Sei sulla pagina 1di 31

1 Pubblicato in Laville e Mingione (a cura di), La nuova sociologia economica. Prospettive Europee, Numero di Sociologia del Lavoro, N.

73, 1999, pp.15-47

Enzo Mingione, Universit di Padova. Gli itinerari della sociologia economica in una prospettiva europea.
1. A partire da un intreccio complicato. Parlare di sociologia economica in prospettiva europea significa affrontare questioni diverse ma interconnesse tra loro. In linea di massima, il lavoro dei sociologi economici incrocia due problematiche: quella teorica e metodologica, che mette a fuoco la diversit di impostazione dei sociologi rispetto agli economisti nellinterpretare i significati dei comportamenti economici in termini di utilit, competizione e cooperazione; e la problematica sostantiva, orientata allinterpretazione dei cambiamenti che caratterizzano la vita economica contemporanea. Nel caso europeo, a questo intreccio, gi sufficientemente complicato, dovremmo aggiungere almeno qualche cenno sul possibile impatto del processo di integrazione comunitaria sul piano teorico si pensi alla questione della regolazione economica prodotta dagli Stati nazionali - e su quello sostantivo si pensi alla necessit di armonizzare i programmi del welfare. Il dibattito sui parametri per linterpretazione dei comportamenti economici stato molto vivace nellultimo ventennio, soprattutto a partire dagli Stati Uniti1, al suo interno si sono sviluppati nuovi paradigmi teorici, dal capitale sociale allembeddedness passando per lapprofondimento delle forme di regolazione delleconomia e delle modalit di costruzione e di impatto delle istituzioni economiche. stato ripreso il contributo critico di Karl Polanyi (1974; 1983), quasi completamente ignorato nel periodo doro dello sviluppo fordista. Si aperto un confronto, non facile da delimitare con precisione anche perch travalica i confini disciplinari, tra correnti che sono pi o meno legate ai parametri dellazione razionale e della teoria dei giochi e tutta una serie di linee critiche che contestano lautonomia epistemologica dellutilit individuale come fonte di spiegazione dei comportamenti2. Per queste ragioni si parla di nuova sociologia economica. Ma nel caso europeo il termine potrebbe essere improprio sia perch la vecchia sociologia economica strutturalfunzionalista (Granovetter, 1998) non si diffusa, sia perch, come fa notare Regini (1996) a proposito del caso italiano, le analisi sociologiche delleconomia, pur numerose e di grande interesse analitico, non hanno prodotto innovazioni teoriche rilevanti allinterno del dibattito contemporaneo.
1

Vedi per esempio i saggi raccolti in Granovetter e Swedberg (1992) o i profili dei principali interpreti dei nuovi approcci allo studio dei fenomeni economici raccolti in Swedberg (1990). 2 Si vedano in questo stesso numero della rivista i saggi di Magatti e di Rizza per una serie di riferimenti puntuali al dibattito, oltre a quello di Swedberg per un inquadramento generale.

Per fare solo un esempio, lanalisi degli economisti e dei sociologi italiani3 dei distretti e dei sistemi territoriali fondati sulle piccole imprese utile sia nella prospettiva del capitale sociale, sia in quella dellembeddedness, sia in quella della variet delle forme di regolazione sociale delleconomia. I risultati di questo filone di ricerca sono stati ripresi da lavori americani per elaborare i concetti di second industrial divide (Sabel e Piore, 1987) o di civicness (Putnam, 1993) ma, con qualche eccezione4, non sono stati direttamente coinvolti nel dibattito teorico che ha avuto luogo ad un livello piuttosto astratto. Inoltre, anche per ragioni di perifericit linguistica5, i contributi teorici francesi (ad esempio, i concetti di capitale sociale e di habitus elaborati da Bourdieu), tedeschi (si pensi ai contributi di Offe sul mercato del lavoro) ed italiani (per esempio, la riflessione di Mutti sulla fiducia) sono rimasti al margine del dibattito teorico. La ripresa dellattenzione sociologica rispetto alleconomia e le sue innovazioni teoriche coincidono con grandi cambiamenti: una transizione da organizzazioni standardizzate tipiche dei regimi industriali incentrati sulle fabbriche manifatturiere e sulla regolazione dello Stato nazionale verso forme organizzative disomogenee e articolate, nelle quali assumono importanza diversi tipi di reti di socialit, regimi finanziari globali instabili e mobili, processi di flessibilizzazione ed eterogeneit delle biografie familiari e lavorative, e una frammentazione degli orizzonti che sfugge al controllo delle tradizionali autorit regolative. La coincidenza non casuale e va esplorata per dare uno spessore storico alla interpretazione sociologica della economia, evitando cos di ridurla a una moda o a una scoperta al di fuori del tempo. Infine vi la questione dellintegrazione europea. Questa la principale specificit con cui si confrontano studiosi e politici europei. Di fronte alla costruzione dellUnione, la persistenza delle differenze e i processi di convergenza assumono significati particolari che si riflettono anche nella sensibilit dei contributi teorici ed analitici. Non un caso che sociologi e politologi in Europa concentrino la loro attenzione sui modelli di welfare6, attenzione che quasi assente al di fuori del continente. Ma vi sono altre importanti tematiche che assumono un rilievo particolare nellambito del processo di integrazione europea. Faccio due esempi: il campo di tensione tra regolazione finanziaria
Tra i principali vedi Paci (1980), Bagnasco (1977), Bagnasco e Trigilia (1984; 1985), Becattini (1989), Brusco (1986; 1991), Pyke, Becattini e Sengerberger (1991). 4 Una delle eccezioni pi rilevanti rappresentata dalla riflessione avviata da Bagnasco a partire dai suoi lavori di ricerca sulle peculiarit dello sviluppo di piccola impresa italiano (1988), con il tentativo di recuperare, anche a livello teorico, la rilevanza economica di fattori non economici nel processo di sviluppo della terza Italia. 5 Portes (1998) fa notare esplicitamente limportanza della perifericit linguistica a proposito dellimportante contributo di Bourdieu (1980) sul capitale sociale. Because they were in French, the article did not garner widespread attention in the English-speaking world (Portes, 1998, p.3). 6 La letteratura europea sul welfare estremamente vasta; tra i lavori pi significativi dellultimo decennio meritano di essere ricordati Esping-Andersen (1990, 1994, 1999), Ferrera (1993 e 1998), Paci (1989), Leibfried (1992). Ad oggi lunico importante momento di incontro tra il dibattito sulla nuova sociologia economica e la letteratura sui sistemi di welfare rappresentato dal capitolo scritto da Esping-Andersen per The Handbook of Economic Sociology (Smelser e Swedberg, 1994).
3

europea (a partire dai parametri di Maastricht) e politiche sociali che perseguita il dibattito intellettuale e politico sin da prima che venisse introdotta la moneta unica; la questione della sussidiariet e della gerarchia tra autorit regolative, dove non solo in gioco il ridisegno del significato economico della sovranit nazionale, ma anche innumerevoli problemi legati alle specificit locali (lEuropa delle Regioni). Per non appesantire la traccia di questo articolo non riprender pi la questione europea, ma nella parte conclusiva cercher di collegare le problematiche dei sistemi di welfare con i parametri teorici della nuova sociologia economica. Queste generiche osservazioni iniziali sulla complessit del punto di vista della sociologia economica sono, in una certa misura, necessarie perch contribuiscono a storicizzare interpretazioni e fenomeni e a mettere a fuoco le differenze culturali e sociali che caratterizzano i comportamenti economici. Storicit e diversit s ono al centro delle interpretazioni sociologiche delleconomia in polemica con i paradigmi forti degli economisti7, incentrati piuttosto sullutilit individuale come matrice universale per la comprensione dei comportamenti umani nellera industriale. Su questo fronte, soprattutto su quello della storicizzazione, dove ci si deve confrontare con metodi e dati storiografici che sono qualitativamente differenti rispetto a quelli abituali degli scienziati sociali catene complesse di eventi anche, almeno in parte, casuali -, persiste una contraddizione di fondo (Arrighi, 1986). Diversit e storicit costituiscono dei limiti rispetto alla costruzione di paradigmi interpretativi a partire dalla conoscenza empirica, cio ad elaborare teorie con un elevato potenziale di generalizzazione dei risultati delle indagini e di previsione delle tendenze. La sociologia economica non sfuggita a questa difficolt che si riflette sia in costruzioni teoriche eccessivamente astratte, e quindi ambivalenti e confuse - come embeddedness e capitale sociale - , sia in analisi di situazioni specifiche con una portata teorica rimasta inespressa. In questo articolo seguir una traccia inconsueta sia per non soffermarmi troppo su questioni astratte sia per evitare ripetizioni con argomenti approfonditi in altri saggi inclusi in questo stesso numero della rivista. Dopo un rapido excursus nella storia del pensiero sociale per mettere a fuoco come si sono sviluppate le differenze nelle costruzioni paradigmatiche di sociologi ed economisti, esplorer la questione teorica a partire dal contributo di Weber in chiave critica rispetto alleconomicismo. Successivamente mi soffermer sullanalisi dellesperienza della terza Italia nellottica di rintracciare indicazioni utili al dibattito su embeddedness e capitale sociale e concluder introducendo la questione della diversit dei sistemi di welfare nel quadro teorico della nuova sociologia economica. Innanzitutto, si pu dire che la netta divisione del lavoro tra economia e sociologia relativamente recente. Anche se alle origini di due diversi modi di vedere il comportamento sociale c probabilmente la rivoluzione epistemologica neoclassica con lespulsione delle condizioni di vita e di

riproduzione sociale dal campo di interesse degli economisti (Picchio, 1991) - rivoluzione che si approfondisce ulteriormente con la maturazione delleconomia marginalista -, una chiara diversificazione non prende corpo fino al periodo tra le due guerre mondiali, quando in economia matura la conversione keynesiana e in sociologia si diffonde lo struttural-funzionalismo di Parsons e il contributo della scuola di Chicago. Nel periodo precedente non solo non si pu parlare di sociologia economica, ma i confini tra le due discipline sono fluidi. Si pensi, tra gli altri, ai contributi di Marx, Pareto, Weber, Schumpeter. Solo questultimo inizia a riflettere esplicitamente ad unipotesi di divisione del lavoro specializzata tra le due discipline che creerebbe uno spazio per la sociologia economica8, pur continuando a lavorare in entrambi i campi. La formalizzazione dei confini disciplinari non pu prescindere da due fenomeni interconnessi tra loro: la sistematizzazione disciplinare operata da Keynes sul fronte delleconomia e da Parsons su quello della sociologia e lo sviluppo delle societ industriali mature, del fordismo o meglio del welfare capitalism. In un clima9 di societ organizzata, orientata verso la standardizzazione, e di crescente specializzazione disciplinare al servizio di obiettivi di crescita economica, di sviluppo della produttivit industriale e di controllo sociale, la costruzione di confini definiti tra economia e sociologia diventa un obiettivo cogente. In questo senso, la vecchia sociologia economica si connette solo indirettamente con i contributi classici ed tutta compresa nellimpostazione sistemica di Parsons, cio nello schema AGIL e nella versione funzionalistica della teoria della socializzazione10. Vediamo ora in che senso la sistemica funzionalista disegna la divisione del lavoro tra sociologia economica ed economia per poi mettere meglio a fuoco le tematiche al centro del dibattito attuale.

