton, con le natiche sul bordo del tavolo di Dymas e Aristippos, emise un gemito; poi la testa gli cadde con infinita lentezza sul piano del tavolo e rotol in grembo al delio. Il resto del corpo sussult, fece un passo di danza per met in avanti e per met di lato, si trasform in una fontana traballante che zampillava sangue caldo e cadde ai piedi dell'assassino, che continuava a roteare su se stesso e a strillare. Tutti si misero a gridare disordinatamente; la maggior parte era saltata in piedi, molti cercavano di raggiungere l'uscita. L'oste comparve dalla cucina con uno spiedo da arrosto; l'ufficiale macedone, che si era alzato e voleva intervenire, venne travolto da quelli che scappavano. A un certo punto Dymas vide l'etrusco ubriaco sorridere beato, con la faccia nel sangue schiumoso e nel vino sul piano del tavolo; Aristippos aveva allargato le dita e osservava la testa che aveva in grembo con un'espressione di lieve stupore che iniziava a trasformarsi in una smorfia. In qualche modo si rese conto di tutto quello che accadeva nel locale, ma ne ebbe coscienza solo pi tardi. Era come se il suo intimo fosse pieno di olio bollente; era come se un pugno di ferro lo afferrasse e lo spingesse avanti. Fu quello a farlo salire sul tavolo, a fargli calcolare le rotazioni del folle assassino, a farlo volare in aria. Dymas si abbatt contro il macedone; nell'impeto del salto e della rotazione, i due andarono a sbattere contro i gradini inferiori della scala, che si ruppero. La spada cadde a terra tintinnando. La

mano destra del macedone, i cui occhi si fecero improvvisamente chiari, cerc il cinturone, ma Dymas fu sopra di lui, sent il manico del pugnale sotto i suoi fianchi, sent le braccia, i muscoli rigonfi che si serravano intorno a lui e minacciavano di stritolarlo, continu a colpire con la fronte il naso dell'assassino fino a che non si ruppe e la stretta delle braccia si allent per un istante, lasci il gradino al quale si era aggrappato con entrambe le mani, port le braccia intorno al collo dell'uomo come per abbracciarlo, gli premette il mento contro la sua spalla destra e gli ruppe l'osso del collo. Cerc di rimettersi in piedi barcollando. Sopra di s, sulla scala, vide le gambe nude delle ragazze; mentre nelle sue orecchie la tempesta andava scemando, ud, quasi fosse un colpo di vento, il silenzio che calava sull'osteria, i gemiti della donna nera, il lamento roco e soffocato dell'auleta, sent un conato provenirgli dall'interno, si pieg e vomit ai piedi della scala cibo e vino, forza e incoscienza, visceri e coraggio. Poi le ruote di fuoco e i veli davanti ai suoi occhi divennero sandali, piedi e schinieri. Mani robuste lo afferrarono sotto le ascelle e lo rimisero in piedi. I macedoni che erano stati seduti vicino all'ingresso, completamente sobri e seri, si disposero a semicerchio intorno a lui. Dietro di loro vide un muro confuso di volti. L'ufficiale che, come i suoi uomini, teneva in mano la spada sguainata, senza la quale gli occupanti lasciavano malvolentieri l'acropoli, l'osservava tranquillo, con un'espressione di lieve stupore ne gli occhi. Poi rinfoder la spada e si port la mano destra sul petto sinistro. Ammansire i superbi, proteggere i deboli, rinfrancare i timorosi, lodare i valorosi disse lentamente. Questi sono gli ordini di Alessandro e di Antipatros. Dicono inoltre che, se un guerriero macedone aggredisce gli abitanti di una citt alleata, deve essere trafitto dai giavellotti dei suoi commilitoni. Tu l'hai risparmiato a lui e a noi. Dimmi il tuo nome, cos che io possa lodarti come uomo valoroso. Dymas lo fiss e apr la bocca, ma ne usc solo un gracchio. Aristippos si fece strada, gentilmente ma con decisione, in mezzo a due opliti; teneva in mano, reggendola per i capelli, la testa del musico come se fosse un oggetto qualunque, senza importanza. Argos disse. Pi tardi, mentre Dymas teneva con entrambe le mani un bicchiere e lo portava alla bocca tremando, dopo che i

macedoni se ne furono andati con il cadavere del morto, dopo che furono rimosse le macerie, le tracce di sangue e il tronco del cantore, il delio disse a bassa voce: Domattina mi dirai il tuo vero nome, amico. In quella notte d'orrore e di giubilo, Dymas giacque in una camera stretta sopra un'altra osteria, a godersi le molteplici grazie dell'acarnana. Al mattino port le parti di metallo, pirolo e giogo al vecchio fabbricante di strumenti e accarezz la citara finita che era una meraviglia e che finalmente sarebbe andato a ritirare quel pomeriggio. Intrattenne una lunga e amichevole conversazione con Aristippos e gli chiese di versare il credito del suo guadagno al fabbricante di strumenti: un po' di pi di quanto avrebbe dovuto costare la citara. Nella bisaccia che conservava insieme alle sue cose dietro il magazzino c'erano pi di duecento dracme, con le quali intendeva viaggiare fino a che fosse bastato il denaro; Aristippos lo insult e lo aiut a portare i suoi averi a bordo del mercantile a vela che apparteneva all'etrusco, che stava iniziando a tornare sobrio. Quando scivolarono fuori dal bacino del porto con il vento di terra della sera, Dymas teneva in mano la citara e guardava la donna velata sulle mura, il cui mistero irrisolto pensava di conservare come qualcosa di prezioso. L'etrusco non volle sentir parlare di pagamenti; Aristippos lo aveva minacciato terribilmente. Fece scalo a Korlyra, dove Dymas sbarc perch non c'era nulla che lo attirasse verso l'Italia. Due lune e undici navi dopo, verso la met dell'estate, sbarc a Kenchreai, il porto di Corinto. Quando in cielo, secondo gli astrologi, il Leone cedette il posto alla Vergine Dymas ritorn a Corinto, dove si trattenne solo pochi giorni. Aveva trascorso nei territori settentrionali del Peloponneso le lune estive: lune ardenti nel cielo infuocato, cantate dai grilli e saziate dalla polvere. Aveva percorso strade pietrose attraverso altipiani aridi, si era riposato all'ombra di querce e ulivi, si era seduto su muri a secco, aveva diviso il pane e l'acqua con i pastori, suonato la citara ad Argos e Megalopolis e in altre dozzine di citt. L'area d'influenza diretta del re spartano Agis, ancora pi a sud, lo avrebbe attirato se il pericolo non fosse stato troppo grande: i politici di Sparta, noti da secoli come abili e scaltri, che tante volte erano riusciti, con stratagemmi e accordi, a non dovere neppure impiegare il loro esercito, avrebbero potuto sapere da tempo che un citarista di nome

Dymas era stato a lungo un informatore dei macedoni. Da Corinto si diresse verso nordest, nella Megaride. Se Agis fosse riuscito davvero a mettere in piedi un'alleanza contro i macedoni o se Antipatros avesse deciso di muovere contro Sparta; se vi fossero stati messi in viaggio tra Sparta e Atene o se gli inviati di Dario intendevano distribuire oro nell'Ellade: avrebbero dovuto passare tutti da Megara. E laggi si era stabilito l'amico d'infanzia ed ex tesoriere di Alessandro, lo zoppo Harpalos. Se ne stava in una villa di campagna bianca al di fuori delle mura, a sud della citt, con vista sulla grande strada e sul mare, circondato dai marmi e dalle schiave, in mezzo alla frescura degli alberi. Con il bel tempo a sud si vedeva una punta dell'isola di Salamina e a est la collina di Eleusi. Era una posizione eccellente, che si prestava a ogni sordido progetto e dava adito contemporaneamente a qualsiasi dubbio immaginabile e al suo contrario. Tutto questo rese Dymas diffidente. La buona musica suonata in molte osterie aveva riempito la sua bisaccia; a Megara si rec in una filiale di quella banca che gestiva gli affari del nobile Demaratos. L apprese il nome di un grande mercante amico del corinzio, con il quale ebbe la possibilit di discutere delle complesse questioni riguardanti Pella e i crediti che vantava laggi. Il mercante accenn al fatto che sarebbe stato possibile discuterne con Harpalos. Il giorno dopo Dymas si incammin attraverso i campi a sud della citt. La maggior parte dei raccolti, soprattutto di cereali, era gi stata messa al riparo; era molto tempo che non pioveva. Un odore pesante di prodotti troppo maturi, essiccati, bruciati dal sole, aleggiava sulla campagna, e non c'era vento neanche vicino al mare. Quando, dopo una breve sosta sotto un pino, Dymas si rimise in marcia, si volt ancora una volta perch aveva sentito qualcosa frusciare. Nel punto in cui era stato seduto, il terreno era intriso del suo sudore; e in quell'umidit un piccolo serpente si muoveva come al culmine del piacere. Il podere di Harpalos non apparteneva allo zoppo: l'aveva affittato. A Megara si diceva che quel grande mercante che trafficava con la Macedonia aveva convinto un amico ad accordare rifugio al celebre fuggitivo in cambio di denaro sonante. Le mura bianche che circondavano l'edificio spazioso, erano state rafforzate; Harpalos poteva anche confidare nella sua buona sorte, ma evidentemente preferiva evitare certe sorprese. Pi di cinquanta uomini armati - in parte nelle capanne, in parte nelle tende e in parte in casa-avevano

presumibilmente il compito di escludere simili evenienze; coloro con i quali Dymas parl venivano sicuramente da nord, dai territori macedoni. Anche questo aveva un senso: chi avrebbe affidato la sua vita a mercenari che avrebbero potuto togliergliela, se qualcuno avesse offerto loro di pi? Harpalos accolse il musico. Due schiave seminude, probabilmente originarie di qualche localit delle steppe al di l di Bisanzio, gli presero citara e bagaglio, lo condussero gi per le scale in un locale con giacigli e numerose vasche da bagno in muratura, lo aiutarono a spogliarsi, si scambiarono risatine e allusioni nella loro lingua; dopo che Dymas si fu rilassato e ripulito in una vasca piena d'acqua tiepida, lo massaggiarono e lo unsero, gli portarono un perizoma pulito, un candido chitone e sandali nuovi; con le dita agili gli frizionarono i capelli con essenza di rose, nardo assiro e altre delizie, e alla fine lo condussero da Harpalos. Baldacchini e telai di legno su cui crescevano piante rampicanti diffondevano un'ombra gradevole nel cortile interno; il pozzo al centro, alto come un uomo, riccamente decorato con figure di particolare bruttezza, faceva zampillare da quattro teste di leone sdentate l'acqua, che si raccoglieva in un bacino quadrato e da qui si diffondeva nelle aiuole, che ospitavano migliaia di piante colorate e profumate. Intorno al cortile interno, file di colonne di pietra chiara, sottili e disadorne, sorreggevano l'ambulacro di legno del piano superiore, al quale si accedeva per mezzo di una scalinata da tutti e quattro i lati. Harpalos era disteso su una kline imbottita color panna, per met all'ombra del colonnato e per met di un baldacchino. Era nudo e pi grasso di come lo ricordasse Dymas. Accanto al giaciglio era inginocchiata una schiava dalla pelle scura, che muoveva avanti e indietro e in senso circolare la testa e la nuca, per rimediare a un vistoso rigonfiamento sotto la vita di Harpalos. Il macedone apr gli occhi, ammicc nella sua direzione, indic una seconda kline e richiuse gli occhi. Dymas mescol vino e acqua in un bicchiere d'argento, si distese, bevve e osserv le colonne e le piante rampicanti fino a che Harpalos grugn e mormor qualcosa. La schiava distese su di lui un panno di lino intessuto di fili d'oro e si allontan dimenando le anche. Tra poco ci sar qualcosina da mangiare disse Harpalos. Dal momento che la tua venuta non mi era stata annunciata, dovrai accontentarti del modesto pasto che era previsto. Da

dove vieni? Ho girato un po' tra Argos, Megalopolis e Corinto. Harpalos arricci il naso. Posti torridi, d'estate. Sbadigli. La notte stata breve e piena di papiri; perdona se il mio vigore non pari al desiderio di intrattenere un ospite che ha girato il mondo..

Le schiave e un cuoco li interruppero. Venne preparato un tavolo in mezzo ai due giacigli; giunsero ciotole di frutta, piatti di pane e un'immensa forma di terracotta con il modesto pasto di Harpalos: tranci di tonno, dapprima stufati con il vino, poi dorati in forno con vino, miele, sesamo, briciole di pane e formaggio grattugiato, con contorno di porri. Mentre mangiava Dymas descrisse, senza scendere in particolari, i suoi spostamenti dopo il Granico; Harpalos sapeva molte cose di cui il musico non era mai venuto a conoscenza o che aveva dimenticato durante le sue lune di smarrimento. Poco dopo il soggiorno di Dymas a Pella, Olympias aveva lasciato la citt per l'Epiro. Suo fratello Alexandros, sposato con Kleopatra, sorella di Alessandro e figlia di Olympias, aveva ceduto il potere alla moglie e nipote e si era recato con un esercito nell'Italia meridionale per procurarsi gloria e ricchezza dal momento che, per via dell'occupazione dei territori taulantini da parte di Antipatros, gli era preclusa la possibilit di espandersi verso nord. Olympias aveva rinunciato a scontrarsi con Antipatros, che vanificava le sue mosse con altrettante contromosse e tutte le sue malvagit con la sua superiore indifferenza. Quanto al resto, secondo Harpalos, Antipatros in quel momento era occupato a sedare le ribellioni in Tracia. C'era da aspettarselo. Ma dimmi, amico di Alessandro: che cosa ti ha indotto a... ehm, fuggire fin qui? Harpalos sorrise con infinita dolcezza. La curiosit, citaredo. L'insaziabile curiosit di Harpalos. E una certa... diciamo, noia. Tutto questo tracci un semicerchio con la destra per me immensamente pi sopportabile dei miseri accampamenti provvisori e delle polverose marce forzate, con il pane impastato con la farina andata a male e la carne di manzi che erano troppo vecchi per sfuggire a un macellaio con una gamba sola, e vino che persone

di gusti pi delicati non definirebbero neppure aceto. E la tua amicizia con Alessandro? La tua fedelt di macedone al re e di elleno al patto di alleanza? Harpalos contempl un pezzetto di pesce come un veggente avrebbe potuto contemplare il fegato di un animale sacrificale. La vera amicizia, amico mio, superiore ai piccoli malintesi; e un rapporto sensato con la fedelt spesso dista appena un battito di ciglia dal tradimento. Si lecc le dita. Hai novit su come vanno le cose ai tuoi benefattori? Dymas deglut. Qua... quali benefattori? Toss. Demaratos rispose Harpalos quasi di sfuggita. Hamilkar. Bagoas. Senza dimenticare Antipatros, che a Pella ha dilapidato parecchie monete per te. Si lasci sprofondare nella kline e alz lo sguardo verso il bordo del baldacchino. Tekhnef non ha toccato le tue cinquantamila dracme. Se la passa bene, detto tra parentesi. Dymas mand gi con un sorso lungo e profondo qualunque cosa potesse esserci nella sua bocca. Dopo un breve silenzio, disse: Questo posto, attraverso il quale deve passare chiunque voglia recarsi, per esempio, da Atene a Sparta, a meno che non possieda una nave, ha i suoi vantaggi, non vero?. Harpalos si rotol su un fianco, si riassett il lenzuolo e osserv il musico. Poi ridacchi, ma i suoi occhi scuri erano taglienti e freddi. Di ghiaccio. S, soprattutto per i grassi traditori, amanti della vita comoda. Chi sa che sei qui? Dymas fece il nome del mercante di Megara e di un uomo della banca. Molto prudente . . . uno potrebbe anche inciampare nella punta di una spada, senza che nessuno sappia dove erigergli il monumento funebre. Bah. Hai ragione, e hai fatto proprio bene. Sei sazio? Altro che: sto per scoppiare. Bene, bene. Harpalos batt le mani. Dopo che le schiave ebbero portato via tutto, si sedette sull'orlo della kline, cercando con i piedi le sue calzature di stoffa morbida. C' una cosa... Devo terminare una lettera al buon Tauriskos, in modo che possa essergli trasmessa oggi stesso. Certe informazioni devono giungere ad Atene domani. Ci vorr forse un'ora; nel frattempo hai voglia di divertirti con una delle mie schiave? Di passeggiare? Di riposarti? O forse di leggere? Hai del buon materiale da lettura? Harpalos sbuff, si alz in piedi, lasci cadere il lenzuolo e attravers un arco che conduceva a un ampio locale luminoso. Vieni con me. Attraverso i larghi vani delle finestre si vedevano i giardini, le mura e, al di l della linea

digradante della riva, il mare. Alle pareti intonacate di bianco c'erano scaffali di rotoli con davanti giacigli, seggiole e tavoli. Il pavimento di marmo chiaro con venature rossastre era coperto qua e l da spessi tappeti preziosi. Harpalos si diresse a una scrivania di legno intagliato, rovist tra i papiri, le tavolette e il materiale per scrivere, ritorn da Dymas con due rotoli piuttosto spessi e indic i giacigli e le seggiole.

Siediti, siediti. Voglio infilare qualche abito sul mio grasso corpo e terminare la lettera. Tu puoi metterti a leggere qui oppure fuori, nel cortile, come vuoi. Che cosa sono questi rotoli? Harpalos sogghign. Uno stato redatto da un premuroso attendente reale, uno che si trattiene nella tenda del re anche la notte, anche quando il re non solo e manda via le guardie. Il secondo opera di Aristoboulos, l'abile costruttore di strade e fortificazioni. Descrive l'assedio e la conquista della citt di Tiro. Dymas trasal. Non sapevo che fosse terminato... E' giunto due giorni fa. Ora scusami. Harpalos si volt, si fece portare i vestiti e si diresse al suo tavolo; Dymas and a prendere il bicchiere e la brocca con acqua e vino nel cortile interno, si sedette davanti a uno degli scaffali e inizi a leggere.

Parmenion lasci una guarnigione a Damasco e, con l'immenso bottino che il governatore persiano, n desideroso n attrezzato per combattere dopo la fuga del Gran Re, gli aveva ceduto insieme alla citt, si diresse incontro al sovrano che avanzava verso sud lungo la pianura costiera fenicia. C'era una quantit incalcolabile di cose che, per lo stupore dei soldati e l'incredulit degli ufficiali, riempiva quel pomeriggio invernale. Migliaia di carri, di cavalli da soma, di cammelli da carico, di asini, di muli; i diecimila cavalieri e opliti di Parmenion; innumerevoli prigionieri a piedi, sui carri, sugli animali da sella; altri lunghi

convogli di carri con provviste, foraggio, armi; nuvole di polvere si alzavano fino al cielo, dove venivano tinte di colore rosso sangue dal sole calante. Alla sera soltanto una parte dell'immenso convoglio si era sistemata e i fuochi brillavano ovunque nella pianura. Davanti alla splendida tenda che Alessandro utilizzava dopo Isso sedevano il re, i compagni e gli ufficiali; bevevano e bisbigliavano, ridevano e si stupivano mentre davanti a loro passavano lunghe file di schiavi e prigionieri, trasportando oggetti sui quali Parmenion, coadiuvato da numerosi compilatori di elenchi, forniva informazioni con parole non alate. Questo forse il pezzo migliore, Alessandro. Le casse pesanti casse di legno con guarnizioni di metallo: dovevano essere migliaia contengono oro in monete e in lingotti. In tutto qualcosa di pi di duemilaseicento talenti. Eumenes gemette come per un piacere estremamente doloroso. Per venti, amici, per venti! Ahhh! Da farci il bagno dentro! Cinquantaduemila talenti d'argento... cinquantaduemila per seimila dracme d'argento... trecentododici milioni di dracme... cinquant'anni di entrate statali macedoni... questo ... ... Molto denaro. Avanti. Alessandro fece un cenno con la mano e rivolse uno sguardo ironico a Eumenes, per sembrava anche lui impressionato da quella quantit inconcepibile, da quell'improvvisa ricchezza che avrebbe definitivamente consegnato al passato ogni difficolt e ogni penuria. Parmenion indic il convoglio successivo: schiavi che tiravano carretti. Un po' d'argento non coniato. Non l'abbiamo ancora pesato esattamente, amico: forse cinquecento talenti. Il convoglio successivo: schiavi e prigionieri, con carri trainati da cavalli e a mano, alcuni muniti di stanghe. Un po' di armi disse Parmenion come se parlasse di due coltelli e di una lancia spezzata. Sufficienti per due eserciti delle dimensioni del nostro. Spade, molte delle quali con pietre verde scuro, rosso chiaro e giallo sull'impugnatura, che brillavano alla luce del fuoco. Fasci su fasci di lance; montagne di pettorali, schinieri ed elmi, semplici, dorati oppure d'oro; cinturoni; coltelli; sciabole ricurve con l'impugnatura decorata e il fodero letteralmente tempestato di pietre preziose; archi corti e lunghi di legno, di corno, con parti metalliche oppure anche di tutti e tre i materiali messi insieme, oltre a faretre con miriadi di frecce; materie prime per gli armaioli: ferro in dita, in barre e in lingotti, piastre di bronzo, barre di rame...

Alcune schiave e donne libere; libere sino a poco tempo fa, per la precisione. Accolte dall'esercito, dalle decine di migliaia nella penombra, con grida, esclamazioni di giubilo e un indescrivibile borbottio di brama e di desiderio, passarono davanti a loro lunghe file di donne e di fanciulle, la maggior parte delle quali non molto vestite. Un carico frivolo da trasportare, il mio contributo affinch tu, re dei macedoni, possa trattare meglio questa parte dell'esercito. Un gruppo numeroso di fanciulle con arpe, flauti, tamburi, lire, pifferi e ogni genere di curioso strumento a corda. Trecentoventi musiciste, Alessandro; fino a poco tempo fa, patrimonio personale del Gran Re. E questo indic gli uomini sorridenti che si erano spogliati delle armi e trasportavano enormi vassoi d'oro e d'argento, anfore, brocche, intere panche piene di cibo e bevande stato preparato da altri elementi animati del suo patrimonio personale con elementi inanimati. Sotto stretta sorveglianza, naturalmente. Infatti, re e amico, io ti porto anche trecentosei cuochi, tredici pasticceri, settanta cantinieri e assaggiatori, con i quali ora non intendo importunare i tuoi occhi. Inoltre abbiamo condotto con noi quaranta specialisti in unguenti, erbe e profumi che, quando ne avrai bisogno, si occuperanno del tuo nobile corpo. Eumenes continuava ancora a contare, tra s, l'oro e l'argento. Mormor qualcosa su e tutti gli equipaggiamenti e le pietre preziose e gli schiavi e soprattutto... vendere tutto... inconcepibile, Alessandro! Questo significa, significa... ... che pagheremo tutti i debiti e ci avanzer perfino qualcosa per i prossimi decenni, non vero? Alessandro sorrise. Sufficiente a fare qualche regalo, per esempio. Regali? Eumenes lo guard come un allocco. E a chi? A chi li merita. A chi ha dimostrato particolare valore in combattimento. Non per gli scrivani grassi di Kardia, Eumenes, che durante le battaglie stanno a guardare. Ptolemaios diede un calcio a Perdikkas e gli mormor qualcosa; entrambi risero. Il taxiarca si rivolse al re. Forse mi ripeter, Alessandro, ma... se vuoi fare tutti questi regali, a te che cosa rimane? Alessandro rise e allarg le braccia, come se volesse abbracciare l'intero immenso accampamento. Io non ho bisogno di nulla. Ho i miei compagni. Parmenion tossicchi. Ah, ma pu esserci anche qualcosina in pi, amico. Ho portato due cose soltanto per te. Fece cenno a un gruppo di opliti che trasportavano una

cassa enorme e una portantina. Parmenion fece aprire la cassa e ne estrasse un capolavoro dell'artigianato pi perfetto: una cassa pi piccola, d'ebano e d'avorio, con rivestimenti in oro e argento, con decorazioni a intaglio e tempestata di pietre preziose. Tutti si piegarono in avanti; molti si alzarono in piedi per contemplare quel capolavoro straordinario. Parmenion e un soldato sostennero Alessandro che allung la mano molto lentamente e sfior, tast, accarezz la cassa trasognato, estasiato. Hephaistion sospir forte. Non ho mai visto tanta bellezza tutta insieme. Che cosa vuoi conservarci dentro, Alessandro? Il re aveva richiuso il coperchio. La cassa internamente era rivestita di seta; le teste dei chiodi o dei perni che la tenevano insieme sembravano ottenute a loro volta da pietre preziose. Alessandro sorrise, fece cenno a Callistene di avvicinarsi e gli sussurr qualcosa all'orecchio. L'elleno scomparve nella tenda per fare ritorno immediatamente. Che cosa dovrei conservare nel capolavoro pi prezioso dell'Asia, se non il capolavoro pi prezioso che l'Ellade abbia mai prodotto? Con gesti lenti, quasi solenni, vi infil uno spesso rotolo di papiro: l'edizione delle opere del divino Omero curata da Aristotele e dai suoi allievi. Si alz in piedi e abbracci Parmenion. La fortezza di Damasco, le spalle protette, tesori smisurati e ora questo capolavoro: come potr mai ringraziarti, padre mio Parmenion? Parmenion si sciolse dal suo abbraccio, lo tenne per un momento per le spalle, poi fece un cenno ai portantini e allung la mano sinistra, come se dovesse trattenere o sostenere qualcuno. Ringraziare? Non occorre nessun ringraziamento, mio re e amico, tranne uno: che tu accetti questo secondo regalo. Dalla portantina scese, con movimenti leggiadri e flessuosi, una donna. Indossava abiti di seta e di lino finissimo; al suo orecchio brillava un anello d'oro sottilissimo con una pietra dai riflessi verdi, della quale portava la gemella al quarto dito della mano destra. Non aveva bisogno di nessun altro ornamento e ogni ornamento divenne secondario quando si raddrizz e sorrise al re, prima di inginocchiarglisi davanti. Poteva avere otto o nove anni pi di lui. Una vita piena aveva arricchito il suo volto, anzich segnarlo; quando sorrideva, come per magia le tracce del tempo intorno alle labbra piene, al naso diritto e agli occhi scuri e luminosi si trasformavano in segni di giovent, senza cancellare le esperienze e la

sofferenza. Callistene mormor qualcosa a proposito della mezzaluna delle sopracciglia, della dolce panna marrone delle guance di seta e simili sciocchezze; Ptolemaios disse qualcosa a voce molto bassa a Perdikkas, che era accanto a lui con gli occhi spalancati, qualcosa su Olympias, fuoco e ghiaccio, e poi: Questa calore e luce e amore... ma non la conosciamo gi?. Alessandro si pieg in avanti, le prese la mano e l'aiut a rialzarsi. Nel frattempo sembrava mangiarle il viso con gli occhi. Io ti conosco, ma... Con voce calda e gutturale, la donna disse, sempre sorridendo, in un ellenico impeccabile: E stato diciassette anni fa, Alessandro. Mio re. Allora avevo quindici anni e tu ne avevi... sei?. Il suo sorriso mut, assumendo una sfumatura di affettuosa ironia. Si pu dire che sei cresciuto. Tutti risero. Alessandro scosse il capo, sempre meravigliato. Barzhiyan, figlia del nobilissimo Artabazos, al quale devo tanta riconoscenza. Barsine. Questo davvero un dono regale, Parmenion. E' una sorpresa regale. Molto pi tardi Barsine, svestita dalle schiave, era distesa tra le coperte chiare del letto di Alessandro. I suoi lunghi capelli scuri, sciolti in una massa morbida, si spargevano sulle lenzuola. Alla luce di fiaccole e lampade, Alessandro era in piedi accanto al letto, come un ragazzo nello stesso tempo impaziente e insicuro. Due attendenti armeggiavano con la sua cintura, con le vesti, con le cinghie dei sandali. Lui abbass lo sguardo sulla donna con un'espressione incerta. Dal momento che Parmenion ti ha per cos dire condotto nella mia tenda, non ti posso certo mandare via, non vero? Lei sorrise. Io ti ho conosciuto quando eri bambino e mi sono domandata spesso come stesse il fanciullo ormai diventato grande. Mi sarebbe piaciuto vederti crescere. Ora vorrei dimenticare il re e conoscere l'uomo, ma non c' fretta. Dopo averlo spogliato, i servitori si ritirarono senza far rumore nell'ombra accanto all'ingresso; sarebbero rimasti seduti l, in silenzio, a proteggere il riposo del re. Nella tenda aleggiava un profumo agrodolce. Si sentivano sussurrare tra loro le due sentinelle davanti all'ingresso, fuori, nella pianura fenicia immersa nell'oscurit. In lontananza una donna grid; alcuni cavalli nitrirono e, pi vicino, qualcuno gett rumorosamente un pezzo di legno nel fuoco. Qualcosa tintinn: bicchieri oppure armi? Le sentinelle dall'altro lato del passaggio verso la parte pi grande della tenda erano silenziose.

Alessandro si lasci cadere sul letto, sopra le coperte; giacque su un fianco, sul gomito sinistro, e osserv la nobile persiana. Limitiamoci a parlare, Barsine. Non mi sento in vena di altre cose. Dove sei stata tutti questi anni? La donna si strinse nelle spalle; sul suo volto balen un sorriso malinconico. Qua e l. Come sai bene, ma visto che vuoi sentirlo dire da me... Quando mio padre e il Gran Re si riappacificarono, abbiamo lasciato Pella. Allora c'erano, come sai, due uomini importanti di Rodi, elleni, fratelli, grandi guerrieri e condottieri di uomini. Tu li conosci molto bene... Mentor e Memnon. Hanno capitanato i mercenari elleni del Gran Re, riconquistato l'Egitto per conto di Artaserse, consolidato la Fenicia, eliminato la minaccia di nome Hermias. Si ritenuto fosse saggio farli sposare con donne persiane. Io non sono stata consultata, ma sai bene come vanno queste cose. Alessandro annu. Allung una mano e gioc con una delle sue pesanti ciocche scure. E come stato essere sposata con Mentor? Lei chiuse gli occhi e parve sorridere dentro di s. Era un uomo buono. Ma morto presto e l'Iran non pensava assolutamente a sprecare due donne, quando ne bastava una sola. Cos, quando Mentor mor, la figlia del cugino del re, satrapo e principe Artabazos, venne data in sposa a Memnon. Ho partorito due figli a entrambi. E ora morto anche Memnon, come sai. Le dita di Alessandro si persero sulla sua guancia. Lo so. L'ho sempre stimato molto, perfino temuto, e sono stato felice che non abbia avuto il comando sul Granico. In seguito... eh s, stato appunto in seguito. Dove sono i tuoi figli? A Damasco? Oppure qua fuori? Lei sospir, stanca e triste. A Susa, e dove se no? Sono ostaggi, per molte ragioni. Dal momento che sono di origine nobile, ho dovuto accompagnare Darayava'ush, come pegno della fedelt di mio padre. E i miei figli sono rimasti a Susa, come pegno della mia fedelt. Artabazos, mio padre, manifesta simpatia per te. Ha pianto, quando scoppiata la guerra, e da allora spera che le armi dell'Iran vincano ma che tu esca dallo scontro sano e salvo. Alessandro sorrise. Io penso a lui molto volentieri. Mi ha fatto capire tante cose ed stato piacevole stargli insieme. Barsine si volt su un fianco e lo guard. Sai, sono stata felice allora, tanti anni fa, quando abbiamo potuto abbandonare Pella.

Io... vivevamo nel palazzo reale, quella tetra fortezza, e io non riuscivo a sopportare l'eterna guerra tra i tuoi genitori. E' davvero tremendo crescere in questo modo. Si distese di nuovo sulla schiena e guard in alto verso il soffitto. Tuo padre... un grande principe, guerriero e condottiero; forse la sua impresa pi grande stata quella di ammansire Olympias per tutti quegli anni. Sempre che l'abbia davvero ammansita. Ma qualche volta perdeva il senno nei bicchieri di vino e poi lo cercava in mezzo alle gambe di ogni donna che trovava. Ridacchi. Un'impresa disperata, detto tra parentesi. Guarda tranquillamente in mezzo alle mie gambe, se vuoi. L non c' raziocinio e neppure un motivo per perdere il tuo senno. Alessandro fece schioccare la lingua e sorrise. Barsine rimase distesa, assolutamente tranquilla. La mano di lui, come di sua iniziativa, gioc con i suoi capelli, scivol sulle sopracciglia e sulle guance, le accarezz le labbra, il mento, il collo, e si avvicin ai suoi seni.

E se fossi in te disse lei con voce pi cupa prenderei a calci chiunque dicesse che dovrei trovarmi una moglie, sposarmi e generare figli: un maschio, un erede al trono. Se fossi vissuta sotto il terribile dominio di tua madre, fuggirei qualunque donna e prenderei nel mio letto i fanciulli, oppure gli uomini. O forse una schiava, sempre per una sola notte. Ma non farei mai un figlio per il quale litigare con la madre. Niente grida e dispute, ma soltanto qualcosa di leggero, di caldo, di buono, i piaceri della carne, forse una bella conversazione, ma nient'altro. L'espressione del volto di Alessandro, dapprima stanca e poi distratta, durante il suo discorso si fece sempre pi sorpresa, poi stupita e infine manifest rispetto e simpatia. Lei si pass la lingua sulle labbra. Sono contenta che Parmenion mi abbia trovato a Damasco. Sono contenta di essere qui. Non pianger n striller, se mi manderai via domattina presto; oppure anche subito, se vuoi. Non ho nulla in contrario a restare e mi piace molto il modo in cui le tue dita mi raccontano le cose. Ma in questo non c' nessun pericolo... Ho messo al mondo figli, so dare e ricevere

piacere e, essendo persiana e per due volte vedova di elleni, so che tu sai o re, di non potermi sposare, e questo mi rende felice. E libera. Le sue mani avevano percorso, come per conto loro, il corpo di Barsine; ora lui si chin su di lei, le baci i seni e la prese tra le braccia. Lei sorrise. Donna intelligente disse con voce roca. Stai tranquilla. Io ti voglio. Al mattino Alessandro si svegli, si mise improvvisamente a sedere, si guard intorno e poi rivolse lo sguardo a Barsine, che era gi sveglia e l'osservava con un sorriso caldo. Lui scosse il capo molto meravigliato. Mi hai fatto dormire. Lei annu. Si dice che, quando amiamo, moriamo sempre di una piccola morte. Morte e sonno sono fratelli gemelli. Perch allora, dopo una piccola morte, non dovresti goderti un grande sonno? Ma io mi sento molto vitale!.

La relazione di Aristoboulos inizi con una descrizione piuttosto confusa dei preparativi di Demaratos, i cui uomini avevano trovato l'ultimo discendente vivente degli antichi re di Sidone. Alessandro mand Hephaistion, "l'altro Alessandro", nella venerabile citt portuale fenicia perch si presentasse in modo gentile e amichevole, sciogliesse il Consiglio della citt costituito da Dario, in accordo con i cittadini di sentimenti amichevoli e, senza dire una parola di troppo, suggerisse con accorte domande la scelta di quel discendente, Abdalonymos, come nuovo e buon re. Mentre Hephaistion eseguiva questo compito in modo brillante, Demaratos, che era arrivato insieme a lui, ebbe un lungo colloquio con Abdalonymos, che lavorava come giardiniere, e con cui prese determinati accordi. Alla fine uno dei pi ricchi mercanti di Sidone, tra la sorpresa generale e l'apparente immenso sconcerto di Hephaistion, propose un anonimo giardiniere, appartenente alla stirpe reale, come nuovo sovrano ed Hephaistion accett dopo un'esitazione ben ponderata. Segu un resoconto non particolarmente avvincente sull'accampamento del re, nella cui tenda, per la felicit generale, si tratteneva Barsine. Insieme a Sisygambis, che lo trattava come un figlio e che lui chiamava madre, Barsine era

riuscita addirittura a convincerlo a dormire di pi, a mangiare e a bere vino. Aristoboulos scriveva che era meno irrequieto, il che accresceva ancor pi la sua energia e la sua perspicacia. Con Sidone, Byblos, Berytos e le altre citt, Alessandro possedeva la maggior parte della Fenicia. Dario avrebbe avuto bisogno di molto tempo per allestire un nuovo esercito; i macedoni per non potevano avanzare verso l'Egitto fino a che la flotta nemica aveva a disposizione il porto di Tiro. L'esperto di costruzioni e di assedi Aristoboulos descrisse poi, con stile modesto, quello che Omero avrebbe trasformato in un epos grandioso ed Eschilo in una tragedia commovente.

Ad Alessandro si fecero incontro messi che annunciarono la disponibilit dei tiri a piegarsi ai suoi ordini. Il re lod la citt e ordin ai messi esponenti delle classi pi elevate, tra cui il figlio del sovrano, dal momento che lo stesso Azemilkos si trovava con la flotta di Autophradates di comunicare ai loro concittadini che lui voleva entrare in citt e sacrificare a Eracle. A Tiro infatti si trovava il pi antico santuario di Eracle. Prima che Kadmos, di ritorno dalla Fenicia, occupasse Tebe e generasse Semele, che a sua volta gener Dioniso insieme a Zeus, esisteva un culto di Eracle a Tiro. A lui voleva sacrificare Alessandro. Ma quando i messi riferirono questa sua intenzione a Tiro, gli abitanti decisero di eseguire tutti gli altri ordini di Alessandro, ma di non permettere l'ingresso in citt n a persiani n a macedoni. Questo sembrava il modo pi sicuro di comportarsi visto che, per il momento, l'esito della guerra continuava a restare incerto. Quando gli venne comunicato questo provvedimento, Alessandro rimand indietro i messi, riun gli etri, i comandanti delle truppe e i consiglieri, e tenne loro il seguente discorso: Amici e compagni di battaglia! Non so come la nostra avanzata verso l'Egitto possa procedere in modo sicuro, fino a che i persiani hanno il dominio sul mare. E come pensiamo di inseguire Dario senza rischi, se ci lasciamo alle spalle questa citt di Tiro, il cui atteggiamento non chiaro, mentre i persiani hanno in mano loro l'Egitto e Cipro?

Inoltre, una simile situazione provocher rischi nella stessa Ellade, perch c' da temere che i persiani occupino nuovamente il territorio costiero e, mentre noi ci dirigiamo contro Dario, questi spostino la guerra verso l'Ellade, con una forza militare ancor pi imponente, sul mare. Allora gli spartani ci attaccheranno, e anche Atene. Se, al contrario, dovessimo riuscire a prendere Tiro, allora la Fenicia intera sar nelle nostre mani e la parte pi grande e migliore della flotta persiana, quella dei fenici, passer dalla nostra parte. I fenici infatti non si batteranno per altri sul mare, se le loro citt sono occupate da noi. Allora ci impadroniremo senza difficolt anche di Cipro e domineremo indisturbati il mare. La spedizione in Egitto diventer una sciocchezza. Ma, non appena avremo l'Egitto, allora non avremo pi nulla da temere neanche dall'Ellade e, rafforzati in patria, la nostra marcia verso Babilonia sar preceduta da una fama molto maggiore, quella di aver tagliato fuori i persiani da ogni mare, nonch dalle terre che si trovano al di qua dell'Eufrate. In tal modo non fu difficile convincerli a dare l'assalto a Tiro. Alessandro fu indotto a questa decisione anche da un segno divino, perch quella notte aveva avuto una visione in sogno: lui che avanzava personalmente contro le mura di Tiro, mentre Eracle lo teneva per mano e lo conduceva dentro la citt. Aristandros l'aveva interpretata cos: Tiro sarebbe stata presa non senza fatica, come del resto neanche Eracle aveva compiuto le sue imprese senza fatica. In ogni caso, non c'era sicuramente bisogno di questo per comprendere che l'assedio di Tiro sarebbe stato difficile. La citt si trovava su un'isola ed era difesa su ogni lato da alte mura. Sull'acqua i tiri sembravano superiori, dal momento che i persiani continuavano a dominare il mare e loro stessi avevano a disposizione un gran numero di navi. Alessandro decise di innalzare un argine dalla terraferma sino alla citt. Tra l'isola e la terraferma si trovava un guado fangoso in cui, nei pressi della riva, l'acqua era poco profonda e melmosa, ma davanti alla citt raggiungeva la profondit massima. Pietre e legna, che si pensava di disporre a strati sulle pietre, non mancavano, nel fondale marino era facile piantare i pali e il limo stesso poteva essere impiegato come mastice per le pietre in modo da assicurare loro una buona tenuta. L'ardore dei macedoni per l'impresa era grande, e cos

quello di Alessandro; il re in persona era sempre sul posto a dirigere coloro che si distinguevano rispetto agli altri. Fino a che si lavorava alla costruzione dell'argine vicino alla terraferma, i lavori procedettero facilmente: non c'era bisogno di scavare in profondit e non c'erano ostacoli di nessun genere. Quando ci si avvicin a profondit maggiori e si giunse a portata di tiro dalla citt, dalle mura inizi un dardeggiamento che fu ancor pi duro da sopportare perch gli uomini erano in tenuta da lavoro, anzich equipaggiati da combattimento. Inoltre i tiri si avvicinarono con le loro triremi a diversi punti della costruzione: avevano pur sempre il predominio sul mare e cercavano di impedire ai macedoni di proseguire i lavori. Questi perci eressero due torri all'estremit dell'argine, che era notevolmente avanzato verso il mare, e vi disposero macchine da guerra; inoltre appesero a queste torri protezioni di cuoio e pelli di animale per difendersi dai dardi infuocati scagliati dalle mura e offrire agli uomini al lavoro protezione dai lanci di frecce. Nello stesso tempo dalle torri si dovevano bersagliare gli assalitori, che continuavano a cercare di disturbare gli uomini al lavoro, costringendoli ad allontanarsi. I tiri escogitarono una contromossa: riempirono un mercantile di sterpaglie e di altro materiale facilmente infiammabile, innalzarono due alberi a prua e tutt'intorno un parapetto il pi ampio possibile, per potervi caricare ancor pi paglia e combustibile. VI riversarono sopra pece, zolfo e tutto il necessario per alimentare un grande incendio. Fissarono saldamente agli alberi pennoni doppi, ai quali appesero recipienti con materiali che, riversandosi sulle fiamme, le avrebbero fatte ardere con particolare violenza. La poppa venne appesantita con pietre, in modo che la prua rimanesse sollevata sull'acqua. Attesero che il vento soffiasse in direzione dell'argine. Poi le triremi presero al traino la nave. Quando furono vicini all'argine e alle torri, diedero fuoco al combustibile, trascinarono la nave in fiamme a tutta velocit grazie alle corde che la tenevano unita alle triremi e la indirizzarono contro la punta dell'argine. Quando l'imbarcazione era gi in fiamme, il suo equipaggio salt in acqua e si allontan a nuoto. Il fuoco si appicc alle torri con estrema violenza, i pennoni spezzandosi riversarono il loro combustibile sul fuoco e, contemporaneamente, dalle triremi ancorate vicino alla costruzione venivano scagliati proiettili contro le torri, in modo che coloro che cercavano di spegnere l'incendio potevano avvicinarsi solo a rischio della vita. E, mentre le torri

erano in fiamme, i nemici accorsero in massa dalla citt, saltarono sui barconi e abbordarono l'argine da ogni lato, ne divelsero la palizzata e diedero alle fiamme le macchine rimaste. Allora Alessandro ordin di ricominciare a costruire pi largo l'argine a partire dalla terraferma, in modo che vi si potesse erigere un numero maggiore di torri, mentre i tecnici dovevano dedicarsi alla costruzione di nuove macchine. Quanto a lui, durante questi lavori di costruzione si diresse a Sidone con ipaspisti e agriani, per radunare tutte le triremi che erano gi in suo possesso; infatti, sino a che i tiri avevano il controllo del mare, l'assedio della loro citt sembrava senza prospettive. Nel frattempo Gerostratos, re di Arados, ed Enylos, re di Byblos, erano stati informati che le loro citt erano nelle mani di Alessandro. Allora piantarono in asso Autophradates e si diressero da lui con le loro navi. Insieme a loro giunsero anche le triremi di Sidone, tanto che, sotto il comando di Alessandro, si raccolse una flotta di non meno di ottanta navi fenicie. Negli stessi giorni giunsero anche dieci navi rodie, altre da Soloi e Mallos, dieci dalla Licia e una nave a cinquanta remi, con a bordo Proteas, dalla Macedonia. Poco dopo, non appena ebbero saputo della sconfitta di Dario a Isso, impauriti dal fatto che l'intera costa fenicia era in mano ad Alessandro, approdarono a Sidone anche i re ciprioti, con centoventi navi. Contemporaneamente furono portate a termine le macchine d'assedio e le navi si equipaggiarono per dare l'attacco alla citt e per una battaglia sul mare. Per parte sua, Alessandro si diresse con cavalieri, ipaspisti, agriani e arcieri in direzione dell'Arabia, fino all'Antilibano, una catena montuosa, dove sottomise una serie di indigeni con la forza e ne port altri dalla sua parte tramite accordi. Dieci giorni dopo ritorn nuovamente a Sidone, dove trov Kleandros che portava con s quattromila mercenari. Completato l'equipaggiamento della flotta, dispose sui ponti delle imbarcazioni un numero sufficiente di ipaspisti, nel caso in cui la battaglia navale si fosse trasformata in un combattimento ravvicinato tra gli equipaggi piuttosto che in uno scontro tra le imbarcazioni. Poi salp da Sidone e fece vela alla volta di Tiro, disponendosi personalmente sull'ala destra, verso il mare aperto, insieme ai re delle citt cipriote e fenicie, a eccezione di Pnytagoras che, insieme a Krateros, ebbe il comando della met di sinistra. I tiri si erano predisposti alla battaglia.

E ora vedevano una quantit enorme di navi; non sapevano assolutamente che adesso, con Alessandro, ci fosse anche la massa delle unit navali cipriote e fenicie. Le navi di Alessandro gettarono l'ancora prima di avvicinarsi alla citt, in mare aperto, per provocare i tiri alla battaglia; ma poi, dal momento che non arrivava nessuno, avanzarono in mezzo a un grande frastuono. I tiri sbarrarono gli accessi ai porti disponendo le loro triremi l'una accanto all'altra. Nessuna nave nemica doveva riuscire a gettare l'ancora in uno dei loro porti. Allora, dal momento che non vedeva navi nemiche, Alessandro si diresse contro la citt. Rinunci a una penetrazione violenta nel porto settentrionale perch l'accesso era stretto e bloccato. Tre triremi ancorate fuori dall'ingresso poterono essere affondate grazie ai fenici, mentre i loro equipaggi si tuffavano in acqua e si mettevano in salvo nuotando verso la sponda cittadina. Quindi la flotta di Alessandro gett l'ancora nei pressi dell'argine artificiale, dove sembrava protetta dai venti. Il giorno dopo Alessandro ordin ai ciprioti, insieme ad altre unit al comando di Andromachos, di accerchiare la citt da nord mentre, dall'altra parte dell'argine, i fenici avrebbero dovuto fare lo stesso con il porto meridionale. L vicino c'era anche la sua tenda. Dal momento che da Cipro e da tutta la Fenicia erano giunti un gran numero di tecnici che avevano costruito molte macchine, fu possibile disporne una parte sull'argine e imbarcarne un'altra parte sulle navi da carico, nonch sulle triremi. E, quando fu tutto pronto, le macchine che erano sull'argine vennero spinte in avanti e quelle sulle navi al centro; gettarono l'ancora tutt'intorno alla citt e iniziarono a tempestare di proiettili le mura. I tiri avevano innalzato torri di legno sulle mura di fronte all'argine per potersi difendere da una posizione soprelevata e cercarono di resistere anche dalle altre parti con l'aiuto di proiettili, oppure scagliando frecce infuocate direttamente sulle navi. Nel punto che si trovava di fronte all'argine le mura erano alte fino a centocinquanta piedi e gli enormi blocchi di pietra erano tenuti insieme con il gesso. Oltre a questo, per rendere pi difficile l'avvicinamento delle navi che avrebbero dovuto portare le macchine contro le mura, erano stati gettati in mare dei massi. Alessandro fu costretto a estrarli dal mare, e non senza difficolt, visto che l'operazione doveva essere compiuta dalle navi e non dalla terraferma. Inoltre i

tiri allestirono anche imbarcazioni particolarmente protette e le condussero davanti alle ancore delle triremi, dove tagliarono le gomene per rendere impossibile alle navi nemiche di rimanere ferme. Alessandro equipaggi allo stesso modo un gran numero di navi a trenta rematori e le dispose trasversalmente davanti alle ancore, per tenere lontane da queste le imbarcazioni nemiche, ma allora le gomene furono tagliate da nuotatori subacquei. Cos i macedoni utilizzarono per le ancore catene di ferro, contro le quali i nuotatori non potevano pi fare nulla. Inoltre vennero legate corde intorno alle pietre che cos poi dall'argine venivano tirate fuori dall'acqua, quindi sollevate tramite le macchine e affondate in acque pi profonde, dove non avrebbero potuto pi provocare alcun danno. E, nei punti in cui il mare era stato liberato dai frammenti di roccia, le navi poterono avvicinarsi direttamente alle mura. I tiri decisero di attaccare le navi cipriote, che si trovavano davanti al porto settentrionale. Prima ne mimetizzarono l'ingresso con vele, in modo da celare le operazioni di imbarco, e verso mezzogiorno, quando i marinai di Alessandro si erano sparpagliati per procurarsi il pranzo e anche il re se n'era andato nella sua tenda, improvvisamente tre quinqueremi cariche di uomini, insieme ad altrettante quadriremi e a sette triremi con equipaggio scelto e soldati pronti a tutto, uscirono fuori dal porto. Navigavano tranquillamente in formazione allineata e muovevano i loro remi senza che nessuno scandisse il ritmo. Quando furono in direzione dei ciprioti e abbastanza vicine da essere riconosciute con certezza, partirono all'attacco. Alessandro, che si era recato nella sua tenda, ritorn subito presso la flotta. I tiri che si erano avventati contro le navi ne trovarono alcune completamente vuote, mentre altre si equipaggiarono nel corso dell'attacco con gli uomini disponibili in quel momento. Al primo assalto venne affondata la quinquereme di re Pnytagoras, oltre alla nave di Androkles di Amathus e a quella di Pasikrates di Kurion; dopo di che spinsero le altre verso la riva, dove cercarono di distruggerle. Con l'equipaggio pi o meno completo che avevano, Alessandro fece ancorare la maggior parte delle unit davanti all'ingresso del porto, in modo che non ne uscissero pi altre navi tirie. Lui stesso, con la sua quinquereme pi cinque sole triremi che erano state equipaggiate in fretta e furia, gir intorno alla citt, alla caccia dei tiri che ne erano usciti. Cos dalle mura osservarono i nemici che si avvicinavano,

videro anche Alessandro in persona a bordo e cercarono con alte grida di richiamare indietro gli uomini delle proprie navi, che per non li sentirono. Solo quando questi videro Alessandro e la sua unit precipitarsi contro di loro, si diedero alla fuga e cercarono di raggiungere il porto. Solo poche navi tuttavia vi riuscirono, la maggior parte venne attaccata e resa inservibile da Alessandro e dai suoi uomini-una delle loro quinqueremi nonch una quadrireme vennero abbordate proprio davanti all'ingresso del porto. Solo pochi uomini degli equipaggi rimasero uccisi: non appena questi vedevano che le loro navi non potevano sfuggire, ritornavano verso il porto a nuoto. Poi i macedoni portarono le loro macchine direttamente davanti alle mura. E' vero che i proiettili raccolti sull'argine avevano scarsa efficacia per via della robustezza delle mura, ma i macedoni riuscirono a portare alcune navi con le macchine sul lato nord della citt. Non ottenendo nulla neanche da quella parte, proseguirono i loro tentativi contro il lato sudoccidentale e infine contro quello meridionale, per non lasciare nulla di intentato, e finalmente riuscirono a danneggiare gravemente un pezzo di muro di notevoli dimensioni, tanto che una sua parte si sgretol e croll. Allora tentarono di gettare un ponte nello spazio liberato grazie al crollo e intrapresero un breve attacco terrestre. I tiri tuttavia lo respinsero senza grosse difficolt. Due giorni pi tardi, dopo aver atteso che il vento si placasse, Alessandro condusse davanti alla citt le macchine che erano sulle navi. Venne abbattuto un pezzo di muro e, quando la breccia apparve sufficientemente ampia, ordin alle navi da carico di tornare indietro e fece avanzare altre due unit, sulle quali aveva fatto costruire ponti levatoi che intendeva gettare sulle rovine delle mura. Inoltre, su una delle navi c'erano gli ipaspisti al comando di Admetos, sull'altra i pezetri di Koinos e lo stesso Alessandro con la sua guardia del corpo, che intendeva sbarcare dove il muro lo permetteva. Le triremi avevano l'ordine di dirigersi su entrambi i porti e di forzarne l'accesso non appena i tiri si fossero diretti contro lui e i suoi uomini. Nello stesso tempo tutte le navi con le catapulte e gli arcieri si avvicinarono alle fortificazioni tanto quanto lo permetteva la profondit dell'acqua. In questo modo i tiri, bersagliati da ogni parte, finirono per perdere la testa. Cos le navi si avvicinarono alla citt, i loro ponti levatoi

si abbassarono sulle mura e gli ipaspisti, tra i quali Admetos si distinse in modo straordinario, penetrarono con la forza nella fortificazione; alla battaglia prese parte personalmente anche Alessandro, che nello stesso tempo ebbe modo di osservare chi tra gli altri si segnalava per particolare valore. Il punto delle mura in cui si trovava lui fu il primo a cadere nelle mani dei macedoni: scacciare i tiri da quella postazione non cre difficolt particolari, non appena i macedoni non ebbero pi sotto i piedi il terreno scosceso. In quella circostanza Admetos, che era salito per primo sul muro, venne trafitto da una lancia e mor sul posto; subito dopo, per, Alessandro e i suoi etri ebbero saldamente in mano la posizione. Non appena ebbero preso numerose torri e le fortificazioni intermedie, Alessandro spinse tutti avanti attraverso i baluardi difensivi fino al palazzo reale; da lass gli sembrava pi agevole attaccare la citt che si trovava pi in basso. Nel frattempo erano andati all'attacco anche i fenici che si trovavano davanti al porto meridionale, avevano spezzato il blocco ed erano intenti a distruggere le navi nel porto, attaccandone alcune nell'acqua e spingendone altre verso terra. A loro volta i ciprioti, che avevano fatto vela verso il porto settentrionale, non trovando pi alcun blocco, vi entrarono e occuparono quella parte della citt. Quando i tiri videro che le mura erano state prese, le abbandonarono e cercarono rifugio nel cosiddetto aghenorion, da dove si disposero a contrattaccare i macedoni. Alessandro con i suoi ipaspisti si diresse contro di loro, ne uccise molti in combattimento e insegu i fuggitivi. Poich dal porto i marinai avevano gi messo piede in citt, dove era penetrato anche il reparto di Koinos, vi fu una terribile carneficina, nella quale i macedoni diedero sfogo alla loro rabbia: erano furibondi per il soggiorno forzato a causa dell'assedio e anche per il fatto che i tiri avevano preso prigionieri alcuni dei loro compagni e li avevano disposti sulle mura; dopo di che li avevano trucidati e gettati in mare. Cos tra i tiri morirono circa ottomila uomini, tra i macedoni persero la vita Admetos insieme a venti dei suoi ipaspisti. Le perdite nel corso dell'intero assedio ammontavano a quattrocento uomini. Tutti coloro che si erano rifugiati nel santuario di Eracle vennero risparmiati da Alessandro: si trattava dei tiri pi in vista, del re Azemilkos e anche di alcuni carcedoni. Gli altri vennero ridotti in schiavit e in tal modo vennero messi in vendita circa trentamila uomini, tra tiri e stranieri, fatti

prigionieri in quell'occasione. Poi Alessandro sacrific a Eracle e fece sfilare una processione in onore del dio con l'esercito armato di tutto punto, alla quale presero parte anche le navi. Le macchine con le quali erano state abbattute le mura vennero consacrate da Alessandro nel tempio di Eracle, cos come la nave tiria sacra a Eracle, che era stata presa durante l'assalto. Mentre Alessandro era ancora impegnato nell'assedio di Tiro, giunsero nuovamente a lui messi di Dario con l'incarico di comunicargli la sua offerta di diecimila talenti per la madre, la sposa e i figli. Inoltre Alessandro avrebbe potuto tenere tutte le terre a occidente dell'Eufrate e in pi avrebbe potuto sposare una delle sue figlie ed entrare in rapporti di amicizia e di alleanza con lui. Quando questo venne comunicato al Consiglio, Parmenion disse che, se fosse stato Alessandro, si sarebbe accontentato di questo, avrebbe concluso la guerra e non avrebbe corso nessun altro rischio. Alessandro rispose che in effetti, se fosse stato Parmenion, anche lui avrebbe fatto cos; ma dal momento che lui ormai era Alessandro, avrebbe risposto a Dario nel modo in cui effettivamente rispose. Infatti gli mand a dire che non aveva bisogno del denaro di Dario, n aveva intenzione di accettare una parte del suo territorio, anzich tutto. Al momento infatti aveva gi in suo possesso entrambe le cose, il denaro e il territorio. E, nel caso in cui avesse avuto l'intenzione di prendere una figlia di Dario, lo avrebbe fatto comunque, senza bisogno che fosse lui a offrirgliela. Se Dario si attendeva amicizia, avrebbe dovuto andare da lui.

Dove l'hai preso questo? chiese Dymas quando Harpalos mise via con un grugnito la sua attrezzatura per scrivere e borbott che gli portassero la cera bollente per sigillare. Che cosa? Questi scarabocchi senza vita di Aristoboulos? Come ha fatto Harpalos il traditore, che ordisce, intesse o trama i suoi intrighi fuori da Megara, a ottenere una descrizione dell'accampamento del re davanti a Tiro? Harpalos inarc le sopracciglia. Ah, apparsa cos. Dymas sogghign. Per un momento sono stato sul punto di ridere: quando quel burlone ubriacone di Proteas viene citato come capitano di una

nave. Ah, non sai molte cose, cantore. Questo vero. Per esempio... Esit. Forse ti potrei dare un consiglio, se sapessi di che cosa si tratta. Raccontami di Proteas. Harpalos rise a singulti. Premette l'anello nella cera bollente che una schiava aveva versato goccia a goccia sul coperchio del tubo di terracotta e le fece cenno di uscire dalla stanza. Proteas disse poi ha molte qualit, buone e cattive, e di tanto in tanto al re piace stimolare le doti dei suoi compagni con una lieve coercizione. Ha mandato Proteas in Macedonia, da Antipatros, con un incarico qualunque. Antipatros voleva sbarazzarsi del bevitore chiacchierone nel modo pi onorevole e definitivo possibile. In fondo pur sempre il nipote del nobile Kleitos. Per questo all'eccellente stratega venuto in mente di mandare Proteas a bordo di una delle non proprio numerose navi da guerra della Macedonia. Forse aveva la speranza che Proteas riuscisse a bersi tutto il mare dominato da persiani e fenici, in modo che la flotta nemica non potesse pi provocare danni. Proteas ha fatto qualcos'altro: con la sua unit da combattimento, in una notte di follia in cui probabilmente gli uomini erano tutti sbronzi, ha attaccato una piccola flotta persiana e le ha portato via dieci navi. Cos ora una specie di grande navarco onorario. Dymas scosse il capo. Il mondo pieno di meraviglie. Harpalos si appoggi all'indietro nella sua seggiola, con le mani intrecciate sul piano del tavolo, e fiss il soffitto. Come ho detto, di tanto in tanto al re piace mettere alla prova i suoi amici. Proteas non l'unico. Si distolse non senza fatica dalla contemplazione del soffitto; il suo sguardo freddo sfior Dymas, si inerpic sullo scaffale pieno di rotoli dietro il musico e ricadde in basso. Altri, a quanto ne so, in questo momento sono impegnati a, ehm, studiare e possibilmente a influenzare la situazione nell'Ellade. Come tutti sappiamo, la maggior parte delle volte le cose non sono come sembrano. Potresti essere un po' pi chiaro? Harpalos sbuff; le sue dita tamburellarono sul piano del tavolo. Pi chiaro? Bah. Ma s, e perch no? Sogghign. Facciamo un esempio che si trova molto vicino a noi. Poco fa, qui fuori, nel cortile, la mauritana mi ha rilassato piacevolmente. Lo stesso fanno i giovani attendenti con i nobili macedoni, quando questi hanno voglia di quello, oppure di un culo attraente. Come tu, frequentatore abituale dei circoli altolocati, ben sai. Lo so. E

allora? Simili cose... non se ne parla, non vengono descritte nelle sublimi tragedie, le si fa e basta. Poeti e scultori e pittori di anfore lodano l'amore tra uomo e donna, in tutte le posizioni; e le brame dei sensi insoddisfatte; e i filosofi gloriano la nobile frequentazione tra uomini maturi e docili fanciulli. I poeti biasimano la ritrosia del giovane compagno di giochi che, solo dopo lungo supplicare e in cambio di denaro, disposto a offrire il suo posteriore ai colpi rilassanti dei lombi, mentre personalmente non prova nulla, se non forse disgusto. Cose che vengono percepite come meschine vengono elevate grazie ad abbellimenti e discorsi complicati in modo che, considerate di grande valore, possano essere praticate. Ma soltanto i filosofi che le diffondono credono a simili sciocchezze: le proprie. Otto decimi degli uomini e dei fanciulli, delle donne e delle prostitute dell'Ellade fanno altre cose per raggiungere il piacere ed evitare di generare altri figli; solo che non c' bisogno di parlarne, dal momento che tutti lo sanno. E se un poetucolo con il mento sfuggente, l'alito cattivo e lo sguardo smarrito deve regalare denaro ai fanciulli che desidera, questo non vuol certo dire che un uomo robusto, ben fatto e sicuro di s debba fare altro se non schioccare le dita. Dymas si gratt la testa. Dunque ora Harpalos sta studiando la vita sessuale degli elleni? Il macedone grasso rise. Harpalos non fa nulla di simile. Questo era solo un esempio. Un altro potrebbero essere l'eccellenza e il carattere esemplare per tutta l'ecumene della democrazia ateniese. Con i demi e le filai, gli arconti e l'areopago, con il prytaneion e il tribunale popolare. Le dieci filai, ognuna delle quali manda cinquanta uomini nel Consiglio dei Cinquecento, che ogni luna viene diretto da una file diversa, dove si decide sulle cose... tutte sciocchezze. Come sai. Si discutono i problemi, diciamo cos; se sono questioni da nulla, vengono semplicemente discusse e decise. Ma se invece si tratta di cose importanti, che per esempio toccano gli interessi dei ricchi mercanti oppure dei grandi proprietari terrieri o degli onorevoli funzionari, allora ci sono molti modi per sostenere con decisione questi interessi. Se uno non parla bene oppure non siede in Consiglio, pu farvi rappresentare i suoi interessi in modo degno, dietro degno compenso, da un degno oratore. Pu fare regali a chi di opinione diversa; pu infiammare in favore di questi interessi coloro che non sono coinvolti servendosi di discorsi entusiasmanti. Un uomo che onora la propria madre, che abita in una casa in affitto dal politico Talantokrates, probabilmente non voter contro un interesse di Talantokrates

se questi gli fa capire che sua madre potrebbe finire in un alloggio migliore, oppure in un mucchio di rifiuti.

Dymas borbott piano. E' vero che ogni tanto accade disse Harpalos con voce untuosa che l'assemblea decida qualcosa contro gli interessi forti. Ma questa piuttosto un'eccezione. Dunque, sedici anni fa Filippo ha cercato, fedele alle idee del vecchio Isocrate, nel frattempo finito nell'aldil, di mettere insieme una Lega ellenica, con la Macedonia come potenza di pari rango rispetto ad Atene, Sparta e Tebe. Non dimenticare che aveva anche altri interessi, oltre alla nobile parit di rango e alla Lega sacra. Harpalos fece un gesto di diniego con la mano. Certo, c'era anche questo. La pace l'accomodamento di interessi contrastanti senza le armi. Allora, e negli anni successivi, sarebbe stato nell'interesse di tutti gli elleni aspirare a questa Lega e alla parit, come effettivamente desideravano in molti. Ma per questo ognuno avrebbe dovuto rinunciare a qualcosa: Filippo a ottenere una forte influenza sull'Ellade; Atene a essere ai propri occhi il cuore, la testa e il fegato dell'Ellade. Eubulos era disposto a farlo; almeno per qualche tempo. Ma altri, come Iperide o Demostene, non lo erano. Hanno rinfacciato a Filippo di arrogarsi qualcosa che spettava ad Atene; nessuno di loro ha mai detto che quello che faceva Filippo era ingiusto. Quelli dovevano parlare e agire cos perch soltanto in questo modo avrebbero potuto distinguersi rispetto a Eubulos e agli altri e diventare personaggi pubblici, e influenti. E qual , in sintesi, il senso zoppicante del tuo lungo discorso? Harpalos ammicc, ma la sua voce rimase solenne e untuosa. Il potere, caro Dymas, non il bene comune-il potere, fondato sulla ricchezza e sulle parole. Chi vuole il potere, deve impadronirsi delle ricchezze degli altri e imbavagliarli. Oppure deve essere pi ricco e gridare pi forte di loro. Tutto il resto solo un bel sogno. E il tuo compito? Harpalos ammicc. Compito? S, insomma... il tuo interesse spassionato? Meglio, amico, molto meglio. Il mio interesse molteplice. Quando eravamo a Gordio, Dario raccolse un

esercito immenso; Memnon avanz verso nord con la flotta e truppe numerose, riconquist la costa, invi denaro e buone parole nell'Ellade Sparta, l'Arcadia, l'Acaia, Atene, parti della Tessaglia oltre ai territori del Nord - la Tracia e tutto il resto - si sarebbero unite a lui contro la Macedonia. E tutta l'Asia. Poi, grazie alla, ehm, spietata misericordia degli di, Memnon mor. Era, per utilizzare un'immagine orribile, lo stipite intorno al quale ruotavano i cardini della porta che Ellade e Persia volevano sbattere in faccia ad Alessandro. Pfui. Ma Agis di Sparta non si dato per vinto. Ha ricevuto l'oro persiano, sta raccogliendo un esercito, Creta si unir a lui, la sua flotta verr rafforzata con quello che in primavera rester ancora di quella persiana. Le vicine del Peloponneso, Arcadia, Acaia, Elide lo seguiranno. Tutte le notizie che vanno e vengono tra Sparta e Atene o la Beozia, oppure la Tessaglia, vale a dire tutta l'Ellade, passano attraverso Megara, cos come tutte le truppe, quando mai sar. Per questo un buon posto. Non lontano da Corinto, dove c' un'abbondante concentrazione di denaro non lontano da Atene, dove tuttora vengono prese le decisioni pi importanti. E che ne di Demostene? E... ha ancora il potere? Harpalos sorrise, ma il sorriso non giunse sino ai suoi occhi. Demostene non mai stato un sognatore; ha sempre voluto il potere, ha sempre voluto la ricchezza. E soprattutto voleva sopravvivere. Ha mandato suo figlio adottivo Aristion da Hephaistion, per migliorare le relazioni con Alessandro senza darlo a vedere. Nello stesso tempo ha preso il denaro persiano e poi si ammalato; ha subto una paralisi ai muscoli delle guance che gli impedisce di tenere discorsi pubblici. Ma, senza i suoi discorsi, Atene non si unir alle imprese azzardate di Agis di Sparta. Dymas si alz e si diresse alla scrivania dietro la quale Harpalos sedeva come un mostro grasso e ammiccava nella sua direzione. Ti ringrazio, nobile macedone, per tutte queste informazioni. Mi hai reso pi facile una decisione. Questo mi entusiasma oltre ogni misura disse Harpalos impassibile. Avevi intenzione di cambiare bandiera o cosa? Di cercare la libert di Dymas dalle prepotenze dei signori Demaratos, Antipatros, Bagoas e Hamilkar, diventando servo degli elleni che aspirano a essere liberi? Dymas mostr i denti. A prescindere da tutto il resto, non riuscirei comunque a liberarmi da Bagoas e Hamilkar, non vero? E dove vorresti mai andare? Si strinse nelle spalle. Tornare a Megara e poi... Atene? A suonare nelle osterie? Non lo so. Il traditore Harpalos, che gode di potere e

ricchezza, questa sera vorrebbe godere della tua musica, Dymas. Insieme a vino, cibi delicati e schiave flessuose. Fra tre giorni parte una nave per l'Egitto. Prima che vi giunga, l'Egitto non sar pi persiano, ma macedone. Dymas fece una smorfia, abbass lo sguardo su Harpalos chiuse gli occhi ed emise un fischio. Poi annu. Ti ringrazio; godere per tre giorni dell'ospitalit della tua casa mi rafforzer in previsione delle fatiche della traversata..

8. Il medico e l'amuleto.

I denti di Drakon avevano circa dieci anni meno di lui ma, anche dopo quarantacinque anni, erano ancora bianchi e forti. A Myriandros il medico aveva sfidato l'ordine di Alessandro di tagliarsi la barba; la portava corta e accuratamente rasata sul mento e sulle guance, ed era da tempo grigia, come i folti capelli. E come la polvere che si era depositata nelle pieghe e nelle rughe. Polvere della strada, polvere dei campi, fango del Nilo polverizzato, sabbia del deserto portata dal vento. Lo specchio d'argento lucente deformava i lineamenti, ma Drakon si conosceva da troppo tempo per trovare ancora qualcosa che lo sorprendesse in quell'immagine familiare. Si ripul il viso con un panno umido, indoss abiti freschi, cerc nella ciotola accanto al suo giaciglio notturno una pallina da masticare che gli piaceva particolarmente (una grande foglia di vite, riempita di menta timo, un pizzico di silfio e altre due dozzine di erbe triturate, se l'infil in bocca e lasci l'edificio sulla sponda del grande fiume. Osserv distrattamente l'insieme dei mille popoli che vivevano, lavoravano, commerciavano o erano semplicemente di passaggio a Men-nufre. Da quando i persiani erano stati scacciati e la citt era libera, giungevano nuovamente da ogni dove. Il numero dei mercantili elleni sulla banchina fluviale di Menfi si era almeno quadruplicato rispetto alla situazione di poche lune prima, quando Alessandro aveva fatto il suo ingresso nella citt dei faraoni, acclamato dagli egizi come il liberatore dal crudele dominio degli stranieri sacrileghi durato duecento anni (senza calcolare i sessant'anni di indipendenza). Neppure dopo tutto questo tempo erano state dimenticate le storie che riguardavano il Gran Re Cambise: come aveva fatto mutilare e ammazzare i parenti del faraone sconfitto, scacciato dai templi i sacerdoti delle antichissime divinit, cosparso gli altari di cereali per i suoi cavalli, ucciso il toro divino Apis con la sua stessa spada. Undici

anni prima, i guerrieri di Artaserse avevano ripetuto profanazioni e saccheggi, in nome delle loro assurde divinit e della loro avidit. Alessandro, al contrario, era giunto come ricettacolo di Ammon, aveva onorato gli di, sacrificato ad Apis, aveva fatto ricostruire i templi, era diventato Re del Sud e del Nord, Setep-en-Amn-meri-re, Figlio del Sole, Signore dell'alba, Arksandres, prediletto di Horos, presunto figlio di Amn, faraone, sovrano legittimo del mondo per volere divino e qualche altra cosa ancora. Questo era accaduto cinque lune prima: le notizie si erano diffuse molto rapidamente. Gli elleni, che prima venivano fermati al massimo a Naukratis, continuavano a risalire il fiume indisturbati; i mercanti di Creta, di Cirene, di Carcedonia, delle citt siceliote, della Fenicia; i nabatei barbuti con le loro ampie vesti bianche, signori del deserto al di l di Petra; i mercanti arabi provenienti dal lontano Sud, dal mitico regno dei sabei. La sera prima Drakon aveva visto un uomo con la sciabola decorata, due anelli a ogni dito, la fronte dipinta di ocra e una maschera da uccello dorata davanti alla parte inferiore del volto, presumibilmente un messo del signore di Kane, la rupe dei predoni, nell'estremo sud dell'Arabia, che aveva resistito perfino ai persiani e, a quel che si diceva, era l'ultimo porto sulla via per l'India. E poi tutti quegli egizi, cusciti, garamanti, maci, etiopi; e, da non dimenticare, alcune migliaia di macedoni che, alla piacevole sensazione di essere i benvenuti, univano un'utile senso di sicurezza. Ma Drakon non vide realmente tutto questo, n le migliaia di modi diversi di vestirsi o svestirsi, n i barconi e le barche, le zattere e le chiatte, i mercantili a vela e le navi da guerra, e neppure l'ampia imbarcazione ripulita di un gruppo di saltimbanchi, musici e uomini-serpente. Pass senza guardare davanti al banco di un uomo che forgiava e affilava coltelli di sha, quelle lame arcuate e spesso meravigliosamente decorate con le quali gli scribi appuntivano i loro stili e i fabbricanti di papiro ne tagliavano a strisce il midollo; non vide il falegname che fabbricava cassette con il coperchio per conservare stili e inchiostri; non vide l'ampio tavolo basso del venditore di vasellame pregiato: bottigliette affusolate per i profumi, ritoni stretti in punta o sferici con il bordo arrotondato, nei quali si degustava tanto bene la birra egizia, recipienti panciuti per l'incenso; non vide i fabbricanti di bracciali di perle, gli intagliatori d'avorio e gli orafi, i venditori di pane, le prostitute e i

tosatori di cammelli. Non si rese del tutto conto neppure del saluto delle guardie che gli aprirono il passaggio verso il palazzo reale e al quale rispose, n delle statue di di, sovrani e uomini-leone, delle colonne e degli archi decorati... In seguito trascrisse tutto fedelmente, come se l'avesse visto quel pomeriggio: l'aveva visto tante volte che alla fine non ricordava pi se l'immagine che riferiva ad Aristotele risalisse a quel giorno oppure a un altro. Dopo essere rientrato rapidamente dal deserto occidentale, Alessandro si era trattenuto a Menfi solo per poco. Notizie preoccupanti dalla Siria, dove si era saputo che Dario stava allestendo un nuovo esercito, molto pi potente del precedente; notizie spiacevoli dall'Ellade, dove lo spartano Agis era riuscito a unire dietro di s l'intero Peloponneso tranne Megalopolis e a sconfiggere lo stratega Korragos, inviato da Antipatros; oltre al desiderio, alla brama, di vedere ancora una volta, prima di partire per l'Asia, la nuova citt progettata da lui e dall'architetto Deinochares e le prime fasi della sua costruzione: era stato tutto questo, e la sua irrequietezza abituale, a muovere il re. Alessandro aveva trascorso alcune ore insieme a Barsine che, dopo un aborto precoce e sanguinoso, aveva bisogno di cure e riguardi. Aveva lasciato Drakon a occuparsi della salute dell'iranica; ma non gli aveva detto certe cose: cose che ora Barsine voleva sapere. E durante la notte, dopo una lunga visita, dopo aver preparato minuziosamente bevande medicinali, impacchi di erbe e liquidi per purificare il ventre ferito, al medico era quasi scivolata di mano la ciotola con la mistura calmante e alleviante a base di silfio, olio di sesamo, cinnamomo, vino leggero e altri ingredienti, quando Barsine aveva posto una domanda che non avrebbe dovuto porre. Non avrebbe dovuto essere in grado di porre... Sisygambis, la madre di Dario, presente durante il trattamento terapeutico ed evidentemente bendisposta nei confronti della figlia di Artabazos, era rimasta impassibile: anche lei sapeva. Cos Drakon aveva passato met della notte a cercare Demaratos e aveva impiegato un'altra ora buona per far tornare almeno mezzo sobrio il vecchio corinzio. Quando, poco prima dell'alba, Drakon lo aveva trovato mentre andava alla deriva lungo il fiume balbettando e cantando a squarciagola su un'imbarcazione di papiro, gi due parasanghe oltre Menfi, in preda alla nostalgia, al vino e alla follia, abbaiava alla luna ormai non pi del tutto piena, con i piedi sul ventre di un eunuco che gli faceva il solletico sotto le piante e la

testa sulle ginocchia di una cuscita bene in carne. Tutti quelli, oltre a Demaratos, cui avrebbe potuto chiedere un consiglio erano lontani: Nearchos e Antigonos Monoftalmo nelle rispettive satrapie, impegnati a rendere sicure le strade e i rifornimenti; Seleukos, Leonnatos e Laomedon chiss dove, uno in Siria, l'altro in Fenicia, il terzo - o il primo, a seconda - probabilmente insieme ad Alessandro, cos come Ptolemaios il Lagide, che era stato l'unico, in quella cerchia di uomini importanti, ad aver partecipato alla cavalcata verso l'oasi, l'Ammoneion. L'unico insieme a Drakon. In questa situazione di imbarazzo il medico si sarebbe rivolto perfino, in caso di necessit, ad Aristandros, ma lo scaltro telmesso, le cui dichiarazioni oracolari si facevano sempre pi magniloquenti, era gi partito per la Fenicia insieme alla taxis di Perdikkas. Drakon sbuff quando pens alla brillante prestazione del veggente nel luogo di quella che avrebbe dovuto diventare la grande citt di Alessandria, sulla costa egizia. Laggi Alessandro e Deinochares avevano tracciato un piano simmetrico nel terreno a nord dell'antico villaggio di Rhakotis, con le linee delle strade che si intersecavano ad angolo retto, in modo che i venti freschi potessero espandersi il pi possibile. Alessandro aveva preso della calce per contrassegnare le mura, le piazze e le vie principali; quando aveva finito la calce, gli avevano portato cesti pieni di chicchi d'orzo. Dopo averli sparsi erano comparse da ogni direzione migliaia di specie di uccelli che avevano divorato i chicchi. Il re era furibondo, i guerrieri superstiziosi spaventati; Aristandros avevano dichiarato, senza esitazione, che la nuova citt avrebbe attirato, per volont degli di, uomini e popoli da ogni parte del mondo e avrebbe offerto loro lavoro, alloggio e nutrimento. Fece diversi sospiri profondi; neppure l'inventiva del telmesso avrebbe potuto aiutarlo. Attravers lentamente un colonnato, poi il successivo; c'erano guardie ovunque: uomini della taxis di Krateros, che si sarebbero messi a loro volta in marcia nei giorni successivi e sarebbero stati sostituiti da altri; tutt'intorno scivolavano rapidi gli schiavi; il lungo corridoio, il cui pavimento era composto da pietre squadrate giallognole, rimbombava sotto i suoi passi e l'eco appariva curiosamente spezzata dalle statue dei principi e dei mostri. E che cosa aveva detto, alla fine, Demaratos? Cerca di scoprire quanto ne sanno le donne; poi d loro quello che ritieni opportuno. E riferiscimi subito. Bah mormor Drakon prima di entrare negli appartamenti di Barsine. I servitori

richiusero la porta alle sue spalle. La principessa iranica aveva abitato in una delle torri del palazzo, con una vista meravigliosa sulla citt e sul fiume, ma terribilmente calda. Le istruzioni di Drakon erano state immediatamente eseguite senza discutere: trasferimento in un quadrilatero di stanze ariose e luminose che dava su un cortile interno, con fontane e piante. La vista era peggiore, ma l'aria migliore. Probabilmente Alessandro, giunto a Menfi con tre giorni di anticipo sulla maggior parte di coloro che l'accompagnavano e ripartito molto prima che vi giungesse Drakon, aveva ordinato obbedienza assoluta nei confronti del medico. Quando Drakon entr, Barsine mand via le sue ancelle. Aveva un aspetto migliore rispetto alla notte, aveva dormito profondamente sino a mezzogiorno, la febbre era calata e le ferite provocatele durante il raschiamento da un macellaio samio, al quale avrebbero dovuto mozzare le mani, sembravano guarire dal momento che avevano smesso di emanare calore e liquidi ripugnanti. Ti ringrazio, signore delle bevande miracolose. Barsine sorrise stancamente dopo che Drakon l'ebbe ricoperta e inizi a preparare un'altra bevanda. Per me una gioia aiutarti, principessa, e un dovere. Perci non ringraziare me. Dov' Sisygambis? Torner presto. Allora rimandiamo la, ehm, discussione delle questioni importanti fino a quando la madre del Gran Re non sar insieme a noi. Cos eviteremo di doverci ripetere. Come ti sei comportato con l'uomo di Samos? Drakon fece una smorfia. Quel massacratore di corpi sani terminer i suoi giorni sull'isola degli elefanti. Insieme alle notizie, il navarco Hegelochos ha portato con s, dalle isole che si trovano davanti all'Asia, e soprattutto da Chios, anche alcuni politici antimacedoni particolarmente ostinati. Alessandro li ha esiliati in quell'isola del Nilo. Ridacchi. Forse il samio, nell'esercizio della sua presunta attivit di medico, ne uccider qualcuno. Allora si potrebbe graziarlo. Raccontami delle cose dell'Ellade. Drakon si strinse nelle spalle e annus la ciotola, il cui contenuto si stava colorando di marroncino. Agis ha sconfitto uno stratega inviato da Antipatros. Lo sapevi gi? Ah. Non c' molto altro da dire. Il Peloponneso, con poche eccezioni, in tumulto; Agis assedier la citt di Megalopolis, fedele all'alleanza, o almeno cos si dice. Ma la cosa pi importante che Atene sorda a tutto questo. Demades, che ora amministra le entrate statali, riuscito a spiegare ai suoi concittadini che sarebbe uno spreco assurdo e

sanguinoso mandare la potente flotta ateniese in aiuto degli spartani. Ha provocato certamente qualche risata osservando che negli ultimi secoli Sparta si sempre comportata in modo avventato con le navi ateniesi, anche quando il possibile nemico non era in grado di mettere in campo tutte le flotte dell'Asia e della Fenicia. Barsine si lasci sfuggire una lieve risata, che non parve pi provocarle alcun dolore al ventre. E il vostro amico speciale Demostene, il campione della libert degli elleni? Demostene la banderuola, che si muove sempre nella direzione in cui pu ottenere la maggiore influenza, si ostina sorprendentemente a conservare il silenzio e getta l'occhio al di l del mare, nell'accampamento del re, dove si trattiene suo figlio adottivo Aristion. Sembra ritenere che Alessandro, due volte vincitore contro gli eserciti persiani, re e dio dell'Egitto, sovrano dei fenici e di molti asiatici, gli possa assicurare pi potere e ricchezza rispetto allo spartano, che finora ha avuto a che fare soltanto con un sottostratega di Antipatros. Re e dio... La voce di Barsine si sfilacci e lei se la schiar. E' cambiato. Drakon soffoc una risata. Cambia continuamente, da quando lo conosco. Le tue bugie sarebbero un'opera buona, se io non le riconoscessi. Drakon alz le mani. Ah, non c' nulla di peggio di una donna intelligente: mette a nudo la stupidit degli uomini. Sisygambis entr insieme a uno stuolo di ancelle. Dopo i saluti, fece portare acqua e vino, conged le sue accompagnatrici e si sedette sul letto di Barsine. Parla, guaritore dei corpi, facci sapere. Era tenera e amorevole come sempre, ma nella sua voce si nascondeva la durezza del ferro. Drakon incroci le braccia e si appoggi al cornicione della finestra. Gli uccelli cantavano nel cortile, da dove proveniva un certo qual profumo di caprifoglio. Che cosa volete sapere, nobili signore? Iniziamo dalla vostra cavalcata . E dalle comunicazioni del dio . Drakon cominci a raccontare, chiudendo gli occhi per richiamare alla memoria le immagini. Alessandro alla ricerca del luogo migliore per la nuova citt, che avrebbe dovuto diventare la capitale dell'impero e attirare il commercio: la capitale di un impero per il quale avrebbe dovuto ancora lottare contro i suoi macedoni, o almeno contro i pi anziani. La partenza per l'occidente, con una ile di etri a cavallo capitanata da Amyntas, oltre ad alcuni servitori, attendenti e altri compagni di viaggio come Aristandros. Avevano cavalcato verso ovest, tra gli infuocati deserti libici e il mare che

abbagliava con il riflesso del sole, lungo l'antichissima via carovaniera sino a Paraitonion, dove i messi provenienti dall'ellenica Cirene avevano offerto ad Alessandro, che aveva accettato di buon grado, la loro amicizia, oltre a carri da guerra e a cinquecento buoni cavalli. Da Paraitonion si erano aperti la strada verso sud insieme a guide indigene, cavalcando per giorni sotto un sole cocente e tra tempeste di sabbia che li accecavano, tra le dune infuocate e le rocce di ardesia roventi che si spezzavano sotto gli zoccoli, e finalmente era apparso loro, come se si fossero uniti i Campi Elisi e tutti i paradeisos dei giardini persiani, l'eterna vita nel deserto di morte: l'esteso avvallamento con le duecentottanta fonti, gli ulivi e le palme da datteri, le sorgenti contornate da pietre e i piccoli laghetti freschi all'ombra degli alberi, con i templi e le strade lastricate, con le case degli indigeni, la cittadella del re di Siwah, i pascoli per gli animali delle carovane, il posto per le tende di molti stranieri e le locande per pochi. Sisygambis lo interruppe. Permettimi di porti due domande, Drakon. Si dice che, duecento anni fa, il nostro Gran Re Kambuzhya, che voi chiamate Cambise, dopo aver devastato tutto il paese del Nilo, avrebbe voluto distruggere anche l'Ammoneion. Ne sanno qualcosa laggi? Soltanto che, naturalmente, si gode della protezione divina. Drakon sorrise ironico. Il re, consapevole di questa protezione, impone dazi da strozzino alle carovane; il soggiorno per gli stranieri caro; il tempio di Amn-re si attende doni e offerte votive che siano almeno all'altezza della sua importanza; e, come mostra l'esempio di Cambise, la protezione divina affidabile. Laggi si racconta la stessa storia che si racconta qui e da voi in Iran, principessa: cinque squadroni di diecimila uomini, diretti a Siwah da Menfi, vennero sorpresi dall'ira di Amn con una tempesta durante una sosta per il pranzo e sepolti sotto montagne di sabbia. Nessuno li ha mai pi ritrovati.

