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I CONVEGNI DELLA FONDAZIONE

NICCOL CANUSSIO
7

FONDAZIONE NICCOL CANUSSIO

PATRIA DIVERSIS GENTIBUS UNA?


Unit politica e identit etniche nellItalia antica
Atti del convegno internazionale
Cividale del Friuli, 20-22 settembre 2007

a cura di
GIANPAOLO URSO

Edizioni ETS

La presente pubblicazione stata realizzata


con il sostegno di

Ministero dellUniversit e della Ricerca

Ministero per i Beni e le Attivit Culturali

Patria diversis gentibus una? Unit politica e identit etniche nellItalia antica, Cividale
del Friuli, 20-22 settembre 2007 / a cura di Gianpaolo Urso. Pisa : Edizioni ETS, 2008 306 p. : 24 cm. (I convegni della Fondazione Niccol Canussio; 7)
In testa al front.: Fondazione Niccol Canussio
ISBN 978-884672128-0
CDD 21 - 946
Italia Roma Storia VIII sec. a.C. / V sec. d.C. Congressi Cividale del Friuli 2007.
I. Urso, Gianpaolo
II. Fondazione Niccol Canussio

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SOMMARIO

Introduzione di Marta Sordi

JORGE MARTNEZ-PINNA, Italia y Roma desde una perspectiva legendaria

HARTMUT GALSTERER, Foedus, ius Latii und civitas im rmischen Italien 27


MIREILLE CBEILLAC-GERVASONI, Les rapports entre les lites du Latium
et de la Campanie et Rome (III s. av. J.-C. - I s. ap. J.-C.):
lapport dune enqute prosopographique

39

FEDERICA CORDANO, Epigrafia greca nellItalia romana

63

MATHILDE MAH-SIMON, Les Samnites existent-ils encore


lpoque dAuguste ?

73

MARTA SORDI, Il paradosso etrusco: il diverso nelle radici profonde


di Roma e dellItalia romana

89

LUCIANA AIGNER-FORESTI, Sopravvivenza di istituzioni etrusche


in et imperiale

99

DOMINIQUE BRIQUEL, Il ruolo della componente etrusca nella difesa


della religione nazionale dei Romani contro
le externae superstitiones

115

MARIE-LAURENCE HAACK, Il concetto di transferts culturels:


unalternativa soddisfacente a quello di romanizzazione?
Il caso etrusco

135

ANNA MARINETTI, Aspetti della romanizzazione linguistica


nella Cisalpina orientale

147

CESARE LETTA, I legami tra i popoli italici nelle Origines di Catone


tra consapevolezza etnica e ideologia

171

CHRYSANTHE TSITSIOU-CHELIDONI, Ecquando communem


hanc esse patriam licebit? (Liv. III 67,10):
Livius Geschichte als einheitsstiftender Faktor

197

MICHAEL VON ALBRECHT, Ovid und die Romanisierung


der griechischen Kultur

219

STEPHEN HARRISON, Laudes Italiae (Georgics 2.136-175):


Virgil as a Caesarian Hesiod

231

ALESSANDRO BARCHIESI, Bellum Italicum: lunificazione


dellItalia nellEneide

243

LUCIANO CANFORA, Cosmopolitismo antico

261

GIULIO FIRPO, Roma, Etruschi e Italici nel secolo senza Roma

267

INTRODUZIONE
Marta Sordi

Il problema della romanizzazione dellItalia si inserisce assai bene nel


problema dellintegrazione nel mondo greco e romano, che abbiamo posto
al centro di molti fra i nostri precedenti convegni, dal secondo del 2000 riguardante questa tematica in generale, a quelli dedicati alle singole province,
la Spagna, lIllirico, lAsia. Si aggiunga lattualit del problema nella storiografia contemporanea riguardante il mondo antico, col dibattito sviluppatosi
in questi anni sulla romanizzazione, spesso negata e ridotta, in modo a mio
avviso anacronistico e inaccettabile, ad una sorta di creolizzazione, o concepita pi prudentemente come una trasposizione culturale. Si deciso di
affrontare il problema della romanizzazione in Italia, sia perch lItalia era
il centro dellimpero, sia perch rappresentava essa stessa, per le molteplici etnie che labitavano, diverse per lingua, costumi, origine, unaccolta di
identit e di alterit da integrare. Di fronte a questa situazione Roma, con la
sua vocazione universalistica e centralizzante, poteva essere vista ed stata
vista per moda o per politica in altri periodi della storia italiana un nemico
da abbattere, come nel 700 e agli inizi dell800 con letruscomania e le rivendicazioni sannitiche. Il metodo con cui il problema stato affrontato da
una parte lattenzione alle singole etnie, ben rappresentate con la loro identit culturale ancora in et augustea, dallaltra lattenzione alla coscienza che di
queste diverse identit avevano gli scrittori e i poeti ad esse contemporanei.
Non per caso che gli Etruschi hanno avuto in questa analisi la parte
maggiore, con ben quattro relazioni: si tratta infatti dellunica popolazione
che, ben consapevole della propria diversit e nello stesso tempo del proprio
inserimento nel mondo veteroromano, affronta apertamente la necessit di
unintegrazione, partendo proprio dalla sua tradizione religiosa, che fissava
in dieci saecula la durata del nomen Etruscum e nel 44 a.C. linizio del decimo e ultimo secolo della sua storia; lunica popolazione che, rinunciando alla
propria lingua, tradusse tempestivamente in latino i propri libri sacri, per assicurare la sopravvivenza allEtrusca disciplina che, divenuta ormai religio publica del popolo romano, rappresentava il lascito pi importante delleredit
etrusca e che giunse, pienamente vitale, fino al tardo antico.

Marta Sordi

Altrettanto importante il comportamento della componente greca, anzi


magnogreca, dellItalia meridionale, la cui filosofia, il Pitagorismo, era stata
la prima esperienza filosofica dellItalia antica e che, pur nella fedelt a Roma, conserv la propria lingua e le proprie istituzioni teatrali e ludiche almeno fino al III secolo d.C., con differenze interessanti, attestate dallepigrafia,
nelle tre principali citt greche, Taranto, Reggio, Napoli. Particolarmente
complesso infine il rapporto col mondo osco, legato a Roma, nelle classi
dirigenti della Campania fin dai secoli della repubblica, ostilissimo ad essa
nel gruppo sannitico, con una resistenza che si spinge fino oltre la guerra
sociale e linizio delle guerre civili.
Pi tranquillo il rapporto con i Veneti, inclusi almeno fin dal III secolo
a.C. nella formula Togatorum e, dopo la sanguinosa sottomissione, con i Celti
della Padania, detentori dello ius Latii gi allinizio del I secolo e cittadini
romani con Cesare.
Il secondo approfondimento ha riguardato gli scrittori e i poeti, fondamentali per cogliere la realt del dibattito e la sua teorizzazione a livello culturale. Se per lItalia del II secolo a.C., uscita dalla terribile esperienza della
guerra annibalica, massima limportanza di Catone, con la sua concezione
gi geograficamente unitaria dellItalia, dalla Calabria alle Alpi, soprattutto
la cultura augustea, con gli storici, Livio e Dionigi di Alicarnasso, con il peso
del suo ellenocentrismo, e, pi ancora con i poeti, il Virgilio delle Georgiche e dellEneide, Ovidio, Orazio e Properzio, a darci un quadro vivo degli antagonismi, ancora presenti fra le popolazioni italiche, delle amarezze,
delle aspirazioni presenti nel dibattito allora attualissimo sullintegrazione. Il
senso pi profondo della rivoluzione romana va cercato, a mio avviso, nella
ricerca, da parte del potere, del consensus Italiae e nella sostituzione della
vecchia nobilitas con le classi nuove emergenti dai municipia e dalle colonie
dellItalia.
Oltre a questi due filoni principali, giusta attenzione stata concessa agli
strumenti giuridici dellintegrazione, foedera, ius Latii, civitas e al clima cosmopolitico, collegato con la diffusione dello stoicismo e con la sempre pi
ampia concessione della civitas romana, caratteristica dellet imperiale, ma
gi presente nella pi antica tradizione romana.

Italia y Roma desde una perspectiva legendaria


Jorge Martnez-Pinna

En su brillante estudio sobre la identidad de Italia, A. Giardina invoca como punto primero de discusin la clebre oratio pronunciada ante el Senado
por Claudio en el ao 48 d.C. En ella el emperador propona la admisin de
la aristocracia de la Galia Comata en el orden senatorial, utilizando como argumento principal la propia historia de Roma: la ciudad nunca se haba negado a admitir entre los suyos a gentes extranjeras, en la certeza que aportaran
nueva savia a su grandeza. Los senadores, por el contrario, resaltaban la carencia de una consaguinitas itlica para oponerse a la propuesta de Claudio.
El tema de la comunidad de origen romano-itlica no era una novedad en el
plano poltico. Con acierto seala Giardina cmo este motivo emerge con
fuerza en el debate suscitado por los hermanos Graco a propsito de la ampliacin de la ciudadana, aunque ciertamente con escasa eficacia en ambiente romano: a la afirmacin general de Tiberio sobre los vnculos de sangre
existentes con los itlicos, sigue la precisin de su hermano Cayo, quien reconoce una synghneia slo con los latinos y no con el conjunto de los aliados.
Como se sabe, la cuestin itlica se plantea en el siglo II a.C. como consecuencia de las nuevas condiciones derivadas de la victoria de Roma en la
guerra de Anbal y su inmediata elevacin a la hegemona mediterrnea. La
antigua alianza romano-itlica se haba ido desviando hacia una relacin ms
prxima a la del seor-sbdito, cuya nica solucin posible no era otra que la
integracin plena de los itlicos. Pero esta situacin slo poda hacerse efectiva, en el mejor de los casos, entre los miembros de las lites, no as respecto
*Este trabajo se enmarca en el proyecto de investigacin HUM2005-01590, del Ministerio de Educacin y Ciencia, y en el grupo de investigacin HUM-696 de la Junta de Andaluca.
 A. Giardina, LItalia romana. Storie di una identit incompiuta, Roma 2004, pp. 3 ss.
 Giardina, LItalia..., pp. 22 s.
App. Bell. civ. I 9 (Tiberio); 23 (Cayo). Cf. P.M. Martin, Lthique de la conqute: un enjeu dans le
dbat entre optimates et populares, en Il pensiero sulla guerra nel mondo antico (Contributi dellIstituto di
Storia Antica. 27), Milano 2001, pp. 151 ss.
Sobre la cuestin, en general, pueden verse C. Nicolet, Rome et la conqute du monde mditerranen. I. Les structures de lItalie romaine, Paris 1979, pp. 287 ss., as como los captulos redactados por E.
Gabba y U. Laffi en Storia di Roma, II.1, Torino 1990, pp. 267 ss.

10

Jorge Martnez-Pinna

al pueblo en su conjunto, que viva en una casi completa inseguridad jurdica,


generando un creciente ambiente de malestar que culmin en la guerra social.
En lneas generales, la clase poltica romana asumi ante el problema la misma posicin que ms tarde adoptarn los senadores frente a la mencionada
propuesta de Claudio: negarse a extender los privilegios de la ciudadana, en
la creencia que si es compartida por todos puede perder su esencia originaria.
Pero con ello incurra en una grave contradiccin histrica, pues precisamente el poder alcanzado por Roma en parte descansaba en la actitud contraria, es decir el desarrollo de una poltica de integracin, como indica Veleyo Patrculo e incluso llegaban a reconocer los propios enemigos de Roma.
Pero quiz no se trata slo de una contradiccin histrica, sino tambin
ideolgica. Los romanos siempre proclamaron con orgullo su origen mixto. Cierto es que las primeras manifestaciones claras al respecto proceden
de autores del siglo I a.C., pero esta idea aparece ya implcita en la misma
leyenda fundacional de Roma a propsito del asylum romleo. Tampoco est
de ms recordar cmo los enemigos de Roma sealaban con desprecio no
slo la impureza de los fundadores, sino tambin la variada procedencia de
sus reyes, segn se observa por ejemplo en un pasaje de Justino que, en ltima instancia, muy probablemente deriva de Metrodoro de Skepsis. Pero
al contrario de los griegos, los romanos no extendieron sus elementos pseudo-histricos a otros pueblos. Las notables coincidencias que se observan en
leyendas de fundacin y definicin de los hroes en referencia a diferentes
ciudades latinas, Roma incluida, obedecen a unas races comunes, no al deseo de relacionarse con Roma. Esta ltima nunca promovi a nivel general
una concepcin de la prehistoria itlica similar al helenocentrismo definido
por Elias J. Bickerman.
Vell. I 14,1: referencia a la propagatio civitatis a partir de la invasin gala y vinculada a la poltica
colonial; cf. E. Gabba, Italia e Roma nella Storia di Velleio Patercolo, en Esercito e societ nella tarda
Repubblica romana, Firenze 1973, pp. 352 ss.; M. Sordi, Lexcursus sulla colonizzazione romana in Velleio e la guerre sannitiche, Helikon 6 (1966), pp. 627-638 (= Scritti di storia romana, Milano 2002, pp.
177-191); Ead., Il mito troiano e leredit etrusca di Roma, Milano 1989, pp. 91 ss. Sobre la posicin de
los enemigos de Roma puede verse, por ejemplo, la carta de Filipo V de Macedonia a los ciudadanos de
Larisa (IG IX.2 517).
 M. Sordi, Integrazione, mescolanza, rifiuto nellEuropa antica: il modello greco e il modello romano,
en Integrazione mescolanza rifiuto. Incontri di popoli, lingue e culture in Europa dallAntichit allUmanesimo, Roma 2001, pp. 23 ss.
 Iust. XXXVIII 6,7. Vanse al respecto D. Briquel, Pastores Aboriginum (Justin 38, 6, 7): la
recherche dune historiographie grecque anti-romaine disparue, REL 73 (1995), 44-59; Id., Le regard des
autres, Besanon, pp. 137 ss.
Sobre el particular, me permito remitir a mi trabajo Rmulo y los hroes latinos, en Hroes y antihroes en la Antigedad clsica, Madrid 1997, esp. pp. 131 ss.
 E.J. Bickerman, Origines gentium, CPh 47 (1952), pp. 65-81 (= Religion and Politics in the Hellenistic and Roman Periods, Como 1985, pp. 399-417).

Italia y Roma desde una perspectiva legendaria

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Si nos situamos ahora en la perspectiva itlica, la situacin no es la misma


respecto al valor de la consanguinitas con Roma: puede ser que no fuese sta
una idea muy querida por los romanos, pero para los itlicos termina convirtindose en una necesidad. En el famoso el pasaje de Veleyo Patrculo que
refleja las quejas de los itlicos en los prembulos de la guerra social, se expresa la ingratitud de los romanos al negar la ciudadana a aquellos que tanto
haban contribuido a extender el poder de Roma, a quienes consideran como extranjeros pese a tener la misma raza y la misma sangre10. Si la insistencia en la participacin militar est perfectamente justificada por los hechos,
la invocacin a una comunidad tnica, lo que lleva implcito la aceptacin de
un mismo origen, se asemeja ms bien a una expresin retrica. Ciertamente
no existe una leyenda de consanguinitas comn a todos los pueblos de Italia. Lo ms cercano que puede recordarse al respecto es el pansabinismo
reflejado en los mitos relativos al ver sacrum. Estas leyendas sitan el origen,
directo o indirecto, de diversos pueblos de Italia en la regin de Sabina11,
concepcin resumida en el calificativo de Varrn sobre el lacus Cutiliae como umbilicus Italiae12. Y no puede descartarse que en el fondo tales leyendas respondan a hechos histricos. Pero esta presentacin de la prehistoria
de Italia slo llega a incluir a Roma, como parte integrante del Lacio, a partir
de Catn y sobre todo de Varrn, cuando los aborgenes, como primeros habitantes del Lacio, son desplazados a Sabina13.
Las tradiciones de procedencia itlica ideadas para crear un vnculo particular con Roma no se reparten de manera uniforme por toda la pennsula.
Ante todo, hay que tener en cuenta que el concepto de synghneia es extrao a la mentalidad italica14, lo cual excluye no pocas regiones. En cierto sentido, puede establecerse un paralelo con otro motivo propagandstico
muy utilizado en las relaciones interestatales griegas: la libertad. Seala A.
Erskine cmo el slogan la libertad de los griegos slo fue aplicado a Italia
en una ocasin: Anbal se present ante los itlicos como su libertador, pero
slo despus de Cannas su proclama alcanz cierto xito entre las ciudades

10Vell. II 15,2: per omnis annos atque omnia bella duplici numero se militum equitumque fungi neque
in eius civitatis ius recipi, quae per eos in id ipsum pervenisset fastigium, per quod homines eiusdem et gentis
et sanguinis ut externos alienosque fastidire posset.
11Pueden verse sobre el particular, con amplias referencias, C. Letta, LItalia dei mores romani nelle
Origines di Catone, Athenaeum 72 (1984), pp. 420 ss.; E. Dench, From Barbarians to New Men, Oxford 1995, pp. 185 s.; D. Briquel, La zona reatina, centro dellItalia: una visione della penisola alternativa
a quella romana, en La Salaria in et antica, Roma 2000, pp. 79-89.
12Plin. nat. III 109. Cf. L. Deschamps, Pourquoi Varron situe-t-il au lac de Cutilia lOmbilic de lItalie?, Euphrosyne 20 (1992), pp. 299-310.
13 J. Martnez-Pinna, La prehistoria mtica de Roma, Madrid 2002, pp. 62 ss.
14Cf. Giardina, LItalia..., pp. 25 s.

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Jorge Martnez-Pinna

griegas del sur y de Sicilia, no as entre los pueblos itlicos, ajenos por completo a esta idea15. Algo similar sucede con la synghneia. La documentacin
disponible, tanto en referencia a Roma como a otros pueblos16, nos conduce
hacia las regiones con un nivel cultural ms elevado, sobre todo a los helenizados ambientes del sur peninsular y de Sicilia. El instrumento utilizado
preferentemente para crear esa parentela mtica no es otro que la leyenda
troyana, una eleccin que no puede sorprender. Como se sabe, el nico mito
de synghneia aceptado conscientemente por los romanos fue el de su lejano
origen troyano, ampliamente invocado por Roma en sus relaciones con Grecia, sobre todo durante la etapa de la conquista17. Y si Roma fue integrada
en el universo griego a travs de Troya y Eneas, este mismo vehculo poda
servir perfectamente a los intereses itlicos.
Pero antes de nada, conviene considerar el caso de los latinos, cuya relacin con Roma era muy distinta a la de los aliados. La primera vez que Livio
menciona la consanguinitas romano-latina la sita en los prembulos de la
guerra latina del ao 340 a.C. El pretor latino L. Annio, en primera instancia
ante el consejo federal y luego ante el Senado romano, invoca el origen comn como base para la constitucin de un Estado conjunto en cuyo gobierno latinos y romanos tendran una participacin paritaria18. Hace ya tiempo
se reconoci que este discurso era la traslacin al siglo IV de una situacin
que slo se produjo con la guerra social19. Y en efecto as parece, pues cuesta
mucho admitir que en el mencionado ao los latinos quisieran integrarse en
el Estado romano, cuando su intencin no era otra que contestar una hegemona que les resultaba cada vez ms onerosa. Sin embargo, y reconociendo
este hecho, no cabe duda que la idea de la comunidad de origen romanolatina se adapta perfectamente no slo a la situacin imperante en el siglo IV,
sino a toda la historia anterior. De hecho lo reconoce el mismo Livio cuando
tras narrar la ejecucin de Turno Herdonio, el rey Tarquinio el Soberbio, en
su discurso ante la asamblea de los latinos, resalta el comn origen de todos
15

A. Erskine, Hannibal and the Freedom of the Italians, Hermes 121 (1993), pp. 58-62.
Recurdense por ejemplo aquellas tradiciones sobre el origen lacedemonio de algunos pueblos
itlicos, fundamentalmente los samnitas: Strab. V 4,12,250; cf. M. Sordi, I Sanniti fra Roma e i Greci nel
IV sec. a.C., Abruzzo 13 (1975), pp. 95-100; D. Musti, La nozione storica dei Sanniti nelle fonti greche e
romane, en Strabone e la Magna Grecia, Padova 1994, pp. 203 ss.; Dench, From Barbarians..., pp. 53 ss.
17As, E. Gabba, Sulla valorizzazione politica delle leggenda delle origini troiane di Roma fra III e II
secolo a.C., en I canali della propaganda nel mondo antico (Contributi dellIstituto di Storia Antica. 4),
Milano 1976, pp. 84-101. Ms escptico A. Erskine, Troy between Greece and Rome, Oxford 2001, pp.
162 ss.
18Liv. VIII 4,1-11; 5,3-6.
19 G. Dipersia, Le polemiche sulla guerra sociale nellambasceria latina di Livio VIII, 4-6, en Storiografia e propaganda (Contributi dellIstituto di Storia Antica. 3), Milano 1975, pp. 111-120, con bibliografa
previa.
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Italia y Roma desde una perspectiva legendaria

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los all reunidos con las palabras omnes Latini ab Alba oriundi sint20. Por
su parte, Dionisio de Halicarnaso, que contempla la historia de Roma desde
otra perspectiva, es mucho ms prolfico en mencionar la comunidad de sangre romano-latina, que de hecho se convierte en un lugar comn en su relato
desde el reinado de Tulo Hostilio.
La consanguinitas romano-latina descansa en la propia historia. Tratando
sobre la organizacin de los latinos, seala acertadamente C. Ampolo como
punto de partida los factores que, al decir de Herdoto, definan la raza helena: comunidad de sangre y de lengua, santuarios y cultos comunes, costumbres e instituciones similares21. No cabe duda que tales principios son
asimismo aplicables al Lacio. La identidad del pueblo latino, que implica el
reconocimiento de un origen propio, se expresa fundamentalmente a travs
de dos elementos, traducidos uno en el plano mtico y otro en el religioso. El
primero se personifica en la figura de Latino, hroe ancestral del pueblo homnimo, cuya presencia aparece ya documentada en la Teogona de Hesodo22. A partir de aqu, Latino pasa a ocupar un lugar destacado en las leyendas griegas sobre la fundacin de Roma, en representacin de la componente indgena, hasta que finalmente fue desplazado por Rmulo23. El segundo
aspecto a considerar son las feriae Latinae, ocasin en la que todos los pueblos latinos se reunan en el monte Albano para honrar a Jpiter Latiaris24.
Esta fiesta, de sealada antigedad, viene a expresar en mbito religioso la
existencia de una comunidad nacional que ha adquirido plena conciencia de
su propia singularidad. Por todo ello no puede sorprender que en un determinado momento Latino y feriae Latinae aparezcan ntimamente unidos.
Un notable transformacin se produce tras la culminacin de la guerra
latina del 340 a.C. y la incorporacin del Lacio al dominio de Roma. En tales momentos la ciudad de Lavinium alcanza una sealada posicin en los
mbitos religioso y cultural, aspirando al privilegio de ser reconocida como
metrpolis latina en competencia con Alba25. Es muy posible que entonces,
20Liv.

I 52,2.
Her. VIII 144; C. Ampolo, Lorganizzazione politica dei Latini ed il problema degli Albenses, en
Alba Longa. Mito, storia, archeologia, Roma 1996, p. 136. Asimismo T.J. Cornell, Ethnicity as a factor in
early Roman history, en Gender and ethnicity in ancient Italy, London 1997, p. 9.
22 Hes. Theog. 1011 ss.
23Sobre la evolucin de la figura de Latino, me permito enviar a J. Martnez-Pinna, El rey Latino o
la decadencia del hroe, RBPhH, 83 (2005), pp. 63-77, con amplias referencias.
24Acerca de los aspectos rituales de la fiesta, A. Pasqualini, I miti albani e lorigine delle feriae
Latinae, en Alba Longa. Mito, storia, archeologia, pp. 218 ss.; B. Liou-Gille, Naissance de la ligue latine:
mythe et culte de fondation, RBPhH, 74 (1996), pp. 93 ss.
25Sobre esta posicin de Lavinium, puede leerse con provecho cuanto escriben A. Alfldi, Early
Rome and the Latins, Ann Arbor 1965, pp. 29 ss., 246 ss.; M. Sordi, Lavinio, Roma e il Palladio, en
Politica e religione nel primo scontro tra Roma e lOriente (Contributi dellIstituto di Storia Antica. 8),
21

14

Jorge Martnez-Pinna

a iniciativa de los crculos eruditos lavinates, se recreasen las tradiciones relativas a Eneas y en general a la prehistoria mtica del Lacio es decir la etapa
anterior a la fundacin de Roma en un sentido favorable a Lavinium. En
este contexto habra quiz que situar la captacin de Eneas como fundador
de Lavinium26, la ntima relacin entre Latino y la institucin de las feriae
Latinae en el seno de la leyenda troyana27 y la formulacin de la etnognesis
latina a partir de la fusin de un elemento indgena, los aborgenes de Latino, y otro extranjero, los troyanos de Eneas.
Este origen mixto del pueblo latino deriva de un planteamiento novedoso. Frente a la tipologa griega que contemplaba dos formas de etnognesis,
la autoctona y la migracin, en Italia se introduce una tercera resultado de la
unin de las dos anteriores. El concepto de aborgenes es una construccin
erudita por completo artificial, ideada como forma local de la autoctona: su
misin no es otra que representar a la poblacin indgena, asentada en la
regin desde el origen de los tiempos, que recibe a Eneas cuando ste desembarca en el Lacio28. En consecuencia, el pueblo latino resulta de la mezcla
de gentes autctonas con otras emigrantes. Pero su nobleza no reposa slo
en esta segunda componente, sino tambin en la primera, como afirma con
rotundidad el gramtico Servio: ergo descendunt Latini non tantum a Troianis sed etiam ab Aboriginibus29. De esta manera los latinos aceptaron su integracin en el universo griego, pero conservando a la vez su propia identidad.
Si esta construccin es del todo original, no puede afirmarse con seguridad.
Contemporneamente debi desarrollarse en Etruria, y ms en concreto en
Tarquinia, una versin similar sobre el origen de los etruscos que mezclaba la
autoctona con la migracin. Tal puede deducirse de una tradicin, transmitida por Estrabn, que atribuye al lidio Tirreno la fundacin de la dodecpo-

Milano 1982, pp. 72 ss.; Ead., Ancora sulla storia romana del IV secolo a.C., Aevum 73 (1999), pp. 76
ss. (= Scritti di storia romana, Milano 2002, pp. 520 ss.); K. Galinsky, Aeneas in Latium: Archologie,
Mythos und Geschichte, en 2000 Jahre Vergil, Wiesbaden 1983, pp. 47 ss.; A. Dubourdieu, Les origines et
le dveloppement du culte des Pnates Rome, Roma 1989, pp. 372 ss.; E.S. Gruen, Culture and National
Identity in Republican Rome, London 1993, pp. 28 s.; Th. Mavrogiannis, Aeneas und Euander, Napoli
2003, pp. 65 ss.
26Tal hecho aparece ya atestiguado en Timeo (FGrHist 566,59 [= Dion. I 67,4]) e indirectamente
tambin en Licofrn (Alex. 1259 ss.). Este ltimo autor menciona la escultura de la cerda y los treinta lechones que se alzaba en el foro de Lavinium, que posteriormente tambin recuerda Varrn (rust. II 4,18).
Este grupo escultrico contiene un evidente carcter fundacional, similar por tanto al que representaba
a Rmulo y Remo amamantados por la loba que contemporneamente fue situado en el Comitium de
Roma (Liv. X 23,12).
27 Fest. 212 L; Schol Bob. in Cic. Planc. 23 (154 s. Stangl); cf. A. Grandazzi, Le roi Latinus: analyse
dune figure lgendaire, CRAI 1988, pp. 485 ss.
28Sobre la definicin de los aborgenes, puede verse Martnez-Pinna, La prehistoria..., pp. 17 ss.
29Serv. Aen. I 6.

Italia y Roma desde una perspectiva legendaria

15

lis etrusca, cuya jefatura encomend al hroe indgena Tarchon, quien haba
nacido con los cabellos blancos, descripcin del puer senex que le aproxima
estrechamente a Tages30.
Como parte irrenunciable del pueblo latino, los romanos llegaron a aceptar esta versin, aunque parece que no de manera inmediata. Los escasos
fragmentos disponibles de Nevio y Ennio relativos a la llegada de Eneas al
Lacio sugieren un panorama diferente. Por una parte, no hay referencia clara a los aborgenes31. Pero ms sealado es quiz el hecho de que la ciudad
de Alba exista antes de la presencia de Eneas, quien habra entrado en contacto con Amulio, no con Latino, y contrajo matrimonio con una princesa
real32. Quiz Nevio hablaba tambin de la fundacin troyana de Lavinium, si
verdaderamente se refieren a este acontecimiento unos versos que presentan
a Anquises cumpliendo una operacin augural33. Parece entonces que Nevio
y Ennio prefieren vincularse a las antiguas tradiciones latinas, que otorgaban
a Alba la primaca cronolgica sobre Lavinium, y a la vez, de acuerdo con las
versiones griegas, relacionan directamente a Eneas con Rmulo y Remo34.
En cualquier caso, no parece tampoco que Roma se opusiera frontalmente a
la construccin lavinate, si hemos de juzgar por el xito que sta alcanz de
forma inmediata. A comienzos del siglo III Calias de Siracusa habla de Latino como rey de los aborgenes que recibe a Eneas35, mientras que Licofrn y
Timeo, como hemos visto, se hacen eco de tradiciones lavinates. Hasta donde sabemos36, habra sido Catn quien introdujo a los aborgenes en una re30Strab. V 2,2,219. Sobre esta leyenda trata tambin D. Briquel, Lorigine lydienne des trusques,
Roma 1991, pp. 127 ss., aunque con conclusiones diferentes.
31Generalmente se admite que el verso de Nevio silvicolae homines bellique inertes (Naev. fr. 21 M =
Macr. Sat. VI 5,9) hace alusin a los aborgenes, pero tal identificacin se encuentra lejos de ser segura:
cf. Martnez-Pinna, La prehistoria..., pp. 47 ss., con referencias.
32Naev. fr. 24 M (= Non. 116.31 M); Enn. fr. 26 V (= Fort. GLK VI.284). Cf. F. Krampf, Die Quellen
der rmischen Grndungssage, Leipzig 1913, pp. 38 ss.; G. DAnna, Alba Longa in Nevio, Ennio e nei
primi annalisti, en Alba Longa. Mito, storia, archeologia, pp. 110 ss.
33Naev. fr. 3 M (= Prob. Ad Verg. ecl. 6,31): postquam avem aspexit in templo Anchisa, / sacra in mensa penatium ordine ponuntur, / immolabat auream victimam pulchram. Sobre el significado fundacional,
G. DAnna, Problemi di letteratura latina arcaica, Roma 1976, pp. 84 s.; Id., Alba Longa..., pp. 107 s.
34Serv. auct. Aen. I 273: Naevius et Ennius Aeneae ex filia nepotem Romulum conditorem urbis tradunt; Serv. Aen. VI 777: dicit [Ennius] Iliam fuisse filiam Aeneae; quod si est, Aeneas avus est Romuli.
35Calias FGrHist 564, 5 (= Dion. I 72,5).
36Por desgracia es muy poco lo que se conoce al respecto de la obra de Fabio Pctor (cf. DAnna,
Problemi, pp. 93 ss.). En uno de sus fragmentos (4 P = 5 Ch [= Diod. VII 5,4-5]) se refiere al episodio
de la cerda, cuyo parto mltiple no tiene lugar en el solar de Lavinium sino en el de Alba, ciudad que
ser fundada despus por Ascanio. Es decir, Alba no exista cuando Eneas lleg al Lacio. Quiz Fabio
admitiese la anterioridad de Lavinium, ya que por un lado los treinta lechones que pari la cerda blanca
no simboliza los triginta populi Latini, como figura en Licofrn (Alex. 1250 ss.), sino los treinta aos que
deben transcurrir hasta la fundacin de Alba, y por otro conoce a Amata, la esposa de Latino (fr. 6 CH
[= Serv. auct. Aen. XII 603]. Dice Fabio que Amata se suicid por inanicin y no por ahorcamiento,

16

Jorge Martnez-Pinna

construccin completa de la prehistoria romana, avalando con su autoridad


la etnognesis latina y sentando las bases de la tradicin previrgiliana. De
esta manera la idea de los aborgenes como primitivos habitantes del Lacio
queda profundamente enraizada en la mentalidad histrica romana, hasta el
punto que Salustio, que en esto sigue a Catn, limita su carcter general latino al solar de Roma, presentando el origen de la ciudad mediante la fusin
de troyanos y aborgenes37.
Al igual que los latinos, los itlicos acudieron asimismo a la va troyana como instrumento preferente para aproximarse a Roma. Pero se trata de una relacin ms forzada, pues de hecho carecan de vnculos histricos directos. Los
latinos invocan un patrimonio comn como vehculo de integracin; los itlicos, por el contrario, lo intentan a travs de figuras interpuestas que, de manera ms o menos artificiosa, puedan relacionarse con el pasado legendario de
Roma y establecer as un rasgo de synghneia. No obstante, algunas ciudades
latinas tampoco despreciaron este recurso, como veremos inmediatamente.
Entre todos los personajes implicados en este proceso, slo Drdano posee unas races troyanas, aunque su origen se situase en Arcadia38. Las noticias ms antiguas sobre la presencia de Drdano en Italia se localizan en la
Etruria septentrional, ms en concreto en la ciudad de Cortona. Cierto es
que las fuentes no son del todo explcitas, comenzando por el mismo Virgilio, quiz la mas importante entre todas ellas. En dos ocasiones, el poeta menciona el origen itlico de Drdano, con especial referencia a una
Corythus Thyrrena como punto de partida del hroe hacia la Trade39. Virgilio no lo dice claramente, pero diversos indicios conducen a identificar Crito con Cortona, de acuerdo con la opinin ms extendida en la actualidad40. Este origen itlico de Drdano no es una invencin de Virgilio, como

como menciona Virgilio (Aen. XII 593 ss). Sobre el particular, J.-L. Voisin, Le suicide dAmata, REL
57 (1979), pp. 254-266; Martnez-Pinna, El rey..., pp. 66 s..
37Sall. Catil. 6,1-2: urbem Romam, sicuti ego accepi, condidere atque habuere initio Troiani, qui Aenea
duce profugi sedibus incertis vagabantur, cumque eis Aborigines, genus hominum agreste sine legibus, sine
imperio, liberum atque solutum. Hi postquam in una moenia convenere, dispari gente, dissimili lingua,
alius alio more viventes, incredibile memoratu est quam facile colaverint: ita brevi multitudo diversa atque
vaga concordia ciuitas facta erat; cf. Serv. Aen. I 6. Sobre este pasaje, ltimamente, D. Briquel, Salluste,
Catilina, VI, 1-2: une vision aberrante des origines de Rome, en Aere perennius, Paris 2006, pp. 83-105.
38Sobre el Drdano itlico pueden verse, con referencias, V. Buchheit, Vergil ber die Sendung Roms,
Heidelberg 1963, pp. 151 ss.; G. Colonna, Virgilio, Cortona e la leggenda etrusca di Dardano, ArCl
32 (1980), pp. 1-15; D. Briquel, Les Plasges en Italie, Roma 1984, pp. 161 ss.; D. Musti, Dardano, en
EncVirg, I, Roma 1984, pp. 998-1000.
39Verg. Aen. III 165 ss.; VII 205 ss.
40En contra se manifiesta N. Horsfall, Corythus: The Return of Aeneas in Vergil and his Sources,
JRS, 63 (1973), pp. 68 ss., quien se inclina por Tarquinia. Pero sus argumentos no son del todo convincentes: cf. E.L. Harrison, Vergils location of Corythus, CQ 26 (1976), pp. 293-295.

Italia y Roma desde una perspectiva legendaria

17

sostena V. Buchheit41, sino que debi inspirarse en las propias tradiciones


etruscas, con las que el poeta estaba familiarizado. Son muy significativas al
respecto, como ha sido sealado repetidamente, las inscripciones etruscas de
Tnez en las que se dedican a Tinia los lmites de los dardanios42. Como
se sabe, estos epgrafes denuncian el asentamiento en Africa de un grupo de
etruscos septentrionales en torno al ao 100 a.C.43, que se califican a s mismos como dardanios en referencia a su antepasado mtico, Drdano, lo que
indica sin lugar a dudas que la leyenda sobre este personaje ya estaba entonces firmemente asentada en Etruria.
Pero Crito es tambin el nombre de varios hroes griegos. El que aqu
interesa es uno de origen arcadio, introducido tanto por razones de homofona como por su relacin con Tlefo en Cortona, donde probablemente
se superpuso a otro hroe griego relacionado previamente con la ciudad,
Odiseo44. A este respecto, el gramtico Servio resulta ms explcito cuando
recuerda una variante de la tradicin, segn la cual Drdano era hijo de Crito, epnimo de Cortona, de donde sali para dirigirse a la Trade45. Y en
efecto, parece que fue Crito quien atrajo a Drdano hacia Cortona, proceso cumplido, segn seala G. Colonna, a instancias de los ambientes eruditos de la ciudad, empapados desde antiguo de una fuerte influencia griega,
en una fecha no anterior el siglo II a.C.46 La introduccin de Drdano en
Cortona slo se justifica por el intento de establecer un vnculo con Roma.
Siendo Drdano el progenitor de la estirpe troyana, incluido Eneas, los cortoneses proclaman una ascendencia comn y a la vez su mayor antigedad
respecto a Roma.
Esta misma proyeccin de Drdano se observa en la ciudad latina de Cora, fundada a Dardano Troiano47. En las breves referencias conservadas Crito no es mencionado, pero su presencia fcilmente se intuye por la proximidad fontica entre los nombres del hroe y de la ciudad, lo que permite
suponer que esta versin se cre una vez asentada la leyenda de Crito y
Drdano. Una segunda versin identifica al fundador de Cora en el hroe

41

Buchheit, Vergil..., pp. 151 ss. Vase en contra Horsfall, Corythus..., pp. 74 ss.
ET Af 8. Sobre las inscripciones, puede consultarse J. Heurgon, Inscriptions trusques de Tunisie,
CRAI 1969, pp. 526-551 (= Scripta varia, Bruxelles 1986, pp. 443-447).
43Con diferentes perspectivas cronolgicas, Heurgon, Inscriptions...; Id., Les Dardaniens en Afrique, REL 47 (1969), pp. 284-294; M. Sordi, La fuga di Mario nell88 e gli Etruschi di Africa, Klio
73 (1991), pp. 408-412 (= Prospettive di storia etrusca, Como 1995, pp. 115-120); Ead., C. Mario e una
colonia etrusca in Tunisia, ArCl 43 (1991), pp. 363-366.
44Vase Briquel, Les Plasges, p. 164.
45Serv. Aen. III 167.
46 Colonna, Virgilio, p. 12.
47Plin. nat. III 63; tambin Sol. 2,7: Coram a Dardano.
42

18

Jorge Martnez-Pinna

Coras48, personaje conocido tambin como uno de los tres hermanos argivos,
junto a Tiburto y Catilo, que fundaron Tibur49. Entre estas dos ciudades,
Cora y Tibur, surge un cierto paralelo: ambas poseen una leyenda de fundacin argiva ms antigua y junto a sta, y de forma independiente, desarrollan
otra con el propsito de relacionarse con Roma. Tibur acude a Evandro, cuyo praefectus classis, llamado Catilo, aparece como fundador de la ciudad en
una tradicin recogida por Catn50, mientras que Cora hace lo propio a travs de Drdano. Esta ltima versin lleg a Plinio, fuente a su vez de Solino,
probablemente desde Varrn51, quien a su vez la recogi en ambientes locales. Quiz la leyenda surgi al amparo de la remodelacin monumental del
templo de los Castores en Cora en la primera mitad del siglo I a.C., habida
cuenta que ya se haba producido en Roma una asimilacin entre Castores y
dioses Penates, y estos a su vez con los Magni Di de Samotracia, cuya relacin con Drdano y los Penates troyanos era aceptada desde antiguo52.
Como antes sealaba, la mayor parte de las tradiciones itlicas que se vinculan a Roma proceden del sur, de ambientes culturales de matriz griega y
por tanto familiarizados con el concepto y la aplicacin de la synghneia. Un
primer personaje a tener en cuenta es Tlefo. Segn una versin annima
transmitida por Plutarco, Rhome, quien dio nombre a la ciudad, era hija de
Tlefo, hijo de Heracles53. La interpretacin casi general vincula esta tradicin con aquella otra relativa a la presencia de Tlefo en Etruria, en concreto
con la genealoga que menciona Licofrn, segn la cual Tarchon y Tirreno
era hijos suyos54. De esta manera, Rhome sera hermana de los grandes h48Serv.

Aen. VII 672.


noticia principal se encuentra en Sol. 2.8, quien invoca como fuente a un tal Sextio; tambin
aluden al origen argivo de Tibur, Verg. Aen. VII 670 ss.; Hor. carm. II 6,5; Porph. in Hor. carm. I 7,13; II
6,5; Serv. Aen. VII 670. Sobre el particular, M.T. Laneri, Una strana narrazione catoniana sulla fondazione di Tivoli (in Solin., 2.7-8), Sandalion 18 (1995), pp. 133-146; D. Briquel, La lgende de fondation
de Tibur, ACD 33 (1997), pp. 63-81; W. Lapini, Solino e la fondazione di Tivoli, BStudLat 28 (1998),
pp. 467-477; A. Meurant, La valeur du thme gmellaire associ aux origines du Tibur, RBPhH 76
(1998), pp. 37-73.
50Catn fr. 56 P = fr. II 26 Ch (= Sol. 2,7): Tibur, sicut Cato facit testimonium, a Catillo Arcade
praefecto classis Evandri. Los vnculos de Tibur con Roma a travs de Evandro se refuerzan con aquella
versin que identifica a Carmenta, madre de Evandro, con una ninfa local (Serv. auct. Aen. VIII 336).
51En contra, Horsfall, Corythus..., p. 72. Por su parte, Musti, Dardano, p. 999, parece inclinarse
por Catn.
52Sobre el papel de Drdano en la historia de los Penates, A. Dubourdieu, Les origines et le dveloppement du culte des Pnates Rome, pp. 131 ss.
53Plut. Rom. 2,1.
54Lyc. Alex. 1245 ss. As, con distintas apreciaciones, B. Niese, Die Sagen von der Grndung Roms,
HZ 59 (1888), p. 489; A. Rosenberg, Romulus, en RE I.A (1914), col. 1082; F. Schachermeyr, Telephos und die Etrusker, WSt 47 (1929), pp. 155 ss.; Alfldi, Early..., p. 279; W.A. Schrder, M. Porcius Cato. Das erste Buch der Origines, Meisenheim 1971, p. 68; P.M. Martin, Hrakls en Italie daprs
49La

Italia y Roma desde una perspectiva legendaria

19

roes etruscos, con lo cual se establece un vnculo entre Etruria y Roma. Sin ir
tan lejos, otra corriente moderna niega el parentesco de Rhome con Tarchon
y Tirreno, pero s inserta la versin de Plutarco en un contexto etrusco55. Pero esta lnea de interpretacin suscita, en mi opinin, algunas dudas. Rhome
es una figura griega, inventada con una finalidad eponmica respecto a Roma: as se muestra en la primera mencin conocida de este personaje, el fragmento de Helnico relativo a la fundacin de Roma por Eneas (y Odiseo),
cualidad que no perdi a lo largo de toda su existencia56. No tiene sentido
alguno que Rhome fuese relacionada con Etruria, y desde luego la gran mayora de las referencias a este personaje proceden de la Grecia propia o de
ambientes griegos de la Italia meridional. Segn creo, el origen del vnculo
de Tlefo con Roma a travs de Rhome hay que buscarlo en otra direccin57.
Tlefo goz de no poca fama en Etruria al menos desde comienzos del siglo
IV58, pero no menos presencia tena en Campania, donde era considerado
fundador de Capua y como tal representado en sus monedas59. Teniendo en
cuenta, por un lado, que la figura de Rhome era muy conocida en los crculos helenizados del sur de Italia y, por otro, la estrecha relacin poltica entre
Roma y Capua previa a la guerra de Anbal, no sera aventurado pensar que
la tradicin que ahora nos ocupa procede de ambiente campano.
Pero no habra sido ste el nico vnculo de synghneia creado entre Roma y Capua. A comienzos del siglo II a.C., Hegesianax de Alejandra Troas,
bajo el pseudnimo de Cefaln de Gergis, regoge una versin segn la cual
Rmulo y Rhomos, hijos de Eneas, fundaron Capua60. La noticia nos ha llegado de forma muy escueta, pero fcilmente se puede presumir que se trata
asimismo de los fundadores de Roma. Esta versin no fue inventada por Hegesianax, sino que muy posiblemente el historiador microasitico la conoci
Denys dHalicarnasse (A.R., I, 34-44), Athenaeum 50 (1972), pp. 271 ss.; C. Ampolo, en Plutarco. Le
vite di Teseo e di Romolo, Milano 1988, p. 267; M. Sordi, Il mito di Telefo e gli Arcadi in Etruria, Aevum 80 (2006), p. 64.
55Cf. J. Perret, Les origines de la lgende troyenne de Rome, Paris 1942, pp. 468 s.; D. Briquel,
Lorigine lydienne des trusques, Roma 1991, pp. 185 ss.
56 Helnico, FGrHist 4,84 (= Dion. I 72,2. Sobre este personaje, J. Martnez-Pinna, Rhome: el
elemento femenino en la fundacin de Roma, Aevum 71 (1997), pp. 79-102).
57Apoyndose en la imagen de Tlefo como antepasado de los Atlidas, algunos autores interpretan
esta tradicin desde una perspectiva pergamena: P. Gros, La lgende de Tlphe Pergame et Aphrodisias, en Historia y biografa, Madrid 1997, p. 74; Erskine, Troy..., pp. 222 s.; en un sentido ms amplio,
Mavrogiannis, Aeneas..., pp. 137 ss.; Id, Evandro sul Palatino, A&R 49 (2004), pp. 14 ss. Pero la
variante de Plutarco se mueve en un contexto itlico.
58 M. Harari, La preistoria degli Etruschi secondo Licofrone, Ostraka 3 (1994), pp. 273 s.; Sordi,
Il mito di Telefo
59 J. Heurgon, Recherches sur lhistoire, la religion et la civilisation de la Capoue prromaine, Paris
1942, pp. 224 s.
60Cefaln FGrHist 45,8 (= Etym. Magn. 490 G).

20

Jorge Martnez-Pinna

en sus viajes a Italia como embajador de Antoco III61. Siguiendo esta misma
lnea, Dionisio de Halicarnaso transmite a su vez una extraa tradicin sobre
una doble fundacin de Roma, la primera de las cuales la segunda es la cannica latina de Rmulo y Remo concede el protagonismo a Rhomos, hijo
de Eneas, quien adems de Roma habra fundado Capua, Anquisa y Enea62.
Es posible que estemos ante el reflejo de una antigua crnica campana, que
buscaba reafirmar los vnculos entre Capua y Roma mediante una synghneia mtica, consecuencia en ltima instancia del estrecho vnculo poltico
que durante ms de un siglo uni a ambas ciudades63.
Localizada asimismo en rea campana es aquella extraa versin sobre el
origen de Roma que el gramtico Festo atribuye a un desconocido historiae
Cumanae compositor64. La noticia habla sobre gentes originarias de Atenas,
que tras pasar por Sicione y Tespies, llegaron finalmente al Lacio, donde tomaron el nombre de aborgenes y fundaron una ciudad sobre el Palatino llamada Valentia; tiempo despus se presentaron Evandro y Eneas y rebautizaron el poblamiento como Roma. Esta leyenda ha suscitado interpretaciones
muy diversas y no pocas discusiones, desde la identificacin de su autor y
poca de redaccin hasta su significado en funcin de diferentes situaciones
polticas65. Segn creo, el relato es de composicin relativamente reciente,
no anterior a mediados del siglo II a.C., pues aunque deriva de mano griega,
exige un conocimiento nada superficial de tradiciones latinas: la etimologa
que propone del nombre de los aborgenes, as llamados multo errore, tiene
valor de prueba. El nico dato seguro es que el autor es de Cumas, ciudad
sobre la cual exista una leyenda protagonizada por tespios con antecedentes
atenienses, que bajo la direccin de Iolao colonizaron Cerdea, asentndose finalmente en Cumas66. Parece entonces que este desconocido historiador pretenda aplicar a Roma un origen similar al de su propia ciudad, pero
aceptando tambin elementos ya muy anclados en las tradiciones romanas.
En nuestro recorrido por el sur, el siguiente personaje que encontramos
es Italo. Al igual que sucede con Tlefo, el nexo entre Italo y el origen de
Roma se establece a travs de la genealoga del fundador o de la figura epnima. Se conocen al respecto dos versiones, procedentes quiz de la misma
matriz. Una de ellas, transmitida por Plutarco, dice que la herona epnima,
Rhome, era hija de Italo y de Leucaria y se cas con Eneas; la segunda, que
61As

lo supone con fundamento Perret, Les origines..., p. 512.


I 73,3.
63 Niese, Die Sagen..., p. 490; W. Schur, Griechische Traditionen von der Grndung Roms, Klio 17
(1920-1921), pp. 145 s.
64 Fest. 328 L.
65Sobre el particular, con discusin y referencias, Martnez-Pinna, La prehistoria..., pp. 32 ss.
66Diod. V 16. Vanse asimismo Paus. X 17,5; Steph. Byz. 21 M.
62Dion.

Italia y Roma desde una perspectiva legendaria

21

conocemos por Dionisio, concede la fundacin de Roma a Rhomos, hijo asimismo de Italo y de Leucaria, hija de Latino67. Uno de los aspectos fundamentales es la identificacin de Leucaria, en quien muy probablemente haya
que ver una interpretatio graeca de la ciudad de Alba68: su relacin directa
con Latino as induce a verlo. No sera sta la nica vez que Alba es personificada como madre del fundador de Roma, condicin que previamente fue
utilizada por al siciliano Alcimo69. Desde esta perspectiva, Roma es presentada como fruto de la unin de una componente italiota con otra latina, de
forma que aceptando antiguas tradiciones del Lacio, se introduce a la vez un
elemento nuevo que determina una comunidad de origen con los griegos del
sur70.
A un momento posterior pertenece otra tradicin protagonizada por Italo, no centrada propiamente en Roma sino en el Lacio. Transmitida por Servio, habla de Italo, rey de los sculos, que llega al Lacio desde Sicilia durante
el reinado de Turno, se asienta en la regin de Laurentum y a partir de su
nombre se denomina toda Italia71. No puede negarse que se trata de una noticia muy singular, ya que sin mencionarla, se enmarca en el contexto de la
leyenda troyana. En efecto, Italo es dibujado como un doble de Eneas y su
aventura latina rememora la del hroe troyano. Servio nada dice sobre su
autor, pero debe tratarse de un siciliano que conoce las tradiciones latinas
sobre Eneas, y en particular aqulla fijada por Catn, el primero en otorgar
a Turno un papel destacado. En esta versin se presenta una comunidad de
origen entre Sicilia y el Lacio, pero reconociendo la hegemona romana. Italia tiene su origen en el Lacio, al contrario de la visin tradicional griega, en
la que el concepto de Italia se va extendiendo de sur a norte72.
Con Italo nos introducimos en Sicilia, que si bien se incluye stricto sensu
en el mbito provincial, constituye una de las regiones ms fecundas en tradiciones de synghneia con el Lacio. Estas se expresan en referencia bien a
ciudades concretas del Lacio, bien a la regin latina en su conjunto, Roma
incluida. En el primer caso se trata de hroes de origen siciliano inventados a

67Plut.

Rom. 2,1; Dion. I 72,6.


lo defenda ya A. Schwegler, Rmische Geschichte, I, Tbingen 1853, p. 400 n. 1. Esta es
la opinin que en la actualidad goza de mayor nmero de seguidores, aunque no la nica alternativa
propuesta. Leucaria ha sido tambin interpretada como una personificacin de Lucania o de la ciudad
apula de Luceria (sobre esta ltima, Niese, Die Sagen..., pp. 490 s.; D. Musti, Il processo di formazione
e diffusione delle tradizioni greche sui Daunii e su Diomede, en La civilt dei Dauni nel quadro del mondo
italico, Firenze 1984, pp. 104 ss. [= Strabone e la Magna Grecia, Padova 1994, pp. 186 s.]).
69Alcimo FGrHist 560,4 (= Fest. 326 L).
70Cf. Ampolo, en Plutarco. Le vite, pp. 266 s.
71Serv. Aen. I 2; 533.
72Cf. F. Prontera, LItalia nellecumene dei Greci, GeogAnt 7 (1998), pp. 5-14.
68As

22

Jorge Martnez-Pinna

propsito como fundadores de ciudades latinas. Un grupo consistente de noticias fueron recogidas por el analista romano Casio Hmina, quien recuerda
como fundadores de Aricia y de Crustumerium a los sculos Arquloco y Sculo respectivamente73. Quiz tambin se deba a Hmina la procedencia de
la tradicin sobre Gabii, fundada por los hermanos sculos Galatio y Bin,
que conocemos por Solino74. En este mismo contexto hay que situar la tradicin atribuida a Fabio Pctor en una inscripcin de Taormina sobre el siciliano Lanoios, quien en compaa de sus aliados Eneas y Ascanio se traslad
a Italia75. Este Lanoios no es otro que el mtico fundador de la ciudad latina
de Lanuvium, que como sabemos por otra inscripcin, era considerada una
apoika de la siciliana Centuripe76. No puede precisarse cul era el papel de
Lanoios en la obra de Fabio. En el mejor de los casos, el historiador romano
habra recogido una tradicin siciliana qua haca de Lanuvium una fundacin del hroe, aunque cabe tambin la posibilidad de que se trate de un
aadido del redactor de la inscripcin77. En cualquier caso, las aspiraciones
de Centuripe son claras: establecer un parentesco con Lanuvium e indirectamente tambin con Roma78.
Desde una perspectiva ms general, la componente siciliana en el pasado
ms lejano de Roma se identifica en la presencia de los sculos. Sin duda,
este pueblo siciliano fue utilizado como vehculo de integracin de Roma en
el mundo griego a partir de la incorporacin de Sicilia al dominio romano,
proceso del cual las tradiciones anteriores no son sino un mero reflejo. La
idea de un Lacio sculo debi estar muy enraizada en el siglo II. As se aprecia, por ejemplo, en el orculo de Dodona relativo a los pelasgos, que son
enviados al Lacio, caracterizado como tierra de los sculos: pero como ha
mostrado D. Briquel, se trata de un Lacio entendido desde el punto de vista
romano79. Esta misma idea lleg a penetrar tambin en las tradiciones locales latinas, como lo muestra aqulla relativa a Tibur, desarrollada a partir del

73

Hmina fr. 2 P = fr. 2 Ch (= Sol. 2,10); fr. 3 P = fr. 3 Ch (= Serv. auct. Aen. VII 631).
2,10. No es improbable que Solino derive de Hmina, a quien menciona inmediatamente
despus a propsito de Aricia, teniendo adems en cuenta la preocupacin de este analista hacia la
etimologa y la eponimia: cf. M. Chassignet, tiologie, tymologie et ponymie chez Cassius Hemina:
mcanismes et fonction, LEC 66 (1998), pp. 321-335.
75 Fabio Pictor fr. 1 Ch. Sobre esta inscripcin pueden verse los trabajos de G. Manganaro, Una
biblioteca storica nel ginnasio di Tauromenion e il P.Oxyr. 1241, PdP 29 (1974), pp. 395 ss., y el incluido
en A. Alfldi, Rmische Frhgeschichte, Heidelberg 1976, pp. 87 ss.
76 G. Manganaro, Un Senatus consultum in greco dei Lanuvini e il rinnovo della cognatio con i Centuripini, RAAN 38 (1963), pp. 23-44.
77Vase una discusin sobre el particular en Martnez-Pinna, La prehistoria..., pp. 90 s.
78Cf. Giardina, LItalia..., pp. 23 s.
79Dion. I 19,3; Macr. Sat. I 7,28. Vase D. Briquel, Les Plasges en Italie, pp. 355 ss.
74Sol.

Italia y Roma desde una perspectiva legendaria

23

nombre de un barrio de la ciudad80. La misma Roma no se vio al margen, de


modo que los romanos llegaron a aceptar una componente scula en su ms
remoto pasado, si bien transformando su significado originario: los sculos
no llegan a Roma como colonizadores, sino que salen de all para colonizar
otras regiones. De esta forma lo representa Varrn, para quien los sculos
eran los primeros habitantes del Lacio, expulsados por los aborgenes81, reconstruccin que inmediatamente ser desarrollada por Dionisio, quien ve
en los sculos a una poblacin brbara, autctona del Lacio, a la que era necesario desalojar. Tambin Verrio Flaco presenta un panorama similar, con
los sculos vctimas de la expansin de los aborgenes, que les expulsan del
lugar llamado Septimontium, donde ms tarde surgir Roma82. En definitiva, estos autores recogen el sentir de la historiografa oficial romana, traducida en la expresin de los anales pontificales donde se afirma que los sculos
eran originarios de Roma83. Esta ltima se alza entonces como metrpoli, no
como colonia, conforme a la posicin de Roma como seora de Italia.
Intentemos ahora obtener algunas conclusiones. Durante el proceso de
conquista de Italia y la inmediata fase de normalizacin del dominio romano
tras la sacudida de la guerra de Anbal, se lleva a cabo una revisin de antiguas leyendas en funcin de las nuevas condiciones que se estn creando. Tal
proceso se desarrolla tanto desde el punto de vista itlico como del romano.
As, vemos cmo nuevas familias de la nobilitas, procedentes de diversas regiones peninsulares, aportan consigo su propio patrimonio histrico y legendario, que insertan en el ambiente romano que viven. Por otra parte, tampoco es infrecuente la aplicacin del mecanismo de superposicin de hroes,
de forma que antiguos fundadores griegos son sustituidos por otros locales
con el fin de establecer vnculos de parentela con Roma84. Pero tambin desde el lado romano se contribuye a reforzar nexos con Italia. La poltica expansionista romana se ve acompaada de una mitologa que transfoma elementos locales proporcionndoles una perspectiva propia. Sirva a modo de
ejemplo lo sucedido con Diomedes tras la instalacin en Benevento de una

80Vase

Briquel, La lgende, p. 66.


F. Della Corte, Lidea della preistoria in Varrone, en Atti Congresso Internazionale Studi Varroniani, I, Rieti 1976, pp. 114 s.
82 Fest. 424 L. En esta versin los sculos estn acompaados de los ligures, atraidos a Roma por los
primeros (cf. D. Briquel, Denys, tmoin de traditions disparues: lidentification des Aborignes aux Ligures, MEFRA 101, 1989, p. 103). En el interpolador a Servio aparece un desarrollo de esta versin, con
una serie de pueblos que sucesivamente habran habitado en el solar de Roma: sculos, ligures, sacranos
y aborgenes (Serv. auct. Aen. XI 371).
83Varro ling. V 101: a Roma quod orti Siculi, ut Annales veteres nostri dicunt.
84Cf. A. Mastrocinque, La fondazione di Adria, en Antichit delle Venezie, Este 1990, esp. pp. 55
ss.
81Cf.

24

Jorge Martnez-Pinna

colonia romana: all se localiza entonces el encuentro entre Diomedes, presente en el lugar con anterioridad, y Eneas y la entrega a ste del Paladio85.
O la actuacin de C. Sempronio Tuditano en su campaa en Istria en el ao
129, que se presenta bajo la apariencia de Antenor86. En esta misma lnea
cabe recordar cmo en el siglo II a.C., con Italia por completo sometida, se
siente la necesidad de estudiar la protohistoria italiana87, destacando en este
sentido la obra de Catn, cuyo eje ideolgico, en palabras de C. Letta, no era
otro que lesaltazione di Roma e dellItalia, y en efecto, i mores nazionali
... non erano solo strettamente romani, ma comuni a Roma e allItalia88.
Como consecuencia lgica, las tradiciones que buscan establecer una
synghneia con Roma, o en cualquier caso una proximidad en los orgenes,
se sitan preferentemente en la poca en que Italia est sometida al dominio
romano, con anterioridad a la guerra social. Superada esta ltima, apenas se
suscita ya una necesidad imperiosa de invocar unos orgenes comunes, puesto que toda Italia se encuentra bajo el amparo de la civitas romana, de forma
que la integracin se ha consumado perfectamente a travs del derecho. El
proceso culmina en la poca de Augusto, en cuyas manifestaciones literarias
se exalta la unidad de Italia reconociendo unos valores comunes89. As se
entiende que en la descripcin del palacio de Pico, Virgilio menciona la presencia de las estatuas de los antepasados y entre ellas las de Italo y Sabino,
ausentes sin embargo cuando unos versos antes relaciona a los ascendientes
de Latino90. En opinin de V.J. Rosivach, this series of kings and heroes
emphasizes war and victory, and hegemony in Italy91; pero segn creo, ms
que la hegemona este hecho parece simbolizar la unidad de Italia, lograda
bajo la gida romana.
Tampoco con anterioridad a la anexin de Italia se justifica con nitidez
la existencia de tradiciones de este tipo en un contexto puramente itlico.
No hay un inters manifiesto por vincularse a Roma, lo que no surgir, una
vez producida ya la incorporacin poltica de los itlicos, hasta que se desvanezca toda posibilidad de recuperar la independencia. Casos extraordinarios

85Vase G. Traina, Roma e lItalia: tradizioni locali e letteratura antiquaria (II a.C. - II d.C.), RAL
4 (1994), pp. 592 s.
86 L. Braccesi, La leggenda di Antenore, Padova 1984, pp. 98 ss. En este sentido cabe resear la tragedia de Accio titulada Antenoridae, que como sugiere Gabba, Sulla valorizzazione..., p. 93, posiblemente
haya que poner en relacin con la expedicin de Sempronio Tuditano.
87Cf. S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, II.1, Bari 1966, p. 86.
88 Letta, LItalia, pp. 24 y 416, respectivamente.
89Vase M. Sordi et a., Lintegrazione dellItalia nello Stato romano attraverso la poesia e la cultura
proto-augustea, en Contributi dellIstituto di Storia Antica, 1 (1972), pp. 146-175.
90Verg. Aen. VII 45 ss. (ascendientes de Latino); 170 ss. (regia de Pico).
91 V.J. Rosivach, Latinus Genealogy and the Palace of Picus, CQ 30 (1980), p. 150.

Italia y Roma desde una perspectiva legendaria

25

pueden ser aquellos en los que la leyenda troyana representa un elemento


comn ya desde antiguo, y que por tanto se localizan en reas no propiamente itlicas. El primero fue protagonizado por la helenizada ciudad lima
de Segesta, cuyo origen troyano como el del pueblo de los limos en su
conjunto se eleva a la historiografa tica del siglo V a.C.92 En el ao 263,
Segesta solicit la ayuda romana contra los cartagineses reclamando estas comunes races troyanas93. Pero se trata de un caso precoz, que precede a la
profusa utilizacin del mito troyano en las relaciones entre Grecia y Roma
en el siglo II a.C. Un segundo ejemplo de este mismo motivo se refiere a los
vnetos, aunque las fuentes no son tan explcitas. Al igual que los latinos,
los vnetos podan reclamar tambin para s un origen troyano, en este caso a travs de la figura de Antenor, cuya presencia en la regin aparece ya
documentada en autores griegos del siglo V a.C.94 En su estudio sobre la
leyenda de Antenor, L. Braccesi llama la atencin acerca de las diferentes
alianzas y ayudas que los vnetos habra prestado a los romanos, sealando
aquellas histricamente documentadas95 y otras por el contrario de carcter
legendario96. Tan amistosas relaciones fueron interpretadas posteriormente
en razn a la comn parentela troyana existente entre romanos y vnetos, lo
que permite concluir, en opinin de Braccesi, que la leyenda de Antenor se
revitaliz en ambientes locales del Vneto, a finales del siglo III y comienzos del siguiente, en funcin de estas relaciones con Roma97. El anlisis de
Braccesi, muy fundamentado, resulta convincente, salvo quiz en la fecha de
desarrollo de la leyenda troyana en el Vneto, que posiblemente conviniese
rebajar algn decenio. En cualquier caso, parece cierto que los vnetos intentaron establecer una relacin de synghneia con los romanos invocando
un origen comn.
El caso de los mamertinos resulta sin embargo difcil de comprender. En
el ao 264 los mamertinos solicitan la ayuda de Roma invocando un paren-

92Thuc. VI 2,3; Helnico FGrHist 4,31 (= Dion. I 45,4-48,1). Sobre la cuestin, R. Sammartano,
Origines gentium Siciliae, Roma 1998, pp. 54 ss., 233 ss.
93 Zon. VIII 9,12; asimismo Cic. II Verr. IV 72; Diod. XXIII 5; Plut. Nic. 1,3. Ciertas dudas al respecto
en Perret, Les origines..., pp. 452 s.; A. Erskine, Troy..., pp. 178 ss.
94Sfocles, en Strab. XIII 1,53,608 (Radt, IV, pp. 160 s.). Tal origen se convierte en un lugar comn
en la literatura posterior: Ps.-Scym. 387-390; Cato fr. 42 P = fr. II 12 Ch (= Plin. nat. III 130); Verg. Aen.
I 242 ss.; Liv. I 1,1-3; Strab. I 3,21,61; III 2,13,150; V 1,4,212; XII 3,8,543-544; Iust. XX 1,8; OGR 1,5;
Sol. 2,10; Schol. Verg. Aen. I 242. Antenor era asimismo considerado como el fundador de Padua: Verg.
Aen. I 247 s.; Tac. ann. XVI 21; Mela II 60; OGR 1,5.
95Por ejemplo, Pol. II 23,2: en el ao 225, en el ltimo enfrentamiento entre galos y romanos.
96Pol. II 18,3: a propsito de la invasin de Roma por los celtas de Brenno; Sil. VIII 602 ss.: en la
guerra de Anbal, con referencia a Antenor.
97 Braccesi, La leggenda, pp. 80 ss.

26

Jorge Martnez-Pinna

tesco comn98. Se desconoce el fundamento de tal vnculo, que quiz haya


que relacionarlo con Campania o quiz con la idea de una Italia ya sometida
al dominio romano. En cualquier caso, los mamertinos llevaban mucho tiempo en contacto directo con los griegos, como lo denuncia la helenizacin
de su origen a travs de un ver sacrum, ordenado por Apolo en vez de Marte99, por lo cual no eran ajenos a conceptos como la synghneia.
As pues, vemos cmo en la mayora de las expresiones legendarias que vinculan a Roma con algunos ambientes itlicos, el elemento troyano ocupa un
lugar destacado. Segn palabras de M. Sordi, il mito troiano fu un grande mito di impero100, y en efecto as parece. La leyenda troyana no slo fue
til a Roma en sus relaciones con el mundo griego, y a la inversa. Tambin se
ofrece como el canal ms adecuado para que determinados pueblos de Italia,
especialmente aquellos con un mayor nivel de helenizacin, intenten por su
parte una aproximacin a Roma. Se trata de un gran mito de synghneia, y as
era reconocido igualmente en Italia, de forma que una vez que Roma alcanza
una hegemona indiscutible y para los itlicos no existe otra solucin que su
inclusin en la civitas romana, el mito troyano se alza como una va propicia
para la integracin ideolgica, paso previo a la posterior integracin poltica.
Pero esto no es sino el comienzo de un largusimo desarrollo que sobrepasa los lmites geogrficos de Italia e incluso los temporales de la propia historia de Roma. Y en este punto podemos volver al inicio de la exposicin, pues
cuando el emperador Claudio defenda ante el Senado su propuesta a favor
de los nobles galos, poda haber recurrido al argumento de la consanguinitas.
Una tradicin que al menos se eleva al siglo I a.C., ya que fue utilizada por
Csar en los comienzos de su expedicin de conquista a las Galias, atribua
a los eduos un origen troyano101. Todava en poca medieval la invocacin a
unos orgenes troyanos goz de un amplio eco en Europa, con mltiples desarrollos relativos a muy diversas naciones102. La idea de la continuidad con
el mundo antiguo, y muy especialmente con el Imperio romano, encuentra
pues en la leyenda troyana un instrumento de probada eficacia.
98Pol.

I 10,2; Zon. VIII 8,4.


Fest. 150 L. Pueden consultarse, J. Heurgon, Trois tudes sur le Ver sacrum, Bruxelles 1957, pp.
20 ss.; Dench, From the Barbarians..., pp. 55 s.
100 Sordi, Il mito troiano, p. 17.
101Caes. Gall. I 33,2; tambin se refieren a la misma Cic. Att. I 19,2; fam. VII 10,3; Diod. V 25,1;
Strab. IV 3,2,192); Tac. ann. XI 25; Plut. Caes. 26,5. Segn Lucano (I 427 ss.), igualmente los arvernos
proclamaban tener la misma estirpe. Sobre el particular, O. Hirschfeld, Die Haeduer und Arverner
unter rmischer Herrschaft, en Kleine Schriften, Berlin 1913, pp. 186-208; H. Hommel, Die trojanische
Herkunft der Franken, RhM 99 (1956), pp. 323-341.
102Vanse B. Luiselli, Il mito dellorigine troiana dei Galli, dei Franchi e degli Scandinavi, RomBarb 3 (1978), pp. 89-121; J. Poucet, Lorigine troyenne des peuples dOccident au Moyen ge et la
Renaissance, LEC 72 (2004), pp. 75-107.
99

Foedus, ius Latii und civitas im rmischen Italien


Hartmut Galsterer

Die Fondazione Canussio, deren Vorsitzender Carla Canussio ich fr


die ehrenvolle Einladung hierher sehr dankbar bin, schlug mir vor, einen
Vortrag aus dem Umfeld von Foedus, ius Latii, civitas nellItalia Romana
zu halten. Mit Rcksicht auf den Obertitel der Tagung, nmlich der Frage
nach den verschiedenen Ethnien unter dem gemeinsamen Dach des rmischen Staates werde ich zunchst die rechtlichen Bindungen der Italiker an
Rom, also Brgerrecht usw. behandeln, dann die unterschiedlichen Organisationsformen wie Municipien und Kolonien, und schlielich die fast noch
wichtigeren zwischenmenschlichen Beziehungen zwischen den Regierenden
in Rom und Italien, d.h. zwischen den Senatoren und den lokalen Aristokratien. Die zu untersuchende Thematik behandelt also die politischen und
sozialen Aspekte dessen, was man gemeinhin als Romanisation behandelt.
Ich komme hierauf am Ende meines Vortrages nochmals zurck. Auf lokale
Unterschiede nher einzugehen ist leider im Rahmen meines Vortrags nicht
mglich. Unter Rom ist im Prinzip Rom und sein Territorium zu verstehen, doch wird die Identifikation undeutlich durch die zunehmende Eigenstaatlichkeit der Munizipien, auf die unten einzugehen sein wird. Der behandelte Zeitraum endet, mit Ausnahme einiger Ausblicke in die Kaiserzeit, mit
dem augusteischen Prinzipat.
Bevor ich mich jedoch dem eigentlichen Thema zuwende, sollte ich vielleicht in bester deutscher Tradition, aber dennoch sehr kurz auf die Quellen
eingehen. Wie Sie alle wissen, ist Livius nur fr die Zeit bis 293 und dann
wieder von 218 bis 167 erhalten. Gerade die Zeit, in der sich die rmischitalischen Verhltnisse grundlegend nderten, fehlt also. Darber hinaus
mangelt es Livius wie allen antiken Historikern nicht nur an dem Interesse fr Strukturen und deren Geschichte, sondern auch am Bewusstsein,
dass Begriffe, wie etwa Municipium, in der frhen Republik mglicherweise
eine ganz andere Bedeutung hatten als in der augusteischen Zeit. Eine Korrekturmglichkeit durch Inschriften ist nur in Ausnahmefllen mglich, da
Inschriften berhaupt, und solche mit Informationen ber staatliche Organisationsformen im besonderen, erst ab dem 2. Jh. v.Chr. etwas hufiger

28

Hartmut Galsterer

werden. Ausgrabungen schlielich zeigen zwar das, was man als materielle
Romanisation bezeichnet hat, den Gebrauch von Garum durch entsprechende Amphoren oder die Schriftkultur durch Graffiti und Dipinti die dahinterstehenden Konzepte bleiben uns verborgen.

1. Die Bindung an Rom


Die traditionelle Ordnung Roms unterteilte die Bewohner zuerst Italiens,
dann des Reiches in drei verschiedene Gattungen: An der Spitze der Pyramide standen die rmischen Brger, die cives Romani; unter ihnen, wenngleich
mit ihnen rechtlich und historisch verwandt, kamen die Latiner, zunchst die
kleinste Gruppe. Alle anderen Italiker und Reichsangehrigen waren Fremde, peregrini. Unter Augustus drfte die Zahl der rmischen Brger um 5 bis
6 Millionen betragen haben, wovon maximal eine Million auerhalb Italiens
lebte bei einer geschtzten Zahl fr die Reichsbevlkerung insgesamt von
50-60 Millionen also um 10%.
Die Zahl der Latiner nahm, wie noch zu zeigen sein wird, ab der spten
Republik dramatisch zu, hauptschlich durch en bloc Verleihungen, wenig,
wenn berhaupt, an Einzelne. Das Brgerrecht hingegen wurde sehr hufig
an Einzelne vergeben, meist als individuelle Anerkennung ihrer Verdienste
um Rom, woraus dann in der Kaiserzeit die Prmie fr Hilfstruppensoldaten
wurde, die mindestens 25 Jahre ohne Tadel in ihrer Ala oder Kohorte gedient hatten. Die Verleihung an Kollektive war auf Stdte beschrnkt, ganze
Provinzen bekamen das Brgerrecht anscheinend nie, obwohl die Vorbilder
solcher Verleihungen, die leges Iulia, Pompeia u.a. im Bundesgenossenkrieg
gerade das geregelt hatten.
Fr die meisten Angehrigen des Reiches war die Art ihres Brgerrechtes
verknpft mit ihrer Gemeindezugehrigkeit, wobei es eine Art von Kompatibilitt von oben nach unten gab: In einer rmischen Stadt konnten nur cives Romani Stadtbrger sein, in einer latinischen Rmer und Latiner und in
einer Gemeinde peregrinen Rechts neben den eigenen Brgern auch Latiner
und Rmer.
Dies war die Folge einer der bemerkenswertesten rechtlichen Neuerungen
in der ausgehenden Republik, von der wir, und das ist typisch fr die berlieferung, weder den Urheber noch den Zeitpunkt kennen: Es handelt sich
 W. Scheidel, Human Mobility in Ancient Italy I: The Free Population, JRS 94 (2004), 1-26;
II: The Slave Population, JRS 95 (2005), 64-79; auf das Doppelte, nmlich 10 bis 12 Millionen unter
Augustus, kommt E. Lo Cascio, The Population of Roman Italy in Town and Country, in J. Bintliff - K.
Sbonias (edd.), Reconstructing Past Population Trends in Mediterranean Europe (3000 BC - AD 1800),
1999, 1963.

Foedus, Ius Latii und Civitas im rmischen Italien

29

um die Vereinbarkeit des rmischen Brgerrechts mit anderen, d.h. Roms


ffnung fr Angehrige anderer Gemeinden, die nicht die Absicht hatten,
nach Rom berzusiedeln. Man muss betonen: die nicht die Absicht hatten,
nach Rom berzusiedeln. Fr Einwanderer nmlich, vor allem wenn sie
aus der Aristokratie ihrer Heimat kamen, war Rom immer offen; ich brauche nur auf Tarquinius Priscus hinzuweisen, Enkel eines korinthischen Exulanten und Sohn eines etruskischen Adligen aus Tarquinii, der dann der 5.
Knig Roms wurde. Ein anderes bekanntes Beispiel ist Atta Clausus, der mit
angeblich 5000 Angehrigen seines Clans aus der Sabina nach Rom bersiedelte und dort der Vorfahr der adelsstolzen Familie der Claudier wurde.
Neben solchen einzelnen Zuwanderern, die die Bevlkerungszahl Roms
vermehrten, gab es auch die Zuwanderung, oder besser Eingemeindung
ganzer Vlker. Von den Sabinern am Quirinal im 7. Jh. ber die Bewohner
Veiis 396 bis zu einer Reihe alter latinischer Stdte 338 wurden die berlebenden der Eroberungskriege von Rom geschluckt und in die civitas Romana aufgenommen. Sie verloren ihre eigene Verwaltung und Rechtsordnung
und wurden Rmer unter Rmern.
Dies klingt fr heutige Ohren misstrauenerregend grozgig von den rmischen Siegern, statt eines generellen Massakers oder der Versklavung der
Bevlkerung Milde walten zu lassen. Auch ist ja in den Quellen fr die rmische Frhzeit oft genug die Rede davon, dass diese oder jene Stadt zerstrt oder vernichtet wurde (deleta, excisa). Hufig ist auch die Rede von
nomen (Aequorum, Volscorum etc.) deletum.
Man sollte nomen hier ganz wrtlich nehmen: der Name wurde ausgelscht. Mehr und Genaueres wusste wohl auch Livius von solchen Zerstrungen nicht als dass die betreffende Stadt von der politischen Landkarte
verschwunden war und nicht mehr als Gegner in Kriegen und als Lieferant
fr Triumphe auftauchte. Nomen ist der politisch-religise Zusammenschlu
der Mitglieder eines Stammes: Das nomen Latinum umfasste in seiner letzten
Form dreissig Mitglieder.
Helfen kann hier zur Aufklrung, was bei solchen Vernichtungen passiert sein kann, die Archologie. Ich mchte Sie aus Italien kurz in meine
rheinische Heimat entfhren und Ihnen den Fall der Eburonen in Erinnerung rufen. Sie erinnern sich an das fnfte Buch des Bellum Gallicum: Der

Die

Zahl 5000 fr die Claudier sollte man natrlich schnell vergessen.


H. Galsterer, Herrschaft und Verwaltung im republikanischen Italien. Die Beziehungen Roms zu
den italischen Gemeinden vom Latinerfrieden 338 v.Chr. bis zum Bundesgenossenkrieg 91 v.Chr., Mnchen 1976, 84 ff. und jetzt: Rom und Italien vom Bundesgenossenkrieg bis zu Augustus, in M. Jehne
- R. Pfeilschifter, Herrschaft ohne Integration? Rom und Italien in republikanischer Zeit, Frankfurt/M.
2006, 293-310.


30

Hartmut Galsterer

Eburonenfrst Ambiorix hatte sich mit Germanen von jenseits des Rheins
verbndet und 15 Kohorten Caesars, die im Gebiet seines Stammes berwintern sollten, vernichtet. Als Rache hierfr rief Caesar einen Vernichtungsfeldzug gegen die Eburonen aus, der mit deren Untergang endete. Man
sollte also in deren Gebiet zwischen Rhein, Maas und Eifel Zerstrungsspuren in Masse erwarten. Hiervon kann jedoch keine Rede sein. Die Eburonen
verschwinden zwar aus der historischen berlieferung, d.h. weder literarisch
noch epigraphisch sind spter Eburonen belegt; an ihrer Stelle tauchen an
den Randgebieten des frheren Eburonengebiets aber neue Stmme auf,
wie die Sopeni, Sunuci und Tungri, die die archologische Kultur der Eburonen weiterfhren. Es handelt sich hier anscheinend um Teilstmme der
Eburonen, die nun als selbstndige Einheiten agieren, nachdem der zentrale
Nucleus des Stammes mit der Herrscherfamilie, an dem der Eburonenname
hing, verschwunden war. Einige Generationen spter verschwinden auch die
Sopeni und Sunuci und werden in den neuen Grostamm der Ubier integriert, den Agrippa zur Besiedlung der deserta Eburonum, wie man sie nennen knnte, von der anderen Rheinseite geholt hatte. Die Ubier wiederum
existierten noch etwa 50 Jahre neben der neuen Colonia Claudia Ara Agrippinensium weiter, die Claudius in ihrer Mitte gegrndet hatte, bis auch der
letzte von ihnen Koloniebrger geworden war. Damit war auch das nomen
Ubiorum untergegangen, es gab nur noch Agrippinenses.
Das Verschwinden von Stammes- oder Stadtnamen, des nomen, muss also nicht in jedem Fall bedeuten, dass seine Trger physisch verschwunden
waren. Wir sehen das auch hier in Italien, wo die Senonen und die Boier
von den Rmern bekanntlich ausgerottet wurden und ihr Land als ager
Gallicus an den rmischen Staat fiel, der dort Kolonisten ansiedelte. Die
Archologie zeigte in den letzten Jahren jedoch mehr und mehr, dass diese Vertreibung der Gallier hchstens das Kernland beider Stmme in der
fruchtbaren Kstenebene betraf. Im weniger ertragreichen Vorappenin hingegen finden sich weiterhin eine ganze Reihe von gallischen Nekropolen, die
bis ans Ende des 3. Jhs. v.Chr. reichen. Selbst in der Vorgngersiedlung der
 Zu dem Weiterleben der Kultur der Eburonen vgl. jetzt G. Creemers - A. Vanderhoeven, Vom
Land zur Stadt. Die Entstehung des rmischen Tongern, in G. Uelsberg (ed.), Krieg und Frieden. Kelten
- Rmer - Germanen, Bonn 2007, 263 f.
 W. Eck, Kln in rmischer Zeit. Geschichte einer Stadt im Rahmen des Imperium Romanum, Kln
2004, 152 ff.
 H. Galsterer, Coloni, Galli ed autoctoni. Le vicende della colonia di Rimini ai suoi albori, in Rimini
e lAdriatico nellet delle guerre puniche, Atti Convegno Rimini 2004, Bologna 2006, 11-18.
 Von gallischen Stdten, in die die Rmer zur Zeit der Samnitenkriege Gesandte schickten, spricht
Appian Kelt. 11 und Samn. 6. Man darf dies wohl aber nicht als einen Beleg fr eine durchgreifende
Urbanisierung im Gebiet der sdlichen Gallier ansehen.

Foedus, Ius Latii und Civitas im rmischen Italien

31

Kolonie Ariminum gab es anscheinend eine groe Zahl von Galliern. Da es


die Stmme der Boier und Senonen nicht mehr gab, wurden ihre verbliebenen, nunmehr staatenlosen Angehrigen, die auf rmischem ager publicus
saen, nach einiger Zeit vermutlich als rmische Brger registriert.
Diese Grozgigkeit, wenn man sie so nennen will, war natrlich nicht
Altruismus und noch weniger die Anerkennung von irgendwelchen Menschenrechten. Sie zeigt viel eher die profunde Gleichgltigkeit der rmischen Okkupanten gegenber politisch belanglosen Auenseitern, die zudem ntzliche Rekruten fr die Legionen stellen konnten.

2. Die Organisationsform
Die rmische berlieferung geht davon aus, dass Rom von Romulus als
Stadt gegrndet wurde, eine Mauer erhielt und damit sozusagen wie ein junger Vogel flgge war. Solche Grndungen gab es natrlich in Italien, vor allem sind hier die griechischen Kolonien im Sden des Landes zu nennen.
Sehr viel hufiger sind jedoch Aggregationen benachbarter Drfer gewesen,
die sich freiwillig oder unter Zwang, meist an einem gut zu verteidigenden Platz, zusammenschlossen. Der griechische Ausdruck hierfr ist Synoikismos, wie ihn z.B. in Athen Theseus durchgefhrt haben soll, als heros
ktistes dieser Stadt wie Romulus der von Rom. Dessen Roma quadrata auf
dem Palatin wurde durch weitere Anschlsse zum Septimontium. Die Latiner westlich der Forumssenke lernten sich mit den Sabinern stlich dieses
Sumpfes zusammenzutun und um 600 oder kurz danach war eine Stadt entstanden, deren Mauern sogar einem Griechen Respekt einflen konnten.
Und Rom war kein Einzelfall: auch das etruskische Veii entstand (wie viele andere Stdte) aus einem solchen Synoikismos. Neben der militrischen
Gewalt spielte hufig wohl auch die Bedrohung durch dritte Mchte eine
Rolle, dass man lieber bei Verwandten Unterschlupf suchte als bei Fremden. Dies half Rom bei der Errichtung seiner Herrschaft ber die Latiner
whrend der Kmpfe gegen die Volsker, Aequer und Sabiner. Da Spannungen auch nach einer solchen Vereinigung blieben, versteht sich von selbst.
Der Synoikismos fand seine natrliche Grenze in der Lnge des Weges,
den die in der Stadt wohnenden Bauern bis zu ihren ckern zurckzulegen
hatten. War dies zuviel der Mhe, blieb man drauen wohnen, in Einzelhfen (villae) oder in den Drfern, die ursprnglich teilweise einmal selbstndig gewesen waren. Zumindest in Rom gab es keine Rechtsungleichheit zwischen den Brgern, die in der Stadt, und denen, die auerhalb der Mauern
wohnten. Dies hing mit der archaischen sozialen Ordnung zusammen, die
den einfachen Brgern nur wenige politische Rechte zubilligte. Sowohl im
privaten Recht wie in der politischen Sphre waren es die patres familias, die

32

Hartmut Galsterer

Chefs der einzelnen Clans, die ber die Familienangehrigen wie ber das
Familienvermgen entschieden, und aus ihrer Perspektive machte es hufig
wohl wenig Unterschied, ob es sich bei ihren Untergebenen um Familienangehrige oder Clienten, um Freie oder Sklaven handelte. Dies nderte sich
natrlich schnell, sptestens whrend der Stndekmpfe, aber das soziale
Muster, das die Einbrgerung unterworfener Nachbarvlker erleichterte, da
sie die bestehende politische Ordnung nicht zu stren drohte, blieb bestehen.
Dies war ein fundamentaler Unterschied zu den klassischen griechischen
Poleis, deren den Staat tragende Brgerschaft sich eiferschtig nach auen
abschlo. Einsichtige griechische Politiker wie Knig Philipp V. von Makedonien erkannten sehr wohl, dass diese Brgerrechtsverleihungen eine Kraftquelle fr die neue Macht im Westen war wie sie kein griechischer Staat zur
Verfgung hatte, aber gerade die demokratischen Strukturen der griechischen Poleis schlossen eine Nachahmung der rmischen Brgerrechtspolitik
wohl aus.
Das eingemeindete Gebiet, von dem bisher die Rede war, wurde Teil des
rmischen Territoriums, des ager Romanus. Rom schuf keine eigenstndige
Verwaltung fr dieses Land: Mit Ausnahme einiger Prfekten, die von dem
Prtor urbanus in Rom in solche Gebiete keineswegs in alle geschickt
wurden und die sich dort vorwiegend um Rechtsprechung zu kmmern hatten, fanden Verwaltung und Politik ausschlielich in Rom statt, ein Zustand,
der nur durch die sehr geringe Teilnahme des rmischen Volkes an der Politik seines Staates mglich war und der sich dann im 2. Jh. schnell nderte.
Es gab freilich auch einige Stdte in der Umgebung Roms wie z.B. Tusculum, die entweder freiwillig oder aus einer Position relativer Strke in den
populus Romanus eingetreten waren und sich so mit Ausnahme von Auenpolitik und Militrwesen ihren eigenen Staat bewahren konnten, ebenso die eigene mit der rmischen allerdings nahezu identische Rechtsordnung. Tusculaner waren also Brger zweier Staaten, was dem entwickelten
juristischen Denken spterer Zeit als eine contradictio in adiecto vorkommen
mochte, Jahrhunderte lang aber anscheinend kein besonderes Aufsehen erregte10.

 Syll. III 543. Ein oft zitiertes Beispiel fr die mangelnde Bereitschaft der griechischen Demokratien, ihr Brgerrecht mit den Bewohnern unterworfener Stdte zu teilen, ist der zu spte Versuch Athens,
Samos durch das Zugestndnis gleicher Rechte auf seiner Seite zu halten.
In der frhen und hohen Republik stimmte das Volk, durch die Jahrhunderte gerechnet, ber ein
Gesetz pro Jahr ab; auerdem trat es einige Male zu den Wahlen zusammen.
10 Vgl. die Diskussion in Cicero pro Balbo.

Foedus, Ius Latii und Civitas im rmischen Italien

33

Noch seltsamer war eine Institution wie die von Mommsen so genannten
Halbbrger, die municipes sine suffragio. Es handelte sich um Gemeinden
mit fremder Sprache und fremder Kultur, etruskisch wie Caere oder oskisch
wie Capua. Sie, vor allem Capua, waren zu reich und zu gro, als dass Rom
sie als Verbndete behandeln, ihnen also die Eigenstaatlichkeit und vor allem eine eigene Militrhoheit htte zugestehen knnen, doch waren sie zu
fremd, als dass man sie wie Tusculum in die rmischen Institutionen htte
integrieren knnen. Wenn deren Brger aber, und das betraf in erster Linie
die campanischen und etruskischen Aristokraten, ihren Wohnsitz nach Rom
verlegten, um als Rmer unter Rmern zu leben, erwarben sie die vollen politischen Rechte eines rmischen Brgers.
Ein rmisches Italien, in dem die nichtlatinischen Verbndeten Roms
nach innen autonom in Sprache, Kultur und Verwaltung lebten, whrend
Auen- und Militrpolitik von Rom bestimmt wurden, ist eine interessante
Vorstellung, die, wre sie verwirklicht worden, den Lauf der rmischen Geschichte und der Romanisation Italiens sicher anders gestaltet htte. Leider
bewhrte sich das Modell nicht: vor allem der Abfall Capuas zu Hannibal im
2. Punischen Krieg fhrte dazu, dass dieses als Stadt ausgelscht wurde und
die kleineren Stdte dieses Typs sich umso schneller an Rom assimilierten.
Aus der Bezeichnung municipia fr Stdte des Typs Capua und dem Rechtsstatus der Brgergemeinden vom Typ Tusculum entstand, ohne dass wir
wssten wann und wie, im 2. Jh. das Brgermunicipium, das dann ab Caesar
und vor allem Augustus die Normalstadt rmischer Brger im Westen des
Reiches war, mit eigener Verwaltung und durchaus stolz auf die eigene Geschichte (man denke an die Elogien von Tarquinii), aber ohne jeden Ehrgeiz
in Bezug auf Autonomie.
Der andere Typ von Brgerstadt war die Kolonie, ursprnglich eine Garnison von 300 Brgern mit ihren Familien in einer frisch eroberten Stadt, die
diesen Ort, hufig einen Hafen, fr Rom sichern sollten. Die zu Beginn wohl
einigermaen rechtlose Vorbevlkerung wurde, nach den Fllen, die wir
besser kennen (vor allem Antium), nach etwa einer Generation den Rmern
gleichgestellt; bis dahin hatte sich auch Latein als Umgangssprache durchgesetzt. Die ursprnglich kanonische Zahl von 300 Kolonisten, die vielleicht
etwas mit den drei vorservianischen Tribus zu tun hatte, stieg im 2. Jh. bis
auf zweitausend an wie in Mutina11.
Auch hier ist dies auf den Einflu einer verwandten Stadtform zurckzufhren, nmlich der sog. latinischen Kolonien. Diese waren ursprnglich
Grndungen des Latinerbundes. Als das nomen Latinum nach 338 zu einem

11Liv.

XXXIX 55,7.

34

Hartmut Galsterer

quasi nur noch ad sacra existierenden Anhngsel Roms geworden war, grndeten die Rmer in dessen Namen weiterhin solche Kolonien und zwar aus rein
praktischen Grnden, wozu vor allem die sofortige Verfgbarkeit der kolonialen alae und cohortes bei feindlichen Einfllen zhlte. Rimini und Bologna,
Cremona und Piacenza und natrlich Aquileia waren solche Kolonien. Die
schnelle Mobilmachung in ihnen war nur mglich, wenn man nicht die umstndliche Aufstellung der Legionen und den Zuzug der bundesgenssischen
Hilfstruppen in Rom abwartete deshalb konnten diese Kolonisten auch
keine rmischen Brger sein, da sie sonst in den Legionen gekmpft htten.
Brger verloren bei der Einschreibung in die Liste der Kolonisten ihr
Brgerrecht und wurden Latiner, was ab dem 2. Jh. zu erheblichen Problemen fhrte und wachsendem Widerstand, fr eine Landanweisung fernab
von Rom auf das Brgerrecht zu verzichten12. Seit den Gracchen versuchten
deshalb populare Politiker immer wieder, das latinische Recht durch eine
Anreicherung mit Elementen des Brgerrechtes, z.B. das Appellationsrecht,
besser zu verkaufen.
Diese Angleichung wird vollends deutlich nach dem Bundesgenossenkrieg. Die alten latinischen Stdte (das sog. Latium vetus) und die latinischen
Kolonien in Italien erhielten durch Pompeius Strabo 90 das Brgerrecht. Die
Stdte in Venetien und Gallien jenseits des Po wurden zu latinischen Kolonien neuen Typs ohne jegliche Deduktion. blich war jetzt auch eine kollektive
Verleihung dieses Rechts: von den Stdten der Gallia Transpadana bis zu denen der universa Hispania unter Vespasian. Die erhaltenen Stadtrechte solcher Stdte zeigen, dass es keinen substantiellen Unterschied zu der Verwaltung der rmischen Gemeinden gab, und die regelmige Verleihung der civitas an die Magistrate nach ihrem Amtsjahr belegt, dass das latinische Recht zu
einem kleinen Brgerrecht geworden war13. Es ist nur logisch, dass man dieses Recht nun auch Einzelnen verlieh, die z.B. wegen einer fehlerhaften Freilassung nicht das volle Brgerrecht erhalten sollten (die sog. Latini Iuniani).
Zwischen den alten kleinen Brgerkolonien und den alten festungsartigen latinischen Kolonien fand am Anfang des 2. Jhs. ein Ausgleich statt, der
wohl mit den Erfahrungen des Hannibalkrieges zu tun hatte. Das Ergebnis
waren die groen Brgerkolonien, die seit Caesar und vor allem in der Kaiserzeit an den Grenzen des Reiches Wacht hielten, von York ber Kln bis
Belgrad und weiter. Ihre Kolonisten sind nun meistenteils Veteranen, verabschiedete Legionssoldaten, die auf dem Territorium der neuen Kolonien ihre
12

Galsterer, Rimini (o.Anm.6) 14 f.


B. Galsterer, Latinisches Recht und Municipalisierung in Gallien und Germanien, in E. Estibaliz
de Ortiz - J. Santos (edd.), Teoria y practica del ordenamiento municipal en Hispania, Vitoria 1996, 117129; H. Galsterer, Diritto latino e municipalizzazione nella Betica, a.O. 211-221.
13

Foedus, Ius Latii und Civitas im rmischen Italien

35

Abfindung in Land erhielten. Fast immer waren auch Einheimische unter


den Koloniebrgern, zumindest Vertreter der lokalen Oberschicht. Als Sttzen der Romanitas haben diese Stdte zu einem bemerkenswert groen Teil
den Untergang des Reiches berlebt.
Die dritte und letzte Gruppe von staatlichen Organisationsformen in Italien und dann im rmischen Reich sind die einfachen civitates, freie, verbndete oder einfach nur untertnige Stdte, auf deren inneren Aufbau Rom im
Prinzip keinen Einfluss nahm. Zu ihnen gehrten in der Republik Kolonien
der Griechen in Sditalien und Stdte der Etrusker, spter solche von Briten oder von Afrikanern, ebenso wie Athen und Alexandria. Aber schon die
letzten Beispiele zeigen, dass das Verhalten Roms sehr von dem Standing
der einzelnen Stdte abhing: Athen wurde wegen seiner Geschichte und seiner Bedeutung fr die allgemeine Kultur meist eher rcksichtsvoll behandelt, whrend Alexandria aus Furcht vor dem Pbel der Grostadt und
einem weiteren Aufflammen der nationalen Konflikte zwischen gyptern,
Juden und Griechen mit erheblichem Misstrauen berwacht wurde. Nicht
umsonst lagen dort, weit von jedem ueren Feind entfernt, zwei Legionen
vor den Toren in Garnison.

3. Soziale Beziehungen
Ich sprach bisher von den rechtlichen Unterschieden zwischen Brgern,
Latinern und Fremden sowie den Gemeinden, in denen sie lebten. Dies waren wichtige Unterscheidungen. Noch bedeutender aber waren die Beziehungen zwischen ihnen, die nach heutigem Verstndnis eher in die Ebene
der zwischenmenschlichen Verhltnisse gehren, wie Patronat, Klientel und
amicitia, die aber natrlich in der Politik eine ebenso groe, wenn nicht grere Rolle spielten als heute.
Ebensowenig wie es eine rmische Verfassung gab, existierte eine solche
fr den sog. Italischen Bund, d.h. Rom und seine Bundesgenossen. Die rmischen Brger auerhalb der urbs, d.h. des pomerium unterstanden dem
Imperium der hheren Magistrate in dessen kaum beschrnkter Gestalt. Zur
Wehr konnte man sich hiergegen nur setzen, wenn man sich nach Rom begab. Fr den Umgang mit den latinischen Stdten galt weiterhin das foedus
Cassianum von 493, das allerdings in erster Linie ein Verteidigungsbndnis
war und nur gelegentlich auf das internationale Privatrecht, wie wir es heute nennen wrden, einging. Mit den Verbndeten galten die Bestimmungen
des foedus, das sie freiwillig oder hufig unfreiwillig mit Rom geschlossen
hatten, doch betraf auch dies vor allem, wenn nicht ausschlielich, Auenpolitik und Militrhilfe.
Institutionalisierte Beziehungen auf Regierungsebene zwischen Rom und

36

Hartmut Galsterer

z.B. Aquileia oder Neapel gab es also ebenso wenig wie rmische Statthalter
oder diplomatische Vertretungen; der normale Dienstweg war ein Brief des
Senats an Beamte und Volk einer Stadt bzw. eine Gesandschat der Stadt an
den Senat in Rom. In dieses Vakuum trat auf rmischer Seite der patronus
der jeweiligen Stadt ein, meist ein Senator, der selbst oder einer seiner Vorfahren der Patronat war erblich der Stadt einmal geholfen hatte. Dafr
begab sie sich unter seinen Schutz, als Klienten, die ihm wie Freigelassene
ihrem frheren Herrn zu Dankbarkeit und obsequium verpflichtet waren.
Manche Aristokraten in solchen Gemeinden waren dort, auch ohne rmische Brger zu sein, Statthalter Roms, wie z.B. die Cilnii in Arezzo, deren
jahrhundertlange Bindung an Rom sie hufig in Konflikte mit ihren Mitbrgern brachte14. Vor allem in Stdten mit starken sozialen Spannungen, wie
in Etrurien, wo die lokalen Adligen auf Untersttzung und notfalls Schutz
durch Rom angewiesen waren, stellte dies eine ebenso effiziente wie konomische Sttze der rmischen Herrschaft dar15.
Der Patronat umfasste auch das hospitium, die Gastfreundschaft gegenber der anderen Partei. Eine Gesandschaft von Aquileia an den Senat
wohnte also in Rom im Haus des Patrons und wurde von ihm in den Senat
begleitet. Der Patron versuchte auch, fr seine Schtzlinge eine modern
gesprochen parlamentarische Mehrheit fr ihr Anliegen zu gewinnen. Umgekehrt war dem Patron ein begeisterter Empfang in seiner Stadt, Untersttzung, z.B. mit Geld und anderen Leistungen, bei seinen Unternehmungen sowie erhhtes Ansehen in Rom sicher. Diese Beziehung zwischen Patron und Klienten war im Prinzip eine rein private, die auch durch keinerlei
Gesetz geregelt war; durch das Fehlen anderer Institutionen wurde sie aber
zu dem Transmissionsriemen, der die Wnsche Roms und die der Bundesgenossen in Einklang bringen konnte; konnte, denn wenn der Patron auf die
Idee kam, seine verbndeten Klienten wie seine ebenso genannten freigelassenen Klienten (liberti) zu behandeln, wurden Verbndete zu Untertanen.
Dies war eines der Probleme, die im 2. Jh. das berkommene System in Italien mehr und mehr in Frage stellten.
Das Verhltnis von rmischem Patron und italischer Stadt betraf natrlich auch die Stadt als Ganzes, viel mehr aber noch ihre regierende Oberschicht. Die Normalform des stdtischen Regiments war eine Oligarchie,
d.h. eine durch Besitz definierte Oberschicht, die, da Besitz berall erblich
war, in sich relativ konstant blieb und nach einigen Generationen zu einer
Aristokratie wurde. Demokratien wurden von Rom mit groem Misstrauen
betrachtet und bei passender Gelegenheit beseitigt.
14Liv.
15

X 3,2; X 5,13.
W.V. Harris, Rome in Etruria and Umbria, Oxford 1971, 114-144.

Foedus, Ius Latii und Civitas im rmischen Italien

37

Es waren also Mitglieder meist derselben Familien, mit denen Rom bzw.
die Patrone zu tun hatten, und es lag nahe, dass diese Familien den Patron
der Stadt sich auch zu ihrem persnlichen Patron whlten. Er konnte dann
helfend eingreifen, wenn Mitglieder des lokalen Adels in Rom eine Karriere
beginnen oder schlicht dort als Gentlemen unter Gentlemen leben wollten.
Unsere Quellen sind erst ab dem letzten Jh. der Republik so gut, dass
man ein einigermaen berzeugendes Gesamtbild der Einwanderung nach
Rom erhlt, aber verstreute Zeugnisse auch aus der frheren Zeit belegen,
dass der Zuzug von auswrtigen Adligen seit dem Beginn Roms anhielt und
diese sich dann durch Einheirat in rmische Senatorenfamilien zu etablieren versuchten16. Aeneas, der Grnder von Roms Gromutter Lavinium,
war nur der erste in einer langen Reihe solcher Einwanderer, von Tarquinius
Priscus war bereits oben die Rede. Da diese zu Rmern gewordenen Italiker sich romanisierten, versteht sich von selbst, aber in dem Mae, wie Rom
immer bedeutender wurde, wollten, ja mussten auch die domi nobiles in den
Stdten Italiens sich gegenber der rmischen Sprache und rmischen Sitten ffnen.
Die Kenntnis der rmischen Sprache setzte sich immer weiter durch. Eine hauptschliche Ursache waren die vielen Kriege des 3. und 2. Jh.s, in denen die Kontingente der Bundesgenossen neben den rmischen Legionen
kmpften. Die Befehlssprache, zumindest bei den alliierten Offizieren, war
Latein, und dies werden nach Dienstschluss auch die einfachen Soldaten in
den Schenken der Lager kennen gelernt haben. Daneben waren im 2. Jh. viele Italiker als Geschftsleute, Hndler oder Bankiers im griechischen Osten
ttig, wie wir sie ein Jh. spter aus den Inschriften von Delos und in Ciceros Briefen kennen lernen. Zumindest in der Sicht der Griechen gab es hier
keinen Unterschied zwischen Rmern und Bundesgenossen, die abwechselnd als Italici oder, nach dem rmischen Nationalgewand, als togati, bezeichnet werden. Ob das Tragen der Toga nun Recht oder Pflicht oder nur
Sitte war, erfahren wir in unseren Quellen, die auf Krieg und Politik fixiert
sind, leider nicht. Ein anderes Beispiel, nun aus unmittelbarer Nhe unseres
Tagungsortes, bleibt ebenso verschieden interpretierbar: In dem rmischen
Heer, das im Bundesgenossenkrieg Asculum belagerte, befanden sich auch
Schleuderer aus Opitergium, dem heutigen Oderzo. Wie in dieser Waffenart
blich, beschrieb man die Bleigeschosse mit obsznen Beschimpfungen des
Gegners, mit Drohungen oder mit der eigenen Herkunft, sozusagen der Absenderangabe des hoffentlich todbringenden Projektils. Die Opiterginer unterschrieben nur mit ihrem Ethnikon, meist in venetischer Schrift von rechts

16

T.P. Wiseman, New Men in the Roman Senate 139 B.C. - A.D. 14, Oxford 1971, 33 ff.

38

Hartmut Galsterer

nach links, hufig aber auch in Latein von links nach rechts17. Den bisher
verbndeten Venetern, und damit auch den Schleuderern aus Oderzo, war
wenige Monate zuvor durch die lex Pompeia das latinische Kolonialrecht
gegeben worden, aber wieweit diese Manahme schon durchgefhrt worden war, wissen wir nicht. Wir wissen vor allem nicht, ob der Gebrauch des
Latein programmatisch war, um zu zeigen, dass man auf der richtigen Seite stand, ob die lateinisch schreibenden mit ihren Kenntnissen nur angeben
wollten oder ob diejenigen, die ihre Bleie in venetischer Sprache beschrieben, damit den guten alten Zeiten der Unabhngigkeit nachtrauerten?
Die Interpretation von Sachquellen fr Fragen des Bewusstseins ist, wie
Sie sehen, mit Problemen behaftet. Dasselbe gilt aber auch fr die Romanisation als solche. Das Wort, und sein deutsches quivalent Romanisierung, implizieren ja eine Aktivitt, eine Handlung der Rmer, die andere
Staaten oder Stmme zu ihrer Romanitas bekehren wollten, sie ihnen aufzwangen oder sie an ihr teilhaben lassen wollten, je nach Betachtungsweise.
Whrend im 19. und in der ersten Hlfte des 20. Jhs. diese Romanisation
meist positiv konnotiert war, wird sie heute vor allem in der angelschsischen
Welt eher negativ gesehen18. Vermutlich ist dies eine Sptfolge der Dekolonisierungsdebatte der achtziger Jahre, die manche Kollegen dabei eher an eine verweigerte Chance zur Selbstentwicklung als an kulturellen Aufschwung
denken lsst.
Wie auch immer die leitenden Motive bei Rmern und Italikern gewesen
sein mgen: die Romanisierung Italiens setzte sich bis in das 1. Jh. n.Chr. so
sehr durch, dass eigene Traditionen weitgehend verschwanden. Die Tempel
hnelten sich von Trient bis Tarent wie ein Ei dem andern, und die Inschriften von Triest knnten auch aus Turin stammen. Eigenes wird verleugnet
und Fremdes angenommen, viel radikaler, als in der viel beklagten Amerikanisierung unserer Tage. Auch hierber schweigen die Quellen.

17

ILLRP 1102, vgl. die Abbildung in M.S. Busana, Oderzo, Roma 1996, 27 fig. 12.
G. Bradley, Ancient Umbria. State, Culture and Identity in Central Italy from the Iron Age to the
Augustan Era, Oxford 2000; R. MacMullen, Romanization in the Time of Augustus, New Haven 2000.
18

Les rapports entre les lites du Latium


et de la Campanie et Rome (III s. aV. J.-C. - I s. aP. J.-C.):
lapport dune enqute prosopographique
Mireille Cbeillac-Gervasoni

Avant tout je souhaite exprimer ma gratitude pour leur invitation aux organisateurs de ce colloque international de la Fondation Canussio de Cividale, un lieu o des conditions particulirement favorables permettent des
changes fructueux avec des collgues de divers pays.
En prmisses, jexposerai les motivations qui, dans le cadre du thme des
rapports entre les lites locales et Rome, mont amene, pour cette contribution, opter pour une chronologie entre la fin de la 2e guerre punique et les
dbuts des Julio-Claudiens. Ce laps de temps de plus de deux cents ans est
fondamental pour lhistoire de Rome mais aussi des rapports entre les lites
locales et lUrbs. Il sagit dun moment-cl pour la romanisation, problmatique qui est au centre des dbats de cette rencontre; le Latium et la Campanie qui vont tre lobjet de ma recherche constituent le cur de la conqute
romaine et ces territoires et leurs habitants, depuis lpoque archaque, ont
servi de laboratoire plus ou moins conscient Rome pour exprimenter toutes les formes juridiques qui lui permirent de grer les relations avec les cits.
A la fin du IIIe sicle et jusqu la promulgation des lois de 90/89 qui mettent un terme la guerre sociale, on trouve cte cte des cits aux statuts
trs varis qui reprsentent un chantillonnage complet des solutions labo-

 Je pense en particulier aux discussions avec mon collgue H. Galsterer, car nos thmatiques de recherche et nos thmes de communication fort proches nous ont amens nous fliciter de nous retrouver
sur les mmes positions face aux mmes problmatiques et je le remercie pour son intervention.
On trouve donc dans le Latium et en Campanie jusqu la guerre sociale (cest--dire avant que tous
les hommes libres de la quasi-totalit de la pninsule naient reu la civitas romana) (v. carte fig. 1-2):
des allis: les Volsques dAquinum et les Campaniens dHerculanum, de Nola, de Nuceria et de
Pompi;
des Latins, diviss entre
prisci Latini Tibur et Prneste;
Herniques avec Aletrium, Ferentinum, Verulae;
et colonies latines: Setia, Signia, Sora dans le Latium et Cales et Suessa Aurunca en Campanie;
des citoyens romains (en dehors des colonies romaines, certaines cum et dautres sine suffragio):
Anagnia, Aricia, Arpinum, Atina, Casinum, Formies, Fundi, Gabii, Lanuvium, Tusculum, Velitrae dans
le Latium et Acerrae, Allifae, Capua, Cumes en Campanie;

40

Mireille Cbeillac-Gervasoni

Fig. 1 LItalie centrale avant la guerre sociale*.

res par Rome pour rgir ses rapports avec les tats et les populations quelle
ctoyait, au fur et mesure de son irrsistible progression de conqute dans
la pninsule.
Je voudrais aussi souligner combien lenqute prosopographique est fondamentale pour la connaissance des lites locales qui, en rgle gnrale (si on
excepte le corpus cicronien, source inestimable dinformations pour les domi nobiles partir de la fin du IIe s. av. J.-C.) ont t trs rarement au centre
de lintrt de ceux qui, dans lAntiquit, ont laiss des traits historiques ou
des uvres littraires. En effet, les auteurs, membres de llite urbaine, ne se
sont penchs que sur des faits qui concernaient le centre du pouvoir: Rome;
aussi les lites locales, si elles apparaissant dans ces rcits, ne sont-elles des
protagonistes que de manire pisodique ou anecdotique.
Le plan chronologique de cette communication sest impos de faon
quasi naturelle; je traiterai la question entre la fin de la seconde guerre punique et les lois de 90/89, puis dans une seconde partie, de la situation pos des colonies romaines Antium, Minturnes, Ostie, Tarracina dans le Latium, Puteoli et Venafrum
en Campanie.
 V. infra la question de Vaccus Fondi.

Les rapports entre les lites du Latium et de la Campanie et Rome

41

Fig. 2 LItalie centrale avant la guerre sociale: Latium et nord de la Campanie*.


* Les deux cartes sont empruntes O. de Cazanove - C. Moatti, LItalie romaine dHannibal Csar,
Paris 1994 (pp. 18-19).

trieure ladoption des lois qui mirent fin la guerre sociale et firent de
tous les hommes libres des cits du Latium et de la Campanie des cives Romani.

42

Mireille Cbeillac-Gervasoni

1. De la fin de la seconde guerre punique jusquaux annes 90/89


A la fin du IIIe s., la situation des rapports entre les lites locales et Rome
(cest--dire llite snatoriale urbaine qui gouverne dans lUrbs) est claire,
sans aucune ambigut, et cest une vidence aussi bien pour les rgions sur
lesquelles jenqute que sur celles du reste de la pninsule: il y a Rome et en
face delle, de nombreux partenaires. Ces derniers sont dautant plus isols,
mme en cas de voisinage gographique, quils sont souvent rgis par des
statuts diffrents mme si ce facteur ne compte pas beaucoup dans la pratique de leurs relations avec Rome, mais en revanche, elles permettent lUrbs
davoir en face delles, une mosaque de cits aux conditions juridiques varies. Cette situation ne concourt pas la formation dalliances locales tant
les intrts sont divergents. De surcrot, cette date, aussi bien dans le Latium que dans la Campanie, une partie des membres de llite locale jouit de
la citoyennet romaine, soit de droit comme leurs concitoyens, soit titre
personnel, ce qui reprsente un vident privilge au sein de leur communaut civique et un lien particulier avec llite urbaine.
Je souhaite dabord dresser une liste rapide, la moins lacunaire possible,
des rapports entre lites locales et urbaines, dans le domaine priv, puis dans
la sphre du politique.
1.1. Les rapports dans le domaine priv
1.1.1. Lhospitium privatum
Driv, peut-tre, de lhospitium publicum, proche de lamicitia et de la
fides, cette antique coutume dhospitalit rciproque permettait des notables locaux de trouver auprs dhtes urbains logement et protection en cas
de sjour dans lUrbs, et aux magistrats romains de jouir dune hospitalit
prive lors de leurs dplacements en Italie; comme lcrit Tite-Live, privata
hospitia habebant; ea benigne comiterque colebant, domusque eorum Romae
hospitibus patebant, apud quos ipsi deverti mos esset. On peut mentionner la
Toutes les dates sentendent avant notre re; en revanche, il sera prcis ap. J.-C. pour les dates de
lre chrtienne.
 M. Humbert, Municipium et civitas sine suffragio. Lorganisation de la conqute jusqu la guerre
sociale, Roma 1978, en part. pp. 140-141, propos de lantiquit de cette hospitalit qui remonterait
Servius Tullius qui accorda lhospitium publicum certains Latins.
 E. Deniaux, Clientles et pouvoir lpoque de Cicron, Roma 1993, pp. 40-41.
 Liv. XLII 1,10. Nous reviendrons sur ce texte infra propos des abus perptrs par les magistrats
au dpens des lites locales.