2. Dalla vecchia alla nuova sociologia economica. Nellambito del sistema sociale struttural-funzionalista lazione economica tipica della sfera delladattamento allambiente, si orienta cio allacquisizione e allocazione di risorse scarse. Gli economisti presuppongono un orientamento omogeneo e universale verso preferenze utilitaristiche,
7 8

Su questo vedi le riflessioni di Salvati (1994) e la bibliografia da lui citata. Questidea sostenuta da Schumpeter (1954) nella Storia dellanalisi economica, dove argomenta che gli economisti si occupano di meccanismi economici mentre i sociologi economici studiano le istituzioni economiche. La suddivisione non pienamente chiarita ma sembrerebbe implicare che gli economisti, allopposto dei sociologi, si occupano di fenomeni dove non entrano in gioco forme di regolazione istituzionale. 9 Questo clima riguarda soltanto le societ industriali avanzate, il che aiuta a spiegare perch leconomia keynesiana e la sociologia funzionalista non hanno contribuito efficacemente alla comprensione delle societ meno industrializzate, dove sono maturate in anticipo interpretazioni fortemente critiche rispetto ai paradigmi dominanti nelle scienze sociali (tra gli altri, Samir Amin, 1976; Cardoso e Faletto, 1979; Frank, 1967). 10 Lo sviluppo della teoria della socializzazione legato ai parametri funzionalistici con i quali vengono interpretate le modalit di trasmissione delle regole della vita sociale. Ma oggi pu essere importante la socializzazione in direzioni diverse, sia a partire dai parametri interattivi, riflessivi e conflittuali del processo storico in base ai quali diverse coorti sottoposte a differenti esperienze storiche maturano propensioni diverse, sia in direzione delladattamento di abitudini e culture che, ad esempio, possono predisporre o meno a determinati comportamenti economici, come liniziativa imprenditoriale o lo spirito innovativo o la capacit di imitare e cos via.

mentre i sociologi delleconomia spiegano come norme, istituzioni e il processo di socializzazione, tutti orientati allequilibrio del sistema sociale11, precostituiscano scelte ottimali e standardizzate a partire da ambiti culturali e sociali differenti. La divisione del lavoro tra economisti e sociologi assume un significato paradossale. La visione asociale degli economisti complementare con quella sovrasocializzata dei sociologi (Granovetter, 1998; 1991). Infatti questi ultimi spiegano come, a partire da differenze sociali e culturali che possono anche persistere se si adattano allo sviluppo della societ industriale, istituzioni, norme e processi di socializzazione costruiscano condizioni omogenee di preferenza economica individualizzata. Le condizioni complesse e variabili della cooperazione come matrice dei comportamenti economici, condizioni che costituiscono il problema chiave di confine tra i punti di vista di sociologia ed economia, si adattano alle opportunit offerte dalla competizione economica atomizzata. Il processo di costruzione storico-sociale delladattamento inteso, in linea di massima, come una evoluzione che elimina quelle abitudini e tradizioni che potrebbero ostacolare lo sviluppo industriale. Il contributo teorico parsonsiano ben pi complesso di quanto non emerga dalla nostra lettura, ma questa versione schematica consente di mettere in luce gli elementi fondanti della teoria funzionalista della modernizzazione. Il successo complementare delleconomia keynesiana e della sociologia funzionalista (nel nostro caso, la vecchia sociologia economica) strettamente legato alle caratteristiche delle societ industrializzate durante la fase fordista, soprattutto nei contesti anglosassoni. qui infatti che prevale in maniera pi netta il regime organizzativo dei grandi complessi industriali e terziari, integrati verticalmente, il consumismo e la diffusione del credito a favore del consumatore, e unaccentuata proletarizzazione e concentrazione economica con la scomparsa delle piccole imprese familiari e dei lavoratori autonomi12. In questa fase storica, lenfasi organizzativa, lespansione dellintervento pubblico a favore della domanda aggregata in combinazione con saggi di crescita elevati, standardizzazione e consumismo sembrano confermare, sia sul fronte economico che su quello sociologico, la validit delle visioni complementari. Le diversit delle modalit di cooperazione

11

Parsons, come molti sociologi a partire da Durkheim, critico nei confronti dellindividualismo utilitaristico ma allo stesso tempo attratto dal concetto di equilibrio generale. Nella visione parsonsiana questultimo non prodotto dal gioco della competizione di mercato ma dalla ottimizzazione prodotta dal sistema sociale, a partire dalle norme di comportamento, dalle istituzioni sociali e dai ruoli. Di qui linterpretazione sovrasocializzata dei comportamenti economici. 12 Negli USA, ad esempio, solo in tempi recenti si riscoperta limportanza che hanno continuato ad avere limprenditorialit etnica e le piccole imprese familiari tra le popolazioni immigrate e le minoranze e per un periodo piuttosto lungo non si prestata alcuna attenzione scientifica ed analitica alla questione dello spirito imprenditoriale, anche se questo, paradossalmente, restava al centro del mito americano. Ancora oggi, uno dei pi innovativi contributi di analisi storico-sociale sul lavoro (Tilly e Tilly, 1998) concentra lattenzione sul lavoro dipendente, lasciando relativamente in ombra la persistenza e i mutamenti nel lavoro autonomo e nelle piccole imprese.

e degli ambiti e modi di vita persistono, ma sono subordinati ai processi di adattamento omogeneo che la sociologia della modernizzazione preconizza. Passa inosservato il fatto che in questo schema di divisione del lavoro i sociologi subiscono volontariamente un ruolo ancillare. Le variabili indipendenti sono date dal gioco delle opportunit economiche di competizione razionale sulle quali lavorano gli economisti, gli esperti di innovazione tecnologica e organizzativa e, sempre di pi, i consulenti di politica economica, mentre spetta ai sociologi spiegare come i processi di adattamento e socializzazione precostituiscano le condizioni ottimali eliminando tutte quelle caratteristiche ostative che vengono bollate con il termine arretratezza. Allinterno di questo assetto non ci pu pi essere nessun Pareto, che annoiato di fare leconomista, si mette a scrivere un trattato e a insegnare Sociologia. Al contrario, gli economisti mainstream accusano con disprezzo i propri colleghi pi sensibili alle questioni sociali e pi critici rispetto ai paradigmi forti della modernizzazione e dello sviluppo lineare di essere in realt dei sociologi. Ma questa la parte meno interessante del nostro itinerario, che invece si concentrer sulle condizioni della transizione teorica verso la nuova sociologia economica. I punti di partenza della transizione sono due. In primo luogo, la combinazione vincente tra economia keynesiana e sociologia parsonsiana, costruita sulle caratteristiche reali delle societ industriali pi avanzate durante la fase fordista, non regge alla prova delle trasformazioni postfordiste su nessuno dei due fronti. In secondo luogo, il processo di rinnovamento teorico della sociologia ha contenuti e livelli di formalizzazione diversa negli Stati Uniti e in Europa, proprio perch nella cultura europea la sintesi funzionalista non stata dominante, e quindi non appare necessario un dibattito teorico per contestarla e formulare nuovi paradigmi teorici. Nella sociologia europea c invece una relativa continuit con le tradizioni classiche di Marx, Durkheim e Weber. la ricerca empirica a focalizzare lattenzione su fenomeni e costruzioni nuove i distretti industriali e i contesti caratterizzati da un numero elevato di piccole imprese innovative, le articolazioni dei welfare mix, la crescente importanza delle reti di socialit, del terzo settore e delleconomia sociale, la diffusione di lavoro ed economia informale e cos via. Prima di discutere i parametri della nuova sociologia economica concentrando lattenzione sugli spunti che possono essere tratti dagli studi sulla terza Italia, vale la pena di ripercorrere la questione teorica a partire dal contrasto tra interpretazioni economicistiche e visioni dove la diversit culturale e sociale gioca un ruolo fondamentale nella spiegazione delle preferenze economiche. In questa direzione mi sembra interessante ripartire da Weber, prima ancora che da Polanyi, come si fa abitualmente, e soffermarsi su una lettura metodologica di LEtica protestante e lo spirito del capitalismo. Questa operazione ci consentir di arrivare alle attuali problematiche di ricerca con una idea pi precisa delle divisioni interpretative che sono in gioco.