Il tuo sorriso ironico disse Barsine nasconde ancora qualcosa? Certo che si. Colui che, per la gioia di tutti noi, divide il letto con te, il re e dio dell'Egitto, il sovrano dei macedoni, l'egemone della Lega ellenica e

prossimamente, secondo l'oracolo, signore di tutta l'Asia... L'oracolo ha detto questo? chiese Sisygambis con voce piatta. L'ha detto, a quanto ne so. Alessandro, insomma, arrivato in buona compagnia. I prezzi per il soggiorno erano insolitamente bassi, a quanto abbiamo sentito, e la presenza di duecentocinquantasei etri a cavallo ha trasformato l'avido re delle oasi in un ospite squisito. Sisygambis rimase seria, mentre Barsine ridacchiava piano. La seconda domanda : Alessandro ha scelto personalmente i suoi accompagnatori? Tu, per esempio, e l'ilarca Amyntas? Drakon aggrott la fronte. Lo ha fatto, principessa: sa sempre quello che lo aspetta e di solito si preoccupa anche di simili minuzie. In realt, inizialmente io non avrei dovuto andare insieme a lui, ma Philippos, il suo medico e amico, venne morso da un serpente sulle rive del lago di Mareotis, nei pressi della nuova citt, e aveva bisogno di riposo. Cosi toccato a me fare il medico della spedizione e accompagnare il re. Durante la strada ho avuto il piacere di condurre lunghe conversazioni con mio figlio Peukestas, che era li come attendente del re. Per il resto ci vediamo cos di rado... E' inconsueto che Alessandro abbia affidato il comando della ile a quel, ehm, Amyntas? Drakon esit. Si, un po', ma non cos tanto. Mi sarei atteso che, tra gli uomini a disposizione (e non ce n'erano poi molti nel luogo in cui dev'essere costruita Alessandria), scegliesse uno dei suoi migliori amici di vecchia data, Kleitos il Nero. Ma a lui affid, sino a nuovo ordine, la difesa del luogo. Come si svolta la visita all'Ammoneion? Rapidamente. Drakon rise. Siamo arrivati, ci siamo riposati e abbiamo abbeverato i cavalli. Alessandro ha parlato con il re e preso, ehm, certi accordi. Gli uomini hanno eretto le tende, alcuni di noi sono stati ospitati nelle locande; poi lui si diretto al tempio. Che genere di accordi? Il medico sospir. Sei molto precisa, madre di Dario. Siwah si trova sulla via commerciale meridionale, la pi antica tra Egitto e Libia. A sud di Cirene, presso gli Altari dei Fileni, la strada costiera e la via del deserto si incontrano. Il commercio con la grande, potente e ricca Carcedonia utilizza prevalentemente il percorso meridionale, che tocca anche i paesi, se si possono chiamare cos quei luoghi deserti, di maci, augili e garamanti, dove cresce il prezioso silfio, che sotto forma di radice ha un prezzo inaccessibile e come medicinale ancora

pi caro. Non aggiunse altro; Barsine disse lentamente: Allora sicuramente qualcuno da qui verr mandato stabilmente a Siwah per studiare, con il permesso del re dell'oasi, le possibilit commerciali ma soprattutto per raccogliere informazioni su Carcedonia?. Drakon si strinse nelle spalle. Come sapete, ogni azione di Alessandro prevede fin dall'inizio molti obiettivi. Alessandro ha gi dato istruzioni a riguardo? Ha lasciato una lettera per Demaratos: il corinzio sta cercando le persone adatte. Il re dunque non ha pi parlato con lui da quando ritornato da Siwah? chiese Sisygambis. No. Ma dove volete arrivare con queste domande? La madre del re fece un cenno di diniego. Non ne sappiamo ancora abbastanza per dirlo. Ma ti prometto, sul Fuoco Puro, che lo verrai a sapere oggi stesso... almeno per quanto se ne pu parlare. Va bene. Drakon borbott qualcosa di incomprensibile; poi descrisse le sorgenti del sole, la cui acqua aveva sempre la stessa temperatura, e infine il tempio di Amn, l'Ammoneion vero e proprio. Un tempio come qualunque altro, soltanto pi vecchio e venerabile. Creso ha interrogato l'oracolo, cos come Perseo ed Eracle, grandi progenitori di Alessandro. Pindaro l'ha celebrato e gli ha dedicato un santuario a Tebe. Ma questo lo sapete. E' l'oracolo pi antico e pi sacro di tutti. Durante le processioni solenni, l'imbarcazione nella quale risiede il dio viene portata in giro e a volte oscilla o si muove lateralmente. Per il re e dio dell'Egitto tutto questo stato organizzato in modo un po' pi... intimo. Il gran sacerdote del santuario attese il re davanti al tempio; lo salut come figlio di Amn, Dio buono, Signore dei Due Paesi. Era il saluto cerimoniale per il faraone; ma era anche qualcosa di pi, molto di pi. Il santuario pi importante della pi antica tra le grandi divinit aveva avallato il comportamento dei sacerdoti e dei principi di Menfi: Alessandro indossava la corona a due punte del faraone, lo scettro e il flagello, era dio e re, la personificazione del figlio di Amn-re e di Osiride; era l'Horos d'oro, principe potente, amato da Amn, signore dell'Alto e Basso Egitto; e lo era grazie alla forza delle sue armi e alla decisione dei sacerdoti e dei principi dell'Egitto. E ora lui sapeva, tutti sapevano, che lo era anche grazie alla volont degli di. Faraone legittimo, ricettacolo e figlio di Ammon, che Zeus, e pertanto anche una divinit olimpica. Questo che cosa significa esattamente, per voi elleni? chiese Sisygambis. E'

immortale? Onnipotente? Infallibile? Un giorno morir come ognuno di noi, ma dopo la sua morte andr presso gli di e vivr in eterno, mentre noi finiremo come i fiori quando appassiscono e al massimo sopravviveremo ancora un po' nei pensieri dei posteri. Il vostro aldil non forse eterno? Drakon si morse il labbro inferiore. Non lo so. Vi sono molte teorie contraddittorie. Soltanto gli eroi e i semidi vivono nel regno delle ombre, dicono alcuni; e tutti i morti che non sono tali si fondono insieme alle ombre, finendo dentro o sotto a queste, e non esistono pi. Ma le opinioni sono molte. Compresa quella che sostiene che tutto questo sarebbe stato inventato dagli esseri umani per superare la paura della morte definitiva. Dopo un silenzio pi lungo, Barsine disse: Che cosa successo quando il sacerdote ha formulato il saluto? Voi eravate presenti? Lo avete sentito? Che effetto ha fatto su Alessandro?. E' stato disse Drakon con voce inespressiva come se, in un tardo pomeriggio torrido, ci fosse stato scagliato addosso, con una catapulta di una potenza inimmaginabile, un enorme blocco di ghiaccio che si fosse schiantato in mezzo a noi. Eravamo immobili. Esterrefatti. Alessandro ha barcollato come se... come se Atlante si dissolvesse nel nulla e il peso della volta celeste si abbattesse, minaccioso e insopportabile, sulla sua testa; ha agitato le braccia, si appoggiato a una colonna. Poi il gran sacerdote lo condusse nel tempio; gli altri rimasero indietro confusi. Alcuni si sparpagliarono tutt'intorno cercando di riordinare il filo intricato dei pensieri oppure di riassettare il tessuto spiegazzato del loro animo; altri si abbeverarono nelle mescite; altri ancora sedettero intorno a un fuoco insieme ai compagni oppure si distesero sotto il cielo vorace e cercarono le rovine delle loro anime in mezzo alle stelle. Mangiarono datteri, pane e carne, bevvero vino di palma, esposero i loro volti al vento dolce e rinfrescante della notte, ascoltarono i sussurri e i risolini di uccelli sconosciuti in mezzo agli alberi, il bisbiglio dell'acqua delle fonti, sentirono l'odore degli animali, delle piante e degli esseri umani del regno dell'oasi. Quando il rumore delle osterie cess, i fuochi si spensero e solo la luce di segnalazione sulla torre pi alta della cittadella reale continu a parlare con le stelle, la notte del deserto si fece fredda e l'aria fredda sembrava provenire dal tempio, come il ricordo lontano di un soffio pi caldo; e di tanto in tanto un suono, come se qualcuno toccasse il bordo di un grande gong di

bronzo con un cuore pulsante, appena strappato dal petto. Sapevano tutti di essere morti: tutti, anche quelli che non credevano agli di; che la notte era destinata a durare all'infinito; che un mostro bavoso, met serpente e met medusa, sarebbe giunto dalla cittadella con le insegne rosso sangue del re dell'oasi sul capo, per divorarli tutti; e che soltanto Alessandro avrebbe potuto ricondurli nel regno dei vivi. A un certo punto Drakon cerc il veggente, ma Aristandros era introvabile. Alessandro lasci il tempio alle prime luci dell'alba. Barcollava, sembrava stringersi a un daimon d'aria. Aveva gli occhi infossati, come se nel tempio avesse trascorso non una notte, ma una settimana senza dormire. Prima di recarsi dal dio, si era purificato e aveva indossato abiti puliti come tutti gli altri; ora le sue guance erano ispide, il chitone macchiato, strappato qua e l, e il re puzzava di sudore, di escrementi, di paura tremenda. Lo circondarono, si strinsero in un grande cerchio intorno a lui, gridarono all'impazzata, volevano toccarlo, strillavano domande. Alessandro si riscosse come qualcuno che si ridesti da un sogno senza via d'uscita. Sorrise stanco, li guard in volto e disse: Il dio mi ha detto quello che desideravo sapere. Poi barcoll di nuovo, distese il braccio, si tenne al ramo di un cespuglio spinoso e mormor: Io sono un dio. Contempl con una smorfia i graffi sulla sua mano, le tracce delle spine da cui fuoriusciva il sangue. Sorrise obliquo. O forse no?

Drakon termin il suo resoconto con alcune frasi sul viaggio di ritorno, la lunga cavalcata per la via commerciale meridionale, da una sorgente all'altra, fino al lago dell'oasi di Shedet, dove le maggior parte di loro si era fermata per riposare alcuni giorni, mentre Alessandro era ripartito immediatamente a cavallo, e quindi alla volta di Menfi. Barsine aveva chiuso gli occhi; la sua mano si strinse intorno a un lembo della coperta giallo scuro. Sisygambis si schiar la voce; con indifferenza disse: Tu menti, nobile macedone. Quantomeno nel senso che tralasci elementi importanti della verit. Che cosa vuoi sentire? La cerimonia del giorno successivo a

quella notte, quando l'effigie di Ammon venne portata in giro nell'imbarcazione e rispose alle domande dei guerrieri con oscillazioni, ondeggiamenti e ripiegamenti? L'ammontare delle offerte votive fatte da Alessandro? Altre cose. Come sai, Drakon, visto che ci stai girando intorno intenzionalmente. Perch tu, il freddo, razionale, scettico Drakon, vuoi farci credere di aver ceduto alla magia della notte? Una bella descrizione, certo, ma incredibile se pronunciata dalla tua bocca. Almeno per quanto riguarda te. Dov'era Aristandros? Quando ricomparso? Mi sono lasciato scappare qualcosa? Drakon allarg le braccia. Il giorno dopo, era semplicemente di nuovo l. Bah. Perch nel tuo resoconto non hai nominato neanche una volta Ptolemaios, il figlio di Lagos? Ah! Ah, s! E le altre domande che Alessandro ha posto al dio: come le ha poste? e quali sono state le risposte? Ma soprattutto si pieg in avanti e lo fiss negli occhi l'ankh con l'occhio di Horos. L'amuleto. Drakon cammin nell'ampia stanza, rivolgendo la schiena alle donne. Facciamo uno scambio? Prese una sedia leggera e si sedette accanto al letto di Barsine. Che genere di scambio? Voi mi dite quello che sapete; e perch volete sapere quello che so. Poi io vi risponder... forse. Forse non basta disse Sisygambis. Drakon sospir. Potrei promettere e non mantenere la promessa. Parla, madre. Pi che parlare, Barsine sussurr. Oppure lascia iniziare me. Cerc di sollevarsi un po', appoggiandosi ai cuscini; guard prima Sisygambis, il cui volto rest impassibile; poi si rivolse a Drakon. Era la storia che lui conosceva; a sorprenderlo e turbarlo un po' fu soltanto il fatto che Barsine conoscesse tanti dettagli: cose che Demaratos e i suoi uomini pi fidati avevano appreso nel corso di molti anni. Cose che, per buoni motivi, non erano state riferite neppure ad Alessandro. E, se pure Filippo era venuto a conoscenza di qualcosa, non si poteva pi saperlo. L'unione degli antichi simboli della vita e della perspicacia, della vita eterna e della ragione eterna; ridotto in forme essenziali, uno dei segni per dire "dio" nella scrittura cuneiforme della Mesopotamia; uno dei significati era l'immortalit, l'altro univa insieme l'intuizione o la profezia della volont divina, in contraddizione forse soltanto apparente, con la ragione atea,

autosufficiente. Barsine sapeva che il meticcio egizio Ptolemaios di Aloros, amante della madre di Filippo Eurydike, aveva portato il simbolo come amuleto; che un mercante elleno, qualche tempo prima della nascita di Alessandro, forse moltissimo tempo prima, in un tempio diroccato dell'Egitto, aveva ricevuto un amuleto simile, proveniente da Siwah, insieme all'incarico di portarlo nel Nord, nei santuari di Dodona e di Samotracia; che la grande luna celeste del dio ariete Ammon-Zeus non era ancora compiuta, ma che, prima che si levasse il Signore dei Pesci, Ammon avrebbe dovuto cercare un nuovo ricettacolo, un nuovo faraone per la ricostruzione del suo regno, e lo aspettava nel Nord; che i sovrani che avevano liberato l'Egitto dai persiani, ormai settant'anni prima, erano sembrati impuri, inadatti ai sacerdoti di Siwah; che la figlia del re molosso Olympias era stata educata come sacerdotessa ed etra, prima nel bosco sacro di Dodona e poi nel tempio di Samotracia, e che i suoi insegnanti, tra i quali c'era un egizio, le avevano detto che avrebbe dato alla luce il nuovo ricettacolo di Ammon; che Aristandros sapeva tutto questo e perci aveva fatto in modo che Filippo si recasse in visita a Samotracia per riconciliarsi con gli di, dove egli vide Olympias, la desider e la prese in moglie; che, e questo Drakon non lo sapeva, undici o dodici anni prima, quando Rtakhshassa - Artaserse - aveva riportato l'Egitto nell'impero persiano, i sacerdoti avevano sconsigliato una resistenza sanguinosa perch il nuovo ricettacolo di Ammon era gi nato e sarebbe arrivato presto; che questo segno egizio veniva gi impiegato da alcuni anni, dapprima in Mesopotamia e in Fenicia e solo in seguito, dopo la riconquista, in Egitto come simbolo di coloro che cercavano in segreto di opporre resistenza all'Iran. E che Bagoas il Sano, direttore e organizzatore della rete segreta di informatori del Gran Re, conosceva il simbolo cos come Hamilkar, il suo antagonista a Carcedonia dove, ridotto in forma estremamente semplificata, avrebbe potuto essere identificato con quello della dea della citt, Tanit. Abbiamo parlato a lungo, da quando Parmenion mi condusse nella tenda di Alessandro. Amo il tuo re, Drakon; divido con lui il letto, ogni volta che possibile, e mi sarebbe piaciuto dargli dei figli. Figli dell'amore, senza alcuna pretesa sul suo potere e sulla sua eredit. I suoi occhi scuri si riempirono di lacrime; per un momento si tocc con la mano destra il ventre, le bende. Deglut pi volte, prima di proseguire. Era un recipiente pieno di fuoco e di oscurit. Dopo il suo ritorno dall'oasi l'ho visto solo per poco tempo,

e avevo i dolori e la febbre. Per... quello che ho visto non era un delirio febbrile, ma una terribile verit. Il recipiente non tiene pi, Drakon; le lingue di fuoco fuoriescono e l'oscurit penetra nel mondo. E' come... lui mi ha riferito le parole di Aristotele sul sistema di bilance, braccia e piatti all'interno di ogni essere umano. E' come se, dentro di lui, ora questo sistema non fosse pi in equilibrio. Esit. Come se... Le sue mani cercarono di afferrare nell'aria le parole e i concetti. Come se disse dura Sisygambis la parete divisoria all'interno del recipiente che teneva separati il fuoco e l'oscurit fosse tutta incrinata cos come quella esterna. E' cambiato. Mutato. Trasformato. L'ho visto anch'io; e non avevo la febbre. Lui che cosa sa? La voce di Drakon era velata, la gola come fango screpolato lungo la riva, senza la prospettiva di una piena del Nilo. Toss, deglut, vuot il suo bicchiere e lo riemp di nuovo dalla brocca che aveva per manico due piccole corna d'ariete piegate insieme. Corna di Ammon, fatte di fragile terracotta. Tutto. Tutto? Sei sicura? Barsine annu. Tutto quello che volevate tenergli nascosto. Gliel'ha detto sua madre, poco prima di partire. Per gli di! La mano di Drakon trem: dal bicchiere troppo pieno alcune gocce caddero sul suo chitone chiaro e lo tinsero come di sangue. Bevve di nuovo, avidamente, si ripul la bocca e rivolse lo sguardo alle due donne. Io ho tre nipoti disse Sisygambis con voce improvvisamente stanca. Stateira, Drypetis e Ochos. La loro madre era mia figlia e nuora Stateira, morta nell'accampamento davanti a Tiro, il padre mio figlio e genero Dario. Ho ancora una cara figlia, Barsine; e un figlio molto prezioso, Alessandro. Vorrei non aver mai conosciuto un uomo e non aver mai generato figli. Quello che amo brancola in un abisso oscuro; quello che odio non riesco a nominarlo. Barsine strinse le labbra fino a formare una striscia sottile. Stateira morta durante un aborto, io invece sono sopravvissuta, madre. Tuo figlio, il Gran Re, a Susa e tiene prigionieri i miei figli come ostaggi; almeno i tuoi nipoti sono con te. Modera i tuoi lamenti. Drakon socchiuse gli occhi; Sisygambis parve all'improvviso vecchissima e fragile, e l'indebolita Barsine la pi forte tra le due. Inspir profondamente e scosse il capo. Non lamentiamoci per i figli e per i nipoti. Abbiamo ancora

due o tre cose di cui discutere. Un recipiente tutto incrinato, il fuoco e l'oscurit... forse voi vedete pi di me, oppure in modo diverso. Forse le donne e gli uomini non dovrebbero utilizzare lo stesso mondo e lo stesso linguaggio. Per me troppo... mistico. In ogni caso: lui ha detto qualcosa, quando ne avete parlato Barsine? Lei inarc le sopracciglia. Certo; altrimenti come avremmo fatto a parlarne? Drakon gemette. Ti prego di non prendere il mio discorso sul linguaggio cos alla lettera da voler sottoporre a critica severa le mie parole. Non si lamentato. Non si lamenta mai. Era molto tranquillo, rilassato, come se tutto questo fosse qualcosa che aveva gi deciso tra s da tempo. Che Olympias lo avrebbe trasformato in uno strumento, Filippo in un altro e Ammon, o i suoi sacerdoti, lo considerassero come un burattino che continua a danzare per anni e parasanghe, se qualcuno tira i suoi fili. Disse che gli di o esistono oppure non esistono. Forse ne stato trascurato uno, quello al quale per prudenza gli ateniesi hanno dedicato un altare, il Dio Sconosciuto. Forse questo sconosciuto anche il dio che sta dietro gli di, che li fa danzare come burattini. Drakon attese che continuasse, ma lei non lo fece. Vai avanti, principessa, questo non pu essere stato tutto. Lo conosco troppo bene per accettarlo. Lui venera gli di a cui non crede, interroga oracoli che, dietro suo ordine, Aristandros interpreta in modo mirato; tutto questo si. Ma non si metterebbe di notte, prima di partire, a parlare degli di solo con te e con alcune guardie senza occhi n orecchie per poi interrompersi. Sei sicuro di volerlo sapere? Drakon si scompigli i capelli. Se sono sicuro? Per gli di, mai stato pi sicuro un mortale? Devo saperlo, per poter giudicare. Perch Demaratos possa giudicare, non vero? Drakon la fiss senza parlare; Barsine sorrise appena. Be', allora mormor se lo vuoi proprio... Ha detto che come uomo, come re, seguir quella brama mostruosa che lo spinge a cercare l'altra faccia del vento e l'angolo inferiore del mondo e, se per questo dovesse conquistare il mondo intero, lo far. Ma se si dovesse dimostrare che pi di un comune mortale, non solo un guerriero ma anche un dio, allora dovrebbe sfidare proprio gli di, strappare loro le ultime risposte che non potrebbe trovare presso gli uomini: sempre che gli di esistano. Drakon si accorse di essere impallidito. Con voce sorda e piatta rifer dei preparativi che avrebbero dovuto mettere al riparo da ogni imprevisto. Prima di partire alla ricerca del luogo in cui costruire

Alessandria, da Menfi erano stati inviati messi attraverso il deserto sino a Siwah, per annunciare la venuta del re. Demaratos, che non part per il nord insieme a loro, aveva mandato dietro a questi messi il suo migliore "egizio", un macedone intelligente di nome Simmias, che in Egitto si faceva chiamare Si-amun, figlio di Ammon. Alessandro l'aveva visto a Siwah, si era un po' incollerito, ma poi ne aveva fatto il proprio governatore plenipotenziario locale. Indipendentemente da tutto quello che potessero pensare il re dell'oasi Wenamun o i sacerdoti del tempio, l'Ammoneion ora faceva parte dell'impero di Alessandro. Simmias/Si-amun avrebbe fatto costruire un grande edificio sul margine occidentale dell'oasi, nei pressi di un antico tumulo, e avrebbe tenuto d'occhio Carcedonia e Cirene, i maci e i garamanti, e l'oasi stessa. Avrebbe ricevuto truppe e denaro a sufficienza. Drakon aveva bevuto solo un poco del vino di palma che era stato servito agli uomini che accompagnavano Alessandro. Non gli piaceva che il vino provenisse da un edificio adiacente al tempio, nel quale Aristandros era entrato poco prima. La notte era stata indubbiamente piena di cose strane; la descrizione di Drakon tuttavia corrispondeva a quello che avevano provato gli altri. Le sue sensazioni erano state normali, a parte un lieve senso d'oppressione. Demaratos disse sa come funziona l'oracolo. Non solo quello dell'imbarcazione che i visitatori comuni possono interrogare, ma la procedura riservata ai principi di rango elevato o al faraone. Nella parte pi interna del tempio. E come fa il corinzio a saperlo? chiese Sisygambis. Anche i sacerdoti sono corruttibili. O sensibili al dolore... Nel tempio, nella parte pi interna, c' il locale in cui si trova la grande effigie di Ammon, che anche Zeus. La testa d'oro del dio cava. Dietro a questa c' una parete, oltre la quale c' una minuscola stanza che collegata tramite passaggi segreti con i locali sotto il tempio. Il postulante, un principe o un re, viene accompagnato da un sacerdote; per Alessandro c'era il gran sacerdote del santuario. Il postulante parla ad alta voce con il dio, gli pone le sue domande. Dopo qualche tempo il sacerdote che lo accompagna prende dalla bocca del dio un papiro sul quale si trovano le risposte. Barsine e Sisygambis si scambiarono una lunga occhiata. Questo significa disse Drakon che qualcuno, nella camera dietro il dio, ascolta le domande. Striscia fino alle stanze al di sotto del tempio, dove lo attendono gli altri sacerdoti,

o i pi intelligenti tra loro. Pone le domande; se ne discute e alla fine vengono scritte le risposte, e quello che ha origliato scivola di nuovo nella stanzetta da dove infila il papiro nella bocca di Ammon. E le domande? chiese Sisygambis. Drakon fece una smorfia. Prima di venire a questo, dobbiamo parlare di Ptolemaios. Alessandro lo ha voluto con s, sin dall'inizio. Lo ha mandato via non appena abbiamo raggiunto l'oasi. In seguito ho parlato con lui: serviamo pur sempre gli stessi padroni, Alessandro e Demaratos. Prima caduto dalle nuvole, ma poi ha ammesso di essere penetrato nel tempio attraverso una feritoia per l'aria e da qui nel passaggio segreto. Ha visto qualcuno scivolare nella camera dietro al dio, senza essere a sua volta visto, essendo ben nascosto; ha ascoltato le domande e le voci nei locali sotto il tempio; poi si allontanato e si diretto a cavallo verso occidente, nel luogo in cui Simmias vivr come Si-amun e dove aveva gi piantato la tenda. Hanno discusso gli incarichi da parte del re e di Demaratos-ma Simmias lo ha guardato per tutto il tempo in modo molto strano. Alla fine gli ha chiesto che cosa avesse e allora Simmias, dopo qualche resistenza, ha preso una fiaccola - era notte fonda - e si diretto all'antico tumulo insieme a Ptolemaios. "Non avevo niente da fare" ha detto "da quando sono arrivato qua; a parte le cose di cui abbiamo parlato. Per la noia durante la notte, in modo che nessuno si accorgesse di nulla, ho gironzolato un po' per la collina. E ho trovato un'entrata. Ptolemaios dice che l'entrata non si riusciva a vedere: Simmias aveva nascosto tutto per bene. L'hanno aperta e sono scesi sotto terra. L c era una camera in parte dissotterrata, ancora piena di sabbia e terra; accanto un'altra camera, che non era stata aperta. Nella prima camera Drakon s'interruppe, si schiar la voce, strinse le mani intorno al bicchiere fino a che le nocche gli si colorarono di bianco c'erano alcune nicchie, e nelle nicchie c'erano piccole figure di pietra, scolpite, con i lineamenti ben definiti. Le donne lo fissarono e rimasero in attesa, un'attesa lunga. Ptolemaios sostiene disse Drakon con voce malferma che sarebbero state le riproduzioni esatte di tutti i sovrani dell'Egitto. Non le ha contate, ma erano molte. Alla fine della fila c'erano figure i cui tratti riusc a riconoscere perch ne conosceva le effigi dalle monete o dalle statue o... dalle descrizioni. C'era Nektanebos, che Artaserse ha scacciato dodici anni fa. Accanto a lui c'era una statua,

un'immagine di pietra con i lineamenti di Artaserse, che stato anche sovrano dell'Egitto. Accanto a lui Arsete, assassinato come il suo predecessore da Bagoas il Veloce, l'eunuco. Accanto... Dario. E accanto a lui, l'ultimo della stanza, Alessandro. Questo impossibile disse Sisygambis con voce roca. Drakon si strinse nelle spalle. Secondo Simmias era tutto pieno della sporcizia dei secoli e non pu essere stato modificato o completato poco tempo fa. Sono strisciati fuori e hanno ricoperto l'entrata di terra; durante il giorno sono stati insieme a noi e ad Alessandro, e Ptolemaios ritornato indietro a cavallo con noi. Drakon fece una breve pausa; poi, quasi sussurrando, disse: Ptolemaios dice che solo pi tardi, durante il viaggio di ritorno attraverso il deserto, riuscito finalmente a mettere insieme ordinatamente i suoi ricordi, le cose che aveva percepito. E allora gli parso che la seconda camera... dice che sembrava come se... insomma, pensa che Simmias abbia aperto la seconda camera, vi abbia guardato dentro e l'abbia ricoperta di terra. Il grande gioco diviene sempre pi complicato mormor Sisygambis. L'Iran. Carcedonia. L'Egitto. La Macedonia. E ora questo: le immagini dei precedenti sovrani dell'Egitto... e di quelli futuri? Le domande! Barsine aveva chiuso gli occhi; Drakon non era sicuro di vedere o meno le lacrime sotto le sue palpebre. Si freg gli occhi. Ora diventa ancora pi complicato disse imbronciato. Troppo complicato per la mente di un piccolo medico macedone, a essere precisi. Demaratos aveva dato a Simmias un'elenco di probabili domande: sappiamo bene su che cosa continua a rimuginare Alessandro. L'elenco conteneva anche proposte di risposte auspicabili o ragionevoli. Quando ora la sua voce suon rabbiosa alle sue stesse orecchie si prevengono gli avvenimenti, bisogna prestare attenzione alle esigenze degli di, che devono esprimersi su tutto. Ptolemaios aveva ascoltato le domande poste da Alessandro nel tempio; erano tutte comprese nell'elenco di Demataros. Alessandro di Macedonia faraone e figlio di Ammon? L'oracolo di Gordio esatto? Quali di deve venerare Alessandro in Asia? La nuova citt crescer in un luogo adatto? Tutti gli assassini del padre di Alessandro sono stati puniti? Ptolemaios aveva sentito anche il sacerdote chiedere al re di formulare diversamente l'ultima domanda dal momento che, come

risultava gi dal saluto con cui era stato accolto, Alessandro era il figlio di Amn (rispose in tal modo alla prima domanda) e un dio non poteva essere assassinato. Alessandro chiese quindi degli assassini di Filippo di Macedonia; allora Ptolemaios ud il rumore come di qualcuno che si avvicinasse e si ritirasse strisciando. E le risposte? Ha ricevuto un papiro. Quando ha lasciato il tempio, non l'aveva pi con s. Probabilmente l'ha rimesso nella bocca del dio. Per Drakon digrign i denti in un sorriso sarcastico ho osservato Aristandros quando ricomparso alla vista. Un altro sacerdote l'ha ricondotto un'altra volta nell'edificio adiacente; Alessandro l'ha chiamato, per cui dovuto subito uscire di nuovo all'aperto, e teneva in mano un pezzo di papiro. L'ha letto camminando; gli si sono piegate le ginocchia, stato sul punto di cadere. Quando arrivato vicino ad Alessandro, era pallido. Teneva in mano il pezzo appallottolato. Io ero accanto al re mentre parlava con il veggente. Ho allungato la mano; Aristandros ha rifiutato in silenzio. D'un tratto Drakon soffi rumorosamente l'aria attraverso i denti Alessandro gli ha detto: "Dallo a Drakon. Per il mondo bastano Callistene e le sue bugie". Il veggente mi ha dato il papiro; io ho aperto la pallottola e ho letto, quindi Alessandro me l'ha preso di mano, si diretto a un focolare e ve l'ha gettato dentro. Poi mi ha premuto il suo anello con il sigillo sulla bocca. E dov'era Callistene? Era privo di sensi per l'ubriachezza. Scriver, o ha gi scritto, quello che Alessandro gli ha ordinato di scrivere. Ecco comunque le risposte: Alessandro il faraone e il figlio del dio; l'oracolo di Gordio esatto, quindi Alessandro diventer il signore dell'Asia; l dovr onorare tutti gli di e in particolare quelli della terra e delle acque; la nuova citt si trova nel luogo migliore e diventer grande e potente; gli assassini di Filippo sono stati puniti. Barsine si sollev, appoggiandosi sui gomiti. Ora il momento dello scambio, non vero? Sisygambis chiuse gli occhi e volt la faccia verso la parete. Nessuno scambio disse Drakon con voce roca. La mia bocca sigillata. Alessandro mi ha concesso di mettere a parte del segreto Demaratos e, con un sorriso ironico, Aristotele, "perch non ci creder, ma manterr il silenzio fin dopo la mia morte." Barsine rimase impassibile; le trem soltanto un muscolo della guancia. Demaratos? Allora o lui ha ceduto, oppure sa pi di quanto vi fosse sul papiro. Forse... forse il gran sacerdote

ha detto ancora qualcosa. Erano queste le risposte che avevate previsto? Drakon annu. A parte quella sul dio, che stato un colpo imprevisto, e la storia della terra e delle acque: quello veniva da Ammon. Dai sacerdoti. Non so esattamente che cosa possa significare. Probabilmente il sommo sacerdote gli ha detto qualche altra cosa al riguardo. Io posso dirti qualcosa... se tu vuoi. Drakon serr i denti e borbott, in modo quasi incomprensibile: Nessun patto, principessa. Barsine rise, ma non fu un riso allegro. Ti dir ancora qualcosa. Tu non vuoi domandarlo perch temi che entrerebbe anche questo a far parte del patto. Come ho detto, Alessandro ha ceduto nei confronti di Demaratos, oppure ne sapeva di pi. Drakon emise un suono gutturale inarticolato. Demaratos e i suoi collaboratori gli hanno taciuto qualcosa che lui sa da tempo, non vero? Perch glielo ha detto Olympias. Per questo non si fida di lui... di voi, Drakon. Almeno non del tutto. E lui davvero cambiato. Il gioco dei servizi segreti si fonda sullo scontro tra intelligenze contrapposte, con mosse e contromosse. Ci che Alessandro, che sparge nel mondo lingue di fuoco e oscurit, decide in qualit di dio, a voi sfugge. Deve aver intuito che nell'Ammoneion sarebbe successo qualcosa che va oltre il gioco di Demaratos, Bagoas e Hamilkar. Chi avrebbe potuto capirne troppo, se fosse stato presente? Drakon disse controvoglia: Demaratos. Laomedon. Leonnatos. Seleukos. Nearchos. Antigonos. Antipatros. Kleitos. Ptolemaios. Simmias. Qualcun altro, forse. Hai dimenticato Drakon mormor Sisygambis. Drakon strabuzz gli occhi. Vuoi dire... ma perch mai il Lagide, allora? Chi ha proposto di metterlo al servizio di Demaratos? Drakon trattenne il fiato per un momento. Alessandro in persona disse poi debolmente. Barsine sorrise stanca. Sei uomini giovani, buoni amici, vengono esiliati da Filippo in Illiria: Alessandro, Ptolemaios, Erigyios, Laomedon, Nearchos, Harpalos. Erigyios il capo dei cavalieri tessali, che costituiscono la guardia del corpo di Parmenion, e Parmenion l'unico uomo nell'esercito che potrebbe mettere fine al potere di Alessandro, se ritenesse che il re ne abusasse. Laomedon conosce bene le lingue straniere e le usanze asiatiche; naturale che Alessandro gli affidi il compito di interrogare e di occuparsi dei prigionieri, nonch di valutare le loro

dichiarazioni. Nearchos vi copre le spalle come satrapo e vi procura informazioni. Harpalos si trattiene nell'Ellade. come traditore? A suo tempo Demaratos andato a cercarli in Illiria e ha fatto in modo che si riconciliassero con Filippo. Tu, Drakon, hai gi lavorato per Filippo, come Antigonos e Kleitos. Gli amici di Alessandro, Leonnatos e Seleukos, sono stati prescelti da Demaratos. Ptolemaios stato proposto dal re. Perch si pu fidare di lui in modo incondizionato? Perch il Lagide gli dir tutto quello che, probabilmente, il corinzio gli tacerebbe? Ma... Drakon non disse altro. Sono molto lontani, a parte qualcuno. Alessandro vuole portare con s Philippos, che per viene morso da un serpente. Si arrabbia quando trova Simmias a Siwah. Tutti si aspettano che si faccia accompagnare da Kleitos il Nero, ma per lui s'inventa un altro incarico. Simmias non poteva aspettarselo: stata una sorpresa. Di te non ha potuto fare a meno, perch Philippos era malato e, cavalcare per il deserto senza neanche un medico... Questo significherebbe disse Drakon lentamente che... oh no! Oh si! Il vino di palma doveva mettere fuori combattimento te. E ti ha dato il papiro perch non c'era scritto tutto. Se lo conosco, in segno di... riconciliazione, di amicizia? E del fatto che comprende il gioco, che lo gioca meglio di voi, che non in collera con nessuno e che in futuro vuole che gli venga spiegato tutto. Drakon si premette il palmo delle mani contro le tempie. Qualcosa si agita e mi balla nella testa... com' la questione degli di asiatici della terra e delle acque? Barsine lanci un occhiata a Sisygambis. Madre, tu lo sai? Io posso solo cercare di indovinare. L'anziana principessa sospir. Mitra viene celebrato in un antro, con orge sinistre. La terra? Ma originariamente un dio della luce, dell'aria. In Iran, Drakon, non esistono di della terra e delle acque, o almeno non sono importanti. Potrebbe essere che... ammutol e scosse il capo, ma sembrava pi combattuta che incerta. Barsine guard fuori verso il cortile interno; il sole era quasi tramontato e le ombre lunghe si dissolvevano. Sto pensando disse a bassa voce agli di. Ammon Zeus ma, a quel che si dice, anche Marduk. Se Alessandro il suo ricettacolo, suo figlio, il dio non vorr che questo ricettacolo esca dalla sua sfera. Non stato detto che doveva mettere fine al regno dei persiani e ricostituire quello di Ammon? Questo regno finisce laddove inizia la Persia.

Probabilmente... probabilmente il gran sacerdote gli ha detto, o lasciato intendere, questo: rimani qui, dove regna Ammon, non andare dove il dio pi importante luce e fuoco. Ma, se ti rechi laggi, distruggi i suoi altari. E' possibile. Drakon sospir. E' un gioco violento e crudele, e troppo complicato per un comune mortale. Comunque vi ringrazio. Avete mantenuto la vostra parte del patto; io vi ho detto pi di quanto in realt avrei dovuto, a proposito delle domande agli di. Il sigillo del mio silenzio stato in parte spezzato. Vi ringrazio, non posso dirvi di pi. Domani, Barsine, voglio vedere il tuo ventre. Si alz in piedi. Sisygambis indic la sedia dalla quale si era appena alzato. Barsine inarc le sopracciglia. Non vuoi sapere la cosa pi importante? Drakon ricadde sulla sua sedia con un gemito. Oh, per gli di! Ancora qualcosa? Che cos'? La prima menzione, probabilmente l'origine del simbolo dell'ankh con l'occhio di Horos. Drakon la fiss in silenzio. Prima, macedone, ci devi promettere di riferire al re della camera con le effigi dei sovrani. E devi dirci che cos'altro c'era nelle risposte: qualcosa che non corrisponde a quelle suggerite da Demaratos. Drakon emise un gemito sordo. Voi conoscete l'origine del simbolo? Le donne rimasero in silenzio. Drakon si domin a fatica. E va bene. S, intendo raccontare ad Alessandro della camera. E la risposta tanto segreta riguarda l'ultima sua domanda. Gli assassini di Filippo. Che cosa dice l'oracolo? Tre, dice, sono ancora vivi e non sono stati puniti. Cos almeno interpreto io la risposta. Consisteva di tre sole parole. E quali sono? Tekmon. Atene. Accanto. E come le interpreti? Drakon sorrise, ma fu un sorriso di delusione, di stupore, d'impotenza. Atene Demostene; non abbiamo mai potuto dire con esattezza quanto fosse coinvolto nella faccenda, ma... insomma. Accanto, visto che era nel tempio, dev'essere Aristandros. E Tekmon? Un'enigma per me, che diventato ancora pi grande da quando conosco la risposta. Dove, chi o che cosa Tekmon? Una piccola localit dell'Epiro. Chiuse gli occhi; la sua voce si ridusse a un mormorio confuso. Tre giorni fa una nave veloce ha portato, tra le altre cose, la notizia che Olympias, dopo una lite con sua figlia, la regina epirota Kleopatra, che regge il paese

fino a che il suo sposo si trattiene in Italia... che Olympias ha abbandonato la capitale Passaron e al momento si trova a Tekmon. Inarc le sopracciglia, rivolse lo sguardo a Barsine, poi a Sisygambis e quindi di nuovo a Barsine. Ora tu ti poni due domande, non vero? disse l'amasio di Alessandro. Come fanno i sacerdoti a conoscere i nomi delle persone coinvolte nell'assassinio di Filippo e come hanno fatto a sapere tanto presto, prima che la notizia giungesse a Menfi, del trasferimento di Olympias a Tekmon. Mi pongo una terza domanda. Esiste davvero un oracolo, al di l dei sacerdoti corruttibili? Esiste Ammon ed stato lui a parlare? Sisygambis prese la parola. La sua voce gracchi un poco. Prima di Dario e di Arsete ci fu Artaserse, che voi chiamate Ochos. Regn per sedici anni. Prima di lui regn per quarantasei anni un altro Artaserse; voi lo chiamate Mnemon. Contro di lui si ribell Kurush, che voi chiamate Ciro; sulla sollevazione, sul suo fallimento e sulla lunga ritirata dei mercenari ellenici ha scritto un libro il vostro Senofonte. Drakon annu; si pieg in avanti, appoggi i gomiti sulle ginocchia e il mento sui pugni. Vai avanti! Prima di lui regn un altro Dario, il secondo con questo nome; mio figlio il terzo. Sotto questo Dario l'impero inizi a sgretolarsi: gli elleni dell'Asia si ribellarono, l'Egitto si sollev. Sotto Artaserse-Mnemon l'Egitto and perduto; un esercito al comando del re spartano Agesilaos si mosse per l'Asia. In quest'epoca vi fu un altro Kurush, che dirigeva il servizio di informazioni del Gran Re. Avanti! Avanti! La voce di Sisygambis si fece sempre pi scura, pi bassa, pi pesante; Barsine sorrise come perduta. Kurush... Forse aveva quindici anni pi di me, che ora ne conto sessantanove. Mor, oppure scomparve come tanti altri, quando Artaserse-Ochos rafforz il suo dominio con il sangue e con il ferro, dopo la morte di Artaserse-Mnemon. Kurush aveva escogitato un piano. Era un piano segreto: non so se se ne sia mai discusso. Si dice che, a parte Kurush, lo conoscesse soltanto il Gran Re, che deve aver esitato a lungo. Era un piano di cui so soltanto che si estendeva per molti anni e paesi e richiedeva molti uomini valorosi e discreti, appartenenti a molti popoli. Una specie di congiura, Drakon: il suo contrassegno era un simbolo trasformato... conosci il ponte dello Sceglitore? Drakon disse roco: Secondo la vostra religione, le anime dei defunti finiscono davanti a un abisso infinito, sul quale passa un ponte

sottile. Al di l del ponte si trova lo Sceglitore, che lascia passare le anime al di l dell'abisso o le precipita nelle tenebre a seconda dei loro meriti. Hai bisogno di un occhio che penetri ogni cosa, macedone, ogni bugia e falsit. Un occhio che conosca in modo infallibile chi ha posseduto una mente giusta e virtuosa. L'occhio dello Sceglitore. Kurush trov che questo si poteva rappresentare anche con altri segni e altri simboli: segni egizi, babilonesi, fenici, fenici occidentali. Drakon batt le mani davanti al volto. Il piano di un defunto, escogitato decenni fa, al tempo di un re defunto, in un paese lontano... Tutto guidato da lontano, dall'Iran? Ma se, come dici tu, Kurush scomparso o morto, sei sicura che questo piano venga ancora perseguito? Oppure da l si sviluppato qualcosa di autonomo, dopo che il suo ideatore e il suo promotore non c'erano pi? Sisygambis rimase in silenzio. Come stanno le cose: ditemelo! Barsine continuava a sorridere. Il piano? Esiste, povero macedone mortale. Non so quale sia il suo obiettivo ma dev'essere qualcosa che rafforza l'Asia e indebolisce l'Europa; qualunque cosa possa essere e quand'anche possa mai essere raggiunto. Ma... come fai a essere sicura che il piano esiste ancora? Perch esiste un uomo che in grado di perseguirlo. Uno che sa. Uno che comanda. Drakon sussurr appena il nome: Bagoas il Sano?. Bagoas il Sano, capo degli informatori, che dirige i servizi segreti dell'Iran. Drakon inspir profondamente; poi scoppi in una lunga e sonora risata. Se l'obiettivo di Bagoas questo... allora i suoi servizi non lavorano bene. Oppure Dario non presta loro ascolto Mio figlio presta ascolto a molti, e a molti no disse Sisygambis rivolta alla parete. Ci sono due cose che non sai, madre disse piano Barsine. Di una sono venuta a conoscenza soltanto per caso... cio, quando Memnon era ancora vivo e doveva condurre la guerra in Asia, ho sentito un bisbiglio e gliel'ho riferito, e lui si infuriato. Che bisbiglio? Diceva che Bagoas il Sano aveva fatto intenzionalmente arrestare dai macedoni Bagoas il Benevolo, il grassone, con il tesoro, perch senza questo denaro non sarebbero riusciti ad arrivare dove Bagoas il Sano voleva che arrivassero. Drakon rimase senza parole, fissando Barsine con la bocca aperta. Sisygambis aveva sollevato le mani supplichevole. Barsine si tir la coperta sul mento, come se avesse freddo. Finalmente Drakon articol di nuovo qualcosa. Questo...

dovremo rifletterci. Alessandro deve venirlo a sapere! Barsine scosse il capo e disse dolcemente: Lo sa gi. Gliel'ho detto io. Comunque sia... potrebbe anche essere... sei davvero sicura che questo abbia a che fare con il piano? Con l'occhio dello Sceglitore? Con Kurush? Bagoas il figlio di Kurush. Drakon rimase in silenzio, turbato. Con voce appena percettibile, Sisygambis disse: E questo Alessandro non deve mai venirlo a sapere. Che una marionetta, per chiss quale scopo, i cui fili sono stati tirati cinquant'anni fa o anche pi. Drakon gemette. Barsine continuava a sorridere. Lo sa gi. Gliel'ho detto io..

La sera dopo, quando, dopo averla visitata e aver parlato ancora con lei, lasci Barsine, nel centro del cortile pi grande del palazzo ardeva un fuoco. In un attimo di follia Drakon fu convinto che vi stessero arrostendo prigionieri o sacerdoti, oppure la statua di una divinit. Probabilmente questo non l'avrebbe sorpreso. Non barcoll, era padrone dei suoi sensi, erano i suoi pensieri a danzare vorticosamente; gli ingranaggi interni e quelli esterni non facevano pi presa tra loro. Non appena se ne rese conto, Drakon si ferm in mezzo a due colonne che, alla luce delle fiaccole, assumevano riflessi gialli e neri e sembravano danzare. Ai piedi di una di queste, da un disco dipinto si innalzarono i contorni di un carro da guerra con i cavalli schiumanti, l'auriga che li sferzava e un arciere che mirava ai macedoni. Drakon chiuse gli occhi, fece diversi respiri profondi, cadde in ginocchio, si rimise in piedi, batt le mani. Dal fuoco proveniva un puzzo di carne bruciacchiata, di vino vomitato, del sudore di molti uomini con indosso corazze di cuoio e di metallo. Passi pesanti. Drakon apr gli occhi; il mondo era tornato a funzionare, gli ingranaggi a fare presa. Un ufficiale e tre opliti passarono sotto l'arco: sembravano diretti agli appartamenti delle donne. Drakon li chiam. Ehi, amici, la notte piena di arrosti e voi ve ne scivolate nella penombra affamati? Che cosa c'? L'ufficiale lo riconobbe: sul suo volto spigoloso apparve una specie di

illuminazione. Spinse l'elmo all'indietro e mand via i tre soldati. Drakon. E' bello vederti. Krateros ti cerca. Quella era la guardia d'onore... nel caso in cui avessimo dovuto venirti a prendere dalle donne. Voglio fare il bagno, farmi massaggiare, affogare nel vino e pensare a cose intelligenti disse Drakon, sforzandosi di non mostrare in modo troppo evidente la nausea e il disgusto. Che cosa vuole Krateros da me? Vuole sentirti pensare cose intelligenti. L'ufficiale sogghign ironico. Massaggiarti no, stai pure tranquillo, ma di certo ha vino a sufficienza. Vieni..

Attraversarono due cortili pieni di spettri e di immagini di divinit, numerosi lunghi corridoi nei quali un daimon centuplicava l'eco dei passi, salirono scale i cui gradini erano stati consumati dai secoli e percorsero altri corridoi. C'erano guardie ovunque: nelle nicchie, dietro le sporgenze, sui pianerottoli. Krateros teme per la sua vita? Krateros non teme nulla. Vuole soltanto essere sicuro che nessun curioso carpisca le sue parole e nessun ladro il suo oro. Il taxiarca si trovava su un'ampia terrazza, a un'altezza di dieci uomini sulla citt che ronzava e brillava. Sul fiume si muovevano chiatte illuminate e barche piene di musicisti: le gite serali. Dal tempio di Ptah si udiva un canto stridulo che alla fine venne disperso dal vento che si alzava. Bracieri ardenti con carbone di legna e incenso avrebbero dovuto scacciare via le mosche che venivano attirate dalle fiaccole e dalle lampade, ma non facevano che accrescere il cattivo odore. C'erano ovunque ufficiali e scrivani che passeggiavano lentamente, a gruppi, avanti e indietro, oppure sedevano ai tavoli, chini su tavolette di cera e cataste di papiri. Nonostante il lieve vento della notte, l'aria era soffocante. Krateros, alto sei piedi, con le spalle larghe e il tronco tutto coperto di peli scuri, indossava soltanto un perizoma chiaro. Il sudore gli aveva incollato alcuni peli del petto come spine, cespugli e buffe colonnine; le sue innumerevoli cicatrici brillavano come specchi d'acqua poco profondi.

Drakon conosceva le qualit dell'Orso. Era un soldato straordinario, valoroso e prudente; gli uomini l'amavano e lo seguivano ciecamente: meglio una marcia forzata con Krateros che un banchetto con Hephaistion. Teneva in pugno i suoi millecinquecento attaccabrighe e da quando, a Isso, Alessandro gli aveva dato il comando di tutti i fanti dell'ala di Parmenion, era diventato il terzo uomo dell'esercito dopo il re e lo stratega, e prima dei figli di Parmenion: Philotas, che comandava la cavalleria degli etri, e Nikanor, capo degli ipaspisti. Drakon pens fuggevolmente al terzo figlio di Parmenion, Hektor, che era affogato nel Nilo poche lune prima, quando l'imbarcazione sulla quale si trovava si era capovolta e lui era finito sott'acqua. Altrettanto fuggevolmente pens ai molti altri che non c'erano pi, e a tutti quelli che sarebbero ancora morti. Ma questo sarebbe capitato a chiunque, prima o poi. Sospir e si fece strada attraverso i drappelli di persone. Mi sorprendi, nobile Krateros. L'Orso s'infil un gessetto dietro l'orecchio, rutt e diede un colpo alla tavoletta di cera. E in che senso, avvelenatore di malati? L'Orso fa a pezzi i migliori soldati della Persia: e va bene; l'Orso vuota un'anfora d'un fiato: e va bene; l'Orso distrugge un'osteria e dopo fa felici tre donne: e va bene anche questo; ma l'Orso intento in lavori di scrittura? Mah. Krateros sorrise e scrut la sua zampaccia pelosa come se gli fosse appena cresciuta e, nell'insieme, rappresentasse una sgradita sorpresa. Hai proprio ragione, raddrizzaossa. Ma, se lo vuole il re... Si alz in piedi e si rivolse agli uomini dello stato maggiore che erano seduti accanto a lui. Andate avanti; io torno subito. Abbiamo qualcosa da discutere. Prese Drakon per un braccio e lo spinse verso l'estremit settentrionale della terrazza, sopra i giardini del palazzo. Che cosa c' che ti cammina a passi pesanti sull'animo, fastidioso come un pidocchio o coraggioso come un leone, amico mio? chiese Drakon. Krateros si rovist tra i peli del petto. Ah, be', molte cose. Abbiamo un appuntamento. Ah, abbiamo? Chi, quando, dove e con chi? Krateros sput nel buio. Tra quattro lune e mezzo, di pomeriggio, sull'Eufrate. Con gli altri e con Dario. Drakon ridacchi. E Dario lo sa? Potrebbe fare tardi. L'Orso brontol. Lasciamo perdere le battute idiote, Drakon. Non me lo sono andato a cercare io, ma

ora devo farlo. Indic con il pollice dietro di s, verso i tavoli, gli uomini e il materiale per scrivere. Alessandro ha dato le sue istruzioni ed partito a cavallo per andare a vedere ancora una volta la sua nuova citt. Qui rimangono due satrapi, uno per l'Alto e l'altro per il Basso Egitto, e due strateghi, e un responsabile del tesoro, e giudici e scrivani e tutte le altre cose che rendono difficile la vita alla gente. Io so, in generale, chi deve andare dove e per fare che cosa, e quanti guerrieri e navi e armi rimangono. I dettagli devo studiarli adesso. Rabbrivid. Lo stesso in Fenicia e in Siria e ovunque tra queste terre e oltre. Chi resta e dove, chi va in Mesopotamia e con quanti uomini. Ci saranno in marcia cinque gruppi; hanno bisogno tutti di provviste e denaro, foraggio e rifornimenti di erbe medicinali e fasciature. Bah. Sei venuto a cercarmi con una rete a strascico perch stasera ti facessi il conto di tutto il materiale sanitario su questa tua terrazza? Lo so che i tuoi uomini sono validi; non ho alcuna preoccupazione a riguardo. No, il motivo un altro. D'un tratto la voce dell'Orso era cambiata. Drakon aspettava con una sensazione spiacevole. Krateros si stacc dal parapetto, gemette, si volt verso il medico e pos le mani sulle spalle di Drakon. Demaratos non si trova: per questo ho bisogno di te. Ho parlato con lui ancora oggi, sul presto: non pu essere lontano. E' partito stamattina con un'imbarcazione veloce verso valle, probabilmente diretto a Pelusion. Va bene. Avr avuto le sue ragioni. Forse vuole un piccolo vantaggio, perch teme altrimenti di non farcela per quel pomeriggio. L'Eufrate lontano e i suoi piedi sono vecchi. Andr a cavallo borbott Krateros. Smettila con queste ciance. E' una cosa seria... Che cosa successo in quell'oasi schifosa? Drakon mostr i denti in quello che avrebbe dovuto essere un sorriso. Tu che cosa sai? Krateros alz le mani. Tutto, nel modo in cui stato rielaborato da Callistene; e anche qualcos'altro. Non voglio sapere che cosa vi hanno dato da mangiare, soltanto... lui cambiato e nell'esercito c' inquietudine. I cambiamenti di Alessandro accompagnano lui e noi da quando ha imparato a camminare. Che genere di inquietudine? Krateros si volt e rivolse nuovamente lo sguardo all'oscurit dei giardini. Gaza mormor. Quella stata la prima cosa. Batis ha difeso la citt con valore. Noi ammiriamo i nemici valorosi: di vigliacchi e traditori ce ne sono gi fin troppi. Perch Alessandro lo ha fatto legare per i piedi a un carro da guerra e trascinare fino a che morto? Questo ... questo

stato... non macedone, capisci? Prima non l'avrebbe mai fatto: stato un Alessandro che nessuno di noi conosceva. Drakon rimase qualche tempo in silenzio; alla fine disse esitante: Lo so... e non lo so. Pens alla citt fortificata; alle mura che non si potevano abbattere; alla sabbia sottile che continuava a cedere quando bisognava mettere in posizione le torri d'assedio e le catapulte; alla freccia che aveva trafitto la spalla di Alessandro e una vena del collo, al re che aveva perso una grande quantit di sangue, era svenuto ed era rimasto a lungo debole; al vallo di terra, sabbia e pietre che alla fine avevano eretto tutt'intorno alla citt, alto come le mura di Gaza; alla fatica di spingere le pesanti catapulte fino al vallo; ai lanci e alla breccia e al folle combattimento uomo contro uomo, casa per casa... Ira? Indignazione divina per l'audace ferimento? No, questo non da lui. L'ira, s: voleva raggiungere l'Egitto, non poteva lasciarsi Gaza alle spalle, Batis non voleva consegnargli la citt nonostante non avesse alcuna prospettiva di tenerla a lungo, contro un esercito e una flotta, senza l'appoggio dei persiani. Inoltre Batis era brutto; e ad Alessandro non piacciono le persone brutte. Questo non convince n te n me. Krateros continuava a pulirsi la mano sulla veste. Noi abbiamo sconfitto Dario, abbiamo preso Tiro e, per gli di, se mai c' stato un assedio che avrebbe meritato un cronista come Omero, allora stato quello. I fenici hanno abbandonato la flotta persiana; dalla Frigia giunta la notizia che Antigonos Monoftalmo aveva vinto tre battaglie contro valide truppe a cavallo e consolidato il paese. Alessandro avrebbe potuto essere contento, nonostante la ferita e il tempo perso. E nonostante le perdite davanti a Tiro. Sappiamo bene che furono pi dei quattrocento uomini di cui hanno dovuto scrivere Callistene e Aristoboulos. Che cosa, Drakon, che cosa l'ha posseduto? Non lo so, amico mio. Neanche Demaratos e i suoi uomini sanno tutto. Nel peggiore dei casi ora Krateros si rivolse pi a se stesso che a Drakon qualcos'altro. Se uno di noi vuole trattenerlo o fargli cambiare opinione... tu sei fermamente deciso, vai da lui e lui si limita a guardarti e... allora vorresti baciargli i piedi e gli di ragione su tutto. Drakon prov una sensazione di disagio. Le ostruzioni intestinali, le gambe mozzate, escogitare intrighi complessi, tutto questo era facile e innocuo a confronto del tentativo di riuscire a guardare dentro l'animo di Alessandro. Sospir. Hai parlato di inquietudini. A Siwah l'hanno davvero dichiarato dio?

Oppure stata solo... schiocc le dita aria bollita per l'Ellade? No, proprio vero. L'Ammoneion l'ha dichiarato figlio di Ammon, re e dio. E' stato qualcosa di inatteso, di non... progettato. Non so che cosa pensare; che cosa credere. Ma... sia pure: che cosa ha a che fare con le inquietudini? A mezza voce, rapidamente, come se le parole gli inciampassero frenetiche sulla lingua, Krateros parl dell'offerta di pace da parte di Dario e del suo rifiuto. Tutti i paesi a occidente dell'Eufrate, oro, pace e amicizia: pi di quanto Filippo avesse mai sognato, pi di quanto la Lega corinzia avesse mai desiderato. In effetti, la spedizione militare punitiva panellenica era terminata: l'Asia Minore, la Fenicia, la Siria e ora anche l'Egitto; di pi non era possibile raggiungere, senza finire nel regno delle ombre. Ora si sarebbe trasformato tutto in una spedizione di conquista di Alessandro, una spedizione di conquista personale, separata dall'Ellade, separata anche dalle esigenze della Macedonia. Di qui l'opposizione di Parmenion, quando Alessandro respinse la proposta; e l'opposizione era condivisa da molti nell'esercito. Anche da molti macedoni, non solo dai soldati ellenici. Per, nel frattempo, Parmenion ha comunque ammesso che Alessandro ha ragione, come stratega disse Drakon. Che la potenza vera e propria della Persia inizia al di l dell'Eufrate. Che la pace sar sicura soltanto quando verr colpito il cuore della potenza persiana. Che, oltre l'Eufrate, Dario pu equipaggiarsi per anni e poi, nel momento a lui pi favorevole, avanzare contro l'Ellade con un esercito davvero valido, immenso. Krateros diede un pugno al parapetto. S, s, s. E vero, ma... la sensazione sorda rimane. E ora sta diventando inquietudine. Ma perch, per tutti gli di? Perch lui sta cambiando... perch, ah, insomma, diciamolo in modo diretto. Ora lui un dio, vero? Non che me ne importi molto degli di, ma si tratta degli uomini. I vecchi soldati, gli ufficiali esperti che hanno servito per anni sotto Filippo e hanno venerato il re. Loro amano e venerano il figlio di Filippo, lo seguono; uno sguardo, una sua parola e attraversano il mare a nuoto oppure camminano nel fuoco. S, tutto questo; perch lui Alessandro, perch cos, perch i suoi occhi sono cos. Perch lui il re della Macedonia. Ma Krateros afferr Drakon per le spalle e lo scosse ora un dio, vero? Il figlio di Ammon, eh? Faraone... bah. Re e dio. Noi, capisci, siamo macedoni. Se lui

vuole diventare un dio egizio, va bene, che lo faccia; noi allora ce ne andremo a casa insieme a Parmenion. Questo non lo dice Krateros, amico, lo dicono gli uomini. Non tutti, ma molti. E dicono qualcos'altro. Se lui figlio di Ammon - che pu anche essere Zeus, ma in fin dei conti un dio egizio - dunque, se Alessandro figlio di Ammon, allora non pi figlio di Filippo! Lui oltraggia e rinnega il grande re che cos tanti hanno seguito tanto a lungo. Lui il sovrano della Macedonia perch stato eletto; ed stato eletto perch bravo e capace... e figlio di Filippo. Se non figlio di Filippo, ma figlio di Ammon, allora ogni fondamento si dissolve! Capisci? Lo capisci uomo? Lo sa lui, lo sa Demaratos lo sa Hephaistion... figuriamoci, quello non sa nulla!... lo s la sua cerchia pi ristretta che Alessandro sta per camminare a piedi scalzi su punte di lancia? Voglio provare a dirglielo. La voce di Drakon era svuotata dall'oscurit e dalla stanchezza.

9. In mezzo alle correnti.

In una delle vallate remote che appartenevano a Lagos, da ragazzo Ptolemaios aveva visto qualcosa che continuava a tornargli alla mente sempre pi spesso. Al di sopra delle capanne, forse una dozzina, il pendio montano si estendeva fino al cielo o almeno cos sembrava al ragazzo; dalla parte opposta non era pi cos imponente, ma pur sempre impressionante. Un tempo doveva esserci stata una foresta, disboscata nel corso dei decenni per ricavarne legna da ardere e da costruzione, a parte alcuni tronchi malaticci che spuntavano dal pendio o vi si appoggiavano come sentinelle dimenticate. Capre e pecore avevano fatto sparire la vegetazione pi piccola, sottobosco, germogli, ogni genere di cespuglio, sino a lasciare soltanto una superficie grigioverde, con qualche ceppo e frammenti di roccia pi chiara qua e l. L'inverno era stato umido: in molti punti il terreno somigliava a un'immensa palude. Ptolemaios ricord la sensazione del fango tra le dita dei piedi scalzi, in quella remota mattinata in cui aveva scalato il pendio occidentale per vedere il sole sorgere dalla cresta orientale. La vecchia casa di pietra della famiglia si trovava fuori dall'ingresso della vallata, su un costone roccioso un po' soprelevato. Sal e sal, in mezzo alla nebbia grigia del mattino, sempre pi in alto, in mezzo al bosco rado (la parte occidentale della valle non era stata disboscata; apparteneva direttamente al Lagide), lungo la dorsale montana, oltre la nebbia, nell'aria chiara del mattino. A oriente il cielo aveva gi assunto una tinta rossastra, ma il sole si trovava ancora sotto terra. Quando il respiro gli si calm e le orecchie cessarono di pulsargli, avvert il silenzio: neanche un uccello, neanche un animale. Dov'erano le pecore e le capre? Non vide nulla, nonostante ai suoi piedi la nebbia si fosse fatta pi sottile, non ud n canti n belati, prov una sensazione di disagio,

come durante un incubo, prima di riuscire a comprendere il motivo della sua paura. Poi il sole spunt, sal nel cielo che si fece verde e poi blu, e nella vallata la nebbia si dissolse. In basso, pi piccole di uno scarafaggio, alcune persone si dirigevano dalle capanne verso l'uscita della valle. Che cosa andavano cercando, cos presto, a casa di suo padre? Si pot sentire un lieve sospiro, ma non c'era ancora nessun uccello. Poi la terra trem; Ptolemaios precipit a terra. Fu solo una piccola scossa di terremoto, ma bast a scalzare lo strato roccioso superficiale dell'intero pendio orientale privo d'erba, disboscato, ammorbidito. Lentamente, come una nave scivola fuori dal porto con una debole brezza, il pendio scendeva verso il basso. I pochi alberi si muovevano in modo quasi regale, come se osservassero ogni cosa dall'alto con disprezzo, e Ptolemaios si ricord di aver riso un po'. Poi divennero pi rapidi, s'inclinarono, precipitarono insieme al pendio sulle capanne e seppellirono ogni cosa. Allora era stato a guardare; ora cavalcava sul pendio. Il disco terrestre era ribaltato, Alessandro l'aveva strappato agli di, aveva messo di traverso l'ecumene e i monti e il mare, aveva fatto scorrere i fiumi verso monte, aveva scatenato la frana che ricopriva e maciullava le ossa sbiancate e poi si era messo alla sua testa per deciderne la direzione. Niente pi sostegni n punti d'appoggio n riposo; soltanto la certezza che il movimento frenetico non sarebbe terminato fino a che Alessandro avesse cavalcato quell'onda mondiale e forse neppure quando, prima o poi, sarebbe morto. Perfino la tregua, il riposo a Babilonia era stato un sogno, una finzione, un autoinganno. Non si muovevano nello spazio, ma nel tempo; galoppavano sul posto, danzavano ebbri sulla punta di un ago. I rifornimenti e le notizie arrivavano quando le avanguardie stavano gi per ripartire; milioni di cose da fare contemporaneamente. Era riuscito comunque a scrivere alcune lettere. Ai parenti, agli amici quasi dimenticati in un altro mondo, che distava cent'anni e centomila parasanghe. E ad Aristotele, che come al solito voleva sapere tutto e anche di pi. A un certo punto del cammino, forse a Pelusion o in Fenicia, oppure in Siria, l'aveva raggiunto uno scritto del filosofo: da Atene a Kanopos, da l a Naukratis, poi a Menfi e infine rispedito all'esercito insieme al successivo invio di notizie. Lo salutava, gli chiedeva se era in grado di riferirgli il numero esatto dei blocchi di pietra della base visibile della

piramide pi grande, nonch le loro dimensioni; quale colore gli si presentasse davanti all'occhio interno quando sbriciolava il midollo di papiro fresco e poi l'annusava; se i gioielli d'oro delle donne di Siwah venivano importati oppure realizzati dagli artigiani nell'oasi, e con quale oro; a quali intervalli di tempo le femmine di cammello andavano in calore e come si comportavano per manifestare questa loro condizione... Gli domandava inoltre le sue sensazioni, esperienze o osservazioni pi significative, insieme a migliaia di dettagli sui paesi e le citt, le piante e le sostanze medicinali. Ptolemaios aveva esitato a lungo, prima di riuscire a mettere insieme una risposta. In realt si trattava della seconda sensazione pi importante, ma poteva descriverla: quella vallata verde, ricca e grassa nell'entroterra fenicio, veramente elisia senza essere un paradeisos, con gruppi di alberi e migliaia di cespugli rigogliosi e di fiori, un laghetto che veniva alimentato da due ruscelli chiari e defluiva verso l'estremit della vallata, dove alla sera in pochi istanti erano stati costruiti recinti e latrine, mentre ovunque dal terreno spuntavano le tende e divampavano i fuochi, e nei carri delle salmerie le prostitute prendevano fiato prima degli squittii e delle grida della notte, e poi al mattino, sotto strisce di nubi di colore rosso ardente, le tende bianche e a chiazze marroni, i fuochi semispenti e le migliaia di cavalli di tutti i colori si sollevarono dall'erba ricca e Alessandro da una collina guard gi verso la vallata, sorrise e disse che quella era l'ora pi pericolosa, nel caso in cui ci fosse un aggressore nelle vicinanze, perch quello era il momento in cui quarantamila uomini sciamavano per cagare. Questo Ptolemaios lo scrisse con un sogghigno: sapeva che Aristotele l'avrebbe letto a sua volta con un sogghigno. C'erano stati altri momenti, che per non potevano essere descritti perch erano indescrivibili oppure perch gli infuriavano dentro senza essere visibili dall'esterno. Come quella sera davanti al mare presso Pelusion, quando Demaratos, Kleitos il Nero e il medico Drakon lo avevano trascinato sulla spiaggia per bere il sole dal cielo e raccontargli la storia dell'amuleto, di Kurush e di Bagoas e del ponte dello Sceglitore, e anche la storia della conversazione con Demaratos, che per questo si era precipitato a Pelusion insieme al suo avversario carcedone Hamilkar, che aveva affermato che Carcedonia aveva piantato intenzionalmente in asso la citt madre Tiro, perch si aspettava di pi da

un'ulteriore spedizione di Alessandro nell'Asia pi interna che dai sentimentalismi e dai ricordi malinconici-e oltre a questo che Bagoas il Grasso, prima della sua rapida fine aveva ammesso che Bagoas il Sano l'aveva mandato ad aiutare il macedone. Rivelazioni, emozioni, ma nulla che fosse possibile cogliere con i sensi n tantomeno descrivere. Quasi impossibile da riferire, dal momento che il processo era durato molto tempo ed era frutto di centinaia di passi diversi, era la guarigione dell'esercito da un'incipiente frattura. Era stato il re in persona a determinarne la ricomposizione: mentre si dirigeva verso la Fenicia settentrionale, dove si sarebbero riuniti tutti i gruppi in marcia, ogni giorno era stato, a piedi o a cavallo, insieme a un'unit diversa dei reparti del suo esercito, con belle parole, incoraggiamenti e battute per tutti; Alessandro aveva fatto lo stesso con le unit rimanenti mentre marciavano verso il Tigri. Ptolemaios era in grado di menzionare molti nomi, di soldati ma soprattutto di ufficiali esperti, che nell'intimo continuavano ad allontanarsi da Alessandro ma, quando, se lo trovavano di fronte, cedevano subito alla sua magia. Quanto pi si avvicinava la battaglia, forse la battaglia di tutte le battaglie, tanto meno importanti diventavano le incrinature, tanto minori le differenze tra i macedoni e gli xenoi: gli stranieri che erano tutti gli altri, elleni come odrisi, peoni o cretesi. Pi importante di questa differenza tra i macedoni e gli altri era quella frattura che Alessandro aveva cercato con tanta sollecitudine di guarire, o almeno di rattoppare momentaneamente: quella all'interno dei clan macedoni. Ptolemaios, figlio del principe Lagos, di antichissima nobilt, sapeva di che cosa si trattava; si era schierato incondizionatamente dalla parte di Alessandro che era re, compagno di battaglia e amico. Altri, non solo tra i pi anziani, seguivano il compagno e obbedivano al re ma sembravano attendere segretamente il giorno in cui Alessandro avrebbe fatto qualcosa che non fosse pi conciliabile con la carica di re macedone. Il problema era rappresentato dall'obiettivo della guerra, al quale la strategia era subordinata come il mezzo rispetto al fine, cos come la tattica doveva essere uno strumento della strategia. Uomini che avevano letto Senofonte e Tucidide e ammirato Epaminonda e Filippo (che alcuni di loro avevano anche visto con i propri occhi), lodavano come uniche la tecnica militare e le capacit di condottiero di Alessandro,

pari almeno a quelle dei suoi grandi modelli, se non addirittura gi allora superiori. Li entusiasmava quello che faceva; li affascinava come lo faceva; si domandavano soltanto perch lo faceva. Il grande Epaminonda aveva voluto fare di Tebe una grande potenza, superiore ad Atene e a Sparta, e per pochi, brevi anni c'era riuscito. Inizialmente Filippo aveva voluto fare del mucchio di macerie della Macedonia uno stato forte e poi di questo una grande potenza ellenica, e alla fine difendere questa nuova Ellade contro la Persia e le eterne intromissioni della grande potenza asiatica. Ma che cosa voleva Alessandro? L'incarico, ottenuto o strappato da Filippo dalla Lega corinzia, di intraprendere una spedizione punitiva panellenica e di vendicare la profanazione dei santuari ellenici da parte di Serse centocinquant'anni prima... be', insomma, non lo prendevano particolarmente sul serio nemmeno le truppe degli alleati ellenici. Che il re della Macedonia fosse anche tagos della Tessaglia ed heghemon ovvero strategos autokrator della Lega, li garantiva relativamente, ma molto relativamente, dal punto di vista giuridico; Filippo e Alessandro non avevano assolutamente costretto a usare queste denominazioni i tessali, la cui gratitudine verso i vicini che li avevano liberati dai piccoli tiranni aveva avuto un certo peso, ma gli elleni sicuramente s. Il re della Macedonia conduceva la spedizione militare con un esercito macedone, nel quale la partecipazione delle truppe degli alleati ellenici era minore rispetto a quella dei mercenari ellenici e stranieri, che non erano sottoposti alla Lega, ma al re. Il ruolo di Alessandro nella politica ellenica, esercitato per mezzo del suo plenipotenziario Antipatros, era quello di un sovrano, non di un membro dell'alleanza con pari dignit rispetto agli altri; l'Ellade doveva rimanere tranquilla in modo che la Macedonia potesse inviare rifornimenti ai soldati. Tutto qui? Ma anche se la spedizione punitiva ellenica fosse stata presa sul serio, dove avrebbe dovuto terminare? Non era una vendetta o un'espiazione sufficiente quella di aver amputato il grande impero persiano e averlo confinato nell'Iran, la patria originaria? I territori ellenici e semiellenici dell'Asia, l'entroterra, le coste, la Fenicia, la Siria, l'Egitto e ora anche la Mesopotamia: quanta vendetta ancora? Altri dicevano che, poich Atene era il cuore dell'Ellade, dal momento che Serse aveva profanato Atene, ora doveva essere profanato il cuore della Persia: Susa o Persepoli, oppure Pasargadai, a seconda di dove si trovasse tale cuore, e meglio ancora tutte e tre le citt. Allora l'obbiettivo sarebbe stato raggiunto.

I macedoni invece vedevano le cose diversamente. L'Ellade doveva restare tranquilla, senza subire influenze al proprio interno n esercitarne verso l'esterno; la potenza principale era la Macedonia; la spedizione militare serviva a consolidare quanto ottenuto, a estendere il potere, a rafforzare e accrescere il tesoro, a deviare le vie commerciali, ad aprire e conquistare nuovi mercati, a procurarsi prigionieri e schiavi per lo sfruttamento delle miniere in Europa, a tutto questo e altro ancora. Perci, dopo la vittoria o le vittorie, era necessario innanzitutto legare, o incatenare, le citt dell'Asia alla Macedonia, installarvi amministrazioni o guarnigioni macedoni, raggiungere confini fortificati, o quanto meno sicuri, con la Persia. La Fenicia era importante; fino a che questi territori erano stati persiani, il Gran Re aveva avuto a disposizione le grandi navi e i buoni marinai fenici. Ma gi l'Egitto... un paese antichissimo, con templi inquietanti ed edifici di cui nessuno comprendeva il significato; la ricchezza del paese era davvero cos grande da poterne ricavare pi di quanto fossero costate la conquista e l'occupazione? E adesso anche la Mesopotamia. E ovunque il re si impadroniva delle amministrazioni persiane: lo faceva s con truppe e ufficiali provenienti dalla Macedonia o dall'Ellade, ma con satrapi locali o persiani o egizi. O addirittura elleni: be', s, alcuni erano abbastanza utili, qualche ufficiale o il cardio grasso Eumenes con la sua contabilit, qualche scienziato e ingegnere, l'astuto cretese Nearchos, il vecchio corinzio Demaratos, ma nel complesso? E come sarebbe andata a finire? Dove avrebbe dovuto essere il nuovo confine tra la Grande Macedonia e la Persia? A questo si aggiungeva, molto pi grave di quanto Ptolemaios se lo fosse aspettato, il problema della divinit. I soldati avevano saputo fin dall'inizio di essere condotti da un semidio: un eroe che li trascinava verso imprese inaudite, li guidava a vittorie impossibili, accumulava oro su oro e trionfo su trionfo, che n le montagne n i deserti n i mari potevano fermare. L'albero genealogico di sua madre iniziava con Achille, quello di suo padre con Eracle, nato da Zeus. Era stato eletto re in quanto figlio di Filippo; e in quanto figlio di Filippo discendeva alla lontana da Zeus, e Zeus poteva essere anche Ammon e Marduk e migliaia di idoli d'oltremare. Se per ora non era un semidio ma un dio, se era direttamente figlio di Ammon, allora non era pi figlio di Filippo, non era pi re dei macedoni per nascita e per elezione, ma soltanto per elezione sulla base di presupposti

sbagliati. Allora non era pi re. E Pella era e restava la capitale del regno, per quanto questo potesse ancora estendersi; che cosa voleva mai fare con questa Alessandria sulle coste egizie, costruita come capitale e principale snodo viario? Se, in quanto figlio di un dio egizio, la cui identit di natura con Zeus era un'affermazione dei sacerdoti, e i sacerdoti affermano tante cose, ora voleva diventare un egizio, con una capitale egizia e forse con un'escursione fino ai monti del confine persiano, benissimo; avrebbero approfittato del bottino e avrebbero fatto ritorno in patria con Parmenion, perch loro non erano egizi, ma macedoni. Prima e innanzitutto. Ptolemaios lo sapeva perch questo era il suo compito: gli uomini lo amavano e non avevano segreti per lui. Lui non li aveva interrogati, non faceva nomi, riferiva soltanto le sue impressioni sul clima. E comunque non avrebbe esitato un istante, in una situazione di reale pericolo, a uccidere con le sue stesse mani un vero sobillatore o un capopopolo. Sapeva anche che Alessandro sapeva tutto. Ne avevano discusso, per quanto non si potesse definirla davvero una discussione. Drakon, Kleitos, Demaratos, Ptolemaios e Alessandro: era stato un resoconto, domande senza risposte precise. Congetture sull'antichissimo piano persiano, su Kurush e Bagoas e l'amuleto, sui retroscena della decisione di Carcedonia di non impiegare la flotta pi potente dell'ecumene per difendere la citt madre Tiro. Anche dopo che i macedoni si erano rafforzati grazie alle unit fenicie passate dalla loro parte, la flotta di Carcedonia avrebbe potuto spazzare via dal mare, nel giro di un solo giorno, tutte le navi al comando di Alessandro. Ma forse, e c'erano molti forse, non avevano voluto aiutare la citt madre per liberarsi di una rivale nel commercio, e il denaro contava pi dei sentimenti; forse puntavano sul fatto che Alessandro potesse ricacciare indietro i persiani ma non costruire un impero durevole, per cui presto le coste orientali del mare sarebbero state politicamente ed economicamente libere e per Carcedonia completamente accessibili; forse volevano semplicemente tenersi fuori; forse avevano i loro problemi; forse avevano considerato stolta la decisione dei tiri di non lasciare entrare Alessandro nel tempio e ritenuto che questi avrebbero dovuto sopportarne da soli le conseguenze, oppure che Tiro non avrebbe potuto assolutamente opporre una resistenza sufficiente e sarebbe crollata ben prima dell'arrivo della flotta in soccorso, oppure che Tiro fosse inespugnabile, oppure oppure...

Alessandro aveva messo fine alle discussioni per dedicarsi al problema degli approvvigionamenti. Rifornimenti per l'esercito, cavalli nuovi, cereali, metallo per le armi, legno, cuoio... A questo si era aggiunta una strana richiesta, rivolta ai satrapi dell'Egitto. Entro l'anno successivo avrebbero dovuto approntare - e fare approntare, dietro compenso, anche da Cirene - scorte immense di cereali, pi di un milione di medimni, da fornire all'Ellade. Nell'Ellade non c'era nessuna carestia; e anche in quel caso la fornitura, che al pi presto avrebbe potuto avere luogo nell'autunno seguente, non sarebbe pi servita. Questa preoccupazione misteriosa per le cose future dell'Ellade si contrapponeva a un distacco quasi completo dall'Europa. Era impossibile dire quello che accadesse nella mente di Alessandro; lui stesso non dava alcuna risposta quando qualcuno osava domandarglielo, tranne forse che a Hephaistion, delle cui informazioni tuttavia Ptolemaios diffidava come delle notizie messe insieme alla meglio che Callistene comunicava ad Atene e dintorni. Nonostante tutti i suoi cambiamenti, tutte le elucubrazioni sulla divinit e il crescente consumo di vino, lo spirito di Alessandro era acuto, forse pi acuto che mai. Le sue disposizioni per la battaglia pi grande di tutte avevano tolto il fiato, per la loro chiarezza, audacia e freddezza realmente divine, perfino a Parmenion. I suoi provvedimenti e le sue mosse, che le escogitasse da solo o insieme ai suoi consiglieri, prendevano in considerazione i dettagli pi insignificanti e perseguivano come sempre numerosi obiettivi contemporaneamente, il minimo dispendio possibile e la massima efficacia. Forse era davvero un dio: infallibile e inarrestabile. Proprio per questo Ptolemaios avrebbe dato pi del braccio sinistro, se Alessandro fosse stato disposto a parlare degli obiettivi ultimi della spedizione militare, dell'amuleto e soprattutto delle cose che avvenivano dentro di lui. E quanto gli sarebbe piaciuto sapere come si conciliava la misteriosa preoccupazione per il futuro approvvigionamento di cereali all'Ellade con quel distacco che, tre giorni innanzi, prima di organizzare i rifornimenti, era apparso evidente quando Harpalos li aveva raggiunti in Siria, aveva fatto la sua relazione e aveva ripreso il suo vecchio incarico di responsabile del tesoro come se nulla fosse accaduto.

Ptolemaios non aveva ascoltato i dettagli della relazione perch era arrivato troppo tardi alla seduta del Consiglio. Dettagli sugli squallidi traffici del vecchio Demostene, che Harpalos, conoscendoli aveva sfruttato a mo' di bavaglio, dettagli sulla situazione e il clima ad Atene e nelle altre localit importanti dell'Ellade. Dettagli non da ultimo, sulla grande vittoria di Antipatros, che aveva annientato l'esercito di Agis presso Megalopolis. Lo spartano aveva incontrato una morte onorevole, come si confaceva a un re lacedemone. Gravemente ferito, in ginocchio, aveva offerto il petto alle lance macedoni, perch non desiderava n la fuga n la grazia. L'importanza strategica della vittoria era chiara a tutti: l'Ellade era sedata, il mare e le coste erano in mano ai macedoni. E Alessandro si era rivolto al papiro sul quale lui e Deinochares avevano schizzato la nuova citt, Alessandria, e aveva parlato a bassa voce di "guerre tra topi". Sparta era stata a lungo invincibile, la principale potenza ellenica, ed era ancora una grande potenza; Agis aveva messo insieme uno degli eserciti pi grandi che fosse mai sceso in campo per Sparta e Antipatros aveva ottenuto una splendida vittoria, degna di venire celebrata ancora per decenni. Alessandro parl di "guerre tra topi" e Parmenion lasci in silenzio la compagnia. Parmenion rappresentava un altro mistero per il Lagide. Insieme a Filippo aveva forgiato l'esercito, l'arma terribile che ora si trovava nelle mani di Alessandro, e in quelle di Parmenion. Il vecchio stratega si avvicinava al compimento della sua settima decade; sapeva meglio di chiunque altro, a parte forse Antipatros, che il grigio passato in cui la Macedonia era un cumulo di macerie, minacciato ed esposto da ogni lato, non risaliva neppure a trent'anni prima. Aveva gi quarant'anni quando lui e Antipatros avevano aiutato il giovane Filippo a ricucire i brandelli, a legare gli steli in covoni e a fornire manici nuovi alle lance. Che cosa doveva aver provato nella pianura di Gaugamela, ritornando con la memoria a un pugno di guerrieri nei monti del nord? Che cosa poteva pensare lui, amico e compagno di cammino di Filippo, di suo figlio che diventava signore dell'Asia e dio dell'Egitto? Ma Parmenion taceva a riguardo: non una parola contro il re, che consigliava e seguiva, con il quale rideva e scherzava, con il

quale prima della battaglia aveva elaborato lo schieramento complesso, sconcertante, impossibile da comprendere per chiunque, per poi restare senza parole quando Alessandro aveva proposto due cambiamenti audaci e incredibili.