Les rapports entre les lites du Latium et de la Campanie et Rome

43

tessera hospitalis de Fondi, date de la fin du IIIe s. ou de la premire moiti


du IIe s., qui reprsente un tmoignage crucial des rapports entre laristocratie urbaine et llite locale et on sait que chaque partie contractante conservait une moiti de la tessre.
1.1.2. Le patronage
Il entre comme lhospitium dans la catgorie des liens forts et anciens
que les lites locales ont nou avec llite dirigeante de Rome. Comme la
bien montr Badian10, les imperatores romains vainqueurs se liaient par des
rapports de patronage aux villes conquises et ces relations privilgies venaient en hritage leurs descendants. Ainsi Capoue, Sex. Fulvius Flaccus,
le consul de 135, petit-fils du consul de 211 qui prit Capoue, jouissait des
clientles locales instaures par son grand-pre; on peut comprendre pourquoi Ser. Fulvius Flaccus fit reconstruire le sanctuaire de Diana Tifatina11,
comme en tmoigne une inscription12. Lenjeu que reprsentaient ces clientles locales pour les ambitions des aristocrates urbains est bien connu et
on pourrait, y compris dans les rgions sur lesquelles jenqute, en trouver
dautres exemples13. Le rle de ces clientles locales au service des intrts
des patrons romains sera encore plus prcieux aprs 90/89, quand tous les
hommes libres de ces cits seront devenus des citoyens romains et donc en
mesure de se dplacer pour venir soutenir leur challenger Rome, aussi bien
pour voter que pour manifester leur soutien14.

 CIL I 611 = ILLRP 1068. De petite dimension (6,2 x 3,5 cm), en bronze et en forme de poisson,
elle suscite de nombreuses interrogations, v. sur ces questions reprises rcemment par A. Storchi Marino, Fondi romana. Societ ed economia, dans Fondi tra antichit e medioevo. Atti del convegno 31 marzo
- 1 aprile 2000, d. T. Piscitelli Carpino, Fondi 2002, pp. 19-70 et en part. pp. 27-30 (avec une photographie de la tessre); aussi par M. Di Fazio, Fondi ed il suo territorio in et romana. Profilo di storia
economica e sociale (BAR International Series. 1481), 2006, en part. pp. 31-33.
Evidemment, la correspondance de Cicron est pour le premier sicle une source inestimable dinformations sur ces patronages. V. Deniaux, Clientles...
10E. Badian, Foreign Clientelae (264-70 B.C.), Oxford 1958, pp. 156-158.
11 Ces travaux furent ensuite poursuivis par les magistri Campani en 108 (ILLRP 721) puis en 99
(CIL I 680 = ILLRP 717).
12 CIL I 635 = ILLRP 322: Ser. Folvius Q.f. Flaccus co(n)s(ul) muru(m) locavit / de manubies.
13Ainsi Fondi, v. M. Di Fazio, Fondi, p. 32 sq. On trouve linfluence politique des Aemilii, des
Valerii Flacci, et peut-tre aussi des Claudii (v. Humbert, Municipium..., pp. 395-397), mme sil semble
quaprs la 2e guerre punique, ce sont surtout les Aemilii qui sont particulirement lis au riche territoire
de Fondi.
14 Luvre de Cicron est riche en exemples, aussi bien pour lui-mme que pour ses clients lors de
procs, v. infra.

44

Mireille Cbeillac-Gervasoni

1.1.3. Accueil des fils des membres de llite locale dans les maisons snatoriales romaines
Au moins partir du IIe s. les aristocraties locales prirent lhabitude denvoyer leurs enfants mles faire leur ducation dans lUrbs, sans doute auprs
de ces nobles quils avaient ctoys en leur donnant lhospitalit. Les tmoignages sont trs frquents partir du Ier s., mais il est difficile de croire quil
sagisse dune innovation; par exemple le pre de Cicron le confia ainsi que
Quintus son frre, Rome, des matres, snateurs, aristocrates et lettrs.
Ces jeunes gens furent dabord remis aux bons soins de Lucius Licinius
Crassus qui leur chercha des matres et les aida pour entrer dans la carrire
urbaine; sa mort, le pre des deux Tullii choisit de les adresser un autre
grand personnage, Quintus Mucius Scaevola, lex-consul de 117, augur de
129 89, un minent juriste auprs duquel ils tudirent jusqu sa mort en
87. Ensuite, ils firent confiance15 un autre membre de la mme famille, lui
aussi grand juriste, Scaevola le pontifex maximus de 89 82.
1.1.4. Des liens par mariages
Il existait, sans quon puisse en douter, une stratgie matrimoniale avec
de frquentes noces entre des fils et des filles des aristocrates de llite dirigeante locale et des rejetons de gentes snatoriales, parfois illustres. Les cas
connus se multiplient au cours du Ier sicle, mais ce ntait pas un piphnomne rcent; on pense Pacuvius Calavius, notable de Capoue, qui remit la cit Hannibal, et pourtant il tait le gendre dAppius Claudius et le
beau-pre de Marcus Livius qui avait pous une de ses filles16. Parmi les
cas connus, on peut mentionner la tante de Csar, ne dans une famille patricienne, qui pousa Marius, membre dune gens questre de llite locale
dArpinum o une Gratidia, elle aussi de la mme origine, prit pour poux
un Sergius patricien, ou encore le pre de Marc Antoine qui, en premires
noces, prit pour femme la fille dun dcurion de Frgelles, Q. Numitorius
Pullus, celui-l mme qui en 124 avait trahi les siens et livr la cit Rome17.

15 Comme cest notoire, Cicron son tour rendra le mme service aux fils de notables de llite
locale, on pense entre autre au jeune M. Caelius, reu dans la maison de Cicron et dans celle de M.
Crassus, en principe pour y tudier: cum artibus honestissimis erudiretur (Cael. 4,9).
16 Liv. XXIII 2-8.
17 Cic. fin. V 22,62.

Les rapports entre les lites du Latium et de la Campanie et Rome

45

1.1.5. Le pied--terre dans lUrbs possd par des membres des lites locales
Cet usage bien attest la fin de la Rpublique pourrait avoir t trs ancien si on en croit Quadrigarius (in Tite-Live VIII 19-20) qui affirme que
Vitruvius Vaccus, non domi solum sed etiam Romae clarus, le notable qui
prit la tte dune rbellion des Privernates et des Fundani contre Rome au
IVe s. aurait possd sur le Palatin une demeure qui aurait t dtruite aprs
sa dfaite; le toponyme du lieu: les champs de Vaccus en aurait conserv
la mmoire. Je ne reviens pas sur tous les doutes que lensemble de lpisode Vaccus fait natre18, mais au moins pour cette question, on peut nourrir
quelque perplexit sur la ralit dun pied--terre dun domi nobilis Rome
une date aussi haute. Jy verrai volontiers une rlaboration de donnes
la fin de la Rpublique dans le contexte du modus vivendi des lites locales
les plus huppes; de fait, au temps de lhistorien Q. Claudius Quadrigarius,
un quasi-contemporain du pre de Cicron, les aristocrates des cits taient
propritaires dune rsidence secondaire dans le centre de lUrbs, comme le
grand-pre de Cicron qui lui en possdait une aux Carines. De toutes faons, dans le cadre de cette enqute, cette anecdote signifie qu la fin du
IIe s. et sans doute bien avant, les domi nobiles avaient compris limportance
pour eux davoir, dans lUrbs, un logement personnel, alors mme quils ne
revtaient pourtant pas de charges urbaines qui auraient rendu ncessaire
dy loger.
1.1.6. Des rapports conomiques
Les nobles romains ont trouv auprs de leurs amis latins qui ntaient pas
soumis aux mmes lois restrictives queux, un moyen commode de contourner la lgislation qui limitait leur capacit dintervention dans le domaine
conomique19. Il sagissait sans doute dune habitude sur grande chelle, car
il fallut une loi en 193, la lex Sempronia de pecunia credita, applicable aux
Romains et aux Italiques, pour bloquer les prts dargent que laristocratie
urbaine faisait par le biais des Latins et des socii italiques; les collaborations
ne se limitaient pas cet argument et E. Gabba20 ne manque pas de souli-

18 Voir lensemble de la question et de son historiographie reprise rcemment par Di Fazio, Fondi...,
pp. 19-22.
19On pense videmment au plebiscitum Claudium de 219 ou 218 (Liv. XXI 63,3-4) qui interdisait
aux snateurs et leurs enfants le commerce par mer (sinon pour commercialiser les produits de leurs
terres).
20E. Gabba, Del buon uso della ricchezza, Milano 1988, pp. 90-96.

46

Mireille Cbeillac-Gervasoni

gner que les intrts financiers des nobiles romains et des domi nobiles concidaient. Ces pratiques permettaient llite urbaine de raliser de juteux
profits dans les oprations commerciales, en particulier outremer, contrles
en gnral par les aristocrates locaux qui agissaient travers leurs esclaves et
affranchis21. On sait que, ds le IIe s., les snateurs romains possdaient des
proprits, en particulier en Campanie22, mais aussi dans la partie mridionale du Latium, dans les zones collinaires et dans les trs riches plaines de
Fondi et de Terracina, comme le prouvent divers tmoignages de leur prsence23.
1.1.7. Des orateurs issus des lites locales24
Le Brutus de Cicron dmontre que de trs nombreux orateurs non urbains taient connus dans lUrbs ou loccasion, ils venaient plaider. On ne
peut douter que ces contacts personnels furent trs fructueux pour permettre lintgration des lites locales.
1.2. Les rapports dans le domaine public
A partir de la fin du IIIe s., de manire de plus en plus prgnante, Rome
va simposer dans la vie politique locale avec des moyens daction varis mais
efficaces qui, peu peu, vont limiter les capacits dautonomie des collectivits quels que soient leur statut et le type de rapport entretenus avec les
autorits urbaines.
21 V. en part. plusieurs contributions dans Les lites municipales de lItalie pninsulaire des Gracques
Nron, d. M. Cebeillac-Gervasoni, Napoli - Roma 1996.
22 J.H. DArms, Romans on the Bay of Naples. A Social and Cultural Study of the Villas and their
Owners from 150 B.C. to 400 A.C., Cambridge Mass. 1970 (rep. dans J.H. DArms, Romans on the Bay of
Naples and other Essays on Roman Campania, Bari 2003 avec une bibliographie mise jour).
23On a les preuves concrtes des intrts conomiques des Aemilii dans cette rgion et on sait que
le censeur de 179, M. Aemilius Lepidus, y possdait des vignobles qui expliquent sans doute lintrt du
censeur pour lamnagement aux frais de ltat dun grand mole dans le port de Terracina qui permettait
larrive de grands navires vinaires. Servius Sulpicius Galba, consul en 108, avait lui aussi des proprits
dans la zone et une inscription en mosaque de Terracina (CIL I 694 = ILLRP 338) prouve quil restaura
le temple de lacropole; ces liens patrimoniaux dailleurs perdurrent puisque Sutone dans les Vies des
Csars, Galba 4, nous informe que le futur empereur princeps n dans une maison de campagne sur une
colline que lon trouve prs de Terracine gauche en direction de Fondi. On a dj voqu les intrts
de ces grandes familles de laristocratie urbaine pour des terres qui produisaient, entre autres, des vins
apprcis comme le Ccube et le Fundanum (v. A. Tchernia, Le vin de lItalie romaine, Roma 1986, pp.
45, 65, 116-117).
24 V. J.-M. David, Le patronat juridique au dernier sicle de la Rpublique, Roma 1992.

Les rapports entre les lites du Latium et de la Campanie et Rome

47

1.2.1. Domaine lgislatif


En principe, les cits avaient la possibilit dadopter ou de refuser des lois
votes Rome et cest cette rgle que Cicron rappelait dans le Pro Balbo 20:
Le problme dans son ensemble repose sur la rgle et la maxime constantes
daprs lesquelles le peuple romain ayant vot une disposition lgale dtermine, si les peuples latins et allis lont adopte [si id adscivissent socii populi ac Latini] cette mme loi doit rgir tout peuple chez qui elle a t tablie
il sagit de permettre ces peuples de profiter de la lgislation tablie par
nous, davantages et de bienfaits dtermins. Ce fut le cas pour des lois testamentaires auxquelles Cicron fait rfrence (Pro Balbo 21): Au temps de
nos anctres, C. Furius a port une loi sur les testaments [en 183], Voconius
en a port une autre sur lincapacit en matire dhritages des femmes, dinnombrables lois ont t portes en matire de droit: les Latins ont adopt
celles quils ont voulu adopter; daprs la loi Julia enfin qui donna le droit
de cit aux allis et aux Latins, les peuples qui ny consentaient pas ne jouissaient pas de ce droit. Cest toujours Cicron qui nous fournit des preuves
des capacits de refus des cits; ainsi pour les lois tabellaires25 dont Cicron entretient son interlocuteur26, il est vrai qu Arpinum, par exemple, il y
eut de vives discussions entre partisans et opposants lintroduction de ces
lois. Le grand-pre de Cicron mena le combat oratoire contre leur adoption
dans sa cit et contre son beau-frre M. Gratidius27: Et dans le municipe
o nous nous trouvons en ce moment, ce fut notre grand-pre, homme dun
rare courage qui, pendant toute sa vie, sopposa Marcus Gratidius, dont la
sur tait sa femme, notre grand-mre, et qui proposait une loi tabellaire
et cest notre grand-pre que le consul M. Scaurus dit, comme la question
tait plaide devant le snat: Cicron, que nas-tu voulu, avec ce courage et
cette vertu qui te caractrisent, venir avec nous tadonner aux plus hauts intrts de lEtat plutt qu ceux de ton municipe [in summa re publica nobiscum versari quam in municipali maluisses].
On doit souligner quau nom du bien commun et suprme de lEtat, certaines lois furent imposes sans dlibration des conseils municipaux; parmi
les plus clbres citons le senatus consultum de Bacchanalibus, applicable
la tota Italia pour rprimer ce quon considrait comme un danger extrme,
les Bacchanales; on a suppos, sans preuves, que Rome stait appuye sur

25Rappelons la squence de ces lois romaines: loi Cassia en 137, loi Papiria en 131, loi de Marius en
119 et la dernire, celle de Coelius Caldus qui complte la loi Cassia en 107.
26 Leg. III 35.
27 Cl. Nicolet, Arpinum, Aemilius Scaurus et les Tullii Cicerones, REL 45 (1976), pp. 276-304.

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Mireille Cbeillac-Gervasoni

les snats locaux pour en permettre lapplication28. En revanche, on peut citer nouveau29 la lex Sempronia de pecunia credita de 193, applicable aux
Romains comme aux Latins et aux Italiques, qui avait pour but dviter les
fraudes; la lex Dindia sumptuaria de 145 mise pour la tota Italia, reprenait
en llargissant la lex Fannia de 161 laquelle seuls les Romains avaient t
assujettis. On pourrait multiplier les exemples qui prouvent les incursions
de Rome dans la lgislation locale, pratique qui, a posteriori, fut thorise
et justifie par Cicron30: Lorsque le peuple Romain a sanctionn une loi,
et cette loi est de nature permettre des peuples dtermins, fdrs ou
libres, de dcider eux-mmes quel systme lgal ils veulent avoir pour leurs
intrts, non pour les ntres, il semble alors quil y ait lieu dexaminer si ces
peuples y ont souscrit ou non, mais, lorsquil sagit de nos intrts politiques,
de notre empire, de nos guerres, de notre victoire, de notre sauvegarde, nos
anctres nont point voulu quils fussent consults [de nostra vero re publica,
de nostro imperio, de nostris bellis, de victoria, de salute fundos populos fieri
noluerunt]. Un autre exemple de ces intromissions urbaines dans la vie localeest la diffusion des oprations de recensement, consquence directe de
linfluence de Rome sur les communauts italiques31.
Mme si les lites dirigeantes taient impliques en premires personnes
dans la mise en uvre des lois ou census, de toutes faons, elles ne devenaient dans les faits que les courroies de transmission de dcisions urbaines.
Bien sr, ctaient les bureaux du censeur romain qui pilotaient les oprations de census32 et ctait Rome que les donnes taient rassembles.
1.2.2. Les interventions des censeurs urbains. Transformation de lurbanisme des cits
A partir des dbuts du IIe s., les censeurs vont intervenir de manire tout
fait nouvelle dans la mise en uvre des constructions publiques dans les
cits. Auparavant, il sagissait essentiellement de raliser des travaux utiles
Rome, surtout des routes qui facilitaient les transports travers la pninsule.
Dsormais, les censeurs font difier des gouts, des murs de cits, des taber28 J.-M. Pailler, Bacchanalia. La rpression de 186 av. J. -C. Rome et en Italie: vestiges, images et
traditions, Roma 1988 et en part. pp. 330-332.
29 V. supra.
30 Balb. 8,22.
31E. Gabba, Il processo di integrazione dellItalia nel II secolo, dans Storia di Roma, II.1, Torino 1990,
pp. 267-283, cf. p. 270.
32Ainsi que nous lapprend la tabula Heracleensis, II, 142-156, v. Roman Statutes, d. M.H. Crawford, I, London 1996, p. 358.

Les rapports entre les lites du Latium et de la Campanie et Rome

49

nae, des fora avec portiques, des digues, des aqueducs; ainsi en 184 Fondi,
Terracina, Formia, Sinuessa, en 179 une digue Terracina33, mais aussi un
mur denceinte, des tabernae autour du forum de Caiatia et Auximum, en
174 un aqueduc et le temple de Jupiter Terracina et dautres constructions
Sinuessa. Ces travaux souvent trs importants ntaient pas tous raliss
avec des fonds urbains et beaucoup taient financs sur le trsor des communauts locale, comme par exemple ceux de 174, sans que les textes fassent allusion des dlibrations des snats locaux. Ainsi les censeurs de 174,
Q. Fulvius Flaccus et A. Postumius Albinus firent vendre les domaines publics de lendroit, ils consacrrent largent la construction de boutiques sur
les forums des deux villes34. Par ailleurs, ces cits bnficirent aussi, semble-t-il35, dactes dvergtisme de la part des censeurs avec la construction
leurs frais dun temple de Jupiter Pisaurum et Fondi Sinuessa dhabitations dans des faubourgs (?) ces villes furent dotes aussi par lui [Fulvius Flaccus] dgouts et dun mur denceinte ... il fait fermer le forum avec
des boutiques et lever trois Janus Tous ces travaux lui valurent la grande
reconnaissance des colons36. De toutes faons, il sagissait bien l dinterventions qui, mme si elles pouvaient avoir localement des effets bnfiques,
court-circuitaient les capacits dcider des lites dirigeantes lors doprations denvergure de lquipement public de leurs cits. Sous limpulsion
de Rome, de nombreux sanctuaires italiques37 furent reconstruits ou restaurs, ce qui tait un moyen pour lUrbs de contrler au plus prs et ventuellement de rprimer toutes tendances religieuses qui pouvaient apparatre
comme subversives.
1.2.3. Les interventions de Rome dans les affaires intrieures et extrieures
des cits
Une intervention de Rome fut souvent requise par les autorits locales,
par exemple dans des cas de difficults entre deux partis ou groupes dopi33Travaux qui ntaient pas sans arrires penses personnelles, car la digue permettait larrimage de
navires vinaires, ce qui facilitait le transport de la production des proprits du censeur Lpide, v. supra,
note 23.
34 Liv. XLI 27,10.
35 Le texte de Tite-Live prsente des incertitudes mais il est probable quil sagissait bien dvergtisme de la part dun ou mme des deux censeurs.
36 Liv. XLI 27,11-12.
37 Voir ce propos U. Laffi, Il sistema di alleanze italico, dans Storia di Roma, II.1, Torino 1990, pp.
285-304, cf. 288 sq.; J. Scheid, Rome et les grands lieux de culte en Italie, dans Pouvoir et religion dans le
monde romain, Paris 2006, pp. 75-86.

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Mireille Cbeillac-Gervasoni

nion dans leur cit, ainsi lorsque le grand-pre de Cicron alla plaider devant le snat pour empcher ladoption de lois tabellaires Arpinum38 et
obtenir dans ce sens un assentiment des snateurs. Cest la demande des
autorits citadines que Rome expulsa de lUrbs douze mille Latins qui sy
taient installs abusivement39. On peut aussi mentionner la mdiation entre
les habitants de Naples et de Nola pour des questions de frontires qui, en
dfinitive si on en croit Cicron, se conclut au bnfice de Rome: Q. Fabius
Labeo [consul de 183] donn par le snat comme arbitre de leurs frontires,
stant rendu sur les lieux, recommanda sparment aux deux parties de ne
pas se comporter avec convoitise ni avec avidit, et de prfrer se retirer plutt que davancer. Quand lun et lautre adversaires leurent fait, un territoire
assez considrable se trouva entre les deux, abandonn. Et ainsi il dtermina
leurs frontires, comme eux-mmes les avaient fixes; mais pour le territoire
qui se trouvait abandonn entre les deux, il lattribua au peuple romain!40.
Certes, les cits pouvaient envoyer des membres de leur lite comme ambassadeurs auprs du snat pour exposer leurs griefs ou rcriminations, mais le
rsultat ntait pas toujours celui escompt; on peut mentionner lintervention devant les snateurs de L. Papirius Fregellanus qui, lpoque de Tiberius Gracchus, pronona une oratio pro Fregellanis colonisque Latinis41 et le
rsultat fut peu probant puisquon connat la fin tragique de Frgelles, raye
de la carte aprs la prise de la cit par le prteur L. Opimius.
1.2.4. Prgnance du latin et du systme montaire et pondral
Au cours du IIe s., le latin devint la langue courante dans le Latium, non
seulement pour les lites, mais pour lensemble de la population; en revanche en Campanie, seule la cit de Cumes fit la demande Rome de pouvoir
faire du latin sa langue officielle. Dans le mme temps, la monnaie et les systmes montaire et pondral romains simposaient.
1.2.5. Le contrle de la religion et des lieux de culte symboliques
Rome a russi contrler et si besoin rprimer les ides religieuses qui
lui semblaient subversives ou sources de troubles civiques ventuels; si on
38

V. supra, note 26.


Liv. XXXIX 3,4-6.
40 Cic. off. I 10,33; anecdote reprise par Val. Max. VII 3,4a.
41 Cic. Brut. 169.
39

Les rapports entre les lites du Latium et de la Campanie et Rome

51

excepte la raction violente face au succs des Bacchanales42, en gnral, Rome se contenta de poursuivre une politique qui lui avait russi depuis dj
des dcennies et qui mettait sous sa coupe de grands sanctuaires et les pratiques religieuses qui sy clbraient par une habile manuvre dassociation
de Rome de grands cultes43. Dj en 338, aprs la fin dfinitive de la rbellion des Latins, les Romains se sont imposs par exemple dans le sanctuaire
fdral de la Ligue Latine du Monte Cavo qui est devenu un lieu de culte
romain; Lavinium, tous les rites furent clbrs dsormais par les Lavinates associs des magistrats et prtres urbains44. De mme Lanuvium, le
temple de Junon Sospes devint commun aux Lanuvini et aux Romains45,
pour ne prendre que quelques exemples dans le Latium. Ds le milieu du IIe
s., Rome va construire ou restaurer de trs nombreux sanctuaires italiques,
comme celui dj cit de lacropole de Terracina. Ce sont des enseignements
quAuguste noublia pas et au dbut du Principat, par le biais de cette religion ancestrale italique, il va fortifier encore plus son pouvoir.
1.2.6. Emergence au snat urbain des membres des lites locales
Laccs au snat et aux magistratures urbaines des domi nobiles est la
preuve clatante de lintgration des lites locales, du moins de certains
membres, dans luna patria. Cependant, T.P. Wiseman46 a bien not quau
cours du IIe s. les promotions ont t de moins en moins nombreuses et que,
trs souvent, les no-snateurs sont aussi rests des parvi senatores. De fait,
comme le rappelait Cicron, part des cits comme Tusculum et Capoue (et
on peut ajouter Prneste et Lanuvium)47 qui depuis longtemps donnaient
Rome des magistrats et des consuls, les autres cits taient trs peu reprsentes jusqu la fin du IIe s. quand Marius, chevalier originaire dArpinum, a
atteint le consulat et les plus grands honneurs dans la Rpublique.
1.2.7. Autres types de rapports: les abus des magistrats envers les lites et les
populations locales
Les rapports des membres des lites locales sont bien loin davoir toujours
t idylliques et placs sur un plan dgalit. Les domi nobiles ont souvent
42

V. supra propos de la rpression par le s.c. de Bacchanalibus.


Scheid, Rome..., p. 79.
44 Liv. VIII 11,15.
45 Liv. VIII 14,2.
46T.P. Wiseman, New Men in the Roman Senate 139 B.C. - A.D.14, Oxford 1971.
47 Ordine senatorio, Roma 1982.
43

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Mireille Cbeillac-Gervasoni

subi des abus de la part de magistrats romains qui passaient par leur cit.
La dnonciation de cette situation fut faite par Caius Gracchus dans un discours clbre48 en 123; il y rappelait le traitement infmant inflig des magistrats de Teanum, de Ferentinum et de Venusia pour des motifs futiles ou
infonds. Tite-Live49 raconte aussi lanecdote dun consul de passage Prneste en 173 qui infligea une humiliation aux Prnestins sans provoquer de
raction, tant sans doute, taient-ils difficiles de sopposer de tels procds.
La trs longue liste (37 pages) de toutes ces prvarications aux dpens des
cits hors de Rome a t dresse par Toynbee50. Des rancoeurs ont persist
longtemps, hrites dans certains cas des longues annes de guerres entre
Romains et Latins. Tite-Live51 et Valre Maxime52 nous rapportent ainsi la
rancune des Tusculans envers Rome dont ils ne digrrent jamais lattitude
quelle avait eu envers eux durant la guerre latine.
Les prjugs sont rests bien ancrs dans la mentalit des Romains dans
leur apprciation des non-urbains et ceci perdura jusqu la fin de la Rpublique. Caton lAncien, originaire dune cit qui avait dj donn maints magistrats Rome tait pourtant dfini53 comme Tuscolo urbis inquilinus, un
migr pour rsumer! Cicron lui-mme, lhomo novus dArpinum, dsignait
des orateurs54 qui exeraient dans dautres cits en tant que istis externis
quasi oratoribus. Il est vrai que Cicron lui-mme tait dit M. Tullius, inquilinus civis urbis Romae par Catilina, le patricien aux anctres glorieux55. La
sociologie moderne nous apprend combien les modles du conqurant peuvent parvenir contaminer le jugement des soumis, quels que soient lpoque et le lieu!

48 ORF4 48: nuper Teanum Sidicinum consul venit. Uxor eius dixit se in balneis virilibus lavari velle.
Quaestori Sidicino M. Mario datum est negotium uti balneis exigerentur qui lavabantur. Uxor renuntiat
viro parum cito sibi balneas traditas esse et parum lautas fuisse. Idcirco palus destitutus est in foro eoque
adductus suae civitatis nobilissimus homo M. Marius. Vestimenta detracta sunt, virgis caesus est Ferentini ob eandem causam praetor noster quaestores abripi iussit: alter se de muro deiecit, alter prensus et virgis
caesus est.
49 XLII 1,6-12.
50A. Toynbee, Hannibals Legacy. The Hannibalic Wars Effect on Roman Life, II, Oxford 1965, pp.
608-645.
51 VIII 37,8.
52IX 10,1.
53 Vell. II 128.
54 Brut. 170.
55Propos devant le snat, rapports par Sall. Catil. 31,7. Injure mprisante envers un homme, certes
homo novus, mais parvenu au plus haut rang de la respublica et originaire dune cit qui, depuis 188, avait
reu la civitas optimo iure.

Les rapports entre les lites du Latium et de la Campanie et Rome

53

1.3. Apostilles cette premire partie: peut-on parvenir saisir le degr dattraction de Rome sur les lites locales?
Il est lgitime de se demander si les domi nobiles avaient jusquaux annes
90/89 lambition gnralise de parvenir, eux-mmes ou leurs enfants, des
fonctions urbaines. Si on en croit Cicron, son grand-pre malgr les sollicitations du prince du snat aurait refus de venir poursuivre une carrire
des honneurs Rome56. Vrit ou vanit? Sans doute les deux! Cependant,
il est vrai que la prosopographie permet de connatre de nombreux membres de llite dont la fortune dpassait sans doute le cens snatorial mais qui
ne semblent pas avoir eu la tentation du cursus urbain. On pense au cas
symptomatique, dat du dernier quart du IIe s., de lvergte fastueux dAletrium, L. Betilienus Vaarus (dit Censorinus car il revtit deux fois la censure
dans sa cit). Une inscription57 dtaille tous les bienfaits dont il combla ses
frais ses concitoyens; il entreprit une restructuration de la ville dont les restes archologiques portent le tmoignage58: rues (semitas in oppido omnis),
espace pour les jeux (campum ubei ludunt), bains publics ([l]acum balnearium, non encore dits thermes), citerne (lacum ad [p]ortam) alimente par
un aqueduc (aquam in opidum arduom adqu(e) pedes CCCXL fornicesq(ue)
fecit), dot dun systme trs sophistiqu avec des conduites forces (fistulas soledas fecit), horloge, march, basilique, siges, outre une monumentalisation de type hellnistique de la rampe qui menait la citadelle (porticum
qua in arcem eitur). Ce nest quau dbut du principat quun descendant est
connu Rome: le montaire de 12, P. Betilienus Bassus; ensuite, un chevalier
de la mme59 gens, le procurateur Betilienus Capito vit son fils promu par
Caligola questeur du prince, mais assez vite assassin sous les yeux de son
pre60.
Lascension fut lente puisquun sicle et demi spare Btilienus les fastueux vergte de son lointain descendant, questeur de Caligula; aussi est-il
possible, comme le suggre F. Coarelli, que la famille ait pris parti pour Marius contre Sylla, ce qui expliquerait le retard dmergence pour une gens qui
56

V. supra note 26.


CIL I 1529 (cf. p. 730 et 840) = X 5807 = ILLRP 528.
58 F. Zevi, Aletrium, dans Hellenismus in Mittelitalien, Gttingen 1976, pp. 84-96.
59Sil est vrai quil faut manier avec la plus grande prudence loutil onomastique, en revanche dans
des cas limits et prcis, des gentilices sont rattacher une cit avec un maximum de certitude; cest
le cas de plusieurs noms de familles de Prneste ou de Cumes par exemple, mais aussi celui de la gens
Betiliena qui, jusquau dbut du Ier sicle de notre re, est prsente exclusivement Altrium ou dans
des zones o se trouvaient ses affranchis et esclaves.
60 V. Sen. ira III 18,3. V. M. Cebeillac, Les quaestores principis et candidati aux Ier et IIme sicles
de lEmpire, Milano 1972, p. 43, n XIX.
57

54

Mireille Cbeillac-Gervasoni

semblait possder tous les atouts pour obtenir avant la fin de la Rpublique
laccession des charges urbaines.
Par ailleurs, sil est vrai que des travaux importants furent localement raliss par les censeurs ou des aristocrates romains, il nempche que les aristocraties ont transform leurs cits et leurs sanctuaires, dans le got hellnisant
du temps, soit avec des fonds publics, soit par vergtisme, avec une frnsie
vidente dont on conserve de nos jours les traces archologiques, pour de
grands sanctuaires61 mais aussi pour lurbanisme62. Lpigraphie permet de
connatre les noms de ces magistrats locaux qui ont ralis ces travaux. On
peut y voir le souhait dimiter Rome qui est elle-mme de plus en plus hellnise mais aussi linfluence directe des modles de lOrient Mditerranen;
les lites locales du Latium et de la Campanie, impliques dans des trafics
trs rentables avec les pays de la Mditerrane orientale, connaissaient fort
bien ces pays et la civilisation hellnistique, aussi peut-on retrouver comme
Aletrium ou Prneste, linfluence de Pergame. Comme la soulign F. Pesando63 dans son tude des maisons des domi nobiles, on peut affirmer qu
la fin du IIe s. la privata luxuria des aristocraties riches des cits dItalie tait
bien suprieure celle des familles nobles de Rome, soumises au contrle
social et aux lgislations somptuaires64.
Certes, on note qu la fin du IIe s., la situation des rapports entre les
lites et Rome reste trs contraste, avec des alignements volontaires ou imposs sur les desiderata de Rome, mais, comme le soulignait E. Gabba65, la
fin du IIe s., persistait une grande vitalit des traditions locales. Nous possdons maintes preuves de lactivit indpendante de lorbite dinfluence de
lUrbs, y compris pour des oprations de grand prestige entreprises par des
domi nobiles. On doit aussi cependant constater avec U. Laffi66 que Rome
avait besoin du bon fonctionnement des institutions locales qui constituaient
ses relais do dcoulait une certaine politique du laisser faire; mais, la
fin du IIe s., le processus dassimilation tait un phnomne en cours, irrversible et destin sacclrer aprs la guerre sociale.
61 Cf. les sanctuaires importants du Latium et de la Campanie, presque tous restructurs de manire
monumentale, partir du milieu du IIe s., comme Frgelles, Frentinum, Gabii, Prneste, Terracina,
Tibur ou le temple de Castor et Pollux Cora, v. F. Coarelli, I santuari del Lazio e della Campania, dans
Les Bourgeoisies municipales italiennes aux IIe et Ier sicles av. J.-C., d. M. Cebeillac-Gervasoni,
Napoli - Paris 1983, pp. 217-240; Id., I santuari del Lazio in et repubblicana, Roma 1987.
62Outre Aletrium dj mentionne plus haut, v. Pompi, Frentinum o deux censeurs construisent
lacropole de manire monumentale (CIL I 1522-1523 = X 5837 = ILLRP 584) au milieu du IIe s., Tibur
o vers 120/90 lacropole est agrandie avec le clivus Tiburtinus et lantique enceinte, monumentalise.
63 F. Pesando, Domus. Edilizia e societ pompeiana fra III e I secolo a.C., Roma 1997.
64M. Torelli, Tota Italia. Essays in the Cultural Formation of Roman Italy, Oxford 1999, pp. 8-9.
65E. Gabba, Dallo stato-citt allo stato municipale, dans Storia di Roma, II.1, Torino 1990, p. 707.
66U. Laffi, Il sistema, pp. 301-303.

Les rapports entre les lites du Latium et de la Campanie et Rome

55

2. La situation67 aprs les lois de 90/89: la voie troite vers luna patria:
une situation schizophrnique
2.1. Permanence de lattachement la petite patrie
Cicron, de passage Arpinum, le municipe o il est n, lors dune
conversation avec Atticus labore une authentique thorisation des deux
patries:
[Marcus] Quia, si verum dicimus, haec est mea et huius fratris mei germana patria.
Hinc enim orti stirpe antiquissima sumus, hic sacra, hic genus, hic maiorum multa
vestigia68 Gaudeo igitur me incunabula paene tibi ostendisse. [Atticus] Equidem
me cognosse admodum gaudeo. Sed illud tamen quale est quos paulo ante dixisti,
hunc locum id est, ut ego te accipio dicere, Arpinum germanam patriam esse
vestram? Numquid duas habetis patrias, an est una illa patria communis? Nisi forte
sapienti illi Catoni fuit patria non Roma, sed Tusculum. [Marcus] Ego mehercule
et illi et omnibus municipibus duas esse censeo patrias, unam naturae, alteram civitatis; ut ille Cato? quom esset Tusculi natus, in populi romani civitatem susceptus
est, ita, quom ortu Tusculanus esset, civitate Romanus, habuit alteram loci patriam,
alteram iuris69 Itaque ego hanc meam patriam prorsus numquam negabo, dum
illa sit maior, haec in ea contineatur70 [Atticus] Ut iam videar adduci ad aestimandum, hanc quoque quae te procrearit esse patriam tuam71.

Les propos des deux amis, selon moi, sont bien loin de clarifier la situation; ils confirment ce que Gabba72 dfinissait comme une thorie qui tait
une faon lgante de concilier des tendances qui poussaient dans des directions divergentes: un grand attachement la petite patrie, mais avec un embarras vident et une tentative dsespre pour justifier lexistence contemporaine de ces deux patries; cest pourquoi jose avance le jugement de position schizophrnique73! La gravit des temps troubls du Ier s. va amener
la plupart des membres des lites locales simpliquer dans les conflits et
67 Je ne reprends pas ici toute une srie de considrations sur les rapports entre les lites locales et
Rome, en particulier dans le domaine priv, dj traits dans la premire partie, car hospitalit, patronage, liens damitis, mariages restent dactualit et je ne prendrai ici en considration que les aspects
nouveaux de ces relations. On peut noter une certaine acclration, une quasi-frnsie, par exemple dans
la course aux recommandations, dont la correspondance de Cicron apporte un tmoignage vident (v.
Deniaux, Clientles...).
68 Cic. leg. II 1,3.
69 Cic. leg. II 2,5.
70 Cic. leg. II 2,5.
71 Cic. leg. II 3,6.
72 Gabba, Dallo stato-citt..., p. 704.
73 Voir propos de ces tensions H. Ingelbert, in Histoire de la Civilisation romaine, Paris 2005, pp.
472-474.

56

Mireille Cbeillac-Gervasoni

sengager sur la route difficile mais incontournable qui va les conduire


luna patria.
2.2. Ltablissement de nouveaux rapports entre les lites locales et Rome
2.2.1. Participation des domi nobiles aux troubles civils
Presque toutes les cits de lItalie vont voir leurs lites simpliquer dans
les luttes intestines sans trve qui ont dchir lUrbs ds la fin de la guerre
sociale; ce climat de guerre civile va durer jusqu la victoire dOctavien et
stendre toute lItalie. Le Latium et la Campanie qui forment le premier
cercle autour de Rome sont a fortiori les premiers engags dans cette tragdie. Les lites locales se retrouvent dans lobligation de choisir entre les
diffrents chefs de partis qui ambitionnent de prendre le pouvoir; ce sera
pour le meilleur ou pour le pire dans les combats sans merci que les parties
adverses vont se livrer. En cas de victoire du leader quils ont choisi, eux-mmes et leurs cits vont en tirer bnfice, mais en cas de dfaite, les notables
vont tre mis mort sils nont pas pu schapper temps, ils sont dpouills
de leurs biens et leurs concitoyens sont massacrs, punis, les terres donnes
des partisans du vainqueur74 et parfois, comme Norba, la cit elle-mme est
rase et dfinitivement dtruite.
2.2.2. Les motivations de lengagement des lites locales aux cts des imperatores urbains
On peut tenter de les analyser et de comprendre les raisons de ce revirement par rapport une certaine neutralit du pass.
2.2.2.1.
Les clientles traditionnelles des familles des imperatores en conflit ont
srement t un lment dterminant qui explicite les positions de certaines
74 Les exemples abondent; on pense Prneste, Pompi, chties parce quelles avaient pris le
parti de Marius contre Sylla. On peut mentionner la magistrale tude prosopographique dAttilio Degrassi sur Prneste (A. Degrassi, Quando fu costruito il santuario della Fortuna Primigenia di Palestrina,
Epigraphica IV, MAL s. 8, 14, 1969, pp. 111-127); cette recherche a prouv que llite dirigeante a t
entirement renouvele (ou presque si on excepte les cas de rares collaborateurs, au sens que lon
donne depuis la dernire guerre ce terme) aprs la victoire de Sylla et linstallation de ses vtrans qui,
dsormais, gouvernent Prneste.

Les rapports entre les lites du Latium et de la Campanie et Rome

57

cits et rgions. On le sait pour Pompe et le Picnum, mais aussi pour Marius; on constate que toute la zone autour de sa cit natale (dans la priphrie dArpinum) prit parti pour lui et pour son fils contre Sylla et que tous ont
pay un lourd tribut75 cette fidlit. On peut, entre autres cas, mentionner
le cas dOstie, pompienne, dont llite en place dans le gouvernement de la
colonie subit les consquences76.
2.2.2.2.
A ces traditions, sajoute un phnomne qui va prendre de lampleur et
permettre des aristocrates urbains de recruter des partisans: revtir ou faire revtir ses fils des magistratures locales. Il devint habituel chez les nobiles de Rome dancrer encore mieux leur influence dans le tissu italien par
la prise de fonctions dirigeantes dans les cits. Dans quelques cas, il pouvait
sagir de maintenir des liens avec la petite patrie, terre des anctres; ainsi
Cicron fit lire son fils et son neveu ldilit en 46 Arpinum77: hoc anno
aedilem filium meum fieri voluit et fratris filum et M. Caesium, hominem mihi
maxime necessarium. Milon, le client de Cicron dans le procs Pro Milone,
alors quil tait dj prteur urbain, ne ddaigna pas de revtir la magistrature suprme Lanuvium, la dictature: quod erat dictator Lanuvi Milo78. De
nombreux fils de familles de laristocratie, y compris patricienne, ont cherch se faire lire dans les cits; ainsi on voit M. Juventius Laterensis qui
compte dans sa ligne des consuls, mais qui, note avec ironie Cicron79 dans
son plaidoyer, peut se vanter parmi ses mrites davoir donn des jeux Prneste, o il avait sans doute t lu dile! On voit L. Marcius Philippus, le
probable consul de 56, beau-pre dOctavien, revtir le duumvirat Herculanum. L. Gellius Poblicola, consul en 36, est identifier au duumvir de
Minturnes80.
75On a dj mentionn les massacres, les destructions, les spoliations; v. pour les proscriptions Fr.
Hinard, Les proscriptions de la Rome rpublicaine, Roma 1985.
76 F. Zevi, P. Lucilio Gamala senior: un riepilogo trentanni dopo, dans Ostia, Cicero, Gamala, Feasts &
the Economy. Papers in Memory of John H. DArms (Journal of Roman Archaeology, Supplementary Series. 57), edd. A. Gallina Zevi - J.H. Humphrey, Portsmouth R.I. 2004, pp. 46-67, en part. pp. 62-65.
77 Cic. fam. XIII 11,3. Arpinum tait un municipe dorigine volsque qui avait conserv la titulature
traditionnelle de ses dirigeants, cest--dire trois diles. Le troisime lu tait M. Caesius, notable local,
vieil ami de lorateur.
78 Cic. Mil. 10,27. V. M. Cebeillac-Gervasoni, Une relecture du S.C. de Lanuvium trouv Centuripe, dans Epigrafia Juridica. Actas del Coloquio Internacional A.I.E.G.L., Pamplona, 9-11 abril de 1987,
Pamplona 1989, pp. 103-114 et pl. X.
79 Cic. Planc. 63.
80 CIL X 6017.

58

Mireille Cbeillac-Gervasoni

T.P. Wiseman81 lui aussi impressionn par lampleur de ce phnomne,


typique de la fin de la Rpublique, a suggr quil sagissait dune mainmise
de Rome sur les communauts locales; je serais plus nuance, car il me semble quon devrait plutt y voir les initiatives personnelles dambitieux qui
recherchaient des soutiens soit en cas dlections Rome82, soit en cas de
difficults politiques, tellement banales dans ces temps troubls. On remarque que cette exprience fera cole linitiative des princes; nombre dentre eux revtiront des magistratures dans des cits avec le souci de resserrer
ainsi leurs liens avec les autochtones et dhonorer de manire apodictique
le notable quils choisiront comme prfet pour les remplacer et grer leur
place les charges durant lanne que durait la fonction.
2.2.2.3.
Il est possible que les domi nobiles se soient tourns vers des carrires urbaines pour retrouver la position de personnage au-dessus de la masse que
les lois juliennes leur avait fait perdre dans leurs propres cits. E. Gabba a
not que la plupart des membres des aristocraties locales avant la gnralisation de la civitas Romana tous leurs concitoyens en 90/89, possdaient dj
titre personnel la citoyennet romaine; ceci leur donnait srement au sein
de leur communaut un sentiment de privilge qui a disparu lorsque tous les
hommes libres de ces cits sont devenus cives Romani. Les priodes troubles sont toujours et partout loccasion pour les ambitieux de faire leurs
preuves en devenant les hommes liges dun leader en qui ils voient le futur
vainqueur, ce qui devrait leur assurer eux aussi une position dominante.
2.2.2.4. Lenrichissement personnel par accaparement des biens des proscrits
Les terres confisques dans des cits purent tre distribues des vtrans (ainsi Prneste et Pompi par Sylla) ou des partisans qui surent se
partager les biens des proscrits. Citons entre autres exemples celui des trs
riches proprit agricoles de Casinum dans le Latium mridional qui appartenaient des lites locales; on les retrouve en possession de C. Quinctius
81

New men..., pp. 45-46.


tous les ingenui de ces cits sont des citoyens dots du droit de vote, certes difficile
exprimer si on est loin de lUrbs, mais Rome est dans un rayon accessible pour les habitants du Latium et
de la Campanie; par Cicron on apprend que lui-mme et plusieurs de ses clients ont t soutenus par la
venue de citoyens dont ils taient les voisins dans leur cit ou la campagne.
82Dsormais,

Les rapports entre les lites du Latium et de la Campanie et Rome

59

Valgus, beau-pre du tribun de la plbe P. Servilius Rullus qui proposait une


loi agraire laquelle Cicron sopposa avec vigueur. Cicron83 reproche au
tribun les biens mal acquis de son parent et il ne fait quallusion aux autres
biens usurps par le mme partisan de Sylla et que lon connat grce des
inscriptions, Casinum84, Pompi85, Aeclanum86, Frigentum87 et sans doute en dautres lieux dont on nen a pas conserv trace.
2.2.2.5. La satisfaction des ambitions politiques par mergence des carrires urbaines
Prendre parti tait certes jouer la roulette russe, mais sans doute
navait-on pas le choix; on constate en effet quen dpit de tous les risques
encourus par eux-mmes, leurs proches et leurs cits, les membres des lites locales se sont trs souvent dtermins pour un parti, ce qui signifiait en
clair quon devenait hostile un autre. Si on avait opt pour le parti du vainqueur, outre des avantages matriels, on pouvait aspirer pour soi-mme et sa
famille une promotion politique. Nombre des partisans de Csar88 taient
dobscurs personnages propulss aux plus hauts niveaux par les guerres civiles et ces mergences de notables locaux vont se multiplier partir de la
victoire dOctavien-Auguste. Cet hritier de Csar tait aussi par sa mre un
homme issu du milieu municipal des domi nobiles et son appel au soutien de
la tota Italia na pas t vain. Il a su susciter ladhsion de la fleur de la socit aristocratique locale; les tudes prosopographiques qui, pour la fin de
la Rpublique et le Principat, disposent de donnes pigraphiques beaucoup
plus abondantes, montrent cette mtamorphose qui va conduire la naissance dune nouvelle aristocratie. Une recherche que je viens de conduire89
83 Cic. leg. agr. III 14: habet publicos; reddam privatos. Denique eos fundos quos in agro Casinati
optimos fructuosissimosque continuavit, cum usque eo vicinos proscriberet quoad oculis conformando ex
multis praediis unam fundi regionem formamque perfecerit, quos nunc cum aliquo metu tenet, sine ulla
cura possidebit.
84 CIL I 1547 = X 5282 = ILLRP 565; il est cit comme patron dun affranchi.
85 CIL I 1632 = X 852 = ILLRP 645; C. Quinctius Valgus est duumvir quinquennal Pompi et ensemble avec son collgue M. Porcius, ils sont les gnreux vergtes qui offrent aux colons [qui sont des
vtrans que Sylla a installs Pompi en spoliant les ex-propritaires] lamphithtre et auxquels ils ont
dj donn quand ils taient duumvirs le petit thtre (dit odon) (CIL I 1633 = X 844 = ILLRP 646).
86 CIL I 1722 = IX 1140 = ILLRP 523; il y est patron du municipe.
87 ILLRP 598, en tant que magistrat quinquennal, il organise une restructuration complte de lurbanisme.
88 Voir entre autres exemples le cas dOstie o des Csariens revtent les magistratures mais aussi des
fonctions urbaines (v. les fastes dOstie CIL XIV 4531: annes 48-44).
89M. Cebeillac-Gervasoni, dans Epigrafia e epigrafisti, Roma 2008 (sous presse).

60

Mireille Cbeillac-Gervasoni

sur les lites locales dun certain nombre de cits de la Campanie ma permis
de raliser que cest auprs des notables de ces cits quOctavien a trouv
un rservoir de partisans fidles; ce sont eux qui lui ont assur un soutien
sans faille en cas de difficults. Ainsi, en 12, Auguste dut faire face la grogne des jeunes de laristocratie snatoriale90 qui refusrent de se prsenter
comme candidats certaines magistratures, comme le tribunat de la plbe.
Une loi permit une lection directe par le peuple sur des listes de candidats
questres qui possdaient le cens snatorial, soit un million de sesterces; Mario Torelli91 a fait judicieusement le lien avec ces domi nobiles, tribuns de la
plbe, connus par des inscriptions trouves dans des cits de Campanie; je
pense que ces documents prouvent, si besoin tait, lallgeance au princeps
des aristocraties campaniennes92 o, dans les mmes annes, ils avaient aussi
revtu des magistratures locales93. Auguste a su rcompenser leur engagement et leur a offert la possibilit dmergences rapides aux rangs questre
ou snatorial94. Il ne sagit plus de promotions alatoires et sur un laps de
temps relativement long, de deux trois gnrations, comme ctait le cas
la fin de la Rpublique; dsormais les mergences peuvent tre brillantes
et mme foudroyantes pour ceux qui appartiennent au cercle des fidles du
princeps, comme Aulus Cottius, le questeur de Teanum Sidicinum quil faut
sans doute identifier, comme le propose G. Camodeca95, au proconsul de
Btique homonyme, sous Auguste. Dautres cas sont flagrants comme celui de L. Lusius Saturninus, duumvir candidat Nuceria, dont le fils est le
consul de 41 de notre re ou celui de M. Aedius Celer dAllifae, snateur ds
Auguste ou Tibre, apparent par sa mre M. Granius Marcianus et M.
Granius Kanus, prteur proconsul.

90Dion Cassius LIV 30,2. V. A. Chastagnol, La crise du recrutement snatorial des annes 16-11,
dans Miscellanea di Studi Classici in onore di Eugenio Manni, II, Roma 1980, pp. 465-476 (republi dans
Id., Le snat romain lpoque impriale, Paris 1992, pp. 49-56).
91M. Torelli, Tribuni plebis municipali, dans Sodalitas. Scritti in onore di Antonio Guarino, Napoli
1983, pp. 1397-1402.
92Un texte de Sutone (Aug. 40) permet de savoir qu la fin de lanne de charge, ces magistrats
urbains avaient la possibilit de revenir dans leur classe dorigine.
93 V. C. Tampius Sabeinus, candidat Pompi et tr.pl. (CIL IV 3872 = ILLRP 1143); A. Fabius, pompien; Cn. Vesiculanus, duumvir iure dicundo Teanum Sidicinum et tr.pl. (CIL X 4797).
94G. Camodeca, La carriera e la famiglia di M. Aedius M.f. Ba[lbus?], per commendationem Ti. Caesaris Augusti consul ab Senatu destinatus (riedizione di CIL IX 2341+2343 e 2342), dans Studi in onore di
Francesco Grelle, edd. M. Silvestrini - T. Spagnuolo Vigorita - G. Volpe, Bari 2006, pp. 27-37.
95 Voir pour les Fastes de Teanum dat de 8-7, G. Camodeca, Il primo frammento dei Fasti Teanenses
(8-7 a.C.) e la prima colonia augustea di Teanum Sidicinum, dans G. Camodeca, I ceti dirigenti di rango
senatorio, equestre e decurionale della Campania romana, I, Napoli (sous presse). Les Auli Cottii ne sont
prsents qu Teanum et Dlos.

Les rapports entre les lites du Latium et de la Campanie et Rome

61

2.2.3. La voie vers luna patria passe par la tota Italia du fondateur du Principat
Octavien-Auguste va russir enraciner son pouvoir grce une restauration de la pietas et des plus anciennes traditions de la romanit; il sut rcuprer son profit limportance des lieux de mmoire italiques qui avaient
souvent subi des destructions avec la longue priode des guerres civiles96.
Le prince parvint trouver le ciment pour luna patria dans une exaltation
du mos maiorum restaur et porter son terme la romanisation culturelle
dune grande partie de lItalie97. Les lites locales, et tout particulirement
celles de la Campanie, vont adhrer sans beaucoup de rserve aux modles
proposs et la nouvelle vision de lespace romain. Les cits comme Pouzzoles98 o les gentes de laristocratie locale avaient rpondu aux sollicitations
du princeps adhr au projet dembellissement de leur cit sur le modle des
programmes urbains dAuguste. Lempreinte est si prgnante que jusque
dans le domaine trs intime et familial on va retrouver chez les domi nobiles
les signes incontestables de cette adhsion. On possde des preuves tangibles de cette adhsion avec des restes archologiques non seulement pour
des monuments publics construits sur impulsion de llite, mais aussi dans la
typologie adopte pour des monuments funraires. Ainsi Teanum, la dcoration de lautel funraire des Vesiculani (frise dorique avec mtopes fleurons et triglyphes)99, tout comme lautel ddie leur mre (avec frise dorique comportant bucranes et fleurons)100 ont t conus, comme le souligne
G. Camodeca dans son tude encore indite, dans un contexte idologique
qui a amen la diffusion de ce modle partir de 30, dont une signification
idologique a t dmontre par Mario Torelli101.
Avec les dbuts du Principat, les liens des lites locales avec leur cit
dorigine est toujours aussi fort et ils y poursuivent en gnral une action
vergtique et ils continueront pendant tout le Haut Empire y revtir des
magistratures locales. Cependant mme si cette vie politique conserve une
indniable vivacit, de toutes faons les membres de laristocratie dirigeante vont se fondre dans un modle propos sinon impos par Rome et son
princeps qui reprsente cette tota Italia dont Ronald Syme102 avait su si bien
comprendre et expliciter dans son magistral ouvrage la gestation et le triom96

Scheid, Rome...
Torelli, Tota..., en part. pp. 11-13.
98 Camodeca, Puteoli 3 (1979), pp. 17-34.
99 CIL X 4797, 4819.
100 EE VIII 579.
101M. Torelli, Monumenti funerari romani con fregio dorico, DArch 2 (1968), pp. 32-54.
102R. Syme, The Roman Revolution, Oxford 1939.
97

62

Mireille Cbeillac-Gervasoni

phe. Dsormais, il y a une patrie unique et les attaches locales tout en restant
essentielles ne peuvent plus tre dfinies comme une petite patrie, concurrente de la grande.

Conclusion
La politique engage par Auguste va tre poursuivie durant tout le Principat et sous les Julio-Claudiens, le snat urbain a accueilli des membres recruts auprs des lites de la pninsule. Les recherches prosopographiques
rcentes103 ont dmontr que mme Claude, dont on considre en gnral
quil aurait favoris lentre au snat des lites gauloises104, a en fait promu
des homines novi et choisi des consuls issus de familles originaires des zones
de recrutement traditionnel de la pninsule105; comme pour le fondateur du
Principat, llment dterminant qui motivait une promotion tait la confiance envers des hommes liges. Ce nest que sous les Flaviens que les provinciaux, de manire plus significative, vont intervenir dans les troubles civils et
obtenir ensuite une mergence sur le modle de ce que fut celle des Italiens
partir dAuguste106; ainsi luna patria va devenir peu peu, au cours du IIe
sicle, avec dinfinies variantes rgionales, la rgle pour les lites locales de
lEmpire.

103 Voir la trs fructueuse recherche de A. Tortoriello, I Fasti consolari degli anni di Claudio,
MAL, s. 9, 17 (2004), pp. 393-693.
104 Cest une remarque de Snque (apocol. 3,3) qui a t largement extrapole: constituerat enim
omnes Graecos, Gallos, Hispanos, Britannos togatos videre.
105Mme en Italie, dans certaines regiones, on ne connat aucun snateur (regiones VIII et IX) et trs
peu dans les II, III et V, mme la regio X est peu reprsente, ce nest qu partir des Flaviens que les
Cisalpins arrivent en nombre (v. lloge de lItalie par Plin. nat. III 39).
106 Voir par ex. entre autres trs nombreux cas, lmergence dune famille de Frjus, les Valerii Paullini, v. M. Cebeillac-Gervasoni - F. Zevi, Un nouveau prfet de lannone connu grce une inscription indite dOstie, dans Mlanges offerts au professeur Pierre Cabanes, d. D. Berranger-Ausserve,
Clermont-Ferrand 2007, pp. 363-372.

Epigrafia greca nellItalia romana


Federica Cordano

Premessa
Un notissimo passaggio di Strabone (VI 253) indica in Taranto, Reggio e
Napoli (questo lordine, forse geografico) le sole citt greche dellItalia che
non si siano imbarbarite. Per ora non mi fermo tanto sullinterpretazione
del verbo; tengo per a dire che forse aveva ragione Lasserre ad attribuire
a Posidonio quella affermazione, oppure Sartori ad attribuirla ad Artemidoro, comunque ad un secolo prima, tanto che i tre nomi si trovano associati
anche nel Pro Archia di Cicerone (3,5), proprio nello stesso senso (e nello
stesso ordine), pur limitato allattivit teatrale e poetica. Vedremo quanto essa trovi riscontro nellepigrafia.
Gli stessi tre nomi ricorrono in Livio (XXXV 16), in un passo relativo al
193 a.C., importante per trovare il senso che li collega. Infatti le tre citt sono socii navales e fedeli da quando sono entrate in nostro possesso: ci che
accomuna Reggini, Napoletani e Tarantini di avere un importante porto,
utile ai Romani per via della fedelt di questi alleati.
La situazione prospettata da Livio inizia con il secondo secolo a.C., anche
se sar migliorata da Augusto: ecco perch, piuttosto che a Strabone, penso
alle sue fonti e soprattutto mi pare che limportanza di quelle citt non riposi
tanto nel non essere imbarbarite, quanto nella loro posizione e funzione
rispetto a Roma, soprattutto portuale. Le iscrizioni greche pi interessanti
per noi iniziano proprio nel II sec. a.C. e finiscono nel II o allinizio del III
d.C.
Cicerone, nellelencare le citt che hanno concesso la cittadinanza al poeta
Archia (ibid. 5,10), mette Locri dopo Reggio e prima delle altre due: questo
non fa problema, non solo perch molte sono le citt che ospitarono Archia,
ma soprattutto perch abbiamo testimonianza della conservazione di istituCommento

a Strabone VI 1,2 (Les Belles Lettres), p. 220.


F. Sartori, Le citt italiote dopo la conquista romana, in Atti del XV Convegno di Studi sulla Magna
Grecia (Taranto 1975), Napoli 1976, pp. 83-137, part. 108.
 Strabone usa in questo caso i nomi di citt e non dei cittadini, com uso per le citt greche.


64

Federica Cordano

zioni greche anche in citt diverse dal breve elenco straboniano; e poi vedremo com interessante laccostamento Reggio-Locri.
Unaltra citazione ciceroniana (fin. I 3,7) dimostra che il non imbarbarimento di quelle tre citt non vuol dire necessariamente il perseverare nelluso della lingua greca: infatti Lucilio, citato da Cicerone, dice di scrivere
per Tarantini, Cosentini e Siculi, cio per i non greci, per i parlanti latino,
rispettivamente, di Iapigia, Bruzio e Sicilia.
Vedremo infatti una situazione epigrafica molto diversa a Taranto, rispetto a Reggio e Napoli: infatti intendo comunque seguire questo schema per
riferire sulla sopravvivenza dellepigrafia greca nellItalia romana.
Se poi, come molti hanno gi fatto, si confronta il passo di Strabone, in
particolare il verbo ejkbebarbarw`sqai, con unaltrettanto famosa frase di
Aristosseno riportata da Ateneo (XIV 632a), quella relativa ai Posidoniati
che si sono imbarbariti (ejkbebarbarw`sqai) con leccezione della sola grande festa greca durante la quale ricordano quel loro antico linguaggio e le
loro tradizioni (ed Aristosseno aggiunge: cos anche noi dopo che i teatri
si sono imbarbariti e si gravemente corrotta la musica popolare dei nostri
tempi, ci riuniamo in pochi e riandiamo col ricordo alla grandezza della musica di un tempo [trad. L. Citelli]), abbiamo cos, pur riferita ad et pi antica, una buona introduzione a quanto troviamo nelle testimonianze epigrafiche in greco di quelle citt, che per una gran parte appartengono proprio
alle attivit teatrali e alle feste, ai giochi e alle gare previsti, a coloro che vi
partecipano e a coloro che vi sono preposti.
Possediamo testimonianze, da citt diverse da quelle tre, per la continuit
nelluso della lingua greca: un dato non trascurabile , per esempio, il decreto del senato e del popolo di Velia per onorare C. Iulius Naso (SEG XVIII
417), databile tra il I a.C. e il I d.C., ed espresso nelle due lingue.
Devo fare unaltra premessa importante: non parlo qui di Sicilia, non solo
perch non richiesto, ma perch in Sicilia la lingua greca rimane comunque
quella prevalente fino al Tardo Impero, lo sanno tutti, le iscrizioni latine sono poche e sono solo nelle citt! Per mi pare pertinente al nostro colloquio
ricordare brevemente la cognatio fra Centuripini e Lanuvini. Noi abbiamo la
copia di Centuripe, scritta in un greco dorico, a Lanuvio ci sar stata la copia
in latino, ma molto utile sapere che persino per affermare di essere latini,


Questultima anche un socio navale (Pol. XII 5,2).


A. Fraschetti, Aristosseno, i Romani e la barbarizzazione di Posidonia, AION(Arch) 3 (1981),
pp. 97-115; A.G. Tsopanakis, Postilla sullejkbebarbarw`sqai di Strabone, PP 39 (1984), pp. 139-143;
D. Asheri, Processi di decolonizzazione in Magna Grecia: il caso di Poseidonia lucana, in La colonisation
grcque en Meditrrane occidentale (BEFAR 251), Roma 1999, pp. 361-370; E. De Juliis, Greci e italici
in Magna Grecia, Roma - Bari 2004, pp. 53-60.
 F. Fanciullo, Latinit e grecit in Calabria, in Storia della Calabria, II, Roma 1994, pp. 671-703.


Epigrafia greca nellItalia romana

65

gli abitanti di Centuripe, forse nel I sec. a.C., scrivessero in greco un documento ufficiale tanto rilevante per loro.

Reggio
Reggio, Napoli e Taranto non sono le sole citt greche dellItalia meridionale ad aver conservato usi greci, per sono certamente le citt pi importanti dal punto di vista dei Romani, i quali giustamente vedono in esse le tracce
dei costumi greci e gli usi ellenici che pi interessavano i Romani erano le
attivit fisiche e intellettuali che si svolgevano nei ginnasi.
Non quindi un caso che alcune testimonianze scritte in lingua greca siano relative alla complessa organizzazione dei ginnasi, tre di Reggio, una di
Petelia, due di Napoli.
Alcune delle pi importanti iscrizioni greche di Reggio della repubblica e
del primo impero appartengono infatti a questa categoria: vi leggiamo i nomi
personali perfettamente greci dei gimnasiarchi e del loro segretario, mentre
possono essere latini quelli degli esperti nelle varie attivit, naturalmente trasposti in greco.
Nella suggestione di un passo della Vita Pitagorica di Giamblico si sono
voluti vedere, nei due gimnasiarchi, gli eponimi della citt10. Noi sappiamo
invece che leponimo cittadino era unico, da un decreto (IG XIV 612) certamente precedente la costituzione del municipio, nel quale leponimo il
prytanis, ed anche dai numerosi bolli sui laterizi.
Cos pure i quattro arconti che onorano una signora che aveva beneficato
il koinn dei technitai di Dioniso, vanno intesi, come hanno fatto la Lazzarini e la Le Guen11, quali rappresentanti del koinn stesso e non della citt.
 G. Manganaro, Un senatus consultum in greco dei Lanuvini e il rinnovo della cognatio con i Centuripini, RAAN 38 (1963), pp. 23-44; A. Giardina, LItalia romana. Storie di unidentit incompiuta,
Roma - Bari 1997, pp. 23-24.
 J.L. Ferrary, Philhellnisme et imperialisme. Aspects idologiques de la conquete romaine du monde
hellnistique (BEFAR 271), Roma 1988, pp. 511-527.
 M. Buonocore, Tradizione ed evoluzione grafico-formale dellepigrafia greca det romana nellarea
di Regium - Locri, in Miscellanea in onore di P. Marco Petta, Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata,
45 (1991 [1992]), pp. 229-254; M.L. Lazzarini, Sopravvivenze istituzionali e culturali greche nellItalia
romana, in S. Follet (ed.), Lhellnisme depoque romaine. Actes du colloque international la mmoire
de Louis Robert, Paris 2004, pp. 173-182, part. 176; L. DAmore (ed.), Iscrizioni greche dItalia. Reggio
Calabria, Roma 2007.
10 G. Cordiano, La Ginnasiarchia nelle poleis delloccidente mediterraneo antico, Pisa 1997, pp.
114 ss., in ci giustamente contestato dalla Lazzarini cit. alla nota precedente.
11 M.L. Lazzarini, Uniscrizione greca di Reggio: le associazioni di attori in et ellenistica, Klearchos 1979, pp. 83-96; B. Le Guen, Les associations des technites dionysiaques lpoque hellnistique,
Paris 2001, pp. 317-326.

66

Federica Cordano

Si tratta naturalmente di associazioni nelle quali erano rappresentati tutti i


mestieri collegati con le attivit teatrali, ed organizzate con cariche religiose,
civili e finanziarie: il koinn stesso, come nel nostro caso, emetteva decreti
onorari, faceva dediche ai propri benefattori e nominava prosseni. In tali documenti leponimo doveva essere il sacerdote di Dioniso.
Diversa la complessa titolatura nelle iscrizioni di et giulio-claudia, tutte
scolpite su bassorilievi marmorei riferibili al culto di Apollo e di Artemide,
che commemorano addirittura la fondazione della citt. Sono bei monumenti che testimoniano la continuit linguistica e ci fanno conoscere una serie di
magistrature pubbliche, ad iniziare da un prytanis kai archon ek ton idion /
prytanis ek tou idiou kai archon pentaeteriks oppure prytanis kai archon kai
agoranomos / prytanis kai archon pentaeteriks, come si vede nelle definizioni
stesse, tutte strettamente legate alla vita municipale12.
Ancora per Reggio, o per il territorio circostante, mi pare molto interessante ricordare due esempi di scrittura privata, entrambi graficamente diversi dalle iscrizioni ufficiali perch tendenti al corsivo: una defixio del II sec.
d.C., nella quale sono stati tradotti in greco dei formulari latini13, e la famosa
tegola di Pllaro14, forse del I sec. d.C., per limmediatezza delle battute fra
ceramisti, persone non necessariamente istruite, che parlano fra loro in greco, una lingua greca nella quale, anche qui, si inserito un po di latino. Fra
le iscrizioni private andrebbero menzionate le funerarie, per non intendo
soffermarmi su questa categoria: mi limito a dire che anche in esse dal II sec.
d.C. si insinua il formulario latino trasposto in greco.
A Reggio prevale senza dubbio la lingua greca, mentre non cos nel resto del Bruzio. Vanno per tenute in conto alcune testimonianze delluso del
greco fornite da citt con prevalenza della lingua latina. Per esempio a Petelia, che certamente ha sostituito Crotone come punto di riferimento greco
sullo Ionio, cera anche un ginnasio almeno fino al I sec. a.C. (IG XIV 637);
e ad un secolo dopo appartiene uniscrizione bilingue15, la parte greca della
quale determinata dallorigine dei genitori del piccolo defunto, una famiglia di pantomimi, esercitanti cio unattivit scenica di origine greca bench,
secondo la tradizione, introdotta a Roma da Augusto.16
Si detto allinizio di un particolare rapporto fra Reggio e Locri, entrambe socii navales: la tradizione scrittoria simile in queste citt ed certamen12 F. Costabile, Istituzioni e forme costituzionali nelle citt del Bruzio in et romana, Napoli 1984;
Id., Dalle poleis ai municipia nel Bruzio romano, in Storia della Calabria, II, Roma 1994, pp. 437-464.
13 M. Buonocore, Supplementa Italica 5, Regium Iulium n. 37, Roma 1989.
14 E. Lattanzi - M.L. Lazzarini - F. Mosino, La tegola di Pellaro (Reggio Calabria), PP 44 (1989),
pp. 286-310.
15 M.L. Lazzarini, Pantomimi a Petelia, ArchClass 55 (2004), pp. 363-372.
16 Lazzarini, Sopravvivenze, p. 179.

Epigrafia greca nellItalia romana

67

te locale17. A Locri le iscrizioni greche non sono cos numerose, per di


grande interesse larchitrave monumentale murato nel castello di Bovalino,
con la memoria dei magistrati romani del municipio locrese18.

Napoli
Sullattivit teatrale a Napoli siamo ben informati, per esempio da Seneca
(epist. 76) e dalla plutarchea Vita di Bruto, nella quale si dice (21) che Bruto,
dovendo organizzare degli spettacoli a Roma, si rec a Napoli per ingaggiare
degli artisti19. E non ci meraviglia trovare che in questa citt si scrive pubblicamente in greco fino allinizio del III sec. d.C., ad esempio con i mesi
espressi sia in greco che in latino.
A Napoli prevale veramente la lingua greca, ed il motivo non pu essere
soltanto cercato nel maggior numero di parlanti quella lingua, perch nelle
iscrizioni greche di et imperiale prevalgono i nomi latini trasposti in greco,
siano essi personali che definizioni di cariche pubbliche, e, se non ci fossero
alcune magistrature specifiche, sembrerebbe di trovarsi in una citt dellAsia
Minore di et imperiale. Qui mi pare che si tratti di propaganda imperiale
vera e propria: la citt di Napoli doveva presentarsi come una citt greca a
coloro che vi si recavano per partecipare ai Sebast e per assistervi, i partecipanti agli agoni dovevano arrivare a Napoli trenta giorni prima, durante
il soggiorno venivano addestrati e ricevevano una diaria. Lintroduzione di
gare musicali e teatrali, forse avvenuta in un secondo momento, mettendo a
rischio il paragone con le Olimpiadi, si pu giustificare con limportanza che
esse avevano assunto nelle citt greche dItalia. In altre parole un debito
che i Romani pagavano alla grecit di Napoli (Miranda 54)20. Ci sono molti
greci che vengono a Napoli dalloriente per partecipare agli agoni, ed intorno alle attivit agonistiche che si concentra linteresse imperiale.
Gli Italik Romaia Sebast Isolympia sono stati fondati nel 2 d.C.21 in onore di Augusto, che vi assisteva anche nel 14, poco prima di morire. Da quel
momento gli imperatori hanno avuto una partecipazione attiva nella vita
pubblica di Napoli: di Nerone sappiamo che era spesso a Napoli e scelse
quella citt quasi greca (Tac. ann. XV 32,2) per esibirsi in teatro prima di
17

Buonocore, Tradizione, p. 233.


F. Costabile, Un nuovo apporto epigrafico alla storia di Locri Epizefiri in et romana, in Klearchos 1979, pp. 97-105 (data: prima dell89 a.C.); Buonocore, Tradizione, n. 25 (data: met del I sec.
a.C.).
19Per le testimonianze cfr. Le Guen, Les associations..., II, pp. 36-38.
20 E. Miranda, Gli agoni in Napoli antica, Napoli 1985, pp. 390-392; Ead. (ed.), Iscrizioni greche
dItalia. Napoli, I-II, Roma 1990-1995, dora in poi citata solo con cognome e numero.
21Per la data importante Miranda 52.
18

68

Federica Cordano

farlo in Grecia (Suet. Nero 20,2; 25,1; 40,4; Tac. ann. XIV 10; XV 33); e poi
Claudio oltre a partecipare ai Sebast (Cass. Dio LX 6,1; Suet. Claud. 11,2)
vi fece rappresentare una commedia di Germanico in greco (Suet. Claud.
11,5); egli fu addirittura oggetto di dedica (Miranda 17), un busto di Claudio
offerto agli dei Fratrii (Miranda 16) e fra le categorie dei partecipanti alle gare ci sono i klaudiano paides; per non parlare di Tito che fu agonothetes
per tre volte (nel 70, nel 74 e forse nell80: Miranda 19) e ricopr la carica di
demarco (Miranda 20)22 eponimo di Napoli, citt a lui cara anche perch vi
mor lamato e famoso pugile Melankomas; e listituzione della fratria degli
Antinoitai, sia essa autonoma o no, certamente un omaggio allimperatore
Adriano, al quale venne attribuita persino la demarchia23.
Come tutti sanno, i Neapolitani sono distribuiti in fratrie dai nomi prettamente greci24: questi gruppi sono particolarmente utili nella prima et imperiale, nella quale, a parer mio, esse sono state rinnovate con competenze
diverse dagli istituti di quel nome creati con la fondazione della Neapolis25 e
poi probabilmente accresciute di numero (Antinoitai): per esempio uniscrizione forse di et augustea (Miranda 43) ci presenta una fratria che funziona
come una piccola banca, gestisce i terreni, ha una sede specifica (oikos) nella
quale si pratica il culto per la divinit eponima, sempre greca, a volte semisconosciuta, il che fa pensare a ricostruzioni che hanno voluto rinforzare le
tradizioni greche26.
Le cariche qui elencate (phretarcos, phrontists, chalkologoi, dioiketa 27)
sono specifiche della fratria e quindi diverse da quelle cittadine, su cui torner. Ancora pi interessante un decreto emesso dalla fratria degli Artemisioi
(Miranda 44) del 194 d.C.28 per onorare un tale Munazio Ilariano, che ha
provveduto ad abbellire a sue spese loikos della fratria: gli vengono offerte
50 particelle di terreno incolte, diverse da quelle date in affitto, ma lui ne accetta solo 15. molto interessante che la fratria gestisca i terreni.
Quel benefattore ha anche costruito un tempio per Artemide, eponima
della fratria. Sono numerose le attestazioni epigrafiche dei culti praticati dal-

22

Cordiano, La Ginnasiarchia, pp. 57-60.


G. Buchner - D. Morelli - G. Nenci, Fonti per la storia di Napoli antica, PP 7 (1952), pp.
370-419, part. 384.
24 M. Guarducci, Listituzione della fratria nella grecia antica e nelle colonie greche dItalia, MAL
VI.1 (1937), 2 (1938); A. Mele, Neapolis. La citt greca, in Napoli antica, Napoli 1985, pp. 103-108.
25 F. Cassola, Problemi di storia neapolitana, in Atti del XXV Convegno di Studi sulla Magna Grecia
(Taranto 1985), Napoli 1986, pp. 37-81.
26 M. Giangiulio, Appunti di storia dei culti, in Atti del XXV Convegno di Studi sulla Magna Grecia
(Taranto 1985), Napoli 1986, pp. 101-153.
27 Procuratori: unica attestazione di questo termine.
28 Data dei consoli corrispondente al secondo anno di Settimio Severo.
23

Epigrafia greca nellItalia romana

69

le fratrie: fra di essi hanno gran parte quelli per i theoi phreatrioi in gruppo,
oltre a quelli rivolti ai singoli eponimi.
Nello stesso anno 194 d.C. Seia Sepeia vinse i Sebast (Miranda 66)
indicandoci la partecipazione femminile a questa manifestazione. Un altro
gruppo esclusivo di partecipanti era quello dei figli dei cittadini forse gli
agheneioi, questa strana classe diversa dai paides e dagli andres?
I recenti scavi a piazza Nicola Amore hanno prodotto una enorme quantit di iscrizioni relative ai Sebast: sono stati gi schedati da Elena Miranda
e la sua quipe 1000 frammenti, anche molto piccoli: si tratta di 11 lastre
alte 2 metri che tappezzavano il fondo di un portico per almeno 14 metri.
Per ora ci sono 159 nomi di vincitori provenienti da tutto loriente mediterraneo. Fra le gare va segnalata la corsa con le fiaccole, finora non testimoniata epigraficamente, ma di importante tradizione napoletana.
Tra le magistrature cittadine (Miranda 30, seconda met del I sec. a.C.)
vanno ricordate la misteriosa laucelarchia (Miranda 4), la demarchia che
diventa eponima dopo l89 (municipio), il grammateus (Miranda 84) e poi
larconte e lantarconte, che non possono essere i duoviri dal momento
che non sono pari, larconte pentaeterico (Miranda 33), che ricorda il
pentaeterico di Reggio, entrambi con funzioni censorie. Con Reggio si pu
lanciare un confronto anche sul numero delle assemblee, perch la terza assemblea pone sempre dei problemi (Miranda 82 e 84).
Lonomastica personale ancora mista fra fine repubblica e inizio impero,
poi, salvo eccezioni, onomastica latina trasposta in greco. A tale proposito
molto interessante un gruppo di decreti tutti del 71 d.C. (Miranda 81-86,
fra i quali quelli famosi per Tettia Casta): sono interessanti per il formulario
romano in lingua greca e anche per il ricorrere delle stesse persone, pur con
ruoli diversi nelle diverse iscrizioni, che erano lastre di sepolture di uno stesso gruppo ma non familiare.

Taranto
Se Napoli ha tutti i diritti di riconoscersi nella citt di Petronio, fra i protagonisti della Cena larmatore tarantino Lica, con la compagna Trifena, ben
rappresenta il posto che Taranto aveva nellimmaginario culturale romano e
nello stesso tempo suggerisce il ruolo che i Tarantini conservano nellattivit
commerciale tra la Grecia e Roma29. Ricorrendo forzatamente alla documentazione archeologica, in particolare alle anfore da trasporto, noi troviamo a

29Il pi importante testo di riferimento E. Lippolis, Fra Taranto e Roma. Societ e cultura urbana
in Puglia tra Annibale e let imperiale, Taranto 1997.

70

Federica Cordano

Taranto nella prima met del II sec. a.C. una grande quantit di bolli rodii,
mentre dal 150 al 50 a.C. subentra una massiccia produzione locale di anfore-contenitori di vino e mi piace qui ricordare che Baldacci fu uno dei precursori di questi studi, anche se pensava allolio30.
ora importante sottolineare che questa storia inizia dopo la guerra annibalica: certamente i cittadini che per salvare la propria casa dovevano scriverci sopra Tarantivnou lo facevano in greco, pure i Romani lavrebbero
saputo fare se non fossero stati minacciati di morte (Pol. VIII 31,4-5). Certamente la citt si poi svuotata di greci ed il ritorno di esuli avvenne in
quantit trascurabile, come sappiamo dai vari Tarantini sparsi per la Grecia
e lEgitto31. Eppure mi pare arduo e fuorviante vedere, come stato proposto da alcuni, in una citt precocemente romanizzata un decadimento della
cultura artigianale e artistica.
Giustamente Floro (I 18,6) chiamava Taranto semigraeca civitas, ma questo non vuol dire che i Romani non apprezzassero il suo porto, il suo teatro e
il suo ginnasio.
Anche se la via Aemilia (187 a.C.?) taglia fuori Taranto, anche se Brindisi
una rivale incontenibile, il porto di Taranto rimane importante. Per questo
e altri motivi (cremazione obbligatoria dalla fine del I a.C.) preferisco ancora
la data scelta da Luigi Moretti32 per la cesura con la cultura greca, cio il 90
a.C.: a prescindere da altre considerazioni, ricavabili dalla ricca cultura materiale dei secoli II e I a.C.33, questa data mi pare coerente con la fonte utilizzata da Strabone per la famosa frase da cui abbiamo cominciato, sia essa di
Posidonio o Artemidoro34 .
I ginnasi e i teatri sono certamente i luoghi di aggregazione della cultura
greca, e lo sono persino a Taranto, citt nella quale si parlava latino e della
quale abbiamo pochissime iscrizioni greche: infatti, pur tenendo conto delle
raccomandazioni di Rolhfs35 nel considerare la casualit dei ritrovamenti, 12
iscrizioni greche, comprese le bilingue, rispetto a 350 latine, sono veramente
poche!

30 P. Baldacci, Importazioni cisalpine e produzione apula, in Recherches sur les amphores romaines,
Roma 1972, pp. 7-28.
31 Sempre fondamentale J. Hatzfeld, Les trafiquants italiens dans lOrient Hellnique, Paris 1919.
32 L. Moretti, Problemi di storia tarantina, in Atti del X Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto 1970), Napoli 1971, pp. 21-65, part. 62.
33 K.G. Hempel, La necropoli di Taranto nel II e I sec. a.C. Studi sulla cultura materiale, Taranto 2001;
D. Graepler, La necropoli e la cultura funeraria, in Atti del XLI Convegno di Studi sulla Magna Grecia
(Taranto 2001), Taranto 2002, pp. 195-218.
34Per Artemidoro fonte di Strab. VI 3, 9 (Siponto), cfr. Lippolis, Fra Taranto, p. 28.
35 G. Rolhfs, Latinit ed ellenismo nei nomi di luoghi in Calabria, Klearchos 8 (1965), pp. 115129.

Epigrafia greca nellItalia romana

71

Mentre le dediche agli dei di et repubblicana testimoniano luso della lingua greca, le due dediche a Taras sono una bella testimonianza del recupero
delle tradizioni36.
Ad unassociazione qui operante doveva essere legato Livio Andronico, il
quale port a Roma quelle tradizioni37, per non parlare di Rintone, che ag
soprattutto a Taranto anche se qualcuno lo ha detto siracusano, in collegamento con gli artisti hilarodoi e hilarotragikoi38.
Listituzione greca della proedria, attestata a Taranto in iscrizioni latine di
et imperiale (dedica di un liberto di Nerva)39, bench notevole testimonianza di tradizioni greche, non pu essere che la proedria del teatro: la base proviene dalle terme Pentascinenses, che parola greca.
Ancora Moretti sottoline come limportante ruolo svolto dai nevoi nella
guerra annibalica si esaur poi in attivit essenzialmente ginnastiche: del ginnasio abbiamo solo la testimonianza di Strabone, che non poco, dal momento che lui stesso ha raccolto la testimonianza su Taranto da cui siamo partiti.
La lex municipii Tarentini prevedeva una ricostruzione della citt40, gli interventi urbanistici a noi noti sono per quelli di et augustea. Nel I sec. a.C.
il tempio dorico di S. Domenico venne restaurato, come ricorda uniscrizione latina ancora inedita41.
Ed Ottaviano-Augusto ha lasciato a Taranto molti ricordi: Ottaviano ne
utilizz il porto come base navale contro Sesto Pompeo; ne ebbe il patronato
se, come credo, ha ragione Marta Sordi, nellinterpretare liscrizione cesarea pubblicata da Gasperini42; ed infine, nel 19 a.C., egli trasport a Roma
la statua della Nike, per dedicarla nella ricostruzione delle curia, forse con il
consenso dei Tarantini.
Se il formulario delle iscrizioni latine di Taranto ha risentito di quello
greco43, sulle pochissime tracce della grecit tarantina di et romana hanno
comunque insistito alcuni studiosi, in particolare Lidio Gasperini: oltre alle
iscrizioni gi citate, importante la dedica bilingue di una aedicula / naiskos
per Artemide da parte di Aulus Titinius, precedente il municipio, e forse an36 M. Nafissi in E. Lippolis - S. Garraffo - M. Nafissi, Culti greci in Occidente: fonti scritte e documentazione archelogica. 1. Taranto, Taranto 1995, pp. 235, 277, tavv. XXXIII, LIX.
37 Lazzarini, Uniscrizione, p. 94.
38 M. Gigante, 1988; Le Guen, Les associations, II.
39 P. Orsi, Not. Sc. (1896), p. 110; A. Sogliano, Not. Sc. (1897), p. 68; cfr. L. Gasperini, Ancora sul frammento cesariano di Taranto, Epigraphica 33 (1971), p. 53 e n. 16.
40M. Pani, Politica e amministrazione in et romana, in Storia della Puglia, I, Bari 1979, pp. 83-124.
41 E. Lippolis in Lippolis - Garraffo - Nafissi, Culti, p. 65.
42 L. Gasperini, Su alcune epigrafi di Taranto romana, MGR 2 (1968), pp. 379-397; M. Sordi,
Ottaviano patrono di Taranto nel 43 a.C., Epigraphica 31 (1969), pp. 79-83; Gasperini, Ancora, pp.
48-59.
43 Sartori, Le citt, pp. 118-122.

72

Federica Cordano

che la colonia: un testo in greco dorico44; mentre non pi in dorico


la funeraria bilingue del II sec. d.C., e quindi testimonianza di filoellenismo
letterario45.

Conclusione
Ancora dalla lex Tarentina apprendiamo che, diversamente da Napoli
e Reggio, Taranto non conserva le istituzioni elleniche46: questo conferma
che la similitudine con le altre citt non dei tempi di Strabone, appartiene
bens ad una tradizione antica, forse pi antica delle fonti dirette del geografo, ma viva nella cultura romana, attraverso modelli culturali assunti dalla
stessa Roma e trasmessi anche in lingua latina: basti pensare ai ginnasi di
Cicerone a Tusculum chiamati lAccademia e il Liceo. Pi tarda, ma non meno significativa, stata lintroduzione dei concorsi greci a Roma, sono i Capitolia di Domiziano47, che non sostituiscono i Sebast napoletani.
Il caso di Napoli rimane infatti eccezionale, perch l i Romani vogliono
avere una vetrina, ove si manifesta tutto ci che di greco si poteva fare, dalle gare alle scritture che le ricordano. Concludo con questo per sottolineare
che non si tratta qui di espressione di conservatorismo, di difesa di identit o
cose del genere, ma di una nuova creazione, che ha lo scopo di far vedere al
mondo che anche in Italia si sapeva giocare alla greca!

44

L. Gasperini, Il municipio tarentino, MGR 3 (1971), pp. 143-209, part. 155-156.


L. Gasperini, Epitaffio mistilingue in et imperiale a Taranto, in Ricerche e studi 12 (1979), pp.
141-151.
46 Costabile, Istituzioni, p. 139.
47 Ferrary, Philhellnisme..., pp. 519-520.
45

Les Samnites existent-ils encore


lpoque dAuguste ?
Mathilde Mah-Simon

Cette question peut paratre provocatrice dans la mesure o les populations samnites ont t vaincues au tout dbut du IIIme sicle av. J.-C., et
que lon peut considrer quil nexiste plus, ethnographiquement, dentit
samnite lpoque dAuguste, et mme depuis la date symbolique reprsente par la bataille de la porte Colline, en 82 av. J.-C., qui vit les prtendus
Samnites de Pontius Telesinus se montrer menaants aux portes mmes de
Rome. Certes, la qualit de rgion de lItalie semble acquise pour le Samnium
au Ier sicle av. J.-C., mais cela va de pair avec une disparition progressive
des caractristiques antrieures du peuple samnite, largement romanis.
Cependant le dmembrement de lancien Samnium lors du dcoupage
administratif opr par Auguste avec la cration des regiones indique combien la prsence de lennemi que Rome a eu tant de mal vaincre entre le
milieu du IVme sicle et le dbut du IIIme sicle av. J.-C. dans lItalie nouvellement unifie nest pas indiffrente dans la mmoire collective romaine
et dans lidologie augustenne. Et le corpus des tmoignages littraires,
constitu essentiellement de textes de lextrme fin de la Rpublique et de
lpoque du principat, montre galement que la notion de Samnites na pas
entirement disparu de limaginaire romain, et mme que le nom sous lequel
sont regroupes les diffrentes branches de population de lItalie centrale
 Cet article dveloppe des lments dune thse de doctorat soutenue en 2001 et qui doit paratre
prochainement aux presses de lEcole franaise de Rome.
 Cf. Liv. per. LXXXVIII; Vell. II 27,2.
 Cf. Cic. rep. III 4.
 Cf. les diffrentes contributions runies dans Sannio. Pentri e Frentani dal VI al I sec. a.C., Atti del
convegno, 10-11 novembre 1980, Campobasso 1984.
 Le Samnium correspond grosso modo la rgion IV mais dborde dans la regio II (pour lHirpinie)
et la regio I.
 Cf. les remarques de H. Galsterer, Regionen und Regionalismus im rmischen Italien, Historia
43 (1994), pp. 306-323, p. 313: Angesichts des gleich zu konstatierenden parallelen Befundes im Gallierland scheint es mir warscheinlicher, dass der Name der Samniten hier bewusst unterdrckt wurde.
(...) Samniten und Gallier gehrten sichtlich nicht zu den Stmmen, deren Erinnerung im augusteischen
Italien gepflegt werden sollte.

74

Mathilde Mah-Simon

possde une valeur riche dun arrire-plan idologique prgnant et complexe. Les Samnites, qui nont laiss aucune uvre littraire propre, nexistent pour nous, mais dj pour les Romains de lpoque dAuguste, que dans
limage qui est la leur travers les textes latins.
Les rcents travaux dE. Dench ont bien tudi la manire dont les textes
de lpoque dAuguste tmoignent dune transformation complte de limage
des Samnites, Barbares vivant de rapines et devenus les modles dune austrit nouvelle, celle de la Rome des temps hroques de la Rpublique. Nous
ne reprendrons pas les tapes de son analyse mais observerons comment,
chez Tite-Live, les deux images des Samnites, celle du Barbare nayant pas
atteint le degr urbain de civilisation et celle de lItalien vertueux, coexistent
et refltent les ambiguts des reprsentations ethnographiques de lpoque
dAuguste.
***
Les Samnites sont donc dabord, pour Tite-Live, dfinis comme un peuple qui habite la campagne et non la ville. Le passage fondamental est constitu par une distinction opre entre les habitants des plaines littorales et les
Samnites, prsents par Tite-Live comme montani atque agrestes:
Nam Samnites, ea tempestate in montibus uicatim habitantes, campestria et maritima loca, contempto cultorum molliore atque, ut euenit fere, locis simili genere,
ipsi montani atque agrestes depopulabantur.
Car les Samnites, habitant cette poque dans les montagnes, de manire disperse, par bourgades, pillaient les rgions de plaine, sur la cte; ils mprisaient, eux
qui taient de rudes montagnards, le temprament plus indolent de leurs habitants, qui tait assorti, comme cela arrive souvent, la nature des lieux.

Le lien entre la qualit de montani et agrestes des Samnites et la vie de


rapines quils mnent et qui parat dfinir leur conomie est laspect le plus
frappant du texte. Il permet de suggrer la dimension redoutable10 dun en

Ou encore dans limagerie des gladiateurs, cf. infra.


Cf. E. Dench, Images from Italian Austerity from Cato to Tacitus, dans Les lites municipales de
lItalie pninsulaire des Gracques Nron. Actes de la table ronde de Clermont-Ferrand (28-30 novembre
1991), Napoli - Roma 1996, pp. 247-254; From Barbarians to New Men. Greek, Roman and Modern
Perceptions of Peoples of the Central Apennines, Oxford 1995. Son livre le plus rcent, Romulus Asylum,
Oxford 2005, reprend de manire plus gnrale le problme de lethnographie romaine.
 Liv. IX 13,7. On trouvera un analyse des termes employs dans S.P. Oakley, A Commentary on
Livy, Books VI-X, III, Oxford 2005, pp. 153-154, qui rapproche ladjectif montanus de la sphre du sordide et du brutal, partir dun passage des Mtamorphoses dApule relatif lamour de Cupidon pour
Psych. Ce rapprochement a posteriori ne nous semble cependant pas dcisif.
10 Les Samnites constituent lennemi le plus difficile vaincre et le plus dangereux pour Rome dans
sa conqute de lItalie, comme suffit lindiquer la rflexion de Tite-Live sur la longueur des guerres


Les Samnites existent-ils encore lpoque dAuguste ?

75

nemi qui se manifeste par des raids imprvisibles et rvle laffirmation


dune pntration brutale des Samnites dans les plaines lors de razzias sauvages, mais il rend compte de manire rigide dune ralit plus complexe,
celle dune acculturation qui marque profondment certains pans au moins
de ces socits, celles des campestria loca comme celles des montani. Cette
prsentation des Samnites comme montagnards et trangers lorganisation
urbaine correspond-elle la ralit?
En fait, cette analyse surprend dans la mesure o Tite-Live cite ailleurs
des urbes samnites11, en particulier Bouianum12, dont la nature de centre urbain est suggre13. Le manque de prcision dans lvocation du territoire
occup par les Samnites peut tenir au fait que ceux-ci, la lecture de TiteLive, apparaissent dabord pour Rome comme une force militaire affronter, avant de correspondre une ethnie et avant que la rgion elle-mme ne
simpose dans une dfinition gographique claire14. Cette opposition renvoie
aux concepts opratoires dans la pense ethnographique grecque, pour les
deux aspects envisags ici: dune part, leur habitat dispers (uicatim habitantes), de lautre, leur appartenance une terre de montagne (in montibus
habitantes et montani atque agrestes, ce dernier adjectif renvoyant plutt la
ruralit de leur organisation sociale).
La premire section de la description livienne peut tre rapproche dune
analyse ethnographique qui se trouve exprime chez Thucydide: dans la
conception de lhistorien grec, la constitution de la polis correspond la troisime et dernire tape dun processus de dveloppement de la civilisation
dont les deux premiers stades sont constitus successivement par le nomadisme puis le regroupement en bourgades (kata; kwvma~)15. La rfrence
ce texte est taye par la notice de Strabon relative au uer sacrum et qui prsamnites, en X 31,10-15: le rcit est long, plaide lhistorien, mais comment se dsintresser dun ennemi
aussi acharn? Une admiration pour le courage samnite apparat dans ce texte.
11 Cf. Liv. X 17,3 (Murgantiam, ualidam urbem); 17,6 (Romuleam urbem).
12 Liv. IX 44,14: Bouianum urbs.
13 Cf. Liv. IX 28,1; 31,4 (Bovianum est la trs opulente capitale des Pentri); X 12,9; 41,11; 43,15.
14 Cf. V. Sirago, Il Samnium nel mondo antico. Storia di un territorio, Samnium 1988, p. 48 sqq.,
qui rappelle cependant que le nom Samnium apparat pour la premire fois dans lloge des Scipions
(Taurasia Cisaunia Samnio cepit) et que le Samnium est prsent nettement comme un territoire quil faut
ravager, en VII 32 et XXIV 20.
15 Thuc. I 5,1; 2,1-2 (ce passage est relatif la piraterie, dont le succs pass est expliqu par labsence de poleis, les bourgades tant dpourvues de remparts); la fondation des villes en bordure de mer
nintervient que plus tard (cf. I 7). Cf. A.W. Gomme, A Historical Commentary on Thucydides, I, Oxford
1945, p. 100: la polis envisage comme stade intermdiaire est une communaut de bourgades relies de
manire lche, antrieurement au syncisme, sans que lunit politique ni le regroupement de lhabitat
aient eu lieu: cf. I 10,2, sur le syncisme. Cf. aussi lanalogie entre la prsentation de limplantation des
premires colonies en des lieux, comme les les, plus protgs que les sites littoraux: cf. Thuc. I 7; Liv.
VIII 22,6.

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Mathilde Mah-Simon

sente les Opiques, prdcesseurs des Samnites, comme habitant kwmhdovn,


par bourgades16. Le terme semble tre le correspondant de ladverbe uicatim
choisi par Tite-Live, mais la conception de Strabon semble plus complexe,
puisque ce ne sont pas les Samnites, mais ceux quils ont chasss qui avaient,
selon Strabon, ce mode de vie. Un peu avant ce passage, le gographe mentionne quelques villes samnites Bovianum, Isernia, Panna, Telesia , dont il
affirme quelles ne mritent plus ce titre mais celui de bourgs, mais auxquelles il accorde une existence antrieure de povlei~17. Il semble donc que les
Samnites soient passs au stade urbain, ce que confirme dans le rcit du uer
sacrum la place joue par le taureau, qui fonde ltiologie du nom de la ville
de Bovianum: par la fondation de cette ville, les Samnites deviennent mme,
dans le rcit du uer sacrum, ceux qui apportent la civilisation; Strabon luimme invite son lecteur le penser en prcisant quune telle pratique est le
fait aussi de peuples grecs18. Pour Tite-Live au contraire, la dynamique du
passage lorganisation urbaine nexiste pas pour les Samnites et la partition
ethnographique demeure le seul schma danalyse.
Tite-Live propose un niveau intermdiaire de civilisation qui semble dans
une certaine mesure correspondre la ralit telle que larchologie et lpigraphie ont pu nous la faire connatre19. Loppidum dune part, le uicus et
le pagus de lautre ont constitu la forme dorganisation sociale majeure des
Samnites20 et des peuples dItalie mridionale. Mais ces noms, loin dtre
quivalents, dsignent sans doute des ralits sociales distinctes, que Tite-

16 Cf. Strab. V 4,12. En V 3,2, Strabon utilise le mme terme pour dfinir la situation des peuples
indignes de lItalie au moment de la fondation de Rome.
17 Cf. Strab. V 4,11. Pour le gographe, les Romains ont prcisment essay daffaiblir, et mme de
briser les centres urbains des Samnites: ctait l un aspect essentiel de la tactique engage pour combattre un adversaire aussi pugnace. La force dun peuple est lie pour Strabon la concentration des
habitants dans des villes.
18 Strab., loc. cit. Sur lhellnisation, travers lintervention en particulier dApollon dans le rcit,
de la tradition du uer sacrum, cf. J. Heurgon, Trois tudes sur le uer sacrum, Bruxelles 1957, p. 20 sqq.
19 Cf. C. Letta, Oppida, uici, pagi in area marsa: linfluenza dellambiente naturale sulla continuit
delle forme di insediamento, dans M. Sordi (d.), Geografia e storiografia nel mondo antico [Contributi
dellIstituto di Storia Antica 14], Milano 1988, p. 217 sqq. Mise au point rcente dans I. Rainini, Modelli, forme e strutture insediative del mondo sannitico, dans Studi sullItalia dei Sanniti, Roma 2000, pp.
238-254.
20 Sur la distinction entre ces types dhabitat samnite, cf. E.T. Salmon, Samnium and the Samnites,
Cambridge 1967; C. Mergen, Peuples italiques en face de Rome: les Samnites vus par Tite-Live, BAL 9
(1978), pp. 34-83, p. 47 sqq. pour linventaire des centres urbains samnites cits par Tite-Live. Lassociation entre le type dhabitat et lorganisation politique des Samnites est tudie par C. Letta, Dalloppidum al nomen: i diversi livelli di aggregazione politica nel mondo osco-umbro, dans Federazioni e federalismo nellEuropa antica (Bergamo, 21-25 settembre 1992), Milano 1994, pp. 387-405. Bilan rcent sur la
question dans Dench, From Barbarians, p. 130 sqq., et, spcifiquement sur ce sujet, S.P. Oakley, The
Hill-Forts of the Samnites, London 1985.

Les Samnites existent-ils encore lpoque dAuguste ?

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Live nenvisage pas: la mention dans les sources latines dun oppidum parat
renvoyer lexistence dun centre dfini par la prsence dune enceinte fortifie et qui nest pas ncessairement urbain; celle dun uicus ou dun pagus fait
rfrence un habitat dispers, qui relve du hameau ou du domaine agricole. cette divergence de modes de vie correspond un clivage social, suggr
par Strabon qui dcrit les lments dmocratiques mais aussi oligarchiques
du systme politique lucanien21; ce clivage est confirm par le tmoignage
rcent de larchologie: ltude des ncropoles relatives ces deux formes
dhabitat a permis dtablir que, tout au moins au cours du IVe sicle, les oppida concentraient les lments aristocratiques leur hellnisation ayant pu
tout naturellement les amener adopter ce mode de vie22 tandis que uici et
pagi taient peupls de classes intermdiaires marques par une idologie
conservatrice et le maintien dun modle social traditionnel23.
En fait, bien quil emploie des termes distincts, Tite-Live nen prcise pas
les nuances de sens et tend surtout, dans notre texte, distinguer les Samnites des Grecs habitant lItalie centro-mridionale. Il faut remarquer que tous
les peuples non-grecs ne sont pas dfinis comme montani atque agrestes par
Tite-Live et il nest dailleurs pas du tout vident que le texte renvoie, en mentionnant les habitants des campestria et maritima loca, aux colonies grecques:
il dsigne plutt les populations indignes des plaines littorales, en particulier
de la zone dArpi. Lhistorien signale plusieurs villes apuliennes24, ou bruttiennes25 bien que celles-ci soient qualifies, pour lpoque des guerres puniques,
dignobiles ciuitates, urbes, ou, de manire indistincte, dignobiles populi26
21

Cf. Strab. VI 1,3, qui utilise ici sans doute Time.


Comme lindique Letta, Dalloppidum
23 Cf. pour la Lucanie, M. Torelli, Da Leukania a Lucania, dans Da Leukania a Lucania. La Lucania centro-orientale fra Pirro e i Giulio-Claudii, catalogo della mostra, Venosa, 1992-93, Roma 1992, pp.
XIII-XXVIII. La divergence sociale laquelle correspond lexistence des deux types dhabitat est mise
en lumire par lexemple majeur de Roccagloriosa (peut-tre la Pixunte lucanienne) pour la forme de
loppidum et celui de Chiaromonte pour celle du uicus.
24 Cf. Lucrie, prsente clairement comme un centre urbain.
25 Cf. Pandosia en VIII 24. A propos de la structuration politique des Bruttiens et de leur organisation en poleis ou en bandes, le niveau fdral ne semblant en fait pas atteint, cf. P.G. Guzzo, Il
politico fra i Brezi, dans M. Tagliente (d.), Italici in Magna Grecia, Roma 1990, pp. 87-92.
26 Cf. Liv. XXIX 38,1: eadem aestate in Bruttiis Clampetia a consule ui capta, Consentia et Pandosia
et ignobiles aliae ciuitates in dicionem uenerunt (le mme t, le consul enleva Clampetia par la force,
et Consentia, Pandosia et dautres cits moins connues se rendirent delles-mmes). Sur les problmes
poss par lidentification de ces dernires ciuitates, cf. P. Franois, Tite-Live. Livre XXIX, Paris, 1994, p.
151 n. 1. Cf. aussi Liv. XXV 1,1: ipsorum interim Sallentinorum ignobiles urbes; XXX 19,10: ...Consentia, Aufugum, Bergae, Besidae, Ocriculum, Lymphaeum, Argentanum, Clampetia multique alii ignobiles
populi. Lpithte na pas dans ces textes de sens pjoratif; comme le rappelle G. Nenci, Atti del convegno
nazionale sui lessici tecnici delle arti e dei mestieri. Cortona, 1979, Firenze 1979, pp. 174-175, ladjectif
doit tre mis en parallle avec le grec asmos et renvoie labsence de monnayage propre dans ces ciuita22

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Mathilde Mah-Simon

ainsi que des ciuitates lucaniennes27: la nature de ville, ou la qualit seulement tribale de ces centres ne peut tre affirme, mais le rassemblement des
tmoignages permet de penser que cest la prsence dune enceinte protgeant lhabitat qui dfinit, dans la conception antique comme dans lanalyse
des Modernes, lorganisation urbaine28.
Mais si les termes de uicus, pagus et oppidum semblent indistincts chez
Tite-Live, la mention de ciuitates italiques nest pas indiffrente: elle suggre
le passage une structuration politique fdrale et non plus cantonale des
peuples, par exemple des Lucaniens. Ce phnomne, dont Tite-Live rend
plus explicitement compte en citant les magistratus de ce peuple, laisse voir
lvolution de limage des populations italiques dans lhistoriographie latine:
cette description les conduit chapper une caractrisation qui les assimile
des Barbares et bnficier des aspects positifs, comme civiliss, des traits
propres aux Grecs29. On aboutit en quelque sorte un statut intermdiaire
des peuples sabelliques, dfini par lexistence dune organisation prcise de
la socit, qui apparat nettement chez Strabon30: le gographe met en vidence la singularit perdue, constate-t-il, lpoque o il crit, mais relle
autrefois a de leurs susthvmata respectifs31: lattention apporte par le
gographe aux organes politiques des peuples italiques montre quils ne relvent pas pour lui de la catgorie ethnographique des vritables Barbares, qui
sont pour Strabon caractriss par leur apparence physique et leur frocit32,
mais des populations indignes volues.
***
Lautre lment danalyse dans le rcit de Tite-Live parat plus fondamental que le premier, et introduit une sparation non plus matrielle mais motes. Il est certain que cette prsentation des peuples et ciuitates indignes comme ignobiles constitue une
ligne de partage entre cits grecques et cits italiques pour Tite-Live.
27 Cf. Liv. VIII 24.
28 Cf. le clbre passage de Thuc. I 2,2; cf. Y. Garlan, Fortifications et histoire grecque, dans J.-P.
Vernant (d.), Problmes de la guerre en Grce ancienne, Paris 1968, p. 255.
29 Sur ce point, cf. infra.
30 Cf., propos de la notion de cit-Etat chez Strabon, S. Bourdin, Denys dHalicarnasse et lethnographie de lItalie, Pallas 53 (2000), pp. 205-239, spc. p. 216.
31 Cf. Strab. VI 1,2. Le terme de suvsthma est traduit par F. Lasserre par le mot organisation
politique.
32 Celtes et Germains sont prsents selon ces deux critres (cf. VII 1,2). Sur cette conception des
peuples barbares chez Strabon et sur la supriorit des Italiques dans la hirarchie ethnographique du
gographe, cf. E. Van Der Vliet, Lethnographie de Strabon: idologie ou tradition?, dans Strabone.
Contributi allo studio della personalit e dellopera, II, Perugia 1986, pp. 187-259: le gographe tablirait,
lintrieur des deux grands groupes constitus dune part par les peuples barbares, de lautre par les
peuples civiliss, groupes distincts mais non antinomiques, une chelle des stades dvolution auxquels
se situent les diffrentes populations dcrites.

Les Samnites existent-ils encore lpoque dAuguste ?

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rale entre les Samnites et leurs voisins: cest lopposition entre la montagne
et la cte, qui dtermine la diffrence de leurs genres de vie et mme de leur
nature, opposition que lon retrouve aussi chez Strabon33. Pour lhistorien
lhostilit entre Grecs et indignes est moins forte que lopposition entre les
habitants de la plaine et ceux des montagnes34, et, comme le remarque F.
Coarelli, laristocratie daunienne ne se prsente pas pour les Romains sous le
mme jour que lennemi samnite35. Les conditions gographiques diffrentes
dont jouissent ces deux groupes humains justifient de fait la divergence de
leur conomie et donc de leur mode de vie: les contraintes dues au relief,
qui empche lexploitation systmatique du sol36 et le manque de ressources
naturelles conduisent les Samnites mener une vie de pillages37 et de rapines38, oppose la prosprit commerciale des villes ctires, favorise par
leur situation39.
Cet antagonisme se manifeste plus exactement, dans le texte de Tite-Live,
par lopposition entre conomie pastorale et conomie agricole. Mme si la
premire est explique par les conditions gographiques et climatiques, elle est
une marque de primitivisme, et se voit associe par les sources antiques aux
notions de pauvret, de marginalit et dincapacit accder au stade urbain40.

33 Linventaire des diffrents aspects sous lesquels se manifeste lantithse barbarie / civilisation est
rassembl par P. Thollard, Barbarie et civilisation chez Strabon, Paris 1987, pp. 8-11: lopposition entre
la montagne et le littoral et les couples qui lui sont associs en fait partie (cf. pp. 8-9). Cette analyse vise
surtout dmontrer le caractre barbare des populations du nord de loikoumne, mais elle est applique
aux Samnites au livre VI, qui traite lItalie. Les Grecs, bien quils habitent un pays de montagnes, chappent la barbarie car ils ont une provnoia les incitant la vie sociale (II 5,26).
34 Cf. IX 13,7, texte cit supra.
35 Cf. les remarques de F. Coarelli, Colonizzazione e municipalizzazione: tempi e modi, DA 1-2
(1970-1971), pp. 21-30, qui rappelle que les princes dArpi obtiennent en 326 laide de Rome contre les
Samnites, et que ces anciens liens sont rappels pour 214, au moment o la fidlit de la ville envers Rome
parat vaciller: cf. XXIV 47.
36 Plusieurs sources rappellent que le Samnium a constitu une zone de passage (par exemple vers les
saltus Metapontinos: cf. Varro rust. II 9,6 et lApulie) dans les mouvements de transhumance, phnomne
qui a t largement tudi: cf. A. Grenier - E. Gabba - M. Pasquinucci, Strutture agrarie e allevamento
transumante nellItalia romana (III-I sec. a.C.), Pisa 1979.
37 Cf. Thollard, Barbarie, p. 9: chez Strabon rigueur des lieux, pillage, brigandage et guerre
continuelle dfinissent lconomie et le mode de vie barbares, tandis que qualit des lieux, paix et agriculture constituent la civilisation. Cf. aussi p. 13 pour le cercle vicieux de la barbarie selon Strabon.
38 Liv. IX 13,7: depopulabantur; VII 30,12: nefarium latrocinium Samnitium.
39 Cf. G. Franciosi, Osservazioni sulle strutture sociali dei Sanniti, dans Atti del convegno di studi
SAFINIM. I Sanniti: vicende, ricerche, contributi, Agnone, marzo 1992, Isernia 1993, pp. 35-65, propos
de lconomie samnite. Bilan sur les changes commerciaux dans les centres indignes de Daunie au Ier
sicle, mais aussi aprs la deuxime guerre punique dans M. Mazzei - J. Mertens - G. Volpe, Aspetti
della romanizzazione della Daunia, dans Basilicata. Lespansionismo romano nel sud-est dItalia. Il quadro
archeologico, Venosa 1990, pp. 171-191.
40 Cf. B.D. Shaw, Eaters of Flesh, Drinkers of Milk, AncSoc 13-14 (1982-1983), p. 5 sqq.

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Mathilde Mah-Simon

Elle est ainsi applique la Rome des primordia41; surtout, elle a t prsente par les Modernes comme un trait essentiel de lexistence des populations
dItalie centrale42. La rudesse des montagnards (montani atque agrestes)
contraste donc avec lindolence des habitants des plaines (cultorum molliore), selon une opposition qui se trouve dj exprime par Hrodote43 et qui
est ici applique au cas de lItalie mridionale. Tite-Live parat ici reprendre
la thorie de linfluence des conditions physiques et climatiques sur le naturel des habitants, que lon doit au trait Peri; ajevrwn, uJdavtwn, tovpwn44, et
dont tmoigne, de manire sans doute indpendante, Hrodote45. Elle a t
retravaille au dbut du Ier sicle par Posidonius46, qui peut tre ici la source de Tite-Live: dans son Peri; Wkeanou`, le stocien nonait un lien causal
entre la situation gographique et le climat dun lieu dune part, et la flore,
la faune ainsi que le naturel et les murs de ses habitants de lautre. Strabon
remet en cause un tel dterminisme47, tandis que Tite-Live semble laccepter.
ct du cas des peuples dItalie mridionale, lhistorien applique, dans son
fameux excursus gaulois, cette caractrisation aux Rhtes des Alpes, anciens trusques rendus farouches par lpret de la montagne: la nature des
lieux a inflchi les dispositions naturelles dun peuple48.
Dautres passages clbres de la premire dcade de Tite-Live, que nous
nexaminerons pas ici, insistent plus directement sur la dimension de barbares des Samnites, en en faisant ressortir certains traits frappants: lun est
dordre visuel, puisque les adversaires des Romains sont caractriss par la
splendeur rutilante de leur armement, leur opulentia49, qui manifeste finale41 C. Ampolo, Rome archaque: une socit pastorale?, dans C.R. Whittaker (d.), Pastoral economies in Classical Antiquity [PCPhS suppl. 14], Cambridge 1988, p. 120 sqq., remet en cause cette
interprtation.
42 Cf. Dench, From Barbarians, pp. 111-113.
43 Cf. Hr. IX 122.
44 Airs, eaux, lieux, chap. 12-24, les dveloppements prcdents associant seulement telle ou telle
pathologie et telle ou telle pratique thrapeutique la situation et au climat dune cit. Cf. K. Trdinger,
Studien zu der Geschichte der grieschich-rmische Ethnographie, Basel 1918, p. 37 sqq.; K.E. Mller, Geschichte der antiken Ethnographie und ethnologischen Theoriebildung, I, Wiesbaden 1972, pp. 137-144; J.
Jouanna, Hippocrate. Tome II. 2me partie. Airs, eaux, lieux, Paris 1996 (Notice, pp. 54-71). Cf. lanalyse
de M.M. Sassi, La scienza delluomo nella Grecia antica, Torino 1988, spc. p. 96 sqq.
45 Cf. Jouanna, Hippocrate, spc. p. 70, qui pense que lauteur du trait a puis dautres ouvrages
que celui dHrodote, et a utilis une multiplicit de sources dont rendent mal compte les fragments
dHcate, dont luvre est considre comme fondatrice pour lethnographie grecque.
46 Cf. K. Reinhardt, Poseidonios, Mnchen 1921, pp. 74-75 (cf. aussi la notice de la RE, XXII, 1953,
col. 674-681, s.v. Poseidonios).
47 Cf. Strab. II 3,7, qui insiste sur le naturel des hommes et le rle du hasard dans la gographie
humaine.
48 Cf. Liv. V 33: quos loca ipsa efferarunt; voir aussi XXXVIII 17,10-11, propos des Gallo-grecs.
49 Cf. sur ce point, A. Rouveret, Tite-Live, Histoire Romaine, IX, 40: la description des armes samnites ou les piges de la symtrie, dans A.M. Adam - A. Rouveret (ds.), Guerre et socits en Italie aux Ve-

Les Samnites existent-ils encore lpoque dAuguste ?