3. Alle origini dello spirito del capitalismo: una esplorazione sociologica esemplare. La questione di fondo in discussione quanto e come lhomo oeconomicus moderno sia condizionato da legami sociali nei suoi comportamenti economici, aldil del calcolo razionale del massimo vantaggio con il minimo sforzo in una competizione atomizzata, cio se si possa o meno assumere la irrilevanza di fattori sociali che disturbano il calcolo stesso. Leconomia neoclassica, eliminando il riferimento allimportanza delle condizioni di vita della popolazione, propone un paradigma forte fondato sullassunto che le diversit sociali e culturali, per quanto persistenti, siano irrilevanti nellinfluenzare lazione economica. Per fare un esempio di questo passaggio si pensi alla diversit che intercorre tra Adam Smith e Malthus nellaffrontare il problema delle condizioni sociali e demografiche di vita dei lavoratori. Per Smith costituisce un problema la possibilit che una quota di potenziali lavoratori resti esclusa dalla competizione di mercato perch non nelle condizioni minime di competere, non si possa cio presentare sul mercato del lavoro perch non possiede le scarpe e una camicia. Per Malthus le condizioni di vita sono subordinate alla legge ferrea del mercato e quindi gli eccessi di offerta di lavoro si riflettono inevitabilmente in crisi sociali che restano sullo sfondo di economia e politica. Il rovesciamento di impostazione chiaro: per Smith le condizioni sociali originarie sono determinanti rispetto al gioco delleconomia, mentre per Malthus il gioco del mercato, come variabile indipendente insensibile a condizionamenti sociali e culturali, a produrre effetti sul sistema sociale, nel caso specifico sui destini demografici delle popolazioni fino a un possibile disastro. Alle condizioni dei neoclassici, quindi, si pu interpretare lazione economica allinterno dei parametri dellutilitarismo individuale atomizzato. La formalizzazione marginalista e matematica porta alle estreme conseguenze lassunto neoclassico di asocialit dellattore economico postulato dagli economisti. Anche il disegno keynesiano, pur spostando lattenzione sulla domanda, e quindi sulle politiche economiche ma non sulle condizioni sociali, ribadisce lo stesso assunto argomentato dagli economisti neoclassici a partire dalla priorit teorica dellofferta. La spiegazione del comportamento economico si esaurisce nellutilit individuale, le modalit di cooperazione sono spiegate dai vantaggi che ottengono gli attori e non da legami sociali e culturali di altra natura, che esistono ma sono irrilevanti per spiegare le preferenze economiche degli attori. Questo il quadro nel quale mi interessa inserire il contributo di Weber13.

13

In questo quadro poi interessante lexcursus sviluppato in questo stesso numero della rivista rispettivamente da Magatti e Rizza sui parametri delle visioni istituzionaliste perch complicano la storia sia sul versante economico che su quello sociologico.

In un certo senso lEtica protestante rovescia lassunto economicistico dellutilit individuale14. Questo aspetto non stato sufficientemente sottolineato sia perch non del tutto coerente con il Weber di Economia e Societ al quale si ispirano importanti filoni di dibattito nella sociologia economica sia perch rimasto nellombra delle polemiche con gli storici marxisti e indebolito dai limiti dellindagine specifica. Seguiamo brevemente lo schema teorico-metodologico del contributo. Per Weber, lo spirito del capitalismo, la propensione a comportamenti economici tipici del capitalismo moderno, non si esaurisce in un desiderio di arricchimento ma dato da una combinazione complessa, da una parte, di austerit di vita per favorire il reinvestimento delle ricchezze rispetto ai consumi cospicui del mercantilismo e, dallaltra, di beruf, responsabilit professionale e sociale. Nel capitalismo non c solo la dolcezza dellarricchimento mercantile15 ma anche, e soprattutto, il rigore morale di austerit e responsabilit che non sono spiegabili nellambito di un puro calcolo ra zionale del massimo vantaggio con il minimo sforzo. A questo punto le condizioni culturali e sociali sono fondamentali per comprendere il comportamento economico e, nel caso specifico, entra in gioco letica protestante. importante appunto qui insistere sulla portata di questo contributo di Weber in termini di critica paradigmatica alleconomicismo, senza lasciarsi distrarre dalle polemiche sui limiti della indagine. In altri termini la questione importante che il comportamento economico moderno, a partire da quello dellimprenditore, non si pu comprendere facendo esclusivo riferimento allutilit individuale dellattore, ma bisogna prendere in considerazione le caratteristiche sociali e culturali, costruite in maniera diversa dai processi storici, che predispongono lattore a determinate scelte piuttosto che ad altre. Quanto appena detto tocca un punto nevralgico del dibattito metodologico nelle scienze sociali, punto sul quale non mi soffermer diffusamente, ma che necessario menzionare perch coinvolge in pieno i concetti della nuova sociologia economica, soprattutto lembeddedness. Il richiamo alla costruzione storica di ambiti diversi di comportamento, nello specifico lidea che i protestanti siano stati predisposti diversamente alle scelte economiche rispetto ai cattolici, sposta lattenzione metodologica dalla motivazione immediata dellazione (che loggetto delle metodologie individualistiche e micro) ai processi che predispongono la diversit degli

14

Anche per Marx le origini del capitalismo europeo o di mercato non dipendono solo dalla logica interna dei vantaggi che comportano le nuove modalit produttive. Cos quando Marx delinea la sua teoria dellaccumulazione originaria insiste sul fatto che per imporsi il capitalismo di mercato deve ricorrere a interventi distruttivi (come le enclosures o il colonialismo) per eliminare le forme di organizzazione sociale tradizionali. Queste ultime non scompaiono automaticamente per il solo fatto che sono meno convenienti e arretrate, ma vengono disabilitate con luso della forza. Anche qui c una possibile pista critica nei confronti delleconomicismo. 15 Il paradigma del mercato il prodotto di visioni ottimistiche sulla emancipazione dell'uomo da miti, costrizioni, pregiudizi e tradizioni ad opera del doux commerce (Hirschman, 1987), pratica universale fondata sugli interessi individuali del libero homo oeconomicus che considerata dolce perch comporterebbe grandi vantaggi in termini di risorse e condizioni di vita senza la contropartita di forti sacrifici. (Mingione, 1997, p.23)

ambiti di comportamento (che modalit tipica delle impostazioni macro e strutturaliste). In questo senso, il Weber dellEtica si avvicina ad impostazioni strutturaliste. Weber, pur importando nella sociologia lindividualismo metodologico e difendendo una visione della modernit centrata sulla razionalizzazione16, non crede che si possa comprendere il significato dellazione economica a partire soltanto dal tornaconto individuale, e quindi isolare i comportamenti economici da condizioni sociali e culturali che predispongono preferenze e modalit di cooperazione ed interazione economica. La connessione ideal-tipica tra etica protestante e spirito del capitalismo una delle molte possibili matrici storico-sociali che possono spiegare il comportamento economico aldil del tornaconto individuale, che comunque non mai da solo sufficiente a spiegare le azioni economiche. Qui vi sono numerosi esempi di come la lezione weberiana sia stata seguita implicitamente dalla sociologia economica europea. In particolare ritorneremo solo sul caso della letteratura sulla terza Italia, dove si insistito sulle caratteristiche culturali e sociali locali piccola conduzione agricola e cultura mezzadrile, stabilit sociale da immigrazioni ed emigrazioni, omogeneit culturale e politica, e cos via come condizioni che predispongono al successo dei sistemi innovativi di piccole imprese. Allinterno del contributo complessivo di Weber possono essere quindi individuate due linee diverse - una ispirata allEtica e laltra ad Economia e Societ - che andranno a caratterizzare, anche se confusamente, tutto il dibattito interno alla sociologia economica. A partire da quanto abbiamo appena sostenuto sul paradigma dellEtica, si pu dire che tutti i comportamenti economici debbano essere intesi allinterno di un processo di costruzione storico-sociale che li predispone secondo modalit diversificate, e quindi sono condizionati da culture, appartenenze e ambienti sociali diversi. Al paradigma dellEtica pu essere fatta risalire anche la teoria dellembeddedness, dove lincorporazione dellazione economica nella sfera dei rapporti sociali contesta il valore euristico esclusivo dellutilit individuale che, da sola, non sarebbe in grado di spiegare nessun comportamento economico17. Nella versione proposta da Granovetter (1994 e 1998), lapproccio eredita anche la tensione weberiana tra lenfasi micro sulle motivazioni del comportamento individuale e la necessit di ricostruire in qualche modo le condizioni e i fattori storico-sociali che diversificano il campo delle possibili scelte a disposizione in una ottica, quindi, pi macro e strutturale. Pi direttamente il ragionamento specifico dellEtica coerente con la teoria schumpeteriana della imprenditorialit, che costituisce forse un caso limite allinterno della nostra storia sia perch non ha una chiara collocazione disciplinare nella sociologia o nelleconomia sia perch, pur essendo un
16

Questa visione daltra parte, pur in termini e con modalit differenti, largamente condivisa da tutto il pensiero sociologico, nel senso che si riconosce il passaggio da societ dominate da appartenenze collettive e da pregiudizi metafisici a societ individualizzate orientate allauto-realizzazione e allutilit individuale.

10

contributo riconosciuto come fondamentale, non stato successivamente ripreso e sviluppato18. Le propensioni imprenditoriali al rischio e allinnovazione non si possono comprendere esclusivamente a partire dal desiderio di arricchimento, ma da una combinazione tra condizioni storico-sociali e gioco specifico di esperienze biografiche in un ambiente dato. In questa prospettiva scompare specificamente letica religiosa, che ha fuorviato il dibattito perch non stata intesa (correttamente) soltanto come un idealtipo esemplare, e lattenzione viene indirizzata anche sulle micro-condizioni di genesi dei comportamenti economici. Il ragionamento si pu estendere ben oltre limprenditorialit a partire dallidea che la molla utilitaristica non mai una spiegazione autonoma. La prima parte del ragionamento schumpeteriano, quella relativa allambiente sociale strutturale originario, verr implicitamente ripresa, ad esempio, dai contributi sui sistemi di piccole imprese, sullimprenditorialit etnica e sui nuovi imprenditori delle alte tecnologie19. La parte relativa alla costruzione biografica delle propensioni sociali a certi comportamenti economici resta in ombra, pur essendo un passaggio importante della critica alleconomicismo. Dallo stesso paradigma weberiano dellEtica pu essere fatta discendere, almeno in parte, anche la visione sovrasocializzata di Parsons, che insiste su un indirizzo unico, funzionale ed evolutivo del processo di condizionamento sociale dellazione economica nellambito di una forzatura della tesi della razionalizzazione come matrice sistemica dominante della modernizzazione, ben aldil delle tensioni e dei conflitti individuati da Weber20. In un certo senso si pu dire che la sintesi parsonsiana si ispira al paradigma dellEtica per costruire proprio la matrice strutturale della sistemica funzionalista.
proprio per questa ragione che Granovetter (1991) rivendica la coerenza della teoria dellembeddedness anche con la matrice weberiana oltre che con il riferimento scontato a Polanyi. 18 Lo scarso impatto avuto dalla teoria schumpeteriana dellimprenditorialit pu essere in parte spiegata dalla sua collocazione storica, contemporanea allemergere della grande impresa guidata da manager e con capitale distribuito ad azionariato diffuso, soprattutto negli Stati Uniti. Sorprende per che Schumpeter, a differenza di Marshall e Polanyi, non sia ritornato di moda successivamente quando, soprattutto in alcuni paesi europei e nella terza Italia in particolare, ci si trovati di fronte a una nuova ondata di piccola imprenditorialit innovativa. In realt gli economisti per ragioni ovvie di formalizzazione disciplinare non hanno alcuna propensione ad occuparsi di imprenditorialit e preferiscono invece guardare allimpresa. La sociologia funzionalista ha in qualche modo considerata chiusa lesperienza storica della imprenditorialit per concentrare lattenzione sulla costruzione sociale delle condizioni favorevoli ai comportamenti economici tipici della modernizzazione nel lavoro, nella famiglia, nei processi di socializzazione e di consumo. La nuova ondata di imprenditorialit successivamente stata spiegata in prevalenza con riferimento alle caratteristiche strutturali delle economie locali dando per scontata una questione che invece oggi appare importante per la sociologia, cio la molla o limpulso che trasformano dei mezzadri o degli artigiani in imprenditori innovativi, molla che non si esaurisce nellutilitarismo ma nemmeno nelle favorevoli condizioni strutturali locali. Si veda a questo proposito larticolo di Paci in questo stesso numero della rivista. 19 Si pensi, ad esempio, allesperienza dei nuovi imprenditori dellelettronica a Sylicon Valley. Anche in questo caso si pu ben segnalare una disattenzione teorica nei confronti del processo di genesi dellimprenditorialit. Il fenomeno dei nuovi imprenditori dellhard e del software, tutto compreso in una coorte di et con le stesse esperienze e contatti simili con le universit californiane, soprattutto Stanford, stato abbondantemente studiato ma se ne trovano tracce assai rare nel dibattito teorico. Capitale sociale, embeddedness, civicness, culture economiche contribuiscono poco a capire questa esperienza che invece potrebbe aiutare ad affinare la teoria schumpeteriana dellimprenditorialit. 20 Parsons rende esplicita la distorsione funzionalistica del pensiero di Weber nellintroduzione alla traduzione americana di una parte di Economia e Societ (1947). Si veda in proposito Mingione (1997:42-3).
17