Questo, la battaglia di Gaugamela, l'esperienza davvero pi incredibile, l'ebbrezza massima e l'orrore pi profondo, avrebbe dovuto descrivere ad Aristotele. Ma come descriverla? Come un capolavoro di preparazione, multiforme molteplice e sconcertante, compreso soltanto da Alessandro e da Parmenion i quali, durante la marcia attraverso la Siria, si erano gi esercitati con gli uomini della falange, i novemila soldati delle sei taxeis, su come un corpo di truppe apparentemente serrato, un blocco di sarisse protese, potesse scivolare lateralmente e formare cunicoli per richiudersi nuovamente qualche istante dopo, senza generare confusione? Come la meticolosa preparazione di strumenti straordinari, per esempio quel giavellotto a triplo taglio, di cui nessuno comprese la destinazione fino alla sera prima della battaglia? Come un gioco di raffinatissimi dettagli che venivano assemblati per costituire una macchina potente? Come un progetto che sapeva unire nel modo migliore le diverse caratteristiche e gli armamenti di tutti quei reparti di truppe diverse, come se li considerasse da un'altezza divina... un progetto per l'esecuzione del quale non restavano mai pi di pochi istanti per ogni singolo passo, nei quali trionfo e crollo si trovavano pi vicini delle due facce di un'unica moneta, per la cui esecuzione era necessaria una mente glaciale nel tumulto pi ribollente, la fiducia incondizionata dei guerrieri nei loro capi, dei capi nei loro strateghi, degli strateghi e di tutti nel loro re che a sua volta doveva avere fiducia illimitata nella saldezza dei suoi uomini compresa l'affidabilit di portaordini e suonatori di corno. Capolavoro di un'arte bellica semidivina, che aveva tenuto conto anche del terreno, del tempo, della posizione del sole e dello stato d'animo del nemico? Oppure come quello che era stata fino a che era durata: ebbrezza di sangue e di rabbia, assassinio e carneficina giubilo e nausea, palline di polvere impastata con il sangue raggrumato, colpi alla cieca e strette alla gola, ferite di punta e di taglio, montagne di

cadaveri, visceri ed escrementi, cavalli schiumanti che fuggivano o stramazzavano gridando, lo sferragliare dei carri da guerra con i loro assi ricurvi, i barriti, prima rabbiosi e poi lamentosi, degli elefanti che inciampavano nei loro stessi visceri penzolanti, occhi sbarrati occhi bianchi, bocche rosse, visi stravolti, avventarsi, colpire e morire? Ben oltre duemila macedoni caduti sul campo e quelli tra le file nemiche neppure contati, per non dire di quelli morti in seguito per le ferite: Callistene avrebbe senza dubbio ridotto il numero dei propri caduti a un quarto di quello reale e gonfiato quello dei nemici; quasi tutti gli ufficiali feriti, alcuni pi di una volta, Alessandro colpito da tre sciabolate e, come per un miracolo divino, non completamente squarciato? Ptolemaios cerc pi volte di descrivere queste cose indescrivibili; alla fine vi rinunci digrignando i denti e si accontent di una fredda enumerazione retrospettiva dei singoli passi. Era stato insieme ad Alessandro, al vertice del cuneo degli etri a cavallo, accanto a Philotas, Hephaistion e agli altri. Solo pi tardi ricostru il quadro completo. Gli esploratori portarono cifre e dettagli ancor prima che venisse raggiunto il Tigri. Venti unit di diecimila uomini, provenienti da ogni parte dello smisurato impero persiano: truppe cammellate della Battriana, guerrieri indiani a piedi e con gli elefanti (avevano un aspetto simile a quegli animali giganteschi che gli erano noti dall'Egitto, solo le orecchie erano diverse, e l'odore, stranamente pungente e pastoso), guerrieri dell'Aracosia, sciti, sogdiani, medi, innumerevoli altri nomi, i mercenari ellenici del Gran Re, centinaia di carri da guerra, cavalieri dall'armatura pesante, che da soli erano tanti quanto l'intero esercito di Alessandro, composto da quarantamila fanti e settemila cavalieri. Ma loro avevano Alessandro, e Parmenion; quelli dall'altra parte avevano al centro Dario, vale a dire nessuno, Bessos sull'ala sinistra e Mazaios, il satrapo di Babilonia, sulla destra. I persiani erano accampati in mezzo alle colline, a nordest della pianura. Quella pianura, il campo di battaglia, era stata prescelta e decisa da loro, che avevano ripulito, letteralmente pettinato il terreno, rimuovendo ogni ostacolo per i loro carri da guerra, per gli elefanti, per le migliaia di cavalieri. Qualcuno rifer di trappole, di tagliole, di altre cose che avrebbero dovuto ostacolare i cavalieri macedoni, ma era una sciocchezza perch avrebbero fatto inciampare anche i persiani. Anche sul margine occidentale, che misurava quasi due

parasanghe, c'erano delle colline; vi si trovavano alcune sorgenti ed erba per gli animali, ed era il miglior luogo possibile per accamparsi. Alessandro vi fece erigere l'accampamento e accendere numerosi fuochi. Durante la notte, ancora molto presto, mand avanti i carri con le armi e le provviste pi importanti, le erbe medicinali, i bendaggi, e poi l'esercito. Gli uomini avevano mangiato e discutevano di un attacco notturno per sorprendere un nemico cos tanto superiore. Dall'altra parte scoppi una specie di panico: probabilmente quella notte nessun persiano dorm; ma i macedoni invece s, con le armi, sulla nuda terra, sorvegliati dalle sentinelle mandate in avanscoperta. Sarebbero stati pronti a combattere immediatamente in caso di attacco nemico, al contrario dei persiani nel loro immenso accampamento. Dorm perfino Alessandro: al mattino dovettero scuoterlo per svegliarlo. I carri con le armi e le provviste, lontani dall'accampamento vero e proprio in cui restavano le salmerie, vennero spinti insieme a formare una fortezza di forma circolare: qui avrebbero dovuto recarsi o farsi portare i feriti, qui avrebbero dovuto essere condotti i prigionieri presi durante il combattimento, se mai ve ne fossero stati. Questa fortezza di carri, spinti avanti durante la notte, si trovava nel mezzo del terreno spianato dai persiani, al centro del previsto campo di battaglia; e la maggior parte dei soldati aveva dormito ancor pi vicina ai nemici. Alle prime luci dell'alba i persiani iniziarono ad avanzare, con il loro accampamento alle spalle e le colline a destra e a sinistra. Si trovavano sul limitare della pianura; il terreno ricoperto di rugiada era pesante, si alzava poca polvere. Laggi le file si facevano sempre pi lunghe; il centro dello schieramento macedone, le sei taxeis della falange, ne rappresentava appena un quinto. Era impossibile sottrarsi alla tenaglia delle ali persiane, indipendentemente dal fatto che i macedoni avessero attaccato o si fossero limitati a difendersi. Alessandro e Parmenion avevano considerato ogni cosa. Si sapeva fin dall'inizio che i persiani avrebbero schierato in prima fila i loro numerosissimi cavalieri perch attaccassero, appoggiati da carri da guerra ed elefanti. I fanti, tra cui i mercenari ellenici, formavano la seconda fila. Avrebbero dovuto costringere i persiani ad attaccare rapidamente; i fanti non sarebbero riusciti a seguirli altrettanto rapidamente e si sarebbero aperti varchi. Avrebbero potuto, voluto, dovuto. L'attacco doveva essere fermato da Parmenion,

che comandava l'ala sinistra. Questa comprendeva due delle sei taxeis, entrambe capitanate da Krateros, i cavalieri ellenici e tessali, gli opliti achei e gli arcieri cretesi. Alessandro prese per s l'ala destra; al centro le altre quattro taxeis, condotte da Polyperchon, Meleagros, Perdikkas e Koinos, quindi gli ipaspisti con accanto gli etri a cavallo, davanti a loro agriani, arcieri macedoni e giavellottisti. E ovunque gli uomini con i giavellotti a triplo taglio, suddivisi in piccoli gruppi. Tra le taxeis di Polyperchon e di Krateros avrebbe dovuto aprirsi un varco, pianificato, ma che il nemico avrebbe preso come segno che il suo attacco era riuscito. Qui venne la prima delle due audaci trovate di Alessandro, che avevano tolto la parola perfino a Parmenion: dietro alla falange ce n'era una seconda, di mercenari, rafforzata da alcune ilai macedoni. Proteggevano la fortezza di carri; e, quando la tenaglia delle ali persiane si fosse chiusa sulla falange apparentemente spezzata in due, questa seconda falange avrebbe dovuto circondare a sua volta i persiani. Dietro alle ali macedoni, ripiegati come uncini, c'erano ancora armati alla leggera, lanciatori di giavellotto, arcieri, cavalieri: accanto ad Alessandro peoni, agriani e cavalieri mercenari-accanto a Parmenion elleni, odrisi, traci. Avanzarono quando si lev il sole, procedendo da est verso sudest-la luce accec i macedoni come avrebbero voluto i persiani, ma Alessandro sapeva che presto questo non avrebbe avuto importanza. Avanzarono sempre pi rapidamente, in diagonale, fino a che l'ala sinistra - Parmenion - si trov quasi di fronte al centro dei persiani e l'ala di Alessandro si avvicin all'ala sinistra dei persiani, capitanata da Bessos. Parmenion era per a una distanza doppia dalle file persiane rispetto ad Alessandro se i persiani non si fossero mossi subito, avrebbero perso l'ultimo pezzo della pianura che avevano preparato e i macedoni sarebbero penetrati nella collina, dove il gran numero dei cavalieri non avrebbe portato pi grandi vantaggi e i carri da guerra non avrebbero potuto venire impiegati. Dovevano attaccare allora. E attaccarono. Ptolemaios si ricord che, in quei momenti di silenzio paralizzante prima che scoppiasse il caos, si era chiesto che cosa mai potesse passare per la testa a Dario. Il Gran Re sapeva che gli etri a cavallo erano i migliori tra i migliori, il cuneo d'assalto che aveva deciso i due grandi combattimenti cos come, anni prima, la battaglia di Cheronea. Questa arma d'attacco estremamente affilata ora era molto

avanzata, molto a destra (o a sinistra, dal punto di vista di Dario) e non in condizione di attaccare subito gli Immortali intorno al Gran Re, come ci si sarebbe dovuti attendere ma sottoposta al furibondo attacco dei cavalieri pesanti di Bssos. Immagin che Dario e i suoi consiglieri cercassero di comprendere il senso di questo e anche del fatto che i macedoni si erano lasciati alle spalle la maggior parte della pianura, ma poi avevano rinunciato ad avanzare in modo da evitare il sole accecante. Ma il sole aveva avuto quasi un'ora di tempo per impadronirsi del terreno rugiadoso. Quando Bessos ricevette l'ordine di attaccare ci vollero pochi istanti prima che si sollevasse la polvere, il sole si oscurasse e l'accecamento cessasse. Le nuvole di polvere disturbavano persiani e macedoni; pi i persiani, per, le cui file troppo allungate non si riuscivano pi a controllare. Gli sciti e i battriani di Bessos. Un ciclone con molte migliaia di teste in una nuvola di polvere. Avrebbero dovuto fare a pezzi gli etri, ma poi salirono altre nuvole, di frecce e lance; inoltre, all'improvviso gli etri avanzarono un po' verso sinistra, offrendo cos il fianco agli aggressori. E questa fu la seconda audacia di Alessandro, quella decisiva e pi pericolosa, perch imponeva sempre decisioni fulminee al momento giusto. Con frecce e lance fece deviare un po' di lato l'attacco dei cavalieri pesanti e mand contro di loro i cavalieri leggeri mercenari, disperatamente inferiori per numero e armamento. Vennero fatti a pezzi, respinti all'indietro; poi, nell'unico istante possibile prima del crollo, apparvero i peoni; quando questi non furono pi in grado di resistere, un altro gruppo di cavalieri mercenari ellenici. E ancora gli arcieri e i lanciatori di giavellotto, che stavano davanti agli etri e ora attaccavano, per cos dire, dal basso gli sciti e i battriani. L'impeto violento dei cavalieri pesanti di Bessos si spost sempre pi lontano dalla falange, verso sud e sudovest. E, nel punto in cui l'ala sinistra dei persiani era a contatto con il centro comandato da Dario, si apr un varco. Quello che accadde negli altri settori Ptolemaios lo venne a sapere solo pi tardi, nelle ore e nei giorni successivi alla battaglia. Dario aveva ordinato di attaccare, perch doveva farlo: ovunque. I carri da guerra si precipitarono contro la falange, nella quale all'improvviso si aprirono corridoi. Gli aurighi vennero eliminati a colpi di freccia dai cesti dei loro carri, i giavellottisti uccisero i cavalli, i carri si

rovesciarono o corsero senza guida attraverso la pianura, lontani dallo scontro. Gli elefanti, privi di collegamento con i fanti indiani che avrebbero dovuto fare loro da schermo, non si trovavano, come previsto, di fronte alle truppe di cavalleria, i cui cavalli avrebbero dovuto essere in preda al panico per via dei barriti e soprattutto dell'odore di quelle bestie gigantesche; vennero sorpresi dagli uomini con i giavellotti a triplo taglio, che spuntarono sotto gli elefanti e con le loro strane armi squarciarono loro il ventre e tranciarono i tendini delle zampe. L'ala destra dei persiani, al comando di Mazaios, avanz per aprire il fianco di Parmenion, ma l c'erano le truppe leggere disposte a uncino ricurvo, che ne sopportarono il primo impeto. Al centro le unit persiane fecero irruzione attraverso la falange, ne penetrarono addirittura le seconde linee, raggiunsero la fortezza di carri e quindi vennero accerchiate dai mercenari e annientate. Gli armati di sarissa fecero argine alle ondate della cavalleria asiatica: ora tutte le taxeis erano in combattimento. Quelle capitanate da Parmenion e Krateros assorbirono l'impeto violento dell'esercito persiano. Le quattro taxeis dell'ala di Alessandro e gli ipaspisti seguirono gli etri a cavallo che formarono un cuneo, condotto da Alessandro. Galopparono nel varco provocato dall'ampia avanzata di Bessos; ipaspisti e opliti si precipitarono nell'imbuto, l'allargarono, vi penetrarono sempre pi rapidamente. Per un momento Ptolemaios credette di scorgere, in mezzo al caos e alle grida, il volto del Gran Re deformato dal terrore, di vedere l'espressione di superiorit che aveva dipinta in volto dissolversi a poco a poco nella sorpresa, nello stupore, nella paura e infine nell'orrore. Perch i suoi Immortali morivano, venivano fatti a pezzi dal cuneo degli etri a cavallo. Fu come se gli occhi di Alessandro ingaggiassero un duello con quelli di Dario, che si trovava su un carro da guerra dorato quasi nel raggio d'azione. Poi i cavalieri persiani si interposero nuovamente tra loro-e quando Ptolemaios ebbe estratto il suo giavellotto dal ventre di uno dei troppi nemici e pot vederlo di nuovo, Dario volt il carro e fugg. I fanti spinsero sempre pi indietro il centro dei persiani, lo ridussero a un gomitolo, lo cacciarono contro le file delle truppe di fanteria asiatiche ed elleniche, solo ora finalmente impiegate, che furono costrette a difendersi dalla loro stessa cavalleria pi che dai macedoni. Gli etri, con alla testa

Alessandro, non si gettarono all'inseguimento del fuggitivo Dario; la situazione era ancora troppo confusa per farlo. Piegarono verso destra e si gettarono sull'ala di Bessos, che era ancora in grado di combattere e continuava ad avanzare. Poi giunse il messo a cavallo di Parmenion che chiedeva urgentemente aiuto perch la falange rischiava di crollare. I diecimila di Mazaios non sapevano ancora che il Gran Re era fuggito. In seguito Callistene scrisse che Alessandro si trovava all'inseguimento ed era andato su tutte le furie perch Parmenion l'aveva richiamato indietro. Ma come avrebbe mai potuto un messo a cavallo, circondato da drappelli di persiani in fuga, raggiungere al galoppo il re che galoppava, in tempo per una missione di soccorso?

Ancora una luna dopo, a Babilonia, tra le braccia di una donna profumata e tubante Ptolemaios continuava a sentire i lamenti e gli strilli e le grida dei feriti, dei moribondi, sentiva il puzzo terribile delle montagne di cadaveri sotto il sole, delle carogne dei cavalli e di quegli incredibili ammassi di carne che un tempo erano stati gli elefanti. Come avrebbe potuto descrivere ad Aristotele nella lontana Atene quell'arco, simile a un arcobaleno insanguinato, che era iniziato con il fiato trattenuto in silenzio prima dell'attacco di Bessos ed era terminato quando Ptolemaios, dopo l'ultimo assalto degli etri, vide il glaciale Parmenion, a piedi, senza elmo, con la spada incrostata di sangue, cervello e tessuto, abbassata nella destra? Parmenion che si chinava su un moribondo del reparto di Krateros, in modo che l'ultima sensazione del coraggioso fosse la lode dello stratega. Parmenion che posava la mano sinistra sulla coscia sanguinante di Alessandro e pronunciava parole senza dubbio alate, ma impercettibili. Parmenion raggiante quando vide il comandante degli etri, suo figlio Philotas, ricoperto del sangue proprio e altrui, di sudore e di gloria immortale, ancora vivo, e Philotas disse che anche l'altro suo figlio Nikanor il capo degli ipaspisti, era vivo. Parmenion davanti alla collina di corpi dei persiani morti, i principi insieme ai contadini: Parmenion che deglutiva, gettava via la spada e onorava i valorosi nemici defunti, stendendo le braccia verso

di loro e rivolgendo il volto e le lacrime laddove i persiani ritenevano si trovasse il loro dio supremo, verso il cielo. Come descrivere tutto questo? audacia, valore, brama, ebbrezza, follia: il massimo trionfo e l'orrore pi estremo?.

Sei stato travolto di nuovo dal daimon della distruzione? chiese Thais, in piedi davanti alla finestra che dava sul cortile interno, dove alcuni uccelli bagnati si erano infilati sotto le piante in vaso per ripararsi dalla pioggia che cadeva da tre giorni dal cielo grigio, inzuppando i mattoni di fango delle case e riducendo le strade di Babilonia a una poltiglia appiccicosa. Era vestita solo della sua bellezza e il suo unico ornamento era il bicchiere d'argento che portava alle labbra sempre turgide (o rigonfie?). Gli occhi scuri scrutarono il volto di Ptolemaios. L'uomo si rotol gi dal letto. Ci vorr tempo mormor. Ma passer. Tutto passa. Si rivest. Tutto? L'ateniese si strinse nelle spalle. Innanzitutto, sarebbe bello che qualcosa in particolare finisse presto. Sai che. . . Ptolemaios abbozz un sorriso. Ti sei trasferita da Atene in Egitto e sei rimasta con l'esercito da allora perch a te, costosissima etra, i nerboruti ufficiali macedoni sembravano pi redditizi dei grassi mercanti ateniesi. Che cosa vuoi? Lui non ti va bene? Philotas? S; di tanto in tanto ... rude. Ma non voglio pi giocare a questo gioco. Io non mi sono ancora abbastanza ristabilito per tenerti testa da solo. Ogni notte, ogni notte e ogni notte. Rise a singulti. E devo sapere che cosa dice Philotas quando nessuno di noi presente. Sempre le stesse cose, Lagide. Sempre le stesse cose. Che il re sta diventando sempre pi un asiatico; che ha avuto ottime idee ma che tuttavia la battaglia stata decisa dai macedoni, che sta smettendo di essere uno di loro; che, quando alla fine smetter di essere un macedone, i vecchi ufficiali e i giovani, i macedoni veri, avranno il dovere di liberare l'esercito e il mondo da un tiranno. Uff. Sempre le stesse cose; proprio cos, nobile signora, niente di nuovo sotto il sole della sua superbia. Ma continua a non parlare di tempi, non vero? E suo padre? Thais pos il bicchiere. Dal cortile umido provenne un soffio d'aria pi fresca; rabbrivid e si avvicin

allo sgabello sul quale erano rimasti i suoi abiti. Mentre si rivestiva disse, lenta e riflessiva: Non molto... chiaro. Lui, intendo Philotas, vuole comunque portare via a tutti i costi i tesori della Persia. E qualche volta s'infuria perch Parmenion non vuole saperne di tutto questo. Ptolemaios annu. Il nobile stratega, personificazione della Macedonia e della lealt macedone? Il padre dell'esercito... Lui cos. Se dovesse scegliere, metterebbe suo figlio in catene piuttosto che... fino a che Alessandro non perder la ragione. Ptolemaios le rivolse uno sguardo penetrante. Thais, lo so che un gioco infame, ma... Allarg le braccia. Lei sospir. S, s; Thais la puttana ha sempre avuto molti clienti nello stesso giorno, perch ora fa tante storie? Si ferm il mantello sulla spalla sinistra con una fibbia d'argento, un serpente che si mordeva la coda lavorato con grande precisione, con tanto di squame. Perch voglio stare con te, Lagide. Anche se, ancora per qualche giorno o per qualche luna, il daimon di questa terribile battaglia sar pi forte della tua virilit, signore. Me lo merito? chiese piano Ptolemaios. Nessun uomo merita la dedizione di una donna. Gli uomini meriterebbero tutti di essere pugnalati nel sonno. Ma soltanto se ci fosse qualcosa di meglio con cui sostituirli.

Aveva visto Babilonia sotto un cielo radioso - Bibili, la porta degli di il giorno in cui il satrapo Mazaios, valoroso nemico a Gaugamela, aveva fatto aprire le sue porte per consegnare la citt, il paese, gli abitanti e il tesoro. Aveva percorso il ponte di pietra sull'Eufrate, che poggiava su pilastri enormi, quasi fossero navi, aveva ammirato le mura esterne lunghe quattro parasanghe e alte come dieci uomini, rivestite di uno strato di mattoni colorati e smaltati, tenuti insieme con il bitume e decorati con tori e draghi. La via degli di, lastricata di mattoni, che dalla porta di Ishtar conduceva al settore dei templi, al grande tempio di Bel, che era Marduk e Ammon e Zeus, con la strana piramide a gradini che veniva chiamata ziqqurat o qualcosa del genere. I canali con le loro ramificazioni e le alzaie, i campi irrigati, i boschetti di

palme da dattero, alberi di fico e di limone, gli orti di frutta e verdura ben curati, con porri, aglio, cipolle, meloni, cetrioli e alcune piante di cui non conosceva i nomi e dubitava fossero commestibili. Le case a due piani dei benestanti, con cortili interni e pozzi neri; i tetti a terrazza sui quali, nelle notti torride, sedeva, beveva e dormiva mezza citt; le case dei pi poveri, anguste e disadorne; le piazze con i pozzi; i recinti nei quali venivano tenute all'ingrasso anatre e gru; gli spiazzi per le carovane, le osterie e le case di piacere... E il palazzo: costruito da un antico re, che aveva fatto realizzare anche un passaggio sotto l'Eufrate, sulle rovine di fortezze e palazzi pi antichi, ampliato dai satrapi persiani e rinforzato con pietre che avevano dovuto far giungere da molto lontano, con torri e labirinti di corridoi, scale segrete e stanze nascoste, e gli immensi e rigogliosi giardini da sogno, in parte sopra la citt, sostenuti da archi a volta che con quel tempo sembravano sospesi in aria. C'erano molte cose da vedere; troppe. Nella citt, nei dintorni; mercanti dell'India e dell'Arabia, asinai con i quali sarebbe partito volentieri l'indomani, prima che la sua mente fosse ritornata sui binari consueti. Ma dietro, forse sotto tutto questo, c'era qualcosa di ripugnante. Qualcosa che sembrava mangiare e sputare nello stesso tempo, cui Ptolemaios non sapeva dare un nome e di cui non riusciva a liberarsi. I babilonesi, la maggior parte dei quali parlava un aramaico fluente, oltre alle lingue caldee indigene, e ormai moltissimi ufficiali che padroneggiavano almeno un po' la lingua amministrativa dell'impero persiano, raccontavano delle altre antiche citt del paese tra i fiumi, di Ur, Uruk e Lagash e, ancora pi a monte, delle citt crollate degli assiri crudeli; parlavano di guerre terribili e ricchezze incalcolabili, delle leggi degli antichi sovrani e dell'eterna anarchia a un lancio di pietra fuori dalle mura; non tutte le storie avevano a che fare con Babilonia, ma tutte prima o poi venivano a parlare di Babilonia. Porta degli di, trono dei re, tomba delle generazioni... Forse era proprio questo, e tutto quello che ne derivava. La consapevolezza della gente di vivere nella citt pi antica di tutte: quando erano fioriti gli altri grandi centri, forse Babilonia era soltanto un villaggio, un insediamento, magari un porto fluviale, ma Babilonia esisteva ancora, Ur e Uruk erano leggende, sepolte dal fango del fiume e soffocate da foreste di canne. Dove lo sguardo non poteva arrivare, dietro il primo angolo, nelle espressioni degli abitanti, nei loro

gesti, nei loro cenni e nelle loro allusioni, si nascondevano i secoli: come una marea temporale bloccata da un argine che avrebbe potuto abbattersi da un momento all'altro sui macedoni e travolgerli, trascinarli via, fino a che di loro non sarebbero rimaste che alcune nuove storie oppure, probabilmente, neppure l'oblio. Duemila anni, tremila, quattromila? Un abisso di splendore e di orrore, ricoperto da uno strato sottile di terra alluvionale e di leggi: su questo la gente aveva costruito per millenni le sue case di mattoni di fango, che portavano quasi sempre il marchio a fuoco con il nome del sovrano in carica. Una sollevazione, una guerra, un incendio o anche semplicemente la pioggia, che scioglieva i mattoni di fango e li trasportava attraverso la citt; sullo strato di fango, cenere e sangue si costruiva la successiva nuova citt vecchia e tutte le citt del passato, con i loro spettri e i loro di, erano 11, in quella di cui i macedoni si sentivano i padroni. Alla sera al palazzo reale vi fu una delle solite feste. C'erano Parmenion, Hephaistion, Philotas, Demaratos, quasi tutti gli ufficiali superiori e i consiglieri; Barsine e Sisygambis e molte altre donne: macedoni, ellene, egizie, babilonesi, persiane. Thais si sforzava di rischiarare l'espressione imbronciata di Philotas. Ptolemaios era accovacciato sul pavimento spalla a spalla con Kleitos il Nero, quasi ai piedi di Alessandro, dove uomini barbuti erano seduti su pesanti tappeti. E mentre ovunque si mangiava, si beveva, si sbraitava e si ballava, gli uomini sparivano a coppie insieme a donne o fanciulli e poi ricomparivano, il vino, il cinnamomo e il profumo dell'arrosto riempivano l'aria del palazzo, i personaggi barbuti, gli "uomini della notte" di Alessandro, raccontavano le loro storie di principi e di donne, tradimenti e vendette, astuzia e morte. Di un re che mori in un labirinto di mura e corridoi ciechi, al cui centro si trovava un ragno enorme; di un altro re che mori in un labirinto di sole e desolazione, dove non c'erano muri. Una storia sembr avvincere particolarmente Alessandro. Era quella dell'eroe e semidio Gilgamesh, il pi forte, signore di Uruk, e degli di che crearono un uomo altrettanto forte, di nome Enkidu, in modo che si scontrasse con Gilgamesh e cos Uruk potesse finalmente trovare pace. Ma dopo aver lottato, i due si baciarono e strinsero amicizia tra loro. Poi, dal momento che Enkidu si sentiva esausto, partirono per andare a compiere grandi imprese e ottenere forza e certe informazioni dagli di. Salirono sul monte dei cedri, dove ammazzarono il gigantesco leone Chumbaba e abbatterono i cedri; uccisero il

toro celeste e gli strapparono il cuore; tuttavia, per volere degli di, Enkidu continu a perdere le forze e mor. Allora Gilgamesh pianse amaramente l'amico e part per cercare di ritrovarlo, per perdersi o per risolvere il mistero della vita eterna. Cos uccise i cani enormi nei passi montani e giunse al monte Mashu dove gli uomini-scorpione, che vivevano per met sopra e per met sottoterra, seminavano il terrore. Gli indicarono la via attraverso l'oscurit, lunga dodici doppie ore, verso la nuova luce, dove trov gli alberi di pietre preziose, la vigna di corniola e l'arbusto delle pietre blu. E Gilgamesh prosegu fino al limite del mare meridionale, alla locanda dell'ostessa vergine Siduri. Presso di lei trov Urshanabi, il barcaiolo dell'estasi, il barcaiolo del vecchissimo Utnapishtim che un tempo, quando i flutti sommersero la terra, aveva costruito l'arca che offr rifugio ad animali e piante fino a che le acque non scomparvero; Utnapishtim, colui che non pu morire. E Gilgamesh and da lui insieme a Urshanabi, attraverso il mare e le acque della morte; navigarono per una luna e quindici giorni. E, quando giunsero da Utnapishtim, Gilgamesh gli manifest il suo dolore per la morte di Enkidu. Ma Utnapishtim disse: Forse che i fratelli si dividono per tutta l'eternit? Sin dal principio non esiste nulla di duraturo. Forse che il dormiente simile al morto? Eppure entrambi mostrano l'immagine della morte! Gli di decidono la vita e la morte, ma non rivelano il giorno in cui si muore. Gli di avevano concesso a lui e a sua moglie di vivere in eterno come loro; quando Gilgamesh si risvegli da un torpore simile alla morte, Utnapishtim gli disse il nome di quella pianta spinosa che d la vita eterna a colui che punge. E Gilgamesh trov la pianta, ma mentre s'immergeva nell'acqua fresca di una sorgente, arriv un serpente, sent il profumo della pianta e la rub, e subito dopo gett via la pelle e rinacque. Urshanabi riport Gilgamesh, che piangeva e si disperava per la perdita, dall'oriente alla sua patria Uruk, che aveva lasciato dirigendosi a occidente. Sonno e morte sono fratelli mormor Alessandro quando gli uomini della notte ebbero terminato il loro canto ritmico e monotono. Lo scrisse anche Omero, non vero? E la marea... Utnapishtim Deukalion? A voce pi bassa, rivolto a Hephaistion, aggiunse: Patroclo anche Enkidu?. Hephaistion, mezzo ubriaco, disse qualcosa riguardo a un arbusto spinoso dal quale fuoriuscivano fiamme e che Alessandro avrebbe dovuto difendere dai serpenti. Uno degli uomini barbuti alz la mano. E' una storia antica, signore; parla di di ed eroi di tempi antichissimi. Quanto ai

dettagli ai quali Ptolemaios aveva prestato ben poca attenzione i nostri di e le nostre leggende sono criptici. Ma contengono anche qualcos'altro: la storia vera di un viaggio. Si dice che l'eroe non si sia diretto verso occidente ma prima verso nord, oltre i monti verso Elam e Iran, che poi abbia percorso un grande semicerchio sino al mare siriaco e da qui verso sud fino al mare che separa l'Egitto dall'Arabia. Tutte le cose sarebbero accadute lungo questo percorso: il bosco dei cedri sarebbe da qualche parte in Armenia, re, e l deve essere stato ucciso Chumbaba. A sud della Fenicia, nel paese dei giudei, c' un lago salato mortifero, sulle cui rive meridionali hanno vissuto gli uomini scorpione e, a quel che si dice, gli alberi di pietre preziose corrispondono alla rocca e alle ricchezze dell'antica citt di Petra. Da li fino al mare, all'osteria di Siduri; da li, con il vento pi favorevole e una buona nave, ci vuole una luna e mezza per circumnavigare l'Arabia e raggiungere le isole del mare tra Arabia e Iran. Su una di queste isole deve essersi insabbiata la nave di Utnapishtim, quando la marea calata; e laggi deve crescere anche uno strano arbusto spinoso. E da l Gilgamesh raggiunse nuovamente la foce dei fiumi, dove il serpente, che forse il malvagio verme primordiale, cambi pelle. Un sacerdote caldeo, dopo aver sussurrato qualcosa ad Aristandros, si rivolse ad Alessandro. Uomini sapienti hanno raccolto e riscritto le antiche storie, re dell'Asia e figlio di Marduk, che Ammon e Zeus. Uomini sapienti hanno unito le antiche storie con i resoconti di viaggio e altro ancora. Infatti, il viaggio di Gilgamesh anche il movimento delle stelle e dei segni zodiacali, Vergine e Toro celeste, Leone e Scorpione, il loro sorgere e calare sotto l'orizzonte. Alessandro rimase a fissare il caldeo in silenzio, con gli occhi socchiusi. Aristandros stese in alto le braccia; con il volto impassibile, gli occhi chiusi e la voce cupa e minacciosa, disse: Un sogno... la vita e la morte, stabilite dagli di... neanche gli eroi divini poterono sottrarsi alla loro sfera d'influenza, oltrepassare i confini tracciati dagli di. Zeus per l'Ellade, Ammon per l'Egitto, Marduk per il paese dei fiumi. Se Gilgamesh andato effettivamente in Persia attraverso i monti, cos iniziata la sua fine, e quella di Enkidu. Lasci cadere le braccia, apr gli occhi e cerc lo sguardo di Alessandro. Forse anche a te capiter un sogno simile, signore; allora dimmelo, in modo che possa interpretartelo. Ptolemaios cerc di nuovo di leggere nel volto di Alessandro, nella speranza

non solo di cogliere qualcosa dell'animo dell'amico, ma anche di ottenere una spiegazione per tutte quelle sciocchezze misteriose. Ma il volto di Alessandro era una maschera di superbia e di distacco, e Ptolemaios era troppo ubriaco per potere anche solo immaginare quale fosse l'origine di questi atteggiamenti. Qualche tempo dopo - doveva essersi sicuramente appisolato il Lagide si accorse che i sacerdoti erano scomparsi, cos come gli uomini della notte. Macedoni che russavano o parlavano a bassa voce, alcune donne, al centro Alessandro, appoggiato alla schiena di Hephaistion che dormiva, con una mano nella mano di Barsine. Il re beveva vino non allungato senza ubriacarsi. Parmenion, con lo sguardo diritto e la lingua titubante, sollev il bicchiere. Ora tu bevi come beveva tuo padre Filippo. Ho sempre pensato che disprezzassi il vino... per via delle cose che hai visto quando eri ragazzo. Alessandro bevve alla sua salute con un piccolo sorriso. E' vero, padre mio Parmenion. Ma mi ci voluto molto tempo per comprendere perch bevesse cos tanto e cos spesso. Parmenion emise un rutto da far tremare il mondo intero. La... ehm, Olympias non qui, per cui parla tranquillamente. Gli uomini che erano ancora in grado di farlo, risero fragorosamente. Alessandro si limit a sorridere. Olympias pretende da me un affitto alto per le nove lune in cui ho vissuto dentro di lei, ma mia madre e io l'onoro. Del resto non c'entra nulla con tutto questo. E allora qual la ragione? Non il vino l'unica ragione per bere vino? Quando tu libi vino agli di, padre mio Parmenion, non devi credere che gli di bevano questo vino. Quello che conta sono i gesti, il rito. Quando tu bevi il vino con i tuoi amici, non devi credere nel vino. Sono i miei amici, quelli con i quali bevo; e sono i miei amici quelli che mi riscaldano..

Il giorno dopo, di buon mattino (aveva smesso di piovere, ma il cielo era carico e grigio, come se si preparasse alla successiva inondazione), Ptolemaios, con la testa che gli faceva male, si rec a palazzo come gli aveva ordinato il re durante la notte.

Alessandro, Parmenion, Kleitos, Demaratos, Philotas e alcuni altri stavano esaminando gli oggetti raccolti nei giorni precedenti da scrivani e geografi, tesorieri e filosofi: relazioni, cartine, elenchi, documenti. Parmenion e Philotas erano impegnati con una descrizione dei depositi di provviste disposti dalle truppe persiane sulla strada per Susa. Alessandro e Hephaistion erano chini su cartine nelle quali erano segnate le strade dell'Arabia interna. Ptolemaios, Kleitos e Drakon erano seduti a un tavolo in un angolo dell'ampio locale, tutto pieno di scaffali e rotoli, tavoli e materiale per scrivere. Avevano trovato delle copie: copie di resoconti in cui si parlava di informazioni, tradimenti e oro. Non erano cifrate, ma non facevano nomi; in ognuno di questi resoconti c'erano annotazioni con una scrittura diversa. Gli uomini cercavano, dalle vaghe indicazioni, di dedurre condizioni di vita, occupazione e provenienza di coloro che li avevano scritti, e da queste di risalire alle circostanze; alcune annotazioni sembravano provenire da un uomo che disponeva di un potere immenso, forse lo stesso Bagoas: Demaratos afferm che per conoscere il luogo preciso in cui si trovava, avrebbe dato entrambe le gambe.

A un certo punto Alessandro alz gli occhi. Basta con l'Arabia. Le carte della Persia sembrano imprecise, ma in ogni caso... Si guard intorno. Dove si cacciato Eumenes? Koinos, che stava scorrendo gli elenchi del soldo insieme ad alcuni scrivani, alz la mano. Ieri sera crollato, Alessandro. Il diciassettesimo o il diciottesimo bicchiere di vino gli ha fatto perdere il filo della rettitudine. Portatelo qui; subito. Koinos fece una smorfia e fece cenno a un aiutante di seguirlo. Mentre attendevano il cardio grasso, Alessandro si fece portare vino e acqua. Demaratos si alz e gli si avvicin. Una cosa, prima che la dimentichi. Che cosa c', amico? Il corinzio s'infil il mignolo della mano destra nell'orecchio. Ti stanno suggestionando, signore e amico. Quelle storie di ieri e i discorsi di Aristandros sui sogni. Ho sentito che i caldei sono capaci di inviare sogni, se vogliono. Alessandro annu. Lo so; far attenzione ai miei sogni. Eumenes entr

barcollando; aveva un aspetto orribile. Gli abiti, che non aveva neppure finito di infilare, sembravano fatti di reti da pesca e trappole per animali, gli occhi avevano catturato e conservato il tramonto del sole, la testa sembrava essere lacerata all'interno. Alessandro osserv l'elleno senza mostrare alcun turbamento. Benvenuto al Consiglio, Eumenes. A me non interessa come passi le notti, ma voglio che l'indomani tu sia al tuo posto, quando ho bisogno di te. Eumenes annu, gemette, tacque. Il braccio di Alessandro tracci un semicerchio che sembrava includere la maggior parte della stanza. Questo il tuo regno, custode dei tesori del sapere. Tu controllerai tutto, metterai tutto in ordine, farai trascrivere tutto e poi mi dirai dove si trova ogni cosa. Voglio avere dieci copie di ogni cartina; dopo di che, in ordine di importanza, vengono gli elenchi delle imposte. Lo sai gi. Eumenes continuava a non proferire verbo; annu soltanto, con molta cautela, e rutt piano.

L'aria era insopportabilmente umida, afosa e appiccicosa, mentre da qualche parte giungeva continuamente un soffio d'aria fredda che faceva rabbrividire i corpi madidi di sudore. Sulla citt e sul paese insisteva un cielo plumbeo, Drakon parlava di un terribile bubbone marcescente, che si gonfiava sempre pi ma non si decideva a scoppiare. Il pomeriggio fu simile a un crepuscolo malato. Alessandro aveva ideato progetti nei minimi dettagli insieme agli scrivani: modifica dei collegamenti stradali esistenti, edificazione di nuovi insediamenti e citt, creazione di manifatture, lavori di sterro in preparazione della costruzione di grandi cantieri navali sull'Eufrate, trasferimento di met delle popolazioni. Una volta Ptolemaios si era avvicinato a loro, si era appoggiato alle spalle del re e aveva dato una scorsa ai progetti; le dimensioni e l'enormit dei piani gli aveva fatto girare la testa. Il signore dell'Europa e dell'Asia cambiava il mondo perch, cos come lo avevano prodotto gli di e il caso, non gli piaceva. Nei progetti non c'era posto per il rafforzamento dei confini con la Persia. Chi non ha il coraggio di pensare grandi cose, otterr

soltanto cose piccole disse Alessandro a bassa voce. Vai, amico; tutto questo il futuro. Il tuo compito il presente. Dopo ore o anni di soffocamento, ud gemere il re. Alessandro si alz barcollando; il suo volto era quello di un cinquantenne, grigio, ricoperto di uno strato appiccicoso. Si tocc le vecchie ferite, le cicatrici sulla spalla, sulla coscia, sull'ombelico, nelle quali infuriava il fuoco soffocato dell'autunno babilonese. Ne ho abbastanza. Andate avanti voi. Io. . . Toss, si freg gli occhi e si guard intorno. I suoi occhi lanciavano fiamme. Pochi istanti dopo era di nuovo il re: un venticinquenne padrone di s, un po' sudato ma in buona salute. Si rivolse a un servitore e lo mand a cercare Hephaistion, poi si diresse al tavolo al quale lavoravano Kleitos, Demaratos e Ptolemaios. Una passeggiata per la citt disse con voce roca. Un po' d'aria, se mai ve ne fosse. Qualcuno viene con me? Drakon, Kleitos e Ptolemaios si unirono a lui strada facendo, incontrarono Hephaistion. Alcune guardie reali, su ordine del loro ufficiale, si gettarono a terra quando Alessandro fece loro cenno. Non puoi andare da solo, signore disse un sottocapo degli ipaspisti, che stava cercando di riabituare ai movimenti alcuni feriti leggeri nel cortile che attraversarono. Non sono solo, amico. Alessandro indic i suoi quattro accompagnatori. Ma... la citt piena di pugnali. Il nostro compito quello di proteggerti. Chi altro ci potrebbe condurre?

Alessandro gli mise la mano sulla spalla. Parmenion. Ma non ti preoccupare; i re vengono uccisi meno spesso da mendicanti stranieri che dai propri principi e strateghi. Rise, si guard intorno e fece cenno ad alcuni uomini che erano seduti sotto il porticato, bevevano e contemplavano una gabbia con gli uccelli colorati che schiamazzavano. Quelli sono uomini della taxis di Krateros: non guardie reali! Le parole dell'ufficiale suonarono quasi come un rimprovero nei confronti di un bambino testardo. Lo so. Alketas, Philoxenos, Sokos, Zoilos ed Emes, il decadarca. Venite con me? Gli uomini erano raggianti: perch il re li aveva scelti e perch il semidio conosceva i loro

nomi: i nomi di semplici opliti. Ptolemaios fece l'occhiolino a Emes lo spilungone. Niente sarisse, amico: bastano spada e scudo. Canaglie mormor Hephaistion. Alessandro gli gett un'occhiata piena di rimprovero. Quindi disse, ad alta voce: I pi grandi, i pi valorosi, i pi audaci e i migliori. Venite. Con voce a stento udibile, Kleitos osserv: A volte mi chiedo se tu meriti la loro fedelt e abnegazione, ragazzo. Alessandro sorrise appena. Nessuno merita davvero questo, Kleitos. Forse si merita il successo oppure la ricchezza, ma la fedelt e l'amore sono doni che si possono soltanto accettare, senza chiederli. Lasciarono l'edificio del palazzo; il cielo stracarico lasci cadere le prime gocce. Alessandro si ferm, allarg le braccia e offr il volto al cielo. Finalmente. Sarebbe un sollievo e una liberazione. Il colore del cielo era mutato dal grigio piombo a un grigio cupo quasi nero. Intorno a loro la gente inizi a correre e le strade si trasformarono in piste da atletica: tutti volevano arrivare a casa, sotto un tetto, prima che le nubi si rompessero. Nella piazzetta alla quale erano appena giunti, un mercato con carri e banchi, verdure, volatili e pesci di fiume scomparve come l'immagine di un sogno al risveglio. Davanti a un tempio alcuni sacerdoti vestiti di nero terminarono una discussione e si dileguarono. Le gocce continuavano a cadere incerte, come se aspettassero qualcosa. Uno degli opliti sospir distintamente quando uscirono dal quartiere residenziale pi elegante e attraversarono una via misera nella quale ogni cinque case c'era un'osteria economica. Sentirono il profumo degli arrosti sul fuoco, udirono le fanciulle strillare e i macedoni sbraitare. Alessandro si ferm. Lungo i canali non ci minaccia alcuna sventura, amici. Divertitevi... e siate sobri domattina presto. Gli uomini risero e si portarono il pugno al petto. Soltanto Emes parve esitare. Davanti a noi c' un brutto quartiere, signore disse. Sei sicuro. . . Sono sicuro, fido Emes. L'uomo sorrise. Allora permettimi di seguirti ugualmente, signore, per condividere la tua sicurezza. Improvvisamente scoppi a piovere. Si precipitarono in avanti, si fermarono sotto una palma raggrinzita, ripresero a correre, cercarono riparo per un attimo nel porticato diroccato di una delle mille case di

piacere. Dal cortile interno e dalle stanze provenivano le nuvole di fumo di un fuoco di legna; udirono urli, grida e risolini, gemiti striduli, poi all'improvviso il rumore di un colpo di frusta e poi ancora il tintinnio dei bicchieri. Nel cortile comparve una figura orribile: un uomo deforme, con la maschera spaventosa di un daimon con tre occhi o di un dio e le corna sulla fronte. Sul suo corpo, nudo, spiccavano i muscoli rigonfi e il fallo turgido. L'uomo, se era davvero tale, lasci il cortile senza prestare loro attenzione. Suonava una melodia malinconica e seducente con un sottile flauto di legno. Due ragazze cercarono di trattenerlo, ma lui le spinse via. Ptolemaios vide la testa di falco marchiata a fuoco sulla sua scapola sinistra e tir Drakon per il chitone. Il medico lo allontan: aveva visto anche lui il marchio. La pioggia cadeva creando una specie di cortina semitrasparente tra le squallide case di fango, ma Ptolemaios non vi faceva pi caso. I suoi piedi si muovevano, come in sogno, nella poltiglia di fango, escrementi e rifiuti, tra pozzanghere e rivoli; seguivano l'uomo o le note. Tutti loro avanzavano: Alessandro, Hephaistion, Kleitos, Drakon, Emes. A destra e a sinistra le case diventavano sempre pi misere, anguste, divorate dal tempo e dilavate dalla pioggia. La pioggia che diventava sempre pi intensa e rumorosa, fin quasi ad accompagnare come un tamburo il flauto di quello strano personaggio. Le note si fecero sempre pi stridule, sempre pi taglienti. Era come se, oltre a intaccare le case, la pioggia rimpicciolisse anche il suonatore di flauto. Visto da dietro sembrava che la maschera gli si sciogliesse, scivolasse gi come un trucco malfatto. Strisce di colore gli scendevano lungo il corpo, lavando via anche i muscoli e la gobba; l'uomo sembrava diventare pi piccolo. Restava la testa di falco marchiata a fuoco; nell'occhio dell'uccello si raccoglieva l'ocra. Avanzarono tra le case fino alla ripida sponda di un antico canale fangoso, all'alzaia ridotta a mattoni cotti spezzati ed erbaccia infestante. Pi a destra alcuni gradini erosi e consumati scendevano fino alla linea dell'acqua e a un approdo affondato. L'uomo-daimon si volt e i macedoni videro il suo volto dipinto e segnato. Era vecchio e grinzoso, come rattrappito; i denti, che scopr in un sogghigno prima di riprendere a suonare, erano monconi neri e gli occhi erano velati di uno strato di muffa bianco ghiaccio. Smise di nuovo di suonare e il flauto, nelle sue mani, si trasform in un

piccolo serpente che lasci cadere. Il serpente si gir e si infil nel terreno in mezzo a due lastre di pietra. Emes si mise la mano davanti agli occhi. Kleitos e Hephaistion sussultarono, come per un pensiero inquietante che turba il dormiveglia senza ridestare del tutto chi dorme. Drakon gett qualcosa nel canale, ma la sua mano era vuota. Ptolemaios strinse la destra intorno al braccio di Alessandro. Il re si divincol; sembrava l'unico realmente in grado di muoversi. Faticosamente, come se dovesse spostare pezzi di pietra con la lingua, disse in ellenico: Chi sei, vecchio?. Il daimon apr la bocca guasta. Una volta ero un principe; ora non sono nessuno rispose in aramaico. Come... hai fatto dal nulla a diventare principe e poi nessuno? Apparentemente impassibile, il daimon disse, questa volta esprimendosi in iranico: Questo il luogo in cui finiscono tutte le cose, re dei macedoni. Si diresse verso i gradini diroccati che portavano all'argine del canale. Venite. Alessandro esit. Gli altri seguirono il vecchio, o il daimon, con movimenti da marionetta. Alessandro sibil e sguain la spada, prima di seguirli a sua volta. Alcuni piedi al di sopra del livello dell'acqua e dell'approdo affondato, il daimon strisci in una specie di antro dilavato con una piccola apertura. Si volt e fece loro cenno di seguirlo. Nell'oscurit del sotterraneo udirono la sua voce rimbombare davanti a loro. Babilonia fu costruita tremila anni fa, con fango e spettri. Le piogge e le inondazioni distruggono il fango, in modo che nuovi spettri possano costruire una nuova citt. Ma le antiche citt ci sono ancora tutte, ognuna al di sotto di quella che la segu. E ci sono gli antichi spettri. Si fece un po' pi chiaro, come se da qualche parte, attraverso fori o aperture, penetrasse la luce. Giunsero a un labirinto sotterraneo a molti piani. A volte salivano alcuni gradini o una scala, a volte scivolavano gi lungo un pendio fangoso; videro le imboccature di tre gallerie una sopra l'altra, videro infiniti passaggi e passerelle che conducevano dall'uno all'altro di tutti quegli antri spogli, si confondevano, si disperdevano. Continuarono a seguire il vecchio con gli occhi incrostati d'argento. In un antro dove ardeva una luce giallo scuro, un piccolo serpente - quel piccolo serpente? - cadde dall'alto sul collo dell'uomo, che se lo port alle labbra, e divenne di nuovo un flauto. Ne usc una musica lamentosa e inquietante, che si

diffuse in antri e passaggi. Passarono davanti a giacigli rotti, tavoli marciti, un trono regale tutto rovinato spezzato in tre parti, una grande tavola con due gambe di leone, per le riunioni o le feste; attraversarono una fiumana di topi che squittivano; girarono intorno a una pozza prosciugata che brulicava di serpenti. Dalle pareti ardenti e gocciolanti li fissarono occhi, occhi che non appartenevano a nessun volto: occhi su steli che si muovevano, si piegavano, si giravano. In un lungo corridoio c'era pi luce; braccia umane che spuntavano dalle pareti reggevano palle di cristallo piene all'interno di fuochi rosso scuro, ma le braccia umane terminavano con mani mostruosamente rigonfie, con artigli o tre dita o due pollici enormi, oppure file di tasti che s'intrecciavano. Passarono davanti a una schiera di mendicanti ricurvi, cui mancavano alcune parti del corpo come se fossero state loro rosicchiate; videro un uomo con il volto d'argento della lebbra e le orbite vuote; videro una donna con quattro seni e due teste; un toro con sei zampe e le ali; un fanciullo meravigliosamente leggiadro, i cui attributi erano un tridente di vipere sibilanti; la statua di un guerriero con la pelle gialla, la scimitarra e gli occhi sottili e stretti; la statua di un faraone nero; la statua di un altro guerriero con il pennacchio dell'elmo rosso e un'aquila come insegna sulla punta della lancia, la statua di un uomo inespressivo, che indossava calzoni di panno, una giacca scura di panno con i bottoni, una corda nera annodata intorno al fazzoletto da collo bianco; la statua di Alessandro; la statua di Zeus barbuto; la statua della dea dell'amore, con il basso ventre teso in fuori e le porte del piacere piene di zanne di leone. Sbiaditi, ingranditi, lontani eppure vicini, Ptolemaios vide i volti degli altri: Emes, in preda all'orrore per un incubo complicato e inesorabile, aggrappato alla sua spada, al suo valore e alla sua fede in Alessandro; Kleitos, con gli occhi sottili, un uomo sano che combatte figure orribili e pericolose, con le quali non vuole avere nulla a che fare; Drakon, immobile, congelato, i lineamenti come scolpiti in un blocco di ghiaccio che stesse per sciogliersi; Hephaistion, un sonnambulo che sguazza nella follia, con gli occhi pieni di un ardore irreale accesogli da un daimon interno; Alessandro... Alessandro... Alessandro con il volto incredibile, salvifico, rinvigorente, freddo del signore la cui espressione dice a uno stuolo di servi: non tentate di spaventarmi, altrimenti vi procurer io un bello spavento; ma che contemporaneamente trova tutto estremamente avvincente e cerca di divenire una

parte dominante del tutto. I rumori si moltiplicarono: lo stridore del flauto, piccoli animali, topi e vermi che scivolavano, zampettavano e strisciavano; da qualche parte in lontananza, in un antro immenso che rimbombava, il battito minaccioso di un cuore; mille voci, giovani e vecchi, uomini e donne, che bisbigliavano e mormoravano, parlavano e gridavano, vicine e lontane; lo sghignazzare di uno che stesse per affogare e non capisse pi nulla; il gorgoglio di uno strozzato; il fruscio e lo strappo del papiro; il cigolio del fuoco, l'ululare del vento. Odori di carne umana in putrefazione, di cucina e di rifiuti; di pelle giovane unta con olio di nardo; di cinnamomo sulle labbra di un amasio; di sale e di sabbia, di fichi troppo maturi, di cuoio umido sul fuoco, di lame insanguinate; l'odore penetrante e opprimente di un mostro sconosciuto, acquattato nell'oscurit. Passarono attraverso un antro nel quale erano ammucchiate, sparpagliate e calpestate ricchezze inimmaginabili: statue immense d'oro puro di Ishtar e Marduk; mosaici di pietre preziose bianche e verdi, schizzate del sangue delle battaglie che raffiguravano; pile crollate di monete; finissimi lavori d'intaglio in oro, calpestati dal piede di un mostro; fiumi di pietre rosse, verdi, gialle e blu. Emes si chin a raccogliere un rubino, ma nella sua mano la pietra si trasform in sabbia e la spada preziosa di un fabbro divino, impugnata da Hephaistion, si frantum in una miriade di formiche dalle zampe incandescenti. Rumori e odori diminuirono, svanirono, scomparvero quando entrarono in un altro passaggio. L'uomo-daimon, sempre alcuni passi davanti a loro, smise improvvisamente di suonare il flauto, si gir a guardarli, sogghign e svan dietro una curva. Quando lo seguirono e lo cercarono, non riuscirono a vederlo; non c'era neppure la curva, il corridoio luminoso procedeva in linea retta. Proseguirono prudenti, esausti, spaventati, questa volta non dietro al vecchio, ma dietro ad Alessandro, che teneva in mano la spada e stringeva i denti. L'antro successivo: un labirinto di sabbia nera, ammonticchiata in cumuli che non perdevano la forma quando li toccavano, nonostante si riuscisse a togliere la sabbia a manate, e che divoravano la luce senza diminuire il chiarore. Alessandro trov la via verso il punto centrale. Qui, su un mucchio di monete d'oro, rivolto di spalle, sedeva un sacerdote caldeo che appariva vecchissimo, ricurvo. Il suo

mantello nero era disseminato di simboli divini, l'alto copricapo nero di stelle, in mano teneva un papiro con i segni dello zodiaco e con i calcoli del destino. Quando, dopo avergli girato intorno, gli furono davanti, videro sotto il copricapo sogghignare il cranio di un morto e la mano di uno scheletro sbiancato stringere il papiro. D'un tratto il pavimento si pieg, s'inclin; scivolarono gi lungo una specie di rampa e atterrarono in un altro antro, asciutto, bene illuminato, pulito e adorno di immagini decorate, colorate e multiformi, che per non mostravano alcun oggetto naturale riconoscibile. Nel mezzo dell'antro c'erano tre uomini con il perizoma di cuoio. Solo alla seconda occhiata si accorsero che non erano uomini. Il primo daimon si allontanava dalle fattezze umane per via dell'occhio sinistro: l'orbita era in verticale. Il secondo daimon aveva il petto di vetro, con una porticina dietro la quale oscillava e batteva il cuore. Il terzo daimon aveva lo stesso aspetto davanti e dietro: aveva un volto sulla nuca, le braccia e le gambe munite di una doppia articolazione e i piedi incredibili rivolti in entrambe le direzioni. Erano in piedi davanti a un tavolo con ogni genere di materiale per scrivere e tagliare e molti rotoli di papiro. Il primo daimon ne afferr una lunga striscia, l'arrotol una volta su se stessa e ne incoll insieme le due estremit dopo averle leccate con la lingua quadriforcuta. Il secondo prese una canna per scrivere infuocata, ne soffi via la cenere, apr la porta davanti al suo cuore, ve la infil, lanci un grido orribile e con la canna insanguinata tracci una linea sulla faccia esterna del papiro, che si trasform in quella interna, divenne di nuovo quella esterna, sino a che la linea percorse entrambe le parti restando una sola. La linea insanguinata prese fuoco quando il daimon soffi un'altra volta sulla canna. Afferr la striscia infuocata arrotolata su se stessa e la strapp nel senso della lunghezza; poi la sollev e la mostr agli uomini. Questi videro che non erano diventate due strisce ma una di lunghezza doppia. Il terzo daimon prese una forbice e tagli la striscia nel senso della lunghezza, la sollev e ora erano due cappi intrecciati l'uno all'altro. Il primo daimon ridacchi con voce alta e stridula; il secondo tocc il papiro con la canna infuocata, il terzo lo lasci cadere. Un fumo nero appiccicoso riemp l'antro. Ansimando e tossendo, Alessandro cerc una via d'uscita; gli altri lo seguirono. Quando furono lontani dal fumo soffocante, si ritrovarono in un vasto deserto di sabbia; nei pressi dell'orizzonte

aleggiava una specie di macchia nera. Marciarono in quella direzione, marciarono e marciarono. La macchia nera non si avvicinava. Emes tocc il braccio di Alessandro. E'... un sogno o una punizione, signore? Siamo forse gi morti? La sua voce sembrava soffocata dalle lacrime trattenute. Alessandro sorrise e strinse la mano del guerriero. Qualunque cosa possa essere, amico, vi ci ho condotti io e io vi tirer anche fuori. Kleitos, ridacchiando con scarso entusiasmo, disse all'improvviso: Se questo pezzo di papiro cos infinito come sembra, allora anche il fumo che deriva dal suo incendio dev'essere senza fine. Soffocher il mondo intero. Prima che qualcuno potesse rispondere, il suolo si mosse; barcollarono, si tennero l'uno all'altro; la macchia nera si precipit verso di loro. Era il vecchio uomo-daimon; era seduto su una roccia, ma la roccia era vetro nero, spezzato in molte parti e luccicante: emanava una luce sinistra. La roccia di vetro si ferm davanti a loro, oppure il terreno smise di muoversi nella sua direzione. Il vecchio ne discese con le gambe rigide, si volt e fece loro un cenno. Fece un passo e spar, come attraverso una porta invisibile. Alessandro digrign i denti e lo segu. Un solo passo e si trovarono in un passaggio poco illuminato, al termine del quale lo scheletro di un leone faceva la guardia a una scala. Il leone era curvo sullo scheletro di un essere umano, di cui teneva il cranio tra i denti. Quando salirono le scale, lasci cadere un frammento d'osso. Salirono verso l'alto percorrendo un'ampia spirale e giunsero a un grande antro, quasi completamente buio, fatto di specchi: specchi che bisbigliavano e si spostavano. Nella luce incerta videro migliaia di figure diverse muoversi negli specchi: Alessandro a testa in gi, Kleitos gonfio come una sfera con le gambe, Ptolemaios con un bastone al posto del naso e le zampe da rospo, Hephaistion senza il busto, con il collo fuso all'attaccatura delle gambe, Drakon una minuscola medusa, Emes un palo tremante. Il vecchio - come mai di lui non c'era nessuna immagine riflessa? - si trovava al centro dell'antro. Emes toss e disse: In tasca avevo acciarino e pietra focaia; forse sono rimasti asciutti. Laggi c' una fiaccola carbonizzata! . Alessandro aveva quasi raggiunto l'uomo Daimon; Hephaistion e Ptolemaios gli erano accanto. Quest'ultimo allung la mano e tocc Alessandro sulla spalla.

Emes fece fuoco e accese la fiaccola. I mille specchi ne moltiplicarono la luce e, per un istante, ne furono tutti accecati. Pi la luce illuminava l'antro, tanto pi incerti diventavano i contorni del vecchio. Quando entr in uno degli specchi, Kleitos lanci un'imprecazione. Dentro lo specchio videro il suonatore di flauto gobbo e muscoloso, con la maschera a tre occhi; li guard da sopra la spalla per un momento, sogghign, poi si volt e cammin nello specchio, rimpicciol e scomparve. Emes giunse con la fiaccola, fermandosi accanto a Drakon e Kleitos. Alessandro fece un passo e si trov al centro dell'antro, esattamente nel punto in cui poco prima c'era l'uomo Daimon. Poi l'udirono strillare come se fosse in pericolo mortale: un grido terribile, lungo e stridulo. Corsero verso di lui, lo raggiunsero, potevano toccarlo, continuavano a sentire il grido, ma il volto di Alessandro era tranquillo, la sua bocca chiusa. Gli specchi intorno a lui ne deformavano l'immagine: diritta, rigida, piegata, sfigurata, grassa, a testa in gi, sospesa in orizzontale. Una fila di specchi a forma di uovo mostravano altre immagini; Ptolemaios si port la mano al cuore e gemette. Vide, tutti videro negli specchi Alessandro lattante al seno di Lanike, fanciullo, adolescente a Mieza, giovane guerriero agli ordini di Koinos in una palude, giovane re, uomo con le rughe sul volto e le corna d'ariete del dio Ammon sulle tempie, uomo macilento, in procinto di morire, cadavere in rapido disfacimento. Era stato il cadavere a lanciare quel grido orribile. Hephaistion e Kleitos afferrarono Alessandro per le braccia. Emes si avvicin loro con la fiaccola fiammeggiante e, come cancellate da un lampo nero, tutte le immagini riflesse del re svanirono. Per un momento gli specchi mostrarono uno spazio vuoto attorniato da Kleitos e Hephaistion, le cui mani si tendevano nel nulla, con dietro Drakon e Ptolemaios e, un po' di lato, Emes con la fiaccola. D'un tratto anche Hephaistion scomparve dagli specchi, nonostante lui e Alessandro continuassero a essere fisicamente presenti. Kleitos disse a mezza voce: Che cosa, per lo sterco di tutti gli di..., ma fu come se la sua voce si trasformasse in un vento nero e spesso che spense la fiaccola. Il terreno trem, i macedoni barcollarono, scivolarono, andarono a sbattere contro alcuni specchi, scivolarono sempre pi rapidamente, precipitarono attraverso un foro lungo l'argine ripido del canale e finirono nell'acqua fangosa.

Era calata l'oscurit, il sole invisibile era tramontato e continuava ancora a piovere. Iniziarono a nuotare, esplorando l'argine del canale alla ricerca di una scala. Il margine superiore della riva, inzuppato dalla pioggia, prese a scivolare; masse di fango scesero lungo l'argine e ricoprirono, chiusero, nascosero l'accesso al mondo sotterraneo.

Durante la riunione notturna, Kleitos inizi a starnutire; si sentiva la febbre. Se abbiamo soltanto sognato tutto questo, allora stato il sogno pi sgradevolmente umido che abbia mai fatto. Hephaistion rise. Forse in realt abbiamo soltanto camminato lungo il canale, abbiamo avuto quella visione e siamo caduti dentro, o no? Ptolemaios e Drakon si scambiarono una lunga occhiata; il Lagide disse irritato: Non credo ai sogni; datemi fatti. I miei starnuti. La mia febbre. Il raffreddore che mi verr domani: non sono fatti sufficienti? Kleitos si pul il naso. Aristandros abbozz uno dei suoi rari sorrisi; Alessandro fece una smorfia. Il veggente si schiar la voce. Per te, Kleitos, sono fatti; per noi sono soltanto phainomena. Qualcosa che uno vede senza essere obbligato a credere. Forse ti sei solo preso qualcosa. Ma se stata una visione, un messaggio disse Alessandro tu come la interpreti? Aristandros si alz dalla sua kline e agit le braccia fino a che le musiciste smisero di suonare. Un messaggio? Be' s... dice molte cose, credo. La realt una torre immensa, una torre alta e spaziosa che tutti gli esseri umani di tutti i tempi hanno costruito. Tu non puoi mai attenderti n sperare di poter modificare o distruggere questa torre, perch tutti coloro che la costruirono e tutto quello che hanno visto, pensato, saputo e sperato, tutto questo nella torre, energico e vitale. Tu puoi abitarci, puoi modificarne piccole parti, ricostruirle, innalzarne di nuove, ma perfino se riuscissi ad abbattere questa torre, la gente se la ricorderebbe e la ricostruirebbe, con le parole e con i pensieri. Parmenion fece un rumore come se stesse per sputare. Sei in grado di dirlo in modo comprensibile anche per un guerriero

vecchio e stupido? Aristandros si volt verso di lui. Tu lo comprendi fin troppo bene, nobile Parmenion. Babilonia il mondo, l'umanit, dentro e fuori dall'ecumene. Tutto quello che stato, che e che sar: tutto qui, contemporaneamente, insieme, congiunto in modo inestricabile. Chi vuole dominare il mondo, dovrebbe cercare di vivere in armonia con Babilonia. Tutto il resto vano. Questo, Alessandro, quello che dice il messaggio, la visione. Non troverai nessun altro luogo, per quanto tu ti spinga, per mare o per terra. Questa citt ovunque. Alessandro scopr i denti. Dunque tu vuoi che io mi fermi qui? Che non prosegua oltre? Che divenga un babilonese? Che faccia di questo vecchio mucchio di fango la mia capitale? Nessuno rispose. Kleitos starnut di nuovo. Demaratos sembrava contare le proprie dita, Drakon fiss l'alto soffitto scuro del salone. Alla fine Philotas alz la mano. Forse non il peggiore dei consigli, Alessandro. Re dei macedoni, heghemon degli elleni: il tuo scopo, il tuo incarico quello di punire i persiani per l'antica onta, rafforzare la Macedonia, restituire agli ateniesi qualche santuario e qualche statua che, ehm, Serse aveva rubato. Non che me ne importi nulla di loro, ma... perch non fare di Babilonia la capitale orientale? Tracciare un confine? Un confine che noi da qui possiamo oltrepassare tranquillamente: andare in Persia, distruggere il cuore della potenza persiana, cercare le statue e poi ritornare indietro. Uno o due anni qui, Alessandro, per mettere tutto in ordine, poi uno o due anni a Pella, poi di nuovo qui. Sarebbe tanto male? Alcuni annuirono, altri rimasero in silenzio; quasi tutti fissavano Alessandro, il cui volto non tradiva alcuna emozione. Demaratos disse a mezza voce: Questo messaggio, il vostro sogno... non dimenticate che Alessandro era l'unico che avrebbe potuto difendersi. Contro gli di; o contro chiunque possa essere stato a mandare questo sogno.

Alessandro chiuse gli occhi e annu leggermente. S, Philotas, sarebbe tanto male. L'heghemon degli elleni deve punire i persiani. Non che qualcuno, al momento del conferimento dell'incarico, avrebbe mai creduto che l'esercito si spingesse oltre, diciamo, Sardi. Il re dei macedoni forse vorrebbe fare della Persia una sua provincia, invece di limitarsi a saccheggiarla. E Alessandro... Alessandro qualcos'altro oltre a heghemon e re. Alessandro forse vorrebbe vedere i confini del mondo, il margine del nulla, le colonne della notte. Philotas grugn piano. Amico disse poi gli elleni dell'esercito seguiranno l'heghemon fino a che l'obiettivo sar raggiunto; poi vorranno ritornare in patria. E i macedoni, Philotas? La voce di Alessandro era diventata dura e tagliente. Parmenion trattenne il figlio con uno sguardo; poi il vecchio stratega disse dolcemente: I macedoni seguono il loro re, Alessandro. Krateros si schiar la voce. Questo forse basta. Ma forse invece troppo poco. Chi segue l'heghemon, chi segue il re, tutto perfetto. Per... Koinos osserv i volti attorno a s: volti per lo pi giovani, segnati dalle privazioni e dai trionfi, i volti di uomini giovani che, quando erano adolescenti, neppure dieci anni prima, aveva addestrato a Beroia. S, amici, per disse. Questo "per" conta. Per chi seguir, se l'heghemon e il re svaniscono, chi seguir Alessandro? Io disse Hephaistion oltre il confine del mondo. Io... io... io... noi! Perdikkas, Krateros, Ptolemaios, Eumenes, Kleitos, Koinos, Leonnatos, Seleukos. Il "noi" lo grid l'alto ed esile Polyperchon. Tuttavia vi furono anche molti che non dissero nulla o si limitarono ad annuire. Alessandro sorrise a tutti; poi si rivolse a Parmenion, a Philotas e al fratello minore Nikanor, che comandava gli ipaspisti, i migliori tra i fanti, e che fino ad allora era rimasto in silenzio. Parmenion, padre mio la domanda di Alessandro suon d'un tratto come una supplica tu che farai? E i tuoi figli? Sei sempre stato il braccio destro di Filippo, hai coperto le spalle a lui e anche a me. In battaglia hai fermato i nemici in modo che Philotas e Nikanor, con gli etri e gli ipaspisti, potessero annientarli. Tu che farai? Ptolemaios si sent male; era sicuro di essere diventato rosso oppure pallido, ma nessuno parve accorgersene. In quel momento il Lagide inizi a provare odio. Il suo amico, il suo re, il suo capo

imperscrutabile e impareggiabile, che si umiliava per rabbonire i rappresentanti pi importanti dello spirito macedone. Era proprio vero: Parmenion, padre dell'esercito, con le truppe a lui sottoposte nelle battaglie aveva giocato il ruolo dell'incudine sulla quale si abbatteva terribilmente il martello persiano... in modo che Alessandro potesse spezzare il braccio che reggeva il martello. Nikanor e Philotas avevano comandato le unit pi importanti, certo; ma tutto questo era stato ideato da Alessandro e condotto da Alessandro al galoppo alla testa degli etri. La divinit, o un dio particolare, forse si incarnava in un essere umano una volta ogni mille anni: quando una stella simile splendeva, non sarebbe stata un'empia vergogna non seguire la sua luce sino alla fine, poich ogni orrore, ogni bruttezza e ogni scelleratezza sarebbe stata santificata dalla volont degli di, dallo splendore della stella e dall'obiettivo inimmaginabile? Poteva essere santificato, da questo punto di vista, anche il supplicare del re, il suo umiliarsi, la sua ricerca di approvazione, favore o anche solo indulgenza; senza dubbio era politicamente opportuno; e altrettanto indubbiamente il re vi era stato costretto dalla limitatezza di vedute, dall'empia stupidit. La gloria suprema, la sopravvivenza infinita nella memoria dei millenni, senza dimenticare il bottino pi ricco e il potere pi grande: gettare via tutto questo perch non si accordava con le memorie degli abitanti dei villaggi montani macedoni, con le usanze tradizionali e con le leggi convenzionali? Digrign i denti, serr i pugni, stava per scattare in piedi; fece per proporre di rimandare di qualche giorno la partenza per la Persia per poter scavare il sottosuolo di Babilonia, dare alle fiamme i labirinti sotterranei e soffocare nella cenere e nella merda alcuni ufficiali troppo macedoni, prima di interrare nuovamente tutto. Poi sent la mano del vecchio corinzio sulla sua spalla; Demaratos la premette solo leggermente, ma fu sufficiente a metterlo in guardia. Si accorse che Drakon lo fissava ed evidentemente era troppo confuso per masticare qualcosa come al solito o anche solo limitarsi ad ammiccare; cerc gli occhi di Kleitos il Nero, che per era come avvinto dallo spettacolo al centro del salone. Parmenion si alz in piedi, si avvicin ad Alessandro, lo fece alzare dalla kline e gli mise le mani sulle spalle. Io sono un vecchio, ragazzo. Tu non sai ancora che cosa vuol dire, ma prima o poi avvertirai anche tu il peso di tutti questi anni di battaglie. Io sono stato la spada della Macedonia tra le

mani del re. In quelle di tuo padre, che era mio amico, e nelle tue, amico e figlio di un amico. Che cos'altro dovrei essere, se non una spada? E dove, se non nella tua mano? Come se non guidato da te? Se sono la spada della Macedonia, allora sono anche la fedelt alla Macedonia: fino a che i miei vecchi piedi mi reggeranno. Baci Alessandro sulla fronte; Alessandro abbracci il vecchio stratega. Gli ufficiali esultarono e applaudirono. Ptolemaios non applaud. Osservava Nikanor e Philotas, neanche loro si unirono al coro. Nikanor diede un calcio al fratello maggiore; l'espressione di Philotas rimase apparentemente impassibile; si alz e si avvicin al re. E tu, amico e figlio di un amico? chiese Alessandro. Philotas gli pos una mano sul braccio. Chi saremmo, Nikanor e io, per contraddire il padre e sfidare l'amico? Ti seguiremo, re dei macedoni. Abbozz un debole sorriso. In fin dei conti non soltanto il tuo esercito, ma anche il nostro..

L'ultimo giorno prima della partenza Alessandro offr come ogni mattino un sacrificio, onor gli di su diversi altari nei giardini del palazzo e, dopo un bagno, si fece massaggiare e frizionare dal suo esperto di unguenti. Nel corso di un breve pasto mattutino discusse con Harpalos ed Eumenes i problemi dell'amministrazione, delle entrate e degli approvvigionamenti; successivamente riun alcuni consiglieri scelti che lo avrebbero dovuto accompagnare al tempio di BelMarduk. Kleitos era a letto nella sua casa in riva all'Eufrate con la febbre alta; il re, che avrebbe voluto portarlo con s al tempio, gli aveva preparato personalmente una pozione di erbe e ordinato di restare a Babilonia sino alla completa guarigione, attendere i rinforzi che erano in viaggio dalla Macedonia e quindi condurli fino in Persia. Kleitos starnut e promise obbedienza incondizionata. I sacerdoti, presso i quali si trovavano gi da diverse ore Aristandros e un mago egizio che l'aveva seguito da Menfi, attesero il re e i suoi accompagnatori in cima allo ziqqurat che si ergeva verso il cielo accanto al tempio. Alessandro, Hephaistion e Ptolemaios, condotti da caldei di rango

inferiore salirono la scalinata infinita-il vecchio Demaratos li segu pi lentamente, sbuffando e ansimando. Sulla piattaforma superiore dell'edificio si trovavano numerosi locali del tempio; in quello pi grande, davanti a un Marduk d'oro tre sacerdoti molto anziani erano in piedi davanti a un bianco altare spoglio. Dietro alla statua del re, la parete dipinta di nero era ricoperta da stelle e segni zodiacali d'oro e d'argento, in pi punti muniti di pietre preziose. Ptolemaios camminava avanti e indietro, osservava le offerte votive di Alessandro (monete, gioielli, recipienti finissimi, sacchi pieni d'incenso, altre monete ancora, armi da parata, bisacce piene di monete, ceste di monete, casse di monete) che facevano mostra di s accanto alle altre su un tavolo che misurava come l'intera parete laterale e non fece particolare attenzione ai saluti. Usc fuori per osservare la citt, che ardeva nel sole autunnale. Quando ritorn nel locale del tempio, Alessandro stava terminando le sue istruzioni, posto che fosse lecito impartire istruzioni al sacerdote pi anziano. Perci, per lo splendore della citt, per l'onore degli di e naturalmente per la gloria vostra e mia, voglio che il vecchio tempio di Marduk, distrutto da Serse, venga ricostruito. Attingerete la met del denaro necessario dal vostro ricco tesoro; il resto lo riceverete da Harpalos o da un suo incaricato, presentando conti dettagliati e attendibili. E ora veniamo a quello che volete dirmi: il messaggio delle stelle. I pensieri di Ptolemaios vagarono nuovamente su Parmenion, sui macedoni, sulle stelle sopra Pella; quando si scopr a sonnecchiare, si riscosse e cerc di seguire i discorsi dei sacerdoti. Quello che parlava in quel momento era il pi vecchio di tutti i vecchi; la sua voce era profonda come un pozzo e aspra come il terreno carsico dell'Illiria. Vedi dunque, grande re, gli di ci hanno riferito della tua venuta molto prima della tua nascita. Tutte le stelle, che sono care a Zeus, Ammon e BelMarduk - e questi tre, come sai, sono uno solo - l'hanno detto. Queste stelle... indic la parete nera. Alessandro l'interruppe: Che cosa dicono del futuro?. Il vecchio fece un sorriso obliquo. Lo vuoi sapere davvero, re dei macedoni? Alessandro annu. Ptolemaios ud Demaratos sbuffare; il corinzio sedeva su uno sgabello vicino alla porta. Dicono che ricostruirai il dominio: il dominio di Ammon, che

Bel e Zeus. Scaccerai i persiani e i loro sacerdoti, che venerano il fuoco. Sotto il tuo dominio tutti gli esseri umani loderanno la verit dei veri di. Alessandro annu di nuovo. La sua voce era fredda. Le stelle mentono. Oppure non sei in grado di leggerle.

Segu un silenzio glaciale. Quelle parole, pronunciate senza enfasi, erano state come un colpo di frusta sulla faccia del sommo venerabile. I sacerdoti si scambiarono occhiate; alla fine il vecchio, dominandosi a fatica, disse: Come puoi osare pronunciare parole simili?. Alessandro si strinse nelle spalle: So che i persiani hanno distrutto molte cose e che per qualche tempo hanno bandito i vostri antichi di e il loro culto, e che ora sperate di vedere scacciato e proibito tutto ci che ha in qualche modo a che fare con le cose iraniche. Io invece non proibir proprio nessuna forma di culto degli di. Se tu dunque leggi nelle stelle che scaccer i custodi del fuoco, che servono Ahura Mazda, dal paese tra i due fiumi, allora o le stelle mentono, o tu non sei in grado di leggerle, oppure... menti tu. Hephaistion ridacchi in modo quasi impercettibile; i sacerdoti si scambiarono altre occhiate. Il pi vecchio tossicchi. Forse abbiamo commesso un errore; accade di rado, ma non lo si pu escludere. Intendiamo leggere nuovamente le stelle, in modo pi preciso e accurato. Alessandro sorrise senza calore. Fatelo. E fatemi sapere che cosa dicono del futuro. Da una delle altre stanze apparve Aristandros, con in mano un rotolo. Insieme a lui giunsero un caldeo, che mormorava qualcosa di incomprensibile, e il mago egizio. Alessandro disse Aristandros con una piccola smorfia ho sentito tutto e probabilmente dovremmo interrogare un'altra volta le stelle. Ma una cosa te la posso gi dire. E allora dimmela, saggio Aristandros. Il tono della sua voce fece rizzare i capelli sulla nuca di Ptolemaios; Aristandros sembrava trovare il tutto assolutamente normale. Il grande dio che tutti noi serviamo, non importa quale nome

gli diamo, ti ha scelto come suo ricettacolo. Questo l'hanno annunciato le stelle molto prima della tua nascita. Alessandro rest in silenzio; intorno ai suoi occhi comparve una specie di sorriso sprezzante. Aristandros indic l'egizio. Come ti possono dire gli uomini sacri del paese del Nilo, le stelle avevano annunciato da molto tempo il ritorno di Ammon in un ricettacolo proveniente dal Nord: il tuo corpo. Il dio ti ha prescelto per incarnare la sua volont. Tua madre lo sapeva, tuo padre non ne voleva sentire parlare, tua madre e io te l'abbiamo detto tante volte. Alessandro annu di nuovo; ora la sua voce non era pi fredda e cortese, ma esprimeva sarcasmo tagliente. E questo che cosa fa di me? Qualcosa di inferiore a un sacerdote e di molto meno importante di un re, vero? Il semplice strumento di un daimon che si nasconde da qualche parte dentro di me. E dove, a proposito? Potrei liberarmene, se mi tagliassi una gamba? Oppure si trova nel mio cuore, nel mio fegato, nella mia milza? L'egizio agit le mani. Questo non ha importanza. Ed irriguardoso, signore dei macedoni. Come hai appreso nell'oasi sacra, tu sei Ammon, il figlio di Ammon, la personificazione dello spirito di Ammon. Ah s, sono questo? Dal momento che parli di riguardo, mago... perch non ti inginocchi davanti a me, anzich davanti ai tuoi altari? Se il dio, il daimon, lo spirito dentro di me, se io sono il dio, potresti almeno onorarlo un poco. Il pi anziano dei caldei s'irrigid e borbott: Noi non c'inginocchiamo davanti ai mortali. Port lentamente la mano destra alla cintura, dove teneva come gli altri il suo lungo coltello sacrificale, simile a una falce. Ptolemaios apr la bocca, ma Alessandro l'interruppe prima che potesse proferire verbo. Allora sei pi orgoglioso di me. Come tutti voi sapete, io m'inginocchio perfino davanti ai blocchi di pietra, davanti alla pietra morta, e non tanto per onorare l'arte dello scalpellino, ma perch assumo queste pietre come rappresentazioni simboliche di qualcosa che pi grande di me. Sono parte di quel Dio Sconosciuto che governa ogni cosa. Come nella persona del re si fondono tutti i guerrieri e i principi e gli strateghi della Macedonia, cos anche Zeus, Ammon, Bel e gli altri sono soltanto parti di questo re degli di. Forse... se potessimo conoscere il mondo intero e venire a sapere tutto su tutti gli di, forse saremmo in grado di saperne di pi sul Dio Sconosciuto, di comprenderlo. Tu non verrai a dirmi che non posso fare nulla, a meno che non si

trovi scritto nelle stelle degli di minori, non vero? La mia volont pi forte delle vostre stelle. Non aveva parlato forte e non era alto, ma per un momento la sua voce parve riempire l'intero locale del tempio e sovrastare i sacerdoti pi alti di lui. Alla fine Aristandros prese fiato. Hybris, Alessandro: sciocca e pericolosissima superbia di un mortale, quella di opporsi alla volont degli di. Se oltrepassi il confine che gli di hanno tracciato per te, morirai. Sei condannato al crollo. Alessandro sorrise, o piuttosto scopr i denti. Non ne dubito, saggio Aristandros. Alla fine il kosmos intero condannato al crollo; questo perci irrilevante. Tu per non hai compreso il significato delle mie parole. Io dico che voi, i sacerdoti, non sapete, non potete sapere, dove sia stato tracciato questo confine. Io invece lo sapr, perch lo scoprir. E ora i suoi occhi si ridussero a fessure, la voce si fece minacciosa volete inginocchiarvi, una buona volta? Aristandros scosse lentamente il capo, come incerto, e pieg un ginocchio; i caldei e l'egizio estrassero i loro coltelli e s'avventarono sul re. La spada di Alessandro vol in alto e tranci la mano di un caldeo che, col pugno chiuso intorno al lungo coltello, tintinn sul pavimento di duri mattoni cotti. La punta della spada di Hephaistion si pos sulla gola dell'egizio, che lasci cadere il coltello; Ptolemaios afferr il pi anziano e lo tenne in modo che la lama del terzo caldeo lo potesse colpire, se avesse dovuto attaccare Alessandro. Il sacerdote mutilato cadde lentamente in ginocchio; dal polso il sangue schizz davanti all'altare. L'egizio chin il capo e s'inginocchi accanto ad Aristandros. Quando Ptolemaios lasci andare il pi anziano, s'inginocchi anche lui. L'ultimo sacerdote gett il coltello nella pozza di sangue, alz le mani e lanci un grido gutturale, prima di unirsi agli altri.

Il mattino del giorno successivo lasciarono Babilonia; parti dell'esercito li avevano gi preceduti negli ultimi giorni. Durante un sacrificio nella parte del giardino pensile che si trovava pi vicina alla riva dell'Eufrate, Aristandros e il re si trovarono l'uno accanto all'altro. Quando il rito fu terminato e il dio saziato con frutta, vino e carne, Alessandro si volt e il suo sguardo cadde su

Demaratos, sul cui volto si leggeva chiaramente una domanda. Dunque, che cosa turba il tuo occhio saggio, o pi nobile tra tutti i corinzi? L'ignoranza, o pi amato tra tutti i sovrani. Demaratos si gratt la testa, che diventava sempre pi calva. Ptolemaios lo guard in tralice: che cosa aveva in mente il corinzio? L'ignoranza? Alessandro fece schioccare la lingua e sogghign. Questa opprime tutti noi, ma soltanto pochi l'avvertono in modo cos forte da esserne turbati. Io, e i tuoi consiglieri e amici, tutti noi vorremmo sapere se Aristandros giunto a una conclusione definitiva a proposito della vostra esperienza umida e delle stelle. Alessandro si rivolse al suo sommo veggente. Parla telmesso. Nel suo volto e nella sua voce non c'era traccia di cordialit. Aristandros incroci le braccia davanti al petto. Parlare? E va bene, parler. Lo far e, dal momento che siamo tra noi, senza guerrieri dall'animo semplice, facilmente influenzabile, dir le cose come sono e non come dovrebbero essere. Chiuse gli occhi; la sua voce suonava stanca e sorda. E' volont degli di, e in particolare di un dio, che Zeus e Ammon e BelMarduk, che Alessandro, signore dei macedoni, heghemon della Lega corinzia, figlio e ricettacolo di Ammon, rafforzi e governi il regno del dio dalle corna d'ariete. Da Pella, o da Menfi, o da Babilonia, oppure dalla nuova citt che deve portare il suo nome: Alessandria. Questo regno e soltanto questo. E' volont del dio che Alessandro governi i paesi del dio: l'Ellade, l'Asia Minore sino al fiume Tigri, la Fenicia, l'Egitto, Babilonia. E' volont del dio che i monti persiani segnino il confine e che Alessandro non oltrepassi questo confine. Se l'oltrepassa, non deve farlo per pi di tre lune: il tempo sufficiente a prendere Persepoli e a sconfiggere ancora una volta Dario. Se vi rimane pi a lungo, disobbedir al dio; e se disobbedir al dio, il dio l'annienter. Demaratos annu. Anch'io l'avrei interpretato in modo simile, se fossi stato al tuo posto e avessi avuto i tuoi interessi. Ma dimmi, telmesso: quando l'annienter il dio? Ptolemaios represse il sogghigno che, nonostante cercasse di restare serio, si faceva strada sul suo volto. Aristandros osserv il corinzio con gli occhi socchiusi: lo sguardo di un coccodrillo pigro, che troppo sazio per rivolgere un'attenzione pi che superficiale alla preda. Quello sguardo avrebbe dovuto intimidirlo, ma Demaratos si limit a ridere a singulti. Quando? Presto, Demaratos. Presto... per gli di. Solo una cosa certa: se ora Alessandro lascia Babilonia e si

trattiene a lungo oltre i monti di confine, non ci ritorner vivo..