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ment leur chec final, puisque leur souci de la uana species les affaiblit face
la discipline de larme romaine. A deux reprises, dans le discours de Papirius Cursor ses troupes en 309 et dans celui de Papirius Cursor fils en 293,
avant la bataille dAquilonia, cette mme opposition est reprise, ainsi que
la bien remarqu A. Rouveret50. Lautre est dordre moral: lhistorien dcrit
au livre X, avec complaisance, le rite de la legio linteata. Comme la montr
ltude de Ch. Saulnier, la notice met en vidence la cruaut des Samnites,
qui scellent de leur sang leur engagement, et leur got du complot, trait emprunt limage traditionnelle des Campaniens51. La crainte inspire par un
ennemi si longtemps redout explique linsistance sur ltranget de ses rites,
qui, mme sils peuvent tre rattachs un noyau historique52, sont montrs
avec outrance par Tite-Live.
***
En mme temps, les diffrents passages ethnographiques de Tite-Live
paraissent marqus par une admiration implicite lgard de cette rudesse
montagnarde53, qui renvoie aux notions de courage et daustrit. Lexamen
minutieux de certains passages liviens permet dtayer cette hypothse. Un
autre passage du livre IX est cet gard intressant: il sagit du portrait que
livre Tite-Live du chef samnite Pontius Herennius, pre de Caus Pontius,
vainqueur des Fourches Caudines de 321. Le vieillard est appel par larme
IVes. avant J.-C., Actes de la table ronde, ENS, Paris, 5 mai 1984, Paris 1986, pp. 91-120, cf. pp. 118-119.
Lhistorien a pu connatre leur quipement bariol et clinquant, travers les gladiateurs. Cf. Oakley, A
Commentary, III, pp. 511-516.
50Cf. Liv. IX 40,4-6: notus iam Romanis apparatus insignium armorum fuerat, doctique a ducibus erant
horridum militem esse debere, non caelatum auro et argento, sed ferro et animis fretum; quippe illa praedam uerius quam arma esse, nitentia ante rem, deformia inter sanguinem et uolnera; uirtutem esse militis
decus(les Romains connaissaient dj lapparat de ces armes faites pour tre remarques, et leurs chefs
leur avaient appris quun soldat doit avoir laspect farouche, et non porter des ciselures dor et dargent
mais sappuyer sur ses armes et sa force dme; car ces objets taient plus une proie quune arme, et,
clatantes avant le combat, elles devenaient hideuses au milieu du sang et des blessures; le courage tait
lhonneur du soldat); lautre passage est situ en X 39,11-14: multa de uniuerso genere belli, multa de
praesenti hostium apparatu, uana magis specie quam efficaci ad euentum, disseruit: non enim cristas uulnera
facere, et per picta atque aurata scuta transire Romanum pilum, et candore tunicarum fulgentem aciem, ubi
res ferro geratur, cruentari (il parla sur la nature de la guerre en gnral, et longuement de lapparat de
larme ennemie laquelle on avait affaire, qui tait une apparence plus vaine quefficace pour lissue
de la bataille; les aigrettes ninfligeaient pas de blessure, les boucliers peints ou dors narrtaient pas le
javelot romain et la ligne de combat, resplendissant de lclat des tuniques, serait couverte de sang quand
le fer entrerait en action). Sur ces deux textes, cf. Rouveret, Tite-Live..., pp. 91-96.
51 Cf. Ch. Saulnier, La coniuratio clandestina: une interprtation livienne des traditions campaniennes et samnites, REL 59 (1981), pp. 102-120.
52 Cf. rcemment F. Calisti, Il battaglione sacro dei Sanniti, SMSR 29 (1) (2005), pp. 63-83.
53 Surtout si les auteurs de ces raids sont interprts comme tant les Romains: cf. A. Russi, Su un
caso di duplicazione in Livio IX, 20, MGR 12 (1987), p. 98 sqq.

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afin de donner son avis sur la conduite tenir dans la lutte contre les Romains qui sont alors pris dans le dfil. Herennius, port sur un plaustrum,
se rend au camp samnite54 et conseille soit de vaincre compltement les Romains soit, si ce nest pas possible, daccepter une reddition; cet avis savre
juste, mais nest pas suivi par les Samnites, ce qui justifie leur acharnement
puis leur enlisement dsastreux dans la lutte contre Rome. Outre le caractre prmonitoire de lavis rendu par Caus Pontius, qui le qualifie comme
uates55, la prsentation du personnage par lhistorien est laudative, elle
constitue un portrait relevant de lelogium: in corpore tamen adfecto uigebat
uis animi consiliique56. Le chef samnite sest consacr non militaribus tantum
sed ciuilibus muneribus et est prsent comme longe prudentissimus57. Cette image tmoigne du prestige de la vieillesse, attribu par Tite-Live tous
les groupes humains. Pontius manifeste une sagesse pratique, une prudentia quil exerce la fois comme homme dtat et comme homme de guerre;
cela, dans le contexte des guerres samnites, rappelle limage du stratge tarentin Archytas dans la tradition hrite dAristoxne.
Un lment prcis vient justifier cette mise en perspective: la prsentation livienne de Pontius Herennius peut tre en effet rapproche mme sil
peut sagir de deux traditions distinctes58 dun passage du Caton Majeur
de Cicron o apparat galement, comme interlocuteur du pythagoricien
Archytas, le pre du vainqueur des Fourches Caudines, qui aurait prononc
lintention du Samnite et en prsence de Platon une uetus oratio dnonant les effets de la recherche des plaisirs physiques sur la uirtus de lhomme
dtat et sur la nature humaine en gnral59. Ce discours moral est, dans le
trait, transmis Caton par le Tarentin Narque, en 209 av. J.-C., cest--dire
un moment critique pour Tarente qui tente alors une dernire fois de gagner son indpendance. Le Tarentin affirme lavoir appris a maioribus natu
et Cicron situe la scne en 349 av. J.-C60. Malgr les problmes poss par la
date de lentrevue et le caractre isol de la notice, lhistoricit de lpisode
est taye par lexistence dun Narque, connu comme mdecin pythagoricien dans une tablette de dfixion de Mtaponte61. Ainsi, il est clair quil relve de la tradition pythagoricienne due Aristoxne, ce dont rend compte
54

Liv. IX 1,2.
Cf. Liv. IX 3,8: ses rponses sont comme ex ancipiti oraculo. Bilan sur la prsence de ces warning
figures dans lhistoriographie dans Oakley, A Commentary, III, p. 68.
56 Liv. IX 3,5: son corps tait affaibli, mais sa pense et sa rflexion demeuraient vives.
57 Liv. IX 1,2.
58 Cf. Oakley, A Commentary, III, pp. 69-70.
59 Cic. Cato 39-41.
60 Cic. Cato 41.
61 F.G. Lo Porto, Medici pitagorici in una defixio greca di Metaponto, PP 35 (1980), p. 282 sqq.
55

Les Samnites existent-ils encore lpoque dAuguste ?

83

par ailleurs le rcit de Plutarque, qui suit une source commune lArpinate
et au philosophe de Chrone62. Ou plutt, largumentation dveloppe par
loratio renvoie la polmique qui a suivi la chute dArchytas Tarente sur le
rle de la trufhv dans la dcadence de la cit, qui est prsente chez Strabon
et dans le trait apocryphe du pseudo-Archytas, Peri; novmou kai; dikaiosuvnh~. Le lien tabli entre la recherche des plaisirs et la trahison de la patrie est
dans le Caton Majeur actualis et adapt la situation de crise de 209 av. J.-C.
La place occupe dans ce rcit par les Samnites est particulirement intressante. En effet, Aristoxne cite un dialogue analogue auquel aurait particip
Archytas, mais son interlocuteur est alors Polyarchos, ambassadeur de Denys
II de Syracuse63; le discours hdoniste et sophistique du Syracusain est symtrique de celui du stratge et lui est directement oppos tandis que le rapport entre Pontius Herennius et Archytas est non conflictuel mais dialectique64. Chez Tite-Live et Cicron, lendurance et le refus des uoluptates65 qui
contrastent avec lhybris romaine deviennent la caractristique des Samnites.
Etudiant la diffusion du pythagorisme en milieu indigne, A. Mele66 rapproche ces textes dun ensemble de notices rapportes par Strabon et Justin selon lesquelles les Samnites seraient dorigine spartiate, ou, plus gnralement, grecque67. Justin, dans un texte trs prcieux pour notre enqute,
affirme lexistence dun Graecus mos dans toute lItalie et dfend lorigine
grecque des Bruttiens, des Samnites et des Sabins68, et, dautre part, attribue des leges de type spartiate aux Lucaniens, dont les traditions dducation visant lacquisition de la duritia et de la parsimonia sont rapproches
de celle des Lacdmoniens69. La mise en valeur de cette filiation nous ren62 Cf. lanalyse dA. Mele, La Megal Hellas pitagorica: aspetti politici, economici e sociali, dans Megale Hellas. Nome e immagine, Atti del ventunesimo convegno di studi sulla Magna Grecia (Taranto, 2-5
ottobre 1981), Taranto 1982, pp. 33-80, pp. 70-71. Plutarque prsente Narque comme pythagoricien.
63 Aristoxne, fr. 50 Wehrli = Ath. XII 545-546.
64 Cf. B. DAgostino, Voluptas e Virtus: il mito della ingenuit italica, AION(archeol) 3 (1981),
pp. 117-127, p. 123.
65 Cette prsentation est encore plus claire dans un autre passage du Cato Maior, o est voqu le
souhait formul par les chefs romains Manius Curius et Tiberius Coruncanius au moment de la guerre
contre Tarente de voir les Samnites et Pyrrhus tre gagns par la soif des plaisirs et, par l, tre vaincus
plus facilement (cf. Cato 43). Cf. aussi Val. Max. IV 3,6.
66 Cf. Mele, La Megal
67 Strab. V 4,12, sur lethnognse des Samnites. Cf. aussi Iust. XX 1,14. Cf. Dench, From Barbarians, p. 249.
68 Cf. Iust. XX 1,6.14.
69 Cf. Iust. XXIII 1,7-8: namque Lucani isdem legibus liberos suos quibus et Spartani instituere soliti
erant. Quippe ab initio pubertatis in siluis inter pastores habebantur sine ministerio seruili, sine ueste, quam
induerent uel cui incubarent, ut a primis annis duritiae parsimoniaeque sine ullo usu urbis adsuescerent
(les Lucaniens avaient coutume dlever leurs enfants selon les mmes lois que les Spartiates. Ds le
dbut de la pubert, les enfants se tenaient dans les forts parmi les bergers, sans esclave pour les servir,

84

Mathilde Mah-Simon

voie limage de laustrit spartiate prsente Athnes au Ve sicle70. Chez


la source de Justin Thopompe ou, plus tard, Time , la mise en valeur
dune suggevneia entre les Tarentins et les populations italiques est lie la
volont dtendre la grcit dItalie de la manire la plus large face la menace reprsente par Syracuse71. Dans ce texte, la prsentation des Bruttiens
est ambigu72: Justin insiste sur le feritas terrifiante de ce peuple, qui finit
par vaincre celui dont il est issu, mais partir de lethnognse des Bruttiens, ns dune scession de jeunes gens levs la manire spartiate depuis
la souche lucanienne, elle utilise le mythe dune origine commune des Tarentins et des Samnites. Dautre part, les Sabins, selon une tradition largement
reprsente depuis lannalistique du IIe sicle jusqu lpoque dAuguste,
descendraient du hros ponyme lacdmonien Sabos73. Strabon soutient
que cette origine lacdmonienne des Sabins nexiste pas et que les Samnites
sont issus du uer sacrum pratiqu par les Sabins et qui a conduit les Samnites
recevoir le diminutif de Sabelli. Pour le gographe, le nom de Samnites
vient du nom par lequel les Grecs appellent ce peuple, les Sauni`tai74. Il
prcise que cest Tarente qui diffusait lide selon laquelle les Samnites, grce
la prsence de colons spartiates, taient devenus philhellnes et portaient le
nom de Pitanates:
tine;~ de; kai; Lavkwna~ sunoivkou~ aujtoi`~ genevsqai fasi; kai; dia; tou`to
kai; filevllhna~ uJpavrxai, tina;~ de; kai; Pitanavta~ kalei`sqai. Dokei`
de; kai; Tarantivnwn plavsma tou`t ei\nai, kolakeuovntwn oJmovrou~ kai;
mevga dunamevnou~ ajnqrwvpou~ kai; a{ma ejxoikeioumevnwn, oi{ ge kai; ojktw;
sans vtement pour se couvrir ou pour dormir. Leurs parents voulaient ainsi les tenir loigns de la ville
et les habituer ds le plus jeune ge une vie austre et frugale).
70 Cf. E.N. Tigerstedt, The Legend of Sparta in Classical Antiquity, I, Stockholm 1965.
71 Cf. Iust. XX 1,3: prima illi militia aduersus Graecos, qui proxima Italici maris litora tenebant, fuit;
quibus deuictis finitimos quosque adgreditur omnesque Graeci nominis Italiam possidentes sibi destinat
(sa premire expdition fut contre les Grecs qui occupaient les rivages les plus proches de la mer italienne; aprs les avoir vaincus, il attaque tous ses voisins et cherche combattre tous les peuples grecs
habitant lItalie). Cf. Mele, La megal, p. 79.
72 Iust. XXIII 1. Prsentation de la feritas animorum bruttienne chez Iustin: cf. XXIII 1,3.6.10.14-16.
Interprtation ngative de la scession bruttienne chez Strab. VI 1,4 et Diod. XVI 15. Pour Mele, La
megal, pp. 79-80, la source de Justin est clairement favorable aux Bruttiens, vus comme de farouches
guerriers forms par lducation spartiate et vainqueurs des Grecs.
73 Cf. Gell. fr. 10 Peter (= fr. 10 Chassignet); Cato orig. fr. 51 Peter (= II 22 Chassignet). Ces fragments sont cits par Serv. auct. Aen. VIII 638; cf. aussi Hyg. fr. 9 Peter; Dion. Hal. II 49,3; Plut. Rom.
16,1; Num. 1,4. Cf. aussi Iust. XX 1,14; Sil. VIII 422. Denys dHalicarnasse (II 49,2-3) propose une
origine autochtone et un hros ponyme Sabinus, mais parle dune arrive de colons spartiates chez les
Sabins qui existent dj. Cf. M. Chassignet, Caton, Les origines (fragments), Paris 1986, pp. 77-78, et p.
76 pour les raisons de son choix de la leon Sabivnou et non Savbou.
74 Cette association repose sur une tymologie fausse qui rattache Sauni`tai celui de la lance des
Samnites: cf. Fest., p. 437 L.

Les Samnites existent-ils encore lpoque dAuguste ?

85

muriavda~ e[stellovn pote th`~ pezh`~ stratia`~, iJppeva~ d ojktakiscilivou~75.


Certains auteurs affirment que se sont joints eux des colons venus de Laconie;
cela expliquerait leur philhellnisme et le fait que certains dentre eux sont appels Pitanates. Il semble que ce soit une invention des Tarentins, dsireux de flatter
et en mme temps de se concilier leurs voisins puissants, qui taient capables de
mettre sur le champ de bataille quatre-vingt mille fantassins et huit mille cavaliers.

Ce nom de Pitanates est galement attest par les sources littraires comme constituant le rameau dlite lacdmonien76 et, en Italie mridionale, par
la numismatique77. Le texte de Strabon indique bien que les Tarentins ont
utilis ce thme de la suggevneia pour tendre leur influence sur le monde
indigne: il constituait un outil idologique qui pouvait permettre de masquer un rapport de dpendance lgard de mercenaires, dont nous avons
vu quil tait associ limage ngative de la cit.
Lattribution des mmes qualits non seulement aux Lucaniens et aux
Brettiens mais aussi aux autres peuples italiques porte la marque dune politique tarentine douverture aux Samnites que comprend Strabon78. Le tmoignage pigraphique qui atteste que le nom *safineis se retrouve dans des
zones extrieures au Samnium proprement dit79 rvle lampleur de ce phnomne. Il est probable, comme le remarque D. Musti, que les Samnites dcrits par Strabon comme viss par la propagande tarentine, comprenaient les
Lucaniens80. Mais le poids des guerres samnites dans la mmoire nationale a
sans doute inflchi cette filiation. Contrairement aux Lucaniens et aux Brettiens, les Samnites ont bnfici dune reprsentation positive dont tmoigne
Strabon81: elle a t associe celle des Sabins, par le biais de la lgende de
75 Strab. V 4,12. Cfr. sur ce texte et ses enjeux, rcemment, Taranto e il Mediterraneo, Atti del quarantunesimo convegno di studi sulla Magna Grecia (Taranto, 12-16 ottobre 2001), Taranto 2002, pp. 103-116
(dibattito).
76 Hs., s.v. Pitanavth~ stravto~; Hr. IX 53,2-3.
77 Le corpus est constitu de monnaies provenant du Samnium, de lApulie, et de Campanie. Il
sagit doboles dargent datables des annes 330 av. J.-C., portant la lgende grecque: PITANATAN
PERIPOLWN, les perivpoloi tant des formations militaires composes de jeunes gens. Cf. G. Tagliamonte, I figli di Marte. Mobilit, mercenari e mercenariato italico in Magna Grecia e Sicilia, Roma
1994, pp. 173-74, qui pense quil sagit de Samnites embauchs par Tarente et plus gnralement, que
cette ouverture aux populations indignes sest faite aussi par le biais du mercenariat.
78 Cf. lattitude de Tarente envers les Samnites pendant le sige de Naples.
79 Cf. A. Prosdocimi, Sabinit e (pan)italicit linguistica, DA 5,1 (1987), pp. 53-64.
80 Cf. D. Musti, La nozione storica di Sanniti nelle fonti greche e romane, dans Sannio. Pentri e Frentani dal VI al I sec. a.C., Campobasso 1984, pp. 71-84.
81 Cf. le jugement favorable de Strab. V 4,12, sur la coutume samnite des mariages forcs, qui sappuient sur une slection eugniste.

86

Mathilde Mah-Simon

leur commune ascendance spartiate: la rputation daustrit de ces derniers,


qui fait deux un modle moral pour les Romains de la fin de la Rpublique82, est directement lie lorigine spartiate qui leur est prte83.
E. Dench montre comment limage positive des Sabins, que lon trouve
nettement exprime par Caton84 et qui est lie aux thmes de la duritia, de la
parsimonia et de la vie rurale, saffine au cours du IIe sicle, au moment o
le pril de la luxuria atteint lVrbs et inquite certains milieux romains qui se
tournent vers une rgion qui a acquis depuis peu la citoyennet pour y chercher un idal moral. Il faut sans doute supposer que ce modle a perdu de sa
pertinence avec la romanisation complte de la rgion. Quelques dcennies
aprs la guerre sociale et les violences infliges aux Samnites par Sylla, lintgration des peuples de lItalie centrale dans la communaut nationale justifie
lattribution des valeurs de la duritia et de la parsimonia lancien ennemi
tant redout. Mais comme le remarque E. Dench, cest surtout sous le nom
de Sabelli, qui marque leur parent avec les Sabins, que les Samnites sont
reprsents dans la littrature latine comme le modle de la uirtus italique85.
Nous avons vu combien cette dfinition de litalicit proccupait les auteurs
de lpoque dAuguste: lexaltation de la uirtus sabellienne trouve donc son
origine dans la politique douverture aux Samnites mene par Tarente
lgard de ses voisins indignes trois sicles auparavant.

***
Comme pour les Sabins, dont lclat des bijoux semble avoir t indiqu
par Fabius Pictor86, une double image des Samnites slabore alors, associant les thmes de la barbarie et de lasocialit, ou de ltalage de richesses,
ceux de la duritia et de la parsimonia, ressortissent un dterminisme gographique qui veut que lpret des murs suive celle du relief87. Si le dbat
sur litalicit prend une vigueur nouvelle avec lunification de la pninsule,
la suite de la coniuratio Italiae de 32 av. J.-C., limage des Samnites demeure
82 Cf. Serv. auct. Aen. VIII 638: merito ergo seueris, qui et a duris parentibus orti sunt, et quorum
disciplinam uictores Romani in multis secuti sunt (cest bon droit, donc, que sont appels svres
ceux qui sont ns de parents austres et dont la manire de vivre a t sur beaucoup de points suivie par
les Romains qui les avaient vaincus).
83 Cf. Serv. auct., immdiatement avant le passage prcdent: Cato autem et Gellius a Sabo Lacedaemonio trahere eos originem referunt. Porro Lacedaemonios durissimos fuisse omnis lectio docet. Mais
Denys mentionne une lgende dorigine des Sabins (cf. supra) propre Caton et o nintervient pas
lascendance spartiate.
84 Cf. Cato ORF4 8,128 = Fest., p. 350 L. Cf. aussi Cato agr., praef. 4.
85 Cf. Dench, Images, p. 252; From Barbarians, appendix B, p. 224 pour le recensement des
occurrences (la premire se trouve chez Varron).
86 Cf. Dion. Hal. II 38,3 = Fab. Pict. fr. 8 P. (= 10 Chass.)
87 Cf. Cic. Planc. 22 pour la rgion de Venafrum.

Les Samnites existent-ils encore lpoque dAuguste ?

87

ambivalente et ne trouve une certaine cohrence que dans la description plinienne de la IV regio, qui dpeint la gens fortissima88 de lItalie. Le texte de
Tite-Live, qui dpend la fois de ses sources et du temps de sa rdaction, rvle particulirement ces ambiguts. Limage des Samnites qui ressort de la
lecture de lAb Vrbe condita doit tre rapproche de lorientation de lhistoriographie romaine du IVe sicle, qui ne nous est malheureusement accessible que de manire fragmentaire. Dans son projet dhistoire nationale, TiteLive veut donner une reprsentation nouvelle, unifie, du pass de lVrbs,
dans laquelle les Samnites occupent une place finalement privilgie; mais
il est tributaire de sources qui entrent en contradiction avec cette vision et
contribuent la complexit du texte livien.

88

Cf. Plin. nat. III 106.

Il paradosso etrusco: il diverso


nelle radici profonde di Roma e dellItalia romana
Marta Sordi

LItalia, a cui la guerra sociale aveva dato la cittadinanza romana, non era
stata efficacemente integrata nella res publica, e le guerre civili la videro spesso solo vittima delle controversie della nobilitas romana: Properzio (I 22,4
sgg.) coglie in modo icastico questa situazione nella contrapposizione fra la
Romana discordia e i funera Italiae.
Qualche cosa aveva cominciato a muoversi gi con Cesare, con la nova
ratio vincendi impostata dopo il Rubicone e applicata rigorosamente a Corfinium e in Italia: con essa Cesare aveva affiancato alla sua vecchia immagine
di capo dei populares la nuova legittimazione che gli veniva dal consensus Italiae. Questa legittimazione, gi presente nella risposta di Pollione a Catone
(App. civ. II 41) e nel discorso ai Massalioti, con cui Cesare stesso contrappone lauctoritas Italiae alla voluntas unius (Caes. civ. I 35), si ritrova nel discorso che Dione (XLI 26-35) attribuisce a Cesare a Piacenza, quando vieta
ai soldati il saccheggio e insiste sul rispetto che egli intende riservare allItalia. La factio paucorum contro la quale egli vuole condurre la sua guerra
la vecchia nobilitas romana, che, sconfitta a Farsalo e poi a Filippi, trover
rifugio nelle file degli stessi cesariani, in quelle di Lucio Antonio e poi di
Marco Antonio, accaparrandosi, come aveva gi fatto Pompeo, lappoggio
dellOriente contro lItalia e lOccidente.
La vera rivoluzione di Ottaviano, la rivoluzione romana, fu questa: egli
dette fin dallinizio una parte preponderante nei suoi piani allItalia, cominciando dal consilium di amici, estraneo alla vecchia nobilitas e composto in
gran parte di homines novi, provenienti dai municipi. Apparentemente oscurato dalla guerra di Perugia, il programma fu ripreso, con paziente opera politica e propagandistica e con lappoggio di Mecenate e del suo circolo, fino
alla coniuratio Italiae del 31 e al consensus Italiae del 12 a.C., nellaffluenza
cuncta ex Italia (Res gestae 10) ai comizi per il pontificato massimo.
LItalia nella poesia augustea alla radice della grandezza di Roma: ma quale Italia? Il primo accenno di Virgilio contenuto nella famosa lode dellItalia
in georg. II 136 sgg. (173-174: magna parens frugum magna virum): lItalia
dei Marsi, della giovent sabella, dei Liguri, dei Volsci, in cui virt guerriere

90

Marta Sordi

e virt contadine si associano in un genus acre virum, contrapposto allimbelle orientale; alla fine dello stesso libro, per (523 sgg.), lesaltazione dellItalia
ritorna, collegato questa volta a virt pacifiche, laffetto verso i figli, la vita
famigliare custodita dalla pudicitia, la laboriosit produttrice di opulenza, la
piet religiosa, il vigore fisico, ottenuto attraverso esercizi sportivi: questa
lItalia dei veteres Sabini, di Remus et frater, della fortis Etruria, dellet delloro, della vita cio che introdusse sulla terra Saturno, quando la guerra non
esisteva ancora. Virgilio distingue e contrappone due diversi gruppi di popoli
italici: da una parte le stirpi acres, che trovano i loro rappresentanti soprattutto nel mondo osco, dallaltra i vecchi Sabini, i vecchi Latini, gli Etruschi, i
cui valori sono la pietas, la giustizia, il lavoro pacifico, per i quali soli egli usa
lepiteto di fortes, qui come nellEneide (X 236 sgg.), abituati a loca iussa tenere, ad esercitare cio una forza controllata dalla disciplina. Questa contrapposizione di costume, che anche una contrapposizione etnica fra le due Italie,
in particolare fra unItalia osca e unItalia etrusca, deve essere superata secondo Virgilio in una fusione, di cui deve essere autore Augusto, nuovo Saturno,
portatore di una nuova et delloro, che trasforma con le leggi un popolo indocile e guerriero in un popolo giusto e pacifico. Lantagonismo osco-etrusco,
ancora vivo in et augustea, come rivela chiaramente Orazio, con lesaltazione
delle virt guerriere dei Marsi che hanno fatto grande Roma e la condanna
dellimbelle pietas e della mollezza degli Etruschi-Troiani, gi presente nella
condanna della tryph degli Etruschi in un famoso passo di Diodoro (V 40,34), che solo inizialmente riflette Posidonio, ma che forse ci conserva invece
il risentimento degli Italici per labbandono degli Etruschi nella guerra sociale e riprende le vecchie accuse antietrusche del mondo greco e siceliota.
Lidentificazione fra Etruschi e Troiani, che ha le sue radici in antichi contatti e, probabilmente, in unantica immigrazione sulle coste tirreniche dallAsia Minore, ma che viene esplicitamente recepita dagli Etruschi stessi
negli ultimi secoli della repubblica con la leggenda dellorigine di Dardano
da Cortona e con la famosa iscrizione etrusca di Tunisi, viene celebrata da

 Ho riassunto qui i risultati del dibattito di vari autori su Lintegrazione dellItalia nello stato romano
(in Contributi dellIstituto di storia antica, I, ed. M. Sordi, Milano 1972, p. 146 sgg.), a cui rimando; per
la rilettura di Diod. V 40,3-4, v. G. Firpo, Posidonio, Diodoro e gli Etruschi, Aevum 71 (1997), p. 103
sgg.; Id., La polemica sugli Etruschi nei poeti di et augustea, in Die Integration der Etrusker und das Weiterwirken etruskischen Kulturgutes im republikanischen und kaiserzeitlichen Rom, ed. L. Aigner-Foresti,
Wien 1998, p. 251 sgg.
La provenienza indicata dalle fonti varia: dalla Troade, dalla Misia, dalla Lidia o come Pelasgi.
Cfr. M. Sordi, Il mito di Telefo e gli Arcadi in Italia, Aevum 80 (2006), p. 65.
 G. Colonna, Virgilio, Cortona e la leggenda etrusca di Dardano, ArchClass 32 (1980), p. 1 sgg.;
M. Sordi, C. Mario e una colonia etrusca in Tunisia, in Aa.Vv., Miscellanea Pallottino, Milano 1992, p.
363 sgg.

Il paradosso etrusco: il diverso nelle radici profonde di Roma e dellItalia romana

91

Virgilio con la promessa di un impero universale e dellaeternitas al popolo


misto che nascer dallincontro fra questa semenza santa per dirla con
Dante, che riprende lidea nel De monarchia, e gli Italici (Verg. Aen. XII 834
sgg.): per Virgilio, insomma, come per il Sallustio della Catilinaria, proprio
da questo incontro col diverso, per sangue, per lingua, per costumi, che
Roma porta fin dallinizio nel suo dna, nasce la vocazione di Roma ad un impero universale. A questa identificazione fra Etruschi e Troiani, che Orazio
stesso condivide, sia quando esorta la pars melior dei Romani ad abbandonare i lidi etruschi destinati alla catastrofe e raccomanda agli stessi Romani
nimium pii di non volere la rinascita di Troia, sia quando, nella palinodia
del Carmen saeculare, ritiene irreversibile e voluto dagli dei il cammino di
Enea verso lEtruria e lOccidente, Dionigi di Alicarnasso, che rappresenta
una posizione minoritaria, ma non irrilevante, della cultura augustea, oppone la convinzione che i Troiani e i Pelasgi, progenitori dei Romani, sono greci e per questo a Roma spetta il dominio universale, mentre gli Etruschi non
sono n Troiani, n Lidi, n Pelasgi, e per linguaggio e modo di vivere non
sono affini a nessun altro popolo (Dion. Hal. I 29-30, part. 30,2).
Lautoctonia degli Etruschi, che gli Etruschi stessi affermavano col mito
del ritorno a Cortona dei Troiani o dei Pelasgi, diventa per Dionigi, nella
sua visione ellenocentrica e fondamentalmente ostile agli Etruschi, segno
dellestraneit degli Etruschi allascesa di Roma e di unestrema arcaicit
(ajrcai`on te pavnu) di un popolo, di cui il progresso storico prepara necessariamente la scomparsa. Laccenno di Dionigi allestrema arcaicit degli
Etruschi unallusione solo implicita alla loro fine imminente: di questa appaiono ben consapevoli invece gli autori augustei di origine etrusca, Properzio, che coglie nella caduta di Perugia nel 40 il segno della fine, e Virgilio
stesso, che vanta la sopravvivenza dellEtruria in Roma pulcherrima rerum,
ma sa che il nomen etrusco deve morire, nella sua lingua e nei suoi costumi.
Il paradosso etrusco consiste proprio in questo: nella coscienza che gli
Etruschi hanno di essere diversi per lingua e per costumi dal resto del mondo italico e nella loro convinzione, solo apparentemente contraddittoria, di
essere la radice stessa della romanit; nella convinzione di dover finire come nomen, rinunciando alla propria lingua, i cui scritti cominciano essi stessi
effettivamente a tradurre in latino con Cecina e Tarquizio Prisco gi nel I

Cfr. M. Sordi, Her. VIII 144,3 - Sall. Cat. 6,2, in Euroal. Lalterit nella dinamica delle culture
antiche e medievali: interferenze linguistiche e storiche nel processo della formazione dellEuropa. Atti del
convegno, Milano, 5-6 marzo 2001, edd. R.B. Finazzi - C. Milani - P. Tornaghi - A. Valvo, Milano
2002, p. 71 sgg.
Sullostilit di Dionigi agli Etruschi v. D. Musti, Tendenze nella storiografia romana e greca su Roma
arcaica. Studi su Livio e Dionigi di Alicarnasso [QUCC 10], Roma 1970, passim.

92

Marta Sordi

secolo a.C., ma anche nella certezza di sopravvivere come componente fondamentale in Roma pulcherrima rerum. Il problema dellintegrazione dellItalia molto forte nellepoca augustea, ma non c dubbio che sono proprio
gli Etruschi che hanno (e apertamente ed esplicitamente manifestano) la coscienza della necessit di questa integrazione.
La spiegazione di questo atteggiamento viene dalla stessa religione etrusca
che (e rimane) laspetto pi caratterizzante della loro civilt: Varrone, citato
da Censorino (cfr. infra), sapeva che gli aruspici stabilivano, in base allEtrusca disciplina e ai libri rituales, quanti saecula erano assegnati a ciascun popolo e a ciascuna citt; lo stesso Varrone trovava nelle Historiae Tuscae il numero dei saecula (dieci) attribuito agli Etruschi; un empeiros aner, citato dalla
Suda sotto la voce Tyrrenia, parlava delle dodici chiliadi di anni assegnate
alla terra, di cui le prime sei erano trascorse nella creazione di tutte le cose
prima della comparsa delluomo e le ultime sei erano assegnate allumanit:
il passo apparso sospetto per la sua aderenza alla dottrina giudaico-cristiana della creazione, ma lattribuzione allumanit di sei millenni corrisponde
pienamente allattribuzione tipicamente etrusca di periodi definiti di durata
ad ogni popolo e ad ogni uomo ed oggi si pensa piuttosto ad una creazione
del tardo etruschismo, per il quale la storia era concepita come una durata a
termine, per i singoli popoli come per lintera umanit, scandita da una delimitazione epocale, in cui la cronologia, con la dottrina dei saecula, era legata
in modo indiscutibile alla scienza divinatoria.
Nel suo De die natali, del 238 d.C., Censorino , grazie allutilizzazione indiretta dei libri dellEtrusca disciplina, la fonte pi attendibile sulla teoria dei
saecula: saeculum egli dice (17,2) spatium vitae humanae longissimum
partu et morte definitum; corrisponde al greco ghenos, ma non alla durata
di circa 30 anni che i Greci calcolavano come intervallo fra le generazioni.
Per i libri rituales degli Etruschi, che i Romani recepirono attribuendo al saeculum civile la durata di 100 anni, che quella dei primi quattro saecula etruschi, il saeculum naturale la durata massima della vita di un uomo, che non
pu essere fissata a priori, ma pu essere conosciuta solo a posteriori, in base ai portenta inviati dagli dei e interpretati dagli aruspici. Secondo la fonte
di Censorino, risalente allottavo secolo etrusco, i primi sette secoli avevano
avuto dunque durata diversa, di 100 anni i primi quattro, di 123 il quinto, di
119 il sesto e il settimo: octavum tum demum agi, nonum et decimum superesse, quibus transactis finem fore nominis Etrusci. Plutarco (Sull. 7,2 sg.) pone
nell88 a.C., nellanno iniziale delle guerre civili, i portenti che gli aruspici
interpretarono come segno della fine dellVIII secolo: ammettendo che esso
fosse iniziato fra il 211 e il 188 a.C., la data proposta dai libri rituales per
linizio del I secolo etrusco ci porta ad una data fra il 972 e il 949 a.C., e al
X secolo, molto vicina, in ogni caso, allinizio del villanoviano e delle prime

Il paradosso etrusco: il diverso nelle radici profonde di Roma e dellItalia romana

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tracce della civilt etrusca in Italia e rivela che gli Etruschi avevano una consapevolezza abbastanza corretta della loro storia passata. Essi sapevano per
gi allora che, in base alle loro profezie, avevano ancora, come popolo, solo
due secoli per sopravvivere: quando, nel 44 a.C., secondo un frammento del
De vita sua di Augusto (p. 87 Malcovati, apud Serv. auct. ecl. 9,46), comparve
una stella a met del giorno e laruspice Vulcatius (o Vulcanius) dichiar che
essa significava la fine dellottavo e linizio del nono secolo, la fine apparve
imminente.
Si comprende cos langoscia che pervase il mondo romano negli ultimi
anni 40 del I secolo a.C.: segni e prodigi continuarono prima e dopo la guerra di Perugia e perfino dopo Azio, come rivelano le allusioni di Orazio (carm.
I 2) e di Virgilio (georg. I 466 sgg.) ai timori di guerra sempre presenti e alle
inondazioni degli anni precedenti. Quando Perugia fu incendiata ed apparve
ormai giunta la fine del nomen Etruscum, per i legami profondi che univano
fin dalle origini lEtruria a Roma, sembr a molti che tale fine incombesse
anche su Roma. Fu proprio la coscienza di questa stretta solidariet a provocare la grande paura, che si esprime negli epodi VII e XVI di Orazio e il
suo invito alla fuga verso limmensit delloceano dai litora Etrusca (epod. 16,
39-40). Allinizio dello stesso epodo Orazio parla di una seconda aetas delle
guerre civili e le due aetates oraziane corrispondono appunto alla rapida successione del IX e del X secolo etrusco. Virgilio nella IV egloga parla invece
dellultima aetas del carme cumano, la cui fine corrisponde ad un nuovo ordine di secoli (ecl. 4,5). Originario di unantica citt etrusca, fiera delle sue
origini, e direttamente esperto, a differenza di Orazio, delle dottrine aruspicali, Virgilio sa distinguere meglio del Plutarco della Vita di Silla la differenza fra la fine di un saeculum e di un ordo saeculorum, e risolve in positivo
lalternanza che nell88 gli aruspici avevano lasciata aperta sullavvento di
una nuova umanit pi o meno cara agli dei. La nuova generazione, il nuovo saeculum, colto secondo luso etrusco nel misterioso puer dellegloga, la
gens aurea che sorge nel mondo ed caratterizzata da un senso nuovo della
pietas e dalla cancellazione dellantico scelus che aveva provocato le guerre
civili. La fine del nomen Etruscum si identifica per Virgilio con lintegrazione
definitiva degli Etruschi, pronti a lasciare la loro lingua e i loro costumi, ma
non la loro pietas, in quella Roma pulcherrima rerum, la cui storia gloriosa
avevano contribuito a creare in maniera determinante.
Limportanza degli Etruschi nella prima grande crisi di Roma, quella del
IV secolo dopo la catastrofe gallica, diventa infatti per Virgilio oggetto della pars iliadica dellEneide con la trasposizione, nella leggenda di Enea, delRiassumo qui ci che ho discusso in I saecula etruschi e i portenta, RSI 114 (2000), p. 715 sgg., a
cui rimando anche per la bibliografia.

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Marta Sordi

laiuto fornito a Roma da Cere nel famoso trentennio postgallico; ma linfluenza dellEtruria sulla cultura romana non si ferma al IV secolo. La quadripartizione dello spazio orientata secondo i punti cardinali caratteristica
dellEtrusca disciplina e d forma, nei libri sacri etruschi, agli accampamenti,
alle citt e alle propriet terriere, fondando la limitatio, che i Romani attingono dagli Etruschi e che non ha niente a che fare con la pianta ortogonale
di Ippodamo di Mileto, perch ha origine da una concezione religiosa del
mondo integralmente diversa. Lorigine della limitatio viene in effetti collegata dagli Etruschi con lorigine del mondo, con la rivendicazione che Giove
fa a se stesso, nelloracolo della ninfa Vegoia, della terra Etruria e, con la gravit della colpa della violazione dei termini; essa conferma cos la dipendenza del concetto di ius terrae Italiae (che fonda la propriet iure Quiritium)
dal concetto di ius terrae Etruriae, presente nei libri rituali (Serv. auct. Aen. I
2) e in un cippo di Perugia (TLE 570), indipendentemente dallepoca tarda
a cui il cippo appartiene. Il concetto di terra Italia, con lallargamento fino
alle Alpi di una denominazione geografica che, partendo dalla Calabria, si
era estesa gi nel IV secolo a tutta lItalia meridionale, nasce in effetti durante la seconda guerra punica, sembra fra il 218 e il 210, con lequiparazione,
dal punto di vista sacrale, nella procuratio dei prodigi, del solum Italicum al
solum Romanum; lespressione terra Italia compare per la prima volta in una
profezia dei Libri sibillini riportata da Livio (XXIX 10,4-5) sotto il 205 e collegata con lidentificazione del nemico con lalienigena a cui si oppone, fin
dal 212 con i carmina Marciana, lidentificazione del Romano col Troiugena
(Liv. XXV 12,5).
La definizione come alienigena del nemico implica lautoctonia dei Romani come Troiugenae in terra Italia, implica cio laccettazione della versione,
sostenuta da Virgilio e dagli stessi Etruschi, che Dardano era originario di
Cortona e che la venuta di Enea in Italia era in realt un ritorno: interessante osservare che anche presso gli Etruschi il motivo dellautoctonia, che Dionigi di Alicarnasso enfatizza e che tra la fine del II e gli inizi del I secolo a.C.
il cippo di Tunisi con la menzione di Dardano celebra, era presente almeno
nel III secolo a.C., come dimostra la notizia di Mirsilo di Metimna (FGrHist
477,8), secondo cui i Tirreni abitavano in Italia gi in et antichissima, erano
poi partiti per una pestilenza e vi erano tornati pi tardi col nome di Pelasgi,
M. Sordi, I rapporti romano ceriti e lorigine della civitas sine suffragio, Roma 1960, pp. 10; 167
sgg.; 177 sgg.; Ead., Prospettive di storia etrusca, Como 1995, p. 77 sgg.
M. Sordi, Terra Etruria - Terra Italia, in Gli stati territoriali nel mondo antico [Contributi di storia
antica. 1], edd. C. Bearzot - F. Landucci - G. Zecchini, Milano 2003, p. 127 sgg.
Per alienigena, cfr. G. Urso, Il concetto di alienigena nella guerra annibalica, in Emigrazione e immigrazione nel mondo antico [Contributi dellIstituto di storia antica. 20], ed. M. Sordi, Milano 1994,
p. 223.

Il paradosso etrusco: il diverso nelle radici profonde di Roma e dellItalia romana

95

che Omero ritiene antichissimi e Mirsilo ritiene discendenti dai Tirreni. Origine pelasgica e origine troiana potevano ben conciliarsi, perch per Omero i Pelasgi erano alleati dei Troiani e abitavano le stesse regioni. Al tempo
della guerra annibalica Ennio (apud Varr. ling. V 42) chiama Saturnia tellus
lItalia e un oracolo di Dodona aveva appunto promesso ai Pelasgi la terra
Saturnia (Dion. Hal. I 19,3; Macr. Sat. I 7,8). probabile perci che siano
stati proprio gli aruspici, durante la guerra annibalica, ad estendere allItalia
la concezione dello ius terrae Etruriae collegato con la propriet per diritto
divino affermata da Giove nelloracolo della ninfa Vegoia e confermata per i
Romani nel dominium ex iure Quiritium. Limportanza che lEtrusca disciplina aveva assunto per i Romani durante la guerra annibalica spiega perch il
senato, allora o poco dopo, dum florebat imperium (Cic. div. I 41,92) abbia
deciso di chiedere agli Etruschi di mantenere laruspicina allinterno delle
famiglie dei principes, perch non scadesse in un mestiere tanto pericoloso
quanto redditizio. LEtrusca disciplina divenne cos publica religio del mondo
romano (Cic. har. resp. 27,61).
Cos, quando tra il I secolo a.C. e il I d.C. il nomen Etruscum giunse alla
fine della sua storia, lidentit del popolo etrusco rest affidata alla sua religione, a quellEtrusca disciplina che Claudio celebr col senatoconsulto del
47 (Tac. ann. XI 15) come vetustissima Italiae disciplina. Si compiva in un
certo modo la profezia che Virgilio attribuisce a Giove al termine dellEneide
(XII 834 sgg.), quando proclama che il genus Ausonio mixtum quod sanguine
surget / supra homines, supra ire deos pietate videbis La pietas resta dunque
il segno della sopravvivenza, in et imperiale e fino al tardo antico, della civilt etrusca, che anche nel momento del suo massimo splendore, aveva avuto nella religione il suo carattere distintivo. Essa si fondava, come noto, su
una rivelazione divina giunta attraverso i libri sacri, la cui esegesi era appunto compito degli aruspici e dellEtrusca disciplina. Tradotti in latino fin dal I
secolo a.C., da Cecina e da Tarquizio Prisco, furono custoditi e letti fino alla
tarda antichit, come rivelano le opere di Macrobio, di Marziano Capella, di
Giovanni Lido. Prima di essere unesposizione di riti, lEtruria disciplina era
una concezione del cosmo e della storia, una filologia e una teologia, come
sosteneva Posidonio, utilizzato da Diodoro (V 40) e, proprio per questo, per
non scadere nella superstizione e mantenere il suo prestigio, aveva bisogno
del supporto di una filosofia, che doveva essere scelta, evidentemente, tra le
filosofie che ammettevano non solo lesistenza di una divinit, ma anche di
una divinit pronta a comunicare con gli uomini: questo supporto fu fornito,
di volta in volta, dal pitagorismo, dallo stoicismo, dal neoplatonismo10.

10M.

Sordi, Lo stoicismo in Etruria nel I secolo, in Die Integration, p. 337 sgg.

96

Marta Sordi

Sulla stessa linea si pongono credo certi aggiornamenti che il tardo


etruschismo tenta col giudaismo e col cristianesimo, pur rimanendo fedele
alla propria ispirazione di fondo: come le sei chiliadi di anni assegnate alla
creazione e le sei chiliadi assegnate allumanit dalla Suda (cfr. supra), o la suprema divinit di cui parla la ninfa Vegoia in una citazione di Lattanzio Placido (Schol. Stat. Theb. IV 516-517), il cui nome non pu essere pronunziato
n ascoltato per naturae fragilitatem pollutionemque, o i praecepta di Tages di
cui il sacerdote pagano Longiniano parla in una lettera ad Agostino (Aug.
234,2) e dice concordanti con quelli del cristianesimo.
LEtrusca disciplina era vitale nel tardo antico ed era forse lunico ramo vitale del paganesimo tradizionale, ormai surclassato dai culti e dalle idee provenienti dallOriente: Ammiano Marcellino (XVII 10,2) cita i libri tagetici e
vegoici e difende (XXI 1,9-10) la divinazione pagana dalle accuse cristiane,
citando esplicitamente Tages monstrator disciplinae11.
Nonostante qualche isolato tentativo di avvicinamento, lEtrusca disciplina
fu per profondamente ostile al cristianesimo: la parte che essa ed esplicitamente un aruspice dal nome programmatico di Tages avevano avuto, secondo la testimonianza di Lattanzio (mort. pers. 10,3; div. IV 27,4) nellepurazione militare del 297 e nella persecuzione dioclezianea12 spiega perch il
primo sacerdozio pagano preso di mira da Costantino sia stato quello degli
aruspici: il 1 febbraio del 319 una costituzione imperiale (C.Th. IX 16,1)
vieta agli aruspici di entrare nelle case private e permette a coloro che desiderano superstitioni suae servire di esercitare solo publice i loro riti. Nel
320 Costantino ribadisce in unaltra costituzione (C.Th. XVI 10,1) il divieto
dellaruspicina privata, permettendo solo quella pubblica ed evitando, forse per rispondere alle proteste del senato, ancora in maggioranza pagano, di
chiamare superstitio la stessa aruspicina (consuetudinis vestrae sollemnia).
La condanna si aggrava per con Costanzo II e diventa poi definitiva con
Teodosio, con gli editti del 391 e del 392 (C.Th. XVI 10,10; 11; 12), definito questultimo leditto della morte del paganesimo: chi oser sacrificare e
spirantia exta consulere sar punito come il reo di lesa maest13.
Non c dubbio che lo scontro fra il cristianesimo e lEtrusca disciplina fu
durissimo: esso si manifesta anche nellultimo intervento degli aruspici riferi11Sulla sopravvivenza dellEtrusca disciplina nel tardo antico, v. S. Montero, Poltica y adivinacin
en el Bajo Imperio Romano: emperadores y harspices (193 D.C. - 408 D.C.), Bruxelles 1991, passim; D.
Briquel, Chrtiens et haruspices: la religion trusque, dernier rempart du paganisme romain, Paris 1998,
passim; M. Sordi, LEtrusca disciplina e limpero romano cristiano, in Da Costantino a Teodosio il Grande:
cultura, societ, diritto. Atti del convegno internazionale, Napoli, 26-28 aprile 2001, ed. U. Criscuolo,
Napoli 2003, p. 395 sgg.
12M. Sordi, I Cristiani e limpero romano, Milano 2004, p. 164 sgg.
13 Sordi, LEtrusca, p. 397 sgg.

Il paradosso etrusco: il diverso nelle radici profonde di Roma e dellItalia romana

97

to da Zosimo (V 41) e noto anche a Sozomeno (H.E. IX 6) al tempo del primo attacco a Roma di Alarico, nel 408/409. In quel tempo, mentre Roma era
assediata, gli aruspici vennero a Roma dallEtruria ed offrirono al prefetto di
Roma, Pompeiano, e poi al Papa Innocenzo di salvare Roma, come avevano
gi fatto con Narni, attirando sui barbari tuoni e lampi. Invitati a celebrare
i loro riti di nascosto, essi risposero, sempre secondo Zosimo, che tali riti
sarebbero stati efficaci solo se compiuti pubblicamente e se il senato fosse
salito in Campidoglio.
La notizia, spostata probabilmente dal 406 al 408, va inquadrata in ogni
caso nella richiesta da parte dei pagani del ripristino del culto pubblico che,
secondo Agostino (civ. V 22-23) e Orosio (hist. VII 37,6-7), si diffuse al tempo dellinvasione di Radagaiso e che cre, secondo Orosio, anche fra i Cristiani periculosa confusio. Radagaiso fu poi sconfitto da Stilicone sui monti
fiesolani ed interessante osservare che proprio Fiesole era, secondo Silio
Italico, il centro degli haruspices fulguratores e che proprio ai Fiorentini fu
preannunciata, secondo il biografo di Ambrogio, Paolino (vita Ambr. 50,2),
la vittoria romana da unapparizione del Santo, morto ormai da alcuni anni.
Alla luce dellimportanza che lEtrusca disciplina aveva assunto nellultima
resistenza del paganesimo, linsistenza della propaganda crisiana sulla manifestazione, nel cuore della vecchia Etruria, di fatti miracolosi, acquista un
significato particolare: la vittoria sine proelio sullesercito di Radagaiso, atterrito divinitus, che Ambrogio annunzia per il giorno dopo ai Fiorentini, e la
vittoria sine proelio che gli aruspici fulguratores pretendono di aver riportato
salvando Narni, si rivelano come le opposte manifestazioni di fedi contrapposte14.
Quella del 408/409 (o del 406?) fu lultima apparizione degli aruspici ufficiali, rappresentanti riconosciuti della religio publica populi Romani, appartenenti allaristocrazia etrusca e abituati a trattare con le autorit dellimpero.
Nel VI secolo, poco prima della spedizione di Narsete, Procopio (IV 21) ricorda, durante la guerra gotica, la venuta a Roma di aruspici dalla Toscana:
ma si tratta di contadini ignoranti, che vengono accolti con scherno. Lantica
religione sopravvive nel folklore e nellerudizione: alla corte di Giustiniano,
Giovanni Lido, un erudito cristiano, attinge ancora, nel De ostentis e nel De
magistratibus, ai testi etruschi, che trova ancora a quanto sembra in versione bilingue, nelle biblioteche15.

14M. Sordi, Augustinus, De civ. Dei V, 23 e i tentativi di restaurazione pagana durante linvasione
gotica del V secolo, Augustinianum 25 (1985), p. 205 sgg.; Ead., Limpero romano cristiano al tempo di
Ambrogio, Milano 2000, p. 86 sgg.
15 Briquel, Chrtiens, p. 197 sgg.; p. 199 n. 2.

Sopravvivenza di istituzioni etrusche in et imperiale


Luciana Aigner-Foresti

Illustri studiosi quali H. Rudolph, A. Rosenberg e S. Mazzarino hanno


trattato gi in passato, pi o meno estesamente, il tema delle magistrature
municipali che sarebbero, secondo H. Rudolph sulla scia di Mommsen ,
di origine romana, secondo A. Rosenberg di origine latina e secondo S. Mazzarino epicorie.
Prendo oggi in considerazione in particolare le istituzioni ceretane di et
imperiale, del tutto diverse da quelle di altre citt della regio VII. I progressi
fatti in questi ultimi anni da studi etruscologici del tutto indipendenti dal tema
qui proposto, invitano infatti a riprendere largomento. Essi permettono di apportare alcune prudenti precisazioni alla tesi che le anomalie della costituzione
ceretana di et imperiale siano legate alla sopravvivenza di istituzioni etrusche.
Ricordo anzitutto i dati di fatto: a Caere tre iscrizioni latine riportano il
titolo di dictator, due il titolo di aedilis con alcune specificazioni ed una il
titolo di quaestor. Due iscrizioni sono di et claudia, la terza risale al 113-114
d.C., e dunque allepoca di Traiano.
La prima iscrizione in ordine cronologico di et claudia e dice:
T(ito). Egnatio. T(iti). f(ilio). Vot(uria tribu). Rufo. q(uaestori). a(e)d(ili). dict(atori)
aed(ili)Etrur(iae) // Egnatia. T(iti). L(iberta). Comp // fecit. sibi. et. suis // T(itus).
Egnatius / T(iti). f(ilius). Rufus / vixit ann(is) II et / dies XV.

Tito Egnazio Rufo avrebbe ricoperto le cariche di quaestor, aedilis, dictator e


aedilis Etruriae. Liscrizione di carattere funerario e dunque privato. Il cursus honorum ascendente: nella veste di quaestor Rufo si era occupato delle
finanze, in quella di aedilis, senza successiva specificazione, dellapprovvigionamento dei cereali. Poich dittatore, Egnazio Rufo aveva ricoperto una

H. Rudolph, Stadt und Staat im rmischen Italien, Leipzig 1935; Rosenberg 1913, 51 sgg.; Mazza1945, 101 sgg.; Inoltre G. De Sanctis, La dittatura di Caere, in Scritti in onore di B. Nogara, Roma
1937, 147 sgg.; Id., Storia dei Romani, I, Firenze 1980 (nuova edizione, stabilita sugli inediti a cura di S.
Accame), 465-485; Letta 1979, 34 sgg.; Momigliano 1989, 147 sgg.
 CIL XI 3615; M. Cristofani, Un <cursus honorum> di Cerveteri, SE 35 (1967), 609-618, qui
616.
rino

100

Luciana Aigner-Foresti

carica molto alta che lo aveva portato ad occuparsi della giurisdizione, forse
dellambito militare locale e/o dei sacra, a meno che uno di questi ambiti,
probabilmente quello dei sacra, non sia stato di competenza dellaedilis Etruriae. Quale aedilis Etruriae Egnazio Rufo ricopr una carica di contenuto discusso tra gli etruscologi e non, testimoniata con sicurezza anche a Cortona
e a Chiusi in epigrafi di et augustea la prima, e nel I secolo d.C. la seconda:
Rosenberg consider laedilis Etruriae il funzionario di una lega etrusca di
carattere sacrale, Pallottino pens ad un magistrato federale inferiore per
carica al successivo praetor Etruriae testimoniato dallepoca di Traiano; secondo Cristofani, infine, laedilis Etruriae ricalca le magistrature della lega
etrusca ma le uniche notizie che si hanno sullesistenza di una lega etrusca risalgono allepoca della guerra di Veio contro Roma, e dunque a fatti di
circa 400 anni prima, e lunico funzionario della lega testimoniato chiamato
sacerdos.
La seconda iscrizione, anchessa di et claudia, di carattere pubblico e
ricorda una donazione alle divinit della curia Aesernia da parte del dittatore Aulo Avillio Acanto:
Deos Curiales / genium T(iti) Claudi Caisaris Augusti / p(atris) p(atriae) Curiae
Aesernianae / A(ulus) Avillius Acanthus / dictator / sua impensa posuit.

La terza epigrafe di carattere pubblico come la seconda. Il testo riporta


in belle lettere parti del verbale di fatti che presero lavvio il 13 aprile del
113 d.C. e si conclusero il primo agosto del 114. La parte delliscrizione che
ci interessa dice:
L(ucio) Publio Celso (bis) C(aio) Clodio Crispino co(n)s(ulibis) idibus Aprilib(us) /
M(arco) Pontio Celso dictatore C(aio) Suetonio Claudio aedile iure dicendo

 B. Liou, Praetores Etruriae XV populorum. tude dpigraphie (Coll. Latomus. 106), Bruxelles
1969, 69, 75, 82 sgg.
 Rosenberg 1913, 56, 62 sg.: questo aedilis Etruriae sarebbe il successore del maru etrusco, come il
pi tardo praetor Etruriae sarebbe il successore dello zilath.
 M. Pallottino, Nuovi spunti di ricerca sul tema delle magistrature etrusche, SE 24 (1955-1956),
45-72.
 Cristofani, Un <cursus honorum>, 617.
Lunico funzionario della lega etrusca che ricordato dalle fonti un sacerdos eletto dai rappresentanti dei dodici populi e addetto agli affari religiosi: Liv. V 1,5.
 CIL XI 3593. Lultima riga del testo fu ad un certo punto erasa ed al nome di Acanto fu aggiunto
il nome di un secondo dittatore, un certo Marco Giunio Eutyco. A(ulus) Avillius Acanthus / M(arcus)
Iunius Eutychus dictator(es) de suo posuer(unt). La dittatura si riferiva ad anni diversi: v. Bormann in CIL
XI 3593. Anche Rosenberg 1913, 67 esclude lidea di collegialit per la dittatura che a Roma era stata
sempre la carica unica per eccellenza. Letta 1979, 36 fa notare che ancora una cinquantina di anni dopo
liscrizione di Acanto Caere aveva un solo dictator.
 CIL XI 3614.

Sopravvivenza di istituzioni etrusche in et imperiale

101

praef(ecto) aerari / [l. 13] in curiam fuerunt Pontius Celsus dictat(or) Suetonius
Claudianus aed(ilis) iuri dic(undo) M. Lepidius Nepos / aedil(is) annon(ae)

Si apprende cos che durante il consolato di Lucio Publio Celso e di Caio


Clodio Crispino (113 d.C.), quando erano in carica il dictator Marco Ponzio
Celso e laedilis iure dicundo praefectus aerarii Caio Svetonio Claudiano, convennero alla Curia di Caere nove persone. Lo stesso dictator Ponzio Celso e
laedilis Svetonio Claudio avevano convocato anche laedilis annonae Marco
Lepido Nepote e sei decurioni per esaminare una richiesta fatta da Ulpio
Vesbino alle autorit cittadine. Vesbino, un liberto di Traiano, chiedeva lassegnazione di una parcella di terreno pubblico per edificarvi a proprie spese
una sede per gli Augustali degna della citt di Caere.
La domanda di Vesbino fu approvata; in seguito si richiese per via epistolare anche lassenso del curator Curiazio Cosano, che fu dato. In occasione
dellinaugurazione della sede, il primo agosto del 114 d.C., Vesbino fece redigere liscrizione a perenne memoria della sua opera pia.
Lavvenimento viene ricordato una volta riportando la data della riunione in base ai consoli romani, ed una seconda volta nominando le autorit
cittadine (il dictator e laedilis iure dicundo praefectus aerarii) competenti. Il
dictator e laedilis iure dicundo praefectus aerarii sono le cariche pi alte e,
infatti, convocano laedilis annonae ed il consiglio dei decurioni , laedilis
annonae una carica subalterna; il curator (rei publicae), infine, il rappresentante del governo centrale10.
Allepoca di Traiano lordinamento magistratuale supremo di Caere era
dunque annuale. Allaedilis iure dicundo praefectus aerarii spettavano lesercizio della giurisdizione ed il controllo delle finanze, laedilis annonae curava
lapprovvigionamento dei cereali, ed il dictator aveva altri compiti, legati probabilmente allambito militare o alla cura dei sacra.
Un paragone con le magistrature ricoperte da Egnazio Rufo in et claudia
permette di annotare i cambiamenti verificatisi a Caere in campo istituzionale nel giro di alcuni decenni. Laedilis Etruriae non testimoniato al tempo
di Traiano, il che significa o che abbiamo una lacuna nella tradizione oppure
che la carica era stata eliminata. Ledilit senza specificazione e subalterna
dei tempi di Egnazio Rufo era stata raddoppiata dando origine ad un aedilis annonae per lapprovvigionamento dei cereali e ad un secondo edile che
aveva assunto al tempo di Traiano competenze giurisdizionali, togliendole al
dictator di et claudia e diventando un insolito aedilis iure dicundo. A questi furono affidate anche le funzioni che erano state del questore (che ora
non compare pi), vale a dire lamministrazione dellerario; cos laedilis iure
10

M. Sartori, Osservazioni sul ruolo del curator rei publicae, Athenaeum 67 (1989), 5 sgg.

102

Luciana Aigner-Foresti

dicundo ebbe anche le funzioni di praefectus aerarii. La dittatura, che forse


manteneva uffici in campo militare a livello locale, rimaneva una carica molto
alta del municipio, ora condivisa con laedilis iure dicundo praefectus aerarii.
possibile che eliminando la questura i riformatori ceretani abbiano voluto seguire lesempio di Roma dove la carica era stata abolita dal 44 d.C.
Ma laffidamento, unico nel suo genere, dellerario allaedilis iure dicundo,
vale a dire ad uno dei due capi supremi, pu altrettanto essere stato legato
al cattivo stato delle finanze cittadine, situazione questa che aveva richiesto
un funzionario di maggior competenza o prestigio: lintervento di un curator
reipublicae, nuovo tipo di funzionari imperiali previsti per casi eccezionali,
implica momenti di crisi soprattutto finanziaria.
A Roma la dittatura non compariva pi dal 202 a.C., e cio dalla fine della
seconda guerra punica: le dittature di Silla e di Cesare erano state, com
noto, cariche straordinarie. La dittatura ceretana non fu dunque introdotta
o imposta da Roma in et imperiale, ma fu una carica che esisteva a Caere da
tempo e che accomunava Caere a Roma e/o alle citt latine. Dovremo ricercare i precedenti di questa dittatura nel passato di Caere etrusca.
***
Passiamo allora allaltro estremo della storia di Caere, vale a dire allepoca
arcaica11. Una valutazione complessiva dellorganizzazione politica ceretana
permette di riconoscere anzitutto uno strato sociale benestante, quello che
nel VII secolo a.C. sepolto, con ricchi equipaggiamenti, nei tumuli monumentali delle necropoli del Sorbo, della Banditaccia e del Monte Abatone.
Ricchezza significa potere, significa che i gruppi benestanti potevano cogliere ogni occasione sia per imporre la propria volont, sia per legarsi a persone
che ubbidivano ai loro comandi. Nella Caere del VII secolo a.C. tali gruppi
di aristocratici formavano unoligarchia, un organo di comando che organizzava la vita dellintera comunit.
Alcune tombe monumentali con la rappresentazione di persone su un
trono e con uno scettro e dunque con insegne dense di significato politico
ricordo il trono e lo scettro della tomba delle due sedie12 suggeriscono
lemergere dalle file oligarchiche di singoli personaggi la cui posizione e la cui
azione ricordata dalle fonti scritte. Per Livio e Virgilio Mezenzio un rex13,

11

Camporeale 2004, 225 sgg.


G. Colonna - F.-W. Von Hase, Alle origini della statuaria etrusca: la tomba delle statue presso Ceri,
SE 52 (1984 [1986]), 13-59.
13Re degli Etruschi: Liv. I 2,3; Dion. Hal. I 64,4; CIL I2 316; Varr. ap. Plin. nat. XIV 88. Re di
Caere: Liv. I 2,3; Verg. Aen. VIII 481. L. Aigner-Foresti, in Der neue Pauly, VIII (2000), c. 148 sg. s.v.
Mezentius.
12

Sopravvivenza di istituzioni etrusche in et imperiale

103

un certo Orgolnio lo altrettanto, entrambi sono condottieri. Uniscrizione


dedicatoria ceretana che ricorda un Laucie Mezentie, databile intorno al 670
a.C., colloca in quel periodo lazione di una famiglia Mezentie14. Orgolnio
fu il rex Caeritum espulso dalla carica dal praetor tarquiniese Aulo Spurinna, come ricorda un elogium di et claudia15. Lepisodio, se storico, sarebbe
avvenuto, secondo Torelli, che collega Aulo Spurinna con fatti della storia
tarquiniese, tra la fine del V e la met del IV secolo a.C. Pallottino colloca
invece lepisodio sullo sfondo di episodi di guerra avvenuti agli inizi del V
secolo a.C.16 A me sembra che lunico appiglio cronologico che noi abbiamo
la seconda met del VI secolo a.C.: intorno al 540 a.C., infatti, testimoniata a Tarquinia la nobile famiglia tarquiniese degli Spurinna, come sappiamo dalliscrizione con il suo nome nella cosiddetta Tomba dei Tori decorata
con splendide pitture17. Si tratta di un appiglio debole, ne convengo, ma
lunico veramente oggettivo che abbiamo.
Lesistenza di un rex a Caere provata anche da due epigrafi databili intorno alla met circa del VI secolo a.C. che riportano la parola kalatur: mi
kalaturus fapenas cenecu heqie, sono del Calator Fabio Ceneco oppure
sono di Calator Fabio Ceneco; e, calaturus mi, sono del (di) Calator18.
Kalatur un prestito dal latino calator, prestito che, se anche nelle nostre
due iscrizioni pu essere stato un nome di persona, era stato originariamente
la denominazione di un incaricato del rex19. Il rex ceretano aveva probabilmente un kalatur a sua disposizione, personaggio legato ai suoi uffici religiosi
come lo era il calator del rex romano. Una delle due iscrizioni proviene da un
edificio di grandi dimensioni che gli archeologi considerano una residenza
ovverosia un edificio sacro20.
Un momento importante della storia istituzionale ceretana fissato sul-

14 D. Briquel, A propos dune inscription redcouverte au Louvre. Remarques sur la tradition relative a
Mzence, REL 67 (1989), 78-92; F. Gaultier - D. Briquel, Rexamen dune inscription des collections
du Muse du Louvre: un Mzence Caer au VIIe sicle av.J.-C., Acadmie des Inscriptions & BellesLettres, Comptes Rendus 1989, Janvier-Mars, Paris 1989, 99-115.
15 Torelli 1975, 39 sg.
16 M. Pallottino, Etruscologia, Milano 1992, 320.
17 S. Steingrber, Etruskische Wandmalerei, Stuttgart - Zrich 1985, 358 sg., n. 120.
18 ET Cr 2.31; Mazzarino 1947, 198 sg.; M. Cristofani, Nuovi dati per la storia urbana di Caere,
BdA 35-36 (1986), 1-24.
19I discendenti di un Marcus Marcius che prima del 210 a.C. fu il primo plebeo a diventare rex sacrificulus presero lappellativo rex che divent il cognomen dei Marcii Reges: Liv. XLIII 1,12.
20 A. Maggiani, II.A. Larea della citt. La Vigna Parrocchiale, in A.M. Sgubini Moretti et al. (edd.),
Veio, Cerveteri, Vulci. Citt dEtruria a confronto. Catalogo della mostra, Milano 2001, 129 n. II.A.2.15;
A. Maggiani - A. Rizzo, Le campagne di scavo in loc. Vigna Parrocchiale e S. Antonio, in Dinamiche di
sviluppo delle citt dell Etruria meridionale. Atti del XXIII convegno di studi etruschi e italici (Roma - Veio
- Cerveteri / Pyrgi - Tarquinia - Tuscania - Vulci - Viterbo 2001), Pisa - Roma 2005, 175 sgg.

104

Luciana Aigner-Foresti

le tre lamine doro trovate in unarea sacra di Pyrgi21. Due lamine portano
uniscrizione in etrusco ed una in fenicio; i testi, databili agli inizi del V secolo a.C., ricordano la donazione di un luogo sacro ad Uni-Astarte da parte
di un certo Thefarie Velianas che, secondo il testo della lamina A, ricopriva
lo zilacato: qefariei. Velianas ci avil zilacal seleitala22. La munificenza del
dono fatto da un magistrato, il solenne riferimento ad una divinit, ledizione bilingue delle iscrizioni e la duplice versione del testo etrusco testimoniano limportanza della donazione che ebbe per certo anche valenza politica,
anche se i testi mettono in risalto, nel complesso, non tanto Caere quanto
Velianas stesso, la sua carica e la sua azione. Lincisione su lamine doro garantiva la perpetuazione dellavvenimento; il testo in fenicio voleva rendere
accessibile a Fenici la munificenza di Velianas.
Secondo il testo fenicio Velianas sarebbe stato MLK L KYRY, reggente o regnante oppure re su Caere, NT L III per tre anni secondo
G. Garbini23. Per Levi Della Vida la donazione ebbe luogo nellanno tre,
secondo Donner e W. Rllig unter seiner Regierung (im) Jahr drei24. Fondamentale in questo contesto il richiamo dei semitisti alla formula MLK L
KYRY, reggente / regnante / re su Caere con una costruzione regnante,
reggente o re su fuori del comune al posto dellusuale re di25.
Per la traduzione della formula etrusca ci avil, tre anni sulla lamina A,
formula parallela a quella fenicia NT L III, sono state fatte diverse proposte: M. Pallottino suggerisce da tre anni o per tre anni, ed esclude nellanno terzo26 distanziandosi cos dal testo fenicio con il quale concorda
invece M. Cristofani che scrive nellanno tre27. Anche A.J. Pfiffig pensa
piuttosto a unter seiner Herrschaft (fr) drei Jahr(e); per Maggiani, infine,
lo zilacato di Thefarie Velianas durava da tre anni; non era dunque almeno
apparentemente una magistratura annuale normale28. Si tratta di sfumature semantiche importanti al fine di cogliere il momento della carriera di
Velianas in cui egli fece la donazione, allo scopo di stabilire la natura della
21 Aa.Vv., Scavi nel santuario etrusco di Pyrgi. Relazione preliminare della settima campagna, 1964, e
scoperta di tre lamine doro inscritte in etrusco e in punico, ArchClass 16 (1964), 49-117.
22 ET Cr 4.41; 4.42; 4.5.
23 G. Garbini, Liscrizione punica, in Aa.Vv., Scavi, 66 sgg.
24H. Donner - W. Rllig, Kananische und aramische Inschriften, Wiesbaden 1971-1976, 331.
25 W. Rllig, in Aigner-Foresti - Siewert 2006, 90 sg.
26 M. Pallottino, Le iscrizioni etrusche, in Aa.Vv., Scavi, 92 sg.
27 M. Cristofani, Ripensando Pyrgi, in Miscellanea ceretana (Quaderni del Centro di studio per
larcheologia etrusco-italica, 17), Roma 1989, 85-93, part. 89 sgg.
28 A.J. Pfiffig, Uni-Hera-Astarte. Studien zu den Goldblechen von S. Severa - Pyrgi mit etruskischer
und punischer Inschrift, Wien 1965, 13 sgg.; A. Maggiani, Magistrature cittadine, magistrature federali, in
La lega etrusca dalla dodecapoli ai quindecim populi. Atti della giornata di studi (Chiusi 1999), Pisa - Roma
2001, 37-49, qui 39.

Sopravvivenza di istituzioni etrusche in et imperiale

105

sua carica che, per la formula ci avil, nellanno tre, non era a termine29.
A suo tempo H. Rix colleg il termine zilacal alla parola successiva seleitala, essendo entrambe in genitivo. La locuzione etrusca zilacal seleitala corrisponderebbe alla denominazione di una carica (Amtsbezeichnung)30. Pi
di recente A. Maggiani ha ripreso la proposta di Rix31. Fermo restando per
zilac il significato acquisito di praetura e dando a sela il significato di grande significato accettato anche da G. Colonna32 Maggiani propone di
tradurre *zilac seleita con praetura maxima33. Velianas sarebbe stato dunque
uno *zilaq seleita, un praetor maximus.
Il titolo *Zilaq seleita testimoniato solo su una delle due iscrizioni etrusche di Pyrgi, mentre il titolo zilaq o la magistratura zilac ricorrono pi tardi
a Caere ancora tre volte, e cio intorno alla met del V secolo a.C. su un
frammento di ceramica attica, nel IV secolo a.C. nella formula eponimica
nello zilacato di Larth Nulathe incisa su un peso, ed alla fine del IV o inizio del III secolo a.C. sul sarcofago di Venel Tamsnie che fu zilath e comp
azioni degne di essere tramandate alla posterit34.
In un fondamentale articolo A. Momigliano riassunse le opinioni degli
studiosi sulla figura del praetor maximus35: questi sarebbe stato un praetor
maior tra due praetores, oppure la designazione di entrambi i pretori-consoli di et arcaica, o ancora quello dei due consoli o pretori che in et arcaica aveva i fasci, o, infine, quel magistrato che alle idi di settembre figgeva il
clavus annalis secondo il noto passo di Livio36. Questo magistrato, prosegue
29

Siewert in Aigner-Foresti - Siewert 2006, 92.


H. Rix, Pyrgi-Texte und etruskische Grammatik, in Akten des Kolloquiums zum Thema Die Gttin von Pyrgi. Archologische, linguistische und religionsgeschichtliche Aspekte (Tbingen 1979), Firenze
1981, 83-98, qui 91, tav. 3.
31 Maggiani 1996 (1998), 102 sgg.
32 G. Colonna, Epigrafi etrusche e latine a confronto, in Atti dellXI Congresso Internazionale di
Epigrafia greca e latina (Roma 1997), Roma 1999, 435-450, qui 444 e n. 50.
33 Maggiani 1996 (1998), 105.
34Per il frammento di ceramica attica: D.F. Maras, REE 69 (2003 [2004]), 322 n. 30: nella trascrizione si legge []zilc[], nel disegno invece si riconoscono cinque lettere (zilci). Per il peso: A. Maggiani, La libbra etrusca. Sistemi ponderali e monetazione, SE 65-68 (2002), 163-199. Per il sarcofago di
Venel Tamsnie: ET Cr 1.161; G. Proietti, Lipogeo monumentale dei Tamsnies: considerazioni sul nome
etrusco di Caere e sulla magistratura cerite nel IV secolo a.C., SE 51 (1983 [1985]), 570 sgg.; G. Morandi Tarabella, Prosopografia etrusca. I. Corpus. 1. Etruria meridionale, Roma 2004, 499, DXXXVII, n.
1; Maggiani 1996 (1998), 105 sg. Sullo zilath del cippo di Rubiera: P. Amann, Die etruskischen Zippen
von Rubiera aus der sdlichen Poebene. Neue Vorschlge und Versuch einer Einordnung, in H. Heftner
- K. Tomaschitz (edd.), Ad Fontes! Festschrift fr Gerhard Dobesch zum fnfundsechzigsten Geburtstag
am 15. September 2004, Wien 2004, 203-214.
35 A. Momigliano, Praetor maximus e questioni affini, in Studi in onore di G. Grosso, Torino 1968,
161-175 (= Quarto Contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, Roma 1969, 171-181, qui
178).
36Liv. VII 3,5.
30

106

Luciana Aigner-Foresti

Momigliano, potrebbe essere stato o un console, o un dittatore in caso di


guerra o un interrex in caso di vacanza istituzionale. Questultima interpretazione risale a Mommsen ed stata proposta ancora in tempi recenti da W.
Kunkel e R. Wittman37. Essa lunica accettabile per la nostra problematica, poich le altre tre possibilit prevedono due praetores dei quali nella
costituzione ceretana non c alcuna traccia38. Concludiamo dunque che il
titolo praetor maximus di Velianas equivale a quello di console o dittatore
o interrex. Ma per Caere da escludere un legame di praetor maximus con
console e interrex essendo queste ultime cariche legate solo a Roma. Rimane allora solo lequiparazione del praetor maximus col dittatore. Anche
per Mazzarino i termini ... dictator e praetor maximus sarebbero stati probabilmente equipollenti e rimonterebbero ad epoca abbastanza antica39.
Da parte sua Dione Cassio in Zonara riferisce che a Roma il dictator subentr al rex ed aggiunge che il primo dittatore sarebbe stato Tito Larcio40.
Il fatto che la famiglia dei Larcii non fece mai parte dellaristocrazia romana, garantisce lattendibilit di Dione. Anche nel Lazio si ebbero citt latine quali Aricia, Nomentum, Lanuvium e Tusculum che, una volta esonerato
il rex originario, ebbero un dictator gi nel VI secolo a.C. e lo mantennero
anche quando divennero municipia civium Romanorum e cio nel 351 a.C.
Tusculum e nel 338 a.C. Aricia, Lanuvium e Nomentum41. Tibur, Praeneste e
Lavinium sostituirono col tempo il dictator originario con due praetores42.
Thefarie Velianas un magistrato supremo di Caere, ricopre dunque la
posizione eminente che era stata del rex, ma detiene una carica, lo zilacato
seleita, la praetura maxima. Ma allora il rex ceretano originario fu sostituito
da un re-magistrato, da un re elettivo, come avvenne nelle citt latine e
a Roma e come avvenne ad Atene dove larchon basileus, larconte-re, era un
magistrato43. La notizia che le insegne dei re etruschi passarono ai magistrati
romani44 un altro indizio che anche in Etruria si pass dalla regalit alle
cariche magistratuali.
Nelle citt latine il re-magistrato fu chiamato dictator o praetor, a Roma
dictator / praetor maximus ed a Caere *zilaq seleita / praetor maximus. Il traduttore fenicio del testo di Pyrgi ebbe difficolt a trasferire nella sua lingua
una carica, quella del re-magistrato, appunto, che gli doveva sembrare stra37

Kunkel - Wittman 1995, 697.


Mazzarino 1945, 161 vide nello zilaq parcis e nello zilaq eterau una coppia di Zilath.
39 Mazzarino 1945, 159.
40Zon. VII 13-14; Urso 2005, 43 sg.
41 Mazzarino 1945, 159; Letta 1979, 37.
42 Mazzarino 1945, 159; Letta 1979, 37 sgg.
43 G. Busolt, Griechische Staatskunde, Mnchen 19203, 348 sg.
44Liv. I 8,3; Dion. Hal. II 29; III 61.
38Ma

Sopravvivenza di istituzioni etrusche in et imperiale

107

na e per la quale non aveva a disposizione un termine esatto. I Greci chiamarono basileis i sufeti fenici; dunque i supremi magistrati fenici furono visti
dai Greci come re45. Ma la carica di Thefarie Velianas non era quella di un
sufeta, da una parte perch sine collega, dallaltra perch non era a termine46.
L inconsueta formula fenicia di reggente o regnante oppure re su Caere tradisce il disagio del traduttore.
Lo *zilaq seleita testimoniato a Caere una sola volta, n lo troviamo nelle
altre citt etrusche. Ci pu essere dovuto alla lacunosit dei nostri dati, ma
non lo ritengo probabile: a Caere abbiamo infatti altre tre iscrizioni successive a quella di Thefarie Velianas che nominano uno zilath. Lo zilath ceretano
pur sempre un magistrato supremo e unico, come dimostra la formula eponimica di Larth Nulathe (IV secolo a.C.) e, forse, gli alti compiti eseguiti da
Venel Tamsnie (fine del IV o inizio del III secolo a.C.). Mi sembra dunque
pi probabile che il termine *zilaq seleita / praetor maximus col tempo sia
stato modificato nel suo contenuto diventando zilaq, praetor.
Nella seconda met del IV secolo a.C. Roma riordin le citt latine di
Aricia, Nomentum, Lanuvium e Tusculum lasciando loro il magistrato unico
chiamato dictator. Ritengo probabile che allora anche lo zilaq ceretano sia
stato chiamato dictator nel senso dato al termine nelle citt latine e cio di
magistrato supremo, unico e ordinario, ben lontano dal senso romano di magistrato straordinario, non cogliendosi a Roma alcuna differenza tra la suprema carica ceretana e la dittatura latina. Mentre il potere assoluto e a termine
del dittatore romano si ricollegava, da una parte allantico principio monarchico, dallaltra alla necessit di controllo proprio delle costituzioni repubblicane. Il caso di Nomentum latina che in et imperiale aveva un dictator ed
un aedilis iure dicundo come li aveva Caere, dimostra che Caere etrusca si era
orientata verso il mondo latino e non verso Roma. In ogni caso: Roma non si
oppose n al mantenimento della carica unica anche a Caere (come a Nomentum, Lanuvium, Aricia e Tusculum), n alla scelta del termine latino dictator.
Roma stessa invece us il termine praetor per il meddix osco47 e per lo
zilaq etrusco, come, mi sembra, dimostra liscrizione latina di G. Genucio.
Clousino. prai che si trova sulla parete dingresso di una costruzione sotterranea ceretana di carattere monumentale. Per i particolari paleografici delliscrizione rimando al disegno nella pubblicazione di M. Torelli48.
Nellabbreviazione prai- si volle riconoscere un praitor cos Cristofani
oppure un praifectos cos Torelli che si richiam ad un passo di Festo se45

P. Siewert - W. Rllig, in Aigner-Foresti - Siewert 2006, 208.


W. Huss, Die Karthager, Mnchen 2004, 333 sgg.
47 Galsterer 1976, 52 sg.
48 Torelli 2000, 141-176.
46

108

Luciana Aigner-Foresti

condo cui Caere sarebbe stata una prefettura49. Ma, partendo dalle constatazioni sia che la forma del nome di persona Clousino non altro che la forma
latinizzata del nome di persona etrusco Clevsina ben testimoniato in Etruria50, sia che questo Gaio Genucio Clousino nominato a Caere non altro
che il console romano del 273 a.C., Gaio Genucio Clepsina51, c da chiedersi, semplicemente, perch mai il personaggio sicuramente etruscofono che
oper il calco linguistico, avrebbe ricalcato soltanto il nome e non anche
la carica di Clepsina come magistrato di Caere; n vale controbattere che il
prai- fu aggiunto da una seconda mano52, e dunque in un secondo momento.
Anche prai- dunque un calco linguistico come Clousino e chi lo oper volle
mettere in latino una carica ben nota ai Ceretani e che non poteva essere
altro che quella del praetor / zilaq. La carica del praetor era indubbiamente
pi conosciuta a Caere della prefettura che Roma stessa aveva creato da poco
tempo e che quindi doveva essere per i Ceretani qualcosa di estraneo. Del resto anche il fatto che a Fundi e a Formiae, che Festo nomina insieme a Caere
quali rappresentanti del suo secondo tipo di prefetture, il sommo magistrato
della citt fosse un praetor53 conferma che Roma chiamava praetor il sommo
magistrato ceretano, chiamato invece dictator dai Latini.
***
Resta ora da seguire se e come a Caere si sia evoluta la seconda carica testimoniata e cio il maronato.
A suo tempo Mazzarino conguagli letrusco maru con il latino aedilis
considerando entrambi una comune elaborazione di comuni motivi provenienti da una koin culturale italica54. Da parte etruscologica M. Cristofani
ha sostenuto una corrispondenza tra maru e quaestor55, ma Maggiani ricorda
che il termine quaestor in umbro qvestur56.
Vediamo allora pi da vicino le due iscrizioni ceretane che testimoniano il
maru, entrambe venute alla luce dopo la morte di Mazzarino.
Il titolo etrusco di maru nella forma marunu[ compare per la prima volta
in una delle due iscrizioni su un cippo databile intorno al 570-550 a.C. pro-

49

Cristofani 1989, 167 sgg.; Torelli 2000, 141 sgg.


ET s.v.
51 Inscr. It. XIII, III s., 40-47; Dion. Hal. XX 16,1; Oros. hist. IV 3,5.
52 Torelli 2000, 151 sg.
53In Fundi: Hor. sat. I 5,34; in Formiae: CIL X 6111.
54 Mazzarino 1945, 131 sg.
55 M. Cristofani, Societ e istituzioni nellItalia preromana, in Popoli e civilt dellItalia antica, VII,
Roma 1975, 53-112; Id., in Dizionario illustrato della civilt etrusca, Firenze 1985, s.v. magistratura.
56 Cvestur: ST Um 8; kvestur: Va 23; Vb 2.
50

Sopravvivenza di istituzioni etrusche in et imperiale

109

veniente dalla localit Tragliatella nellager Caeretanus57. Entrambe le iscrizioni sono assai lacunose. Secondo un recentissimo studio di G. Colonna il
cippo doveva essere in origine accanto ad un altare, apparteneva quindi ad
unarea sacra, questa in forma di recinto, area che si trovava non lontano dal
confine tra il territorio ceretano e quello veiente58. Il luogo e le circostanze
del rinvenimento suggeriscono che i due testi devono essere considerati, ancora secondo Colonna, una dedica sacra.
Per la seconda iscrizione che suona
[qui mi]ni marunu[ci venelusi (vel sim.)] / [hulus]i (vel sim.) hil qelenq[as ceseqce
(vel sim.)] / [zicunce mi]ni ma avil[e acus (vel sim.)]

Colonna propone cautamente la traduzione


[Qui] me, nel maronato di, avendo compiuto lazione qel nei confronti del
hil, [pose (e) fece iscrivere] me il monumento, Avile [---]59.

La formula marunu[ci] sarebbe composta dunque da marunuc con laggiunta


del suffisso pertinentivo -i; il suo significato potrebbe corrispondere a nel
maronato del Tale. La formula si riferirebbe al marone sotto il governo e
probabilmente per iniziativa del quale ha avuto luogo levento commemorato dalliscrizione60. Lanalogia con le iscrizioni eponimiche, del resto tutte
posteriori, sarebbe soltanto formale. Fin qui Colonna.
Il maronato di Tragliatella non dunque eponimico, n collegiale, ed di
secondo ordine. Il maru di Tragliatella era un funzionario che aveva garantito con la propria autorit unazione legata ad unarea sacra. Egli pu aver
agito in proprio o incaricato da unaltra persona che pu essere stata un rex,
un monarca, un magistrato o chiunque era a capo di Caere. Tre iscrizioni
tarquiniesi del III-II secolo a.C. fanno menzione di un maronato collegato al
culto di Bacco61 e quindi legato allambito sacrale.
Il maronato testimoniato a Caere anche nel IV-III secolo a.C.: Larth Lapicane figlio di Vel il maru protagonista di una seconda iscrizione ceretana.
Si tratta di quattro righe collocate a grandi lettere su un muro lungo la strada
cimiteriale che porta alla necropoli della Banditaccia62. Si discute se si trat57

Maggiani, Magistrature, 40: di pieno VI secolo.


Colonna 2007, 83-109.
59 Colonna 2007, 101.
60 Colonna 2007, 100.
61 ET AT 1.1: marunuc pacaqura, maronato del collegio dei bacchi; AT 1.32: maru pacaquras caqsc,
maru del collegio dei bacchi e di Cath; Ta 1.184: marunuc pacanaqi, maronato nella dimora di Bacco
(= nel Baccanale).
62 E. Benelli, REE 55 (1987-1988 [1989]), 325 sg., n. 95, tav. XLV; Maggiani 1996 (1998), 109
e n. 2.
58

110

Luciana Aigner-Foresti

ta della parete di una strada o di una tomba che si apre sulla parte interna
rispetto alla strada63. Il fatto che si tratti di uniscrizione con il nome di un
magistrato, incisa a grandi lettere e su una superficie ben levigata, suggerisce che liscrizione aveva carattere ufficiale e si riferiva alla strada, n si pu
escludere che la parete posteriore della tomba abbia coinciso con la fiancata
della strada.
Liscrizione, disposta su tre righe, dice: larqal.v.c./ lapicane[s]/ v.c. marunu.ci/--inie. E. Benelli che la pubblic per primo, ritenne ci un numerale
indicante literazione o gli anni della durata della carica64. Il punto che divide marunu da ci, e che sicuro come si vede dal disegno della prima pubblicazione, mostra che si tratta di due parole. La ripetizione della filiazione
v(elus). c(lan), figlio di Vel dopo il prenome e dopo il gentilizio strana.
Benelli pensa ad una svista di chi la scrisse, corretta in seguito ripetendo la
formula di filiazione, tanto pi che senza la sua ripetizione le tre righe avrebbero avuto la stessa lunghezza. Traduco quindi di Larq Lapicane, figlio di
Vel, esercitante la funzione di maru tre, nel senso per tre anni oppure
per la terza volta o simili. Anche Morandi Tarabella riporta entrambe le
possibilit65.
Nel suo studio sul cippo di Tragliatella, Colonna non ha preso in considerazione questa iscrizione e quindi non so se egli considera il punto di divisione tra marunu e ci rilevante da un punto di vista semantico. Liscrizione di Tarquinia proveniente dalla tomba 5636 sui Monterozzi una tomba
gentilizia del II secolo a.C. e quindi cronologicamente vicina alliscrizione di
Lapicane ricorda un Arnq: larisal: ruz: arce marunuc: spurana. ci tenu ril
XXXIII, Arnth, fratello die Laris fu marone cittadino , morto a 33 anni; egli avrebbe ricoperto il maronato civico tre (marunuc: spurana. ci)66.
La parola spurana tra marunuc e ci mostra chiaramente che, nelliscrizione
tarquiniese, ci non fa parte di marunuc; ci esprime piuttosto uniterazione,
come del resto pens Benelli per liscrizione ceretana di Lapicane. Il maronato civico tre avrebbe dunque il significato per / da tre anni oppure
per la terza volta o simili. Si deve allora concludere che il maru Lapicane
ricopr una magistratura iterativa. Liscrizione non parla delle sue funzioni,
ma il fatto che queste siano state legate probabilmente pi ad una strada che
ad una tomba, come suggeriscono lincisione a grandi lettere e la superficie
levigata del suo supporto, induce a pensare che il magistrato se ne sia dovuto
63

Morandi Tarabella, Prosopografia, 270, CCXCVI, 2.


Benelli, REE 55 (1987-1988 [1989]).
65 Maggiani 1996 (1998), 110; Morandi Tarabella, Prosopografia
66 ET Ta 1.88: Arnq: larisal: ruz: arce marunuc: spurana. ci tenu ril XXXIII, Arnth, fratello di Laris
fu marone cittadino tre (volte), morto a 33 anni.
64

Sopravvivenza di istituzioni etrusche in et imperiale

111

occupare, forse controllandone lagibilit da un punto di vista edilizio e/o


assicurandone il finanziamento, o ancora: garantendone laccesso da un punto di vista legale. La scarsa differenziazione delle magistrature etrusche in
generale fa ritenere che un magistrato abbia avuto pi compiti.
La proposta di Colonna di un completamento marunu[ci] delliscrizione
di Tragliatella (nel senso nel maronato del tale ebbe luogo lavvenimento)
non vale dunque per liscrizione di Lapicane che propone una carica magistratuale iterativa. La tesi di Colonna sul maru di Tragliatella ci porta cos
a riconoscere uno spostamento semantico, avvenuto nel tempo, della parola
maru da un incaricato legato allambiente sacrale ad una magistratura.
Tre iscrizioni umbre, una proveniente da Assisi67, una seconda dalle vicinanze di Gualdo Tadino68 ed una terza da Foligno69 attestano lesistenza di
maroni nel territorio umbro al confine con lEtruria. Quella di Assisi dice:
ager. emps. Et / termnas. oht(retie) / c. u. uistinie. ner. t. babr(ie) / maronatei /
uois. ner. propartie / t. u. uoisiener / sacre. stahu
il campo fu comprato e limitato durante lautorato di Gaio Vivennio Vestinio e di
Nerio figlio di Tito Paprio, nel maronato di Properzio e di un Volsiniese. Io sto

Quella di Gualdo Tadino:


cubrar. matrer. bio. eso / oseto. cisterno. N. CLV / IIII / su. maronato / u. l. uarie: t.
c. fulonie
questa fontana stata fatta per 158 sesterzi per Cupra mater nel maronato di
Livio, figlio di Lucio Vario, e di Tito, figlio di Gaio Folonio

Quella di Foligno, infine, dice:


bia. opset[ / marone[-?-] / t. foltonio [-?-] / se. p(e)tr(o)nio [-?-]
essendo maroni Tito Foltonio e Petronio

Tutte e tre le iscrizioni sono databili nel III-II secolo a.C. e sono dunque
cronologicamente vicine a quella di Larth Lapicane. Secondo il parere dei
linguisti, il termine umbro maro sarebbe un prestito dalletrusco70, e ci fa
ritenere che le funzioni del maro umbro, nel momento del prestito, siano state non dissimili da quelle del maru etrusco71. Il mondo latino conosce la parola Maro soltanto come nome di persona.
67Da

Assisi: ST Um 10 (= Ve 236).
da Fossato di Vico: ST Um 7 (= Ve 233).
69Da Foligno: ST Um 6.
70 Maggiani 1996 (1998), 112 e n. 75; Meiser, in Aigner-Foresti - Siewert 2006, 119.
71 Pallottino, Etruscologia, 320; Colonna, Epigrafi, 441; Cristofani, Dizionario, 161 sg.;
Maggiani 1996 (1998), 109 sgg.
68Precisamente

112

Luciana Aigner-Foresti

In tutte e tre le iscrizioni umbre, il maronato si presenta come magistratura ausiliaria liscrizione di Assisi nomina lautorato al primo posto72 ,
non eponimica ma collegiale, legata a opere di carattere edilizio-sacrale delle
quali ci si affretta a sottolineare i costi, e, ad Assisi, con un certo aspetto giuridico. Il carattere di magistratura ausiliaria, non eponimica, legata a opere
di carattere edilizio, forse non lontana da questioni finanziarie e dallaspetto
giuridico dei lavori, sono proponibili anche per liscrizione del maru Lapicane con il suo monumentale supporto. Si pu certo obbiettare che le due
iscrizioni del maru ceretano non escludono funzioni giusdicenti del magistrato, ma per la loro lacunosit non le garantiscono; e che il paragone con le
iscrizioni umbre soltanto esteriore. Daltra parte lapprossimativa contemporaneit delle iscrizioni umbre con quella ceretana di Lapicane offre una
certa garanzia alla funzione anche giusdicente del maru ceretano.
La differenza fondamentale tra il maru ceretano e i maroni umbri data
dalla collegialit, cum collega i secondi, sine collega il primo, come lo sono i
maru delle altre citt dellEtruria73. Ma il raddoppiamento di una carica in
origine non collegiale spiegabile con la recenziorit del maronato umbro, e
con un suo adeguamento formale alledilit municipale romana.
I nuovi dati epigrafici ceretani relativi ad un maru con funzioni sacrali e
ad un maru magistrato sfasati nel tempo, riportano ad una vecchia tesi di
Rosenberg sulla presenza nelledilit romana di un edile con funzioni sacrali
suggerite dalletimologia latina del termine, vicino ad edili detentori di una
carica magistratuale. Si tratterebbe, ancora secondo Rosenberg, di una costruzione che Roma ha ripreso dal mondo latino, ed in particolare da Tusculum74.
noto, a questo punto, che Roma con la nota riforma istituzionale del
367 a.C. cre, vicino alledilit plebea quale carica inferiore amministrativa
e sacrale affidata agli edili plebei, unedilit curule di carattere magistratuale
superiore rivestita da allora, appunto, dagli edili curuli75 quali rappresentanti
del populus Romanus (e non soltanto del patriziato). Gli edili curuli ebbero,
vicino a funzioni quali la sorveglianza dei mercati e delle strade queste per insieme ai loro colleghi plebei anche funzioni giusdicenti che gli edili
plebei non ebbero, come dicono sia il diritto alla sella curule sia la pubbli72Ad Assisi i maroni sono menzionati insieme ai due uhtur che sono magistrati superiori ed eponimici: Letta 1979, 52 sgg.
73 Mazzarino 1945, 133 partendo da una corrispondenza maru-aediles parla di uno dei due maru
etruschi. Secondo Letta 1979, 60, linflusso culturale etrusco avrebbe portato allintroduzione in Umbria di due marones. In realt il maronato etrusco non mai collegiale, n a Caere n in unaltra citt
etrusca.
74 Rosenberg 1913, 10. V. anche Mazzarino 1945, 129 sgg.
75 Kunkel - Wittman 1995, 477 sg.

Sopravvivenza di istituzioni etrusche in et imperiale

113

cazione di un editto76. Gli edili curuli avevano in origine anche la cura annonae, che Cesare allarg agli edili plebei.
Le funzioni giusdicenti e, quale erede del quaestor esautorato, di addetto
allerario dello strano aedilis iure dicundo ceretano ci avvicinano, attraverso
ledilit curule romana, al maru etrusco-ceretano che sarebbe dunque lantesignano delledile ceretano.
La vicinanza tra lorganizzazione istituzionale di Caere e quella di Nomentum latina77 prevede in entrambe le citt un dictator ed un aedilis con funzione giusdicente. Vicino alla possibilit di uninfluenza romana nelledilit
ceretana, dobbiamo dunque pensare anche ad uno sviluppo indipendente da
Roma ma comune a Nomentum, e forse anche ad altre citt latine. Inoltre
si vede che a Nomentum un dictator ed un aedilis IIvirali potestate, in origine separati, formarono col tempo un duumvirato, mentre un secondo aedilis
rimase subalterno e senza altra specificazione78. Fra i due edili originari fu
quello di maggior prestigio, e cio quello IIvirali potestate, che divent il collega del dictator.
Un fenomeno simile si verific a Caere nel corso del I secolo d.C.: un
dictator ed un aedilis iure dicundo, in origine due diverse magistrature, formarono col tempo un duumvirato, mentre un secondo aedilis ebbe la specificazione di aedilis annonae.
La carica di aedilis, la pi alta a Caere allepoca di Traiano, equipara il titolo sia a quello degli edili latini (Nomentum), sia, nellambito delledilit romana, a quello degli edili curuli (e dunque non degli edili di Roma in generale).
Il terminus post quem per lequiparazione del maru con ledile curule romano il 367 a.C., quando Roma cre ledilit curule, se una tale equiparazione
avvenne allombra di Roma. Se invece, come per la dittatura, lequiparazione
avvenne con ledilit latina, allora si pu risalire pi indietro nel tempo.
***
Riassumiamo. La dittatura e lanomala edilit ceretana risalgono a magistrature epicorie adattatesi nel corso del tempo alle temperie politiche e istituzionali che investirono lItalia centrale tra i Monti Albani, i Monti della
Tolfa e la foce del Tevere. Ben vide quindi Letta quando respinse la tesi di
M. Torelli secondo cui la dittatura ceretana non sarebbe stata altro che una
creazione erudita dellet di Augusto o di Claudio79.
76

Kunkel - Wittman 1995, 478.


Letta 1979, 36.
78 Letta 1979, 35.
79 Torelli 1975, 72 sgg.; Letta 1978, 37. Ma la tesi di Letta, secondo cui al rex ceretano sarebbe succeduto un purq poggia sulla labile base di una connessione tra purq e Porsenna, oggi non pi accettata.
77

114

Luciana Aigner-Foresti

Bibliografia e abbreviazioni
Aigner-Foresti - Siewert 2006 = L. Aigner-Foresti - P. Siewert, Entstehung von
Staat und Stadt bei den Etruskern. Probleme und Mglichkeiten der Erforschung
frher Gemeinschaften in Etrurien im Vergleich zu anderen mittelmeerischen Kulturen. Gesprche einer Tagung in Sezzate (Juni 1998), Wien 2006.
Camporeale 2004 = G. Camporeale, Gli Etruschi. Storia e civilt, Torino 2004.
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Italien. Die Beziehungen Roms zu den italischen Gemeinden vom Latinerfrieden
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Maggiani 1996 (1998) = A. Maggiani, Appunti sulle magistrature etrusche, SE 62
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die ursprngliche Verfassung der Latiner, Osker und Etrusker, Berlin 1913.
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Sdpikenischen, Heidelberg 2002.
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Torelli 2000 = M. Torelli, C. Genucio(s) Clousino(s) prai(fectos). La fondazione
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Urso 2005 = G. Urso, Cassio Dione e i magistrati. Le origini della repubblica nei
frammenti della Storia romana, Milano 2005.

Il ruolo della componente etrusca


nella difesa della religione nazionale
dei Romani contro le externae superstitiones
Dominique Briquel

La letteratura della fine della repubblica e dellinizio dellimpero dimostra che, in quei tempi, esisteva un vivace dibattito sullapporto delle diverse
parti dellItalia, ormai gi da tempo riunita sotto legemonia di Roma, alla
costruzione del mondo nel quale vivevano e che lecito chiamare mondo
romano. Da una parte, questo dibattito la prova che la penisola formava
unentit ora unificata, soprattutto dopo che, alla fine della guerra sociale,
tutti gli abitanti inizialmente almeno coloro che abitavano nella penisola
stessa, eccettuata cio la zona padana, che fu annessa allItalia soltanto con
Cesare ed Augusto avevano ricevuto la cittadinanza romana ed erano dunque Romani anche loro a pieno diritto. Ma daltra parte fa sentire quale peso
continua a esercitare il ricordo della situazione anteriore, nella quale lItalia
formava un mosaico di gruppi etnici diversi, ognuno con la sua lingua e la
sua cultura, tra i quali le relazioni erano state fatte pi di tensioni e di guerre che di contatti pacifici e di imprese comuni. Si sentiva ancora che, nella
penisola, cera unEtruria, una Sabina, cerano dei popoli sabellici o liguri,
ciascuno con il suo carattere, che nel passato avevano avuto atteggiamenti
diversi rispetto a Roma basta ricordare che la storia dellUrbe contava tre
guerre sannitiche oppure che la guerra sociale era chiamata bellum Marsicum, dal nome del piccolo popolo appenninico presso il quale era stata fissata la prima capitale degli insorti del 90 a.C., Corfinio.
Il dibattito si svolgeva particolarmente attorno al ruolo dellEtruria. Un
importante libro di D. Musti, apparso nel 1970 (Tendenze nella storiografia
romana e greca su Roma arcaica. Studi su Livio e Dionigi dAlicarnasso), dimostr lesistenza, nella letteratura storiografica, di due filoni diversi rispetto
allapprezzamento dellapporto del mondo etrusco a Roma, uno pi favorevole, rappresentato da Tito Livio, e uno assai critico, il cui migliore testimone il contemporaneo greco dello storico patavino, Dionigi dAlicarnasso.
Giudizi opposti sugli Etruschi non si riscontrano soltanto negli storici: Mar-

D. Musti, Tendenze nella storiografia romana e greca su Roma arcaica. Studi su Livio e Dionigi
dAlicarnasso, Roma 1970.

116

Dominique Briquel

ta Sordi, con un gruppo di suoi alllievi, allarg linchiesta ai poeti dellet


augustea. Anche loro mostrano atteggiamenti diversi rispetto agli Etruschi.
Forse lesempio migliore che se ne pu dare il rovesciamento che, nellEneide, Virgilio fa subire agli Etruschi. Nella forma primitiva della tradizione, erano i nemici di Enea e dei suoi Troiani, sotto la guida del re di Caere
Mezenzio, mentre il figlio della dea Venere trovava lappoggio dei Latini. In
Virgilio invece i Latini sostengono Turno contro leroe troiano, contro il parere del vecchio re Latino che aveva preferito Enea a Turno come sposo di
sua figlia, ma si rivelava incapace di assicurargli lappoggio dei suoi soggetti.
Al contrario, gli Etruschi sono alleati delleroe troiano: essi si sono liberati
dalloppressione di Mezenzio, presentato come un tiranno crudele, giustamente cacciato dai suoi connazionali, in un movimento che ricorda il modo
nel quale i Romani stessi avevano espulso il loro ultimo re, Tarquinio il Superbo. Insomma, gli Etruschi vengono assimilati ai Romani e al contrario i
Latini vengono staccati dai loro antenati troiani.
Siamo dunque di fronte ad un gioco di concorrenza tra i popoli della penisola, nel quale ciascuno cerca a mettere in rilievo il particolare debito di
Roma verso di s e a presentare in un modo poco favorevole gli altri. Cos si
spiega che certi temi ritornano con maggiore o minore credibilit per diversi componenti dellItalia. Nella geografia dellItalia che si legge nel libro III
di Plinio il Vecchio, quando il naturalista arriva alla descrizione della quarta
regione augustea, che comprende il Sannio e gli altri popoli italici della zona
appenninica, avverte che tratta delle fortissimae gentes Italiae in accordo
con la solita immagine di questi Italici, che si sono rivelati nella storia pericolosi nemici di Roma, secondo una rappresentazione che stata studiata
di recente da E. Dench. Ma Virgilio, nato in una citt orgogliosa del suo
glorioso passato etrusco al quale doveva probabilmente il suo cognomen di
Maro e protetto dal toscano Mecenate, la cui stirpe risaliva ai re di Arezzo, attribuiva lepiteto fortis allEtruria, divenuta la fortis Etruria nelle Georgiche, bench la sua immagine sia abitualmente quella di un popolo dedito

M. Sordi e al., Lintegrazione dellItalia nello stato romano attraverso la poesia e la cultura protoaugustea, Contributi dellIstituto di Storia Antica 1 (1972), pp. 146-175.
Cfr. le nostre osservazioni in Le personnage de Mzence: rudition et posie, Ovide entre Verrius
Flaccus et Virgile, REA 100 (1998), pp. 401-416.
Plin. nat. III 106: sequitur quarta regio quarta gentium uel fortissimarum Italiae; E. Dench, From
Barbarians to New Men: Greek, Roman, and Modern Perceptions of Peoples from the Central Apennines,
Oxford 1995.
Sullatteggiamento di Virgilio rispetto agli Etruschi, L. Gordon, The family of Vergil, JRS 24
(1934), pp. 1-12; R. Enking, Vergilius Maro, uates Etruscus, MDAI(R) 66 (1959), pp. 65-96; G. Colonna, Virgilio, Cortona e la leggenda di Dardano, ArchClass 32 (1980), pp. 1-15.
 Verg. georg. II 533: sic fortis Etruria creuit.

Il ruolo della componente etrusca nella difesa della religione nazionale dei Romani 117

alla tryph e ai piaceri della vita, ben lontano delle dure condizioni del mestiere delle armi. Ma era necessario, per un difensore degli Etruschi come il
uates Etruscus Virgilio, opporsi al solito disprezzo delle qualit militari degli
Etruschi e conferire a loro la virt bellica che appariva congeniale alla parte
italica dellItalia: come fu suggerito da D. Musti e poi ammesso da M. Sordi
e dai suoi allievi, appare che esisteva una specie di alternativa tra il mondo
etrusco e quello italico, e che spesso il filosabinismo che pervade una parte
della letteratura latina era, almeno in parte, una risposta ad un atteggiamento
che insisteva sul debito dei Romani verso gli Etruschi.
Il nostro intervento non riguarder il periodo finale della repubblica o
quello iniziale dellimpero, nel quale la prossimit cronologica dei tempi dellindipendenza rendeva ancora vivace il senso di appartenenza a componenti
diverse e spesso contrastanti dellItalia. Parleremo dellimpero gi avanzato
e del suo periodo finale, dunque di un tempo nel quale lesistenza di ethne
diversi, ciascuno con la sua propria lingua e una cultura autonoma, apparteneva ad un passato superato da tempo. Non si pu dire per esempio che il
riferimento ai vecchi Sabini, che aveva suscitato tanto interesse nellet classica, abbia conservato la pur minima importanza nei tempi successivi. Pi
generalmente limpoverimento di intere zone della penisola, specialmente
nel Sud, fa s che il ricordo del loro lontano passato non esca dalla mera erudizione: che Servio, oppure ancora pi tardi Isidoro da Siviglia ci diano sempre informazioni su quei popoli non significa che essi contino ancora agli
occhi dei loro contemporanei; e se nel II sec. d.C. Frontone segnala con interesse di avere visto documenti scritti degli Ernici ad Anagni, questo non va
al di l della semplice curiosit archeologica10.
Invece, lo stesso non si pu dire nel caso degli Etruschi. Certo non esiste
pi, da tempo, una civilt etrusca autonoma, distinguibile da quella romana. I tratti pi salienti della loro cultura, come usi funerari particolari imSulla tryph attribuita agli Etruschi, J. Heurgon, La vie quotidienne chez les trusques, Paris 1961,
pp. 46-51; W.V. Harris, Rome in Etruria and Umbria, Oxford 1971, pp. 14-23; e da ultimo Y. Libert,
Regards sur la truph trusque, Limoges 2006.
Sul fatto per che limmagine dei Sabini nella letteratura non univoca, D. Musti, I due volti della
Sabina. Sulla rappresentazione dei Sabini in Varrone, Dionigi, Strabone, Plutarco, DArch 3 (1985), pp.
77-86 = Preistoria, storia e civilt dei Sabini, Rieti 1982 (1985), pp. 75-98 = Strabone e la Magna Grecia,
Padova 1988, pp. 235-257.
Sul filosabinismo nella letteratura latina, che va ben al di l dei casi di Catone e Varrone, J. Poucet,
Les origines mythiques des Sabins travers luvre de Caton, de Cn. Gellius, de Varron, dHygin et de
Strabon, in tudes trusco-italiques, Louvain 1963, pp. 155-225; Recherches sur la lgende sabine des origines de Rome, Louvain-Kinshasa 1967; C. Letta, I mores dei Romani e lorigine dei Sabini in Catone, in
Preistoria, storia e civilt dei Sabini, Rieti 1982 (1985), pp. 15-34; LItalia dei mores Romani nelle Origines
di Catone, Athenaeum 72 (1984), pp. 3-30; 416-439.
10Fronto p. 67 (Naber).

118

Dominique Briquel

piego di urne cinerarie caratteristiche, soprattutto nella regione di Chiusi


o di Perugia non si protraggono oltre il I sec. a.C. e il ricorso alla lingua
nazionale sparisce nello stesso periodo liscrizione etrusca pi tarda che
possediamo, un documento bilingue etrusco-latino su unurna in marmo,
proveniente da Arezzo, datata, grazie alla presenza di ceramica aretina
con bollo Ras(ini), agli anni 10-15 d.C., sotto il regno di Tiberio11. Ma si
continua a parlare di Etruschi, a riferirsi a loro, e questo per una ragione
precisa: lantica cultura etrusca ha tuttora una grande importanza in un importante settore della vita, sia ufficiale sia privata, del mondo mediterraneo
ora controllato dai Romani, quello della religione. LEtrusca disciplina continuava a mantenere vivo il riferimento a quellethnos dellItalia dei tempi anteriori alla conquista militare e allunificazione linguistica e culturale
compiuta da Roma diversamente da tanti altri popoli che non rappresentano pi niente nel mondo romano di et imperiale. Viene cos operata
unidentificazione tra gli Etruschi in generale e gli specialisti della scienza
religiosa di tradizione etrusca: era ovvio per tutti che, quando lanonimo
autore cristiano del poemetto contro i pagani, scritto allinizio del IV secolo, criticava un personaggio, dicendo di lui che era sempre lamico degli
Etruschi (v. 50), voleva dire che si fidava degli aruspici etruschi. Infatti
lantica scienza religiosa che si riferiva al fanciullo divino Tagete e alla ninfa
Vegoia conservava una vitalit nel mondo dellimpero romano che non deve essere dimenticata.
Nei tempi della repubblica, il senato si rivolgeva agli aruspici per le necessit religiose della res publica12. In uno stato divenuto monarchico, limperatore aveva a disposizione i suoi aruspici personali, che intervenivano sia
nei casi di prodigi, sia soltanto per permettere al principe di approfittare
della capacit divinatoria degli specialisti dellEtrusca disciplina, in particolare attraverso losservazione del fegato delle vittime sacrificiali13. Esisteva
anche unaruspicina ufficiale a livello municipale: lesistenza di corpi locali
di aruspici, come quello, in et repubblicana, della citt di Urso, conosciuto dal testo della lex epigrafica del 44 a.C., trovata in questa colonia della
Spagna, attestata, sotto limpero, da iscrizioni in molte citt del mondo ro11 CIE 378 = H. Rix e al., Etruskische Texte, Tbingen 1991, Ar 1.18; E. Benelli, Le iscrizioni bilingui etrusco-latine, Firenze 1994, n 2. Possiamo anche ricordare unaltra iscrizione bilingue di poco
anteriore, un epitafio dellipogeo dei Volumnii a Perugia, dellultimo decennio del I sec. a.C.: CIE 3763
= Etruskische Texte, Pe 1.313; Le iscrizioni bilingui etrusco-latine, n 7.
12Sugli aruspici nel periodo della repubblica, lo studio fondamentale quello di B. Mac Bain, Prodigy and Expiation. Religion and Politics in Republican Rome, Bruxelles 1982.
13Sullaruspicina nel mondo romano sono apparse di recente le sintesi di I. Ramelli, Cultura e religione etrusca nel mondo romano. La cultura etrusca dalla fine dellindipendenza, Alessandria 2003; M.-L.
Haack, Les haruspices dans le monde romain, Bordeaux 2003.