11

La seconda linea interpretativa parte dal Weber di Economia e Societ e dalla sua classificazione dei diversi sensi dellazione sociale (e quindi anche economica). Secondo questa linea i comportamenti economici, in una ottica classificatoria universale che prescinde dalla costruzione storica e sociale dellimportanza variabile dei principi regolatori ( chiara la sparizione dellenfasi sulle strutture preordinate a favore della procedura universale di valutazione degli obiettivi dellazione individuale), non sono soltanto di tipo utilitaristico e il processo di razionalizzazione non elimina i valori condivisi, le tradizioni, i doni, i sacrifici per favorire obiettivi e aspettative di lungo periodo. Di qui possono essere fatte discendere le varie classificazioni dei principi di regolazione economica, dove il mercato non lunico regolatore di cui si tiene conto. utile sottolineare la diversit piuttosto che la complementarit tra le due linee di interpretazione per mettere in luce una tensione teorica che rimasta irrisolta attraverso Weber, Polanyi e il dibattito sui parametri della nuova sociologia economica. Da un lato, il Weber dellEtica e il Polanyi della critica al mercato autoregolato, ad esempio, insistono sul fatto che lo stesso comportamento utilitaristico prevalente nellera industriale non possa essere inteso come un indirizzo autonomo, ma piuttosto come una complessa costruzione sociale. Il comportamento economico quindi predisposto in modalit diversificata da differenti condizioni storiche, sociali e culturali, e potremmo aggiungere anche biografico-sociali a partire da quanto appena detto a proposito della teoria schumpeteriana dellimprenditorialit - posizione ripresa da Paci nellarticolo pubblicato qui. Dallaltro lato, il Weber di Economia e Societ e il Polanyi delle istituzioni del mercato, sembrano accettare il fatto che la competizione atomizzata di mercato costituisca un principio autonomo di regolazione ma la collocano, a differenza delleconomicismo dominante, in un contesto in cui persistono altri principi ispiratori delle preferenze economiche. Lanalisi sociale delleconomia ricostruisce il gioco e le tensioni delle differenti combinazioni tra principi regolatori, cos come individuati negli specifici ambiti sociali. Il primo approccio teoricamente pi rigoroso perch, come ho discusso in altre sedi (Mingione 1991; 1997), il comportamento utilitaristico atomizzato di mercato non viene inteso contestualmente come un principio astratto incompatibile con legami sociali e come un meccanismo concreto che non pu prescindere dallesistenza di legami che crea esso stesso21. quindi preferibile sul piano teorico, ma anche pi difficile da rendere operativo aldil della costruzione di una narrativa storico-sociale che spesso considerata, forse ingiustamente, una matrice debole ed ideologica. Allinterno di questo approccio assume una particolare evidenza la controversa questione del passaggio da una
21

Se in Polanyi questa incoerenza teorica evidente (vedi Mingione, 1991; 1997), in Weber il primo approccio tenue e sta tutto nellintuizione originale dellEtica che non si ritrova nella visione pi astratta e universalistica di Economia e Societ. Quindi non sorprende il fatto che il dibattito teorico della nuova sociologia economica non si riferisca a Weber, ma preferisca riprendere limpostazione di Polanyi.

12

analisi micro fondata sulle motivazioni delle azioni individuali alla prospettiva macro di ricostruzione dei fattori storici e sociali che condizionano in modalit diversificate le preferenze degli attori, e quindi la necessit di dotare di coordinate storiche linterpretazione sociologica del comportamento economico22. Il secondo approccio analiticamente pi efficace perch consente di selezionare un numero limitato di principi di regolazione, e quindi di concentrare lattenzione sui campi di tensione tra le diverse logiche regolatrici del comportamento economico. Inoltre questo secondo approccio si presta sia ad applicazioni di tipo micro basate su metodologie individualistiche sia a sviluppi macro su matrici strutturali, anche se poco attrezzata per dotare le analisi di solide matrici storiche. Per queste ragioni le ricerche della sociologia economica e delleconomia istituzionale si sono mosse prevalentemente in questa seconda direzione, mentre il dibattito teorico su embeddedness e capitale sociale opera di pi allinterno del primo indirizzo.

4. Lattenzione alla regolazione sociale delleconomia: lanalisi dellesperienza della terza Italia. La divisione proposta nel precedente paragrafo , in parte, una forzatura ma pu costituire unutile scorciatoia per testare i contributi analitici italiani, che in quanto tali si sono prevalentemente collocati nella seconda area, rispetto al dibattito teorico, che, almeno idealmente, sta nella prima. Nemmeno utilizzando questa scorciatoia si potr lavorare a tutto campo senza fare una selezione degli argomenti da trattare schematicamente. Concentrer lattenzione soprattutto sullesperienza di analisi dei sistemi di piccola impresa di quello che stato chiamato modello della terza Italia23, cercando allinterno di questa esperienza elementi utili per la teorizzazione dellembeddedness. La questione del capitale sociale rester sullo sfondo24. Il successo delle economie locali fondate su forte stabilit e omogeneit sociale mette a fuoco la valenza economica di un elevato livello di fiducia e la sua trasformazione in una forma di capitale sociale, diversa rispetto a quella immaginata da Coleman o Bourdieu come complemento della formazione del capitale umano. Ma, come vedremo,
In questa direzione si possono collocare sia lipotesi strutturalista di Bourdieu (1997) a proposito di Le Champ Economique sia la critica di Pizzorno (1996) allindividualismo metodologico nella versione radicale della scelta razionale. Il primo sostiene che, per rompere il paradigma dominante, atomizzato ed economicista, si deve, prendendo atto della storicit costitutiva degli attori e del loro spazio di azione in una visione razionalista allargata, tentare di costruire una definizione realista della razionalit economica come luogo di incontro tra disposizioni costruite socialmente (in relazione a un campo) e le strutture, esse stesse costruite socialmente, del campo medesimo (Bourdieu, 1997 , p.52). Il secondo, discutendo il contributo di Coleman (1990) sul capitale sociale, nota come: Il capitale sociale di una persona sar quindi funzione di dove e di come essa si colloca nella struttura di reti di relazioni sociali. Il successo del ragionamento dipende per dallabbandono della prospettiva della decisione individuale e dallintroduzione di nozioni di interazione e di relazione quali appunto quelle di capitale sociale e di reti di relazioni; e alla connessione di esse con lidea di identit di lungo periodo, senza la quale lidea di capitale sociale non potrebbe essere immaginata. (Pizzorno, 1996, p.127). 23 Per riferimenti puntuali alle ricerche sulla esperienza della terza Italia si veda larticolo di Paci. 24 Per riferimenti al dibattito sulla questione del capitale sociale, in connessione con i processi di mobilit sociale e di riproduzione delle diseguaglianze soprattutto nel caso italiano, si veda qui larticolo di Luisa Bianco e di Michael Eve.
22

13

la fisionomia delle reti sociali, del ruolo che svolge la fiducia, la coesione e lomogeneit culturale e politica della comunit costituiscono anche gli elementi fondanti della lettura di un contesto in termini di embeddedness. Gi nella prima met degli anni Settanta si pone lesigenza di spiegare le ragioni della crescita economica di una vasta area italiana, che include le regioni del nord-est e del centro e che era stata solo marginalmente toccata dallo sviluppo industriale delle grandi imprese, concentrato nel triangolo industriale del nord-ovest. Le prime spiegazioni convenzionali ed economicistiche non sono confermate dalla realt. Lo sviluppo delle piccole imprese della terza Italia non prevalentemente attivato da forme di decentramento operate dalle grandi industrie del triangolo industriale. Gran parte dei settori dinamici mantengono un elevato livello di autonomia e operano direttamente sia sul mercato locale sia verso le esportazioni. Anche lidea, di orientamento marxista, che le piccole imprese crescano grazie a condizioni di grande sfruttamento non risulta confermata. vero che il reddito medio e le garanzie formali degli operai delle piccole imprese della terza Italia , almeno inizialmente, pi basso rispetto a quello delle grandi imprese del triangolo industriale, ma questa non la ragione principale dei bassi costi operativi n si riflette in condizioni di forte sfruttamento dei lavoratori. I costi bassi sono dovuti soprattutto allimpegno dellimprenditore e di tutta la sua famiglia e a forti risparmi operativi. Le condizioni di lavoro anticipano modalit flessibili, oggi diffuse, attivate da una disciplina dove la vicinanza culturale e le comuni esperienze mitigano quel paternalismo autoritario (Magatti, 1991) che invece prevale nelle piccole e medie, e a volte anche nelle grandi, imprese del nord-ovest. A sfatare lidea di grande sfruttamento contribuiscono anche i dati sulla sindacalizzazione che sorprendentemente alta per imprese piccole e che, nella realt, favorita pi che ostacolata dagli imprenditori. Questo quadro analitico obbliga a rivedere i parametri convenzionali della modernizzazione e a spiegare una modalit imprevista di sviluppo industriale, in altri termini a scavare nelle condizioni storiche e sociali di embeddedness sfatando il mito del modello unico a stadi e dellutilitarismo atomizzato come motore universale delle preferenze economiche. La sistematizzazione sociologica dellanalisi si deve soprattutto al lavoro di Arnaldo Bagnasco in Le Tre Italie (1977)25. Da questo lavoro emerge una spiegazione strutturale delle condizioni che predispongono storicamente queste modalit di sviluppo industriale: una forte omogeneit e stabilit sociale, protetta sia dai processi di emigrazione selettiva sia da forti ondate di immigrazione, che favoriscono la crescita graduale del mercato locale e una sua relativa chiusura al consumismo e alle importazioni; un livello di autoconsumo che permette di mantenere bassi i costi di produzione; la
25