Nel pomeriggio il lungo corteo dell'esercito si snod davanti alle porte del paradeisos che il Gran Re e i satrapi avevano fatto allestire: un giardino immenso, recintato, con un piccolo palazzo pressappoco nel mezzo, con un altare e una torre di fuoco per custodire la fiamma eterna e con selvaggina per mille cacce. Alessandro tir le briglie a Bukephalos, si guard intorno, fece cenno a Hephaistion e Ptolemaios di avvicinarsi; quindi ordin a Koinos di far ripartire il convoglio. I tre uomini attraversarono a cavallo la porta che alcuni opliti aprirono per loro; l'avrebbero richiusa e avrebbero atteso il ritorno del re. Ptolemaios cavalcava un po' dietro agli altri due; vide gli alberi sconosciuti, le piante bizzarre, le forme degli ultimi fiori; sent cantare innumerevoli uccelli ai quali non avrebbe saputo dare il nome; osserv il paesaggio ondulato, un mare verde che tendeva verso un punto bianco in lontananza. A un certo punto ud un ruggito sordo: il leone non era nelle vicinanze. Attraversarono a cavallo un avvallamento umido e afoso. Hephaistion si guardava intorno. Bene disse. Piuttosto paludoso. Buono in ogni stagione per una bella febbre. E per cereali ed erbe. Quando furono saliti sul pendio opposto, Alessandro si guard indietro; indic una fila di alberi, i cui frutti simili a mele maturavano soltanto ora, in autunno. Quei pomi laggi assomigliano al culo del cavallo di Parmenion. Sogghign. Non curioso come spesso le cose assomiglino alla parte dalla quale provengono? Hephaistion sbuff. Come i discorsi a doppio taglio dei sacerdoti, che hanno la lingua a doppio taglio. Tutti. Alessandro si strinse nelle spalle e spron nuovamente il suo stallone. Non mi tengo Aristandros per la bellezza della sua lingua. Lui ha guardato nel profondo delle anime degli esseri umani per cercarvi le tracce degli di. E per raccontare agli esseri umani quello che vogliono credere, per il suo massimo vantaggio. A volte i suoi consigli sono molto buoni. A volte no.

Credi davvero alla sentenza divina che ci stata comunicata stamani? chiese Ptolemaios. Alessandro si volt all'indietro, guardandolo con un sorriso enigmatico. Credere? Certo che ci credo; visto che io stesso, a quel che ho sentito, sono un dio. E cio credo che le cose che Aristandros ha detto sono quelle che piacciono di pi ai sacerdoti. Cavalcarono attraverso un bosco fitto; improvvisamente davanti a loro si apr un'ampia radura, dove si trovavano la torre nella quale veniva custodito il fuoco e il bianco altare spoglio su cui venivano offerti cereali e frutta, su cui i sacerdoti spaccavano datteri e fichi in modo che il dio della luce potesse goderne il profumo. Davanti all'altare c'era un vecchio con un mantello grigio, che voltava loro la schiena. Prima ancora che uno di loro potesse emettere fiato, disse con voce dura e profonda: Benvenuto, o pi grande tra i re. Benvenuto, amico degli amici, Hephaistion. Benvenuto, Lagide. Quelli si guardarono a vicenda stupiti. Alessandro disse: Sapevi che saremmo venuti?. Vi ho visti arrivare. Il sacerdote si volt verso di loro; i suoi occhi erano bianchi e ciechi. Alessandro soffi attraverso i denti. Poi disse, a mezza voce: Non sono venuto a distruggere il tuo santuario. Dario sconfitto, il dominio dei persiani su Babilonia terminato, ma quello che era sacro e intoccabile per gli iranici, deve essere onorato anche da me. Vengo in cerca di saggezza e consiglio. Il sacerdote rimase immobile. Il suo volto, dominato dagli occhi ciechi, era un paesaggio desolato. Tu sei entrato nel giardino del Fuoco Sacro. Come tutti i giardini nei quali i re sono soliti cacciare, anche questo ha uno scrigno: il cerchio del fuoco. Se resti nel paradeisos abbastanza a lungo, troverai le domande per tutte le risposte che credi di conoscere, e le risposte a domande che nessuno in grado di porre. Alessandro si morse il labbro inferiore; la sua voce si fece roca, quasi aspra. Non ho il tempo di restare nel paradeisos e i tuoi enigmi mi stancano. Dimmi quello che devo fare immediatamente, custode della fiamma. I Gran Re hanno nutrito la fiamma e i sacerdoti. Ho gi impartito istruzioni a riguardo. Riceverai cibo e monete, e offerte per il fuoco. Lo so, re dei macedoni.

Non era questa la mia preoccupazione. Nutrirai personalmente la fiamma? Con i tuoi pensieri e le tue azioni? Hephaistion scosse il capo bruscamente. Non ha fatto altro per tutta la sua vita, vecchio. Questo lo so, Hephaistion. Ma continuer a farlo, oppure dimenticher questo fuoco reputandolo esteriore quando le fiamme nere inizieranno ad ardere dentro di lui? Alessandro sospir. Calma, Hephaistion... Queste fiamme, che tu dici nere, sono la stessa cosa del tuo fuoco. La parte interna non diversa da quella esterna. Il sacerdote arriv quasi a posare il capo sulla spalla sinistra, come se stesse in ascolto di una voce lontana. Tu sei sempre andato avanti, o pi grande tra i re. A volte come una freccia, a volte come un serpente. Questa la tua sorte, e il tuo destino. Continua ad andare, sempre pi avanti. Puoi incrociare il tuo sentiero, le tue vie, se la tua meta si muove sempre in avanti. Devi cercare e peregrinare. Alessandro fece una smorfia. Questo il mio intento. Ma un giorno, presto o tardi, voglio ritornare a Babilonia. Il sacerdote scosse il capo; ora la sua voce assomigliava a un tetro gong. Esiste un solo luogo nel quale puoi far ritorno. Questo paradeisos. Se ritornerai qui, possederai il giardino e tutte le terre e le citt. Se ritornerai nella citt di Babilonia perderai tutto, anche questo giardino. Alessandro emise un lamento di protesta; il sacerdote si volt. Tu dici che devo andare avanti e non devo ritornare a Babilonia. Altri sacerdoti di altre divinit dicono che non devo abbandonare Babilonia, oppure che porter Babilonia sempre con me, oppure che Babilonia ovunque. Sono stufo dei vostri di e dei loro discorsi! Le ultime parole vennero quasi gridate. Continuando a rivolgere loro soltanto la schiena, il sacerdote cammin a passi veloci davanti all'altare, verso il limitare della radura, gi per un pendio. Lo seguirono e discesero il pendio; era brullo, ma il sacerdote non si vedeva da nessuna parte.

10. I fuochi di Persepoli.

Notte degli di, notte di splendore, notte di compimento. Il re allo zenit; o stelle tramontate, sottomesse e ridotte al suo servizio, simili a oro ardente davanti ai suoi piedi, intrecciate a formare una corona di gloria risplendente! Vino e piacere, sfogo e delizia, grida e... Chiacchiere! Callistene strapp il papiro e gett davanti a s il calamo masticato, sfilacciato e imbrattato. Guard con gli occhi infossati e ardenti la citt che non c'era pi. Dalla catena di colline scendeva una nuvola dal cielo, picchiava la luce del sole, calore bruciante in mezzo alle case crollate. Le colonne spezzate il monte della roccaforte come sbriciolato-avvolto i temerari con gli artigli bruciacchiati. Un vento proveniente dall'altra estremit del mondo s'insinuava ovunque, soffiava tra i resti delle mura in cerca dell'odore della putrefazione e trovava un ricco bottino; s'arrampicava sui cumuli di macerie di quelle che il giorno prima erano ancora scale e passaggi, posava nuvole di polvere sui cento piani del palazzo dei Gran Re, attizzava qua e l una lingua di fiamma contorta. L'elleno toss; i polmoni continuavano a fargli male per tutto quel fuoco e quel fumo, e brandelli dolorosi bruciacchiati gli infuriavano nel cranio. Cerc a tentoni con la mano tremante il bicchiere nella penombra dell'ingresso rialzato della tenda, ne bevve il vino tiepido, lo riemp d'acqua fresca da una brocca di terracotta fasciata e lo vuot di nuovo. Non aveva dormito; ma chi, a parte qualche ubriaco privo di sensi, avrebbe potuto dormire quella notte? Nemmeno Parmenion e i suoi uomini, barbari del nord, zoticoni cocciuti, incapaci di ardente entusiasmo, troppo rispettosi nei confronti degli edifici e della storia di un altro popolo di barbari; ah s, e preoccupati per la disciplina virile dei loro soldati. La persiana aveva pianto quando, nel mattino che grondava di

fuoco tremolante, lui era arrivato barcollando fino alla tenda, ebbro di parole, di vino e di violenza. Una schiava barbara, un animale piacevolmente caldo per la notte, niente di pi e niente di meno; lui aveva avuto un impeto di... che cosa? Preoccupazione, interesse, partecipazione? Aveva sentito qualcosa che aveva represso, attribuito all'ebbrezza. Lei aveva piagnucolato per ore, mentre lui stava seduto davanti alla tenda a bere e a cercare di descrivere il fuoco celeste abbattutosi sulla citt. Prese un altro calamo, l'intinse nell'inchiostro nero, fiss il papiro vuoto, lo scrittoio, le venature del tavolo di legno. Era forse troppo presto, troppo vicino? Le parole giungevano troppo rapidamente, si accalcavano dentro il suo cervello; vedeva Aristotele ridere ironico, lo sentiva richiedere una nuova versione, pi sobria. Forse... se avesse letto ancora una volta gli ultimi scritti, le copie delle lettere che erano partite da tempo e quelle non ancora spedite, questo avrebbe potuto aiutarlo; forse sarebbe riuscito a riannodare, a ritrovare la lingua misurata del narratore ellenico. Ma ormai da molto tempo era pi di un semplice narratore: nelle ultime lune, segnate dal vino, dalla mancanza di sonno e dalla crescente estraneit ai rudi macedoni, Alessandro lo aveva fatto intervenire sempre pi spesso alle riunioni, aveva ascoltato la sua opinione, gli aveva fatto regali. Callistene annu; e gemette quando il dolore sopito gli venne risvegliato dal movimento, e riprese a esplorare di nuovo ogni recesso del suo cranio descrivendogliene la situazione con estrema vividezza. Ripose il calamo nello spazio apposito sul margine superiore dello scrittoio, mescol acqua fresca e vino caldo, bevve e poi and a riprendersi i rotoli delle ultime lune. La partenza da Babilonia. Questioni secondarie: una lite tra Hephaistion e Perdikkas; una lunga discussione con Barsine, bella, intelligente e dolce, ma barbara-il saccheggio di un villaggio fortificato al di sotto delle Porte Persiane e la fustigazione, davanti all'esercito, dei decadarchi che ne erano stati responsabili; l'esecuzione di due opliti che avevano cercato di istigare gli altri ad abbandonare l'esercito; la discussione davanti alle Porte Persiane... Qui gli si erano mescolati due rotoli. Prima veniva Susa, capitale amministrativa dei Gran Re e dell'impero; la descrizione della citt, dei suoi templi e giardini, dei palazzi e delle strade; consegnata senza combattere in cambio della promessa di grazia e clemenza, ma non c'era stata

clemenza per il tesoro: cinquantamila talenti, indescrivibili come la parte posteriore della luna. L'assoggettamento di Susa al satrapo di Babilonia, Mazaios: un satrapo persiano, un amministratore del tesoro ellenico, uno stratega macedone, tre popoli per un solo impero che si andava delineando e che ai macedoni non interessava affatto. A Susa erano rimaste anche le donne: Sisygambis (con i nipoti) e Barsine, il cui ventre iniziava ad arrotondarsi e che questa volta sperava di partorire vivo il figlio di Alessandro. Poi l'avanzata verso sudest, nel cuore del territorio dei Gran Re, Parsa il paese - Persis e Parsa la citt - Persepoli. E Pasargadai, dove Alessandro aveva voluto vedere e cingere di ghirlande la tomba di Ciro, lodato da Senofonte, ma questo era ancora di l da venire. I monti ripidi, gli altopiani desolati prima dei giardini rigogliosi di Persis: monti tra i quali vivevano uomini rudi, detti uxi, un popolo selvaggio che aveva resistito per secoli ai Gran Re, ai quali aveva imposto un tributo, un dazio per l'utilizzo dei valichi, delle Porte Persiane. Un paese impraticabile... si raccontavano storie sanguinose sui tentativi falliti di sottomettere gli uxi, alla fine i Gran Re avevano deciso di pagare il tributo, poich era inferiore al costo di altri tentativi di conquista. Ad Alessandro tutto questo non interessava affatto. Fece assediare i passi dal basso, impose agli uxi di sottomettersi ma questi opposero un rifiuto sprezzante. Era impossibile dare l'assalto alle Porte Persiane; pochi uomini con arco e frecce, mura costruite con i frammenti di roccia, le pietre che rotolavano gi dai pendii e dalle cime: gli uxi avrebbero potuto resistere a un esercito immenso senza subire alcun danno. Alessandro invi sui monti Hephaistion con truppe scelte. Si arrampicarono sui pendii ripidi; scivolarono gi lungo le pareti rocciose; procedettero attraverso sentieri inesistenti e su creste dalle quali una capra di montagna sarebbe precipitata vertiginosamente nell'abisso. Davanti alle Porte, ai passi, gli altri attendevano il segnale, tre frecce infuocate nel cielo notturno. Un'immagine impressa come a lettere di fuoco: Alessandro davanti a un piccolo focolare, beve vino da un corno d'argento, fissa le fiamme. Ha impartito gli ordini e attende. Aristandrs il veggente, un egizio, un caldeo, un persiano escono fuori dalla notte e si avvicinano al re. Il volto di Alessandro una maschera di cupa solennit. Le Porte Persiane dice il telmesso.

Alessandro alza gli occhi. Che cos'hanno? Qui termina il regno di Ammon. Lo dice perfino il sacerdote persiano. Alessandro annuisce, scruta i loro volti. E allora? Aristandros si erge in tutta la sua statura con la schiena rigida; guarda dall'alto in basso il re pi piccolo di lui. Cerca di conferire alla sua voce quella saldezza che s'addice a uno stratega supremo delle anime. Il ricettacolo di Ammon non deve oltrepassare questi monti. Il tentativo sarebbe letale. Alessandro annuisce di nuovo, molto freddamente. Allora morir proprio in questo tentativo. Una morte vale quanto qualunque altra. Aristandros alza le mani implorante. Ma il dio che dentro di te non andr laggi! Alessandro si stringe nelle spalle, versa da un corno il vino sul terreno, per gli di, posa il boccale sul tavolino e fischia tra i denti. Dall'oscurit spunta Perdikkas con alcuni opliti corazzati. Portano le parti di una scala d'assalto. Pronti? Alessandro tocca la sua spada. Perdikkas si limita ad annuire e osserva i sacerdoti con un'espressione di disprezzo. Allora noi andiamo dice Alessandro in tono quasi amichevole. Aristandros lo prende per le spalle, lo trattiene, lo scuote. Non andare, Alessandro! Ammon non lo vuole! Alessandro lo allontana da s. Che cos' un dio il cui regno finisce dove io proseguo? Alle prime luci dell'alba il monte in fiamme. Il passo tutto grida e carneficina. Gli uomini di Hephaistion attaccano gli uxi alle spalle, Alessandro si precipita alla testa degli assediatori. Nel passo vita e morte si abbracciano. Nel frattempo giungono notizie da lontano: Sparta entrata nella Lega corinzia, Antipatros ritornato a Pella, il cognato e zio del re Alexandros d'Epiro stato ucciso durante la sua spedizione militare nel Bruttium, nell'Italia meridionale. Mazaios, al quale Alessandro aveva concesso il diritto di battere moneta, inviava nuovi pezzi d'argento, grandi e pesanti come tetradrammi, ma con le iscrizioni in aramaico. Alessandro invi uno scritto ad Antipatros in cui ordinava allo stratega d'Europa di tributare, a Pella, ogni onore alla sorella del re Kleopatra, ora vedova e sovrana dell'Epiro, e di proteggerla. Quando uno dei consiglieri chiese meravigliato perch mai Kleopatra, regina dell'Epiro, avrebbe dovuto andare a Pella, Alessandro rispose che, visto che conosceva Olympias, madre sua e di Kleopatra, che si tratteneva nell'Epiro, non

dubitava che madre e figlia avrebbero finito per scontrarsi e che questo scontro sarebbe finito presumibilmente con Olympias che s'impadroniva del potere e Kleopatra che doveva cercare rifugio da qualche parte. La risata che segu la risposta fu breve: nell'accampamento erano in troppi a conoscere e temere la molossa. Callistene vuot il bicchiere e lo riemp di nuovo. Annu con prudenza, pensando alla sua testa: aveva trovato la via giusta. Ora si sentiva pronto a narrare, con un tono che non avrebbe suscitato lo scherno di Aristotele. Lisci ancora una volta il papiro; poi prese il calamo, l'intinse nel vasetto dell'inchiostro e scrisse.

Persepoli non venne difesa; come primo segno di buona volont, il signore della citt mand incontro al re tutti i prigionieri elleni e macedoni. Nella pianura le tende dell'esercito macedone spuntarono come piante nel deserto dopo una pioggia violenta. Le avanguardie si avvicinarono alla citt per occuparne le porte e le mura e sorvegliare la resa della guarnigione della roccaforte. Ma la roccaforte, un mostro di blocchi di pietra nera, da lontano sembrava minuscola, una macchia nera nel mare pi chiaro di case e giardini, minuscola al confronto del palazzo dei sovrani achemenidi: pietre chiare, piastrelle colorate, fregi decorati, colonne ardite, tetti a gradini, sentieri divini e reali pieni di curve, saloni alti, le mille sfumature del verde rigoglioso dell'immenso giardino del palazzo, tumuli su tumuli scolpiti nella pietra, rivestiti di pietra e con basamenti di legno, immagini enormi dei sovrani sulle pareti dei tumuli oppure in statue isolate. E il corteo dei prigionieri liberati che sciamavano fuori dalla citt. Anzi, non sciamavano: rotolavano e strisciavano, zoppicavano e claudicavano, si appoggiavano e si trascinavano l'uno con l'altro, barcollando. Molti erano nudi, nessuno indossava pi di un perizoma. Avevano raso loro il cranio, strinato i peli del corpo e lasciato crescere soltanto la barba, irsuta e aggrovigliata. Elleni provenienti dalle citt costiere dell'Asia; macedoni dell'esercito di Parmenion nell'Ellesponto; spartani,

ateniesi, achei, tessali, beoti, corinzi, locresi, cretesi; uomini della guardia del corpo dell'infelice Hermias di Atarneus; soldati che due decenni prima avevano servito come mercenari i satrapi contro Artaserse; guerrieri che dodici anni prima, al soldo di Nektanebos, avrebbero dovuto difendere l'Egitto contro i persiani. Giovani decrepiti, vecchi decrepiti. Gli uomini dell'esercito di Alessandro accorsero tutti a destra e a sinistra della Via Reale, che iniziava prima di Susa e finiva dopo Sardi. Qua e l venivano gridati nomi, quando qualcuno riconosceva o credeva di riconoscere un prigioniero; venivano richieste e scambiate informazioni: i prigionieri erano stati semplicemente liberati, avevano detto loro di andare dagli elleni. Quali elleni? Un esercito ellenico davanti a Persepoli? Dov'era il Gran Re? Quale esercito poteva essersi spinto cos avanti: un'alleanza, le truppe di mercenari ellenici di Dario, alle quali i vecchi commilitoni venivano consegnati in segno di amicizia? Come, macedoni? Filippo? Parmenion? Il figlio di Filippo, Alessandro? Si avvicinarono al luogo in cui la maggior parte dei consiglieri e degli ufficiali si era raccolto intorno a Parmenion; Alessandro non si vedeva. Pi il convoglio si avvicinava, tanto pi pesante diventava il silenzio, l'ammutolire incredulo di opliti e peltasti, ipaspisti ed etri. Gli uomini erano stati mutilati. Avevano impedito loro ogni tentativo di fuga, reso superflua ogni sorveglianza onerosa riducendo i prigionieri a meri strumenti e lasciando loro soltanto le parti del corpo che erano indispensabili per la sopravvivenza e per il lavoro di ognuno. Scrivani senza gambe, su piattaforme basse a quattro ruote, si muovevano in avanti utilizzando le mani come remi o pertiche. Uomini robusti dai muscoli possenti, probabilmente portatori, inchiodati l'uno all'altro in una lunga fila da collari di ferro e da una catena con molti anelli, tutti con le orbite vuote e condotti da un uomo che vedeva, ma non aveva le braccia. Altri senza braccia con i piedi dipinti di rosso scuro: dovevano schiacciare le conchiglie di porpora inviate a Persepoli come tributo dalla Fenicia. Uomini senza occhi, senza orecchie... alcuni invece avevano ancora i padiglioni auricolari, ma erano stati privati dell'udito per mezzo di chiodi arroventati. Grida soffocate, strozzate, provenivano da un gruppo numeroso di persone - contabili? tesorieri? - le cui bocche erano state private della lingua.

Callistene si trovava ai margini del gruppo intorno a Parmenion; accanto a lui, sulla destra, due opliti della taxis di Krateros discutevano tra loro. Lo spilungone (Emes? Callistene non ricordava pi con esattezza) disse qualcosa; quello pi basso accanto a lui si strinse nelle spalle. Strumenti, capito? In modo che non potessero tagliare la corda... Fin troppo assennato, se me lo chiedi. Emes indic un prigioniero del primo gruppo che si stava avvicinando a Parmenion. Quello non ... Menelaos? Quale Menelaos? Era con Parmenion e con quel porco di Attalos, proprio all'inizio. Ehi, Menelaos! Lo storpio, con una gamba sola e le grucce, volt la testa, fiut come un cane che seguisse le tracce e riprese a zoppicare; non aveva pi gli occhi. Il primo stupore per quello spettacolo inatteso si era placato; qua e l si discuteva, si scherzava e si rideva. Alcuni soldati zoppicavano ostentatamente accanto ai prigionieri liberati, imitandone i movimenti. Callistene, che non aveva mai sentito nulla di simili pratiche, trovava affascinante l'idea di adattare le persone alle rispettive attivit e non comprendeva perch alcuni degli ufficiali macedoni pi anziani manifestassero tristezza e rabbia. A che cosa poi erano dovute la tristezza e la rabbia? Persone concepite in fretta e pensate per essere utili da vive e da morte; persone alle quali si mozzavano le mani se rubavano... perch non farlo anche se non dovevano usarle? Dalla parte opposta vide Philotas, Perdikkas, Polyperchon, Leonnatos, Ptolemaios e alcuni altri; i loro volti erano tetri. Le espressioni di quelli che si trovavano davanti o dietro di lui non riusciva a vederle. Si fece avanti Parmenion. L'uomo che conduceva i prigionieri liberati, un vecchio con un braccio, una gamba, una gruccia e un occhio, latr qualcosa. L'intero corteo alle sue spalle si arrest; tutti cercarono in qualche modo di darsi un contegno. Quelli che si trovavano sulle piattaforme con le ruote mulinarono le braccia e si girarono sino a che la fila assunse l'aspetto di una linea di battaglia. Callistene represse una risatina. L'uomo che li conduceva, con la gruccia infilata sotto il cavo dell'ascella, si port al petto la mano superstite. Salute, Parmenion disse. Dietro di lui tutti quelli che avevano ancora la lingua dissero: Salute, Parmenion. Fu un coro imponente, rovinato da ogni genere di gorgoglio e

di sibilo. Quantomeno ci avevano provato. Parmenion si port la mano destra al petto e cammin lentamente lungo la fila. Il suo volto era pieno di rughe, segnato, afflitto; Callistene si accorse del tentativo dello stratega di dominare ira e tristezza e riusc a comprenderlo ancor meno di prima.

Di tanto in tanto lo stratega si fermava, osservava un volto, si chinava su un uomo senza gambe, mormorava nomi in forma di domanda: Aristomenes? Menelaos? Myres? Myron? Aristeides? Xenokrates? Philinos? Tocc alcuni uomini sulla spalla, poi ritorn indietro verso quello che li conduceva. Xanthippos, mio vecchio amico. La voce di Parmenion era strozzata, ma il suo volto era di nuovo abbastanza controllato. Che cosa vi hanno fatto! La mano di Xanthippos scivol gi dal petto, afferr una frangia del perizoma lurido, sal come un uccello confuso sino alla barba ispida; l'uomo ondeggi. Parmenion lo sostenne. Callistene fece una smorfia: non aveva mai capito a che scopo i nobili capi dovessero conoscere i nomi dei loro sottoposti e, il fatto che toccassero simili... cose, lo faceva inorridire. Ci hanno ridotti a utensili, padre mio Parmenion. L'uomo sembrava pi vecchio dello stratega; la sua voce era cupa e infinitamente stanca. Parmenion percorse con lo sguardo la lunga fila tremante. Riposo, amici. Gli uomini si rilassarono, ma non si separarono. Forse era questo ma l'elleno, che non aveva mai brandito la spada da pari in mezzo ai pari, non lo comprendeva. Anche i volti di quei soldati, che fino a poco prima avevano imitato e schernito l'andatura o il sibilo dei mutilati, ora erano seri, terrei, tristi. Qualcosa di inquietante, un silenzio di morte aleggiava su quella moltitudine. Xanthippos riprese a parlare; nella testa di Callistene, la sua voce era come una lima acuminata. Per tutti questi anni una cosa sola ci ha tenuti in vita, Parmenion. Lo stratega annu. Lo so, amico. La speranza di

morire sotto il sole, liberi, con dignit. S. Le parole di Xanthippos vennero sottolineate dal coro a pi voci, stridule, roche, orribili con cui gli altri le approvarono. S disse di nuovo. Sotto il sole, non in uno scantinato. Liberi, non schiavi dei barbari. Con dignit, non come bestie. Dacci quello che agogniamo, padre nostro Parmenion. Gli altri mutilati, o almeno quelli che potevano emettere suoni, lanciarono un grido penetrante, acuto, lamentoso. A Callistene si rizzarono i capelli. Uno grid: Aiutaci a morire, Parmenion. Concedici la grazia di una morte rapida e pulita, Parmenion. Il rombo di una tempesta improvvisa, un tintinnio assordante. Callistene fiss sbalordito la strada verso il basso, dove migliaia di macedoni, come un solo uomo, avevano estratto la spada, l'avevano tesa in avanti e battevano la lama contro lo scudo in modo lento e ritmico, poi pi veloce: approvazione e, nello stesso tempo, massimo rispetto. Cos avevano salutato Alessandro e Parmenion quando, dopo le battaglie del Granico, di Isso e di Gaugamela, avevano sfilato in tutto lo splendore delle loro armi. Si avvicin un gruppo di cavalieri: etri che, guidati da Alessandro e Hephaistion, avevano girato intorno alla citt ed esplorato i dintorni. Alessandro cavalcava alla loro testa. Salt gi da Bukephalos, fiss la fila dei mutilati, alz il braccio destro. Le spade e gli scudi ammutolirono all'istante; il silenzio era doloroso. Ecco il vostro re! disse Parmenion. Gli uomini liberati si irrigidirono di nuovo. Xanthippos si port la mano al petto. Salute, Alessandro, re dei macedoni disse. Di nuovo gli indescrivibili boati e bisbigli, grugniti e gorgoglii degli altri: Salute, Alessandro. O miei fratelli e padri, che cosa vi hanno fatto? Il volto di Alessandro era pallido e nei suoi occhi si annidava l'orrore. Uccidiamoli come desiderano. La voce di Perdikkas era velata e anche lui era impallidito; la sua mano stringeva l'impugnatura della spada. Alessandro si guard intorno, vide gli ufficiali e i consiglieri, vide i lineamenti grigi di Parmenion, si volt di nuovo verso i mutilati. E allora accadde qualcosa, ancora una volta uno di quei moti incomprensibili di Alessandro che Callistene non riusciva a spiegarsi, che per essere narrati ad Atene e ad Aristotele gli avrebbero richiesto molte digressioni, distorsioni e

interpolazioni. Lui stesso vedeva le carni mutilate e martoriate: adattate nello stesso senso in cui i muscoli di un fabbro sono pi adatti per il suo lavoro di quelli di un vasaio o di un incisore, e la struttura fisica di un rematore dell'ultimissima fila di posti di una trireme si deve distinguere da quella di un corridore e di un portatore. Tutti gli uomini non dovevano forse realizzare uno scopo, sia per guadagnarsi il pane sia per un'esigenza della natura comune alla quale appartenevano? Sia che venissero martoriati come schiavi nelle miniere d'argento attiche per ordine di capi scelti tramite elezione, sia che venissero mutilati e ridotti a utensili per ordine del Gran Re? I re macedoni non avevano forse trasformato i contadini in guerrieri, forgiato dai singoli guerrieri un'unica arma che impiegavano come utensile? Carne, nient'altro che carne, diversa soltanto per quel che riguardava la quantit di spirito che vi si trovava, con al vertice i filosofi ellenici. Dignit? Un pensatore, un principe, un capo scelto per via dei suoi meriti e del suo valore poteva parlare di dignit; ma che differenza faceva se quelli l morivano in una battaglia, in una miniera, in uno scantinato o in un letto? Alessandro invece, che faceva giustiziare i traditori e mozzare le mani ai ladri... Alessandro cammin lungo la fila a passi piccoli, quasi timorosi. Scoppi in lacrime, deglut, abbracci Xanthippos, tocc quelli che un tempo erano stati uomini, brandelli di carne, piaghe e sporcizia, pianse, si chin, abbracci anche gli uomini senza gambe. Uccidere? Uccidere voi? grid. No, voi vivrete, se sceglierete la vita anzich la morte. Vi costruiremo un villaggio, una citt sul mare, con schiavi persiani che vi lavino, vi nutrano e si occupino di voi. Poi, quando avrete assaggiato questa nuova vita, mi dovrete dire se volete vivere oppure morire..

Callistene attravers per l'ennesima volta l'interminabile labirinto del palazzo reale, gli ampi saloni, i templi e le volte, i corridoi e i colonnati. Vide ovunque macedoni ed elleni, soldati; pochi di loro erano impegnati in lavori di facchinaggio e di sorveglianza, la maggior parte si aggirava

semplicemente meravigliata. Callistene ridacchi piano; solo in quell'edificio incredibile l'intelligenza di Alessandro gli si era presentata sotto una luce completamente nuova. A Susa il re aveva ordinato di arruolare o coscrivere giovani persiani; avrebbero dovuto costituire un nuovo gruppo di combattimento di cavalleria pesante, analogamente agli etri o ai tessali. Erano gi tre o quattromila, prima che l'esercito lasciasse Susa per prendere Persepoli. I macedoni protestavano per i barbari nell'esercito e per l'annacquamento dello spirito e cose del genere, ma ammettevano che la forza militare degli asiatici, con l'addestramento, l'equipaggiamento e la durezza macedoni, avrebbe apportato un notevole rafforzamento. Le ilai il cui addestramento non era ancora terminato (in questo Alessandro sembrava progettare nuove suddivisioni: al posto delle ilai tradizionali, meditava evidentemente squadre di mille uomini, che chiamava ipparchiai) avrebbero potuto essere temprate durante la marcia e aggiunte all'esercito; Alessandro le lasci a Susa insieme alle truppe d'occupazione. Solo laggi Callistene ne comprese il motivo. Saccheggiare il palazzo reale degli achemenidi, seppure in modo ordinato, era un compito che non poteva essere affidato alle truppe persiane fresche. In uno dei saloni in cui venivano ammucchiati ed esaminati gli oggetti ritrovati nei magazzini, nelle cantine, nei depositi, negli edifici secondari e nelle stanze segrete, incontr Alessandro e Krateros. Sorvegliati da guardie macedoni, schiavi e prigionieri lavoravano con cose che facevano ammutolire anche chi aveva la lingua veloce e tagliente. Gli uomini indossavano soltanto un perizoma; i loro tronchi nudi erano lucidi di sudore. C'erano da impacchettare montagne di monete, piramidi di barre d'oro e d'argento, colline di pietre preziose; non c'erano mai abbastanza casse e sacchi. All'inizio i carpentieri dell'esercito avevano fatto ricorso ad artigiani indigeni, ma nel corso degli ultimi giorni la maggior parte degli abitanti di Persepoli era scomparsa, dispersa a poco a poco nel paese; la citt si svuotava. Allora avevano iniziato a perlustrare le case deserte per recuperare legna e altre materie prime; le truppe passavano al setaccio il territorio in cerca di cavalli, buoi, asini, muli e cammelli per organizzare il trasporto delle ricchezze; e di carri, o del materiale per costruirli. L'intero immenso edificio sembrava illuminato da un'unica fiaccola, la cui luce veniva riflessa e moltiplicata dai

mucchi di metallo nobile, dagli specchi d'oro, dalle statue rivestite d'oro e d'argento; veniva deviata e colorata dalle pietre e dalle perle provenienti dall'India o da altre estremit del mondo. Alessandro si chin sui rotoli-davanti a numerosi tavoli erano seduti gli scrivani che dovevano fare elenchi di tutto. Krateros andava su e gi in punta di piedi fischiettando, e contemplava una montagna di darici d'oro. Da uno dei porticati a volta comparve Eumenes, sudato, con il volto pieno di stupore e di avidit. Dunque, ora abbiamo una stima grossolana, Alessandro. Si asciug la fronte e scosse il capo, come se lui stesso non potesse credere a tutto questo. Quanto? Alessandro sembrava imperturbabile di fronte a tutte quelle ricchezze accumulate dai Gran Re. Dunque, come ho detto, grossolana e provvisoria. Eumenes allarg le braccia come a comprendere l'intero edificio-alcuni rotoli che aveva infilato sotto le ascelle caddero sul pavimento. Si pieg, li raccolse, ne srotol uno. Dunque, a Susa, amico e re, c'erano cinquantamila talenti, la maggior parte in oro. Qui... non ci posso credere. Krateros sogghign. Io non provo neppure a crederci. Sputa il rospo, una buona volta! Alessandro si limit ad annuire, come se tutta quella faccenda non fosse cos importante. Eumenes diede uno sguardo a una lista. Oro non coniato, e in forma di monete. Monete d'argento e argento grezzo. Rubini. Zaffiri, quelle piccole pietre blu. Smeraldi. Casse, torri di casse piene di tutto questo. Sbuff. Nel complesso, grossolanamente, circa centoventimila talenti. Il peso di cinquantamila uomini robusti. Se fosse soltanto argento, rappresenterebbe da solo circa cento anni di entrate dello stato macedone, re dei macedoni. Ma c' anche molto oro, moltissimo oro, che vale venti volte l'argento. E... Alessandro l'interruppe. Dov'? Eumenes indic in ogni direzione. La maggior parte in viaggio verso Susa; il resto? Qua e l, ovunque. Ma qual la sua destinazione definitiva? Babilonia? Non lo so ancora. Si vedr. Eumenes strinse gli occhi a fessura. Non dovremmo forse per, ehm, prudenza sorvegliare ancora meglio tutto questo? Alessandro sorrise. E a che scopo? Gli schiavi sono quasi nudi; nei loro perizomi non possono infilarsi molto. E i soldati non toccheranno nulla. Eumenes era immobile, con la mandibola penzoloni. Ss... sei sicuro? Dal momento che affido loro la mia vita, come potrei diffidarne per un po' di metallo?.

Il mattino dopo, quando lasci la sua tenda, Callistene incontr nuovamente quell'oplita alto, cio il decadarca della taxis di Krateros. Dopo aver rimuginato un po', gli venne in mente il nome: Emes, breve e orribile, come lungo e orribile era l'uomo che lo portava. Una giovane persiana e due schiavi scuri caricavano i suoi averi su un carro trainato da un asino. Probabilmente tra le montagne della Macedonia era andato scalzo e possedeva solo un bastone; ora era ricco. Fino a quando? Teli da tenda; armi; una spada d'oro decorata; recipienti d'argento; coperte; provviste. La persiana era in piedi sul carro e allungava le braccia. Emes era accanto al carro, assorto; reggeva una bisaccia pesante nella quale tintinnava qualcosa. Che cosa aspettare? chiese la donna. Dare qui. Emes fece tintinnare di nuovo la bisaccia. Due anni di paga. Sogghign. Tutto in una volta sola. Credo che lo terr con me, donna. La persiana fece una smorfia. Perch non dare? Meglio su carro. Emes scosse il capo. Io ti ho pagata, ho comprato il carro e quasi tutto quello che c' dentro, e l'asino. E anche gli schiavi. Ho l'impressione di spendere troppo e di tenermi troppo poco. Lei scosse il capo. Non capire. Cosa dire? Non lo so esattamente. Senti un po', ora andiamo a Susa e poi di nuovo a... come si chiama quel paesucolo? Hagmatan. Giusto, Ekbatana. Sempre attraverso la Persia, le Porte i paesucoli. Potrebbe anche essere che tu ti perda da qualche parte, vero? Lei scosse di nuovo il capo. Tu non fidare? Forse incontrerai tuo fratello. O un altro uomo. - Tu, uomo con molto denaro, forse altra donna. Un buon consiglio. Grazie. Ci vediamo a Ekbatana. Sogghign, fece un cenno ai due schiavi e il carro si mise in movimento senza di lui. La donna non si volt a guardarlo. Alla sera innumerevoli fuochi ardevano nelle strade e nelle piazze della citt, sotto la roccaforte e davanti all'edificio del palazzo reale. La maggior parte delle unit erano partite da giorni, in una carovana infinita, a difesa delle ricchezze smisurate. Alcuni reparti di elleni, i tessali di Parmenion, la met degli etri a cavallo, le taxeis di Perdikkas e di Polyperchon, i mercenari,-i cavalieri e i fanti del nord (agriani, traci, odrisi, triballi), nonch gli ipaspisti, in

totale circa dodicimila uomini, si trattenevano ancora a Persepoli. Callistene pass da un fuoco all'altro fino a che trov gli ufficiali superiori e i consiglieri riuniti ai piedi della statua titanica del Gran Re Serse. L'elleno mormor un saluto e si sedette accanto a Eumenes. La notte che stava per cominciare portava ancora l'odore dei fiori e delle erbe della pianura, degli uomini e dei cavalli, del ferro, del cuoio e del sudore, come sempre del vino e della carne bruciacchiata, del grasso che colava nel fuoco dai mezzi manzi, dagli agnelli e dai volatili. Eumenes, gi mezzo ubriaco, gli avvicin un bicchiere, un recipiente d'argento con tralci di vite e minuscoli uccellini a sbalzo, spingendolo con un piede.

L, a lui lass. Bevve e indic verso l'alto, dove la testa di Serse brillava in modo sinistro alla luce dei fuochi. Eumenes rutt. Quello non credeva certo che un giorno ci saremmo ripresi tutto e anche qualcosa di pi, vero? Da qualche parte alcune donne gridarono. Ptolemaios sospir e appoggi la testa nel grembo di Thais. Una buona notte, questa. Chiuse gli occhi; le dita di lei gli passarono tra i capelli. L'ateniese era appoggiata a una catasta di pelli d'animale che, vendute ad Atene, avrebbero fruttato pi o meno il controvalore di dieci giovani schiave. Dopo aver fatto un giro di perlustrazione, Parmenion torn indietro, si sedette per terra, vers il vino in un bicchiere di corno e prese il piatto d'argento con il pollo arrosto portogli da uno schiavo. Che bella orgetta. Sogghign, bevve, toss e si ripul la bocca con il dorso della mano. Tutti di buonumore, a parte i prigionieri liberati: quelli sono sempre tristi. Alcuni degli storpi non erano riusciti, per chiss quale motivo, a staccarsi dal luogo delle loro umiliazioni e per questo avevano chiesto di potervi restare sino alla fine; sarebbero partiti l'indomani, con le ultime truppe rimaste. Alessandro aveva fatto preparare per loro i carri pi confortevoli. Parmenion si guard intorno alla ricerca del re, che sedeva accanto a Hephaistion, beveva molto e molto velocemente, non mangiava quasi niente e sembrava cercare il suo modello di vita nel fuoco.

Ma che cosa ne farai mai di tutto quell'oro e quell'argento, Alessandro? Lo accumulerai a Susa, o a Babilonia, o a Ekbatana? Alessandro alz lo sguardo. Alla luce delle fiaccole sembrava improvvisamente un daimon sorridente; la sua espressione aveva qualcosa di inquietante. No, padre mio Parmenion. Lo conieremo tutto. Il vecchio stratega sbatt le palpebre incredulo. Non parli certo sul serio. Hephaistion tocc la spalla di Alessandro.Lo sai che cosa accadr allora, vero? Alessandro si guard tutt'intorno: erano tornati improvvisamente tutti sobri. Dimmelo, Patroclo. Hephaistion parl molto lentamente, con enfasi. Una moneta corrisponde a una determinata quantit di lavoro; oppure a ci che viene prodotto grazie a questo lavoro. In uno stato, in un paese o in un regno, il denaro, la quantit di monete, deve corrispondere alla quantit di lavoro fornito e di merci prodotte. La quantit di denaro deve essere uguale alla quantit delle merci, oppure alla quantit del lavoro. Alessandro annu; il daimon continuava a sorridere con gli occhi del re. E ditemi, amici, che cosa accadr se una quantit d'oro e d'argento grande come quella che abbiamo trovato verr coniata e messa in circolazione? Parmenion si pieg in avanti. Vuoi farlo davvero? Ma... una catastrofe! Avrai molto pi oro che merci o lavoro, e questo significa che tutto sar svalutato... i prezzi schizzeranno in alto come... come... come un falco lasciato libero! Alessandro rimase impassibile. E questo significa? Parmenion gemette. Non giocare alla levatrice socratica con un vecchio, ragazzo . Questo significa che i prezzi saliranno ovunque, il denaro perder il suo valore, la gente dovr pagare ogni cosa cinque o sei volte tanto... cinque o sei volte tanto rispetto a prima per il pane, per vivere! Alessandro sorrise. Non lo faranno, Parmenion. Non nei paesi che ci riguardano. Invieremo cereali verso l'Ellade, e verso la Macedonia. Ptolemaios si sollev dal grembo di Thais, come se fosse stato morso da un animale. Ah! disse, poi ricadde gi. Parmenion fiss il re. Non ti capisco. Improvvisamente Hephaistion inizi a ridacchiare: poi rise, rise fragorosamente. Gli altri guardavano verso di lui, turbati o meravigliati; tutti tranne Eumenes: lui ronfava, beatamente ubriaco. Soltanto Perdikkas parve comprendere qualcosa e inizi a sua volta a ridere piano.

Questa un'idea davvero potente, Alessandro disse. Parmenion continuava a scuotere il capo, senza fermarsi. Eumenes, svegliato dal silenzio, si guard tutt'intorno, disse: Cosa? e chiuse di nuovo gli occhi. Callistene sollev le mani intrecciate, come se sperasse di strappare una grande grazia a un dio. Perch, Alessandro? Perch prima distruggere il valore del denaro e poi regalare i cereali? Alessandro si volt verso di lui. Dimmi, chi ha il potere ad Atene, a Corinto, a Mileto? Il potere effettivo! Non i filosofi, nobile nipote dell'eccellente Aristotele. Non gli uomini che votano a favore o contro una decisione. No: i ricchi, che possono comprare i voti, e lo fanno. I ricchi, che decidono della guerra, della fame e della pace in base a ci che meglio per le loro ricchezze. I ricchi, che fanno in modo che le citt dell'Ellade siano eternamente in guerra tra loro, in modo che il prezzo dei frutti della terra salga insieme a quello delle armi che loro producono e forniscono. I ricchi, che non accetteranno mai un mutamento di questo stato di cose. E io, nobile Callistene, sono sul punto di cambiare tutto questo. Di cambiare l'ecumene. Tutti noi, amici, l'abbiamo gi trasformata. Siamo sul punto di costruire un impero fatto di molti paesi e di molti popoli, in cui si potr lavorare, commerciare, vivere e morire, come devono morire tutti gli esseri umani, ma senza guerre fratricide, sotto un unico governo. Un impero che pu essere stabile soltanto se distruggiamo le ricchezze e il potere dei ricchi, prima che possano impadronirsi dell'impero. Quelli temono sempre per le loro ricchezze e il loro potere, e hanno ragione di temere; che cosa sono mai, infatti, a paragone di quello che stiamo costruendo noi? Un lungo silenzio; Eumenes rutt e disse: Cosa?. Risate. Quando si furono placate, Alessandro prosegu. Questa stata una guerra che doveva mettere fine all'ingiustizia e cancellare l'onta; finora. Quando Serse mosse guerra agli elleni, distrusse molte cose, come noi, come tutti i guerrieri. Ma ha distrutto anche cose che non devono essere distrutte: cose sacre, boschetti, templi, altari. Ha portato via da Atene le effigi dei tirannicidi e io, che quelli chiamano un folle tiranno, restituisco loro le statue. Ora ci siamo vendicati. Come ci stato... ordinato. Un breve sogghigno. L'incarico della Lega corinzia stato eseguito. Oggi. Abbiamo saccheggiato la sacra Persepoli, l'onta cancellata. Parmenion chiuse gli occhi. Ho paura di quello che stai per dire mormor.

Alessandro lo sfior con uno sguardo obliquo. Davvero? Non ce n' ragione, padre mio Parmenion. Ekbatana stata occupata, come abbiamo appreso da Susa. A Ekbatana le strade si separano. Rimanderemo in patria tutti gli elleni, con onori e doni; soltanto quelli che si offrono volontariamente di restare con noi, lo faranno. Le truppe allestite dalle citt dell'alleanza tornano in patria, la parte ellenica della spedizione terminata, tutto il resto per noi. Per il re della Macedonia e dell'Asia, per il suo esercito glorioso, per i suoi amici e compagni. Parmenion disse, molto lentamente: Macedoni, s, e cavalieri persiani a Susa... e forse altri asiatici?. Alessandro mostr i denti. Macedoni, egizi, babilonesi, persiani, addirittura elleni, se lo vogliono, e fenici e medi e cappadoci. Ma non come truppe di una lontana alleanza o come prestito di un principe straniero, no. Come guerrieri dell'impero. In silenzio, un silenzio sbalordito e ammaliato, improvvisamente Thais si raddrizz sulla sedia. Come ateniese in questa nobile cerchia disse ad alta voce trovo che ci sia una ragione per festeggiare... la nascita di un impero immenso. E per festeggiarlo abbiamo bisogno di pi luce. Ptolemaios si raddrizz a sua volta e la fiss. Che cosa intendi dire? Thais indic l'enorme statua di Serse, gli ampi saloni, i templi e le mura del palazzo reale. Ritenete di esservi vendicati? Quelli hanno dato alle fiamme la mia citt, Atene! Drakon era appoggiato a un mucchio di borse e bisacce e aveva diviso il suo bicchiere con una persiana dagli occhi scuri. Alz lo sguardo, cerc il volto di Kleitos il Nero, quella sera silenzioso, gli strizz l'occhio e si schiar la voce. Vendicare Atene? disse. S, per l'occhio del falco e per l'occhio di civetta di Pallade! Vendetta, perch no? Alessandro trasal, ma non disse nulla. Improvvisamente Kleitos grid, del tutto a sorpresa e contrariamente alla sua consueta pacatezza: Vendetta? S, vendetta!. Alessandro alz le braccia. Piano, piano, non gridate cos. Che cosa avete in mente? Drakon sbuff. La guerra per porre fine a ogni ingiustizia, vero? Quelli hanno saccheggiato i nostri templi, e noi saccheggiamo i loro! Serse ha dato alle fiamme il nostro paese, e noi... ... non diamo alle fiamme questo paese, perch ora nostro. La voce di Alessandro era tagliente, ma Callistene vi colse, incredulo, come una sfumatura d'incertezza. Quasi una domanda. Dai fuochi pi vicini erano accorsi innumerevoli soldati, che

si accalcavano dietro al re e agli ufficiali. Callistene ud Ptolemaios mormorare: Vorrei che Demaratos fosse qui!. Non riusciva a comprendere come mai proprio ora il Lagide andasse cercando il corinzio, che si tratteneva a Susa o a Ekbatana, o chiss dove. D'un tratto Drakon ebbe in mano uno stelo, se l'infil in bocca, l'addent e parl attraverso l'estremit masticata. I templi e i palazzi, e il denaro. Fantastico. Posso dirvi una cosa? Si rivolgeva pi agli uomini nella penombra, dietro ad Alessandro, che al re o agli ufficiali. Vi ricordate di quei poveri disgraziati che i persiani hanno mutilato in modo che potessero lavorare ma non fuggire, n rivelare nulla? Che cosa c'entrano loro? Parmenion si era alzato in piedi; nella voce e nell'espressione dello stratega c'era una velata minaccia. Lascia fuori dal gioco i valorosi mutilati, medico. Drakon sorrise, senza togliersi lo stelo dalla bocca. Non ho nulla contro di loro, mio signore Parmenion. Al contrario. I medici e i sanitari hanno fatto di tutto per trasformare alcuni morti viventi in vivi mezzi morti. Che cosa c'entrano allora? grid Perdikkas rabbioso e quasi completamente ubriaco. Drakon si guard intorno. Ah. Aspettate un momento. Si fece largo tra la folla dirigendosi verso uno dei fuochi pi vicini, intorno al quale erano seduti ancora alcuni uomini, mentre la maggior parte di loro si era raccolta intorno al re. Si chin su uno di loro, sembr mormorargli o dire qualcosa, lo aiut ad alzarsi e gli porse la gruccia. Drakon e Xanthippos ritornarono al fuoco dov'era seduto Alessandro. Voi sapete come hanno ridotto questi uomini disse Drakon ad alta voce. Kleitos scosse il capo e batt le mani davanti al volto. Per Callistene le reazioni di alcuni macedoni diventavano sempre pi incomprensibili. Lo sapete, non vero? E' stato un lavoro accurato. Non vedo alcun motivo per non essere altrettanto accurati anche noi. Avete mai visto come fa a pisciare? Xanthippos aveva un aspetto molto migliore rispetto al primo giorno. Era stato lavato, rasato, vestito di nuovo, aveva mangiato bene per molti giorni. Drakon sostenne il mutilato, la cui orbita vuota sembrava ardere in modo irreale, mentre trafficava con l'unica sua mano sotto il chitone, poi si apriva il perizoma, lo lasciava cadere e lanciava un risolino stridulo. Gli altri gemettero. Un buon lavoro, non vero? disse Drakon tirandogli su il chitone in modo che si potesse vedere meglio.

Il basso ventre era ricoperto di cicatrici da taglio e di bruciature. Gli avevano strinato i peli del corpo, senza poi spegnere la fiamma, in mezzo alle cosce, da un'orribile zona cicatriziale rossa, penzolava una specie di tubo di budello di animale. Annodato. Con la sua unica mano Xanthippos sciolse il nodo; il tubo trem, si riemp, sembr ergersi proprio come un fallo e, con un getto di vapore, Xanthippos vuot la sua vescica. Scosse il tubo e lo riannod. Thais, con una smorfia di rabbia e di compassione sul volto, pos la mano sul grembo di Ptolemaios. Pover'uomo disse. Poi balz in piedi, strapp dal fuoco un ramo ardente e grid: Terminate il lavoro. La sua voce risuon tra i fuochi e venne amplificata dalle mura. Completate la vendetta! Date alle fiamme Persepoli! Gli uomini non ebbero un istante d'esitazione; strapparono ovunque rami e ceppi dal fuoco, accesero fiaccole; mille piedi e mille voci, grida e passi affrettati. Date tutto alle fiamme! I palazzi! I templi! Fuoco! Vendetta! Un esercito impazzito di fiamme ondeggianti si sparpagli, un mare di braci disperso che presto si sarebbe riunito. Thais si precipit nel palazzo strillando; gli altri la seguirono o cercarono obiettivi pi grandi, pi belli, pi lontani. Ptolemaios continuava a restare seduto davanti al fuoco; scosse lentamente il capo, un po' orgoglioso, un po' meravigliato. Che donna! Parmenion guard verso Alessandro, ma il re non si muoveva. Hephaistion balz in piedi come se volesse trattenere o riportare indietro tutti, poi alz le mani. Xanthippos aveva lo sguardo fisso nella notte, che diventava sempre pi luminosa; nel suo unico occhio danzavano le fiamme. Kleitos stava rannicchiato al suo posto, continuando a tenere le mani davanti al volto. Drakon annu, si chin sulla sua persiana che continuava a guardare impassibile il fuoco, pos il capo sulla sua spalla e inizi a singhiozzare. Callistene, senza guardare nessuno, mormor: Pazzia, pazzia macedone!. Ovunque la notte era rotta da grida, risate fragorose, scricchiolii sordi, richieste d'aiuto soffocate e dall'orrore che stava iniziando. Gli uomini correvano in ogni direzione. Uno dopo l'altro, gli edifici maestosi, rivestiti internamente di legno dagli intagli meravigliosi, iniziarono a bruciare. Parmenion, Hephaistion e Alessandro si fissarono l'un l'altro. D'un tratto Eumenes si sollev dal suo giaciglio e rutt.

E' gi mattino? chiese; poi vomit. Il volto di Parmenion era pieno di biasimo, disgusto e terrore per l'enormit della distruzione, che ormai non era pi possibile arrestare. La notte diventava pi luminosa, sempre pi luminosa; i primi tetti crollarono, abbattendosi sugli uomini che correvano. Danno alle fiamme le mura della notte, i bastioni dell'oscurit disse il vecchio stratega con voce tranquilla, come se pregasse; Callistene vide le lacrime sul volto di Kleitos, quando il Nero alz lo sguardo verso Parmenion. Riempiono di vergogna le trincee difensive del mattino. Non rester nessuna ombra a nascondere la nostra colpa. Si avvicin ad Alessandro, gli tese la mano e lo aiut ad alzarsi. Te ne pentirai, ragazzo. Avresti dovuto fermarli. E anche io. Fischi; alcuni uomini, che non avevano abbandonato i loro posti, giunsero di corsa. Parmenion indic Eumenes, un cadavere beatamente ubriaco. Portatelo via, fuori dalla citt, dove stanno i carri. Anche voi, via tutti. Presto qui brucer tutto. Soltanto allora gli altri compresero in quale pericolo si trovassero. Il lieve vento della notte era pi che sufficiente ad attizzare le fiamme sino a farne un mare che divora ogni cosa. Il palazzo reale, gli innumerevoli edifici costruiti l'uno accanto o dentro l'altro, si trovava all'interno di un ampio cerchio di altre case-il fuoco sarebbe saltato da un tetto all'altro e avrebbe distrutto l'intera citt: la citt attraverso la quale dovevano camminare, correre, precipitarsi, per raggiungere la pianura, le tende, le provviste d'acqua. Callistene vide Alessandro, in piedi davanti all'enorme Serse, alzare lo sguardo; sent il re dire: Khshayarsha, re dei re, luce del.... I pezzi di un edificio vicino si abbatterono fragorosamente e divorarono le altre parole; Callistene si pieg quando pezzi di metallo e frammenti di pietra sibilarono attraverso l'aria calda, fumosa, luminosissima. Si contorse, scosso dalla tosse. Poi ci fu soltanto fuoco, lamenti, grida, calore ardente, fumo fumo fumo, i piedi e lo splendore immortale.

11. Il giocatore d'Occidente.

Undici anni, o erano dodici? Kanopos non era cambiata molto: Dymas si ritrov subito a suo agio nelle sue viuzze. Alcune case non c'erano pi e al loro posto erano rimasti gli spazi vuoti. L'osteria... si ricord la notte della partenza, il vino e la musica, l'aulos doppio di Tekhnef, un canto che non aveva mai pi intonato, il coltello che si conficcava nella citara, le fiamme, l'omicidio e l'orrore, Kleonike torturata a morte, le navi da guerra di Carcedonia. L'osteria era andata bruciata, al suo posto era stato costruito un nuovo edificio con la stessa destinazione, ma l'oste era un altro. L'antica e ampia casa di pietra di Kleonike, come gli raccontarono alcuni canopi non pi giovani, aveva ospitato per anni il plenipotenziario delle truppe d'occupazione persiane e il suo stato maggiore: un elleno, naturalmente. Con uno squadrone di mille uomini per difendere la costa e il territorio del braccio canopico del Nilo: medi, cappadoci, lidi, battriani, babilonesi, arabi e cinque o sei tipi diversi di elleni. Proteggevano, percorrendola di tanto in tanto a cavallo la strada costiera verso occidente, tramite la quale si svolgeva il commercio terrestre con Cirene; presidiavano l'isola di Pharos e l'antica Rhakotis, sul lago di Mareotis, centoventi stadi a ovest di Kanopos, dove si produceva un buon vino; la maggior parte, nella fortezza sulla sponda orientale del braccio della foce, sorvegliava la costa e i canali tra la regione canopica e il successivo braccio principale del Nilo sul quale, pi a valle, sorgeva il grande porto di transito di Naukratis. Passato. Adesso nella casa di Kleonike abitava il sottostratega macedone, che aveva il grado di pentecosiarca. Gli oltre cinquecento uomini che erano ai suoi ordini avevano gli stessi compiti della truppa persiana multietnica che li aveva preceduti: Pharos, Rhakotis, la costa, le strade, i

canali. C'erano elleni di cinque o sei tipi diversi, alcuni macedoni, traci, illiri, cappadoci, lidi e anche, ultimamente, alcune dozzine di indigeni: egizi, elleni, meticci, tre etiopi scuri, due augili banditi dalla loro patria nel deserto. L'incipiente inverno egizio assomigliava a una mite estate macedone. Soltanto le propaggini delle tempeste sul mare e il fatto che, per via dei venti violenti in quella stagione, solo pochi mercantili si azzardavano a fare vela verso Kanopos attraversando il mare aperto, rendevano queste lune diverse dalle altre. Dymas ripensava a quell'inverno tra i monti della Tessaglia con un lieve fremito di nostalgia, un senso di perdita e molti interrogativi. La roccaforte, la neve, Tekhnef e Jason... L'ultima visione notturna era incancellabile, come marchiata a fuoco; dopo di che tutto svaniva. Qualcuno che non era Dymas girovagava per la regione coperta di neve, aveva deliri febbrili e si risvegliava... no, era un altro quello che si risvegliava a Dyrrachion, nel cortile di Aristippos. Un altro ancora: non il Dymas di prima, non l'uomo malato, smarrito, derubato. Nelle osterie di Kanopos, poi a bordo delle navi che navigavano sul Nilo e sul dorso di un cammello nel deserto egizio, continuava a scavare nel suo intimo, sebbene non fosse propenso all'introspezione. Probabilmente non avrebbe mai capito che cosa era realmente accaduto. Quanto pi ripensava alle cose, le rivoltava dentro la sua mente, tanto meno riusciva a risolvere gli enigmi e tanto pi si avvicinava a un atteggiamento che detestava, perch non poteva credere a nulla di tutto quello che comportava. Quell'atteggiamento che riconduce l'incomprensibile fortuna o sfortuna all'azione di potenze oscure, di divinit olimpiche e non. Ma quale dio avrebbe mai dovuto punirlo in quel modo, e per che cosa? Poi ripercorse a tentoni il passato. Quando, nel corso inferiore di un fiume, l'acqua oltrepassa l'argine, la conclusione evidente che ha piovuto nel corso superiore. Nella ricerca del corso superiore e della pioggia, giunse fino alla notte che aveva preceduto la battaglia del Granico. In quella notte lui e Tekhnef avevano suonato forse la musica migliore che potessero suonare. In quella notte Tekhnef aveva disdegnato il re. In quella notte Alessandro l'aveva... s, cosa? Incantato, trasformato, ridotto a una marionetta? Era stato Alessandro oppure un daimon che il re ospitava e che esisteva tanto poco quanto le divinit olimpiche? Oppure il re era

contemporaneamente un essere umano e un daimon? In quella notte, o almeno questa era la conclusione ultima di Dymas, il re lo aveva posseduto: spiritualmente visto che non era riuscito a possedere Tekhnef fisicamente. L'aveva posseduto come se fosse stato un giocattolo fatto di diverse parti di legno; aveva smontato il giocattolo, gettato in aria le singole parti come un giocoliere, le aveva rimesse insieme diverse volte, con risultati sconvolgenti (sconvolgenti per il giocattolo, non per il giocoliere), e alla fine aveva ricostruito il giocattolo in modo corretto. Ma... mancava qualcosa e forse c'era anche qualcosa di troppo. Da quella notte era cambiato tutto, dapprima in modo impercettibile, poi sempre pi evidente. La musica era peggiorata sino al punto che, a Larissa, Dymas non era stato pi in grado di suonare neppure semplici melodie ballabili che semplice gente di campagna potesse stare ad ascoltare, o quantomeno sopportare. Dymas era andato in pezzi: citarista, cantore, viaggiatore, informatore segreto, uomo, fino a smettere di viaggiare per lasciarsi trascinare, fino a che le macchinazioni delle spie e dei loro capi supremi l'avevano riempito di orrore e di disgusto, fino a che il coraggio e la forza virile l'avevano abbandonato, fino a che non era rimasta, da qualche parte dentro di lui, che una creatura piagnucolante che si occupava delle misere faccende della mera sopravvivenza. Poi pens a Olympias: regina, sacerdotessa, strega... a quel che si diceva. Etra. Arpia assassina, maestra di sordidi intrighi. Questo e altro ancora. In ogni essere umano c'erano numerose nature... da sviluppare o da reprimere, da suddividere o da riunire in modo armonico, da usare o abusare. Cinque, sette, dieci, forse pi, forse meno. Quante anime, quante nature era stato Arridaios, prima che Olympias lo avvelenasse quando era ancora piccolo, in modo da trasferire ad Alessandro la sua possibile aspirazione al trono? Arridaios poteva giocare la parte del demente per sopravvivere, ma era qualcosa di diverso: un'unica natura perspicace, dura, inflessibile, senza ombre n anfratti, e questa natura voleva persistere. Forse che Olympias aveva trasferito ad Alessandro, insieme all'aspirazione al trono, le altre nature che un tempo Arridaios aveva posseduto? Alessandro, re dei macedoni, signore delle diecimila nature tutte con una parte luminosa e una oscura: diecimila per due anzi di pi, perch tutte possedevano gradazioni, sfumature, sottigliezze sorprendenti e potevano fondersi con le altre.

Lui le dominava, oppure erano loro a dominarlo?

Forse che il re aveva smontato e ricomposto Dymas per privarlo di qualche cosa di cui aveva bisogno lui stesso, oppure di cui aveva pi bisogno di tutti gli altri? Un'entit misteriosa, incorporea, una sostanza per dominare le diecimila nature? Una sostanza la cui mancanza faceva s che le cinque o sei nature di cui era composto Dymas non si riuscissero pi a dominare, si separassero l'una dall'altra come le ruote di un veicolo quando qualcuno svita il perno che le tiene unite? Questa folle riflessione conduceva ad altre che Dymas non avrebbe voluto proseguire, ma che si sviluppavano come per proprio conto. Di Hephaistion si diceva che, certo, era sempre stato un figlio superbo della nobilt macedone, ma che negli ultimi anni lo era diventato sempre di pi. Degli altri giovani uomini, gli etri del re, gli ufficiali dell'esercito, si diceva che cambiavano pi rapidamente di quanto fosse normale, persino a fronte di esperienze cos intense in un tempo tanto breve. Che cosa faceva Alessandro ai suoi compagni? Che cosa accadeva a Hephaistion, quando divideva il letto con il re? Che cosa faceva Alessandro agli uomini dell'esercito? Dymas continuava sempre a ritornare a questi pensieri, fino a sentirsi come una mucca rigonfia che non possedesse l'intestino e per questo fosse condannata a ruminare in eterno ci che le altre, dopo un tempo opportuno, eliminano e dimenticano. In quanto artigiano dei suoni e delle parole, sapeva che si pu ripetere una parola qualunque, per esempio "luna", fino a che non significa pi nulla, fino a che non resta pi neppure il disco notturno crescente o calante, ma soltanto suoni vuoti. Forse che lui stesso non aveva detto milioni di volte "Dymas", tra Abydos e Larissa, fino a che non ne era rimasto pi nulla? C'era qualcosa che lui, da artigiano dei suoni e delle parole, conosceva e apprezzava o disprezzava in base all'impiego: le simmetrie. La costruzione e decostruzione simmetrica di un verso, le variazioni, i rispecchiamenti e le ripetizioni di note, il ritorno dello schema di base in una storia? In un'immagine, in un tappeto artistico? S, ma non nella realt. Troppo multiforme, troppo complicata, troppe persone e circostanze. Somiglianze, ma nessuna ripetizione precisa. O forse s? Forse che tutte le

cose che aveva vissuto, provato, subto, di cui si ricordava in modo chiaro o confuso, che confessava a se stesso o che aveva registrato in forma scritta per Aristotele, erano realmente accadute, realmente accadute cos, oppure la sua memoria cos fantasiosa le aveva modificate in modo che corrispondessero alle consuete simmetrie dell'artigiano dei suoni e delle parole? Un macedone, disdegnato da una donna nera, smonta l'ingranaggio di nome Dymas e lo rimette insieme in modo non del tutto esatto, per cui la macchina Dymas non funziona pi a dovere, va in pezzi... e tutto questo ha inizio a Oriente e termina a Occidente, proprio la notte in cui un macedone maltratta una donna nera che forse lo ha disdegnato e ferito; e la macchina Dymas uccide il macedone e, nella stessa notte, gli ingranaggi tornano a coincidere: verit, realt, follia? Il paese del Nilo celava anche tutti i ricordi agrodolci di Tekhnef, l'inizio e inevitabilmente la fine. Lei non era stata cambiata. Forse Alessandro non aveva cercato davvero di trasformarla, di influenzarla; forse la sua magia funzionava soltanto con gli uomini; forse le donne erano perfettamente in grado di resistergli. Ma lei aveva amato una persona di nome Dymas, musico, uomo, spia e quant'altro, e questo uomo si era trasformato in una macchina rotta, nella quale nulla pi funzionava a dovere. Se lui avesse perduto il dono della musica, se qualcuno lo avesse reso un eunuco, lei sarebbe rimasta con lui sino alla fine: di questo Dymas era certo. Ma non ne era rimasto pi nulla, al massimo un involucro vuoto; nulla oppure Nessuno. E nessuna persona pu vivere con un nulla o un Nessuno, senza annichilirsi a sua volta. Ma tutti questi pensieri, nati e cresciuti a poco a poco, erano sbocciati soltanto nel corso delle lunghe lune che Dymas trascorse nel paese del Nilo e, quando sfoggiarono la loro piena fioritura, non emanavano alcun profumo, ma un puzzo nauseabondo.

All'inizio aveva avuto i suoi buoni motivi per voler essere il musico girovago Argos. Ma, nelle prime osterie di Kanopos in cui si rec, qualcuno lo riconobbe come Dymas, il cantore e citarista che era scomparso pi di dieci anni prima. Non fu possibile impedire che alcuni ufficiali macedoni

l'ascoltassero e venissero a sapere il suo nome; decise cos di non suonare troppo bene, affinch quelli non avessero motivo di elogiarlo per tutto il paese. Il re, che non voleva assolutamente rivedere, si tratteneva a Menfi, dove l'avevano fatto faraone. Dopo due lune Kanopos l'annoi; Dymas s'imbarc su una lenta nave da carico a vela che risal il braccio canopico del Nilo e poi, attraverso uno degli innumerevoli canali verso est, arriv al braccio naucratico della foce. Fu una partenza opportuna, come venne a sapere in seguito. Mentre lui scivolava davanti a infinite selve di giunchi e villaggi di fango, il re aveva deciso di gettare a terra il suo mantello da battaglia non lontano da Kanopos e di far costruire una citt, fedele ai contorni della chlamys distesa, che avrebbe dovuto portare il suo nome: Alessandria. Aveva visto Kanopos, cavalcato lungo la lingua di terra verso occidente, bevuto il vino prodotto dai vigneti piantati sulle rive del lago di Mareotis, si era goduto il vento fresco del mare. L'antica Rhakotis sarebbe diventata un sobborgo e pi tardi probabilmente una parte della nuova citt, e l'isola di Pharos avrebbe dovuto essere collegata alla terraferma mediante un argine, ai due lati del quale sarebbero stati ricavati due grandi bacini portuali. Era un buon piano, un progetto audace e grandioso, e per Dymas aveva inoltre l'ottima caratteristica di essersi sviluppato in sua assenza. Naukratis... L aveva conosciuto Kleonike e Tekhnef e l'amministratore malinconico, il cui nome non gli voleva tornare alla mente. Non gli ci volle molto per ricordare il canto che gli avevano donato i rematori sul Nilo e lo cant nell'osteria in cui l'aveva cantato a suo tempo. L'oste, divenuto pi vecchio, se lo ricordava; le fanciulle, diverse rispetto ad allora e terribilmente giovani, apprezzarono la musica e una di loro, una cretese con i capelli scuri e gli occhi verdi, aveva piedi freddi che lo rallegrarono in alcune notti bollenti. /..

Danza macabra mano che rema

vado verso gli inferi

finalmente mi riposo

spezzo il manico del remo

danzo la danza macabra danza macabra mano che rema... La macabra danza canopica fece sgorgare altri ricordi cupi; Dymas li represse. I macedoni, presenti anche a Naukratis, dissero che Alessandro si dirigeva verso occidente lungo la via costiera per giungere a Paraitonion, da dove inoltrarsi verso l'oasi di Ammon. Dymas colse cos l'occasione per risalire il fiume insieme a un mercante di cereali sino a Menfi, dove tuttavia non arriv. A una giornata di viaggio dalla capitale sent che Alessandro vi era atteso nel giro di uno o due giorni. Con la sua musica non aveva guadagnato molto, ma neppure poco: abbastanza per farsi portare da un pescatore fluviale sino alla riva orientale del Nilo e l acquistare un cavallo scadente. Dentro di s maledisse Alessandro per non aver potuto visitare i templi, le osterie e le piramidi. Al loro posto vide altre cose: la vita, il lavoro e la morte sul fiume; un tramonto dai mille colori in mezzo alle nuvole temporalesche in dissolvimento, su campi coltivati che, per via dell'inizio della piena estiva del Nilo, si erano trasformati in una distesa infinita d'acqua; il cavallo scadente e per di pi stupido, fatto a pezzi da due coccodrilli; l'orizzonte oscillante dal dorso di un cammello e, alla sera, le ramificazioni delle fiamme nel fuoco che veniva alimentato con gli escrementi di quegli animali; mille altri templi e citt; l'inizio della fine della grande liberazione, quando gli egizi parvero comprendere che i macedoni trasformavano il paese, sia pure in modo meno radicale e meno crudele rispetto ai persiani ma che comunque anche loro vi avrebbero instaurato un dominio straniero; il passaggio violento, quasi privo di crepuscolo, dal giorno alla notte, che aveva quasi dimenticato nel corso degli anni e che continuava sempre a sbalordirlo. Il suo egizio, tanto a lungo inutilizzato, riprendeva vita ogni giorno di pi; il sole lo abbronzava, gli sbiadiva i capelli e spegneva, o quasi, i ricordi degli inverni in Tessaglia e altrove. Ovunque, anche nei villaggi sperduti dell'Alto Egitto, si muovevano gli ingranaggi dell'amministrazione, costruiti secoli prima, perfezionati, distrutti, ricostruiti e fatti funzionare da egizi, etiopi e cusciti, poi per lunghi anni da elleni e arabi stipendiati, poi nuovamente da egizi al servizio dei persiani, dai persiani, di nuovo dagli egizi, di tanto in tanto di nuovo da elleni o da altri stranieri, ancora una volta dai persiani e dai loro servitori egizi, e ora da elleni e macedoni, che si erano impadroniti delle antiche vie e procedure, dopo aver licenziato o allontanato tutti i

persiani. E poich gli esattori delle tasse macedoni o elleni erano in giro ovunque, spesso protetti da piccoli reparti di truppe, Dymas venne a sapere le notizie importanti: la partenza di Alessandro per Babilonia, la rivolta del Peloponneso contro i macedoni, guidata dal re di Sparta Agis. Quando inizi l'autunno, Dymas si un a una carovana di asinai che attraversavano il deserto in direzione nordovest: uomini provenienti dall'Arabia, da Saba, dal Kusch. Trasportavano l'incenso per i templi e per i bracieri dei ricchi mercanti nel regno dei carcedoni. Non giunsero fino a Carcedonia: a Sabrata, dove i fenici occidentali mantenevano truppe e doganieri, un mercante acquist l'intero carico risparmiando loro il resto del cammino, nonch il dazio. E privandoli di una parte del guadagno, immagin Dymas, perch a Carcedonia, o in un altro centro importante del cuore del paese, avrebbero potuto realizzare certamente molto di pi rispetto a quanto offerto dal mercante. Dal porto di Sabrata un elleno sensibile alla musica, la cui famiglia viveva da quasi cent'anni a Carcedonia, lo port con s nella pi grande citt dell'ecumene. Il carico della sua imbarcazione consisteva di vino cirenaico, alcune balle di silfio e una grande quantit dell'incenso con cui Dymas aveva viaggiato sino a Sabrata. In un certo senso, fu come ritornare a casa. Aveva messo piede per la prima volta nel paese dei libifenici, a oriente della grande citt, a sette anni, da schiavo. A volte cercava di legare cronologicamente gli avvenimenti della sua vita e quelli dell'ecumene: l'inizio della sua schiavit e la morte di suo padre dovevano essersi verificati tre o quattro anni prima della presa del potere in Macedonia da parte di Filippo... forse nell'ultimo anno di vita del grande tebano Epaminonda. Possedeva ancora ricordi sbiaditi degli ampi terreni fertili lungo la costa orientale carcedone presso Hadrymes: le coltivazioni di verdura e di frutta, quest'ultima di innumerevoli generi sconosciuti nell'Ellade, e con ingegnosi sistemi d'irrigazione che nell'Ellade si potevano soltanto sognare; le case di campagna bianche, all'ombra di pini e cipressi, placida vecchiaia e grazia naturale all'esterno, ma dentro ricchezza sfarzosa e crapula; i granai pieni, i campi di cereali ondulati, gli ulivi e i vigneti; i prati verdi pieni di bovini e di capre, i pascoli che brulicavano di cavalli... Aveva trascorso due anni sui campi di un grande podere, altri due anni nelle officine dove doveva realizzare e intagliare cassapanche e cassette con estrema finezza. Poi altri due anni di lavori artigianali e di musica

tra le case dei signori e i palazzi, le mura e le boscaglie, i pascoli, gli orti, i cedri, i cipressi del ricco e verde sobborgo settentrionale di Carcedonia, Megara, dove viveva Adherbal quando non era in giro per il mondo a promuovere gli interessi di Carcedonia e a dirigere i suoi mille informatori. Dymas non aveva saputo nulla di tutto questo; solo a poco a poco gli era divenuto chiaro che Adherbal non era un semplice grande proprietario terriero, per quanto ricco e potente. Il signore dei cavalli. Lui, o i suoi uomini, il che era lo stesso, aveva compreso le doti di Dymas, le aveva coltivate con discrezione, lo aveva venduto al corinzio Demaratos, che naturalmente era solo un mercante nello stesso identico modo. Aveva tredici anni: era quello l'anno in cui Filippo si era unito in matrimonio con Olympias? Un anno prima della nascita di Alessandro? Poi, cinque o sei anni dopo, quando Filippo aveva sconfitto i focesi, un primo ritorno a casa - perch era un ritorno a casa: della squallida Herakleia, dove era stato messo al mondo come siceliota, non aveva praticamente ricordi - e il primo incontro con il successore di Adherbal moribondo, Hamilkar, che l'aveva messo in contatto con Bagoas il Sano, capo degli informatori persiani. Allora il persiano aveva circa trent'anni, ora doveva averne cinquantuno o cinquantadue, e il suo antagonista carcedone cinque o sei di meno. Dymas sospir; anche lui, infatti, avrebbe compiuto presto quarant'anni. Non aveva pi visto Carcedonia da oltre venti, ma i luoghi che aveva visitato, conosciuto, conservato dentro di s allora, non erano cambiati. La citt esisteva da quasi cinquecento anni; da quasi trecento dominava il mare occidentale, la parte occidentale della Sicilia, la selvaggia Sardonia, la Libia settentrionale fino alle Colonne d'Eracle, che l chiamavano Colonne di Melqart, dove terminava il mare e iniziava l'Oceano, l'Iberia meridionale, chiss quali oscuri territori costieri, sulle rive dello stesso Oceano, dove c'erano oro e zanne d'elefante, e probabilmente luoghi ancor pi remoti, sui quali i grandi mercanti mantenevano il silenzio in modo che nessuno oltre a loro cercasse la via per raggiungerli. Le colonne dei grandi templi, le mura maestre dell'edificio del Consiglio, le prime case signorili erano state erette in un'epoca in cui Atene era un villaggio fortificato di forse cinquemila abitanti e i re di Sparta conoscevano ancora per nome ogni porcaro del loro paese. La sola antichit di Carcedonia ricordava al musico che anche

lui era diventato pi vecchio. Riprov i suoi sentimenti di allora: aveva amato la prospera e insieme severa Megara, gli piacevano quartieri abitati dai meteci elleni, dai libi e da mille altri popoli. Le parti antiche della citt, che non erano formalmente riservate ai carcedoni ma nelle quali vivevano soltanto carcedoni, gli erano apparse tetre, minacciose, ripugnanti. A tutti i non fenici gli immediati dintorni del tempio di Baal, con l'antichissimo tofet, infondevano un senso di disagio, anche se laggi da oltre cent'anni il sacrificio del mulk non veniva pi celebrato con bambini vivi ma nati morti oppure morti precocemente per malattie. Ma era un luogo in cui potevano entrare solo i carcedoni, una sorgente di luce nera che per gli stranieri oscurava ogni cosa tutt'intorno. Quell'oscurit era tuttora percepibile, ma le altre parti antiche, all'epoca quasi altrettanto tetre, ora a Dymas apparivano quasi belle. Cerc nella mente le parole per esprimere le sue sensazioni: tranquillit, dominio di s, reverenza o venerazione per l'antichit, il carattere edificante di quelle forme severe... Solo a poco a poco si rese conto che il cambiamento delle sue sensazioni dipendeva da lui, non dal tempo o da inesistenti modifiche costruttive. Lui era diventato pi vecchio e sapeva apprezzare le cose vecchie e durevoli, l'impronta della storia che un tempo aveva disdegnato: un tempo, quando era giovane e cercava cose giovani, appena sbocciate, fiorenti. Davanti allo stretto accesso del porto li fecero attendere per una mezza giornata. Finalmente sal a bordo un rappresentante delle autorit doganali, si accert che tutti i sigilli fossero a posto, che il proprietario della nave godesse del diritto di cittadinanza a Carcedonia, che a Sabrata fosse gi stato riscosso il dazio di quattro centesimi del valore delle merci. Ancora un controllo, ancora un sigillo; poi poterono entrare nel porto commerciale, un grande bacino rettangolare con depositi, officine, cantieri e case commerciali. A nord del bacino c'era il passaggio proibito verso il porto militare di forma circolare, bloccato da porte di bronzo sopra e sotto la superficie dell'acqua. Dymas prese il suo scarso bagaglio (una sacca di cuoio con gli abiti e altri oggetti personali, la bisaccia con le monete e la borsa di pelle con la citara) e scese a terra. Respir il sudore dei portatori, l'odore delle prostitute, l'incredibile mistura di legno umido, acqua salmastra, pesci vivi e morti, pece, cuoio, tessuto da vela, metalli e fuoco, gli odori delle botteghe e dei magazzini in cui erano ammucchiati cibi di ogni

genere e migliaia di merci. Era l'odore di casa... strano, dopo tutti quegli anni; e quell'odore gli fece venire le lacrime agli occhi. Dymas cambi le sue monete da un cambiavalute carcedone: in quel ramo c'erano anche elleni e altri meteci, ma non erano controllati dal Consiglio. Possedeva ancora quasi milleduecento dracme, una somma notevole eppure insignificante, a paragone delle sue ricchezze precedenti. Decurtati dalle consuete imposte, ricevette in cambio meno di settecento sigloi: si ripromise di iniziare sin da subito a parlare (e a pensare) di nuovo in fenicio occidentale: shiqlu anzich sigloi; intasc le monete e lasci il porto. Si inebri per giorni della citt, delle piazze, delle osterie, dei venditori d'acqua con i loro asini carichi di otri, delle gabbie piene di cani da ingrasso (era per loro che giungevano in citt martore e donnole), delle case chiare e scure di mattoni, di legno o anche di pietra, del muro marittimo grigio chiaro, quasi bianco, con le commessure rosso scuro, dell'imponente triplo muro dell'istmo, che rendeva Carcedonia inattaccabile dalla parte dell'entroterra, delle innumerevoli sfumature della pelle, delle lingue e dei costumi. In un'osteria economica della parte meridionale della citt, sul piccolo porto del lago di Tynes trov una stanza piccola e non troppo sudicia, pag dieci shiqu per una luna e percorse a piedi la citt. In seguito fece sentire la sua musica all'oste della casa dei mercanti di vino, a sud della collina di Byrsa, nei pressi dell'agor, e si accord con lui per una stanza luminosa al quarto piano, buon cibo e vino in abbondanza in cambio ogni sera avrebbe suonato la citara nella sala da pranzo, sperando che i ricchi mercanti deponessero qualche moneta nella coppa di bronzo. Fu un inverno mite e un buon periodo. Dymas suonava ogni sera, per non pi di un'ora e mezzo o due; ogni sera gli ospiti, non solo carcedoni e non solo mercanti di vino, lasciavano monete d'argento nella sua coppa, in media circa due shiqlu ogni volta. Lui mangiava e beveva bene, dormiva molto, durante il giorno girovagava per la citt, componeva nuove melodie, ideava nuovi versi che non trascriveva mai, oppure leggeva i rotoli che si potevano trovare presso i mercanti di libri. Trascorse alcune notti, dopo aver suonato, insieme a un'elima, nata in un villaggio presso Lilybaion, che lavorava presso un macellaio carcedone e una volta gli mostr con quale velocit sapesse ammazzare, privare delle interiora e fare a pezzi un cane da ingrasso. Questo in qualche modo lo nause: si separarono da buoni amici.