Il ruolo della componente etrusca nella difesa della religione nazionale dei Romani 119

mano, in Gallia, Belgio, Germania, Norico, Mesia, Dacia. Altro aspetto dellaruspicina ufficiale, in quellet imperiale, le legioni sembrano avere avuto
i loro specialisti della disciplina: appaiono in documenti dellet severiana.
Accanto agli specialisti legati alle strutture ufficiali, laruspicina privata, gi
fiorente nei tempi precedenti come testimonia la letteratura, da Plauto e
Catone in poi , sera diffusa in tutte le parti dellimpero romano almeno
nella sua met occidentale di lingua latina, quella orientale di lingua greca
avendo altre tradizioni mantiche: il recente studio prosopografico di M.-L.
Haack enumera pi di un centinaio di iscrizioni di aruspici, per lo pi di
carattere privato, provenienti da quasi tutte le provincie14. Lungi dallavere
provocato un deperimento dellantica scienza religiosa degli Etruschi, il periodo imperiale, con lestensione che aveva dato al dominio di Roma, le aveva concesso unestensione che era impensabile nei tempi dellindipendenza
etrusca.
La situazione non cambia nel tardo impero15. Ancora nel IV secolo, un
imperatore rimasto fedele alla religione ancestrale come Giuliano continuava
ad avere i suoi specialisti dellEtrusca disciplina. Quando part per la sua spedizione contro la Persia, era accompagnato da aruspici16, che mantengono la
tradizione degli haruspices imperatoris dei secoli precedenti, come il famoso
Vmbricius Melior, che aveva predetto, quando era aruspice di Galba, il prossimo accesso al trono di Ottone17. Pi tardi ancora, il praefectus Vrbis Gabinius Barbarus Pompeianus, al quale era stata affidata la difesa di Roma contro la minaccia dei Goti di Alarico durante la loro prima offensiva nel 408,
voleva ricorrere allarte degli aruspici per scatenare contro i barbari i fulmini
celesti18. Ma lEtrusca disciplina e i suoi maestri non riguardavano soltanto
gli affari dello stato: continuavano, nella tarda antichit come in precedenza,
a rispondere alle domande dei privati. Agostino racconta nelle sue Confessioni che, quando insegnava la retorica a Cartagine, tra il 374 e il 383, si era
rivolto verso un aruspice affinch gli assicurasse la vittoria in un concorso di
poesia drammatica19.
Limportanza dellaspetto religioso nella percezione dellidentit degli
Etruschi, cio, dietro di essa, limportanza della scienza religiosa di tradizione etrusca nella societ, un fenomeno che si lascia percepire gi nellet
classica, nel I sec. a.C. Rispetto alle vecchie rappresentazioni degli Etruschi,
14M.-L.

Haack, Prosopographie des haruspices romains, Pisa-Roma 2006.


in S. Montero, Politica y adivinacion en el Bajo Imperio Romano. Emperadores y haruspices
(193 D.C.-403 D.C.), Bruxelles 1991.
16Amm. XXIII 5,10-14.
17Tac. hist. I 27,1; Plut. Galba 24; Suet. Galba 14 (senza il nome dellaruspice).
18Zos. V 41,1-3.
19Aug. conf. IV 2,3.
15Dati

120

Dominique Briquel

legate ad una loro percezione negativa, sia quella del pirata crudele20, sia
quella, un po contraddittoria, che insisteva sulla tryph etrusca e ne faceva
un popolo incapace di qualunque attivit virile, emerge limmagine, secondo
la nota formula di Livio, di una gente ante alias magis dedita religionibus,
cio pi di tutte le altre addetta alle pratiche religiose21. Una spiegazione
adeguata alla designazione etnica degli Etruschi in latino, Tusci, giustificava
tale religiosit: la parola Tusci sarebbe collegata al verbo greco thuein, sacrificare, e, secondo la forma che Varrone deve avere dato a questa pseudo-etimologia (e che appariva anche in Verrio Flacco), risulterebbe dallalterazione
di thuoskoos, che designa il prete addetto ai sacrifici22. Siamo cos rientrati nello stesso orizzonte cronologico di Livio, cio alla fine della repubblica e agli inizi dellimpero: questa nuova percezione del carattere dellethnos
etrusco corrisponde infatti al posto particolare che lEtruria, grazie al ruolo
degli aruspici, integrati nella religione romana, e specialmente in quella statale, conservano in unItalia unificata e riorganizzata da Roma. Che questa
religiosit etrusca sia da intendere rispetto a Roma e ai bisogni religiosi dei
Romani, appare in pieno da una altra pseudo-etimologia: quella che collegava il nome latino delle cerimonie, caerimoniae, con quello della citt etrusca
di Caere, dalla quale i Romani avrebbero appreso i riti che adoperavano nei
loro sacra23. Anche qui, la spiegazione risale ad autori del I secolo a.C.: ci
nota da Valerio Massimo e da Paolo, cio, tramite Festo, da Verrio Flacco. I
Romani di quel tempo conoscevano il debito dei loro connazionali rispetto
agli Etruschi in materia di religione, anzi erano a volte propensi ad esagerarlo in un modo quasi assurdo: ovviamente non tutti i riti dei Romani erano di
origine etrusca e non perci possibile dire che tutte le cerimonie fossero da
riportare ai loro vicini settentrionali. Ma tale esagerazione dimostra, una volta di pi, limportanza della scienza sacra degli Etruschi: i riti erano descritti
nei rituales libri, una delle tre categorie di libri sacri nei quali era tramandata

20 La rappresentazione dellEtrusco come pirata crudele, legata alle imprese, considerate come
piratesche da parte dei Greci, dei marinai etruschi in et arcaica, culminava nel ricordo del supplizio
cui essi sottoponevano i loro prigioneri, legando un uomo vivo ad un cadavere (dati in M. Gras,
Trafics tyrrhniens archaques, Roma 1985, pp. 446-449). interessante vedere che, nellEneide (VIII
478-488), Virgilio attribuisce quel supplizio al tiranno Mezenzio, liberando cos gli altri Etruschi dellaccusa.
21Liv. V 1,7.
22La dottrina varroniana si pu ricostruire attraverso Dion. Hal. I 30,3; Verrio Flacco, Fest. p. 487
(Lindsay) (e Paul. Fest. p. 486 Lindsay); altre forme della spiegazione in Serv. (e Serv. auct.) Aen. II 781;
VIII 479; X 164; Isid. orig. IX 2,86; XIV 4,20.22. Abbiamo studiato la questione in Une explication du
nom des trusques chez Isidore de Sville: aperus sur le dveloppement de la divination trusque date
tardive, Gerion 9 (1991), pp. 289-298.
23Paul. Fest. p. 38 (Lindsay); Val. Max. I 1,10.

Il ruolo della componente etrusca nella difesa della religione nazionale dei Romani 121

lEtrusca disciplina24. Laffermazione ci mostra, una volta di pi, limportanza


della dottrina sacra degli Etruschi per i Romani ed era certo giustificata in
certi casi, come quello emblematico dei riti di fondazione delle citt, per i
quali era comunamente ammesso che lo stesso fondatore di Roma, Romolo,
avesse fatto venire degli specialisti dallEtruria25.
Per, la capacit che i Romani riconoscevano ai loro vicini etruschi si esprimeva nellimportanza dellaruspicina nella loro vita privata e pubblica e aveva
indotto il senato, eccezionalmente, ad organizzare un corpo specializzato composto di non-Romani, lordo dei sessanta aruspici, ordo sexaginta haruspicum,
per mettere a disposizione dello stato romano le luci dellEtrusca disciplina26.
Tale decisione deve essere stata presa poco tempo dopo la definitiva sottomissione della regione, che possiamo fissare alla presa di Volsini nel 264.
E poich essa riguardava un tema cos delicato come la relazione della citt
e delle sue divinit con degli stranieri (degli stranieri contro cui, per secoli,
i Romani avevano sostenuto numerosissime guerre, a volte marcate da episodi terribili come il sacrificio umano compiuto dai Tarquiniesi sul foro della loro citt nel 358 a.C., di cui erano stati vittime 307 prigioneri romani27)
non era una cosa che i Romani potessero accettare facilmente. Si capisce che
laffidamento ad aruspici etruschi di una questione tanto grave per la citt
suscit reazioni ostili. Ne abbiamo la prova in storie che sicuramente risalgono a questepoca, nelle quali gli aruspici etruschi, consultati per prodigi che
riguardavano la loro res publica, cercavano perfidamente di ingannare i Romani28. Si raccontava che, quando fu trovata sul Campidoglio la testa umana
che doveva dare al colle il suo nome, secondo laccostamento pseudo-etimologico caput/Capitolium, laruspice etrusco consultato dai Romani sul significato di tale segno, lungi dallo spiegare le cose come stavano, cio che esso

24Per lEtrusca disciplina e i suoi libri sacri, dobbligo il rimando a C.O. Thulin, Die etruskische
Disciplin, Gteborg 1906-1909. La tripartizione dei libri sacri esposta da Cic. diu. I 72.
25Plut. Rom. 11,1. Dionigi di Alicarnasso (I 88), coerentemente con il suo atteggiamento verso gli
Etruschi, non accenna allorigine toscana del rito. Essa non appare neanche nella breve presentazione di
Livio, che non parla del pomerio prima dellepoca di Servio Tullio (I 44,4).
26Sulla questione dellorganizzazione dellordo sexaginta haruspicum, seguiamo la tesi che ne colloca
linizio poco dopo la conquista (M. Torelli, Elogia Tarquiniensia, Firenze 1975, pp. 119-129; Mac Bain,
Prodigy, pp. 49-50; Ramelli, Cultura, p. 51). Al contrario, M. Rawson, Caesar, Etruria and the
disciplina Etrusca, JRS 68 (1978), pp. 132-152, part. pp. 146-147; Haack, Les haruspices, pp. 85-92,
preferiscono pensare ad una creazione sotto Augusto, senza rapporto con i testi di Cicerone (diu. I 92) e
di Valerio Massimo (I 1,1).
27 Su questo episodio, cfr. le nostre osservazioni in Sur un pisode sanglant des relations entre Rome et
les cits trusques : les massacres de prisonniers au cours de la guerre de 358/351, in La Rome des premiers
sicles, lgende et histoire. Table ronde en lhonneur de M. Pallottino (Paris 1990) (Biblioteca di Studi
Etruschi. 24), Firenze 1992, pp. 37-46.
28Su questi racconti, Mac Bain, Prodigy, pp. 53-56.

122

Dominique Briquel

annunziava che Roma sarebbe divenuta caput mundi, aveva tentato di attribuire alla propria patria il senso favorevole del prodigio29. Altra storiella del
genere: dopo la caduta di un fulmine sulla statua di Orazio Coclite che stava
sul Comizio, gli specialisti etruschi, competenti in materia di fulmini, avevavo raccomandato ai Romani di fare il contrario di quel che era da fare dopo
una tale manifestazione della divinit, e di porre la statua in posizione bassa
anzich in posizione alta30. In questo secondo caso, la fonte viene indicata da
Gellio, che ci ha tramandato il racconto: si tratta degli annali dei pontefici,
dunque della pi antica forma di storia che esisteva a Roma. chiaro che
questi aneddoti risalgono ad unet vicina alla conquista, risentono ancora
del ricordo di una situazione nella quale gli Etruschi erano nemici dei Romani e vogliono sottolineare il rischio che la res publica Romana correva, ad
appoggiarsi su un personale cos sospetto. Ma, nello stesso tempo, dimostrano che Roma non poteva fare niente altro che chiedere aiuto, in materia di
prodigi, agli specialisti etruschi: non possedeva, nelle sue proprie tradizioni
religiose, nessun corpo sacerdotale che fosse in grado, davanti ad unimprovvisa manifestazione del divino, di spiegare quale ne fosse il senso e di indicare le adeguate misure da prendere. Testimoniano anche loro dellimportanza
cruciale della scienza religiosa degli Etruschi per Roma.
Cos, nel tempo della repubblica, gli aruspici potevano ancora essere considerati sospetti, capaci di voler mettere le loro capacit al servizio dei nemici di Roma. Nel periodo imperiale, non esiste pi nessun timore del genere.
Anzi, non viene pi sentita una reale differenza tra ci che di origine etrusca e ci che genuinamente romano. Siamo da tempo in unItalia unificata,
sia politicamente, sia linguisticamente, sia culturalmente, e lapporto religioso etrusco fa parte del patrimonio comune di tutti gli Italici. significativo
che, nel discorso che limperatore Claudio pronunci nel 47 davanti al senato in favore di una riorganizzazione del vecchio ordine dei sessanta aruspici
per dargli una nuova vitalit31, egli accennava alla loro scienza sacra come
la pi vecchia scienza dItalia, uetustissima Italiae disciplina: non appare
29Dion. Hal. IV 59-61; Plin. nat. VIII 161; Sol. 45,15; Serv. Aen. VII 345; Zon. VII 11,38. Invece,
il filoetrusco Livio non racconta lappendice della storia, con la scoperta della testa umana sulla collina
(I 55,5-6).
30Gell. IV 5,1-6, riferendosi a Verrio Flacco, res memoria dignae, e agli annali dei pontefici (fr. 4
Peter, 7 Chassignet).
31Tac. ann. XI 15,1-3: rettulit deinde ad senatum super collegio haruspicum, ne uetustissima Italiae
disciplina per desidiam exolesceret: saepe aduersis rei publicae temporibus accitos, quorum monitu redintegratas caerimonias et in posterum rectius habitas; primoresque Etruriae sponte aut patrum Romanorum
impulsu retinuisse scientiam et in familias propagasse: quod nunc segnius fieri publica circa bonas artes
socordia, et quia externae superstitiones ualescant. Et laeta quidem in praesens omnia, sed benignitati deum
gratiam referendam, ne ritus sacrorum inter ambigua culti per prospera obliterarentur. Factum ex eo senatus
consultum, viderent pontifices quae retinenda firmandaque haruspicum.

Il ruolo della componente etrusca nella difesa della religione nazionale dei Romani 123

pi come una dottrina etrusca, lEtrusca disciplina in senso stretto, bens


divenuta un bene comune di tutti gli abitanti della penisola. In tale prospettiva, non c la pur minima ostilit verso letruscit: al contrario, ora integrato nella religione nazionale dei Romani, lapporto etrusco ne appare come
la gemma pi bella. Via via che si allontana il ricordo delle lotte del passato,
il senso della particolarit degli Etruschi, della diversit della loro civilt rispetto a quella romana svanisce.
Ne abbiamo una chiara prova in un settore differente da quello della religione, quello linguistico. Riscontriamo, nella letteratura tarda, affermazioni sulla lingua etrusca che appaiono assurde. Si dice che parole chiaramente
latine, come il nome della capra, capra, o quello della dea, dea, siano etrusche32, oppure, per spiegare parole che possono, almeno, avere unorigine
etrusca (come cassis, che disegna lelmo, il nome del maestro dei gladiatori,
lanista, oppure il nome delle Camene, le Muse latine), si ricorre a spiegazioni
che si riferiscono a parole puramente latine, come il nome latino della testa,
caput, nel primo caso, il verbo laniare, che significa lacerare, nel secondo,
il verbo canere, cantare, nel terzo33. Si vede che a quellepoca, gli autori non percepiscono pi la differenza tra il latino e letrusco, e si possono
dunque attribuire alletrusco parole che non hanno niente a che vedere con
questa lingua, oppure in altri casi, si possono mescolare ambedue le lingue
per creare etimologie del tutto artificiose. Tale procedimento risponde ad
una concezione che viene esposta da Isidoro, per la quale letrusco non
un idioma diverso dal latino, ma una fase dello sviluppo della lingua latina,
corrisponde ad uno stadio antico, quello della cosidetta lingua Latina, che
fu parlata nel periodo regale dagli abitanti del Lazio di allora, definiti come
Etruschi e altri (Tusci et ceteri in Latio)34. Insomma, il concetto di etrusco rimandava ad un orizzonte cronologico antico, ma non sentito come diverso di ci che era latino o romano.
32Cfr.

le glosse TLE 820 e 828, da Esichio.


rispettivamente Isid. orig. XVIII 14,1 (= TLE 822): cassidam autem a Tuscis nominatam. Illi
enim galeam cassim nominant, credo a capite; X 159 (= TLE 841): lanista gladiator, id est carnifex, Tusca
lingua appellatus, a laniando scilicet corpora; Macr. somn. II 3,4 (non segnalato nei TLE): Musas esse mundi cantum etiam Etrusci sciunt, qui eas Camenas quasi canenas a canendo dixerunt.
34 Isid. orig. IX 1,6-7: Latinas autem linguas quattuor esse quidam dixerunt, id est Priscam, Latinam,
Romanam, Mixtam. Prisca est quam uetustissimi Italiae sub Iano et Saturno sunt usi, incondita, ut se habent
carmina Saliorum. Latina, qua sub Latino et regibus Tusci et ceteri in Latio sunt locuti, ex qua fuerunt duodecim tabulae scriptae. Romana, quae post reges exactos a populo Romano coepta est, qua Naeuius, Plautius,
Ennius, Vergilius poetae et ex oratoribus et Cato et Cicero uel ceteri effuderunt. Mixta, quae post imperium
latius promotum simul cum moribus et hominibus in Romanam ciuitatem inrupit, integritatem uerbi per
soloecismos et barbarismos corrumpens. Su questa dottrina, e le etimologie per noi assurde che ne sono la
consequenza, cfr. i nostri articoli Les emprunts du latin ltrusque: lapproche de la question chez les auteurs anciens, SE 63 (1997 [1999]), pp. 291-313; Capus Itala lingua dicitur a capiendo, Studia Minora
Facultatis Philosophicae Universitatis Brunensis, 6-7 (2001-2002), pp. 51-62.
33Cfr.

124

Dominique Briquel

Per i dati religiosi, siamo di fronte ad una situazione paragonabile. Il personaggio al quale venivano attribuite le maggiori istituzioni romane nel campo della religione, il pio secondo re di Roma Numa Pompilio, presentato
nel Carmen aduerus paganos, degli inizi del IV sec. come il primo aruspice35. dunque considerato come il fondatore non soltanto della religione
nazionale dei Romani, ma anche di una pratica cos legata allEtruria, e originariamente sentita come estranea alla tradizione romana, come laruspicina. Non si pu meglio mostrare che, ora, lapporto della scienza religiosa
degli Etruschi integrato nel paganesimo romano, ne fa parte come i tratti
di ascendenza veramente locale. Nello stesso tempo, il fatto che il riferimento agli Etruschi rimandi a tempi antichi fa s che letruscit, o quel che ne
sussiste attraverso la disciplina sacra trasmessa da quel popolo, mescolata
con le pi antiche tradizioni religiose del Lazio. Lo vediamo se prendiamo in
esame le carriere degli aruspici che lepigrafia ci fa conoscere: molti di essi
rivestono cariche religiose che rimandono ai pi antichi culti latini, quelli legati alle vecchie metropoli religiose del Lazio, Alba e Lavinio. Nel III-II sec.,
laruspice imperiale L. Fonteius Flavianus fu dittatore albano, ebbe dunque
il compito di presiedere alle feste dellantica lega latina che continuavano ad
essere celebrate in onore di Jupiter Latiaris sul sito della citt distrutta da
Tullo Ostilio (CIL VI 2161); un altro aruspice dello stesso orizzonte cronologico, Cn. Domatus Priscus, fu pontefice albano (VI 2168), mentre un C.
Nonius ebbe il titolo, meno noto, di sacerdos Cabensis montis Albani, la cui
funzione era di rappresentare la citt di Cabum, sparita da tempo, nelle festivit del monte Albano (VI 2175). La stessa presenza di aruspici si nota per
laltra metropoli dei Latini, Lavinio: lanomino delliscrizione CIL VI 2163,
nel II sec., e L. Vibius Fortunatus, nel III sec., di X 4721, ambedue aruspici
dellimperatore, ebbero il titolo di Laurens Lauinas, cio furono onorati dalla
cittadinanza della vecchia citt, ormai sparita, per compiere i riti che in essa
si svolgevano ancora36. La scelta di specialisti dellEtrusca disciplina per tali
cariche non sembra casuale: essi apparivano legati, come diceva limperatore
Claudio, ad una tradizione religiosa molto antica e dovevano dunque sembrare pi adeguati per mantenere questi vecchi riti latini anche se avevano
perso ogni importanza pratica e, diversamente dallapporto religioso di tradizione etrusca, si riducevano ora a ricordi antiquari, senza incidenza sulle
forme di religiosit vissute dai Romani di quel tempo37.
35Cfr.

Carm. c. pag. 35: e multis primus aruspex.


ora rispettivamente Haack, Prosopographie, nn. 43 (pp. 67-68), 64 (pp. 88-90), 117 (p.
143), 100 (pp. 125-127).
37Sui sacerdozi legati a Alba, M.G. Granino Cecere, Sacerdotes Cabenses e sacerdotes Albani. La
documentazione epigrafica, in Alba Longa, mito, storia, archeologia. Atti dellincontro di studio (Roma 36Cfr.

Il ruolo della componente etrusca nella difesa della religione nazionale dei Romani 125

Infatti, rispetto allaspetto linguistico, siamo, con la religione, di fronte ad


una situazione opposta. Mentre la lingua etrusca era sparita e non si conservava pi un ricordo esatto della sua natura e della sua posizione rispetto al
latino, gli aspetti religiosi di eredit etrusca godevano, nel mondo romano
imperiale, di una presenza e di una importanza nelle pratiche pubbliche e
private che gli antichi culti di tradizione latina avevano perso da tempo. Si
arrivava dunque alla strana conseguenza che il ricordo delle forme pi venerabili della tradizione religiosa propriamente latina era legato ai rappresentanti della tradizione etrusca, che pure rimandava ad una origine diversa,
non latina, ma che rimaneva viva e sembrava ancorata in un passato ormai
sentito come panitalico, pienamente integrato nella religione romana. Insomma, lEtrusca disciplina faceva ora parte del mos maiorum dei Romani.
Questo spiega che, se il mos maiorum dei Romani sembrava messo in pericolo in ambito religioso, essa poteva apparire come il migliore baluardo
contro le novit che lo minacciavano. Ora, durante il periodo imperiale la
religione romana tradizionale poteva a buon diritto sembrare minacciata dallo sviluppo di nuove forme di religiosit, che potevano apparire pi adatte
alle attese spirituali degli uomini di quel tempo, specialmente dalle cosidette religioni orientali, tra le quali, naturalmente, cera la religione nata in
Giudea, inizialmente allinterno del giudaismo, dallinsegnamento di Ges.
Si era dunque creata una situazione di concorrenza religiosa e di messa in
crisi della vecchia religione nazionale, nella quale la componente etrusca di
essa fu chiamata alla riscossa. significativo che, quando Claudio tent di
dare una nuova vitalit allordo degli aruspici, uno dei suoi scopi era quello di lottare contro le externae supersititiones, le superstizioni straniere38. A
quellepoca, si trattava probabilmente soprattutto dellinfluenza dei magi e
degli astrologi, contro i quali Tiberio aveva preso severe misure nel 1939. Anche linfluenza della religione giudaica da prendere in considerazione: lo
stesso Tiberio, poco tempo dopo, allontan i Giudei dalla capitale e ne esili
quattromila in Sardegna, con lintento non dissimulato di farli cos morire40.

Albano Laziale 1994), ed. A. Pasqualini, Roma 1996, pp. 275-316; sui Laurentes Lauinates, C. Saulnier,
Laurens Lauinas. Quelques remarques propos dun sacredoce questre Rome, Latomus, 43 (1984),
pp. 517-533; Y. Thomas, Linstitution de lorigine. Sacra principiorum populi Romani, in Tracs de fondation, ed. M. Dtienne, Louvain - Paris 1990, pp. 143-170. Abbiamo studiato questo aspetto dellaruspicina di et imperiale nel nostro libro Chrtiens et haruspices. La religion trusque, dernier rempart du
paganisme romain, Paris 1997, pp. 104-107.
38Tac. ann. XI 15,1.
39Tac. ann. XI 32,3; Suet. Tib. 36.
40Tac. ann. XI 85,4 (parlando anche di seguaci di dottrine egiziane); Suet. Tib. 36; Flav. Jos., ant. Iud.
XVIII 81; Cass. Dio LVII 18,5a (cfr. Sen. epist. 108,22).

126

Dominique Briquel

Ma non da escludere, secondo la proposta di M. Sordi41, che linizio della


diffusione della fede cristiana, con i disturbi che provoc allinterno delle comunit giudaiche, abbia avuto qualche ruolo nella decisione dellimperatore.
Almeno per lanaloga misura di espulsione dei Giudei, decisa da Claudio nel
49, la dimensione anticristiana appare chiara, se lecito pensare come
molto probabile che il celebre passo di Svetonio relativo allagitazione dovuta ad un certo Cresto sia da riferire a questanno42.
Nel periodo successivo, quando le persecuzioni contro i cristiani si svilupparono apertamente43, la difesa della religione tradizionale si appoggi
chiaramente sui rappresentanti della sua componente etrusca. Nella pi
grave crisi che la nuova religione sub, quella della grande persecuzione di
Diocleziano, dal 303 in poi, gli aruspici sono in prima linea. La decisione di
perseguitare i cristiani nasce dallepisodio delle viscere mute, muta exta:
durante un sacrificio offerto dallimperatore, il capo degli aruspici imperiali
avvert che gli dei rifiutavano di mandare segni agli uomini, come era atteso. Questa gravissima situazione, che rischiava di provocare i peggiori danni
per limpero, era dovuta, secondo gli aruspici, alla presenza, non gradita alla divinit, di cristiani: questo incidente indusse limperatore ad iniziare una
politica di persecuzione aperta, che non aveva intrapreso nei primi anni del
suo regno44. Grazie alla loro posizione nella religione ufficiale dello stato, e
accanto alla persona del principe, gli specialisti della scienza religiosa etrusca furono dunque direttamente coinvolti nelloffensiva contro il cristianesimo. Questo viene confermato, poco dopo lincidente dei muta exta, quando
limperatore, dopo avere consultato le pi alte autorit dellimpero, civili e
militari, che erano favorevoli alla persecuzione, si rivolse agli dei, per sapere
se confermavano la decisione presa dagli uomini. Perci invi un aruspice a
Didimi, per avere lassenso di Apollo: significativo che colui che intraprese
questa missione fu, anche qui, un aruspice45. Appare dunque che gli specialisti dellEtrusca disciplina ebbero un ruolo diretto nella politica anticristiana, il che era reso possibile dalla particolare posizione di alcuni di essi nella
religione statale. Ma questo era il segno di unostilit generale degli aruspici
contro la nuova religione: ne abbiamo la conferma negli scritti degli autori
cristiani, che non nascondono il loro odio nei confronti degli aruspici46.
Limportanza che lEtrusca disciplina ebbe nella resistenza della vecchia
41M.

Sordi, I cristiani e limpero romano, Milano 1983, pp. 29-37.


hist. VII 6,15-16 (da Flavio Giuseppe); cfr. Atti degli apostoli 18,2; Suet. Claud. 25,4.
43Sulle persecuzioni, da ultimo, M.-F. Baslez, Les perscutions dans lAntiquit. Victimes, hros,
martyrs, Paris 2007, pp. 169-397, per il caso dei cristiani.
44Lact. inst. IV 27-32; mort. pers. 10,4; cfr. Briquel, Chrtiens, pp. 54-58.
45Lact. mort. pers. 11,8; Euseb. Caes. Const. II 49-51; cfr. Briquel, Chrtiens..., pp. 58-64.
46Dati in Briquel, Chrtiens..., pp. 75-94.
42Oros.

Il ruolo della componente etrusca nella difesa della religione nazionale dei Romani 127

religione romana contro le novit religiose, e specialmente contro lespansione del cristianesimo, non si limita per allo sfruttamento della posizione privilegiata della quale godeva nelle strutture della res publica, che fece s che i
suoi rappresentanti avessero un ruolo diretto nella persecuzione. Intellettualmente, lantica tradizione etrusca offriva aspetti che, meglio delle altre componenti della religione nazionale, potevano rispondere alle attese spirituali
dei contemporanei. Tra quelli, cera gi il fatto di essere, in gran parte, una
scienza divinatoria ed era proprio per questo (e insieme per i suoi aspetti
rituali) che era stata accolta a Roma. Certo, il desiderio di sapere quale sar il
futuro esiste in ogni tempo, in ogni parte del mondo. Ma ha avuto una particolare forza nel mondo dellimpero romano. Siamo, per riprendere la famosa espressione del Dodds, in quellet di angoscia47, che spingeva gli uomini
a domandarsi con timore quale fosse il destino che li aspettava. Ma siamo
anche, per riprendere questa volta una espressione del Padre Festugire, in
unet di declino del razionalismo e di ritorno al religioso48: linterrogazione
verso il futuro viene espressa in termini di attesa di un destino comandato
dalla divinit, dunque riguarda la religione. Il pagano Celso, nel suo libro
contro i cristiani, poteva chiedere: Esiste qualcosa che sia pi divino della
previsione e della predizione del futuro?49. Era un compito essenziale della
religione, come era concepita in quel tempo. Ed significativo che gli autori
cristiani, quando attaccano gli aruspici e gli altri indovini che esistevano nel
quadro delle pratiche pagane, non negano la validit delle loro indicazioni
sul futuro. Lo scetticismo, che dimostrava verso di esse un accademico come
Cicerone nel suo trattato De diuinatione, ha lasciato pochissime tracce nei
loro scritti50. chiaro che non mettono in dubbio lesattezza delle predizioni
degli aruspici. Anzi, la presentano come un mezzo inventato dai demoni per
ingannare gli umani, e si sforzano di spiegare come le loro predizioni possono essere giuste, senza con questo intaccare la loro concezione di un Dio
solo maestro del futuro51: non si pu meglio riconoscere limportanza attribuita a questo aspetto dellaruspicina.
47E.R. Dodds, Pagan and Christians in an Age of Anxiety. Some Aspects of Religious Experience from
Marcus Aurelius to Constantine, Cambridge 1965.
48Ci riferiamo al titolo che P. Festugire diede al primo capitolo del suo libro La rvlation dHerms
Trismgiste, I, Paris 1940, pp. 1-18.
49Passo citato da Orig. Cels. 4,88.
50Sullatteggiamento degli autori cristiani verso la divinazione pagana, Briquel, Chrtiens, pp.
79-82.
51Per esempio, Tertulliano (apol. 22,9-10) spiegava che la velocit dei demoni permetteva loro di osservare eventi che si svolgevano a grandissime distanze e di riferirli a coloro che li interrogavano tramite
gli oracoli; oppure, avendo la loro dimora nel cielo, essi erano vicini ai fenomeni atmosferici e potevano
annunziarli agli uomini; oppure essi avevano ascoltato, quando erano ancora angeli nel cielo, Dio dare
indicazioni sul futuro, e le presentavano come frutto della loro proprio capacit divinatoria.

128

Dominique Briquel

Ma questo aspetto ebbe certamente una minore importanza, nei confronti


del cristianesimo, di un altro aspetto della vecchia religione etrusca, che ha
chiaramente giocato un ruolo nella lotta contro la nuova religione. Un punto
centrale del cristianesimo, che si riferiva ad un salvatore morto e risorto, era
di proporre allattesa delluomo una prospettiva di vita dopo la morte, fatta
di felicit e di consolazione delle pene sofferte nella vita terrena. Rispondeva cos certo meglio allattesa degli uomini della vecchia religione nazionale,
che poteva offrire soltanto nozioni vaghe, come quelle di lemuri o di mani, e
un mondo dellaldil che si riduceva al nome dellOrco, sul quale non si sapeva nulla. Ma, diversamente dei Romani, gli Etruschi avevano idee precise
sullaldil, che erano esposte in una particolare categoria dei loro libri sacri,
i libri dellAcheronte52. LEtrusca disciplina aveva infatti sviluppato tutta una
teoria sulle prospettive di vita dopo la morte concessa agli uomini: potevano
divenire dei, grazie a una particolare categoria di sacrifizi, che erano capaci
di trasformarli in dei animales, cio in dei formati da unanima53. Tale dottrina, che permetteva di sperare una felicit eterna compiuta da semplici mezzi
rituali, pu sembrarci meccanica, se non puerile: ebbe per un certo successo nel periodo finale dellimpero, come mostrano le non poche allusioni che
ne fanno autori sia cristiani, sia pagani. Essa sembra essere stata, in quel tempo, una delle teorie che la religione pagana poteva proporre come alternativa
alla nuova fede cristiana: il cristiano Arnobio e il pagano Marziano Capella la
citano insieme con la dottrina dei magi e Agostino, nella sua Citt di Dio, la
mette sullo stesso piano del mito di Er raccontato da Platone54. Sembra sia
stata utilizzata, nel III sec., da un difensore del paganesimo, Cornelio Labeone, che, diversamente di altri fra gli ultimi pagani, le cui dottrine risalivano
piuttosto ad una matrice greca come Celso o Porfirio 55, si fondava sulla
religione tradizionale di Roma e perci dava una particolare importanza alla
tradizione etrusca56. Labeone aveva scritto un trattato in quindici libri sulla
scienza religiosa etrusca, nel quale riportava la dottrina etrusca come rivelata
dai suoi profeti, Tagete e Vegoia57. Ma sappiamo da Servio che egli aveva an-

52

Questi libri sono citati da Arnob. II 62. Servio (Aen. VIII 398) parla di sacra Acheruntia.
dottrina degli dei animales, A.J. Pfiffig, Religio Etrusca, Graz 1975, pp. 178-181, e il nostro
articolo Regards trusques sur lau-del, in La mort, les morts, lau-del dans le monde romain. Actes du
colloque de Caen (20-22 novembre 1985), ed. F. Hinard, Caen 1987, pp. 263-277.
54Rispettivamente Arnob. II 62; Mart. Cap. II 142; Aug. civ. XXII 28 (= Cornelio Labeone, fr. 11
Mastandrea).
55Sulla questione, buona sintesi di P. Chuvin, Chronique des derniers paens, Paris, 1991.
56Su Cornelio Labeone, cfr. il libro fondamentale di P. Mastandrea (Un neo-platonico latino: Cornelio Labeone, Leiden 1979) e le nostre pagine in Chrtiens, pp. 119-137.
57Fulgenzio, sermo antiqua 4 (= fr. 9 Mastandrea); il nome di Tagete sicuro, ma quello di Vegoia
risulta da una restituzione del testo, corrotto, di Fulgenzio.
53Sulla

Il ruolo della componente etrusca nella difesa della religione nazionale dei Romani 129

che composto unopera monografica sulla dottrina degli dei animales, il che
mostra limportanza che allora aveva questo aspetto delle vecchie credenze
etrusche58. E linteresse prestato alla questione da autori cristiani come Arnobio o Agostino il segno che tale dottrina era diffusa tra i contemporeanei
e faceva parte, come le credenze di origine orientale o neo-platoniche che
essi pure citano, delle concezioni pagane sullaldil che i cristiani dovevano
combattere, per imporre la fede in Ges Cristo.
Dunque gli elementi di origine etrusca che erano stati integrati nella religione romana potevano apparire come i pi capaci, allinterno di essa, di
resistere a quelle externae superstitiones nelle quali, gi nel 47, limperatore Claudio denunciava un pericolo per la tradizione religiosa nazionale. Pi
delle altre sue componenti, quella etrusca offriva punti che ne facevano una
valida alternativa proprio rispetto al cristianesimo. stato sottolineato da
molti che la religione etrusca era una religione del libro: gli aruspici avevano
a loro disposizione i libri sacri nei quali era consegnata la loro scienza religiosa. Essa aveva dunque un punto di riferimento fermo, che le consentiva
una solidit dottrinale estranea ad altri aspetti del paganesimo tradizionale.
Soprattutto, la religione etrusca era una religione rivelata: la disciplina non
appariva come il risultato dellopera di uomini, bensi di una rivelazione, fatta da esseri soprannaturali, quelle figure profetiche che avevano insegnato
i suoi principi agli Etruschi, nei primi tempi dellesistenza della nazione, il
prodigioso bambino Tagete, uscito dalla terra di Tarquinia, o la ninfa Vegoia,
legata alla zona di Chiusi. Cos, in un tempo nel quale si aspettava una verit
che non venisse soltanto dalluomo, ma che fosse il risultato di una rivelazione fatta da esseri divini, la religione etrusca forniva una risposta nazionale,
propriamente italica e romana, alle religioni venute dallestero, come quelle
giudaica e cristiana, con i loro libri sacri e i loro profeti.
Il successo finale del cristianesimo ha fatto s che abbiamo pochissimi testi
che ci facciano conoscere le idee dei suoi avversari. Possiamo aggiungere che
siamo meglio informati sui difensori della religione tradizionale di matrice
greca, che non su quelli che, come Cornelio Labeone, sinscrivevano in una
prospettiva propriamente romana. Lo stesso Cornelio Labeone ci accessibile soltanto attraverso qualche raro frammento e si sa che limportanza esatta
del suo ruolo per la letteratura successiva sempre oggetto di discussione59.

58Serv. Aen. III 168 (= fr. 10 Mastandrea). Sembra da Agostino (loc. cit. = fr. 11 Mastandrea) che
abbia cercato di sottrarre alla dottrina il suo aspetto puramente rituale, introducendo considerazioni
morali che essa inizialmente non comportava. Cfr. Briquel, Chrtiens..., pp. 135-137.
59Sulla discussione attorno alla sua influenza e sulla questione del mito labeoniano, da ultimo
(con posizione assai scettica), J. Champeaux, Arnobe, Contre les Gentils, livre III, ed. CUF, Paris 2007,
pp. XIII-XX).

130

Dominique Briquel

Perci certamente da sottolineare che, tra le poche testimonianze che abbiamo su questi ultimi pagani, ci sono due testi del IV sec., che paragonano
il profeta etrusco Tagete a quelli della tradizione giudeo-cristiana. Uno scolio
a Stazio, del cosiddetto Lattanzio Placido, che rimanda ad un ambiente ancora pagano, in una discussione sul nome di Dio, dopo avere citato e criticato i Magi, mette sullo stesso piano Orfeo, Mos, definito come prete di Dio
altissimo, il profeta Isaia e gli altri simili a lui, e gli Etruschi, dopo avere
poco prima citato Tagete insieme con Pitagora e Platone60. In un altro documento, la lettera mandata da un prete pagano, Longiniano, ad Agostino,
che linterrogava sul suo parere rispetto al Cristo, Tagete viene citato insieme con Socrate, Orfeo, Ermes Trismegisto e i profeti di Gerusalemme61.
60 Schol. Stat. Theb. IV 516: Et triplicis mundi summum iuxta picturam illam ueterem in qua tormenta descripta sunt et ascensio ad Deum. Dicit autem Deum dhmiouvrgon, cuius scire nomen non licet.
Infiniti autem philosophorum, magorum, Persae etiam confirmant reuera esse praeter hos deos cognitos, qui
coluntur in templis, alium principem et maxime dominum, ceterorum numinum ordinatorem, de cuius genere sint soli Sol et Luna. Ceteri uero, qui circumferri a sphaera nominantur, eius clarescunt spiritu maximis
in hoc auctoribus Pythagora et Platone et ipso Tagete. Sed dire sentiunt, qui eum interesse nefandis artibus
actibusque magicis arbitrantur. In uersu ergo poeta sic dixit illum, quasi sciret nomen. Sic repetiuit, ut
proderet. Sed hoc magis ad terrorem dixit illum, ut putaretur scire. Si ergo sciri nefas est, disci a uate non
potuit. Licet magi sphragides habeant, quas putant Dei nomina continere, sed Dei uocabulum a nullo sciri
hominum potest sed quid ueritas habeat percipe. Huiusne Dei nomen sciri potest, qui nutu tantum regit et
continet cuncta, cuius arbitrio deseruiunt, cuius nec aestimari potest mundus nec finibus claudi? Sed cum
magi uellent uirtutis eius, ut putabant, sese comprehendere singulas appellationes, quasi per naturarum
potestates abusiue modo designarunt et quasi plurimorum numinum nobilitate Deum appellare conati sunt,
quasi ab effectu cuiusque rei ductis uocabulis. Sic Orpheus fecit et Moyses, Dei summi antistes, et Esaias
et his similes. Etrusci confirmant nympham, quae nondum nupta fuerit, praedicasse maximi Dei nomen
exaudiri ab homine per naturae fragilitatem pollutionemque fas non esse. Quod ut documentis asserreret,
in conspectu ceterorum ad aurem tauri Dei nomen nominasse, quem ilico ut dementia correptum et nimio
turbine coactum exanimasse. Sunt qui se licet secreto scire dicunt, sed falsum sciunt, quoniam res ineffabilis comprehendi non potest.
61Longiniano, in Aug. epist. 234: quaestionibus siquidem abundet quod ex parte uel iamdudum inter
nos conuenerit, uel nunc identidem litteris magis magisque conueniar praeceptis, non dicam tantum Socraticis, nec tuis, Romanorum uir optime, propheticis, aut paucis Ierosolymiticis, sed etiam Orphicis atque Tageticis et Trismegisticis, longe ante illis antiquioribus, et pene rudibus adhuc saeculis diis auctoribus enatis,
et toti orbi terrae certis limitibus partitae trifariam diuinitus ostensis, priusquam nomen aut Europa caperet
aut Asia acciperet, aut Libya possideret uirum bonum, ut tu, medius fidius, et eris et fuisti. Siquidem adhuc
post hominum memoriam nisi Xenophontis figmentis compositae fabulae schema concedas, adhuc audierim,
legerim, uiderim neminem, aut certe post ullum, nullum, nisi te. () [2] Verum qua uia effici possit, magis
est ut tu non nescias, et mihi non insinuato extrinsecus aliquo dissertes, quam ut a me, domine percolende,
scias. Quia tunc, fateor, huius boni in sedem profecturus sufficiens, ut mea expetunt sacerdotia, minime
necdum, et si tamen potuero, uiaticum colligo. Verum quid traditum sancte atque antiquitus teneam atque
custodiam, ut potuero paucis edicam. Via est in Deum melior, qua uir bonus piis, puris, iustis, castis, ueris
dictis factisque, sine ulla temporum mutatorum captata iactatione probatus, et deorum comitatu uallatus,
Dei utique potestatibus emeritus; id est, eius unius et uniuersi, et incomprehensibilis, et ineffabilis, infatigabilisque creatoris impletus uirtutibus, quo, ut uerum est, angelos dicitis, uel quid alterum post Deum uel
cum Deo aut in Deum intentione animi mentisque ire festinat. Via est, inquam, qua purgati antiquorum

Il ruolo della componente etrusca nella difesa della religione nazionale dei Romani 131

Per noi interessante notare che, per questi rappresentanti della religione
pagana sotto il suo aspetto romano, la rivelazione etrusca ha la stessa importanza dei maggiori rappresentanti del pensiero religioso greco o ellenizzante
Orfeo, Ermes Trismegisto, Pitagora, Socrate, Platone e dei profeti della
Bibbia. chiaro che, per questi pagani che si presentano come Romani, le
figure della tradizione etrusca, come Tagete, sono quelle che contano di pi.
Nella sua lettera ad Agostino, Longiniano abbozza una teoria del profetismo
che attribuisce a ciascuna delle parti del mondo lAfrica, lAsia, lEuropa
il suo proprio profeta. Mentre il Trismegisto viene assegnato allAfrica, Orfeo allAsia, quello dellEuropa Tagete: non si pu meglio esprimere che,
per questi pagani che si riferiscono alle tradizioni propriamente romane, le
profezie trasmesse dal bambino tarquiniese hanno la precedenza e sono da
seguire anche se si inseriscono in una concezione tipica del pensiero pagano di quel tempo, nel quale, come diceva Simmaco, non c ununica via
per pervenire ad un mistero cos grande62 e dunque ogni rivelazione, ogni
profezia aveva il suo valore. Certo, in linea di principio, tutti i profeti furono
ispirati del Dio unico che, in quei tempi, anche i pagani concepivano come
maestro supremo delluniverso: per, per i Romani, la rivelazione fatta agli
Etruschi, i loro connazionali, era da preferire63.
Questo attaccamento alla tradizione etrusca non significa che essa sia rimasta comera prima e non abbia subito cambiamenti, anche importanti. Lo
vediamo nei testi che abbiamo citato, che illustrano la persistente importanza dellEtrusca disciplina nel tardo impero e il suo ruolo nella resistenza della
religione nazionale contro lascesa delle altre religioni, in primis il cristianesimo. Nella sua lettera ad Agostino, Longiniano professa la sua fede monoteista, considerando gli dei abituali del politeismo che continuano ad essere
presi in considerazione (deorum comitatu uallatus) e vengono assimilati agli
angeli dei cristiani (quos angelos dicitis) soltanto come potenze secondarie
subordinate al Dio unico, ineffabile e onnipotente. Certo non sorprendente, nellambito del paganesimo di quel tempo, ma siamo ben lontani dalla re-

sacrorum piis praeceptis expiationibusque purissimis, et abstemiis obseruationibus decocti, anima et corpore
constantes deproperant. [3] De Christo autem tuae iam credulitatis carnali et spirituali Deo, per quem in
illum summum, beatum, uerum, et patrem omnium ire securus es, domine pater percolende, non audeo nec
ualeo quid sentiam exprimere, quia quod nescio, difficillimum credo definire.
62Simmaco relazione 3,10. La risposta a tale apertura da parte dei cristiani fu un rifiuto totale. In
epist. 18,8 e retract. I 4,3, Agostino opponeva alla formula di Simmaco la parola di Ges Io sono la via,
e negava che potesse esistere un altro cammino per andare a Dio. Gi nel III sec., Origene insisteva sul
fatto che la rivelazione cristiana (o giudeo-cristiana) era unica e che non potevano esisterne altre, se non
quella della tradizione biblica (esortazione al martirio 46; Cels. 1,25).
63Sulla teorizzazione di questa rappresentazione attraverso il concetto degli dei etnarchi utilizzato
da Celso (cfr. Cels. 5,25), Briquel, Chrtiens, pp. 106-108.

132

Dominique Briquel

ligione etrusca primitiva, quella del tempo dellindipendenza nella quale era
nata la disciplina originale. Ed ancora pi evidente nel testo di Lattanzio
Placido: in esso, per dimostrare la potenza del nome del Dio supremo, si
attribuisce agli Etruschi una storiella che esisteva altrove, in ambiente cristiano, e che non era altro se non il recupero, da parte dei rappresentanti della
tradizione etrusca, di un aneddoto inventato dai Giudei di Alessandria che,
sotto la sua forma primitiva, faceva intervenire Mos e il Faraone64. Abbiamo
qui unaltra testimonianza di questa intromissione di elementi di origine giudaica, o giudeo-cristiana, nella scienza religiosa degli Etruschi, o almeno in
ci che si presentava come tale in epoca tarda. Un lemma del lessico bizantino della Suda ci ha conservato un preteso racconto etrusco della creazione,
che una parafrasi del Libro della Genesi, con aggiunta di certi elementi di
origine iranica65.
Questi sforzi della vecchia tradizione etrusca per offrire qualche cosa di
simile a ci che offriva la giovane religione cristiana, o le altre novit spirituali che si diffondevano nellimpero romano, possono apparirci ridicoli e,
certo, un tardo tentativo di aggiornamento del genere non bast a impedire
ci che doveva inevitabilmente succedere, la sparizione dellantica religione
nazionale e il passaggio del mondo romano al cristianesimo. Ma essi esprimono anche, con questi ultimi esempi, in una forma forse eccessiva, la capacit di adattamento, di risposta alle rinnovate esigenze religiose degli uomini
di quel tempo, che la componente etrusca della religione romana conservava.
Questa componente etrusca possedeva, dalle origini, aspetti che si rivelavano
in sintonia con le attese della tarda antichit ed offriva anche certe possibilit
di sviluppo che le conferivano una capacit innovativa che essa era quasi la
64Cfr. F. Cumont, La plus ancienne lgende de saint Georges, RHR 114 (1936), pp. 5-41; J. Bidez
- F. Cumont, Les mages hellniss. Zorastre, Ostans et Hystape daprs la tradition grecque, I, Paris 1938,
pp. 225-238 (appendice I, Mages, Juifs et trusques); Briquel, Chrtiens, pp. 145-147; la storia appare
in un frammento della Storia dei Giudei di Artapanos, che viveva ad Alessandria nel II sec. a.C. (FGrHist
726,3, citato da Eus. PE IX 27,25-26, e, pi brevemente, da Clem.Al. strom. I 154,3). Nel racconto di
Artapanos, Mos pronunzia il nome segreto di Dio allorecchio del Faraone, che cade a terra, ucciso dalla
potenza del nome divino prima che Mos lo richiami alla vita.
65 Suda, s.v. Turrhniva: iJstorivan de; par aujtoi`~ e[mpeiro~ ajnh;r sunegravyato: e[fh ga;r to;n
dhmiourgo;n tw`n pavntwn qeo;n ibV ciliavda~ ejniautw`n toi`~ pa`sin aujtou` filotimhvmasqai ktivsmasi, kai; tauvta~ diaqei`nai toi`~ ivbV legomevnoi~ oi[koi~: kai; th`/ me;n aV ciliavdi poih`sai to;n
oujrano;n kai; th;n gh;n: th/` de; bV poih`sai to; sterevwma tou`to to; fainovmenon, kalevsa~ aujto;
oujranovn, th/` gV th;n qavlassan kai; ta; u{data ta; ejn th`/ gh/` pavnta, th/` dV tou;~ fwsth`ra~ tou;~
megavlou~, h{lion kai; selhvnhn kai; tou;~ ajstevra~, th/` eV pa`san yuch;n peteinw`n kai; eJrpetw`n
kai; tetravpoda ejn tw/` ajevri kai; ejn th/` gh/` kai; ejn toi`~ u{{dasi, th`/ zV to;n a[nqrwpon. faivnetai
ou\n ta;~ me;n prwvta~ e}x ciliavda~ pro; th`~ tou` ajnqrwvpou diaplavsew~ parelhluqevnai: ta;~
de; loipa;~ e}x ciliavda~ diamevnein to; gevno~ tw`n ajnwrwvpwn, wJ~ ei\nai to;n pavnta crovnon mevcri
th`~ sunteleiva~ ciliavda~ ibV. Per lanalisi di questo testo, cfr. Bidez - Cumont, loc. cit.; Briquel,
Chrtiens, pp. 149-156.

Il ruolo della componente etrusca nella difesa della religione nazionale dei Romani 133

sola ad avere, allinterno della religione romana66. Mentre tanti altri aspetti
del mos maiorum in materia di religione erano ridotti a mere sopravvivenze
del passato gli auguri, che a una certa epoca potevano apparire come la
controparte puramente romana degli aruspici, sotto limpero non hanno pi
nessuna importanza , laruspicina rimaneva viva e poteva sembrare che sostenesse le speranze dei difensori della religione tradizionale, nella quale era
ormai integrata da secoli.

66Anche un punto come la questione del monoteismo si presentava diversamente per la religione
etrusca e per quella propriamente romana. Attraverso la nozione di destino, che aveva tanta importanza
per gli Etruschi, lidea di un Dio supremo, unico, che stava sopra le diverse divinit del pantheon, non
appariva necessariamente estranea al pensiero religioso degli Etruschi. Cfr. Briquel, Chrtiens..., pp.
147-149; 157-158. Lipotesi di Bidez - Cumont (Les Mages, I, pp. 237-238) di un pasticcio fatto dai
Giudei per diffondere, nascondendole, le loro idee nel mondo romano, senzaltro da respingere.

Il concetto di transferts culturels:


unalternativa soddisfacente
a quello di romanizzazione? Il caso etrusco
Marie-Laurence Haack

Gli organizzatori di questo convegno, proponendo un titolo in latino, e


non in italiano come nella maggior parte dei convegni precedenti, hanno seguito una moda che ha ancora molto successo negli studi antichi. Cos hanno
forse voluto evitare di suscitare critiche per avere impiegato la prima parola
che viene in mente quando si evoca il fenomeno di unificazione dei popoli
dItalia in unItalia romana, cio romanizzazione. La parola usata cos
spesso da essere entrata nei dizionari di lingua francese, italiana, inglese, spagnola e tedesca per designare lassimilazione di territori conquistati dai Romani. Dalla fine del XIX secolo fino ad oggi, ladozione della lingua latina,
della cittadinanza, della toga, del mattone sono state spiegate con una romanizzazione che pu assumere aspetti linguistici, giuridici e materiali. Per,
in questi ultimi anni, limpiego della parola romanizzazione stata violentemente criticata e gli organizzatori, coscienti delle difficolt, hanno forse
voluto evitare questa parola nel titolo del convegno.
In generale si rimprovera al concetto di romanizzazione di essere segnato dal suo contesto di elaborazione, dalle sue implicazioni colonialistiche e
dalla sua imprecisione semantica, a tal punto che ci si puo chiedere se si
possa ancora parlare di romanizzazione senza essere giudicati superati o reazionari. Gi da un trentennio, alcune alternative sono state proposte: lacculCfr. N. Terrenato, The Romanization of Italy: global acculturation or cultural bricolage?, in TRAC
97. Proceedings of the Seventh Annual Theoretical Roman Archaeology Conference Nottingham 1997,
Oxford 1998, pp. 20-27; P. Le Roux, La romanisation en question, Annales ESC, mars-avril 2004, pp.
287-311; H. Inglebert, Les processus de romanisation, in H. Inglebert (ed.), Histoire de la civilisation
romaine, Paris 2005, pp. 421-449; S. Janniard - G. Traina, Sur le concept de romanisation. Paradigmes
historiographiques et perspectives de recherche. Introduction, MEFRA 118 (2006), pp. 71-79; G.A. Cecconi, Romanizzazione, diversit culturale, politicamente corretto, MEFRA 118 (2006), pp. 81-94.
Vd. luso della parola romanizzazione in Th. Mommsen, Die Provinzen, von Caesar bis Diokletian, Berlin 1985; F.J. Haverfield, The Romanization of Roman Britain, ProcBritAc 1905-1906, pp.
185-217; Id., The Romanization of Roman Britain, Oxford 19234. Per unanalisi della loro ideologia, cfr.
P.W.M. Freeman, From Mommsen to Haverfield: The Origins of studies of Romanization in late 19th
c. Britain, in D.J. Mattingly (ed.), Dialogues in Roman Imperialism. Power, Discourse and Discrepant
Experience in the Roman Empire, Portsmouth - Rhode Island 1997, pp. 27-50; su F.J. Haverfield, vd. J.
Webster, Creolizing the Roman Provinces, AJA 105 (2001), pp. 209-225, part. p. 211.

136

Marie-Laurence Haack

turazione, la trasculturazione, linterculturazione, la traduzione, il meticciato, libridazione e, da alcuni anni, il concetto di transferts culturels (utilizzo
lespressione francese non esistendo lequivalente italiano), che comincia a
essere utilizzato per la storia antica. In Francia gli sono stati consacrati un
numero della rivista Hypothses e un libro sul mondo greco ellenistico, curato da B. Legras e da J.-C. Couvenhes. Si tratta di una nuova moda o di
un vero strumento euristico e interpretativo? Vorrei esaminare la teoria dei
transferts culturels e propormi di vedere, con un esempio, se il concetto di
transferts culturels pu sostituirsi in parte a quello di romanizzazione.
La teoria dei transferts culturels non deriva dagli studi sullantichit. Come
molti nuovi strumenti di riflessione utilizzati per lantichit, stata elaborata da ricercatori che studiano la storia culturale contemporanea, ed stata
prodotta dalle riflessioni di un gruppo di ricerca del CNRS nellambito della
storia franco-tedesca (UMR 8547). Due membri di questo gruppo, M. Espagne e M. Werner, luno francese, laltro tedesco, hanno notato che, nella seconda met del XVIII secolo, la cultura tedesca cerca una identit nazionale,
distinguendosi dal modello francese dominante in Europa e che, al contrario, nel XIX secolo, la referenza tedesca entra nel processo di costituzione e
di istituzionalizzazione del campo delle scienze umane in Francia.
Per questi due ricercatori, la nozione tradizionale dinfluenza non sufficiente per capire, per esempio, la ricezione di uno scrittore tedesco come
Vd. R.W. Brandt - J. Slofstra (edd.), Roman and Native in the Low Countries: Spheres of Interaction, Oxford 1983; J. Mertens, Linteraction culturelle dans le nord de la Gaule Belgique lpoque
romaine, Caesarodunum, 28.2 (1994), pp. 25-277; J. Webster, Creolizing the Roman Provinces, AJA
105 (2001), pp. 209-225; P. Van Dommelen, Colonial constructs: colonialism and archeology in the Mediterranean, World Archaeology 28 (1997), pp. 305-323. Sui problemi lessicali, cfr. L. Turgeon, Les
mots pour dire les mtissages: jeux et enjeux dun lexique, in Lhorizon anthropologique des transferts culturels, Revue Germanique internationale, 21 (2004), pp. 53-69.
Cfr. F. Villeneuve, Frontires et transferts culturels. Quelques notes dun antiquisant, Hypothses 2002, pp. 213-218; V. Damour, La thorie des transferts dans la religion gallo-romaine. Lexemple de
Mars en Gaule lyonnaise, Hypothses 2002, pp. 177-186.
Cfr. B. Legras - J.-C. Couvenhes (edd.), Transferts culturels et politique dans le monde hellnistique, Paris 2006.
 M. Espagne, Sur les limites du comparatisme en histoire culturelle, Genses 17 (septembre 1994),
pp. 112-121; Id., Les transferts culturels franco-allemands, Paris 1999; Id., Introduction, in Lhorizon...,
pp. 5-8; M. Espagne - M. Werner, Deutsch-franzsischer Kulturtransfer im 18. und 19. Jahrhundert.
Zu einem neuen interdisziplinren Forschungsprogramm des C.N.R.S., Francia 13 (1985), pp. 502-510;
Id., La construction dune rfrence culturelle allemande en France. Gense et histoire, Annales E.S.C.
1987, pp. 969-992; Id., Transferts. Les relations interculturelles dans lespace franco-allemand (XVIIIXIXme sicle), Paris 1988; Id., Philologiques III. Quest-ce quune littrature nationale? Approches pour
une thorie interculturelle du champ littraire, Paris 1994; M. Werner, A propos de la rception de Hegel
et de Schelling en France pendant les annes 1840. Contribution une histoire sociale des transferts interculturels, in J. Moes - J.M. Valentin (edd.), De Lessing Heine. Un sicle de relations littraires et
intellectuelles entre la France et lAllemagne, Paris 1985, pp. 277-291.

Il concetto di transferts culturels

137

Heinrich Heine in Francia. Per loro, la costruzione identitaria si comprende


analizzando un lungo arco temporale. Quindi si sono chiesti come il pensiero tedesco si fosse diffuso in Francia prima che i Francesi ne fossero coscienti. Cos prima hanno isolato empiricamente degli elementi della cultura tedesca presenti in Francia in uno stato latente; poi, progressivamente,
hanno formulato dei principi di passaggio degli stessi elementi da una cultura allaltra.
Questi principi sono semplici: un transfert sempre preparato, anche allinsaputa delle persone che fanno da intermediari (traduttori, interpreti) e/o
dagli oggetti che trasformano e si trasformano, quando passano da una cultura allaltra. Niente doriginale, si potrebbe dire: il ruolo dei traduttori nella
trasmissione dei saperi antichi gi stato studiato e tutti gli antichisti sanno
quanto siano importanti i vasi nella trasmissione dei riti di libazione o degli
schemi iconografici.
Per la teoria di M. Espagne e di M. Werner interessante per la sua attenzione ai momenti e ai mezzi dei transferts. Con momenti dei transferts essi
intendono non soltanto la congiuntura immediata del paese daccoglienza,
ma anche il risultato di quello che lo ha preceduto, il precostruito intellettuale, cio la tradizione dei prestiti anteriori. Insomma, non vogliono accontentarsi di una spiegazione congiunturale della ricezione o della non-ricezione
di un fatto culturale. Un transfert risulta da una moltitudine di transferts
anteriori. Con mezzi di transferts essi intendono naturalmente i vettori materiali dei transferts, ma analizzano prima di tutto degli oggetti che esprimono
una identit e mostrano vivo interesse per gli oggetti identitari che possano subire delle ricontestualizzazioni culturali modificando la loro forma, il
loro impiego, forse il loro significato. E la loro modifica cambia coloro che
li ricevono e che li trasformano per appropriarsene. Le loro credenze, le loro
idee e la loro posizione sociale non sono pi le stesse10.
Cfr. M. Espagne, in G. Noiriel, Transferts culturels: lexemple franco-allemand. Entretien avec
Michel Espagne, Genses 8 (1992), p. 146.
Vd., per esempio, A. Traina, Vortit barbare. Le traduzioni poetiche da Livio Andronico a Cicerone,
Roma 1970; Id., Le traduzioni, in G. Cavallo - P. Fedeli - A. Giardina (edd.), Lo spazio letterario di
Roma antica. II. La circolazione del testo, Roma 1989, pp. 93-123.
Cfr. M. Espagne - M. Werner, Prsentation, Revue de synthse 109 (avril-juin 1988), p. 188:
Les intrts de la culture rceptrice exigent quelle confre au don un sens adapt la situation du moment. De mme quil est vain de chercher le sens dun change dobjets entre deux socits ocaniennes
en dehors de la pratique mme de lchange, de son rituel et de lusage fait de lobjet, de mme on peut
difficilement dterminer le sens dun bien culturel transfr en dehors des besoins spcifiques du pays
daccueil; p. 190: Il convient dinsister sur le travail de rinterprtation queffectue chaque culture en
sassimilant des emprunts extrieurs. En traversant la frontire, l objet culturel change non seulement
de place, mais galement de sens.
10Cfr. J.-P. Saez (ed.), Identits, cultures et territoires, Paris 1995.

138

Marie-Laurence Haack

Certo gli antichisti non hanno aspettato M. Espagne e M. Werner per procedere allo studio degli uomini e degli oggetti che servono da mediatori alle
metamorfosi di una o pi culture, ma pi raro che questi mediatori vengano in primo piano negli studi che rifiutano una concezione chiusa e, per
farla breve, morale delle culture e dei popoli, dove la cultura e la nazione
sono considerate come delle entit mutevoli e variabili. Secondo M. Espagne
e M. Werner, le culture sono lanciate in un processo evolutivo costante e sono attraversate da momenti stranieri, nei quali si effettuano i transferts. I
sostenitori della teoria dei transferts culturali riconoscono che devono questa
concezione aperta e fluttuante della cultura ai lavori di Nathan Wachtel11, e
riprendono le sue domande a proposito delle societ precolombiane rispetto alla conquista spagnola, cio: come hanno potuto conservare le proprie
strutture mentali malgrado la conquista e limportazione massiccia di beni
culturali stranieri? come possono delle strutture mentali sovrapporsi e costituire a lungo termine una nuova combinazione? Come si pu vedere, la
teoria dei transferts culturali rifiuta di esaminare i fatti culturali da una sola
parte, quella dei vincitori o quella dei vinti, perch non esistono identit pure; nel nostro caso, perch non esistono dei Romani astratti o degli indigeni
astratti. Al contrario, i sostenitori dei transferts culturels evidenziano la reciprocit delle relazioni comuni. Per studiarla da vicino, provano ad utilizzare
lantropologia nella ricerca storica e procedono a dei va e vieni tra i casi particolari e le ricerche di modellizzazione.
Questa teoria sembrata tanto piena di promesse che stata rapidamente
utilizzata dagli storici. In Francia alcuni antichisti hanno visto i vantaggi della nozione di transferts culturali per evitare le critiche di un uso delle nozioni
di romanizzazione e di ellenizzazione. Nel caso degli studi condotti in Francia, dagli anni sessanta in poi, si rimprovera infatti alla romanizzazione di
rendere conto pi della situazione degli imperi coloniali della prima met del
XIX secolo che delle realt antiche. Con la romanizzazione si leggerebbe la
storia della dominazione romana con lidea di unintegrazione programmata,
completa e omogenea dei popoli conquistati alla civilt romana. Questa idea
di una politica cosciente romana di romanizzazione, di un programma di romanizzazione consiste nel pensare ai rapporti tra Roma e le province o tra
Roma e i popoli dItalia come un transfert unilaterale da Roma verso i vinti
giustificato da un effetto civilizzatore di Roma sui vinti12. Ma lidea di civil11Cfr. N. Wachtel, La visione dei vinti. Gli indios del Per di fronte alla conquista spagnola, Torino
1977.
12 Per un esempio di questa confusione tra storia contemporanea e storia antica, cfr. R. Cagnat, Larme romaine dAfrique et loccupation militaire de lAfrique sous les empereurs, Paris 1937, p. 776: Nous
pouvons donc sans craindre, et malgr les fautes nombreuses quil ne sert rien de cacher, comparer

Il concetto di transferts culturels

139

t benefattrice era particolarmente malvista nel momento in cui la Francia


e lInghilterra provavano a cominciare un processo di decolonizzazione. In
Francia, almeno, mentre credevamo di aver potuto mettere una fine a questo pezzo della nostra storia, il problema della decolonizzazione tornato in
primo piano nel dibattito intellettuale nel corso dellultima campagna presidenziale: alcuni paesi decolonizzati hanno chiesto la resa dei conti allexpotenza coloniale e tutta una generazione di figli, perfino dei nipotini delle
popolazioni immigrate ha messo in causa laccoglienza e la riconoscenza dei
propri genitori. Quindi si pu capire che una teoria che non definisca una
cultura in termini nazionali, e cerca di capire i transferts riguardando tanto
dalla parte della cultura emettitrice quanto dalla parte della cultura ricevente, possa avere un certo successo in Francia.
Per non si pu dimenticare che la teoria dei transferts culturali anchessa
influenzata dalle idee e dal contesto politico degli anni in cui apparsa: stata
formulata da due personalit (i gi citati M. Espagne e M. Werner) nate nel
dopoguerra, formatesi nel momento della cooperazione franco-tedesca, e i cui
lavori sono stati finanziati in parte dallunione europea o da organismi francotedeschi. Si pu dunque capire che le stragi, le distruzioni, le torture compiute
nelle guerre non siano studiate da M. Espagne e da M. Werner. Ma, per lantichit, la visione irenica dei rapporti tra culture rischiosa. Certo, questa visione conforme al linguaggio delle fonti, per la maggior parte latine o romane,
dove le devastazioni e le depredazioni sono spesso eliminate a favore dellesaltazione delle gesta dei generali romani. Come dimenticare tuttavia che le due
parti non erano uguali, che la guerra era il fondamento del potere delle famiglie
dirigenti e, allo stesso tempo, il modo di relazionarsi con le popolazioni locali?
La teoria dei transferts culturali non si interroga nemmeno sulla ricezione di culture straniere, perch si dovrebbe interrogare sulla gerarchizzazione che si pu produrre nella mente di quelli che subiscono lopposizione di
pi culture. Come non capire che molte popolazioni dellItalia repubblicana dovevano integrarsi per non scomparire? essere romane per non morire?
Questa teoria al contrario segnata da un relativismo culturale che mette
laccento sulla diversit e sulla specificit delle culture. Il cultural change
interessa M. Espagne e M. Werner in quanto fenomenologia ma non come
risultato di una valorizzazione di una cultura a scapito di unaltra. I popoli
sottomessi da Roma non dubitavano della sua superiorit militare, perfino
politica e religiosa; Roma era in grado di imporre la sua forza militare e quindi di cancellare la parte avversa.
notre occupation de lAlgrie et de la Tunisie celle des mmes provinces africaines par les Romains:
comme eux, nous avons glorieusement conquis le pays, comme eux, nous avons assur loccupation, comme
eux, nous essayons de le transformer notre image et de le gagner la civilisation.

140

Marie-Laurence Haack

Tuttavia, il fatto che la teoria dei transferts culturali meriti, come la romanizzazione, delle critiche, non significa che sia totalmente incapace di rendere conto delle trasformazioni culturali dellItalia prima di Cristo.
Vorrei quindi presentare un tentativo dapplicazione di questa teoria allItalia preromana, per mostrare alcune vie di transfert nellItalia antica. Ho
scelto un esempio che corrisponde ai principi enunciati da M. Espagne e da
M. Werner, cio un oggetto che esprimerebbe una identit e subirebbe una
ricontestualizzazione culturale, che studier mettendo laccento sulla tradizione dei prestiti anteriori.
Loggetto in questione la bulla, una capsula rotonda a gocciola, da 4 a
6 cm. di diametro, che si metteva al collo dei bambini romani per mostrare
la loro ingenuitas. Nel mondo romano, non cera dubbio: la bulla definiva il
futuro Romano cos come i Brettoni o i Numidi, che si volevano mostrare
beneficiari di questo privilegio, non esitavano ad appendere la bulla al collo
della propria prole13.
Come altri popoli dellarea mediterranea, dopo la sconfitta delle loro citt, gli Etruschi hanno fatto portare la bulla ai bambini di nascit libera. Infatti una bulla visibile su statue e statuine votive di bambini, pi esattamente di maschi ancora in fasce o capaci di stare seduti o in piedi. Soprattutto,
ladozione della bulla cambia da una citt allaltra, ma lassenza o la presenza
delloggetto non sembra spiegarsi in base alla quantit di popolazione di nascit libera. Nessuna rappresentazione di bambini con bulla stata scoperta
a Falerii, mentre alcune rappresentazioni di questo tipo sono state trovate a
Gravisca e molte a Vulci, nel deposito della porta Nord14.
La bulla nelle rappresentazioni votive di bambini nei santuari dEtruria
Falerii

Gravisca

Vulci

Quantit di bambini votivi

10

53

Quantit di bambini votivi con bulla

33

Certo, la parte della scelta personale nella rappresentazione di questi


bambini difficile da valutare perch questi oggetti erano prodotti in serie,
ma la disparit tra i modi di rappresentazione dei bambini non casuale.
Infatti rivela ladozione di un modo di vita diverso da quello che era comune
13Vd. le bullae nellarte romana dItalia e delle provincie in H.R. Goette, Die Bulla, BJ 186
(1986), pp. 154-163.
14Cfr. A. Comella, Il materiale votivo tardo di Gravisca, Roma 1978, A 3 fr 1, tav. 98 c; A 3 fr 3, tav.
99 b; Ead., I materiali votivi di Falerii, Roma 1986; A. Pautasso, Il deposito votivo presso la porta Nord
a Vulci, Roma 1994.

141

Il concetto di transferts culturels

nellEtruria indipendente. Basta guardare agli altri modi di vestirsi nei votivi: in quattro santuari dEtruria, dove i bambini votivi portano una bulla, si
nota che il velo rappresentato sulle teste votive e che la toga visibile sugli
adulti votivi.
I bambini votivi portatori di una bulla nei santuari ellenistici dEtruria
Porta Nord di Vulci

Tarquinia-Ara della
Regina

Bomarzo

Veio-Campetti

Quantit di statuine votive 4


di bambini con una bulla

Quantit di statuine votive 0


di bambini con la testa
velata

22

23

Quantit di statuine votive 1 ?


con una toga

Quindi alcuni bambini votivi con una bulla sono visibili in tre santuari
dove il velo ricopre la testa dadulti, uomini e/o donne. Cos nel santuario
dellara della Regina a Tarquinia: tra i bambini votivi in fasce ci sono sei
bambini con una bulla del II secolo a.C. 15 e nove teste velate16. cos anche
a Bomarzo, dove c una testa velata17. Lo stesso avviene nel santuario di
Campetti a Veio, dove due statuine del II o del I secolo a.C. hanno una bulla18, e dove alcune teste della stessa epoca sono velate19.
noto che il velo e la toga indicano ladozione di modi di vita romani. I
riti romani si distinguevano dai riti greci perch il sacrificante romano aveva la testa velata, mentre quello greco aveva la testa nuda. Secondo Dionisio dAlicarnasso, questa abitudine risaliva a Enea che, quando sacrificava,

15Cfr. A. Comella, Il deposito votivo presso lAra della Regina, Roma 1982, A4I, tav. 4a; A4IV, tav.
5a; A4V, tav. 5b; A3 fr 1, tav. 98 c; A 3 fr 2, tav. 99a; A 3 fr 3, tav. 99b.
16Cfr. Comella, Il deposito..., B1 XX, tav. 17b; B1 XXI, tav. 18a; B2XIV, tav. 36b; B2XXXIIIf, tav.
49b; B2XXXIIIg; B2XXXV, tav. 50b; B2XXXVIII, tav. 52a; B2XXXIX, tav. 52b; B2XL, tav. 53a.
17Cfr. G. Vito, Museo civico di Viterbo. Guida delle raccolte archeologiche etrusche e romane, Viterbo
1957, p. 25, fig. 21; M.P. Baglione, Ricognizioni archeologiche in Etruria 2. Il territorio di Bomarzo, Roma
1976, p. 168, C2, tav. CVI.
18Cfr. L. Vagnetti, Il deposito votivo di Campetti a Veio: materiale degli scavi 1937-1938, Firenze
1971, I XIII, tav. XLI; I XIV, tav. XLII; I XVI, tav. XLII.
19Cfr. Vagnetti, Il deposito, F XXII, tav. XXVIII; F XXIV, tav. XXIX; F XXV, tav. XXIX; F
XXVI, tav. XXIX; F XXVII, tav. XXIX; F XXVIII, tav. XXIX; G IV a, tav. XXX; G V, tav. XXX; G VI,
tav. XXX; G IX, tav. XXXI; G X, tav. XXXI; G XI, tav. XXXI; G XII, tav. XXXI; G XV a, tav. XXXII;
G XVIII a, tav. XXXIV; G XIX, tav. XXXIV; G XX a, tav. XXXIV; G XXI, tav. XXXV; G XXII, tav.
XXXV; G XXVIII, tav. XXXVII; G XXIX, tav. XXXIX; G XXX, tav. XXXVIII; H 1, tav. XXXIX.

142

Marie-Laurence Haack

si velava e voltava le spalle, avendo visto dei nemici20. Gli Etruschi prima
del dominio romano sacrificavano al modo greco con la testa nuda21, per cui
i Romani avrebbero eccezionalmente sacrificato a capo scoperto a Saturno,
dio di origine etrusca22. La toga un criterio ancora pi chiaro. I Romani la
portavano ogni volta che volevano mostrare la loro appartenenza alla cittadinanza romana, cio sul foro e allesterno della loro casa23, perch la toga e il
velo erano vietati agli stranieri24. Il fatto che la toga simbolizzasse la cittadinanza romana era chiaro a tutti: prova ne sia che i Greci Italioti erano chiamati palliati e i Galli bracati25.
Quindi, si pu dire che dal II secolo a. C. i bambini dEtruria di nascita
libera siano progressivamente rappresentati come i bambini dei santuari del
territorio romano26. La presenza della bulla sui votivi dunque un criterio di
romanizzazione.
Ma, ad esaminare la bulla sulla lunga durata nel mondo etrusco e nel mondo romano, ci si rende conto che non si tratta di un semplice transfert come
si vede in Britannia, in Numidia o in Grecia, ma di un secondo transfert o, per
utilizzare con un senso diverso il vocabolario della psicanalisi, di un controtransfert. Prima di ornare il petto dei bambini romani di nascita libera che, al
momento della pubert, la lasciavano con la praetexta27, la bulla era portata
dagli Etruschi che, nel II secolo a.C., gli davano un significato un po diverso.
Il primo transfert, dallEtruria a Roma, risale probabilmente allepoca
dei Tarquini o forse ancora prima. Le fonti letterarie indicano chiaramente
20Cfr.

D.H. XII 22. Vd. anche Val. Fl. V 97; Act. Arv. a. 90,30: manibus lautis uelato capite.
il commento di documenti iconografici in J.-R. Jannot, Devins, dieux et dmons. Regards sur
la religion de lEtrurie antique, Paris 1998, pp. 54-57.
22Cfr. Serv. Aen. III 407: sacrificantes deis omnibus caput uelare consuetos () excepto tantum Saturno. Sui riti in onore di Saturno, cf. M. Le Glay, Saturne africain. Histoire, Paris 1966, p. 465.
23Cfr. Gell. VI 12,3: uiri autem Romani primo quidem sine tunicis toga sola amicti fuerunt. Vd. anche
D.C. fr. 39,7 Dind.; LVI 31,3; Non. p. 406,15. Sul modo di portare la toga da parte di un oratore, cfr.
Quint. inst. XI 3,137-149. Sulla toga dei candidati alle elezioni romane, cf. E. Deniaux, La toga candida
et les lections Rome sous la Rpublique, in F. Chausson - H. Inglebert (edd.), Costume et socit dans
lAntiquit et le haut Moyen ge, Paris 2003, pp. 49-55.
24Cfr. Suet. Claud. 15: peregrinitatis reum orta inter aduocatos leui contentione, togatumne an palliatum dicere causam oporteret, quasi aequitatem integram ostentans, mutare habitum saepius et prout
accusaretur defendereturue, iussit.
25Cfr. Cic. fam. IX 15,2: bracatis et transalpinis nationibus.
26Cfr. M.C. DErcole, La stipe votiva del Belvedere a Lucera, Roma 1990, p. 228, D III.
27Cfr. Fest. p. 36 M: bulla aurea insigne erat puerorum praetextatorum, quae dependebat eis a pectore,
ut significaretur eam aetatem alterius regendam consilio () uel quia eam partem corporis bulla contingat,
id est pectus, in quo naturale manet consilium; Pers. 5,30-31: cum primum pauido custos mihi purpura cessit
/ bullaque subcinctis Laribus donata pependit; Macr. Sat. I 6,9: hinc deductus mos ut praetexta et bulla in
usum puerorum nobilium usurparentur ad omen ac uota conciliandae uirtutis ei similis cui primis in annis
munera ista cesserunt; Schol. Pers. 5,31: bulla genus est uestis puerilis, quam solent pueri deposita pueritia
diis penatibus dare, uel certe ornamenti genus est, quod ante pubertatem habebant.
21Vd.

Il concetto di transferts culturels

143

che questo prestito dovuto ai re etruschi e le fonti archeologiche mostrano


unanteriorit della presenza delle bullae in Etruria. Per la maggior parte delle fonti letterarie, si tratterebbe di un prestito da Tarquinio Prisco. Secondo
Plinio il Vecchio28, e poi per Plutarco29 e Macrobio30, Tarquinio Prisco offr
una bulla a suo figlio in seguito a un atto di eroismo precoce. In unaltra
versione, anchessa di Plutarco, il prestito attribuito a un re di Veio vinto da Romolo, che avrebbe sfilato a Roma con una bulla simile a quella dei
bambini romani della sua epoca31. Nei due casi, la bulla serve come attributo
a un adulto che si fatto notare per i suoi atti di guerra. Nel primo caso, al
contrario di quello che avviene nel mondo romano, la bulla simbolizzerebbe
la virilit del ragazzo: il ragazzo merita la bulla perch diventato un uomo e
ha dimostrato la sua virt32.
Gli scavi archeologici rivelano un impiego un po diverso della bulla etrusca. Ci sono alcune bullae molto presto in Etruria, in alcune tombe di bambine, gi nella prima met dellVIII secolo a.C.: a Bisenzio, nella Tomba 1
della necropoli di Capodimonte33 e nella tomba a fossa 10 della necropoli
di Buccacce34 e nella tomba Polledrara 1 Pigorini35. Ci sono bullae anche in
contesto villanoviano: a Veio, nella necropoli di Quattro Fontanili36 e a Tar28Cfr.

Plin. nat. XXXIII 10.


Plut. quaest. Rom. 101: -evgetai ga;r e[ti pai`~ w]n ejn th/` mavch/ th`/ pro;~ Lativnou~ a{ma
kai; Turrhnou;~ ejmbalei`n eij~ tou;~ polemivou~, ajporruei;~ de; tou` i{ppou kai; tou;~ ejpiferomevnou~ ijtamw`~ uJposta;~ ejpirrw`sai tou;~ Rwmaivou~: genomevnh~ de; lampra`~ troph`~ tw`n
polemivwn kai; murivwn eJxakiscilivwn ajnaireqevntwn, tou`to labei`n ajristei`on para; tou` patro;~
kai; basilevw~.
30Cfr. Macr. Sat. I 6,9: quo bello filium suum annos quattuordecim natum, quod hostem manu percusserat, et pro contione laudauit et bulla aurea praetextaque donauit, insigniens puerum ultra annos fortem
praemiis uirilitatis et honoris.
31Cfr. Plut. Rom. 25. Vd. anche Fest. p. 322 M: () e senex cum toga praetexta bullaque aurea; quo
cultu reges soliti sunt esse E<trus>corum.
32 J. Martnez-Pinna, Tarquin lAncien, fondateur de Rome, in Ch.-M. Ternes (ed.), Condere
urbem. Actes des 2mes rencontres scientifiques de Luxembourg (janvier 1991), Luxembourg 1991, pp.
75-110, part. p. 96, mette questi brani in relazione con quello di Macr. Sat. I 6,11-12, dov ripresa
lopinione secondo la quale Tarquinio avrebbe introdotto dei nuovi rituali destinati a segnare il passaggio
dallinfanzia alladolescenza.
33Cfr. H. Mller-Karpe, Beitrge zur Chronologie der Urnenfelderzeit nrdlich und sdlich der Alpen, Berlin 1959, pl. 34, A 6. La bolla non pubblicata da K. Raddatz, Bisenzio I. Beobachtungen auf
einem eisenzeitlich-frhetruskischen Siedlungskomplex, Hamburger Beitrge zur Archologie 5 (1975),
pp. 1-60, part. p. 50.
34Cfr. MonAnt 21 (1912-1913), p. 449, fig. 36; p. 450, fig. 38; F. W. von Hase, Zur Problematik
der frhesten Goldfunde in Mittelitalien, Hamburger Beitrge zur Archologie 5 (1975), tav. 23, in alto,
sulla destra; tav. 27, in alto, sulla destra.
35Cfr. Mller-Karpe, Beitrge..., tav. 34, A, n. 6.
36Cfr. NS 1965, pp. 202-203, mm, nn, fig. 104, tomba II, 9-10; p. 220, fig. 109, 11g e tomba KK
10-11; G. Bartoloni - M. Pandolfini, Veio (Isola Farnese). Continuazione degli scavi nella necropoli
villanoviana in localit Quattro Fontanili, NS 1972, p. 299, OP 4-5, n. 27, fig. 73; p. 309, P Q 4a, n.
29Cfr.

144

Marie-Laurence Haack

quinia, nella necropoli di Monterozzi37, di Arcatelle38, di Osteria dellOsa39


e a Volsinio40.
Tutte queste bullae assomigliano molto a dischi-pendagli a disco lunare
o solare dellepoca del Geometrico recente, pi precisamente della seconda
met dellVIII secolo a.C., scoperti nellisola di Rodi, a Kamiros, a Ialisos, a
Lindos, a Exochi41. In questi luoghi le bullae sono amuleti protettivi dei cicli
della vita femminile, come in Anatolia, in Siria-Palestina, a Cipro, in Mesopotamia, in Elam e nellIran, dove sono stati scoperti dei pendagli di questo
tipo, con una decorazione a stella, risalenti allet del Bronzo recente.
Quindi le fonti letterarie tardo-repubblicane e imperiali hanno forse ragione su un punto: si prodotto un transfert della bulla dallEtruria a Roma,
ma questo transfert era associato per errore ai re e ai trionfatori dEtruria.
Questo errore si spiega forse con la forza di una tradizione romana sullorigine etrusca del trionfo. Il legame tra la corona doro, lo scettro sormontato
dallaquila, il trono davorio, la trabea, gli anelli, le phalerae, il paludamentum
e il prestigio militare degli Etruschi era ammesso42. Per i Romani, la bulla era
un prestito supplementare di uno dei molti insignia imperii; la bulla completava naturalmente il vestito del trionfatore. Per non sicuro che i Romani
abbiano mai utilizzato la bulla come il paludamentum, per esempio, per le cerimonie del trionfo. Al contrario, secondo una delle nostre pi antiche testimonianze sulla bulla, almeno fino alla seconda guerra punica i Romani hanno
portato la bulla come gli Etruschi dellepoca orientalizzante. Nel suo Rudens43

2, fig. 76; p. 313, R 3-4, n. 8, fig. 81; A. Guidi, La necropoli veiente dei Quattro Fontanili nel quadro della
fase recente della prima et del Ferro italiana, Firenze 1993, p. 62, tipo 159, fig. 10, nn. 10-11.
37Cfr. H. Hencken, Tarquinia, Villanovans and Early Etruscans, Cambridge 1968, pp. 261, 269.
38Cfr. Hencken, Tarquinia, tomba 14, fig. 170, m; tomba IX, fig. 146, b. Per C. Iaia, Simbolismo
funerario e ideologia alle origini della civilt urbana. Forme rituali nelle sepolture villanoviane a Tarquinia e a Vulci, e nel loro entroterra, Firenze 1999, p. 59, nota 66, in questepoca la bulla era un privilegio
dei giovani nobili.
39Cfr. A. Zifferero, Rituale funerario e formazione delle aristocrazie nellEtruria protostorica: osservazioni sui corredi femminili e infantili di Tarquinia, in N. Negroni Catacchio (ed.), Preistoria e protostoria in Etruria. Atti del Secondo Incontro di Studi (Farnese, 21-23 maggio 1993). Tipologia delle necropoli
e rituali di deposizione, ricerche e scavi, Milano 1995, pp. 259-260.
40Cfr. M.T. Falconi Amorelli, La Collezione Massimo, Milano 1968, n. 37; R. Bloch, Recherches
archologiques en territoire volsinien de la prhistoire la civilisation trusque (BEFAR 220), Paris 1972,
pp. 138-141.
41Cfr. R. Laffineur, Les disques-pendentifs rhodiens en or de la fin de lpoque gomtrique, Archologischer Anzeiger 1975, pp. 305-312.
42Vd. D.H. III 61,1; Str. V 2,2; Flor. I 4,6. Vd. lanalisi di D. Briquel, Une vision tarquinienne de
Tarquin lAncien, in Studia Tarquiniensia, Roma 1988, pp. 13-32, part. pp. 24-25. Vd. anche E. Tassi
Scandone, Verghe, scuri e fasci littori in Etruria. Contributo allo studio degli Insignia Imperii, Pisa - Roma
2001.
43Cfr. Plaut. Rud. 1171.

Il concetto di transferts culturels

145

Plauto menziona una bulla doro tra i ricordi dinfanzia che conserva preziosamente Palestra, una ragazza di condizione libera. Quindi, in un primo
tempo, i Romani, come gli Etruschi, hanno probabilmente destinato la bulla
a tutti i bambini, maschi e femmine, e poi lhanno data esclusivamente ai
bambini maschi, per proteggerli grazie al materiale della bulla44, o alle erbe o
ai resti danimali o alle pietre45 contenute nelle due capsule formanti la bulla
stessa46.
I due transferts della bulla in Etruria mostrano che uno stesso oggetto pu
subire delle reinterpretazioni diverse a pi secoli di distanza. Ma queste reinterpretazioni mi sembrano problematiche. Nei due casi, si tratta dello stesso
oggetto? Certo, la bulla romana degli ultimi secoli della Repubblica non assomiglia alla bulla rodiese dellVIII secolo, a cui sispirano le bullae etrusche
orientalizzanti. La bulla romana convessa, quella rodiese piatta, ma la forma (una goccia), le misure (da 5 a 6 cm) e il modo dimpiego (attorno al collo) sono identici. Come spiegare queste differenze duso? Perch un oggetto,
che sembra riservato alle bambine, diventa lattributo dei futuri cittadini?
Come si prodotta questa esclusione delle bambine? per quale motivo? forse perch Roma era a corto di uomini al momento delle Guerre Puniche.
Un oggetto pu essere preso in prestito a pi secoli di distanza senza che
sussista un ricordo del suo impiego passato? insomma, i fedeli dEtruria che
depositavano statue o statuine votive di bambini con una bulla sapevano che
la bulla era stata un oggetto etrusco, prima di essere un oggetto romano?
Come si vede, la teoria dei transferts culturels applicata alla storia antica
suscita nuove domande ma non risolve tutti i problemi. Mette laccento sui
flussi, sugli scambi, sui passaggi da un mondo allaltro, ma non sottolinea le
costrizioni alle quali sono sottomesse le parti in causa. Lapparizione della
bulla sugli oggetti votivi risulta da un rapporto di forze sfavorevole agli Etruschi. Per questo motivo, quello che ho chiamato un contro-transfert della
bulla da Roma allEtruria proprio una conseguenza della romanizzazione
degli Etruschi.
probabilmente una particolarit della ricerca inglese e francese di volere trovare delle alternative alla romanizzazione per liberarsi da una colpa che
dipende dalla storia del loro paese, ma i Romani erano effettivamente colo44Cfr. Plin. nat. XXXIII 84: aurum pluribus modis pollet in remediis uolneratisque et infantibus adplicatur, ut minus noceant quae inferantur ueneficia; Iuv. 5,164 presenta la bolla con lespressione Etruscum
aurum.
45Cfr. Marcell. med. 8,50: lacerti uiridis () oculos erues acu cuprea et intra bullam uel lupinum aureum claudes colloque suspendes; quod remedium quamdiu tecum habueris, oculos non dolebis.
46Sul contenuto delle bullae romane, cfr. E. Lucchesi Palli, Untersuchungen zum Inhalt der Bullae
und anderer Amulettkapseln in Antike, Sptantike und im frhen Mittelalter, Boreas 17 (1994), pp.
171-176, part. pp. 172-173.

146

Marie-Laurence Haack

nialisti e hanno creato delle colonie in territori che erano loro, per valorizzare e sfruttare gli stessi territori per il proprio interesse. Lo hanno fatto con la
forza, ma anche vero che i romanizzati hanno trovato il loro interesse nella
romanizzazione. Mi sembra che si sbagli strada, quando si cerca assolutamente di sostituire una parola o unespressione ad unaltra. Larcheologia e la
storia hanno la loro moda. C stata la generazione della romanizzazione,
unaltra dellacculturazione; forse ci sar quella dei transferts culturels, ma
si corre il rischio di giocare con le parole e di dimenticare i realia. Nella realt, infatti, malgrado un linguaggio irenico, i Romani non prendevano precauzioni per imporre il loro impero. Tacito esprime chiaramente questa violenza, quando, nella Vita di Agricola, fa parlare cos Calgaco, il Bretone, alle
sue truppe caledoniane coalizzate contro i Romani: auferre, trucidare, rapere
falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant47
(rubare, ammazzare, rapire, ecco quello che il loro vocabolario menzognero
chiama autorit e dove creano il vuoto, questo lo chiamano pace). La bulla
del II secolo nata direttamente da questo rapporto di forze, anche se le
rappresentazioni di questi bambini tranquilli ci fanno dimenticare che era
nellinteresse dei genitori che le depositavano nei santuari dEtruria far trovare ai loro figli un posto nel mondo romano.

47Cfr.

30,7.

Aspetti della romanizzazione linguistica


nella Cisalpina orientale
Anna Marinetti

La scelta lessicale di usare nel titolo la dizione romanizzazione linguistica, in luogo di latinizzazione, non discende solo da un adeguamento al
taglio del Convegno, prevalentemente orientato in una prospettiva disciplinare di storia; il fatto di privilegiare allinsegna della unificazione il referente
politico (Roma) piuttosto che il riferimento alla lingua (latino) formulazione pi corretta dal punto di vista della linguistica come disciplina intende mettere in risalto un presupposto che perfino banale da esplicitare:
la romanizzazione politica come motore primo del fenomeno linguistico
della transizione dalle variet locali al latino; ci non solo nella fase della
conquista territoriale e dellinstaurarsi effettivo di un sistema politico, ma
anche nelle sue premesse. La latinizzazione linguistica dItalia prende lavvio
da forme di romanizzazione anteriori alla conquista; parte nel momento
in cui Roma in quanto forza politica ed economica in espansione diventa
polo di attrazione per le culture locali; queste entrano nellorbita romana e
vi attingono modelli culturali (e linguistici) molto prima di essere assimilate
nello stato. Tali premesse vanno tenute presenti, perch le precondizioni del

Si d per scontato che latino sia inteso nella sua accezione pi completa e non, riduttivamente e
arbitrariamente, come equivalente a lingua di Roma. A rigore, in prospettiva linguistica laccezione di
romanizzazione pu suonare proprio per questo ambigua; la differenziazione sociolinguistica allinterno del latino determina lesistenza di variet (cfr. la distinzione ormai generalmente accolta tra latino
(Lateinisch) e latini (Latinisch)), per cui si distingue ad esempio tra latino-romano e latini-non romani. In questo senso romanizzazione parrebbe indicare, nello specifico, la diffusione di un latino-romano, ossia riferito alla variet dellUrbe: non questa, ovviamente, laccezione in cui qui si usa. Ho avuto
occasione di trattare delle questioni qui discusse in un lavoro di alcuni anni or sono: A. Marinetti, La
romanizzazione linguistica della Penisola, in La preistoria dellitaliano. Atti della Tavola rotonda di linguistica storica, Venezia 11-13 giugno 1998, edd. J. Herman - A. Marinetti, Tbingen 2000, pp. 61-79: mi
permetto di riprenderne qui, con ampiezza, sezioni pertinenti al nostro tema.
Gli esempi in questo senso sono numerosi; solo per citarne alcuni, labbandono della scrittura
locale in favore dellalfabeto latino nelle culture sabelliche dellItalia centrale o, in senso pi ampio,
lacquisizione di una tradizione scrittoria (A. Marinetti, Le iscrizioni sudpicene, Firenze 1985; A.L. Prosdocimi in L. Del Tutto Palma - A.L. Prosdocimi - G. Rocca, Lingue e culture intorno al 295 a.Cr.:
tra Roma e gli Italici del Nord, in La battaglia del Sentino. Atti del Convegno, Camerino - Sassoferrato
10-13 giugno 1998, Roma 2002, pp. 407-663); la mutuazione da Roma di lessico di carattere istituzionale

148

Anna Marinetti

contatto ancora prima, le condizioni di volont del contatto sono primariamente politiche ed economiche: pertanto il quadro storico nel senso pi
ampio che determina i contorni della transizione di lingua, dalle modalit del
contatto ai caratteri stessi della documentazione.
***
La base di partenza per lanalisi del contatto di lingue, dei fenomeni di
bilinguismo tra latino e lingue locali, e delle modalit della romanizzazione linguistica costituita di norma da fonti latine, sia storico-letterarie che
epigrafiche (in senso lato), che offrono unampia miniera di dati. In questa
situazione pu apparire di secondaria rilevanza la ricerca di possibili indizi
di transizione al latino a partire da fonti nelle lingue locali (mi riferisco ovviamente ai casi di lingue che non siano a loro volta equiparabili al latino per
diffusione, prestigio e importanza storica, come ad esempio il greco). Tuttavia non si tratta solo di una oggettiva disparit quantitativa: i due approcci
(partenza dal latino vs. partenza dalle lingue locali) si differenziano anche per la ricaduta dellanalisi, e per gli obiettivi sottostanti allindagine.
Nellutilizzo delle fonti latine prevale linteresse per la descrizione dei fenomeni linguistici della transizione, in una prospettiva pi orizzontale di
ricerca di dati generalizzabili. Sullo sfondo, anche se non direttamente richiamata, permane a mio avviso una questione a cui la linguistica storica molto
sensibile, e cio la transizione dal latino ai volgari; in maniera pi o meno
esplicita la romanizzazione linguistica si pone come un fenomeno da considerare non solo in s, ma anche perch possibile modello di uno stadio di crisi
linguistica del territorio italiano, un modello parallelo anche se speculare
un aggregarsi vs. disgregarsi rispetto a quanto avviene nello stadio di
crisi costituito dalla transizione dal latino ai volgari. Si indaga cio se, semplificando alleccesso ed astraendo dalla natura delle lingue in gioco, si possano rintracciare nei trapassi dalla variet allunit (prima), e dallunit alla
variet (dopo), analoghi meccanismi processuali secondo un possibile modello generale di cambio linguistico, o, ancora, se si possa rintracciare una continuit di precondizioni o sollecitazioni dovute alla specificit dellarea considerata (incluse, ad esempio, le questioni relative ai cosiddetti sostrati).
Lindagine sulle fonti locali parte da premesse molto diverse, e mi pare
diverga anche nelle finalit o quanto meno nellutilizzo dei risultati. Scontata la dimensione quantitativa, di gran lunga inferiore rispetto alle fonti
latine, vi sono altri condizionamenti: la diversit delle situazioni locali (nelle
premesse culturali e nel processo storico di romanizzazione); i caratteri e
(magistrature, etc.) con abbandono delle forme locali (A.L. Prosdocimi, Studi sullitalico, SE s. III 48,
1980, pp. 187-249); etc.

Aspetti della romanizzazione linguistica nella Cisalpina orientale

149

i limiti delle fonti stesse connessi alla natura del medium quasi esclusivamente epigrafico; la variet delle basi linguistiche di partenza. E inoltre, gli
apporti delle fonti locali sembrano piuttosto indirizzati ad una lettura verticale, maggiormente focalizzata sulle singole aree / culture, quale contributo
per delineare il processo storico di romanizzazione relativo alle aree / culture
stesse. Si tratta forse di una differenza inevitabile, date le premesse per nulla paritetiche. Il processo di romanizzazione si innesta su una base di realt
linguistiche precedenti; da tenere presente che lItalia prima di Roma si
presenta come una realt estremamente variata nella consistenza etnica, linguistica e culturale dei suoi abitanti: dal sud profondamente grecizzato alla
presenza etrusca col suo peso culturale; dalle popolazioni dellItalia centrale
(propriamente italiche) in costante oscillazione tra fasi di autonomie e momenti di federalismo, attratte da questi due poli letrusco e il greco culturalmente forti, ma provviste di proprie solide tradizioni; fino alle popolazioni del nord, su cui la tradizione antica appare molto pi avara, e che per
esse delinea al pi una nebulosa condizione para-barbarica. La situazione
di partenza, gi allinsegna di una costitutiva variet della penisola italiana,
conosce poi unevoluzione per fasi progressive, una trasformazione non simultanea ma scalata secondo una progressione spaziale (irradiazione da un
centro), e una progressione temporale lungo diversi secoli, con dinamiche
storiche variate e complesse.
Alla complessit storica multidimensionale del fenomeno romanizzazione si affianca la coscienza dei limiti delle fonti, per quanto riguarda la possibilit di attingere i riflessi linguistici della romanizzazione stessa dal materiale a disposizione. Circoscrivo qui a quanto ho definito fonti locali; si tratta
in sostanza di testi nelle lingue locali, di natura esclusivamente epigrafica,
poco numerose e, mediamente, di livello qualitativo modesto, nel senso di
testi funzionalmente delimitati (iscrizioni funerarie e votive, rare iscrizioni di
carattere pubblico) e contenutisticamente abbastanza poveri; un capitolo a
parte, che qui non il caso di aprire, andrebbe rivolto allesplorazione nel
campo dellonomastica (antroponimia, toponomastica), che necessita di un
inquadramento specificamente indirizzato alla peculiarit del dato onomastico, per sua natura insieme partecipe e distinto dai caratteri della lingua.
Un dato evidente la relativa scarsit dei dati epigrafici locali che ci
trasmettono direttamente indizi o prove del processo di romanizzazione; vi
una scarsit oggettiva dovuta alla casualit del ritrovamento, ma ancora
pi significativa di questa la quantificazione che si ricava da una proporzione generale, nei diversi corpora, tra i documenti con segni di romanizzazione
rispetto ai documenti propriamente locali; lattestazione del trapasso di lingua, considerata anche solo lamplitudine cronologica del processo, non
statisticamente proporzionale neppure alla lontana rispetto a quanto docu-

150

Anna Marinetti

menta da un lato la fase precedente, e dallaltro la fase in cui gi avvenuta la romanizzazione. La contrazione dei dati rispetto alla presumibile realt
dei fatti consegue allideologia in cui, coscientemente o meno, vissuto il
cambio di lingua, e ci in relazione non alla comunicazione normale, ma alla
fissazione di lingua in un testo, tanto pi nel caso del testo epigrafico. Nel
momento della fissazione di un testo nello scritto, si presuppone sempre un
livello di acculturazione alto (proporzionato alle aree di base), e uno stretto controllo del medium linguistico; pertanto inevitabile, ed normale meccanica sociolinguistica, una polarizzazione verso un modello di riferimento,
dal momento che lo scritto riflette una norma-modello, e che laffiorare di
quanto scarta dalla norma leccezione, non la regola. Si deve quindi ricordare, nellattribuire un peso ai dati a disposizione, che la documentazione
non prodotta in parallelo alla storia linguistica, non ne un riflesso fedele,
seppur parziale, ma tuttal pi un riflesso mediato; in maniera altrettanto
mediata, cio inquadrando il testo nelle motivazioni singole di produzione,
deve essere colto il senso delleventuale indizio di transizione.
Un testo qualsiasi testo il prodotto di una situazione comunicativa
che concorre, tramite il mezzo della lingua, alla sua realizzazione; il fatto che
chi produce e chi riceve un testo condividano, oltre che lo stesso codice lingua, una certa conoscenza del mondo nei suoi tratti generali e in fatti specifici dipendenti dalla comune base culturale consente di non dover esplicitare sempre tutte le informazioni. I contenuti della comunicazione infatti
solo in parte vengono veicolati dal testo di lingua; per unaltra parte vengono
dedotti, in quanto impliciti nello stesso; per unaltra parte ancora si fondano sulle conoscenze extralinguistiche (situazione socioculturale, presupposti
contestuali, etc.). Ci significa che, qualora la situazione enunciativa non sia
condivisa, ai fini dellinterpretazione deve essere recuperata nei suoi diversi
fattori (dalla intelligibilit della lingua alle conoscenze extralinguistiche).
Rapportando i presupposti generali ai testi di cui parliamo, spesso il livello delle nostre conoscenze, a partire dalla lingua stessa, consente solo un
recupero parziale della situazione comunicativa, il che pone una limitazione
allinterpretazione e in definitiva alla significativit di un testo. Come pure,
ma in prospettiva linguistica o sociolinguistica pi che storica, va valutata
la significativit nel caso di testi singoli cio non riconducibili ad una reiterata tipologia di produzione testuale ma prodotto di situazioni specifiche
per non estendere automaticamente ad una situazione sociolinguistica generalizzata fenomeni di lingua dovuti a singole contingenze. Per esemplificare, i casi delle ghiande missili venetico-latine con la menzione degli Opiter-

CIL IX 6086,30; 6086,45.

Aspetti della romanizzazione linguistica nella Cisalpina orientale

151

gini nellassedio di Ascoli, o liscrizione venetica rinvenuta nellAquilano, ci


dicono molto sul piano storico dei rapporti tra Veneti e Roma, ma nulla della
situazione sociolinguistica di Opitergium, o di quella della (sconosciuta) zona di provenienza dellestensore delliscrizione. Diversa la significativit sociolinguistica di trenta iscrizioni funerarie venetico-latine di Este, in cui per
contro limportanza avvenimentale irrilevante.
***
Dopo questa premessa generale, finalizzata soprattutto a porre in evidenza i limiti entro i quali si possono attingere dati dalle epigrafie locali, restringer il mio contributo ad alcuni aspetti pertinenti allarea orientale della Cisalpina, la Venetia. Va innanzitutto rilevato che, sulla esigua scorta dei dati
di cui disponiamo, sul versante della lingua la Cisalpina presenta reazioni
diversificate se non contrastanti allavvento della romanizzazione. Ci ricalca la diversit del rapportarsi politico nei confronti di Roma: allatteggiamento conflittuale delle popolazioni celtiche nei confronti di Roma, alla loro
politica di espansione fino allItalia centrale, e cui fa seguito la resistenza alla
conquista romana della Cisalpina, si oppone la scelta dei Veneti, fedeli alleati
di Roma fin dal III secolo a.C., pronti allaiuto militare esterno e disposti ad
accogliere la presenza di Roma ai confini dei loro territori. Nei riflessi culturali e linguistici si rintracciano i riflessi di questa antitesi: alla tenace resistenza portata dai Celti alla nuova realt si contrappone da parte dei Veneti un
precoce e progressivo adeguamento al modello romano. Ipersemplificando
da quanto resta della documentazione si colgono due diversi modelli, anche
se non si pu escludere e ci fa parte dellalea del ritrovamento epigrafico
che la natura della documentazione che ci pervenuta esasperi questo contrasto di reazioni, estremizzando la resistenza da una parte e ladeguamento
dallaltra.
Per quanto riguarda la Cisalpina occidentale (area propriamente celtica,
anche se articolata e diversificata), manca, almeno a mia conoscenza, una indagine sistematica in prospettiva di romanizzazione, soprattutto nel raccordo
tra quanto possono restituire in questa direzione le iscrizioni locali (celtiche:
leponzie e galliche) e le iscrizioni latine, e pertanto i dati parziali di cui si
dispone possono essere deformanti della realt. Lassenza di una documentazione che porti traccia della modalit di transizione, del tipo di quella chiaramente percepibile nel Veneto (Venetorum angulus), pu essere gi consi A. La Regina, I Sanniti, in Italia omnium terrarum parens, ed. G. Pugliese Carratelli, Milano
1989, pp. 299-432 (spec.: I Veneti nella guerra sociale, pp. 429-430).
Su queste v. la recente rassegna di P. Solinas, Il celtico in Italia, SE s. III 60 (1994), pp. 311408.

152

Anna Marinetti

derata significativa del diverso atteggiamento di questarea; ma, oltre al dato


negativo, vi sono altri segnali a mio avviso ben chiari; il caso delliscrizione
di Briona (Novara) che ha menzione di un personaggio con patronimico
locale (Tanotalikno-), ma identificato come Kvitos lekatos (Quintus legatus);
questo dato, che colloca a pieno clima di romanizzazione, contrasta con la
tradizione locale mantenuta a tutti i livelli, dalla grafia, alla lingua, al formulario, allonomastica degli altri personaggi: la romanit presente in forma
non casuale (il fatto che un personaggio locale possa fregiarsi del titolo di
legatus ha un rilievo di tipo pubblico e istituzionale), ma non emerge in vesti
di lingua.
Altro caso sintomatico mi sembra rappresentato dalliscrizione bilingue di
Vercelli, che porta uno stesso testo (= contenuto), in grafia e lingua celtica
e in grafia e lingua latina, relativo alla definizione di confini sacrali: qui pu
essere celtico lo sfondo ideologico-religioso, ma la presenza istituzionale,
nella regolamentazione di questioni confinarie, romana. In termini quasi
paradossali, la bilingue, nello stesso tempo che manifesta una situazione di
biculturalit e connesso bilinguismo, fa trasparire anche la divisione dei due
mondi; detto in altra parole: affiancare in una iscrizione pubblica celtico e
latino pu significare che non si vuole o non ci si pu limitare a comunicare attraverso una delle due lingue / culture: non solamente con quella locale, a causa della presenza gi istituzionalizzata di Roma, e non solamente
con quella di Roma, perch non vi stata (ancora) unassimilazione reale o
ideologica adeguata.
I due casi citati potrebbero sembrare insufficienti come indicativi della resistenza, e potrebbero forse anche essere letti in chiave diversa, se non ci fosse comunque per quanto riguarda i Celti un retroterra pi generalizzato,
anche se articolato nella base, che sembra tendere alla differenziazione del
modello dominante. Senza arrivare a una casistica lontana, come la produzione delle iscrizioni celtiberiche in unIberia che gi conosce la realt romana in varie forme, da ultimo militari, o luso dellalfabeto greco nella Gallia
M.

Lejeune, Recueil des inscription gauloises, II.1, Paris 1988, E-1; Solinas, Il celtico, n. 140.
qui la bibliografia ormai vastissima sulliscrizione di Vercelli, nei suoi aspetti linguistici,
storici e giuridici; per il testo rimando alledizione di Lejeune, Recueil, E-2 (cfr. anche Solinas, Il
celtico, n. 141). Attorno a questo testo e al suo contesto ideologico, cultuale e giuridico annunciato
un Convegno di studi che si terr a Vercelli nel maggio 2008.
Non pare possibile in ogni caso generalizzare un modello di comportamento delle popolazioni
celtiche rispetto alla romanizzazione linguistica, neppure mediante il confronto con la situazione transalpina. Come sottolinea M. Christol (Romanisation et hritage celtique. Lintegration sociale. Lapport
de lpigraphie, in Celtes et Gaulois, lArchologie face lHistoire. 5. La romanisation et la question de
lhritage celtique, Actes de la Table Ronde de Lausanne 17-18 juin 2005, Glux-en-Glenne 2006, pp. 5165) le fonti epigrafiche (latine) riflettono al proposito una situazione eterogenea, per quantit e qualit,
in relazione alle diverse aree delle Gallie.
Ometto

Aspetti della romanizzazione linguistica nella Cisalpina orientale

153

Narbonense, anche qui, gi in presenza di Roma, si pu ricordare laspetto della monetazione cosiddetta leponzia: in questa monetazione, che di
fatto si estende dalle foci del Rodano al Noricum, la questione centrata
sulluso di una grafia, nelle legende, per la quale si recupera lalfabeto leponzio come modo di autorappresentare la celticit, in opposizione alle grafie di
riferimento, pur disponibili (il greco per le foci del Rodano, il venetico per
il Noricum): insieme affermazione di autoidentit e di opposizione allesterno. Si tratta di fatti alfabetici, e non di lingua, ma che hanno un valore pi
generale, quasi prototipico: sia perch loggetto iscritto di per s, come gi
detto, prodotto di un livello non banale di acculturazione; sia perch lalfabeto un aspetto rilevante nelle culture di queste aree, e ladozione, luso
e labbandono di una grafia una scelta indicativa nei confronti di modelli
culturali (e non solo: anche politici, economici, etc.). Se anche la Cisalpina
celtica ha dovuto, per forza di cose, conoscere un processo di romanizzazione linguistica graduale, questo non assume manifestazioni esterne evidenti;
ne dovremmo presumere che, a differenza del Veneto, sia stato pi subto
che voluto, in una forma analoga (e in dipendenza) a quanto accaduto per
la romanizzazione politica.
Nel Veneto10 la romanizzazione sub specie della lingua stata osservata in
particolare sulla scorta di un ampio stock di iscrizioni funerarie che vanno
dal III al I secolo a.C., in massima parte da Este11: qui lavverarsi della transizione si pu seguire nella graduale sostituzione ai diversi livelli della lingua
degli elementi locali con i corrispondenti latini. Il cambiamento facilmente individuabile nei caratteri esterni, dallalfabeto alla struttura della formula
onomastica, alle basi onomastiche; meno evidente invece il mutamento di
codice, vuoi per la limitata rappresentativit dei testi, in prevalenza costituiti

Cfr. A. Marinetti - A.L. Prosdocimi, Le legende monetali in alfabeto leponzio, in Numismatica e


archeologia del celtismo padano. Atti del convegno internazionale, Saint-Vincent 8-9 settembre 1989, Aosta
1994, pp. 23-48; A. Marinetti - A.L. Prosdocimi - P. Solinas, Il celtico e le legende monetali in alfabeto
leponzio, in I Leponti e la moneta. Atti della Giornata di studio, Locarno 16 novembre 1996, Locarno
2000, pp. 71-119.
10Per le iscrizioni venetiche ledizione di riferimento G.B. Pellegrini - A.L. Prosdocimi, La lingua venetica, I-II, Padova - Firenze 1967: a questa si riferiscono le sigle delle iscrizioni presenti in testo;
pi orientato agli aspetti linguistici che epigrafici M. Lejeune, Manuel de la langue vnte, Heidelberg
1974. Un lavoro di insieme dovuto ad A.L. Prosdocimi in G. Fogolari - A.L. Prosdocimi, I Veneti
antichi. Lingua e cultura, Padova 1988; per aggiornamenti v. A. Marinetti, Il venetico. Bilancio e prospettive, in Variet e continuit nella storia linguistica del Veneto. Atti del Convegno della Societ Italiana
di Glottologia, Padova-Venezia 3-5 ottobre 1996, Roma 1998, pp. 49-99; inoltre le rassegne che periodicamente compaiono nella Rivista di Epigrafia Italica, sezione di Studi Etruschi: A. Marinetti,
Iscrizioni venetiche. Aggiornamento 1988-1998, SE s. III 63 (1999), pp. 461-476; Venetico: rassegna di
nuove iscrizioni (Este, Altino, Auronzo, S. Vito, Asolo), SE s. III 70 (2004), pp. 389-408.
11 M. Lejeune, Ateste lheure de la romanization. tude anthroponymique, Firenze 1978.