Nei successivi approfondimenti in collaborazione con Carlo Trigilia (1984 e 1985), Bagnasco mette in luce anche le differenze interne al modello della terza Italia in corrispondenza di una subcultura cattolica nel nord-est e comunista nellItalia centrale. Trigilia (1986) poi chiarir lanalisi della connessione specifica tra i due grandi partiti e i rispettivi

14

localizzazione della popolazione in sistemi contigui di piccole e medie citt storiche con una tradizione di autonomia politica e di specializzazione artigianale; la prevalenza di regimi agrari (mezzadria e colonia) che coinvolgono la famiglia contadina in investimenti concordati con i proprietari e che favoriscono la stabilit e la solidariet familiare e parentale. In questa sede non il caso di entrare in maggiori dettagli, ormai noti, dellanalisi quanto piuttosto di soffermarsi sui problemi teorici che, in parte implicitamente, questa scoperta ha sollevato. Il caso mette in discussione la netta rottura tra assetti sociali tradizionali e processi di sviluppo industriale, rottura che sta alla base delle spiegazioni utilitaristiche, incluse quelle critiche, come la teoria marxista della proletarizzazione. Secondo questi approcci, infatti, la diffusione del mercato spezza i legami sociali tipici di organizzazioni poco produttive e mette in moto il processo di concentrazione capitalistica, di specializzazione e subordinazione del lavoro allinterno di apparati sempre pi grandi, di urbanizzazione e cambiamento del tenore di vita orientato a consumi monetari standardizzati. Il motore del processo unico di modernizzazione fa leva sullidea di una connessione ferrea tra utilit individuale e necessit di competere alle condizioni omogenee promosse dal mercato. La scoperta della terza Italia, cos come quella del Giappone o della imprenditorialit etnica, solleva quindi forti dubbi teorici sulla efficacia esplicativa del modello unico di modernizzazione. La critica al modello unico uno dei passaggi chiave della nuova sociologia economica ed caratterizzata da almeno due indirizzi teorici. Da un lato, si pu dire che non c una sola modalit di sviluppo industriale e che la connessione tra utilit e competizione mediata da due (o comunque poche) differenti modalit di organizzazione della cooperazione. La prima tipica delle grandi aziende occidentali e della cultura anglosassone, mentre laltra tipica delle grandi aziende giapponesi e delle piccole imprese, dove gli svantaggi in termini di economie di scala (e quindi di competitivit formale) sono compensati dalladattamento di legami sociali cooperativi che rendono pi flessibile e meno costoso il processo di costruzione della disciplina sociale necessaria alla produzione industriale, sia nei luoghi di lavoro che nella vita quotidiana. Questa in fondo la tesi delle teorie della regolazione26 e, nello specifico, del Second Industrial Divide (Piore e Sabel, 1987), che ha ampiamente utilizzato i risultati dellanalisi dellesperienza della terza Italia. Laltro indirizzo critico, che sta alla base della teoria dellembeddedness, assume che la diffusione di opportunit competitive non sufficiente da sola a spiegare nessuna forma di cooperazione e di legame nelle societ industriali perch queste ultime sono sempre generate, secondo modalit storiche

sistemi di piccole imprese in termini di omogeneit e di stabilit politica degli enti pubblici e di efficienza e sostegno alle economie locali. 26 Come vedremo pi avanti, anche la costruzione dei sistemi di welfare basata su assunti analoghi. Non la assimilo con le teorie della regolazione solo perch la interpreto come una teorizzazione a medio raggio del significato dei mix piuttosto che come una classificazione astratta dei diversi principi di regolazione.

15

differenziate, da fattori sociali e culturali in un gioco complesso di persistenze e cambiamenti27. Di qui la connessione teorica con il Weber dellEtica e, soprattutto, con il Polanyi della critica al mercato autoregolato28. Il tornaconto individuale cos come non in grado di spiegare limprenditorialit, non spiega nemmeno le modalit di subo rdinazione alla disciplina della fabbrica o i diversi comportamenti di consumo, di risparmio, di investimento e di progettualit economica delle famiglie. Tutti questi comportamenti moderni sono predisposti in modalit differenziate da fattori sociali e culturali variabili. Le combinazioni non solo variano storicamente e non sono comprensibili con strumenti di calcolo economico, ma non possono nemmeno essere ridotte ad un numero limitato di pacchetti regolativi con diverse dosi di mercato, reciprocit e redistribuzione. Semmai si potrebbe ragionare in termini di modelli, dove si ipotizza che linterazione tra determinate condizioni sociali e le caratteristiche dello sviluppo in una fase storica data producono sistematicamente effetti particolari. proprio su questo terreno che la teoria dellembeddedness allo stesso tempo promettente ma difficoltosa, perch resta troppo astratta a meno che non venga accompagnata da articolazioni che spieghino con modalit almeno parzialmente generalizzabili i meccanismi della costruzione storico-sociale dei comportamenti economici. A partire dallembeddedness bisognerebbe imparare a calibrare il calcolo economico su parametri che rendono controllabili le variabili indipendenti di tipo sociale e culturale: come diverse forme di predisposizione imprenditoriale si trasformano in effettivo sviluppo e con quali conseguenze economiche e sociali; come e con quali tensioni di lungo periodo i diversi modelli di sviluppo industriale riproducono in modalit variate le condizioni di cooperazione indispensabili per restare competitivi sui mercati; quali possibili combinazioni di socialit e imprenditorialit sono potenzialmente pi dinamiche a condizioni storiche che cambiano e come tali combinazioni possono essere promosse, abilitate, favorite da politiche economiche e sociali. Se lanalisi dellesperienza della terza Italia29 stato un passaggio importante della critica al modello economicistico di modernizzazione, essa mostra dei limiti appunto nella direzione di costruire

27

In questo senso a partire dalla teoria dellembeddedness si dovrebbe rivedere tutta la spiegazione delle modalit di sviluppo industriale assumendo che anche le organizzazioni anglosassoni standardizzate, incluso il Taylorismo e la disciplina dei grandi complessi industriali integrati, non sono un prodotto meccanico della combinazione tra necessit di competere e utilit degli attori coinvolti, ma piuttosto una costruzione storica complessa dove modalit di vita e retroterra culturali hanno giocato un ruolo determinante (Mingione 1997). 28 A questo proposito si possono anche capire meglio le ragioni dellimportanza che ha assunto il contributo di Polanyi a parecchi decenni di distanza dalla sua pubblicazione, proprio in connessione con le nuove scoperte analitiche e con il dibattito teorico della nuova sociologia economica. 29 Questo vale anche per altre esperienze analitiche, come limprenditorialit etnica o il caso giapponese (Bonacich, Modell, 1981; Dore, 1986, 1987; Freeman, 1987), e per i lavori recenti sulla forte dinamica di crescita economica delle regioni italiane del nord-est.

16

articolazioni teoriche utili per la nuova sociologia economica30. Vediamo di soffermarci su questo problema prima di passare alle conclusioni sui sistemi di welfare, che cercheremo appunto di interpretare come modelli di embeddedness.

5. Fiducia e reti sociali come articolazioni di embeddedness. Lesperienza della terza Italia mette in luce come un livello elevato di fiducia31 diffusa localmente possa diventare una risorsa per attivare una forma particolare di sviluppo industriale. La fiducia tipica di queste societ locali collegata allintreccio tra stabilit, dimensione della comunit e qualit delle stesse dove si registra una tradizione urbana di lungo periodo, che per Putnam (1993) una fonte di civicness - e la diffusione, sia nelle campagne che nelle citt, di reti parentali estese e solidaristiche localizzate nelle vicinanze e relativamente poco turbate da liti economiche sulla propriet. A queste condizioni vi sono forti propensioni alla cooperazione economica che possono anche essere utilizzate in organizzazioni industriali innovative. In altre parole, lintensit della fiducia e lomogeneit della societ locale costituiscono una predisposizione di capitale sociale, ma non spiegano da sole la dinamica dello sviluppo industriale dove entrano in gioco anche altre variabili come il capitale fisico (faremo un cenno in conclusione alla questione dei finanziamenti e dellaccesso al credito) e umano (in particolare la preparazione tecnica32 ed una socializzazione scolastica utili per operare in direzioni innovative allinterno di mercati che superino i limiti del consumo locale) e, soprattutto, la predisposizione allimprenditorialit. Lanalisi dellesperienza della terza Italia in termini di distretti industriali insiste sulla continuit delle tradizioni produttive in alcune aree ma non in altre, dove, soprattutto nel nord-est, si sviluppano capacit produttive che non hanno nulla a che vedere con le tradizioni locali, si pensi, ad esempio, agli scarponi da sci o agli occhiali da sole. Ma anche nei distretti specializzati, come quello esemplare di Prato dove la tradizionale lavorazione del panno di lana alimenta un importante polo tessile, non si spiega automaticamente il salto di qualit innovativo rispetto ad altre tradizioni produttive diffuse in quasi tutte le economie locali europee, tradizioni che spesso sono sopravvissute al processo di modernizzazione anche se non hanno scatenato processi innovativi autonomi. in questo senso che lanalisi dellesperienza della terza Italia resta a met del guado in termini di costruzione dei
30

Questo fatto contribuisce, almeno in parte, a spiegare perch i risultati dellanalisi non si siano tradotti immediatamente in elementi del dibattito teorico ma hanno avuto bisogno di mediazioni, come quella di Piore e Sabel sul second industrial divide o quella di Putnam sulla civicness. 31 Per un riferimento alle diverse definizioni del termine e al dibattito sociologico sul concetto di fiducia si veda Mutti (1998:37-60). 32 I lavori di Vittorio Capecchi (1989) sulla socializzazione tecnica in Emilia Romagna fin dallinizio del Novecento mettono a fuoco questa variabile, ma solo per una parte della terza Italia. Implicitamente quindi si potrebbe dire che altrove questa condizione manca.