Alcuni ospiti venivano piuttosto spesso, tra cui un fabbricante di armi di nome Baalyaton, che una volta "prese in prestito" Dymas dall'oste affinch allietasse con la sua musica una festa con amici mercanti nella sua casa di citt. Di tanto in tanto dall'Oriente giungevano notizie dalle quali tuttavia Dymas non si sentiva molto coinvolto. Si diceva che Alessandro avesse vinto una grande battaglia e conquistato Babilonia; forse sarebbe avanzato perfino verso la Persia. Simili resoconti eccitavano gli elleni della citt, mentre i carcedoni parlavano pi spesso di questioni riguardanti altre parti del mondo: per esempio dei nuovi contrasti tra mercanti e nobili da una parte, e democratici dall'altra, a Siracusa; temevano che, in caso di presa del potere da parte dei democratici, l'equilibrio faticosamente raggiunto appena otto anni prima tra la Sicilia occidentale carcedone e le citt siceliote elleniche, sarebbe stato compromesso. Anche questo lasciava Dymas indifferente. Prevedeva che, prima o poi, avrebbe sentito parlare di Hamilkar, in un certo senso voleva addirittura fare in modo che questo accadesse, altrimenti sarebbe rimasto rintanato nei quartieri non carcedoni, anzich suonare in modo cos notevole in un luogo frequentato soprattutto da mercanti carcedoni. Tuttavia, fino a quel momento, auspicabilmente lontano, non voleva conoscere in modo troppo preciso tutto ci che aveva a che fare con la sua antica occupazione secondaria. Poi l'oste acquist una nuova schiava per il locale, una giovane ibera di nome Tyuga. Proveniva dall'entroterra di Gadir, aveva i capelli scuri, lunghi sino ai fianchi, gli occhi caldi e i pi bei lobi delle orecchie che Dymas avesse mai visto. Il suo nome, disse lei, nella lingua del suo popolo significava femmina di poiana. Quella sera Dymas scambi alcune parole con l'oste per scoprire quali intenzioni nutrisse il carcedone riguardo al modo in cui impiegare questa sua propriet. Mentre suonava la sua musica (una buona musica, come trov lui stesso senza falsa modestia) osservava la donna che serviva ai tavoli cibi e bevande, sostituiva le fiaccole consumate con altre nuove, riempiva d'olio le lampade: sembrava provare piacere per la musica. Dymas rimase nella sala da pranzo pi a lungo del consueto, anche quando ormai non c'erano quasi pi avventori, e s'intrattenne con l'ibera il cui fenicio occidentale era perfetto quasi quanto i suoi denti, la sua pelle e il suo alito. La sera dopo Dymas cant una nuova canzone che venne accolta dagli avventori con entusiasmo e che indusse a un lungo sorriso Tyuga, la poiana gadira. La musica era ispirata a

quella di una ballata lidia: la melodia iniziava in modo vivace, diventava sempre pi malinconica e alla fine precipitava in note profonde, minacciose, di una semplicit un po' affettata, per poi spiccare il volo come un uccello. All'inizio Dymas suon la melodia a una sola voce, poi a due voci, alle quali poi sovrappose armonie prima piacevoli, poi sorprendenti. /.. Mai pi le donzelle con voci amorose, la pelle celata e la lingua di fuoco m'attireranno. Uccello di ghiaccio vorrei essere, in mura di vento affondare; diventare poiana, schernire le nuvole nel rumore dell'aria, femmina di poiana nel volo di fuoco impalmare. Nell'aria calda dei fuochi mezzi spenti e delle luci nella sala da pranzo e nella cucina, quella notte la femmina di poiana sal fino alla sua camera al quarto piano; prima del volo, davvero di fuoco, s'infil un dischetto flessibile di resina e pelle di pesce per prevenire, come disse, le conseguenze dell'accoppiamento. Il giorno dopo si procur erbe e semi di piante, che fece bollire nell'acqua con un po' di vino e qualche goccia di olio di sesamo. Il decotto, che veniva ripetutamente riscaldato, dopo alcuni giorni perse tutto il suo potere letale e dovette essere preparato da capo, perch Tyuga potesse intingervi la spugnetta e poi infilarsela nel grembo. Aristotele sarebbe stato sicuramente interessato alla sua composizione precisa, pens Dymas; ma un preparato simile era conosciuto anche nell'Ellade e, quando si fece dire da Tyuga i nomi delle erbe, ne dimentic la met prima di avere a portata di mano l'occorrente per scrivere. In ogni caso aveva un odore e un sapore dolce ed eccitava a quell'atto di cui impediva le conseguenze. Fu un legame spensierato, che non caus mai problemi. L'ibera, pi allodola che uccello rapace, godeva e faceva godere ma non possedeva alcuna profondit, oppure la teneva nascosta. Dymas aveva difeso le sue profondit, che per lui erano abissi labirintici, dal mostro che vi stava assopito con un tappeto di chiodi e le teneva separate da se stesso e dagli altri con un muro di distacco assoluto. Anche l'oste, dopo qualche rimostranza, si disse d'accordo su tutto. I figli di una schiava di sua propriet avrebbero accresciuto il suo benessere e la sua ricchezza; il padre di questi possibili figli avrebbe potuto, in quanto uomo libero,

contendergli legalmente la prole; meglio che tale prole non nascesse affatto. Meglio una schiava allegra, che aveva acquistato per tre mine (centottanta shiqlu) e serviva i suoi ospiti di buon umore e ben pasciuta, contribuendo cos al suo benessere; meglio un musico felice, le cui note stimolavano gli avventori a trattenersi pi a lungo e a bere di pi, che litigi e malumori. Quando venne la primavera e il caldo cominci a farsi sentire (nell'Ellade segnava l'inizio dell'anno nuovo a Carcedonia che impiegava l'antico calendario babilonese-fenicio, la met dell'anno), Dymas si sentiva ormai parte dell'arredamento della casa dei mercanti di vino, come i tavoli e il focolare. Erano pi di tre lune che vi suonava; da quasi tre lune divideva le notti con l'ibera. Con il cambiamento degli odori dell'aria, con l'aumento delle grandi navi mercantili straniere dopo la fine delle tempeste invernali, con i volti sconosciuti nel porto, che ora frequentava pi spesso, e soprattutto con la constatazione che da diverse lune aveva percepito l'odore della salsedine senza tuttavia notarlo, fu colto dall'irrequietezza. Era tempo di iniziare qualcosa di nuovo, di muoversi, di viaggiare, di organizzare diversamente le giornate e le serate; se fosse stato possibile, in qualche modo, conservare cos le notti...

La sua musica non pat assolutamente l'irrequietezza; al contrario, divenne pi precisa, pi netta, pi violenta, talvolta perfino pi malinconica. In una di quelle prime serate primaverili, quando la maggior parte degli avventori se n'era gi andata, il mercante di armi Baalyaton invit il musico al suo tavolo dove aveva discusso, insieme a un carcedone grasso che possedeva numerose tessiture di lana, e ad alcuni esperti minerari, la possibilit di riaprire gli antichi giacimenti di ferro in un'oasi libica, di suddividere le spese e di raddoppiare i guadagni. Dymas accett l'invito, bevve il vino squisito, scambi con gli altri storie sui deserti dell'animo umano, sulle steppe dello spirito e le oasi delle vendite. A poco a poco gli altri se ne andarono, sino a che rimase solo con Baalyaton. Il carcedone, che aveva bevuto poco, lo fiss per qualche

tempo in silenzio. Musico disse poi a mezza voce. Uomo dalle numerose virt e dai molti passati: Hamilkar di nuovo in citt e vuole parlare con te. - Dymas si limit ad annuire: prima o poi doveva accadere, e perch stupirsi del fatto che il mercante d'armi fosse pi, e altro, di quel che sembrava? Quando? Dove? Domani. Ha alcune discussioni nell'edificio del Consiglio e gli piacerebbe vederti verso mezzogiorno nell'agor, davanti all'ingresso principale. Si riconobbero entrambi immediatamente, nonostante i molti anni trascorsi dall'ultimo loro incontro. Hamilkar indossava la solita veste di lana lunga sino al polpaccio e un berretto con i ricami d'oro; il bordo di porpora e la qualit dei filati testimoniavano la sua condizione di benestante e la larga cintura di cuoio che gli chiudeva l'ampia veste intorno alla vita non lasciava scorgere alcuna traccia di grasso. Le spesse suole di sughero dei sandali facevano sembrare il carcedone ancora pi alto e pi snello. Con i suoi sandali bassi, il semplice chitone e senza gli orecchini che a Carcedonia erano usuali tra gli uomini, Dymas appariva straniero e povero. Hamilkar annu e strinse brevemente il polso destro di Dymas: questo fu tutto il suo saluto. Grazie di essere venuto. Dobbiamo parlare.. dove? Si guard intorno, esit, pass in rassegna Dymas con un'occhiata e poi si strinse nelle spalle. Ma si, perch no? Vieni con me. Si volt e sal nuovamente i gradini dell'edificio del Consiglio che aveva appena disceso. Dymas lo segu con sentimenti contrastanti. Gli stranieri, se non erano ambasciatori, non potevano entrare in quel palazzo; in realt l'accesso non era permesso neppure ai meteci e agli altri indigeni che non fossero carcedoni. Hamilkar doveva essere davvero importante, se poteva passare sopra a simili prescrizioni. Al primo piano dell'antichissimo edificio, all'interno quasi spoglio, il carcedone lo condusse in una stanza da lavoro luminosa e arredata in modo funzionale: scaffali pieni di rotoli, due tavoli, due giacigli, numerose seggiole, il consueto assortimento di materiale per scrivere. Quando si furono seduti, Hamilkar pos le mani intrecciate sul piano dello scrittoio. Immagino che tu voglia mangiare qualcosa per pranzo. Quando avremo finito qui, voglio che tu sia mio ospite. Ma innanzitutto le cose pi importanti, che vorrei discutere senza essere ascoltato. Dymas annu e rimase in attesa. Che cosa sai degli avvenimenti in Oriente? Non molto...

qualche voce. Sono un musico, come sai, non un, ehm, informatore remunerato, che tenuto a interessarsi di politica. Hamilkar rise . Come si cambia, elleno. Tuttavia certe cose non cambiano mai. Chi ha partecipato una volta al grande gioco, solo raramente riesce a tenersene completamente al di fuori. Questo da vedere. E va bene, lo vedremo. Sono stato in viaggio per alcune lune. L'estate scorsa ho avuto una lunga conversazione con il vecchio Demaratos. Dove? A Pelusion. Hamilkar si appoggi all'indietro e parl con frasi brevi, che contenevano soltanto l'essenziale. Dymas apprese cos che Antipatros aveva concluso vittoriosamente la guerra nel Peloponneso e teneva con il suo pugno di ferro tutta l'Ellade e dintorni, dalla Tracia sino al Tainaron. I satrapi di Alessandro nell'Asia Minore, soprattutto Antigonos e Nearchos, si occupavano della pace, del flusso delle notizie e degli approvvigionamenti; le isole e le coste sino a Cirene, i paesi tra Ellesponto, Babilonia ed Egitto appartenevano e obbedivano al re dei macedoni e ai suoi incaricati. Dai piccoli villaggi e dalle citt dell'Ellade e della Macedonia, ma anche dai centri abitati dell'Asia e dalle isole, si era messa in moto un'imponente migrazione: guerrieri, artisti, mercanti, prostitute, contadini, artigiani, studiosi, amministratori e naturalmente anche cacciatori di bottino affluivano nei paesi appena conquistati per aiutare il re e trovare impieghi redditizi. In terra babilonese Alessandro aveva annientato per la terza volta un esercito persiano, il pi grande, aveva occupato Babilonia, preso Susa, asservito gli indomabili uxi, signori delle Porte Persiane e, questa era l'ultima notizia, vecchia di pochi giorni, saccheggiato e dato alle fiamme Persepoli. Quando gliela rifer, la voce di Hamilkar era straordinariamente seria, quasi spaventata. Dymas pens alle diecimila doppie nature di fuoco luminoso e nero; alla notte nei pressi del Granico; all'esercito di Filippo e di Parmenion, che serviva il daimon chiaro o scuro. Pi di quanto vi attendevate, vero? Hamilkar schiocc piano le dita. Pi di quanto chiunque avesse potuto immaginare... nei sogni o negli incubi. Dymas arricci il naso. Forse avete un po' di responsabilit in tutto questo? Un po', forse. Ma non di pi. E' semplicemente troppo... gi, troppo cosa? Ma insomma, quali erano le vostre aspettative? Quelle che appaiono evidenti, oppure erano un po' differenti? Hamilkar si freg le tempie

con le punte delle dita. Mhmm. Che cosa evidente, per te? Il triangolo delle grandi potenze. Carcedonia; la Persia; e chiunque conti al momento nell'Ellade. Oltre naturalmente a Siracusa, ma quelli contano soltanto per voi, o contro di voi. In questo caso, diciamo, Carcedonia, la Persia e la Macedonia. Sino a che la Persia decide ogni cosa tra Ellesponto, Egitto e India, troppo forte; perci bisogna indebolirla. Presumo che abbiate pensato che, se aiutavate un po' Alessandro, oppure vi limitavate a voltarvi dall'altra parte, quando lui per esempio attaccava Tiro, indebolivate la Persia e vi rafforzavate. Pi o meno cos? Pi o meno. E soprattutto: sino a che l'Ellade tutta tesa verso Oriente, possiamo occuparci dell'Occidente indisturbati; e se dovesse esserci uno scontro con Siracusa, questa si troverebbe sola, senza l'aiuto di Corinto, per esempio. E adesso? Tutto in pezzi. Lui la meraviglia dell'ecumene, Dymas; il pi grande stratega e condottiero che sia mai esistito... probabilmente. Se tutto si svolge nel modo in cui al momento temiamo, lui non si fermer a Susa e a Persepoli. Stando alle voci, ha progettato di rimandare a casa gli elleni a Ekbatana, dichiarare conclusa la spedizione punitiva e iniziare la conquista macedone. Come se fino ad ora non l'avesse gi fatto. E questo significa che resteranno soltanto due potenze: loro e noi. E lui ha in mano pi di quanto prima fossero insieme un'Ellade divisa e una Persia spezzettata. Dymas rifletteva freneticamente. Questo lo capisco, certo; ma io che cosa c'entro? Sicuramente non mi hai fatto venire qui per discutere insieme a me dei problemi strategici di Carcedonia. Hamilkar fece un breve sorriso. Conosci Kleon? L'ateniese morto? Il corinzio vivo, che gestisce e sorveglia gli affari del nobile Demaratos ogniqualvolta questi impegnato da qualche altra parte. Dymas annu. Potresti intraprendere un lungo viaggio. Ah s? E dove? Dyrrachion. Corinto. Atene. Pella. Menfi. Babilonia. Dymas gemette. Cos sar impegnato per molti anni-sotto il tuo giogo e, probabilmente, in cambio di un compenso assolutamente insufficiente. Senza neppure considerare se io sia d'accordo o meno. Hamilkar avvicin le punte delle dita e se le port al naso, come per verificarne l'odore, mentre lui e le sue dita si trovavano vicino a Dymas. Lo so che non una cosa particolarmente economica borbott

piano. Ma contratteremo pi tardi. Ci sono diverse questioni. Carcedonia si attendeva un sovvertimento democratico a Siracusa, che presumibilmente avrebbe portato al potere qualcuno che, per rafforzare la propria posizione interna, avrebbe avuto bisogno di un grande successo esterno. Sarebbe stato dunque ovvio attaccare il vecchio nemico a Occidente e rigettare le condizioni di pace raggiunte a fatica. Corinto, la citt madre di Siracusa, faceva parte dell'alleanza ma aveva ottenuto da Antipatros mano libera per quanto riguardava la Sicilia. O comunque per tutto ci che non tocca le questioni macedoni. Autonomia interna... purch non venga eletto un nemico dei macedoni: l'hanno promesso e lo stanno mantenendo. Dymas inarc le sopracciglia. Non dovresti considerarlo un atto di filantropia, Hamilkar. Il carcedone grugn. Al mondo non accade nulla senza un tornaconto. Ma un problema in meno, per Antipatros e per tutti, se lui non si deve occupare delle scoregge di ciascuno. Credo che lui non soffra di flatulenze... Corinto e Kleon, dunque. Non sei l'unico che sar in viaggio per noi. Altri parleranno con altri, ma dal momento che Kleon ti conosce... Chiaro. Non mi considero insostituibile, n unico. Che cosa devo dirgli? Ricordagli l'importanza del commercio pacifico; digli che, se dopo un sovvertimento a Siracusa le case commerciali di Corinto subissero perdite e quindi Corinto decidesse di intromettersi a Siracusa, Carcedonia non lo considerer un atto ostile. Se si dovesse giungere a dissapori tra Siracusa e Carcedonia, il nostro intento sarebbe soltanto quello di ristabilire la precedente situazione territoriale. Non vogliamo ottenere ulteriore influenza, non un dito di terreno. Dymas lo guard a lungo. Alla fine disse: Ma cosa farete se.... Se il nuovo grande impero dei macedoni rinnover le antiche ostilit tra l'Ellade e Carcedonia, intendi dire? Ci ritireremo. Fino a dove? Philainon Bomoi, gli altari dei fratelli che hanno impedito con la loro vita l'espansione di Cirene verso Occidente. . . Questa una vecchia storia. Il confine l, nella Sirte orientale. Se mai Alessandro dovesse ritirarsi dall'Oriente e stabilire effettivamente la sua capitale in questa nuova Alessandria, si partir di l. E allora? Hamilkar alz le spalle. Allora ci ritireremo lentamente, forse fino a Sabrata o addirittura pi oltre, fino alla Sirte occidentale. E la flotta former uno sbarramento tra Carcedonia e la Sicilia. Ma questo appartiene al futuro, Dymas. Un futuro di sette anni.

Perch mai sette anni? Hamilkar fece un sorriso obliquo. Tre anni fa, quando Alessandro era impantanato, fermo a Gordio... forse te lo ricordi. Quando Memnon dominava l'intera costa, molto prima di Isso. Allora abbiamo trattato con uno degli uomini di Demaratos, sistemato alcune cose e in cambio ottenuto altre cose. Dieci anni di pace, per esempio. E un persiano grasso di nome Bagoas, che i macedoni hanno catturato poco dopo la battaglia del Granico. Quel Bagoas? Hamilkar scosse il capo. Quello non ce l'avrebbero mai dato. Che ne di questo grasso Bagoas? Nulla. O meglio, pi nulla. Ha risposto ad alcune nostre domande. Sono tormentato dalla curiosit, Hamilkar. L'ultima volta che ho parlato con Antipatros, e poi con Harpalos il traditore.. . ... che dopo il suo tradimento riuscito, ritornato a casa da Alessandro e custodisce e accresce nuovamente le sue ricchezze. Questo mi sorprende profondamente. Dymas sogghign. Tutti e due, e probabilmente anche Demaratos e i suoi uomini, allora erano alla ricerca del significato dell'amuleto. Lo sai, quell'ankh con l'occhio di Horos. Hamilkar annu lentamente. Su quello ci sono novit, ma nulla che possa chiarire definitivamente il mistero. Posso sapere che cosa sai tu? Il carcedone esit. Be' s... se questo solleva il tuo umore e rafforza la tua disponibilit a fare determinate cose per noi. Non soltanto mi sollever, ma quasi mi entusiasmer. Hamilkar rise. E va bene. Questo segno... per noi, se si omettono alcuni dettagli, diviene il simbolo della dea Tanit: amore, benessere e pace con un potere intatto. Per gli egizi una vita lunga e una perspicacia eterna. Per i babilonesi uno degli antichi segni cuneiformi per "dio", qualunque dio, forse quello pi importante: Marduk, che si dice sia anche Ammon e Zeus. Per gli iranici... conosci le storie del dio del fuoco puro? Quando Dymas annu, Hamilkar gli raccont dell'occhio dello Sceglitore, di un piano che si diceva escogitato decenni prima in Persia da un vecchio di nome Kurush, che era morto oppure scomparso nel corso delle lotte di potere in occasione dell'ascesa al trono di Artaserse. Per continuiamo a non sapere quale potesse essere questo piano. Sappiamo soltanto che presumibilmente fallito. Bagoas il Sano dunque figlio di questo Kurush? chiese Dymas pensieroso. Perch mai avrebbe dovuto far pervenire ai macedoni il denaro per la prosecuzione della spedizione militare? Hamilkar allarg le braccia. Non lo sappiamo.

Nessuno lo sa... a parte Bagoas e i suoi uomini. Il servizio segreto della Persia escogita un piano, il cui simbolo viene utilizzato per la resistenza contro la Persia. Bagoas fornisce ad Alessandro il denaro per poter condurre la guerra contro la Persia. E' tutto molto confuso. Approfondiremo, ma finora? Si strinse nelle spalle. L'unica idea confusa che ho, senza peraltro credervi, mostra somiglianze con certe, diciamo, riflessioni che abbiamo formulato anni fa. Tu sai, e se non lo sai probabilmente non ti sorprender venirlo a sapere, che tramite Demaratos noi, Adherbal e dopo di lui io, abbiamo fatto affluire denaro nelle casse del tesoro macedone. Dymas fischi. Non lo sapevo... ma hai ragione, non mi sorprende, ora che me lo dici. La Macedonia era qualcosa di nuovo, qualcosa che avrebbe potuto rompere le antichissime rivalit e i rapporti di forza, non vero? Rafforzare Filippo per indebolire Atene e Sparta, e Siracusa; in seguito rafforzare Alessandro per indebolire la Persia? E ora voi avete fatto ingrassare il gatto, sino a che diventato un leone che non riuscite pi a domare. Qualcosa del genere. Potrebbe essere che i persiani volessero qualcosa di simile. Ci che indebolisce Atene e Sparta, pu soltanto giovare alla Persia. Forse con il denaro volevano attirare Alessandro ancora pi lontano all'interno dell'Asia... oppure rendergli davvero possibile la prosecuzione della spedizione militare. Pi lui si rafforza in Asia, tanto pi Atene e Sparta sono destinate a indebolirsi. E prima o poi, quando Atene e Sparta saranno eliminate, perch la Macedonia le avr rese molto piccole... allora prima o poi, nel cuore dell'Asia, intendevano fare a pezzi l'intruso macedone. E allora? L'edificio delle conquiste macedoni sta crollando. Le citt elleniche, se mai avranno ancora abbastanza uomini per combattere, volgeranno spade e giavellotti contro Pella, si vendicheranno dell'oppressione, e la Persia potr spazzare via facilmente, rapidamente e completamente, senza resistenza ellenica, le macerie in Asia. Dymas gonfi le guance. Mhmm. Ipotesi azzardata, carcedone. Perch mai allora il contrattacco di Memnon e oro a profusione per Atene e Sparta in questi anni? Ma perfino se... allora avrebbero terribilmente sottovalutato tutto, proprio come voi, non vero? Memnon e le altre iniziative avrebbero potuto essere gi il contrattacco... avrebbero potuto, dico Ma al pi tardi Gaugamela avrebbe dovuto mettere la parola fine, probabilmente gi Isso. Se fosse stato cos, avrebbero sottovalutato tutti l'esercito costruito da Filippo e Parmenion, e condotto da

Alessandro e Parmenion. E tu credi a tutto questo... davvero? Hamilkar sospir; si picchi l'indice della mano destra sulla fronte. Quando ci rifletto a lungo e a fondo, musico, questa l'unica spiegazione ragionevole... be' insomma, comprensibile. Tutte le altre presuppongono troppe cose strane: per esempio gli d. Per me comunque sono gi coinvolti troppi sacerdoti: Siwah, Samotracia, Dodona e cos via. Ma lasciamo perdere la cosa: avvincente, per non conduce a nulla. Ritorniamo al tuo viaggio. A Dyrrachion, sotto il naso degli occupanti macedoni, si raccoglievano i principi delle trib del nord, scontenti e spodestati, o i loro mediatori. Dymas inform il carcedone che era disposto a procurargli informazioni e messaggi, ma che non era assolutamente disposto a partecipare a qualsivoglia congiura; Hamilkar si strinse nelle spalle e neg di avere simili intenzioni. Si trattava soltanto di stabilire chi fossero i principi e quali piani stessero tramando; n lui aveva nulla in contrario che a Pella Dymas riferisse ad Antipatros i risultati del suo viaggio. Avrebbe dovuto sondarlo con prudenza per verificare la possibilit di un accordo tra Pella e Carcedonia. E infine Atene, come al solito focolaio di ogni intrigo e diceria dell'Ellade: che cosa pensasse Demostene, che cosa facesse Iperide, dove sarebbe andata Atene se Alessandro non fosse ritornato indietro dall'Asia e cose simili. Egizi, fenici, babilonesi: ovunque pi o meno lo stesso. Dymas si appoggi all'indietro; osserv il carcedone con gli occhi socchiusi. Tutto questo puoi farlo fare altrettanto bene, se non meglio, da altre persone. Hamilkar ridacchi. E' bene che tu lo sappia; non sei insostituibile, forse questo ti render pi economico. Del prezzo parleremo pi tardi. No, Hamilkar; c' ancora qualcosa. Tu hai spie, informatori, uomini di fiducia; alcuni di loro sono mercanti, altri guerrieri, altri saltimbanchi o chiss che cos'altro. Perch hai bisogno di me? I musici girovaghi non danno nell'occhio. Se io mando a Dyrrachion, diciamo, un conciatore egizio, tutti si chiederanno che cosa ci vada a fare. Tu hai abbastanza uomini; non hai bisogno di inviare egizi a Dyrrachion. Ho fame. Vogliamo discutere del tuo prezzo in una delle osterie dall'altra parte dell'agor? Hamilkar si alz in piedi. Dymas rimase seduto. Non sono sicuro che quello che ho ancora da dire sia adatto per altre orecchie. Tu, per via di possibili ascoltatori, nell'osteria potresti consigliarmi di non dire nulla, e io poi dimenticarmelo. Hamilkar alz le

mani sopra la testa e le lasci di nuovo cadere. E va bene. Che cosa c' ancora? Si sentono molte cose, se si hanno buone orecchie e si addestrati a far finta di non sentire. Voi avete un nuovo stratega in Sicilia, a Lilybaion. Si chiama anche lui Hamilkar; dieci anni fa ha dato prova di s nei combattimenti contro Timoleon. E avete arruolato mercenari in Libia; oltre ad alcuni numidi. Hamilkar si sedette. Vero. E allora? Voi dunque prevedete scontri in Sicilia. Probabilmente l capiter qualcosa prima ancora che io giunga a Corinto. E' possibile, possibile; ma questo non incide assolutamente sulla verosimiglianza di tutte le cose che devi comunicare al caro Kleon. Tutte le persone interessate, Kleon, Antipatros, questo o quell'ateniese, cos come i persiani, sanno che io non sono soltanto il musico girovago Dymas, ma che negli anni e nei decenni passati - si diventa vecchi, per gli di! - ho raccolto informazioni per Carcedonia, Pella e Susa. Per questo ti crederanno ovunque, quando dirai che devi comunicare un'ambasceria proveniente da Carcedonia. Il che per te presenta due aspetti positivi, non vero? Se l'ambasceria fallisce, stata pur sempre trasmessa solo da un cantore e citarista, che non parla con la lingua del Consiglio e dei sufeti. Quindi non una cosa ufficiale e non pu danneggiare Carcedonia. Hamilkar sogghign. Questo un pensiero estremamente perfido e altrettanto vero, amico mio. Il che significa che Carcedonia vuole ottenere questo e quello, ma che nello stesso tempo tira indietro il capo, perch in fondo non si sa mai. Bello, che Omero mi perdoni: tirare indietro la testa perch non si sa mai... Voi dunque iniziate a svincolarvi gi sette anni prima della fine della pace concordata, vero? Hamilkar ammicc. Vorremmo rendere chiaro a tutti gli interessati che Carcedonia si tiene lontana dall'Oriente. I nostri interessi sono esclusivamente economici; non vogliamo conquistare nessun paese n occupare citt, vogliamo esercitare il commercio in pace. Qui, nella Sicilia occidentale, nella Sardonia e a Kyrnos, nelle isole dei frombolieri pi a occidente, in Iberia e in Libia. Tutto ci che accade a oriente di questo, non ci riguarda. Possa tutto questo non riguardarci mai... Possiamo andare, ora? Dymas alz la mano e divaric le dita. Ho parlato di due aspetti positivi che il mio viaggio avrebbe per te. Hamilkar gemette. E qual il secondo? Sono un segnale di fuoco mobile. Dymas, il glorioso citaredo, ricevuto dai

principi, che ascoltano la sua musica e sono disposti ad ascoltare le sue ambascerie segrete. Finch io sono in un luogo, laggi nessuno bader alle altre persone che in quel momento potrebbero fare quello che interessa davvero a te e a Carcedonia. Hamilkar si morse il labbro inferiore; poi rise. Be', si, perch mai dovrei negarlo? Hai ragione; questo il vantaggio dei tuoi viaggi. Che cos'hai in mente? Che cosa accadr alle mie spalle, che vengono sacrificate per questo? Nulla che ti metta in pericolo; questo te l'assicuro. Nulla che tocchi la sicurezza della Macedonia o degli elleni. Certe cose che riguardano la futura sicurezza e la libert di Carcedonia. Non dici altro? Non dico altro. Soltanto questo: se mai Alessandro ritorner indietro dall'Oriente, ci incontreremo. Questo significa che devi sopravvivere per poter rispettare questo appuntamento. Dymas rise roco. Non renderti ridicolo. Il tuo turbamento non durerebbe un battito di ciglia, se un coltello o una spada mi impedissero di rispettare l'appuntamento. Hamilkar annu. E' cos; non vuoi assolutamente lasciarti tranquillizzare, vero? Non so che cosa voglio. Si, voglio viaggiare; l'irrequietezza... voglio suonare di nuovo insieme ad altri musici, per andare avanti: ho approfondito soltanto la citara. E... si, hai ragione, chi ha partecipato una volta al vostro gioco, non pu semplicemente tirarsene fuori; voglio vedere come va a finire. Ma costoso. Quanto? Parler e ascolter per te per circa mille giorni, non vero? Hamilkar si strinse nelle spalle. Vivere, mangiare, bere, dormire; i viaggi per mare sono costosi. Sogghign. Non si sa mai... forse con la musica non guadagner nulla. E' possibile. Quanto vuoi avere: uno shiqlu al giorno? Dymas rise forte. Tre, Hamilkar, e qualcosa per una sistemazione e un trattamento migliori sulle navi. Diciamo tremilaseicento: un talento. Hamilkar fece una smorfia. Mhmm. Molto denaro... in cambio di cosa? Delle mie spalle, dietro le quali potrai svolgere i tuoi affari pi importanti. E ancora una cosa. Altro denaro? Si. Per si alz in piedi possiamo discuterne strada facendo e all'osteria. Hamilkar apr la pesante porta, rivestita di bronzo, che dava sul corridoio. E va bene. Che cosa ancora? Diciamo dieci mine e qualche parola influente. Altri seicento shiqlu? Per non parlare del prezzo delle mie parole? Hamilkar fece schioccare la lingua e pos la mano destra sulla spalla del musico, che lo precedeva

attraverso il corridoio lungo, spoglio e tetro. E tutto questo per la tranquillit del tuo animo sensibile? Che cosa intendi dire? Hamilkar ridacchi. Immagino di dover riscattare la tua ibera e procurarle una bottega o una locanda o qualcos'altro, non vero? Dunque lo sai anche tu? Amico mio, il mio compito quello di sapere tutto. Riscattala e rimandala a casa. Il carcedone dondol la testa; raggiunsero la scala ricurva e la discesero. Lei non vorr. Se ritorna in patria, pu essere fatta di nuovo schiava in qualunque momento. Qui, a Carcedonia, viene trattata come donna libera ed al sicuro. Come credi; e come vuole lei, soprattutto. Mangiarono pesce stufato; cane arrostito in una crosta di miele, passato di fichi e vino pesante; diversi tipi di verdure marinate; pane e frutta; il tutto accompagnato da vino della Byssatis, leggero e speziato. A un certo punto Hamilkar si schiar la voce e abbozz un sorriso obliquo. Il tuo... sentimentalismo, elleno, contagioso come la maggior parte delle peggiori malattie. Mi induce a qualche buon consiglio. Ti ascolto senza riserve, nobile carcedone. E dovresti proprio farlo. Hamilkar rise piano; si guard intorno, ma gli altri avventori della tarda ora di pranzo erano seduti abbastanza lontano. Non dovresti portare con te il tuo denaro... o almeno non tutto. Prendi quanto ti serve all'inizio e fatti preparare delle lettere di cambio per la maggior parte del resto; me ne occupo io. Lettere in cui non si parla di monete, ma di merci. Zanne di elefante, pelli di leopardo, incenso, silfio, quello che vuoi. Dymas lo fissava in silenzio. Potresti, per esempio ad Atene, presso uno dei grandi banchieri, farti pagare in dracme il controvalore vigente di, diciamo, un kotyle d'incenso. Dymas pos il cucchiaio di corno, si appoggi all'indietro e incroci le braccia. E perch mai, signore dei cavalli? Una delle cose che accadranno dietro le tue spalle, quando sarai nell'Ellade, la, ehm, cessazione di tutti i traffici commerciali operati in moneta tra Carcedonia e la vostra met dell'ecumene. C' un motivo per questo? chiese Dymas con voce roca e incredula. Ma questo per tutte le persone coinvolte un... una catastrofe! La vera catastrofe ancora di l da venire. Nell'ultimo anno Alessandro ha fatto ammassare cereali a Cirene e in Egitto, moltissimi cereali; dovranno poi essere

inviati nell'Ellade, come dono del premuroso sovrano. Ma perch mai? I raccolti sono stati buoni, non c' la fame! Lui far coniare e mettere in circolazione lo smisurato bottino fatto a Susa e Persepoli; se non ha gi iniziato a farlo. O per gli di mormor Dymas accorgendosi di essere impallidito. Lo sa... certo che sa quello che fa: lo sa sempre. Ma perch? Hamilkar alz il bicchiere e fece ruotare il vino; alcune gocce schizzarono sul tavolo. I prezzi si moltiplicheranno. I ricchi diventeranno poveri e perderanno il loro potere. I poveri, che nelle democrazie potrebbero avere la maggioranza dei voti, se mai esprimessero le loro voci, loderanno il re che dona loro i cereali. E Carcedonia si limiter agli scambi in natura con l'ecumene ellenica. Forse... si, poich il prezzo, il valore dell'oro e dell'argento croller, forse dovremo battere monete nuove, di metallo diverso, o di leghe. Distrugge il lavoro di secoli... ma voi siete legati in mille modi all'Ellade e all'Oriente; siete in grado di tagliare cos semplicemente i fili o di convertire tutto il commercio in baratto? Hamilkar fece una smorfia; il suo sguardo era cupo. Amico, quello che i nobili e i ricchi mercanti di Carcedonia hanno accumulato nel corso dei secoli, pi di tutto quello che ha trovato Alessandro a Susa e Persepoli. Che cosa?! Non in metallo nobile tangibile; non l'abbiamo ammucchiato in depositi, ma investito: in gozzoviglie, certo, anche in questo; ma soprattutto in centri abitati, edifici, conoscenze, influenza e... possibilit. Sar molto difficile, e molto costoso, chiudere parzialmente la porta alla vostra parte dell'ecumene. Ma non c' nulla che Carcedonia non possa ottenere, se Carcedonia lo vuole... hai visto il muro dell'istmo, negli ultimi giorni? Qualche luna fa disse Dymas debolmente. Perch? Per decisione del Consiglio, verr ristrutturato e migliorato. Avete dei contrasti? Non ancora. Ma se mai Alessandro ritorner in patria dall'Oriente, dopo essersene impadronito, allora vorr il resto dell'ecumene. E soprattutto il resto delle ricchezze. Vorr saccheggiare e dare alle fiamme Carcedonia come ha fatto con Persepoli. E' per questo. Follia mormor Dymas. Follia. Voi avete una bella parola; anzi, pi d'una. Parlavano sempre in fenicio occidentale. Tutti quei composti eleganti con megalo . A che cosa ti riferisci: megalobremetes? No, non al "multitonante"; e neanche al

fatto che ha sentimenti grandi, elevati: megalognomon, come si dice. Il suo impulso a fare grandi doni: megalodoria? Hamilkar aggrott la fronte. Forse la parola a cui penso non esiste affatto; ma si potrebbe crearla. E' possibile che il mio ellenico non sia cos buono come ho sempre creduto. Sopravvalutare follemente la propria grandezza... qualcosa del genere. Pensavo a megalomania. Dymas mostr i denti. Non esiste; una parola nuova. La si pu creare, certamente. Ma... che cosa succede, se non si sopravvaluta affatto? Se davvero cos grande? Questo disse freddamente Hamilkar lo si vedr davanti al muro dell'istmo e alla nostra flotta. E ad alcune altre cose che stiamo preparando. Le armi ce le fornisce lui stesso... lui e il suo esercito che dev'essere rinnovato continuamente. E adesso che cosa vorresti dire?.

12. Ambascerie dai confini del mondo.

Che cosa intende dire il carcedone con "le armi ce le forniscono Alessandro e l'esercito"? Peukestas lasci cadere il papiro e rivolse lo sguardo al giaciglio, dove Aristotele aveva chiuso gli occhi e respirava in modo sempre pi rapido e superficiale, poi verso lo scaffale dove ormai solo pochi rotoli attendevano di essere ancora letti. Oppure bruciati. Pythias aveva ripulito di nuovo la graticola, alimentato e ravvivato le fiamme; si alz in piedi, si ripul le ginocchia da polvere e cenere e si diresse verso la cucina, con in mano il piccolo mastello con la cenere e i rimasugli. Torn subito indietro, si chin sul padre e lo tocc delicatamente. E' freddo, sino al petto. La voce le trem; gli occhi erano scuri di tristezza e stanchezza. Peukestas le si avvicin, si chin a osservare il filosofo, ne sent gli afrori acidi, il respiro acido, sent il profumo della donna. Non se ne va ancora... non subito disse piano. Ho visto molti uomini morire. Questo il sonno leggero prima dell'ultimo risveglio. Lei trattenne per un momento il fiato e poi espir l'aria con un profondo sospiro. Hai fame? Sete? Sorrise esausta. E' stupido, lo so; ma devo fare qualcosa, altrimenti.. . Si strinse nelle spalle. Peukestas indic il tavolo, dove si trovavano ancora la frutta, il pane e la brocca. Basta questo, Pythias, grazie. Ma forse puoi dirmi... che ne degli altri rotoli? Alessandro... Pythias aggrott la fronte. Non posso dirti molto. Ma in fondo non hai pi bisogno di sapere molto, non vero? Da quando sei stato presente? Fin da molto tempo prima, come attendente del re. E a Susa, quando furono arruolati i primi giovani persiani nell'esercito, divenni uno degli etri a cavallo. Nella sua voce risuon l'orgoglio, ma anche una specie di dubbio improvviso.

Sei stato a Persepoli? Ho visto l'incendio. E poi? Quasi tutto, a parte la caccia a Dario. Pythias annu, come se lui le avesse confermato qualcosa di cui era comunque sicura. Peukestas cerc qualcosa nel suo volto e poi nello scaffale dei rotoli quasi vuoto. Sfior il focolare con uno sguardo quasi triste. Tutte quelle cose interessanti... Pythias si sedette sul bordo del giaciglio di Aristotele. Il suo respiro andava e veniva, andava e veniva, affannoso, rantolante. Il volto, con le guance scavate e la pelle incartapecorita che gli si tendeva sulle ossa, assomigliava sempre pi a una maschera funebre. Tocc la mano del moribondo. E' cos fredda.. sospir; poi disse piano: Non posso fare altro che sedere accanto a lui e aspettare. Oppure potremmo parlare. Parole, parole, parole; suoni che non significano pi nulla di quanto sarebbe importante. Ma allontanano per un po' le ombre. Peukestas spinse indietro il tavolo leggero e si accovacci sul pavimento ai piedi della donna, con la schiena appoggiata al giaciglio. Gli occhi di lei erano penetranti e indagatori quasi come quelli di suo padre, ma c'era qualcos'altro, oltre alla tristezza e alla stanchezza, qualcosa di ardente che per ora lui non voleva vedere. Pi tardi, forse; quando tutte le domande avessero trovato risposta o tutte le risposte fossero diventate mute. Che cosa ne sar di te, quando lui non ci sar pi? Ha messo per iscritto le sue ultime volont molto tempo fa. Vi sono menzionati tutti gli schiavi che lo hanno servito bene e che sono ancora vivi. La sua scuola, alcuni amici. E alcuni desideri. Sembr sorridere, la sua voce parve ammorbidirsi. Il resto del patrimonio deve finire al suo figlio adottivo Nikanor; e lui desidera che Nikanor e io ci uniamo in matrimonio. Poi c' anche una lettera per Nikanor; nel caso in cui non ci sposassimo, deve dividere il patrimonio e darmi una met del ricavato. Nikanor... quel Nikanor che aveva dovuto trasmettere l'ambasceria ad Atene? Lei rise piano. Un'ambasceria terribile, non solo per Atene. Peukestas ripens all'assemblea, alle parole di Alessandro che a lui erano parse una decisione generosa, saggia e intelligente. Si ricord anche che Nikanor era impallidito un po', prima di annuire da coraggioso, e che aveva portato a termine l'incarico. Che cosa c'era mai di tanto terribile? Il ritorno in patria dei proscritti... un'epoca nuova, un'ecumene pi grande e pi

libera, la revoca delle vecchie pene: tutto questo terribile? Dipende dal fatto che tu lo veda in generale oppure lo consideri nei dettagli, macedone. Le grandi citt dell'Ellade sono troppo piene; troppi figli, e figlie, che hanno troppo poco spazio e sono costretti a frammentare le terre ereditate. L'emigrazione, l'insediamento in luoghi lontani, sono sempre stati importanti. E la messa al bando dei malfattori; perfino quando le loro azioni non erano tanto malvage. Chi se ne andava, lasciava posto agli altri per respirare e lavorare e vivere. Peukestas annu, lento e pensieroso. Ma questo dipendeva dalle decisioni del re. Persiani, medi, indi, babilonesi, fenici, elleni di ogni luogo, macedoni, tutte le persone avrebbero dovuto essere uguali sotto la sua legge; la revoca delle vecchie pene ne era una conseguenza. Pythias tacque per un istante; poi con voce mutata, pi dura, disse: Non posso e non voglio credere che un etro del re, che per molti anni ha visto il mondo e le battaglie e le genti, sia ingenuo a tal punto. Ingenuo? Perch credo che fosse un progetto buono e grande? Perch non ne vedi n le cause n le conseguenze. Allora aiutami a vedere tutto quello che tu ritieni ci sia da vedere. Lei ignor la sfumatura ironica, un po' condiscendente, della sua voce e disse, con tono grave e penetrante: Per uno che veniva proscritto, ve ne era un altro che restava a coltivare la terra o a mandare avanti un'officina. Quando, su decisione del Consiglio di Atene, molti abitanti dell'isola di Samos furono costretti per punizione ad abbandonare il loro paese o la loro citt gli ateniesi vi si recarono, si insediarono, fondarono famiglie. Se ora tutti i sami banditi ritornassero in patria, con la pretesa di essere reintegrati negli antichi diritti, che cosa accadrebbe a quelli che nel frattempo hanno posseduto e sfruttato questi diritti? E cos non solo a Samos e ad Atene, ma ovunque nell'Ellade. Lo sai quanti erano i proscritti che sarebbero dovuti ritornare improvvisamente in patria? Lui si strinse nelle spalle. Alcune migliaia? Pi di centomila uomini, Peukestas! Centomila uomini che avevano vissuto lontano e si erano creati una nuova patria; uomini che solo in parte erano stati proscritti insieme alle loro mogli; molti uomini giovani, che non avevano ancora moglie e figli, quando sono stati proscritti. Hanno costruito le loro famiglie in altri luoghi. E improvvisamente devono rinunciare di nuovo a tutto quello che

hanno creato e ritornare nei luoghi in cui nel frattempo altre persone hanno creato altre cose. Centomila uomini, macedone, molti dei quali con mogli e figli. Ritornare ad Atene, a Samos, a Chios, a Lesbo, a Kos, a Rodi, a Sparta e Corinto e Megara e Megalopolis e in infiniti altri posti; anche a Calcide. Questa casa chiara sulla collina non l'abbiamo costruita noi; appartenuta a un proscritto: a uno che stato con voi, Peukestas, con i macedoni, molti anni fa, quando Filippo era ancora vivo, e che poi i partigiani di Atene hanno scacciato dal paese. Ma... Peukestas fiss il fuoco; d'un tratto, nel locale surriscaldato e soffocante, rabbrivid. Davvero cos tanti? Ma il re deve pure averlo saputo! Pythias rise: un suono aspro, ruvido. Certo che l'ha saputo. Era il suo sogno, il suo sogno terribile, quello di sbattere qua e l, trasferire, costringere a emigrare milioni di persone nel suo impero smisurato, in modo che alla fine l'impero diventasse l'unica patria. Non avrebbero dovuto pi esserci ateniesi, lacedemoni, babilonesi e macedoni; soltanto abitanti trasferiti, sradicati, dell'ecumene riorganizzata da Alessandro. Un sogno. La sua voce era velata; i suoi occhi ardevano. Con le mani tremanti vers nei bicchieri il vino allungato della brocca. Quando, senza voltarsi a guardarla, ne porse uno a Pythias che era seduta pi in alto di lui, alle sue spalle, gliene cadde qualche goccia sulle spalle. Un sogno ripet con voce sempre pi roca di fratellanza tra tutti gli esseri umani sotto un solo re. E' un brutto sogno? Non un sogno potente, che soltanto lui, il Potente, avrebbe mai potuto sognare? I persiani cittadini di Atene a pieno titolo, i macedoni cittadini di Siracusa a pieno titolo, i cappadoci allevatori di cavalli in Tessaglia, i fenici contadini in Epiro, i babilonesi e gli egizi pecorai in Arcadia o pescatori di fiume nell'Acarnania? Elleni che tagliano il giunco sotto il sole cocente in riva al Nilo e nel frattempo lodano il sovrano divino? E' questo il tuo sogno, Peukestas? Sarti etruschi in Arabia... perch no? Se deve esistere un solo impero sotto un solo sovrano, alla fine deve esserci anche un unico popolo. Ma finch gli ateniesi abitano ad Atene e considerano la citt come l'ombelico del kosmos; finch spartani e tebani e babilonesi e gli abitanti di Sidone ed Ekbatana e Pattala e, ah, per quel che m'importa, di Roma, considerano la loro rispettiva patria importante e sacra e diversa e unica, fino ad allora nell'ecumene non potr esserci

la pace, l'uguaglianza di tutti sotto la legge di Uno. E neanche dopo la realizzazione del tuo sogno disse seccamente Pythias. Rifletti, Peukestas: tutti verranno trasferiti, con violenza terribile, tra lacrime e lutti; tu dovrai spezzare la resistenza con la violenza, scorrer il sangue, a fiumi. Supponiamo che da qualche parte sorga una citt: diciamo la nuova grande Alessandria. Questa citt viene popolata con persone provenienti da tutti i paesi, le citt e i popoli. E che cosa succede? Nel giro di pochi anni, anche se prima si voluto e deciso diversamente, gli abitanti di ogni quartiere misto si saranno scambiati le case e le abitazioni con le persone di altri quartieri; ad Alessandria avrai una serie di strade in cui vivono soltanto ateniesi; un quartiere egizio, un isolato babilonese. Ma avrai bisogno anche di guardie e membri del Consiglio che facciano in modo che la violenza non si propaghi tra le diverse parti. Questi custodi dell'ordine, da dove li prendi? Probabilmente all'inizio prenderai i macedoni, perch tu sei il signore dei macedoni e hai la massima fiducia in loro. Con un po' di fortuna, e con la coercizione delle spade macedoni, gli altri abitanti della tua citt di sogno conserveranno la pace tra loro. Con moltissima fortuna, nei decenni successivi si mescoleranno. E allora che cosa avrai? Una citt con un ceto di signori macedoni e una popolazione mista di servi. E che cosa sar questa citt, che cosa diranno i suoi abitanti? Diranno: "noi viviamo nella citt pi raffinata, nella citt migliore di tutte, siamo i pi raffinati e i migliori, la nostra citt l'ombelico dell'ecumene". E combatteranno contro le altre citt esattamente come si sono combattute a vicenda Atene e Sparta. Peukestas tacque. Sent il respiro rantolante del filosofo moribondo, vide le fiamme tremolanti che divoravano legno e papiro, sent improvvisamente la mano della donna sulla sua spalla. Cos e non altrimenti, Peukestas. La grande patria che tu sogni - chiamala impero o ecumene o, per quel che m'importa, kosmos - troppo grande per gli esseri umani. Quelli si creeranno ovunque una nuova piccola patria e la anteporranno a tutte le altre patrie di tutte le altre genti. Onorano tutti di diversi, mangiano cibi diversi, hanno idee diverse, parlano lingue diverse. Ma se poi qualcuno, con la violenza perch altrimenti non possibile, introducesse nuovi di? Oppure dai molti vecchi di ne creasse uno nuovo, che riunisse le caratteristiche di quelli vecchi? Pythias rise a singulti. Ora non pensi pi in termini di anni, ma di secoli, non

vero? Chi dovrebbe dirigere questo? Alessandro, se non fosse gi morto, forse sarebbe vissuto ancora, ma per quanto? Vent'anni? Trenta? Per qualche decennio; e poi? Poi, dopo la sua morte, sarebbe sorto lo stesso caos che scoppier ora. Tu l'hai conosciuto, non vero? Era unico. Perfino se ora avesse un figlio adulto... credi che uno che non sia Alessandro potrebbe tenere insieme quest'impero immenso? Inoltre... quel tuo dio che bisognerebbe inventare: una bella idea. Che cosa credi, quanto ci vorrebbe prima che i fedeli si dividano? Prima che un gruppo prescriva una particolare forma di venerazione che gli altri gruppi non seguono perch hanno idee proprie? E poi, il fatto che tutti gli elleni adorano Zeus, ha forse impedito le mille guerre nell'Ellade? Tu stai calpestando cose che per me sono serie e sacre. Ma mentre lo diceva, non lo credeva gi pi neppure lui. Tu non vuoi la pace nell'ecumene? Lei represse una risata. Ho avuto la possibilit di partecipare troppo a lungo al sapere e al pensiero di Aristotele. Pace? E dov' la pace? Tra traci e babilonesi regnava la pace perch erano molto lontani tra loro. Era una pace per mancanza di contatti. Da quando l'esercito di Alessandro giunse a Babilonia con i traci finita. Nel mare occidentale regna la pace perch Carcedonia troppo potente. Nell'Ellade ci sono stati alcuni anni di pace perch la Macedonia ha governato tutto. In Persia per molto tempo c' stata la tua pace perch il Gran Re l'ha imposta ai diversi popoli da lui assoggettati. Niente pace per discernimento, ma solo dietro imposizione? Credi davvero questo, Pythias? So che cos. Gli abitanti della bella e ricca citt di Calcide, a pochi stadi di distanza, si taglierebbero la gola e si saccheggerebbero a vicenda, se non vi fossero leggi che l'impediscono. E queste leggi verrebbero ignorate, se non si dovesse temere di essere puniti per questo. Noi ci siamo dati queste leggi da soli; e abbiamo deciso di istituire giudici, corpi di guardia e consigli che ci costringano, con la minaccia di punizioni... al nostro dovere, perch non ci fidiamo abbastanza di noi stessi. Di noi stessi, e degli altri. Perch, Peukestas, non una donna giudice? Perch non vi fidate per una volta delle vostre donne... a meno che non siano figlie o vedove dei sovrani. La democrazia di Atene, amministrata dagli uomini adulti: senza le donne, senza tutti quelli che, giunti dall'estero, vivono ad Atene da anni, i meteci, forse intelligenti o stupidi quanto Demostene, ma non nati nella citt e pertanto esclusi dalla politica. Come... Aristotele, il grande, celebre e saggio Aristotele. Nato a Stagira e per

questo un Nessuno ad Atene come a Calcide: meteco, senza diritto di cittadinanza, senza diritto di voto nell'assemblea. E stando cos le cose, considerato che neppure lui, qui come ad Atene, viene ascoltato sulle questioni importanti, devo credere che nel tuo impero di sogno ognuno potrebbe avere diritto di parola? Pretendi davvero che io prenda sul serio il tuo sogno? Peukestas tacque, si fiss le dita e bevve. Lei lo tocc di nuovo con la mano. Per non parlare della sfiducia, delle differenze. Se Calcide sa che la citt deve darsi le leggi e imporle con la costrizione in modo che non degeneri tutto in incendi e assassinii, come potrebbe essere diverso tra le citt e gli stati? Per... chi d le leggi agli stati, chi le impone in caso di necessit? Il tuo Alessandro? Chi l'ha autorizzato a farlo? Gli di, a cui lui stesso non credeva, oppure la spada? Per non parlare poi delle radici completamente differenti del tuo sogno. Che cosa intendi per radici? Il sogno non abbastanza grande? Non dico che sia realizzabile; ma se lo fosse, allora ci sarebbe bisogno di analizzare le sue radici? Una quercia robusta non forse abbastanza bella da poter rinunciare ad analizzarne le radici e una singola ghianda? Il paragone affascinante, ma anche sbagliato. Una quercia nasce sempre da una ghianda; occorrono terra, acqua e sole, e che le bestie non se la mangino. Questo noto. Ma invece noto da quale radici provenga il sogno di Alessandro... il tuo sogno? Dalla bramosia di pace, di vastit, di concordia. Lei rise. O Peukestas, etro del re, cavaliere valoroso e ingenuo! Alessandro voleva pace e concordia? Bene. Per questo doveva innanzitutto ottenere la sicurezza e completare l'opera di Filippo: la sottomissione di tutti coloro che preferivano l'interesse personale e la discordia; l'eliminazione di tutte le minacce interne ed esterne. Per questo doveva, senza dubbio, sconfiggere i nemici ellenici e battere gli eserciti persiani. Su tutto questo sono d'accordo. Ma doveva per questo dare alle fiamme Persepoli? Doveva per questo fare assassinare il padre dell'esercito, Parmenion, amico di Filippo e di Aristotele, maestro, guida e modello per tanti uomini? E Philotas, Kleitos, Callistene, centinaia di migliaia in Asia, i suoi stessi uomini nel deserto? Non credi, Peukestas, che tutte queste belle fantasticherie siano nate per necessit? La bramosia di vastit, oh si; ma allora non avrebbe potuto mettere insieme un patrimonio con il commercio pacifico e viaggiare sino alla fine del mondo con un pugno di amici e compagni? Non stato piuttosto alla volont di dominare tutto - potere, brama di potere, brama di smisuratezza - che ha

sacrificato centinaia di migliaia di uomini? Quando si trov in Asia con pochi soldati macedoni e vide che cos non avrebbe potuto dominare quello spazio infinito, allora non ha forse arruolato nell'esercito i persiani e l'ha comunicato solo in seguito ai suoi fratelli, perch solo cos poteva conservare il potere; perch quei pochi soldati macedoni da soli non erano sufficienti a soddisfare la sua brama inesauribile? Oh si, ha donato i cereali quando l'Ellade moriva di fame; ma l'Ellade moriva di fame perch lui, con la coniazione del tesoro persiano, ne aveva distrutto il benessere, i prezzi, i valori, per poterli sovvertire. Oh s, sogna un impero unitario, per questo costringe le genti a emigrazioni di massa e a nuovi insediamenti, e alla commistione che deve creare la fratellanza... ma non crea soprattutto un paese deserto in cui nessuno pi abbastanza saldo da poterlo ancora contraddire? Un impero in cui, tutti coloro che finora l'hanno contraddetto sono stati giustiziati e tutti gli altri non sono nient'altro se non pedine senza volont, senza dignit, senza possibilit? Aveva parlato con voce sempre pi alta, sempre pi eccitata. D'un tratto il rantolo del moribondo cess; quando ud la voce roca del vegliardo, Peukestas trasal. Lascia perdere, figlia cara ... Non ho dormito, mi sono soltanto riposato: ho raccolto le ultime forze. Ho sentito ci di cui avete discusso. Hai letto tutto, figlio di Drakon? Peukestas si era alzato in piedi e fissava incredulo il moribondo. Aristotele era un cadavere: un cadavere con gli occhi ardenti e la pelle di cuoio; un cadavere che puzzava gi di putrefazione; uno scheletro ricoperto di pelle, che si tirava su ancora una volta, si appoggiava sui gomiti e pronunciava parole. Un daimon, una volont immensa, che superava ogni cosa, tratteneva la vita; a Peukestas ricord con orrore quell'altro cadavere tremendo la cui volont era stata quella di non morire per dieci giorni, nonostante fosse gi morto, a Babilonia. Tutto quello che avrebbe potuto e voluto ribattere, contestare, domandare a Pythias, si era dissolto. Se ne stava ammaliato davanti al non-morto, al cui collo consunto era ancora appeso l'amuleto. Io... ho letto, Aristotele. Era faticoso pronunciare le parole mentre guardava quegli occhi. Fino a dove, figlio di Drakon? Perch continuava a nominare il padre morto? Per quel cadavere il medico era pi attuale del guerriero? Ho letto da ultimo il resoconto di Dymas; la sua discussione con Hamilkar a Carcedonia prima di partire,

probabilmente per Corinto e Dyrrachion. Persepoli? Anche quello: prima. Allora sai tutto... tranne una cosa. Peukestas si mise quasi in ginocchio; sollev le mani supplichevole. So tutto? Non so nulla, Aristotele. Mi mancano sette anni, anzi sei e mezzo, e migliaia di cose. Dario-Bessos Roxane; l'India; le nozze di Susa; la morte a Babilonia; l'amuleto... se aveva davvero un significato. Conosco appena l'inizio delle cose. Aristotele emise un rumore orribile, tintinnante, stridente; avrebbe dovuto essere una risata, ma suon come il grido di morte inaudito di un albero marcio, intaccato da asce e vermi. Ma tu sei stato presente sino alla fine, non vero? La voce suon quasi normale, quasi umana, tanto pi se paragonata a quella risata. Ho visto anche molte cose che sono accadute prima, ma dai rotoli ho appreso moltissimo che non sapevo... o non sapevo cos. Nuove possibilit di vedere in modo diverso le cose conosciute. Il moribondo si lasci ricadere tra i cuscini. Ah. Bene. Ma se sei arrivato fino a Persepoli e a Carcedonia, allora hai in mano tutti i fili e sai a quale gomitolo devono dare forma. Non hai forse detto che ci sono sempre numerose verit, come la verit del mio ricordo e quella dei resoconti degli altri? Allora non ci sono anche numerosi modi di avvolgere il gomitolo, oppure di vederlo? E questi anni non sono stati altro che la conclusione forzata di cose iniziate prima? Sentiva crescere dentro di s l'amarezza, un'amarezza che poteva percepire sulla lingua. Io non sono... non siamo stati tutti che interpreti secondari di una tragedia, o di una commedia, o forse di un epos messo in scena... di una storia la cui conclusione era gi stabilita nel momento in cui partimmo? Alla quale dunque non abbiamo apportato nulla? Soltanto... pedine? Aristotele sogghign: il ghigno del cranio di un morto. Pythias volt la testa. Non ci sono davvero pi rotoli? chiese Peukestas. Rotoli che mi potresti lasciare, per la storia? Aristotele emise una risata stridula. Rotoli? Ce n'erano, figlio di Drakon, ma li ho bruciati, a parte pochi. Perch? Quanto sapere, Aristotele! Quali tesori hai dilapidato! Nessun tesoro, figlio di Drakon. A parte i pochi che, per determinate ragioni, non dovrebbero appartenere a me. Che ne di Callistene? Tuo nipote ha scritto incessantemente, finch ha vissuto. E Ptolemaios? E mio padre? Si, Ptolemaios. Una bella testa. Non vedr che cosa ne sar

di lui, ma immagino che governer per lungo tempo l'Egitto. L'Egitto? Peukestas si contorse le mani. Ma se stanno ancora disputando per l'eredit. E' la disputa che sperano forse di risolvere se tu... se tu avessi una lettera in cui fosse possibile leggere in modo credibile che cosa avesse previsto Alessandro per la sua morte... per il tempo successivo alla sua morte. Leggerai e allora capirai. Potrai leggere ancora qualcosa, figlio di Drakon. Ma per quanto riguarda le cose che sono state bruciate... Ptolemaios, come ricorderai, a un certo punto inizi a provare odio per i vecchi macedoni, non vero? Per quelli che non potevano o non volevano comprendere la grandezza degli obiettivi e la misura delle novit. Da quel giorno i suoi resoconti cambiano. E' normale che chiunque veda un oggetto diversamente dal suo vicino; ma da quel giorno il Lagide ha deformato tutto intenzionalmente. E in che modo? Si possono riferire i fatti e nello stesso tempo deformarli? Sfigurarli? Stravolgerli in modo che la verit non sia pi visibile? Ti ricordi l'assedio di Massaga? Peukestas, diventato improvvisamente fiacco, annu lentamente. Me lo ricordo... malvolentieri. Fu una giornata nera. Con la mente rivide la citt, la roccaforte, difesa dai mercenari indiani, difficile se non impossibile da prendere. Alessandro promise ai mercenari che li avrebbe lasciati uscire indisturbati; quando quelli lasciarono la citt, li fece massacrare. In proposito Ptolemaios scrive, molto astutamente, che si era venuto a sapere che quelli se la volevano svignare di nascosto durante la notte, per non dover combattere contro altri indiani. Ma avrebbero ottenuto la fine dell'assedio soltanto impegnandosi a servire Alessandro in futuro. Quindi avevano progettato un tradimento, per cui lui dovette prevenire questo tradimento per non dover combattere di nuovo, pochi giorni dopo, contro gli stessi guerrieri. Peukestas esit. Non lo so... forse Ptolemaios conosceva cose che noi non siamo venuti a sapere. A noi hanno detto che, dopo aver concordato l'uscita, avrebbero voluto fare marcia indietro per attaccarci durante la notte. Ed erano gi stati giustiziati tanti uomini che avevano manifestato dubbi ad alta voce ad Alessandro che voi avete preferito ascoltare, credere e obbedire, non vero? Chi avrebbe mai potuto riportarci in patria, se non Alessandro? Peukestas si ricordava della disperazione che si tramutava sempre pi in indignazione e stanchezza. Proprio come in India, quando non volevano pi

andare avanti. L'ammutinamento sull'Hyphasis... C'erano sempre pi uomini che dicevano che dovevamo mettere fine a tutto questo, uccidere il re e tornarcene in patria. Ma... scomparivano improvvisamente; e soprattutto non c'era nessuno che avrebbe potuto riportarci in patria da quei labirinti sconosciuti. Nessuno tranne Alessandro. Avrebbe potuto farlo Parmenion, ma era morto. I ricordi giungevano con immagini chiare e inalterato orrore. Le marce infinite attraverso deserti pietrosi; gli uomini che morivano di sete e di fame; la fondazione di citt che servivano al solo scopo (e non c'era nessuno che non lo comprendesse) di potervi lasciare i recalcitranti e i feriti che ostacolavano l'avanzata. Vi furono anche altre fondazioni pi ragionevoli: villaggi fortificati, roccaforti per governare i territori conquistati; qui vennero insediati volontari. Ma quella era stata soltanto una parte... E poi i giorni terribili in India, le interminabili piogge calde, le notti soffocanti nella giungla e nella palude, le frecce avvelenate scagliate dalla boscaglia, ogni mattino una dozzina o pi di guerrieri che non si alzavano perch erano stati morsi dai serpenti; il cadavere di un amico, con la bocca aperta, dalla cui gola strisci fuori un orribile rettile nero, quando Peukestas tent di svegliare l'uomo apparentemente addormentato; le bestie, l'acqua, le paludi; uomini che gettavano via l'elmo, rivolgevano il volto al cielo e, impazziti, si fermavano ad affogare nella pioggia; uomini che al mattino strisciavano fuori da una buca umida, ricoperti di sanguisughe brulicanti; uomini che all'improvviso correvano a quattro zampe e scomparivano nella giungla tra i latrati. Che cosa era accaduto alle altre persone esperte? A Koinos, per esempio? chiese Aristotele con tono indagatore. Koinos, precettore del re, ufficiale gi sotto Filippo, fedele sino alla fine... Koinos, il duro taxiarca con i capelli grigi, che sull'Hyphasis aveva sguainato la spada e l'aveva porta al re con la richiesta di spezzarla, cos non avrebbe potuto essere usata per altre follie. Koinos che aveva rinfrancato e tenuto insieme l'esercito quando Alessandro, fuori di s per la collera, si era ritirato per tre giorni nella sua tenda e gli uomini avevano tentennato, chiedendosi se avrebbero dovuto davvero continuare a seguire il loro re, quel semidio, l'invincibile, se solo fosse uscito finalmente dalla tenda e avesse fatto di nuovo risplendere il sole della

sua presenza. Koinos, che per tre giorni scongiur e minacci gli altri ufficiali e i soldati semplici; che il terzo giorno riusc in qualcosa che non erano riusciti a fare gli eserciti di Dario: sconfisse Alessandro, lo costrinse a cedere, a fare innalzare altari e a permettere all'esercito di tornare indietro. Koinos mor subito dopo, non vero? Peukestas spalanc gli occhi. Fu... s'arrest. Un'intossicazione: cibo andato a male. Non morto cos anche Nikanor, il figlio di Parmenion? Non lontano dal re, cui ho insegnato a distinguere le erbe buone dalle cattive? I resoconti disse Peukestas con tono inespressivo. Quali altri resoconti c'erano ancora? Lo sai gi da tempo, non vero? Aristotele rise di nuovo in modo stridulo. Resoconti? Be' s, resoconti. Di Callistene, per esempio. Il mio nipote buono a nulla... sciocco, arrogante, stupido. Al resoconto dell'incendio di Persepoli ha aggiunto ancora un mezzo rotolo, pieno di pensieri sulla grandezza della vendetta e la magnificenza di quella notte: una sciocchezza talmente indicibile, una stupidit cos impronunciabile che ho bruciato fin da allora il rotolo, quella met. Quando Alessandro, per raggiungere i suoi obiettivi pi grandi, arruol i persiani nell'esercito, trasfer o mise da parte o fece semplicemente ammazzare i soldati esausti, quelli che volevano tornare in patria con il ricco bottino, i vecchi ufficiali che brontolavano e non erano pi affidabili... quando per tutto questo aveva bisogno di aiuto e di resoconti ben torniti per l'Ellade, allora si servito della lingua tagliente e delle trovate astute di Callistene. Quando poi il re, per non alienarsi gli asiatici e impiegarli a sostegno del proprio potere, introdusse l'atto di prosternazione asiatico, la proskynesis, Callistene si rifiutato, come molti altri: si rifiutato, da uomo libero e da elleno, di inginocchiarsi davanti a un re, di baciare il terreno davanti a chi era stato suo allievo, a chi, secondo la costituzione macedone, era primo tra pari, ma non re-dio. Allora, Peukestas, Alessandro ha fatto ammazzare Callistene, come prima di lui Philotas e gli altri. Kleitos, fratello della balia di Alessandro, salvatore della vita del re sul Granico: lo ha ucciso con le sue stesse mani, e Ptolemaios ha scritto parole astute al riguardo. Questa lettera l'ho conservata. E' abile: la si pu prendere come istruttivo esempio di deformazione della verit al servizio di un potente. Aristotele aveva parlato sempre pi rapidamente; ora

tacque per un momento, ma non sembrava assolutamente stanco. Era come se volesse bruciare in un grande fuoco finale la vita che ancora gli restava, tutta l'energia non ancora dispersa. Per questo disse poi ho bruciato la maggior parte dei resoconti. Erano inutili, capisci? Le chiacchiere di Callistene; le cesellature di Ptolemaios, di una finezza capace di trasformare la luna in una mela e ridurre al silenzio Demostene in un'assemblea. C'erano lettere di Nearchos, la nuda verit senza aggiunte, ma dentro c'erano molte cose importanti che un mio ottimo amico doveva sapere urgentemente e che nessun altro avrebbe dovuto conoscere. Le ho date ad Antipatros, come si conveniva. Forse hanno contribuito a far s che alla fine abbia disobbedito all'ordine del re di raggiungerlo a Babilonia. Per questo ancora vivo. Macerie macerie macerie. Peukestas si premette il palmo delle mani sulle tempie. Ho dunque seguito un dio, oppure un folle? Pythias scosse il capo; nella sua voce c'era una sorta di tristezza e di compassione. Voi uomini, sempre con i vostri "o... o". Tu, tutti voi avete seguito un dio folle. Era entrambe le cose. Non c' pi nulla che abbia trovato grazia ai tuoi occhi? Voglio sapere, devo sapere! Aristotele mosse la testa; Pythias si avvicin allo scaffale con un lieve sospiro e torn indietro con alcuni rotoli di papiro. Uno rimase sul ripiano dal quale aveva preso gli altri. Due lettere disse il filosofo; d'un tratto la sua voce parve quella di un moribondo, non pi quella di un cadavere ardente. Una preziosa lettera di Parmenion, il mio buon vecchio amico. E una di tuo padre, figlio di Drakon. E insieme il resoconto della morte di Kleitos il Nero, deformato dal Lagide Ptolemaios. I rotoli pi spessi possono aspettare. Leggi... Leggi soprattutto quello che non nelle parole, ma in mezzo, dietro a queste. Pythias diede al macedone i tre scritti. Scarabocchi neri senza pregio su un papiro di poco valore, eppure inestimabile.

Parmenion, figlio Nikomachos. Saluti e ricordi,

di

Philotas, La

ad

Aristotele, grigia si

figlio

di

amico.

notte

annida

negli

strani alberi di Ekbatana. Lo stratega riposa, ma il vecchio non riesce a dormire; che legga il filosofo, ma risponda l'amico.

Queste sono le cose importanti di cui l'Ellade venne gi a sapere dalla penna contorta di Callistene. Quando l'inverno cedette il passo alla primavera, Persepoli bruci. Trascorremmo i giorni successivi a pacificare la Media e a occupare Ekbatana. Quando inizi il caldo dell'estate, il re conged gli alleati ellenici, di cui soltanto alcuni rimasero volontariamente come mercenari. Harpalos, custode del tesoro, rest a Ekbatana quando il re divise l'esercito. Lui part con la parte pi grande, per inseguire Dario e assoggettare le satrapie orientali; la parte pi piccola rimase a me. Qui si incontrano due cordoni ombelicali che io devo unire in un grande cordone: rifornimenti e notizie dalla Macedonia, che passa per la Via Reale, che passa per i territori dei nobili satrapi Antigonos e Nearchos; rifornimenti e notizie da Egitto, Fenicia e Babilonia. Tutto questo deve essere esaminato e unito insieme da dita abili. Non ho mai amato tanto un uomo come il tuo allievo, il signore delle diecimila nature luminose; perch lui era valoroso e generoso, audace e ingegnoso. Non vi fu mai un simile re e condottiero, amministratore intelligente e stratega divino. Se esiste una battaglia perfetta nello splendore e nell'orrore, nella preparazione e nell'esecuzione, lui l'ha condotta a Gaugamela. Ancora tra diecimila anni i guerrieri la studieranno e si stupiranno; la mia partecipazione stata irrilevante, ma stata parte di un miracolo e cos la mia morte imminente non mi canceller del tutto. A Babilonia accaddero molte cose, come sai; queste hanno deciso il passato e privato del futuro il presente. Non pi tuo allievo, non pi molte altre cose, il re ha iniziato a riempire le notti con il vino. Ma la notte la vetta e i fiumi di vino scendono a valle, dove spengono le luci del giorno, le fiamme delle diecimila nature luminose. Quello che si sarebbe dovuto ancora raggiungere, avrebbe potuto essere assicurato dalla luce; quello che lui vuole ancora raggiungere, si trova al di l della luminosit, e cos lui si

circonda di diecimila ombre che lo aiutano. Il prezzo lui stesso, temo, e tutti noi con lui. Mio figlio Hektor morto senza discendenti, annegato nel Nilo. Mio figlio Nikanor ha lasciato i figli a Pella, sotto la protezione del nostro migliore amico. Nikanor morto per un cibo avvelenato, vicino al re di cui sono famose le conoscenze delle erbe e dei veleni, che per non sono bastate ad aiutarlo. Mio figlio Philotas lascer figli, quando anche lui se ne andr... figli protetti anche loro da Antipatros. Philotas con Alessandro: tiene in mano le lame affilate degli etri a cavallo. Quando nasce l'erede agognato, amico, le balie e il medico conservano il cordone ombelicale sino a che necessario e poi, quando la nuova creatura pronta a questo, lo tagliano con prudenza. Ma se la creatura dovesse essere un mostro nerastro, pieno di orrore, destinato a sconvolgere il mondo, allora non sarebbe meglio tagliare in due il cordone ombelicale, con una lama affilata? Questo ti scrive Parmenion sotto la luna ardente, il cui nome metagheitnion ad Atene; in Macedonia gorpiaios, simbolo del leone celeste che rugg alla nascita di Alessandro, ventisei anni fa. Ti abbraccio.

Peukestas lasci cadere la lettera e la pos sul tavolo; il papiro si riarrotol con un lieve fruscio. Pythias si chin sul moribondo e gli somministr acqua e vino. Il macedone emise un gemito muto; i pensieri gli si rincorrevano. Philotas, capo della cavalleria degli etri, figlio di Parmenion... si diceva che gli attendenti del re, per motivi imperscrutabili, avessero preparato un attentato mortale ai danni di Alessandro; uno di loro si pent e decise di avvertire il re, si rivolse a Philotas, pi volte, ma Philotas non comunic l'avvertimento, perch lo prese per una sciocchezza infantile. Alla fine il fanciullo si spinse sino ad Alessandro; e Alessandro accus Philotas di connivenza, s, di complicit e lo fece condannare a morte dall'assemblea degli etri. E, dal momento che si trattava del figlio di Parmenion, Parmenion che a Ekbatana aveva in mano i rifornimenti, gli approvvigionamenti, il denaro e un esercito fulmineo: Parmenion, il padre dell'esercito, l'unico che gli

uomini avrebbero seguito ciecamente come il re... Peukestas si ricord del pallido mattino in cui Polydamas era partito con alcuni compagni, per attraversare a dorso di cammello i deserti e gli altopiani rocciosi, anzich seguire le strade. Raggiunsero Ekbatana; parlarono con gli ufficiali; consegnarono a Parmenion diverse lettere e, mentre le leggeva, lo pugnalarono. I pi nobili tra i macedoni, gli uomini pi potenti dell'esercito forgiato da Filippo e Parmenion... E Alessandro divise la cavalleria degli etri: una met la mise al comando di Kleitos e l'altra di Hephaistion. Kleitos il Nero, fratello della balia di Alessandro Lanike, che aveva salvato la vita al re sul Granico. Ma anche uno degli ufficiali di Filippo, vecchio amico di Parmenion, nobile macedone, piuttosto contrario alla prosecuzione della spedizione militare, per devoto al re con amore, fedelt e venerazione. Fino a che Alessandro divenne sempre meno macedone, indoss la veste regale persiana, non permise pi ai compagni, tra cui era il primo tra pari, di andare da lui in qualsiasi momento, ma incaric il maestro di palazzo di annunciarli o respingerli; fino a quella notte di due anni dopo, due estati dopo l'esecuzione di Philotas, dopo l'assassinio di Parmenion. Peukestas prese il rotolo con il resoconto del Lagide. Il grande Ptolemaios, stratega intelligente, amato dall'esercito come solo Krateros oltre a lui: un cesellatore di parole, un confezionatore di bugie sapienti? Peukestas lesse e si ricord delle fatiche di quell'anno. Gli scontri estenuanti dell'interminabile guerriglia contro il satrapo Spitamenes; le avanzate nella steppa scitica, nelle pianure sogdiane, nei monti battriani, ai confini del mondo. La prima sconfitta, quando Spitamenes riusc a uccidere oltre duemila macedoni sul fiume Polytimetos. Alessandro non era stato presente, tuttavia fu la sua prima sconfitta; forse che la sua invincibilit non si era trasmessa a tutti i suoi uomini? C'era insoddisfazione nell'esercito, che veniva attaccato continuamente alle spalle e attraversava localit in cui non si poteva fare bottino n sembravano essere in gioco altre cose importanti. I soldati non volevano continuare, volevano tornare in patria, le lettere che scrivevano potevano essere inviate soltanto dopo che gli ufficiali le avevano lette; e alcuni dopo averle scritte sparivano all'improvviso, oppure venivano tolti alle loro unit e assegnati a truppe speciali, che ottenevano gloria somma e una morte nobile in missioni impossibili. Soltanto in inverno, dopo l'assassinio

di Kleitos, Alessandro riorganizz l'esercito, allest piccole unit mobili, truppe speciali con un addestramento e un equipaggiamento speciali per combattere tra i monti oppure inseguire rapidamente il nemico astuto in azioni di guerriglia; solo nella primavera successiva riusc a spezzare l'ultima resistenza. C'era forse stata anche un'altra resistenza? Peukestas si ricord con un brivido dell'ammutolire improvviso di molti uomini; del silenzio inquietante tra i gruppi davanti ai fuochi invernali; della paura o dell'angoscia sui volti degli intrepidi soldati; solo in primavera, quando Alessandro aveva vinto di nuovo, dimostrando che le sue innovazioni ingegnose, i suoi abili provvedimenti possedevano lo stesso fuoco divino di prima, il clima era mutato. Ptolemaios scriveva dall'accampamento, a Marakanda, nell'estate di quell'anno sciagurato. Una delle gozzoviglie sempre pi frequenti; erano tutti ubriachi (Peukestas si ricordava degli schiamazzi che era riuscito a sentire perfino dalla sua parte dell'accampamento) e alcuni degli ospiti facevano a gara in scempiaggini, altri in storie menzognere o in canti grossolani, altri ancora in elogi fantasiosi. Affermarono cos che i semidi Castore e Polluce, e perfino Eracle... nessuno di tutti i grandi personaggi della tradizione reggeva il confronto con Alessandro.

Kleitos aveva gi manifestato da tempo la sua rabbia per la svolta "barbarica" di Alessandro, e le chiacchiere degli adulatori accrescevano la sua ira. Non tollerava, neppure riscaldato dal vino, che venissero ingiuriati gli antichi eroi e non era disposto a permettere che, per amore del re, si sminuissero le imprese degli antenati. Le gesta di Alessandro non erano assolutamente cos grandiose e straordinarie come ora le magnificavano esagerando; e oltre a questo, con tutta la grandiosit delle sue imprese meravigliose, non le aveva compiute tutte da solo, ma erano anche opera di alcune decine di migliaia di macedoni. Questi discorsi fecero arrabbiare a sua volta Alessandro, che intim al suo vecchio amico di moderarsi. Ma quando alcuni iniziarono, dopo i Dioscuri ed Eracle, a sminuire anche Filippo, come se questi non avesse compiuto nulla di grande n degno di ammirazione, ma nel

migliore dei casi non fosse stato che un pallido predecessore del suo figlio divino, Kleitos non riusc pi a trattenersi; e inizi a esaltare la gloria di Filippo e a sminuire le imprese di Alessandro. Eccitato ed ebbro, balz in piedi e grid in direzione del re, che si alz a sua volta gridando verso di lui. Kleitos disse tra l'altro che, senza lo straordinario esercito dei macedoni creato da Filippo e Parmenion, Alessandro non sarebbe arrivato neppure sino al Granico, cosicch lui, Kleitos, non si sarebbe trovato in condizione di salvargli la vita; o forse pensava davvero che, con le chiacchiere dei sacerdoti di Ammon e i veleni, gli intrighi e gli attentati omicidi di Olympias, avrebbe raggiunto tutto quello che avevano ottenuto la mano di Kleitos e quelle degli altri macedoni? Allora Alessandro, rabbioso e ubriaco, fece per gettarsi su di lui, ma venne trattenuto dagli altri compagni. Lui grid che ormai si trovava nella stessa situazione di Dario tra le mani di Bessos: il re prigioniero nella sua stessa tenda, tra le mani dei suoi ufficiali. Questi lo lasciarono andare; nel frattempo Ptolemaios, figlio di Lagos, aveva trascinato fuori dalla tenda Kleitos schiumante di rabbia. Kleitos tuttavia si divincol ritenendo che, in quanto principe macedone ed etro del re, non aveva proprio nulla da temere n doveva tenere a bada la sua lingua, e ritorn nella tenda, per nulla calmato, per affrontare nuovamente Alessandro altrettanto poco calmato. Dopo di che il re strapp la lancia a una delle guardie e uccise Kleitos.

Segu la descrizione toccante della tristezza e del pentimento del re: aveva conficcato la lancia contro la parete per togliersi la vita da solo; quando gli amici glielo impedirono, si era ritirato per tre giorni nella sua tenda ad affliggersi e lamentarsi, senza prendere cibo. Tre giorni... Peukestas pens a quei tre giorni sull'Hyphasis, quando il re aveva cercato con il silenzio di far cambiare opinione ai guerrieri ammutinati, fallendo per volont di Koinos, che era morto subito dopo. Tre giorni dopo la morte di Kleitos, Drakon e Demaratos ritornarono da una delle loro solite perlustrazioni misteriose; subito dopo mor Demaratos, amico di Kleitos, con cui aveva collaborato in modo stretto.

Il corinzio mor di vecchiaia e di stanchezza, un giorno, dopo essere saltato gi da cavallo ridendo. La sera prese parte a una gozzoviglia; Alessandro in persona mescol acqua, vino e miele, aggiunse spezie, porse di sua mano i bicchieri agli amici che voleva onorare particolarmente. Demaratos era uno di quelli e il giorno dopo era morto, pianto da molti, nuovamente onorato da Alessandro, che gli fece innalzare uno splendido monumento e ne fece riportare a Corinto il cadavere imbalsamato. Tre giorni a Opis, sul Tigri superiore, l'anno prima della sua morte: quando il satrapo Peukestas (il giovane macedone non amava quell'uomo e aveva sempre rimpianto di portare lo stesso nome) forn al re trentamila giovani persiani addestrati ed equipaggiati e Alessandro conged undicimila veterani macedoni per mandarli in patria, al comando di Krateros. Emes, il grigio e fedele spilungone Emes, si fece portavoce dei soldati che non volevano essere mandati via cos, non volevano cedere l'impero da loro conquistato ai barbari cui l'avevano strappato con il sangue. Alessandro si trincer anche questa volta per tre giorni; alla fine celebr una strana riconciliazione con gli uomini, che questa volta avevano il fido Emes, ma nessun Koinos e non ottennero nulla se non abbracci e cordialit. E nel frattempo cos tanti, cos infinitamente tanti e alla fine confusi avvenimenti. La spedizione oltre il limite dell'ecumene, verso l'India, rafforzata da soldati persiani, battriani e sogdiani oltre a quasi ventiduemila uomini dell'Ellade e della Macedonia, il cui entusiasmo era pi forte della nausea e della stanchezza dei vecchi guerrieri. L'esercito smisurato che si diresse verso l'India, pi di centocinquantamila persone con le donne, i bambini e le salmerie. C'era la bella battriana Roxane, che diede ad Alessandro il secondo figlio (il primo, Eracle, si trovava a Susa con la madre Barsine) e lo vide morire pochi giorni dopo la nascita nelle paludi dell'India. La battaglia contro il re Poros, forse un capolavoro anche pi grande di quello di Gaugamela: Poros sbarr il passaggio dell'Indo in attesa di un sovrano amico e del suo esercito; Alessandro divise i suoi soldati lasciandone una met sul fiume al comando di Krateros e marciando con gli altri verso monte, attravers la corrente impetuosa durante la notte e al mattino attacc Poros; l'indiano non poteva attendere i rinforzi, non poteva ritirarsi senza essere preso nella tenaglia di Alessandro e di Krateros, dovette disporsi a battaglia, ben sapendo che non sarebbe riuscito pi a impedire il passaggio del fiume agli

uomini di Krateros, perch tutti gli indiani erano indispensabili per difendersi dall'attacco di Alessandro. E nello stesso tempo di una inutilit infinita, perch non c'era pi nulla da vincere e nulla da perdere, se non la vita. L'avanzata verso Oriente, interrotta dalla pioggia, dalla palude e dalla giungla, la grande vittoria del saggio Koinos sul re che era rimasto in collera per tre giorni. Le citt saccheggiate, gli uomini massacrati e le donne e i bambini ridotti in schiavit. L'assalto furioso alla citt dei malli, quando perfino gli etri non volevano pi combattere e il re, schiumante di rabbia, si arrampic da solo sulle mura e balz gi nella citt, coraggioso, audace, folle. L'arrivo di Nearchos con nuovi rinforzi e l'assegnazione dei servizi segreti a Nearchos e Ptolemaios. La costruzione della grande flotta che discese l'Indo. Alessandro e Hephaistion, che dalla foce del fiume fecero vela verso l'Oceano e si immersero sul fondo del mare in una grande botte impeciata, nel cui fianco c'era un'apertura chiusa ermeticamente con vescica di maiale. La divisione dell'esercito: una parte rimase indietro come guarnigione, una parte, al comando di Krateros, si diresse a nord, attraverso i passi montani, verso la Persia, una parte, con Nearchos e Onesikritos, fece vela verso occidente lungo la costa, la parte pi grande, al comando di Alessandro, marci attraverso il deserto letale della Gedrosia, e di questa parte ne sopravvisse solo un terzo. Ancora allora, nella casa di Aristotele, Peukestas si chiese se quella spedizione fosse stata un'altra sfida del semidio Alessandro agli di, oppure la punizione per gli uomini che avevano osato sfidarlo con la loro opposizione; oppure un tentativo del re, che dovette soffrire anche lui la sete e il caldo, di punire se stesso. La sua brama non si dirigeva pi alla vastit, ma alla vastit oltre ogni confine, alla morte? Oppure era come aveva detto un babilonese, il tentativo forzato di descrivere insieme a Hephaistion, come Gilgamesh ed Enkidu, un grande cerchio intorno al mondo, che iniziava e finiva a Babilonia, e di trovare da qualche parte gli alberi di pietra, l'ostessa degli di e il cespuglio della vita eterna? Pens al calore ardente, alle distese sabbiose e alle steppe rocciose, ai miseri e secchi arbusti spinosi, a giorni e notti senz'acqua n cibo n combustibile, quando uccisero le bestie da carico e le cavalcature per bere il loro sangue e inghiottirne la carne cruda, prima che andasse a male; alle fonti d'acqua (non le sorgenti di Gilgamesh) in cui torreggiavano i cadaveri: uomini che si gettavano nell'acqua disidratati e bevevano sino a che morivano scossi dai crampi.