154

Anna Marinetti

da semplice onomastica, vuoi per la coincidenza, a volte notevole, dei tratti


linguistici fonetici, morfologici, lessicali tra la lingua locale, il venetico,
e il latino. Questa prossimit tra venetico e latino prossimit strutturale e
non conseguenza di contatti che si riconosce sempre pi solida con il prosieguo dei ritrovamenti di testi venetici, gi stata invocata12 quale possibile fattore positivo nellaccoglimento da parte dei Veneti del latino, avvertito
forse non troppo lontano o non troppo estraneo alla base locale.
Il caso di Este stato magistralmente indagato da M. Lejeune13 soprattutto per laspetto onomastico, e non vi molto da aggiungere; eventualmente, come gi a suo tempo rilevato14, pu essere opportuno un ulteriore
approfondimento nellaspetto pi propriamente istituzionale delle premesse e conseguenze del trapasso dellonomastica; la recente edizione del complesso della necropoli di Villa Benvenuti15 ha portato a revisioni e correzioni in alcune letture, ma il quadro generale rimane immutato: la documentazione riflette la gradualit del processo di integrazione, che non mostra salti
ma un progressivo avvicinamento al mondo romano. La volont di integrazione di carattere sociale percepibile nel cambio onomastico pare inoltre affiancarsi ad una equilibrata acquisizione di aspetti culturali, senza che
ci comporti il rifiuto della tradizione locale; in questo senso pu essere
significativa la testimonianza di uniscrizione votiva proveniente dal pi importante luogo di culto atestino, la stipe della dea Reitia. Liscrizione16, una
tavoletta alfabetica bigrafe e bilingue, non solo mantiene i rispettivi canoni
venetico e latino del formulario votivo (vdan donasto / votum solvit
libens merito), ma traspone lesercizio alfabetico di tradizione venetica
elemento caratteristico delle tavolette alfabetiche atestine mediante un
esercizio alfabetico in uso a Roma, diverso per natura dellesercizio stesso, ma corrispondente nella funzione di mezzo per lapprendimento della
scrittura.
Il caso di Este un unicum per quantit e qualit nella concentrazione,
e per omogeneit della documentazione. Altre realt, non meno importanti dal punto di vista politico, offrono dati scarsi o nulli: il caso di Padova ove, fatta eccezione per una bellissima stele funeraria di tradizione locale

12

Prosdocimi, I Veneti antichi, spec. pp. 419-420.


Lejeune, Ateste
14 A.L. Prosdocimi, Tra indeuropeo ricostruito e storicit italica. Un dossier per il venetico, in Este e la
civilt paleoveneta a cento anni dalle prime scoperte. Atti del XI Convegno di Studi Etruschi ed Italici, Este
- Padova 27 giugno - 1 luglio 1976), Firenze 1980, pp. 213-281.
15 L. Capuis - A.M. Chieco Bianchi, Este. II. La necropoli di villa Benvenuti, Roma 2006.
16 Pellegrini - Prosdocimi, La lingua, Es 27; cfr. Prosdocimi, in pi sedi: per tutte I Veneti
antichi, pp. 271-274.
13

Aspetti della romanizzazione linguistica nella Cisalpina orientale

155

con iscrizione mista latino-venetica17 (e di un modesto, ma significativo,


bollo bigrafe-bilingue con marchio di produzione18), la transizione non ha
riscontri nellepigrafia locale. In linea di massima, tuttavia, quanto emerge
dalle iscrizioni della fase di romanizzazione pare confermare anche per altre
aree del Veneto la stessa disposizione allintegrazione, rilevata con evidenza
ad Este: sia nelle iscrizioni funerarie di Montebelluna, sia negli ex voto del
santuario di Lagole, la progressione dalla cultura locale a quella di Roma si
percepisce senza fratture o discontinuit.
Rispetto alla casistica sopra citata, gi ampiamente nota, mi soffermo su
due casi documentali, di acquisizione pi recente.
Il primo pertiene alla fase pi tarda della cultura veneta di Altino, sito che,
gi ampiamente documentato come centro romano di primaria importanza,
negli ultimi decenni ha progressivamente restituito elementi che consentono
di delineare una solida configurazione anche nella fase paleoveneta, a partire
dal IX-VIII sec.a.C.19 Una delle sepolture (tomba n. 1) della necropoli in localit Fornasotti20 raccoglie numerose deposizioni (tredici ossuari) scalate tra
la seconda met del II secolo e la prima met del I secolo. Su una parte dei
materiali di corredo (due coperchi di ossuari, due brocche e coppe) si trovano epitaffi in scrittura e lingua venetica; si tratta di dieci iscrizioni, in parte
frammentarie, con forme onomastiche pertinenti ad uno stesso gruppo familiare, in cui ricorre il medesimo appositivo (in varianti grafiche) Pan(n)ario-:
Pletuvei Panarioi ego; -[... P]anarioi e[go; ... P]annarioi ego; Iantai Pannariai
O-tna[i; Iantai Pa[nnariai O]-tnai; ...Pan(n)]ari-i ego; ......Pannariai [O-]tnai.
Sulla base dei dati ricavabili dal complesso tombale, le iscrizioni attribuiscono lo stesso appositivo da un minimo di tre individui (ipotesi pi verosimile)
a un massimo di cinque, in un torno di tempo limitato ma comunque scalato
in alcune decine di anni, e pertanto apparentemente non nella medesima generazione.
Luso del nome appositivo in questi termini, ossia riferito ad individui diversi di diverse generazioni, non rientra nella normalit per quanto riguarda
17Nelliscrizione, in grafia latina, [m.galle]ni.m.f.ostialae.gallen/iaeeqvpetars (LV Pa 6) si
riconosce linnesto di forme latine (la grafia, la formula onomastica maschile) su una base di carattere
locale (il formulario venetico con ekupetaris, designazione del monumento funebre, il nome del personaggio femminile, Ostiala).
18 A. Marinetti - A.L. Prosdocimi, Lingua e scrittura. Epigrafia e lingua venetica nella Padova preromana, in La citt invisibile. Padova preromana. Trentanni di scavi e ricerche, Bologna 2005, pp. 32-47.
19 M. Tirelli, Altino (VE): la prima fondazione sulla laguna, in Aa.Vv., I Veneti dai bei cavalli, Treviso
2003, p. 61.
20Per la descrizione e linquadramento delle tombe Fornasotti 1 e 7 cfr. G. Gambacurta, Aristocrazie venete altinati e ritualit funeraria in un orizzonte di cambiamento, in Vigilia di romanizzazione. Altino
e il Veneto Orientale tra II e I sec. a.C. Atti del Convegno, Venezia 2-3 dicembre 1997, edd. G. Cresci
Marrone - M. Tirelli, Roma 1999, pp. 97-120.

156

Anna Marinetti

la formula onomastica venetica, in cui lappositivo (aggettivo derivato con i


suffissi -io- al sud e -ko- al nord) ha generalmente funzione di patronimico;
lattribuzione dello stesso appositivo a pi individui, che la sepoltura comune circoscrive come gruppo familiare, sembra indicare una funzione dellappositivo come indice di continuit familiare, quindi di tipo (para)gentilizio,
che non in uso nel sistema venetico, almeno nella generalit dei casi21 risponde piuttosto ai principi della formula onomastica in uso a Roma.
In Pan(n)ario- riconoscibile il suffisso -ario-, che fa parte del patrimonio morfologico venetico (es. nom. Klutiaris con -is < -io- + -s; dat. Enopetiarioi); ma esso ben documentato anche nei gentilizi latini in -arius diffusi
tra Veneto, Istria e Dalmazia. La base Pan(n)o- non direttamente attestata
nel venetico, e fin da una prima evidenza rimanda ad una base lessicale latina, quella di pannus; in alternativa al latinismo, vi sono confronti arealmente prossimi ma non particolarmente stringenti, con forme come Panent-, di
area pi orientale (Dalmazia)22; una attribuzione orientale di Pan(n)ariopotrebbe trovare una solidariet nel nome individuale di una delle formule,
dat. Pletuvei, ricollegabile alla famiglia di Plaetor, Plator, Pletor (soprattutto diffusa in Istria e Dalmazia), anche se vi per Pletuvei un confronto nello
stesso territorio venetico, con lattestazione patavina (Pa 2; IV secolo) di Pledei. Complessivamente, lattribuzione potrebbe anche orientarsi verso una
veneticit con possibili collegamenti orientali, pienamente ammissibili vista
la caratterizzazione del Veneto orientale come area di transizione. Tuttavia,
la peculiarit della struttura onomastica presente in questo contesto, con un
(para)gentilizio pi aderente a modello romano che venetico, sollecita a considerare con maggiore attenzione la forma stessa dellappositivo Pan(n)ario-,
nei due aspetti della formazione e della base. In generale, per lonomastica, il
lessico significante presente alla base dei nomi ha una rilevanza solo secondaria: in questo caso, tuttavia, la prossimit cronologica ed areale di romanizzazione deve porre anche leventualit di un confronto con il latino pannus,
da cui lappositivo Pan(n)ario- potrebbe essere derivato; dovrebbe trattarsi,
in questo caso, di un latinismo, e non di una forma venetica parallela a quella latina, perch la trafila fonetica che porta a lat. panno- ben difficilmente
potrebbe essere ipotizzata esattamente negli stessi termini anche in venetico,
21Il mondo veneto in realt conosce per la formula onomastica una casistica molto varia, in cui
prevale il tipo binomio (nome individuale + appositivo in -io-/-ko-), ma sono presenti anche diverse
realizzazioni; tra queste vi sono situazioni in cui si pu configurare una forma di gentilizio, cio di
trasmissione onomastica familiare, come il caso degli Andeti di Padova; si parte tuttavia per il caso
patavino da premesse del tutto diverse, data la collocazione cronologica (a partire dal V secolo), oltre alla
specifica caratterizzazione di tipo quasi clanico di questo gruppo. Per forme e funzioni della formula
onomastica venetica cfr. Prosdocimi, I Veneti antichi; ivi anche la discussione del caso degli Andeti.
22Citate in J. Untermann, Die venetischen Personennamen, Wiesbaden 1961, pp. 104, 132-133.

Aspetti della romanizzazione linguistica nella Cisalpina orientale

157

nonostante la parentela genetica e laffinit strutturale delle due lingue. Per


quanto riguarda il suffisso -ario-, potrebbe riflettere la composizione in area
venetica (= suffisso venetico aggiunto alla base latina panno-), o risalire direttamente ad un -ario- latino (= base e suffisso latini). Se si accoglie la proposta
di un latinismo, vale a dire di un prestito lessicale dal latino al venetico, se ne
potrebbero trarre implicazioni sociali ed economiche: panno-, come latinismo, potrebbe indicare la presenza di unattivit commerciale, nellottica di
aspetti economici connessi alla romanizzazione23. Restituendo una plausibile
trafila per questa forma, potremmo postulare per Pan(n)ario- un valore originario di tipo cognominale derivato da unattivit economica, che resta poi
fissato nella formula onomastica e trasmesso appunto come para-gentilizio nellambito familiare.
Ad una prospettiva diversa da quella dellintegrazione sociale, riflessa come visto nelle iscrizioni del Veneto centrale e orientale, rimanda la documentazione che proviene dal comparto settentrionale alpino, in particolare dal
Cadore e dallarea dolomitica. Del tutto diversi peraltro sono i presupposti
che caratterizzano tale orizzonte geografico, a partire dalla base stessa di popolamento fino alle forme di insediamento ed alla loro consistenza. La presenza di scrittura e lingua venetica nellarco alpino orientale fino al Noricum
(valle della Gail) si spiega con lassunzione e la diffusione di modelli scrittori
e dei correlati modelli testuali provenienti dal Veneto di pianura; luso della
lingua venetica, associata a tali modelli, pare per configurarsi non tanto come espressione diretta della variet linguistica locale, quanto come medium
comunicativo condiviso da componenti diverse presenti nellarea. Non ci
dato di conoscere con precisione il quadro sociolinguistico delle zone in questione, in quanto la documentazione pervenutaci , come detto, esclusivamente venetica. peraltro riconoscibile la componente germanica nelle iscrizioni di Gurina, e soprattutto la presenza di popolazioni celtiche. Le iscrizioni di Lagole di Calalzo portano onomastica che, accanto a basi tipicamente
venete vede unalta percentuale di nomi almeno una met del totale riconducibili allonomastica celtica; lincidenza complessiva dei celtismi sul totale dei nomi troppo alta perch questa fenomenologia di presenza celtica
si possa semplicemente analogizzare con gli altri casi riscontrati nelle iscrizioni venetiche, ove si tratta di presenze celtiche accertate ma sporadiche. Gi la

23Potrebbe a pieno titolo rientrare in quella sfera di produzione e trasformazione del tessile, per
cui Altino gode di fama, a partire dalla lana altinate spesso citata nelle fonti. Per la questione rimando ai
contributi presenti nel volume Produzioni, merci e commerci in Altino preromana e romana. Atti del Convegno, Venezia 12-14 dicembre 2001, edd. G. Cresci Marrone - M. Tirelli, Roma 2003; in particolare,
per le fonti e per la situazione riflessa nelle iscrizioni latine, ad A. Buonopane, La produzione tessile ad
Altino: le fonti epigrafiche (pp. 285-297).

158

Anna Marinetti

sola statistica delle basi fa supporre che la composizione etnica sia mista, con
un elemento celtico non certo minoritario rispetto a quello veneto; in pi, il
Cadore porta il dato toponomastico, che risulta determinante, a partire dal
nome stesso derivato da un celtico *catubrigum24. Il dato toponomastico, rispetto allonomastica portata dalle epigrafi, ha un peso specifico superiore
per identificare la quantit e la qualit di un elemento alloetnico; mentre un
nome celtico non dice nulla sulla posizione sociale e linguistica di un individuo in rapporto alla comunit, un toponimo celtico presuppone la presenza
stabile di nuclei che parlano / parlavano la variet linguistica alla base del
toponimo, cio di Celti parlanti celtico. Il problema storico ampio, e comprende anche la questione delle modalit di arrivo e di insediamento del celtismo; in ogni caso la presenza documentale venetica va qui intesa come culturalit egemonica veneta rispetto ad un contesto antropico composito25.
Va sottolineata la natura delle fonti epigrafiche qui presenti: le iscrizioni
di carattere funerario sono scarse, e non hanno le caratteristiche di compattezza dei casi di Este e, in misura pi limitata, di Altino o Montebelluna.
invece ben rappresentata, di fatto ampiamente prevalente, la tipologia delle iscrizioni votive, provenienti dal santuario di Lagole di Calalzo26 e da un
altro luogo di culto recentemente scoperto ad Auronzo di Cadore (su cui
avanti). Oltre alla diversit intrinseca di funzione, si tratta anche di situazioni in cui gli indicatori derivanti dalle iscrizioni richiedono maggior attenzione, date le caratteristiche specifiche dei siti. Per fare un esempio, nel caso di
Lagole, al luogo di culto ed alle sue dimensioni non corrisponde una presenza di insediamento; ci facilmente comprensibile, sia perch la situazione
geografica locale non favorisce un incolato stabile (riconoscibile invece altri
siti dellarea dolomitica), sia per la sua caratterizzazione come santuario di
frontiera etnico-culturale27; se tuttavia la frequentazione del santuario non
legata ad un insediamento ma al transito28 o comunque a provenienza non
24Letimologia del nome Cadore stata trattata da G.B. Pellegrini, in pi sedi: per tutte si veda la
formulazione in Il Cadore preromano e le nuove iscrizioni di Valle, in Archivio Veneto s. V 101 (1974),
pp. 5-34.
25Su questi aspetti intervenuto, in pi sedi, A.L. Prosdocimi: cfr. I Veneti antichi; pi recentemente Luogo, ambiente e nascita delle rune: una proposta, in Aa.Vv., Letture dellEdda. Poesia e prosa,
Alessandria 2006, pp. 147-202.
26 A. Marinetti, Il venetico di Lagole, in Materiali preromani e romani del santuario di Lagole di Calalzo al Museo di Pieve di Cadore, edd. G. Fogolari - G. Gambacurta, Roma 2001, pp. 337-370.
27Su tale classificazione, allinterno di un quadro dellorganizzazione dei luoghi di culto in area veneta, cfr. L. Capuis, Per una geografia del sacro nel Veneto preromano, in Depositi votivi e culti dellItalia
antica dallet arcaica a quella tardo-repubblicana, edd. A. Comella - S. Mele, Bari 2005, pp. 507-516.
28I materiali di Lagole e la stessa onomastica delle iscrizioni indicano per il luogo di culto una
frequentazione quasi esclusivamente maschile, con una sicura componente di elementi legati allattivit
guerriera.

Aspetti della romanizzazione linguistica nella Cisalpina orientale

159

omogenea, qual il valore che va attribuito a riferimenti di carattere istituzionale che le iscrizioni trasmettono? Le nostre conoscenze degli assetti istituzionali, gi scarsissime per il Veneto centrale, sono qui totalmente assenti,
e dunque ad esempio in quale accezione socio-politica si deve intendere la
teuta comunit citata nelle iscrizioni di Lagole, considerato che neppure
per la Padova para-urbana molto meglio conosciuta nella sua consistenza
insediativa29 e territoriale in cui presente la teuta (v. avanti) riusciamo
con certezza a definirne i caratteri?
Riguardo al tema della romanizzazione, nuove prospettive si aprono ora
a seguito della scoperta di un santuario ad Auronzo di Cadore, in localit
Monte Calvario. Dopo una serie di ritrovamenti fortuiti, a partire dal 2001
stata intrapresa, da parte della Soprintendenza per i Beni Archeologici del
Veneto e sotto la direzione di Giovanna Gangemi, una sistematica campagna
di scavo; stata riportata alla luce unarea adibita ad attivit di culto, di cui
restano strutture murarie pertinenti a diverse fasi; larco cronologico del santuario si colloca tra la fine del II sec. a.C. e il IV sec. d.C. 30 Significativa
poi la posizione del luogo di culto a controllo di un tracciato viario, risalente
con ogni probabilit ad antiche et, che da Calalzo (e dunque dai nuclei di
insediamenti sparsi che la ricerca archeologica venuta evidenziando a Valle
di Cadore, a Pieve di Cadore, a Domegge e a Lozzo) giunge nella valle dellAnsiei per proseguire in direzione del Comelico e quindi alla volta della
valle della Gail, dove nella stipe di Gurina sono documentati oggetti votivi
affini a quelli rinvenuti a Lagole di Calalzo e a Monte Calvario di Auronzo31.
Tra i materiali votivi32 vi sono lamine e simpula di bronzo con iscrizioni
venetiche; le iscrizioni finora rinvenute, due delle quali inedite, sono costituite da dediche votive, che per molti aspetti trovano motivi di stretto collegamento con quelle del vicino santuario di Lagole di Calalzo; con le dediche
di Lagole condividono innanzitutto la tipologia dei supporti, lamine bronzee
quadrangolari a pelle di bue (caratteristiche del comparto veneto alpino e
orientale), e simpula usati per riti di libagione; la variet alfabetica quella
di Lagole, con una sola ma importante differenza (v. sotto); inoltre analoga
la realizzazione dei testi, redatti ad Auronzo secondo uno dei tipi formulari
29

Aa.Vv., La citt
ritrovamenti di Monte Calvario ha dato ampie notizie preliminari G. Gangemi, Lamine e
simpula dal Monte Calvario di Auronzo di Cadore (BL), in AKEO I tempi della scrittura. Veneti antichi:
alfabeti e documenti, Montebelluna 2002, p. 222; Ead., Il santuario in localit Monte Calvario di Auronzo
di Cadore (BL), in I Veneti dai bei, pp.100-102.
31 Gangemi, Lamine, p. 222.
32 attualmente in corso di allestimento ad Auronzo il Museo Archeologico, nelle cui sale troveranno collocazione i reperti del santuario, ora in corso di studio da parte di G. Gangemi.
30Dei

160

Anna Marinetti

presenti a Lagole, caratterizzato dalla selezione lessicale del verbo votivo nella forma toler, offr (non altrove attestato), e dallesplicitazione delloggetto donom. Cos pure ricorrono basi antroponimiche gi note a Lagole.
Riporto qui la trascrizione (diplomatica e interpretativa) delle iscrizioni
gi pubblicate33:
(lamine)
1) ]o.m.ma.i.s.terato.r.fo.s./fo.u.vatole.r./<II//
don]om Maisteratorbos Fouva toler
2) zono.m.mai.s.terator.fo.s./.o.s.t.i.s.to[
donom Maisteratorbos Ostis to[ler?
3) ?]ve.i.s.?.t[ /
]ato?/?[
?]veis...t[........../...........]a to[ler?
(coppetta di simpulo)
4) (a) ]toter
(b) ?p- -is
(a) ]toler (?)// (b)?pu--is
(manico di simpulo)
5) turicotriticonico.smai.s.terato.r.fos
Turijo Tritijonijos Maisteratorbos

Le dediche di Auronzo presentano per anche tratti esclusivi; una prima


caratterizzazione riguarda la scrittura.
Nelle iscrizioni usato il grafema con valore etimologico h ad indicare
[f], come a Lagole34, ma lo stesso segno rende anche il corrispondente di
-b- interno (desinenza di dativo plurale -ho.s. = -bos), che a Lagole e nel resto del venetico, per tutto il corso della documentazione, reso invece da f;
un aspetto che va puntualizzato tra usi grafici e attribuzione fonetica, ma la
motivazione di una scelta grafica diversa da quella rappresentata compattamente nellepigrafia venetica non pu essere individuata che in una frattura
di continuit, in circostanze in cui la tradizione non pi pienamente vitale,
ma ancora sufficientemente conosciuta per consentirne un recupero.
Una delle dediche ancora inedite mostra caratteri grafici anomali rispetto alluso venetico: lassenza di puntuazione sillabica, e la presenza di divisione interverbale mediante punti, estranea alluso venetico e invece usuale
33Le iscrizioni sono state esposte nel corso della mostra AKEO. I tempi della scrittura. Veneti
antichi: alfabeti e documenti (Montebelluna dicembre 2001 - maggio 2002), e pubblicate nel relativo
Catalogo: schede a cura di A. Marinetti in AKEO, pp. 222-225, nn. 46-49; cfr. anche Marinetti,
Venetico: rassegna, pp. 389-408.
34Il venetico per [f] usa di norma il digrafo vh; di norma, in quanto sono attestate anche altre
soluzioni, ad esempio a Padova il digrafo hv; possibile che anche la grande iscrizione su lamina bronzea
da Este, in grafia patavina, porti per [f] una grafia alternativa a vh.

Aspetti della romanizzazione linguistica nella Cisalpina orientale

161

nellepigrafia latina; una successione di segni della prima faccia, incomprensibile come sequenza venetica, acquisisce senso se letta in chiave latina, attribuendo cio alle forme grafiche il valore latino e non quello venetico; il
segno per -b- interna qui f, duso normale nel venetico, ma in contrasto con
le altre iscrizioni del luogo (v. sopra). Tutto ci sar approfondito in sede
di edizione del testo; per evidente da subito linterferenza con il latino
(quanto meno sul piano grafico, ma non escludo anche quello lessicale), in
una situazione tuttavia in cui la base della scrittura latina piuttosto che venetica. La spia dellinterpunzione mi pare significativa, in quanto linterpunzione risponde ad una logica grafica profondamente legata ad una specifica
tradizione scrittoria, pi ancora di quella che determina la foggia dei segni:
allopposto dei casi gi noti in cui in iscrizioni latine affiora la tradizione venetica della puntuazione sillabica, qui pare piuttosto che ci sia il tentativo di
innestare lalfabeto venetico in una consuetudine (divisione delle parole) di
tipo latino.
Non si tratta di un fenomeno limitato ad Auronzo: anche altrove in iscrizioni venetiche alpine vi sono fenomeni grafici che sembrano dipendere
da analoghe premesse35. In una delle iscrizioni di Gurina (valle della Gail),
gi richiamata sopra a proposito della pluralit di componenti etniche presenti nellarco alpino, culturalmente omologate allinsegna della scrittura e
lingua venetica, accertato che il grafo D ivi presente in valore latino e
non venetico; il valore venetico del grafo sarebbe [r], ma la sequenza in cui
compare (donasto = donavit) lo accerta senza alcun dubbio nel valore fonetico [d]; a questo aspetto, gi riconosciuto (Lejeune, Prosdocimi), si aggiunge
il fatto non sottolineato a sufficienza che liscrizione ha la puntuazione
sillabica venetica, ma (per una occorrenza in cui il punto non dovrebbe essere presente) tradisce anche la presenza dellinterpunzione interverbale latina,
evidentemente sottostante (e fattualmente precedente nella competenza dello scriba, o nella scuola: v. avanti).
Da Valle di Cadore, da un deposito forse pertinente ad un luogo di culto, proviene uniscrizione venetica (in trascrizione diplomatica: qvartio/
hvakios) con evidenti peculiarit grafiche e morfologiche; per attenerci alla
sola grafia, manca la puntuazione, presente il segno q, e [f] (Fakios) reso
con il digramma hv a differenza sia delluso venetico standard (vh), sia anche delluso locale (vedi a Lagole) che per [f] usa il solo h. particolarmente
significativo luso di q, dal momento che la grafia venetica consentiva senza
problemi la trascrizione di una sequenza fonetica [kw] mediante kv, per cui
non si pu invocare una carenza alfabetica nella resa fonetica di una forma

35Rimando

per i casi che seguono alla recente puntualizzazione di Prosdocimi, Luogo

162

Anna Marinetti

latina a giustificazione della presenza di q. Anche questo caso la grafia sembra indicare non un attardamento ma un recupero di forme grafiche venetiche sovrapposte su una base latina.
Il tutto va riportato alla pratica della scrittura nella prospettiva delle
scuole scrittorie36; in tutti questi casi vi certamente la conoscenza di diverse tradizioni scrittorie, ma la scuola promanante sembra essere principalmente quella romana; la tradizione venetica conosciuta e in qualche caso recuperata, ma non la base primaria.
Tornando ad Auronzo, prima di riconsiderare oltre alla grafia anche i contenuti occorre segnalare una particolare tipologia di documenti epigrafici,
costituita dalle monete sovrascritte. La sovrascrittura della moneta, fatto peraltro raro nel mondo romano, serve a certificare in via definitiva la valenza votiva assunta dalla moneta stessa a seguito della sua offerta, e impedire
cos che venga riutilizzata nella sua funzione originaria. Tra le monete rinvenute nel santuario vi un piccolo nucleo di cinque esemplari, tutti denari
dargento, in cui su una od entrambe le facce sono apposte iscrizioni latine
graffite. Ne anticipo qui la lettura, in attesa delledizione e dello studio numismatico e paleografico.
1) denario di et repubblicana (prima met I sec. a.Cr.)
Sul verso: graffito su due linee sovrapposte; scrittura capitale

mais/ter
2) denario di et repubblicana (prima met I sec. a.Cr.)
Sul verso: graffito lungo il bordo; scrittura corsiva

maistorator--3) denario di Augusto
Sul recto: graffito sopra leffigie; scrittura corsiva

m
Sul verso: graffito attorno al bordo e nella zona centrale; scrittura corsiva

maisto--a--4) denario di Tito
Sul recto: graffito ai lati delleffigie; i segni non sono leggibili: forse non sono alfabetici.
Sul verso: graffito su linee sovrapposte; scrittura corsiva; lettura incerta

mai/-o-/36La prospettiva della scuola come primaria nella trasmissione e nellapprendimento della scrittura stata sostenuta, in pi sedi, da A.L. Prosdocimi; una sintesi in M. Pandolfini - A.L. Prosdocimi,
Alfabetari e insegnamento della scrittura in Etruria e nellItalia antica, Firenze 1990, ripreso in Scritti
inediti e sparsi. Lingua, testi, storia, I, Padova 2004; pi recentemente, in A.L. Prosdocimi, Sulla scrittura
nellItalia antica, in Scrittura e scritture: le figure della lingua. Atti del Convegno SIG, Viterbo 28-30 ottobre
2004, in corso di stampa.

Aspetti della romanizzazione linguistica nella Cisalpina orientale

163

5) denario di Traiano
Sul recto: graffito a destra delleffigie; scrittura corsiva

tlm
Sul verso: graffito attorno alleffigie; scrittura corsiva

vslm

Le iscrizioni portano variazioni evidenti: 1) scrittura capitale / corsiva; 2)


alternanza fonetica (?) maistEr- / maistOr-; 3) formula con maist / formula
v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito). Mi limito qui per quanto concerne la scrittura a una breve considerazione. Dal punto di vista grafico, ad una prima lettura dei graffiti era stata considerata la possibilit di riconoscere nel tracciato
la permanenza di tratti locali, o addirittura di segni venetici; ora propendo
piuttosto per il pi cauto riconoscimento di un generico ductus corsivo latino: trattandosi di graffiti di pochi millimetri di dimensione tracciati su superfici irregolari, ovvio che non si possano trarre conclusioni sulla base di
piccole varianti dei segni. Richiamo tuttavia il fatto che tale ductus, nei suoi
tratti caratterizzanti, coincide per molti aspetti con la logica grafica della
scrittura venetica locale, a partire dalla a aperta con tratto obliquo, a l con
tratto obliquo, a t con tratto inclinato; altrimenti detto, la scrittura latina corsiva molto meno lontana dalla scrittura venetica di quanto non lo sia quella
latina capitale. Se ci possa avere (avuto) qualche significato per la transizione dellalfabeto, un aspetto che dovrebbe essere valutato sulla base di una
pi generale rassegna delluso della scrittura latina in area veneta.
La cronologia delle monete, scalata nel tempo, non com ovvio correlabile alla cronologia delle iscrizioni, se non come post quem; lusura delle
due monete repubblicane testimonia per esse una lunga circolazione, per cui
la loro sovrascritta non andrebbe comunque collocata prima della fase augustea; il termine certo dato dalla moneta pi tarda, che fissa loperazione
della sovrascrittura almeno fino allepoca di Traiano. Ma tranne in questultimo caso che ha la formula votiva latina negli altri, fino alla moneta di Tito, costante la presenza, spesso abbreviata, dello stesso nome che compare
nelle iscrizioni sopra riportate.
Nelle iscrizioni (e, abbreviata, nelle monete) presente la forma, fino ad
ora non attestata (dat. pl.), maisteratorbos. Nella logica delle dediche votive,
a priori da attendersi per il contesto generale e per la tipologia di oggetti su
cui queste si trovano, la forma al dativo dovrebbe identificare la divinit cui
destinata lofferta. A prescindere per il momento dal valore della base lessicale, ne consegue che dovrebbe trattarsi di un culto riferito non a una ma a
pi figure divine, designate con un nome / epiteto collettivo. Si tratta di una
circostanza non comune, ma neppure del tutto sconosciuta nel Veneto: senza
considerare i marginali Ahsus di Gurina e le incerte Matres di Asolo (per cui
non esclusa una proiezione, rispettivamente, germanica e celtica) abbiamo

164

Anna Marinetti

a Vicenza la testimonianza dei termonios deivos di confinari, a protezione


e garanzia di delimitazioni territoriali. Anche qui si tratta di una collettivit
di figure divine individuate mediante laggettivo che si riferisce al loro ambito di azione. Tra le due occorrenze sembrano per sussistere differenze sostanziali. Se il caso dei termonios deivos di Vicenza appare prossimo o forse
assimilabile a quella sfera di manifestazione del divino nota come Augenblicksgtter o di dellattimo, legata a contingenze specifiche e a interventi
funzionali, ad Auronzo pare di dover attribuire ai maisterator- una diversa
qualificazione sul piano teologico.
Dal punto di vista morfologico maisteratorbos il dativo plurale di un nome di agente in -tor- dalla base verbale maistera-; questa base trova una corrispondenza pressoch totale37 con il verbo attestato in latino come magisterare (Paolo ex Festo 113L: magisterare moderari; 139L: magisterare regere et
temperare est).
La semantica di lat. magisterare potrebbe far supporre per maisterator- un
riferimento a cariche di potere, a magistrati o figure assimilabili; dovrebbe trattarsi allora di destinatari umani, e non divini, delle dediche, quindi,
al massimo, dei beneficiari delle stesse. Ci appare poco verosimile per una
serie di ragioni: dalla ripetizione del nome in tutte le dediche, allassenza dei
nomi propri dei titolari della eventuale carica, allanomalia della presenza dei
beneficiari in assenza sistematica del teonimo, alla verosimiglianza generale
per cui in iscrizioni da santuario, e pertanto votive, la forma di dativo prioritariamente da interpretare come riferita alla divinit.
Tutto pertanto rimanda ad un inquadramento, per maisterator-, come
teonimo. Con quale valore, nellambito di una semantica corrispondente al
latino regere, moderari, temperare? Leventualit pi adeguata che si offre
per una sfera divina quella di divinit reggitrici = supreme o simili. Al
momento non disponiamo di precisi elementi per sostanziare una tale interpretazione. Resta il fatto che la nominazione delle divinit secondo un plurale collettivo non la norma nel Veneto, anche se non del tutto estranea.
Dobbiamo pertanto chiederci se nomi e carattere di tali divinit siano genuinamente locali, o non siano piuttosto da ricondurre ad una operazione di
adattamento in forme locali di ideologia e aspetti culturali romani.
37Una forma maister- rispetto a magister- pienamente spiegabile come risultato di una assimilazione; pu essere venetica, non solo perch esito fonetico naturale, ma anche perch il venetico probabilmente attesta il fenomeno in una iscrizione che ha meu per mego (A. Marinetti, Venetico 1976-1996.
Acquisizioni e prospettive, in Protostoria e storia del Venetorum angulus. Atti del Convegno di Studi
Etruschi ed italici, Portogruaro - Altino - Este - Adria 16-19 ottobre 1996, Firenze 1999, pp. 391-436); si
tratta tuttavia dello stesso esito che il latino presenta nelle lingue romanze (cfr. italiano maestro), e quindi
non per se stesso dirimente per lattribuzione; lo invece luso istituzionale per la base magister- che
va attribuita, in primo luogo, al latino.

Aspetti della romanizzazione linguistica nella Cisalpina orientale

165

Molti aspetti, anche non linguistici, del santuario di Auronzo sembrano


disporsi secondo questa trama prospettica, vale a dire di una veneticit
evidente nei tratti pi macroscopici (la scrittura, la lingua, il formulario, la
tipologia dei materiali votivi), che tuttavia si rivela in alcuni tratti anomala
o fuori schema nelle modalit di realizzazione. Come si visto, nelle iscrizioni vi sono tratti grafici che differenziano questa scrittura da tutto il resto del corpus venetico; vi sono contaminazioni grafiche tra venetico e latino
che sembrano trarre il punto di origine nella componente latina; i destinatari
divini delle iscrizioni in quanto collettivit non sono incompatibili con la
cultura locale ma non ne sono lespressione consueta, e il teonimo dal punto
di vista lessicale un prestito latino al pi trasposto in una forma fonetica
che pu essere compatibile con la fonetica locale presumibile per lepoca.
Dal punto di vista materiale, come ha sottolineato Giovanna Gangemi38,
presentando i due splendidi esemplari di dischi bronzei con la rappresentazione di una figura femminile e una maschile, mantenuta la tradizione
venetica dei dischi figurati, ma con peculiarit iconografiche fino ad ora
sconosciute; le lamine bronzee hanno la tipica foggia locale a pelle di bue
ma non hanno come invece hanno quelle di Lagole la figurazione centrale; etc.
La valutazione delle anomalie pu restituire una chiave interpretativa
con riflessi importanti non solo per Auronzo, ma per la storicit in generale
in area veneta. Linterferenza di elementi esterni si manifesta nel comparto
veneto alpino in maniera diversa dal Veneto di pianura, cui sembrano da attribuire quelle modalit di progressiva transizione esemplate nel caso di Este.
Nel nord, a una lettura superficiale il quadro sembra quello di una tradizione locale ancora forte e vitale, meglio conservata rispetto alla pianura, coerentemente con la sua posizione di area geografica periferica; un quadro in
cui, se laccoglimento di elementi esterni in una certa misura inevitabile, vi
comunque un grado di permeabilit inferiore rispetto ad un centro che
va rapidamente romanizzandosi. Ma scendendo pi in profondit, lanalisi
dei fenomeni osservati indirizza in una direzione diversa, ad una programmata volont di mantenimento della tradizione precedente, ribadita nei tratti
pi appariscenti ma che tradisce in dettagli apparentemente secondari una
regia esterna. La perifericit di queste aree geografiche tale solo se si
considera in funzione di un centro costituito dalle grandi realt venete di
pianura, Este, Padova e (con connotati diversi) Altino; se invece si valuta in
una prospettiva transnazionale, si tratta di aree strategiche per i collegamenti e il controllo del territorio sia verso il nord che, attraverso una viabilit
38 G. Gangemi, I dischi votivi del Monte Calvario di Auronzo di Cadore, in I Veneti dai bei cavalli,
p. 103.

166

Anna Marinetti

orizzontale che raccorda con larea friulana, verso lest; ci deve essere stato ben presente nella progettualit romana di espansione e consolidamento
territoriale. Non quindi priva di fondamento lipotesi che da parte romana
si siano utilizzate forme della cultura locale, attardate o recuperate da una
tradizione in declino ma ancora conosciuta, come mezzo per realizzare quel
complesso di comportamenti generalmente definito consenso.
In un recente lavoro A. Prosdocimi riprende il caso Auronzo in una
prospettiva in cui il venetico diventa la premessa allalfabeto runico39; in
quella sede, accogliendo per i maisterator- il valore di divinit reggitrici,
supreme di matrice romana, avanza per lidentificazione di queste figure
divine unipotesi di grande impatto, teologico ed ideologico: Quanto allapplicazione di un termine profano-magistratuale ad una realt divino-religiosa vi almeno un precedente a me noto ma certo ve ne saranno altri
a me ignoti e cio il modo in cui nominata la triade capitolina, come
inperatoribus summeis, nella cosiddetta lamina dei cuochi falischi Nella dedica di Faleri ci sono le premesse per la nominazione di divinit, nel
caso della triade capitolina, con un nome magistratuale, cio della sfera del
civile (militare) e non del divino e questa una premessa per inquadrare la eventualit che i ma(g)isterator- di Auronzo siano non magistrati ma i
(sommi) reggitori della triade capitolina, mascherata da un nome romano per una realt romana in un contesto locale cui era estranea40. Prosdocimi ricostruisce con ampiezza le circostanze in cui tale operazione pu
essere avvenuta, inquadrandola nello sfondo politico e ideologico della restaurazione augustea; in particolare mette laccento su un aspetto specifico
di questa restaurazione, che sarebbe la comunicazione che passa attraverso
lideologia della lingua intesa in senso ampio, cultura scrittoria compresa, e
che viene perseguita anche mediante il recupero / rifacimento antiquario di
tradizioni linguistiche desuete, ma in grado di veicolare segnali di identit
culturale. Lidentificazione delle divinit di Auronzo con la triade capitolina piuttosto che con altre figure divine41 sarebbe un contributo importante,

39

Prosdocimi, Luogo.
Prosdocimi, Luogo, pp. 170-173.
41In attesa di un bilancio complessivo da parte di G. Gangemi, che consentir una visione organica
dei caratteri del complesso santuariale, gli altri dati su cui pu poggiare unidentificazione dei destinatari
del culto vanno per ora presi con cautela; la frequentazione del santuario sulla base dei materiali presenta
una forte componente militare (Gangemi, Il santuario); le figurazioni sui due dischi bronzei altro
caso di innesti romani su tradizione locale sembrano rinviare a moduli iconografici dionisiaci (Gangemi, I dischi). Se si riprende il dato delliscrizione venetica da Valle di Cadore con dedica a Louderai
Kanei, letteralmente Libera-Fanciulla, in giunzione con le figurazioni di Auronzo, si profila la possibilit di un culto di connotazione misterica (la triade Cerere-Liber-Libera?). Il tutto naturalmente
per ora solo una ipotesi.
40

Aspetti della romanizzazione linguistica nella Cisalpina orientale

167

ma in fin dei conti un elemento accessorio rispetto al quadro generale.


Quanto va invece sottolineato che lorizzonte politico-ideologico posto da
Prosdocimi pare restituire un senso compiuto ai modi in cui veneticit e romanit si compenetrano e si manifestano nella documentazione epigrafica
locale, e che attraverso questa chiave di lettura che i dati assumono una
significativit non banale.
Con i casi di Auronzo e di Valle di Cadore, siano essi dovuti a continuit
o, come pensiamo, a voluto rifacimento, si intravede nel percorso della documentazione epigrafica locale lultimo atto del passaggio alla romanit. Dal
complesso dei dati si evince non molto di fattuale, quanto piuttosto una prospettiva ideologica, nellatteggiamento dei Veneti verso Roma e, forse, nella
politica di Roma verso i territori di nord-est, quanto meno verso una parte
di essi. Ci resta un quesito, che al momento non pu che configurarsi come
una pura ipotesi di lavoro, e cio se non sia possibile attingere dallepigrafia venetica anche elementi che rimandino al primo atto, ovvero alle forme iniziali del contatto tra Veneti e Roma. Non mi riferisco, ovviamente, ad
eventi specifici, su cui lo stesso quadro storico appare definito solo a partire
dallalleanza del 225 a.C.: com noto sulla possibilit di rapporti precedenti
i pareri degli storici sono contrastanti, a partire da quanto sarebbe (indirettamente) inferibile dalla notizia dellattacco di Veneti a territori gallici durante
lassedio di Roma da parte dei Galli Senoni di Brenno. Mi riferisco piuttosto
ad una penetrazione culturale, alla possibilit che realt storiche o culturali nel Veneto assumano forme pi o meno istituzionalizzate sulla scorta di
assetti promananti da Roma.
Un esempio per tutti42. Il mondo veneto mostra inequivocabilmente una
rilevante attenzione agli aspetti della delimitazione spaziale, che rende anche attraverso lesplicita sanzione in iscrizioni. Indirettamente potrebbero
esserne riflesso anche le testimonianze epigrafiche degli interventi proconsolari romani in Veneto, in funzione arbitrale di contese territoriali (confini
tra Atestini e Patavini, 141, e tra Atestini e Vicentini, 135); tuttavia alla met
del II secolo Roma gi solidamente presente nel nord-est, e la sua attenzione al territorio va correlata in primis alla politica di espansione viaria43: non
42 Altri forse se ne potrebbero fare; mi riferisco ad esempio alla possibile confluenza di una categoria socio-economica lessicalmente identificata nelle iscrizioni venetiche come (etimologico) signore del
cavallo in una classe sociale strutturata equestre, per influsso romano; di ci cenni in A. Marinetti,
Il signore del cavallo e i riflessi istituzionali dei dati di lingua. Venetico ekupetaris, in Produzioni, pp.
143-160.
43 G. Bandelli, La penetrazione romana e il controllo del territorio, in Tesori della Postumia. Archeologia e storia intorno ad una grande strada romana alle radici dellEuropa, Catalogo della Mostra, Milano
1998, pp. 147-155; Id., Roma e la Venetia orientale dalla guerra gallica (225-222 a.C.) alla guerra sociale
(91-87 a.C.), in Vigilia, pp. 285-301; Id, Considerazioni storiche sullurbanizzazione cisalpina di et

168

Anna Marinetti

pu essere casuale che il primo intervento sia indirizzato appunto ad assetti


territoriali.
Casi di delimitazione spaziale di ambito pubblico nel Veneto sono costituiti dai cippetti di Oderzo con sigla te, che linterpretazione a mio giudizio
preferibile rapporta alla pertinenza della comunit (teuta)44: uno spazio di
tipo pubblico o comunque definito da parte della istituzione sociale. Ci
confermato anche dalliscrizione patavina *Pa 14: il cippo opistografo segnala il confine (termon) di uno spazio sacro, lentollouki (entro del luco o
luco interno), anche in questo caso sotto il controllo e per iniziativa della
comunit, esplicitata nel verbo teuters posero pubblicamente, detto probabilmente di magistrati o simili. La valenza sacrale del confine, tema ben noto
nel mondo antico, come gi detto ribadita dalla testimonianza di uniscrizione vicentina *Vi 2, una dedica agli di dei confini (termonios deivos).
A questi esempi si aggiunge forse un altro, problematico testo. Premetto
subito che se per questo testo dovessimo pensare a un modello romano, si
dovrebbe presumere un contatto molto pi antico di quanto probabilmente
le nostre conoscenze ci consentano di ipotizzare; liscrizione almeno sulla
base della paleografia che al momento lunico elemento di datazione non
dovrebbe situarsi dopo il IV secolo. Tuttavia la cronologia delliscrizione potrebbe corrispondere con lepoca cui riferire la notizia di Polibio (II 18,3)
sullattacco dei Veneti ai territori gallici; secondo lo storico ci avviene in
concomitanza con lassedio di Roma; e dunque nei primi decenni del IV secolo. Si tratta di uniscrizione su lamina di bronzo rinvenuta a Este, che costituisce un testo eccezionale allinterno del corpus venetico, per lunghezza
e complessit45; il testo frammentario, mancano forme lessicali gi note,
mancano forme onomastiche riconoscibili; non n formulare n ripetitivo;
per tutte queste ragioni pone anche enormi difficolt interpretative. Si sono
ci nonostante riconosciute alcune sequenze: forme temporali, espressioni
del dare, riferimenti spaziali al territorio, probabili nomi di animali. Il senso generale concerne lo spazio; rapportando a questo concetto una verosimile funzione per uniscrizione certamente pubblica e ufficiale, potremmo
riconoscervi lespressione di una regolamentazione delluso del territorio,
nelle applicazioni di confinazione, distribuzione, sfruttamento. Il fatto che
liscrizione, trovata ad Este (anche se sottoposta a riutilizzi), sia in grafia di

repubblicana (283-39 a.C.), in Forme e tempi dellurbanizzazione nella Cisalpina (II secolo a.C. - I secolo
d.C.). Atti delle giornate di studio, Torino 4-6 maggio 2006, Torino 2007, pp. 15-28.
44 A. Marinetti, Nuove testimonianze venetiche da Oderzo (Treviso): elementi per un recupero della
confinazione pubblica, Quaderni di Archeologia del Veneto 4 (1988), pp. 341-347.
45Edizione e un primo commento al testo in Marinetti, Il venetico. Bilancio; un lavoro complessivo sul testo (Prosdocimi - Marinetti) in corso di elaborazione per la stampa.

Aspetti della romanizzazione linguistica nella Cisalpina orientale

169

Padova, potrebbe, in questa componente bilaterale, confermare la natura


di trattato.
I casi di iscrizioni venetiche attinenti ai confini o agli spazi possono essere
riconosciuti, come detto, quale segnale di una particolare attenzione da parte
dei Veneti alla delimitazione pubblica del territorio46; ma i precedenti istituzionali e testuali della resa per via epigrafica a quale origine vanno ricondotti? Certamente non va sottovalutata lEtruria come modello culturale primario, a partire dalla trasmissione alfabetica con il correlato portato di testualit
che accompagna linsegnamento della scrittura. Ma non da escludere che il
modello ideologico della sanzione confinaria vada ricercato a Roma; quanto
meno, mi sembra sia un tema che merita di essere approfondito.

46 A. Marinetti in G. Gambacurta - D. Locatelli - A. Marinetti - A. Ruta Serafini, Definizione


dello spazio e rituale funerario nel Veneto preromano, in Terminavit sepulcrum. I recinti funerari nelle
necropoli di Altino. Atti del Convegno, Venezia 3-4 dicembre 2003, Roma 2005, pp. 9-40.

I legami tra i popoli italici nelle Origines di Catone


tra consapevolezza etnica e ideologia
Cesare Letta

1. Tradizioni di etnogenesi delle popolazioni osco-umbre


Vorrei prendere le mosse dalle riflessioni che ho avuto modo di esporre
in un recente convegno tenutosi a Isernia nel marzo 2007. Nellesaminare il
patrimonio di tradizioni sulletnogenesi delle popolazioni dellItalia antica,
pur avvertendone il carattere composito, contraddittorio e pluristratificato,
sono giunto alla conclusione che in esse possa riconoscersi una rete di connessioni difficilmente casuale tra le popolazioni che la linguistica dellOttocento ci ha insegnato a designare complessivamente come osco-umbre. Si deve dunque ammettere che queste, nonostante i molteplici sforzi per cercare
anche altrove, e soprattutto nel mito greco, radici nobilitanti di singole etnie
o singole citt, che inevitabilmente resero pi frastagliato e contraddittorio il
quadro dinsieme, mantennero sempre una fondamentale consapevolezza dei
loro legami etnici reali.
Di questo si coglie uneco molto chiara nelle leggende di etnogenesi in
cui una discendenza, diretta o mediata, dai Sabini attestata praticamente
per tutte le popolazioni osco-umbre; e almeno nei casi meglio documentati si
pu ragionevolmente ritenere che si tratti di tradizioni anteriori alle sistemazioni operate dallannalistica e dallantiquaria a partire dal II sec. a.C.
Sono ben noti il ver sacrum dei Sanniti, con la catena Sabini - Sanniti - Lucani - Brettii a cui si agganciano anche Frentani, Irpini, Campani e Mamertini, e quello dei Picenti; ma lesistenza di tradizioni analoghe
si pu stabilire con certezza anche per Marsi, Ernici, Peligni e Marrucini,

 Linsediamento fortificato sannitico e sabellico, Isernia, 31 marzo 2007 (in margine alla terza edizione del Premio Internazionale di Archeologia I Sanniti, organizzato dai Rotary Club Alto Casertano,
Valle Caudina e Valle Telesina).
Strab. V 3,1,228.
Paul. Fest. p. 235 L., s.v. Picena regio.
Per Marsi ed Ernici v. Paul. Fest. p. 89 L.; Serv. Aen. VII 684 e Schol. Verg. Veron. Aen. VII 684
(cfr. ora anche liscrizione di Alatri, Suppl. It., n.s., 16, 1998, pp. 45 s., nr. 1, su cui v. Letta 2006). Per i
Peligni v. Ov. fast. III 95 s. Per Marsi e Marrucini v. Cato orig. fr. 53 P. (= II, 23 Ch.; 57 C.)

172

Cesare Letta

e qualche indizio si pu riconoscere anche per Volsci, Equi, Vestini e Pretuzzi.


Il quadro pu essere ora completato con la componente umbra, per lo
pi considerata estranea a queste tradizioni. In realt ritengo che finora tutti
(me compreso) abbiano frainteso il senso di un passo problematico di Dionigi di Alicarnasso, secondo il quale Zenodoto di Trezene affermava che gli
Umbri, popolo autoctono, dapprima abitavano nella regione detta Reatina;
di l, scacciati dai Pelasgi, giunsero nella terra dove abitano ora e cambiando il nome insieme al luogo, da Umbri vennero ridenominati Sabini. In
questa forma il testo inaccettabile, perch Zenodoto verrebbe a dire che
gli abitanti dellUmbria del suo tempo si chiamavano Sabini anzich Umbri.
indispensabile correggerlo: Zenodoto doveva dire che, giunti in Umbria,
questi migranti provenienti dalla zona di Reate da Sabini vennero ridenominati Umbri, e non viceversa.
Per Zenodoto, dunque, che scriveva probabilmente subito prima di Catone10, anche gli Umbri derivavano da una migrazione dei Sabini e questa tesi
potrebbe essere anche quella di Varrone e (senza lelemento pelasgo) dello
stesso Catone, come fa sospettare un passo in cui Plinio considera sabine le
citt umbre di Ravenna e Butrium11.
In pratica tutta larea occupata in et storica dalle popolazioni osco-umbre
risulta compresa in questa complessa rete di tradizioni etnogenetiche centrata sui Sabini, che al tempo di Catone sembra gi pienamente formata12.
Cfr.

D.H. II 49,4-5 (legame con la dea sabina Feronia).


De praenom., 1, cfr. D.H. II 48,3-4 (nome Modio, comune a un re degli Equicoli e al fondatore di
Cures).
Lucan. II 424 s.: Liris ... / Vestinis impulsus aquis; cfr. Letta 2006, 105, n. 75.
Cfr. le iscrizioni di Penna S. Andrea con safina tta e safnum nerf (Marinetti 1985, 215 s., TE 5;
220-222, TE 7; 217-219, TE 6).
D.H. II 49,1. Io stesso (Letta 1984, 433 e 438) ho discusso questo passo partendo dalla convinzione comune che Zenodoto considerasse i Sabini come discesi dagli Umbri.
10 Briquel 1984, 466 propone una datazione tra 180 e 60 a.C. (dopo Polibio ma prima di Varrone);
a 463, n. 22 ammette per che Zenodoto era forse gi noto a Catone: cos proponevo anchio (Letta
1984, 438). Anche per Abel 1972, 49-50 il terminus ante quem Varrone, ma quello post quem sarebbe
la dedica del tempio di Giove Statore nel 294 a.C.
11Plin. nat. III 20,115. Ora non credo pi che Catone polemizzasse con Zenodoto e ribaltasse il
rapporto da lui sostenuto tra Umbri e Sabini: credo piuttosto che Catone accogliesse la discendenza degli
Umbri dai Sabini sostenuta dallo storico di Trezene, limitandosi ad epurare il suo quadro dalla presenza
dei Pelasgi, incompatibile col suo assunto.
12 Il fatto che Pompeo Trogo - Giustino (XX 1,4), attingendo probabilmente a Timeo (cfr. Moretti
1952), colleghi agli Spartani non solo i Tarantini, ma anche Sabini, Sanniti, Lucani e Bruzi, presuppone
che Timeo conoscesse gi la catena che faceva derivare luno dallaltro questi quattro popoli. Questo implica che la tradizione sullorigine dei Sanniti da un ver sacrum dei Sabini sia anteriore alle varie tradizioni
che cercavano di collegare via via i Sanniti o gli stessi Sabini agli Spartani, il cui primo nucleo pu datarsi
gi negli ultimi decenni del IV sec. a.C. (cfr. Russo 2007).


I legami tra i popoli italici nelle Origines di Catone

173

2. I Sabini come fondamento dellunit italico-romana nelle Origines


Il quadro che ho sommariamente delineato aiuta a capire la scelta compiuta per motivi ideologici da Catone nelle Origines. Come ho cercato di dimostrare oltre ventanni fa13, scrivendo la sua opera storica allindomani della guerra annibalica, con la sua eredit di sospetti e rancori tra Roma e i suoi
alleati italici, e nel pieno della svolta imperialistica verso lOriente, Catone si
proponeva di rilanciare lidea di ununit italico-romana fondata soprattutto
sulla fides, sullausterit e sul valore guerriero e ne individu la radice proprio nei Sabini e nei loro mores.
Il fatto che potesse disporre da una parte della rete di tradizioni di cui
si detto, capace di ridurre a unit gran parte del variegato mondo italico,
e dallaltra delle saghe sulla presenza sabina nelle origini di Roma, certo gi
pienamente strutturate14, gli offr una soluzione semplice ed efficace: i Sabini
potevano costituire il collegamento tra la componente romana e quella italica
e divenire la chiave della sua dimostrazione15.
Per lassunto di Catone, teso ad esaltare questi mores che avevano fatto grande Roma e a mostrarne la superiorit sulla nova sapientia importata dalla Grecia ad opera di uomini politici senza scrupoli come Q. Marcio Filippo16, era
fondamentale rivendicare lassoluta originalit e autonomia dei mores sabini,
radicati nella terra Italia e del tutto immuni da influenze esterne. In altri termini, era fondamentale che i Sabini fossero presentati come un popolo autoctono.
Non insister qui sullargomento, perch credo di aver gi dimostrato che
appunto questa era la tesi sostenuta da Catone: per lui i Sabini discendevano
dalleponimo Sabus (o Sabinus), figlio del daivmwn ejpicwvrio~ Sancus, secondo la testimonianza di Dionigi di Alicarnasso, che attribuisce esplicitamente
ad altri la tesi di una loro origine spartana17. Il fatto che Servio dica Cato
autem et Gellius a Sabo Lacedaemonio trahere eos originem referunt, se non
una semplice svista del grammatico, pu solo significare che Catone citava la
tesi spartana per confutarla18.
13Cfr.

Letta 1984.
soprattutto Poucet 1967 e 1972.
15Secondo Chassignet 1987, 291 s., nella visione di Catone lunit dellItalia sarebbe data piuttosto
dalla comunit di sostrato (aborigeno, arcade, etrusco etc.); non una parola spesa sul ruolo dei Sabini,
nonostante lesplicita affermazione di Catone nel fr. 51 P: Sabinorum ... mores populum Romanum secutum ... Cato dicit; cfr. anche il fr. 76 P.: Italiae disciplina et vita ... Cato in originibus ... commemorat, col
termine quasi tecnico disciplina a indicare un organico patrimonio di mores.
16Cfr. Briscoe 1964; Petzold 1999; Brizzi 2001.
17D.H. II 49,2 (Cato orig. fr. 50 P. = II 21 Ch.; 58 C.).
18Serv. auct. Aen. VIII 638 (Cato orig. fr. 51 P. = II 22 Ch.; 59 C.); cfr. Letta 1984, 432-438. Alle
stesse conclusioni, oltre agli autori ricordati in Letta 1984, 432, n. 244, giungono ora anche MartnezPinna 1999, 104-106 e Mastrorosa 2004, 246.
14V.

174

Cesare Letta

3. Lapporto greco alle origini di Roma nelle Origines


In questottica vorrei riesaminare la posizione di Catone sul ruolo che gli
elementi greci (popoli migranti o singoli eroi fondatori) avrebbero avuto
nelle origini di popoli e citt dellItalia antica, e pi in particolare delle due
componenti dellunit che pi gli sta a cuore, Roma e lItalia osco-umbra.
3.1. Lautoctonia degli Aborigeni (frr. 5-6 P.)
Per Roma e il Lazio sottolineo che quasi certamente Catone considerava
autoctoni anche gli Aborigeni, per lui presenti anche nei territori poi occupati dai Sabini (fr. 50 P.) e dai Volsci (fr. 7 P.). Sebbene Dionigi di Alicarnasso, in un passo palesemente tendenzioso, invochi genericamente lautorit di Catone, accanto a quella di Sempronio Tuditano, per sostenere la loro
grecit19, Servio attesta chiaramente che Catone considerava gli Aborigeni
come i primi abitatori del Lazio e non come una popolazione immigrata, e
soprattutto che la presentazione che ne dava era stata poi ripresa da Sallustio
nel Bellum Catilinae, dove in effetti leggiamo: genus hominum agreste, sine
legibus, sine imperio, liberum atque solutum20. Questo significa che per Catone gli Aborigeni erano autoctoni e primitivi, secondo una linea che si pu
far risalire per lo meno a Nevio, che li definiva silvicolae homines bellique
inertes 21 e che probabilmente risale anche pi indietro22, scaturendo quasi
certamente dalla coniazione artificiale del nome in ambito romano a partire
dal nesso latino ab origine23.
19D.H.

I 11,6 (Cato orig. fr. 6 P. = I 4 Ch.; 8 C.).


Aen. I 6 (Cato orig. fr. 5 P. = I 6 Ch.; 6 C.): tamen Cato in Originibus hoc dicit, cuius auctoritatem Sallustius sequitur in bello Catilinae (Sall. Catil. 6,1 citato nel testo); cfr. Oniga 1995, 78 s. Per Stok
2004, 119 e n. 18 il riferimento alla dipendenza di Sallustio da Catone si limiterebbe allunione fra Troiani
e Aborigeni. In realt Servio non cita genericamente due fonti luna accanto allaltra, ma le pone luna
in dipendenza dallaltra: evidentemente, quando ancora si potevano leggere in parallelo sia Catone che
Sallustio, erano state notate convergenze significative tra i due testi su questo argomento. Ma poich nel
passo di Sallustio espressamente citato da Servio la descrizione degli Aborigeni si esaurisce in ununica
frase, il cui punto saliente proprio il loro carattere primitivo che esclude qualsiasi legame col mondo
civilizzato dei Greci, sembra impossibile che Servio (o la sua fonte) potesse parlare di dipendenza qualora
davvero Catone avesse sostenuto, come vorrebbe Dionigi di Alicarnasso, che gli Aborigeni erano Greci.
Non convince, pertanto la tesi di DAnna 1989, 238, secondo cui Sallustio dipenderebbe da Iperoco
(tramite Ateio Filologo) e ammetterebbe la grecit degli Aborigeni.
21Naev. fr. 21 Morel in Macr. Sat. VI 5,9; cfr. Pasoli 1974 e Godel 1978.
22La prima attestazione degli Aborigeni giunta fino a noi si ha in Callia, allinizio del III sec. a.C.
(FGrHist 564,5a in D.H. I 72,5). Si pu quindi supporre che la tradizione si sia formata gi nellultimo
terzo del IV sec. a.C. (v. Martnez-Pinna 1999, 97 s.), forse nellambito delle rappresentazioni teatrali,
il cui ruolo stato giustamente sottolineato da Wiseman 1998.
23Cfr. Golvers 1989; Martnez-Pinna 1999, 97.
20Serv.

I legami tra i popoli italici nelle Origines di Catone

175

Nel mio studio del 1984 non mi spingevo fino a rifiutare del tutto la testimonianza di Dionigi di Alicarnasso e ritenevo che Catone si fosse limitato a
ridimensionare la grecit degli Aborigeni che avrebbe trovato gi nelle sue
fonti e a marginalizzarne il ruolo nella formazione del popolo romano. Tra
laltro sottolineavo che, in base al fr. 19 P., gli Aborigeni di Catone non erano neppure in grado di parlare il greco24.
In realt le argomentazioni di J. Martnez-Pinna mi hanno convinto che
larruolamento di Catone tra i sostenitori della grecit degli Aborigeni sia
una manipolazione, o nel migliore dei casi una svista, di Dionigi, ossessionato dallesigenza di accumulare il maggior numero possibile di prove dellorigine greca di Roma25. La grecit degli Aborigeni molto probabilmente uno
sviluppo erudito posteriore a Catone, che sembra presupporre due passaggi
ulteriori: il loro accostamento ai Pelasgi in relazione a un oracolo di Dodona
fabbricato verso la met del II sec. a.C. e letimologia da errare proposta ancora pi tardi da Iperoco di Cuma26.
Per questo non mi sembra fondata linterpretazione proposta ultimamente dal Gotter, che accettando senza discussione la testimonianza di Dionigi
considera gli Aborigeni uninvenzione di Catone27.
3.2. Gli Arcadi di Evandro (fr. 19 P.)
In definitiva, lunica componente greca ammessa da Catone in relazione
alle origini di Roma resta quella degli Arcadi di Evandro, che per, come
avevo gi a suo tempo rilevato, avevano nelle Origines un ruolo del tutto
marginale, non partecipavano n alla fondazione di Roma n alla formazione

24Cfr. Letta 1984, 424-428. Accettano la testimonianza di Dionigi anche Richard 1983, 32; Traina
1993-1994, 622 s.
25 Martnez-Pinna 1999; cfr. anche Stok 2004, 120: Il silenzio di Servio [sullorigine greca degli
Aborigeni] costituisce, forse, un indizio a favore di quanti non credono alla testimonianza di Dionigi su
Catone. Molto probabilmente Dionigi non leggeva Catone direttamente, ma lo citava tramite Varrone
(v. ad esempio Ferenczy 1989, 357), e questo pu aver favorito un fraintendimento.
26 Martnez-Pinna 1999, 100-101, sulla base di Briquel 1984, 355 ss. Credo che Martnez-Pinna
abbia ragione anche nel considerare Iperoco posteriore a Catone e non sua fonte, come ipotizzavo in
Letta 1984, 427.
27 Gotter 2003, 128-132. Catone avrebbe inteso contrapporre alle saghe che fondavano le origini
greche di Roma su eroi come Ercole, Odisseo ed Evandro, offrendo cos appigli per le pretese genealogiche di singole gentes aristocratiche, una saga di sua invenzione, senza nomi di eroi, che in modo
egualitario, anonimo e collettivo riferisse lorigine greca allinsieme del popolo romano. Linterpretazione
mi sembra notevolmente forzata, soprattutto se si considera che altrove sia per Roma (Evandro, Enea),
sia per gli altri popoli del Lazio e dellItalia Catone non ha alcuna difficolt a fare i nomi degli eroi che
guidano migrazioni di popoli o fondano citt.

176

Cesare Letta

del popolo latino e non rappresentavano un elemento di continuit col presente, come invece Catone affermava per Aborigeni, Troiani e Sabini28.
Colpisce, del resto, il fatto che Servio, parlando della guerra italica contro
Enea, non parli affatto del ruolo avuto a fianco di Enea dagli Arcadi, nonostante il rilievo che Virgilio d ad Evandro e a suo figlio Pallante: lo Stok ne
ha dedotto, probabilmente a ragione, che nelle narrazioni storiche sulla
guerra utilizzate da Servio (cio in pratica in Catone) essi fossero del tutto
assenti29.
Quanto al ruolo civilizzatore che sembra assegnare loro Catone nel fr. 19
P., recentemente anche il Rochette ha ribadito che la testimonianza di Giovanni Lido non autorizza ad affermare che Catone considerasse il latino un
dialetto greco30. In particolare si deve riconoscere che il ragionamento su
Romolo che conosceva il greco deriva certamente da unaltra fonte31, perch esso strettamente connesso con letimologia di Quirinus da kuvrio~, nel
quadro di una teoria su Romolo tiranno che certamente deve risalire allannalistica pi recente32.
Segnalo infine che una notizia di possibile derivazione catoniana data da
Servio (Aen. VIII 285) potrebbe giustificare il sospetto che Catone contrapponesse unorigine puramente latina del sacerdozio romano dei Salii alla
pretesa origine arcadica sostenuta da altre fonti: habuerunt et Tusculani salios
ante Romanos. Alii dicunt Salium quendam Arcadem fuisse, qui Troianis iunctus hunc ludum in sacris instituerit... Il richiamo a Tusculum farebbe pensare
che la fonte della notizia fosse il tusculano Catone, e la precisazione ante Romanos sembra indicare che egli sostenesse una derivazione dei Salii romani da quelli tusculani, che forse contrapponeva alla tesi di una derivazione
arcadica ricordata subito dopo da Servio. Questultima potrebbe risalire a
Fabio Pittore, di cui sappiamo che attribuiva unorigine arcadica anche al
sacerdozio dei luperci33.
Se cos fosse, avremmo unulteriore conferma del fatto che Catone, pur
ammettendo la presenza di Arcadi nelle origini di Roma, cercava in tutti i
modi di circoscriverne il ruolo effettivo, fin quasi ad annullarlo.

28

Letta 1984, 428 s.


Stok 2004, 136-137 e 150.
30Lyd. mag. I 5 (Cato orig. fr. 19 P. = I 19 Ch.; 22 C.). Cfr. Rochette 1998. Scettico era anche Briquel 1984, 450 s.; cfr. anche Briquel 1988 e Letta 2007, 491 s.
31Probabilmente proprio Serv. Aen. I 292, come propone il Rochette, sottolineando che Giovanni
Lido mostra di conoscere bene e utilizzare spesso il commento allEneide.
32Cfr. Fraschetti 2002, 104-107.
33Cfr. Mavrogiannis 2003, 101 ss.
29

I legami tra i popoli italici nelle Origines di Catone

177

4. Lapporto greco alletnogenesi dellItalia nelle Origines


Per completare il quadro, occorre ora riesaminare sistematicamente tutti
i frammenti delle Origines che in qualsiasi forma parlano di elementi greci
nelle origini di altri popoli o citt dellItalia antica. Cercher di farlo il pi
sinteticamente possibile, per poi tentare di tracciare un bilancio e trarre delle conclusioni.
4.1. Pisa (fr. 45 P.)
Esaminiamo innanzi tutto i problemi testuali e interpretativi che pone la
testimonianza relativa alla posizione di Catone sulle origini di Pisa, che parte di una lunga sezione dedicata allargomento dal Servio Danielino34: Cato
originum, qui Pisas tenuerint ante adventum Etruscorum, negat sibi compertum, sed inveniri Tarchonem, Tyrrheno oriundum, postquam eorundem sermonem (codd. eurundem sermonum) ceperit, Pisas condidisse, cum ante regionem eandem Teutanes (codd. Teutones) quidam, Graece loquentes, possederint.
Va innanzi tutto detto che il genitivo originum, come aveva intuito il Jordan35, impone lintegrazione <II (scil. libro)>, che stranamente non stata
accolta da nessuno degli editori successivi.
In secondo luogo va respinta linterpretazione generalmente accolta secondo cui nella visione di Catone gli Etruschi di Tarchon sarebbero subentrati direttamente ai Teutanes. Se veramente Catone riteneva che gli Etruschi
avessero trovato nella regione i Teutanes, non avrebbe potuto dire che ignorava chi avesse occupato quel territorio ante adventum Etruscorum. Non si
pu infatti ridurre il non liquet di Catone a una semplice presa di distanza da
una fonte che identificava i predecessori immediati degli Etruschi coi Teutanes.
Secondo il Briquel36 si potrebbe in effetti pensare che lespressione compertum e lespressione inveniri si riferiscano allo stesso oggetto dindagine,
ma mentre compertum alluderebbe a fonti orali ritenute da Catone affidabili
e da lui raccolte a Pisa stessa, inveniri alluderebbe a fonti scritte di cui lo storico non si fiderebbe e da cui preferirebbe prendere le distanze.
34Serv. auct. Aen. X 179 (Cato orig. fr. 45 P. = II 15 Ch.; 49 C.). In generale sulle tradizioni relative
alle origini di Pisa v. Pais 1893; Banti 1943; Ferri 1957, 238-240 (= 1962, 586-588); Pugliese Carratelli 1958; Pisani 1959; Lepore 1983; Briquel 1984, 297-313; Briquel 1991, 249-276 e 345-369;
Bonamici 1995; Coppola 1995, 137-154; Corretti 1997 (cfr. anche Corretti 1994); Ampolo 2003.
35 Iordan 1860, 11 (fr. II 13). Per la sicura appartenenza al libro II v. soprattutto Cugusi - Sblendorio Cugusi 2001, II, 337.
36 Briquel 1991, 258 e 263-264.

178

Cesare Letta

In realt, mentre non c dubbio che inveniri pu riferirsi solo a fonti


scritte, lespressione negativa negat sibi compertum non rimanda necessariamente a fonti solo orali, ma segnala piuttosto che le ricerche di informazioni
hanno avuto esito negativo, cio che Catone non riuscito a trovare notizie
affidabili n in fonti scritte n in fonti orali. In questo modo Catone mostra
di distinguere tra loggetto dellindagine che ha dato esito negativo (lidentit
dei predecessori immediati degli Etruschi) e quello delle indagini che invece
gli hanno permesso di trovare alcune informazioni in fonti scritte: da un lato
la venuta degli Etruschi, sostituitisi agli ignoti di cui sopra, e dallaltro la presenza di Teutanes quidam Graece loquentes in un passato ancora pi lontano,
che dobbiamo necessariamente ritenere anteriore alla presenza degli ignoti
predecessori immediati degli Etruschi.
La struttura del discorso sembra dunque la seguente:
1) ante adventum Etruscorum cerano degli ignoti [fase 2];
2) poi arrivarono gli Etruschi, che evidentemente cacciarono o sottomisero questi ignoti predecessori [fase 3];
3) ma in una fase ancora anteriore a quella di questi ignoti predecessori
degli Etruschi (ante) avevano posseduto quella stessa regione i Teutanes [fase 1].
evidente che in questa terza parte del discorso di Catone ante non pu
significare di nuovo ante adventum Etruscorum, come nella prima, ma deve
significare prima ancora, cio prima dellinsediamento degli ignoti che furono poi a loro volta sostituiti (cacciati o sottomessi) dagli Etruschi.
A volte si voluto vedere nel prosieguo del passo di Servio la prova che
Catone ammettesse due sole fasi, con la diretta sostituzione degli Etruschi
ai Teutani37. In effetti nella seconda parte del passo di Servio si parla di un
diretto avvicendamento tra Teutae ed Etruschi, ma questa non affatto la
posizione di Catone, bens una posizione che Servio contrappone a quella di
Catone (alii ... dixerunt) e che presenta vistose differenze rispetto ad essa: alii
incolas eius oppidi Teutas fuisse, et ipsum oppidum Teutam nominatum, quod
postea Pisas Lydia lingua sua singularem portum significare dixerunt ..., quare
huic urbi a portu lane nomen impositum. facile constatare che:
1) alii ... dixerunt oppone esplicitamente questa versione a quella precedentemente attribuita a Catone;
37Cfr. Briquel 1991, 255, che sulle orme di Prosdocimi 1977, 59-61, vede nei Teutanes una popolazione ligure. Bruni 1998, 65 si spinge fino a identificare direttamente i Teutanes di Catone coi Liguri
di Licofrone (vv. 1359 ss.).

I legami tra i popoli italici nelle Origines di Catone

179

2) qui si parla di Teutae, mentre nel frammento di Catone si dice Teutanes (o Teutones);
3) qui si parla di un oppidum gi esistente prima dellarrivo degli Etruschi e denominato Teuta, che sarebbe stato semplicemente ribattezzato
Pisae dai nuovi occupanti che parlavano la lingua lidia (quindi dagli
Etruschi); nel frammento di Catone, invece, prima dellarrivo degli
Etruschi non esisteva alcun oppidum e gli Etruschi di Tarchon non si
limitarono a ribattezzare una citt gi esistente, ma ne fondarono una
ex novo (condidisse).
Prima di procedere oltre, va anche chiarito una volta per tutte che Servio
attribuisce a Catone tutte le affermazioni contenute nella frase che comincia
con Cato e termina con possederint.
Il Briquel ha tentato invece di sostenere che il pensiero di Catone potrebbe limitarsi alla prima parte della frase (qui Pisas tenuerint ante adventum
Etruscorum negat sibi compertum) e che la frase infinitiva in cui compare
Tarchon potrebbe riportare unopinione diversa non presente in Catone. A
suo giudizio lostacolo grammaticale costituito dallinfinitiva inveniri Tarchonem..., non retta da alii aiunt o tradunt come nelle frasi successive, non
sarebbe insormontabile, perch anche le tout dbut de la notice [del Servio Danielino] ... commence par une infinitive non construite (sane Pisas ...
conditas)38.
Largomentazione non regge, perch in realt la frase iniziale a cui si fa
riferimento non uninfinitiva sospesa nel nulla, ma un participio congiunto che si lega direttamente alla frase di Servio che la precede (ex quibus locis venerunt qui Pisas condiderunt, dictas a civitate pristina...). Come Servio
aveva agganciato a Pisas condiderunt il participio congiunto dictas a civitate
pristina, cos lo scoliasta del Servio Danielino continua agganciando ancora a
Pisas condiderunt anche sane Pisas antiquitus conditas etc. Nella parte che ci
interessa, dunque, linfinitiva inveniri Tarchonem... (una vera infinitiva) non
pu essere retta da altro se non da un verbum dicendi facilmente ricavabile
dal precedente negat, con lo stesso soggetto Cato39.
Possiamo dunque tranquillamente affermare che per loccupazione del sito di Pisa Catone parlava di tre fasi e non di due. Questo consente, a mio
giudizio, di affrontare su nuove basi la crux da tempo riconosciuta nelle pa-

38

Briquel 1991, 259.


stesso Briquel 1991, 258 riconosce che questa interpretazione possibile. Osservo en passant
che a ragione Briquel 1991, 260, n. 60 respinge lemendamento invenitur proposto dal Jordan: Avec le
passif invenitur on attendrait sans doute plutt une construction personnelle.
39Lo

180

Cesare Letta

role postquam eurundem sermonum ceperit40: dietro di esse deve celarsi il


ricordo dellavvicendamento tra gli ignoti della seconda fase e gli Etruschi
della terza. In altre parole, nelleorundem che sembra di poter ricavare dal
trdito eurundem deve riconoscersi la menzione degli ignoti a cui subentrarono gli Etruschi.
Grammaticalmente eorundem non pu riferirsi ad altri se non a qui Pisas
tenuerint ante adventum Etruscorum. Va sottolineato che eorundem non pu
riferirsi ad Etruscorum, come molti hanno inteso41, perch ci implicherebbe
unimprobabile distinzione etnica e linguistica fra Tarchon e gli Etruschi, di
cui il primo avrebbe adottato la lingua, mentre evidente che qui Tarchon,
detto per giunta Tyrrheno oriundus, figura come il capo che guida gli Etruschi nella migrazione e nella conquista del territorio dove poi fonderanno
Pisa42.
Daltra parte altrettanto evidente che eorundem non pu riferirsi nemmeno ai Teutanes, perch un pronome simile pu riferirsi solo a qualcuno
che sia stato gi menzionato in precedenza, mentre i Teutanes vengono nominati solo dopo.
Difficilmente, per, lespressione eorundem sermonem ceperit che si creduto di ricavare dal trdito eurundem sermonum ceperit pu dare un senso
soddisfacente come indicazione del sostituirsi degli Etruschi ai loro ignoti
predecessori. Ci si aspetterebbe piuttosto il ricordo della loro sottomissione
o espulsione. quindi molto probabile che sia caduta una prima parte della frase, con un primo verbo che ricordava appunto questa azione; ci che
resta sarebbe perci solo un completamento, il che suggerisce di correggere
eorundem in eorum<que>, come ripresa di un precedente eos retto dal primo
verbo e riferito ovviamente agli ignoti abitatori della regione prima dellavvento degli Etruschi43.
Si potrebbe allora proporre la seguente restituzione: postquam <eos expulerit (sive subegerit)> eorum<que> sermonem ceperit... La caduta di due parole potrebbe facilmente giustificarsi col salto meccanico del copista dalle
prime due lettere di eos alle prime due lettere di eorum44.
40Oltre allevidente difficolt di dar loro un senso plausibile in relazione al contesto, va rilevata
anche lanomalia del nesso sermonem capere.
41V. ad esempio Pisani 1957, 170; Chassignet 1986, 25; Cugusi - Sblendorio Cugusi 2001, 337
(ma v. le giuste critiche di Briquel 1991, 253, n. 28). Per Ampolo 2003, 40 il testo non permetterebbe di
capire se il riferimento sia alletrusco, al lidio o al greco.
42Cos giustamente Briquel 1991, 253, n. 28.
43 Il supposto slittamento dalloriginario eorumque allattuale eorundem potrebbe essere stato favorito dalla vicinanza con leandem che si legge poco dopo.
44Per questo la restituzione di un semplice eos mi sembra pi convincente di altre, come un nome
generico (ad esempio incolas), che in teoria potrebbero pure ipotizzarsi.

I legami tra i popoli italici nelle Origines di Catone

181

Bisogna tuttavia riconoscere che lespressione sermonem ceperit non soddisfa, n linguisticamente n storicamente. Sembra assai improbabile che
Catone (o la sua fonte) potesse affermare che gli Etruschi fondatori di Pisa
abbandonarono la propria lingua e adottarono quella degli indigeni vinti:
questo appare tanto pi improbabile dal momento che lo stesso Catone diceva di non sapere chi fossero (e dunque a maggior ragione quale lingua
parlassero) questi indigeni. In ogni caso, laltra fonte citata da Servio nel
passo ricordato riteneva che il nome Pisae fosse da riportare alla Lydia lingua, il che sembrerebbe adombrare la lingua degli Etruschi venuti dalla Lidia.
Se dunque il trdito sermonum ceperit deve considerarsi corrotto, lemendamento pi probabile appare regionem ceperit, che riprende la sostanza di
una vecchia proposta del Cluverius (eorundem regionem occupaverit)45. La
presenza della parola regio, o di un suo sinonimo, sembra presupposta dallespressione eandem regionem che ricorre nella parte finale della frase: non
si potrebbe parlare della stessa regione se in precedenza non se ne era fatta una qualche menzione.
Non pu costituire una seria difficolt il fatto che con questa restituzione
si dovrebbe ammettere la ripetizione della stessa parola a breve distanza (regionem ceperit / eandem regionem... possederint): basti il confronto con lanaloga ripetizione della parola oppidum presente pi avanti nello stesso passo
del Servio Danielino (Aen. X 179: alii incolas eius oppidi Teutas fuisse, et ipsum oppidum Teutam nominatum ... dixerunt).
In definitiva si pu proporre per il fr. 45 P. delle Origines il seguente testo: Cato originum <II>, qui Pisas tenuerint ante adventum Etruscorum, negat
sibi compertum, sed inveniri Tarchonem, Tyrrheno oriundum, postquam <eos
expulerit (sive subegerit)> eorum<que> regionem ceperit, Pisas condidisse,
cum ante regionem eandem Teutanes quidam, Graece loquentes, possederint.
Questa ricostruzione, e il quadro in tre fasi che se ne evince, ci permettono di valutare i criteri e le finalit ideologiche con cui Catone rielabor le
informazioni di cui disponeva.
45A ragione Briquel 1991, 254, n. 30 osserva che la restituzione del Cluverius (da lui attribuita
al Salmasius), con eorundem senza collegamento a un sostantivo o pronome precedente, non pu essere accolta; ma se si accetta la mia proposta di restituzione, eorumque si aggancerebbe al precedente
<eos expulerit>. Decisamente meno convincenti e pi difficili da giustificare filologicamente appaiono
le restituzioni del Salmasius (postquam eorum locorum dominium ceperit) e del Jordan (postquam locum
desertum manu ceperit). In una lettera del 29 dicembre 1982 il compianto Vincenzo Tandoi mi prospettava la possibilit di un emendamento eorundem desertores ceperit: ne verrebbe fuori che Tarcone
aveva fondato Pisa stanziandovi dei disertori etruschi da lui catturati. La proposta, per, non risolve la
difficolt di eorundem che ho segnalato sopra e farebbe di Tarchon non gi il capo degli Etruschi, ma il
loro avversario.

182

Cesare Letta

Per Pisa esistevano certamente gi da tempo radicate tradizioni su una sua


origine greca; nate quasi certamente dal facile accostamento con lomonima
citt dellElide e forse anche da una qualche memoria di una reale frequentazione focea di et arcaica, esse si erano andate strutturando soprattutto
intorno alle figure di Pelope, Nestore ed Epeo e parlavano tutte di una fondazione greca della citt46. Che fossero anteriori a Catone sembra potersi dedurre dal fatto che Pisa figuri come citt di fondazione greca anche in Giustino, che tramite Pompeo Trogo attingeva probabilmente a fonti greche di
IV e III sec. a.C.47
Catone fa tabula rasa di queste tradizioni, dice esplicitamente che Pisa fu
fondata solo dagli Etruschi e relega la presenza greca nella zona a una vaga fase preurbana, affidandola a unaltrettanto vaga popolazione (Teutanes
quidam), che non definisce esplicitamente greca, ma semplicemente parlante
greco (Graece loquentes) e per la quale, anzich ricorrere a nomi greci noti,
adduce un nome di cui forse egli stesso sa che non greco48. Ma, a smentire in modo categorico e definitivo qualsiasi pretesa di continuit greca della
citt49, inserisce tra la remota fase dei Teutanes e quella ancora attuale degli
Etruschi una fase oscura in cui la regione fu in mano a una popolazione di
cui si ignora tutto.
Questi innominati predecessori diretti degli Etruschi sembrano corrispondere ai Liguri menzionati da Licofrone (1359 ss.) e da Giustino (XX 1,11):
forse Catone mostra di ignorarli in modo intenzionale e ostentato, coerentemente con la sua presentazione negativa e sprezzante dei Liguri50. Diversamente dagli autoctoni Aborigeni e Sabini, che possiedono un patrimonio di
mores di cui Catone si mostra fiero, questi indigeni sono barbari inaffidabili
46V.

da ultimo Bonamici 1995; Corretti 1998; Ampolo 2003.


Iust. XX 1,11 (Pisas in Liguribus Graecos auctores habent). Briquel 1991, 113 s. e n. 91, 249, sulle
orme della Sordi, pensa che la fonte sia Teopompo; ma si potrebbe pensare anche a Timeo (cfr. Moretti
1952).
48Cfr. nota 36 per lopinione di Prosdocimi e Briquel. Convincono poco i confronti greci addotti, sia
pure con cautela, da Corretti 1998, 102-106 e da Ampolo 2003, 40.
49Secondo Briquel 1991, 266, ...le fait quils [= les trusques] succdent aux Teutones hellnophones ne signifie assurment pas quils soient hostiles lhellnisme: au contraire les deux couches de
peuplement se superposent et renforcent, conjointement, lhellnisme de la cit. La forzatura palese:
non siamo certi che anche per Catone, come per laltra fonte citata dal Servio Danielino, la migrazione di
Tarchon venisse dalla Lidia; in ogni caso, sembra sicuro che per Catone gli Etruschi non erano Pelasgi,
e quindi non erano Greci (contro lipotesi in tal senso della Chassignet [1986, 73; 1987, 292], accolta
anche da Beck - Walter 2001, 183, v. soprattutto Briquel 1991, 249 s.). Sia che li considerasse autoctoni
di unaltra regione italiana, sia che li considerasse immigrati dalla Lidia, certo per Catone gli Etruschi
non erano Greci.
50Cato orig. fr. 31 P. (= II 1 Ch.; 34 C.): sed ipsi unde oriundi sunt exacta memoria, inliterati mendacesque sunt et vera minus meminere; fr. 32 P. (= II 2 Ch.; 35 C.): Ligures autem omnes fallaces sunt, sicut
ait Cato in secundo originum libro
47

I legami tra i popoli italici nelle Origines di Catone

183

di cui non si sa nulla, di cui non si conservano memorie e che quindi non
possono essere neppure nominati.
Anche se nella visione di Catone gli Etruschi sembrano rimanere estranei
alla vagheggiata unit italico-romana fondata sui mores dei Sabini, appare significativa la sua preoccupazione di ridurre e marginalizzare comunque la
presenza greca in Italia al di fuori delle colonie greche di et storica, negando per essa qualsiasi continuit col presente.
4.2. Falerii (fr. 47 P.)
Alla luce di questo primo importante risultato, esaminiamo ora il breve
frammento catoniano su Falerii, tratto da Plinio51: intus (scil. in Etruria) coloniae Falisca Argis orta, ut auctor est Cato, quae cognominatur Etruscorum...
In questo caso, pur nellestrema laconicit dellenunciato, si attribuisce
senza ambiguit a Catone laffermazione dellorigine argiva di Falerii. Ma la
cosa non pu sorprendere, se si considera la precisazione quae cognominatur
Etruscorum, che potrebbe pure risalire a Catone: evidentemente la citt era
presentata come fondazione greca, secondo una tradizione solidamente attestata incentrata sulla figura delleponimo Halaesus52, ma si sottolineava che
poi ai Greci erano subentrati definitivamente gli Etruschi. Ma quandanche
non si voglia ammettere che linciso quae cognominatur Etruscorum sia da
attribuire a Catone anzich a Plinio, resta il dato di fatto incontrovertibile
che al tempo di Catone la citt di Falerii Veteres a cui si riferiscono queste
notizie, fosse essa rimasta fino alla fine greca o fosse divenuta etrusca, non
esisteva pi, essendo stata rasa al suolo nel 240 a.C., in seguito alla sua ribellione al termine della prima guerra punica, ed era stata sostituita dalla nuova
citt di Falerii Novi, ormai una comunit romana53.
Questo pu spiegare come mai Catone, anzich sfruttare la presenza nella
citt di un culto di Iuno Curitis, che gli avrebbe agevolmente consentito di
negare la grecit di Falerii e di legarla piuttosto alla Cures dei suoi Sabini54, prefer accettare le tradizioni che usavano la dea, tramite laccostamento ad Hera Argiva, per collegare la citt ad Argo. In questo modo poteva
dimostrare ancor pi nettamente il suo teorema: anche nei pochi casi in
51Plin.

nat. III 8,51 (Cato orig. fr. 47 P. = II 18 Ch.; 51 C.).


I 21; Verg. Aen. VII 723; Sol. 2,7; Ov. fast. IV 73-74; Serv. Aen. VII 695. Cfr. Briquel 1984,
347-350, che a p. 350 sottolinea come la grecit di Falerii, ricordata anche da Giustino (XX 1,3), dovesse
essere gi nella sua fonte ultima, a suo giudizio Teopompo (v. supra, n. 46); Briquel 1994.
53Pol. I 65,2; Liv. per. XX; Val. Max. VI 5,1; Oros. hist. IV 11,10; Eutr. II 28; Zon. VIII 18. Cfr.
Loreto 1989; Aa.Vv. 1990.
54D.H. I 21; Ov. am. III 13,35; fast. VI 49.
52D.H.

184

Cesare Letta

cui una presenza greca in Italia si pu ammettere, essa non ha continuit col
presente, e quindi resta del tutto estranea allunit morale romano-italica.
4.3. Tibur (fr. 56 P.)
Nel caso di Tibur la strategia adottata da Catone appare diversa, ma finalizzata allo stesso risultato. Il fr. 56 P., conservato da Solino, recita infatti:
Tibur, sicut Cato facit testimonium, a Catillo Arcade (scil. conditum), praefecto
classis Evandri, sicut Sextius, ab Argiva iuventute...55.
Come si vede, Catone ammetteva le origini greche di Tibur, ma anzich
accogliere la versione pi diffusa, che faceva riferimento a fondatori argivi
considerati figli delleroe Anfiarao56, riportava la fondazione della citt a uno
degli Arcadi di Evandro. Mi sembra evidente, in questa correzione, lintenzione di economizzare sulle presenze greche da ammettere nel Lazio, in
pratica riducendole alla sola componente arcade, gi ammessa per Roma.
Daltra parte, pur non potendolo dimostrare, non escluderei che per Tibur
gi in Catone lo strato arcade primitivo risultasse sommerso e soppiantato da
una successiva espansione sabina, come potrebbero far sospettare alcuni riferimenti alla sabinit di Tibur presenti in Catullo e Orazio57. In questa prospettiva anche la notizia pliniana che colloca Tibur nella Sabina potrebbe riflettere un filone della tradizione storico-antiquaria risalente a Catone, anzich essere un puro errore scaturito, per dirla col Dessau, inde quod Tiburtini
ab Augusto non, ut reliqui Latini, regioni Italiae primae, sed, ut Sabini, regioni
quartae adtributi erant58. Al contrario, lesistenza di una tradizione storicoantiquaria sulla sabinit o la sabinizzazione di Tibur potrebbe essere la causa
della decisione augustea di attribuire Tibur alla regio IV.

55Sol.

2,7 (Cato orig. fr. 56 P. = II 26 Ch.; 60 C.).


Aen. VII 670-674; Serv. Aen. VII 672; Hor. carm. I 7,13; 18,2; II 6,5 (con le note di Porfirione); Plin. nat. XVI 87,237; Sol. 2,7-8. Sulla tradizione v. soprattutto Lapini 1998 (giustamente severo
nei confronti di Laneri 1995); Briquel 1997. Anche se lignoto Sestio citato da Solino sembra un autore
molto posteriore a Catone, visti gli evidenti calchi virgiliani (Lapini 1998, 469), la leggenda argiva di Tibur devessere stata elaborata nella fase libera della citt, dunque molto prima che Catone componesse le
Origines; come nel caso di Falerii, lo spunto dovette essere offerto da un accostamento tra il culto locale
di Iuno Curitis e quello di Hera Argiva (Briquel 1997, 67).
57Catull. 44,1-7; Hor. carm. III 1,47; II 18,14; sat. II 7,118, in riferimento alla sua villa nel territorio
di Tibur. Cfr. Uda 1990; Traina 1993-1994, 611-612. Inoltre i sacerdoti del famoso Hercules Victor di
Tibur portavano il nome di cupenci, che secondo Serv. Aen. XII 538 era un nome sabino.
58Plin. nat. III 17,107; cfr. H. Dessau in CIL XIV 365.
56Verg.

I legami tra i popoli italici nelle Origines di Catone

185

4.4. Petelia (fr. 70 P.)


Con Petelia ci troviamo ormai di fronte ad un contesto totalmente diverso, quello della Magna Grecia, in cui le citt erano state davvero fondate,
in epoca storica, da Greci, anche se poi molte di esse erano state occupate da popolazioni italiche (Campani, Lucani, Brettii, Mamertini). Era questo anche il caso di Petelia, probabile subcolonia di Crotone presso lattuale
Strongoli, che la tradizione diceva fondata dalleroe Filottete, ma occupata
successivamente dai Lucani59 e infine importante centro dei Brettii (Bruttii
per i Romani).
La citt si era poi distinta nella seconda Guerra Punica per la strenua resistenza che allindomani di Canne, nel momento pi nero per le fortune di
Roma, aveva saputo opporre ad Annibale, che per questo laveva punita assegnandone gli abitanti come schiavi ai suoi soldati60, tanto che si sarebbe
tentati di includere Petelia tra le popolazioni dellItalia meridionale che si
erano guadagnate la definizione catoniana di populi et boni et strenui61.
In un passo di grande interesse, Appiano afferma che Annibale non si
fidava dei Brettii in quanto Italici della stessa stirpe di Scipione (deivsa~
... peri; Brettivwn wJ~ jItalw`n oJmoeqnw`n Skipivwni)62. Questa notizia
sembra giustificare il sospetto che laffinit etnica tra Romani e Bruzi non
fosse solo unidea di Annibale, ma fosse stata invocata sia dai primi che dalle fazioni filoromane dei secondi nel corso della guerra, mentre dopo la sua
conclusione Roma non era pi interessata a sottolinearla, o tuttal pi la presentava come unaggravante per il comportamento di chi si era schierato con
Annibale.
Probabilmente nelle Origines Catone si proponeva invece di ribadirla, per
rinsaldare il legame incrinato superando diffidenze e recriminazioni di cui
avvertiva con lucidit tutti i rischi, e per questo esaltava quelli tra i Bruzi
che erano rimasti costantemente fedeli a Roma, come gli abitanti di Temesa,
59Strab. VI 1,3,254 (che cita come fonte Apollodoro); per la fase lucana, che propone di collocare
nel primo ventennio del IV sec. a.C., cfr. Luppino 1980, 44. Sulla fondazione da parte di Filottete v.
anche Verg. Aen. III 402; Sol. 2,10. Per le tradizioni legate a Filottete v. Maddoli 1989; De la Genire
1991; Malkin 1998. In generale per la storia di Petelia prima della fase lucana e brettia v. da ultimo La
Torre 2002.
60Cfr. App. Hann. 57,239-240. Per leroica resistenza della citt, protrattasi per undici mesi, v. Liv.
XXIII 20,4-10; 30,1-4 (216-215 a.C.); Pol. VII 1,3; Val. Max. VI 6 ext. 2; Frontin. strat. IV 5,18; App.
Hann. 29,123-127; cfr. Costabile 1984, 81-83.
61Cato orig. fr. 73 P. (= III 8 Ch.; 78 C.).
62App. Pun. 47,205. Devo la segnalazione, di cui gli sono molto grato, a Federico Russo, che sulla
scia di una sua importante ricerca sui rapporti tra Taranto, i Sanniti e Roma (Russo 2007 citato a n. 12),
sta ora studiando la presenza di motivi ideologici come la parentela o laffinit etnica nei rapporti tra i
Romani e le altre popolazioni dellItalia antica.

186

Cesare Letta

o erano rientrati per tempo nei ranghi, come i duodecim populi di cui parla
Livio63.
Credo che in queste premesse vada cercata la spiegazione delle affermazioni su Petelia che troviamo in un frammento delle Origines conservato dal
Servio Danielino64: ait Cato a Philoctete condita iam pridem civitate murum
tantum factum. Catone, dunque, non si accontentava di sottolineare che la
citt greca non esisteva pi, sostituita dalla valorosa citt lucano-bruzia, ma
confutava la tradizione che la voleva fondata da Filottete, riducendo il ruolo
delleroe alla costruzione di una cinta muraria. Anche Petelia poteva a pieno
titolo essere inclusa nellItalia dei mores romano-sabini esaltata da Catone,
senza che in questo il remoto apporto greco avesse alcuna reale rilevanza.
4.5. Tauriani (fr. 71 P.)
Una situazione per molti aspetti simile si riscontra nel fr. 71 P., conservato
da Probo65: item Cato originum III: Thesunti (varianti Theseunti e Thelunti)
Tauriani vocantur de fluvio, qui propter fluit. Id oppidum Aurunci primo possederunt, inde Achaei Troia domum redeuntes. In eorum agro fluvii sunt sex;
septimus finem Rheginum atque Taurianum (codd. Taurinum) dispescit: fluvii
nomen est Pecoli. Eo Orestem cum Iphigenia atque Pylade dicunt maternam
necem expiatum venisse, et non longinqua memoria est, cum in arbore ensem
viderint, quem Orestes abiens reliquisse dicitur.
Appare evidente che il trdito Thesunti (o Theseunti, o Thelunti) corrotto, ma i tentativi di emendarlo finora proposti non sembrano soddisfacenti.
Il Maddoli, accostando la doppia fondazione aurunca e greca di questoppidum alla doppia fondazione ausone e greca data da Strabone (VI 1,5,255)
per Temesa, propose di restituire Tem(e)saei, supponendo in Catone o nella sua fonte Timeo una confusione fra la regione tauriana settentrionale testimoniata dallo stesso Strabone (VI 1,3,254) per lentroterra di Thurii, e la
Tauriana meridionale ubicata intorno al fiume Metauro-Petrace66.
63Liv.

XXV 1,2, citato anche pi avanti, a n. 71, per i Tauriani.


auct. Aen. III 402 (Cato orig. fr. 70 P. = III 3 Ch.; 75 C.). Per Russi 1988, 48, il collegamento
con Filottete potrebbe essere sorto ... dopo la guerra annibalica, per nobilitare con una ktisis mitica una
cittadina tanto benemerita nei confronti di Roma, che in realt sarebbe stata fondata solo nel IV sec.
a.C. dai Lucani. Ma ancora nella prima met del II sec. a.C. la lista dei theorodokoi delfici, includendo
Petelia, mostra che essa era ancora considerata una polis italiota con istituzioni elleniche, il che sarebbe
oltremodo improbabile se fosse stata solo una fondazione lucana (Costabile 1984, 82 s., cfr. A. Plassart, in BCH 1921, 24 ss.).
65Prob. praef. in Verg. Buc. p. 326 H (Cato orig. fr. 71 P. = III 4 Ch.; 76 C.).
66 Maddoli 1977.
64Serv.

I legami tra i popoli italici nelle Origines di Catone

187

La debolezza di questa proposta, che per sussistere deve postulare una


confusione difficilmente credibile in Catone e ancor meno in Timeo, appare
evidente; tra laltro, anche ammesso che essa possa spiegare il passaggio della
parte iniziale della parola da Tems- a Thes-, non riesce a dare alcuna plausibile spiegazione della supposta trasformazione della parte finale da -aei a -unti.
Successivamente Daniele Castrizio ha pensato a Taisia, centro di difficile
localizzazione non lontano da Reggio, e ha proposto di emendare Theseunti
in Taesiati67. Anche questo emendamento improponibile, sia perch, come
ha rilevato il Cordiano, Taisia sembra da localizzare a Sud di Reggio anzich
a Nord68, sia perch dalla forma latinizzata Taesia ci si aspetterebbe semmai
una forma Taesiates, in cui molto difficilmente la desinenza in -ates potrebbe
trasformarsi in -ati.
Piuttosto sorprendente la proposta di Felice Costabile, secondo il quale,
in un possibile archetipo di Probo scritto in grafia semionciale, un originario
ORIGINVMAMERTINITAVRIANI, da intendere come originu(m) Mamertini Tauriani, avrebbe subito la caduta delle prime due lettere di Mamertini
(la M perch considerata erroneamente come desinenza di originum, che in
realt era abbreviato in originu(m), la A perch non pi capita) e lalterazione di MERTINIT in Thesunti o Thelunti: la M semionciale sarebbe stata
letta come TH, la R parzialmente evanida ora come S ora come L, il gruppo
TI come U, mentre il gruppo IT, costituito originariamente dalla I finale di
Mamertini e dalla T iniziale di Tauriani, sarebbe stato invertito meccanicamente in TI69.
La proposta, per quanto macchinosa, indubbiamente affascinante, ma
incontra difficolt che ritengo insormontabili.
1) Nella ricostruzione del Costabile bisognerebbe ammettere che nel testo originario si leggesse semplicemente Cato originum (scil. libris), che
forma quanto mai improbabile; il confronto addotto col fr. 45 P. non
probante: come si visto al 4.1, essendo quello lunico esempio
di un uso cos anomalo, pi ragionevole supporre che nel testo di
Probo sia caduto meccanicamente il numero del libro e che si debba
restituire Cato originum <II>.
2) Poich in realt nel testo trdito non si legge originum Thesunti Tauriani, ma originum III Thesunti Tauriani, risulta difficile ammettere lerronea attribuzione alla finale di originu(m) della supposta M iniziale
di Mamertini, possibile solo se le due parole, originu(m) e Mamertini,
erano immediatamente contigue. In ogni caso, bisognerebbe poi giu67

Castrizio 1995, 29-34.


Cordiano 2004, 26.
69 Costabile 1999, 8, figg. 5-6.
68

188

Cesare Letta

stificare come loriginaria A dopo la M possa essersi trasformata meccanicamente nella cifra III, che guarda caso corrisponde proprio al
numero del libro in cui davvero doveva trovarsi la notizia!
3) Se davvero la I finale di un originario Mamertini e la T iniziale di Tauriani, in ordine invertito, hanno dato luogo alla finale TI del trdito
Thesunti o Thelunti, la parola successiva avrebbe dovuto suonare Auriani e non Tauriani.
Ritengo dunque che anche lemendamento proposto dal Costabile debba
essere respinto. Non c dubbio, per, che egli ha pienamente ragione nel
localizzare nella zona di Tauriana-Palmi, a Sud del Metauro-Petrace, larea
di cui parla Catone e nel collegare la sua notizia alla presenza in essa dei Mamertini, testimoniata dalla celebre testimonianza di Festo su Alfio e da quella
di Strabone sullesistenza di una citt Mamertion nella mesogaia che sovrasta
Reggio e Locri70.
Ricordo infine la restituzione proposta dal Cordiano, secondo il quale il
trdito Theseunti non sarebbe altro che una traslitterazione del greco qhteuvonte~ e indicherebbe, nellottica sprezzante della fonte greca di ispirazione
reggina utilizzata da Catone, loriginario status di dipendenti salariati proprio dei Mamertini e dei Brettii71.
Per quanto brillante e suggestiva, anche questa proposta si rivela fragile.
Innanzi tutto non si vede perch da thet- (in cui la -t- parte essenziale e
insostituibile della radice) si sarebbe passati a thes-, n perch loriginario
-euont- si sarebbe ridotto a -eunt- o -unt-; ancor meno persuade la supposta
nascita di uninverosimile forma in -onti da una originaria forma in -ontes,
propria di un participio greco che poteva suonare familiare anche a orecchie
latine, se non altro grazie al teatro.
In secondo luogo, mi sembra molto improbabile che la frase potesse avere
una formulazione contratta e sibillina come quella supposta dal Cordiano:
qhteuvonte~ Tauriani vocantur de fluvio suonerebbe qualcosa come i salariati sono chiamati Tauriani (va escluso linverso, i Tauriani sono definiti salariati, per la precisazione de fluvio, che fa palesemente riferimento
al nome del Me-tauros, da cui sarebbe derivato quello dei Tauriani). Come
minimo si richiederebbe lenunciazione di un soggetto maschile plurale, cio
di uomini a cui riferire il participio qhteuvonte~ e di cui si potesse dire che
avevano ricevuto il nome di Tauriani; e ci si aspetterebbe anche che fosse
70 Fest. p. 150 L.; Strab. VI 1,9,261; cfr. Costabile 1999, 9-12, con la proposta di considerare esatta
lidentificazione erudita moderna di Mamertion con Oppido (che appunto per questo fu ribattezzata nel
secolo scorso Mamertina).
71 Cordiano 2004.

I legami tra i popoli italici nelle Origines di Catone

189

precisato chi erano gli antichi padroni di questi salariati. Mi sembra infine
assai difficile che guerrieri mercenari come i Mamertini potessero essere designati semplicemente come salariati, con un termine di norma applicato
solo alle pacifiche attivit manuali di artigiani, contadini e pastori.
Non credo poi che si possa a cuor leggero affermare che Catone facesse
proprio senza batter ciglio latteggiamento sprezzante e rancoroso nei confronti dei Brettii che il Cordiano attribuisce alla sua supposta fonte greca,
tanto pi se si considera che i Tauriani figuravano tra i duodecim populi bruzi
che nel 213 a.C., in piena guerra annibalica, tornarono allalleanza con Roma dopo una breve defezione72. Questo mi induce piuttosto a pensare che
anche i Tauriani, come i Petelini, fossero per Catone tra i populi et boni et
strenui del fr. 73 P.
Credo quindi che la soluzione del problema testuale vada cercata altrove.
Per larea del Metauro-Petrace lincipit del frammento sembra contrapporre la situazione presente, rappresentata dalla comunit dei Tauriani di stirpe mamertina, a quella di un passato chiuso per sempre, che aveva visto la
presenza dei Greci. In questo contesto, le vestigia del passaggio di Oreste
dovevano assumere quasi il valore di trofei destinati ad esaltare la vittoria
degli Italici che avevano cacciato o sottomesso i Greci ed ora erano signori
del luogo.
Per questo sospetto che la strana terminazione dello pseudoetnico Thesunti celi in realt il verbo sunt in unespressione che designasse coloro che
al tempo di Catone abitavano nel territorio a Sud del Metauro. A titolo di
esempio si potrebbe proporre T<rans Metaurum qui nunc> sunt Tauriani vocantur de fluvio qui propter fluit, ma non escludo che, a partire dal verbo
sunt, si possano trovare soluzioni migliori.
Sarei tentato di collegare questa notizia al fr. 68 P. (praeterea interisse Thebas Lucanas Cato auctor est)73 e di restituire The<bis Lucanis qui nunc> sunt
etc., o meglio ancora The<bae Lucanae interierunt; qui nunc in eo oppido>
sunt Tauriani vocantur de fluvio qui propter fluit, supponendo il salto meccanico di unintera linea. Naturalmente la I finale del trdito Thesunti sarebbe
stata aggiunta a sunt quando la caduta di questa linea si era gi verificata e il
thesunt che ne era nato poteva dare un senso solo con un intervento normalizzatore che gli desse lapparenza di un etnico al nominativo maschile plurale74.

72Liv.

XXV 1,2.
nat. III 15,98 (Cato orig. fr. 68 P. = III 2 Ch.; 74 C.). La notizia dellesistenza di una citt
lucana di questo nome, come in Plinio senza elementi per una localizzazione pi esatta, torna solo in
Steph. Byz., s.v.
74La nascita della variante Theseunti presumibilmente fu favorita dall influsso del nome Theseus
su copisti semidotti (Maddoli 1977, 274).
73Plin.

190

Cesare Letta

Osservo tra laltro che, ipotizzando nella parte di testo caduta la menzione
esplicita delloppidum, si spiegherebbe meglio, nel prosieguo del passo, la ripresa id oppidum.
La restituzione implicherebbe in Catone la consapevolezza che il territorio
tauriano, al suo tempo bruzio o mamertino, in precedenza (cio prima della
secessione brettia del 356 a.C.) fosse stato lucano, come Strabone sapeva per
Petelia, e che la citt greca di Thebae, conquistata dai Lucani, fosse scomparsa o avesse cambiato nome prima che potesse dirsi bruzia: la precisazione
etnica, fosse essa lucana o bruzia, era avvertita come necessaria finch la
citt portava un nome uguale a quello delle pi celebri citt esistenti in Beozia, in Egitto e in Acaia, ma diveniva superflua una volta che essa era stata
ridenominata Taurianum o Tauriana.
Non pu costituire un serio ostacolo il fatto che Plinio attribuisca questa
citt greca scomparsa alla Lucania, dal momento che nello stesso passo egli
menziona come citt lucana scomparsa anche Pandosia, che si trovava nella
mesogaia allaltezza di Aprustum, della quale lo stesso Plinio, nel passo citato, dice mediterranei Bruttiorum Aprustani tantum.
Quale che sia la soluzione, ritengo che anche il fr. 71 P. confermi la tendenza gi rilevata di Catone a sottolineare, in tutti i casi in cui ci era possibile, la cacciata o la marginalizzazione dellelemento greco da parte di quello
italico.

5. Casi in cui Catone nega del tutto lapporto greco


Vorrei concludere questa panoramica con un semplice accenno ai casi in
cui la documentazione disponibile ci consente di affermare che Catone, in
presenza di tradizioni grecizzanti, non si limitava a ridimensionare lapporto
greco nelle origini di una citt, o a sottolinearne la mancanza di continuit
col presente, ma lo negava del tutto, come aveva fatto per i Sabini, contrapponendo alle saghe greche tradizioni puramente italiche.
Cos nel Lazio la fondazione di Praeneste da lui attribuita direttamente a
Caeculus, figlio di Vulcano (fr. 59 P.), anzich a un Praenestes figlio di Latino
e nipote di Ulisse75, e in Campania Nola detta fondata dagli Etruschi (fr.
69 P.) anzich dai Calcidesi76.

75Schol. Verg. Veron. Aen. VII 781 (Cato orig. fr. 59 P. = II 29 Ch.; 65 C.). Per laltra versione v. Sol.
2,9. Cfr. Bremmer 1987; Deschamps 1988; Capdeville 1995, 41-59.
76Vell. I 7,2 (Cato orig. fr. 69 P. = III 1 Ch.; 73 C.). Per lorigine calcidese v. Iust. XX 1,13; Sil. XII
161. Cfr. Donceel 1962; Traina 1993-1994, 88 s.

I legami tra i popoli italici nelle Origines di Catone

191

6. La componente troiana
Resta ancora da precisare quale fosse il significato ideologico della componente troiana nelle origini italico-romane, la cui presenza accolta senza
riserve da Catone non solo per Roma (frr. 4-5 e 8-11 P.), ma anche per altri
centri del Lazio come Politorium (fr. 54 P.) e per i Veneti (fr. 42 P.).
Se esatto quanto ho detto finora sullatteggiamento di Catone verso le
tradizioni relative alle componenti greche, difficilmente la componente troiana poteva equivalere per lui ad una patente di quasi grecit. Sembra pi logico supporre che Catone accettasse piuttosto il ruolo di avversari irriducibili
dei Greci che i Troiani avevano assunto nella polemica antiromana fin dal
tempo di Pirro, anche se, trasposto in unottica romana, questo diventava il
fondamento del potere mondiale dei Romani, destinati come discendenti dei
Troiani a vendicare la distruzione della citt di Priamo e a prevalere in modo
definitivo sui Greci.

7. Conclusioni
Spero che queste mie riflessioni possano costituire un contributo di qualche peso per una migliore comprensione del quadro etnografico delle Origines e del suo valore ideologico. In particolare spero di essere riuscito a
dimostrare che non basta la presenza di qualche nome di popoli o eroi fondatori greci nei magri frammenti conservati per dimostrare, come spesso si
sostenuto, che Catone non avesse alcuna difficolt ad accogliere leggende
di fondazione greche e che quindi nelle Origines non ci fosse unideologia
italica.
Al contrario, la sua preoccupazione di limitare e ridimensionare sistematicamente la presenza greca, negarla del tutto o presentarla come marginale
e perdente, ammettendola solo per sottolineare una forte soluzione di continuit rispetto al presente in cui completamente cessata, si spiega solo con
un sistematico e coerente programma ideologico di invenzione del passato
in funzione dellunit romano-italica centrata sui Sabini, di cui le Origines
erano espressione.

Opere citate
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Ecquando communem hanc esse patriam licebit?


(Liv. III 67,10): Livius Geschichte
als einheitsstiftender Faktor* 1
Chrysanthe Tsitsiou-Chelidoni

Ceterum et mihi vetustas res scribenti nescio quo pacto antiquus fit animus.
(Liv. XLIII 13,2)

Livius Werk, soweit erhalten, dokumentiert den Glauben des Autors an


das prdestinierte Schicksal Roms, einst zum Haupt der Welt zu werden.
Der Erfolg und die Herrschaft der Rmer wird allerdings bereits in der
praefatio zum ersten Buch auf moralische Werte zurckgefhrt (Liv. I praef.
9). Die Rmer htten jedoch, meint Livius, ihre guten und so erfolgreichen Sitten mit der Zeit verlassen (Liv. I praef. 9 und 12). Unser Historiker
schreibt sein Werk gerade um die alte rmische Moral wiederherzustellen
(Liv. I praef. 10).
* Mein Vortrag, ursprnglich prsentiert unter dem Titel Rom, die Rmer und die Anderen im
Werk des Titus Livius, wurde fr die Drucklegung berarbeitet und ergnzt. Mein herzlicher Dank gilt
allen Teilnehmern an der Diskussion, die im Anschluss an den Vortrag stattgefunden hat, und ganz besonders Prof. Michael von Albrecht, Prof. Alessandro Barchiesi, Prof. Stephen Harrison, Prof. Martin
Jehne und Prof. Jean-Michel Roddaz. Frau Dr. Helga Khler hat auch diesmal meinen Text von mehreren stilistischen und inhaltlichen Schwchen befreit, wofr ich ihr sehr dankbar bin. Jeder Mangel, der
geblieben ist, muss ausschlielich mir zur Last gelegt werden.
 Wie Burck geschrieben hat (1966a, 321), von dem groen, einst 142 Bcher umfassenden Ge
schichtswerk ist nur ein Viertel erhalten, und nicht einmal dies im kontinuierlichen Zusammenhang.
Siehe Liv. I 4,1; 16,7; IV 4,4; V 54,4; 54,7; XXVIII 28,11; Burck 1966a, 334-335, 337-338; Burck
1967, 111-114; Paschoud 1993, 132-133 mit Hinweisen auf die frhere Sekundrliteratur. Vgl. auch
Cic. rep. II 5,10.
 Man hat festgestellt, dass Livius ganz besonders die rmische pietas mit dem Erfolg Roms verbindet. S. dazu z.B. Levene 1993, 175. Vgl. auch Von Haehling 1989, 177: Die Gegenberstellung der
unterschiedlichen Gesinnung zu den Gttern ist im Geschichtsdenken des Livius das Beurteilungskriterium fr politisch-moralisch rechtes Handeln.
Dem Inhalt dieser praefatio gem befindet sich Rom in der Zeit des Livius im Stadium des Verfalls. Zu den Grnden des rmischen Niedergangs nach der Ansicht des Livius s. Miles 1995, 77 (mit
Anm. 5, wo auf die frhere Sekundrliteratur zum Thema verwiesen wird), 78-80 (mit Anm. 12).
Siehe z.B. Burck 1967, 139: Wie bei Vergil handelt es sich auch bei ihm darum, nach der auch im
geistigen Raum unerhrt turbulenten Zeit der Brgerkriege und nach der denkerisch und gefhlsmig
in hchstem Grade aufgelockerten und zersplissenen Caesarischen Periode durch Betonung einiger
weniger groer virtutes die Klarheit des Deutens, die Sicherheit des Wertens und die Ruhe vertieften

198

Chrysanthe Tsitsiou-Chelidoni

Im folgenden Artikel befasse ich mich mit der politischen Wirkung dieses
Vorhabens. Es wird sich zeigen, dass die moralische Haltung, welche Livius
fr echt rmisch hlt und konsequent anpreist, seiner Einstellung nach zur
Bildung einer kollektiven Identitt bei seinen Lesern und somit zur Einheit
innerhalb der Bevlkerung Roms, Italiens und des ganzen rmischen Reichs
entscheidend beitragen kann.