17

parametri dellembeddedness: segnala condizioni analitiche alternative rispetto al modello unico di modernizzazione, ma, insistendo sulla importanza della continuit, non risolve la questione teorica di come e perch condizioni differenti si trasformino in itinerari diversi di sviluppo industriale, innovazione e crescita economica. Mi interessa qui focalizzare lattenzione su due problematiche allinterno delle quali una revisione critica dellanalisi dellesperienza della terza Italia segnala articolazioni teoriche irrisolte nellimpostazione dellembeddedness: la questione dellimprenditorialit, cio della trasformazione di diverse risorse potenziali in un processo di costituzione di imprese industriali che attivano la crescita economica; la questione delle attitudini cooperative, cio a quali condizioni la coesione comunitaria utile per mettere in moto processi di crescita industriale contro lassunto economicista che le solidariet tradizionali costituiscono sempre un ostacolo sulla strada dellinnovazione industriale. Sul fronte dellattivazione dellimprenditorialit si pu fare qualche riflessione a partire dal contributo di Massimo Paci, pubblicato in questo numero della rivista. Assumendo che le condizioni strutturali da sole non spiegano la crescita economica della terza Italia tali condizioni esistono anche in altri contesti e, nellambito di un approccio basato sullembeddedness, non si pu negare che anche altre condizioni diverse potrebbero alimentare modelli di sviluppo industriale -, Paci insiste sullimportanza che hanno avuto le comuni esperienze storiche personali nellattivare lo spirito imprenditoriale presso artigiani e mezzadri e nel favorire luso dinamico e innovativo delle potenzialit cooperative di comunit relativamente stabili ed omogenee. Infatti, sia le tradizioni artigianali che quelle mezzadrili non sono predisposte al rischio di impresa perch strutturate da abitudini a contare sulla propria specializzazione lavorativa, la prima, e su potenzialit di investimento limitate dal rapporto con il proprietario terriero, la seconda. Lesperienza generazionale della guerra e, soprattutto, della lunga lotta di resistenza al regime fascista e alloccupazione tedesca e qui evidente la differenza rispetto alle regioni meridionali - hanno contribuito a rompere le tradizionali barriere di classe e a sperimentare sul terreno le potenzialit di assetti cooperativi. In questo senso, resta vero che i processi innovativi non possono essere compresi esclusivamente a partire da condizioni di continuit con la tradizione locale o familiare, ma impongono la spiegazione di una rottura/ discontinuit che non sempre esogena rispetto alle tradizioni locali ma anche endogena. Nel caso specifico si tratta di esperienze storiche comuni di un certo tipo che, attraverso una socializzazione di rottura rispetto alle modalit tradizionali, contribuiscono a diffondere propensioni imprenditoriali, innovative e cooperative inattese. Ci troviamo di fronte ad una articolazione teorica e metodologica che pu essere estesa ad altre esperienze in contesti differenti, si pensi, ad esempio, alle esperienze comuni nelle Universit californiane della coorte di imprenditori che hanno fondato Sylicon Valley.

18

Lidea che il propulsore di esperienze innovative sia costituito anche da esperienze sociali di rottura ha dei risvolti in termini di politica economica. A partire da questa articolazione teorica si desume che normali incentivi economici allo sviluppo non sono sufficienti a produrre risultati, come ha dimostrato il fallimento della politica meridionalistica nel dopoguerra in Italia. Una rottura innovativa potrebbe essere anche indotta da politiche ben costruite33 - e non solo una conseguenza di un vissuto eccezionale come la guerra e la resistenza nella terza Italia a partire dalle condizioni sociali specifiche, cio dalla identificazione di quali sono i fattori che inibiscono spinte innovative rispetto ad effettive opportunit che restano latenti nelle economie locali. importante sottolineare la questione della specificit, che in questo caso costituisce una notevole complicazione perch, ad esempio, il gioco tra inibizioni e opportunit differente nel Mezzogiorno contemporaneo rispetto a quello che era nelle regioni della terza Italia cinquantanni fa. Sul fronte della questione delle condizioni sociali di cooperazione innovativa si pu fare un cenno al dibattito sul capitale sociale in riferimento alle diverse esperienze delle macro-regioni italiane. Se il livello elevato di fiducia e la solidit delle reti hanno costituito una risorsa che ha contribuito allo sviluppo del sistema di piccole imprese della terza Italia, questa constatazione difficilmente permette di costruire un parametro teorico generalizzabile. Come hanno notato recentemente i critici della teoria del capitale sociale34, le reti di solidariet hanno un impatto variabile e ambiguo rispetto alle prospettive di successo economico perch costituiscono, allo stesso tempo, un insieme di risorse e un insieme di obbligazioni e di limiti35. Queste ultime possono inibire le iniziative innovative perch canalizzano le risorse verso obiettivi incompatibili, come nel caso delle organizzazioni mafiose, del clientelismo o di certe strutture parentali chiuse e autoreferenziali36.

Come sostiene Mutti (1998, 18) sistemi politici ben legittimati possono, attraverso sanzioni e ricompense di vario genere, produrre fiducia, cooperazione, buoni rendimenti istituzionali e sviluppo. A partire per da quanto sostenuto sopra, i progetti innovativi sono ancora pi difficoltosi perch oltre alla fiducia il programma dovrebbe attivare esperienze e forme di socializzazione che rimuovano gli ostacoli ad utilizzare la stessa in attivit imprenditoriali innovative. 34 Si vedano tra gli altri i contributi di Margaret Levi (1996), Ostrom (1997), Sandefur e Laumann (1998) e, soprattutto, Portes (1998). Questultimo fa rilevare come lappartenenza a gruppi solidaristici pu avere anche effetti negativi sia rispetto a prospettive di innovazione economica (favorendo un forte controllo sociale e attitudini conformiste, p.16-17) sia in termini di promuovere finalit sociali non desiderabili, come nel caso delle organizzazioni criminali e mafiose (p.18). 35 Il lato oscuro delle reti di solidariet in effetti duplice. Da un lato, come nota Margaret Levi (1996: 51), esse sono allo stesso tempo fonti di fiducia nei confronti dei membri, e fonti di sfiducia nei confronti degli estranei. Dallaltro lato, come vedremo tra breve, le reti significano sempre obbligazioni che possono attenuare le spinte innovative, come quando si deve offrire una opportunit lavorativa a un parente incompetente piuttosto che ad un estraneo esperto. 36 Con tutte le dovute cautele, e solo in questo senso, ha probabilmente ragione Banfield (1976) a proposito del familismo amorale. Un ragionamento non dissimile proposto da Fukuyama (1996) a proposito della struttura familiare cinese. In questultimo caso si potrebbe obiettare come la situazione si trasformi quando la famiglia chiusa cinese opera in condizione di minoranza etnica al di fuori del suo contesto tradizionale. Quindi la stessa rete familiare pu avere un effetto conservatore in un contesto e innovatore e dinamico in un altro contesto. Granovetter (1998:225) utilizza appunto lesempio della struttura familiare cinese chiusa come una risorsa di sviluppo perch riesce a limitare il campo delle obbligazioni della rete. Ma questo avviene allestero, dove le imprese possono contare anche sulla

33

19

Granovetter (1998:223 e ss.), sulla scorta soprattutto di lavori antropologici, in particolare di Geertz (1963; 1979), suggerisce una traccia entro la quale si pu, almeno in parte, gestire il significato ambiguo delle reti rispetto ai modelli di sviluppo industriale. Nei contesti in cui le reti sono limitate e frammentate questo fatto un ostacolo alla creazione di imprese perch la mancanza di fiducia rende impossibile delegare ad altri autorit e risorse (Granovetter, 1998:224). Ma, dal lato opposto, in contesti dove si riscontra un alto livello di solidariet sociale, lampiezza delle obbligazioni, il fatto che gli imprenditori sono costretti a coinvolgere parenti, amici, vicini di casa, trasforma presto limpresa in un ente assistenziale. Per dirla ancora con Granovetter (1998:224) il benessere della comunit locale, cio, faceva premio sullefficienza delle imprese come tali. Gli studi italiani non aiutano ad approfondire questa ipotesi perch non identificano parametri teorici sul limite al di sotto del quale la solidariet insufficiente a promuovere forme di sviluppo e su quello al di sopra del quale le spinte allo sviluppo si trasformano in assistenzialismo. Nei lavori sulla terza Italia non vi sono spiegazioni delle ragioni per cui lalto livello di solidariet locale non ha dato luogo a derive assistenziali. Gli studi sul Mezzogiorno segnalano percorsi interessanti di complicazione dellipotesi un gioco perverso dove le reti sono, allo stesso tempo, deboli, frammentate e sovraccariche di obbligazioni che non sono ancora stati approfonditi (Mutti, 1998). Altre complicazioni derivano dal fatto che le risorse e le obbligazioni che caratterizzano le reti sono di natura assai variata, cos come la loro effettiva capacit di circolare. Per fare solo un esempio astratto, non affatto confermata lidea di Putnam che le reti verticali o gerarchiche non possiedano risorse utili da mettere in gioco nei processi di innovazione. Anche le organizzazioni pi aperte e democratiche hanno una qualche struttura gerarchica di comando e nellimpresa il fatto che la gerarchia sia accettata - legittimata socialmente costituisce una risorsa di successo, soprattutto se il consenso sulla disciplina costa relativamente poco. Emergono quindi almeno due problemi che restano in parte indefiniti in termini di statuto teorico. Il primo riguarda la definizione delle condizioni allinterno delle quali le risorse di rete si trasformano effettivamente in capitale sociale37. Il secondo riguarda la questione della chiusura, che una componente essenziale della rete e che ha allo stesso tempo effetti favorevoli (accesso privilegiato alle risorse cooperative e solidaristiche interne alla rete stessa) ed effetti sfavorevoli (difficolt di accesso a risorse che la rete non possiede) a seconda delle circostanze38. In entrambi i casi, sono state

possibilit di reclutare manodopera generica non cinese facilmente disciplinabile nei ruoli lavorativi meno specializzati. 37 Si veda in proposito Barbieri (1998). 38 Sulla questione della chiusura, delle diverse chance che i soggetti hanno di ricorrere al proprio capitale sociale e delle conseguenze che da ci derivano in termini di riproduzione delle disuguaglianze, si veda, tra gli altri, Barbieri (1997).