Il ritorno verso la Persia, la punizione dei satrapi negligenti che avrebbero dovuto fornire cibo e acqua al convoglio: ma forse l'ira di Alessandro fu soltanto un modo di sottrarsi alla catastrofe che aveva voluto e provocato e per la quale ora aveva bisogno di colpevoli, in modo che i sopravvissuti dell'esercito continuassero a seguirlo? Le nozze di Susa, dove Alessandro si era sposato con la figlia di Dario Stateira e con Parysatis, la figlia minore di Artaserse Ochos; Hephaistion ricevette la sorella di Stateira, Drypetis; Krateros una nipote di Dario; Perdikkas e Ptolemaios, Eumenes e Nearchos, Seleukos e Leonnatos (Peukestas rivide l'immagine con la mente: gli uomini e le loro mogli in lunghe file affiancate, a cominciare da Alessandro, poi Hephaistion, poi Krateros, poi Perdikkas e cos via) e un centinaio di altri ufficiali ed etri vennero uniti in matrimonio con le figlie dell'alta nobilt persiana, cos come molte migliaia di uomini dell'esercito con le persiane insieme alle quali vivevano gi da molto tempo e avevano figli. I figli dei vecchi guerrieri rimandati in patria meticci, senza dubbio tutt'altro che benvenuti in Macedonia vennero presi dal re come propri, per farli addestrare al servizio dell'impero: l'esercito meticcio del futuro? Un sogno lungo e agitato; e nel bel mezzo (o era ancora quasi all'inizio? Quattro anni prima della morte di Alessandro, tre anni dopo la morte di Parmenion, un anno dopo l'assassinio di Kleitos) l'incredibile conquista della roccaforte del principe sogdiano Ariamazes, nella quale aveva fatto rifugiare la sua famiglia anche il battriano pi importante ancora libero, Oxyartes. Durante la conquista della roccaforte tra le rocce, pi di trenta macedoni erano precipitati lungo il pendio liscio, e per di pi ricoperto di neve e ghiaccio; tra quelli i cui cadaveri non erano stati ritrovati e non avevano potuto essere seppelliti, c'era anche il padre di Peukestas, Drakon, medico e uno dei capi degli informatori segreti. E ora teneva in mano una lettera di Drakon, probabilmente scritta poco prima di quella conquista, l'ultimo segno di vita di un morto. Peukestas gett un'occhiata al filosofo morente; Pythias l'aveva ripulito alla meglio, questa volta senza invitarlo ad abbandonare la stanza. Ora era in cucina, impegnata in qualche incombenza; Aristotele giaceva sulla schiena, respirava in modo superficiale e fissava il soffitto. Peukestas lesse. La prima parte dello scritto, con i saluti e l'inizio della storia, mancava. All'inizio di quello che Peukestas teneva in mano, c'era una frase incompleta. E gi a questa mezza frase il figlio di Drakon s'irrigid.

Nelle ultime lune Alessandro aveva spesso un aspetto sgradevole, consumato dalla stanchezza e nello stesso tempo gonfio per il vino; tu conosci spettacoli simili e, in un re, sono ancora pi spiacevoli che in un comune mortale. Nei giorni precedenti, tuttavia, aveva dormito bene, evitato le cavalcate faticose e bevuto pochissimo; quando sent le parole del messo e rise, era di nuovo quel condottiero giovane e affascinante che tutti avevano amato e, per qualche momento, anch'io riuscii a dimenticare i giorni neri. Disse che intendeva onorare Ariamazes per queste parole generose, dopo averlo preso prigioniero, e conged il messo. L'attacco inizi durante la notte, e fu un'impresa che nessuno oltre ad Alessandro avrebbe potuto immaginare. Perdikkas e i suoi opliti, appoggiati da arcieri e lanciatori di giavellotto, attaccarono con un forte fragore, con fiaccole e scale e frecce incendiarie, i primi baluardi della roccaforte sul pendio occidentale, naturalmente senza prospettiva di successo. Lo stesso Alessandro, Hephaistion e circa trecento soldati scelti, ai quali il re aveva promesso laute ricompense, si arrampicarono sul lato orientale, quasi a perpendicolo, innevato e ghiacciato, in questo modo: oltre alla spada e al giavellotto, gli uomini presero con s tre cose: chiodi da ghiaccio, corde e martelli. Piantavano i chiodi nella montagna e tendevano le corde, poi gli uomini successivi si arrampicavano e piantavano altri chiodi a un'altezza di un uomo sopra i precedenti. Cos salimmo: c'ero anch'io, perch Philippos soffre di vertigini e il re non pu certo andare in battaglia senza un medico. Pi di trenta di noi precipitarono e giacquero maciullati o comunque irrintracciabili ai piedi del pendio, nella gola che si estendeva a oriente. Durante l'ascesa compresi che quella era l'occasione che avevo atteso. Rimasi un po' indietro quando gli altri si arrampicarono sulla cima pi alta e da li penetrarono nella roccaforte, saltandovi dentro o calandosi con le corde. Naturalmente aprirono prima le piccole porte su quel lato; i difensori si trovavano quasi tutti sull'altro muro, a osservare i vani tentativi di Perdikkas. Non ci volle molto prima che iniziasse lo scontro; sempre pi macedoni si arrampicavano su con i chiodi e le corde e si gettavano nella mischia. Io rimasi nell'ombra della notte; nessuno mi ha visto. Alessandro era come sempre alla testa degli uomini che

penetrarono nella roccaforte. Fer con la spada Ariamazes, che aveva cercato di fermarlo; poi penetr in un passaggio illuminato, ricoperto di tappeti. Lo seguii. Si diceva che la nobile figlia di Oxyartes, Raukhshana, Roxane, fosse la donna pi bella dell'Asia e naturalmente tutti la volevano vedere: tutti compreso il re. Con la spada Alessandro uccise due guardie che volevano fermarlo; una vecchia, che era accovacciata davanti alla porta degli appartamenti, strisci di lato gemendo. Dietro la porta c'erano pesanti tendaggi che mi nascosero; me e la vecchia, che sent il mio coltello alla gola e non os neppure gemere. Nella stanza ardeva un fuoco; numerose fiaccole, lampade e superfici d'argento levigate illuminavano il locale. Questo era arredato in modo elegante, con arazzi multicolori di seta, pesanti e morbidi tappeti intrecciati sul pavimento, oro, argento e migliaia di legni profumati, un ampio letto e cassapanche raffinate. Al centro della stanza, con la schiena rivolta verso il fuoco, c'era la donna pi bella dell'Asia. Non indossava nessun gioiello: l'ornamento pi prezioso non sarebbe stato degno di lei, Aristotele. Non indossava altro che una fine veste bianca, quasi trasparente. Lo splendore dei seni, che rilucevano attraverso il tessuto sottilissimo, avrebbe fatto perdere il senno a Eracle e fatto raggrinzire i pomi delle Esperidi. I colori dell'oro fuso nelle monete, prima che si raffreddi; il fuoco liquido in un recipiente della grazia pi perfetta; i capelli sciolti, lunghi sino ai fianchi, come finemente intessuti dalle dita della Moira con il materiale inutilizzato al momento della creazione del mondo perch agli di parve troppo prezioso per la mezzanotte; i movimenti come quelli di una giovane leonessa, che fa le fusa prima del balzo; il fuoco ardente degli occhi, che incendia i lombi; la chiostra rilucente dei denti, le onde increspate delle labbra... E ancora qualcosa tra i seni, ma questo lo vidi solo pi tardi. Ti ricordi, Aristotele, le descrizioni, i resoconti che ti ho fatto a voce e per iscritto: i giorni di Samotracia, quando Filippo si doveva riconciliare con gli di e incontr Olympias nel tempio? La tempesta rovente che colse entrambi e che per lungo tempo scompigli i piani dei sacerdoti? Qualcosa di simile, s... solo pi forte. Per gli di, ne ho viste di donne nella mia lunga vita, ma soltanto una come Raukhshana. Teneva in mano un coltello lungo e sottile. Brillava come il dente di un serpente. E lui? Come guarito grazie al sonno abbondante, all'astinenza

dal vino e al duro lavoro, magicamente ringiovanito grazie all'ascesa, eroe radioso che cavalca sulle ali della notte, la spada insanguinata tra le mani, conquistatore irresistibile del mondo: lui lasci cadere la spada e le si avvicin lentamente, trascinando i piedi. Si sfil l'elmo e la corazza prima ancora di raggiungerla. Il chitone cadde come le foglie al vento autunnale, Aristotele, come le foglie insignificanti che impediscono al tronco che tende verso l'alto di raggiungere il caldo ricettacolo dell'ultimo ardore dell'estate. Quando la raggiunse, portava ormai soltanto il perizoma; e le sue cicatrici. Lei rise; una risata calda, gutturale. Poi gli si avvent contro con il pugnale e lo fer alla spalla. Lui le afferr la mano, la blocc, ma la blocc dolcemente, come se volesse convincerla con la forza dello sguardo, non costringerla con la forza della mano. Io vidi... vidi che il loro atteggiamento e il loro sguardo mutavano. Vidi che lui lasciava andare la mano della battriana. Il sangue di lui sul pugnale di lei, che se lo port alle labbra. Con la lingua (non vi fu mai una lingua simile) lecc il sangue di Alessandro dalla sua lama. Si pieg in avanti, bevve il sangue dalla ferita che gli aveva provocato sulla spalla, poi gli offr le labbra da baciare, per assaporare il sangue insieme. Raukhshana... si allontan ancora una volta da lui, prima che iniziasse la vertigine. Fece un passo indietro, si strapp la veste, la lasci cadere. Si inginocchi davanti a lui per aprirgli il perizoma e io lasciai la stanza, trascinando via con me la vecchia gemente. Infatti, prima che lei si inginocchiasse, avevo visto l'amuleto tra i suoi seni. L'ankh e l'occhio di Horos. Raukhshana ha diciotto anni, come mi disse la vecchia. Figlia non carnale di Oxyartes che, come molti satrapi e principi, un eunuco. La prese con s quando aveva dodici o tredici anni. Prescelta, Aristotele, e imposta come figlia a Oxyartes, nell'anno in cui Alessandro vinse a Isso, da un altro: Bagoas il Sano. Dopo una lunga ricerca per tutto l'impero. Lui ha anche ordinato a Oxyartes dove soggiornare in ogni momento e circostanza; l'ultima volta poche lune fa, disse la vecchia prima che io la facessi ammutolire per sempre. Sono fuori di me? Mi sono tagliato il braccio con il coltello insanguinato e ho sentito il dolore, ho visto il sangue; ho toccato le mura e ho visto le stelle danzare. Eppure mi sento incarcerato in un sogno orribile: in quel rotolo infinito di papiro dell'immagine di quel sogno a Babilonia, bloccato in mezzo agli specchi che stanno uno di fronte all'altro e mi

fanno rimbalzare qua e l, qua e l, mi rimpiccioliscono all'infinito, mi moltiplicano e alla fine mi dissolvono. Infatti non so a che scopo Bagoas abbia prescelto Raukhshana; il vecchio piano rimane tuttora un mistero per me. Io per so perch deve aver cercato proprio lei tra tutte le figlie dell'Asia. A Samotracia venne offerto un sacrificio al dio, l'immagine della madre uccisa da Filippo, Euridyke; e dalle fattezze di Olympias sembrava che dentro di lei fosse rinata la strega linceste. Nella rocca di Ariamazes, o nobile filosofo, vidi Olympias: giovane, affascinante, con i capelli e la pelle pi scura, la sorella gemella asiatica, ringiovanita, della madre di Alessandro. Non voglio pi partecipare a un gioco di cui non conosco le regole e gli obiettivi. Non ne posso pi di servire un re che diecimila di e poi diecimila mostri, che attira gli uomini e li massacra, entusiasma i popoli e li cancella, resiste agli di e vuole essere un dio. Ho indossato l'elmo e il mantello, l'equipaggiamento e le armi di un caduto; nessuno mi riconobbe quando, prima dell'alba, discesi gi dal monte e corsi attraverso l'accampamento. Vi lasciai tutte le mie cose, la cui mancanza avrebbe potuto essere notata; mi accompagnarono solo monete e armi. E provviste, acqua, un cavallo. Mi rattrista che anche Peukestas mi creder morto, maciullato ai piedi della montagna; ma mio figlio si dato al re, e come potrei parlargli della mia vita successiva, dal momento che tutti mi devono credere morto? Ora sono un medico girovago, nella parte occidentale della Battriana. Mercanti di sisanzio prendono con s lo scritto che tu devi custodire e nascondere. Soltanto Antipatros deve sapere. Ti abbraccio.

Sbalordito, stupefatto, inorridito eppure pieno di gioia, Peukestas lasci cadere il papiro. Niente domande disse Aristotele con voce quasi impercettibile. Ma... mio padre, l'amuleto, tutti i... Niente domande. Lenta, stanca, quasi inanimata, la mano sinistra del filosofo moribondo scivol fuori da sotto le coperte e indic i due rotoli spessi che si trovavano ancora sul tavolo. Leggi. Saprai. Fammi raccogliere le ultime forze, per. . .

dopo. Peukestas allung la mano stordito, prese i rotoli e osserv i segni sul primo. Conosco la scrittura... ma ci sono parti cancellate, parti di un altro scritto sovrapposte... Dymas era un chiacchierone. Tutte le sue esperienze nel corso degli anni. Io... Aristotele toss: lo scricchiolio del vento invernale su un pendio gelato. L'ho riassunto e accorciato; non manca nulla di importante. Il secondo scritto ... di Nearchos. Leggi; e fammi raccogliere le forze. Ma... Aristotele non si mosse e tenne gli occhi chiusi. Pythias, da tempo rientrata nella stanza, disse a mezza voce: Forse posso dirtelo io, macedone. Peukestas indic i rotoli messi via. Mio padre... E in che senso Ptolemaios ha mentito abilmente, nel suo resoconto su Kleitos?

Pythias si strinse nelle spalle. Con i dettagli e le allusioni. Quando scrive che Kleitos era irritato gi da tempo, come se intendesse che Kleitos volle in qualche modo cedere intenzionalmente a questa irritazione. Riferisce il suo discorso che affermava la pura verit e non era offensivo, come se lo fosse stato, e omette le offese che Alessandro probabilmente ha pronunciato. Esagera l'ebbrezza e l'eccitazione del re, in modo che l'omicidio possa apparire come l'azione di una mente alterata. Ti basta? Peukestas borbott, tacque, fiss davanti a s. E Drakon? chiese alla fine. E' a Menfi. Forse ti sta aspettando. Ora leggi!.

13. Il tempio degli di morti.

Una trireme carcedone port Dymas sino alla punta meridionale del Peloponneso, al promontorio di Tainaron dove, dopo la repressione dell'insurrezione spartana, c'erano di nuovo migliaia di mercenari, accampati in tende e capanne in attesa di impiego. Dymas attravers con calma i luoghi che, in occasione del suo ultimo soggiorno, gli erano apparsi meno attraenti per via della minaccia di guerra e della confusione. A Sparta incontr un auleta solitario con il quale suon bene alcune volte; l'uomo era originario della lontana Massilia e lo accompagn fino a Corinto. Laggi, nella tarda estate, Dymas esegu scrupolosamente gli incarichi di Hamilkar; Kleon e altri uomini importanti della ricca citt allusero al fatto che Corinto considerava con riprovazione i progetti sovversivi degli "spumeggianti democratici" di Siracusa e non aveva assolutamente intenzione anche solo di azzardare un'avventura militare contro Carcedonia. Che comprendeva il desiderio di Carcedonia di conservare la situazione attuale e ne avrebbe osservato gli sviluppi. Fino a che i provvedimenti dei libifenici servivano manifestamente solo a questo e non a estendere il loro potere, Corinto non intendeva intraprendere nulla. Del resto era pi che possibile che la stessa Corinto prendesse certe misure contro gli "spumeggianti" e in favore dei vecchi amici e parenti. Quello stesso autunno, prima che Dymas lasciasse la citt, a Corinto apparvero le prime monete nuove, soprattutto di dramme d'argento con l'immagine di Alessandro. Dymas si accorse con sorpresa che mercanti intelligenti e ricchi non immaginavano neppure il pericolo di una generale svalutazione monetaria paventato da Hamilkar. Dymas viaggi verso occidente con l'auleta e una timpanista originaria di Korkyra. Suonarono per alcune settimane da una localit all'altra della costa, prima di imbarcarsi su una nave poco prima dell'inizio dell'inverno e dirigersi a Korkyra. La citt con oltre centomila abitanti,

la terza dell'ecumene dopo Atene Siracusa, rappresent una comoda sistemazione invernale, con buon cibo e ascoltatori attenti che manifestavano con l'argento il loro apprezzamento per la musica. La timpanista, due volte vedova e poco pi giovane di Dymas, gli offr una relazione amorosa che accett con piacere e con riconoscenza, in cui la passione non era intaccata dall'ansia di un legame stabile. Tra le notizie pi o meno importanti che giunsero a Korkyra durante l'inverno, ci furono le prime avvisaglie dell'inizio del crollo dei prezzi nelle citt della costa asiatica e ad Atene; inoltre, eccitante soltanto per gli iniziati, la notizia, proveniente dalla scuola di Aristotele, che il matematico e astronomo Kallippos, con l'aiuto del filosofo che aveva viaggiato ovunque, era riuscito a determinare le sfere celesti e a calcolare le orbite dei pianeti. Ad Atene il principe degli odrisi, Rhebulas, aveva cercato di costituire un'alleanza contro la Macedonia, senza tuttavia riuscirvi per l'eloquente opposizione di Demostene e per i timori degli altri. I numerosi nemici dei macedoni di Korkyra (circa nove decimi della popolazione, come ovunque nell'Ellade) ironizzarono sulle notizie provenienti dal lontano Oriente: l'opposizione della nobilt alla politica di barbarizzazione di Alessandro, l'esecuzione di Philotas in seguito a una congiura omicida, l'assassinio di suo padre Parmenion; nello stesso tempo si venne a sapere, tra l'ammirazione e la rabbia, che il giovane re non si lasciava fermare da nulla, che continuava a conquistare e assoggettare rapidamente il grande impero persiano, che rendeva tributarie le satrapie di Aria, Drangiana e Aracosia: luoghi sulla cui posizione si avevano nel migliore dei casi idee confuse. Erano pi precise le informazioni concernenti territori e situazioni che li riguardavano pi da vicino; cos suscit una grande inquietudine il fatto che la sorella di Alessandro, Kleopatra, fosse ritornata precipitosamente sotto il mantello di Antipatros; il vicino epirota di Korkyra si trovava ora sotto l'aspro dominio di Olympias, sulla quale si raccontavano innumerevoli storie truci, probabilmente tutte inventate e tuttavia in fondo tutte vere. Questo cambiamento indusse Dymas a rimandare il previsto viaggio via terra per Dyrrachion e a dirigersi solo in primavera, con un mercantile a vela, verso la citt portuale dove era morto e rinato. Laggi non c'erano molti cambiamenti: Aristippos si lamentava come tanti altri per il crollo del valore del denaro e l'aumento del costo della vita. Tuttavia Dyrrachion non sembrava colpita in modo cos grave come, per

esempio, Atene; questo poteva dipendere dalla distanza e dal fatto che la gran parte del commercio veniva esercitato con l'entroterra illirico sotto forma di baratto, senza denaro. Ma dopo che l'anno precedente Antipatros, che aveva per cos dire le mani di nuovo libere, era andato a trovare i taulanti con alcuni cavalieri e opliti, Dyrrachion si trovava pi vicina che mai al resto dell'ecumene: le strade erano sgombre dai predoni, bisognava pagare soltanto le imposte stabilite da Pella e non pi il dazio lungo la via agli irsuti principi delle montagne, e Aristippos raccont con un lieve risolino che la strega dell'Epiro aveva accolto in modo rabbioso l'estensione dell'ordine macedone, perch avrebbe preferito estendere il suo disordine verso nord. Dymas evit il confine epirotico: i suoi ricordi di Olympias e dei suoi mutevoli umori lo tennero a distanza. Lentamente, per lo pi da solo, talvolta insieme a mercanti o a piccole pattuglie macedoni, procedette a serpentina verso oriente e in autunno raggiunse il cuore del territorio macedone. Dopo aver toccato Beroia, Aigai e Aloros, giunse a Pella. Da Antipatros conobbe i dettagli su alcuni casi di morte in Asia e apprese certe novit. L'anno precedente Bessos, satrapo di Battriana e Sogdiana, aveva assassinato il fuggitivo Dario e, con il nome di Artaserse, si era nominato nuovo Gran Re: un titolo cui aspirava lo stesso Alessandro. Dopo una serie di guerriglie, avanzate e ritirate, un reparto dell'esercito al comando di Ptolemaios il Lagide, era riuscito ad annientare le truppe di Bessos, a farlo prigioniero e a consegnarlo ad Alessandro che l'aveva inviato a Ekbatana, dove era stato torturato a morte per ordine del re. Ora re della Macedonia, Gran Re dell'Asia e tuttora heghemon della Lega. Al momento, a quanto ne so, si aggira nell'estremit nordoccidentale del mondo, nella steppa scitica. Ha attraversato i fiumi Oxos e Jaxartes, di cui in realt sappiamo soltanto che scorrono da qualche parte. Laggi deve esistere un posto, Sa-Marakanda o qualcosa del genere, dove di tanto in tanto mercanti dalla pelle gialla e gli occhi sottili vendono seta. Lo stratega si strinse nelle spalle. Prima o poi noi sapremo di pi; i suoi geografi sono molto precisi.

Dymas esit a porre la domanda che gli stava pi a cuore. Antipatros l'osserv abbassando le sopracciglia. Insomma, sputa il rospo, citaredo. Se proprio vuoi... da tempo mi chiedo che cosa potesse pensare lo stratega d'Europa, il nobile macedone Antipatros, delle imprese del re. Quanto la fedelt di Antipatros... no, non cos: se possa esserci un'influenza reciproca tra la misura della fedelt del nobile Antipatros e i diversi casi di morte in Asia. Lo stratega sbuff; si gratt il cranio calvo e guard verso il vano della finestra. E alla finestra parve rivolgersi quando parl. Bisogna separare certe cose. Mio figlio Kassandros, che non mai andato d'accordo con Alessandro, non vale molto, come continuo ad accorgermi ogni volta che gli affido compiti pi importanti. Ma mio figlio. Vorrei che vivesse a lungo e morisse tranquillo. Sospir. Un'influenza reciproca? Sicuramente no; i fatti dell'Asia influenzano la mia fedelt, ma non viceversa... o forse s? Io mi preoccupo della tranquillit e della pace e invio rinforzi; questo influenzato dalla mia fedelt. Ma ora si rivolse a Dymas, come se avesse osservato abbastanza a lungo la finestra nelle mie mani ho pi potere di qualsiasi altro elleno; o macedone: tranne lui, naturalmente. Sino a che lui esplora il confine del mondo, questo il mio regno: da Dyrrachion a Bisanzio, dalla Tracia sino alla punta meridionale del Peloponneso. Nessun ateniese, spartano o tebano, nemmeno il mio amico Filippo, ha mai posseduto tanto potere Dymas. E ovunque c' la pace, imposta dalla mia spada. Lascio alle citt la loro libert interna e non prescrivo loro con chi debbano esercitare il commercio. Depongo i giudici cattivi; ho ucciso quasi tutti i grassatori. Nonostante i rincari, nessuno deve morire davvero di fame: i cereali di Alessandro vengono distribuiti con cura e i miei uomini fanno in modo, nei limiti del possibile, che nessuno si arricchisca accaparrandoseli per poi rivenderli pi tardi. Un discorso di giustificazione per qualcosa che non ha bisogno di giustificazione alcuna, stratega. Ma non una risposta. Lui folle, ma questo non diminuisce le sue incomparabili qualit. Parmenion era il mio migliore e pi vecchio amico; che cosa devo provare nei confronti del suo assassino? Dymas annu dolcemente. A volte mi domando se una parte delle sue qualit non abbia bisogno della follia pi oscura, per poter essere esercitata al meglio. Antipatros si strinse nelle spalle.

Questa mistica. Io mi occupo della realt. L'esercito migliore dell'ecumene, sotto il comando di un folle assassino, che casualmente il re e il pi grande di tutti gli strateghi, apre al commercio e all'emigrazione paesi di cui nessuno aveva mai sentito parlare. Il mondo verr trasformato; perfino a me riesce difficile... gli inizi, quando Filippo, con me e Parmenion e un pugno di guerrieri, fece della Macedonia frantumata e impotente... perfino a me sembra un brutto sogno lontano, Dymas, e chi vi creder tra quelli che oggi hanno quindici o vent'anni? E la tua fedelt? Antipatros si alz in piedi, spinse indietro la sedia con le ginocchia e si appoggi al piano del tavolo. La mia fedelt? Difendere la pace, in modo che la gente possa dormire nel suo letto e morire al momento prestabilito. La mia fedelt va alla Macedonia... e all'Ellde: le due cose vanno insieme. Il re incarna la Macedonia e pertanto la mia fedelt va a lui. Ma lui lontano. Lui invia oro, io invio uomini; lui conquista il nuovo, io custodisco il vecchio. Potresti... Antipatros alz la mano. Non dire altro; ci sono cose che non devono essere dette neanche qui, tra di noi. Chi si opporr a un dio folle che sta per diventare il padrone del mondo? La possibilit di recidere il cordone ombelicale degli approvvigionamenti, come forse ha tentato di fare Parmenion, tramontata. Lui ha l'Asia; ha bisogno di soldati macedoni perch sono i migliori. Ma se non ne ricevesse, potrebbe andare avanti anche con gli asiatici. Prima o poi andr avanti con gli asiatici. Non voglio che un giorno, se mai ritorner indietro dai confini del mondo, pensi di dover conquistare l'Ellade e la Macedonia con guerrieri asiatici. Sarebbe la fine. . . E per questo, Dymas, la mia fedelt. E se lui un giorno ritornasse davvero dall'Oriente? Se poi decidesse di chiamarti a s e di affidare Pella a qualcun altro? Antipatros mostr i denti. E di mandarmi a raggiungere Parmenion. . . intendi questo, non vero? Sono vecchio, Dymas: l'anno scorso ho compiuto settant'anni. A volte i vecchi diventano molto malati; tanto malati da non poter viaggiare..

Canto e passione: questo fu per Dymas l'inverno a Pella. In primavera viaggi via terra sino a Bisanzio e in estate da qui

sino ad Atene con un mercante marittimo amante della musica. Le notizie provenienti dall'Oriente erano confuse; si sentiva parlare dei successi della guerriglia di un principe di nome Spitamenes e delle crescenti difficolt del re. Il crollo del valore delle monete nell'ecumene era sempre pi massiccio; prezzi e affitti si erano triplicati e continuavano a crescere. Nella tarda estate e in autunno ad Atene si diffusero le voci pi confuse: perdite dell'esercito in Oriente, difficolt di Alessandro con i suoi ufficiali e soldati, l'assassinio dello stratega Kleitos da parte del re, con le sue stesse mani, rivolte e successi dei barbari, disordini nelle satrapie pi vicine, represse soltanto a fatica da Antigonos Monoftalmo e dagli altri responsabili. Iperide, cui Antipatros lasciava libert d'azione come agli altri, parlava di libert e di rivolta contro il giogo; proprio Demostene venne in aiuto al suo antico avversario Demades quando questi attacc Iperide in Consiglio. Il fatto che tu possa dire questo, Iperide, dimostra la tua libert: sei forse legato? imbavagliato? No, tu te ne vai in giro a dire sciocchezze. E fai buoni affari, nonostante i rincari. Non forse vero, nobile Iperide, che nell'ultimo anno il tuo cantiere ha costruito undici triremi per Antipatros, in cambio di buon oro? A quel punto Demostene, che come al solito ne sapeva pi degli altri, interruppe Demades. E non solo questo, non solo questo. Ci sono due fabbriche di armi, non vero Iperide? Appartengono a un certo Hippias, a quanto ne so: il marito di tua nipote. Ma Hippias non ha mai avuto il denaro per gestire grandi fabbriche di armi. E' possibile, o Iperide, che tu gliel'abbia prestato per non far morire di fame tua nipote? Che lui effettivamente non sia il padrone, ma l'amministratore di imprese che appartengono a te, nobile uomo... e che forniscono buone spade, punte di freccia e teste di lancia: all'Asia, amici, rifornimenti per l'esercito di Alessandro! In un'osteria del quartiere di Kerameikos, dove il predominio delle prostitute e dei delinquenti locali era minacciato dall'afflusso di donne e uomini almeno da un mondo altrettanto abili dalle citt dell'Asia, Dymas incontr di nuovo il luvio gigantesco che aveva visto anni prima nel porto di Pella. Nhiyar naturalmente non si ricordava dello spettatore curioso di allora; Dymas sent un brivido di freddo quando vide la ragazzina che gi allora aveva fatto giochi di prestigio e suonato con il gigante e che, in un sogno confuso, gli era sembrata una nana. Il gigante e la nana... E lei lo era davvero, una donna vecchia e rugosa, ma ancora agile, ancora

in grado di suonare; lo fissava con occhi che erano abissi temporali in un presente spettrale, non parlava molto, accompagnava con il tamburo la zampogna del gigante, andava in giro a raccogliere le monete con un berretto o una ciotola, mentre lui produceva i suoi suoni terribili, indescrivibili. Dymas fino allora non aveva mai visto una zampogna simile: non veniva suonata con la bocca, ma gonfiata con un mantice sotto il braccio. I tre flauti per le note di accompagnamento erano regolabili; il flauto per la melodia non aveva quattro fori come al solito, ma sei (pi uno per il pollice) e, girando e tirando, lo si poteva anche accordare su tonalit diverse. Suonarono insieme per due lune, durante l'inverno: la nana con il tamburo, il luvio con la zampogna, Dymas con la citara. Nessuno avrebbe mai potuto sostituire l'accompagnamento di Tekhnef con l'aulos doppio, ma a parte questo ricordo, in quell'inverno ateniese nacque la musica migliore e certo pi singolare a cui Dymas avesse mai preso parte. In primavera si separarono, a malincuore. Nelle lune precedenti la nana non aveva pronunciato pi di due dozzine di parole, forse; i discorsi di Nhiyar si limitavano a osservazioni sul tempo, sul cibo, sulla musica, qua e l interrotte o storpiate da storie o brandelli di storie incomprensibili, strane e oscure, provenienti dall'Oriente, attraverso il quale doveva aver viaggiato in passato. Nella sua memoria, o almeno nelle sue affermazioni, racconti terribili sui re di popoli perduti si mescolavano a saghe babilonesi deformate e a descrizioni di luoghi assolutamente pazzeschi: un prato di asfodeli sotto l'Acropoli di Atene, in cui l'ultimo Minotauro mangiava le anime e adorava un sole nero; Menfi sul Nilo, costruita sul basamento di una piramide rovesciata la cui punta, affondata nel terreno, era stata conficcata dagli di della preistoria nella testa del serpente del mondo per immobilizzarlo; sotto Babilonia un labirinto temporale con botole su diversi passati e futuri sia reali sia anche soltanto possibili; in una citt del deserto un tempio degli di morti; nell'Egitto interno una gola di sogni velenosi e una montagna di cristallo dolce con una stanza priva d'aria, dove una chimera si dondolava nel vuoto e si nutriva di pensieri reconditi; un palazzo reale indiano di pietre preziose verdi, abitato da serpenti velenosi e con le pareti rivestite di pelle umana. Ma la musica era stata buona; e sebbene Dymas avesse provato spesso la sensazione di avere a che fare con creature provenienti da un altro kosmos, o almeno da un mondo alquanto differente rispetto al suo, si conged da loro con dispiacere.

Quando s'imbarc su una nave che avrebbe dovuto portarlo a Mitilene, la nana gli regal una piccola pietra di un nero acceso, liscia e visibile anche di notte, che nei suoi sogni si moltiplicava in modo insopportabile, per cui lui la gett in mare poco prima di Lesbo; il luvio gli diede una moneta di un metallo strano, pi pesante dell'oro. Non presentava nessuna incisione, entrambe le facce erano vuote. Volto di vento disse Nhiyar. Dracma di vento. Se tu lanci in alto, ci porta insieme..

Mitilene, Sardi, Klazomenai, Efeso, Mileto: ascoltatori che esprimevano la loro soddisfazione con monete d'argento il cui valore continuava a calare, altri musici, altre osterie, donne, odori e cibi; in estate un incontro con Antigonos Monoftalmo, dal quale apprese del riordinamento dell'esercito da parte di Alessandro, dei successi delle piccole unit indipendenti, della sottomissione definitiva dell'Iran orientale, delle nozze con l'incomparabile Roxane, della resistenza di elleni e macedoni contro la progressiva barbarizzazione e l'introduzione della proskynesis nonch di altre raffinatezze in uso presso la corte persiana: resistenza spezzata grazie all'esecuzione del linguacciuto Callistene e di altri uomini, prima della partenza per l'India, oltre i confini dell'ecumene. Antigonos parl con prudenza; il suo compito era quello di gestire la situazione in Frigia, di amministrare, di rendere possibili i collegamenti, di inviare i rifornimenti. Non si aspettava di rivedere mai pi il re, di cui si conosceva la brama irrefrenabile verso il limite estremo del kosmos. Se, come diceva qualcuno, la terra non era un disco ma una sfera, un giorno Alessandro sarebbe scomparso a oriente per riapparire a occidente; sino ad allora si trattava di conservare l'ordine, accrescere il benessere e la sicurezza dei suoi possedimenti. Come tutti gli altri satrapi, i capi delle fortezze e gli strateghi locali, Antigonos era da tempo passato ad arruolare mercenari propri e a reclutare soldati in Frigia. Il numero di uomini in Macedonia limitato disse il Monoftalmo. Sono senza dubbio i migliori combattenti per tradizione, formazione, addestramento e attitudini, ma alcuni servono ad Antipatros, gli altri li manda al re e, quelli che

ci restano, non sono sufficienti. Che cosa fareste, tu e gli altri, il giorno in cui Alessandro dovesse ritornare davvero e congedare il suo esercito, oppure dividerlo tra le satrapie? chiese Dymas. Allora voi avreste addirittura troppi soldati, tra mercenari e non. Antigonos fece un gesto di diniego. Se, se, se. I mercenari si possono assoldare e congedare; ci penser quando sar il momento. Se mai verr.. In autunno Dymas ripart per il nord, per la costa del Ponto Eusino; trascorse l'inverno a Sinope. Continuavano ad arrivare notizie dall'India, ma nessuno era disposto a dare loro molto credito. Era al di l dei confini del mondo abitato dai popoli conosciuti; mercanti e guerrieri erano notoriamente inaffidabili per quel che riguardava le loro storie gonfiate: fiumi auriferi, soldati a dorso di elefante, filosofi nudi che passavano la vita in piedi su una gamba sola, palazzi d'ambra, serpenti parlanti: vere come il viaggio di Odisseo agli inferi narrato da Omero. In realt il re era morto da tempo, era stato rapito presso gli di o era annegato in una botte di vino insieme al suo esercito, inoltre si era sposato con una barbara dai cento seni, che senza dubbio gli avrebbe dato presto un figlio con tre occhi, e i suoi satrapi avrebbero avuto certo buoni motivi per narrare certe cose e costringere la gente a obbedire, a lavorare, a stare calma e a pagare i debiti. In primavera Dymas fece vela con un mercante di lana e la sua lenta nave da carico sino alla leggendaria Colchide, a nord del massiccio caucasico, dove trov pecore eccellenti e uomini ben nutriti, ma non il vello d'oro. Ritorn via nave a Sinope e da qui si diresse a sud attraverso la Cappadocia, torrida in estate. A Gordio gli venne in mente che il re, se mai fosse stato ancora vivo, ora avrebbe potuto celebrare il suo trentesimo compleanno nell'incredibile India, e rabbrivid alla constatazione che Alessandro avrebbe potuto arrivare a settant'anni come Parmenion, oppure superarli come Antipatros. Dieci anni prima erano passati davvero soltanto dieci anni, e non cento anni? Filippo era stato assassinato ad Aigai. La flotta di Atene, il grande regno persiano fino all'Ellesponto e fino al Nilo, Tebe e la Tracia e Sparta, la Fenicia e Babilonia... e Alessandro avrebbe potuto avere altri quattro decenni? Giunse a Tarsos in autunno; due giorni dopo il suo arrivo venne convocato nel palazzo in cui Harpalos trascorreva l'autunno e l'inverno. Il macedone zoppo era cambiato, eppure era rimasto uguale. La mente glaciale, il corpo dedito al lusso, l'abbondanza tipicamente persiana in ogni cosa... ma c'era qualcosa di diverso. Ci volle molto

prima che Dymas comprendesse anche solo vagamente che si trattava di paura. Il custode del tesoro... la sua sede vera e propria era Babilonia, ma probabilmente non gli piacevano i suoi inverni oppure c'erano buone ragioni per trascorrere una parte dell'anno in un luogo diverso dell'immenso impero e mettere alla prova gli appaltatori delle imposte e i funzionari doganali.

Harpalos gli offr qualcosa e lo ascolt suonare e cantare, sempre insieme alla sua compagna, una ex prostituta ateniese di nome Glykera. Da colei che l'aveva preceduta, la defunta Pythionike, aveva avuto un figlio. Dymas si ricord della casa fuori Megara: quali trucchi, quali astuzie inaudite doveva possedere Glykera, doveva aver posseduto Pythionike, per legare Harpalos? Nel palazzo c'erano altre donne, schiave e libere, e Harpalos offr a Dymas di farne il medesimo uso che ne faceva lui; a lui piaceva, di tanto in tanto, osservare Glykera unirsi a schiavi robusti oppure ad altre donne; ma quando lei schioccava le dita, lui saltava. Aveva paura? Paura di Glykera? Dymas trascorse l'inverno in Cilicia, per lo pi a Tarsos anche se fece comunque qualche giro lungo la costa. Le entrate della musica erano eccellenti; non aveva mai dovuto intaccare le lettere di cambio di Carcedonia e le conserv. Durante una tempestosa notte di primavera, che trascorse nuovamente nel palazzo di Harpalos, vi fu una mezza rivelazione straordinaria. /.. Fatemi, o di, nel mio ottantesimo anno, dopo sfrenate gozzoviglie, piacevolmente spossato gi prima della tavola grazie al dilettevole gioco con due prostitute, sazio di squisiti arrosti, barcollante per i pi eccellenti vini abbondantemente ricreato anche grazie alle scherzose parole e alle sfrenate risate, con uno scritto in mano rapidamente crepare mentre cago. Dymas cant questo dopo un'orgia sfrenata, tra giochi piacevoli e abissi vertiginosi; Glykera ridacchi stridula e fece quasi cadere Harpalos dall'ampio giaciglio. Il macedone si alz in piedi; indossava solo il perizoma e Dymas ne osserv nuovamente i movimenti agili, il gioco dei muscoli

sodi nascosti sotto il grasso. Nell'ottantesimo anno? mormor Harpalos. Mentre caghi? Un desiderio davvero divino, amico. Soddisfarlo non sar facile per molti. Parli cos seriamente... come se pensassi a te stesso. Che cosa ti potrebbe impedire di continuare a vivere? Harpalos non rispose; Glykera gli pos una mano sulla spalla. Di continuare a vivere? disse lei con voce dura, improvvisamente sobria. Harpalos, figlio di Machatas, discendente da una casa principesca elimiota, nobile macedone, sposato con una prostituta ateniese: tu vuoi continuare a vivere? Come gli altri nobili macedoni? Parmenion, per esempio, oppure Philotas, o Nikanor? Kleitos il Nero, salvatore della vita del re? Continuare a vivere come il nipote di Aristotele, Callistene? C'erano molti uomini intelligenti, come sai, Dymas: come proprio tu sai bene. Uomini che, sotto la direzione dell'astuto corinzio, avevano gi lavorato per Filippo, che hanno procurato informazioni inestimabili ad Alessandro, che hanno eliminato ostacoli mortali con le parole giuste e le monete giuste. Antigonos se ne sta tremante in Frigia, sperando che Alessandro non ritorni mai in patria. Nearchos partito con i rinforzi; ancora vivo? Ptolemaios con il re, sogna i sogni di Alessandro, protegge le spalle di Alessandro, come Seleukos, Leonnatos e Laomedon. Loro sono al sicuro; sono ancora al sicuro. Pensano i suoi pensieri, questo li rende potenti e insignificanti, e li lascia vivere. Chi pensava pensieri diversi, i propri, per quanto potesse essere potente, adesso morto. Parmenion. Philotas, il capo degli etri. Suo fratello Nikanor, il capo degli ipaspisti. Kleitos, forse l'uomo migliore dell'esercito dopo Parmenion, forse il migliore degli uomini di Demaratos. Demaratos, morto improvvisamente di vecchiaia. Erigyios, fratello di Laomedon, proscritto da Filippo insieme ad Alessandro, morto di una misteriosa malattia all'epoca in cui mor, giustiziato, anche Callistene. Drakon il medico, testa intelligente, amico di Demaratos, disperso? Muoiono tutti coloro che sanno pi di quanto il re permetta? Sopravvivono soltanto coloro che gli baciano i piedi mattino e sera e ripetono con timore reverenziale le sue parole? Gli amici d'infanzia, i proscritti, sembravano al sicuro, non cos? L'amore e la fedelt di Alessandro, vero? Ptolemaios, Laomedon, Harpalos, Nearchos, Erigyios. Uno non c' gi pi: Erigyios, che uccise

in duello Satibarzanes salvando cos la satrapia di Aria. Ah, neanche lui voleva inginocchiarsi n baciare il terreno davanti al Re dei Re. E cos? chiese Dymas osservando il macedone. Harpalos rimase impassibile. I suoi occhi freddi cercavano qualcosa molto in lontananza, che Dymas non sapeva descrivere; poteva essere tranquillamente il pensiero del suo ottantesimo anno di vita. Io ho amministrato e accresciuto il suo tesoro mormor improvvisamente, sempre apparentemente impassibile. Gli ho protetto le spalle e governato Babilonia. Ho mandato i cereali ad Atene come ha voluto lui, quando laggi incombeva la fame, e ora per ringraziarmi di questo Atene mi ha concesso il diritto di cittadinanza. Se Alessandro ritorna indietro, se dimentico che sono suo amico e compagno, macedone come lui... se mi umilio e compio la proskynesis, gli lecco i piedi, questo mi salver dalla colpa di sapere, dalla macchia di essere diventato ateniese a titolo onorifico? Che cosa farai? Si prendono provvedimenti. Harpalos sorrise: fu il sorriso di un pesce predatore. Si tratta con questo e con quello, si discute con altri che sono in situazioni simili. Ci sono... mercenari che non vengono pagati dall'impero, ma da singole persone, capisci? Quanti mercenari? Harpalos si strinse nelle spalle. Antigonos ne ha undicimila. Io sono modesto: ne ho seimila, qua e l, ben distribuiti; e qualche nave; e qualche moneta. Si vedr. Probabilmente non ritorner affatto indietro; o lo far tra vent'anni, da occidente..

Ma poi lui torn indietro davvero, in un momento in cui Dymas stava sperimentando le qualit delle osterie e delle donne cretesi. Le notizie si rincorrevano: satrapi deposti o semplicemente giustiziati; la traversata della flotta di Nearchos, l'attraversamento del deserto da parte dei guerrieri moribondi, che in India avevano osato ribellarsi al re; storie terribili sulle giungle indiane, dove una notte Alessandro si era trasformato in una tigre e aveva divorato gli ufficiali ribelli. Harpalos, insieme a Glykera e al figlio avuto da Pythionike, con seimila mercenari, cinquemila talenti e trenta triremi, lasci Tarsos e mosse verso Cipro, Creta; qualcuno pretendeva di sapere che aveva trattato in alto mare con i

carcedoni, che per non avevano voluto fare nulla che avrebbe potuto suscitare l'attenzione o l'ira di Alessandro. Harpalos si diresse ad Atene ma Demostene, da sempre fautore della causa macedone, come sosteneva adesso, indusse il Consiglio a non permettere a Harpalos di entrare in citt, anzi neppure di accedere al porto. In seguito Dymas sent dire che l'astuto macedone aveva inviato le sue navi e i suoi mercenari a Tainaron; dopo di che, armato soltanto del suo denaro, pot mettere piede ad Atene. La sua consegna venne richiesta per tre volte: Olympias voleva averlo in Epiro, Antipatros a Pella e Alessandro a Babilonia; Demostene voleva farlo arrestare e sequestrare il suo denaro, ma Harpalos conosceva troppi lati oscuri di troppi ateniesi e aveva troppo denaro; quando lasci Atene, gli restavano soltanto trecentocinquanta talenti. Ma anche questi svanirono misteriosamente; Demostene organizz una festa costosa e non seppe pi nulla. Dymas apprese la fine della storia ancora pi tardi: Harpalos si rec a Tainaron, dove per ormai lo attendeva solo una parte dei suoi mercenari. Si diresse con questi a Creta, dove venne assassinato per motivi sconosciuti da uno dei suoi ufficiali, di nome Thibron. Dopo la fine dei processi-vendetta di Alessandro a Susa e la rovina di Persepoli, Dymas decise di recarsi in Oriente. I motivi di tutti quegli spostamenti non erano chiari neppure a lui. Quella terribile notte prima della battaglia del Granico risaliva a pi di dieci anni prima; il macedone aveva cambiato il mondo; se HamiLkar non si sbagliava, ora ci sarebbe stata una spedizione verso occidente, che avrebbe dovuto essere ancor pi terribile e sanguinosa di quella asiatica. A Carcedonia non sedeva un Dario tentennante. Dymas sent l'oscuro desiderio di vedere ancora una volta il re, se possibile da lontano; e il desiderio molto chiaro di essere lontano, a oriente, quando Alessandro si sarebbe volto a occidente. A circa una giornata di navigazione da Sidone, in mare aperto, l'imbarcazione si imbatt in una bonaccia. Dymas era appoggiato alla murata e osservava, estasiato e assorto, il gioco dei delfini che disegnavano cerchi vorticosi intorno alla nave, si avvicinavano, si tuffavano l'uno sopra o sotto l'altro, sollevavano di nuovo la testa, saltavano fuori dall'acqua; sembravano guardarlo sorridendo. Distolse a fatica lo sguardo da loro, and dal cuoco, prese un secchio di legno con resti di cibo e rifiuti, si riemp di pezzetti di pane le tasche cucite sul suo chitone e trascorse una mezz'ora serena

a dar da mangiare a quegli animali meravigliosi. Insieme all'ultima manciata di briciole che gett in acqua vol via anche quello strano disco che gli aveva dato il luvio. Dymas se ne accorse troppo tardi: vide il luccichio del metallo ma non l'impatto nell'acqua increspata. Quell'autunno la Fenicia era una pentola in ebollizione, traboccante di gente, affari, opinioni, voci e denaro. La fuga di Harpalos era quasi del tutto insignificante, a paragone con altri avvenimenti e notizie. Alessandro aveva impartito le prime istruzioni per l'anno successivo da Susa, Ekbatana, Opis o da chiss dove. Egizi dovevano essere trasferiti in Siria, elleni in Fenicia e Babilonia fenici (soprattutto muratori, carpentieri navali, stivatori, veli) recarsi a migliaia a Babilonia. Entro un anno il macedone, signore dell'Asia, voleva far costruire non meno di mille triremi, circa la met in Fenicia, a Cipro e nelle altre isole, l'altra met a Babilonia, da esperti fenici. Oltre alle mille triremi, secondo le istruzioni, le diverse amministrazioni avrebbero dovuto far costruire, rimettere in buono stato o acquistare quantit enormi di unit pi piccole: navi da carico, per gli approvvigionamenti, per le ricognizioni. Tutti i proscritti, tranne i tebani, dovevano far ritorno alle loro citt natali-tutti coloro che vi si fossero sentiti troppo stretti, dovevano andare in Persia e in Babilonia. Dall'esercito ritornato indietro vennero congedati migliaia di mercenari; Alessandro aveva dato istruzioni ai satrapi di congedare anche le loro truppe mercenarie: la sicurezza dell'impero era assicurata dall'annientamento di tutti i nemici, gli innumerevoli piccoli eserciti non erano pi necessari. Interi centri abitati si trasferirono, intrapresero lunghe marce, e al loro posto i funzionari macedoni insediarono stranieri che non avevano mai sentito parlare di quei luoghi. Lo scambio di merci tra Oriente e Occidente, Ellade, Babilonia, Persia ed Egitto, si era decuplicato; contemporaneamente diminuiva sempre pi il numero dei cavalli disponibili per le carovane, dal momento che il nuovo esercito del re aveva bisogno di cavalcature e bestie da soma. Quando Dymas sbarc a Sidone, sent parlare di numerosi grandi convogli di cacciatori di animali che avrebbero dovuto procurare cammelli per l'esercito e per il commercio nell'interno dell'Arabia. Uomini che giungevano dall'Oriente riferirono di divergenze di opinione nel seguito di Alessandro. Dicevano che, anche tra i soldati, c'erano molti che vedevano la tremenda marcia attraverso il deserto gedrosico come una punizione

intenzionale, un tentativo di omicidio da parte di Alessandro; ma quanta pi strada si lasciavano alle spalle, tanto pi orgogliosi divenivano coloro che le sopravvivevano: insieme al loro condottiero divino, avevano superato la pi grande e terribile tra tutte le prove e non si chiedevano pi chi o che cosa avesse voluto metterli alla prova. Riferivano dello sposalizio di massa a Susa, delle nozze forzate anche di semplici soldati con donne e fanciulle asiatiche. Della remissione dei debiti: Alessandro aveva pagato tutto ci che i suoi guerrieri dovevano ai mercanti e agli usurai, ma per questo era stato necessario compilare degli elenchi e all'inizio gli opliti erano diffidenti. In Asia avevano assistito troppo spesso alla preparazione di altri elenchi e al fatto che gli uomini i cui nomi si trovavano in tali elenchi scomparivano senza lasciare traccia, oppure venivano inviati in imprese che potevano terminare soltanto con una morte gloriosa. Forse anche questa presunta remissione dei debiti non era che un altro elenco di morte. Pi tardi per tornarono a lodare il sovrano che aveva effettivamente rimesso i loro debiti, prometteva di prendersi cura di tutti i loro figli, meticci, e ricompensava generosamente i vecchi combattenti. Poi giunsero le notizie dell'ammutinamento dei macedoni che non volevano essere rimandati in patria; della riconciliazione, della marcia di ritorno degli Undicimila al comando di Krateros. Con sentimenti contrastanti Dymas, che allora suonava nelle osterie di Berytos, apprese che Krateros avrebbe dovuto assumere la successione del vecchio stratega per l'Europa a Pella e che Alessandro aveva convocato Antipatros a Babilonia. La successiva catastrofe ebbe luogo nel tardo autunno, quando Dymas ritorn a Sidone da Gerusalemme: Hephaistion era morto a Ekbatana, evidentemente per la stanchezza e l'eccesso di alcol, dopo una gozzoviglia durata diversi giorni. Dal momento che nessun altro nell'esercito era disposto a piangere la morte di quel presuntuoso, Alessandro si disper in modo ancor pi smisurato per Patroclo ed Enkidu, si isol nuovamente da tutti per giorni e alla fine, per sfogare la tristezza e l'energia trattenute, part per un'inutile spedizione militare contro la trib montana dei cossai a est di Susa, che annient quasi completamente nel giro di pochi giorni. In pi invi due ambascerie: la prima avrebbe dovuto chiedere nell'Ammoneion di Siwah se Hephaistion andasse onorato come un dio, l'altra avrebbe dovuto esigere onori divini per Alessandro ad Atene. A quanto si narrava, Demostene si astenne da qualsiasi

intervento; Demades al contrario avrebbe detto che, se al macedone faceva piacere essere trattato come un dio, allora gli avrebbero fatto questo piccolo piacere... che non poteva recar danno ad Atene ed era indifferente agli di. A Sidone si sapeva che Alessandro ormai aveva lasciato Susa ed Ekbatana e si sarebbe recato a Babilonia per preparare la spedizione verso occidente; Dymas lo sent dire quando, all'inizio dell'inverno, ritorn nuovamente in citt, nell'osteria dove tre giorni prima aveva trovato una piccola stanza da letto e un posto dove suonare. Si lasci cadere sullo stretto giaciglio di sacchi di paglia e pelli, rimase qualche tempo a riflettere, segu con gli occhi le evoluzioni confuse di uno scarafaggio, si alz, lo schiacci e si diresse verso il porto. Era indeciso: in effetti ora avrebbe potuto partire per la Persia per trovarsi in Oriente, alle spalle di Alessandro. D'altra parte si domandava se, a una fuggevole occhiata al macedone, non fosse da preferire una deviazione verso nord, verso l'Ellade, la Macedonia, la Tracia; o forse l'Illiria. Dyrrachion... per lui, il nome del luogo in cui cento popoli diversi vivevano insieme senza esservi stati trasferiti con la forza, gli evocava qualcosa di simile alla patria. Da li, forse, nelle terre italiche, oppure ancora pi a nord, verso i celti, verso i popoli del paese dell'ambra...

Ma al porto apprese che per molti giorni nessuna nave sarebbe partita per l'Ellade o per le isole. Era l'epoca dei venti invernali e, a parte questo, la maggior parte dei mercantili erano gi pi impegnati del necessario a trasportare da una citt costiera all'altra i rifornimenti del re, facendosi pagare con i nuovi pezzi da dieci d'argento, le decadramme con l'immagine di Alessandro. Un carovaniere arabo, che aveva portato giovani cammelli a un mercante di Sidone e che ora stava contrattando sul loro piccolo carico (incenso) con un mercante marittimo cipriota, premette un dito nel petto del cantore. Che cosa cerchi nel mare, straniero? E' salato, non lo si pu bere; se gli di avessero voluto che vi navigassimo, ci avrebbero dato le branchie. Questo vero, padre delle mandrie. Ma la vasta distesa

salata va bene per chi vuole perdersi. L'arabo rise. Se vuoi andare perduto, allora, per volont degli spiriti celesti, il luogo che fa per te il deserto. In nessun altro posto potresti perderti in modo pi totale e non c' luogo che renda altrettanto impossibile un ritrovamento. Il deserto? Dymas si gratt la testa. Anche l sale e vastit, vero? E sabbia. L'arabo alz le mani. Signore, amico, straniero: tu non sai quel che dici. Promesse d'acqua dai riflessi d'oro, che quando hai sete si dissolvono come i beni umani. Tutto l'oro, tutte le pietre preziose del mondo risplendono sulla fronte della notte, irraggiungibili per chi le brama eppure cos vicine da prendere nell'aria pura. Pietre di mille colori, a forma di mostri degli abissi o delle navi di morte del tuo re. Onde, alte come i tuoi pensieri, impetuose come le tue speranze, desolate come le tue prospettive. Tutto il sale di tutti i mari, riarso dal sole assassino nel terreno di depressioni mortifere. La sublime infinit dei mille modi di morire, o uomo che vuole perdersi. Ma anche la magnificenza delle isole salvifiche, gioielli luccicanti di verde con sorgenti, palme ed erba. L'ospitalit delle tende, la grazia delle figlie del deserto! Ah! Che cosa mi spinge in questo desolato mare di case, perch mai ho rinunciato a quelle delizie per la vista delle orde? Ahim! Si pass entrambe le mani sul volto, poi sorrise. Dove si trova il luogo in cui si ci perde? Si d il caso che ci stia andando per ritornare a casa... be', non proprio a casa, ma un po' s. E nulla potrebbe entusiasmarmi di pi di un uomo che ha girato il mondo, che vuole perdersi e perci, dal momento che non avr mai pi bisogno di monete, commuover il mondo intero con la sua generosit nell'affittare il dorso di una cavalcatura. Beviamo un sorso, signore delle carovane. Sembra che la trattativa sar lunga e queste cose si discutono meglio da seduti. Bevvero vino sulla terrazza soprelevata di un'osteria del porto, osservarono gli alberi maestri, le vele arrotolate, il rollio degli scafi delle navi, videro il brulicare degli uomini intorno ai banchi di pesce, verdura e frutta, sentirono l'odore di sale e di mare, di pesce e di pece, e di migliaia di sudori diversi. La carovana (asini, cammelli e due dozzine di uomini) aveva trasportato a Sidone cammelli, incenso e sale di roccia; nel giro di tre o quattro giorni sarebbe ripartita per Damasco con vino cipriota e panni di porpora fenici, e da l per Babilonia con lame di spada, pugnali, punte di freccia e teste di lancia.

aAttraverso il deserto, il grande deserto siriaco, aah. Non c' nulla di pi divino del deserto, straniero. Perch non procedi verso nord, sino all'Eufrate, per poi discendere il fiume? Non pi sicuro? Per chi? La strada larga brulica di esseri umani e di animali: vi si aggirano mercenari congedati e miseri mercanti. Sicuro? Preferisco la sicurezza del cielo abbagliante, delle onde di sabbia e della via stretta. Che inoltre pi breve. Sembri conoscere la via. Il carovaniere inarc le sopracciglia; il panno chiaro che aveva sulla testa danz, come se oscillasse insieme a tutta la pelle del capo. Ogni pietra, ogni luogo in cui un arbusto sarebbe superfluo, ogni sorgente d'acqua, ogni nascondiglio che va evitato perch vi si celano vipere o guerrieri disertori. Attraverso il deserto, a dorso di cammello o d'asino... Di notte, signore... ma anche di giorno; d'inverno possibile. Quanto tempo ci vorr? Mhmm. Tre lune? Tre lune e mezzo? Non so di quanto tempo avremo bisogno a Damasco. E' possibile che, lungo il cammino, un animale si rompa il collo e occorra ridistribuire il carico. Diciamo tra le tre e le quattro lune. Che cosa serve? L'arabo rise. Dipende da quando e come ti vuoi perdere. Supponiamo che voglia perdermi ogni giorno, ritrovarmi ogni notte e, alla fine, vedere Babilonia. Ti serve quello che ti serve sempre: coperte per dormire e le altre tue cose. Provviste? Armi? Bah. Le armi non ti serviranno, o almeno non a molto. Forse una piccola spada, un arco, una faretra e un coltello. Provviste... non so molto delle tue preferenze ma, se non vuoi mangiare ogni giorno frutti di mare andati a male che ti sei portato dietro a questo scopo, puoi ristorarti con le provviste che portiamo per tutti. Cereali, frutta essiccata, carne sotto sale, acqua e un po' di vino. Veniamo alla domanda pi difficile. Quanto? Questa la domanda pi facile di tutte, signore. Dracme o sigloi? Dracme. Uhm. Un buon cammello da sella costa quanto due schiavi. I prezzi... ah, i prezzi: diventato tutto pi caro. Cinque, anzi sei, anzi sette anni fa sarebbero state cinque mine; oggi sono venticinque. Il cibo... quattro dracme al giorno. In pi le mie conoscenze, un'altra dracma. Oggi sono generoso, amico. Diciamo centoventi giorni? Seicento, pi le mine. .. tremilacento dracme. Dymas annu, sorrise, fin di bere il suo vino e si alz in piedi. Ti auguro buon viaggio, signore dei predoni del deserto. L'arabo rest seduto. Qual il tuo mestiere, uomo? Sei in grado di contribuire, con qualche

abilit particolare, alla migliore riuscita del viaggio? Sono musico. Citarista. E cantore. Musico. Il carovaniere borbott piano. Ci sono gi altri musici che viaggiano con noi; be' forse, tutti insieme, potrete alleviare un po' la monotonia. Uhm. Diciamo che ti abbuono cento dracme per la tua bella faccia, e per la tua musica... altre cento? Io ti faccio un'altra proposta. Il vitto, indubbiamente eccellente, mi dovr costare una dracma al giorno: quindi centoventi. Il tuo cammello non lo voglio comprare, ma affittare: diciamo altre cento. Le tue conoscenze non verranno consumate dalla mia presenza, ma arricchite, perch ti posso raccontare molte cose. Per questo e per la musica ne togliamo venti. Ti offro duecento dracme per il tragitto sino a Babilonia. Ti auguro una buona riuscita, principe dei borseggiatori disse l'arabo. Dimentichi che, per poterti far cavalcare, devo rifiutare carichi preziosi... carichi che a Babilonia potrei vendere con un buon guadagno. Quindi, o danneggi un prezioso cammello da sella con un carico, oppure mi offendi offrendomi da cavalcare una bestia da soma? Sono spiacente; ero sovrappensiero. Comunque la tua offerta una pessima mistura di due parti di scherno, una parte di sfacciataggine, una di ruberia e dieci di taccagneria. Duecento dracme! Duecento granelli di sabbia! Dymas si sedette di nuovo; bevvero altro vino e contrattarono per un'altra ora. Alla fine il carovaniere gli grid: I miei nipoti, i miei avi sdentati! Come far a nutrirli e a seppellirli come si conviene? Tu mi derubi, mi porti via il bianco degli occhi, mi strappi le unghie dei piedi! Quattrocentoventicinque... oppure perditi nel mare!. Dymas sospir e annu. Scopr di avere pagato sempre e comunque troppo soltanto quando l'arabo sorrise e disse: E' un piacere fare affari con uomini sensibili. Dove abiti?. Si misero d'accordo che, la sera prima della partenza, un messo avrebbe avvertito Dymas; poi il mercante gli indic uno dei banchi del mercato. Ecco laggi gli altri musici che viaggiano con noi: Pagano seicento: in due. Dymas annu frettolosamente, balz in piedi e si fece largo in mezzo alla folla. La nana stava porgendo al luvio un grosso pesce che aveva comprato. Dymas! Hai gettato moneta di vento? Nhiyar gli fece un largo sorriso e la nana Ay accarezz la mano destra di Dymas. Per sbaglio: avevo gettato del pane in pasto ai pesci e insieme a quello mi caduta la moneta. Come siete arrivati fin qui? Pi tardi. Dove abiti? In un'osteria sulla via

carovaniera. E voi? Nhiyar sollev il pesce. Osterie ora tutte piene. Accampamento sud di citt. Venire con noi, mangiare con noi? Dymas li segu. Fuori dalla citt, dove erano accampati tutti i mercanti che non avevano pi trovato posto, vicino a un piccolo corso d'acqua pulita, c'era la tenda rattoppata. Nhiyar scomparve per ritornare con legna e fogliame. Mentre accendeva il fuoco, Ay sventr il pesce e Dymas raccont dei suoi viaggi. D'un tratto la nana lanci un grido soffocato: tra le dita tremanti teneva la pietra magica che Dymas aveva gettato in acqua su a nord, davanti a Lesbo. E le interiora maciullate del pesce.

Da Damasco a Tadmor. Di giorno sole accecante e sabbia cieca, di notte i fuochi ardenti dell'accampamento e i fuochi gelati nel cielo. Che cosa spingesse Ay e Nhiyar attraverso il deserto, Dymas non l'aveva ancora capito. Gli avevano nominato localit e posti in cui erano stati negli anni precedenti per suonare e sopravvivere. Di pi non riusc a cavare fuori da loro. Pi tardi cerc di trascrivere per Aristotele una delle loro conversazioni abituali. Era pressappoco cos. /.. Dymas: Ma perch avete lasciato l'Ellade, proprio adesso? Nhiyar: Vento di luna, vento di luna. Ay: Uhii. Oh. Dymas: Vento di luna? Che significa vento di luna? Ay: Verde. Vento di luna verde. Peto divino. Nhiyar: Stella esplosa vuol dire sempre dio esploso, morto. Dymas: Dunque esplosa una stella e questo per voi significa che un dio morto? Nhiyar: Barragukh. Brrrm. Dymas: E se muore un dio, voi dovete lasciare l'Ellade e viaggiare per il deserto? Ay: Hnnn. Nhiyar: Durante strada pensare. Vedere di morti. Dymas: Dove? Nel deserto? Ay: Deserto, deserto, o deserto. Nhiyar: Tubare di colombe, mormorare di pesci. Camminare di Nhiyar, ah. Ay esplode. Dymas: Che cosa succede ad Ay? Nhiyar: Esplode, sparisce. Niente pi qui. Bene (e ride).

Dymas: Ay... vuol dire che vuoi morire? Ay: (Annuisce, ride, batte le mani.). Dymas: Muori volentieri? Ne sei felice? Ay: Ogni volta, sempre. Nhiyar: Sempre esplode, sempre ritorna. Nhiyar solo una volta, ma lungo giallo, lungo... uh, lungo essere, poi esplode. Dymas: Voi mi fate impazzire. Esplode una stella, muore un dio, vento di luna vi sospinge attraverso il mare, Ay muore spesso e volentieri, ritorna sempre, Nhiyar muore una volta sola, dopo una vita lunga? Ay: Hnnnn. Nhiyar: Esplode Ay, esplode Ay dove vento di luna per gli di. Nhiyar pi tardi palazzo di serpenti. Dymas: Quello in India, se mi ricordo le tue storie. Volete andare in India? Nhiyar: Nhiyar solo, pi tardi. Ay esplosione di di, tempio. Incendio. O tempo di piramide. Ora tu citara! Ay: Hnnn. L'antichissima Tadmor: ogni volta ricostruita con le pietre della misera e spoglia dorsale montana a nordovest della citt. La sorgente inesauribile dell'Aphqa, raccolta in un bacino accumulata in cisterne, costretta e suddivisa in mille fossati canali aveva fatto crescere erba, verdura, cereali e palme, all'ombra delle quali si trovavano gli edifici chiari: abitazioni, botteghe, officine, stalle, depositi di merci, locande per le carovane. C'erano piccoli templi, mura basse, alti edifici funerari al di fuori della citt, al centro un'agor con l'edificio del Consiglio, fontane zampillanti e aree verdi. E a sudest, su un modesto rilievo che fungeva come da basamento, c'ra il pi antico tra tutti i templi di Baal, una costruzione imponente fatta di blocchi di pietra enormi, simile a una fortezza. Negli ultimi giorni Ay e Nhiyar erano diventati sempre pi silenziosi e le loro scarne affermazioni sempre pi enigmatiche. Sembrava per trattarsi di un raccoglimento interiore, di un silenzio che pregustava una gioia. La carovana doveva fermarsi a Tadmor per tre giorni; nella locanda c'erano camere a sufficienza. Erano arrivati in citt nel pomeriggio; dopo una pulizia frettolosa e qualche goccio d'acqua fresca, Nhiyar e Ay si trascinarono dietro il citarista attraverso l'abitato, verso il tempio di Baal. Per tutti gli di, che cosa... non potremmo prima mangiare qualcosa? Vedere l'agor? Che andiamo a fare nel tempio? Nhiyar indic

il cielo invernale chiaro e caldo: Vento di luna. Tu dono?. Dymas gemette; aveva con s il suo denaro, che non pensava assolutamente di dare a qualche sacerdote. Quando infil la mano nella borsa, sent bruciare la pietra magica nera che Ay gli aveva dato per la seconda volta e che da allora lo tormentava tutte le notti, in tutti i sogni. Dymas annu e ridacchi truce. S, ho un dono. Durante la passeggiata frettolosa attraverso l'abitato Dymas osserv le case e le persone, impegnate nelle loro occupazioni abituali. Nulla sembrava sostanzialmente diverso rispetto a molte citt simili; forse nel complesso era pi tranquillo, nessuno aveva fretta, tranne Nhiyar e Ay, anche se qua e l vide cose che lo sorpresero. Non le persone vestite di bianco; le donne che portavano sulla testa le brocche per l'acqua; gli uomini che costruivano una casa; i bambini che lanciavano un coltello contro un cane zoppo. Furono invece alcune delle botteghe e delle officine. Tra la merce esposta vide, o credette di vedere, cuori umani in pietra rosso scuro finemente lavorati con lo scalpello o a intaglio. Vide un artigiano che intagliava nel legno qualcosa come un essere umano rivoltato dall'interno verso l'esterno mentre, davanti alla bottega di un macellaio, era appesa la carcassa di un agnello. Oscillava leggermente alla brezza pomeridiana e il cranio presentava tre orbite. Ai piedi della collina del tempio c'erano alcune palme, all'ombra delle quali qualche dozzina di cavalli si abbeverava ai trogoli oppure, con le zampe anteriori legate insieme, brucava nell'ampio spazio verde. I gradini che conducevano al tempio erano antichissimi, consumati da milioni di piedi e da migliaia di anni. Si diceva che, duemila anni prima, in quel tempio un sovrano di Ur, o di Lagash, o di Kish, e un faraone egizio avessero trattato sui confini e sulle condizioni di pace: una di quelle storie fantasiose o menzognere alle quali Dymas non credeva. Ma i gradini, dall'aspetto, avrebbero potuto essere stati vecchi gi allora. Si guard di nuovo intorno. Qualcosa l'inquietava. I cavalli. Le gualdrappe, le briglie, le fibbie del morso... erano cavalcature di soldati. Gli uomini cui appartenevano i cavalli erano seduti all'ombra delle colonne, nell'atrio. Avevano spade, archi, lance e scudi; uomini duri, barbuti, che giocavano a dadi e bevevano, consumavano le provviste che si erano portati e aspettavano. Rivolsero uno sguardo diffidente ad Ay, Nhiyar e Dymas; uno disse qualcosa a bassa voce e gli altri scoppiarono in una

risata fragorosa. Fenici? Che cosa andavano cercando dei fenici armati nel tempio di Baal a Tadmor? Per giungere all'interno del tempio, dovettero passare vicino agli uomini. Dymas colse alcune parole mormorate e trasal in modo impercettibile. Riusc a dominarsi a fatica. Era fenicio ma non il fenicio puro delle citt costiere o dell'entroterra: era il fenicio ingentilito dell'Occidente, della citt pi grande dell'ecumene. Il carcedone. Nel salone del tempio, enorme e spoglio, c'era un Baal curiosamente inespressivo: gigantesco, con i lineamenti vuoti, d'oro. I raggi obliqui del crepuscolo, spezzati, amplificati e dispersi dalla statua, formavano nel locale cortine, arcobaleni e veli danzanti. Ai piedi del dio, lungo disteso, c'era un essere umano. Nhiyar s'inginocchi, ma non davanti al dio, come credette Dymas. La persona distesa si alz in piedi: un vecchio, probabilmente un sacerdote, con il volto rugoso, i denti neri, la veste nera. Nhiyar mormor qualcosa; Dymas fece per avvicinarsi, ma Ay lo trattenne per la mano. Nhiyar porse un borsellino al sacerdote. Il vecchio lo prese, lo soppes nel palmo della mano, si volt e si trascin fino a un pesante tendaggio nero. Ay lo sollev e lo seguirono entrando in un corridoio quasi circolare, scarsamente illuminato da due fiaccole. Il sacerdote li precedette sino a una svolta, poi gi per una scala che sembrava ancora pi antica dei gradini di fuori. Ai piedi della scala, che girava due volte su se stessa, giunsero a una grande stanza con tavoli, panche, giacigli e lampade a olio. Tre sacerdoti appena pi giovani erano accovacciati sul pavimento, davanti a una statua pi piccola del dio. Il vecchio lasci cadere il borsellino tintinnante sul tavolo e mormor qualcosa; poi sal di nuovo i gradini gemendo e fischiando. Uno dei tre sacerdoti si sollev e fece loro un cenno. Un altro corridoio. Vi erano appena entrati quando il sacerdote si ferm. Davanti a loro, largo cinque passi e profondo come un uomo, si apriva un buco che occupava la larghezza del passaggio. Odorava di muffa. Dymas ud fruscii e sfregamenti, si pieg in avanti, guard gi e si sent soffocare. Il buco era una fossa nella quale si muovevano centinaia di piccoli serpenti velenosi. Il sacerdote tocc un punto della parete, mise la mano nella rientranza che apparve all'improvviso e gir una manovella. Da

nicchie prima invisibili su ambo i lati fuoriuscirono lastre di pietra, larghe forse un passo, che coprirono la fossa. Le attraversarono. Dopo un po' il sacerdote si mise improvvisamente in ginocchio e strisci, indicando loro con un cenno di fare altrettanto. Dymas, che era l'ultimo, guard in alto e, nella luce cupa, vide fili sottilissimi e una serie di minuscole aperture su ambo le pareti. Frecce? Chiodi avvelenati? Sottili lame affilate, fatte scattare da molle non appena chi fosse riuscito in qualche modo a oltrepassare la fossa dei serpenti avesse toccato i fili? Un'altra scala. Il sacerdote con la veste decorata agit qualcosa che sembrava un ramo, ma era un paletto. I successivi cinque o sei gradini cigolarono; Dymas immagin che, senza il paletto, sotto il passo di una persona, sarebbero diventati una rampa ripida e liscia. Davanti a loro si apriva un pozzo nero, senza fondo; la scala piegava bruscamente verso destra. Nel frattempo dovevano trovarsi sotto l'altura all'esterno della quale si trovava la citt, e scendevano sempre pi in profondit. Alla fine raggiunsero un'altra stanza, come la precedente munita di tavoli e sedie. In una nicchia, su alcune assi c'erano brocche e bicchieri. E un piccolo catino, simile a un recipiente per bruciare l'incenso. Il sacerdote prese una delle grandi brocche, poi un'altra e una terza, le riemp da un otre sigillato che era appeso al soffitto e le pos su uno dei tavoli. Dymas annus: odoravano di vino di palma pesante. Nel frattempo il sacerdote di Baal era andato a prendere il piccolo catino, dal quale estrasse un cucchiaino di polvere grigia che vers nelle brocche. Che cos'? chiese Dymas a mezza voce. Nhiyar fece un sorriso obliquo. Fungo. Per sonno, non morte. Dymas si strinse nelle spalle. Il sacerdote pos i bicchieri accanto alle brocche e li indic. Ay, Nhiyar e Dymas presero una brocca e un bicchiere per ciascuno; poi seguirono il sacerdote in un altro corridoio scuro che terminava davanti a una porta pesante. Il sacerdote l'apr, li fece passare e richiuse la porta alle loro spalle. Si ritrovarono in un sotterraneo con il tetto a volta. Innumerevoli colonne sottili e colorate, come ritorte, sostenevano il peso del mondo. Ovunque alle pareti, su pugni di bronzo fuligginosi, ardevano fiaccole. Un canto profondo,

possente, che sembrava provenire dalle viscere della terra, riempiva il locale. C'era un odore stordente di incenso, di fiori intensi e dolciastri, di ogni genere di profumi inebrianti e allucinogeni. Sul pavimento, oppure appoggiate alle colonne, erano distese o sedute figure velate, di uomini e di donne; in un angolo lontano quattro persone sembravano intente in una discussione. Dymas aveva le vertigini per tutte quelle scale, i corridoi, le trappole, gli odori. Pass lo sguardo sulle file di colonne che creavano sempre nuove arcate, vortici di luce, labirinti. Era come se la testa gli turbinasse. Ay cammin tra le colonne; Nhiyar diede una spallata a Dymas. Procedettero in una direzione che poteva essere in avanti oppure indietro, verso l'origine del canto possente, verso la fonte degli odori inebrianti. L erano inginocchiate o accovacciate sui calcagni due file, due dozzine di sacerdoti che cantavano piegandosi avanti e indietro. I loro volti erano deformati, assenti, lontani come le stelle. Sui tavoli bassi e sottili accanto a loro c'erano brocche e bicchieri. Davanti, davanti a loro, Baal. Il vero Baal, non l'immagine inespressiva del tempio superiore. Baal, il Signore che pretendeva sacrifici da coloro che aspiravano al suo favore o alla sua grazia. L'antico dio che preservava la vita soltanto a prezzo di un'altra morte. Non era d'oro, attraente e ingannevole, ma del crudo ferro della realt, di ferro caldo, fragile e fuligginoso. Ai suoi piedi, in una fossa di fusione in muratura, ardeva il suo fuoco che alimentava il sole, dava la vita e divorava ogni cosa. Le fiamme si sollevavano sino a lambirgli il volto, il volto tremendo di Colui che vede tutto. Nessun inganno, nessuna finzione, nessuna menzogna al cospetto di quella figura che era piena di scherno e di sapere. Dymas fiss gli ardenti occhi scuri del dio e seppe che la sua musica era meschina, la sua vita un disastro, inutile e sprecata, il suo coraggio una goccia di saliva nel mare o la fiamma di una candela nel sole, e lui stesso meno di un verme. Sprofond in quegli occhi e parl con il dio. L'Eterno. Baal, che insegna che ogni passo ha un prezzo alto. Che non c' salvezza senza orrore, che in mezzo alle rose dev'esserci sempre un pugnale. Non c' luce senza che qualcosa venga bruciato. Non c' casa senza pietre distrutte, n campo coltivato non concimato da cadaveri, n vomere senza spada. Non c' vita senza morte. Il leone di Baal sempre ai margini

del cerchio di fuoco, la serpe di Baal sempre sotto il cuscino della sposa. Non sapeva per quanto tempo era rimasto immobile con lo sguardo fisso, impietrito. La nana, che era davanti a lui, premette la nuca contro il suo ombelico. Nhiyar sospir, pronunci a mezza voce una frase nella sua antica lingua morta, una frase simile allo stridore di un bosco che venga schiacciato da una valanga. Dymas riprese il controllo di s. Davanti, accanto a Baal, si muoveva qualcosa. Si avvicinarono lentamente, a piccoli passi. Su un basamento di legno nero, rivestito di tavolette di terracotta con una scrittura illeggibile, decorato con teste di mostri orribili di pietre colorate, metallo e ossa, era seduta una donna infinitamente gonfia, calva e grassa. Visti di lato, i suoi seni si distinguevano a fatica dalle altre pieghe di grasso. Aveva orecchie enormi, i cui lobi penzolavano fin quasi alle spalle. Era seduta sulla sinistra della buca di fuoco, respirava il fumo e gli odori dei calderoni dei sacrifici in cui ardevano l'incenso e mille altre cose. Ay e Nhiyar spinsero Dymas verso destra. Quando guard di nuovo, oltre la buca di fiamme, la figura grassa, nuda, calva e informe, vide le sue gambe da nana divaricate e, in mezzo a queste, lo scroto peloso e il fallo. L'ermafrodito ammicc ed emise un suono lamentoso, uno dei sacerdoti che cantava dondolandosi si interruppe, si alz in piedi, riemp un bicchiere e lo porse all'ibrido. La creatura, essere umano o daimon, bevve, emise un rutto possente, ammicc e chiuse gli occhi.

Riempirono i loro bicchieri: prima Nhiyar e Ay, poi Dymas, che li imit ancora una volta senza quasi volerlo. Li vuotarono d'un fiato: la bevanda aveva un gusto pesante e dolce, ma dentro c'era qualcosa di misterioso, che celava un'amarezza millenaria. Poi ripresero a camminare lentamente oltre Baal. Dietro al dio iniziava un semicerchio allungato, una sorta di corridoio semicircolare. Da ambo le parti, su tre ordini di archi che giungevano sino al tetto a volta, c'erano immagini di di intagliate in una fredda pietra verdognola. Ay rise a singulti ed emise un suono incomprensibile; Nhiyar sorrise e

tocc le figure con le dita, con cautela, come se potessero sbriciolarsi. Nel frattempo mormor alcune parole... o nomi, come Dymas comprese alla fine. Il luvio volt la testa, si gir a guardare Dymas, sorrise di nuovo... anzi, rise: una risata allegra. Tu non crede, vero? Esplosione di di, fino qui vengono vento di luna. Tempio... degli... di... morti essere questo. Un pugno rovente serr lo stomaco del citaredo. Barcoll; davanti ai suoi occhi tutto si muoveva. Gli di morti oppure la polvere del fungo nel vino di datteri? Sbatt le palpebre, respir a fatica; a poco a poco la vista gli si schiar. Nhiyar si era voltato di nuovo a toccare una figura divina che assomigliava a certe rappresentazioni di Ermes. Imbroglione... morto disse con voce quasi compassionevole, o come se rimpiangesse una perdita. Un altro nome. Lugalbanda: Dymas conosceva quel dio o aveva sentito parlare di lui; una delle antiche divinit dei babilonesi o dei sumeri, signore dei ladri e dei mercanti. Garshammi: la testa di leone e per il resto davanti uomo e dietro animale, con una cresta di squame sul dorso e una coda di leone che terminava con una fiamma. Enbelbaqar: un coccodrillo eretto, con il ventre come dilaniato dai suoi stessi denti. Nush-agyri: una sfera di serpenti, con al centro un volto umano fatto di serpenti, che esprimeva un odio immenso. Questi e altri che Nhiyar nomin, di cui Dymas non aveva mai sentito n avrebbe mai pi voluto sentire parlare, ma anche Zeus e Afrodite e Atena, Enlil e Ishtar, Lug e Shamash, Hator e Iside Poseidone e tanti altri che venivano ancora venerati: tutti morti, tutti finiti? Avevano quasi completato il giro. Mentre ritornavano verso l'ermafrodito, videro che la maggior parte delle nicchie dell'altra parete era ancora vuota. Tuttavia le ultime immagini fecero nuovamente impietrire Dymas. Ammon, con le corna d'ariete e un sorriso gentile. Per ultima un'immagine incompleta, in cui si riconosceva soltanto una piccola parte: sembrava la parte inferiore di una trave a perpendicolo. Davanti, accanto ad Ammon, in mezzo a molte nicchie vuote, il macedone: Alessandro, figlio di Filippo e di Olympias, figlio di Ammon. Di nuovo tutto intorno a lui ruot e le ginocchia gli cedettero. Nhiyar l'afferr, Ay prese il bicchiere al volo.

Quando Dymas vide di nuovo chiaro, lo lasciarono ricadere a terra proprio dietro le due file di sacerdoti. La nana gli riemp il bicchiere e glielo port alle labbra; Dymas bevve avidamente. L'immagine di Alessandro era completa. Alessandro nel tempio degli di morti, insignificante e ammassato insieme a tutti gli altri dietro la schiena di Baal. I sensi gli si confusero; ud voci chiare e vide bambini di fiamme guizzanti, sent gli odori del porto di Carcedonia che era contemporaneamente un mare di fiori, vuot un terzo bicchiere, un quarto. A un certo punto si accorse che era in ginocchio e cantava, ondeggiando avanti e indietro come i sacerdoti, come Ay, come Nhiyar. Qualcuno lo spinse in avanti; l'ermafrodito, un adolescente snello con un sorriso amichevole, gli pos la mano sul capo e disse qualcosa. Dymas non cap nulla, ma i suoni presero forma nella sua mente: A Babilonia vedrai ci che desideri con orrore e ascolterai dal nord ci che speri con paura. Qualcuno inizi a danzare, una danza senza passi n ritmo; Dymas danz con lui e bevve, bevve. Demaratos entr nel locale, batt le mani e si trasform in una nuvola di sangue rosso chiaro. Alessandro penetr nel tempio, pos le sarisse sulla fossa dei serpenti, tranci i fili, fece piovere le frecce avvelenate, procedette incolume, salt sui gradini inclinati, bevve un bicchiere e abbracci il dio, che era ferro rovente e lo accolse gridando, facendolo fondere insieme a lui. I cammelli caddero sul pavimento; spinta dalla burrasca, un'imbarcazione sfrecci a vele spiegate nel corridoio semicircolare e non ritorn pi indietro. La statua di Ishtar si trasform nell'effigie di Tekhnef, poi in Kleonike torturata a morte, poi in Olympias. Un macedone con l'osso del collo spezzato si precipit in un pozzo senza fine, che non conduceva in profondit, ma proseguiva orizzontalmente. Sul palmo della mano di Parmenion c'era una piramide rovesciata. Ay lo baci sul naso, si alz in piedi e si tuff nella fossa di fusione. Nhiyar pianse e rise, i sacerdoti cantarono, un uccello affil le sue ali su una montagna di rubini. I quattro uomini che erano stati intenti a discutere, si alzarono e si librarono in aria. Ay prese la rincorsa e si tuff nella fossa di fusione; Alessandro cammin su serpenti e sarisse; Tekhnef cavalc sul vento della luna, che era un disco non coniato e si sgretolava come neve. Ay si tuff nella fossa di fusione e bruci, i quattro uomini si librarono pi vicini e Dymas grid, grid, grid, si strapp il chitone, si strapp la tasca cucita in cui c'era l'occhio

di Alessandro, anzi la moneta del vento della luna, anzi la pietra magica nera. Ay prese la rincorsa e si tuff tra le fiamme, e Dymas grid e scagli la pietra nera, che rimbalz contro Baal e fin tra le fiamme, e i quattro uomini si librarono pi vicini e lui ne riconobbe tre e, poich li conosceva, seppe chi era il quarto, e Nhiyar emise un grido come il serpente del mondo a cui gli di spaccarono la testa e i quattro uomini si chinarono su di lui e Dymas vol e si aggrapp al vento della luna.