1.
Unser Historiker erzhlt in seinem ersten Buch u.a. die beachtenswerte
Geschichte von Numa (Liv. I 18 sqq.).
Numa war schon vor seinem Knigtum in Rom fr seine Tugenden (iustitia et religio) berhmt (Liv. I 18,1). Unter ihm hat die Stadt ihre zweite
Grndung erfahren, die jedoch nicht mehr durch Waffengewalt (vi et armis),
sondern durch Recht (iure), Gesetze (legibus) und Sitten (moribus) erfolgte
(Liv. I 19,1). Er hat in den Herzen seiner Landsleute den Respekt vor den
Gttern hervorgerufen (Liv. I 19,4). Die Menschen handelten daher anstndig nicht aus Angst vor den strengen Gesetzen, sondern vor den gleichsam
anwesenden Gttern (Liv. I 21,1). Aber auch Numa selbst war nach Livius ein einzigartiges Vorbild fr seine Landsleute, die von selbst ihre Sitten
nach ihrem Knig formten (Liv. I 21,2). Und was Numa fr seine Landsleute
war, war Rom fr die Nachbarvlker; diese empfanden nmlich ein solches
Schamgefhl vor der frommen Stadt, dass sie es fr Frevel hielten, gegen sie
Gewalt anzuwenden (Liv. I 21,2). Somit wurde der Frieden erhalten, den der
Fhlens fr seine Zeitgenossen wieder zu erwerben und zu erhalten; ebenda, 143: Die dramatische
Form aber dient genau wie bei Vergil dazu, den Leser so stark als nur irgend mglich in den Kreis jenes
psychischen Krftespiels einzubeziehen und damit unter den Eindruck der groen virtutes zu stellen, die
Rom vorwrts gebracht haben und die er als lebendige Krfte in seinem Volke wiedererwecken will;
Von Haehling 1989, 188: Gerade in diesem religis-kultischen Erneuerungsprogramm begegnen
sich Geschichtsschreiber und Staatsmann; ebenda, 213: vielmehr will er durch seine Geschichtsschreibung auf seine Leser einwirken (praef. 10), sich an den bewhrten Grundstzen des mos maiorum
wieder auszurichten, um somit an Roms ruhmreiche Vergangenheit anzuknpfen; Walsh 1982, 1066:
For Livy history is, in the Ciceronian phrase, the magistra vitae; (ebenda, 1073): For Livy, history is
the battlefield of manners, a moral teacher providing lessons for community and personal life.
Vgl. die allgemeine Bemerkung von Von Haeling 1989, 11: Das Ziel, die Vergangenheit objektivierend aus ihren eigenen Vorstellungen darzustellen, haben gerade antike Geschichtsschreiber nie
angestrebt, zumal sie auf ihr Publikum ber die Vermittlung einer politischen Tendenz oder moralischen
Lehre einzuwirken suchten. Die Darstellung der Vergangenheit wird den drngenden Erfordernissen der
jeweiligen Gegenwart dienstbar gemacht. Livius wird allerdings oft als argloses Gemt, als politischer
Laie eingestuft. Siehe dazu Von Haehling 1989, 15 mit Anm. 27 (hier Verweise auf die entsprechende
Sekundrliteratur).
Die Wiedergabe des Inhalts des Textes des Livius basiert hier stilistisch auf den deutschen bersetzungen von Hillen 1997 und von Feger 2003.

Livius Geschichte als einheitsstiftender Faktor

199

Knig ohnehin gefrdert hatte, indem er Freundschaft und Bndnisvertrge


mit den Nachbarvlkern geschlossen hatte (Liv. I 19,4).
In der Geschichte, die Livius erzhlt, erscheint Numa als das Vorbild par
excellence, dessen Wirkung sich nicht blo auf Rom erstreckt, sondern auch
ber die Grenzen der Stadt hinaus. Numas Moral, die zur Moral der Rmer
wird, hat eine ansteckende Kraft. Sie ruft eine hnliche Moral bei ihren unmittelbaren Rezipienten (den Rmern selbst) hervor mit der unausweichlichen Konsequenz, dass ihre mittelbaren Rezipienten (Roms Nachbarvlker)
hochachtungsvoll gegenber Rom und den Rmern werden. Diese Moral,
die von Numa und von Rom, der Stadt in der Mitte (in medio) ausgeht, ist
also eine starke, kommunikative Kraft, die zur Vertiefung der bereits durch
den politischen Akt der Bndnisse erreichten iunctio animorum (Liv. I 19,4)
entscheidend beitrgt10.
Im Livius Geschichtswerk bildet Numa nicht den einzigen Fall, in welchem ein Mann durch sein rmisches Ethos Bewunderung, Respekt und eine
entsprechende moralische Haltung bei den Menschen in seiner Umgebung
hervorruft. Quinctius Cincinnatus, Quinctius Capitolinus und Furius Camillus beweisen auch, dass ihre rmische moralische Haltung genauso wirksam
sein kann.
Zwischen 462 und 460 v.Chr. befindet sich Rom wieder einmal in einer
schwierigen Lage: In der Stadt herrscht Zwiespalt zwischen dem Senat und
der Plebs11. L. Quinctius Cincinnatus, ein tchtiger und anstndiger Mann,
wird zum Konsul gewhlt (Liv. III 19,2-3).
In seinen Ansprachen Livius gibt ihren Inhalt in direkter und in indirekter Rede wieder (Liv. III 19,4 sqq.) erhebt er Vorwrfe gegen beide Stnde

 Wie Luce bemerkt (1977, 237), the source for the view that Numa wished to use religion as a
political device to weld together a disciplined nation is unknown. Siehe jedoch Ogilvie 1965, zu Liv.
I 18-21, S. 89: the picture of Numa as a great religious founder with many specific institutions to his
name will already have taken shape by 400 B.C.; The idea of divine sanction as a social instrument
was congenial to the Romans; ebenda, 90: Numa wished to use religion as a political tool to secure
a disciplined and harmonious community; there are strong arguments for believing that L.s source
for Numa was Valerius Antias.
 Iustitia und pietas stellen zwei wichtige Erscheinungen der Moral dar, welche Livius fr typisch
rmisch hlt. Siehe zu pietas Burck 1967, 128-129; zu iustitia ebenda, 131-133. Siehe auch hier Anm.
23, 38.
10Die Kombination iungere animos wird von Livius als Synonym des Begriffes concordia gebraucht.
Siehe Liv. II 1,11; 39,7.
11Der Zwiespalt herrscht auf Grund des Gesetzentwurfes, den der Volkstribun C. Terentilius Harsa
zur Einschrnkung der konsularischen Amtsgewalt eingebracht hat (Liv. III 9,2-5). Die Situation eskaliert bis zum Punkt, an dem die Tribunen eine Rekrutierung verhindern (Liv. III 16,6), obwohl Verbannte
und Sklaven das Kapitol besetzt haben (Liv. III 15,4-5). Ein Brgerkrieg wird knapp vermieden (Liv. III
17,7-9), das Kapitol wird allerdings in erster Linie von den Tuskulanern gerettet (Liv. III 18).

200

Chrysanthe Tsitsiou-Chelidoni

(Liv. III 19,4)12. Das Ziel der Rede, welche Livius wiedergibt13, leuchtet ein:
Cincinnatus will Abneigung, wenn nicht sogar Hass, gegen die Tribunen wie
auch gegen jeden hervorrufen, der die rmische Gemeinschaft durch sein
Verhalten zu Spaltung fhrt (vgl. Liv. III 19,4-5).
Hinter den starken Gefhlen, die die Rede durchziehen14, erkennt man
das Ethos des Redners: Seine wichtigste Motivation scheint ein patriotisches

12In der hier berlieferten Rede ist die Sorge des Cincinnatus um den Staat erkennbar (Liv. III 19,4)
die Paraphrasierung des Textes von Livius beruht hier auf der deutschen bersetzung von Fladerer
2003. Die Tugenden seien aus Rom vertrieben worden (Liv. III 19,5). Rmer htten sich innerhalb der
Stadt wie Feinde verhalten. Die Tribunen htten das Volk dem Feind zum Gemetzel vorgeworfen (Liv.
III 19,6-7; 19,9); die Patrizier htten nichts getan um diese Feinde vom Forum zu entfernen; das sei eine
Schande (Liv. III 19,7). Keiner der Tribunen habe auerdem ein Gefhl dafr, dass Jupiters Tempel auf
dem Kapitol genau wie das Zuhause jedes rmischen Brgers aus dem niedrigsten Stand vor den feindlichen Truppen geschtzt werden msse (Liv. III 19,9-10). In der Stadt herrsche der Zwiespalt, da die
Tribunen einen Teil des Volkes gleichsam abgetrennt und zu ihrem Vaterland und zu einem Privatstaat
gemacht htten (Liv. III 19,9). Cincinnatus ruft mit seinen letzten Worten das Volk zum Kampf gegen
die Aequer und Volsker auf, die in seinen Augen eine stndige Gefahr fr Rom bedeuten (Liv. III 19,12).
Zu den Quellen des Livius s. Ogilvie 1965, zu Liv. III 19-21, S. 428-429: L.s treatment of his material
differs in several particulars from D(ionysius) (of) H(alicarnassus). Instead of building up the character
of Cincinnatus by direct narrative, L. allows it to be disclosed in a pair of speeches (19.4-12; 21.4-7)
which are evidently original compositions designed for this very purpose.
13Die hier berlieferte Rede ist wahrscheinlich als eine kurze Zusammenfassung der Ansprachen zu
verstehen, welche Cincinnatus in den Versammlungen vorgetragen haben soll (Liv. III 19,4).
14 Livius fhrt seine Wiedergabe der Ansprache von Cincinnatus durch einen Ausdruck ein, der
keinen Zweifel an der zornigen Gesinnung des Redners erlaubt: is ut magistratum iniit, adsiduis contionibus pro tribunali non in plebe coercenda quam senatu castigando vehementior fuit (Liv. III 19,4. Vgl.
Cic. Tusc. IV 25,55). Cicero erklrt genau, wie man solche Gefhle (Zorn und Emprung) im Publikum
erregen kann. Die von Livius berlieferte Rede des Cincinnatus bietet ein klares Beispiel dafr, wie die
ciceronischen Vorschriften angewandt werden knnen schon Ullmann (1927, 58 und passim) hat
erkannt, dass sich mehrere rhetorische Vorschriften Ciceros in den Reden erkennen lassen, die Livius in
sein Werk eingefhrt hat. Der Redner soll erwhnen, schreibt Cicero, dass die Angelegenheit, um die es
geht, einen sehr groen Teil der Bevlkerung betrifft und sich ausgerechnet gegen die Gtter wendet,
whrend man Respekt gegenber diesen zeigen muss (Cic. inv. I 53,101; vgl. Liv. III 19,6; 19,10-11). Es
muss auerdem gezeigt werden, dass die zu tadelnde Handlung als tyrannisch gilt (Cic. inv. I 53,102; vgl.
Liv. III 19,5), und dass man gegen Freunde bzw. Leute handelt, mit welchen man sein Leben verbracht
hat (Cic. inv. I 54,103; vgl. Liv. III 19,9). Darberhinaus lsst der Vergleich der strafbaren Handlung mit
anderen abscheulichen Taten das Verhalten der Gegner noch schrecklicher aussehen (Cic. inv. I 54,104;
vgl. Liv. III 19,6). Man soll auerdem mit Nachdruck hervorheben, dass die Tat von dem begangen ist,
von welchem sie am wenigsten htte begangen werden drfen, und von welchem sie, wenn sie ein anderer beginge, htte verhindert werden mssen (Cic. inv. I 54,104; vgl. Liv. III 19,9-10). Zuletzt habe man
noch zu unterstreichen, dass es sich nicht blo um ein ungerechtes Verhalten handle, sondern dass mit
dem Unrecht noch Schmach verbunden sei (Cic. inv. I 54,105; vgl. Liv. III 19,4; 19,7). (Der Wiedergabe
des Inhalts von Stellen aus De inventione ist die bersetzung von Nsslein 1998 zugrunde gelegt.) Die
Aufregung des Redners drckt sich auerdem hier in seinen Fragen (Liv. III 19,6-7; 19,10), wie auch im
Gebrach von Synonymen (Liv. III 19,5) und ironischen Ausdrcken aus (Liv. III 19,9). Zur Funktion
der Affekte in einer Rede s. Cic. de orat. II 45,189-190; 45,193; Wisse 1989, 257-269; Wisse 1992, 223;
Carey 1994, 33.

Livius Geschichte als einheitsstiftender Faktor

201

Interesse zu sein. Cincinnatus ist bereit, einen Kampf gegen die Feinde zu
fhren, den er als den einzigen Weg zur Rettung der res publica vor der Katastrophe sieht. Seine Sehnsucht nach einer Zeit, in der die Tugenden (virtus,
constantia) in Rom herrschten, liegt schlielich auf der Hand (Liv. III 19,5)15.
Die Rede des Konsuls bewegte die Plebs, sagt Livius, und die Vter glaubten, dass nun die res publica wiederhergestellt sei (Liv. III 20,1). Der Prozess
der Einigung vollzieht sich allerdings nicht ohne weitere Schwierigkeiten
(Liv. III 20,6-21,1).
Neue Streitigkeiten zwischen dem Senat und der Plebs bieten einige Jahre
spter (446 v.Chr.) den Aequern und den Volskern willkommene Gelegenheit zum Angriff. Der Konsul T. Quinctius Capitolinus tadelt in seiner Rede16 sowohl die Patrizier als auch die Plebeier wegen ihrer Zwietracht (Liv.
III 67,6)17.
Manche rhetorische Mittel dienen auch hier, wie frher im Fall von Cincinnatus18, dem Zweck, die Enttuschung, den Abscheu und die Emprung
des Redners ber die Lage der Dinge in Rom auszudrcken19, wo die Gefahr der vollkommenen Zerstrung wegen der Zwietracht der Bevlkerung
immer grer wird (Liv. III 67,3; 67,11; 68,2-3; 68,7-8). Auch diesmal zielt
die Rede darauf ab, die Brger zu ermutigen, den gemeinsamen Kampf im
Namen und auf Grund der alten rmischen Werte gegen die ueren Feinde
aufzunehmen (Liv. III 68,12-13). Gleichzeitig beweist Capitolinus sein pa15Vgl.

auch Liv. III 26,7 sqq. (L. Quinctius Cincinnatus erscheint hier als vorbildhafter Rmer).
Zu dieser Rede s. Burck 1964, 48-50; Treptow 1964, 80-88; Ogilvie 1965, zu Liv. III 67-68, S.
517: A speech on similar lines was evidently in D(ionysius) (of) H(alicarnassus) whose text is defective
at this point, which implies that one stood in the history written by Valerius Antias; Von Haehling
1989, 191. Nach Ullmann 1927, 51 mais le premier (sc. discours) dune tendue considerable est
prononc par T. Quinctius Capitolinus de lan 446 av. J. Chr; 56: Pour ce discours nous navons
aucune source existante.
17Schon seit langem, sagt Capitolinus, lasse die Lage der Dinge im Staat nichts Gutes ahnen (Liv. III
67,2); jetzt jedoch schwebe Rom in der grten Gefahr, denn die Rivalitten zwischen den Vtern und
dem Volk htten die Stadt vergiftet (Liv. III 67,6). Im Namen des Vaterlandes aber auch in ihrem eigenen
Interesse, mit Rcksicht auf ihr eigenes Leben und auf das Leben ihrer Familien mssen jetzt Vter und
Plebs sich wieder einigen und den Kampf gegen die Feinde entschieden bernehmen (Liv. III 67,10-11;
68,2-3). Fr den Sieg wrden die Sitten der Vorfahren brgen: Capitolinus versichert dem Volk, dass
er die Plnderer vom rmischen Land verjagen wrde, sobald die Rmer die alte Lebensart ihrer Vter
angenommen htten (Liv. III 68,12-13). (Die Paraphrasierung des Textes von Livius beruht stilistisch auf
der deutschen bersetzung von Fladerer 2003)
18Siehe Burck 1964, 49-50: Nach ihrem Gehalt und Zweck lt sich diese Rede mit der des L.
Quinctius Cincinnatus aus der ersten Buchhlfte (19,6-12) vergleichen, zu der sie auch eine Art kompositionelles Gegenstck darstellt.
19 Liv. III 67,1-2; 67,4; 68,10-12 ist die Rede von abscheulichen und schndlichen Zustnden in
der Stadt, welche Emprung und Enttuschung erregen. Fragen (Liv. III 68,3-4), die sich manchmal
aneinander anschlieen (Liv. III 67,3; 67,10), dezisive Aufforderungen (Liv. III 68,1-2), Ausrufe (Liv. III
68,6) zeichnen den Zorn und die Aufregung des Redners nach (s. Lausberg 1990 767, 809).
16

202

Chrysanthe Tsitsiou-Chelidoni

triotisches Ethos, indem er sich um die Lage in Rom (Liv. III 67,2; 67,6) und
um das Gemeinwohl (Liv. III 68,3; 68,9-10) Sorgen macht.
Auch diese Rede hat eine starke Wirkung: Nachdem man Capitolinus gehrt hat, drngt die ganze rmische Jugend auf Kampf und Krieg (Liv. III
69,1-2). Die Senatoren erkennen daher im Konsul unum vindicem maiestatis
Romanae (den einzigen Schtzer der rmischen Wrde und Hoheit; Liv. III
69,3), den Retter der Wrde der Vter, der in seiner Rede die Eintracht der
Stnde herausgestellt habe (Liv. III 69,4)20.
Die weithin bekannte, groangelegte Rede des Camillus, die das Ende
des 5. Buches nach einem durchdachten Plan des Autors markiert, gibt einen weiteren Denkansto21. Im Jahr 390 erlst Camillus die Rmer von der
Schande, weiterhin als Freigekaufte leben zu mssen (Liv. V 49,1-2). Unter
seiner Fhrung kmpfen die Rmer siegreich gegen die Feinde (Liv. V 49,37). Dann will jedoch das Volk wie auch die Tribunen das zum grten
Teil zerstrte Rom verlassen und nach Veji bersiedeln (Liv. V 49,8; 50,8).
Unter diesen Umstnden beschwren die Senatoren Camillus, die Diktatur
nicht niederzulegen (Liv. V 49,9). Camillus hlt eine flammende Rede vor
der Volksversammlung, um die Rmer davon zu berzeugen, dass sie in ihrer Stadt bleiben und diese wieder aufbauen sollen22. Auch diese Rede soll
also dem Gemeinwohl dienen und dazu beitragen, dass die plebs und die
patres in Eintracht ber die Lage Roms entscheiden.
20Vgl. die Bemerkungen von Ullmann 1927, 58: Le caractre noble et fier de lorateur est bien
dpeint par Tite-Live Le premier discours dune tendue considrable dans loeuvre de Tite Live est
ainsi un beau spcimen de lidal que se fait lauteur dun Romain de la vieille roche.
21 Zu den Quellen dieser Rede s. Ullmann 1927, 63; Ogilvie 1965, zu Liv. V 51-54, S. 742: That
much of it is derived from an earlier source is clear from the parallel speech in Plutarch (Camillus 31)
It does not, however, follow from this that the arguments used by Camillus, even if conventional, were
not sincerely held by L. himself. The speech is not a mere reworking of material already employed by
Claudius Quadrigarius. It is L.s own work, designed to form a tail-piece to the first five books.
22In dieser Rede artikuliert Camillus zunchst seinen Widerwillen gegen die Rivalitten der Senatoren mit den Volkstribunen (Liv. V 51,1). Was ihn interessiere, sagt er, sei das Schicksal des Vaterlandes
(Liv. V 51,2). Pietas sei es, die es den Rmern nicht erlaube, ihre Stadt zu verlassen. Gerade das jngste
Unheil Roms sei auf das ungerechte und frevelhafte Verhalten der Rmer zurckzufhren (Liv. V 51,7).
Rom sei von den Vtern als Zentrum der Gtterverehrung konzipiert (Liv. V 52,2; 52,7; 52,13). Der Kult
lasse sich nicht umsiedeln (Liv. V 52,6-7); eine Umsiedlung der Priester wrde auerdem die nderung
ihrer Identitt bedeuten (Liv. V 52,14). Der Kult prge das politische Leben, denn einige Verfahren,
wie z.B. die Wahlen, seien mit geweihten Orten innerhalb der Stadt eng verbunden (Liv. V 52,16-17).
Die Umsiedlung wrde daher auch politische Unordnung mit sich bringen. Rom sei darber hinaus das
Zuhause aller Rmer und ein wichtiges geographisches, kommerzielles und militrisches Zentrum, das
von den Gttern gesegnet und fr die Herrschaft in der Welt bestimmt sei (Liv. V 53,9; 54,2-7). Das
Bild der Stadt Rom, die er Mutter der Rmer nennt (Liv. V 54,2), soll die Herzen der Brger rhren.
Die Vorfahren, die aus dem Nichts eine groe Stadt gegrndet htten, seien von Camillus Zeitgenossen
als wegweisendes Vorbild zu nehmen (Liv. V 53,9). (Die Wiedergabe des Inhalts des Textes basiert zum
grten Teil auf der deutschen bersetzung von Fladerer 1993)

Livius Geschichte als einheitsstiftender Faktor

203

Camillus gibt sich hier als Vertreter der alten rmischen pietas zu erkennen23, denn er spricht mit Begeisterung von dieser von den Vtern vertretenen (Liv. V 52,3; 52,8) und von den Gttern stets belohnten Tugend (V
51,4-5; 51,9-10), die es den Rmern nicht erlaube, ihre Stadt zu verlassen.
Man erinnere sich, dass der Senat einem Antrag des Diktators zufolge die
zerstrten Heiligtmer hatte restaurieren lassen, bevor dieser seine Rede
vortrug (Liv. V 50,2). Auf Grund desselben Antrags sollten auch die Kapitoli
nischen Spiele veranstaltet werden (Liv. V 50,3).
Camillus ergeht sich in eine laudatio patriae24; denn, wie er am Anfang
seiner Rede bemerkt, es geht um einen Kampf im Namen des Vaterlandes
(pro patria dimicatio [Liv. V 51,2])25.
Auch diese Rede soll die Rmer sehr bewegt haben (Liv. V 55,1). Allerdings
ist es erst die Deutung eines zuflligen Ereignisses als Vorzeichens, das Senat
und Plebs zu dem endgltigen Entschluss fhrt, Rom wieder aufzubauen.
Cincinnatus, Capitolinus und Camillus erscheinen als Fhrer in kritischen
Phasen, in denen Rom gespalten ist. Das Endziel ihrer Reden ist im Grunde
die Wiederherstellung der concordia ordinum26 im Namen der patria und im
Dienst jeweils eines patriotischen Planes27.
Ob allerdings dieser Plan erfllt wird, dies hngt von zwei Voraussetzungen ab. Die erste ist deutlich in allen drei Reden ausgesprochen: Die Rmer
mssen bereit sein, eine konkrete Moral aufzuweisen bzw. zu respektieren,
welche sie verlassen haben bzw. vorhaben zu verlassen, obwohl diese das
berleben, den Wohlstand und das Glck Roms sicherte (Liv. III 19,5; 67,5-

23 Zum Inhalt dieses Begriffes s. Burck 1967, 128-129: Mit unserer Frmmigkeit hat pietas freilich
auch jetzt noch wenig zu tun; sie meint nicht so sehr eine Gesinnung und ein religises Fhlen als vielmehr die peinlich gewissenhafte Erfllung des Kultes und der den Gttern schuldigen Opfer; Meister
1967, 5, 13-14.
24Vgl. die Bemerkung von Feldherr zu Liv. V 49,3 (1998, 80): By ordering his soldiers to fight
holding before their eyes the shrines of the gods, their families, and the soil of the patria (5, 49, 3), Camillus creates for each of his soldiers a visual link to the totality of the Roman state.
25 Man erkennt diesmal keine besonders starken Affekte, obwohl sich Aufregung in den zahlreichen
Fragen uert (Liv. V 51,3; 51,7; 52,3-4; 52,12-13; 52,15-17; 53,8-9; 54,1-2). Vgl. auch den Ausruf in Liv.
V 51,6 und die Beschreibung einer abscheulichen zuknftigen Perspektive in Liv. V 53,5. Diese Perspektive bengstigt offensichtlich den Redner und sie soll entsprechende Gefhle auch in seinem Publikum
erregen. Camillus stellt auerdem die Rivalitten zwischen den Volkstribunen und den Senatoren als
verhasst dar (Liv. V 51,1).
26 Wie Howald bemerkt (1944, 170) lsst Livius im Jahre 403 von der concordia ordinum sprechen,
einem Modewort der ciceronianischen Epoche. Siehe auch die Aufzhlung der katastrophalen Konsequenzen des Zwistes innerhalb der Stadt Liv. III 19,6; 19,8-9; 67,6; 67,11; 68,4-5; 68,8; Camillus seien die
Rivalitten zwischen Senat und Plebs verhasst (Liv. V 51,1).
27Im Fall von Cincinnatus und von Capitolinus sieht dieser Plan vor, den Kampf gegen die Feinde zu
unternehmen, im Fall des Camillus, Rom wiederaufzubauen.

204

Chrysanthe Tsitsiou-Chelidoni

6; 68,6; 68,12-13; V 51,9 - 52,3)28. Virtus, constantia, pietas stellen wichtige Bausteine dieser Moral dar (Liv. III 19,5; 68,12-13; V 52,1-3; 52,8-9). Es
handelt sich um typische rmische Tugenden29, die als die Gegenkrfte zu
dem Aufruhr und zu den Spaltungstendenzen der verschiedenen Parteien zu
verstehen sind (Liv. III 19,5). Alle drei Konsuln vertreten sie in ihrer Person. Die zweite Voraussetzung scheint in den Reden von Cincinnatus und
von Capitolinus eher zwischen den Zeilen auf, whrend sie in der Rede des
Camillus offen ausgesprochen wird: Die Rmer mssen Zuneigung zu der
patria empfinden und diese auch durch die Tat beweisen. Die drei Konsuln,
die selbst ein hohes patriotisches Ethos besitzen, richten deswegen ihr Augenmerk jeder auf seine Weise auf das, was allen Rmern gemeinsam
ist und wegen der Zwietracht in Gefahr gert: die res publica (Liv. III 19,4),
die res communis (Liv. III 68,3), das geplnderte Land (Liv. III 68,2-3), das
publicum commodum (Liv. III 68,10), die patria (Liv. III 67,10; V 51,2), die
Heiligtmer auf dem Kapitol und der Burg, die als Beweis der Verehrung
der Gtter durch die Gemeinschaft gelten (Liv. III 19,10; V 52,6-7)30; auf
die emotionale Beziehung des Redners zum Land (Liv. V 51,2; 54,2-3), die
herrliche Besonderheit des Ortes und das Glck, das dieser mit sich bringt
(Liv. V 54,4-6). All das erweckt Sympathie, ja sogar Liebe zum Vaterland (caritas patriae)31, welches alles Institutionen, Menschen, Gebude, Eigentmer, Landschaft umfasst und somit die gemeinsame Grundlage aller Rmer bildet32.
28Vgl. auch Liv. III 17,6: Romule pater, tu mentem tuam, qua quondam arcem ab his iisdem Sabinis
auro captam recepisti, da stirpi tuae; iube hanc ingredi viam, quam tu dux, quam tuus ingressus exercitus est.
Primus en ego consul, quantum mortalis deum possum, te ac tua vestigia sequar. Nachdem P. Valerius die
Tribunen angesprochen hat, wendet er sich nun mit diesen Worten an die Menge. In der Stadt herrscht
Zwiespalt, whrend das Capitolium von Verbannten und Sklaven besetzt wird und die alten Feinde Roms
die Stadt stndig mit Angriff bedrohen (Liv. III 15,4-5). Die Anfhrer der Plebs, die Tribunen, rufen die
Soldaten von den Waffen weg. Valerius will, dass die Plebs sich mit den Vtern einigt, dass die Eintracht
also in die Stadt zurckkehrt. Die Rmer mssen dazu nach den Prinzipien ihrer Vorfahren handeln.
29 Zu dem rmischen Wertbegriff der virtus s. Curtius 1967, 371: Virtus ist also mehr als bloe kriegerische Kraft in Angriff und Verteidigung, sie ist eine dauernde Leistung im Aufbau eines bestimmten
Staatswesens, das diese unermeliche Kraftausgabe durch Jahrhunderte hindurch erforderte. Virtus im
ersten Sinne war gewi auch griechisch, gallisch oder germanisch, aber Virtus im weiteren Sinne als konstitutive Organisation von Verfassung und Recht, politischer Gesinnung, politischem Ideal und Norm
fr das Leben des einzelnen war rein rmisch. Siehe auch zur Bedeutung des Wortes bei Livius Moore
1989, 5ff. Zum Wertbegriff der constantia bei den Rmern s. Curtius 1967, 373: Und auf Mnzen des
Kaisers Claudius und seiner Mutter Antonia erscheint einmal die constantia, die Personifikation der
standhaften Ausdauer; 374: Schon Polybius hat die Gre des Rmertums in der Constantia gesehen,
mit der es die Zeiten der Krisen, wie nach Cannae, bestand; zum Begriff der pietas s. hier Anm. 9, 23.
30Vgl. auch in der Rede des P. Valerius Liv. III 17,3.
31Vgl. Liv. V 54,2.
32 Man vergleiche Liv. V 49,3: suos in acervum conicere sarcinas et arma aptare ferroque non auro reciperare patriam iubet, in conspectu habentes fana deum et coniuges et liberos et solum patriae deforme belli

Livius Geschichte als einheitsstiftender Faktor

205

Diese zwei Voraussetzungen stehen allerdings in allen drei Reden in gewissem Zusammenhang zueinander. In der Rede des Cincinnatus werden konkrete moralische Werte, virtus und constantia, die nach den Worten des Redners einst in Rom lebendig waren, der rmischen res publica fr wrdig gehalten (Liv. III 19,4-5). Im Sinne von Quinctius Capitolinus stellen die mores
antiqui den einzigen Rettungsweg fr Rom dar (Liv. III 68,12-13), das durch
die discordia ordinum vergiftet ist (Liv. III 67,6). Rom beginnt demnach zu
degenerieren, sobald die Rmer ihre guten und so erfolgreichen Sitten verlassen; folglich mssen diese Sitten dem eigentlichen Wesen der rmischen
res publica entsprechen. Schlielich wird es in der Rede des Camillus ganz
deutlich, dass Rom der Geburts- und Entwicklungsort der pietas ist, welche
seine Brger beweisen sollen (Liv. V 51,4; 52,2; 52,5-7; 52,13). Rom und seine Moral verbinden sich in einem corpus und lassen sich nicht voneinander
trennen. Unter diesem Aspekt vertreten und verfechten alle drei Konsuln
eine typisch rmische Moral, die sie in ihrer Stadt wiederherstellen wollen.
Alle drei Reden feuern die Zuhrer an, die sich darauf hin wieder einig
fhlen und ber kurz oder lang dazu bereit zeigen, den vom Redner vorgeschlagenen Plan durchzufhren. Das bedeutet, dass beide vorher erwhnten
Voraussetzungen erfllt sind. Die Liebe der Rmer zu ihrer Heimat wird von
neuem entfacht. Sie sind auerdem dazu bereit, die moralische Haltung anzunehmen, welche die Redner mit Begeisterung anpreisen und selbst verkrpern.
Es liegt nahe, zu vermuten, dass diese moralische Haltung, genau wie die
Moral, die Numa vertritt, nach Ansicht des Livius von einer besonderen
kommunikativen Qualitt ist und eine ansteckende Wirkung auf ihre Rezipienten ausbt. Im Fall von Cincinnatus, Capitolinus und Camillus wird allerdings diese Wirkung durch die rhetorische Behandlung der Thesen und
Gedanken der drei Konsuln gefrdert33.
Diese moralische Haltung vermag zunchst den Respekt und die Bewunderung bei allen zu erwecken, welche sie wieder erkennen bzw. zum ersten Mal
malis et omnia quae defendi repetique et ulcisci fas sit. Die Rede ist hier von Camillus, der als rmischer
Diktator die Rmer anspornt, den Kampf gegen die Feinde im Angesicht der Landschaft, all der Institutionen und der Personen aufzunehmen, welche fr die Rmer ihre patria darstellen. Vgl. auch was die
Vter im Jahre 460 v.Chr. zu den Brgern sagen, um die Eintracht im rmischen Volk wieder herzustellen
Liv. III 17,11: non inter patres ac plebem certamen esse, sed simul patres plebemque, arcem urbis, templa
deorum, penates publicos privatosque hostibus dedi.
33Siehe Vasaly 1999, 526: In his portrayal of the Quinctii, Livy contradicts the Socrates of the
Gorgias by presenting to his readers a picture of those ideal moderatores rei publicae, essential to a free
state, who are capable of reproving and educating their hearers by their rhetoric. Schon Aristoteles
lehrt, dass die Personen, die Tapferkeit und Weisheit beweisen, zum Gegenstand des zh`lo~ (des eifrigen
Strebens, der Nachahmung) der Anderen werden (Arist. rhet. II 11,1388b5,14-17); dasselbe gilt auch fr
die Personen, die man in Versen oder in Prosa lobt und anpreist (Arist. rhet. II 11,1388b7,21-22). Siehe
auch hier Anm. 59.

206

Chrysanthe Tsitsiou-Chelidoni

kennen lernen, genau wie die pietas des C. Fabius die Bewunderung sowohl
der Feinde als auch der Rmer gleichsam erweckt, die ihn mitten durch die
Geschosse der Gallier von der Burg herabsteigen, um das alljhrliche Opfer
des Fabischen Geschlechtes am Quirinal zu begehen sehen (Liv. V 52,3; nach
der bersetzung von Fladerer). Auch die Konsuln verhehlen nicht ihre eigene Bewunderung fr die als echt rmisch anzusehenden Sitten (Liv. III 19,5;
68,12-13; V 52,3; 53,9). Ihre emotionale Aufladung muss leicht auf die Zuhrer bergehen34. Im Anschluss an diese Reden sind somit die Rmer bereit, eine gemeinsame Handlung zu unternehmen; sie drngen sich danach, die von
den Rednern verfochtene und verkrperte Tugenden nachzuahmen.
Leicht lsst sich die Schlussfolgerung ziehen, dass die moralische Haltung,
deren wichtige Erscheinungen die virtus und die pietas sind den Reden der
drei Konsuln zufolge handelt es sich um eine typisch rmische Haltung ,
eine besonders inspirierende Kraft ist, welche aktiviert wird, wenn ihre Trger und Vertreter die Gelegenheit dazu haben, sich an ein breites Publikum
zu wenden und diesem ihr eigenes Ethos und ihre moralischen Prinzipien
durch Reden bzw. durch Handeln vorzustellen.
Wenn jedoch die Brger dieselbe Moral, welche als die typisch rmische
Moral angesehen wird, miteinander teilen, und dieselben Gefhle (Bewunderung oder sogar Zuneigung) fr Rom, den Geburtsort dieser Moral, empfinden, bedeutet dies, dass sie eine gemeinsame Identitt besitzen, dass sie
wie Rmer fhlen, denken und handeln35. Gerade das verlangen letztendlich alle drei Redner von ihren Zuhrern, dass sie ihre gemeinsame rmische
Identitt, der sie vertrauen und auf die sie stolz sein sollen, unter Beweis stellen. Die drei Konsuln stellen selbst lebendige exempla dieser Identitt dar.
Wenn die Brger sich dieser Identitt bewusst werden, ist zu erwarten, dass
sie nicht mehr in den Mitgliedern des anderen Standes Feinde sondern
Verwandte sehen werden, mit denen sie viel Gemeinsames verbindet. Erst
dann wird die concordia mglich; erst dann wird Rom zur patria aller. Diese
Antwort scheint Quinctius Capitolinus auf die Frage zu geben, die er selbst
stellt (Liv. III 67,10): ecquando unam urbem habere, ecquando communem
hanc esse patriam licebit?
Ich fasse zusammen: Aus den bereits besprochenen Stellen des Geschichtswerkes des Livius geht hervor, dass die als berlegen angesehene
und so vorgestellte rmische Moral nach Livius (Liv. I praef. 9), Cincinnatus (Liv. III 19,5), Capitolinus (Liv. III 65,5; 68,6) und Camillus (Liv.
34

Zu der Wirkung der Affekte des Redners auf sein Publikum s. hier Anm. 14.
Bezeichnenderweise unterstreicht Camillus die Habsucht, Unehrbarkeit und Frevelhaftigkeit der
Gallier und hebt das Schicksal der eigenen Landsleute hervor, die gesiegt haben, als Gegenpol zu der
Vernichtung, die die Feinde erlitten haben (Liv. V 51,10).
35

Livius Geschichte als einheitsstiftender Faktor

207

V 51,5-6; 51,10) ist es die Geschichte selbst, die die berlegenheit dieser
Moral beweist als ein wichtiger Faktor zu erkennen ist, der dazu beitrgt
dank ihrer besonderen Qualitt und ihrer kommunikativen Kraft , dass
die Rmer eine kollektive Identitt ausbilden und sich einig fhlen. Als ein
zustzlicher Faktor von ebenfalls entscheidender Bedeutung bei der Bildung
dieser Identitt erscheint die gemeinsame Zuneigung zu Rom, dem natrlichen Ort der rmischen Moral. Eine allgemein respektierte Person kann als
reprsentatives Beispiel dieser Moral gelegentlich auch der Liebe zu Rom
entscheidend dazu beitragen, dass die Dynamik der rmischen moralischen
Haltung als eines einheitsstiftenden Faktors ausgelst wird.

2.
Eine auffllige Analogie verbindet alle drei angefhrten Reden mit der
praefatio des Livius zum ersten Buch seines Geschichtswerkes: Die rmische
res publica befindet sich jeweils in einer hchst kritischen Lage, aus welcher
sie durch die Rckkehr zu der ihrem Wesen entsprechenden Moral, zu der
echten rmischen Moral, gerettet werden muss. Diese Moral erscheint als der
absolute Gegenpol zu dem aktuellen Sittenverfall der Rmer (Liv. I praef. 4-5;
9; 11-12; III 19,4-5; 67,2; 67,5-6; 68,8; 68,12-13; V 52,1-3; 52,7; 53,7-9)36.
Es liegt nahe zu vermuten, dass Livius selbst, genau wie Cincinnatus, Capitolinus und Camillus37, die Rckkehr zu den guten rmischen Sitten befr36An einem zustzlichen Punkt verbindet sich Livius mit seiner Figur des T. Quinctius Capitolinus:
Weder Livius noch Capitolinus beabsichtigen, der Mehrheit ihrer Leser bzw. ihrer Zuhrer zu gefallen:
Der Historiker unterstreicht, dass er selbst trotz der Vorliebe der meisten seiner Leser fr die jngere
Zeit sein Augenmerk auf die ferne Vergangenheit lenken wird (Liv. I praef. 4); Capitolinus hebt hervor,
dass er gezwungen sei, durch seine Rede dem Volk unangenehm zu werden, obwohl er wei, dass andere Worte diesem besser gefallen (Liv. III 68,9-10). Camillus bezeichnet auerdem als remedium fr
die res publica die Wiedereinsetzung von alten Ritualen (Liv. V 52,9). Das knnte ein Indiz sein fr die
besondere Bedeutung, die das Wort remedium in der praefatio hat (zu der Bedeutung des Wortes im
genannten Kontext s. Von Haehling 1989, 212-215; Moles 1993, 151-153). Zu der Parallelitt der Situation, welche Livius in seiner praefatio als Roms aktuelle Lage beschreibt, mit der Situation, in der sich
Rom (dem 5. Buch zufolge) befindet, bevor Camillus seine Rede zum Thema der Umsiedlung der Stadt
hlt, s. Miles 1995, 79. Alle erwhnten Analogien werfen auch ein Streiflicht auf die bekannte Frage,
ob die praefatio des Livius von Pessimismus, wie oft behauptet wird, oder von Optimismus geprgt sei.
Zum Thema s. Howald 1944, 170; Paschalis 1980, 131-132; Von Haehling 1989, 212-215; Walsh
1982, 1064; Paschoud 1993, 132 (mit Hinweisen auf die frhere Sekundrliteratur); Von Albrecht
1994, 675. Wrde man sich etwa die Frage stellen, ob Cincinnatus, Capitolinus und Camillus pessimistisch oder optimistisch ber ihr Vorhaben sind, das rmische Volk umzustimmen? Ihre Reden sind
Ansprachen von enttuschten, scharf kritischen, ja emprten Mnnern, die jedoch offensichtlich davon
ausgehen, dass die Lage in Rom sich ndern kann, wenn man noch rechtzeitig und wirksam interveniert.
Genau der gleichen Einstellung drfte auch Livius sein.
37 Zu der Parallelitt des Livius mit historischen Figuren, die in seinem Werk vorkommen, s. Feldherr 1997, 137, 152 (Brutus als parallele Figur zu Livius); Feldherr 1998, 70-71 (Numa und Livius),
71 (Scipio und Livius).

208

Chrysanthe Tsitsiou-Chelidoni

wortet, weil er glaubt, dass die echt rmische Moral virtus, iustitia, pietas
und temperantia stellen einige ihrer wichtigsten Aspekte dar38 zur Bildung
und Verbreitung einer kollektiven Identitt beitragen und dadurch die Einheit
zunchst innerhalb der Bevlkerung Roms frdern kann. Ich werde zur
Argumentation fr diese Annahme zurckkehren, nachdem ich gezeigt haben
werde, dass unser Historiker sich die Eintracht in Rom, in Italien und im ganzen Imperium tatschlich angelegen sein lie wie knnte es eigentlich anders
sein bei jemand, der die schlimme Erfahrung der Brgerkriege gemacht hat39?
Im Parteienstreit sieht Livius tatschlich die hufigste und eine der
schrecklichsten Katastrophen, die ein Volk erleiden kann (Liv. IV 9,2-3): frui
namque pace optimo consilio cum populo Romano servata per intestina arma
non licuit; quorum causa atque initium traditur ex certamine factionum ortum,
quae fuerunt eruntque pluribus populis exitio quam bella externa, quam fames
morbive, quaeque alia in deum iras velut ultima publicorum malorum vertunt.
Er ist auerdem ganz sicher, dass Rom sich immer als militrisch berlegen
erweisen wird, solange die Liebe zum Frieden und zur Eintracht zwischen
den Brgern in der Stadt herrscht (Liv. IX 19,17): mille acies graviores quam
Macedonum atque Alexandri avertit avertetque (sc. miles Romanus), modo sit
perpetuus huius, qua vivimus, pacis amor et civilis cura concordiae40.
Die Einheit in Italien und darber hinaus im ganzen rmischen Reich
muss ebenfalls in seinen Augen ein erwnschtes Ziel gewesen sein, denn
das Imperium ist im Sinne von Livius als ein Organismus vorstellbar, dessen
Haupt Rom ist (Liv. I 4,1; 16,6-7; 45,3; V 54,7; XXI 30,10)41.
38 Zu virtus, iustitia, pietas und temperantia als Komponenten der typisch rmischen Moral nach
der Vorstellung des Livius s. Moore 1989, 6, 51, 54, 61, 79. Moore betont allerdings, dass iustitia keine
ausschlielich rmische Tugend darstellt (ebenda, 54). Dasselbe gilt auch fr pietas (ebenda, 56ff.). Nach
Meister (1967, 5) Fides, virtus, pietas sind die Sulen, auf denen das Wesen altrmischer Sittlichkeit
ruht. Es ist eine den Volkscharakter sehr scharf bezeichnende Sittlichkeit.
39 Wie Burck treffend bemerkt hat (1967, 105): In den schweren Jahren der Brgerkriege nach
dem Tode Caesars war ihm (sc. Livius) das Wissen um die geschichtsbildende Kraft des Volksganzen als
stille Hoffnung fr eine Besserung der chaotischen Verhltnisse auf dem Gebiete der Politik und Wirtschaft, Religion und Moral langsam erwachsen und hatte sich unter den Segnungen der pax Augusta in
ihm zum festen Glauben verdichtet, von dem sein Werk lebendiges Zeugnis ablegt. Siehe auch Burck
1966a, 329, 331; Burck 1966b, 374.
40Siehe auch Liv. II 44,8-9 und dazu Paschalis 1980, 144-145. Vgl. ferner Polyb. VI 18,1 und s.
dazu Skard 1967, 177-178. Siehe auch Gell. V 8,1. Poseidonios hat die altrmische Geschichte hell
strahlen lassen, eben weil damals die oJmovnoia ungebrochen dastand (so Skard 1967, 187). Vgl. auch
Cic. rep. I 19,32.
41Siehe Burck 1966a, 331, 334; Mineo 2006, 19 (mit Anm. 1 und 2), 20-21. Zu den philosophischen
Wurzeln der Vorstellung, dass die Stadt wie ein Organismus wchst, s. Mineo 2006, 32-45. Vgl. Liv. XXI
41,17: qualis nostra vis virtusque fuerit, talem deinde fortunam illius urbis ac Romani imperii fore. Hier
wird es offensichtlich, dass das Schicksal Roms mit dem Schicksal des rmischen Imperiums zusammenhngt.

Livius Geschichte als einheitsstiftender Faktor

209

Die Frderung der Einheit ist auerdem vom augusteischen Geist durchdrungen42. Der Prinzeps bemhte sich bekanntlich um die Eintracht in
Italien und im Imperium43 und er sah es als den Beweis fr eine besondere
persnliche Qualifikation an, dass das ganze Italien und dazu noch ein groer Teil des rmischen Imperiums freiwillig auf seiner Seite gestanden habe
(Res gest. 25,2): iuravit in mea verba tota Italia sponte sua, et me belli quo vici ad Actium ducem depoposcit. Iuraverunt in eadem verba provinciae Galliae
Hispaniae Africa Sicilia Sardinia44.
Es liegt also mehr als nahe zu vermuten, dass Livius durch sein Werk zur
Frderung eines der nach seiner Sicht wichtigsten Faktoren des Wohlstan42Es gibt umfangreiche Bibliographie zu der Beziehung zwischen Livius und Augustus (zu der Bibliographie von 1933 bis 1978 s. Kissel 1982, 930; zu jngerer Bibliographie und berhaupt zum Thema
s. Badian 1993; Mineo 2006, 74, Anm. 300; 109ff.). Siehe u.a. Kienast 1999, 268: Tatschlich lt
Livius gelegentlich eine gewisse Unabhngigkeit des Urteils erkennen, etwa bei der Behandlung der
mythischen Genealogie des julischen Hauses. Dennoch war sein Werk offenbar weitgehend im Sinne des
Prinzeps. Die ausfhrliche Darstellung der rmischen Vorgeschichte mute den restaurativen Tendenzen des Augustus entgegenkommen; und fr die Zeit der Brgerkriege hat sich Livius wohl weitgehend
an der Autobiographie des Augustus orientiert; Shuttleworth-Kraus 1994, 8: the historians project parallels/rivals Augustus own building of a new Rome via (re)construction of its past But a shared
project does not necessarily mean a lack of independence.
43Nach Tarpin (2001, 4) ist es die augusteische Propaganda, die aus ganz Italien die natrliche
Verlngerung Roms machte. In der Zeit des Augustus wurde der Prozess der kulturellen Vereinheitlichung, der schon in der Zeit des Bundesgenossenkrieges anfing, mit beschleunigtem Rhythmus fortgesetzt
(s. Tarpin 2001, 12). Neben der Sprache (vgl. Verg. Aen. XII 837; Plin. nat. III 4,39) frderten weitere
Faktoren die kulturelle Vereinheitlichung Italiens: Die Vermischung der Bevlkerung, der Handel, die
groe Kolonialbewegung, die Deportationen, die Vereinheitlichung der Verfassungen, die fortschreitende Integration der italischen Notablen in die rmische Aristokratie. Dies geschah um so schneller, als
Augustus und seine Umgebung in den italischen Stdten hufig eingriffen (so Tarpin 2001, 12-13).
Die kulturelle Vereinheitlichung setzte sich vor allem in den hheren Sozialschichten durch (Plin. epist.
IX 23,2). Wie Kienast bemerkt (1999, 500), Von groer Bedeutung fr das Werden der Reichseinheit
war es ferner, da erst unter Augustus das Imperium auch geographisch zu einem Ganzen geworden
war, das zudem im Innern weitgehend von Truppen entblt war und sich eines ungestrten Friedens
erfreuen konnte; ebenda, 504: Augustus hat sein Reich aber auch verkehrstechnisch zu erschlieen gesucht. Auch die Entstehung einer einheitlichen Reichswhrung trug zur Vereinheitlichung des Reiches
bei (ebenda, 510). Kienast (ebenda, 511) kommt schlielich zu folgender Schlussfolgerung: Stellt so
das Rmische Reich unter Augustus keineswegs einen Einheitsstaat dar, so lassen sich die aufgezeigten
Tendenzen zu einer Vereinheitlichung des Imperium doch nicht bersehen. Obwohl diese Tendenzen
von Augustus zweifellos gefrdert wurden, fehlt es doch an programmatischen uerungen.
44Siehe auch Tarpin 2001, 11-12: Der Ausdruck tota Italia, der sich schon bei Cicero (ad Q. fr.
4; dom. 75) findet, erhielt seinen vollen Sinn erst unter Augustus Cicero meint damit die Eliten der
Kolonien und Munizipien Italiens und der Zisalpina, whrend der angeblich spontane Eid auf Octavian
i. J. 32 v. Chr. und in geringerem Mae seine Wahl zum Pontifex Maximus in der Tat eine kohrente
politische Einheit voraussetzten. Siehe jedoch ebenda, 11: Gleichwohl war das augusteische Italien
zwar keine Nation im modernen Sinne des Wortes, aber doch mehr als ein Propagandaschlagwort. Auch
wenn Velleius Paterculus Feststellung (2, 15, 2) nach der die Italiker homines eiusdem gentis et sanguinis
waren, auf die offizielle Propaganda zurckzugehen scheint, gab es hinter dem Begriff tota Italia eine
Realitt. Vgl. Verg. Aen. VIII 678.

210

Chrysanthe Tsitsiou-Chelidoni

des einer politischen Gemeinschaft beitragen wollte. Er stellte sich somit in


eine Reihe mit denjenigen ausgezeichneten Mnnern, welche, wie er selbst
andeutet, immer wieder eine neue Methode erfinden mussten um das Volk
richtig zu lenken (Liv. II 43,10): adeo excellentibus ingeniis citius defuerit ars
qua civem regant, quam qua hostem superent.
Livius gibt uns schon in seiner ersten praefatio ein Beispiel dafr, wie die
rmische moralische Haltung nach seiner Sicht emotionale Verbindungen
zwischen den Rmern selbst sowie zwischen den Rmern und jedem anderen hervorrufen kann, der die Erfahrung der echten rmischen Sitten gemacht hat (Liv. I praef. 11): ceterum aut me amor negotii suscepti fallit, aut
nulla umquam res publica nec maior nec sanctior nec bonis exemplis ditior
fuit, nec in quam civitatem tam serae avaritia luxuriaque immigraverint, nec
ubi tantus ac tam diu paupertati ac parsimoniae honos fuerit. Unser Historiker
stellt hier seine Leser wie auch sich selbst vor die rhetorisch wirkungsvolle
Alternative: Entweder seine Liebe zu seinem Werk, seine Bewunderung fr
die groen Gestalten der rmischen Vergangenheit und fr ihre Taten, tusche ihn, oder Rom stelle mit seinen alten Sitten eine Ausnahme dar, denn es
habe niemals eine Gemeinschaft gegeben, die grer, anstndiger oder reicher an mageblichen Beispielen gewesen wre, und auch keine, in die so
spt erst moralische Defekte, wie Gier und Luxus, eingezogen seien.
Hier tritt Livius Disposition Rom und seiner Moral gegenber zutage: Er
ergeht sich in einer laudatio der rmischen res publica auf Grund der moralischen Werte, die diese in der Vergangenheit aufwies45. Unser Historiker liefert somit schon an dieser frhen Stelle seines Werkes ein Beispiel dafr, wie
die aus seiner Sicht echt rmischen Sitten jemanden, der sie kennen gelernt
hat, den Trgern dieser Sitten gegenber disponieren knnen: Man bewundert sie, man respektiert sie und man will sie so darf man ergnzen nachahmen.
In seiner ersten praefatio nimmt also Livius kein geborener Rmer, sondern ein Pataviner, der ber das rmische Brgerrecht verfgt die Reaktion nicht nur der Rmer sondern auch der Nicht-Rmer vorweg, welche
Numa ansehen, ihn bewundern, respektieren und nachahmen46. Spter wird
45Vgl. Moles 1993, 155: Here Livy tacitly rejects the possibility that love of his task has distorted
his view of Romes virtues. All the stress falls on the second aut-clause, which introduces the theme of
Romes moral greatness . Zu der Bibliographie zu der ersten praefatio des Livius vor 1993 s. ebenda,
162, Anm. 2. Zu der Bibliographie von 1933 bis 1978 s. Kissel 1982, 931-932.
46 Mit der Herkunft des Livius aus Padua und seiner Einstellung Rom gegenber hngt das Problem
seiner patavinitas zusammen, deren genaue Bedeutung vielleicht nicht so leicht erkennbar ist, wie man
denkt, wenn man die einschlgigen Stellen bei Quintilian liest (Quint. inst. I 5,56; VIII 1,3). Die Bibliographie zum Thema ist enorm. Siehe Kissel 1982, 937; zu jngeren Arbeiten s. z.B. Bonjour 1975, 185,
249-250; Flobert 1981; Miles 1995, 51 mit Anm. 57; Feldherr 1997, 139; Horsfall 1997, 71-74.

Livius Geschichte als einheitsstiftender Faktor

211

er erzhlen, wie die Falisker freiwillig zu den Rmern bertreten, weil Camillus sie durch sein Handeln berzeugt hat (Liv. V 27)47. Einschlgige Beispiele fehlen auch nicht aus den spteren Bchern: Der Kampaner Calavius,
Sohn des Pacuvius Calavius, setzt sich leidenschaftlich fr das Bndnis mit
Rom und gegen einen Vertrag mit den Puniern ein (Liv. XXIII 8,3 [nach
der bersetzung von Blank-Sangmeister]; 8,9-11; 9,10-12). Wenn er sich bei
einem schwelgerischen Bankett vom Trinken als Einziger abhlt, beweist er
im Grunde seine temperantia (Liv. XXIII 8,6-7), eine nach Livius typisch rmische Tugend (Liv. XXV 36,16; XXXVIII 58,6)48. Auch Demetrius, Sohn
des Knigs Makedoniens Philippus, bewundert und liebt die Rmer. Er
frdert deswegen die Freundschaft zwischen Makedonien und Rom (Liv.
XXXIX 47,10-11; XL 5,5; 5,8; 12,17; 15,5-7). Er beansprucht auerdem fr
sich selbst rmische Tugenden: iustitia und modestia (Liv. XL 15,5). Diese
Beispiele beweisen, dass die rmische Moral bei ihren Kennern nicht blo
Bewunderung, Respekt oder den Willen hervorrufen kann, die rmischen
moralischen Werte selbst anzunehmen, sondern dass sie in ihnen auch den
Wunsch zu erwecken vermag, sich in die rmische politische Gemeinschaft
einzugliedern49.
Die gemeinsame Liebe zur res publica Romana, dem geographischen und
politischen Ort der rmischen Moral, kann auerdem die verschiedenen Teile der Bevlkerung, zwischen denen eine Art von Verwandtsschaft bereits
besteht, wenn sie alle die echte rmische moralische Haltung bewundern,
respektieren oder sogar verkrpern, noch enger miteinander verbinden. Den
Gedanken legt Livius selbst schon an der angefhrten Stelle aus seiner ersten praefatio an, wo er auch seine Zuneigung zu Rom auf eine Weise uert,
die keinen Zweifel daran erlaubt, dass er besonders stolz auf seine patria maior, auf seine Zugehrigkeit zu der rmischen politischen Gemeinschaft ist50.
47Siehe Von Albrecht 1994, 674 und ebenda: Exemplum kann auch im Verkehr zwischen den
Stnden wirksam werden: Im Augenblick, da die Niederlage droht, geben die Vornehmen ein Beispiel
der Grozgigkeit, und die Plebejer ahmen ihre pietas nach (5, 7), um ihnen an Edelmut nicht nachzustehen.
48Siehe Moore 1989, 78-79.
49 Zur Funktion der rmischen Moral als Grundlage der Hegemonie Roms ber die anderen Vlker
s. die Bemerkungen von Mineo 2006, 37: Comme Platon, Tite-Live semble particulirement soucieux
de confrer une lgitimit morale aux relations que Rome doit dvelopper avec les peuples qui lui sont
soumis. Pour lun comme pour lautre, cest la valeur morale des groupes humains qui justifie en dernier
ressort lhgmonie dun peuple et lautorise exercer un magistre visant faire entrer le groupe ou
lindividu en situation de dpendance dans la mme sphre morale que les dirigeants.
50Siehe auch Von Haehling 1989, 176: Ungeachtet seiner Herkunft aus Padua denkt und empfindet Livius als echter Rmer. Cicero unterscheidet zwischen zwei patriae (die eine patria ist von Natur
[patria naturae], die andere vom Gesetz [patria civitatis]); s. Cic. leg. II 2,5. Er erkennt auerdem die
Uberlegenheit der patria vom Gesetz an (s. Cic. off. I 17,57 und Bonjour 1975, 78-86). Nach Feldherr

212

Chrysanthe Tsitsiou-Chelidoni

Die Bewunderung des Autors fr die rmische moralische Haltung und fr


die rmische res publica steckt seine Leser an51, genau wie die Bewunderung
des Cincinnatus, des Capitolinus und des Camillus fr die alten rmischen
Sitten wie auch ihr Patriotismus ihre Zuhrer ansteckt. Unter diesem Aspekt
erscheint Livius selbst als das erste aus einer langen Reihe von exempla der
kollektiven rmischen Identitt, welche das ganze Werk durchziehen, um
durch die ansteckende Wirkung ihrer moralischen Haltung und/oder ihrer
Liebe zu Rom bei den Lesern den Willen hervorzurufen, diese Identitt zu
teilen. Livius Geschichtswerk trgt also dazu bei, dass eine groe rmische
Familie entsteht, derer Mitglieder durch die gemeinsamen moralischen
Prinzipien und durch die Liebe zu Rom miteinander verbunden werden52.

3.
Man hat bereits behauptet, dass der Gegenstand des Geschichtswerkes
des Livius die kollektive Identitt der Rmer sei53. Im vorliegenden Aufsatz
habe ich unternommen zu beweisen, dass unser Historiker eigentlich vorhatte, eine kollektive rmische Identitt (wieder)herzustellen54. Sein End1997, 139 hat Livius selbst im Namen seiner rmischen Identitt seine Herkunft aus Padua in gewissem
Sinn unterdrcken mssen: Therefore just as the Roman state has its origins in the loss of a previous
fatherland, Troy, so too the creation of Livys text depends on the historians own decision to tell the story
of his Roman patria rather than the alternative narrative of his native people the Veneti. Zu der Beziehung des Livius zu Cicero s. Quint. inst. II 5,20; X 1,39; Mazza 1966, passim; Feldherr 1997, 153.
51Da unser Historiker ein Experte in der rhetorischen Kunst gewesen sein soll (s. Quint. inst. VIII
2,18 und Canfora 1993, 171-172), msste er sich der Wirkung bewusst haben, welche die bezeichnete
Stelle in der praefatio auf das Publikum haben mag, dass nmlich die Begeisterung des Autors fr die
alte rmische Moral in die Begeisterung der Leser bergehen kann. Siehe auch hier Anm. 14. Livius hat
bereits an frheren Stellen der praefatio (9-10) einen Kommunikationsweg zu seinem Leserpublikum
sorgfltig gebahnt. Zum Thema Leser und Autor in der praefatio s. Moles 1993, 152: Thus Livy stresses
the moral implications for his readers in a direct personal appeal to the individual, an appeal moreover,
so framed as to overturn the distinction between self-interest and national interest (in tibi tuaeque rei
publicae, publicae unexpectedly redefines tuae rei). Zum Thema Autor und Leser im Livius Werk s.
auch Shuttleworth-Kraus 1994, 14.
52Nach Liv. II 1,5 sind es zwei Faktoren, welche nach unserem Historiker aus den einzelnen Menschen eine Gemeinschaft entstehen lassen: die Verwandtschaft, die die Menschen miteinander verbindet
(pignera coniugum ac liberorum) das ist im metaphorischen Sinne die berlegene rmische Moral ,
und die Liebe zu dem Land, in dem alle gemeinsam leben (caritas soli) das ist im eigentlichen und im
metaphorischen Sinne die Liebe zu Rom, dem gemeinsamen Referenzpunkt aller Teile der Bevlkerung
des Imperium Romanum.
53Nach Miles 1995, 18 Livys preface suggests another subject for his narrative, the collective
identity of the Roman people, a subject that depends less upon what actually happened in the past than
upon how the past has been remembered.
54 Mit der im vorliegenden Aufsatz prsentierten These sind folgende Bemerkungen vergleichbar:
Howald 1944, 172: Voraussetzung zum Verstndnis ist aber die Bereitschaft seinem Ruf (sc. Livius

Livius Geschichte als einheitsstiftender Faktor

213

ziel war es, zu erreichen, dass in Rom, in Italien und im Imperium Eintracht
herrschte55.
Auch wenn wir annehmen, dass dieses Ziel sich ganz besonders auf die
Jahre der Verffentlichung der ersten Pentade bezogen habe56, ist nicht zu
bersehen, dass die Voraussetzungen des beschriebenen Planes unseres Historikers das ganze erhaltene Werk durchziehen57. Zur Bildung und VerbreiRuf) zu folgen, auf das zu hren, was er mit uns anfangen will, nmlich seine Leser zu Rmern im Sinne
augusteischer Erneuerung zu machen; Manzo 1991, 279: ma nulla esclude che quellopera storica
sia memoria rerum gestarum, che si esplica come ricordo e consapevolezza della continuit nella innovazione, come coscienza di una tradizione, dinamica e non statica (Manzo zitiert hier M. Sordi, Il mito
troiano e leredit etrusca di Roma, Milano 1989, 9); Mineo 2006, 44-45: Mais on ne perdra pas de vue
que cette tonalit morale est aussi celle dun pouvoir politique semployant tablir la cohsion nationale
et lautorit dun homme sur des fondements historiques et philosophiques. Zur Bildung einer kollektiven rmischen Identitt haben auch frhere Werke beigetragen. Vgl. z.B. die Worte Ciceros ber
die Bedeutung des Werkes von Varro (Cic ac. I 3,9): nam nos in nostra urbe peregrinantis errantisque
tamquam hospites tui libri quasi domum deduxerunt, ut possemus aliquando qui et ubi essemus agnoscere.
In den dreiiger und zwanziger Jahren kann man einen Aufschwung der nationalen Gedanken in der
rmischen Welt feststellen, der Livius, wie auch anderen wachen geistigen Mnnern jener Zeit ein ganz
anderes Verhltnis zur Vergangenheit und zur Geschichte ihres eigenen Volkes wies, als es noch die Gene
ration vor ihnen hatte (so Burck 1964, 180).
55 Bis zum Abschluss des vorliegenden Aufsatzes ist mir der Aufsatz von E. Gabba, Il problema
dellunit dellItalia romana, in La cultura italica, Pisa 1978, 11-27 nicht zugnglich geworden. Siehe
darber Tarpin 2001, 11: Nach E. Gabba gab es in der Antike kein italisches Nationalbewutsein,
sondern nur ein moralisches Band.
56Siehe Burck 1967, 105: Es ist kein Zufall und wohl auch nur zum Teil durch den Gegenstand seiner Darstellung bedingt, da Livius sich gerade in den ersten Bchern immer aufs neue gegen den Fluch
der discordia und des Streites der Parteien wendet und in ihnen den Keim des vlkischen Verderbens
sieht; Von Haehling 1989, 11-12. Siehe allerdings auch Burck 1966a, 351: Es geht Livius vielmehr
darum, beispielhaft an verschiedenen Situationen die Mglichkeiten einer der salus und concordia rei
publicae dienenden Herrschaftsgestaltung zu veranschaulichen. Da solche Fragen in den Jahren nach
der Beendigung der Brgerkriege eifrig in Rom diskutiert worden sind und vermutlich auch whrend
der ganzen Regierungszeit des Augustus nicht aufgehrt haben, Gegenstand politischer Diskussionen
zu sein, ist gewi. Unser Historiker verffentlichte vermutlich die erste Pentade schon 27/25 v.Chr.
Siehe Burck 1966b, 371 mit Hinweis auf die frhere Sekundrliteratur; Von Haehling 1989, 19, 210,
Anm. 84; 213-215; Moles 1993, 151; Von Albrecht 1994, 661. Luce 1965 hat jedoch behauptet wie
schon frher Bayet dass Liv. I 19,2-3 und IV 20,7 auf sptere Interpolationen zurckzufhren sind. Zu
Liv. IV 20,5-11 s. auch Harrison 1989, 410-411. Siehe allerdings Luce 1990, 124: The first book was
completed between 27 and 25 B.C.; very likely the whole of the first pentad was finished by then. Nach
Woodman 1988, 134-140 wurde die erste Pentade vor Actium (also in der Zeit des Brgerkrieges) verfasst. Nach Paschalis 1980, 9-23 weist die erste praefatio auf die Zeit zwischen 38 bzw. 35 und 30 v.Chr.
hin. Zu dem Bezug der Erzhlung von der altrmischen Geschichte bei Livius auf die aktuelle Zeit des
Autors s. Skard 1967, 192. Siehe auch die Bemerkung von Von Haehling 1989, 18: Die Zeitbezge
der ersten Dekade sind nicht nur zahlreicher, sie zeichnen sich auch durch die Qualitt der Aussagekraft
aus. Zu dem Bezug der Rede des T. Quinctius Capitolinus auf die aktuelle politische Lage in Rom s.
Ogilvie 1965, zu Liv. III 67-68, S. 517; zu Camillus s. z.B. Howald 1944, 188-189; Hellegouarch
1970.
57Siehe Burck 1966a, 322: Er (sc. Livius) mu bereits bei Beginn seiner Arbeit ein in den
Hauptzgen festes Rombild konzipiert gehabt haben, von dem aus er schon seine Behandlung der ersten

214

Chrysanthe Tsitsiou-Chelidoni

tung einer kollektiven rmischen Identitt tragen nmlich folgende Elemente bei: die als berlegen angesehene und angeblich im Laufe der Geschichte
bewhrte, typisch rmische Moral als Grundstein der kollektiven rmischen
Identitt58; sodann caritas zur res publica Romana als dem geographischen
und politischen natrlichen Ort dieser Moral und schlielich das Auftreten
von hervorragenden historischen Figuren, welche durch ihre Haltung und
durch ihr patriotisches Ethos die ansteckende Kraft der rmischen Moral
und die Liebe zu Rom bei ihren Zuschauern oder Zuhrern und letztendlich bei den Lesern aktivieren59. Livius rhetorische Kraft, die sich in der
Jahrhunderte rmischer Geschichte durchgeformt hat Natrlich mu die Mglichkeit offengehalten
werden, da sich im Laufe der langen Arbeit durch die persnliche Entwicklung des Livius und auch
durch das Zeitgeschehen gewisse Mastbe und Kategorien gewandelt haben Aber alle Mglichkeiten, einen solchen Wandel der Auffassungen aufzudecken, fehlen uns. Anders Von Haehling 1989,
18: keineswegs der Eindruck erweckt werden, Livius sei sich whrend der ca. vierzig Jahre der Abfassung seines Geschichtswerkes in den politischen Grundpositionen immer treu geblieben. Siehe auch
Phillips 1982, 1035 und die interessanten Bemerkungen von Moles 1993, 150-151.
58 Zum Erscheinen von Rmern als hohen moralischen Vorbildern in den spteren erhaltenen
Bchern s. Luce 1977, 265, 267-269; Von Albrecht 1994, 669.
59Die Frage, worauf sich diese ansteckende Kraft grndet, auf eine natrliche Tendenz fr das Lob
und die Ehre, welche man dank seiner Tugenden erringt, oder auf eine ebenfalls natrliche Tendenz
zum Guten, steht im Zusammenhang mit der Frage, worin die Wurzeln des Planes von Livius liegen, in
der Philosophie oder vielleicht in der Rhetorik. Beide Fragen mssen hier dahingestellt bleiben. Zu
der Stellung der oJmovnoia im System der Stoa s. Skard 1967, 188-189. Siehe auch Mineo (2006, 73),
der bemerkt: Lemploi, en particulier, du concept de concordia chez Tite-Live renvoie certes avant tout
une philosophie politique qui depuis son introduction Rome par le Moyen Portique et lAcadmie
a toujours trouv dillustres porteparoles. Zum Thema, wie das Ethos, das ein Redner aufweist, die
Zuhrer fr den Redner und fr sein Programm disponieren kann Informationen dazu geben die erhaltenen Werke der antiken Rhetorik s. Sss 1910, 2, 83, 149; Wisse 1992, 220. Siehe was Livius in Bezug
auf die Wirkung schreibt, welche sein Werk auf seinen Autor selbst ausbt: ceterum et mihi vetustas res
scribenti nescio quo pacto antiquus fit animus (Liv. XLIII 13,2). Polybios spricht von der Wirkung, welche
die laudatio funebris (die rmische Grabrede) und das Mitfhren der Ahnenbilder des Verstorbenen auf
die Leute ausben, die an der Zeremonie teilnehmen (Polyb. VI 53,1 - 54,5). Es leuchtet ein, dass ein
systematischer Vergleich mit dem hier vorgestellten Programm des Livius sehr ergiebig wre in Bezug
auf die Vorbilder und die Gedankenwelt des livianischen Geschichtswerkes. Vgl. die Bemerkung Von
Albrechts 1994, 674: Wie fr einen jungen Rmer, dem im altrmischen Leichenzug seine Vorfahren
in der Tracht ihres hchsten Amtes leibhaftig erscheinen, so ist fr Livius rmische Geschichte eine
erhabene, dem Alltag entrckte Welt, in die er sich ehrfrchtig versenkt. Siehe auch Sall. Iug. 4,5-6 und
dazu Paschalis 1980, 129; Feldherr 1998, 32; Chaplin 2000, 14, Anm. 51; 25-26. Es wre auerdem
angebracht zu untersuchen, in welcher Beziehung die Absicht von Livius, welche hier vorgestellt worden
ist, zu dem politischen Credo Ciceros steht. Vgl. z.B. Cic. rep. I 25,39: Est igitur inquit Africanus, res
publica res populi, populus autem non omnis hominum coetus quoquo modo congregatus, sed coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis communione sociatus. Siehe dazu Meister 1967, 11: Jeder Staat, res
publica, , ist nach Wesen und Wortsinn das Eigentum des Volkes, res populi. Das Volk aber ist nicht
nur Interessengemeinschaft, sondern es ist auch eine Rechtsgemeinschaft, die nicht nur durch das allseitige Schutzbedrfnis, sondern auch durch die in der Menschennatur liegenden Keime der Sittlichkeit
zum Volk vereinigt ist und somit eine res publica, ein Eigentum des Volkes, erhalten hat. Siehe auch
Mineo 2006, 72: La concorde est, enfin, au centre des proccupations politiques de Cicron comme elle

Livius Geschichte als einheitsstiftender Faktor

215

Auswahl des darzustellenden Materials, in dessen Disposition und im Stil


der Erzhlung offenbart, trgt entscheidend zum Erfolg dieses Programms
bei.
Unter diesem Aspekt erfllt Numa eine programmatische Funktion
im Werk nicht nur in Bezug auf die nachfolgenden exempla morum Romanorum60, sondern auch in Bezug auf das Werk selbst, das in ihm seine
Personifikation findet61.
Wie aus dem bereits Gesagten hervorgeht, bietet Livius Geschichte dem
aufmerksamen Blick Zugang zu den literarischen Mechanismen, die unser
Historiker benutzt hat, um Rom und die Rmer, d.h. die bereits als militrisch mchtigst Erwiesenen, zu moralischen und ideologischen Hauptvorbildern fr die Bevlkerung Italiens wie auch des ganzen Imperiums zu machen
und dadurch die heterogenen Mengen zusammenzuhalten. Livius Werk ist
ein Meisterstck der Propaganda, das den Akzent auf die rmische mora
lische berlegenheit setzt62. Wie es von einem solchen Geschichtswerk zu
erwarten ist, werden die Intentionen des Autors oft hinter den historischen
Ereignissen kunstvoll versteckt. So erhlt man den Eindruck, dass nicht Li-

lest galement chez Tite-Live. Zu dem Einfluss der Ideen von Cicero auf Livius s. Vasaly 1999, 528;
Mineo 2006, passim und vorwiegend 72-79. Siehe auch hier Anm. 50.
60 Zu der Funktion der exempla berhaupt im Werk des Livius s. Jaeger 1997, 28: Thus, the public
memories of Romes past, when transmitted through the restored monumenta, become sensory and personal memories, and because the text acts on every single reader, the sensory and personal act of remembering becomes social again, within the community of the readers; Chaplin 2000, 201: Precisely because
exempla assume a continuity between two time-frames, they offered Livy and his contemporaries a sense
of foundation in their past as well as possible bridges to the future; 202: The reason why exempla
were attractive to triumviral and Augustan Rome is that they were not only a sophisticated vehicle for
creating political stability and for ordering a complicated history, but also a reassuring reminder that all
was not lost and that the interpretation of that complex past could lead to a more secure future.
61Interessanterweise hat man schon in Numa eine Symbolfigur fr Augustus selbst gesehen; s. Mineo 2006, 148, 176-178 (mit Anm. 179, wo Hinweise auf die einschlgige Sekundrliteratur vorkommen), 180-181; Feldherr 1998, 70 mit Anm. 56. Siehe allerdings die Debatte ber Liv. I 19,3 (ob es sich
um eine sptere Interpolation handelt) Moles 1993, 159. Siehe auch Ogilvie 1965, zu Liv. I 18-21, S. 90:
Even without the allusion in 19.3 such a treatment would be bound to strike a contemporary note for
L(ivy)s readers. Numa trgt mit seinen Tugenden zur Einheit der Bevlkerung innerhalb und auerhalb
von Rom bei. Zur analogen Funktion des Augustus s. Kienast 1999, 513: Er (sc. Augustus) war es ja,
der das Reich eigentlich zusammenhielt und der dem Imperium eine monarchische Spitze gegeben hatte,
die allein seinen Bestand noch garantieren konnte. Aus diesem Grunde hat auch der Prinzeps selbst im
Osten wie im Westen die Verbreitung des Kaiserkultes gefrdert, und zwar nicht nur in den Provinzen,
sondern auch in den zum Reich gehrenden Klientelstaaten. Siehe auch ebenda, 514-515.
62Siehe Burck 1964, 182; Bernard 2000, 298.

216

Chrysanthe Tsitsiou-Chelidoni

vius selbst, sondern die erzhlte Geschichte es ist, die lehrt, dass es schn ist
Rmer zu sein, sofern die Rmer echte Rmer sind.

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Ovid und die Romanisierung


der griechischen Kultur
Michael von Albrecht

Poesie enthlt nicht nur wichtige Zeugnisse zur Romanisierung, sie trgt
auch aktiv zur Romanisierung bei.
Das Wort Romanisierung kann bei der Untersuchung rmischer Poesie
unterschiedliche Bedeutungen haben. Einerseits kann man im Rahmen der
Rezeption fremden Kulturguts durch einen Rmer von Romanisierung
sprechen. Bei Dichtern geschieht dies z.B., wenn griechische Mythen so erzhlt werden, da sie der Empfindungsweise der rmischen Zuhrerschaft
angepat werden. Eine hhere Ebene der Romanisierung ist die Integration
und Verschmelzung griechischer Literaturgattungen in das persnliche Oeuvre eines lateinischen Dichters und damit in die rmische Literatur. Das Lateinische ist die einzige Sprache, die der bermchtigen griechischen eine eigene muttersprachliche Literatur gegenbergestellt hat. Hier kann man von
einer Romanisierung der griechischen Literaturgattungen sprechen.
Andererseits spielt Romanisierung bei der Ausbreitung rmischen Kulturguts eine Rolle. Im letzteren Falle tragen die Dichter durch Ausbildung
eigener Vorstellungen vom Rmertum und von rmischer Identitt aktiv zur
Romanisierung bei. In beiden Beziehungen kommt Ovid eine wichtige, von
der Forschung noch nicht voll erkannte Rolle zu.
Untersucht werden im Einzelnen:
1. Die Bedeutung der Regionen Italiens (insbesondere der griechischen
Kolonien einschlielich Siziliens) fr Ovid. Der ex-zentrische Standort
des Munizipalen bedingt (wie bei Livius) eine knstlerisch fruchtbare
Distanz zum Zentrum.
2. Die Romanisierung griechischer Elemente in ihrer Bedeutung fr die
Findung einer neuen Identitt fr den Dichter und neuer Formulierungen rmischer Identitt.
3. Die spezifische Form und Bedeutung des Einschlusses griechischer Literaturgattungen (vor allem Epos und Tragdie) in der von Ovid geschaffenen Gattung der Heroidenbriefe mit besonderer Bercksichtigung intertextueller Bezge, aber auch intratextueller Selbstreferenz.
Diese auf den ersten Blick spezifisch literarischen Akkulturationspro-

220

Michael von Albrecht

zesse sind Teil einer poetischen Identittsfindung, die ein jeweils komplexeres Verstndnis auch der rmischen Identitt mitbedingt.

1.
Zunchst einige Worte zur Bedeutung des Regionalen fr Ovids persnliche Identitt und fr sein Verstndnis Roms! Ovid stammt aus Sulmo im
Plignerland (am. III 15,7 f.). Wie die meisten lateinischen Autoren ist er
kein Stadtrmer. Wie sie alle ist auch er stolz auf seine engere Heimat. Er
gehrt der alten Munizipalaristokratie an, was ihn erheblich von Vergil und
Horaz unterscheidet. Wie Vergil ist er sich der groen Bedeutung der Vielfalt der Ursprnge Italiens im Gefolge der Kolonisation aus unterschiedlichen Gebieten Griechenlands und Kleinasiens bewut. Die Storichtung ist
umgekehrt wie bei Cato: Ovids Heimat war der Hauptort des Widerstandes gegen Rom im Bundesgenossenkrieg, und der Dichter unterstreicht dies:
quam sua libertas ad honesta coegerat arma, cum timuit socias anxia Roma
manus (ebd. 9 f.) Welches sein Freiheitssinn zu ehrenden Waffen gedrngt
hat, als die Verbndeten Rom damals in Schrecken gesetzt (bs. R. Harder
- W. Marg). Der Bundesgenossenkrieg lag bei Ovids Geburt (43 v.Chr.) erst
wenige Jahrzehnte zurck. Erst im Gefolge dieses Krieges gestand Rom den
Italikern in grerem Umfang das Brgerrecht und damit die Teilnahme an
der Weltherrschaft zu. Ovids poetische Identitt sttzt sich in dem Schlugedicht (Sphragis) der Amores auf seine engere Heimat; auch in der Autobiographie (trist. IV 10,3) nennt er den Ortsnamen Sulmo voller Stolz, wie
er dies bereits in den Amores getan hatte (II 16,1; III 15,11).
Die griechischen Wurzeln einer italischen Stadt rhmt Ovid ebenfalls
schon in den Amores (III 13). Es handelt sich um Falerii, den Heimatort
seiner Gattin. An dieser Elegie fllt die starke Betonung des griechischen
Ursprungs des faliskischen Juno-Festes auf. Ovid rhmt den griechischen
Stadtgrnder Halaesus obwohl dieser, wie wir aus der Aeneis (VII 723)
wissen, den Trojanern feindlich gesinnt war: Agamemnonius Troiani nominis
hostis. Servius (zur Stelle) verweist auf eine Sagenversion, wonach Halaesus
ein unehelicher Sohn Agamemnos sei. Aus Argolis kommt auch der Grnder Krotons, Myscelos (met. XV 9-59). In den spteren Bchern der Metamorphosen mehren sich die Weltenwanderer und Emigranten: Odysseus,
Aeneas; Hippolytus, Pythagoras, Cipus. Ovid stellt sich in der erstaunlichen
Elegie Amores I 13 ausdrcklich unter den Schutz der faliskischen Juno, de-

 Hunc Agamemnonis plerique comitem, plerique nothum filium volunt, qui cum venisset ad Italiam,
audito adventu Aeneae in bellum ruit, non amore Turni, sed odio hostilitatis antiquae.

Ovid und die Romanisierung der griechischen Kultur

221

ren griechischen Ursprung er hervorhebt. Auch hier wird deutlich, da Ovid


sich auf eine provinzielle, munizipale, nicht stadtrmische Identitt sttzt
und den Gegensatz zur Zentralgewalt unterstreicht. hnlich wie er hier die
oppositionelle Haltung und das Flchtlingsschicksal des Halaesus betont
(dieser floh aus dem mordbefleckten Vaterhaus), so auch spter das Flchtlingslos des Daedalus (longumque perosus / exilium: met. VIII 183 f.) und des
Pythagoras (odioque tyrannidis exul / sponte erat: met. XV 61 f.); bei beiden
entspricht dem irdischen Los des Auswanderers im Geistigen der Aufbruch
zu einer spirituellen Wanderung. Man kann sagen, da das Bewutsein der
besonderen, nichtrmischen Wurzeln der engeren Heimat dazu beitrug,
inneren Abstand und einen selbstndigen geistigen Standort zu gewinnen.
Wichtig ist in diesem Zusammenhang die Rolle Siziliens (und berhaupt
der Magna Graecia) als Umschlagplatz fr die Anverwandlung und Romanisierung der griechischen Kultur. Wie schon Vergil in der Aeneis, beachtet
Ovid dies in den Metamorphosen. Bezeichnenderweise verweilt er besonders
bei dem Arethusa-Mythos (met. V), in dem die Nymphe einer Swasserquelle aus Griechenland durch die Unterwelt also unter dem Meer nach
Sizilien flchtet. Es handelt sich hier um die (quasi autobiographische)
Ich-Erzhlung von einem Flchtlingsschicksal, das zugleich eine spirituelle
Unterweltsreise ist. Man erkennt den inneren Zusammenhang mit Hippolytus (met. XV), der in Griechenland stirbt, im Totenreich von Aesculap auferweckt wird und in Italien als Gott aufersteht. Man kann dies zugleich als
Metapher eines organischen Prozesses sehen, in dem die griechische Kultur
in verjngter Form als rmische eine neue Gestalt gewinnt.
Diese Beobachtungen haben nicht nur punktuelle Bedeutung. Die Gesamtkonzeption der Metamorphosen vom Urbeginn der Welt bis zu meiner Zeit (primaque ab origine mundi / ad mea ... tempora: met. I 3 f.) trgt
der Tatsache Rechnung, da durch den raschen Aufstieg Roms die Weltgeschichte zur rmischen Geschichte wird (und die rmische zur Weltgeschichte). Die Metamorphosen sind nicht nur in einem uerlichen Sinne
die Latinisierung und Romanisierung des griechischen Mythos, sie zeigen
auch, wie diese berlieferung auf dem Wege ber den Trojanischen Krieg
Daedalus:

ignotas animum dimittit in artes (met. VIII 188); Pythagoras: mente deos adiit (met. XV

63).
Akkulturation,

Assimilation.
Ovid und Vergil beweisen hier historischen Scharfblick im Einklang mit antiken Historikern.
Da die sizilische Geschichte neben die griechische und rmische gestellt wird, kreidet E. Schwartz,
Griechische Geschichtschreiber, Leipzig 1957, 36, dem Regionalismus des Sikelioten Diodor als eine
spezielle Geschmacklosigkeit an. Die regionale Verwurzelung war es aber (nicht nur im Falle Diodors,
sondern auch Ovids), die den Autoren einen selbstndigen Zugang zum Phnomen Rom ermglichte.
Sie konnten es gewissermaen von auen sehen.


222

Michael von Albrecht

in die rmische Tradition mndet. Die Stationen macht Ovid namhaft (vgl.
auch die Zusammenfassung met. XV 426-430): Die erste Polis ist Theben. Dementsprechend ist seine Grndung in Verbindung mit der Europasage ein wichtiger Gegenstand der ersten Bcherpentade. Die zweite Pentade beginnt im Zeichen Athens (Bcher VI-X). Es folgen Troja und Rom
(Bcher XI-XV). Die Verbindung von Mythologie und Geschichte darf uns
nicht verwundern, was ein Blick auf hellenistische Universalhistoriker besttigt. Diodor, dessen Werk erhalten ist, verfhrt in seinen ersten Bchern
hnlich wie Ovid, so da der Anschlu des Dichters an hellenistische Universalgeschichten direkt nachweisbar ist. Natrlich liegt, dem Unterschied
zwischen Dichtung und Historie entsprechend, bei Diodor das Gewicht auf
dem historischen, bei Ovid auf dem mythischen Teil. Doch beide Autoren
beginnen mit einer Weltschpfung, die nicht mythisch, sondern physikalisch, also im Sinne der damaligen Wissenschaft konzipiert ist. Auch Ovids
zweite Zoogonie nach der Sintflut entwickelt wie schon Diodor die damals fr wissenschaftlich gehaltene Theorie der Urzeugung von Lebewesen
aus erwrmtem Schlamm. Heute wrde man solche Texte als science fiction
bezeichnen. Daran schliet sich bei beiden ein mythologischer Teil. Im Unterschied zu Diodor drngt Ovid das gyptische zurck. Immerhin erscheint auch bei ihm Io-Isis im ersten Buch (brigens in scharfem Gegensatz zur restriktiven Religionspolitik des Augustus: Ovid, met. I 568-750;
Diodor I 11,4) und das Schicksal des Kadmos (Diodor 4,2) und seines Stammes (Dionysos!) im vierten. Perseus steht bei beiden Autoren vor Hercules.
Der regionale Standpunkt ist wichtig und produktiv: Als Nicht-Stadtrmer konnte Ovid Rom und seine Bedeutung gewissermaen von auen
betrachten. Das Rom, das fr ihn am Ende der welthistorischen Entwicklung stand, umfate auch und besonders die griechische Kultur.

2.
Etwas lnger sei bei den Heroiden verweilt. Tritt doch die Romanisierung
in dieser von Ovid erfundenen Gattung, die noch zu wenig Beachtung gefunden hat, in ein besonders fesselndes Stadium.
Wie Ovid bereits in den Amores geistig einen Standpunkt einnahm, der
ber der einzelnen Gattung stand (man beobachtet dies schon bei der Wahl
des Themas am Anfang, aber auch im ganzen Werk beim Einschlu (inclusion) von Elementen anderer Gattungen bis hin zur griechischen Aitiologie), so ffnet sich Ovid in den Heroiden in noch viel strkerem Mae dem
Der

Terminus wurde von Francis Cairns geprgt.

Ovid und die Romanisierung der griechischen Kultur

223

Einflu anderer Literaturgattungen. In der Tat spiegelt er in die Kleinform


des Briefes jeweils ganze Tragdien, ja ganze Epen. Die gewhlte subjektive Perspektive der enttuschten liebenden Frau gestattet ihm dabei, z.B. die
ganze Odyssee von einem ungewhnlichen Standpunkt (dem der verlassenen Penelope) mit fast advokatisch anmutendem Scharfsinn durchzuarbeiten und einem Argumentationsziel dienstbar zu machen. hnliches gilt von
der Ilias: Mit den Augen der gefangenen Briseis gesehen, liefert das Epos
Material, um die Unzulnglichkeit Achills nicht nur als Liebhaber, sondern
auch als Held nachzuweisen. Auch wenn ihn Briseis zum Kampfe aufruft,
soll dies letztlich ihren eigenen Zwecken dienen. Romanisierung zeigt sich
in der bewuten Verwendung rmisch-juristischer Argumente: Der Eigentmer Achill hat es versumt, die ihm geraubte Sache die Sklavin zurckzufordern. Bei Ovid geht die Romanisierung dem Unterschied der
Generationen entsprechend inhaltlich mit einer Entmilitarisierung und
Vermenschlichung einher (Briseis und Penelope denken zunchst nicht in
heroischen Kategorien, sondern sprechen vom Standpunkt der liebenden
Frau). Auch im Verhltnis zum vergilischen Epos macht der Dichter bewut
den Abstand deutlich, wenn er Dido die pietas des Aeneas weit radikaler in
Frage stellen lt, als dies Vergil mglich war. So wird sichtbar, da Ovid innerhalb der Romanisierung eine neue Stufe bedeutet. Die private Daseinserfllung steht nicht mehr nur in einer Spannung zur gesellschaftsbezogenen
(wie dies bei Vergil der Fall ist), sondern bekommt den Vorzug vor dieser.
Neben der inhaltlichen Romanisierung und Modernisierung (man kann
hier von einer Intertextualitt unterschiedlicher kultureller Codes sprechen) steht der bewute Dialog mit den groen literarischen Gattungen, die
in die relativ kleine Form der Epistel eingeschlossen werden (zum Terminus
inclusion vgl. Anm. 5). Die tragfhigste Brcke zwischen Brief und Tragdie
ist der tragische Monolog der Heroine, den Ovid vielfach zum Monodrama
in Briefform entwickelt. Der Brief wird zum geistigen Selbstbildnis der Frau
(Unwahrscheinlichkeiten werden dabei in Kauf genommen; z.B. schreibt
Deianira weiter, obwohl sie inzwischen erfahren hat, da der Adressat gestorben ist). Der Brief ist innerhalb der Kunstpoesie eine spte Erscheinung.
Ovid macht diese kleine Gattung zum Spiegel der groen Genera, ja eines
nicht geringen Teiles der griechischen Literatur.
Der Aufbau der Heroidensammlung erweist sich unter dem Gesichtspunkt der Intertextualitt mit griechischer Literatur (und ihrer Romanisierung) als wohldurchdacht. In der ersten Heptade (Siebenergruppe) steht
die Auseinandersetzung mit der epischen Tradition im Vordergrund; diese
reicht von Homer (Nr. 1 und 3) ber Apollonios (Nr. 6: Hypsipyle) bis zu
Vergil (Nr. 7: Dido). Als wichtiges poetisches Korrektiv erscheint gleich nach
Homer Kallimachos (Nr. 2: Phyllis), der neue Kunstprinzipien und ein sub-

224

Michael von Albrecht

jektives Prisma liefert, so dass die epische Tradition in farbiger Brechung erscheint. Die erste Siebenergruppe der Heroiden ist mit der zweiten dadurch
verklammert, da der mittlere Brief (Nr. 4: Phaedra) die Verbindung zur
Tragdie, dem Hauptbezugspunkt der zweiten Siebenergruppe, herstellt.
In der zweiten Heptade (Nr. 8-14) stehen Tragdienstoffe im Mittelpunkt.
Wie in der ersten gibt es jedoch auch in dieser Gruppe einen Brief, der die
Brcke zur benachbarten Heptade schlgt und zugleich Ovids Kallimacheertum dokumentiert: Es ist die Ariadne-Epistel (10), die mit Catulls 64.
Gedicht, dem sog. Epyllion, konkurriert. So verhlt sich die zweite Heptade komplementr zur ersten. Die Briefe der zweiten Serie beziehen sich auf
Dramen des Aischylos (Nr. 14: Hypermestra), Sophokles (Nr. 8: Hermione; Nr. 9: Deianira) und Euripides (Nr. 11: Canace; Nr. 12: Medea; Nr. 13:
Laodamia). Was die Art der Romanisierung betrifft, so erstrebt Ovid auch
hier wieder ein Kontrastmodell zur traditionellen berbetonung der patria
potestas in Rom: Im Canace-Brief erscheint der Vater bertrieben grausam
(in gleichem Sinne bedauert Hypermestra ihre Schwestern, die aus falschem
Gehorsam unmenschlich handelten). Besonders aufschlureich ist der Kontrast gegenber Aischylos im Hypermestra-Brief. Ovid steht unter Philologen in dem Ruf, er erotisiere alle seine Stoffe. Hier aber ist das Umgekehrte
der Fall. Aus der Verteidigungsrede der aischyleischen Aphrodite sind uns
unsterbliche Verse bewahrt, die man als ein Hohes Lied der Liebe bezeichnen mu. Im Vergleich mit der kosmischen Urkraft des Eros bei Aischylos
fllt auf, da bei Ovid im Hypermestra-Brief von sinnlicher Liebe kaum die
Rede ist. Um so mehr betont der Rmer die pietas und die Verurteilung der
Bruderkriege. Ovid hat hier den Eros zu pietas vergeistigt: eine khne Romanisierung! Er wird nicht mde, uns durch berraschende Wendungen seines
intertextuellen Dialogs mit den groen Erscheinungen der griechischen Literatur zu berraschen. Wie er am Ende der ersten Heptade den fr die Rmer
verehrungswrdigsten Epiker, Vergil, gegen den Strich las, so jetzt den ehrwrdigsten der drei groen Tragiker. Seine Kritik ist in beiden Fllen nicht
negativ, sondern positiv. Nach dem mrderischen Zeitalter der Brgerkriege bricht er eine Lanze fr die altrmische pietas: einer tapferen Frau traut
er zu, sich dem verrohenden Einflu mnnlicher Politik zu entziehen. Einem falschen Gehorsam stellt er mutig eine neu definierte pietas gegenber.
In der dritten Siebenergruppe (Nr. 15-21) verbindet sich mit der Romanisierung griechischer Gattungen ein hherer Grad der Selbstreflexion:
Es kommen nicht nur Antwortschreiben der Mnner hinzu, sondern auch
der Dialog des Dichters mit seinem eigenen Schaffen. Vielsagend steht am
Auch Apollonios von Rhodos liest er gegen den Strich: Anders als die khl-vernnftige Hypsipyle
bei Apollonios ist Ovids Heroine leidenschaftlich emprt.

Ovid und die Romanisierung der griechischen Kultur

225

Anfang der Brief der Dichterin Sappho, welche die Werbungstopik der rmischen Liebeselegie aus dem Mnnlichen ins Weibliche bersetzt. Die
Schreiberin wird am Anfang als mnnlich vorgestellt; der Geliebte Phaon
trgt mdchenhafte Zge. Manche Stellen scheinen Ovids sptere Autobiographie anzukndigen (15,79; vgl. trist. IV 10,65), andere antworten auf
die Liebeselegien (15,80; am. II 4,10). Das fr diesen Brief charakteristische
Hin- und Herpendeln zwischen der Schreiberin und dem Adressaten scheint
die nun folgenden Doppelbriefe vorzubereiten.
Was die Auseinandersetzung mit der Tradition betrifft, so steht hinter
dem ersten Briefpaar (Paris und Helena) homerische, hinter den beiden
letzten hellenistische (kallimacheische) Tradition. So kehrt die Sammlung zu
den Hauptbezugstexten des Anfangs zurck. Neu ist der Dialog zwischen
Mnner- und Frauenbrief; hinzu kommt ferner, da diese Episteln in weitem Umfang auf Werke Ovids Bezug nehmen (Frauenbriefe, Liebeselegien,
Liebeskunst). Whrend die ersten beiden Heptaden sich mit bedeutenden
klassischen, hellenistischen und rmischen Texten auseinandersetzen, tritt
nun die Selbstreferenz als neue Komplikation der Intertextualitt in den
Vordergrund. Dies erklrt die zahlreichen Selbstzitate in diesen Briefen.
Die Ursache fr ihr vermehrtes Auftreten liegt also nicht in einer Ermdung
von Ovids Talent oder gar in der Unselbstndigkeit eines Nachahmers, sondern in der poetologischen Zielsetzung dieses Werkteils. hnlich hatte Ovid
im letzten Buch der Liebeselegien die ffnung der Gattung zu seinen brigen Werken hin angedeutet. (Wie dort, erscheinen auch hier bereits indirekte Hinweise auf die Metamorphosen). Ovids Paris hat offensichtlich die
Ars amatoria grndlich studiert. Es hat Ovid Vergngen bereitet, von seiner ketzerisch-alexandrinischen Rezeption der epischen und dramatischen
Frauengestalten zu einer weiteren, komplizierteren Form der Intertextualitt
fortzuschreiten. Er kreuzt nicht mehr nur homerische mit kallimacheischer
Poetik, sondern (fremdbezogene) Intertextualitt mit (korpus-immanenter)
Intra-textualitt: eine Art poetologischer Engfhrung mit antichronologischer Umkehrung der Rezeptionsrichtung. Bisher ist deutlich geworden, da
Briseis die Ilias und Penelope die Odyssee fr ihre Zwecke ausschlachten.
Jetzt aber wird klar, da Paris und Helena Ovids Ars amatoria verinnerlicht
haben: in der Tat eine khne Form der Romanisierung! Das ist poetologisch die Pointe dieser Texte. Helena hat dabei einen intellektuellen Vorsprung vor Paris, der sich trotz seiner Kenntnis der Liebeskunst in Illusionen
wiegt. Dagegen durchschaut die Frau die Brchigkeit seiner Argumente und
gibt dennoch der Leidenschaft fr ihn wenn auch mit anstndigem Zgern nach. Sie geht also sehenden Auges ins Unglck. Die Romanisierung
ist in diesem Briefpaar sehr weit getrieben: Der Spott ber den Ehemann
Menelaos, der selbst am Ehebruch seiner Frau schuld sei, lt im Rom der

226

Michael von Albrecht

augusteischen Ehegesetze an Deutlichkeit nichts zu wnschen brig.


Das Nebeneinander von Homer- und Kallimachosnachfolge (das auch fr
die Metamorphosen konstitutiv ist) hat eine doppelte Wirkung: Das homerische Liebespaar wird dem Leser durch zeitgenssische Anspielungen nhergerckt; umgekehrt sttzt sich Ovid bei der Behandlung hellenistischer
Stoffe (Hero und Leander; Acontius und Cydippe) auf Kunstmittel der hohen Poesie, um einem unpolitischen Gegenstand innere Gre zu verleihen.
Hinter der Zusammenstellung heterogener Elemente steht die Absicht, den
kallimacheischen Ansatz (der sich berwiegend auf Kunst, Technik, ars
beruft) mit der groen Dichtung der klassischen Zeit (die man haupschlich
vom inspirierten Genie des Dichters, ingenium, her definierte) in einer neuen Einheit von (beherrschter) Natur und (inspirierter) Kunst zusammenzufhren. Bezeichnend sind Ovids uerungen ber den hellenistischen Dichter Kallimachos (so schwach sein Talent, so stark ist sein Kunstverstand
quamvis ingenio non valet, arte valet: am. I 15,14) einerseits und andererseits
ber den altrmischen Epiker Ennius (ein Riese an Talent, aber roh als
Knstler ingenio maximus, arte rudis: trist. II 424). Die in den Metamorphosen kenntliche Absicht, groe Dichtung und hellenistische Kleinform zu
vermhlen, liegt also bereits der Erfindung der Heroiden als poetisches Programm zugrunde. Bei den Anspielungen der Doppelbriefe auf die gleichzeitig entstehenden Metamorphosen steht das zentrale achte Buch im Vordergrund. Auch in jenem Buch offenbaren Stoff und Behandlung, wie Chrysanthe Tsitsiou gezeigt hat, die Absicht, epische, tragische und kallimacheische
Poetik zu verbinden. Ovids Weg zur elegisch beseelten und kallimacheisch
verfeinerten epischen Dichtung ist innerhalb der Frauenbriefe vorbereitet.
Der Zug zur Monumentalisierung (welcher der kallimacheischen Kleinkunst
zuwiderluft) mu dabei als rmisch-italisches Moment hervorgehoben werden. Im Unterschied zur Monumentalisierung des Politischen und ffentlichen, wie wir sie bei frheren lateinischen Dichtern finden, erreicht Ovid eine neue Stufe der Romanisierung literarischer Stoffe und Gattungen, indem
er das Private einer monumentalen Darstellung fr wrdig erachtet.

3.
Nun zur Romanisierung des Griechischen von einfachen Einzelzgen
bis hin zur Schpfung einer neuen rmischen Identitt! Hier kommt im GeC. Tsitisiou-Chelidoni, Ovid, Metamorphosen Buch VIII. Narrative Technik und literarischer
Kontext, Frankfurt 2003. Zur Behandlung der Zeit in den Metamorphosen jetzt T. Cole, Ovidius Mythistoricus. Legendary Time in the Metamorphoses, Frankfurt 2008, bes. 61-71 zur Periodisierung der
Geschichte.

Ovid und die Romanisierung der griechischen Kultur

227

gensatz zur peripheren Perspektive die urbanitas zur Geltung, aber auch ein
fast mimischer Verismus. Beginnen wir mit relativ Offenkundigem: Ovid
bringt seinen Leserinnen und Lesern die griechischen Mythen nahe, indem
er Verbindungen zum rmischen Leben herstellt. Solche Zge beanstandeten kritische Philologen als Anachronismen. So werden die Trnen der
um Phaethon trauernden Schwestern zu Bernstein, der knftig rmischen
Damen als Schmuck dienen soll (nuribus mittit gestanda Latinis: met. II
366). Auch die Mentalitt der Grostadt wird in die Erzhlung hineinprojiziert: Wie ein rmischer Jngling ruft Apollo (met. I 498) beim Anblick von
Daphnes bezaubernd unordentlichem Haar: Wie, wenn es erst frisiert wre! (quid, si comantur?). Die Ureltern Deucalion und Pyrrha schwingen sich
angesichts des gttlichen Befehls, zur Wiederherstellung der Menschheit
Steine hinter sich zu werfen, zu keinem hheren Gedanken auf als: Was
kann ein Versuch schon schaden? (quid temptare nocebit?: met. I 397). Sie
erscheinen hier wahrlich als rmische Pragmatiker. Anllich von Juppiters
Affre mit Semele schimpft Juno in gutem Alltagslatein wie eine rmische
Ehefrau: Sie ist schwanger. Das fehlte noch! (concipit! Id deerat!: met. III
269).
Eine hhere Stufe der Romanisierung ist erreicht, wenn die Gtterwelt
und die gesamte Weltgeschichte mit Rom in Verbindung gebracht werden.
Wie in der rmischen Gesellschaft unterscheidet Ovid auch im Himmel
zwischen Vornehmen und der Plebs (met. I 173); eine besonders vornehme Wohngegend im Himmel nennt er folgerichtig den dortigen Palatin
(palatia caeli: met. I 176). Der im ersten und im letzten Buch anklingende
Vergleich zwischen Juppiter und Augustus (als dem himmlischen bzw. irdischen Kosmokrator) setzt die bei Vergil und Horaz vorbereitete theologische Rechtfertigung Legitimierung des Prinzipats folgerichtig fort. Der
faktischen Romanisierung der bewohnten Welt (Oikumene) entspricht die
Romanisierung der theologia fabulosa unter dem Einflu der theologia civilis.
Doch bleibt Ovid nicht bei bloer Affirmation stehen. Ein neuer Ton ist
das Schluwort der Metamorphosen mit der Feststellung, nicht einmal Juppiters Zorn werde Ovids Werk zerstren knnen. Hier ist die Auflehnung des
Individuums ebenso sprbar wie in der feinen Unterscheidung zwischen der
Apotheose Caesars und Ovids. Whrend Caesars Seele nur hher als der
Mond fliegt (met. XV 848), also gerade die unterste Region des Himmels
Solche Elemente der Verbrgerlichung des Mythos setzen natrlich hnliche Tendenzen der
hellenistischen Dichtung fort. Bezeichnend fr Ovids Romanisierung des Mythos ist besonders das erste Zitat mit der Verbeugung vor seinen rmischen Leserinnen.
 Iuppiter arces / temperat aetherias et mundi regna triformis, / terra sub Augusto est; pater est et rector uterque (met. XV 858 ff.). Angedeutet ist die Parallele auch I 204 f.

228

Michael von Albrecht

berwindet, wird Ovid ewig ber die hohen Sterne fliegen (met. XV 875
f.), also weit ber Caesar hinaus. Hier ist die Selbstbehauptung des ingenium
(trist. III 7) gegenber der Zentralgewalt bereits vorweggenommen. Dabei
spielt das Imperium als der Bereich, in dem des Dichters Werk gelesen wird,
eine bedeutsame Rolle. Der politische Raum wird als kultureller Raum erfahren. Die horazische Einengung auf den Staatskult (Hor. carm. III 30) entfllt.
Ein eigenes Kapitel wrde Ovids Romanisierung der kallimacheischen Aitia in den Fasti erfordern, einem Werk, das auch wegen seiner hchst komplexen intertextuellen und intratextuellen Bezge mehr Beachtung verdient
als ihm bisher zuteil geworden ist10.
In den Metamorphosen beruht Ovids Romanisierung des griechischen
Mythos auf einer eigenen Konzeption des Rmertums. Hier ist der Vergleich
mit Vergil lehrreich. Dieser war gegen den Strom der literarhistorischen Entwicklung geschwommen, um zu den Quellen zu gelangen: von dem relativ
modernen Theokrit ber Arat und Hesiod zu Homer. Indem er so im Ringen mit immer lteren Meistern zu sich selbst fand, konnte er zur griechischen Kultur in gltiger Form einen Gegenentwurf schaffen. Die Gattungen,
die er bearbeitete, wurden so nicht nur romanisiert, sondern von innen her
neu geschaffen. Ovids Suche nach einer eigenen und einer neuen rmischen
Identitt begann ebenfalls im Zeichen einer Moderne, und zwar innerhalb
einer bereits etablierten zweisprachigen Tradition. Er nennt sich bis an sein
Lebensende tenerorum lusor amorum (z.B. trist. IV 10,1) und versteht sich
als vierten in der Reihe der rmischen Elegiker (nach Gallus, Tibull, Properz). Als Vollender der neoterischen Kunstbestrebungen (E. Martini)11
steht er bereits in einer rmischen Tradition. Diese seine Anfnge haben
Auswirkungen auf sein Selbstverstndnis und auf sein Rombild, das sich von
dem strker politisch orientierten eines Vergil durch grere Offenheit und
Weite unterscheidet. Die Identitt Roms hat sich im Laufe einer Generation
10Andeutungen in meinem Buch Ovid. Eine Einfhrung, Stuttgart 2003, 168-203, bes. 202 f.: Die
Einbeziehung griechischer Wissenschaft und Mythologie einerseits und rmischer Bruche und Ursprungssagen andererseits macht den Festkalender zum griechisch-rmischen Universalgedicht. Dabei
wird im Unterschied zu den Metamorphosen der historische Proze nicht in seinem Verlauf nachgezeichnet, sondern in Gestalt von Gedenktagen auf den Kreis eines Jahres projiziert. Anders als in den
Metamorphosen stehen im Festkalender zunchst nicht die Mythen, sondern die Riten im Vordergrund.
Die Konkretheit des Rituellen vermittelt dem Rmer ein lebendiges Empfinden fr die Gegenwrtigkeit historischer Erinnerung ... In diesem Sinne ist die Abfassung des Festkalenders ein Akt individueller und kollektiver Identittsstiftung in der Dimension des Gedchtnisses, der eigentlichen Domne
der Dichtung. Fr die Bibliographie zu Ovid sei ebenfalls auf mein Buch verwiesen. Der neueste Forschungsbericht von U. Schmitzer, Neue Forschungen zu Ovid Teil III, Gymnasium 114 (2007), sollte kritische Leser dazu anregen, sich von den dort vielfach mehr gelobten oder getadelten als referierten
Arbeiten ein eigenes Urteil zu bilden. Quis custodiet ipsos custodes?
11E. Martini, Einleitung zu Ovid, Praha 1933, 78.

Ovid und die Romanisierung der griechischen Kultur

229

gewandelt. Liebe erscheint auch in den Metamorphosen als ein beherrschendes Thema jetzt in schicksalhaftem Zusammenhang. Aber private Liebe
wird nun auch ohne politischen Kontrapunkt epischer Darstellung fr wrdig befunden. Entschiedener noch als in der Aeneis steht der Friedensgedanke im Vordergrund. Charakteristisch fr Ovids berwindung einer einseitig maskulinen Perspektive durch eine gleichwertige Behandlung beider
Geschlechter sind die ovidischen Doppel-Apotheosen. Eine solche wird im
zentralen achten Buch Philemon und Baucis zuteil. Gleiches gilt aber von
den Herrscherpaaren der ersten Polis (Theben) und der letzten Polis (Rom):
Cadmus und Harmonia und Romulus und Hersilia. Frheren literarischen
Gestaltungen rmischer Identitt stellt Ovid nicht nur in Metamorphosen
und Fasti, sondern auch in seiner Exildichtung ein eigenes Rombild entgegen und dies in schmerzlichem Kontrast zu seinen persnlichen Erfahrungen mit dem Herrscher. Ovid konstruiert dort ein musisches Herrscherbild
und das Bild eines geistigen Rom, das sich weit ber die traurige Wirklichkeit des Prinzipats erhebt und das als solches eine eigene Wirkung entfaltet, die dauerhafter ist als die politische Fortwirkung des Imperiums. Hier
hat Ovid dem von Rom zwar beherrschten, aber nie seiner schpferischen
Eigenart beraubten Italien seine Stimme geliehen und eine weltumspannende Identitt geschenkt. Treffend hat Wilamowitz von Ovid als dem ersten
Vollblutitaliener der Weltliteratur gesprochen.

Laudes Italiae (Georgics 2.136-175):


Virgil as a Caesarian Hesiod
Stephen Harrison

This paper argues that the celebrated laudes Italiae passage at Virgil
(georg. 2.136-176) is metaliterary and refers to the Georgics themselves: the
statements made about the Italian landscape itself also apply to the poem
being written about the Italian landscape, and the Georgics itself is a laudes
Italiae on a larger scale. It also argues that the passage is metageneric, negotiating the space for the Georgics within the broader context of the epic tradition: contrasts are drawn here between Virgils poetic enterprise and previous hexameter poems with which the Georgics has connections and which
were prominent through Latin translations in the 30s BCE the Argonautica of Apollonius of Rhodes, and the didactic poems of Nicander who supplies both some content (e.g. on snakes) and the title (Georgika) of Virgils
poem. One of the main functions of the passage is thus to map out the literary space within epos which the poem will occupy.
The episode of the laudes Italiae is also, I contend, much more firmly
rooted than scholars have thought in the anti-Oriental and pro-Italian propaganda of the period surrounding the battle of Actium. The references to
Media and the East are partly echoes of the triumphant career of Alexander
the Great (and perhaps of the poems written about him), but they also recall
the continuing danger from Parthia and the contemporary victories of the
young Caesar in the aftermath of Actium, the period of 31-29 BC, a date
clearly pointed to by 2.170-172. The superiority of the Italian landscape over
the inferior regions of the East in flora, fauna and natural advantages is a
clear symbol of Caesarian Italys victory over the Antonian East. The poet
adds a personal element to this, in that two of the regions mentioned (Lake
Benacus and Avernus) are drawn from the two parts of Italy connected with
his personal life, where he was born and where he was residing at the time of
the Georgics Mantua and the Bay of Naples.
* My thanks to Mrs. Carla Canussio and the Fondazione Niccol Canussio for their splendid hospitality at Cividale. This paper explores further some issues raised in Harrison 2007, 138-148; my
thanks to the audience at Cividale and to another at the Scuola Normale Superiore di Pisa for their
constructive comments.