20

avanzate soluzioni analitiche39 che per contribuiscono poco alla costruzione di parametri teorici utilizzabili in sociologia economica. Il caso italiano una palestra comparativa sulla questione a causa della drastica differenza tra Mezzogiorno e regioni della terza Italia. Nel primo caso le risorse di rete raramente si trasformano in capitale sociale utile allo sviluppo delle piccole imprese ma le risorse relazionali rimangono importanti per laccesso a posizioni scarse sul mercato del lavoro o ai servizi pubblici - e prevalgono gli effetti sfavorevoli di chiusura e obbligazioni. Il secondo caso, come abbiamo visto, risulta parzialmente rovesciato. Ma in entrambi i casi sarebbe utile entrare in una analisi micro sul gioco effettivo di risorse, obbligazioni e chiusura in termini di effetti favorevoli e di limiti, operazione che stata fatta solo parzialmente. In particolare sarebbe interessante chiarire come i sistemi di piccole imprese della terza Italia hanno affrontato o subito i limiti delleffetto di chiusura: ricambio generazionale, acquisizione di competenze utili per innovazioni tecnologiche e di penetrazione in mercati stranieri, accesso a finanziamenti consistenti e a forme di infrastruttura pubblica e di protezione politica. Sul fronte del Mezzogiorno, lipotesi di Mutti (1994) che in alcune circostanze le reti clientelari possono produrre risorse utili allo sviluppo ancora da verificare in profondit40.

6. Conclusioni: i modelli di welfare capitalism come articolazioni di embeddedness. La questione dellembeddedness stata sollevata inizialmente da Polanyi (1957, trad. it. 1978:305) in termini astratti. Il mercato come forma pura delle interazioni di scambio concettualmente disembedded, la competizione atomizzata che massimizza lefficienza e fissa i prezzi delle merci e i salari dei lavoratori deve essere intesa a prescindere da qualsiasi legame sociale duraturo tra attori perch questo distorcerebbe il funzionamento della competizione. Daltro canto le interazioni di mercato non avrebbero luogo se non vi fossero solidi legami sociali, se non altro perch non circolerebbero le informazioni e non si condividerebbero le stesse regole del gioco competitivo, e quindi nessuno avrebbe quel minimo di aspettativa che gli altri rispettino le regole indispensabile per comprare o vendere una merce e, ancora di pi, per firmare un contratto di lavoro, impegnare il proprio denaro in una impresa e cos via. Di qui la critica polanyiana al concetto di merc ato autoregolato e il suggerimento, da me considerato insoddisfacente (Mingione, 1997), di risolvere la questione dellembeddedness attraverso le istituzioni sociali del mercato41. Granovetter (1991; 1998)
39

Per un riferimento alla letteratura e ai risultati delle indagini si veda Mutti (1998). Enrica Morlicchio in questo stesso numero della rivista difende una tesi piuttosto pessimista sul ruolo dei legami e delle reti nel Mezzogiorno oggi. 41 Secondo Polanyi, il mercato per funzionare si basa su tre merci fittizie: lavoro, terra, denaro che devono in qualche modo essere mercificate. Per compiere questa riduzione, il mercato ha bisogno di istituzioni regolative, ha quindi la necessit di generare, se pur non automaticamente, istituzioni di organizzazione sociale. La risposta che fornisce Polanyi a questo problema non convincente perch rompe l'analogia con gli altri due concetti (reciprocit e redistribuzione): mentre la forma socio-organizzativa inclusa nella definizione stessa di
40

21

ripropone la questione su un terreno metodologico dove il problema resta astratto e si suggeriscono delle procedure micro esemplificative per ricostruire di volta in volta le modalit di embeddedness. Ma poi, su questo fronte, risulta difficoltoso costruire modelli operativi, generalizzabili come teorie di medio raggio, che sono lo strumento minimo indispensabile per gli scienziati sociali che lavorano ad interpretazioni macro. Per concludere vorrei suggerire una procedura diversa a partire da una narrativa che mette in rilievo il gioco delle differenze nei welfare mix, problematica su cui si sta lavorando da anni in Europa. Questo approccio non risolve tutti i problemi ma presenta due vantaggi. In primo luogo, costruisce una definizione operativa delle logiche macro di interconnessione tra diversi ambiti regolativi della vita economica. Il welfare mix, infatti, inteso come un sistema dinamico dove le responsabilit familiari, parentali e comunitarie, pubbliche, private, legate al mercato o al volontariato e al no-profit sono legate tra di loro da rapporti complessi e variabili di complementarit. in questo senso che lottica del welfare mix pu essere intesa come unarticolazione dellembeddedness, soprattutto nella prospettiva proposta da Esping-Andersen (1990) dove la logica esplicativa delle interconnessioni collegata alla critica polanyana del mercato e allesigenza storica di sviluppare le protezioni sociali, quindi di dotare lattore competitivo di garanzie e di attivare le potenzialit cooperative42 in termini di compatibilit con condizioni di vita accettabili e modalit di integrazione nella comunit di appartenenza. Il secondo vantaggio del nostro approccio che le logiche esplicative del welfare mix sono costruite in termini dinamici tenendo conto dei cambiamenti storici. Ogni specifico caso il risultato di particolari circostanze storiche, allinterno delle quali si rintracciano le ragioni che spiegano perch e come unarea di regolazione si sviluppata in combinazione con le modifiche che si sono verificate nelle altre aree. La storicizzazione delle condizioni di embeddedness non semplice, in quanto i dati storici sono circostanze irripetibili, e quindi non generalizzabili, e soprattutto perch una volta delimitato un quadro a un tempo passato risulta difficile aggiornarlo. Il radicamento storico dei welfare mix costruito sulla individuazione di varie combinazioni di due diversi assunti temporali. Il primo riguarda la necessit di individuare alcune condizioni sociali utili in una fase storicamente
reciprocit e di redistribuzione, non lo in quella di scambio di mercato. Simmetria o gerarchia non possono esistere senza un sistema organizzato, la casualit, invece, costituisce per definizione il contrario rispetto ad un sistema organizzato. La risposta di Polanyi poco convincente anche perch finisce per adeguare artificialmente lo strumento concettuale alla realt di fatto. In altre parole, il dato di fatto che un sistema diffuso di scambio non esiste al di fuori di contesti socio-istituzionali e di regole precise non pu essere inserito a posteriori in un modello astratto per definizione inconciliabile (per una critica pi approfondita si veda Mingione, 1997). 42 Esping-Andersen definisce il processo di costruzione delle garanzie cooperative come decommodification, il che denuncia lispirazione polanyiana, ma presenta anche qualche problema di ambiguit teorica, almeno nel caso degli itinerari liberisti dove la protezione nei confronti della mercificazione fornita dal mercato stesso attraverso redditi relativamente pi elevati che consentono di comprarsi assicurazioni e cure. Se dal punto di vista sostanziale la logica chiara, sul piano concettuale difficile accettare lidea che sia lo stesso meccanismo a produrre contestualmente

22

delimitata dello sviluppo economico. Lapproccio dei welfare mix stato sviluppato a proposito della fase fordista, per la quale i principali requisiti storici sono: consumismo standardizzato, riproduzione di una fascia consistente di forza lavoro ad elevata produttivit, disabilitazione del ruolo autonomo delle competenze artigianali, regolazione nazionale dei contratti e degli standard. Il secondo assunto temporale riguarda il fatto che le condizioni si sviluppano in modalit diverse a partire da situazioni differenti. Le diverse combinazioni utili per rispondere alle tensioni di mercato tipiche di una determinata fase storica tendono poi a consolidarsi in regimi differenziati che disegnano itinerari di sviluppo differenti, cio quei modelli alternativi che abbiamo individuato parlando dellesperienza della terza Italia. La doppia matrice storica della individuazione dei criteri dominanti durante un ciclo storico lungo e del cambiamento diversificato lelemento chiave della narrativa. Ma mentre lassunto dello sviluppo diversificato esplicito e chiaro, la questione della caratteristiche contingenti rispetto a una lunga fase storica implicita e oscurata dal fatto che i welfare mix sono costruiti per la comprensione delle societ industriali avanzate fordiste, mentre poi vengono impropriamente utilizzati come modelli che continuano ad evolvere indefinitamente nel tempo. Lo stesso contributo di Esping-Andersen (1990), quando viene usato per analizzare le societ contemporanee, perde le sue specifiche coordinate storiche di un modello costruito per spiegare come hanno origine e si sviluppano le diversit limitatamente ai sistemi di welfare di alcuni paesi industriali avanzati nellera fordista. La logica dei welfare mix, per essere utilizzata oggi come quadro delle diversit macro delle condizioni di embeddedness, impone di adeguare le coordinate storiche rispetto ai cambiamenti pi recenti di crescente instabilit ed eterogeneit delle carriere lavorative e dei cicli di vita, dellemergere di forme di individualismo pi edonistico, delle tensioni innescate dalla crisi finanziaria e di legittimazione politica dei programmi pubblici di previdenza e di assistenza e degli intrecci variabili e complessi che si vanno sviluppando in termini di combinazioni tra welfare pubblico, responsabilit familiari, parentali e comunitarie e istituzioni del terzo settore. Questa forse la sfida pi seria che sociologia ed economia devono affrontare attualmente. Torner su questo punto in conclusione ma prima utile soffermarci sugli elementi di fondo dellapproccio dei welfare mix come articolazione dellembeddedness nella fase fordista. Se partiamo dallassunto che anche nelle moderne societ individualizzate le preferenze economiche non si esauriscono in un calcolo individuale di utilit ma sono costruite comunque socialmente dai processi di socializzazione che disegnano orizzonti culturali variati predisposizione a compiere alcune scelte piuttosto di altre - e dal contesto istituzionale che fornisce le garanzie indispensabili per la cooperazione aspettative che gli altri attori rispetteranno le stesse regole e obbligazioni e
mercificazione e demercificazione.