Si svegli con il mal di testa. Era come se le ossa del capo gli fossero state raschiate dall'interno con una spazzola di ferro, il cervello sguazzasse come piombo fuso in un recipiente agitato, la pelle tremolasse. Dietro alla sua fronte c'era qualcosa con le mani appuntite che gli conficcava le dita nella parte posteriore degli occhi. Respir lungamente e a fondo, fino a che il sapore di vomito che aveva in bocca non smise di provocargli nuovi conati; fino a che le stelle che impallidivano in cima alla palma non cessarono la loro danza isterica. Poi si alz, lentamente e a fatica, si appoggi al tronco della palma e si guard intorno. Qualcuno doveva averlo trascinato fuori dal tempio, in un boschetto di palme davanti alla citt. Udiva il lieve sciabordio di un canale, sentiva l'odore di un fuoco soffocato e vedeva i contorni dei cavalli confondersi davanti al cielo orientale. Tutt'intorno, uomini che russavano avvolti nelle coperte. Una guardia era appoggiata a uno degli altri alberi; guard in direzione di Dymas, si port la mano alla bocca e svegli uno degli uomini che dormivano. Quello si alz lentamente in piedi, rigido e vecchio; mormor qualcosa alla guardia e, sempre avvolto nella coperta, si avvicin a Dymas. Allora, sei di nuovo tra noi? Dymas fiss il volto solcato di rughe che aveva visto nel suo terribile sogno nel tempio e riconobbe l'uomo anche prima che quello si cacciasse qualcosa in bocca e iniziasse a masticare. Aveva la barba grigia, gli anni avevano lasciato tracce profonde nella sua pelle, ma gli occhi di Drakon erano rimasti chiari, acuti e penetranti. Dove... come... ah. Dymas deglut, si schiar la voce e fece

una smorfia; a poco a poco le ondate di dolore si placarono. Un momento. Ho qualcosa per te. Drakon si diresse verso il punto in cui era stato disteso, sollev qualcosa e lo scosse mentre ritornava indietro. Era una fiasca di cuoio. Vino, acqua, miele, erbe. Dovrebbe giovarti. Bevi. Avvicin la fiasca alle labbra di Dymas. Il citaredo bevve, ebbe un conato di vomito, toss, bevve di nuovo. Il liquido era freddo, ma lo riemp di un fuoco tiepido. Va bene? Annu prudentemente e bevve di nuovo. Meglio, molto meglio. Drakon si accovacci sui calcagni e fiss Dymas. Quanto tempo, eh? Credo di essere stato pi giovane, l'ultima volta che ci siamo visti. E anche tu. Undici anni? Dymas si sforz di sorridere. Quando avevo undici anni, non ti conoscevo ancora; allora stavo a Carcedonia. Carcedonia. Uhm. Drakon abbass lo sguardo sugli uomini addormentati. L'ecumene diventa sempre pi piccola. Conosciamo la causa di questo. Per... tu in realt dovresti essere morto, a quanto ho appreso da Harpalos. Schiantato ai piedi di una rupe della Battriana, oppure avvelenato da... lui. E' una lunga storia. Voglio ascoltarla lo stesso. Drakon socchiuse gli occhi. Adesso? Sollev lo sguardo al cielo, sospir e si strinse nelle spalle. Gli zoccoli tonanti del mattino. Tra un po' Eos si metter il belletto; e comunque non pi il caso di pensare di dormire. Aspetta. Si alz e si diresse al focolare, ravviv la fiamma, mise un bricco di bronzo sulla brace, rovist nella bisaccia e quindi ritorn indietro con pane e arrosto freddo. Inizia tu disse. Quando il vincotto sar bollente, toccher a me. Ci volle ancora un'ora prima che iniziassero a svegliarsi gli altri che dormivano. Dymas e Drakon parlarono a bassa voce, rapidi e sintetici. Dymas descrisse i luoghi e le esperienze pi importanti, le voci e le preoccupazioni; poi Drakon and a prendere il suo vincotto bollente, lo bevvero e il medico raccont. Parl del grande gioco di Demaratos, delle informazioni e delle ricognizioni, di spie catturate e interrogate, della ricerca del sempre introvabile Bagoas; di Isso, dell'Egitto, di Siwah, di Gaugamela, di Babilonia, di Persepoli, della divisione dell'esercito a Ekbatana, della caccia a Dario e poi al suo assassino Bessos; di luoghi desolati e di monti alti

sino al cielo, di ghiacci e di deserti infuocati; dell'insofferenza degli uomini, di inconsueti procedimenti legali, esecuzioni e omicidi; e ancora di Alessandro, che vedeva tutto, sapeva tutto, dominava tutto: socievole, amabile, l'amico migliore e lo stratega pi grande, il pensatore lucido e il momento dopo perfido, ubriaco, diffidente, inaccessibile. Il signore delle diecimila nature: diecimila luci, diecimila ombre. Signoria dell'amore e poi signoria dell'orrore; ricompense generose e punizioni crudeli; lode per i nemici retti e poi di nuovo sospetti sui suoi stessi uomini. Philotas e Parmenion disse lo ha fatto per conservare il potere e proseguire la politica intrapresa: lo si poteva ancora giustificare, sia pure a fatica. Il tutto tirato per i capelli, ma... insomma. Parmenion era il padre, la buona stella dell'esercito. Molti uomini hanno pianto. Neitos, quello non si poteva giustificare; fu un semplice omicidio e in quel momento Alessandro non era tanto ubriaco da perdere il senno. Tutti quegli altri che sono scomparsi o si sono ammalati all'improvviso, dopo aver mangiato o bevuto con lui. Alcuni veleni nuovi li ha certo imparati anche da quell'eunuco, Bagoas. Dymas fece schioccare la lingua. Ancora un Bagoas? Uhm. Pelle liscia, lingua liscia. Un bel tipino: bah. Alessandro e Hephaistion si sono intrattenuti molte notti insieme a lui. Il Benevolo, il Veloce, il Sano... e quello era naturalmente il Leggiadro. E tu come hai fatto a sopravvivere finora? Drakon sput. Tutti sono sopravvissuti fino a che non diventavano un peso o si potevano sostituire. Lui non ha ammazzato nessuno di cui avesse ancora bisogno. Per questo, e per un'altra ragione, allora ho deciso di... ehm, morire prima di diventare superfluo. Inoltre ero troppo nauseato. La roccaforte di Ariamazes, la rupe ghiacciata, Roxane. L'amuleto. E Drakon si era perso in un lontano paese deserto, aveva fatto il medico girovago, sempre alla ricerca di nuove tracce dell'antico piano, sempre alla ricerca di Bagoas. Non perch questo mi preoccupasse, capisci? Se si fosse trattato di un piano per assassinare il re... bah, buona fortuna. E' che ho sempre avuto la sensazione che ci fosse di pi, che riguardasse me e mezza ecumene. Per questo volevo sapere. A parte quello rise piano non avevo nessun altro obiettivo se non la sopravvivenza. Perch non hai mai provato a concludere la cosa diversamente? Drakon lo fiss

negli occhi, poi annu. S. Paura, da una parte. Lo ammetto. Ho visto morire, tra i tormenti, troppe persone di cui lui sospettava, o voleva sospettare, una cosa simile. E poi non avrei avuto nessuna possibilit. Da me non prendeva pi alcun medicamento. E neppure da Philippos, se non aveva visto quali erbe ci metteva. E come hai fatto ad arrivare fin qui a Tadmor? Tre anni e mezzo... Lentamente, quasi sempre a piedi, Dymas. Dalla Battriana sino al mar Caspio, poi con lunghe serpentine verso sud. Ci sono ovunque troppe persone che mi conoscono. Il defunto Drakon non poteva venire visto a Ekbatana o a Susa, n in qualche grande fortezza. Ci vuole tempo per viaggiare in questo modo. E io non avevo fretta. A differenza del mio compagno di viaggio delle ultime lune. Chi? Drakon ridacchi. E chi mai? Sull'alto Tigri nelle vicinanze di un villaggio senza guarnigione macedone aveva atteso che il barcaiolo sull'altra sponda si svegliasse e mettesse in movimento la sua zattera di otri di capra. Alcuni contadini attendevano a loro volta, insieme a un uomo con un mantello scuro, che d'un tratto aveva riso piano e toccato il medico sulla spalla: Bagoas il Sano. Dunque non ho sognato soltanto sciocchezze disse Dymas. Hamilkar e Kurush... oppure stato un sogno? Drakon indic uno degli uomini addormentati. Hamilkar. Kurush un uomo vecchissimo; non esce pi dal tempio. No, hai visto davvero tutto. Tutto questo, almeno. Quale altro sogno possono mai averti provocato il veleno del fungo e le erbe ustorie, non lo so. Si ... Ay si davvero incendiata? Drakon annu. Kurush e Bagoas hanno discusso a lungo con il gigante. Dymas soffoc una risata. E' possibile farlo? Io non ci sono mai riuscito. Tra asiatici... in un certo senso pensano in modo diverso; inoltre Kurush e Bagoas ne sanno pi di chiunque altro sui popoli antichi. Dov' Nhiyar? Lontano. Questa notte una parte degli uomini di Hamilkar partita; l'hanno portato con loro verso l'Eufrate. Vuole andare in India, da dove, come ha detto ai persiani, il suo popolo proviene originariamente. Mille o pi anni fa. Dymas si resse il capo. Drakon, Bagoas, Kurush, Hamilkar. Qualcuno riesce a parlare con Nhiyar. Ay si incendia. Non capisco nulla. E' tutto confuso, Drakon. L sotto esistono davvero le immagini degli di morti? Il medico annu. E, per Baal e per i suoi sacerdoti, Alessandro gi morto. I primi uomini addormentati si riscossero. Drakon riprese a parlare

rapidamente e a bassa voce, per terminare il racconto. Lui e Bagoas si erano dovuti studiare per giorni e notti, prima di iniziare a scambiarsi a poco a poco le informazioni. Due vecchi vestiti di stracci, a piedi, che vanno da un villaggio all'altro. Nemmeno gli ultimi predoni, che i macedoni non hanno ancora eliminato, si sono preoccupati di noi. Nessuno sapeva, d'altra parte, che sotto gli stracci eravamo corazzati di monete d'oro. In ogni caso... a poco a poco ci siamo abituati l'uno all'altro. Lui sapeva che il piano, il vecchio piano, era in parte fallito. Ma non del tutto. E sapeva che suo padre viveva ancora; dove viveva; perch viveva l. Per questo voleva andare a Tadmor: e dove altro avrebbe mai dovuto andare? Dymas afferr il medico per le spalle e conficc le dita nella carne dura di Drakon. Qual il piano? Aveva parlato con voce troppo alta, troppo concitata; altri uomini addormentati si svegliarono. Uno di loro si guard intorno; si freg gli occhi, annu e alz la mano: Hamilkar. Il piano? Ah, un piano bello, terribile e complicato, amico. Drakon lasci la mano del musico. Aspettiamo che Hamilkar sia abbastanza sveglio. Dov' Bagoas? Con suo padre, nel tempio. Tu non lo vedrai; partiamo dopo colazione. Noi? E per dove? Non volevi andare a Babilonia? Noi siamo pi veloci della tua carovana. Dymas gemette. S. No. Ah. Ma perch tu? Il volto di Drakon si oscur. Ci sono cose che devono essere fatte. D'altra parte il "noi" si riferiva alla maggior parte dei carcedoni che partono a cavallo. Parto anch'io, con tre o quattro persone, ma verso occidente. Non capisco assolutamente nulla, Drakon. Il medico rise stanco. E' il requisito fondamentale per ogni conoscenza, Dymas. Aspetta. Dymas aspett che Hamilkar si accovacciasse accanto a loro, con in mano un bicchiere e una focaccia arrotolata con la carne. Ciro disse Drakon. Quel Ciro che Senofonte serv come mercenario, non quell'altro su cui ha scritto menzogne fantasiose. Ciro ha avuto l'idea; ha avuto molte trovate luminose, che fallirono tutte perch eseguite in modo sbagliato. Ciro voleva cambiare qualcosa e, dal momento che ha pensato sempre in grande, voleva che il cambiamento fosse radicale. Asia ed Europa, Persia ed Ellade. Intrecciate l'una all'altra, eternamente nemiche ma indissolubilmente legate dalla storia, dalla vicinanza, da... ah, una comunanza che divide. Sto semplificando alcuni concetti molto noiosi e complicati, Dymas; altrimenti ci vorrebbero tre lune. Quattro disse Hamilkar. Non dimenticare la parte di

Carcedonia. Riassumeremo anche questa. Va bene. Ciro utilizzava numerosi paragoni, tutti bislacchi, tutti sbagliati, ma illuminanti. Uomo e donna, diceva, eternamente separati e inconciliabili, entrambi enigmi irrisolubili l'uno per l'altra. Ma qualcosa li attira l'uno verso l'altra, si fondono insieme per breve tempo, generano una nuova vita e nuovi enigmi e cos riescono a sopportarsi reciprocamente, anche se uno non capisce nulla dell'altra. Come la notte, in cui il freddo e l'oscurit sono fonte di timore, e il giorno, con il caldo insopportabile e la luce accecante, continuano a congiungersi in brevi crepuscoli, che sono propizi al pensiero e all'amicizia. Forse disse il carcedone pensieroso lui ha pensato anche a Baal, che conosceva; Ciro infatti ha girato per Babilonia e Siria. Baal entrambe le cose: giorno e notte, vita e morte, indissolubilmente legate l'una all'altra. Vita tramite morte. Vai avanti, macedone. Aveva terminato la sua modesta colazione; mentre Drakon continuava a parlare, Dymas osserv le dita e la bocca di Hamilkar. Teneva in mano una minuscola vescica scura, grande all'incirca come l'unghia di un pollice umano. La vescica natatoria di un pesce, o forse un manufatto ricavato da una vescica animale. Un sottile tubicino si infilava al suo interno, chiuso con una capsula fissata a questo. Hamilkar tolse la capsula, schiacci la vescica in modo da fare uscire l'aria, infil il tubicino nel suo bicchiere di vincotto e rimase ad ascoltare, aggrottando la fronte, il gorgoglio della vescica che si riempiva. Poi richiuse il tubicino... e s'infil la vescica in bocca. Qui probabilmente apr di nuovo la chiusura, con la lingua o semplicemente con la pressione, e ne fece uscire il liquido con l'aiuto dei muscoli della mascella. O almeno cos sembr, anche se si vide ben poco, poich il carcedonio si sforzava di nascondere ogni movimento che andasse al di l della consueta mimica facciale. Drakon prosegu. I pensieri di Ciro, come ho detto, erano molto complicati. Nessuno sa se abbia visto l'Ellade come luce - logos, sminuito appena dalla declinante fede negli di - e l'Asia come notte profonda, ventre di ogni fertilit. Anche questo non importante. Ci che conta soltanto questo: previde l'inimicizia eterna, le sofferenze smisurate, le uccisioni inarrestabili, e volle ottenere un crepuscolo, un'unione, una compenetrazione reciproca. Questa l'origine del piano. Hamilkar riemp di nuovo la vescica scura. Fai pi in fretta, macedone: dobbiamo partire. Drakon sospir. E va bene. Pi veloce possibile. Ciro ha

studiato gli elleni, e la storia. Come sappiamo, li ha fatti venire presso di s, li ha insediati, pagati come mercenari. Non voleva il potere per il potere; voleva il trono di Gran Re, quasi settant'anni fa, per poter sviluppare il piano. Ma, come sappiamo, cadde a Kunaxa; Artaserse, che noi chiamiamo Mnemon, vinse e gli elleni, strumenti inconsapevoli, intrapresero la lunga marcia fino al Ponto Eusino con Senofonte. Ma ci fu un altro Ciro: Kurush. Grazie ai matrimoni tra fratelli e sorelle presso gli achemenedi, era nello stesso tempo pronipote, cugino di secondo grado e zio pi giovane del Gran Re Artaserse. Cadde prigioniero, Ciro lo trascin con s e in qualche modo tra i due uomini che portavano lo stesso nome sorta una prudente amicizia. Quanti anni aveva allora, Kurush? Quando Ciro cadde, Kurush ne aveva diciotto. Oggi ne ha novantasei e presto morir. Hamilkar aveva vuotato nuovamente la vescica in bocca; poi si alz in piedi. Partenza. Sbrigati, Drakon. Abbiamo mandato a prendere il tuo strumento e le tue cose nella locanda, musico. A presto. I carcedoni smontarono l'accampamento, abbeverarono i cavalli e si prepararono; Drakon continu a parlare in fretta. Kurush era riuscito a poco a poco a elaborare nei dettagli e a spiegare al Gran Re il piano, che considerava grandioso, anche se per il resto disprezzava l'ambizione di Ciro. Artaserse Mnemon diede la sua approvazione e il denaro; mise Kurush a capo del servizio segreto dell'impero. E Kurush inizi il gioco estenuante che avrebbe richiesto tempo, nazioni e decine di migliaia di partecipanti. Previde che la profonda compenetrazione reciproca dovesse avvenire in Asia e che avrebbe avuto bisogno di un conflitto, come padre. Il primo Dario aveva fallito a Maratona, Serse davanti a Salamina, il suo stratega Mardonios un anno dopo a Platea. Sotto la minaccia gli elleni, eternamente divisi, si univano e probabilmente non si poteva prendere l'Ellade in questo modo gi solo per via dei problemi di rifornimento e del mare. Ma c'erano le citt elleniche dell'Asia e c'era sempre qualche citt-stato che faceva il tentativo di estendersi in Asia. Kurush decise di costruire pian piano una potenza ellenica, fino a che questa avesse ottenuto il predominio. Sparta e Atene non smettevano mai d'importunarsi reciprocamente, Tebe era stata un fallimento costoso ma c'erano altre citt, e gli uomini e le donne di Kurush erano ovunque. Si sarebbe dato di volta in volta tutto l'appoggio necessario, fino a trovare prima o poi lo stato giusto. Nello stesso tempo Kurush distese una rete sull'intero impero

del Gran Re. Gruppi di opposizione e traditori ormai venivano combattuti solo apparentemente, in realt erano infiltrati controllati dall'occhio dello Sceglitore e amalgamati tra loro. Tutti gli oracoli di tutti gli di disponibili ricevettero oro fino a che Kurush pot parlare con la loro lingua. Siwah disse Dymas incredulo. Ammon, che cerca un nuovo ricettacolo al Nord... Olympias, istruita per mettere al mondo questo ricettacolo, inviata da Dodona a Samotracia! Tutto questo stato opera di Kurush? Tutto questo e molte altre cose di cui non sappiamo nulla, perch sono fallite o sono state accantonate. Aristandros, morto in India, veniva da Telmessos, in Asia. Da li sono sempre venuti bravi veggenti; alcuni erano particolarmente bravi e Kurush si intromise sempre, senza darlo a vedere, nella loro formazione. Da molto tempo, gi prima di Kurush, tutti i misteri vengono influenzati dall'Asia; c'erano e ci sono ovunque sacerdoti persiani o babilonesi, non importa se per i Cabiri, Orfeo o Eleusi. Kurush ha ereditato e perfezionato questo. Ah, che testa... ancor oggi, nonostante sia cieco e paralizzato e non gli resti pi molto da vivere. Un carcedone si avvicin con un morello; la borsa con la citara, un otre per l'acqua, una bisaccia di provviste e la sacca da viaggio di cuoio di Dymas erano assicurate all'animale con delle cinghie. E' tardi, tardi. Drakon fece una smorfia. Perci faccio in fretta: gli altri dettagli te li racconter Hamilkar. Kurush voleva che una grande potenza ellenica penetrasse a fondo nell'Asia e per questo riteneva che ci sarebbero voluti anni. Infatti, quando grandi parti del regno fossero state ellenizzate o avessero iniziato a ellenizzarsi, gli invasori avrebbero dovuto essere estenuati: il loro esercito, in base ai piani, avrebbe impiegato pi di vent'anni per consolidare le prime conquiste, trascinarsi dietro i coloni, ringiovanirsi e avanzare di nuovo. E da quei territori avrebbe dovuto nascere un regno meticcio: la compenetrazione reciproca. I primi carcedoni partirono a cavallo, lentamente. Hamilkar controll la posizione del sole, si gratt la testa, si strinse nelle spalle e fece un cenno a una dozzina dei suoi uomini, che si sedettero sotto le palme e aspettarono. Con grandi e frettolosi salti di idee Drakon giunse alla conclusione. Filippo il macedone era solo uno dei tanti su cui si era rivolta l'attenzione di Kurush, Olympias solo una delle tante donne che erano state preparate a tale compito. Ma ben presto

era apparso chiaro che Filippo era qualcosa di pi: era unico. E la Macedonia era una novit nel gioco ellenico, non aveva partecipato alla vecchia altalena tra Atene e Sparta. Nell'anno in cui Filippo, dopo la morte del fratello Perdikkas, s'impadron del potere, il vecchio Artaserse Mnemon mor; nei suoi ultimi, deboli anni il regno aveva conosciuto disordini. Kurush aiut il figlio duro e astuto, che aveva ereditato il potere con il nome di Artaserse, e dagli elleni era detto Ochos. Per alcuni anni, poi, pass informazioni e incombenze al figlio Bagoas e scomparve. Soltanto Bagoas e Artaserse sapevano dove fosse e che era ancora vivo. Ora le cose si fanno molto complicate disse Drakon; sbirci verso Hamilkar, che per era seduto tranquillo, appoggiato alla sua palma e non mostrava alcun segno d'insofferenza. Ancora pi complicate? chiese Dymas con un gemito. Eccome. C'erano altri iniziati: i sommi sacerdoti del dio della luce. Ma Ahura Mazda perdeva sempre pi seguaci, mentre Mitra e Anahita riguadagnavano importanza e il loro ceto sacerdotale non voleva alcuna commistione tra Oriente e Occidente. Perch? Perch sapevano che le loro usanze, in parte oscure e mistiche, nell'Ellade avrebbero potuto sopravvivere al massimo come misteri per iniziati, ma non assolutamente in forma pubblica. Diversamente dalla fede nel dio della luce e nel suo nemico oscuro: questa col tempo avrebbe potuto imporsi o mescolarsi ad altre. Ahura Mazda come logos, Ahriman come mancanza di virt o qualcosa del genere. Uno di loro era Bagoas il Veloce il potente eunuco. Bagoas il Sano mi ha raccontato qualcosa sugli anni di guerriglia, i reciproci tentativi di assassinio, l'arte raffinata di mescolare i veleni a fini politici. Dietro tutto questo si celava Artaserse; lui per doveva rafforzare di nuovo il regno, domare i satrapi infedeli e per questo, in un certo senso in previsione degli eventi successivi, fece venire nel paese i due rodi, gli elleni Mentor e Memnon, e diede loro pi potere di quanto ne avesse mai avuto un capo mercenario straniero. Bagoas il Sano prese presto contatto con Demaratos, il cui ruolo in Macedonia comprese prima della maggior parte dei pi stretti consiglieri di Filippo. Oh, Filippo era una testa intelligente e sapeva tacere. Ma n lui n Demaratos hanno saputo che cosa progettassero i persiani. Bagoas ha appoggiato la Macedonia di nascosto, per vie traverse; Bagoas il Veloce ha sempre cercato di impedirglielo. Lui faceva affluire denaro ad Atene... ma con il permesso del nostro Bagoas, che voleva mettere alla

prova Filippo e temprarlo con le difficolt. Poi l'eunuco ha avvelenato Ochos e fatto re Arsete; ma Arsete non voleva partecipare al gioco, non nel modo in cui l'aveva progettato l'eunuco. Allora Bagoas ha avvelenato anche lui e fatto Gran Re Dario. Ma Dario era stato preparato da Bagoas il Sano; inoltre non voleva dipendere dal veleno dell'eunuco, per cui ha fatto ammazzare il Veloce e il gioco pot proseguire indisturbato. Fino... fino alla fine, al fallimento. Dymas rest in silenzio; gli ronzava la testa. Poi, con voce sorda, disse: Ma... in che senso fallimento? Invece ce l'hanno fatta. La grande commistione. La penetrazione nel paese. I persiani nell'esercito di Alessandro. Ah, ci fu un'opportunit fantastica. Si chiamava Memnon, e uno stratega capace non lo si pu progettare; lo si pu soltanto onorare, quando ci viene mandato dagli di. Memnon aveva in mano la chiave per un rapido successo quando Alessandro era ancora a Gordio. Il grande contrattacco, liberare con la flotta, con truppe elleniche e asiatiche l'Ellade dal giogo della Macedonia e stringere amicizia con lei. Con la forza, se necessario: la flotta domina il mare i liberatori persiani il paese Alessandro muore in qualche posto dell'Asia: sarebbe stata la realizzazione del piano. Ma prima Alessandro doveva poter penetrare nell'Asia; allontanarsi dalla costa: le difficolt di collegamento e tutto il resto. Per questo Memnon non poteva avere il comando sul Granico; per questo Bagoas il Sano ha fatto catturare dai macedoni Bagoas il Benevolo con le sue monete e le barre: per permettere loro di marciare verso la trappola asiatica. Cos Alessandro non avrebbe potuto tornare nell'Ellade, come avrebbe fatto se fosse sopravvissuto alla sconfitta. Doveva penetrare profondamente nell'Asia altrimenti entrambe le versioni del piano sarebbero fallite. Il veleno e le armi nascoste? Non lo so forse un diversivo oppure un rimedio estremo, nel caso in cui Alessandro avesse mandato tutto a monte, oppure il tentativo del Benevolo di eseguire i piani del Sano, cui non poteva opporsi, conformemente agli ordini e nello stesso tempo, a rischio della vita, travisarli secondo le intenzioni del Veloce. Oppure semplicemente essere preparati a tutte le mutevoli circostanze della vita. Comunque sia... Alessandro non doveva tornare nell'Ellade con i resti di un esercito sconfitto, che avrebbe potuto ricostruire. La conquista dell'Ellade sarebbe diventata molto difficile e gli elleni asiatici, senza la pressione macedone, avrebbero

abbandonato Memnon. Hamilkar si alz e batt le mani. Su, congedatevi. Dobbiamo andare. Ma in che cosa fallito, allora... e perch mi racconti tutto questo? Solo ora che la sua testa iniziava a liberarsi dal veleno del fungo e dal vino, a Dymas venne in mente questa domanda. Drakon rise; tenne il cavallo fino a che Dymas vi fu montato. Il piano fallito per due motivi. Per l'intervento di Carcedonia: questo te lo spiegher Hamilkar. E soprattutto per una circostanza che il migliore dei piani non avrebbe potuto prevedere. La venuta di Alessandro. Unico divino, invincibile. In due anni ha ottenuto pi di quanto Kursh avesse previsto per due decenni. Gaugamela stata la battaglia che avrebbe dovuto annientare l'invasore. Bessos e Spitamenes avrebbero dovuto salvare quello che si poteva ancora salvare, perch il piano prevedeva la fusione dell'Ellade e della Persia in qualcosa di nuovo, non l'annientamento completo della Persia. Roxane era l'ultima speranza di Bagoas il Sano, la donna che avrebbe dovuto far ravvedere oppure uccidere il re. Ma... Alessandro ha conquistato anche lei. No, Dymas, il piano fallito. In ogni dettaglio. E perch me lo racconti? Drakon sogghign; fu un ghigno truce, spietato, e Dymas inizi ad avere paura. Perch bisogna fare qualcosa affinch non vada a fondo l'ecumene intera. Tu ci aiuterai. L'abbiamo deciso Bagoas Kurush, Hamilkar e io. Ora tu sai troppe cose. O ci aiuti e parti per Babilonia insieme a Hamilkar... oppure muori. Fece un risolino stridulo. Se dovessi cadere nelle mani di Ptolemaios, offrigli un'informazione su Kurush, in cambio di una morte rapida. Digli che il vecchio persiano porta, marchiata a fuoco, una testa di falco. Digli che suona il flauto. Digli che esperto di magia e che, anni fa, ha fatto un altro viaggio a Babilonia. E salutalo da parte di Drakon. Dymas si volt senza una parola, senza uno sguardo n un gesto. Apprese il resto nel corso della lunga cavalcata sino all'Eufrate attraverso il deserto. I piani di Carcedonia per fare indebolire la Persia da Alessandro li conosceva gi; che Hamilkar, dopo un incontro con Ptolemaios, si fosse adoperato per fare avvelenare Memnon, non lo sorprese particolarmente. Fu sorpreso invece dal ruolo che avevano pensato per lui: di falso bersaglio, di esca, di complice per la fuga. Devo mangiare con Alessandro. Oppure bere disse Hamilkar. Sono l'inviato di Carcedonia. Se mi riceve, questo non vuole

ancora dire che beva anche insieme a me. Se non si potr fare altrimenti, comporrai un inno per il re e mi inviterai alla sua esecuzione. Lui ti conosce; forse diffida di te per via della tua lunga assenza e della tua collaborazione con Demaratos. Ma vorr ascoltare l'inno: il suo elogio. E nel suo seguito ci sono ancora abbastanza persone che hai conosciuto prima. Persone che ti possono aiutare, in modo pi o meno volontario, a preparare vie di fuga. Dove va Drakon, e che cosa ci facevi a Tadmor? Come sai, avevamo Bagoas il Benevolo. Non sapeva molto, in fin dei conti, ma ha fatto alcuni oscuri cenni a un oracolo. C' voluto molto prima che giungessimo a Tadmor e Baal. Del resto non c'era motivo di avere fretta: Alessandro era in giro per l'India e, fino a un anno e mezzo fa, nessuno sapeva se sarebbe mai ritornato indietro. Drakon? Cercher di preparare alcune cose in Egitto. Nel caso in cui a Babilonia fallissimo. Ancora una volta: che cosa c'entra Tadmor? Tadmor semplicemente... adatta. Kurush andato a Tadmor perch c' un tempio in cui si recano pellegrini dall'intera ecumene. L confluiscono tutte le notizie, le voci o le congiure: non ci sarebbe luogo migliore per chi volesse dedicare la sua vita a origliare. E nello stesso tempo Tadmor distante; diversamente da Tiro, da Tarsos o da Damasco. Chi vorrebbe mai conquistare Tadmor? E a che scopo? Si distrugge la sorgente quando si vuole ancora attraversare il deserto? Dopo aver digrignato a lungo i denti, Hamilkar ammise che altre cose l'avevano attirato laggi. Il tratto deserto che, in caso di necessit, avrebbe rappresentato una via di fuga migliore rispetto alle strade battute lungo l'Eufrate; la notizia che Kurush vi soggiornava: dopo che Carcedonia aveva gettato una volta lo sguardo su Tadmor, questo non era pi difficile da appurare; la supposizione che Bagoas, se mai fosse stato ancora vivo, prima o poi avrebbe cercato di arrivarci. E il tempio stesso. Baal, signore dei fenici. E quindi anche signore dei carcedoni, seppure limitato dalla distanza e dal tempo. Non credo agli oracoli borbott Hamilkar. Ma bello sapere che laggi Alessandro viene considerato gi un dio morto. Dal momento che voglio partecipare alla sua divinizzazione... Se la presero con calma. Quando raggiunsero l'Eufrate, nelle vicinanze del villaggio assiro di Dura a sud dell'antica Karkemish, erano ancora distanti da Babilonia. Si imbattevano continuamente in convogli di emigranti: per esempio fenici, che riferirono che avrebbero dovuto popolare una citt sulla foce del Tigri, detta Charax o anche Alessandria, dove

avrebbero dovuto promuovere il commercio con l'India e la costruzione delle navi. Nessuno glielo aveva chiesto n tantomeno li aveva pregati, ma trasgredire agli ordini del re significava una morte tanto sicura quanto essere morsi da una vipera. Spuntavano anche continuamente, soprattutto alla sera, uomini barbuti che parlavano il fenicio occidentale. Sembravano essere anche loro in viaggio a piccoli gruppi, non davano nell'occhio e avrebbero potuto confondersi insieme agli altri emigranti, ma a poco a poco Dymas stim che Carcedonia dovesse avere inviato a Babilonia almeno mille uomini. E tutto il paese brulicava di cavalli, per l'immenso esercito. Le cifre erano favolose, ma venivano ripetute da indigeni e viaggiatori in modo cos persuasivo che Dymas le ritenne vere... troppo vere. Mille triremi: questo numero lo conosceva. Nel frattempo erano diventate ancora di pi, il macedone aveva fatto abbattere interi boschi lungo il Tigri, per rafforzare la flotta. Ora in entrambi i mari c'erano settecento o pi navi da guerra: settecento davanti alle coste fenicie, almeno altre settecento dove sfociavano il Tigri e l'Eufrate. Cinquantamila persiani si diceva che fossero gi stati arruolati nell'esercito: non in unit speciali, ma in reparti misti, inseriti nelle nuove taxeis. C'erano ancora macedoni, naturalmente, oltre a mercenari ellenici, babilonesi, truppe arabe cammellate, arcieri cretesi e cappadoci; in tutto ben pi di centomila soldati: soltanto i soldati, senza contare le salmerie e le altre unit come gli assediatori o gli esploratori. Il re era andato di nuovo a Babilonia a dispetto di tutti i sacerdoti, per dimostrare che i cattivi oracoli non lo preoccupavano; da Babilonia avrebbe seguito le coste dell'Arabia con l'esercito e la flotta e avrebbe conquistato Kane e Saba e Maar, annettendo all'impero i paesi dell'incenso. Alla foce del Nilo, dove veniva rimesso in funzione il vecchio canale del faraone Necho, che congiungeva il Nilo al mare Arabico, aveva intenzione di riunire le due flotte e di dirigersi verso occidente, contro Carcedonia e fino alle Colonne d'Eracle. E oltre. Trascorse la primavera e inizi l'estate; pi si avvicinavano a Babilonia, pi le strade erano piene. Immigrati, mercanti, guerrieri, ma anche messi provenienti da luoghi lontani: dall'Iberia (con alcuni Hamilkar riusc a intendersi in una lingua dura), dal settentrione celtico, dai numerosi territori degli italici, dall'etiope Mero... Gli uomini di Hamilkar, sempre diversi, andavano e venivano portando informazioni e ricevendo ordini. La sera prima di

giungere a Babilonia (era il tredicesimo giorno del mese lunare macedone di daisios) parlarono ancora una volta dei dettagli dell'operazione. A un certo punto, come di sfuggita, Dymas disse: Oggi sembri pi sereno rispetto ai giorni scorsi; quasi sollevato. Hamilkar sorrise dolcemente, ma i suoi occhi ardevano. Ci sono molte ragioni. La lunga attesa finita: domani saremo in citt. Poi inizier una nuova attesa, ma almeno tutto pronto. Tutto cosa? Hamilkar sporse le labbra. Questo non lo devi assolutamente sapere, Dymas. Se non lo sai, non lo puoi riferire, neppure se te lo chiedono in modo pressante. Lo so. Dymas annu rabbiosamente. Inoltre ho sentito che pronta un'altra parte del piano. Quella che speriamo di non dovere assolutamente mai mettere in atto. Posso conoscere almeno questa? Hamilkar rise. Presto la conoscer anche il macedone; immagino che Ptolemaios, che si occupa delle spie, la conosca gi. Ti ricordi che ti ho detto che sarebbero stati lo stesso Alessandro e il suo esercito a fornirci le armi? Mi ricordo. Per mi ricordo anche che allora non avevo capito, esattamente come adesso. Rifletti, musico: Harpalos. Antigonos. Altri satrapi. Il rinnovamento dell'esercito. Il ritorno in patria dei proscritti. Allora? Dymas si strinse nelle spalle. Continuo a non capire. Ha arruolato e congedato guerrieri, Dymas. Cos i suoi satrapi. Continuamente. Non parlo naturalmente dell'intelligente Krateros, che in viaggio verso la patria con undicimila vecchi soldati macedoni ed stato cos intelligente da ammalarsi in qualche posto della Frigia, in modo da non poter proseguire il viaggio sino a che... non vengono chiarite alcune cose. E non parlo neppure dei macedoni nell'Ellade, che continuano a prestare ascolto agli ordini del saggio Antipatros. Il quale avrebbe dovuto andare a Babilonia, ma stato vittima anch'egli di una saggia malattia e al posto suo ha mandato Kassandros, suo figlio, che Alessandro non pu soffrire. Sto parlando aggiunse piegandosi in avanti di quasi ottantamila soldati esperti, Dymas. Addestrati da ufficiali macedoni, duri, pronti a combattere. Molti di loro non sono soltanto avidi di denaro, come tutti i mercenari, ma anche pieni di rancore e di odio nei confronti di Alessandro. Che li ha condotti e congedati; che ha ordinato il loro allontanamento da satrapie accoglienti. Non vogliono ritornare a fare i contadini in territori nei quali vi sono gi fin troppi contadini.

Nessuna citt dell'Ellade pu o vuole accoglierli. Ma... Carcedonia ha molto denaro. Ottantamila? E la vostra flotta? E le vostre mura inespugnabili? E un carcedone che disposto a tutto. E un musico che lo aiuter..

Giunsero a Babilonia il mattino dopo: era il quattordicesimo giorno di daisios. Poi il tempo parve accelerare, si trasform in un confuso delirio febbrile fatto di mani umide, di volti confusi, di cuori pulsanti e di brama ardente che l'orrore finisse. Dymas incontr ufficiali che si ricordavano di lui, ex attendenti reali, alcuni che in precedenza avevano collaborato con Demaratos e ora erano al servizio di Ptolemaios e Nearchos. Venne a sapere che, per la sera successiva, era prevista una specie di udienza: funzionari di corte, probabilmente Ptolemaios, sicuramente Perdikkas e Leonnatos, e forse perfino il re, avrebbero parlato con i messi. No, per il momento non erano previsti musici, ma naturalmente sarebbe stata un'idea grandiosa se il celebre Dymas, che gi tanti anni prima aveva suonato per il re... Il pomeriggio successivo Dymas vide che Hamilkar riempiva di un liquido chiaro la sua strana vescica scura con il tubicino. Due dei suoi uomini, carichi di doni, li accompagnarono al palazzo reale. Sull'Eufrate galleggiavano pesci morti e il cielo era nuvoloso, senza alleviare l'ardente calura estiva. Non ti devi stupire di nulla disse piano Hamilkar quando entrarono nel salone delle feste. Sempre che lui venga, intendo dire. Pu essere che dica qualcosa che... tu non ti aspetti. Mantieni il sangue freddo. Dymas inspir profondamente e annu. Vide le luci, le fiaccole, gli arrosti sui fuochi nel cortile, i volti, i tappeti pesanti, le cassapanche preziose, i recipienti d'oro e d'argento; cont gli schiavi e ne dimentic immediatamente il numero; bevve un bicchiere di vino senza sentirne il sapore. Poi estrasse la citara dalla borsa di pelle, l'accord e suon. Ballate, peana, inni; melodie lidie e frigie, elleniche e persiane, egizie e fenicie. Camminava lentamente da un gruppo

all'altro, fermandosi sempre tra i tavoli e i giacigli, faceva lavorare le sue dita munite di ditali di bronzo e fermagli per pizzicare le corde, i suoi pensieri erano frammentari e confusi. A un certo punto comparve Perdikkas, il chiliarca dell'esercito, l'ufficiale di grado pi elevato dopo la partenza di Krateros. Un uomo dai lineamenti duri, gli occhi penetranti e i movimenti di un leone rabbioso. Osserv i convenuti, il musico, aggrott la fronte; qualcuno gli sussurr qualcosa all'orecchio. Lo sguardo di Perdikkas si rivolse nuovamente verso Dymas e nella sua espressione si pot leggere una sorta di riconoscimento o un ricordo lontano. Poi intorno a lui si formarono grappoli umani: messi, postulanti, amici, tutti si rivolgevano a lui, gli domandavano del re, della sua salute, dell'esercito, di altri alti ufficiali o funzionari. Apparve Eumenes che si guard intorno, fece una smorfia e spar prima che qualcuno potesse trattenerlo. Perdikkas si divincol dalle persone che lo pressavano. Uno schiavo gli porse un bicchiere dopo che un altro uomo, pi grasso, l'aveva assaggiato. Perdikkas bevve; i suoi occhi si fissarono su quelli di Dymas. Gli si avvicin lentamente. Undici anni, vero? disse. Be', diventiamo tutti pi vecchi e giriamo per il mondo. Cantaci qualcosa, Dymas. Con grande piacere, nobile chiliarca. Dymas accord lo strumento, si appoggi al bordo di un tavolo e si schiar la voce. Perdikkas rimase in piedi accanto a lui e si guard intorno nel salone, sul quale improvvisamente cal un silenzio di morte. Un sorrisetto malvagio apparve sul volto del chiliarca e svan immediatamente: il sorriso del potente che si accorto con soddisfazione dell'effetto del potere. Un canto che deve elevare il desiderio del piacere disse Dymas ricordandone le inevitabili conseguenze. Questo giusto sogghign Perdikkas. Bisogna sempre pensare alle conseguenze. Nella sua voce c'era una gelida minaccia; Dymas chiuse gli occhi per un istante e cant. /.. Affonda il dente nella pernice, intingi profondamente il tonno nell'aglio, annega il pulcino nell'olio di sesamo, spalma il miele vergine sul dolce, la carne rosata d'agnello arrostisci con le erbe, gira lo spiedo sul fuoco, la carne di capra con porri e alloro manda gi, annaffiala con vino fresco e pesante, perch come ultima pietanza Caronte ti vuole bello ingrassato.

Cant quelle parole due volte: dapprima in tono ironico, su una melodia allegra e ballabile, poi accompagnate da note pi profonde, come una malinconica danza macabra. Si accorse che, dopo la fine della prima parte, gli ospiti convenuti da cento paesi erano stati colti da una lieve inquietudine; che rivolgevano i loro sguardi verso un punto che si trovava dietro le sue spalle. Ma continu a cantare, come gli suggerivano gli occhi di Perdikkas. Quando la musica fin, sulla sala aleggi un silenzio pesante, quasi glaciale. Dymas sent una mano sulla spalla. Una voce disse: Ben fatto, Dymas. Non hai smesso, nonostante la vicinanza di Caronte. Dymas respir profondamente e si volt. Allora si spavent. Re. Eroe. Stratega. Conquistatore. Dio. Alessandro non aveva compiuto ancora trentatr anni, ma il suo volto era quello di un uomo molto, molto pi vecchio. Segnato dalle ferite, dagli anni vorticosi, dagli stenti e dalle fatiche, ma anche un po' gonfio per il troppo vino. Gli occhi... sempre a cercare qualcosa di incerto e lontano, a bramare la vastit; ma dietro a questo c'era una spina dolorosa conficcata nel profondo: un tormento senza nome, indicibile. Nessun tremito, niente pi passaggi improvvisi da una natura all'altra. Nella frazione di un istante Dymas comprese, o credette di comprendere, che il signore delle diecimila nature luminose aveva potuto raggiungere i suoi obiettivi, il suo equilibrio, soltanto rinunciando a combattere le diecimila nature oscure, e accettandole. Le dominava, senza dubbio, ma l'avevano cambiato e... lui lo sapeva. Dymas riusc a stento a pronunciare qualche parola. Ti ringrazio, signore. E' un grande onore... Alessandro annu, sorrise. Improvvisamente era ritornata l'incredibile magia che Dymas avrebbe seguito fino alla fine, impotente e incantato. Bene, bene. Ricambiami l'onore, Dymas, suonando per me pi tardi. Dopo mangio con alcuni amici. Vieni anche tu. Dymas s'inchin, incerto e sorpreso. Perdikkas batt le mani; gli ospiti si riscossero dalla loro immobilit, si alzarono, si avvicinarono, parlarono, gridarono. Alessandro mise ancora una volta la mano sulla spalla del cantore e lo tir verso di s come se volesse abbracciarlo. Incredulo, sbalordito, Dymas ud che gli sussurrava: Pi tardi, cantore, mi racconterai della vedova nera che ti aspetta in Tessaglia. Mi dirai se la fossa dei serpenti larga davvero cinque passi. E che cosa ha detto Kurush, a Tadmor.

Il re si rivolse agli ospiti, ai messi, agli amici. Gente che si accalcava intorno a lui, che voleva toccargli la veste, la mano, sentire il suo sguardo. Dymas si appoggi al bordo del tavolo: sapeva che le gambe non l'avrebbero retto. Quando volt faticosamente il capo, vide altri uomini di rango elevato entrare nel salone: il cretese Nearchos, Ptolemaios figlio di Lagos, Lysimachos, sulla cui improvvisa ascesa nelle ultime lune circolavano voci incontrollate, Leonnatos. Di Lysimachos nessuno sapeva nulla di preciso, ma gli altri tre comandavano le spie e gli informatori segreti, proseguivano il lavoro iniziato da Demaratos. Il lavoro in cui erano stati coinvolti Drakon e, come minuscola rotellina, Dymas. Era un caso che ora spuntassero fuori tutti e tre? Oppure si poteva spiegare, perch le questioni politiche da discutere con le delegazioni rientravano nelle loro competenze? Oppure... sapevano qualcosa? Dymas, ancora sbalordito dalle parole di Alessandro, osserv il Lagide che lo sfiorava con lo sguardo, inarcava le sopracciglia, annuiva e poi guardava verso sinistra. Alessandro aveva terminato i primi saluti. Dymas gli rivolse uno sguardo obliquo e vide che il suo volto si contraeva in una smorfia di dolore. La mano del re si diresse al ventre. Poi lo spasmo parve terminare: Alessandro si rilass e guard verso sinistra come Ptolemaios. Dymas pens al dolore in quegli occhi, alla magia; improvvisamente seppe che doveva saltare fuori e impedire l'attacco. L c'era un capolavoro degli di o del caso, la testa pi acuta e pi valente dell'ecumene. Un uomo straordinario. Una macchina magica, che non doveva essere distrutta; abbastanza difettosa da arrestarsi da sola, un giorno. Chiuse gli occhi per un istante. Assassinii e incendi, torture e mutilazioni, centinaia di migliaia di morti, centinaia di migliaia di esiliati, sradicati, senza patria, e ancora di pi negli anni successivi, tra Babilonia e il margine occidentale del mondo. Cirene, la Libia, Carcedonia. Ma... tutti i filosofi non avevano lodato i grandi eroi di guerra? Non si diceva che gli di li guardavano con favore? Alessandro aveva agito in modo pi rapido, pi grande, pi completo; ma realmente diverso rispetto ad Agamennone, Achille, Milziade, Temistocle, ai faraoni, ai Gran Re? Pens a Dyrrachion, all'incontro pacifico di persone di cento popoli che avevano costituito volontariamente una comunit: questo incontro non poteva forse essere ordinato, forzato... si sarebbero potuti introdurre gli elementi comuni che mancavano?

Avrebbe potuto costringere gli abitanti di strette vedute delle poleis elleniche, che non concedevano parit di diritti neppure ai loro fidati meteci, alla larghezza di vedute e alla polis cosmica... e se non lui, allora chi? Non avrebbero dovuto sempre soffrire e morire in molti affinch gli altri potessero vivere in modo diverso, migliore? Sangue per Baal, dare alle fiamme le vecchie stoppie per un nuovo raccolto? Non lo sapeva, non sapeva decidere; dal momento che non sapeva, la decisione non toccava a lui. E a chi altri mai?! Apr gli occhi e vide che il re si era aperto un piccolo varco verso sinistra. L Hamilkar si era alzato e si avvicinava ad Alessandro. Jason in Tessaglia, morto... Alessandro che non era riuscito a portargli via Tekhnef, ma soltanto quello che Tekhnef aveva amato in lui; Alessandro che sapeva tutto.. . forse anche che Hamilkar aveva in bocca il veleno e Dymas era suo complice; Alessandro gli aveva dato all'improvviso una speranza, la prospettiva di ritornare a vivere con Tekhnef: una vita rinnovata al posto di una morte tra i tormenti, tra le mani di coloro che avrebbero vendicato l'assassinio del re. Dymas prese una decisione. Si allontan di slancio dal bordo del tavolo; le sue dita si strinsero intorno alla citara.

14. Fine e cenere.

E' il quindici di daisios, e un altro brutto giorno. Che cosa ci fai qui tanto presto? chiese Eumenes. Nearchos si freg gli occhi e osserv il volto rigonfio dell'elleno. Non riuscivo pi a dormire, con questo caldo. E tu? Eumenes mostr i denti. Non mi sono neppure coricato. Per via del tempo. Mastic il calamo e con la sinistra fece scricchiolare il papiro. Inoltre il capo ha nuovamente desideri particolari. E quali? Doni e una lunga relazione da mandare a Susa: per Stateira, affinch superi la gravidanza nel modo migliore. Deve partire domattina; e queste relazioni o le scrive lui stesso, oppure devo farlo io. Lui per preferiva rimanere accanto alla sua Roxane incinta, per cui... Nearchos si diresse verso la porta aperta; sul quarto cortile interno del palazzo aleggiava una penombra grigia e afosa. Uno schiavo port senza parlare un vassoio d'argento con pane, carne, frutta, acqua e vincotto bollente. Nel porticato risuonava il passo regolare della sentinella. Che cosa c' da fare? Eumenes gett un'occhiata a una tavoletta di cera. Per te? Non molto: un'escursione, per cos dire. Una regata sul fiume; il re desidera avere a bordo il suo navarco cretese. Dopo di che, nel tardo pomeriggio, Perdikkas ricever i messi; forse ci sar anche Alessandro, forse no; noi dobbiamo esserci, presumo. Dove si cacciato Ptolemaios? Eumenes grugn. Dopo che riuscito a mettere incinta la nobile Artakame, pu godersi di nuovo le grazie della sinuosa e insaziabile Thais. Per cui dove vuoi che vada a cacciarsi? Nearchos mise una fetta d'arrosto sul pane, l'arrotol, si vers vino bollente nel bicchiere, e addent. Eumenes lo fissava come se non avesse mai visto un uomo fare colazione. Quando? disse alla fine; nella sua voce c'era un misto di

sorpresa e disapprovazione. Nearchos sospir. Presto. Tra cinque o sei giorni; perch? Eumenes si guard intorno; poi represse una risata. Sono qui a parlare con il capo di tutte le spie e mi guardo intorno per timore di orecchie indiscrete. Bah. Puoi parlare tranquillamente. Nearchos si strinse nelle spalle. Ptolemaios e io ci scambiamo le informazioni; anche se uno dei suoi uomini dovesse ascoltare... in ogni caso abbiamo vedute simili su certe cose. Eumenes mise via il calamo per scrivere masticato e intrecci le mani dietro la testa. Come procedono i preparativi? Una parte dell'esercito gi lungo le coste del mare persiano, dove si trova anche il grosso della flotta. Il resto si metter in marcia non appena lui l'ordiner. Vi invidio. La voce di Eumenes era piena di scherno. Nearchos annu lentamente. Me lo immagino. Tu, essere miserevole, devi restare a Babilonia, in mezzo alla penuria, mentre noi facciamo il giro dell'Arabia lussureggiante. Mi immagino che, al confronto, la Gedrosia sia stato un viaggio di piacere. Nearchos aggrott la fronte. Le siamo sopravvissuti: voi sulla terra, io sulle navi insieme agli altri. Il cardio grasso disse piano: E' una follia, e noi lo sappiamo tutti. I persiani hanno posseduto il paese per duecento anni, preteso e ottenuto tributi, ma non sono mai stati tanto pazzi da mandare un esercito nel deserto. Tranne Cambise, quella volta contro Siwah; e il deserto egizio pi piccolo. Noi abbiamo le loro carte geografiche e le descrizioni delle strade, conosciamo porti e centri commerciali: non c'era molto da studiare. E non c' neanche nulla da conquistare: si sono sottomessi tutti spontaneamente. Ma anche se fosse, conosci un periodo peggiore per iniziare questa marcia dell'inizio dell'estate, il periodo pi caldo, cio adesso? Follia. Nearchos tacque; fin di mangiare il suo pane arrotolato, si pul le mani su un panno bianco, bevve un sorso dal bicchiere. Eumenes lo fiss. Allora? Nearchos scosse il capo. Niente allora. Ne abbiamo parlato mille volte, amico. Con Perdikkas. Con Leonnatos. Con Lysimachos. Con Seleukos. Con Ptolemaios. Con tutti. Krateros ha perfino scritto una prudente lettera a riguardo. E anche il vecchio Antigonos: e anche la sua, prudente ma inequivocabile. Per non facciamo nulla disse Eumenes con amarezza. E che cosa dovremmo fare? Insomma, conosci lui... e anche

noi. Perdikkas ci ha provato decine di volte, ma non appena Alessandro ti guarda, tutti i tuoi dubbi si dissolvono. Come sai. Come so. Come so troppo bene. E poi uno lo segue proprio fino all'altra estremit del mondo. Merda. Nearchos traffic con il suo cinturone. Tu lo dici. Una parola dura per una massa molle. Ma noi abbiamo anche qualche altro problema. Non ti basta questo? Quale? Conquistare mezzo mondo e poi non fermarsi? Eumenes borbott. Stamattina Ptolemaios vi racconter alcune cose disse Nearchos. Mentre il navarco cretese Nearchos accompagner il Re dei Re a regatare sull'Eufrate. E che cosa ci racconter, nobile cretese? Informazioni, nobile cardio. Sulla gioia degli opliti macedoni di essere comandati da decadarchi persiani, per esempio. I persiani tra le loro fila li avrebbero ancora accettati, anche se a malincuore. Ma ufficiali persiani... be' insomma. E poi c' ancora Carcedonia. Eumenes strabuzz gli occhi. Preferirei non sentire. A proposito, un carcedone ... Lo so. Nearchos scopr i denti. Ptolemaios lo conosce. Hamilkar. Non gli mandano un messaggero da poco, amico; il capo dei loro informatori, delle spie e degli ambasciatori. Lo vedremo oggi pomeriggio. Quello con cui all'epoca Ptolemaios ha trattato su Memnon? Eumenes fischi piano. Bene, bene. E' sempre utile accogliere bene i visitatori importanti... Che cosa c'entra Carcedonia? Hanno arruolato quasi tutti quelli che noi e i satrapi abbiamo congedato negli ultimi anni. Le cifre dei nostri uomini oscillano, ma dovrebbero essere pi ottanta che sessantamila soldati. Eumenes ridacchi. Bene. Davvero emozionante. Una passeggiata estiva attraverso il deserto dell'Arabia e poi gli uomini ben riposati dovrebbero misurarsi con la piccola flotta di Carcedonia, il muretto cadente e un paio di mercenari? Follia. Forse a voi viene in mente ancora qualcosa a riguardo. Io non so nient'altro. Eumenes lasci cadere all'ingi gli angoli della bocca e disse seccato: Tu e io, non possiamo ordinare proprio niente. Tutti i cretesi mentono, tutti i cardi hanno l'anima ricoperta di grasso. Se c' qualcuno che pu cambiare qualcosa, sono in ogni caso i grandi signori della Macedonia. Ma non ho l'impressione che Perdikkas e Ptolemaios ottengano pi di noi con lui. Comunque troppo tardi. A volte... esit. A volte mi domando se lui voglia andare a fondo. Oppure se, ora che il suo Enkidu morto, voglia compiere a ritroso il viaggio di

Gilgamesh, con truppe ingenti, proprio sino a Utnapishtim, per costringerlo a cedergli il cespuglio spinoso della vita eterna..

Alessandro venne accolto con esclamazioni di giubilo dagli equipaggi delle triremi e delle quadriremi. Quando lasciarono il porto, il cielo si squarci: nel giro di pochi istanti, il sole estivo trasform la giornata afosa e soffocante in una caldaia rovente. Le navi scivolavano lentamente lungo la corrente. Nearchos cedette il timone della nave principale, sulla quale erano lui e il re, al trierarca Metron. Si port uno sgabello sino alla murata, fiss l'acqua sporca, cont i cadaveri rigonfi dei cani, i pesci morti, i grumi marroncini provenienti dai canali di scarico sotterranei di Babilonia e, a un certo punto, si addorment. Lo svegliarono voci eccitate e movimenti rapidi. Era iniziata la regata fino alla citt: per la gloria e la lode del re, la corona e l'oro. Alessandro era in piedi sul ponte di poppa e incitava i rematori. Improvvisamente toss e si port la mano alla gola. Uno degli ufficiali riemp un bicchiere di vino dall'otre che era appoggiato alla murata. Alessandro lo ringrazi, prese il bicchiere, bevve e sput. Ma quasi bollente! Non avete niente di pi fresco? Si diresse a passi veloci verso la fiancata sinistra, prese uno dei secchi che serviva ad attingere l'acqua del fiume per pulire il ponte e lo lanci oltre la murata. Nearchos pens alla sporcizia e si riscosse; balz in piedi e si diresse verso Alessandro. Non farlo, amico disse con insistenza. L'acqua del fiume, a valle della grande citt... Alessandro tir su il secchio, se lo port alla bocca e bevve a sorsi larghi e avidi. Alla fine lasci cadere il recipiente non proprio regale e fece l'occhiolino a Nearchos. Ne vuoi anche tu? Il cretese scosse il capo e fece una smorfia. Alessandro rise. Ti preoccupi per un po' di sporco, vero? Ah, Nearchos, non sei davvero un dio.. Dopo la regata, vinta naturalmente dalla nave del re,

Alessandro accaldato fece un bagno freddo, che indusse il medico Philippos a scuotere il capo con un gesto d'impotenza. Nearchos dovette restare con il re, che non era contento dell'equipaggiamento della nave, soprattutto per quel che riguardava le provviste. Durante la discussione toss diverse volte e si tenne il ventre; Philippos gli consigli cibi leggeri e decotti tiepidi. Alessandro rise e disse che non aveva bisogno di nulla che non potesse trovare nel vino fresco. Nearchos si allontan brevemente per indossare abiti puliti e mangiare qualcosa; quando ritorn indietro, Alessandro si faceva massaggiare e trattare con oli profumati dal suo esperto di unguenti. Ancora una volta Nearchos si sorprese del numero e delle dimensioni delle cicatrici di tutte quelle ferite, alcune lievi altre quasi mortali... cicatrici che, a quanto si diceva, suscitavano sempre le carezze estasiate di Roxane. Qualcuno rifer che il cantore Dymas, da tanti anni apprezzato in tutta l'ecumene, era arrivato a Babilonia e intratteneva i messi ricevuti da Perdikkas. Alessandro fece uno strano sorriso e disse che allora sarebbe stato proprio opportuno che vi si recasse anche lui, per non privarsi di quel piacere. Nearchos, che pochi giorni prima aveva sentito il nome di Dymas in un contesto differente, nel racconto di un'affidabile spia araba sugli avvenimenti di Tadmor, accompagn il re nonostante alcune preoccupazioni e riserve. Mentre si dirigevano verso il salone in cui si svolgeva l'udienza, si imbatterono in altri alti ufficiali. Ptolemaios trattenne Nearchos per un momento. Sempre la stessa cosa disse piano. Tutti sono contrari, ma nessuno sa come fare a dissuaderlo. Nearchos annu. L'esercito? Il Lagide sorrise senza gioia. L'esercito segue il dio: anche nella speranza che, nel deserto, senza dare nell'occhio... gli ufficiali persiani si possano perdere da qualche parte. Il cretese gemette. Come andr a finire, amico? Tutti noi dobbiamo morire, prima o poi... Ah, prima che me lo dimentichi: Krateros sopravvissuto alla sua terribile infermit e si sta avvicinando all'Ellesponto con i suoi uomini. E Kassandros, messo alle strette, ha ammesso che suo padre non poi cos malato. Il che ci sorprende. Nearchos rise a singulti, senza provare divertimento. Il vecchio e saggio Antipatros. Ma che cosa pensa dei passi successivi? Che cosa? Ah, perch mai dovrei nascondertelo? C' ancora qualcosa. Il carcedone... Che cosa c'entra lui? Ptolemaios attir a s Nearchos, come se volesse abbracciarlo; nel frattempo gli sussurr qualcosa all'orecchio.

Il cretese s'irrigid. Ptolemaios gli picchi sulla spalla e lo spinse verso l'ingresso del salone. Quando vi entrarono Nearchos trascinando i piedi e pallido in volto - Dymas stava terminando la sua canzone. Videro che Alessandro gli sussurrava qualcosa; videro il cantore trasalire. Poi i primi inviati si strinsero intorno ad Alessandro-lui ricevette i saluti, li ricambi, sorrise e ascolt. All'improvviso, nel locale si cre una tensione quasi tangibile. Una specie di arcobaleno, con un'estremit rappresentata da Alessandro e l'altra dal carcedone. Questi si era alzato e si era aperto un varco attraverso il quale si avvicinava al re. Lo seguivano due uomini che portavano doni: preziosi lavori d'intaglio in avorio; un uovo di struzzo decorato, e arricchito di tralci d'argento; finissime bottigliette di vetro, come quelle per i profumi, sulla cui pancia c'erano i volti di Alessandro, Olympias, Filippo e Roxane; un'anfora sottile, sconvolgente nella sua assoluta semplicit. Nearchos disse piano: E' lui?. Fissava l'uomo snello e scuro, i cui capelli, cos come la barba molto curata, mostravano le prime tracce di grigio. E' lui. Ptolemaios abbass lo sguardo su Perdikkas, che aveva incrociato le braccia sul petto; era imperscrutabile. Hamilkar si ferm a due passi di distanza da Alessandro. I due che lo accompagnavano s'inginocchiarono e, sollevando le mani, offrirono i doni su vassoi d'oro. Avevano posato l'anfora accanto a Hamilkar. I saluti di Carcedonia al signore dell'Oriente disse l'uomo con un piccolo inchino; il suo ellenico era impeccabile, la sua voce piena e profonda, ma la dizione tuttavia un po' incerta. Come se avesse un sassolino, o forse un'ulcerazione, nella bocca. Alessandro osserv i doni, sfior il grande uovo, prese in mano la bottiglietta con il volto di Roxane, sorrise e la rimise sul vassoio. Mosse le dita e i servitori presero in consegna i vassoi con i doni. Ti ringrazio, carcedone; sono oggetti preziosi, di fattura straordinaria. Hamilkar chin di nuovo il capo; ora anche lui sorrideva. I celebri artigiani della mia citt natale saranno onorati nell'ascoltare questo sommo elogio, signore. Il loro piacere sarebbe pi grande soltanto se tu volessi dire loro personalmente queste cortesi parole, per esempio nel corso di

una visita amichevole. Silenzio glaciale. Perdikkas respirava vistosamente tra i denti. Alessandro non sorrideva pi. Si potrebbe pensare a una simile visita. Bisognerebbe soltanto discuterne i dettagli. Hamilkar sorrise. Ovviamente. I nostri parenti a Tiro furono sciocchi quando non considerarono nel modo dovuto il tuo desiderio di sacrificare nel tempio di Melqart. Perci io, a nome del Consiglio della mia citt, ti posso assicurare che noi considereremmo un onore aprire tutti i templi di Carcedonia a te e a coloro che tu ritenessi degni. Anche quello di Baal, in cui non pu entrare nessuno che non sia d'origine carcedone? Hamilkar sorrise freddamente. Non esiste legge che non verrebbe revocata per il signore dell'Oriente. Per noi sarebbe un sommo piacere condurti sino al tofet. Dove si offrono gli olocausti a Baal mormor Ptolemaios. Ha coraggio, per tutti gli di! Alessandro sembrava aver capito perfettamente il duplice riferimento. Sarebbe senz'altro un'esperienza, per un sacerdote e ospite. Ma prima dovremmo discutere di altre cose: del numero degli accompagnatori, per esempio, e del loro abbigliamento. Forse anche di altri templi. Quello di Baal a Tadmor. Hamilkar annu, apparentemente impassibile. Tu mi onori, signore; le mie modeste informazioni e suggerimenti sono a tua disposizione. Tuttavia.... Schiocc le dita e uno dei suoi accompagnatori apr il tappo di cera sigillato dell'anfora e sollev il recipiente. Un mormorio percorse il salone quando Hamilkar estrasse un bicchiere dal suo ampio mantello bianco: un calice degno di tutti i re e di tutti gli di. Sembrava essere fatto d'oro puro, con un sottile bordo chiaro d'avorio. Palme e cavalli, simboli di Carcedonia, d'argento e delle pietre pi preziose ne decoravano la superficie; il piede, o basamento, era costituito da quattro elefantini d'oro che sorreggevano con la fronte una pietra lucida, rossoscura. Hamilkar fece riempire il calice dall'anfora. Il nostro vino migliore, signore, in un recipiente adeguato. Sono entrambi dono dei padri di Carcedonia, che preferiscono l'amicizia e il commercio per il reciproco guadagno a qualunque altra forma di relazione.

Alessandro non accett il calice che gli veniva offerto. Il vostro vino indubbiamente eccellente e questo calice magnifico. Di quanto vecchio il vino? Dieci anni? Hamilkar scosse lentamente il capo. Quello che stato torchiato dieci anni fa, signore, stato gi bevuto. Lo si potrebbe rinnovare, non vero? O forse no. Bevi tu per primo, carcedone. In modo che io riconosca la tua buona volont e tu la purezza del vostro vino. Lentamente Nearchos si riscosse dalla paralisi che si era impadronita di lui dopo le parole sussurrategli dal Lagide, fuori nel corridoio. Vide Ptolemaios che s'irrigidiva; e vide il cantore che si allontanava dal bordo del tavolo, con la mano stretta sulla citara. Vuole fermarlo sussurr. Fa' qualcosa. Io... Ptolemaios fece qualche passo veloce. La sua mano, la mano forte del condottiero esperto e del cospiratore, si pos sulla parte superiore del braccio di Dymas. Hamilkar port il calice alle labbra e bevve un sorso lungo e profondo. Poi porse il recipiente al re. Allora anche Alessandro bevve. Qualcuno batt le mani. Nearchos se le port davanti al volto.

Alla sera un gruppo scelto di etri si incontr a casa di Medios. C'era Perdikkas, cos come Meleagros, Leonnatos, il satrapo Peukestas, Ptolemaios, Lysimachos, Eumenes, il medico Philippos, Nearchos, Seuleukos e alcuni altri. Su invito di Alessandro, Dymas suon alcuni canti e ballate; sembrava un po' assente, ma la sua musica era straordinaria. Alessandro vuot un grande bicchiere di vino tenuto in fresco e si lament dei dolori al ventre; Philippos fece una smorfia e disse che, di tanto in tanto, anche un re doveva mangiare e bere qualcosa di caldo. Alessandro rispose che dal mattino aveva assunto soltanto vino e acqua e che non aveva intenzione di rovinare questa ottima abitudine con brodi di verdura o arrosti di volatili. Poi barcoll leggermente; Philippos gli sent la fronte e disse che aveva un po' di

febbre. I diari di Eumenes riportarono gli avvenimenti dei giorni successivi. Il re dorm a lungo, fece il bagno, sacrific, quindi mangi da Medios e bevve ancora una volta sino a notte fonda. Dopo la gozzoviglia fece il bagno, mangi qualcosa e poi si addorment, perch ora la febbre era pi violenta. Al mattino lo condussero fino agli altari in una portantina; offr sacrifici come ogni giorno, poi si fece portare nei suoi appartamenti dove sonnecchi sino che si fece sera. Una volta risvegliato, diede agli strateghi ordini nuovi e dettagliati riguardo ai movimenti dell'esercito e della flotta: l'esercito avrebbe dovuto partire quattro giorni dopo, la flotta insieme a lui cinque giorni pi tardi. Poi venne condotto in una portantina fino al fiume, l'attravers su un battello e si fece portare in un ampio giardino, vi fece di nuovo il bagno e poi si ripos. Il giorno successivo fece di nuovo il bagno e sacrific sugli altari, poi si fece portare nella sua stanza da letto e vi s'intrattenne con Medios. Ordin che il mattino dopo gli strateghi e il navarco fossero di nuovo da lui. Dopo aver impartito gli ordini, mangi qualcosa, venne condotto nuovamente nella sua stanza da letto e trascorse tutta la notte con la febbre. Il mattino fece il bagno e sacrific, quindi discusse con Nearchos. Il giorno successivo fece di nuovo il bagno e offr sacrifici. Nonostante la febbre alta, ricevette ancora una volta gli strateghi e ripet i suoi ordini. La sera fece il bagno, ma si sentiva gi molto debole. Fare il bagno, sacrificare, dormire, dare ordini... Quando gli ufficiali di tutti gli squadroni di mille e di cinquecento uomini dovettero recarsi da lui, il giorno successivo a quello in cui era stata inizialmente prevista la partenza, era ancora perfettamente in grado di riconoscerli, ma non riusciva pi a parlare e giaceva muto. Aveva la febbre molto alta. Di e sacerdoti vennero interrogati senza speranza. Perdikkas assistette al sacrificio di un ariete-quando il suo fegato preannunci una sciagura, estrasse la spada, fece a pezzi l'animale e ordin al sacerdote di trovare una pecora meno stupida. Il 26 e il 27 di daisios gli ufficiali mandarono l'esercito dal re. Piangendo o in silenzio, senza parole o tra i lamenti, i duri soldati solo macedoni - sfilarono davanti al loro re e generale, che giaceva su un fianco sostenuto dai cuscini e che li salut con

movimenti degli occhi. A migliaia, in lunghe file. Non ritornarono ai loro alloggiamenti, le tendopoli davanti alle porte; rimasero nei cortili del palazzo, nei giardini, senza tende n coperte, sotto il cielo afoso e plumbeo dell'estate babilonese. Le nuvole furono il loro tetto, la tristezza il loro cibo. Nei primi giorni della malattia di Alessandro le cose si svolsero nel modo consueto, anche se con maggiore fretta per via della partenza imminente. Poi per Nearchos tutto assunse i contorni e il sapore dell'incubo. Bisognava tranquillizzare e tenere calmi l'amministrazione, l'esercito e la flotta, gli ospiti e i messi; ricevere gli ordini di Alessandro, in parte eseguendoli e in parte rimandandoli; gli uomini autorevoli continuavano a riunirsi per consultarsi. Non soltanto gli uomini: Roxane invi un messo a Susa, dove si trattenevano le altre due mogli del re, Stateira e Parysatis. Disse loro di venire perch il re era in punto di morte. Nonostante fosse a sua volta incinta, part per andare loro incontro, le uccise entrambe con le sue stesse mani e fece a pezzi il figlio non ancora nato di Stateira; ma questo Nearchos lo venne a sapere solo pi tardi. In uno di quei giorni d'attesa tormentosa, Nearchos venne a sapere da Ptolemaios che i carcedoni e Dymas erano ripartiti; dal modo in cui il Lagide glielo rifer sembr che li stesse facendo scortare dai suoi uomini. La sera attesero Philippos in una sala per le riunioni accanto agli appartamenti del re. Gi da giorni Perdikkas dava gli ordini pi importanti; e fu lo stesso Perdikkas che inve contro il medico quando questi assunse un atteggiamento evasivo. E va bene, ragazzo, come vuoi. Philippos si gett su una seggiola e fece cadere a terra un bicchiere di vino. Ma quanto devo essere preciso? Preciso quanto necessario. Il volto di Perdikkas era una maschera di pietra. Che cosa necessario? Per... e sia. Enumer lentamente, a mezza voce. E' esausto: cavalcate, battaglie, assedi, poco cibo, poco sonno, troppo vino, le brutte ferite. Questa una cosa. Nel complesso il suo corpo quello di un uomo d'et quasi doppia. Forte, ma usurato: doppiamente usurato. Vai avanti borbott Perdikkas. D'un tratto sollev la mano destra e se la pass sugli occhi.

In India ebbe quella terribile febbre delle paludi; l'ebbe ancora una volta l'anno scorso a Susa e ora gli ritornata. Ha la tosse: pu essere dovuta a quel bagno ghiacciato che ha fatto dopo la regata. Un po' come quella volta a Tarsos... Ma, nelle condizioni in cui ora si trova il suo corpo, non posso dargli la cura di allora: lo ucciderebbe subito. Philippos sospir; il suo sguardo err sino a Nearchos. A quanto ho sentito, ha bevuto l'acqua del fiume: tutti gli animali morti e tutta la merda di Babilonia... e tutte le evacuazioni di tutti i malati. Allora aveva gi i dolori al ventre. Da prima. Dopo ha bevuto vino a stomaco vuoto, vino freddo, in gran quantit. Il corpo nel complesso; i polmoni; la febbre alta, che non vuole scendere; e lo stomaco, che non tollera pi i cibi, rigetta tutto subito. E' abbastanza preciso, ragazzo? Perdikkas si pass di nuovo la mano sugli occhi. Eumenes deglut improvvisamente a vuoto. Pu trattarsi di... veleno? chiese Lysimachos. Philippos rise amaro. Nel fiume doveva esserci veleno a sufficienza. Il suo corpo avvelenato dai lunghi abusi. In questa situazione il vino era veleno. Quanto altro veleno vuoi ancora? Sopravviver? chiese Perdikkas. Nearchos osserv il duro stratega, duro gi da fanciullo, duro a Mieza e ulteriormente indurito dagli anni, dalle privazioni e dalla guerra. Quella voce... sotto la durezza c'era la paura, la paura di una perdita infinitamente grande, irreparabile. E del fardello che tutti loro avrebbero dovuto reggere. Sopravvivere? disse Philippos. S, sopravviver. Per un giorno, forse due; certo non tre. Dopo un silenzio molto lungo, Ptolemaios disse piano: E' inimmaginabile. E... poi?. Ancora silenzio. Eumenes si alz in piedi e picchi sul tavolo. I signori della Macedonia tacciono? Allora l'elleno grasso vuole dirvi due cose. La spedizione militare a occidente e questa follia in Arabia dobbiamo... dovete subito revocarle. Con squilli di tromba. Ma lasciate le truppe dove sono. O meglio, disperdetele ancora un poco. Non mi piacciono tutti quei soldati ammassati, se... se succedesse. E perch no? chiese Ptolemaios con voce quasi lamentosa. Un momento. C' ancora qualcosa. Separate le unit elleniche e quelle asiatiche, sciogliete i reparti misti. O forse vi credete che, in queste condizioni, gli uomini obbedirebbero a uno di noi, cio di voi? Che il sogno della commistione di Alessandro possa essere realizzato, senza Alessandro? Tuttavia disse Lysimachos perch, anche dopo averle divise,

non portarle tutte, separatamente, a Babilonia? Perdikkas si schiar la voce. Potrebbero esserci disordini, non vero? Bene; io sono d'accordo, Eumenes. Ma... e dopo? Meleagros gemette. Il figlio di Stateira. Il figlio di Roxane. Entrambi non ancora nati; forse uno di loro due diventer un secondo Alessandro. Oppure una seconda Olympias. Il figlio di Barsine, Herakles. Un bastardo, con la madre del quale lui non era neanche sposato, e due non ancora nati? L'esercito far i salti di gioia disse Seleukos. Ancora un lungo silenzio; lunghe occhiate qua e l, in cerca di qualcosa. Philippos si alz in piedi, afferr la sua sedia pesante e la scaravent in mezzo alla stanza. E' orribile grid. Lui respira ancora, e voi state pensando a come potervi saltare l'un l'altro alla gola! E' ancora possibile interrogarlo? disse Perdikkas con tono fin troppo dolce. Philippos alz le braccia. Non parla pi da due giorni. Ma... provaci. Io per aggiunse rivolto verso gli altri non lo lascerei andare da solo. Chi sa che cosa ascolter? Dopo una discussione breve e concitata, Nearchos disse: Non contate su di me, amici. O meglio, soci. Non c'entro: sono cretese, come sapete. Il trono della Macedonia... ma andr come accompagnatore, se volete: come testimone fedele. And Perdikkas; e con lui Seleukos, Ptolemaios, il medico Philippos e i due elleni, Eumenes e Nearchos. Alessandro era disteso sull'ampio letto dagli intagli eleganti. Ai suoi piedi e appoggiati alle due pareti laterali c'erano i figli dei principi, membri della cavalleria degli etri. Il re, illuminato da fiaccole e lampade, aveva un aspetto grigio e macilento; il naso era quasi bianco. Aveva aperto gli occhi e fissava l'alto soffitto della stanza. Le mani, smagrite, strisciavano sulle lenzuola come ragni impazziti. Portava un unico anello, all'indice della mano destra: l'anello d'oro, grande e pesante, con il sigillo dei Gran Re achemenidi. Quando quelli si avvicinarono al letto, la mano scivol dalla coperta e penzol nel vuoto. L'anello gli cadde dal dito. Perdikkas, che era il pi vicino al letto, l'afferr prima che toccasse terra. Che abbia voluto darlo a me? mormor. Eumenes rise a singulti. A questo non crede nessuno! Perdikkas si chin sul re morente. Gli altri si strinsero intorno a lui per poter sentire.

Sempre che ci fosse qualcosa da sentire. Signore disse Perdikkas con voce bassa e suadente. Poi singhiozz e grosse lacrime gli scesero lungo il viso e caddero sulla fronte di Alessandro. Amico. Alessandro. Gli occhi vuoti e ardenti per la febbre si mossero, si staccarono dall'alto soffitto, scivolarono sui volti e rimbalzarono verso l'alto. Chi, Alessandro? Chi deve proseguire la tua opera? chiese Perdikkas con voce quasi supplichevole. Molto lentamente, come se dovesse vincere una resistenza infinita, Alessandro alit qualcosa, muovendo appena le labbra. Kra. Oppure Gra. O qualcosa del genere. L'avevano sentito tutti, nessuno aveva sentito altro; gli fecero domande, cercarono di scuoterlo, ma lui non si mosse pi e alla fine Philippos riport tutti quanti nella sala delle riunioni. Kra, kra, kra disse Meleagros quando glielo riferirono. Krateros? Successore di Parmenion come comandante in capo dopo Alessandro, ora successore di Antipatros come governatore dell'Europa: rappresentante del re e anche suo successore? Krateros non qui disse Perdikkas tagliente. Scordatevelo E se dovesse venirgli in mente da solo? mormor Eumenes. Pensate a Susa, allo sposalizio, alle nozze. Allora lui fu il terzo, dietro soltanto ad Alessandro e Hephaistion. Tutti noi dopo di lui... Scordatevelo disse poi anche Ptolemaios; scambi un'occhiata con Perdikkas e annu in modo quasi impercettibile. Perdikkas ammicc. Philippos giur che non era stato kra, ma gra. Forse graia, la vecchia: Olympias, aggiunse suscitando scherno e indignazione. Oppure graikos, termine che in Sofocle indicava tutti gli elleni? Qualcosa con gramma, oppure graph; forse ha davvero scritto qualcosa a proposito della successione? Bah. Che ne dite di grammatephoros: dovremmo dunque trovare un abile portalettere, vero? disse rabbioso Leonnatos. Kra disse Perdikkas con enfasi. Soltanto questo: krabbatos? Un letto per il sovrano in cui riposare, oppure "lasciatemi dormire"? Krama: la commistione, tutti noi insieme? Kranioleios: il "cranio calvo" Antipatros? Kratistos: il pi forte, il migliore, il pi valoroso? Krateros il pi valoroso disse Meleagros. Scordatevelo! tuon Perdikkas. Kra, kra, kra... kratistos. E' cos. Ora sono assolutamente certo che abbia detto

kratistos . Sei riuscito a convincerti di questo? disse Eumenes con una smorfia. E chi dev'essere... il migliore, il pi valoroso, il pi forte? Questo lo stabiliremo a poco a poco. C' ancora qualcuno per Krateros, oltre a me? chiese Meleagros che evidentemente non si lasciava intimidire neppure dai ruggiti di Perdikkas. Nessuno rispose.

Tormentato dall'insonnia, Nearchos si aggirava sotto la volta della notte. Attravers tutta Babilonia, o almeno la maggior parte della citt. Non si vedeva neanche una stella; le nuvole spesse non si erano ancora dissolte e si distendevano su ogni cosa come una chioccia. Nelle strade e nelle piazze c'erano tantissime persone, accovacciate da qualche parte a mormorare piano, oppure ad attendere in silenzio qualcosa che era tanto certo quanto inconcepibile. Fece ritorno al palazzo reale alle prime luci dell'alba. Qualcosa lo attir verso la sala del trono vuota. Non c'erano guardie, non c'era nulla da rubare se non il trono dei Gran Re, trasportato li da Susa. Ud un rumore lontano, un po' inquietante, ma nella penombra non riusc a distinguere nulla. Fu una specie di fruscio, poi un risolino. Varc la porta. Soltanto quando si trov davanti ai gradini del trono, nell'ombra tra due finestre parzialmente illuminate, lo vide. Arridaios, il fratellastro di Alessandro, figlio di Filippo e di Philinna. Indossava un mantello da viaggio macedone. Sul capo aveva la corona a due punte del faraone, in una mano la spada del re della Macedonia, nell'altra mano il diadema del Gran Re. I suoi occhi freddi ardevano. Nearchos sospir e fece un cenno; l'uomo che tutti consideravano demente, scese lentamente dal trono. Mormor qualcosa come: Sei davvero sicuro? . Nearchos gli tolse i simboli della sovranit e li riport nella piccola armeria accanto alla camera da letto di Alessandro. Nel corridoio che conduceva al cortile interno pi grande vide Ptolemaios a colloquio con Simmias, che aveva abbandonato il suo posto d'ascolto all'Ammoneion di Siwah per riferire al re cose importanti del deserto libico e del territorio di Carcedonia. Nearchos fece un cenno a entrambi; nel frattempo

ud Simmias dire che l'Egitto racchiudeva alcune profezie e ud Ptolemaios gemere. Il ventottesimo giorno della luna macedone di daisios non voleva farsi davvero chiaro. Pesanti nuvole scure scivolavano pigramente sulla citt e sui dintorni. Era afoso, afoso in modo opprimente; Nearchos parl a bassa voce con alcuni ufficiali e opliti nel cortile. Parole senza senso: tutti aspettavano soltanto una cosa. E la pioggia. Erano ammassate, in piedi, accovacciate o sedute, diverse migliaia di uomini; e ancora di pi negli altri cortili e nei giardini. I mormorii, i bisbigli e i sospiri terminarono all'improvviso quando apparvero alcune figure tra le colonne davanti alla sala del trono. Gli etri, equipaggiati di tutto punto, si disposero in fila a destra e a sinistra dell'ingresso. Nearchos si alz in piedi come gli altri; da qualche parte sent gli uomini deglutire. Apparvero gli uomini pi importanti dell'esercito tra quelli che si trovavano in Asia: Perdikkas, alla sua destra Ptolemaios e alla sinistra Lysimachos. Avevano indossato le corazze, ma non portavano l'elmo. Lysimachos reggeva con le braccia tese un cuscino con la corona a due punte dei faraoni. Ptolemaios portava lo scettro e il flagello. Perdikkas teneva con entrambe le mani la grande spada dei re macedoni. All'impugnatura della spada era appeso il diadema degli achemenidi. Perdikkas si ferm sul gradino pi alto del cortile. Fiss il terreno, annu e conficc la spada nella commessura tra due lastroni di pietra. L'arma oscill, trem, si ferm. Il chiliarca fece un piccolo passo indietro, fiss la spada come se fosse cieco, alz lo sguardo, vide il cortile stracolmo, le innumerevoli teste. Poi stese le braccia, con i pugni chiusi, lanci un lungo grido di dolore e rivolse al cielo il volto solcato di lacrime. Nessuno si accorse dei primi goccioloni.

E adesso fanno a pezzi se stessi e l'ecumene disse sordo Peukestas. Aveva lasciato cadere il rotolo e messo le mani davanti agli occhi. Perdikkas,

Krateros, Antipatros, Lysimachos, Antigonos, Eumenes, Ptolemaios, Seleukos, Kassandros, Leonnatos. . . A meno che tu non abbia una lettera, scritta da Alessandro di suo pugno, Aristotele. Forse... forse non ne terranno conto. Ma forse tu puoi salvare tutto. Sent un cigolio e un gemito, un singhiozzo di Pythias. Si asciug gli occhi, lasci cadere le mani e guard verso il giaciglio. Poi si mosse e s'inginocchi accanto alla figlia del filosofo che cercava di sostenere il moribondo. Aristotele si era tirato su, cercando di mettersi a sedere. I suoi occhi erano enormi; e lontani. Salvare? Ansim, toss; il respiro andava e veniva a ondate superficiali e veloci. Salvare che cosa? Omicidi e ancora omicidi? I barbari? Il piano di Kurush?... Vento di luna. Il mio amico Parmenion. Sale, amici, sale. Respir affannosamente, alz il braccio destro, indic qualcosa che non era nella stanza. Il piano, il piano... Lui l'ha capito, Alessandro sapeva tutto questo e l'ha contrastato ahahh... l'ha realizzato. Il piano. Realizzato. Completato. L'oscurit barbarica. Da Ammon... da Ammon va il signore dei pesci... i pesci. Il sale. I pesci. Un dio venuto dall'Asia pretender la prosternazione sommerger l'Ellade con ordini confusi con terribile tirannide distrugger il logos innalzer altari si immischier in tutto cibo e calendario e coito e pensieri lui lui lui ha abbattuto i terrapieni e io devo... salvare?.

Pythias pianse. Peukestas afferr il braccio del moribondo. Esiste la lettera? grid. Esiste la lettera? Aristotele fece una smorfia. Il meriggio ardente, la luce spietata disse. La sua voce era piena, chiara, imperiosa. Una bollicina di bava sulle labbra. Gli occhi sussultarono e si spalancarono. Aristotele moriva, il ricettacolo del sapere si rompeva. Si tir su ancora una volta, poi si pieg su se stesso, si volt di lato e giacque sulla schiena. Il braccio sinistro si pos sul capo di Pythias, il destro, ritorto come quello di una bambola rotta, indicava. Indicava. Peukestas balz in piedi e corse verso il fuoco. Il braccio

indicava in quella direzione. Sul braciere ardeva l'ultimo papiro. Peukestas lo strapp dalla brace bassa. Continu a consumarsi davanti ai suoi occhi. Il macedone vide la scrittura di Alessandro, vide il nome Krateros ridursi in cenere.

Appendice.

Nomi e concetti.

In linea di massima ho utilizzato di volta in volta l'espressione greca pi adeguata al contesto, anche se non sempre sono stato coerente. Ho utilizzato le forme Filippo e Alessandro riferite ai due grandi sovrani macedoni, chiamando tutti i loro omonimi Philippos e Alexandros. I nomi delle localit pi note si trovano nella loro forma corrente (Atene, Pireo o Tebe anzich Athenai, Peiraieus o Thebai); che poi Mileto (anzich Miletos) mi appaia tollerabile e, al contrario, Alicarnasso (anzich Halikarnassos) inaccettabile un fatto soggettivo, cos come il sentire di dover sostituire il "prezzemolo" greco con l'astruso "appio palustre" nostrano, che nel testo appare meno moderno. Concetti latini come greco o Cartagine sarebbero anacronistici sulla bocca di un elleno del IV secolo a.C.; altrettanto anacronistico, eppure indispensabile per la sua praticit, per esempio "ufficiale", il cui corrispondente (?) greco lochagos per noi tanto incomprensibile quanto le singole denominazioni delle gerarchie militari e civili dell'epoca. Per quanto riguarda la topografia della Macedonia, mi sono basato sui ritrovamenti archeologici pi recenti, che localizzano Aigai nei pressi dell'attuale Vergina e non, come si ritenuto a lungo, pi a nordest, vicino a Edessa. Pella, oggi nell'entroterra, a quel tempo si trovava ancora non lontano dalla costa del golfo di Therme (Salonicco), in seguito interrato. La cartina mostra il presumibile profilo antico della costa in quel punto.