232

Stephen Harrison

All this contemporary allusion helps to present Virgil in the laudes Italiae
(and hence in the Georgics as a whole) as a Caesarian Hesiod, a didactic poet
in an established literary tradition but with modern political and nationalist
commitment. In the climax to the passage at 2.176 the Hesiodic tradition
of agricultural epos is explicitly reframed in a new and living Italian context, just as Homeric heroic epos is reworked for the poets own time in the
Aeneid. In what follows, I will analyse Georgics 2.136-176 closely from this
perspective.

1. Georgics 2.136-139. Italy, The East and Alexander


sed neque Medorum silvae, ditissima terra,
nec pulcher Ganges atque auro turbidus Hermus
laudibus Italiae certent, non Bactra neque Indi
totaque turiferis Panchaia pinguis harenis.
But let not the woods of the Medes, the richest of lands, nor the fair Ganges, nor
the Hermus, murky with gold, vie with the praises of Italy, no, not Bactra or the
Indians, or the whole of Panchaia rich with its incense-bearing sands.

This passage which introduces the episode lays immediate emphasis on


contrast with the East. Medorum picks up the preceding discussion of the
Median citrus-tree (2.126-135), but to a reader of contemporary Roman poetry the somewhat antiquarian term Medes (like Persians) was becoming a familiar way of referring to the contemporary hostile state of Parthia:
we may compare Horace carm. 1.2.51-52: neu sinas Medos equitare inultos
/ te duce, Caesar; 1.29.4-5: horribilique Medo / nectis catenas; 2.9.21-22: Medumque flumen gentibus additum / victis minores volvere vertices; 3.3.43-44:
triumphatisque possit / Roma ferox dare iura Medis; 4.14.41-43: te Cantaber
non ante domabilis / Medusque et Indus, te profugus Scythes / miratur; carm.
saec. 53-54: manus potentis / Medus Albanasque timet securis; Propertius
3.9.25: Medorum pugnacis ire per hastas; 3.12.11: neve tua Medae laetentur
caede sagittae. From the disaster of Carrhae in 53 and the failure of Antonys
expedition in 36 until the diplomatic settlement of 21/20, the Parthians constituted Romes main unsubjugated Eastern enemy, and these references are
clearly made against this background. Italys natural resources are made to
outclass those of her political foes.

1 For some recent accounts of the passage which set the context, see e.g. Ross 1987, 115-119;
Jenkyns 1998, 352-371; Cramer 1998, 70-114; Nappa 2005, 78-85, and the standard commentaries of
Thomas 1988 and Mynors 1990.
 Cf. Horace carm. 1.2.22; 3.5.4, with Nisbet - Rudd 2004, 84.

Laudes Italiae (Georgics 2.136-175): Virgil as a Caesarian Hesiod

233

These lines outlining the superiority of Italy to the East also present some
echoes of the career of Alexander the Great. Bactria (138) had been a key
part of Alexanders conquests, India (138) his final stopping-place, the river
Ganges (137) his supposed ultimate destination, while the Hermus (137) as
river of Sardis points to that citys surrender to Alexander in 334 BCE. This
can be closely linked with the young Caesars self-presentation as a new Alexander in the years 31-29, a comparison which had also attracted Antony
before Actium: at georg. 4.560-562 we see Caesar conquering at the Euphrates, taking over Alexanders traditional title of magnus (4.560) and his
historical role as subjugator of the East, while the description of Antony as
leader of the Orient in the account of Actium on the shield of Aeneas (Aen.
8.685-688) likewise presents him as marshalling the forces once overcome by
Alexander and soon to be mastered by the young Caesar. Recall of Alexanders mastery of the East here thus has a lively contemporary reference at the
period of Actium.
These references to the regions of Alexanders conquests also suggest allusion to literary history and to literary self-positioning. Augustan poets were
fully aware that Alexander was the subject of epic by his contemporaries,
and that these poets (notoriously Choerilus of Iasus) were deemed to have
been inadequate to the task (cf. Horace epist. 2.1.232-237). As already
noted, Virgils praise of Italy and of the young Caesar in the Georgics as a
whole can itself be seen as a laudes Italiae, and these lines can be read as setting Vergils Italian great poem against the turgid Alexander epics: poems in
which Bactria, India and the Hermus played a role cannot compete with the
modern laudibus Italiae (138) in the Georgics itself. The Hermus eddying
with gold (137: auro turbidus Hermus) is a neat symbol for such turgid poetry: the symbolic language of large and disturbed Eastern rivers surely recalls
the famous characterisation of the Euphrates as a large and muddy stream
in Callimachuss Hymn to Apollo (107-112), a passage echoed elsewhere in
Virgil:
to;n Fqovnon wJpovllon podiv t h[lasen w|de; t e[eipen:
jAssurivou potamoi`o mevga~ rJovo~, ajlla; ta; pollav
 For these items in Alexanders career see conveniently Lane Fox 1973, 292-300 [Bactria]; 331402 [India]; 128 [Sardis]; for the Ganges as Alexanders supposed ultimate objective see Curtius 9.2.1;
Diodorus 17.93; Plutarch Alex. 62; Arrian Anab. 5.26.1 (Lucan 3.229-234 even claims that Alexander
reached the Ganges).
 For Augustus and Alexander see Kienast 1969; on Antony and Alexander in the 30s BC (and the
Roman passion for Alexander-imitation in general) see Spencer 2002, 24-26.
Note especially Bactra (8.688), the only other mention of this region in Virgil.
 With the useful discussion of Spencer 2002, 128-134.
See Thomas - Scodel 1984.

234

Stephen Harrison

luvmata gh`~ kai; pollo;n ejf u{dati surfeto;n e{lkei.


Dhoi` d oujk ajpo; panto;~ u{dwr forevousi mevlissai,
ajll h{ti~ kaqarhv te kai; ajcravanto~ ajnevrpei
pivdako~ ejx iJerh`~ ojlivgh liba;~ a[kron a[wton.
Apollo kicked Envy with his foot and spoke as follows: Great is the stream of
the Assyrian river, but it drags along many off-scourings of the land and much
rubbish on its waters. The water which the bees carry to Demeter is not from every source, but is whatever comes pure and uncontaminated from the holy spring,
a small trickle, the very best.

As in Callimachus, the Georgics can here be seen as using water-symbolism to set out its own literary qualities, defining itself as superior to the turbid and turgid tradition of Alexander-epic, and as equivalent to the pure
spring-water offered to Deo (Demeter); here it is interesting to note that Ceres / Demeter is prominent in the opening catalogue of rural gods invoked in
support of the poem at georg. 1.5-28 (1.7: alma Ceres), and that the bees of
Callimachus who haunt clear water might find some echo in those of georg.
4. This metapoetic stance fits well with the general Hellenistic and Callimachean aesthetic of the poem.
In these opening lines, therefore, a key complex of themes is established
for the episode. The Eastern locations recall both the contemporary political
contest with the Parthians and the historic conquests of Alexander. Both this
episode and the whole of the Georgics are then presented as praise of Italy as
superior to rival Eastern attractions, mirroring the political confrontations of
the 30s BC where Rome had faced first Parthia under Antonys leadership
and then the East joined with Antony under the leadership of the young Caesar at Actium. The young Caesars victory thus replays and improves on Alexanders subjugation of the East; this is mirrored on the literary level in the
way that Virgils Caesarian poem, the Georgics, overcomes traditionally turgid
epic praises of Alexander by adopting a refined Callimachean poetic stance.

2. Georgics 2.140-148. Not the Argonautica


haec loca non tauri spirantes naribus ignem
inuertere satis immanis dentibus hydri,
nec galeis densisque uirum seges horruit hastis;
sed gravidae fruges et Bacchi Massicus umor
impleuere; tenent oleae armentaque laeta.
hinc bellator equus campo sese arduus infert,
Note especially Georgics 4.18 (liquidi fontes as a good habitat for bees) and 4.17 (bees ferry food,
ferunt ~ forevousi).

Laudes Italiae (Georgics 2.136-175): Virgil as a Caesarian Hesiod

235

hinc albi, Clitumne, greges et maxima taurus


uictima, saepe tuo perfusi flumine sacro,
Romanos ad templa deum duxere triumphos.
These regions were not ploughed by bulls breathing fire from their nostrils for the
sowing of the teeth of the monstrous dragon, nor did the crop there bristle with
shields or the dense-packed spears of warriors; but heavy ears of corn and the Massic juice of Bacchus have filled them up, and they are occupied by olive-trees and
happy herds. From here the war-horse carries itself loftily across the plain, from
here, Clitumnus, the flocks and the bull, the largest victim, often washed in your
sacred waters, have drawn the triumphs of Romans to the temples of the gods.

The comparison of the Georgics with other forms of epos has now been
firmly established as a reading strategy for the laudes Italiae. The lines that
follow can also be interpreted metapoetically: haec loca at 140 can refer to
literary passages as well as topographical locations (Horace epist. 2.1.223: loca iam recitata), and both the physical features here excluded from Italy and
those claimed for its own may thus be read as symbolizing the subjects of
poetry. The literary tradition referred to in 140-142 is clearly the ploughing
with fire-breathing bulls and planting of dragons teeth by Jason in the Argonaut story (Apollonius Rhodius 3.1278-1407; Valerius Flaccus 7.559-643),
as scholars have recognised. Reading this metapoetically, the resulting claim
that Virgils Callimachean poem contains material different from that of the
Argonautic saga is likely to evoke contemporary literary history from the
30s BCE. One product of that decade seems to have been the Argonautae of
Varro Atacinus, probably echoed at georg. 2.404; Virgils Callimachean epos
may here be differentiating itself from a recent version of the more Homerically inspired poem of Apollonius.
The Italian subject-matter of lines 143-148 (corn, wine, olives, flocks)
plainly gives the subject-matter of Books 1-3 in order (Mynors ad loc.). This
kind of summary is repeated at the end of the poem at georg. 4.559-560 (haec
super arvorum cultu pecorumque canebam / et super arboribus), but here in
the laudes Italiae must be a further suggestion that the episode is a symbolic
summary or representation of the poem as a whole a mise en abyme in narratological terms10. Virgils Caesarian praise of Italy in 2.136-176 reflects the
themes and structure of the Georgics as a whole: we note that both the whole
poem (at georg. 4.560-567) and the laudes Italiae (at georg. 2.170-176) have a
climax in a sequence which follows encomium of Caesar with a reference to
the poets own work.

See
10

Hollis 2007, 196-214.


For mise en abyme see Dllenbach 1989.

236

Stephen Harrison

3. Georgics 2.149-154. Paradise without pests


hic uer adsiduum atque alienis mensibus aestas:
bis grauidae pecudes, bis pomis utilis arbos.
at rabidae tigres absunt et saeua leonum
semina, nec miseros fallunt aconita legentis,
nec rapit immensos orbis per humum neque tanto
squameus in spiram tractu se colligit anguis.
Here spring is incessant, and summer in the other months; the herds are twice
yearly with young, the tree is twice productive of apples. But raging tigers and the
savage seeds of lions are absent, nor do aconites take in their unfortunate gatherers, nor does the scaly snake drag its measureless rings along the ground or gather
itself into a coil in such great length.

These lines continue the literary symbolism. Italy and the Georgics are the
location of a paradisiacal climate: the claim to continual spring and double
fertility is an encomiastic topos rather than a serious agricultural observation, a rhetorical exaggeration, but once again the themes are treated metapoetically and pick up elements from the Georgics itself: spring is the subject of a famous description in this same book (2.319-345), while the care of
sheep (pecudes) is dealt with at 3.295-299 and the cultivation of fruit-trees
(arbos) has just been dealt with at 2.9-108. The absence of tigers and lions
is likewise not just a zoological observation: lions and tigers belong to the
exotic Eastern world of Alexanders conquests (Curtius 9.8.2) and lions to
the world of Homeric similes11: this surely reflects the alternative epic traditions of Alexander-style conquest (see above) and Homeric heroes which the
Georgics seeks to avoid.
The absence of both poisonous aconite and poisonous snakes is another
encomiastic rhetorical exaggeration openly contradicted by the account of
snakes at 3.414-449, a passage which indeed echoes several verbal details
from 2.153-15412, but again the point is not just to over-emphasise the paradisiacal landscape of Italy13. Here once more there is metapoetical allusion
to poetic models from which the Georgics diverge: the conjunction of poisons and snakes irresistibly recalls the extant poetic output of the late Hellenistic poet Nicander, who in the opening of his Alexipharmaka dedicates a
considerable section to aconite (12-73) and who spends a third of his The11

For a convenient discussion of Homeric lion-similes see Mueller 1984, 116-120.


2.153 immensos orbis ~ 3.424 tardosque orbis; 2.153 per humum ~ 3.420 fovit humum; 2.154
tractu ~ 3.424 trahit; 2.154 anguis ~ 3.425 anguis [both at line-end].
13 Here and elsewhere I disagree with the pessimistic interpretations of Ross 1987 and Thomas
1988.
12

Laudes Italiae (Georgics 2.136-175): Virgil as a Caesarian Hesiod

237

riaca dealing with poisonous snakes (115-482); when Manilius later comes
to summarise Nicanders two poems, he uses words close to Virgils here
(2.44: venenatos angues aconitaque). Given that Virgil probably took from
Nicanders lost Georgika the title of his poem but not much else (since that
poem seems to have concerned horticulture rather than agriculture)14, this
can be taken as another programmatic statement about Virgils epos. Though
in some sense in the tradition of Nicander, the Georgics will avoid his relentlessly gloomy subject-matter15 and perhaps his lack of poetic sparkle16
by engagement with Italian landscape and Caesarian ideology. Once again,
there is also a contemporary reference here. Aemilius Macers Latin versions
of Nicanders poems may have been written as early as the forties BC and
are likely to have been available to Virgil in the Georgics17. Like the mythic
Argonautae of Varro Atacinus, Macers versions of the arid Nicander are a
contemporary road not taken in the Georgics.

4. Georgics 2.155-164. Caesarian projects


adde tot egregias urbes operumque laborem,
tot congesta manu praeruptis oppida saxis
fluminaque antiquos subter labentia muros.
an mare quod supra memorem, quodque adluit infra?
anne lacus tantos? te, Lari maxime, teque,
fluctibus et fremitu adsurgens Benace marino?
an memorem portus Lucrinoque addita claustra
atque indignatum magnis stridoribus aequor,
Iulia qua ponto longe sonat unda refuso
Tyrrhenusque fretis immittitur aestus Auernis?
Add to this so many outstanding cities and the labour of building, so many towns
piled by hand on sheer rocks, and the rivers flowing below their ancient walls. Or
should I mention the sea that washes the land to the east, or that to the west, or
the great lakes you, mighty Larius, and you, Benacus, surging with waves and
a roar like that of the sea? Or should I mention the harbours and the barriers
added to the Lucrine lake, and the sea indignant with its great murmurings at the
point where the Julian waters resound far and wide with their waves flowing back
and the tide from the Etruscan sea is sent into the channels of Avernus?

14See Harrison 2004 for an argument that the Old Man of Corycus episode in georg. 4.116-148
alludes extensively to Nicanders Georgika.
15 For a similar recent assessment of Nicander see Gutzwiller 2007, 103-106.
16 Though it is worth noting that ancient critics had a high view of Nicander as a poet: Cicero de orat.
1.69; Quintilian inst. 10.1.56.
17See Hollis 2007, 101.

238

Stephen Harrison

Here the laudes turn to the towns of Italy and to contemporary building
projects. Operumque laborem perhaps suggests an analogy between Caesarian architectural constructions and their poetic counterparts: laborem not
only compares the labours of builder and farmer (for agricultural labor cf.
e.g. georg. 1.118; 1.145; 2.61) but also evokes the effort of Callimachean
poetic enterprises (for labor in this sense cf. georg. 2.39; ecl. 10.1). The relationship between the physical landscape of Italy and the Georgics as the
poem which celebrates it is clearly marked by the link between the oppida
of 2.156 and the oppida through which the Georgics is sung at 2.176 (see
below).
One key aspect of the Italian landscape in these lines is its great lakes of
Como (Lari) and Garda (Benace): like the Italian river Clitumnus at 2.146,
these clearly contrast favourably with the exotic, Eastern streams of the
Ganges and Hermus. To these is added Lake Avernus and the Portus Iulius
naval complex with connecting tunnels and waterways. The political significance of Agrippas works there is clear, for the whole complex was created
as preparation for the Naulochus naval campaign in 37/36 BCE (Suetonius
Aug. 16.1; Dio 48.50.1-4); in this passage we are now after Actium in the
period 31-29 (see below), and the naval battle hinted at here is Actium not
Naulochus. The technique of associating the two victories at sea is deployed
again at Aen. 8.682-684, where Agrippa is shown at Actium but wearing
the naval crown awarded for Naulochus. There is a clear analogy between
Agrippas service to the Caesarian cause at the Portus Iulius and the poetic
achievement of the Georgics: Virgils poetic labores encompass and contain
the landscape poetically from a Caesarian point of view, just as Agrippas
feats of engineering in 37/36 B.C. had mastered the landscape for Caesar in
a more practical sense. Both Agrippa and Vergil thus contribute to the Caesarian project.
Finally, it is worth noting that these lines combine two landscapes fundamentally linked with the poet. Lakes Como and Garda look to the poets
nearby birthplace in the region of Mantua (cf. georg. 2.198; 3.11)18, while the
Portus Iulius is close to Naples, the area where the poet locates himself at
the end of the Georgics itself (4.563-564). This also combines the north and
the south of the Italian peninsula: matching the Caesarian slogan tota Italia,
the poet, his poem and the power of Caesar are presented as covering the
whole of Italy19.

18
19

Compare the similar link of Mantua and Como at Aeneid 10.205.


For this idea in the Caesarian propaganda of the 30s BCE see still Syme 1939, 276-293.

Laudes Italiae (Georgics 2.136-175): Virgil as a Caesarian Hesiod

239

5. Georgics 2.165-176. Hesiod updated for Caesarian Rome


haec eadem argenti riuos aerisque metalla
ostendit uenis atque auro plurima fluxit.
haec genus acre uirum, Marsos pubemque Sabellam
adsuetumque malo Ligurem Volscosque uerutos
extulit, haec Decios Marios magnosque Camillos,
Scipiadas duros bello et te, maxime Caesar,
qui nunc extremis Asiae iam uictor in oris
imbellem auertis Romanis arcibus Indum.
salue, magna parens frugum, Saturnia tellus,
magna uirum: tibi res antiquae laudis et artem
ingredior sanctos ausus recludere fontis,
Ascraeumque cano Romana per oppida carmen.
This land can show streams of silver and mines of bronze in its veins and has
flowed rich in gold. This land has borne a fierce race of men, the Marsi, the Sabine host, the Ligurian inured to suffering and the Volsci armed with javelins,
and the Decii, the Marii and great men such as Camillus, the Scipios tough in war
and you, greatest of Caesars, who now already victorious on the farthest shores of
Asia divert the unwarlike Indian from the citadels of Rome. Hail, great mother of
crops, land of Saturn, great mother of men: it is for you that I embark on these
matters of ancient renown and my art, daring to open up the holy springs, and
that I sing the song of Ascra through the towns of Rome.

As already noted (see 2 above), the climax of the laudes Italiae matches
the climax of the Georgics itself in presenting a sequence which follows encomium of Caesar in the East with a reference to the poets own work. Here
at last we approach the territory of Hesiod: the co-presence in the Italian
landscape of silver, bronze and gold, clearly not a metallurgical observation20, picks up the use of these metals in the Hesiodic Myth of Ages (Hesiod WD 106-201)21. It seems that Hesiods symbolic sequence of metallic
decline (gold - silver - bronze - heroes - iron) is both truncated and deliberately mixed up: the first three metals are all present together in the paradisiacal landscape of Italy, decline seems out of the question, and it may even
be suggested that a second age of heroes has now arrived, matching the new
age rhetoric of ecl. 4.35-36 (erunt etiam altera bella / atque iterum ad Troiam
magnus mittetur Achilles)22. Here at least a key Hesiodic idea is being rewrit20I

take it as rhetorically exaggerated encomium rather than the pessimistic lie argued by Ross 1987,

118.
21It is also likely to recall the three declining ages (gold - silver - bronze) of Aratus Phaen. 114-136,
modelled on Hesiods, but the primacy of Hesiod here is suggested by 2.176 (Ascraeumque carmen).
22On the political context of this poem see Harrison 2007, 36-44.

240

Stephen Harrison

ten for its new ideological and poetical context: the poet of the Georgics is a
new Caesarian Hesiod for contemporary Rome.
The list of great Italian tribes and heroes in 2.167-170 raises another literary source. The Marsians, Sabellians (Samnites), Ligurians and Volscians all
belong to the early history of Rome, and all would have been found in the
Annales of Ennius, the key poetic repository of that history for readers of the
first century BCE23. A reference to the Annales is confirmed by the use here
of the rare adjective verutus, javelin-bearing (168), found before Virgil only
in Lucretius (4.404) and Ennius (ann. 351 Skutsch), and the archaic form
Scipiadas, found in Lucilius and Lucretius, is very likely to have been Ennian in origin24. The list of great Roman heroes climaxes in the presentation
of the young Caesar, clearly engaged in his post-Actium Eastern campaigns
(171: iam victor) as at georg. 4.560-561. The suggestion seems to be that just
as the modern Caesar follows and surpasses (maxime) the legendary figures
of early Rome, so Virgil in the Georgics is a new Ennius for a new Caesarian
age25.
Caesar himself is also here presented as outdoing a great figure from the
Hellenic past as well as the heroes of Ennius. As in the Eastern locations set
out at the beginning of the laudes Italiae (2.136-139), now recalled in a neat
element of ring-composition at its conclusion, the suggestion is that Caesar
and his poet are surpassing the achievements of Alexander and his poets.
Caesar is hailed as maxime (170), greater than magnosque Camillos (169) but
also greater than Alexander Magnus, and his Eastern theatre of operations recalls and encompasses the furthest penetration of Alexander into Asia (171:
extremis Asiae in oris) and even to India, famed scene of Alexanders operations but reached only diplomatically by the young Caesar26. Greatness is
the quality of Caesar, but it is also the quality of Italy itself (173-174: magna
magna) as set out in Virgils poem which reflects and matches the landscape it describes : the oppida of 176 (as already noted) look back to those
of 156, while the holy springs of poetic inspiration (175: sanctos fontis)
echo the holy stream of the Italian river Clitumnus (147: flumine sacro).
Suitably enough, given the prominent reference to Hesiods birthplace in 176
Ascraeum, the sanctos fontis also recall the evocation of the springs of the
Muses at the beginning of Hesiods Theogony (5-6: kaiv te loessavmenai

23 There is clear evidence of this for two of the four tribes in the fragments of the poem: cf. Annales
229 Skutsch (Marsa manus); 152 (Volsculus).
24 Skutsch 1968, 148.
25 This fittingly replays a move made by Virgils didactic predecessor Lucretius, if the arguments of
Harrison 2002 are sound.
26 For India and Augustus see Andre 1986.

Laudes Italiae (Georgics 2.136-175): Virgil as a Caesarian Hesiod

241

tevrena crova Permhssoi`o h] Ippou krhvnh~ h] Olmeiou` zaqevoio),


from which krhvnh~ seems to be echoed in fontis and zaqevoio in sanctos.
Precisely as claimed at georg. 3.10-11 (in patriam mecum / Aonio deducam
vertice Musas) in Virgils poem the Hesiodic Muses are translated from the
mountains of Boeotia to the lush landscape of Italy, and their Greek location
is turned to the praise of Virgils patria and its leader.
Thus the Georgics are presented as a new form of Hesiodic epos for a
new location and a new political era. The troubled context of the Works and
Days, where trickery and injustice seem to have affected Hesiods property
and situation, is replaced by the mighty conquests and just rule of a great
leader. So too the genre of hexameter epos is optimistically renewed, tied
closely to Italy and its regeneration: overcoming the mythological fancies of
the Argonaut epics and the dry manuals of Nicander, whether in Hellenistic
or contemporary Latin form, surpassing the frigid panegyrics of Alexander
and even the great narratives of republican heroism in Ennius Annales, the
laudes Italiae, mirroring the Georgics as a whole, combine a revival of Hesiodic didactic epos with the contemporary encomium of Caesar and his renascent Rome.

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Bellum Italicum:
lunificazione dellItalia nellEneide
Alessandro Barchiesi

LEneide un testo molto promettente per una storia dellidentit italica e


dellidentit italiana, due problemi separati ma non privi di collegamento fra
loro. Ma unanalisi del poema di Virgilio dal punto di vista di una storia italica spesso naufragata su alcune difficolt preliminari. Bisogna ammettere
anzitutto che il ruolo dellItalia nel poema tuttaltro che semplice.
LEneide in qualche modo anche la storia della nascita di ununit, ma
si tratta di ununit che ha poche analogie sia nel mondo antico che in quello
moderno. Se si interpreta la storia dal punto di vista tipico del nazionalismo
europeo, si nota che persino i pi ardenti nazionalisti e irredentisti dell800
hanno avuto difficolt con Virgilio e hanno esitato ad adottarlo. La fortuna
del poema, se si potesse schematizzarla in breve, conosce i suoi momenti alti
pi in consonanza con il colonialismo europeo (ad esempio, la colonizzazione delle Americhe con i suoi temi di esilio e distruzione della pace naturale,
diaspora e genocidio insieme) che con la vera e propria ideologia nucleare
dello stato-nazione. Uno dei problemi principali che il fatalismo di questo
poema epico cos totale da entrare in conflitto con le ideologie costruttive
e collettive del nazionalismo. Un altro che il rapporto tra stato, popolo,
etnicit e spirito nazionale emerge dal poema come alquanto complicato a
dir poco: nel proemio, ad esempio, si parla di una serie di citt destinate a
scomparire o a perdersi, come Troia, Lavinio e Alba Longa, e si approda poi
alla genesi di una stirpe Latina (I 6) genus unde Latinum, unespressione

 Questo tema non presente quanto ci si aspetterebbe negli studi letterari sullepica virgiliana, e i
due lavori tuttora pi stimolanti in questa prospettiva hanno ricevuto entrambi, per motivi diversi, unattenzione inadeguata da parte di noi letterati: M. Sordi, Virgilio e la storia romana del IV secolo a.C., in
Athenaeum n.s. 42 (1964), pp. 80-100 (= Prospettive di storia etrusca, Como 1995, pp. 76-93 = Scritti di
storia romana, Milano 2002, pp. 85-105); G. Dumezil, Mythe et pope, I. Lidologie des trois fonctions
dans les popes des peuples indo-europens, Paris 1968.
Uno strumento di eccezionale ricchezza per esplorare questa tradizione oggi J.M. Ziolkowski
- M.C.J. Putnam, The Virgilian Tradition: The First Fifteen Hundred Years, New Haven 2008. Per alcuni
aspetti della fortuna moderna in rapporto al tema che sto trattando, rinvio alla mia introduzione (Le
sofferenze dellimpero) a Publio Virgilio Marone, Eneide, trad. R. Scarcia, Milano 2006, pp. L-LII (con
bibliografia aggiornata).

244

Alessandro Barchiesi

problematica e proprio per questo significativa e di una citt dalle alte


mura chiamata Roma. Evidentemente si tratta di entit amiche e affratellate,
ma in questa storia Roma non viene fondata, e i Latini passano buona parte
della seconda met del poema a farsi scannare per impedire che ci avvenga,
a causa della loro ignoranza delle leggi del fato: e Alba Longa, secondo tradizione, sar la prima vittima dellespansione romana. Quanto allItalia, essa
viene nominata allinizio del verso 2 del poema, come luogo di destinazione
del viaggio di Enea, ma si tratta quasi di espressione geografica. Infatti nella
prima met del poema si parla spesso di ricerca dellItalia e viaggio verso
lItalia, ma alla fine Enea leroe che cerc lItalia e fin per trovare Roma.
Cos voleva il Fato, ci viene detto.
Questo ferreo fatalismo ha di fatto bloccato molti tentativi di recupero
moderni. Persino fascismo e nazismo, che non guardavano per il sottile, hanno avuto i loro problemi di appropriazione. Quando Rudolf Borchardt, un
estetizzante letterato austriaco con simpatie mussoliniane, torn in Germania nel 1930 per le celebrazioni del bimillenario di nascita del poeta latino,
si sent dire che il suo Virgilio non era accettabile perch non parlava abbastanza dello stato, der Staat: ma il culto dello stato, tipico della cultura accademica negli anni di Hitler, non ha prodotto appropriazioni convincenti
neppure per i nazionalsocialisti. vero per che lEneide stata frequentata parecchio dai fascisti, e almeno per un aspetto se ne capisce il motivo.
LEneide illustra il potere di una forma di autorit che non fondata su un
popolo e su un territorio, ma precede la comunit a cui dar un senso e un
contenuto, ma da cui sar legittimata, il senatus populusque Romanus che
Enea non potr vedere. Da questo punto di vista si capisce come lEneide
sia davvero un testo imperiale o coloniale pi che repubblicano, e quale uso
ne potessero fare gli ideologi fascisti. Ma lanalogia si ferma davvero presto.
La violenza caotica che precede lordine romano non vista come sacrificio
o prezzo da pagare (che sarebbe ideologia del tutto compatibile con il fascismo), ma come esito di forze malefiche e irrazionali, che non risparmiano
neanche i vincitori; e la nozione di unit etnica o addirittura di omogeneit
di discendenza ha un ruolo alquanto ridotto nella visione virgiliana della storia di Roma.
Il vero posto dellEneide in una storia dellidentit italiana sta piuttosto in
un altro aspetto. Il poema d un forte impulso alla costruzione di unidea di
Italia, e persino di unificazione italica: ma lo fa per un clamoroso e colossale
 Sulla necessit di affrontare le implicazioni di unde, anche rispetto alla tradizione storiografica, v.
limportante discussione di J. Linderski, Roman Questions, Stuttgart 1995, pp. 337-338.
 Sullopera di Borchardt ora fondamentale E.A. Schmidt, Rudolf Borchardts Antike. Heroischtragische Zeitgenossenschaft in der Moderne, Heidelberg 2006.

Bellum Italicum: lunificazione dellItalia nellEneide

245

secondo fine. LItalia deve esistere e soffrire perch Roma debba affermarsi e diventare un impero mondiale. Da questo punto di vista per quanto
anacronistico, dato che stiamo attribuendo allItalia un senso compiuto che
allepoca non poteva avere Virgilio realmente vicino a una tradizione che
unisce il Papato (lItalia necessaria come contenitore per il successo della
Chiesa) a Dante (lItalia deve affermarsi perch una realt pi alta, il Sacro
Romano Impero, possa svolgere la sua missione) e ad altri sviluppi pi recenti. In questa logica, lidentit italiana segnata da due fatalit ricorrenti,
leterogenesi dei fini e il tradimento. ununit che deve prosperare ma solo
perch qualcosa di pi grande possa affermarsi. Nel poema di Virgilio lItalia
antica vista come frammentazione in cui ci sono anche speranze di unit, e
il suo ritmo di crescita lalternanza ciclica di pace e guerra: alla fine di un
lungo processo, che comprende insieme civilizzazione e barbarie, qualcosa
di unitario emerger, ma sar, un po ironicamente per gli sforzi degli Italici,
limpero sovranazionale di Augusto.
Pu sembrare una visione anacronistica e modernizzante, ma proprio per
lossessivo fatalismo di Virgilio succede nel poema che gli attori della storia
si trovino presi in un meccanismo di anticipazione ironica. questo il caso
del pi autorevole fra gli Italici incontrati da Enea, il re Latino:
externi uenient generi, qui sanguine nostrum
nomen in astra ferant, quorumque a stirpe nepotes
omnia sub pedibus, qua sol utrumque recurrens
aspicit Oceanum, uertique regique uidebunt.
hoc Latio restare canunt, qui sanguine nostrum
nomen in astra ferant.

(VII 98-101; 271-272)

In una profezia importante, tanto da essere ripetuta per due volte, il re


Latino si visto promettere che se sceglier uno straniero come genero la
sua stirpe salir alle stelle. Questa promessa dunque lo snodo fondamentale della trama, anche se, con ironia epica tipicamente virgiliana, proprio da
questa promessa di matrimonio scoppier una guerra funesta. Lironia entra
in profondit nel testo della profezia, cosa non rara negli oracoli degli antichi: Latino usa sangue nel senso di discendenza, ma quello che incombe
per la sua gente piuttosto un bagno di sangue; e usa nomen nel senso di
fama, ma nomen Latinum per i Romani una formula prefissata, che indica
lidentit latina allinterno della struttura del territorio romano, e soprattutto
indica il contributo pi significativo che i Latini daranno per secoli a Roma:
la partecipazione allesercito. Ancora una volta il sangue e il nome Latino
serviranno a un risultato imprevisto, il dominio di una citt che non si iden-

246

Alessandro Barchiesi

tifica totalmente con la lega dei Latini e i suoi simboli di appartenenza. I


Latini troveranno nel sangue delle battaglie la loro vera funzione rispetto a
Roma: come ha scritto John North, con metafora non tanto diversa, warmaking was the life-blood of the Roman confederation in Italy. Quanto agli
Italici, sembra che la loro confederazione ribelle nellimprovvisata capitale di
Italica (90 a.C.) si basasse su una rivendicazione che una variante di questa
retorica: lidea che non si poteva pi donare il proprio sangue per coloro che
non davano importanza alla consanguineit.
Ancora una volta in Virgilio Roma una sorta di eccedenza, di superamento rispetto al destino delle stirpi italiche.
***
Il conflitto fra localismo e identit globale un aspetto importante della
storia narrata da Virgilio. Il poema, come abbiamo accennato, si apre con
una sorta di atto di speranza nella capacit di superare le proprie origini e di
aderire a una nuova patria; ma si chiude anche con una serie di immagini di
violenza, che mostrano il prezzo da pagare e la sofferenza inflitta alle comunit locali. Lultimo gesto attivo del campione italico, Turno, sollevare una
pietra di confine per usarla come arma contro Enea:
nec plura effatus saxum circumspicit ingens,
saxum antiquum ingens, campo quod forte iacebat,
limes agro positus litem ut discerneret aruis.
uix illum lecti bis sex ceruice subirent,
qualia nunc hominum producit corpora tellus;
ille manu raptum trepida torquebat in hostem
altior insurgens et cursu concitus heros.

(XII 896-903)

Non disse di pi; scorge attorno un macigno immenso, un macigno vetusto, immenso, confine dun campo che stava per caso piantato nel piano, a dirimere discordia dalle colture. A stento sul collo ricurvi lavrebbero sorretto due volte sei uomini scelti, quali sono oggi i corpi che la terra produce: afferrato con mano tremante leroe lo tirava sul nemico, slanciandosi pi verso lalto e sospinto dalla rincorsa.

Il gesto eroico omerico, come prova laggiunta che solo dodici uomini di
oggi potrebbero sollevare la pietra, anche se Turno, per ironia metaletteraria,
finir per non farcela. Ma esiste anche un riferimento a particolarit locali.
Un italico come Turno dovrebbe sapere che il terminus, la pietra di confine,
sacra, e difende la propriet e lordine tradizionale. Daltra parte i Troiani


The development of Roman imperialism, JRS 71 (1981), pp. 1-9 (a p. 7).

Bellum Italicum: lunificazione dellItalia nellEneide

247

hanno gi violato questo stesso ordine, ad esempio sradicando un albero sacro a Fauno, il pi nativo e locale fra gli dei di questo poema:
forte sacer Fauno foliis oleaster amaris
hic steterat, nautis olim uenerabile lignum,
seruati ex undis ubi figere dona solebant
Laurenti diuo et uotas suspendere uestis;
sed stirpem Teucri nullo discrimine sacrum
sustulerant, puro ut possent concurrere campo.

(XII 766-772)

Era l per caso che sacro a Fauno un oleastro dalle foglie amare era stato, tronco
un tempo religioso ai naviganti, dove salvati dalle acque solevano affiggere doni alla divinit laurente e sospendere le vesti in voto; ma quel fusto consacrato,
senza far distinzione, avevano i Teucri tolto, perch potessero affrontarsi in uno
spazio sgombro.

I Troiani hanno dissacrato e rimosso, nullo discrimine, quello che per loro un ostacolo, ma per i Latini un radicato oggetto di venerazione: lopposizione del dio Fauno sar in effetti lultimo dei tanti ostacoli sul cammino
vittorioso di Enea: un albero dalle foglie amare, dice Virgilio di questo che
era apparentemente un inutile tronco per chi non ne conosceva il valore sacrale.
Prima ancora dellatto di violenza che chiude il poema, luccisione di Turno (un atto di violenza che non seguito da alcuna riconciliazione o purificazione, contro tutte le tradizioni della letteratura greco-romana), abbiamo
quindi due immagini parallele: i due eroi in conflitto letteralmente travolgono i confini stabiliti del paesaggio, naturale e sacrale, del mondo italico
per cui si combatte.
***
Daltra parte Virgilio non ha fatto nulla per rappresentare lappartenenza
a un luogo e la continuit etnica come un valore assoluto. Se avessimo tempo, potremmo vedere in dettaglio come tutti i grandi personaggi del poema e
persino gli dei siano in transito da una patria a unaltra. Lo stesso vale per
i popoli pi importanti: persino dei popoli e delle patrie italiche tradizionali
si registra pi volte lorigine non autoctona, leffetto di migrazioni, fusioni,
cambi di nome e di regime politico. Possiamo aggiungere che gli unici personaggi per cui Virgilio sottolinea lessere nativi e residenti stabili di una
 Discrimine corradicale del discerneret di 898: la guerra finir per eradere distinzioni ancora pi
importanti, come quelle fra chi nato in Italia e chi immigrato dallAsia, ma tutte le genti coinvolte
pagheranno con il sangue questo superamento dei limiti tradizionali.

248

Alessandro Barchiesi

localit sono in effetti dei mostri incivili: il cannibale Polifemo e il bestiale


brigante Caco, entrambi destinati a perdere nel conflitto con eroi viaggiatori
e civilizzatori, Ulisse ed Ercole. Per altri gruppi etnici viene rappresentata
piuttosto la mobilit e ladattabilit a nuove condizioni. Latini e Italici sono
gi almeno potenzialmente le comunit che faranno da ospite e da contesto
per la crescita di Roma, ma non manca nella loro vita una sorta di primitivismo e persino di barbarie da civilizzare. Virgilio ricorre (non senza autoironia) per questa rappresentazione dellItalia pre-romana a elementi tipici
delletnografia greca, l dove venivano rappresentati i barbari dellOccidente
e del Nord. In pratica quindi gli Italici che si oppongono a Enea svolgono
una funzione ambigua nel mondo di Virgilio: da un lato, come vedremo, gi
mostrano per allusione i contributi che sapranno dare al melting pot della
futura cultura romana, ma dallaltro, quando il narratore vuole, appaiono invece come figura del barbaro nordico e occidentale, colui che dovr essere
trasformato in futuro tramite limpero civilizzatore di Roma. Daltra parte i
Troiani stessi non sono affatto rappresentati come una completa prefigurazione dellidentit etnico-culturale dei Romani, a cui pure secondo Virgilio
daranno un contributo decisivo. A seconda dei contesti e delle tensioni che
si instaurano nel racconto, i Troiani possono apparire ancora troppo orientali, in modo tale da bilanciare leccesso di primitivismo degli Italici con
un almeno potenziale eccesso di incivilimento, che ne farebbe degli orientali
in senso negativo. In questa prospettiva, lEneide suggerisce che una combinazione di elementi disomogenei ha portato al giusto equilibrio tipico della
civilt romana.
Questa civilt vista nellEneide come una combinazione e contaminazione di fattori, nessuno esclusivo e neppure preminente. Sono tutti fattori
che avevano posti di rilievo nelle idee di etnicit e di etnogenesi tipiche del
mondo greco-romano: il sangue condiviso, la provenienza territoriale, lurbanesimo, i costumi e la cultura materiale, la lingua. Nessuno di questi fattori
privo di importanza, ma a nessuno concesso un privilegio esclusivo. La
situazione comprensibile se si pensa che il mondo augusteo caratterizzato
da forme di cittadinanza allargata, che consentono processi di inclusione e
integrazione, e favoriscono nuovi equilibri tra locale e globale, ma escludono
la partecipazione politica attiva. La ricostruzione operata dallEneide sulle
origini di Roma coerente con questa dinamica di apertura civica e chiusura
politica. Nel nuovo impero augusteo, i lettori del poema e ce ne saranno
stati, sin dallinizio, non solo nellUrbe ma a Cartagine e a Butroto, in Gallia
 Magistrale la trattazione di A. Giardina, LItalia romana: storie di unidentit incompiuta, Roma
1997; v. anche H. Mouritsen, Italian unification, London 1998; e ora E. Bispham, From Asculum to
Actium. The municipalization of Italy from the Social War to Augustus, Oxford 2007.

Bellum Italicum: lunificazione dellItalia nellEneide

249

e in Cisalpina, in Spagna e nelle isole trovano di fronte a s una visione


aperta e integrativa delle origini di Roma. Questa visione continua una tendenza importante della cultura repubblicana, quella dellasilo di Romolo,
ma il protagonista della vicenda ora non pi il fondatore Romolo, origine
nazionale e simbolo della romanit nucleare legata al territorio, ma piuttosto quello che era a lungo stato per i Romani il loro personaggio internazionale, Enea, non tanto un eroe fondatore quanto un mediatore, colui che
collega il Lazio a Roma e lepica omerica alle origini di Roma, prestandosi
a una funzione di prestigioso exemplum nei rapporti interstatali e interculturali. Sviluppando questa tradizione, Virgilio descrive un mondo eroico in
cui ci sono pi compatibilit e inclusioni che esclusioni e differenze etniche.
Se guardiamo alla trama del poema, molte sono le componenti etniche del
nuovo impero che possono vedere giustificata una loro partecipazione e vicinanza alla comunit romana. A nessuna, per questa laltra faccia della
riconciliazione virgiliana tra i popoli , viene concesso un privilegio o una
stabile superiorit. Fino a un certo punto, riconosciamo in questo la continuazione di una tradizionale strategia politica e diplomatica della repubblica
romana: molti stati e citt sono ammessi a una condizione di vicinanza e di
alleanza subordinata, privilegi e favori possono essere negoziati pi volte, ma
nessuno viene mai dichiarato consanguineo dei Romani nei termini usuali
della diplomazia interstatale greca, neppure tramite lappello alla leggenda
di Enea che il pi tipico fra gli strumenti di diplomazia genealogica. Ma
in Virgilio c uno sviluppo nuovo. Il popolo romano appare come lesito
dinamico di una serie di contatti e di fusioni tra popoli, in cui gli antichi
progenitori troiani hanno agito come catalizzatori. Lenfasi cade non sulla
purezza e permanenza del sangue e della genealogia, ma sul destino imperiale che contraddistingue Roma. Tuttavia c una significativa eccezione: dalla
struttura del racconto emerge una sola famiglia che sia contraddistinta da
puro sangue troiano, ed la famiglia a cui appartengono Enea, Iulo, Romolo, Cesare, e soprattutto Augusto10. Ecco quindi la situazione del mondo
romano come appare ai lettori che vogliano immaginare lEneide quale suo
mito di fondazione e charter myth: esiste per molti la possibilit di diven Sulla storia di Romolo come mediazione fra chiusura e apertura etnica v. C. Ampolo, in Storia
di Roma, I, Torino 1988, pp. 172-173; E. Dench, Romulus asylum, Oxford 2005.
 V. soprattutto C. Jones, Kinship diplomacy in the ancient world, Cambridge (Mass.) 1999; A. Erskine, Troy between Greece and Rome: local tradition and imperial power, Oxford 2001.
10Un aspetto ben sottolineato da M. Bettini, Un identit troppo compiuta: Troiani, Latini, Romani e Iulii nellEneide, MD 55 (2005), pp. 77-102. Si tratta in effetti dellunica famiglia del poema che
abbia una chance di sopravvivere oltre la sua trama: sul significato ideologico dellinsistenza su morti immature e figli scomparsi v. limportante saggio di D. Quint, The brothers of Sarpedon, MD 47 (2001),
pp. 35-66.

250

Alessandro Barchiesi

tare Romani, e storicamente molti sono stati accettati e molti ancora lo


saranno; il trattamento accordato nel poema a Greci, Italici e anche popoli
pi lontani, garantisce unapertura verso lintegrazione e verso il dialogo; ma
quasi a garanzia protettiva di questa apertura multiculturale, a nessuno pu
essere concesso di diventare Troiano cio Giulio. Il privilegio che nasce
dal racconto epico viene tesaurizzato a favore della casa imperiale, non di una
etnia o nazione. La compatibilit fra le genti e la visione aperta della romanit viene quindi bilanciata da una forte asserzione dellautorit imperiale:
evidentemente, cos che il discorso politico augusteo giustifica lesistenza
dellimpero, non solo come necessit o persino prezzo da pagare, ma anche
come vantaggio rispetto al modello delle poleis e delle repubbliche, che in
passato erano state aperte al loro interno, e portatrici di cittadinanza attiva,
ma durissime nellescludere alieni, meteci, stranieri di ogni genere.
***
Queste considerazioni ci aiutano a capire che la questione delle origini italiche non solo un quesito antiquario nella lettura di questo poema e non va
affrontata con gli strumenti tipici della critica delle fonti. Abbiamo visto che
sugli Italici ricade una funzione che esito di due sviluppi contraddittori:
da una parte, il desiderio di vedere lidentit romana come una somma di
contributi legati a etnie diverse e accettati con caratteristica apertura; dallaltra, lidea di una violenza primitiva pronta a scatenarsi e destinata a essere
domata o incanalata. Questa seconda prospettiva appare strana e di rado
valorizzata dagli interpreti moderni di Virgilio. Una parte del problema sembra essere che per noi lEneide tende a essere vista in un contesto storico
unificato, tale da eclissare altre prospettive: il contesto delle guerre civili e
della vittoria di Augusto ad Azio. Secondo una prospettiva autorevole ma
sempre pi controversa, che si deve a Syme, lItalia sarebbe stata addirittura
la vera vincitrice di queste guerre. Dopotutto Virgilio stesso che mette a
fuoco la battaglia di Azio come evento cruciale nella storia e nello spazio del
Mediterraneo, e parla addirittura di Augusto che comanda gli Italici, Italos,
contro Cleopatra.
Andrea Giardina11 ha avvertito giustamente che generalizzare troppo in
questo senso va non solo contro la complessit storica ma anche contro la
lettera dei testi augustei: Virgilio in realt piuttosto isolato nellimmaginare Azio come una vittoria dellItalia. In effetti le cose cambiano se scegliamo come contesto storico per capire lEneide non la spettacolare vittoria di
Azio, ma una serie di eventi che nessun monumento e ben pochi testi romani

11Cfr.

supra, n. 7.

Bellum Italicum: lunificazione dellItalia nellEneide

251

hanno celebrato, e che si svolse in localit meno internazionali di Azio,


un luogo che appare predestinato a uno scontro fra Oriente e Occidente:
loscura catena di rivolte vendette e repressioni che i Romani stessi esitano su
come definire, bellum Italicum, bellum sociale, bellum Marsicum, oppure, se
scrivono in greco, guerra degli alleati. Una sporca guerra che si trascin in
luoghi pacificati ormai da secoli, nel Piceno, in Sabina, in Umbria, nel Sannio, in Lucania e nella Marsica. Non c da stupirsi che Virgilio mai vi alluda
o la evochi, questa guerra degli Italici: persino i suoi commentatori antichi,
cos pronti a cogliere risonanze di eventi storici nel poema, non segnalano
mai questo tipo di contesto storico.
La guerra sociale per molti versi un evento semicancellato, che le nostre fonti antiche hanno poco interesse a rievocare. La sua interpretazione
aperta, ma su un aspetto non sembra possibile ambiguit: fu un conflitto
traumatico nella memoria collettiva, lunica guerra romana che non sarebbe
mai dovuta accadere. Non c da stupirsi quindi che non sia tra i riferimenti storici pi comuni nellinterpretazione dellEneide. A questo si aggiunge
che nessun autore destinato a essere canonico se ne mai occupato. Sarebbe splendido avere gli scritti di Lucullo, uno dei personaggi pi significativi della tarda repubblica, sulla guerra marsica, ma non sembra che abbiano
avuto grande circolazione; gli storici pi importanti della tarda repubblica,
Sallustio e Asinio Pollione, cominciano pi avanti le loro storie di Roma;
Livio pervenuto solo in magri riassunti. Non sto parlando quindi di un
influsso letterario, di qualcosa che sia stato mediato a Virgilio da un testo
famoso. Sto invocando la nozione, alquanto pi difficile da precisare, di
memoria collettiva.
In termini temporali, la cosa potrebbe apparire plausibile. Quasi tutti gli
studi di memoria collettiva concordano che un paio di generazioni di distanza sono lo spazio ideale per il consolidarsi di un contenuto collettivo nella
memoria: questo ovviamente perch nonni o zii anziani sono il tramite pi
efficace per un certo tipo di racconto orale. chiaro che dobbiamo immaginare scenari e localizzazioni diverse: i nonni di Ovidio, nel cuore del territorio peligno, non possono non essere stati coinvolti dal conflitto12; Orazio era
nato nellunica colonia latina che si era schierata con gli insorti, Venusia, che
per questo fu punita, e i fasti della citt si aprono con lannotazione dopo la

12Cfr. per esempio R. Syme, in una recensione al libro Ovid: A poet between two worlds, JRS 37
(1947), p. 221: Which are these two worlds? Suitable and perhaps instructive contrasts might be discovered in the life of the poet and the history of the times. Thus Italy and Rome the generation of Ovids
grandparents among the Paeligni belonged to the confederate revolt against the tyrant city. Or Republic
and Monarchy the infant born on 20th March, 43 BC, Hirtius and Pansa being consuls, might have a
technical and tenuous claim to have seen the Republic.

252

Alessandro Barchiesi

guerra marsica13; Properzio ci appare legato alle sue origini umbre14, e quanto a Virgilio, semplicemente non sappiamo abbastanza delle sue ascendenze.
Poche aree del mondo potevano essere etnicamente miste e mobili quanto la
Cisalpina nel periodo sillano: e in ogni caso, per Virgilio come per altri, mi
sembra pericoloso dedurre meccanicamente dallidentit etnica regionale un
atteggiamento verso le guerre sociali del passato. Se pensiamo in generale
alllite romana, quella destinata a competere nelle guerre civili, la biografia
giovanile di tutti loro, e spesso linizio di carriera, segnata dalla guerra italica: lesperienza accomuna Sertorio e Lucullo, Silla e Cesare, Crasso e Pompeo. Una notizia di Plutarco, ovviamente inverificabile, ci pu servire come
suggestione. Ecco cosa si raccontava dellinfanzia di Catone il giovane, che
aveva 4 o 5 anni quando la guerra stava per scoppiare (Plut. Cato Min. 2):
Catone era ancora un ragazzo, e allora gli alleati dei Romani si battevano per il
diritto di cittadinanza. Un tale Pompedio Silone, uomo di guerra e di grande prestigio, fu ospitato dal suo amico Druso per diversi giorni, durante i quali entr
in confidenza con i ragazzi e disse loro: Via, pregate vostro zio di aiutarci a ottenere il diritto di cittadinanza!. Cepione sorrise in segno di assenso, ma Catone non rispose e rivolse agli stranieri uno sguardo duro e serio; allora Pompedio
gli chiese: E tu che dici, ragazzino? Non sei disposto a intervenire per gli ospiti
presso lo zio, come tuo fratello?. Catone non rispose, ma si cap dal suo silenzio
e dalla sua espressione che respingeva la preghiera; allora Pompedio lo sollev e
lo tenne sospeso fuori dalla finestra, e facendo finta volerlo lasciare, disse che, se
non li avesse aiutati, lavrebbe buttato gi; intanto lo teneva fuori e spesso anche
lo scuoteva. Ma Catone rimase in questa posizione a lungo, senza paura e senza
timore; perci Pompedio lo rimise gi e disse sottovoce agli amici: Che fortuna
per lItalia che sia ancora un ragazzo! Se fosse gi un uomo credo proprio che a
noi non rimarrebbe un solo voto tra il popolo.

Congediamoci dal piccolo Catone, che a quanto pare non riport danni evidenti dallepisodio o forse s. Laneddoto per noi lega insieme alcuni fili che
ci interessano: lites romane ed lites italiche a stretto contatto, negoziati febbrili, complotti e disordini, fino a unesplosione di violenza inimmaginata: e
tutto tramite gli occhi di un bambino romano e di un capo italico destinato alla
morte in battaglia. Per un attimo si intravede nel capo italico Pompedio Silone
la versione italica dellideale romano di libertas che sar lossessione di Catone.
13Cfr. J. Bodel, Chronologies and succession 2. Notes on some consular lists on stone, ZPE 105
(1995), p. 281 n. 9.
14Cfr. per esempio W.R. Johnson, Imaginary Romans, in S. Spence (ed.), Poets and critics read Vergil, New Haven - London 2001, pp. 3-16; quello di Johnson uno dei lavori pi vicini alla mia posizione
sullItalia virgiliana, e tiene conto esplicitamente di esperienze post-coloniali; molto pi tradizionale,
allineato con il nazionalismo europeo moderno, lapproccio di R. Jenkyns, Virgils experience, Oxford
1999 (comunque utile nella sua attenzione per la dimensione e i paesaggi italici).

Bellum Italicum: lunificazione dellItalia nellEneide

253

***
Questa atmosfera di violenza incombente e inspiegabile, questa lotta tra
vicini e alleati, aiuta a capire meglio alcuni aspetti dellEneide, e il particolare
legame che si instaura nel poema tra guerra e territorio italico. Il potenziale
guerresco dei popoli italici insieme la chiave del successo di Roma come
Virgilio aveva scritto nelle Georgiche e come i Greci sapevano da tempo e
contemporaneamente una minaccia incombente. Il simbolo e la sublimazione di questa caratteristica sono i popoli della montagna e dellentroterra. Sono questi appunto i popoli che Virgilio, contro qualsiasi tradizione antiquaria e mitologica, mobilita e fa marciare contro Enea nel trascurato catalogo
degli Italici che chiude il libro VII. Questa estensione del conflitto non ha
paralleli nelle fonti sulla leggenda di Enea. Enea in effetti dovrebbe lottare
al massimo con i popoli della costa laziale, latini, rutuli o etruschi che siano.
Si cercato di spiegare lescalation virgiliana parlando di amplificazione epica, di competizione con Omero o di interesse per le tradizioni italiche, ma
limpatto emotivo di questa strategia pi chiaro se si ripensa al trauma collettivo del bellum Italicum. Questo strano catalogo ci presenta i guerrieri in
movimento, non statici come in Omero: essi gi avanzano e scendono dalle
montagne, in direzione ostinata e contraria alla nascente civilt della campagna romana e della costa. Fra di loro non mancano i Marsi, il popolo eponimo della guerra che Virgilio ha dimenticato di citare: sono visti nella loro
versione pi remota e aliena, come incantatori di serpenti discesi da Medea
o dalla maga Circe. Il dinamismo degli Italici si accompagna a un notevole senso di anarchia e di confusione. divertente notare che questa poetica
delle antichit italiche sta cominciando a produrre le reazioni che forse Virgilio desiderava. Dopo generazioni di paziente ricerca antiquaria, il maggiore
esperto contemporaneo di questi problemi, Nicholas Horsfall, ha deciso di
togliersi qualche sassolino dalla scarpa. I tentativi di identificare le fonti antiquarie usate da Virgilio rivelano che Virgilio non un collega, ma piuttosto
un vandalo. Il catalogo abbonda di nomi fuori posto, di comandanti che non
appartengono ai loro popoli, di avventurieri vagabondi, di eroi che portano nomi di localit o fiumi slegati dalla localizzazione del loro contingente.
Non parliamo poi delle tracce di ordine alfabetico, che pure sono evidenti,
per quanto bizzarre, nel catalogo epico di Virgilio. Si tentato di usarle per
risalire a una fonte antiquaria in prosa, ma quale fonte, scrive giustamente
Horsfall15, avrebbe fatto uno sforzo sistematico per elencare alcuni eroi le-

15 Unfortunately, we have long known what that source was what sort of source would have
listed, in alphabetical sequence, heroes both from the Aeneas legend and from local foundation stories,
alongside with palpable inventions?; if he ordered them in alphabetical sequence it is not clear to

254

Alessandro Barchiesi

gati alla leggenda di Enea e mescolarli con alcune leggende locali scelte in
modo capriccioso, con vere e proprie invenzioni, e in modo che alcuni personaggi restino chiaramente fuori sede? Quale fonte se non Virgilio stesso,
che simula forse giocosamente di essere un antiquario repubblicano? Perci,
conclude Horsfall, nessun significato deve essere attribuito allimpressione
che ci sia una sequenza e un ordine alfabetico.
***
Io credo che la questione richieda un cambio di prospettiva. La confusione e la dislocazione tipica del catalogo degli Italici risponde a una logica duplice: segnala da un lato lantichit del racconto, dallaltro la natura instabile
e ingovernabile dellItalia preromana. Per il primo punto, basta confrontare
luso ricorrente che un importante contemporaneo dellEneide, Strabone, fa
dellepica di Omero. Omero per Strabone indispensabile, perch garantisce un passato incompatibile con il presente della geografia16: uno stato di
cose in cui nomi e popoli avevano unaltra distribuzione. Proprio perch
Virgilio vuole fare il lavoro di un nuovo Omero applicato allItalia, necessario che la sua geografia dei popoli e delle fondazioni italiche non sia assimilabile alla mappa del presente e neppure in un certo senso a quella del
passato: da qui le frequenti variazioni rispetto alle stesse fonti antiquarie in
prosa che ci sono note o ricostruibili. Non si tratta tanto di affermare i diritti
della poesia alla licenza poetica, ma di reclamare lindipendenza del passato
omerico rispetto al presente. Laltro punto pi importante per i nostri fini
attuali. Le tracce di ordine alfabetico servono a creare un conflitto con linstabilit tipica delle genti italiche nel catalogo: evocano i tentativi degli antiquari romani di mettere ordine sulla materia fluida dellItalia preromana, un
tentativo che ha ovvie implicazioni politiche. Infatti un ordine alfabetico il
meglio che si pu fare quando si opera sul passato italico, come fa Plinio a
proposito di popoli delle montagne che hanno identit ormai labile e incerta
(nat. III 12,106: Anaxatini Atinates Fucentes Lucenses Marruvini) in un testo che sembra confondere nomi ed attributi, riordinati in un fittizio ordine
alfabetico17. Lo sforzo di riordinare e controllare accompagna il tentativo
augusteo di ridefinire lItalia attraverso luso politico della geografia e del
censimento: forse allusivo, mi fa notare lamico Sergio Casali, che il catalogo virgiliano nel libro VII abbia undici segmenti, quando lItalia rifatta da
me that the observation is rich in significant consequences (N. Horsfall, Virgil, Aeneid Book VII,
Leiden 2000, p. 416).
16 Sul significato di Omero per Strabone v. per esempio K. Clarke, Between Geography and History,
Oxford 1999.
17 Questo il commento di C. Letta s.v. Marsi in S. Mariotti (ed.), Enciclopedia Oraziana, I, Roma
1996, p. 511.

Bellum Italicum: lunificazione dellItalia nellEneide

255

Augusto si componeva di undici unit amministrative. La marcia degli Italici


contro Enea riporta i lettori di Virgilio verso unItalia difficile da catalogare e
definire. La resistenza di questa Italia contro Enea fa tuttuno con la difficolt di descriverla e metterla in scena in un poema epico di tipo tradizionale. Il
poeta consapevole di questo quando gioca, intenzionalmente, con nomi di
localit e popoli che sembrano quasi irriducibili alla misura dellesametro o
dello stile poetico o addirittura del genere letterario: alcuni degli insorti nel
catalogo vengono da localit poco promettenti per un poema epico, quali
Fescennium e la palude di Satura (VII 695; 801). In questo senso il progetto
del poema converge con lideologia romana della creazione di una relativa
uniformit, attraverso imposizioni di lingua e cultura e cancellazioni di lingua e cultura; anche perch sin dallet augustea questo processo correva parallelo a un ambiguo processo di reinvenzione delle identit locali. Il poema
di Virgilio risponde a entrambe queste esigenze, perch da una parte salva e
trasmette o reinventa e immagina molte identit locali, ma dallaltro fornisce anche un mito di fondazione per la romanizzazione dellItalia.
***
Si pu osservare inoltre che Virgilio ha modificato e ricombinato tutte le
fonti a noi disponibili sulla guerra di Enea nel Lazio in modo da avere unopposizione tra due blocchi di alleanze: da una parte Turno con tutti i Latini e
con vari popoli italici, alcuni simboleggianti famosi momenti della resistenza
antiromana, quali Volsci, Sabini e Marsi; dallaltra Enea alleato degli Etruschi e dei Greci di Evandro. Nella confusa geopolitica del bellum Italicum,
fu proprio la solidariet o la non belligeranza di Etruschi e Magnogreci a
facilitare la riconquista dellItalia peninsulare da parte di Roma.
La dimensione e la natura del conflitto rievocano quindi non solo, come si
sempre sostenuto, la memoria recente delle guerre civili, ma anche la memoria della divisione fra Italici e Romani nel bellum sociale. Il ripensamento
della guerra sociale aggiunge da un lato ansiet nei confronti della guerra,
ma dallaltro insinua anche un fondamento di giustificazione storica. Una fra
le interpretazioni filoromane del bellum sociale lidea che la guerra abbia
finito per accelerare integrazione e unificazione tra i popoli italici. Si tratta
di uninterpretazione consolatoria, in assenza per noi di qualsiasi testimonianza diretta e autentica sulle intenzioni degli insorti e sul senso che avrebbero dovuto dare alla loro improvvisata coalizione italica. Ma Virgilio rende omaggio a questa idea quando rappresenta lo scoppio della guerra come
un fondersi insieme di genti che vanno a formare una sorta di embrionale
unit italica. Questo concetto anacronistico viene espresso in VII 43-44 in
modo interessante: totamque sub arma coactam Hesperiam. Il verbo cogere
appropriato per indicare una sorta di mobilitazione generale (cfr. Aen. VIII

256

Alessandro Barchiesi

7 sg.: undique cogunt auxilia), ma la sua costruzione pi naturale con ad


(cfr. XII 581: ad proelia cogi); luso di cogere sub invece normale se si parla
di ridurre un popolo sotto una dominazione (cfr. Sall. Iug. 18,12: sub imperium suum coegere). Insomma secondo Virgilio la guerra contro Enea un
fattore di unificazione che porter a un accresciuto controllo, la formazione
forzata di ununit italica: questo concetto convive, con una forte tensione
e contraddizione interna, con lidea che la guerra pur sempre il risultato
di unesplosione di forze demoniache. Insomma la tendenza profonda alla
guerra la forza, insieme storicamente necessaria ed esecrabile, che porta i
popoli italici verso forme di unificazione e quindi verso la dominazione romana. La dominazione romana insieme il risultato di questa spinta e la necessaria imposizione di un controllo e di un freno.
Che lItalia sia inseparabile dallidea di guerra, avrebbe dovuto essere
chiaro ai Troiani sin dalla prima visione che ne hanno:

humilemque videmus
Italiam. Italiam primus conclamat Achates,
Italiam laeto socii clamore salutant
quattuor hic, primum omen, equos in gramine uidi
tondentis campum late, candore niuali.
et pater Anchises bellum, o terra hospita, portas:
bello armantur equi, bellum haec armenta minantur.
sed tamen idem olim curru succedere sueti
quadripedes et frena iugo concordia ferre:
spes et pacis ait.

(III 522-524; 537-543)

I Troiani sono uniti e concordi nel salutarla, e il nome Italia ripetuto


per tre volte, ma poi Anchise ripete per ben tre volte la parola bellum nellinterpretare come omen lapparizione dei cavalli. vero che la sua interpretazione si conclude con le parole speranza di pace, ma dobbiamo fare attenzione al ragionamento che usa: i cavalli sono simbolo di guerra, ma quattro
cavalli aggiogati possono essere uniti in una pariglia concorde. Questa immagine promette pace e concordia dopo la guerra, e certamente i Romani non
fanno la guerra sulle quadrighe tirate da cavalli bianchi: ma occorre riflettere
sul fatto che a Roma il tipico contesto figurativo per la rappresentazione di
una quadriga il trionfo, la celebrazione di una vittoria sui nemici esterni di
Roma. LItalia quindi una terra di pace e guerra, in cui il trionfo romano
regola lalternanza tra pace e guerra.
Daltra parte Virgilio offre unaltra importante indicazione sulla vocazione
italica alla guerra: dopo lapparizione della furia del male Alletto che scatena la guerra italica contro Enea, ci viene rivelata una sorprendente visione

Bellum Italicum: lunificazione dellItalia nellEneide

257

geografica: la Furia ridiscende nellInferno, a cui appartiene, attraverso un


accesso diretto che collocato, dice Virgilio con enfasi, nel mezzo stesso dellItalia, nella valle di Ampsanctus:
Cocytique petit sedem supera ardua linquens.
est locus Italiae medio sub montibus altis,
nobilis et fama multis memoratus in oris,
Amsancti ualles; densis hunc frondibus atrum
urget utrimque latus nemoris, medioque fragosus
dat sonitum saxis et torto uertice torrens.
hic specus horrendum et saeui spiracula Ditis
monstrantur, ruptoque ingens Acheronte uorago
pestiferas aperit fauces, quis condita Erinys,
inuisum numen, terras caelumque leuabat.

(VII 562-571)

Questa rivelazione di un accesso diretto allinferno, luogo segnato da un


aspro paesaggio montano ed esalazioni venefiche, ci coglie di sorpresa. Nel
suo poema Virgilio ha gi provvisto lItalia di un proprio accesso diretto allOltretomba, in concorrenza e continuit con la tradizione greca: ma si tratta della civilizzata area sacra di Cuma, la pi antica colonia greca in Italia,
dove un regolare, ellenizzante culto di Apollo vigila sul passaggio. Ora invece, nel libro successivo del poema, veniamo a scoprire unItalia diversa, pi
selvaggia ed epicoria, meno grecizzata e civile. La scelta di Virgilio riguardo
alla valle di Ampsanctus dovrebbe essere misurata sul probabile modello enniano di questo episodio, discussione per cui non abbiamo tempo: basti dire
in breve che se Ennio, come congetturabile, aveva istituito un collegamento tra la Furia e il paesaggio italico, lo aveva fatto in una localit diversa. Ma
in effetti la scelta di Virgilio parla da sola. La valle di Ampsanctus ricorda ai
lettori romani un paesaggio interno e remoto che si identifica con la storia
della resistenza italica contro Roma: la gente italica che abita quel territorio,
e venera le pericolose esalazioni ctonie di Mephitis, sono i Samnites Hirpini
e il loro nome evoca una lotta senza quartiere, dalle memorie di Caudio e di
Aquilonia, sino alla guerra sociale e alle sue conseguenze: i Samnites Hirpini infatti, poco interessati alle nostre precise distinzioni tra guerra sociale e
guerre civili, furono gli unici a non deporre le armi dopo la guerra sociale, e
continuarono a combattere Silla fino allamaro finale di Porta Collina, tanti
anni dopo.
Le reazioni della critica virgiliana a questa rappresentazione dellItalia
come cuore di tenebra sono state variabili. Una polarit tuttavia sembra
essersi affermata. Da un lato gli Italici dellEneide sono stati visti come limmagine di una diversit ormai cancellata, unimmagine in cui permangono

258

Alessandro Barchiesi

nostalgia, idealizzazione e senso di colpa. Questa posizione alimenta una tendenza a lungo prevalente nella critica americana, e anche dal punto di vista
della cultura americana interessante che uno dei primi e migliori esponenti
di questa tendenza, Adam Parry, avesse esplicitamente paragonato gli Italici
di Virgilio agli Indiani come allora si diceva, in anni non ancora politicamente corretti: the formation of Romes empire involved the loss of the pristine purity of Italy; to Virgil, this people represented the original Italian
stock. His feelings for them had something in common with what Americans
have felt for the American Indian18.
Lanalogia interessante per una storia dei rapporti tra immaginario collettivo dellItalia e dellAmerica: il giovane figlio di Milman Parry scriveva
quel suo brillante articolo proprio negli anni in cui il cinema di Hollywood
mutava radicalmente la propria visione dei popoli nativi, tra gli ultimi capolavori di John Ford e film come Soldato Blu.
A questa visione romantica e sofferta dellItalia virgiliana si oppone
unaltra tendenza diffusa, quella che attribuisce a Virgilio una serena risoluzione dei conflitti fra Italia e Roma: nel poema si coglie lormai compiuta
integrazione che si vorrebbe attribuire allopera del regime augusteo. Anche questa tendenza, come la prima, mi sembra criticabile, e la prospettiva offerta dal testo di Virgilio pi complessa. La prospettiva di chi vede
nellEneide una compiuta risoluzione dei conflitti alimentata dallesperienza biografica tipica dei critici di poesia romana tipicamente, studiosi
del nord che sperimentano lItalia in idillici viaggi premio. (Sarebbe interessante a questo proposito una storia dellimmaginario italiano attraverso gli scritti dei filologi classici. Per schematizzare una certa evoluzione,
basterebbe confrontare gli scritti di letteratura latina di Eduard Fraenkel
con quelli di Nicholas Horsfall: lopera del primo, di circa cinquantanni or
sono, trasuda serenit e idealizzazione, fra paesaggi ameni, trattorie fuori
porta, e terrazze panoramiche di Via del Corso; nel nostro contemporaneo
Horsfall, autore di dottissimi commenti virgiliani, cominciano a insinuarsi, tra le maglie del commento, anche discariche abusive, vallate sfigurate
da superstrade o piste di motociclismo, e criminalit organizzata). Questa
tendenza alimentata inoltre da una visione totalizzante e idealizzata della
cultura augustea.
La prospettiva di Virgilio, concludendo, pi complessa e contraddittoria. I popoli italici nel poema sono visti e rivalutati nel loro potenziale contributo a Roma, ma anche nel loro terribile potenziale di resistenza e disordine.
Queste due concezioni si intrecciano e marciano di pari passo, come si po18A. Parry, The two voices of Vergils Aeneid, Arion 2 (1963), pp. 66-80 = P. Hardie (ed.), Virgil,
III, London - New York 1995, pp. 49-64 (da cui cito: le frasi nel testo sono a p. 51 sg.).

Bellum Italicum: lunificazione dellItalia nellEneide

259

trebbe mostrare ancora con analisi dettagliate. Soprattutto, questa contraddizione aiuta a spiegare meglio due momenti fondamentali nella conclusione
della trama: due momenti in cui Virgilio ha innovato con forza rispetto alla
tradizione letteraria e leggendaria. Il primo punto luccisione di Turno collocata come momento e immagine finale dellintero poema: nessunaltra opera antica, prosa o poesia, teatro o altro che sia, sembra essersi mai conclusa
con un atto di violenza a cui non segue n riconciliazione n espiazione.
inevitabile pensare che la morte di Turno guardi soprattutto al futuro, ai secoli di lotta che seguiranno: se non ci fosse, lEneide non potrebbe funzionare come eziologia della futura storia romana e italica. Il secondo punto
limportanza che viene data nel dodicesimo libro al racconto di un elaborato
e formale foedus tra la coalizione di Enea e quella di Latino. La cura con
cui il rituale viene descritto e limportanza della posta in gioco per il futuro sono tali, che ci prepariamo a vedere questo momento come una degna
conclusione dellopera. Dopotutto, proprio da questo episodio partiva Hannah Arendt per la sua celebrata contrapposizione tra lhumanitas di Virgilio
e quella di Omero: Virgils reversal of Homer is deliberate and complete
the end of the war is not triumph for the victor and utter destruction for
the vanquished but a new body politic both nations unconquered join
treaty under equal laws forever19. Perci legittimo notare che il foedus
rappresenta una sorta di passo avanti nella civilizzazione, e offre alla guerra
nel Lazio una conclusione ben diversa da quella della guerra di Troia, ed
anche probabile, sulla base dei frammenti rimasti e dei paralleli con opere
in prosa, che gli autorevoli predecessori Nevio ed Ennio avessero sanzionato
con un foedus i rapporti fra Enea e il re laziale: si tratta niente di meno che
del patto da cui provengono le origini di Roma. Ma importante allora precisare che il foedus di Virgilio raccontato come la storia di un fallimento.
Se si fosse realizzato, invece di trasformarsi in una guerra senza quartiere,
quel lontano esempio avrebbe inaugurato la storia di Roma sulla base di un
foedus aequum fra due popoli parificati20 esattamente ci che la storia di
Roma non proporr mai. ben nota la propensione dei Romani a rappresentare antichi foedera come simboli della loro identit collettiva, soprattutto
attraverso la monetazione, e anche lo scudo di Enea, che per certi versi una
gigantesca moneta romana, d spazio a questo tipo di immagine. Questa tradizione spiega la mia scelta di concludere questa relazione con una moneta,
una moneta della confederazione antiromana di Italica / Corfinium (intorno

19

H. Arendt, The life of the mind, San Diego - New York - London 1978, p. 204.
lespressione foedus aequum in senso pi o meno evocativo, senza pretendere di applicare alla
finzione virgiliana una terminologia esatta e rigorosa che forse neppure esisteva.
20Uso

260

Alessandro Barchiesi

al 90 a.C.: Sydenham 621)21. penoso per noi dover confessare che non abbiamo alcuna idea sullideologia politica che sta dietro a questo oggetto, e
sulle reali intenzioni e strategie dei confederati italici. Una cosa sembra certa:
questa immagine di sacrificio e di giuramento paritario ha un messaggio di
unit italica, e questa unit italica fa appello, in modo che a noi appare abbastanza ironico, ai moduli ormai tradizionali della propaganda romana. Laltra
faccia della moneta infatti ci presenta unimmagine dellItalia che ricalcata,
in funzione antagonista ma anche con una certa subalternit culturale, sulle immagini romane di Roma. Quanto alla nostra immagine, il giuramento,
il patto, e il sacrificio contro Roma ci rimandano esattamente alle immagini di foedera tra Romani e Italici che caratterizzano la monetazione romana.
Potremmo limitarci a dire che gli insorti rivolgono contro i Romani la loro
stessa propaganda, ma la realt dellItalia antica, come Virgilio stesso sapeva,
pi intricata e osmotica, e il problema dellidentit quello di un bisogno
di distinzione dentro una storia millenaria di intrecci e scambi. Secondo i
Romani stessi infatti, almeno se si guarda alla tarda repubblica e allet augustea, il sacrificio che sanziona guerre e trattati, e il relativo ius fetiale, un
contributo degli Italici a Roma, una tradizione che precede Roma e fu portata a Roma dalle montagne. Cos i neo-Italici di Corfinio, mentre sperimentano la loro unit italica antiromana, hanno una scelta gi segnata da subalternit: o rivolgere contro Roma i simboli della loro appartenenza allapparato
militare romano, o rivendicare una sorta di cultura italica pre-romana, salvo
che questa Ur-Italia ormai sottoposta a un monopolio culturale romano, e
viene reinventata come anticipazione e contesto per la crescita di Roma.
LEneide appunto il poema che d forma narrativa a queste contraddizioni e tensioni: il suo significato non quello di rappresentare un processo
ormai concluso, lItalia unificata dai Romani sotto Augusto, ma quello di
essere parte attiva in un processo di trasformazione che per i primi lettori
del poema ancora in corso. Se siamo interessati alla storia delle identit
italiche, dobbiamo studiare lEneide come un testo che sa esacerbare e sa lenire le tensioni generate dal processo di romanizzazione: sappiamo del resto
che in questa capacit di influire sui processi di acculturazione, entrando in
osmosi con grandi cambiamenti sociali, sta una delle grandi risorse, e una
chiave di successo, per quella che chiamiamo letteratura.

21 Sui problemi di interpretazione v. A. Valvo, Fides, foedus, Iovem Lapidem iurare, in M. Sordi
(ed.), Autocoscienza e rappresentazione dei popoli nellantichit [Contributi dellIstituto di Storia Antica. 18], Milano 1992, pp. 115-125; L. Cappelletti, Il giuramento degli Italici sulle monete del 90 a.C.,
ZPE 127 (1999), pp. 85-92.

Cosmopolitismo antico
Luciano Canfora

1. Cosmopoli e impero
Al principio del De cive Thomas Hobbes colloca un eroe italico antiromano, Ponzio Telesino. Dopo aver ricordato che Catone il Censore (secondo
Plutarco) definiva belve feroci tutti i re, chiunque essi fossero, commenta:
Una ben maggiore belva era lo stesso popolo romano, che aveva depredato tutto il mondo per mezzo dei suoi generali, denominati Africani, Asiatici,
Macedonici, Acaici e di tutti gli altri che avevano ricevuto un soprannome
dalle genti che avevano spogliato!. Ed a questo punto che ricorda il duro
atto daccusa di Ponzio Telesino, alla vigilia della battaglia di Porta Collina combattuta senza successo contro Silla, quando Ponzio, passando in rassegna le sue truppe, gridava che doveva essere diroccata e distrutta Roma
stessa, e che non sarebbero mai scomparsi i lupi che privavano gli italici
della loro libert, se non fosse stata abbattuta la selva in cui trovavano rifugio.
Gli italici erano stati schiacciati da Roma con una guerra di conquista durata secoli, cui solo la meteorica apparizione di Annibale sul suolo italiano,
verso la fine del III secolo a.C., aveva imposto un temporaneo arresto.
Nel 1925 il maggiore studioso allora vivente di antichit classica, Ulrich
von Wilamowitz-Moellendorff, fu a Firenze nel quadro della settimana tedesca: un segno di riconciliazione culturale dopo la tremenda guerra che
aveva contrapposto Italia e Germania fino a pochissimi anni prima. E pronunci un saggio, intitolato Storia italica, che nulla concedeva alla retorica
del nostro nazionalismo. Pur conoscendo le fisime del suo uditorio, Wilamowitz disse serenamente: La storia dItalia ha un contenuto pi ricco. Un
tempo tutte le sue stirpi ebbero la loro propria vita e una civilt propria,
che Roma ha distrutto, compresa la grecit della Sicilia. E soggiungeva che
lultimo sussulto, lultima lotta per la loro vita etnica, gli italici lavevano
tentata con la guerra sociale, di cui la vittoria feroce di Silla era stata in certo
senso lultimo atto.
Quindici anni pi tardi, nel 1940, Simone Weil allora giovanissima
pubblicava un saggio memorabile, La politica estera di Roma e la politica

262

Luciano Canfora

di Hitler, in cui, al di l del parallelo che istituisce sin dal titolo, fa una considerazione per molti versi simile a quella del grande filologo tedesco, ma riferita al mondo gallico. Segnala infatti, e con molta efficacia, che la cosiddetta
romanizzazione della Gallia fu in realt oltre che un genocidio in termini
di vite umane lestirpazione di una civilt: di una civilt che non parla pi a
noi per la semplice ragione che stata cancellata.
Nel considerare lunificazione romana del mondo mediterraneo e celticodanubiano, gli storici sono di fronte a un bivio: o compiacersi di quel sanguinoso processo storico guardando agli effetti (tale fu gi latteggiamento
di una parte delle lites greche, le quali conseguirono un ruolo di condominio diseguale del mondo romanizzato) oppure porre in luce i costi non solo
umani ma di civilt che quel processo di unificazione ha determinato.
Non fu per univoco latteggiamento delle lites greche. Da questo punto
di vista, merita di essere osservato lesito divaricato cui approdarono esponenti della corrente di pensiero forse pi influente nel periodo di massima
fioritura del mondo greco-romano: lo stoicismo. Come si sa, tale corrente di
pensiero recava dentro di s un potente presupposto ideale che andava in direzione dellunificazione del genere umano entro una cornice organicistica e
provvidenziale, e cio lidea della Cosmopoli. E tuttavia tale visione poteva
approdare a due esiti opposti: quello di Panezio e di Posidonio, cantori (il
termine irriverente, ma il concetto non erroneo) del predominio universale romano, e quello di Blossio di Cuma (non a caso un italico) che dopo
aver ispirato le riforme sociali di Tiberio Gracco, and a combattere, e a morire, al fianco degli schiavi del regno di Pergamo, ribelli al passaggio del loro
paese sotto il dominio di Roma, stabilito in virt del testamento del loro
ultimo sovrano.

2. Stoicismo e cosmopolitismo
Il carattere universale, sia pure sui generis, della sua opera impegna Diodoro in un ampio proemio nettamente diviso in due parti una pi propriamente filosofica (I 1,1-2,8) e laltra storiografica (I 3,1-5,3).
Il concetto centrale della prefazione filosofica quello della corrispondenza profonda tra storiografia di respiro universale (koinai; iJstorivai) e
unit del genere umano. Lunit del genere umano, la visione anti-individualistica dellumanit-organismo, uno dei cardini del pensiero stoico: membra sumus magni corporis una celebre formula di Seneca che fedelmente
rispecchia pensieri di Zenone e Crisippo , natura nos cognatos edidit (epist.
95,52). Con terminologia rigorosamente stoica Diodoro esordisce appunto
osservando che, con la loro opera unificatrice, gli autori di storie universali operano in coerenza con la provvidenza divina (altro cardine della fi-

Cosmopolitismo antico

263

losofia stoica) in quanto promuovono quella unificazione sotto un unico


ordinamento (uJpo; mivan kai; th;n aujth;n suvntaxin) dellintera umanit, dispersa e suddivisa bens nello spazio e nel tempo ma partecipe di un
unico vincolo di reciproca cognazione (metevconta~ th`~ pro;~ ajllhvlou~
suggeneiva~: natura nos cognatos edidit). Gli storici sono dunque assistenti
(uJpourgoiv) della provvidenza.
Non vi in questo proemio soltanto la esplicita adozione di concettibase dello stoicismo ma anche lo sforzo originale di motivare da un punto
di vista stoico limportanza della storiografia universalistica ed il suo contributo alle idealit proprie dello stoicismo. Gli autori di storie universali sono dunque, per cos dire, i cronisti della Cosmopoli: serbano memoria dei
fatti di tutta lumanit di tutto il mondo abitato come se fossero di ununica citt (kaqavper mia`~ povlew~). La loro funzione, rispetto alla provvidenza subalterna ma preziosa. La provvidenza conduce, secondo un
moto circolare che dura in eterno, verso la comune analogia (I 1,3: eij~
koinh;n ajnalogivan) le singole nature degli esseri umani ed il moto cosmico
degli astri visibili, ed assegna cos, a ciascuno, quanto a ciascuno predestinato. Gli storici universalistici, appunto in quanto cronisti della cosmopoli, subentrano a posteriori: registrano e prendono atto, come in un unico
luogo di bilancio (koino;n crhmatisthvrion) delleffettivo realizzarsi (tw`n
suntetelesmevnwn) di quanto la provvidenza infaticabile ha via via predestinato. Luogo di bilancio, unico computo (e{na lovgon) sono i termini
che probabilmente hanno messo fuori strada Eusebio l dove parla di unum
idemque emporium nel quale Diodoro avrebbe concentrato le varie biblioteche compulsate. Sono termini che ben si comprendono alla luce della credenza storica nel nesso fra movimento degli astri e vicende umane e della
conseguente fiducia in un sapere astrologico: quella analogia appunto tra
moto celeste degli astri visibili e natura dei singoli il cui nesso, il cui raccordo, governato ovviamente dalla provvidenza, ci che a ciascuno destinato, la eiJmarmevnh.
ben noto il crescente prestigio di cui questo tipo di vedute ha goduto
nel pensiero greco soprattutto in epoca ellenistica. Una premessa era invero
gi nella concezione aristotelica relativa al primo movimento della sfera delle
stelle fisse, che, appunto in virt di tale movimento, esercita il suo influsso
su quanto accade in terra. Ma la mescolanza del mondo greco con quello
orientale soprattutto iranico ed egizio caratteristica dellEllenismo diede
alla diffusione e alla amplificazione di tali vedute limpulso decisivo. Beroso
di Babilonia fond a Cos una scuola per astrologi intorno al 280 a.C. (Vitr.
IX 6,2). Ovviamente era il pensiero stoico, ruotante intorno al cardine della
provvidenza e della interrelazione cosmica, il pi ricettivo nei confronti di
questa nuova scienza. La provvidenza attribuisce in partenza a ciascuno,

264

Luciano Canfora

in ragione della specifica symptheia con gli astri, la sorte spettantegli (th;n
eiJmarmevnhn). Gli storici perci questo il concetto che Diodoro sviluppa
al principio del suo proemio con le loro registrazioni di eventi (tanto pi
ampie quanto pi ampio il loro proposito) rendono possibile il bilancio
(lovgon) di ci che si compiuto (tw`n suntetelesmevnwn).
soprattutto a Posidonio il filosofo e storico di et sillana, ampiamente
utilizzato da Diodoro che si deve uno speciale sviluppo in questo ambito.
Il cosmo nella sua visione un organismo vivente che, attraverso il legame (suvndesmo~) di ciascuna parte con ogni altra (legame consistente appunto nella reciproca sumpavqeia), si rivela come un insieme sconfinato di
rapporti reciproci. Posidonio accentua limportanza in questo quadro dinsieme del concetto di causalit. Un aspetto della symptheia , per lui, che
i singoli fenomeni ne preannunciano altri, di pi vasta portata: ed questo
il genere di causalit che consente la previsione, di cui prezioso strumento
la mantica. Sembra perci legittimo pensare che la complessiva ispirazione
stoicheggiante di Diodoro abbia proprio in Posidonio, ed in particolare nelle
riflessioni che Posidonio avr dedicato, nella prefazione della sua opera di
storia, al fondamento filosofico della storiografia, la fonte principale di ispirazione. Uno dei concetti pi nuovi, rispetto al ricco e ben rappresentato genere del proemio storiografico, infatti, nella prefazione diodorea, lidea che
la storiografia oltre ad essere benefattrice del genere umano e portatrice della verit sia anche la madrepatria (mhtrovpoli~) della filosofia,
anzi della filosofia in ogni sua parte (I 2,2: th`~ o{lh~ filosofiva~). Qui
c lidea del carattere intimamente, e alla radice, filosofico dellattivit storiografica, che sar stato uno dei concetti sviluppati da Posidonio nella sua
prefazione. Posidonio forse il solo grande filosofo dellantichit che si sia
impegnato in unopera storiografica di grande respiro (52 libri libri di Continuazione a Polibio) ed pi che probabile che abbia ampiamente spiegato le
ragioni della sua scelta di impegnarsi cos a fondo in unattivit cos lontana
rispetto a quelle tradizionalmente stimate proprie del filosofo.
La dipendenza da tale praefatio posidoniana (con tutte le ingenuit e banalizzazioni che si dovranno imputare a Diodoro) potrebbe contribuire a
meglio spiegare la rilevante presenza, in questa prima parte del proemio diodoreo, di concetti e di terminologia caratteristicamente filosofici: come ad
esempio linsistente uso di ajnavlhyi~ (I 1,4; 4,3; 4,8) per dire acquisizione di conoscenza, ovvero la compiaciuta serie di polarit, con cui questa
parte del proemio si conclude, (parte / tutto; continuo / frammentato
ecc.). La stessa espressione o{lh filosofiva, la filosofia in ogni sua parte,
con riferimento ai vari mevrh, alle varie parti (etica, logica ecc.) di cui essa
si compone rientra in questo livello espressivo, per Diodoro davvero insolito. Va rilevata in questo senso anche la ricca serie di metafore miranti alla

Cosmopolitismo antico

265

esaltazione della storiografia, definita, volta a volta, benefattrice del genere


umano, portavoce di verit, madrepatria della filosofia (I 2,2); essa ha
come guardiano il tempo, ed diversa in ci da ogni altro monumento,
per quanto fatto di materia solida e apparentemente indistruttibile ma fatalmente destinato a soccombere nel tempo (I 2,5); le virt che le si debbono
riconoscere sono innumerevoli: n solo le solite, pi o meno moralistiche, legate al mondo della politica (I 1,5: rende i privati degni di governare, rende migliori i governanti perch fa balenare loro la possibilit di un ricordo
immortale, distoglie i malvagi dal male con lo spauracchio di rendere eterna
la loro infamia ecc.), ma anche virt assai meno usuali, come quella di incrementare le escogitazioni scientifiche o la creativit dei legislatori (I 2,1).
Nel definire il merito grandissimo che ha la storiografia come rimedio alla pochezza delle esistenze individuali, Diodoro si spinge anche a formulare
un ben singolare concetto: che cio un segno della debolezza della natura
umana sarebbe il fatto che si muoia, o meglio, che si viva per un tempuscolo infinitesimo (ajkariai`ovn ti mevro~ tou` panto;~ aijw`no~) e che invece si
muoia, si resti nella condizione di morti, per un tempo eterno. Non si pu
non pensare, di fronte a questa formulazione della debolezza della fuvsi~,
alla visione posidoniana (dissonante in ci rispetto allo stoicismo ortodosso),
non totalmente paga della natura e del precetto esortante a vivere in conformit con essa (oJmologoumevnw~ th/` fuvsei zh`n), ma al contrario esaltante il
logos: la natura non , per Posidonio, senzaltro il bene; , piuttosto, con il
logos, vero organo del contatto spirituale, che si deve essere in coerenza.
Tutto questo induce a pensare che anche la lunga teorizzazione diodorea
sul lovgo~ che figura a conclusione del proemio filosofico dovr farsi risalire a questa matrice. Per Diodoro, dunque, la storiografia giova massimamente allefficacia del logos. Nulla prosegue vi pu essere di pi bello
del logos: il segno della superiorit dei Greci sui barbari, dei coltivati sui
selvatici, il veicolo che consente al singolo di avere la meglio su coloro che
numericamente lo soverchiano. Anche il logos si articola in molte parti
(mevrh): di tutte la storiografia quella pi alta. La poesia, infatti, diletta pi
che giovare, lattivit legislativa (nomothesa: notevole la sua inserzione
nellambito del logos) solo punitiva, non anche istruttiva; tutti gli altri
tipi di logos o non giovano alla felicit o recano mescolati danno e vantaggio
o si ingannano sulla verit; solo nella storiografia vi una corrispondenza
perfetta (sumfwnei`n) tra fatti e parole. Nel che si pu cogliere una replica
alla teorizzazione aristotelica, quale si legge nella Poetica, secondo cui la superiorit della poesia sulla storiografia nel fatto che la poesia evoca e descrive il possibile mentre la storia si limita alleffettivamente accaduto.

Roma, Etruschi e Italici nel secolo senza Roma


Giulio Firpo

Com noto, a pi riprese Arnaldo Momigliano ha definito il Settecento


italiano come il secolo senza Roma. Questo giudizio ampiamente condivisibile e costituisce una solida cornice metodologica per lapproccio alla
storiografia settecentesca sul mondo antico, anche se, naturalmente, Roma
non fu totalmente assente o rifiutata, e se allorigine dellesclusione o della
condanna nei suoi confronti sono individuabili motivazioni diverse (anche di
metodo), posizioni particolari e accenti pi o meno marcati.
ormai storiograficamente acquisito e ampiamente studiato il progressivo venir meno della lettura tradizionale e canonica della storia romana
rielaborata in et tardoumanistica e rinascimentale (si pensi al Machiavel* Nel redigere questo lavoro sono stato facilitato dalla pubblicazione, in anni recenti, di una cospicua serie di articoli, citati in corso dopera, che testimoniano un notevole ritorno dinteresse per la storiografia sette-ottocentesca su Roma antica, probabilmente anche per il suo crescente legame con temi
dattualit. Ho il privilegio di averne partecipato, in qualche misura, con saggi su Melchiorre Delfico, su
Pietro Giannone e sulla riproposizione di modelli romani nelle costituzioni postcoloniali latinoamericane del primo trentennio del XIX secolo, soprattutto per le idee e le indicazioni di cui mi stato davvero
prodigo nel corso dei varii lavori, compreso questo, il prof. Emilio Gabba, che ringrazio di cuore.
A. Momigliano, La nuova storia romana di G.B. Vico, in Id. Sesto Contributo alla storia degli studi
classici e del mondo antico, I, Roma 1980, pp. 191-210 [= Rivista Storica Italiana 77 (1965), pp. 773790], qui a p. 193: il sec. XVIII il vero secolo senza Roma della cultura italiana; Id., Studi classici per
un paese classico. Il caso dellItalia nel XIX e nel XX secolo, Atene e Roma n.s. 31 (1986), pp. 115-132,
qui a p. 119.
Cfr. E. Gabba, Considerazioni su taluni problemi di storia romana nella storiografia italiana dellOttocento, in Lo studio storico del mondo antico nella cultura italiana dellOttocento (Incontri Perugini di
storia della storiografia antica e sul mondo antico, III, Acquasparta 30 maggio - 1 giugno 1988), ed. L.
Polverini, Napoli 1993, pp. 405-443, p. 410 [poi riprodotto in Id., Cultura classica e storiografia moderna, Bologna 1995, pp. 99-139].
Cos, ad esempio, in Giovanbattista Vico (su cui vd. infra), in Pietro Giannone (su cui vd. G. Firpo,
LItalia romana nell Istoria civile del Regno di Napoli di Pietro Giannone, Rivista Storica Italiana 117,
2005, pp. 423-447), in Scipione Maffei e in genere nella tradizione storiografica veneta o di cultura veneta
(su cui vd. G. Bandelli, Scipione Maffei e la storia antica, in Scipione Maffei nellEuropa del Settecento.
Atti del Convegno, Verona 23-25 settembre 1996, Verona 1998, pp. 3-25, spec. pp. 12-13), nel cui mbito
si possono ricordare il Saggio sopra i Veneti primi, Venezia 1781, e le Memorie storiche de Veneti primi
e secondi, I-VIII, Venezia 1796-1798, del conte Iacopo Filiasi (su cui vd. P. Preto, s.v. Filiasi, Iacopo, in
Dizionario Biografico degli Italiani, XLVII, Roma 1997, pp. 643-646).

268

Giulio Firpo

li), percepita e giudicata inadeguata alla comprensione delle dinamiche del


momento attuale, caratterizzato dalla grande frammentazione letteraria, politica e geografica dellItalia, avvertita come ineludibile e ampiamente accettata: gi nel secondo Seicento lesaltazione dellItalia romana e rinascimentale
aveva progressivamente ceduto il passo a interessi regionali e municipali;
veniva quindi sempre pi naturale sottolineare, con maggiore o minor forza,
i valori della divisione politica dellItalia preromana, travolti e normalizzati
dalloppressione della potenza egemone e in buona misura tornati a rivivere
nei comuni medievali, specie quelli pi antichi (XI secolo), considerati dal
Muratori in avanti allorigine dellItalia moderna. Questa tendenza trov
man mano alimento nel progressivo estendersi del gi avviato dibattito sullidea del piccolo stato (soprattutto repubblicano) contrapposto alle grandi
monarchie assolute quale ambito massimamente favorevole allo sviluppo e
alla valorizzazione dei principii di libert e di progresso. Cos, tutte le popolazioni pre- e periromane vennero poste al centro dellattenzione per ricostruire, spiegare ed esaltare le tradizioni regionali e le storie municipali.
In tale contesto sinseriscono, com stato opportunamente sottolineato, le
scoperte e gli scavi archeologici in siti su suolo non romano (Paestum, 1752)
o sul confine tra mondo romano e non romano (Ercolano, 1738; Pompei,
1748; Velleia, 1761; ecc.).
1. Il secolo sera aperto con la pubblicazione del De antiquissima Italorum
sapientia e latinae linguae originibus eruenda di Giambattista Vico (1710),
che riproponeva il mito, gi diffuso anteriormente, di unantichissima sapienza filosofica italica di matrice pitagorica esistita, prima di perdersi, in Italia e
 Momigliano, Studi, p. 119; Id., La nuova, p. 191 ss., che fa anche notare come al declino
dellidea di Roma classica nel XVIII secolo corrispondesse quello dellattrattiva della Chiesa romana,
individuabile nellinflusso del giansenismo al Nord e nel nuovo interesse per lautonomia delle diocesi
metropolitane.
 E. Nuzzo, La tradizione filosofica meridionale, in Storia del Mezzogiorno, edd. G. Galasso - R.
Romeo, X.3, Roma 1994-1995, pp. 19-127, qui a p. 26 s. e nt. 2 a p. 91.
 G. Galasso, LItalia come problema storiografico, Introduzione a Storia dItalia (UTET), Torino
1979, p. 153, e ivi citazione di B. Croce, Storia dellet barocca in Italia, Bari 19533, p. 136; Nuzzo, La
tradizione, p. 27.
 Gabba, Considerazioni, pp. 410, 412.
Su questo dibattito vd. W. Kaegi, Meditazioni storiche, trad. it. Bari 1960; M. Bazzoli, Il piccolo
Stato nellet moderna. Studi su un concetto della politica internazionale tra XVI e XVIII secolo, Milano
1990; J.-M. Goulemot, Sul repubblicanesimo e sullidea repubblicana nel XVIII secolo, in Lidea di repubblica nellEuropa moderna, edd. F. Furet - M. Ozouf, Bari 1993, pp. 5-43; Polis e piccolo Stato tra riflessione antica e pensiero moderno. Atti delle Giornate di Studio, Firenze 21-22 febbraio 1997, edd. E. Gabba
- A. Schiavone, Como 1999, ove, in particolare, cfr. G. Giarrizzo, Il piccolo Stato nella storia moderna,
pp. 67-75, e M. Bazzoli, Piccolo Stato e teoria dellordine internazionale nellet moderna, pp. 76-93.
 Momigliano, locc. cit.; Gabba, Considerazioni, p. 410.

Roma, Etruschi e Italici nel secolo senza Roma

269

in particolare in Magna Grecia10, e rintracciabile negli etimi latini arcaici, che


Vico indagava sul modello del Cratilo platonico, un testo tradotto e molto
studiato in et umanistica e nel Rinascimento11. In realt, il De antiquissima
era il primo libro, il liber metaphysicus, di una trilogia anticartesiana rimasta
incompiuta12, e il tema della sapienza italica vi era affrontato solo nel proemio, ove si indicavano nelle civilt magnogreca ed etrusca gli ambiti di provenienza delle parole latine dotte (posto che, fino allet di Pirro, i Romani
serano dedicati solo allagricoltura e alla guerra). Vico torn sullargomento, in modo pi articolato, nella Seconda risposta, del 1712, a una recensione critica di Bernardo Trevisano pubblicata nel Giornale dei letterati dItalia, ove sosteneva che gli Egizi, allorch signoreggiavano nel Mediterraneo,
avrebbero trasmesso agli Etruschi la loro sapienza iniziatica, la cui testimonianza pi concreta e visibile sarebbe appunto stata nellarchitettura toscana; a loro volta, gli Etruschi avrebbero trasmesso questa sapienza, insieme
alla lingua, al Lazio e poi al meridione dItalia ben prima dellarrivo dei Greci. Qui i pitagorici, pur essendo greci, avevano tratto la loro sapienza da lettere molto pi antiche delle greche. Egizi, insomma, sarebbero lorigine e il
contenuto metafisici degli etimi latini arcaici e dei pochi e oscurissimi dogmi di Pitagora. Nella sua produzione successiva, in verit, Vico torn solo
cursoriamente sullargomento, sostanzialmente abbandonandolo13, n la sua
ipotesi di lavoro venne riproposta, a breve-medio termine, da alcuno (mentre, mutatis mutandis, sarebbe stata ripresa in et napoleonica, e adattata alla
nuova situazione politica, da Vincenzo Cuoco: vd. infra). Non sfuggono tuttavia due importanti aspetti di questopera, le cui conseguenze si sarebbero
avvertite a distanza di vari decenni: anzitutto, la celebrazione dotta della gloria della nazione italiana14; in secondo luogo, il fatto di considerare la storia
e la civilt romane non pi come il termine unico idealizzato di riferimen10 B. Croce, Storia della storiografia italiana nel secolo XIX, Bari 19302, p. 52 s. Vd. ora P. Casini,
Lantica sapienza italica. Cronistoria di un mito, Bologna 1998, p. 35 ss.
11 Casini, Lantica, pp. 55, 185 ss.
12 Casini, Lantica, p. 183.
13Nella Sinopsi del diritto universale (1721), nellAutobiografia (1725) e nelle tre redazioni della
Scienza Nuova (1725, 1730, 1744): Casini, Lantica, p. 184 e nt. 123, 195.
14 Nuzzo, La tradizione, p. 28; cfr. Casini, Lantica, p. 195: Insistendo sullesclusiva influenza
degli Etruschi, sulla priorit nel tempo e sullautonomia dottrinale dei pitagorici rispetto alla filosofia
greca, mostrava di condividere la pietas patriottica diffusa nella penisola. E il suo grande amico e interlocutore di quegli anni, Paolo Mattia Doria, chiosava: Glitaliani son corsi a guisa di pecore a seguire
le scienze degli inglesi, n hanno mai avuto il coraggio di ricorrere allantica italica sapienza ch quella
di Pitagora e di Platone seguace della scienza pitagorica e poco men che commentator di Pitagora, colla
quale avrebbero potuto dimostrare false tuttad un tempo le scienze francesi, e le inglesi, e si sarebbe
altres in virt di quellantica sapienza rinnovellata nellanimo deglitaliani quellantica ed eroica virt de
Romani (ibid., p. 183 nt. 118).

270

Giulio Firpo

to, ma solo come uno dei momenti della storia della civilt: una prospettiva
qui solo abbozzata, che sar in seguito approfondita e ampliata nella Scienza
Nuova15.
Il mito della sapienza italica ebbe invece parte non irrilevante nella cosiddetta etruscheria. Lesaltazione della civilt etrusca era sorta invero assai
per tempo, per la centralit dellEtruria nella storia romana dellet regia
(ma non solo) e per la storia delle sue libere citt. In et umanistica si leg
allesaltazione di Firenze repubblicana16, poi alla celebrazione della dinastia
medicea di Cosimo I17. Alla medesima esigenza rispondeva il De Etruria regali di Thomas Dempster, composto tra il 1616 e il 1619 su commissione di
Cosimo II, ma pubblicato poco pi che un secolo dopo, nel 1726, a cura e
con unappendice di Filippo Buonarroti; si tratt dellestremo supporto prestato allansimante signoria degli ultimi anni di Cosimo III e di Giangastone.
significativo che lopera del Dempster (in cui, fra laltro, vennero pubblicate per la prima volta le Tavole di Gubbio) si caratterizzi per laffermazione
della continuit tra il passato etrusco e il presente granducale, specie nelle
sezioni riservate alle citt della Toscana, assai pi di quanto non si fosse verificato, ad esempio, nellopera del Postel di un secolo prima (1551)18. Com
noto, questa pubblicazione ebbe un importante ruolo di incentivazione sul
piano della storia della cultura, e in particolare dellarcheologia e dellantiquaria19: ad essa si fa infatti convenzionalmente risalire linizio delletruscheria (lopera del Buonarroti fu come la prima tromba, dalla quale furono
eccitati diversi ingegni, dir nel 1738 Scipione Maffei20), cio il complesso
15 B. Croce, Aneddoti di varia letteratura, Bari 19532, p. 244: Nella Scienza nuova abbass Roma a
una fase delleterno corso e ricorso, le tolse con lunicit lindividualit e, fra le tante altre Rome apparse
nella storia o che sarebbero apparse nellavvenire, scorgeva ai suoi tempi i lineamenti Romani nellestremo oriente, nel Giappone. Pare dunque abbastanza ingeneroso il lamento di Francesco De Sanctis:
LEuropa aveva Newton e Leibniz, e a Napoli si stampava il De antiquissima italorum sapientia di Vico!
(Casini, Lantica, p. 258). Sulla storia romana in Vico vd. S. Mazzarino, Vico, lannalistica e il diritto,
Napoli 1971; M. Raskolnikoff, Vico, lhistoire romaine et les rudits franais des Lumires, Mlanges de
lcole Franaise de Rome. Moyen Age - Temps Modernes 96 (1984), pp. 1051-1077.
16 Giovanni Villani, Coluccio Salutati, e soprattutto Leonardo Bruni, Laudatio florentinae urbis e
Oratio in funere Johannis Strozze: G. Cipriani, Il mito etrusco nel Rinascimento fiorentino, Firenze 1980,
p. 1 ss.; C. Vasoli, La tradizione repubblicana umanistica fiorentina, Atti e Memorie dellAccademia
Petrarca di Arezzo n.s. 67-68 (2005-2006), pp. 231-252.
17 Pierfrancesco Giambullari e Guillaume Postel: Cipriani, Il mito, p. 71 ss.; Casini, Lantica,
p. 201 ss.; Vasoli, La tradizione; Id., Postel e il mito dellEtruria, in Id., La cultura delle corti, Bologna
1980, pp. 190-218.
18M. Cristofani, La scoperta degli Etruschi. Archeologia e antiquaria nel 700, Roma 1983, p. 23.
19 Cristofani, La scoperta, p. 9.
20Nel 1738: citato in G. Camporeale, Dalletruscheria alletruscologia. Appunti per un problema, in
Chiusi Siena Palermo. Etruschi. La collezione Bonci Casuccini, Catalogo della Mostra (Siena - Chiusi 21
aprile - 4 novembre 2007), pp. 25-38, p. 28.

Roma, Etruschi e Italici nel secolo senza Roma

271

delle ipotesi e delle discussioni che per alcuni decenni, a ritmi serrati, agitarono gli eruditi antiquari intorno allorigine e alla lingua degli Etruschi, a cui
vennero associati anche i popoli italico-pelasgi. In questa produzione, a vario
titolo (linguistico, etnografico, storico-religioso, etimologico, ecc.) e in diversa mistura fanno la loro comparsa Egizi, Lid, Fenici, Ebrei, Aramei, Samaritani, Cananei, Pelasgi, Etruschi, Italici, Greci dellEllade e Greci dItalia e di
Sicilia, secondo una tendenza gi presente in et umanistica e rinascimentale21; allinteresse per gli Etruschi si affianca e si unisce spesso quello dellantica sapienza italica di origine pitagorica, grazie soprattutto alla mediazione
della tradizione sulle origini tirrene di Pitagora22.
Letruscheria avr avuto i suoi meriti, ma non quello di essere storia o
quanto meno di voler preparare la strada alla storia23; nellicastica definizione del Momigliano, una peste24, una forza disgregatrice, una reale malattia
della cultura italiana che dovette esser curata da Carlo Ottofredo Mller25,
dalla quale neppure lingegno forse pi brillante tra tutti, il Maffei, seppe
restare immune26. In Toscana, il raggiungimento dei livelli di maggiore intensit delletruscheria che pure sera gi avviata in precedenza, con ritmi

21Cos nei Commentaria di Annio da Viterbo (1498), nellOrigine di Firenze di Giovanni Battista
Gelli (tra il 1542 e il 1545), nel Gello del Giambullari (1546), nel Dialogo in defensione della lingua toschana di Sante Marmocchini (tra il 1541 e il 1545), nel Libellus de antiquitate urbis Arretii di Marco Attilio
Regolo Alessi (anteriormente al 1552).
22 Casini, Lantica, p. 194: in realt, in Italia e in Europa, le congetture sui rapporti tra Etruschi e
pitagorismo, e sulla scuola italica, erano diffuse da oltre un secolo. Sul mito pitagorico nelletruscheria,
ibid., p. 197 ss. Sulla tradizione circa Pitagora tirreno nellantichit, nel medioevo e in et umanistica,
ibid., p. 17 ss., 145 ss.
23Limiti e meriti sono efficacemente segnalati, in poche battute, da M. Pallottino, Etruscologia,
Milano 19756, p. 4: Pi che per il valore delle congetture e delle conclusioni, sovente arbitrarie e fantastiche, e per la natura del procedimento critico, la etruscheria settecentesca va giudicata positivamente
per la passione e per la diligenza delle ricerche e della raccolta del materiale archeologico e dei monumenti, che talvolta, nel caso di documenti perduti, conserva tuttora un certo valore. Sui limiti in rapporto al metodo storiografico vd. anche A. Momigliano, Gli studi classici di Scipione Maffei, in Id. Secondo
contributo alla storia degli studi classici, Roma 1960, pp. 255-271 [= Giornale storico della letteratura
italiana 133 (1956), pp. 363-383], qui a p. 269; M. Pallottino, Sul concetto di storia italica, in Mlanges
Heurgon. LItalie prromaine et la Rome rpublicaine, II, Roma 1976, pp. 771-789, p. 772 nt. 4.
24 Momigliano, Gli studi, p. 270.
25 Momigliano, Gli studi, p. 259.
26Secondo Momigliano, era lunico che avrebbe potuto salvare lItalia dalla peste etruscologica e
ne fu invece vittima, e intravvide una nuova storia di Roma, ma non la scrisse (Gli studi, pp. 269 s.),
nonostante i suoi meriti negli studi di storia municipale italiana (la Verona illustrata, del 1732) e i suoi
interessi di storia ecclesiastica (Istoria teologica della idea della grazia nei primi cinque secoli della Chiesa,
1742); pi benevolmente, Cristofani (La scoperta, p. 39) lo pone allinizio di un filone preciso della
storia della nostra cultura che cercava di affrancarsi dallantiquaria per collocarsi sul piano, ancora vacillante, della storiografia. Sullargomento vd. G. Cipriani, Scipione Maffei e il mondo etrusco, in Scipione
Maffei, pp. 27-63.

272

Giulio Firpo

pur sempre ragguardevoli ma meno concitati27 fu collegato al clima politico instaurato dalla dinastia lorenese (dal 1737)28; ma non si pu dire che
letruscheria sia sorta con una connotazione polemica antiromana, in nome
della conculcata libert etrusca, acquisendo semmai, e solo occasionalmente,
tale caratteristica in un secondo momento29, contemporaneamente al manifestarsi di altre virulente prese di posizione di questo genere (vd. infra).
2. Oltre alla Toscana mediceo-lorenese, un altro ambito culturalmente e
politicamente ben definito in cui il secolo senza Roma si manifest con tratti
sufficientemente omogenei fu il regno di Napoli della seconda met del Sette27Nel 1727 fu fondata lAccademia Etrusca di Cortona e nel 1735 la Societ Colombaria di Firenze.
La prima produsse, a partire dal 1735 e fino al 1791, nove volumi di Saggi di dissertazioni, tra le quali
meritano dessere ricordate quella di L. Bourguet, Sopra lalfabeto etrusco, del 1735, e quella di A.S.
Mazzocchi, Sopra lorigine dei Tirreni, del 1741. Per questo periodo si ricorda anche, di Scipione Maffei,
il Ragionamento DeglItali primitivi, in cui si procura dinvestigare lorigine de gli Etrusci, e de Latini,
aggiunto alledizione 1727 della Istoria diplomatica.
28 F. Venturi, Utopia e riforma nellIlluminismo, Torino 19702, pp. 48 ss. Appartengono al periodo
lorenese tutte le opere pi importanti e ponderose: le Osservazioni letterarie (I-VI, 1737-1740) di S.
Maffei; le Lettere roncagliesi (1742) e i In Thomae Dempsteri libros de Etruria regali Paralipomena (1767)
di G.B. Passeri; il Museum Etruscum (I-III, 1736-1743) e il Museum Cortonense (1750) di A.F. Gori; il
Saggio sopra la filosofia degli antichi Etruschi (1756) di G.M. Lampredi; le Origini italiche (I-III, 17671772) di M. Guarnacci; le Lezioni di antichit toscane (1766) di G. Lami, che, fra laltro, fu il pi solerte
diffusore della conoscenza di Giovanbattista Vico in Toscana (cfr. F. Lomonaco, Tracce di Vico nella polemica sulle origini delle Pandette e delle XII Tavole nel Settecento italiano, Napoli 2005, p. 30 ss.) ed ebbe
modo, agli inizi degli anni 60, di conoscere e frequentare a Firenze il Denina (Cristofani, La scoperta,
p. 141); il Saggio di lingua etrusca e di altre dItalia (1789) di L. Lanzi, che tuttavia si colloca su un livello
metodologico pi sicuro (Pallottino, Etruscologia, pp. 4 s.).
29 Per letruscheria dellet lorenese Cristofani (La scoperta, p. 103) parla di una funzione sottilmente antiromana alla quale Pompeo Neri attribuiva una qualche utilit sul piano politico. Comunque,
le manifestazioni apertamente e duramente antiromane sono del tutto sporadiche. Di un certo interesse
la vicenda del Lampredi, il quale nel Saggio polemizzava col Dempster, esaltando lindipendenza e lautonomia delle citt etrusche riunite in federazione, e la repubblica come sinonimo di pace e moderazione;
ma quattro anni dopo, in Del governo civile degli antichi Toscani e delle cause della loro decadenza (1760),
dovette ammettere che il governo repubblicano non era adatto a una regione ricca e opulenta e fertile
come lEtruria / Toscana (il clima di Montesquieu). Cfr. Cristofani, La scoperta, p. 137 ss. Questa
celebrazione dellantica libert repubblicana pu ben spiegare il violento attacco del Lampredi a Roma,
che, a quanto ne so, anche lunico esplicitamente portato dagli etruscomani settecenteschi: Il rapace
e inquieto popol di Roma non solamente soggiog lEtruria e la rese tributaria e serva, ma in tal maniera
distrusse il suo dominio e oppresse la sua antica fama sotto lo splendore dei regni e delle province da esso
poi conquistate che la provincia dei Toscani oltre le Italiche tutte bellissima e potentissima divenne un
oggetto di piccola considerazione per gli storici tutti i quali, descrivendo le rapide conquiste del popolo
romano, descrivean le conquiste delluniverso (Del governo, cit. in Cristofani, La scoperta, p. 139).
A ci si possono semmai aggiungere le elucubrazioni antiromane dello zio prete del Passeri, evocato dal
nipote nelle Lettere roncagliesi (Cristofani, La scoperta, p. 95): Tutto quello che abbiam di romano
per noi cos forestiero quanto lo per i Daci e per i Sicambri. Quella nazione conculcatrice altra correlazione non ha con noi fuorch quella di averci oppressi. Linvidia romana estese le sue furie perfino contro
linnocenza del nostro antico idioma.

Roma, Etruschi e Italici nel secolo senza Roma

273

cento. C poi un terzo ambito, che potremmo definire settentrionale (ma la


connotazione puramente geografica e convenzionale, e lappartenenza non
comporta, a differenza che nei casi precedenti, omogeneit di sorta, se non del
tutto casuali), in cui rientrano il Denina, il Verri, lAlgarotti e il Mengotti. Tra
questi autori, la subordinazione di Roma a una cultura quella etrusca anteriore e superiore (come nelletruscheria) e lavversione nei suoi confronti come potenza barbara e devastatrice di unaltra tradizione politica e culturale
quella italico-sannitica anchessa anteriore cronologicamente e superiore
qualitativamente (come a Napoli: vd. infra), sono presenti solo nel Denina,
anche se con accenti e modalit peculiari. Del tutto particolare il caso dellaspro antiromanesimo del Mengotti, legato alla sua polemica anticolbertista.
Quanto allAlgarotti e al Verri, si tratta in verit di posizioni in cui Roma non
esclusa dalla ricostruzione complessiva, n il giudizio aprioristicamente o
totalmente negativo; questo, del resto, vale anche per il Denina.
Per quel che riguarda le coordinate cronologiche, ravvisabile una netta
linea di demarcazione: invariabilmente, tutte le negazioni di Roma sono posteriori alla conclusione dellopera (1749) del Muratori. Com noto30, per il
Muratori le origini della storia dItalia e delle problematiche attuali andavano ricercate nella massima misura nei secoli oscuri, a partire dallarrivo delle barbarae gentes nella Penisola31; cos, nei Rerum Italicarum Scriptores egli
datava la storia dItalia a partire dal VI secolo d.C., dalla sconfitta dei Goti
da parte di Giustiniano, peraltro innovando rispetto a una consolidata tradizione risalente alle Historiarum ab inclinatione Romanorum imperii decades
(1483) di Biondo Flavio, nella quale, con la sola eccezione del Sigonio, era
stato il V secolo a determinare il termine cronologico del discrimine tra antichit e medioevo32; vero che gli Annali dItalia iniziano dallera cristiana,
ma si tratt di un arrangiamento adottato in rapporto alla periodizzazione
della storiografia ecclesiastica, in ispecie gli Annales del Baronio, rispetto
al progetto originario che datava a partire dal 40033. Sul piano pi propriamente politico-istituzionale, il Muratori individuava lorigine dellassetto
moderno dellItalia la cui attuale divisione in pi stati approvava34 nella
grande mutazion di governo dellet comunale, nella rivendicazione della
30S.

Bertelli, Erudizione e storia in Ludovico Antonio Muratori, Napoli 1960, pp. 269-270.
Rer. I.1, p. LXXXII: ex iis ipsis gentibus, quarum fatiscente Romano Imperio Italia dominationem
sensit, et quas barbaras appellare consuevimus, ut verisimilis coniectura fert, plerique originem trahimus.
32 Galasso, LItalia, p. 156. Il De occidentali imperio del Sigonio iniziava col 284-565 d.C. Il Maffei
invit Muratori a colmare la lacuna cronologica, ma questi rispose di non voler sentir parlare di storia
romana; in realt, Maffei dissentiva dalla scelta unitaria della storia dItalia operata dal Muratori: cfr.
Galasso, LItalia, p. 157 ss.
33A. Marcone, I libri sullItalia antica delle Rivoluzioni dItalia di Carlo Denina, Rivista Storica
Italiana 112 (2000), pp. 1072-1093, p. 1073; cfr. Galasso, LItalia, p. 158 s.
34 Gabba, Considerazioni, p. 410.
31

274

Giulio Firpo

(antica) libert delle citt toscane e settentrionali nei confronti dellimpero,


resa possibile sia dalla debolezza dellordinamento imperiale, sia dalla persistenza del diritto romano35.
Lappartenenza alla fase postmuratoriana della negazione storiografica
di Roma in chiave pi o meno polemica un dato oggettivo: non credo illegittimo pensare, per questo, a una qualche influenza della scansione storiografica muratoriana, ricordando comunque che il Muratori non era certo
animato da sentimenti antiromani, a cui si aggiunse la (ri)scoperta del Vico
e in particolare della sua positiva valutazione del Medioevo come barbarie
ricorsa36. Pi tardi, come ricordava il Croce, il contributo determinante alla
valorizzazione del medioevo come et sacra delle origini del popolo italiano
vivo ancora e presente e agente sarebbe venuto dalla cultura francese e tedesca (Chateaubriand, Sismondi, Mller)37.
3. Nella Napoli di Carlo III e di Ferdinando IV di Borbone e di Bernardo Tanucci, di Antonio Genovesi, di Gaetano Filangieri lesaltazione
dellantica libert italica in opposizione alloppressione romana sorse e prolifer nel contesto degli arditi progetti riformatori miranti a rafforzare i diritti
giurisdizionali della monarchia contro il papato e contro la nobilt feudale.
La presenza di Roma era percepita come costante e opprimente: in antico
aveva vinto i Sanniti, abbattendone la libert; ora, la pretesa del potere universale del papato sullautorit temporale dei re di Napoli era simboleggiata
nella sua pi compiuta plasticit dallofferta annuale della chinea al Papa,
e del correlato censo di 7000 ducati versato annualmente dal regno di Napoli38. Linsofferenza verso questa forma di sudditanza e verso le ingerenze
della Curia romana nella politica e nelleconomia del Regno era gi diffusa
da tempo: ad esempio, quando Carlo VI rifiut di ricevere dalle mani del
Papa linvestitura del Regno, labate Nicol Caravita, a sostegno, pubblic
una Memoria intitolata Nullum jus Romani Pontificis in Regno Neapolitano
dissertatio historico-juridica (1707). Ma chi sostenne con forza, storicamen35

G. Giarrizzo, Vico, la politica e la storia, Napoli 1981, pp. 45 s.; Marcone, I libri, p. 1077.
Croce, Storia della storiografia, p. 112, ove giudica il contributo di Muratori come soltanto
uneccellente erudizione di particolari.
37 Croce, Storia della storiografia, p. 112.
38M. Calaresu, Images of Ancient Rome in Late Eighteenth-Century Neapolitan Historiography,
Journal of the History of Ideas 58 (1997), pp. 641-661, p. 642. La chinea era una mula bianca che il 28
giugno di ogni anno singinocchiava davanti al Papa, recando i 7000 ducati in una cesta dargento fissata
alla sella. Fino al 1472 il tributo, risalente forse al 1059, era stato pagato a cadenza triennale; da quella
data divenne annuale. Ferdinando IV abol chinea e tributo nel 1776, ripristinando solo il tributo nel
1788. Il tributo fu abolito solo nel 1855, quando Ferdinando II propose di definire il problema versando
una tantum diecimila scudi per lerezione della colonna dellImmacolata Concezione in Piazza di Spagna,
a Roma.
36

Roma, Etruschi e Italici nel secolo senza Roma

275

te e giuridicamente, linfondatezza delle pretese curiali fu soprattutto Pietro


Giannone, nellIstoria civile del Regno di Napoli (1721), che esercit, sotto
questo aspetto, grande influenza sugli intellettuali della seconda met del
700. Alle prese di posizione antiromane in quanto anticuriali39 si aggiungevano quelle antiromane in quanto antifeudali: qui ebbe sicuramente un peso
la caratterizzazione vichiana della societ romana dellet eroica (da Romolo
alle leggi Publilia e Petelia) come feudale, per il rapporto generato tra eroi
e famoli, cio tra gentes e nexi o clientes; lo stesso rapporto riprodottosi
nella successiva et eroica, la barbarie seconda o ricorsa, cio il Medioevo40 (anche se la polemica investiva di fatto il modello gotico: vd. infra).
Fu Antonio Genovesi, nel II capitolo della prima parte delle Lezioni di
commercio (1765), a indicare una via pratica e politica alla soluzione della
questione feudale il modello gotico, il beau systme trouv dans les bois
del mondo germanico, come lo definiva, apprezzandolo, il Montesquieu, che
costituiva la risposta alla decadenza e alla crisi del sistema romano imperiale41 nel recupero del modello italico preromano; si trattava di unire una
filosofia fatta di cose a una riflessione di tenore storico sul mondo che quella
filosofia intendeva contribuire a cambiare, riproponendo per tale via linterpretazione vichiana dei fenomeni storici, per cui tutto il passato (anche quello italico, non solo quello romano) veniva considerato nella dinamica complessiva della storia della civilt42. Strettamente connesso alla feudalit era il
perverso rapporto tra citt (capitale) colta e ricca e campagna miserabile e
(vichianamente) selvaggia, tale essendo il risultato della violenta trasforma-

39Il ministro Bernardo Tanucci limit la giurisdizione dei vescovi, elimin prerogative risalenti
allepoca medievale, ridusse le tasse da pagarsi alla Curia romana. Le entrate di episcopati e abbazie
vacanti affluirono alla corona, conventi e monasteri superflui vennero soppressi, le decime abolite e
nuove acquisizioni di propriet da parte delle istituzioni ecclesiastiche tramite la manomorta vietate. La
pubblicazione delle bolle papali necessitava della previa autorizzazione reale (il cosiddetto exequatur), e
le concessioni non si considerarono pi eterne. Anche le nomine vescovili nel Regno caddero, seppure
non direttamente ma solo tramite raccomandazioni, nelle mani del sovrano. Il Re era soggetto soltanto a
Dio, gli appelli a Roma erano proibiti a meno che non vi fosse stato lassenso del re, il matrimonio venne
dichiarato un contratto civile. I Gesuiti vennero espulsi nel 1767, e i loro beni furono incamerati dallo
Stato; le proteste dei vescovi contro i nuovi insegnamenti nelle scuole a seguito dellespulsione dei Gesuiti vennero liquidate come non valide. Uno degli ultimi suoi atti fu labolizione della chinea: vd. sopra.
40Il vincolo feudale proprio di tutte le societ eroiche. B. Croce, La filosofia di Giambattista Vico,
Bari 19733, p. 159 ss., 197 ss.; cfr. Giarrizzo, Vico, pp. 102-120; ibid., p. 207 sulle misure antifeudali
del Tanucci. Sul rapporto patrizi / plebe / clientela, Mazzarino, Vico, p. 87 ss.
41 Giarrizzo, Vico, p. 208: Il modello gotico (germanico) diffonde una struttura statuale, in
cui il sovrano anchesso un signore feudale che media, in virt della maggiore potenza e ricchezza, le
sollecitazioni anarchiche e centrifughe degli altri commilitoni.
42 Nuzzo, La tradizione, p. 29 s.

276

Giulio Firpo

zione del regime di propriet della terra provocata dalle clientele feudali43.
Tutto ci era supportato da un apparato legislativo cresciuto a dismisura,
formato comera da una base di diritto romano a cui sera aggiunta, nei secoli, una quantit strabocchevole di leggi, codicilli, consuetudini e quantaltro.
Il modello proposto e seguito dai suoi numerosi allievi, pur con talune
variet dintonazione e anche con qualche non trascurabile differenziazione:
vd. infra lasciava da parte ogni interesse per lantica e arcana sapienza filosofica delle popolazioni preromane, esaltandone piuttosto la virt politica e
lo spirito di libert, e contemplava: a) lesaltazione dellindipendenza e autonomia delle molte libere citt italiche (e in ispecie sannitiche), le piccole
repubbliche indipendenti, unite in unit superiori (nazione) da vincoli federativi; b) il carattere fiero e indomito di queste popolazioni, le loro qualit morali (laboriosit, sobriet, austerit di costumi, ecc.), civili (specie per
la pratica dellagricoltura e del commercio e per lequa distribuzione della
propriet della terra) e militari (i Sanniti furono coloro che pi di ogni altro
popolo seppero rallentare lespansione romana in Italia); c) il loro elevato
livello culturale (leggi, arti) e demografico, la loro opulenza, mai per degradante in lusso o in tryph, come tra gli Etruschi o le citt magnogreche;
d) la barbarie, la rapacit e la violenza dei Romani, distruttori di popoli, di
ordinamenti, di culture: unica loro dote, la grande disciplina, perfezionata
nel tempo in quanto occupati dallo spirito di conquista (Galanti). Dobbiamo
alle magistrali indagini di Franco Venturi e Giuseppe Giarrizzo la contestualizzazione di questi problemi allinterno della cultura napoletana del XVIII
secolo e lanalisi degli aspetti particolari legati ai singoli protagonisti44; oltre
ad esse, merita segnalare gli importanti contributi contenuti nellopera collettanea La cultura classica a Napoli nellOttocento45.
Tra i principali rappresentanti della scuola genovesiana che pur con taluni non secondarii distinguo riproposero nelle loro opere il modello italico si annoverano Francesco Longano, Francesco de Attellis, Giuseppe Maria
Galanti, Francescantonio Grimaldi, Francesco Mario Pagano e Melchiorre
Delfico. Non fu allievo di Genovesi Giovanni Donato Rogadei, anche se ne
risent dellinsegnamento. Merita di segnalare un altro tratto comune di alcu43 Giarrizzo, Vico, p. 199 ss., 201. Sulla questione feudale nel regno borbonico vd. anche A.M.
Rao, Lamaro della feudalit: la devoluzione di Arnone e la questione feudale a Napoli alla fine del 700,
Napoli 1984.
44Mi riferisco naturalmente a Illuministi italiani. V. Riformatori napoletani, ed. F. Venturi [da ora:
Venturi, Illuministi], Milano - Napoli 1962, e al gi citato volume di Giarrizzo, Vico, la politica e la
storia. Le tesi qui sostenute da Giarrizzo sono state riproposte pi tardi, con qualche aggiunta, in Id.,
Erudizione storiografica e conoscenza storica, in Storia del Mezzogiorno, edd. G. Galasso - R. Romeo,
IX.2, Roma 1994-1995, pp. 509-600, specialmente alle pp. 569-591.
45 La cultura classica a Napoli nellOttocento, con premessa di M. Gigante, I-II, Napoli 1987.

Roma, Etruschi e Italici nel secolo senza Roma

277

ni di loro: Longano, De Attellis e Galanti erano molisani, come lo fu anche


Vincenzo Cuoco (vd. infra), originari cio non solo di uno dei territori pi
poveri, desolati e male amministrati del Regno (da cui il naturale impulso a
sollecitare le riforme), ma soprattutto di quello che corrispondeva alla massima parte dellantico Sannio Pentro, lautentica roccaforte della resistenza
antiromana fino allet sillana. Ben si comprende, quindi, come il riferimento fondamentale di questi autori, oltre a quello generico al mondo italico, sia
propriamente a quello sannitico (ad eccezione del Delfico, che, essendo di
origini pretuzie, parla prevalentemente di Atri e degli Italici medioappenninici, e del Rogadei, che accanto ai Sanniti descrive anche Sabini e Campani).
Nel volume Dellantico stato de popoli dellItalia Cistiberina che ora formano il regno di Napoli (Napoli 1780), pubblicato come prima parte di un
Diritto pubblico e politico del regno di Napoli poi mai realizzato, il Rogadei
ritenne di aver individuato le origini del diritto pubblico e politico del regno
di Napoli (come doveva intitolarsi lopera completa, di cui invece comparve
solo il primo volume, quello appunto relativo allet pi antica) nella storia
delle trib che in et preromana avevano abitato la regione (Sanniti, Sabini
e Campani), considerandole una sola nazione divisa in pi stati, in quanto
di origine comune e con istituzioni e costumi assai simili. Rifiutando luso
vichiano di favole, miti e tradizioni popolari per la ricostruzione della genesi delle societ antiche, e peraltro difettando di monumenti, il Rogadei fece
ricorso a un metodo originale quanto bizzarro, giustapponendo alle fonti letterarie romane descrizioni di trib barbariche tratte dalle Sacre Scritture, dal
Guarnacci e da vari altri testi antiquari46. Nella Raccolta de saggi economici
(1779), e poi nel Discorso preliminare. Congetture sopra le maniere onde gli
antichi popoli del Sannio cotanto prosperarono, aggiunto alla seconda edizione
(1796) del Viaggio per lo Contado di Molise nellottobre 1786, gi pubblicato
a Napoli nel 1788, Francesco Longano, che fu filosofo, matematico, astronomo ed economista, analizzava le ragioni del profondo squilibrio del rapporto
fra capitale e provincia47, riandando al mito sannitico centrato sullimmagine di una citt ideale, sul Matese, in cui si sarebbero attuati comunanza dei
beni, solidariet, ordine e lavoro, come nel Sannio antico, lunico stato che
riusc a ritardare a lungo la conquista romana dellItalia48. Il marchese Francesco de Attellis, originale figura di erudito prodigo e gaudente, mostr nei
Principii della civilizzazione de selvaggi dellItalia (I-II, Napoli 1805-1807)
una profonda disistima nei confronti dei greci e grande ammirazione per la
civilt e la potenza etrusca, in una velleitaria riproposizione del metodo eti46

Calaresu, Images, pp. 646-649.


Giarrizzo, Vico, p. 210.
48 Venturi, Illuministi, p. 344.
47

278

Giulio Firpo

mologico vichiano del De antiquissima che gli attir la decisa stroncatura del
Cuoco49. Il de Attellis si distinse anche, oltre che per aver salvato il Galanti,
nascondendolo per due anni in casa sua alla vendetta dei sanfedisti50, per
aver inutilmente perorato nel 1806, dinanzi a Giuseppe Bonaparte, la sostituzione dellantico e glorioso nome di Sannio a quello di Contado di Molise,
degradante in quanto di origine feudale51.
Il pi assiduo seguace dellimpostazione del Genovesi fu per il giurista
Giuseppe Maria Galanti, che torn pi volte sullargomento: dapprima nel
Saggio sopra lantica storia de primi abitatori dellItalia, inserito nel IV volume (1780) della Storia filosofica e politica delle nazioni antiche e moderne, un
ambizioso progetto a pi mani ideato e coordinato da lui stesso, e poi ripubblicato a parte dopo qualche anno (Napoli 1783)52; indi, nella Descrizione
dello stato antico ed attuale del Contado di Molise, Napoli 1781, e infine nella
Descrizione geografica e politica delle Sicilie (Napoli 1786-1794) e nella Nuova descrizione storica e geografica dItalia (Napoli 1791). Galanti sottolineava
limportanza dello studio della fase preromana per un regno che aveva conosciuto tante rivoluzioni (citando Denina)53, insistendo sul tradizionale
circolo virtuoso composto dalla virt politica, dallo spirito di libert e dalla fierezza degli antichi Sanniti54, dallelevato livello demografico del Sannio
antico, dalla correlata immensa ricchezza, attestata dalle splendide armi e
dalle vesti sontuose ricordate da Livio, e dallelogio dellagricoltura ivi praticata come professione nobile e civile, segno del passaggio dalla barbarie alla
civilt e caratteristica dello sviluppo sociale; i popoli barbari (come i Germani in Cesare e in Tacito) non praticavano lagricoltura, ma caccia, pesca e al
massimo il pascolo55. Lequa divisione della propriet della terra e lassenza
del latifondo distinguevano la situazione antica dal modello gotico e da tutti i suoi mali (un misto di nobilt, di feudalit, di fiscalit e di sacerdozio),
anche se, in realt, prima ancora del modello gotico (e dunque, alle sue ori49 Venturi, Illuministi, p. 980; A. Andreoni, Omero italico. Favole antiche e identit nazionale tra
Vico e Cuoco, Roma 2003, p. 222. Cfr. C. Cassani, s.v. de Attellis, Francesco, in Dizionario biografico degli
italiani, XXXIII, Roma 1987, pp. 328-329; S. Cerasuolo, Francesco de Attellis, in La cultura classica,
I.1, pp. 175-194. Sulla stroncatura del Cuoco, ibid., p. 184.
50 Cerasuolo, Francesco de Attellis, p. 177 e nt. 11.
51A. Zazo, Il mancato nome di Sannio nel 1806 alla nuova provincia di Molise, Samnium 24
(1951), pp. 114-122.
52 Calaresu, Images, p. 651; Venturi, Illuministi, p. 960.
53Ma anche Raynal, Robertson e Hume: Venturi, Illuministi, p. 960.
54 Venturi, Illuministi, p. 962, vi legge lodio voltairiano contro i conquistatori e la trasposizione del
mito rousseauiano delluomo primitivo, germi tutti destinati a svilupparsi.
55 Calaresu, Images, p. 652. Sul modello sannitico o sannita di Galanti in contrapposizione a
quello romano cfr. F. Barra, Introduzione e Nota al testo in G. Galanti, Scritti sul Molise, I, Descrizione
del Contado di Molise, a cura di F. Barra, Napoli 1987, pp. 5-45 e 47-49, spec. pp. 22-26.

Roma, Etruschi e Italici nel secolo senza Roma

279

gini), fu Roma a infrangere questo mirabile equilibrio nella propriet e nello


sfruttamento della terra, attraverso lintroduzione del latifondo e del lavoro
servile: dal quinto secolo della sua storia, fu Roma la prima e vera causa della decadenza del Meridione dItalia (una convinzione comune ai riformatori
meridionali del secondo Settecento)56. Dunque, come Vico, anche Galanti
vedeva in Roma le origini del feudalesimo57. E nel VII volume della Storia
filosofica e politica inser una dissertazione sulleconomia dei Romani di G.M. Butel-Dumont, presentata allAcadmie des Sciences di Parigi nel 1776
e pubblicata nel 1779, in cui si affermava la quasi inesistenza dellinfluenza
dellagricoltura sulle istituzioni e sui costumi dei Romani (dunque: incivilt
e infelicit), e si concludeva che la celebrit dei Romani era dovuta pi al
male fatto agli altri popoli che al bene fatto a se stessi (sulla scia del Chastellux e del Voltaire)58. A questi spunti si aggiunge laffermazione secondo cui i
popoli italici, non avendo arti di lusso, non avevano bisogno della superfluit delle altre nazioni, e dunque non avevano commercio estero: di qui la
forte polemica contro le citt greche dItalia, ricche e corrotte59, a cui fa da
pendant lapprezzamento per lo spirito spartano dei Sanniti, tratto dalla nota
notizia straboniana sul sinecismo spartano-sannita60. Quanto al livello demografico, interessante notare come nel Saggio il Galanti valorizzasse acutamente un passo straboniano (V 4,12) sulla funzione sociale e pubblica del
vincolo matrimoniale tra i Sanniti, centrato sulla figura della donna come ricompensa delle virt civiche degli uomini e dei meriti da loro acquisiti al servizio della patria: i buoni legislatori sanniti avevano vietato ai padri di maritare a lor piacere le figliuole, le quali venivano scelte dai giovani che avevano reso i maggiori servizi alla patria (il primo a scegliere era quello giudicato
pi meritevole, e cos via in ordine decrescente di merito). E se qualcuno di
costoro cambiava vita e si degradava, perdeva la moglie. Questa sottolineatura richiama, e contrario, la polemica deniniana sul celibato (vd. infra). Il
Galanti paragonava (come gi aveva fatto il Denina: vd. infra), le piccole repubbliche federate del Sannio alle repubbliche federate degli Svizzeri, cos
popolate, cos piene darti e dindustria61; tuttavia non gli sfuggiva lintrinseca debolezza dello stato sannitico: lo spirito di indipendenza e di libert
56S. Cerasuolo, Mito italico e progettualit dellantico nel Platone in Italia del Cuoco, in La cultura
classica, I.1, pp. 143-173, p. 157 s.
57 Calaresu, Images, p. 654 s. Sul concetto di feudalesimo in Galanti: Venturi, Illuministi, p. 962;
sul contrasto, nella Descrizione, tra la miserevole situazione attuale e il Sannio preromano, ibid., p. 967:
il mito serviva davvero a render pi profonde le ombre della realt.
58 Venturi, Illuministi, p. 960.
59 Calaresu, Images, p. 651 s.
60 Cerasuolo, Mito, p. 160.
61 Cerasuolo, Mito, p. 161.

280

Giulio Firpo

presuppone la possibilit del sorgere di fazioni e contrasti tali da minare la


struttura federativa (eco della situazione attuale: grandi privilegi dei baroni e
debolezza della monarchia) e lassenza di disciplina nellesercito, pi numeroso ma per questo pi debole di quello romano. La sconfitta con Roma era
dunque inevitabile: ma quella potenza dispotica, avida, supermilitarizzata,
desiderosa di sterminio (insiste in particolare sui Lucani) avrebbe conosciuto
allinterno della sua storia perversa con le guerre civili la giusta punizione
che nessuna potenza esterna sarebbe stata in grado di inferirle62.
Lultimo e il pi longevo degli allievi di Genovesi, il teramano Melchiorre
Delfico, personaggio dai molti e spesso contraddittori interessi, gi nel 1791,
nelle Ricerche sul vero carattere della giurisprudenza romana e de suoi cultori, aveva denunciato il peso insopportabile delleredit giuridica romana
sulle istituzioni e sulla prassi giuridica e politica del regno di Napoli: eredit considerata come prodotto dellinvoluzione storica del diritto romano e
dellaccumularsi su di esso di norme e consuetudini feudali (definite nuove
sozzure), che avevano esasperato un difetto dorigine: la natura aristocratica,
in senso socio-politico e religioso-sacerdotale, della legislazione romana, definita torbida e fangosa, e piena derrore, malizia, prepotenza63. La polemica
antiromana torna, acuta, nel trattatello sulla numismatica atriana, del 1824,
a cui fa da parte introduttiva un Discorso preliminare su le origini italiche.
Alle violente accuse alle devastazioni e alloppressione inferte dai barbari
transappenninici alle miti e felici popolazioni centroitaliche qui soprattutto
gli Umbri e i Piceni-Pretuzi: non si dimentichi che il Delfico, essendo teramano, era di origini pretuzie64 , depositarie di una cultura ben pi antica
ed elevata, fa da pendant dimostrativo la raccolta e lillustrazione appunto di
una serie monetale fusa della colonia latina di Hatria (fondata nel 289 a.C.
ma naturalmente attribuita a vari secoli prima, allillustre e gloriosa Hatria
pretuzia), sui cui contenuti sarebbe ingeneroso infierire. Lesaltazione del
piccolo stato presente anche e soprattutto nelle Memorie storiche della Repubblica di San Marino (1804), opera di ottimo livello e ancora di fruttuosa
consultazione, scritta sia per riconoscenza verso chi laveva accolto esule (tra
il 1799 e il 1806), sia perch la piccola repubblica, rimasta sempre immune
dal sistema feudale e dallautorit ecclesiastica e perci stesso simbolo di libert e indipendenza, di governo moderato ed efficiente, rappresentava un

62

Calaresu, Images, p. 653.


Pi tardi anche il Galanti, nel Testamento forense, Venezia 1806, avrebbe denunciato i vizi e le
turpitudini del foro napoletano. Cfr. Venturi, Illuministi, p. 976 s.; Lomonaco, Tracce, p. 51 s.
64Sui rapporti tra Delfico e Galanti cfr. M. Raskolnikoff, Histoire romaine et critique historique
dans lEurope des lumires. La naissance de lhypercritique dans lhistoriographie de la Rome antique, Roma
1992, p. 654.
63

Roma, Etruschi e Italici nel secolo senza Roma

281

tipo di organizzazione particolarmente adatta a soddisfare i fondamentali bisogni civili e sociali, s da farla assurgere, con citazione vichiana, a tipo dei
veramente umani governi65.
In questo contesto napoletano (e non: Denina) di esaltazione delle virt
degli antichi popoli italici a fronte della barbarie romana, sorsero per anche voci originali e non sempre o totalmente allineate come quelle di Francescantonio Grimaldi e di Francesco Mario Pagano.
Negli Annali del regno di Napoli (16 volumi, Napoli 1781-1786; i primi 12
tra il 1781 e il 1783) il Grimaldi descrive gli inizi e i progressi della nazione,
in un ininterrotto susseguirsi di fatti (Epoca I, I 1): ci richiama la lettura vichiana della storia come una serie di continuit connesse fra loro, influenza tanto pi avvertibile nella divisione della storia del Regno in tre Epoche, s da comparare un corso allaltro; inoltre, utilizza le favole come fonti
storiche66. E vichiana anche lanalisi del passaggio dallo stato selvaggio allo
stato barbaro allo stato civile degli uomini67. A ci si aggiunga che nel 17791780 il Grimaldi aveva pubblicato le Riflessioni sopra lineguaglianza tra gli
uomini, collocantisi nellampio dibattito innescato dal Discours rousseauiano,
attaccando come chimerica sulla scia del Voltaire e del Ferguson lidea
stessa di stato di natura e di uomo naturale68. Da ci il profondo pessimismo
circa la possibilit di eliminare lineguaglianza propria della natura umana,
condizione per soddisfare lemergere sociale dei bisogni69: essa, e la servit
civile sono considerate condizioni necessarie della civilt, migliorabili (ma
non estirpabili) attraverso lidea di sviluppo e di progresso70. Si tratta di conclusioni condivise con il Filangieri, del quale proprio in quel torno di tempo cominciava a esser pubblicata la Scienza della legislazione (il volume sulle
norme generali del 1780), in cui il rapporto tra lItalia preromana di liberi
coltivatori e soldati, e senza schiavi n mercenari, e la vicenda storica di Roma, una societ progressivamente imperniata sul lavoro servile e sullimperialismo bellicista, si giuoca sul maggiore o minor grado di societ naturale
conservato nel passaggio alla societ civile: i progressi nellagricoltura e lincremento del livello demografico sono proporzionali al titolo di propriet,
ed per questo che nellItalia preromana, a differenza che nellItalia romana,
65Nonostante i Pensieri sullinutilit della storia: cfr. G. Firpo, Melchiorre Delfico e lantica monetazione atriana, Rivista Storica Italiana 116 (2004), pp. 356-384.
66 Calaresu, Images, p. 656 s. Cfr. M. Riccio, Lecture du conflit social et influence de Vico dans
quelques ouvrages au seuil de la rvolution napolitaine, in Noesis 8 (2006):
http://noesis.revues.org/document121.html
67 Giarrizzo, Vico, p. 211.
68 Venturi, Illuministi, p. 518.
69 Giarrizzo, Vico, p. 211.
70 Venturi, Illuministi, p. 520 s.

282

Giulio Firpo

i liberi proprietari erano numerosissimi, non esistevano terreni incolti, lagricoltura fioriva e con essa la popolazione. Il modello italico qui imperniato
sullo sviluppo dellagricoltura inteso non tanto in relazione alla produttivit,
quanto alleliminazione dei terreni incolti era quanto mai attuale, e fungeva
da premessa alla richiesta di alienazione dei feudi71.
Sulla base di queste premesse si possono comprendere meglio gli aspetti
originali del pensiero del Grimaldi rispetto al Galanti e allo stesso Genovesi.
Anche il Grimaldi, come il Galanti, ravvisa nei legami federativi che riunivano in una nazione una pluralit di repubblichette (il tono della definizione
volutamente sarcastico, cos come quella dei principotti che talvolta le
governavano), riconoscentisi in origine e costumi comuni (ad es., i Sanniti),
lelemento di debolezza degli antichi ordinamenti italici. Ora e qui la novit della sua posizione rispetto a quella del Genovesi e del Galanti , il Grimaldi non vede sostanziali differenze tra i Romani ne primi tempi della loro barbarie, i quali a loro volta non erano differenti da Galli, e i Sanniti,
paragonati agli indiani dAmerica, divisi in una pletora di repubblichette i
cui capi unoligarchia militare di uomini barbari, feroci e violenti considerata un tratto tipico della prima infanzia delle nazioni e lindizio pi
sicuro del loro stato di barbarie72. Questa importante affermazione analoga
allopinione del Denina (vd. infra), e a mio avviso possibile che ne dipenda. E anche il nesso agricoltura-civilt, riaffermato proprio in quegli anni dal
Galanti (vd. sopra), contestato dal Grimaldi: il fatto che i Sanniti fossero
agricoltori non implica di per s che non fossero barbari e guerrieri (e fa
lesempio dei Galli in Polibio II 17: guerra e agricoltura). Per contro, anche
fra i Sanniti la propriet della terra non era affatto suddivisa equamente: la
stratificazione sociale era netta, come tra i Romani e i Galli, e la propriet
terriera era appannaggio di un ristretto numero di aristocratici. Ci comportava la natura essenzialmente feudale-clientelare (proprietari / possessori),
divisa in piccoli contadi, della societ sannitica: un elemento di debolezza
anche politica (qui si avvertono gli echi delle divisioni giurisdizionali del Regno)73. Queste strutture cos precarie e il Grimaldi irride al confronto galantiano con le repubbliche federate degli Svizzeri74 non poterono reggere
il confronto con Roma: ed appunto su Roma e sul suo ruolo storico rispetto agli Italici / Sanniti che il giudizio del Grimaldi si differenzia rispetto al
Galanti e al Genovesi: per meglio dire, il Grimaldi cerca di storicizzare la su71

Giarrizzo, Vico, p. 213 ss., anche per il rapporto col pensiero di Adam Smith.
Venturi, Illuministi, p. 522.
73 Venturi, Illuministi, p. 587, nota, sulle discussioni e le forti critiche di Cuoco alla descrizione
grimaldiana degli antichi Italici, su cui vd. anche Andreoni, Omero, p. 230 ss.
74 Cerasuolo, Mito, p. 169.
72

Roma, Etruschi e Italici nel secolo senza Roma

283

premazia di Roma sul mondo italico, spiegandone le cause morali, sociali ed


economiche. Se le condizioni di partenza erano analoghe, perch Roma divenne Roma e i Sanniti dovettero sottometterlesi? A differenza delle repubblichette italiche, Roma ebbe, paradossalmente, la fortuna di cadere sotto
la tirannia e la forza di liberarsene; cos si fortific e si disciplin: il comando
e gli interessi divennero una cosa sola, e una citt costitu lintera nazione.
Cos, se vero che vengono ricordati il naturale istinto guerriero e la naturale indipendenza dei nostri barbari, vichianamente feroci dunimmaginazione vivace e soggetti soltanto agli stimoli della loro fantasia e della loro
immaginazione, che gli guidava in luogo della ragione, il Grimaldi ammette
pure che ci serv a ben poco, dacch lindipendenza personale de nostri
barbari indusse le loro nazioni alla servit, la servit civile de Romani innalz la loro repubblica al grado di regina delluniverso. Insomma, tra tutte le
repubblichette italiche (di cui pur faceva parte), solo Roma seppe passare
dalla barbarie alla servit civile, un ordinamento comprendente agricoltori
schiavi che col loro lavoro mantenevano i guerrieri75.
Nellaffermare la continuit tra antico e moderno, Grimaldi non idealizza, alla stregua del Galanti, un modello da trarre dallantico e da riproporre,
ma vuol evidenziarne limportanza per affrontare i problemi giurisdizionali
attuali del regno. Oltre a contrastare lidealizzazione della vita delle popolazioni italiche preromane, il Grimaldi riequilibra anche il giudizio su Roma,
non giudicata, come di consueto, la distruggitrice della libert e della cultura
italiche, bens come colei che ha tratto i Sanniti fuori dalla barbarie; e assai
acutamente il Giarrizzo sottolinea il giudizio sullanaloga situazione venutasi
a creare alla fine dellimpero romano, quando lo stabilimento de barbari
pose rimedio allo sfacelo morale e materiale in cui erano piombati i nostri
degradati indigeni76.
Complessa e di grande interesse la vicenda umana e culturale di Francesco Mario Pagano. In una sua opera giovanile, il Politicum Universae Romanorum Nomothesiae Examen (1768), a un primo capitolo in cui viene
celebrato il primato culturale degli Etruschi, populorum cultissimi, e la loro
decisiva influenza su Roma per lingua, arti, musica, arte politica, arte divinatoria, ecc., vuoi per i riflessi dellinteresse coltivato a Napoli per letruscheria77, vuoi per la sincera ammirazione nei confronti dellopera riformatrice
75

Giarrizzo, Vico, p. 212; Calaresu, Images, p. 656.


Giarrizzo, Vico, p. 212 s.
77Nel 1755 Carlo III di Borbone istitu lAccademia Ercolanese sul modello dellAccademia Etrusca
di Cortona, di cui fu membro autorevole Alessio Simmaco Mazzocchi, lautore del celebre Commento
(I-II, Napoli 1754-1755) alle Tavole di Eraclea, scoperte nel 1732, che nel 1741, per le Dissertazioni
accademiche dellAccademia Etrusca di Cortona, aveva pubblicato un saggio Sopra lorigine dei Tirreni.
Sullimportanza e la vitalit dellantiquaria a Napoli, nonostante la contrariet del Genovesi, e sul pro76

284

Giulio Firpo

del granduca di Toscana Pietro Leopoldo (la cui sorella, Maria Carolina, era
moglie del re di Napoli Ferdinando IV), al quale il lavoro era dedicato, segue un secondo capitolo in cui esaltata la sacralit dellantica giurisprudenza romana e dove nel concepire il diritto come misura e disciplina di
norme dettate dalla ragione, ma conoscibili solo nel loro divenire storico
sono evidenti le influenze vichiane e quelle del Saggio sulla giurisprudenza
universale (1760) e dellOrigine e progressi del cittadino e del governo civile
di Roma (1763-1764) di Emanuele Duni78. Lammirazione per la perfezione
e la sentenziosa brevit79 della legislazione decemvirale (in cui il Vico aveva
riconosciuto lespressione della saggezza poetica di un popolo ancora barbaro e unimportante testimonianza dellantico diritto naturale dei popoli
del Lazio), ispirata appunto al diritto naturale e finalizzata a porre rimedio ai
guasti della disuguaglianza, va di pari passo con lidentificazione dello Stato
ideale nel mos maiorum80. Come ha osservato il Venturi, il mito del classico e
del primitivo (oltre alla legislazione romana arcaica, Pagano ammirava anche
quella mosaica), strettamente uniti e congiunti, esercitava su di lui una profonda attrazione81. Dopo let decemvirale inizi il declino: le lotte patrizioplebee innescarono la crisi delle istituzioni, con pesanti riflessi sulla legislazione: di qui la perdita progressiva della libert, fino alla disastrosa fine della
repubblica82. La situazione attuale di sfacelo dellassetto legislativo nel regno
napoletano derivava dalla degradazione delle leggi romane e dal sovrapporvisi dei vincoli feudali (cos anche il Delfico e il Galanti).
Pi tardi, dal pensiero di Pagano scomparve per la valutazione positiva
dellet repubblicana arcaica e della stessa legislazione decemvirale: questa
inversione di giudizio stata convincentemente messa in relazione con labbandono delle fonti classiche e del correlato modello centralizzato di civilizzazione a seguito della ormai sopravvenuta totale sfiducia nel riformismo
borbonico83. Cos, nei Saggi politici (2 voll., Napoli 1783-1785; 1791-17922)
nel contesto dellindagine sul passaggio dellumanit dallo stato di selvaggi
a quello di barbari a quello di societ civile84 egli consente col Grimaldi

blema storiografico del rapporto tra lantiquaria stessa e la linea politico-riformatrice degli illuministi vd.
da ultimo Andreoni, Omero, p. 43 ss., con discussione (Momigliano, Giarrizzo).
78 Lomonaco, Tracce, p. 37 ss. (anche per la citazione riportata tra lineette).
79 Venturi, Illuministi, p. 789.
80 F. DOria, Francesco Mario Pagano, in La cultura classica, I.1, pp. 53-91, qui a pp. 69-73.
81 Venturi, Illuministi, p. 789.
82 DOria, Francesco Mario Pagano, p. 73 s.
83 Lomonaco, Tracce, p. 49 ss.
84 Giarrizzo, Vico, p. 225: cfr. Venturi, Illuministi, p. 802 su questa influenza di Vico; cfr. anche
F. Lomonaco, Introduzione alla ristampa anastatica della prima edizione dei Saggi, Napoli 2000, pp.
XIII-XCIV.

Roma, Etruschi e Italici nel secolo senza Roma

285

circa linevitabilit dellineguaglianza nella societ civile85 e le origini del feudalesimo86; pure per il Pagano, infatti, le origini pi lontane del feudalesimo
vanno ricercate nelliniqua distribuzione della ricchezza presente gi nelle
antiche repubbliche (cos ad esempio la Grecia omerica), e si ripresentano
in tutta la loro virulenza in un ricorso in concomitanza col disfacimento
dellimpero romano87. Roma, rapace e insaziabile, torbida e tenebrosa, simpadronisce dellOriente e dellOccidente fino a creare un impero talmente
vasto da recare in s le cause della propria debolezza e le ragioni del disfacimento: Quellimpero, che nel centro spirava terrore, per debolezza nellestremit languiva. La disgregazione provoc dunque il sorgere di pi o
meno piccoli potentati, e ci che a Pagano interessa soprattutto il governo feudale, di cui la natura consiste nella divisione dellimpero in tanti
piccioli stati. Ed significativo che sostenga vichianamente con forza che
le origini del feudalesimo non vanno ricercate nellarrivo delle orde barbariche da settentrione, ma nella storia stessa di Roma: Il governo feudale si
sarebbe adunque stabilito tra noi, ancorch dalle selve del settentrione non
fussero qui venute quelle numerose schiere de barbari88.
Il modello, anche per il Pagano, quello italico: una societ di agricoltoriguerrieri, non aliena per dalle arti e dal commercio, che conduceva una vita
sobria ed essenziale89. Ma, accanto al modello italico (e a differenza di altri:
ad es. il Galanti) Pagano presenta anche il modello greco, con un alto elogio
dellAtene di Pericle, culla della libert e della cultura, e addirittura delle citt della Sicilia e della Magna Grecia, contrapposte alle repubbliche dellalta
Italia e le mediterranee che ritrovavansi nel cominciamento del loro corso
politico90. Pi tardi, nel 1799, nel Progetto di Costituzione della Repubblica Napoletana, al tit. XIII, artt. 350-380, si fa strada un richiamo almeno
nominalistico al modello spartano, nel progetto di istituzione delleforato
quale organo preposto al controllo e alla revisione della Costituzione, riprendendo un suggerimento del Filangieri91.
85

Giarrizzo, Vico, p. 227.


Calaresu, Images, p. 661.
87Cfr. Venturi, Illuministi, p. 885 ss. Secondo il Venturi, ibid., p. 802, Pagano riscontra vichianamente la continuit o il ritorno, nella storia, di talune condizioni: cos la somiglianza fra prima e seconda
barbarie, mondo arcaico e mondo feudale. Su Vico e feudalesimo in Pagano: ibid., pp. 802-804.
88Cfr. Venturi, Illuministi, p. 891.
89 DOria, Francesco Mario Pagano, p. 61 nt. 20. Sulla differenza del modello italico di Pagano da
quello di Genovesi e Galanti cfr. Giarrizzo, Vico, p. 229 s.
90 Venturi, Illuministi, p. 889 s.
91 Venturi, Illuministi, p. 831. G. Filangieri, La scienza della legislazione, Napoli 1780, lib. I cap. 9;
cfr. P. Catalano, Tribunato e resistenza, Torino 1971, p. 98 e nt. 7. Alleforato faranno riferimento anche
Vincenzo Cuoco nelle Lettere a Vincenzio Russo, critico verso Pagano, e Francesco Reina, nel Progetto di
Costituzione per la Repubblica Cisalpina dellanno IX: Catalano, Tribunato, pp. 98-101.
86

286

Giulio Firpo

Roma dunque costantemente sullo sfondo come una presenza malefica,


avida e oppressiva, la cui antica legislazione decemvirale ora definita rozza
e anacronistica (Saggio III, cap. 209); inoltre, col disfacimento delle sue istituzioni e con il degrado delle sue leggi, era alle origini del ricorso feudale
che tanti danni aveva provocato e provocava ancora. Ben altro, a prima vista,
potremmo esserci aspettati dal giacobino Mario Pagano, autore nel 1799
di un progetto di Costituzione repubblicana ispirata a quella termidoriana
dellanno III (1795) con evidenti richiami a quella dellanno I (1793): in lui,
per dirla col Volney, nessuna traccia di adorazione superstiziosa dei Romani,
a dimostrazione, secondo me, della distanza che separ i giacobini francesi
da quelli italiani e quelli napoletani in primis tra le due Costituzioni posttermidoriane (anno III, 1795 e anno VIII, 1799). Conferma la regola leccezione, pi apparente che altro, dellartificiosa ed esagerata, nel suo pedissequo richiamo ai modelli romani repubblicani, Costituzione della Repubblica
Romana del 1798-1799, alla cui stesura aveva partecipato un archeologo del
calibro di Ennio Quirino Visconti. Daltra parte, com stato recentemente
osservato con acume, nel caso dei rivoluzionari napoletani si trattava piuttosto di studiosi di Vico fattisi giacobini92.
4. I riformatori napoletani non erano per stati gli unici a indicare nei piccoli stati dellItalia centro-meridionale preromana i paradigmi di libert e di
virt morali e civili. Lo aveva gi fatto labate piemontese Carlo Denina, nelle
Rivoluzioni dItalia (I-III, Torino 1769-1770)93. Vale la pena di segnalare, in
proposito, un risvolto cronologico non trascurabile: Denina pubblic infatti
la sua opera prima di quelle di tutti i riformatori genovesiani, ma quattro anni
dopo le Lezioni di commercio del Genovesi, dove, come abbiamo visto, veniva
proposto per la prima volta il modello italico. Si pu pensare alla conoscenza dellopera del Genovesi da parte di Denina, e quindi a una sua influenza?
92 Gli illuministi del monarcato assoluto dovevano rinnovarsi, come nel fatto si rinnovarono, in
giacobini: B. Croce, Storia del Regno di Napoli, 19657, p. 227. Si trattava, nel caso di Pagano e di altri,
in effetti di studiosi del Vico fattisi giacobini, di moderati che riponevano ogni virt riformatrice (...)
in quella parte del popolo che per superiorit di status sociale ed economico aveva capacit di suscitar
moti e di governare (G. Pugliese Carratelli, Prefazione a P. De Angelis, Politica e giurisdizione nel
pensiero di Francesco Mario Pagano, Napoli 2006, pp. VII-X).
93Un titolo che echeggiava lHistoire des rvolutions de la rpublique romaine dellabb de Vertot
(1719): in entrambi i casi, ma in particolare nel Denina, al concetto di rivoluzione sottost lidea di et
successive in cui si sono via via realizzate le condizioni che hanno permesso a una civilt di sorgere e svilupparsi: Marcone, I libri, p. 1078 e nt. 25; cfr. anche E. Sestan, In margine alle Rivoluzioni dItalia
di Carlo Denina, in Il secolo dei Lumi. Studi storici sul Settecento europeo in onore di Franco Venturi, II,
Napoli 1985, pp. 1045-1091, p. 1058 ss. Sul Denina vd. anche G. Ricuperati, Ipotesi su Carlo Denina
storico e comparatista, Rivista Storica Italiana 113 (2001), pp. 107-137, nonch C. Corsetti, Vita ed
opere di Carlo Denina, Revello (CN) 1988.

Roma, Etruschi e Italici nel secolo senza Roma

287

Quantunque il Denina non annoveri il Genovesi tra le sue fonti, e il suo modello italico differisca da quello genovesiano fra laltro per la dimensione nazionale italiana, se cos si pu dire (vd. infra), rispetto alla dimensione
sempre nazionale, ma sannitico-napoletana, di quello del riformatore napoletano, linterrogativo, a mio avviso, merita di esser tenuto in considerazione.
Denina riserva il primo capitolo del I libro, dedicato alla civilt dellItalia
preromana, alla Grandezza e decadenza degli antichi Toscani94, evitando
per tutte le questioni allora in voga (lingua, origini, ecc.). Degli Etruschi,
la nazione pi letterata e pi colta fra tutte le altre italiche (cfr. I 7, p. 78),
giunti in Italia duecento anni dopo la fine di Troia e duecento anni prima
della fondazione di Roma, oltre alla potenza e alle conquiste viene ricordato
il merito dessere stati i primi a dirozzare la selvatichezza di queste province (I 1, p. 47). Il declino inizi quando cessarono di governarsi sotto un
sol capo e quando li travolse il lusso e la fiacchezza, indotti dalla grande
ricchezza (tryph) (I 1, p. 46). Erano piuttosto le altre popolazioni italiche al
centro dellattenzione del Denina: dagli Umbri agli Italici medioappenninici
e a quelli del meridione, dai Liguri ai Messapi, ai Dauni e agli Iapigi, tutti
descritti come una specie di Arcadia secondo i parametri propri del pensiero illuministico (spunti fisiocratici misti a un temperato mercantilismo; questioni demografiche; polemica sul lusso, ecc.): semplicit, sobriet, mitezza,
felicit, autosufficienza economica (con particolare sottolineatura dellagricoltura e della connessa piccola propriet, e del commercio: un commercio
limitato sia negli spazi che nei bisogni, e dunque non generatore di lusso: I
4)95, ricchezze naturali, produzione artistica, virt guerriere; grande popolosit come indice comparativo del grado di felicit di quei popoli, in quanto
legato al commercio e alla ricchezza96, e quindi capacit di mettere in campo
eserciti numerosi e agguerriti (si veda a I 3, pp. 54-55 la rassegna delle forze
degli alleati italici nella formula togatorum del 225 a.C. tratta da Polibio, altrove definite meravigliose: II 3, p. 123). Dopo aver descritto la successione
delle forme di governo (monarchia, aristocrazia, democrazia) nelle antiche
94La

fonte fu il Trattato sopra la nazione etrusca e sopra glItali primitivi di Scipione Maffei (F. MaAnti-Roman and Pro-Italic Sentiment in Italian Historiography, The Romanic Revew 33, 1942,
pp. 366-384, p. 371; Cristofani, La scoperta, p. 141), anche se non va dimenticato che, agli inizi degli
anni 60, il Denina conobbe e frequent a Firenze il Lami (ibid.). Gli Etruschi furono il punto di partenza, di l a poco, anche per la Storia del Tiraboschi: cfr. Marcone, I libri, p. 1082 nt. 37. Le citazioni
del Denina sono tratte dalledizione curata da V. Masiello per i Classici della Storiografia UTET, I,
Torino 1979.
95 Sestan, In margine, p. 1073: non contro il commercio, ma contro la sua cattiva gestione (il
mercantilismo colbertiano); un fisiocratico, ancorch non addottrinato.
96I 3-9, pp. 51-103. Marcone, I libri, p. 1083 s.: interesse diffuso per questioni demografiche vivo
allora: Montesquieu nelle Lettres persanes; e poi nel 1751 Hume, e Wallace nel 1753, e il DAmilaville
nel 1765 nellEncyclopdie.
scioli,

288

Giulio Firpo

repubbliche italiche (I 8, p. 82 ss.), Denina si produce (I 9, pp. 90-91) in


un ampio elogio della saggezza del raggiunto equilibrio politico individuato
nella costituzione di strutture federative su base etnica, per le quali richiama il confronto con la situazione contemporanea in Svizzera, Olanda e Germania97. A fronte di questa descrizione, lespansione romana in Italia vista
come qualcosa di ineluttabile, date le sue premesse e le condizioni in cui avvenne, e di segno negativo, anche se forse meno di quanto possa apparire a
prima vista. Criticando Machiavelli e Montesquieu, afferma che la grandezza
di Roma non deriva dalleccellenza delle sue istituzioni: ebbe tutto in comune con gli altri popoli dItalia (II 1, p. 105): fra i Romani, dico ancora de
primi secoli, non furono n pi virt n meno difetti, che nelle altre repubbliche o Greche, o Italiche antiche (II 1, p. 107 s.). Alle origini, Roma era
un ignobile borgo del contado di Alba (II 1, p. 108); la sua popolazione,
unaccozzaglia di fuorusciti, falliti e malcontenti delle terre vicine, che Romolo seppe convogliare appunto a Roma, e mettersene a capo (II 1, p. 108)
(riesumando le accuse di antichi greci raccolte in Dionigi di Alicarnasso I
89): ci qualifica gli inizi della storia romana come violenti, ignobili e ignominiosi (II 1, p. 108). Decisivo per le sorti romane fu il sito stesso di Roma,
talmente infelice e indifendibile che le guerre si facevano sempre allattacco,
per tenerne lontani i nemici (II 1, p. 113); ci rese i Romani praticamente
invincibili. I Romani popolo rozzo ed idiota (II 1, p. 114) furono dunque guerrieri e conquistatori prima per necessit (aggiunsero anche elementi
di superstizione, e furono abili a imparare larte della guerra da Latini e Sanniti), e poi per ambizione e avidit (II 1, pp. 114-115; cfr. II 1, p. 106). Roma
crebbe approfittando delle divisioni degli altri popoli (II 1, p. 110), aiutata
in maniera decisiva anche dalla fortuna (II 1, p. 115). A II 1, pp. 106-107,
viene fornito un pessimo quadro morale, civile e militare dei Romani. Lascesa irresistibile di Roma dur fino a che, conquistati lItalia e il Mediterraneo,
le enormi ricchezze affluite dovettero di necessit sbandir (...) quelle virt
che lantica povert vi aveva introdotte e mantenute alcun tempo (II 6, p.
134); qui evidente il riflesso della polemica settecentesca sul lusso98. Dopo
le tensioni e i drammi dellet graccana e della guerra sociale, la repubblica
fu salvata dallingresso degli Italici nella cittadinanza, che valsero grandissimamente a ravvivare le virt de Romani, ritardandone la decadenza (II
6, p. 135). Accanto ai vantaggi (inserimento nella vita politica, ampliamento
degli orizzonti sociali e culturali)99, lingresso degli Italici nella cittadinanza
97

Mascioli, Anti-Roman, p. 373; Marcone, I libri, p. 1082 e nt. 38.


G. Borghero, La polemica sul lusso nel Settecento francese, Torino 1973; Marcone, I libri,
p. 1079 (Montesquieu, Espr. VII).
99 Gabba, Considerazioni, p. 413.
98Cfr.

Roma, Etruschi e Italici nel secolo senza Roma

289

romana produsse per un male interno e continuo, tuttoch pi lento che


non sono i mali della guerra, che condusse alla rovina: il cambiamento de
costumi e dellesser politico delle citt italiche (II 6, p. 134). Lattrazione
esercitata dalla capitale provoc un calo demografico nelle citt italiche (riguardante in ispecie la pi utile spezie del genere umano, quali sono i rustici liberi e i borghesi dumil fortuna: II 6, p. 142) e unestensione del latifondo; con questo fenomeno sincrociarono le guerre civili e le distribuzioni
di terre ai veterani, da Silla ad Augusto, s che sotto Cesare e sotto Augusto
lItalia era in misero stato e in decadenza (II 6, p. 142). Alla fine del sesto
capitolo del II libro (pp. 142-143), Denina coglie poi con acutezza il ruolo
decisivo svolto dalle province, gi fin dalla prima et imperiale, nella conservazione dellimpero100 e, allinterno di esso, dellItalia, per quanto riguarda
lapprovvigionamento, larruolamento e il livello demografico, messo in grave crisi, oltre che dai drammi della tarda repubblica, da quello che Denina
definisce labuso del celibato nei primi due secoli dellimpero, con cui and
di pari passo un decadimento morale e materiale dovuto, ancora una volta,
al lusso generatore di neghittosit101. La Constitutio Antoniniana inferse il
colpo decisivo allItalia (III 4, p. 157).
Non mancano, a dire il vero, anche alcuni giudizi positivi: Roma partecipava delle virt italiche correlate alla povert e alla sobriet di costumi
(sopra, passim). Di Romolo viene elogiata la grandezza danimo e la superiorit poich super tutti in spirito e ferocia (II 1, p. 108); cos come
vengono elogiati Numa (I 6, p. 71 e I 7, p. 80) e in genere tutti i re succeduti a Romolo, che seppero governare con giustizia e senza violenza,
prendendo dagli Etruschi, ricchi, magnifici e gi in parte corrotti dal lusso,
quanto possibile delle arti e dei costumi per allettare Sabini e Latini; e da
questi ultimi i Romani seppero prendere della severit (...) quanto si conveniva per non alienarne i primi (II 1, pp. 108-109). A II 3, p. 121, traspare addirittura uninterpretazione provvidenzialistica delle vicende romane
repubblicane: fu infatti la provvidenza (e non la fortuna, come affermato in
altre circostanze) a salvare Roma dalle insidie e dallastuzia di Pirro, attraverso la rigida e frugale onest di Fabrizio Luscino e di Curio Dentato. Personaggi di primo piano della tarda repubblica (Catone Maggiore, Mario,
Sertorio) sono pur elogiati, ma in quanto originari di citt latine o italiche
entrate nella cittadinanza (II 6, pp. 135-136). Riguardo allet imperiale, il
giudizio sui primi due secoli moderatamente positivo, almeno per certi
aspetti. Essi furono infatti caratterizzati da un governo di forma mista, o
100Cfr. E. Gabba, Italia romana, Como 1994, pp. 26-27, sul ruolo delle province nei confronti dellItalia nellordinamento imperiale.
101 Marcone, I libri, p. 1084.

290

Giulio Firpo

vogliam dire monarchia temperata collautorit dun senato, e colla libert


e podest popolare (III 1, p. 145) che lasciava notevoli spazi di libert. Di
Augusto e di Adriano vengono apprezzate le misure giudicate a protezione
dellautonomia municipale o comunque del decentramento amministrativo: per il primo, il voto per corrispondenza dei decurioni delle colonie e
la regionalizzazione, ancorch di breve durata (III 1, pp. 145-146); per il
secondo, listituzione dei iuridici (III 2, p. 147). Sono poi altamente elogiati
Antonino Pio (III 2, pp. 148-149: sotto cui lItalia godette della condizione
pi felice dalla fondazione dellimpero) e Marco Aurelio, il cui principato
fu macchiato solo dallinfelice designazione di Commodo a suo successore,
che segn linizio del vero dispotismo (III 2, pp. 149-150).
Sul giudizio circa il miglior assetto possibile nella composizione e nei reciproci rapporti tra le nazioni o gli stati presenti nel passato, nel presente e
nel futuro dellItalia (Sicilia esclusa), Denina non ebbe dubbi: non riscontrabile infatti nessuna aspirazione allunit politica dellItalia, n ritenne che
lunit politica fosse necessariamente un pregio102; fu anzi convinto assertore
dellimmutabilit, nei secoli, delle peculiarit regionali, risalenti allItalia preromana, a cui fa da pendant, su un piano che diremmo appartenere allambito della psicologia sociale, lindividuazione di particolarismo ed equilibrio
come caratteristiche degli italiani, allinterno della pi ampia cornice della
divisione politica (come del resto il Muratori)103. Una pallida apertura di
prospettiva unitaria, nellauspicio che in futuro lItalia pur cos divisa avrebbe trovato in Roma un punto dunione, si fece strada solo nel XXV libro,
aggiunto nel 1792, pi di ventanni dopo i primi ventiquattro.
Sul piano delle scelte di metodo storiografico, tuttavia, il discorso si pone
diversamente: qui la prospettiva certamente unitaria104, nel superamento
delle ricostruzioni della storiografia postrinascimentale localista, centrate
sulla dimensione municipale o, peggio, nobiliare105, o sugli stati esistenti106,
e nel coraggioso recupero, rispetto al Muratori, della storia di Roma, ancorch limitata al 390 a.C. Come per il Muratori, peraltro, anche per Denina,
la rinascita comunale dopo il Mille ha un valore epocale rispetto alle rivoluzioni delle et successive fino alla moderna: a essa dedica, in particolare,
il cap. I del libro XI e i capp. V e VI del libro XII, mettendo a confronto,
in questi ultimi due, le repubbliche italiane de mezzi tempi con le italiche

102

Sestan, In margine, p. 1077.


Sestan, In margine, p. 1077.
104 Contra Sestan, In margine, p. 1050.
105Croce, citato in Galasso, LItalia, p. 153.
106 Marcone, I libri, p. 1074 s.
103

Roma, Etruschi e Italici nel secolo senza Roma

291

antiche. Le analogie sono fortissime107, con due importanti differenze, colte


con notevole perspicacia: la prima fu la sovranit, che sopra di esse ritenne
un estero potentato, qual era il re di Germania, che un inveterato possesso fece riguardare come capo e signor supremo dItalia (XII 5, p. 657); la
seconda, linfluenza che la religion dominante avea nel governo politico
(XII 5, p. 658). Questo indirizzo storiografico sarebbe stato di l a non molto
riproposto da Saverio Bettinelli (Del risorgimento dItalia negli studi nelle arti e ne costumi dopo il Mille, 1775) e da Jean Charles Sismondi (Histoire des
rpubliques italiennes du Moyen ge, 1807-1809; 1809-18182)108.
Probabilmente sul Denina ha gravato a lungo il giudizio non favorevole
di Croce109, e non sono mancate altre prese di posizione prevalentemente
negative110. Ma le Rivoluzioni hanno conosciuto, in tempi recenti, anche una
notevole rivalutazione per quello che riguarda il loro significato complessivo
nella storia della storiografia. Il Galasso111 in una rapida ed efficace sintesi
di autorevoli opinioni precedenti, come quelle di Calcaterra, Maturi, Herder
e Venturi ha posto in rilievo limportanza del loro ruolo di transizione tra
la storiografia settecentesca e quella risorgimentale, nello sforzo di presentare in un disegno complessivo la storia dellItalia divisa: e ci va tenuto in
tanto maggior considerazione alla luce del fatto che Denina non disponeva
di alcun modello per una storia generale dItalia in senso cronologico e geografico112. Gabba ha sottolineato la capacit di Denina di valutare limpor107 X 5, p. 656: Le une e le altre furono, dir cos, animate da uno stesso spirito, agitate dagli stessi
umori, soggette quasi alle medesime rivoluzioni. Quel sovrano amor della patria, che nelloccasione de
pubblici pericoli acqueta ed ammorza le gare e nimicizie particolari, regn nelle une e nelle altre per
alcun tempo egualmente. Vi regn la stessa semplicit di costumi, la vita aspra, e delle fatiche e dei disagi
paziente; ed oltre a questo, luso e lesercizio dellarmi, per lo quale ogni piccola nazione pot, se non fare
grandi conquiste, conservarsi almeno la sua libert.
108 Gabba, Considerazioni, pp. 412, 415 s. Secondo il Sismondi, che, pur se di origini toscane, era
svizzero, lItalia croll nel XV secolo perch manc lunione federale tra le repubbliche.
109 Storia della storiografia, p. 104: Quella [Storia dItalia] recente del Denina non conferiva certo
n allerudizione n alla critica n al sentimento.
110Oltre allassenza di un problema unitario (vd. sopra, nt. 102), il Sestan, In margine, pp. 1063
ss., 1077, rimarca anche quella di una sia pur tentata periodizzazione; limpreparazione giuridico-istituzionale dellAutore; la mancata considerazione vichiana della storia, in un succedersi secondo una linea
ideale, sostituita da una serie di fasi salienti e discendenti, delle quali si cerca di volta in volta la ragione (e
se non la si trova, si fa intervenire la Provvidenza); lassenza di un concetto chiaro dellidea di nazione.
111 Galasso, LItalia, p. 159 ss.
112Tali non erano, ovviamente, lItalia travagliata di Umberto Locati (Venezia 1576) e lIstoria dItalia dalla venuta dAnnibale fino allanno di Cristo di Girolamo Briani (Venezia 1624), entrambi citati
nella Prefazione (nel testo e in nota; il Denina fa anche riferimento, sempre nella Prefazione, allAbrg
chronologique de lhistoire gnrale dItalie di Ch. H. Le Febvre de Saint-Marc, pubblicato a Parigi tra il
1761 e il 1770, e relativo agli anni 476-1137). Lultima ricostruzione complessiva, ma limitata al periodo
284-1268, era quella del De occidentali imperio e del De regno Italiae di Carlo Sigonio. Tra il 1704 e il 1723
erano stati pubblicati (fuori dItalia, a Leyden) gli imponenti 9 tomi (in 31 volumi) del Thesaurus antiqui-

292

Giulio Firpo

tanza dellallargamento del diritto di cittadinanza agli Italici, s da poterne


permettere la piena partecipazione alla vita politica dello Stato; linizio di
una riflessione storiografica incentrata sulle istituzioni e non sulle personalit che comprende la fase preromana e romana della storia italiana ed i cui
effetti si produrranno nel secolo successivo113. Si tratta comunque, come ha
osservato recentemente Marcone, di una vera storia dItalia di unItalia che
pare cominci a definirsi nel rapporto con leredit classica riconducibile
non a uno stato ma a una civilt che aveva avuto cicli alterni114.
In un momento di grande fermento intellettuale115 e negli stessi anni in
cui il Denina lavorava alle Rivoluzioni, Alessandro Verri, fratello del pi noto Pietro, attendeva alla composizione di una sua opera giovanile, la Storia
dItalia, composta tra il 1764 e il 1766 e mai pubblicata fino al 2001, quando
ha visto la luce grazie alle cure di Barbara Scalvini, a cui dobbiamo anche un
pregevole contributo preparatorio alledizione stessa116. Come avrebbe fatto
di l a poco il Denina, della cui opera non aveva grande opinione117, anche il
Verri deviava dalla periodizzazione muratoriana, delineando una storia dItalia a partire da Roma monarchica; Roma dunque allorigine della civilt italiana, caratterizzata nei secoli a venire da una continuit di caratteri umani
immutabili118. E dal Muratori il Verri sallontanava non solo per la valutazione del Medioevo non gi come alveo iniziale della modernit, bens come
fase intermedia di una vicenda pi lunga e complessa, ma anche per un altro
aspetto fondamentale: il giudizio sulle piccole repubbliche medievali italiane,

tatum et historiarum Italiae di Johann Georg Graeve, a cui avevano fatto seguito, fra il 1723 e il 1749, le
tre grandi opere muratoriane (Rerum Italicarum Scriptores, 1723-1728; Antiquitates Italicae Medii Aevi,
1738-1743; Annali dItalia, 1743-1749).
113Sulla controversia ottocentesca circa linserimento o meno della storia romana nella storia dItalia
vd. Croce, Storia della storiografia, p. 110; Id., La storia come pensiero e come azione, I ediz. economica, Bari 1966, p. 303 ss.; pi di recente, P. Treves, Lidea di Roma e la cultura italiana del secolo XIX,
Milano - Napoli 1962, p. 19 ss.; Gabba, Considerazioni, p. 413 s.; Id., Italia, p. 30 s., 211 ss.; Marcone, I libri, p. 1080.
114 Marcone, I libri, pp. 1072, 1077-1078, 1081. Comunque, di prima moderna storia generale
dItalia concepita come storia parla anche Sestan, In margine, p. 1091; la prima storia generale di
nostra gente laveva gi definita Carducci (Galasso, LItalia, p. 161).
115Caratterizzato dalla ricerca delle ragioni politiche e sociali delle formazioni statali e delle istituzioni: Agostino Paradisi, Saverio Bettinelli, Girolamo Tiraboschi (B. Scalvini, Introduzione a A. Verri,
Saggio sulla Storia dItalia, ed. B. Scalvini, Roma 2001, p. VIII nt. 5).
116 B. Scalvini, Notizie intorno alla Storia dItalia di Alessandro Verri, Rivista Storica Italiana 111
(1999), pp. 65-96.
117Si veda la lettera al fratello Pietro del novembre 1777, citata in Scalvini, Introduzione, p. IX
nt. 6.
118 Scalvini, Notizie, pp. 87, 77; Ead., Introduzione, p. XVII. Fino ad allora, lidea di Italia aveva
agito come fecondo principio euristico solo in ambito letterario (Gimma, Crescimbeni) e giuridico
(Gravina, che Verri conosceva bene): ibid., p. XX s.

Roma, Etruschi e Italici nel secolo senza Roma

293

positivo per qualche aspetto119, ma negativo quanto a valutazione storicopolitica complessiva: la gelosa difesa della propria libert da parte di queste
immagini in miniatura della romana repubblica, ciascuna delle quali avea
la sua Cartagine (c. XVIII), ne rendeva dipendente la sicurezza dalloppressione o dalleliminazione delle altre, s da far preferire una forma monarchica
tale da abbracciare tutta lItalia o quanto meno parti cospicue di essa120. Il
debito rispetto a Vico stato acutamente individuato nellidea di continuit,
risalente con ogni probabilit allinfluenza della sintesi vichiana tra romanit
e germanesimo121; quello rispetto al Montesquieu delle Considrations, nellidea che la decadenza di Roma fosse dovuta alle dimensioni raggiunte dallimpero e allincapacit di adeguare le leggi, nel tempo, alla nuova realt122.
Il Papa, come poi sar ribadito, con toni anche pi accesi, nelle Notti, era
chiamato a dar continuit a Roma antica e medievale (La sola storia facea
risovenire chella avea dominata lEuropa collarme de Romani, poi colla religione: c. XXXII) e a svolgere un decisivo ruolo unificatore, come gi aveva fatto in passato a fronte della debolezza dellimpero.
Nel 1792, il Verri pubblic Al sepolcro degli Scipioni, prima parte delle
Notti romane; una seconda parte, Sulle ruine della magnificenza antica, usc
nel 1802, mentre una terza parte, Le veglie contemplative, rimasta a lungo
inedita, stata pubblicata solo nel 1967 (il lavoro era comunque terminato il
25 febbraio 1790123). Nel Sepolcro, il Verri immagina dintrattenersi per tre
notti con una serie di ombre presso il sepolcro degli Scipioni, fuori Porta
Capena, da poco scoperto (1780); la prima tra esse, Cicerone, svolge il ruolo
di guida alla conoscenza delle altre: Bruto uccisore di Cesare, Cesare stesso, Antonio, Ottaviano, Catone Maggiore, Orazio, Asinio Pollione, Pompeo,
Gratidiano, i Gracchi, Mario e Silla, Attico, Virginio e Lucrezia. Nei colloqui
vengono affrontati argomenti riguardanti prevalentemente le vicende dei singoli personaggi, per trarne conclusioni di varia natura: storiche, filosofiche,
morali. Storiograficamente parlando, le parti pi interessanti sono quelle in
cui vengono ricordate le efferatezze di Mario e di Silla (Notte I, Colloquio
119 Scalvini, Notizie, p. 86: prezioso momento di riscatto civile e necessario presupposto politico
al sorgere delle attivit artistiche in senso lato.
120 Scalvini, Notizie, p. 86.
121 Scalvini, Notizie, p. 81; vichiano anche il legame barbarie / umanit in antitesi a inumanit /
cultura: ibid., p. 80; anche se da Vico lo dividevano altre cose importanti: ibid.; su Verri e Vico, Scalvini,
Introduzione, p. XXIII.
122 Scalvini, Introduzione, p. XVII, ove per rileva anche le differenze rispetto a Montesquieu: la
demonizzazione delle lotte sociali; limpulso irrefrenabile che guida limperialismo romano e che fa declinare inesorabilmente la situazione verso il peggio. Sui rapporti con la storiografia inglese, e in particolare
con Hume, ibid., p. XIII.
123Si veda la data alla conclusione della terza parte, con il ringraziamento to theo doxa: p. 404 Negri.
Le citazioni dalle Notti sono tratte da A. Verri, Le notti romane, ed. R. Negri, Bari 1967.

294

Giulio Firpo

3, pp. 26-32), e lampio excursus, affidato ad Attico124, ove la storia repubblicana rivisitata nel segno di un impietoso giudizio negativo sulla violenza
e le atrocit che lhanno contraddistinta, indotte dallavidit e dalla rapacit
di una classe dirigente (monarchica, patrizia e patrizio-plebea) insaziabile e
spregiudicata (Notte II, Colloqui 3-6, pp. 71-96). Le Veglie contengono invece una serie di dialoghi tra lautore e alcune ombre (Cicerone, Cesare, Plinio, Orazio e Bruto) intorno a principali rivolgimenti delle nazioni dopo
la caduta della romana grandezza: una vicenda narrata in modo rapsodico,
interpretata e presentata come una storia di civilizzazione connessa col progresso delle scienze e con il raffinamento delle arti, e intersecata con vivaci
osservazioni sui costumi moderni messi a confronto con quelli antichi. La
parte storiograficamente pi rilevante, comunque, lAppendice, intitolata
Ragionamento di Cicerone sul Pontificato Romano, dove Cicerone con
toni pi accorati rispetto a quelli con cui questo stesso argomento era stato
presentato nella Storia dItalia si lancia in un appassionato elogio del ruolo storico del Papato e della civilt cristiana, considerata superiore a quella
pagana e veramente universale. In questa continuit tra classicit e cristianesimo e nel conseguente ridimensionamento dellimportanza del declino
imperiale Gabba ha individuato la premessa delle posizioni storiografiche
neoguelfe, unitamente alla ragione o a una delle ragioni della mancata
ricezione del Gibbon in Italia, in ragione della sua valutazione del ruolo del
cristianesimo nella decadenza dellImpero125. Si potr aggiungere che qui
non manca solo Gibbon, ma anche Montesquieu e magari anche Ferguson:
nella galleria di grandi personaggi delle Notti romane piuttosto ravvisabile
linfluenza opportunamente drammatizzata in chiave teatrale degli eroi
plutarchei celebrati nellHistoire romaine di Charles Rollin126.
5. Due casi a parte, in qualche misura fuori contesto rispetto a quanto si
fin qui potuto osservare, sono rappresentati dallAlgarotti e dal Mengotti.
Nel Saggio critico del Triumvirato di Cesare, Pompeo e Crasso, iniziato nel
1739 e quasi finito nel 1741, ma pubblicato postumo nel 1794, il conte Francesco Algarotti che anche in altre occasioni mostr interesse per la storia
romana: si vedano ad esempio il Saggio sopra la giornata di Zama, del 1749,
124

Paolo Frisi aveva stampato nel 1780 un Elogio di Tito Pomponio Attico.
Gabba, Considerazioni, p. 414 s. Cfr. A. Momigliano, Edward Gibbon fuori e dentro la cultura
italiana, Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa s. III, 6 (1976), pp. 77-95 [= Id., Sesto, pp.
231-248]; Id., La formazione della moderna storiografia sullimpero romano, in Id., Sui fondamenti della
storia antica, Torino 1984, pp. 89-152, spec. p. 112 s.
126A. Forlini, I dintorni di un romanzo. Sulle Notti romane di Alessandro Verri, in Mappe e letture.
Studi in onore di Ezio Raimondi, ed. A. Battistini, Bologna 1994, pp. 221-236, p. 230 s. Sulla cultura
storica di Pietro e Alessandro Verri vd. F. Diaz, Pietro e Alessandro Verri storici e la recente discussione
sulle loro idee, in Critica e storia. Studi offerti a Mario Fubini, II, Padova 1970, pp. 524-574.
125

Roma, Etruschi e Italici nel secolo senza Roma

295

e soprattutto il Saggio sopra la durata de regni de re di Roma, Venezia 1746,


dimpostazione newtoniana127 offre uninterpretazione acuta e originale
della crisi della repubblica romana. Solo da pochi anni (1734) erano uscite le
Considrations di Montesquieu, del quale Algarotti accoglie la divisione, cronologica e di valori, tra Roma delle origini (odio della tirannia, compenetrazione religione / politica) e Roma tardorepubblicana, allasta materialmente e moralmente, e destinata a perire128. Dei triumviri, giudicati comunque
tre modi diversi di distruggere lo Stato e la libert, liquida senzaltro Crasso
(avarizia) e Pompeo (mediocre e costantemente incompiuto), mentre ammira
il genio cesariano, anche se considerato ineguagliabile a fare eccellentemente
il male129: in effetti, secondo Algarotti, Cesare si serv con grande spregiudicatezza130 della religione (pontificato massimo) e della politica sociale (distribuzione delle terre) per carpire il consenso popolare e fondare il proprio
potere personale. Come si vede, lelogio mutatis mutandis del principe
machiavelliano; del resto, linfluenza del Machiavelli su Algarotti fu cospicua
anche per altri aspetti131. Questa benevolenza verso un personaggio che pure
in Montesquieu restava un tiranno, ancorch quasi ineluttabile nellultima respublica, tradiva evidentemente nonostante ripetute espressioni a favore del
repubblicanesimo antiimperiale e anticesariano lammirazione per Federico
II di Prussia, alla cui corte lAlgarotti soggiorn a lungo, a due riprese (17401742 e 1746-1753), e dal quale ricevette onori e prebende132. Anche Federico II ammirava Cesare e vi si era identificato, per quanto in chiave antimachiavelliana (era autore dellAntimachiavel, 1740): sul Principe quale corruttore della politica e della morale aveva speso parole di fuoco133. Come ha
osservato il Gabba, limportanza di questo saggio dellAlgarotti sta nel precorrere il dibattito ottocentesco su Cesare e cesarismo alla luce di una originale riflessione politica innovatrice rispetto alla tradizione critico-erudita134.
127Il primo ora in F. Algarotti, Saggi, ed. G. Da Pozzo, Bari 1963, pp. 311-324; il secondo, ibid.,
pp. 291-310, si rifaceva alla Chronology of Ancient Kingdoms Amended del Newton, pubblicata postuma
(London 1728) sullo sfondo della grande discussione sullincertezza della storia romana pi antica allinterno dellAcadmie Royale des Inscriptions et des Belles Lettres (Levesque de Pouilly, Frret nel 1729;
poi il Beaufort nel 1738: che probabilmente per Algarotti non conobbe): su questo, F. Arato, Francesco
Algarotti storico di Roma antica, Rivista Storica Italiana 102 (1990), pp. 422-438, p. 422 s. Dello stesso
autore vd. anche Il secolo delle cose: scienza e storia in Francesco Algarotti, Genova 1971.
128 Arato, Francesco Algarotti, pp. 429, 435.
129 Arato, Francesco Algarotti, pp. 429, 430 nt. 38, 433-435.
130Che Algarotti connette alladesione allepicureismo, in opposizione allo stoicismo catoniano:
Arato, Francesco Algarotti, pp. 432-433.
131 Arato, Francesco Algarotti, p. 429 ss.: nella dialettica natura-virt-fortuna.
132 Arato, Francesco Algarotti, p. 437.
133 Arato, Francesco Algarotti, pp. 431 s., 437.
134 E. Gabba, Riflessioni storiografiche sul mondo antico, Como 2007, p. 171 nt. 1. Sullattrazione per
Cesare e la repulsione del cesarismo vd. Arato, Francesco Algarotti, p. 438 e nt. 74.

296

Giulio Firpo

In una Dissertazione dal titolo Del commercio dei Romani dalla prima guerra punica a Costantino (1787)135, il feltriese conte Francesco Mengotti (17491831) tent di offrire una spiegazione della decadenza romana in termini di
storia economica, tracciando un quadro invero impietoso di Roma e della
sua storia sin dagli inizi, in contrapposizione alla valutazione altamente positiva che del commercio romano aveva espresso P.-D. Huet nella sua Histoire
du commerce et de la navigation des anciens, pubblicata a Parigi nel 1716,
ma anche ai giudizi del Raynal e del Gibbon sulle cause dellascesa e della
decadenza dellimpero romano136. A margine della sua polemica, per certi
aspetti non molto lineare, contro il mercantilismo-colbertismo e il metallismo ad esso collegato137, Mengotti si scaglia contro le guerre di rapina, siano
esse condotte da orde barbariche o da ben disciplinate legioni civilizzatrici,
contrapposte allesaltazione del lavoro, del commercio, dellagricoltura, dellarte, della civilt: il bersaglio Roma, di cui non si salvano n let arcaica,
spesso ammirata come frugale e onesta da altri, n alcuni tra i principali personaggi della sua storia, Augusto compreso. Roma paragonata ai feroci conquistadores spagnoli che avevano saccheggiato lAmerica138. Sin dagli inizi,
135 Presentata allAcadmie des Inscriptions et des Belles Lettres di Parigi e da questa coronata
col primo premio il 14 novembre 1786, e pubblicata, in traduzione italiana, nel 1787 a Padova. Mengotti
pubblic anche una Memoria dal titolo DellOracolo di Delfo nelle Memorie dellImperiale Regio Istituto del Regno Lombardo-Veneto 1 (1819), pp. 263-300, in cui sosteneva esser lOracolo in questione
niente pi che uno strumento politico in mano ai governi delle citt greche.
136 F. Venturi, Settecento riformatore, V.2, Torino 1990, p. 436 s.; E. Gabba, Francesco Mengotti e la
polemica sul commercio, in Id., Cultura classica, pp. 63-72, qui a p. 68.
137Il Mengotti stesso fu autore di una Dissertazione intitolata Il Colbertismo, ossia della libert di
commercio de prodotti della terra, presentata alla Reale Societ Economica Fiorentina detta de Georgofili e da questa coronata il 13 giugno 1792, pubblicata a Venezia nel medesimo 1792, ora agevolmente
disponibile nella ristampa anastatica Napoli 1977 (Bibliopolis). Il colbertismo si fondava sullidea che la
prosperit e la potenza di un paese e dei suoi abitanti fossero legate alla massa di metalli preziosi disponibili. Tale massa, essendo ritenuta stabile a livello mondiale, andava accresciuta ricorrendo a misure protezionistiche, incrementando le esportazioni e diminuendo le importazioni: per far ci, la produzione nazionale doveva abbracciare il pi alto numero possibile di settori merceologici e raggiungere in essi standard
qualitativi particolarmente elevati, s da sbaragliare ogni concorrenza. Ne avrebbero sofferto la libera circolazione delle merci e lagricoltura. Sulla non perfetta linearit del pensiero mengottiano al riguardo vd.
L. Iraci Fedeli, Letture di economisti italiani dei secoli XVIII e XIX: Francesco Mengotti e il Colbertismo,
in Studi sulla storia economica dellItalia moderna (Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, II),
Milano 1959, pp. 560-594. Sul Mengotti vd. anche O. Nuccio, Nota per una storia dellindustrialismo: il
contributo di Francesco Mengotti (1749-1830), Rivista di Politica Economica 69 (1979), pp. 1143-1153;
D. Bano, in Storia della cultura veneta, edd. G. Arnaldi - M. Pastore Stocchi, V.2, Vicenza 1986, pp.
418-420; F. Venturi, Settecento, pp. 441 ss.; A. Marcone, Le proposte di restaurazione del porto di
Aquileia alla luce del dibattito sul commercio, in La ricerca antiquaria nellItalia nord-orientale dalla Repubblica Veneta allUnit, a cura di M. Buora - A. Marcone, Trieste 2007, pp. 95-120, spec. pp. 95-98.
138 Iraci Fedeli, Letture, p. 567. Gi il de las Casas, nella Historia de las Indias (1561, anche se
pubblicata, parzialmente, solo nel 1875), aveva evocato linferno del Per, che con la moltitudine di
quintali doro ha impoverito e distrutto la Spagna (ibid., p. 566).

Roma, Etruschi e Italici nel secolo senza Roma

297

la storia romana sinonimo di rozzezza, arretratezza, brutalit: popolo per


cinque secoli (dalla fondazione alla vigilia della prima guerra punica) rapace
e spietato, incolto e rozzo, senza lettere, arti, moneta in metallo pregiato, incapace di andar per mare, quasi geneticamente estraneo allattivit commerciale (commercio e cultura sono strettamente congiunti139). Il possibile spartiacque tra ci che era stato per cinque secoli e ci che avrebbe potuto essere
in seguito nel titolo stesso dellopera: la prima guerra punica. A seguito
dei contatti e dei trattati con Cartagine sin dagli inizi della repubblica, Roma
aveva avuto lopportunit di uscire dallo stato ferino in cui si trovava da secoli, essendo Cartagine descritta come una repubblica commerciale popolata
di genti attive e industriose, ma non ne fece nulla: lo spirito di conquista e di
sopraffazione, rimasto inalterato, le fece superare il primo scontro con la rivale e ne condizion la storia successiva nel senso di una scelta definitiva per
la guerra e la conquista, e di una altrettanto definitiva rinuncia al commercio
e allindustria. La storia degli ultimi due secoli della repubblica una storia
di sopraffazioni e di rapine, di violenze e di sfruttamento parassitario delle
risorse provenienti dalle conquiste. Cos, il popolo romano, divenuto rapidamente e quasi improvvisamente ricco, precipit nel baratro della dissolutezza e della mollezza, alimentate dallincessante avidit di lusso (uno dei temi
preferiti del Settecento francese), dal caos sociale, dallinevitabile impoverimento e imbarbarimento. Le guerre civili della fine della repubblica segnarono la rovina dellItalia. Con limpero ecumenico, la situazione non fece che
peggiorare: se commercio vi fu, fu unidirezionale, centripeto. La crescente
domanda di lusso orientale produsse unemorragia di metallo prezioso e il
conseguente progressivo depauperamento. Come in antico, non si tenne nessun conto dellagricoltura e delle attivit industriali manifatturiere, affidate
prima a schiavi e poi a liberti. A questo imbarbarimento economico-sociale
and di pari passo il ripiegamento culturale, meno rapido in alcune citt o
territori ancora in qualche misura vitali sotto laspetto mercantile140. Come si
pu vedere, lavversione a Roma qui non ha nulla a che fare col piccolo stato: al problema fanno piuttosto da sfondo le tensioni della storia europea e
coloniale tra XVII e XVIII secolo, con le polemiche sul mercantilismo / colbertismo e le connesse discussioni sul ruolo del commercio, assai dibattuto
in quei decenni141. La condanna di Roma riguarda unimpostazione politicoeconomica che si appoggia sul lavoro servile o paraservile. Alloriginalit e,
in certi casi, alla perspicacia della riflessione mengottiana si contrappongono
gli evidenti limiti metodologici di una ricostruzione generalizzante, che non
139Cfr.

Gabba, Francesco Mengotti, p. 64 s.


Gabba, Francesco Mengotti, p. 70 s.
141 Gabba, Francesco Mengotti, p. 63.
140

298

Giulio Firpo

sfuggirono naturalmente ai contemporanei: al gesuita Antonio de Torres,


autore di una Memoria apologetica del commercio e coltura dei Romani da
Romolo a Costantino in proposito delle asserzioni dei ch.mi Signori Mengotti
e Andrs (I-II, Venezia 1788-1791) non riusc difficile confutare con buoni
argomenti almeno alcune delle affermazioni pi esasperate del conte feltriese, rivendicando ad esempio la grande attenzione che i Romani ebbero per
lagricoltura, oltre che per il commercio stesso142.
6. Il XIX secolo si apr con la pubblicazione di due opere di notevole importanza, che per, per argomenti e connessioni, costituivano una propaggine della produzione settecentesca.
La prima il Platone in Italia di Vincenzo Cuoco, una sorta di romanzo
storico in tre volumi, pubblicati fra il 1804 e il 1806, scritto in forma epistolare che lautore finge di aver tradotto dal greco, in cui si descrive il viaggio
di Platone e del suo allievo Cleobolo in Magna Grecia e i loro colloqui col
pitagorico Archita di Taranto143. Il pi ingegnoso e il pi zelante tra i giovani apostoli vichiani della fine del Settecento, come lo definisce Croce,
cambi in tesi lipotesi sostenuta nel De antiquissima Italorum sapientia144.
Nel Platone in Italia, il protagonista, parlando con Archita, riconosce la superiorit dei regimi pitagorici magnogreci rispetto al modello di societ delineato nella sua Repubblica, ammettendo lanteriorit e lindipendenza della
civilt pitagorica magnogreca rispetto alla Grecia, sia nel campo delle istitu142

Venturi, Settecento..., pp. 437-440; Gabba, Francesco Mengotti, pp. 65-67.


vero, come stato sostenuto, che dal punto di vista letterario si avverte linfluenza di letture
come Les aventures de Tlmaque di Fnelon (1699), Le voyage du jeune Anacharsis en Grce dellabb
Barthlemy (Paris 1788) e i Voyages de Pythagore di Sylvain Marchal (1799) (Mascioli, Anti-Roman,
p. 367; Casini, Lantica, p. 248).
144 Croce, Storia della storiografia, pp. 8, 52-53. Cfr. anche Nuzzo, La tradizione, p. 30: Cuoco
ripensava il modello italico con grande sensibilit storicistica, debitrice a Vico. Secondo il Venturi,
Illuministi, p. 802, la fortuna del De antiquissima sarebbe dovuta al confuso quanto attivo nazionalismo
diffusosi a Napoli negli anni 80 del secolo decimottavo; al riguardo vd. le critiche di M. Ghelardi,
La storia dellumanit nella interpretazione di Vincenzo Cuoco, in Scritti in onore di Eugenio Garin, Pisa
1987, pp. 259-285, qui a p. 279. Sullo storicismo cuochiano, interprete di Vico ma comprendente anche
Genovesi, vd. anche M. Sansone, Romanzo archeologico e storicismo nel Platone in Italia di V. Cuoco,
in Letteratura e arte figurata nella Magna Grecia. Atti del Sesto Convegno di Studi sulla Magna Grecia,
Taranto 9-13 ottobre 1966, Napoli 1967, pp. 11-33; F. Tessitore, Lo storicismo di Vincenzo Cuoco, Napoli
1965; Id., Vincenzo Cuoco tra illuminismo e storicismo, Napoli 1971; Id., Vincenzo Cuoco e le origini del
liberalismo moderato, in LItalia giacobina e napoleonica, Milano 1985, pp. 329-369, qui a pp. 355-359;
R. Diana, Vincenzo Cuoco pensatore storico, in Vincenzo Cuoco, Platone in Italia. Sette possibili itinerari,
a cura di R. Diana, Napoli 2000, pp. VII-XXXII. Sul Platone, oltre alla bibliografia citata di seguito, vd.
anche Ghelardi, La storia; M.M. Sassi, Fra Platone e Lucrezio: prime linee degli studi di filosofia antica
nellOttocento italiano, Archivio di storia della cultura 3 (1990), pp. 165-199; F. Moriani, Esoterismi
e storie. Platone nellinterpretazione di Vincenzo Cuoco, in ODOI DIZESIOS. Le vie della ricerca. Studi in
onore di Francesco Adorno, Firenze 1996, pp. 677-688.
143Se

Roma, Etruschi e Italici nel secolo senza Roma

299

zioni civili, sia in quelli delle scienze e delle arti145. Pitagora aveva svolto la
sua opera per risollevare lItalia dalla desolazione e dalla barbarie in cui era
precipitata dopo la disintegrazione, per dissensi interni, di un primigenio stato etrusco(-italico), comunque prefigurante, nella ricostruzione letteraria, un
principio di unit politico-culturale della nazione146 (nei tempi antichissimi
() tutti gli italiani formavano un popolo solo ed il loro imperio chiamavasi etrusco)147; e Pitagora aveva ripreso questo disegno, proponendosi di
far dellItalia una sola citt148. In realt, com stato osservato149, Pitagora
non considerato da Cuoco un personaggio storicamente esistito, bens, vichianamente, un carattere poetico, unidea immaginata dai popoli italici per
dinotare un sistema di cognizioni pratiche e civili. lideale del legislatore-statista capace, ad un tempo, di venire incontro ai bisogni popolari e di
garantire il buongoverno dello stato150. Leredit della Magna Grecia pitagorica dimenticata e respinta dalle citt magnogreche dellet postpitagorica
e, dopo Archita, anche da Taranto pass al Sannio: gli stretti rapporti di
IV secolo a.C. tra Taranto e il Sannio giustificano storiograficamente questo
avvicendamento. Cos, il molisano(-sannita) Cuoco trova il modo di elogiare
virt ancestrali dei Sanniti e il loro sistema federale, elogiandoli come lunica
nazione in grado di opporsi a Roma. Nel descrivere il Sannio antico, Cuoco che aveva anche progettato un lavoro di Osservazioni sulla storia dItalia anteriore al V secolo di Roma, rimasto per frammentario ripropone lo
schema del Galanti151: esso era gi uscito dalla barbarie conseguente alla dissoluzione dello stato etrusco (forse vi si trovavano ancora solo i Romani),
cio dai vincoli feudali e dalla servit personale, e la fiorente agricoltura era
praticata da agricoltori / proprietari152. Ad Archita, tratteggiato come lin145

Casini, Lantica, p. 238.


Andreoni, Omero, p. 224 s. Sul debito di Cuoco verso lantiquaria, ibid., p. 211 s.
147Le citazioni sono tratte dalledizione a cura di F. Nicolini, I-II, Bari 1916-1924. Questa, del c.
LXV, in II, p. 157.
148C. XIV, in I, p. 74.
149 Nuzzo, La tradizione, p. 30; Cerasuolo, Mito, p. 163.
150 Cerasuolo, Mito, p. 164 s.: polemica con i repubblicani napoletani, accusati di essere stati
incapaci, nel 99, di comprendere le esigenze del popolo.
151 Tessitore, Vincenzo Cuoco e le origini, p. 331: collabor nel 1790 allultimo volume della Descrizione geografica e politica delle Sicilie del Galanti: cfr. F. Tessitore, Cuoco e Galanti, Archivio Storico delle Province Napoletane s. III, 21 (1982), pp. 257-286; Casini, Lantica, p. 248; Cerasuolo,
Mito, p. 162: anzi polemizzando molto col Grimaldi specialmente sulla propriet della terra: ibid., pp.
169-170; Giarrizzo, Vico, p. 236.
152 Cerasuolo, Mito, p. 170 s., sottolinea il carattere progettuale di questo pensiero, per risolvere
il problema feudale nel regno di Napoli; Tessitore, Vincenzo Cuoco e le origini..., p. 365, legge lesaltazione dellagricoltura nel contesto dellapprezzamento del ruolo della borghesia. Oltre che nel Platone,
questi concetti sono anche e forse meglio espressi nel saggio Lagricoltura italiana nel V secolo di Roma,
146

300

Giulio Firpo

carnazione del perfetto statista pitagorico magnogreco, corrisponde ora Attilio di Duronia, il prototipo del sannita agricoltore / filosofo, laborioso e
sobrio. Limperialismo militare dei barbari Romani e quello, meno violento
ma non meno insidioso, culturale greco posero fine a questo mirabile equilibrio, facendone sin perdere la memoria. E Cuoco fa pronunciare a Platone
un terribile anatema contro Roma153.
In questa formulazione di unipotesi unitaria ancor prima che in senso
geografico154, sul piano della ricerca di unidentit civile e culturale della
nazione tale da riunire, ad esse sovrapponendosi, le tradizioni etniche, linguistiche, culturali e filosofiche dellItalia antica155, s da creare lo spirito pubblico attraverso una ponderata e non ideologica (in senso romano)
riflessione sulle memorie antiche (si ricordi la foscoliana esortazione alle
storie) svolse certamente un ruolo non secondario il fatto che il romanzo fu composto quando Cuoco, dopo la fallita esperienza della Repubblica
Partenopea del 99156, si trovava esule a Milano, nella Cisalpina (vi rimase
tra il 1801 e il 1806), sotto lamministrazione del Melzi dEril (1800-1805),
dove svolse un certo ruolo politico-letterario157. Dopo Marengo sera costituita la seconda Repubblica Cisalpina (1800), che nel gennaio 1802 prese il
nome di Repubblica Italiana (per la prima volta!) e nel 1805 di Regno Italico; lestendersi della dominazione napoleonica in Italia, segnatamente in
Toscana e a Napoli, pot certamente favorire, almeno in alcuni, il sorgere

in V. Cuoco, Scritti vari, I, Bari 1924, p. 181 ss.: cit. in Cerasuolo, Mito, p. 168; Giarrizzo, Vico,
p. 237 s.
153C. LXIX, in II, p. 190: Rimarr un solo popolo dominatore di tutta la terra, innanzi al cui cospetto tutto il genere umano tacer; ed i superbi vincitori, pieni di vizi e di orgoglio, rivolgeranno nelle
proprie viscere il pugnale ancora fumante del sangue del genere umano; e quando tutte le idee liberali
degli uomini saranno schiacciate ed estinte sotto limmenso potere che necessario a dominar luniverso,
e le virt di tutte le nazioni prive di vicendevole emulazione rimarranno arruginite, ed i vizi di un sol
popolo e talora di un sol uomo saran divenuti, per la comun schiavit, vizi comuni, sar consumata allora
la vendetta degli di, i quali si servono delle grandi crisi della natura per distruggere, e dellignoranza
istessa degli uomini per emendare la loro indocile razza.
154LItalia del Cuoco restava pur sempre quella meridionale del regno di Napoli, estesa al precedente
stato etrusco che tuttavia non assume, nella ricostruzione cuochiana, la nettezza del profilo e la cospicuit
dei contenuti dellItalia pitagorica e sannitica.
155 Casini, Lantica, p. 251.
156 E da lui criticata nel Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, pubblicato a Milano nel
1801 (18062), in quanto imposta dallesterno, gestita da una lite molto limitata numericamente e impreparata allarte del governo ed estranea alla coscienza popolare e alle peculiarit, tradizioni, necessit reali
delle genti napoletane.
157 Tessitore, Vincenzo Cuoco e le origini, pp. 351-352; Casini, Lantica, p. 238. Da ultimo vd.
La formazione del primo Stato italiano e Milano capitale 1802-1814. Atti del Convegno internazionale,
Milano 13-16 novembre 2002, Milano 2006, e in particolare G. Ancarani, Melzi e la Repubblica Italiana
come problema storiografico, pp. 15-50.

Roma, Etruschi e Italici nel secolo senza Roma

301

di una prospettiva del tipo di quella delineata dal Cuoco158, anche se fuori dubbio, com stato ben rilevato dal Treves e da altri, che in Cuoco a ci
si accompagnasse, in modo solo apparentemente paradossale, diffidenza se
non avversione per lavventura napoleonica, che troppo da vicino ricordava
anche nei simboli lavida ferocia delle legioni romane159. Erano questi
gli anni in cui il Foscolo componeva lode A Bonaparte liberatore (1800)
dove, nel rifacimento dellottava strofa, esprimeva con chiara coscienza
il concetto dellunit delle itale genti e partecipava con entusiasmo alla
compilazione del Codice militare della Repubblica Italiana; parallelamente,
nel programma del 3 agosto 1803 rivolto al Melzi dEril, Cuoco sosteneva
che conviene avezzar le menti degli italiani a pensar nobilmente (...), far
divenire cittadini di uno Stato coloro i quali sono abitanti di una provincia o di paesi anche pi umili di una provincia. (...) Se parlasi di uomini
illustri, avezziamoli a considerar come comune la gloria di tutti gli angoli
dItalia160.
La seconda lItalia avanti il dominio dei Romani del livornese Giuseppe
Micali (1810; 18212). Micali non si cur delle questioni delle origini, giudicandole un problema inutile e assurdo: gli antichi abitatori dellItalia derivano da un popolo di cui si persa la memoria, che in un periodo di grandi
piogge cerc rifugio sui monti, cadendo in uno stato di barbarie. Quando le
acque si ritirarono, scese al piano e nelle valli, e inizi da l un processo di civilizzazione. Con alcuni aggiustamenti, si tratta, com stato opportunamente rilevato, delladattamento della teoria generale vichiana sulle origini della
civilizzazione al caso dellItalia161, anche se per altri aspetti da Vico il Micali
si allontan162. Nella sua ricostruzione del progresso degli antichi popoli italici verso forme sempre pi mature di vita sociale, civile e politica, il Micali

158 Tessitore, Vincenzo Cuoco e le origini..., p. 353: I regni napoleonici e Napoleone sembrano
a Cuoco un momento importante nella formazione della consapevolezza della coscienza unitaria della
patria italiana. Su Cuoco e Napoleone, ibid., p. 353.
159 Treves, Lidea, p. 66; Tessitore, Vincenzo Cuoco e le origini, pp. 366-367; gi Mascioli,
Anti-Roman, p. 368. Secondo il Treves, lopera intende affermare la supremazia culturale italiana rispetto alla Francia ed al resto dEuropa e pu essere considerata come un preannuncio della corrente
dorgoglio nazionale che si svilupper in tutto il primo Ottocento e che culminer nel Primato morale e
civile degli Italiani di Gioberti.
160Le citazioni dagli Scritti vari di Cuoco sono in Tessitore, Vincenzo Cuoco e le origini..., pp. 352353. Treves (Lidea, p. 66) vi legge laffermazione del diritto a unautonoma vita italiana, nella misura
in cui si adempisse al dovere di meritarla per virt propria, al prezzo dei propri eroismi e sacrifici, non
per mero godimento sonnacchioso del retaggio romano. Manzoni ebbe a dire che il Cuoco fu il primo a
scrivere che la libert non era possibile senza lunit: Tessitore, Vincenzo Cuoco e le origini, p. 352.
161Micali conosceva bene la Scienza Nuova: Mascioli, Anti-Roman, p. 375 s. e nt. 41.
162Cfr. Casini, Lantica, p. 262: cos, ad esempio, per la questione delle etimologie latine, come gi
segnal il Cuoco, ivi citato.

302

Giulio Firpo

si pone su una prospettiva giusnaturalistica e contrattualistica163: il progresso


della civilizzazione fu segnato, sul piano politico, dal formarsi di ordinamenti federativi sempre pi ampi, in cui i singoli popoli confluivano liberamente
(trattandosi di unaspirazione contrattualistica inerente alla natura umana) in
nome della giustizia universale e del reciproco vantaggio. Vi celebrata la sapienza degli Etruschi (lEtruria, sopra tutte le altre nazioni dottissima) e il
suo primato rispetto alla scuola magnogreca, importata e dunque estranea
alla cultura autoctona etrusco-italica (significativo che, come gi peraltro il
Tiraboschi e il Meiners, Micali affermasse lorigine greca e non tirrenica di
Pitagora), separando cos ci che Vico e il Cuoco avevano unito164; ma anche le altre popolazioni italiche alloscuramento e al travisamento della cui
storia avevano in pari misura contribuito le insidie della Graecia mendax e la
violenza romana partecipano dellencomio attraverso lapprezzamento della vita semplice, dellamore per la libert, dello straordinario valore guerriero
che le avevano contraddistinte. Etruschi e Italici, comunque, non erano sullo
stesso piano: nettamente inferiori, i secondi ai primi, per livello culturale e
civile e per capacit e potenza militare; il declino dellEtruria un declino
rimpianto, dacch la potenza etrusca aveva effettuata per la pi gran parte
dItalia quellunit tanto desiderata fu segnato dalla perdita delle antiche
virt conseguente alla ricchezza e al lusso: non per nulla, furono i Sanniti, e
non gli Etruschi, a cedere per ultimi ai Romani. La condanna di Roma, sin
dalle origini citt di banditi, impietosa e molto deniniana. La dominazione romana apr la strada a vizi sconosciuti e a costumi ignoti, distruggendo la
virt originaria. Per la conquista e il soggiogamento dei popoli italici, Roma
us in egual misura la spada e la perfidia di trattati fraudolenti; di fronte a
un avversario cos violento, determinato e ben organizzato, lintrinseca debolezza politica e organizzativa delle federazioni etrusca e italiche rese inutile il valore di quei popoli. Assai significativa la descrizione della condizione
degli Italici tra let graccana e la guerra sociale165.
163 Casini, Lantica, p. 264: da uno stato di eguaglianza originaria, interrotta dalla ferocia delle
passioni, al recupero di una civile convivenza attraverso lagricoltura e le arti, fino alla redazione delle
leggi e alla creazione delle istituzioni; cfr. anche Mascioli, Anti-Roman, p. 375. Sulle fonti del Micali
(Montesquieu, Rousseau, Hume, Beccaria, Verri, Smith), Casini, Lantica, p. 264.
164 Casini, Lantica, p. 264 s. Le citazioni sono tratte dalla ristampa della seconda edizione, I-IV,
Milano 1826. La frase sopra riportata tratta dal c. XXVIII della parte I (vol. I, p. 204); lorigine samia
di Pitagora nel c. VIII della parte II (vol. III, p. 152).
165 Per lesaltazione della potenza e della civilt etrusche, e per la spiegazione del loro venir meno,
vedi soprattutto i cc. X, XXVII e XXVIII della parte I (vol. I, pp. 103-140, con la frase citata nel testo a
p. 121, e vol. II, pp. 166-241), e il c. I della parte II (vol. III, pp. 1-10). Per lesaltazione degli ordinamenti
e delle virt italiche vd. i cc. I-XXVI della parte I. Sulle origini, la perfidia e la violenza dei Romani, vd.
il c. XIII della parte II (vol. IV, pp. 102-126). Sulla condizione degli Italici prima della guerra sociale, vd.
il c. XVIII della parte II (vol. IV, spec. pp. 260-272).

Roma, Etruschi e Italici nel secolo senza Roma

303

Siamo dinanzi, ancora una volta, allelogio del piccolo stato italico, culla
dellantica libert repubblicana e incompatibile col grande stato unitario, destinato al dispotismo oligarchico o alla monarchia militare166. discusso se il
leit-motiv antiromano fosse anche antinapoleonico167: non sar per un caso
se ventidue anni dopo, cessato da tempo ogni incubo bonapartista, nella sua
seconda opera storica, la Storia degli antichi popoli italiani (1832), Micali afferm di scrivere senza alcun rancore per i Greci e per i Romani, attenuando
sensibilmente i toni rispetto a quelli dellItalia168. Comunque sia, il Micali si
attir, nellimmediato, le critiche del Sismondi, che pure gli era amico, per il
mutato giudizio su Roma, e soprattutto del Niebuhr, che invece lo avversava,
sia per lantiromanesimo di fondo (che lo studioso tedesco evidentemente
consider inalterato), sia per le divergenze circa lorigine degli Etruschi169.
Il Micali fu sicuramente il pi deniniano degli scrittori postdeniniani; non
per nulla, egli frequent per qualche tempo labate piemontese a Berlino170.
Laccento posto sulla debolezza delle strutture federative richiama peraltro
temi genovesiani; si ricordi che fu ottimo amico e corrispondente di Melchiorre Delfico. In tempi recenti si assistito alla rivalutazione certamente
appropriata del suo metodo storiografico, ad opera del Treves e soprattutto del Pallottino171; e tuttavia, difficile sottrarsi allimpressione che si trat-

166

P. Treves, Lo studio dellantichit classica nellOttocento, Milano - Napoli 1962, p. 302.


Mascioli, Anti-Roman, pp. 379-380 decisamente per linterpretazione antinapoleonica, accreditata peraltro, a suo tempo, gi dal Niebuhr: Treves, Lo studio, p. 304 s. Possibilista anche Pallottino, Sul concetto, p. 773. Pi attenuato Treves, Lo studio, p. 305: Micali non fu antifrancese
n antinapoleonico: il piano dellopera era pronto, e fu presentato al Delfico gi tra il 1790 e il 1792. Il
Micali anticipava se mai, col suo libro, le critiche o le allegorie degli avversari di Napoleone. Ma senza
condividerle in proprio: o, tuttal pi, solamente nella misura in cui si sarebbe di necessit ritrovato fra
gli antibonapartisti chi serbavasi fedele alle ideologie dellilluminismo. Lutopia dello statino italiano,
lutopia nazionalistico-pitagorica del vichiano De antiquissima, come preesistevano a Napoleone e condizionarono tanto la storiografia quanto lerudizione archeologica del secolo XVIII, cos rinverdivano tra
Cisalpina e Impero ad opera precipua degli esuli meridionali, massimo il Cuoco, il quale nellopera del
Micali, tosto da lui recensita, avrebbe elogiato, forse un po a malincuore, linveramento storiografico dei
suoi propositi e delle proprie intuzioni. Ci senzaltro condivisibile; anzi, nel 1801 lopera era gi stata
scritta, secondo F. Pera, Ricordi e biografie livornesi, Livorno 1869, p. 336. Ci per non toglie la possibilit che nel periodo intercorso fino al 1810 il Micali abbia apportato variazioni o accentuato determinati
toni proprio in chiave antinapoleonica.
168 Treves, Lo studio, p. 301.
169 Treves, Lo studio, p. 304. Niebuhr, riprendendo il Frret, riteneva che i Rasenna fossero una
trib conquistatrice venuta dallesterno a opprimere i Tirreni, di stirpe pelasgica, imponendo una struttura sociale fortemente connotata nel senso della disparit e dellingiustizia. Cfr. Mascioli, Anti-Roman,
p. 377.
170 Treves, Lo studio, p. 297.
171 Treves, Lo studio, pp. XXII-XXIII, 295 ss., 298. In particolare, Pallottino, Sul concetto,
p. 772 ss. gli riconosce vastit di disegno, sistematicit e sviluppo della materia trattata, senza precedenti;
167

304

Giulio Firpo

tasse davvero di un settecentista in ritardo, come lha definito il Treves172, e


che, pi che un innovatore, egli sia stato un pur attento e diligente traghettatore173.
Nonostante il progressivo imporsi degli studi di storia greca (dal Mitford
in poi, 1784-1810) e di storia romana (dal Niebuhr in poi, 1811-1832)174,
linteresse per la storia e letnografia dellItalia antica secondo il taglio micaliano continu ad esser coltivato a lungo: si pensi, oltre al gi citato lavoro
su Atri preromana di Delfico, al Saggio sulla popolazione del Regno di Napoli
ne passati tempi e nel presente di Luca Cagnazzi (1820)175, alla Lettera Dei
primi popoli abitatori dItalia di Secondiano Campanari (Roma 1840 - Bologna 1841), e si pensi anche allimportanza della considerazione dellItalia
preromana in scrittori come il Balbo, il Cattaneo e il Vannucci. Nel 1836,
larcheologo torinese Carlo Promis pubblicava un giovanile (era nato nel
1808) quanto fortunato volume dal titolo Le antichit di Alba Fucens negli
Equi, nel quale le mura della colonia latina erano attribuite a una precedente collaborazione pelasgico-aborigena176. A questo approccio metodologico
fecero peraltro da pendant alcune pesanti rivisitazioni dellantica sapienza
italica, con la partecipazione degli Etruschi, di Pitagora e magari anche di
Numa, nobilitate dallidea di una missione civilizzatrice affidata alla stirpe
italo-pelasgica progenitrice dei Greci e dei Romani, quali lopera di Angelo Mazzoldi, Delle origini italiche e della diffusione dellincivilimento italiano
allEgitto, alla Fenicia, alla Grecia e a tutte le nazioni asiatiche poste sul Mediterraneo, 1840177, e, di l a qualche anno (1846) con argomenti analoghi ma
con ben altra rilevanza e diffusione, anche per essere il manifesto del neoguelfismo il Primato morale e civile degli Italiani di Vincenzo Gioberti178.
metodologia critica nel vaglio delle tradizioni antiche; impiego dei dati archeologici ed epigrafici come
fonte di storia (il sussidio dei monumenti accanto allautorit degli scrittori).
172 Treves, Lo studio, p. 296.
173Cfr. Treves, Lo studio, p. 299: Micali fu storico agguerrito e provetto dItalia, seppure neanche nel taglio e nella struttura disgiunga larcheologia, le antichit, il descrizionismo antiquario dalla
narrazione continuata, e quasi affidi, quindi, e tramandi alla meditazione del secolo il problema storiografico di questalternanza o antitesi; e a p. 295 lo giudica un anello di congiungimento fra lerudizione
provinciale-paesana del 700 e la storiografia del suo secolo e del successivo.
174 Pallottino, Sul concetto, p. 774 ss.
175Ove si celebra la floridezza del meridione dItalia prima desser soggiogato dai Romani, descritti
malissimo moralmente: Croce, Storia della storiografia, cit., p. 111.
176 D. Liberatore, Alba Fucens. Studi di storia e di topografia, Bari 2004, p. 32 s.
177A cui fece seguito un vivace scambio dopinioni con Aurelio Bianchi-Giovini: Sulle origini italiche
di Angelo Mazzoldi, Milano 1841; Risposta di Angelo Mazzoldi alle osservazioni di A. Bianchi Giovini sulle
origini italiche, Milano 1842. Sul Mazzoldi vd. Croce, Storia della storiografia, pp. 53-54: Sotto specie
di istoria, un non istorico romanzo, grossolano eppur accolto con gravit; e ora Casini, Lantica, p.
269 ss.
178Su cui vd. da ultimo Casini, Lantica, p. 272 ss.

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