Alleanze e spionaggio.

Tra il 510 e il 330 a.C., dopo la caduta degli antichi regni d'Egitto e di Mesopotamia, nel Mediterraneo c'erano tre grandi potenze, interdipendenti e concorrenti dal punto di vista economico e politico: in Occidente, all'incirca entro il triangolo Libia-Gibilterra-Corsica, sorgeva Cartagine; in Oriente, tra Nilo, Indo ed Ellesponto, la Persia; e, infine, la potenza greca di volta in volta egemone, Sparta o Atene, con gli alleati del momento. Anche la Sicilia e Cirene, cos come per esempio l'Asia Minore, rientravano nell'area di influenza di Sparta e Atene; mentre Cartagine era legata alla madrepatria Tiro, in Oriente, da interessi commerciali e da relazioni privilegiate. Serse fece colpire i Dardanelli e ordin ai cartaginesi di non cibarsi pi di cani da ingrasso: due imprese destinate entrambe al fallimento; quando Sparta si alle con la Persia, Atene prese contatti con Cartagine; quando, sotto Epaminonda, Tebe fu per breve tempo la potenza egemone, assold un ingegnere navale cartaginese perch si occupasse dell'allestimento della flotta. Temistocle, bandito da Atene, si rec ovviamente in Persia come, pi tardi, Artabazos and a Pella; per non parlare di personaggi come Alcibiade che, nel giro di pochi anni, ricopr posizioni di comando ad Atene, a Sparta e in Persia, o dei continui contatti e conflitti tra greci e cartaginesi in Sicilia. In seguito a molti di questi scontri, gli storiografi riferiscono di condanne a morte o di ordini di espulsione nei confronti di traditori, spie e simili da entrambe le parti; anche la pratica dello scambio bilaterale di spie prese prigioniere documentabile almeno dai tempi di Hammurabi. Occorre tuttavia distinguere tra situazioni politiche reali da una parte e conoscenze degli storiografi dall'altra, e in generale tra prassi e teoria. Nessun mercante internazionale avrebbe mai raggiunto la sua meta grazie alle nozioni sul mondo di cui disponevano i geografi antichi: dal momento che la conoscenza esatta di vie carovaniere, sorgenti, porti d'approdo e cos via era

indispensabile al commercio e al guadagno ("sapere potere"), importante almeno quanto la disponibilit di capitale, se ne pu senz'altro dedurre che mercanti e capitani esperti divulgassero questo sapere solo all'interno della propria cerchia e che, in ogni caso, si guardassero bene dal renderlo di dominio pubblico sbandierandolo a un Eratostene o a un Ecateo. E' fuori di dubbio che i singoli governanti delle grandi potenze non ricevessero informazioni su ci che avveniva negli altri paesi solo dai mercanti o dai contingenti di mercenari inviati di continuo in tutto il Mediterraneo; altrettanto indubbio, tuttavia, che le attivit di spionaggio non venissero divulgate di volta in volta a beneficio degli storiografi. Che poi, nonostante accurate ricognizioni e conoscenze dettagliate degli affari interni del nemico si possa incorrere in errori di valutazione, lo testimoniano la CIA e il KGB. Pare che il "servizio segreto" di Filippo fosse molto efficiente; senz'altro veniva gestito con grande professionalit, come del resto l'incomparabile esercito macedone. Se si escludono gli assedi, le scaramucce e gli scontri con i focesi nella Terza guerra sacra, la Macedonia e gli stati greci si affrontarono in una sola battaglia in campo aperto: a Cheronea, nel 338 a.C. Filippo ottenne tutti gli altri successi grazie alla diplomazia, alle manovre, alla corruzione e a una conoscenza dettagliata degli affari interni greci. Le stesse persone devono aver lavorato in seguito, con la medesima efficienza, per Alessandro che, da quanto si pu ricostruire in base alle fonti, non solo sapeva con precisione prima degli scontri militari dove, quali, quante fossero le unit nemiche e chi le comandasse, ma conosceva con largo anticipo le doti dei satrapi persiani, chi fosse opportuno nominare amministratore e chi no. I servizi segreti persiani, cartaginesi e ateniesi erano anch'essi abbastanza efficienti da identificare di volta in volta le persone pi facilmente corruttibili. La tesi di una parte della storiografia su Alessandro, che imputa la responsabilit della resistenza inizialmente scarsa dei persiani ai loro servizi o a una valutazione errata da parte dei governanti, non mi sembra sostenibile: la difesa da simili invasioni spettava in primo luogo alle satrapie coinvolte, una mobilitazione dell'intero esercito richiedeva pi tempo e sarebbe avvenuta solo quando le satrapie non fossero pi state in grado di difendersi; del resto gi in precedenza alcuni invasori greci (per esempio Agesilao a partire dal 396: cfr. Cronologia) poterono agire inizialmente indisturbati.

Come si detto, dipende dalla stessa natura delle operazioni segrete che nomi, date ecc. non vengano riportati con esattezza dagli storiografi antichi. Per esempio, Bagoas il Sano un personaggio fittizio frutto della giustapposizione di molti persiani reali citati nella letteratura su Alessandro (soprattutto da Arriano). Il corinzio Demaratos fu un mercante che diede ospitalit a Filippo, don ad Alessandro lo stallone Bukephalos e fu artefice della riconciliazione tra Filippo e Alessandro; il suo ruolo nella storia (accompagn Alessandro sino ai confini dell'India, dove mor) va ben al di l di ci che ci si aspetterebbe da un semplice mercante e ospite. Tutto il resto frutto di speculazioni non verificabili e, tuttavia, assolutamente plausibili. Il cartaginese Hamilkar compare come inviato a Babilonia negli ultimi giorni di Alessandro: supporre che nel momento in cui ormai erano rimaste due sole grandi potenze, quella occidentale, rappresentata da Cartagine (prossimo obiettivo delle mire espansionistiche di Alessandro), inviasse a Babilonia un semplice mercante, mi appare molto pi azzardato che immaginare che egli in realt potesse essere il capo dei servizi segreti cartaginesi.

Musica e misteri.

Di questi due campi fondamentali della vita degli antichi non sappiamo quasi nulla. Evidentemente una conoscenza esatta dei misteri era esclusivo appannaggio degli iniziati, che erano tenuti all'obbligo del silenzio e lo rispettavano. I tentativi dei musicologi contemporanei di giungere a una sorta di ricostruzione sulla base degli scritti teorici di Pitagora e Boezio (oltre che delle affermazioni, per esempio di Platone e Aristotele, riguardo all'importanza della musica), equivalgono all'ipotetica impresa di dedurre l'intera musica da Bach a Bartok da due saggi di Descartes e di Adorno. Per di pi spesso i teorici non si pongono questioni rilevanti

ai fini pratici. E' certo che in Grecia la musica era altrettanto sviluppata (e importante per la vita) della poesia, dell'architettura, della pittura e della scultura; che tra poesia e musica, tra musica, danza e culto esistevano relazioni strette. Tuttavia non disponiamo di alcun documento sonoro e gli scarsi riferimenti alle melodie con la notazione sillabica non permettono di affermare nulla di sostanziale. Del resto la questione di gran lunga meno complicata di come la ponga la musicologia. Sappiamo che i greci provavano sentimenti simili ai nostri per la musica, la quale poteva suscitare ilarit, tranquillit, malinconia, estasi; solo non sappiamo quale tipo di musica suscitasse una determinata sensazione. E' possibile che Aristotele si deliziasse con quella che per noi sarebbe cacofonia, mentre un accordo in la minore avrebbe potuto apparirgli dissonante. Ma ci non muta per nulla il fatto che reagiamo alla musica in modo sostanzialmente analogo. Al pi tardi nel V secolo a.C. in Grecia e negli altri paesi del Mediterraneo attestata l'esistenza di musicisti professionisti, virtuosi. Dalla descrizione iconografica di strumenti antichi come la lira e la citara non si pu dedurre nulla riguardo alla loro sonorit; d'altra parte sarebbe assurdo supporre che musicisti professionisti, virtuosi di questi strumenti, si siano limitati a pizzicare corde male accordate, senza premerle a mo' di tasti. Questo pensabile solo per l'arpa a quattro corde. Chi ha provato una volta a modificare l'altezza del suono di una corda che vibra liberamente premendola, sa che in tal modo si ottengono solo brontolii sordi e suoni gracchianti. La semplice esistenza di citaredi virtuosi ci obbliga a presupporre quella di tecniche musicali sviluppate; poich nessuno degli strumenti a corda antichi era munito di tastiera, dovevano esistere altre possibilit di premere le corde, per esempio con l'aiuto di una specie di ditale. Doveva esistere inoltre qualcosa di simile al pirolo per l'accordatura precisa delle corde, probabilmente sul lato posteriore degli strumenti, che vengono rappresentati sempre frontalmente. I generi musicali ionico, lidio, frigio e le loro forme miste si definiscono soprattutto, per impiegare una tassonomia classica, in base al tipo e all'estensione degli intervalli: qualcosa di analogo alla distinzione tra maggiore e minore, anche se differente (e pi netto). Tutto quanto stato scritto riguardo alla decretata separazione dei generi musicali, all'impossibilit di utilizzare contemporaneamente

determinati strumenti consacrati a divinit differenti, all'unico metro e forma ammessi per ogni occasione e cos via, frutto della supposizione azzardata che gli artisti abbiano permesso per duecento anni a sacerdoti, censori e simili di intromettersi nella loro arte; se cos fosse stato, Eschilo non avrebbe introdotto il secondo attore e Aristofane si sarebbe attenuto alla legge ateniese, che proibiva di diffamare i politici sulla scena. Il modo in cui l'immaginario Dymas opera con testo e musica mi appare decisamente pi realistico.

GLOSSARIO.

I concetti, la cui funzione per il romanzo gi spiegata nel testo, non vengono pi presi in considerazione in questa sede, dal momento che per esempio "Ammon: divinit egizia, dai greci identificato con Zeus", non aggiunge nulla alle informazioni contenute nel testo e sarebbe quindi una semplice ripetizione, mentre una spiegazione esauriente si trasformerebbe inevitabilmente in una voce enciclopedica, per la quale si rimanda alle relative opere di consultazione. Per localit, popolazioni ecc. si faccia riferimento alla cartina.

agor assemblea, piazza del mercato; nelle citt greche solitamente la piazza centrale, con gli edifici del Consiglio e del Tribunale.

aulos flauto; nell'antichit per lo pi strumento doppio, nel quale un flauto suona la melodia e l'altro l'accompagnamento.

boul volont, consiglio, assemblea consiliare; ad Atene e altrove l'assemblea popolare istituzionale. Si riunisce nel Bouleutherion.

Cadmea roccaforte o cittadella di Tebe, la cui fondazione era attribuita al mitico Cadmo.

Carcedonia nome greco di Cartagine, la fenicia Qart Hadasht, "citt nuova".

cassia spezia; incerto se si trattasse di una determinata specie di alloro o di un particolare estratto di cannella.

catafratti cavalleria pesante corazzata.

chitone sottoveste, camicia, abito; tutto il Mediterraneo (per i romani: origine fenicia. Di solito gli uomini coscia) e le donne lungo, con maniche cintura.

l'indumento diffuso in tunica), sicuramente di lo portavano corto (alla corte e diversi tipi di

cinnamomo cannella.

citara strumento a corda con una grande cassa armonica e fino a undici corde; il citarista il musicista che suona la citara, il citaredo colui che la utilizza per accompagnarsi nel canto.

darico gr. dareiks, in origine la moneta d'oro persiana coniata da Dario I, ma in seguito riferito anche alle monete d'oro degli altri Gran Re; equivaleva a 20 sigloi (schekel d'argento).

dracma dapprima unit di misura, divenne in seguito una moneta, con differenti valori a seconda delle regioni e delle epoche. La dracma ateniese (= 6 oboli) conteneva 4,4 g circa d'argento e corrispondeva a 1/6000 di talento (26,2 kg circa). In Grecia la suddivisione originaria del talento, unit di misura babilonese (1 talento = 60 mine, 1 mina = 60 schekel), venne parzialmente decimalizzata: 100 dracme = 1 mina, 60 mine = 1 talento. Mina e talento, tuttavia, non sono monete reali, ma solo unit di conto e di misura. Nelle diverse epoche vennero coniati anche multipli di dracme: monete da due (didramma), quattro (tetradramma) e anche dieci dracme (decadramma), con un peso e un contenuto in fino proporzionalmente maggiori. Per lungo tempo una dracma costitu il salario base di un soldato, la paga giornaliera di un operaio specializzato ecc.

egemone condottiero, generale, principe, sovrano.

epistates capo, comandante; in Macedonia sindaco di una citt, nominato dal re e responsabile nei suoi confronti.

etro amico, compagno, collega; il suo corrispondente femminile, "etra", divent in seguito anche: prostituta, meretrice. In Macedonia il re era una sorta di primus inter pares e gli altri principi, tra i quali venivano reclutati il corpo degli ufficiali, la cavalleria (cavalleria degli etri) e anche le massime cariche amministrative, non erano suoi subordinati ma compagni. Gli etri prediletti da Filippo o da Alessandro venivano denominati somatophilax ("guardie del corpo").

file in origine trib, poi distretto; nel V secolo a.C. Atene era suddivisa in dieci file, ognuna delle quali esprimeva cinquanta rappresentanti.

koin eirene pace comune.

kopron merdaio, ritirata, gabinetto.

logografo scrittore di tribunali) a pagamento.

discorsi

(destinati

per

lo

pi

ai

medimno staio; di 52 litri circa, suddiviso in 48 choinikes da 1,08 litri.

mela cidonia cotogna (dalla omonima citt cretese).

meteco immigrato, residente; straniero che gode del diritto di ospitalit, ma non possiede quello di cittadinanza; lavoratore straniero.

parasanga 5,5 km circa.

Ponto Eusino il Mar Nero.

Prytaneion in pratica un municipio, sede del fuoco della citt; qui si riunivano i cinquanta rappresentanti delle file che, a turno, ne erano responsabili per 35 o 36 giorni; i deputati delle altre nove file partecipavano alle riunioni. reparti militari, gerarchie ecc. molto incerti, perch mai definiti con esattezza dagli autori antichi. Pare che l'unit di base fosse una schiera di sedici (in origine dieci) soldati, capitanati da un decadarca (capo di dieci, comandante della decina). Nella cavalleria c'era la ile (una sorta di squadrone), che comprendeva presumibilmente 16 x 16 uomini, con suddivisioni (semi-ilai e cos via); simili raggruppamenti minori dovevano esistere anche nella fanteria. La successiva unit maggiore, la pentecosiarchia, capitanata da un pentecosiarca, composta da 32 x 16 uomini, era quindi una squadra di 512 soldati.

Sotto Filippo e Alessandro il nucleo dell'esercito macedone era composto in realt dai seguenti elementi: a) la falange della fanteria "normale", opliti pesanti equipaggiati di spada, un piccolo scudo e una sarissa lunga fino a sei metri; era suddivisa in sei taxeis (reclutate spesso su base geografica) ognuna delle quali a sua volta composta da tre pentecosiarchie; vale a dire complessivamente 6 x 3 x 512 = 9216 uomini, oltre a ufficiali, comandanti, portaordini, salmerie ecc.; b) la guardia degli ipaspisti: tre taxeis, ognuna di due pentecosiarchie per complessivi 3072 uomini, equipaggiati con uno scudo pi grande, una spada e un giavellotto corto (xyston) che, a differenza della falange difensiva, aveva spesso compiti offensivi; cos come c) la cavalleria degli etri, in origine nobili nominati dal re,

"compagni" cavalieri. Sotto Filippo erano circa ottocento uomini, in seguito raddoppiati da Alessandro; il loro armamento consisteva di spada e xyston. Vi erano inoltre numerosi reparti specializzati assediatori, armati alla leggera, esploratori, truppe di montagna - in parte reclutati tra popolazioni assoggettate o tributarie, note per una particolare tradizione militare. Le nuove suddivisioni introdotte da Alessandro nei suoi ultimi anni di vita rimangono in larga misura oscure; sembra che si trattasse della formazione di gruppi estremamente disciplinati, autonomi e in parte anche misti, forse di cinquecento o mille uomini, in quest'ultimo caso detti ipparchie se si trattava di cavalieri e chiliarchie se erano fanti. In ogni caso il grado di chiliarca compare pi volte: in origine come capo della squadra di mille uomini, ma poi anche come appellativo o titolo onorifico di Perdikkas, nel significato di comandante in capo.

stadio unit di misura; 180 m circa.

statere in origine unit di misura (8,1-8,7 g circa), in seguito anche moneta d'oro o d'argento (per es. la didramma d'argento). Lo statere aureo di Filippo e quello successivamente coniato da Alessandro equivalevano a 20 dracme d'argento.

PERSONAGGI PRINCIPALI.

I nomi dei personaggi preceduti da un asterisco (*) sono inventati, gli altri sono attestati storicamente (anche se non in ogni dettaglio del comportamento loro attribuito nel romanzo). La maggior parte delle date della vita di questi personaggi congetturale, dal momento che solo raramente gli autori antichi forniscono indicazioni precise riguardo all'et. Le date relative ad Alessandro e agli altri personaggi importanti sono certe: di Antigonos Monoftalmo, per esempio, si dice che aveva 81 anni alla caduta di Ipsos, da cui si deduce che l'anno della sua nascita il 382. Di molti altri - Hephaistion, Harpalos, Nearchos, Ptolemaios ecc. - si sa almeno che dovevano essere all'incirca coetanei di Alessandro, visto che vengono ricordati come suoi amici di giovent. Di Nearchos, Aristandros e altri non conosciuta la data di morte; le indicazioni contenute nella seguente lista sono pertanto frutto d'invenzione, anche se il pi possibile verosimili rispetto al contesto. Alcuni nomi compaiono nelle fonti e nel romanzo riferiti a diversi personaggi; dei molti che portarono, per esempio, il nome di Ptolemaios e Attalos, sono citati qui solo i pi importanti.

*Adherbal mercante cartaginese, predecessore di Hamilkar alla guida del servizio segreto di Cartagine.

Alexandros a) Alexandros II, fratello maggiore di Filippo, 390-368 ca., assassinato dopo un anno di regno dal cognato Ptolemaios di Aloros; b) Alexandros d'Epiro, fratello di Olympias, nato nel 360 ca., educato a Pella a partire dal 352, dal 342 re dell'Epiro, morto nel 331 durante una spedizione militare in Italia; c) Alexandros il Linceste, fratello dei congiurati Heromenes e Arrhabaios; capo della cavalleria sotto Alessandro, estromesso dalla carica nel 334, imprigionato verso il 330, messo sotto accusa poco dopo da Philotas e giustiziato.

Amyntas a) Amyntas III, padre di Filippo, re di Macedonia, 393-369, assassinato dal genero Ptolemaios di Aloros, probabilmente su istigazione della regina Eurydike; b) Amyntas IV, figlio di Filippo, fratello e predecessore di Perdikkas III, 362-336 ca., eliminato da Alessandro.

Antigonos detto Monoftalmo, alto ufficiale macedone sotto Filippo e Alessandro, 382-301 ca. Dal 334 satrapo della Grande Frigia; dopo la morte di Alessandro, durante la guerra dei diadochi fu per qualche tempo re dell'Asia.

Antipatros generale e uomo politico macedone, 400-319 ca.; insieme a Parmenion il migliore consigliere e amico di Filippo. Sotto Alessandro governatore dell'Europa.

Apelle il pittore pi famoso della Grecia antica; fu per un certo tempo a Pella, dove divenne amico di Alessandro.

*Archelaos maestro di palazzo del re a Pella.

Aristandros di Telmessos sommo veggente Filippo e Alessandro, 385 ca. -?.

sacerdote

sotto

Aristotele filosofo, figlio dell'ex medico personale del padre di Filippo, Amyntas; in seguito condotto da Filippo in Macedonia, a Mieza, per divenire il precettore di Alessandro (342-340 ca.). Dal 334 ad Atene; 384-322 ca.

Arrhabaios figlio di un principe linceste; coinvolto insieme al fratello Heromenes nell'assassinio di Filippo e giustiziato.

Arrhabaios fratellastro ritardato di Alessandro, figlio di Filippo e della tessala Philinna, 358-317; eletto nel 332 re provvisorio dall'assemblea dell'esercito con il nome di Philippos III, assassinato nel 317 da Olympias.

Artabazos principe persiano, 387-325 ca., rivest alte cariche civili e militari; verso il 350 si oppose come satrapo ad Artaserse III m e trascorse alcuni anni a Pella.

Arybbas zio di Olympias, dal 360 ca. reggente (per conto del minorenne Alexandros) dell'Epiro; deposto nel 342 da Filippo, si rec quindi ad Atene.

Attalos a) principe macedone, genero di Parmenion, zio e tutore dell'ultima moglie di Filippo, Kleopatra, ucciso nel 336 per aver partecipato alla congiura contro Filippo e Alessandro; b) giovane macedone illustre, amico di Alessandro al quale si dice assomigliasse come un gemello; partecip alla spedizione in Asia come ufficiale (nel 328 taxiarca, in India trierarca della flotta). Aveva sposato la sorella di Perdikkas; della sua fine non si sa nulla.

*Bagoas il Sano principe persiano, capo del servizio segreto di Persia.

Bagoas il Leggiadro eunuco persiano di bell'aspetto, favorito e beniamino di Alessandro.

*Bagoas il Benevolo uomo politico persiano.

Bagoas il Veloce eunuco, eminenza grigia della corte persiana. Estromesso nel 338 da Artaserse III Ochos, aiut Arsete a salire al trono; estromesso anche da questi nel 336, appoggi Dario III, che poco dopo lo fece uccidere.

Barsine figlia di Artabazos, con il quale fu a Pella verso il 350-348; in seguito sposa del capo mercenario rodio Memnon e, dopo la sua morte, per qualche tempo amante di Alessandro, al quale diede un figlio di nome Herakles entro il 328-27. Uccisa insieme a lui nel 309 da Polyperchon.

Callistene scrittore e storiografo, nipote di Aristotele, 370327 ca.

Demades uomo politico Demostene, 380-319 ca.

ateniese

filomacedone,

avversario

di

Demaratos mercante di Corinto, ospite di Filippo e in seguito anche di Alessandro, 400-327 ca.

Demetrios alto ufficiale macedone sotto Filippo e Alessandro.

Demostene uomo politico ateniese, nemico dei macedoni, oratore celebre; 382-322 ca.

Drakon medico macedone.

*Dymas cantante e musico girovago.

*Emes oplita macedone.

Engyios macedone altolocato, amico di giovent di Alessandro, educato insieme a lui a Mieza. Fu bandito da Filippo e Alessandro; 356-327 ca.

Eschine uomo Demostene.

politico

ateniese,389-314

ca.,

avversario

di

Eubulos uomo politico ateniese, a lungo il responsabile economico della citt; 410-330 ca.

principale

Eumenes greco di Kardia, gi a Pella come amministratore sotto Filippo, amico di Alessandro; 362-316 ca. Sotto Alessandro diresse i "diari del re" e le altre registrazioni di corte; dopo la morte di Alessandro, fu in un primo tempo uno dei diadochi pi potenti dell'Asia.

Eulydike a) sposa di Amyntas III, madre di Filippo. Coinvolta

probabilmente nell'assassinio di Amyntas nel 369, nel 368 insieme al genero Ptolemaios di Aloros uccise sia sua figlia, la moglie di Ptolemaios Eurynoe, sia suo figlio, Alexandros II; insieme a Ptolemaios regn fino all'ascesa al trono del suo secondo figlio Perdikkas, nel 365. Si dice che fu uccisa da Filippo nel 359; b) Audata, figlia del re dell'Illiria Bardylis, nel 359 seconda moglie di Filippo, madre di Kynnane, in seguito sposa di Amyntas IV. Dopo il matrimonio con Filippo si fece chiamare (o fu detta) Eurydike; c) verosimilmente il vero nome dell'ultima moglie di Filippo, Kleopatra [b]; d) figlia di Amyntas [b] e di Kynnane/Eurydike [b], nel 322 sposa di Arridaios, insieme al quale fu assassinata nel 317 da Olympias.

Hamilkar mercante e uomo politico servizio segreto di Cartagine.

cartaginese,

capo

del

Harpalos amico di giovent di Alessandro, genio della finanza, tesoriere dapprima dell'esercito e poi del regno; dopo una misteriosa fuga, nel 333 fu per qualche tempo a Megara, nel 331 di nuovo con Alessandro, che gli restitu subito la vecchia carica. Nel 324 fugg in Grecia con denaro e truppe, venne probabilmente assassinato a Creta nel 323.

Hephaistion alter ego di Alessandro, macedone illustre; negli ultimi anni numero due dell'esercito, morto nel 324 a Ekbatana.

Hermias satrapo, principe di Atarneus, nell'Asia Minore; zio della moglie di Aristotele, giustiziato dai persiani dopo il trattato segreto con Filippo.

Heromenes figlio di un principe della Lincestide, coinvolto insieme al fratello Arrhabaios nell'assassinio di Filippo e perci giustiziato.

Iperide uomo politico e mercante ateniese, membro del partito di Demostene, 390-322 ca.

Kassandros figlio di Antipatros,356-297 ca.; dopo la morte di suo padre, uno dei diadochi pi importanti e potenti.

Kleitos il Nero alto ufficiale macedone sotto Filippo e Alessandro, fratello della balia di Alessandro Lanike, 367-328 ca. Dal 330, insieme a Hephaistion, capo della cavalleria degli etri; ucciso da Alessandro durante un litigio.

*Kleonike meticcia ellena, mercante a Kanopos, in Egitto.

Kleopatra a) sorella di Alessandro, sposa di Alexandros d'Epiro, 353-309; assassinata per ordine di Antigonos perch aveva intenzione di sposarsi con Ptolemaios [b]; b) nipote di Attalos, settima e ultima moglie di Filippo, in origine doveva chiamarsi Eurydike; 354-336 ca.

Koinos alto ufficiale macedone sotto Filippo e Alessandro, taxiarca. Portavoce delle truppe in rivolta in India, impose la ritirata e mor qualche giorno dopo; 362-325 ca.

Krateros amico di Alessandro, insieme al quale crebbe a Mieza. Durante la spedizione in Asia fu dapprima taxiarca, poi comandante in capo dopo Alessandro, alla fine venne da questi nominato stratega per l'Europa; cadde durante la prima guerra dei diadochi; 358-321 ca.

Laomedon giovane macedone altolocato, fratello di Erigyios, amico di Alessandro e bandito insieme a lui da Filippo. Nella spedizione in Asia fu responsabile per i "barbari prigionieri di guerra" e ufficiale di stato maggiore; satrapo di Siria dopo la morte di Alessandro, nel 319 venne fatto prigioniero da Ptolemaios. Da quel momento se ne perdono le tracce.

Leonidas maestro di Alessandro a Pella.

Leonnatos amico di Alessandro, cresciuto insieme a lui a Mieza; alto ufficiale durante la spedizione in Asia, dopo la morte di Alessandro fu satrapo della Frigia settentrionale (ellespontica). Nel 322 cadde a Krannon.

Lydmachos a) maestro del giovane Alessandro; b) etro di Alessandro, ufficiale di stato maggiore, negli ultimi anni sempre vicino al sovrano; divenuto dopo la sua morte uno dei diadochi pi potenti, govern per qualche tempo parti della Macedonia e dell'Asia Minore, nonch la Tracia. Cadde ottantenne contro Seleukos; 361-281 ca.

Medios a) *principe macedone di alto rango, tra gli anziani del Consiglio di Stato; b) uno degli etri di Alessandro, suo ospite durante l'"ultima gozzoviglia" a Babilonia.

Meleagros amico di giovent di Alessandro, cresciuto insieme a lui a Mieza; ufficiale (taxiarca); 356-322 ca.

Memnon capo mercenario rodio al servizio dei persiani, 380-333 ca.

Mentor fratello di Memnon, anch'egli capo mercenario, 390-340 ca.

Nearchos cretese, amico di giovent di Alessandro, sotto il quale fu satrapo di Licia e Panfilia e poi comandante della flotta indiana; dopo la morte di Alessandro, nuovamente satrapo, si alle con Antigonos. Non viene pi menzionato dopo il 314.

Nikanor a) figliastro e, in seguito, genero di Aristotele, amico di Alessandro; 358-315 ca; b) uno dei figli di Parmenion, capo degli ipaspisti in Asia, morto di malattia in Persia nel 330.

Parmenion principe macedone, il pi importante stratega di Filippo e Alessandro, 400-330 ca.; dopo l'esecuzione del figlio Philotas, fu assassinato per incarico di Alessandro.

Pausanias a) pretendente al trono macedone, sconfitto da Filippo; b) capo della guardia del corpo di Filippo, che assassin ad Aigai nel 336.

Perdikkas a) Perdikkas III, fratello maggiore e predecessore di Filippo, cadde contro gli illiri nel 359; b) amico di giovent di Alessandro, cresciuto insieme a lui a Mieza; nella spedizione in Asia dapprima taxiarca, poi uomo pi importante dell'esercito dopo Alessandro, Hephaistion e Krateros. Alla morte di Alessandro ricevette il suo anello con il sigillo; il tentativo di consolidare il regno (e il proprio potere personale) provoc la prima guerra dei diadochi. Fu assassinato dai suoi stessi uomini (su istigazione, tra gli altri, di Seleukos) sul Nilo, nel

321.
*Peukestas giovane macedone, consulta Aristotele in punto di morte.

Philippos medico, medico personale.

amico

di

Alessandro

e,

in

seguito,

suo

Philokrates uomo politico ateniese, nel 346 tratt con Filippo la pace che prese il suo nome: per questo venne poi messo sotto accusa ad Atene e condannato a morte in contumacia, su iniziativa di Demostene e Iperide.

Philotas figlio di Parmenion, amico di giovent di Alessandro, ufficiale gi sotto Filippo; capo della cavalleria degli etri in Asia, venne giustiziato nel 330 per una presunta congiura contro Alessandro.

Polyperchon ufficiale macedone, dal 333 ca. comand una taxis; nel 324 fu inviato in Europa insieme a Krateros come comandante dei veterani. Per il suo ruolo nella guerra dei diadochi, cfr. Cronologia.

Proteas figlio di Lanike, nipote di Kleitos e amico di Alessandro, cresciuto a Mieza; grande bevitore. Inviato nel 334 da Alessandro presso Antipatros, che lo impieg come comandante della flotta, dal 332 fu di nuovo con Alessandro.

Ptolemaios a) di Aloros, genero di Amyntas III, che assassin o fece assassinare nel 369, riservando una sorte simile alla

moglie Eurynoe e al cognato Alexandros II nel 368; fu ucciso da Perdikkas nel 365; b) Ptolemaios, figlio di Lagos e amico di giovent di Alessandro, venne bandito insieme a lui. Dal 330 ca. fu un alto ufficiale; dopo la morte di Alessandro ricevette l'Egitto, governato dalla dinastia da lui fondata fino al 30 a.C.; visse dal 356 al 282 ca.

Pythias a) moglie di Aristotele, nipote di Hermias; b) figlia di Aristotele, in seguito sposa di Nikanor.

Roxane figlia di un principe battriano, nata nel 345 ca., dal 327 sposa di Alessandro, al quale diede un figlio (Alessandro IV) dopo la sua morte. Fu lei probabilmente a uccidere Stateira, seconda moglie di Alessandro, che aspettava un figlio da lui. Verso il 310 venne fatta giustiziare da Kassandros insieme al dodicenne erede al trono.

Seleukos amico di giovent di Alessandro, cresciuto insieme a lui a Mieza e ufficiale all'inizio della spedizione in Asia; in seguito fondatore della dinastia dei seleucidi, assassinato nel 281-280. Per il suo ruolo nella guerra dei diadochi, cfr. Cronologia.

Sisygambis madre di Dario, con Alessandro dal 333; mor nel 323.

*Tekhnef musicista della regione del Nilo.

CRONOLOGIA

1100-700 a.C. ca. Sviluppo delle citt e delle aree di insediamento greche (Atene, Sparta, Corinto, Tebe; Attica, Beozia, Tessaglia ecc.); colonizzazione greca dell'Asia Minore occidentale; i greci apprendono dai fenici la navigazione, il commercio e la scrittura.

750 ca. Omero.

750-550 Colonizzazione greca dalla Crimea alla Provenza, con colonie tra l'altro nella Francia meridionale (Massalia/Marsiglia, Nikaia/Nizza), Italia meridionale (Kyme/Cuma, Rhegion/Reggio, Kroton/Crotone, Taras/Taranto), Sicilia (Syrakosai/Siracusa, Katane/Catania, Zankle/Messana/Messina, Akragas/Agrigento), Africa settentrionale (Cirene), Egitto (Naukratis, Rhakotis) ecc.

592 Mercenari greci in Egitto.

540 ca. Fine dell'espansione greca in Occidente, in seguito alla vittoria navale davanti alla Corsica di cartaginesi ed etruschi, alleati contro i greci e, poco dopo, alle vittorie dei cartaginesi nella Sicilia occidentale e nella Cirenaica occidentale: consolidamento delle aree di influenza e di colonizzazione puniche. Contemporanea fine dell'espansione in Oriente con la caduta dell'Asia Minore sotto la sovranit persiana a partire dal 546.

530-529 I persiani conquistano l'Egitto; l'impero persiano si estende dall'Indo al Nilo e al Bosforo.

521 Inizio del regno di Dario I.

513 Spedizione militare persiana nella Scizia fino al Danubio; la Tracia diviene una satrapia persiana; Dario invia messi ed esploratori in Grecia e nell'Italia meridionale.

500 Inizio della "rivolta ionica" dei greci dell'Asia Minore contro i persiani; Atene ed Eretreia forniscono navi, Sparta rifiuta il suo aiuto.

493 Definitiva sconfitta dei rivoltosi e restaurazione del dominio persiano; Mardonios, generale e genero di Dario, varca l'Ellesponto e consolida la Tracia; sotto Alexandros I (498454 ca.), la Macedonia uno stato vassallo dei persiani.

491 Messaggeri persiani pretendono la sottomissione simbolica dei greci; Atene e Sparta rifiutano, i messaggeri vengono assassinati.

490 "Spedizione punitiva" persiana e conquista delle isole; vittoria degli ateniesi, capitanati da Milziade, a Maratona: inizio dell'ascesa di Atene a seconda potenza dopo Sparta. I beoti sconfiggono i tessali e li scacciano dalla Grecia centrale.

487 Guerra navale tra Atene e Aigina.

485 Muore Dario I; il SUO successore Serse si prepara a una spedizione di rappresaglia (costruzione del ponte sui Dardanelli, allestimento di depositi in Tracia ecc.)

482 Ad Atene Temistocle fa allestire una flotta.

480 Attacco dei persiani: Serse avanza in Tracia e Macedonia; i macedoni devono accollarsi il peso dell'esercito. Presa delle Termopili, occupazione e devastazione di Beozia e Attica, distruzione di Atene. Vittoria navale greca a Salamina e contemporanea vittoria in Sicilia dei greci occidentali (Siracusa, Agrigento) sui cartaginesi.

479 Seconda occupazione di Atene; i greci rifiutano le condizioni di pace di Mardonios. Vittoria dei greci confederati a Platea (Beozia); spedizione della flotta in Asia Minore con la presa del deposito delle navi persiane.

478 La flotta libera le citt greche di Cipro; conquista di Sestos e Bisanzio, apertura della via commerciale verso i paesi produttori di cereali sul Mar Nero.

477 Gli ioni chiedono ad Atene di difendere i greci dell'Asia Minore dalla Persia; fondazione della Lega navale attica (isole e Asia Minore sotto l'egemonia di Atene; gli alleati forniscono navi o versano tributi): Atene diviene la

principale potenza economica. In Occidente Jerone di Siracusa (478-467) respinge gli etruschi, estende il suo regno nell'Italia meridionale e governa per mezzo della propria polizia segreta.

471 Temistocle, bandito, fugge in Persia.

470 In seguito alla guerra tra Siracusa e gli etruschi, Atene perde mercati di esportazione in Occidente, il prezzo della ceramica attica crolla ecc.

469-468 Prosecuzione della guerra contro la Persia in senso offensivo, annessione di altre citt dell'Asia Minore alla Lega navale attica. Tensioni tra Sparta e Atene in seguito all'incremento della potenza ateniese.

466 Gli spartani sconfiggono Argos loro egemonia sul Peloponneso.

Tegea,

rafforzando

la

465-463 Gli ateniesi assediano l'isola di Thasos, che era uscita dalla Lega navale, la conquistano e si annettono i suoi possedimenti in Tracia. Muore Serse, gli succede il figlio Artaserse I (fino al 424).

464 Sollevazione contro Sparta in Messenia; Atene invia un esercito in soccorso agli spartani, che nel 462 lo rimandano indietro.

461 Atene rompe l'alleanza con Sparta e si allea con Argos; Corinto e Aigina formano una coalizione con Sparta. Sotto Pericle nuovo indirizzo della politica estera ateniese, con un doppio obiettivo: prosecuzione della guerra contro i persiani e indebolimento di Sparta.

460 Il re di Libia Inaros suscita una rivolta contro il dominio persiano in Egitto; Atene invia una flotta ausiliaria.

459 Capitolazione dei messeni contro Sparta; la presenza della flotta ateniese nel golfo di Corinto danneggia le posizioni corinzie nel commercio di cereali tra Sicilia e Italia.

457 Sparta interviene nella Grecia centrale per difendere l'egemonia di Tebe in Beozia contro Atene; scontri tra tebani e spartani da una parte e ateniesi dall'altra.

456 Aigina capitola dopo tre anni di assedio da parte della flotta ateniese; il Pireo si impadronisce dei traffici di Aigina e diviene il principale porto commerciale del mondo ellenico. La flotta ateniese in Egitto bloccata dai persiani.

455 Gli ateniesi distruggono i cantieri spartani a Gytheion; culmine della potenza di Atene.

454 Fallimento della rivolta egiziana contro la Persia; la flotta ateniese viene distrutta nel delta del Nilo. In Macedonia, inizio del regno di Perdikkas II (fino al 413), che non riesce a conservare le conquiste territoriali e la posizione di forza del suo predecessore Alexandros I e viene sempre pi coinvolto nei conflitti tra i greci.

453 Spedizione navale degli ateniesi, guidati da Pericle, nel golfo di Corinto, annessione dell'Acaia, estensione degli

interessi politici ed economici di Atene verso occidente grazie a trattati con le citt siciliane. Accordo per un armistizio di cinque anni tra Sparta e Atene. In Sicilia unione dei siculi non greci nella lotta contro i sicelioti greci.

450 Prosecuzione della guerra navale contro flotta ateniese vince a Salamina (Cipro).

la

Persia:

la

449 Trattato di pace tra Persia e Atene; le citt greche dell'Asia Minore ottengono l'autonomia all'interno del regno persiano, Atene rispetta la sfera commerciale persiano-fenicia nel Mediterraneo orientale e non si intromette pi in Egitto. In tal modo Atene diventa la terza grande potenza mediterranea, dopo la Persia e Cartagine.

448 Un'assemblea di pace pangreca ad Atene non viene realizzata per l'opposizione di Sparta. Guerra dell'anfizionia delfica contro i focesi per l'indipendenza del santuario (Seconda guerra sacra).

447 Sollevazione della Grecia centrale contro Atene: dopo la vittoria di Koroneia, Beozia, Focide e Locride divengono indipendenti.

446 Megara ed Euboia si separano da Atene, ma la seconda viene riconquistata. Pace tra Atene e Sparta sulla base dei possedimenti territoriali esistenti.

445 Dopo la conclusione della pace, Atene interrompe la sua espansione a occidente e si indirizza verso il nord tracopontino fondando colonie e intervenendo sempre pi in Tracia e Macedonia.

440 Guerra tra Taranto e Turi nell'Italia meridionale; Samos esce dalla Lega navale.

439 Samos conquistata da Atene.

438 Lotte intestine a Epidamnos (costa illirica); conflitto sull'intervento tra Corinto e Korkyra (Corcira).

433 Richiesta di aiuto di Korkyra ad Atene in seguito al riarmo corinzio; Atene riprende la sua politica occidentale rivolta contro Corinto e Sparta e invia una flotta ausiliaria.

432 Potidea (colonia corinzia nella Calcidica) esce dalla Lega navale e viene assediata da Atene. Blocco commerciale di Atene contro Megara, alleata di Sparta. Sparta intima in termini ultimativi l'eliminazione del blocco, la liberazione di Potidea e Aigina e la piena autonomia dei membri della Lega navale. Atene rifiuta. Sparta decide la guerra.

431 Inizio della guerra del Peloponneso; Sparta si le citt del Peloponneso, della Grecia centrale Sicilia, Atene con Macedonia e Tracia. Archidamos II devasta l'Attica, i tebani attaccano Platea, alleata operazioni di saccheggio della flotta ateniese ai Aigina e del Peloponneso.

allea con e della di Sparta di Atene; danni di

430 Archidamos di nuovo in Attica; spedizione navale degli ateniesi, guidati da Pericle, nel Peloponneso. La peste spinge Atene a una richiesta di pace, respinta da Sparta.

429 Potidea si arrende agli ateniesi; Archidamos assedia Platea; gli ateniesi vengono sconfitti dagli olinti nella Calcidica. Vittoria navale degli ateniesi contro i

peloponnesiaci a Naupaktos. I traci invadono la Macedonia.

428 Lesbo esce dalla Lega navale, gli Mitilene; Archidamos nuovamente in Attica.

ateniesi

assediano

427 Gli ateniesi conquistano Lesbo, gli spartani Platea. Guerra civile a Korkyra, terminata con l'intervento della flotta ateniese; guerra della coalizione in Sicilia, anche qui con l'intervento degli ateniesi. Morte di Archidamos.

426 Campagne militari ateniesi in Etolia e Acarnania.

425 Agis II di Sparta invade contro spartani e corinzi.

l'Attica;

vittoria

ateniese

424 Successi ateniesi in Acarnania e nel Peloponneso; a Sparta Brasidas riforma l'esercito e attacca gli alleati di Atene al nord; la Macedonia appoggia Sparta. Sconfitta degli ateniesi da parte dei beoti. Le citt della Sicilia si alleano contro l'intromissione di Atene nell'isola. Ritiro della flotta

ateniese. Morte di Artaserse I; il suo successore Dario II (fino al 404) rinnova la pace con Atene.

423 Successi di Brasidas al nord.

422 Nuova alleanza tra Atene e la Macedonia.

421 Atene e Sparta concludono la pace, non riconosciuta dagli alleati spartani Corinto, Megara e Tebe; ne consegue un'alleanza tra Atene e Sparta e una tra peloponnesiaci e Argos. Nuove tensioni tra Atene e Sparta a causa dell'adempimento incompleto delle condizioni di pace.

420 Sparta si allea con i beoti, Atene con Argos, Mantinea, Elide; Elide esclude gli spartani dai Giochi olimpici.

419 Atene appoggia l'attacco di Argos a Epidauros.

418 Guidati da Agis II, gli spartani sconfiggono argivi e ateniesi a Mantinea e ristabiliscono la propria egemonia sul Peloponneso.

416 Spedizione navale ateniese contro filospartana. Segesta (Sicilia) chiede aiuto ad Atene Siracusa.

l'isola contro

di

Melos, e

Selinunte

415-413 Spedizione degli ateniesi in Sicilia con 260 navi e 25 000 uomini.

414 Assedio di Siracusa; Sparta invia un esercito di aiuti.

413 Sconfitta ateniese davanti a Siracusa e capitolazione. In Macedonia sale al trono Archelaos I (fino al 399), che rafforza di nuovo il potere regio dopo quarant'anni di declino, riforma l'esercito e raccoglie una cerchia di esponenti della cultura greca: Euripide, Tucidide, il pittore Zeusi, il musicista Timoteo e altri ancora soggiornano per qualche tempo a Pella. Con l'occupazione di Dekeleia in Attica da parte degli spartani riprende la guerra.

412 Accordo tra Sparta e la Persia contro economici e appoggio navale persiano a Sparta.

Atene,

aiuti

411 Atene perde l'Euboia; vittoria navale spartana davanti a Eretreia, vittoria navale ateniese nell'Ellesponto.

410 La vittoria navale ateniese davanti a Kyzikos (Propontide) indebolisce Sparta e permette la ripresa del commercio cerealicolo con le colonie ateniesi del Mar Nero. In Sicilia gli elimi non greci di Segesta vanno in aiuto di Cartagine.

409 Successi degli ateniesi, guidati da Alcibiade, al nord e degli spartani nel Peloponneso. Cartaginesi, elimi e siculi attaccano la Sicilia greca, distruggendo Selinunte e Himera.

408 Alcibiade conquista, tra le altre, Bisanzio e Calcedonia; il comandante della flotta spartana Lysandros stringe amicizia con il principe persiano Ciro e ottiene altro denaro per Sparta. In Sicilia guerra di posizione e riarmo.

407 Vittoria navale degli spartani sugli ateniesi davanti alle coste dell'Asia Minore.

406 La flotta ateniese viene accerchiata nel porto di Mitilene. Ad Atene fusione delle offerte votive, costruzione della flotta, armamento di schiavi e vecchi, trattative per un'alleanza con Cartagine. I cartaginesi conquistano Akragas; a Siracusa Dionisio viene nominato unico generale con pieni poteri. Vittoria navale ateniese a sud di Lesbo; ad Atene gli strateghi vittoriosi vengono messi sotto accusa per non aver soccorso i marinai delle navi colpite.

405 Lysandros allestisce una nuova flotta spartana con il denaro persiano; vittoria navale contro gli ateniesi nell'Ellesponto (tremila prigionieri uccisi), blocco del Pireo, carestia ad Atene. Con l'appoggio di un esercito di mercenari, Dionisio diviene tiranno di Siracusa; i cartaginesi conquistano Gela e Kamarina. Viene conclusa la pace tra Cartagine e Siracusa con il riconoscimento del nuovo status quo.

404 Capitolazione di Atene; Corinto e Tebe pretendono la distruzione totale della citt, che Sparta rifiuta. A Samos onori religiosi allo spartano Lysandros (prima deificazione di un greco in vita). Morte di Dario II, gli succede Artaserse II Memnon (fino al 358). Sotto Amyrtaios II l'Egitto si separa dalla Persia e rimane indipendente fino al 342. Inizio del

predominio decennale di Sparta sulla Grecia. A Siracusa inizia il dominio di Dionisio I, con l'aiuto della sua guardia personale e della polizia segreta: fortificazioni, riarmo (rafforzamento della flotta fino a trecento navi), esproprio dei latifondi, introduzione di un'imposta patrimoniale e cos via.

402-400 Guerra tra Sparta ed Elide; gli entrare nella Lega peloponnesiaca di Sparta.

eli

costretti

401 In Persia rivolta di Ciro contro Artaserse II, con l'aiuto di mercenari greci. Dopo la morte di Ciro nella battaglia di Kunaxa/Eufrate, ritirata (Anabasis) fino al Mar Nero dei mercenari greci guidati da Senofonte.

400 Il satrapo Tissaferne si prepara per sottomettere di nuovo i greci dell'Asia Minore; Sparta promette loro aiuto. Inizio della guerra tra spartani e persiani (fino al 386), con le prime spedizioni militari nell'Asia Minore.

399 Dopo la morte di Archelaos, declino della guidata da numerosi sovrani deboli che si rapidamente. A Sparta inizia il regno di Agesilaos 360). Ad Atene Socrate viene condannato a morte per corruzione di giovani.

Macedonia succedono (fino al ateismo e

398 Lo stratega ateniese Konon si mette al persiani e ottiene il comando della loro flotta.

servizio

dei

397 Dionisio dichiara guerra a Cartagine; conquista di Erice e Motye. I cartaginesi fondano una nuova base a Lilybaion (Marsala) e iniziano la controffensiva.

396 I cartaginesi riconquistano Motye ed Erice, assediando Siracusa; nell'esercito assediante scoppia una pestilenza. Spedizione dello spartano Agesilaos in Asia Minore.

395 Vittoria degli spartani contro i persiani a Sardi. Aiuti economici persiani alle citt greche per finanziare una rivolta contro Sparta. Alleanza antispartana tra beoti, Atene, Corinto, Argo, Euboia, Locride e Acarnania, con sede del Consiglio della federazione a Corinto.

394 Agesilaos interrompe l'offensiva nell'Asia Minore. Vittoria contro gli alleati a Corinto. In estate vittoria navale dei persiani a Cnido, distruzione della flotta spartana

e fine del suo dominio navale sull'Egeo. I persiani assicurano l'autonomia ai greci dell'Asia Minore.

393 La flotta persiana devasta le coste spartane; ricostruzione delle fortificazioni ateniesi con denaro persiano; rinnovo della Lega navale attica. Amyntas III, re di Macedonia (fino al 370), cerca di conservare il suo regno indebolito con mutevoli alleanze.

392 Pace tra Siracusa e Cartagine, con perdite territoriali per i cartaginesi; gli ateniesi conferiscono a Dionisio il titolo onorifico di arconte di Sicilia. Sparta offre la pace in cambio della consegna o della cessione di tutte le citt greche dell'Asia Minore e propone la pace comune (koin eirene), con l'autonomia per tutte le citt, rifiutata da Atene. Scontri tra ateniesi e spartani per il porto di Lechaion, presso Corinto.

391 Inizio dell'espansione di Siracusa con attacchi all'Italia meridionale. Nuova spedizione militare spartana nell'Asia Minore; la politica navale di Atene porta a tensioni con la Persia.

389

Spedizioni

navali

degli

ateniesi,

che

riconquistano

il

Bosforo e le isole dell'Asia Minore; Atene appoggia la rivolta di Cipro contro la Persia.

388 Dionisio Siracusa.

conquista

l'Italia

meridionale;

Platone

visita

387 In seguito alla politica ateniese, riavvicinamento tra Sparta e la Persia, le cui flotte bloccano l'Ellesponto. Roma conquistata dai celti.

386 Alleanza tra Dionisio e i celti italici. Accettazione della "pace reale" concordata dalla Persia e da Sparta: i greci dell'Asia Minore fanno parte della Persia, tutti gli altri stati greci sono autonomi, i trattati d'alleanza con Atene vengono annullati. Instaurazione dell'egemonia di Sparta con la protezione militare persiana.

385 Dionisio fonda colonie sull'Adriatico. Inizio della politica spartana di pesante egemonia sulla Grecia. Mercenari ateniesi appoggiano l'Egitto contro il tentativo di riconquista persiana.

384 Spedizione navale di Dionisio contro l'Etruria e costruzione di un porto in Corsica. Le citt greche dell'Italia meridionale cercano di allearsi con Cartagine contro Siracusa.

383 Mercenari ateniesi appoggiano il re degli odrisi Kotys nella riconquista di tutta la Tracia; perdite territoriali macedoni.

382-374 Guerra di Dionisio contro cartaginesi e greci dell'Italia meridionale. Inizio della guerra olintica: attacco degli spartani contro la Calcidica, sottomissione di Olinto, costretta a mantenere l'esercito. Occupazione della roccaforte di Tebe (Cadmea) da parte degli spartani .

379 Ribellione contro Sparta da parte di Tebe, che si allea con Atene; egemonia tebana sulla Beozia. Dionisio conquista Crotone.

378 Seconda Lega navale attica contro Sparta, nel rispetto delle condizioni (autonomia ecc.) della pace reale. Insuccesso

della spedizione spartana contro Tebe.

377 Maussollos, satrapo della Caria, si rende autonomo sotto la sovranit persiana, con capitale ad Alicarnasso.

376 La flotta ateniese sconfigge gli spartani a Naxos, restaurando il dominio di Atene sul mare; ripristino della Federazione calcidica con Olinto.

375 Ulteriore vittoria navale ateniese contro Sparta; alleanza tra Atene e Macedonia; sconfitta degli spartani contro Tebe in Beozia. Dionisio sconfigge i cartaginesi nella Sicilia occidentale.

374 I cartaginesi vincono a Crotone, nella Sicilia settentrionale; pace con vantaggi territoriali per Cartagine. Rinnovo della pace reale; Sparta riconosce il dominio ateniese sul mare.

373 I tebani distruggono Platea. I persiani attaccano l'Egitto

con mercenari greci mercenari greci.

vengono

sconfitti

dagli

egizi

da

372 La flotta ateniese occupa Korkyra e Cefalonia: fine della potenza navale spartana anche in Occidente. Unificazione della Tessaglia contro il tiranno Giasone di Fere, riarmo e progetti di guerra contro la Persia.

371 Crollo dell'egemonia di Sparta, che chiede aiuto alla Persia; avvicinamento tra Atene e Sparta sulla base della pace reale, con esclusione dei tebani governati da Epaminonda per la violazione dell'autonomia delle citt beote. Una spedizione militare spartana contro Tebe si conclude con una pesante sconfitta contro Epaminonda. Nuove alleanze di Atene in funzione antitebana. Introduzione ad Atene del culto di Ammon, identificato con Zeus.

370 Rivolta dell'Arcadia contro Sparta; la spedizione di Epaminonda nel Peloponneso pone fine al ruolo di grande potenza di Sparta. Giasone di Fere viene assassinato; assassinio di Amyntas III di Macedonia, cui succede il figlio Alexandros II.

369 Alleanza tra Sparta e Atene, chiusura dell'istmo; Epaminonda rompe il blocco ed entra di nuovo nel Peloponneso.

Il tebano Pelopidas occupano Larissa.

interviene

in

Tessaglia,

macedoni

368 Ultima guerra cartaginese di Dionisio, senza variazioni territoriali. Il tiranno e i suoi figli ottengono la cittadinanza onoraria di Atene. Alleanza tra Dionisio e Atene. Ptolemaios di Aloros, genero di Amyntas III, fa assassinare il figlio di quest'ultimo, Alexandros II, e regna insieme alla vedova Eurydike come tutore del fratello minore di Alexandros, Perdikkas. Filippo, il terzo figlio di Amyntas, viene condotto a Tebe come ostaggio.

367 Morte di Dionisio. Epaminonda si reca in Tessaglia (liberazione di Pelopidas, imprigionato dal tiranno Alexandros di Fere) e nel Peloponneso; annessione dell'Acaia a Tebe. Pelopidas e lo spartano Antalkidas trattano in contemporanea con Artaserse II a Susa ("i greci fanno a gara a strisciare"). Decisione persiana della pace favorevole a Tebe; suicidio di Antalkidas.

365 Ulteriore espansione di Tebe, cui si oppone Atene. Epaminonda incarica l'ingegnere navale cartaginese Nobas di costruire una flotta. Il re di Sparta Agesilaos serve i persiani come capo mercenario e ottiene denaro per Sparta. Assassinio di Ptolemaios di Aloros; Perdikkas III, re di Macedonia, riporta in patria Filippo da Tebe.

364 Spedizione navale di Epaminonda: annessione a Tebe di Bisanzio, Chio, Rodi; annessione ad Atene di Pydna, Methone e Potidea. Pelopidas vince e muore contro Alexandros di Fere, i beoti conquistano la Tessaglia.

362 Rivolta dei satrapi contro Artaserse II. Ultima spedizione nel Peloponneso di Epaminonda, che muore nella vittoriosa battaglia di Mantinea contro ateniesi e spartani. Conclusione della pace sulla base dello status quo.

361 Agesilaos di Sparta al servizio degli egizi come capo mercenario contro la Persia. Alexandros di Fere sconfigge la flotta ateniese.

360 Perdikkas III occupa Anfipoli; espansione tracia sotto Kotys a spese dei possedimenti ateniesi. Morte del re dei molossi Neoptolemos in Epiro; reggenza del fratello Arybbas come tutore del figlio di Neoptolemos, Alexandros.

359 Perdikkas III cade contro gli illiri. Lotte dinastiche in Macedonia; Filippo II, fratello di Perdikkas, si impone ai danni di numerosi pretendenti appoggiati da Atene, dalla

Tracia e dai principi locali, regnando innanzitutto come tutore del figlio di Perdikkas, Amyntas IV. Morte di Artaserse II; gli succede il figlio Artaserse III Ochos.

358 Alexandros di Fere viene assassinato. Filippo II e il suo stratega Parmenion sconfiggono peoni e illiri; Filippo appoggia Larissa contro Fere (Tessaglia).

357 Dionisio II di Siracusa (sovrano dal 367) deposto dal cognato Dione con l'aiuto dei cartaginesi; Dione, sovrano assoluto, tenta di applicare la teoria politica di Platone. Filippo II sposa Olympias, figlia di Neoptolemos d'Epiro. Conquista di Anfipoli. Inizio della guerra della Federazione ateniese: Chio, Rodi, Kos e Bisanzio escono dalla Lega navale a causa della politica egemonica di Atene e si alleano con Maussollos di Caria.

356 Disfatta della flotta ateniese a Embata. Filippo conquista le citt costiere ateniesi nel Nord (Potidea, Pydna); nascita di Alessandro III (il Grande). Filippo occupa la citt thasia di Krenides, il cui nome cambiato in Filippi. Su iniziativa di Tebe, i focesi vengono messi sotto accusa a Delfi per culti sacrileghi e si alleano con Sparta. Occupazione di Delfi e allestimento di un esercito mercenario con il tesoro del suo tempio. Terza guerra sacra.

355 Sconfitta dei focesi contro beoti e tessali. Filippo assume il titolo di re. Fine della guerra della Federazione ateniese: Atene riconosce l'indipendenza delle citt infedeli.

354 Guerra d'aggressione dei focesi guidati da Onomarchos, che occupa le Termopili. Eubulos, responsabile delle finanze di Atene, riforma e sana le casse statali ateniesi; inizio della carriera politica di Demostene.

353 Onomarchos occupa alcune localit in Beozia e sconfigge Filippo in Tessaglia.

352 Filippo sconfigge i focesi nella Tessaglia meridionale; Onomarchos cade. Cacciata del tiranno di Fere Licofrone e ripristino degli antichi diritti delle citt della Tessaglia da parte di Filippo. L'avanzata di Filippo contro i focesi a sud getta la Grecia nel panico; ateniesi e peloponnesiaci occupano le Termopili. Filippo si ritira. Alexandros, erede al trono dell'Epiro e fratello di Olympias, viene condotto a Pella per essere educato a corte.

351

Ulteriori

scontri

tra

focesi

beoti.

Filippo

stringe

alleanze con Tracia e Bisanzio.

350 Hermias, allievo di Platone e amico di Aristotele, in qualit di satrapo persiano diviene tiranno di Atarneus e Assos.

349 Filippo sottomette le citt calcidiche e minaccia Olinto. Alleanza tra Atene e Olinto; prima orazione di Demostene contro Filippo.

348 Olinto conquistata e distrutta, l'Euboia si separa da Atene. Spedizioni militari ateniesi infruttuose in favore di Olinto e contro l'Euboia.

347 I beoti occupano Abai, nella Focide. Morte di Platone; Aristotele si reca alla corte di Hermias e ne sposa la nipote, Pythias. Dionisio torna a Siracusa.

346

Successi

di

Filippo

nella

tattica

del

logoramento:

focesi costretti alla pace, fine della Guerra sacra, le Termopili consegnate a Filippo, Delfi di nuovo indipendente, la Focide tenuta a restituire il tesoro del tempio saccheggiato. Filippo entra a far parte del Consiglio dell'anfizionia al posto della Focide. Pace di Philokrates tra Filippo e Atene sulla base dello status quo, sostenuta ad Atene da Philokrates, Eubulos ed Eschine contro Demostene e Iperide.

345 Inizio della pluriennale attivit antimacedone di Demostene. Artaserse III Ochos restaura il ruolo di grande potenza della Persia, annientando rivolte nell'Asia Minore, a Cipro e in seguito in Fenicia con l'aiuto di mercenari greci guidati da Memnon e Mentor.

344 Nuova spedizione di Filippo contro gli illiri; viene nominato arconte della federazione tessala. Corinto invia a Siracusa un esercito mercenario al comando di Timoleon per eliminare la tirannide. I cartaginesi tentano il blocco; Dionisio si arrende e viene esiliato a Corinto.

343 Filippo riconosce la Messenia e l'Arcadia indipendenti da Sparta; l'Euboia occupata da Parmenion; ad Atene Philokrates viene condannato per iniziativa di Iperide. Accordo tra Filippo e Artaserse: la Macedonia rinuncia a intromettersi nell'Asia Minore, la Persia lascia la Grecia alla Macedonia; annullamento delle garanzie persiane della pace reale.

342 Timoleon sconfigge i Cartaginesi a Segesta; controffensiva cartaginese. Riconquista dell'Egitto da parte dei persiani. Filippo destituisce Arybbas da reggente dell'Epiro e ne elegge re il nipote e suo cognato Alexandros; accordo segreto con Hermias di Atarneus. Aristotele a Mieza, in Macedonia, come precettore. Il re di Sparta Archidamos si reca in Italia come capo mercenario.

341 Gli ateniesi conquistano Oreos nell'Euboia, dove costituiscono una federazione di citt filoateniesi. In seguito alla rivelazione dell'accordo segreto, Hermias viene imprigionato e giustiziato; inno ad Hermias di Aristotele.

340 Demostene ottiene la costituzione di una Lega ellenica contro Filippo; i macedoni assediano Perinthos e Bisanzio e catturano navi ateniesi cariche di cereali. Atene dichiara la guerra.

339 Timoleon di Siracusa e Cartagine stipulano la pace senza modifiche territoriali. Atene invia flotte a Perinthos e Bisanzio, Filippo si ritira e sottomette la Tracia sino alla foce del Danubio. Su iniziativa di Filippo, Delfi dichiara la Quarta guerra sacra per culti sacrileghi, questa volta contro Amphissa e Locride orientale; i tebani occupano le Termopili. Filippo viene nominato generale dell'anfizionia delfica, varca le Termopili e occupa Elateia nella Focide; panico ad Atene.

338 Dopo l'alleanza tra Tebe e Atene, Filippo ripiega verso occidente e occupa Amphissa, Delfi, Naupaktos; Archidamos di Sparta cade in Italia. In agosto battaglia di Cheronea in Beozia, dove i macedoni sconfiggono ateniesi, tebani e beoti alleati. Occupazione di Tebe; inviato da Filippo, Alessandro tratta ad Atene una pace moderata: scioglimento della Lega navale, mantenimento dell'autonomia di Atene, che conserva esercito e flotta. Spedizione di Filippo nel Peloponneso fino a Gytheion; durante l'inverno, varo della Lega corinzia con trattato d'alleanza perpetua per il mantenimento della pace comune: prevista l'autonomia interna per tutti gli stati; Filippo viene nominato generale della Lega con pieni poteri. I greci (tranne Sparta) garantiscono il mantenimento dell'esercito durante la spedizione punitiva contro la Persia. Muore Artaserse III, gli succede Arsete.

337 La Lega corinzia decide una spedizione punitiva e di rappresaglia contro la Persia per la distruzione di Atene e la profanazione dei santuari greci (480-479); Filippo viene incaricato del comando della guerra. Matrimonio di Filippo con Kleopatra, nipote del principe locale Attalos (genero di Parmenion); Attalos contesta il diritto di Alessandro alla successione al trono; dissidi tra Alessandro e Filippo. Bandito, Alessandro non si reca in Epiro da Olympias, gi espulsa dal paese, ma nella desolata Illiria. Invio di un piccolo esercito nell'Asia Minore sotto il comando di Parmenion e di Attalos.

336 Le truppe persiane guidate da Memnon ricacciano indietro i macedoni da Efeso e Mileto fino all'Ellesponto. Filippo fa sposare sua sorella Kleopatra con Alexandros d'Epiro, ma viene assassinato durante il banchetto nuziale ad Aigai. Lotte per

la successione in Macedonia. Alessandro III il Grande si impone, fa giustiziare o assassinare rivali e avversari, previene una rivolta con una veloce spedizione in Grecia, viene confermato successore di Filippo nelle varie cariche ricoperte in Tessaglia, a Delfi e a Corinto. Dopo l'assassinio di Arsete, Dario III Codomano il nuovo re di Persia (fino al 330).

335 Spedizione di Alessandro nei Balcani per rafforzare i confini: sottomissione dei triballi della Tracia, passaggio del Danubio, vittoria contro i geti e quindi annientamento di una rivolta in Illiria. Ad Atene Demostene riceve aiuti economici persiani contro i macedoni; sollevazioni a Tebe, Atene e nel Peloponneso. Alessandro si reca con una marcia forzata dall'Illiria in Beozia; Tebe rifiuta la capitolazione, viene conquistata e distrutta. Atene fa professione di fedelt ma rifiuta di consegnare Demostene.

334 Alessandro varca l'Ellesponto senza opposizione persiana; inizio della sua spedizione in Asia con l'esercito macedone, un piccolo contingente di alleati greci, mercenari e una flotta (160 navi circa, di cui 20 allestite da Atene). Vittoria sull'esercito occidentale persiano a Granico, quindi conquista di altre parti dell'Asia Minore. Suo cognato e zio Alexandros d'Epiro, fratello di Olympias, si reca in Italia dove appoggia Taranto (alleandosi con Roma) contro le popolazioni dell'Italia meridionale.

333 Il capo mercenario Memnon diviene comandante supremo persiano in Occidente, riconquista le isole e una parte della

costa, progetta un'offensiva contro Grecia e Macedonia; Atene invia messaggeri a Dario. Memnon muore per una misteriosa malattia durante l'assedio di Mitilene. Alessandro conquista l'entroterra dell'Asia Minore, scioglie il nodo gordiano, avanza verso sud fino al mare; a novembre ha luogo la battaglia di Isso con la vittoria sull'esercito principale di Dario.

332 Conquista della Fenicia; Parmenion si impadronisce del tesoro reale di Dario a Damasco. Ad agosto, dopo sette mesi di assedio, Tiro viene distrutta. Alessandro rifiuta l'offerta di pace di Dario (alleanza e cessione del territorio a ovest dell'Eufrate), conquista Gaza e avanza verso l'Egitto; a novembre viene eletto faraone e figlio di Ammon a Menfi.

331 Fondazione di Alessandria; spedizione fino al tempio di Ammon a Siwah; riforma dell'amministrazione egiziana; ritorno in Mesopotamia. Qui, all'inizio di ottobre, vittoria a Gaugamela contro le forze persiane, numericamente molto superiori. Ingresso a Babilonia; a dicembre occupazione della capitale persiana, Susa. Sollevazione di Sparta, condotta da re Agis In; dietro l'insistenza di Demostene, Atene non partecipa alla rivolta contro la Macedonia. Dopo le iniziali vittorie, Agis viene sconfitto da Antipatros a Megalopoli e muore. Alexandros d'Epiro viene assassinato nel Bruzio (penisola italica).

330 Conquista del territorio centrale della Persia, saccheggio e imposizione di tributi di guerra a Persepoli sotto la

minaccia d'incendio. Alessandro termina la spedizione panellenica di rappresaglia a Ekbatana, congedando il contingente greco; Parmenion rimane a Ekbatana con una parte dell'esercito per consolidare le posizioni; Alessandro insegue Dario in fuga, che a luglio viene fatto prigioniero e assassinato da Besso. Questi si proclama Gran Re con il nome di Artaserse IV; anche Alessandro avanza pretese alla successione al trono, ottiene sigillo e diadema del Gran Re e concede onoranze funebri solenni a Dario. L'opposizione da parte dell'aristocrazia militare macedone all'orientalizzazione viene annientata; Philotas (capo della cavalleria degli etri) giustiziato per un presunto tradimento, suo padre Parmenion assassinato. Sottomissione dell'Iran nordorientale.

329 Carestia in Grecia, inizio dell'inflazione in seguito alla coniazione dell'oro del tesoro persiano; Alessandro decide l'invio di cereali in Grecia e Macedonia. Traversata dell'Hindukusch in direzione nord; resistenza degli ostirani capitanati da Besso, che viene fatto prigioniero da Ptolemaios e giustiziato come usurpatore. Avanzata verso nord fino all'attuale Samarcanda (Marakanda); rivolta dei sogdi capitanati da Spitamenes, che durante l'inverno occupa Marakanda.

328 Riforma dell'esercito; eliminazione delle squadre persiane e nuova suddivisione dell'esercito in unit autonome pi piccole. Krateros ferma l'avanzata di Spitamenes; offensiva macedone verso nord. A Marakanda Alessandro uccide la sua guardia del corpo Kleitos durante un litigio. Durante l'inverno Spitamenes viene assassinato dagli sciti; fallimento della rivolta.

327 Sottomissione dei sogdi orientali; Alessandro sposa la figlia del principe, Roxane, tenta di introdurre il cerimoniale di corte persiano e spezza l'opposizione con il terrore (per esempio l'esecuzione del nipote di Aristotele, Callistene). Partenza dalla Battriana alla volta dell'India.

326 Alessandro varca l'Indo, avanzando verso oriente; a giugno vittoria contro il re Poros sull'Hydaspes (Jehlum); costruzione di una flotta sull'Indo, sottomissione del Punjab. Sull'Hyphasis (Bias) ammutinamento dell'esercito, spossato dalle fatiche e dal monsone. Ritirata.

325 Sottomissione della pianura dell'Indo; scontro con i malli indiani; Alessandro in pericolo di vita per una ferita. Consolidamento della foce dell'Indo con la costruzione di una fortezza, ritorno verso ovest in tre gruppi: la flotta guidata da Nearchos, la divisione settentrionale dell'esercito guidata da Krateros lungo le strade praticabili, quella meridionale condotta da Alessandro attraverso il deserto della Gedrosia. Degli uomini guidati da Alessandro ne sopravvive circa un terzo.

324 Alessandro raggiunge il centro del territorio persiano, la flotta di Nearchos la foce del Tigri. Esecuzione dei satrapi insubordinati; il tesoriere Harpalos, amico di giovent di Alessandro, fugge da Babilonia ad Atene con mercenari e cinquemila talenti. Sposalizio collettivo a Susa per favorire

la fusione tra macedoni e persiani; ricostruzione dell'esercito con la reintroduzione delle unit persiane. Alessandro emana un ordine di amnistia per la Grecia e impone il ritorno in patria di tutti gli esiliati (tranne i tebani). A Opis, sul Tigri, i veterani macedoni si rivoltano contro il loro congedo; Alessandro proclama l'uguaglianza tra macedoni e persiani, imponendo loro di convivere in pace. Infruttuosa riconciliazione con i veterani (undicimila uomini), che vengono ricondotti in Macedonia da Krateros. Questi dovr sostituire Antipatros nella carica di governatore d'Europa; Antipatros viene "chiamato a rapporto" a Babilonia, dove tuttavia non si reca per "motivi d'et". Hephaistion muore a Ekbatana.

323 Ritorno di Alessandro a Babilonia; costruzione di un porto e di una flotta. Preparazione di una spedizione in Arabia, destinata a concludersi con una campagna occidentale contro Cartagine e a giungere fino a Gibilterra. Il 29 maggio Alessandro si ammala in seguito alle sue gozzoviglie; il 31 fissa la partenza della spedizione in Arabia per il 4 giugno, ma le sue condizioni peggiorano. Il 10 giugno (28 daisios, secondo il calendario macedone) muore a Babilonia, prima di aver compiuto trentatr anni. L'assemblea dell'esercito, riunita a Babilonia, stabilisce la successione nel modo seguente: Alessandro IV, figlio nato da Roxane dopo la morte di Alessandro, e Arridaios, il fratellastro di Alessandro (con il nome di Philippos III), divengono re di pari rango. Fino al raggiungimento della maggiore et del primo, si prospetta una divisione dell'amministrazione e del governo delle parti dell'impero tra governatori "tutori": Perdikkas generale in capo in Asia, Krateros capo dell'esercito e "capo della monarchia" in Asia, Antipatros stratega di Macedonia e Grecia, Lysimachos per la Tracia, Antigonos Monoftalmo per Frigia e Licia, Eumenes per la Cappadocia, Ptolemaios il Lagide per l'Egitto; altri incarichi particolari vengono affidati a Seleukos, Kassandros (figlio di Antipatros), Leonnatos, Peithon ecc. Le spedizioni di Alessandro in Arabia e Occidente vengono annullate, cos come l'uguaglianza di diritti per gli orientali.

Su pressione di Iperide e Demostene, Atene dichiara sciolta la Lega corinzia e la sostituisce con alleanze contro la Macedonia; allestimento di un esercito di mercenari condotto da Leosthenes. Alle Termopili Leosthenes costringe Antipatros a ritirarsi nella citt di Lamia, dove i macedoni vengono assediati. Tessaglia e Peloponneso si uniscono ad Atene. Aristotele abbandona la citt per sfuggire all'accusa di "sentimenti filomacedoni" e si rifugia a Calcide nell'Euboia.

322 Leosthenes cade davanti a Lamia, gli succede Antiphilos. Leonnatos (satrapo della Frigia ellespontica) intraprende una spedizione per soccorrere Antipatros, mettendo fine all'assedio di Lamia. Antiphilos respinge Antipatros verso nord; Leonnatos cade. In estate si assiste alla sconfitta della flotta ateniese contro i macedoni presso Amorgos: fine della potenza navale ateniese. Krateros rientra dall'Asia con i veterani di Alessandro; Antipatros e Krateros sconfiggono l'esercito della Federazione greca a Krannon in Tessaglia. Atene si arrende ad Antipatros: fine della democrazia e della Federazione greca, occupazione macedone del Pireo. Iperide viene giustiziato, Demostene fugge e si suicida. Aristotele muore a Calcide. La politica di intervento di Corinto e Cartagine mette fine al "dominio democratico" di Siracusa. Prima guerra dei diadochi (fino al 319): Antigonos, Antipatros, Krateros, Ptolemaios e Lysimachos si alleano contro Perdikkas, che aspira al dominio personale e alla riunificazione dell'impero, appoggiato da Eumenes, Peithon, Seleukos e Olympias. Ophellas, generale di Ptolemaios, occupa Cirene; i cartaginesi arretrano la linea di confine e creano una "zona cuscinetto" nella Sirte orientale.

321 Il cadavere di Alessandro dev'essere trasportato nell'oasi

di Ammon-Ptolemaios lo "confisca" in Egitto, deponendolo prima a Menfi e poi ad Alessandria. Perdikkas attacca l'Egitto ma, dopo aver fallito l'attraversamento del Nilo ed essere stato sconfitto, viene assassinato da Peithon e Seleukos. Nell'Asia Minore Eumenes sconfigge Krateros e Antipatros; Krateros muore. Nuova divisione del potere tra gli alleati a Triparadeisos (Siria): Antipatros reggente dell'impero, suo figlio Kassandros e Antigonos capi dell'esercito in Asia, Seleukos governatore a Babilonia, mentre Peithon ottiene le satrapie orientali. Accordo con Ptolemaios, che potr mantenere l'Egitto, Cirene e "il territorio che conquister in direzione del tramonto del sole con il lancio del giavellotto". I cartaginesi arretrano i confini con Cirene e l'Egitto di circa duecento chilometri verso ovest.

320 Antigonos si scontra con il suo rappresentante Kassandros e aspira al dominio in Asia; sconfigge Eumenes nella Cappadocia e lo rinchiude nella fortezza di Nora. Ptolemaios inaugura una riforma amministrativa in Egitto e fonda il culto statale sincretistico di Sarapis (Osiride/Apis).

319 Morte di Antipatros, che nomina proprio successore l'ex taxiarca di Alessandro Polyperchon, mentre il figlio Kassandros diviene suo rappresentante. Kassandros fa giustiziare l'uomo politico ateniese Demades per i suoi vecchi legami con Perdikkas; il fratello di Perdikkas, Alketas, viene sconfitto da Antigonos a Pisidia. Ptolemaios occupa Siria e Fenicia. Inizio della Seconda guerra dei diadochi (fino al 316): Antigonos e Kassandros non riconoscono Polyperchon che, in nome di Philippos Arridaios, proclama la libert di tutte le citt greche e ritira il contingente d'occupazione macedone. In Sicilia tentativo di instaurare la tirannide dello stratega Agatocle, che occupa Siracusa; intervento cartaginese.

318 Agatocle mette fine all'assedio: accordo provvisorio tra lui e Cartagine, nonch gli oligarchi siracusani. Eumenes perde l'Asia Minore e la Siria in favore di Antigonos, appoggiato da Seleukos e Ptolemaios. Antigonos mette la flotta a disposizione di Kassandros, che occupa il Pireo. Polyperchon si impone nel Peloponneso, ma contemporaneamente la sua flotta viene distrutta da Antigonos presso Bisanzio.

317 Kassandros occupa Atene, nominando Demetrios di Phaleron capo di un sistema oligarchico. In nome del marito Philippos Arridaios, Eurydike (nipote di Filippo) dichiara deposto Polyperchon e affida la reggenza imperiale a Kassandros e il comando supremo in Asia ad Antigonos. Guerra civile in Macedonia: Kassandros, Arridaios ed Eurydike contro Polyperchon, Olympias, Roxane e Alessandro IV. Successi iniziali di Polyperchon e Olympias, che fa assassinare Philippos Arridaios ed Eurydike. A Babilonia accordo tra Antigonos, Seleukos e Peithon contro Eumenes: scontro incerto nella Media. A Siracusa nuovo tentativo vittorioso di Agatocle.

316 Agatocle inizia ad armarsi e a espandersi in Sicilia; assedia Messana (Messina), ma costretto a levare l'assedio per l'intervento cartaginese. Antigonos sconfigge Eumenes a Susa e lo fa giustiziare; incalzato da Antigonos, Seleukos fugge da Ptolemaios. Kassandros si impone in Macedonia, esecuzione di Olympias; Roxane e Alessandro IV "sotto custodia". Antigonos viene riconosciuto ufficiosamente "re dell'Asia".

315 Inizio della Terza guerra dei diadochi (fino al 311); fine dell'unit dell'impero di Alessandro "in nome del diritto dei popoli", con il passaggio da alleanze personali a statali. Kassandros, Lysimachos, Ptolemaios e Seleukos si alleano contro Antigonos, che occupa la Siria e nomina Polyperchon stratega del Peloponneso; in tal modo Polyperchon rinuncia alla reggenza imperiale, che appartiene de facto a Kassandros. Alexandros figlio di Polyperchon, passa dalla parte di Kassandros, che lo nomina stratega del Peloponneso al posto del padre. Antigonos costruisce un'altra flotta e realizza una federazione tra gli abitanti delle isole.

314 Kassandros sconfigge gli etoli alleati estendendo la Macedonia fino all'Adriatico.

con

Antigonos,

313 Antigonos conquista l'Asia Minore; contro Lysimachos. Ophellas, governatore di Ptolemaios a indipendente. Lysimachos si impone su odrisi e traci.

in

Tracia si

rivolte rende

Cirene,

312 Antigonos incarica il figlio Demetrios di condurre la guerra contro Ptolemaios; Demetrios riconquista Siria e Fenicia, per poi venire sconfitto da Ptolemaios a Gaza. Ptolemaios occupa di nuovo la Siria; con il suo appoggio Seleukos riconquista Babilonia. Inizio della datazione della

successiva dinastia seleucide. Antigonos e Demetrios iniziano la controffensiva, ricacciando Ptolemaios verso l'Egitto.

311 Demetrios conquista Babilonia; pace concordata sulla base dello status quo: Kassandros ottiene la Macedonia fino alla maggiore et di Alessandro IV, Lysimachos la Tracia, Ptolemaios l'Egitto, Antigonos l'Asia; Seleukos rimane escluso. Alessandro IV resta in custodia di Kassandros. Riconoscimento dell'indipendenza delle citt greche; nessuno viene pi nominato reggente imperiale. In Sicilia Agatocle inizia la guerra contro Cartagine.

310 Controffensiva cartaginese; Agatocle perde tutti i territori conquistati, viene assediato a Siracusa e intraprende un'impresa disperata: imbarca l'esercito, compie la traversata fino all'Africa, assedia Cartagine e ottiene una prima vittoria presso Tynes (Tunisi). Al momento de facto nell'ex impero di Alessandro esistono cinque monarchie: Seleukos a Babilonia (l'esclusione dal trattato di pace non intacca il suo potere effettivo), Antigonos nel resto dell'Asia, Ptolemaios in Egitto, Lysimachos in Tracia, Kassandros in Macedonia. Per evitare il pericolo di perdere il potere (al raggiungimento della maggiore et del figlio di Alessandro), Kassandros assassina Roxane e il dodicenne Alessandro IV. Seleukos sposta la capitale da Babilonia, fondando Seleukeia sul Tigri. Ptolemaios occupa Cipro, di cui nomina governatore il fratello Menelaos.

309 Polyperchon nomina Herakles, figlio di Alessandro e di Barsine suo successore al compimento della maggiore et;

Kassandros offre a Polyperchon di partecipare al governo e alle operazioni militari nel Peloponneso. Quindi Polyperchon fa strangolare Herakles, determinando l'estinzione della linea maschile della casa reale macedone. Ptolemaios attacca l'Asia Minore e intende sposare la sorella di Alessandro Kleopatra, per fondare una dinastia legittima. Antigonos fa assassinare Kleopatra a Sardi. Ophellas di Cirene si volge contro Cartagine in aiuto di Agatocle, ma viene assassinato nel suo accampamento su mandato dello stesso Agatocle.

308 Accordo di pace tra Kassandros e Ptolemaios. Ptolemaios interviene in Grecia, occupa Sykion e Corinto, restaurando la Lega corinzia. Riconquista di Cirene da parte dello stesso Ptolemaios.

307 Demetrios, figlio di Antigonos, occupa Atene scacciando la guarnigione macedone. Ripristino della democrazia. Pirro, figlio di un re illirico, diviene sovrano dell'Epiro e si rende indipendente da Kassandros. I cartaginesi sconfiggono Agatocle, che fa ritorno a Siracusa con i resti del suo esercito.

306 Demetrios conquista Cipro, da dove minaccia l'Egitto dal mare. La spedizione militare di Antigonos si conclude con la sconfitta contro Ptolemaios sul delta del Nilo.

305 Dopo Antigonos, ora anche Ptolemaios, Kassandros, Lysimachos e Seleukos assumono il titolo di re. Inutile assedio della tolomea Rodi da parte di Demetrios. Seleukos sottomette i battriani e cede le satrapie indiane al sovrano di Maurya, Chandragupta.

304 Kassandros assedia Atene, ma Demetrios lo ricaccia dalla Grecia centrale; pace di Rodi tra Antigonos e Demetrios.

303 Successi di Demetrios contro Polyperchon nel Peloponneso. Pirro d'Epiro si allea con Demetrios.

302 Antigonos e Demetrios restaurano la Lega corinzia e proclamano una pace comune insieme ad alcune alleanze, rivolte in ultima analisi contro Kassandros. Questi allestisce una controalleanza con Ptolemaios, Seleukos e Lysimachos. Quarta guerra dei diadochi. Kassandros va all'attacco di Demetrios in Tessaglia, Lysimachos nell'Asia Minore muove contro Antigonos.

301 Demetrios abbandona la Grecia per correre in aiuto del padre. Battaglia di Ipsos, nella Frigia: Lysimachos e Seleukos (con gli elefanti da guerra indiani) vincono, Antigonos muore,

Demetrios fugge a Efeso. Suddivisione definitiva dell'impero, senza che tuttavia termini la guerra dei diadochi. Nei decenni successivi sorge una miriade di principati minori nell'Asia Minore (Ponto, Bitinia, Pergamo, Cappadocia ecc.), accanto alle grandi potenze ellenistiche dai confini mutevoli e perennemente in lotta tra loro (288-286: Quinta guerra dei diadochi; 282-281: Sesta guerra dei diadochi; numerosi scontri per Siria, Grecia ecc.). In particolare il regno dei seleucidi (311/281-263 a.C., comprendente all'incirca Babilonia, Persia, Siria settentrionale, Asia Minore orientale), quello dei tolomei (320-30 a.C.; Egitto, Cirenaica, Sinai, parti della Palestina), quello degli antigonidi (Antigonos Gonata, nipote di Antigonos Monoftalmo, viene riconosciuto re di Macedonia dopo una vittoria sui celti invasori nel 276); nel 167 a.C. la Macedonia cade sotto l'amministrazione romana. Intorno al 300 a.C. territori dipendenti da Lysimachos vengono assorbiti in parte dalla Macedonia, in parte vanno a costituire i gi nominati principati minori.

500. fine.

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Il signore delle diecimila nature La decapitazione Verit e armi Pella La missione del Lagide Gesti regali Il crepuscolo del cantore Il medico e l'amuleto In mezzo alle correnti I fuochi di Persepoli Il giocatore d'Occidente Ambascerie dai confini del mondo Il tempio degli di morti Fine e cenere APPENDICE GLOSSARIO PERSONAGGI CRONOLOGIA 1. Il signore delle diecimila nature. Appendice. PERSONAGGI PRINCIPALI

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