23

protezione dallimbroglio, dalla concorrenza sleale e dai free raider -, importante a livello macro sviluppare i parametri entro i quali questo processo differenziato ha luogo. Nel corso della fase fordista, che ha avuto il suo apice durante i trenta anni gloriosi dellultimo dopoguerra, nei paesi industrializzati la variet socioculturale e il contesto istituzionale di cooperazione interagiscono con condizioni storiche specifiche durante le quali si sviluppano i grandi apparati industriali manifatturieri centrati sullaumento della produttivit, sulle economie di scala, sulla standardizzazione di produzione e consumo43. A queste condizioni la centralit di imprenditorialit e proletarizzaz ione dei contadini che pure sono processi che mantengono una notevole importanza - lascia il passo a quella di gestione manageriale delle imprese, trasformazione produttivistica delle carriere lavorative e promozione del consumo di massa di beni durevoli. Il welfare capitalism delimita appunto la necessit di spiegare questi cambiamenti in alcuni contesti che sono definiti avanzati. Il quadro di embeddedness si articola in una serie limitata di combinazioni (modelli) che spiegano come la vocazione alla produttivit e al consumismo dotata di predisposizioni e competenze utili alle forme specifiche di cooperazione e di uno sfondo compatibile (che permette la sopravvivenza in condizioni di integrazione sociale nelle comunit di appartenenza) di legami sociali: la famiglia nucleare (pi o meno isolata rispetto alle reti parentali e comunitarie) e i regimi di breadwinner ad alta divisione di genere dei ruoli economici, la maturazione dei contratti a tempo indeterminato di lavoro dipendente e delle carriere lavorative dei maschi adulti (Castel, 1995), lo sviluppo di programmi di welfare in sanit, educazione e formazione, assistenza e previdenza, e cos via. Il processo di costruzione delle combinazioni ha elementi comuni ma si diversifica lungo itinerari variati che dipendono da condizioni storiche differenti: lo sviluppo di programmi pubblici universalistici nel modello socialdemocratico; lespansione del welfare di mercato e del dualismo economico tra maggioranza e minoranze ed immigrati nel modello liberista; la combinazione di complementarit tra programmi pubblici e responsabilit familiari nelle varianti continentali europee e in Giappone; la delega di sussidiariet alle famiglie e alle piccole imprese con uno Stato nazionale interventista ma meno efficiente nelle varianti dellEuropa meridionale. Lo sviluppo dei diversi welfare mix fordisti si gioca sul ruolo, complesso e interrelato, di tre aree principali di responsabilit per il benessere e le condizioni di vita dei soggetti: famiglia, parentela e comunit; Stato; mercato. Questa non la sede per entrare nei dettagli dei diversi modelli di welfare capitalism, argomento che oggetto di un dibattito tutto aperto44, ma importante insistere sulla loro valenza metodologica
Per un approfondimento sullinterazione tra contesto istituzionale e le diverse condizioni storiche e sociali si vedano in particolare Arrighi (1996) e Mingione (1997). 44 Si gi accennato in precedenza alla recente letteratura europea sui diversi modelli di sistema di welfare. Stimolata dai pionieristici lavori di Rimlinger (1971) e Titmuss (1974), si sviluppata una riflessione sulle diversit dei sistemi di welfare nazionali; in particolare il lavoro di Esping-Andersen (1990; 1999), a partire dal quale ha preso corpo un ampio dibattito, ha messo in evidenza la rilevanza dei fattori nazionali nella caratterizzazione dei diversi regimi di
43

24

allinterno di un approccio fondato sullembeddedness per poi passare alla questione attuale di come sia cambiata la prospettiva storica rispetto alla quale vengono dotati di senso cooperativo e di legami di integrazione sociale i comportamenti economici. Le societ fordiste personalmente preferisco usare il termine di capitalismo intensivo (Mingione, 1997) maturano combinazioni diverse di vocazione alla produttivit e al consumismo, nessuna delle quali si esaurisce nel rapporto tra utilit individuale e necessit di cooperare. Queste combinazioni forniscono un quadro macro allinterno del quale si pu collocare lanalisi fine delle condizioni di embeddedness. I modelli di welfare preselezionano sia le modalit di socializzazione in termini di cultura, di caratterizzazione sociale della forma di individualismo, pi o meno orientato alla realizzazione personale o ad obiettivi familiari e comunitari, di vocazioni e aspettative di carriera - degli attori economici sia i riferimenti istituzionali che regolano e limitano le preferenze e le scelte. Le probabilit di praticare strategie di piccola imprenditorialit piuttosto che di emigrazione o di formazione professionale per accedere a posizioni di lavoro dipendente qualificato sono predisposte in termini differenti nei diversi contesti, per donne e uomini oppure tra i membri di gruppi sociali diversi. Il fatto che in alcune varianti (Italia, Germania) sia stato fondamentale il ruolo del risparmio mentre in altre (USA) stato, allopposto, cruciale il credito al consumo di nuovo una caratteristica dei mix cos come lo sviluppo differenziato di programmi pubblici di assistenza e previdenza in combinazione con evoluzioni variate del terzo settore. Ma il quadro complessivo e le modalit di diversificazione non prescindono mai dal riferimento alle caratteristiche dominanti della fase economica centrata sullespansione dei grandi apparati manifatturieri a crescente concentrazione, standardizzazione e produttivit, sulla efficacia del monopolio regolativo degli Stati nazionali e sulla importanza e stabilit della famiglia nucleare, come centro di redistribuzione primaria di risorse economiche, diritti, obbligazioni e opportunit di inserimento sociale. La identificazione stessa delle tre aree di famiglia, Stato e mercato come matrice della diversificazione dei modelli di welfare capitalism strettamente collegata con la logica della fase storica dove sono questi i principali ambiti di interazione e regolazione delle scelte economiche. Se si utilizzano parametri di articolazione dellembeddedness, questi vanno aggiornati rispetto ai cambiamenti storici soprattutto quando, come succede oggi, si assume un livello alto di discontinuit rispetto a modalit ed equilibri maturati nella fase precedente. I modelli di welfare capitalism sono entrati nella nuova fase storica con diversi equilibri sociali ed istituzionali e i loro itinerari di adattamento si riferiscono in modalit differenziate a nuove condizioni economiche, sociali e demografiche. I mondi di welfare capitalism quindi costituiscono uno spunto utile per inquadrare il punto di partenza, ma non tengono conto del mutamento di prospettiva rispetto ai quali i

welfare. Si veda qui la scheda scritta da Paolo Barbieri per una discussione comparata di alcuni recenti lavori sui modelli di welfare, intesi come contributi alla costruzione dei parametri della sociologia economica.

25

comportamenti economici sono oggi dotati di significati e di garanzie sociali. Per compiere le operazioni di aggiornamento sono necessari parametri meno vaghi e ambigui di flessibilit e globalizzazione, che sono i termini pi frequentemente utilizzati per qualificare la fase storica attuale. Ho enunciato il problema ma non sono in grado di affrontarlo in questa sede. Mi limito invece a fare una considerazione preliminare sulle aree di regolazione dei comportamenti economici e qualche osservazione esemplificativa sul caso della terza Italia proiettato nella transizione contemporanea per avere almeno unidea di come le tendenze della nuova fase storica aprono vertenze sociali in una delle diverse combinazioni di embeddedness e di come si pone il problema dal punto di vista metodologico. Nella logica della fase fordista era ragionevole ipotizzare che le diversit del comportamento economico potessero essere interpretate a partire dalle tre aree della famiglia (processi di defamiliarizzazione delle attivit di cura e di specializzazione delle convivenze nucleari), dello Stato (la costruzione dei programmi pubblici di welfare) e del mercato (la standardizzazione della produzione, del consumo e dei contratti di lavoro nei settori manifatturieri ad alta produttivit) mentre restavano in ombra le organizzazioni del terzo settore. Come mostra il saggio di Ota De Leonardis in questo stesso numero della rivista, interpretiamo oggi la crescente importanza del terzo settore attraverso tre concetti diversi come un estensione della famiglia (solidariet etica di reciprocit), dello Stato e del mercato. Ma questa modalit interpretativa non n assestata n soddisfacente. Allinterno del ridisegno post-fordista delle societ contemporanee larea del terzo settore acquista dei significati autonomi di regolazione economica collegati con le tendenze della nuova fase storica. La combinazione tra diminuzione delle posizioni lavorative contrattuali a tempo pieno e indeterminato (Rifkin, 1996), ridimensionamento del welfare state e minore capacit protettiva di famiglie nucleari pi instabili ed eterogenee apre nuove vertenze in termini di raccordo tra, da un lato, accesso alle risorse e, dallaltro lato, condizioni di vita e soddisfazione dei bisogni. Allinterno di queste vertenze, che sono cruciali per dotare di significati cooperativi le azioni economiche, il terzo settore assume un ruolo importante sia come ambito di impegno lavorativo, retribuito o meno, sia come fonte di protezione e di cura e di redistribuzione di risorse in forme molto diversificate. Aldil della presa datto dei mutamenti45, resta aperta la questione della collocazione teorica del terzo settore nellambito della transizione economica contemporanea46. Gli esempi conclusivi verteranno in particolare sullimpatto che stanno avendo sui sistemi di piccole imprese industriali i nuovi equilibri demografici e le trasformazione dei regimi finanziari. Si visto
Per quanto riguarda il caso italiano si veda, tra gli altri: Borzaga (1991), De Leonardis (1994 e 1998). Tra i molti diversi contributi teorici che attribuiscono una importanza autonoma decisiva al terzo settore si pu segnalare quello di Gorz (1992 e 1998), quello di Laville (1998 e larticolo inserito in questo numero della rivista) e quello di Donati (1996, 1997 e 1998)
46 45

26

quanto sia stato importante per il successo delle piccole imprese lesistenza di una famiglia stabile, sufficientemente numerosa, ben collegata alla rete parentale e ben radicata nella comunit di appartenenza. La specifica combinazione di rapporti di parentela e di comunit ha costituito lelemento chiave per le linee di imprenditorialit e di gestione aziendale e per legittimare le forme di cooperazione con lavoratori dipendenti culturalmente omogenei rispetto alla famiglia

dellimprenditore. Oggi le piccole imprese non hanno grandi problemi sul fronte della flessibilit ma piuttosto su quello del ricambio demografico di imprenditori e lavoratori dipendenti. Sul fronte del ricambio di gestione dellimpresa familiare si aprono numerosi interrogativi. La caduta del tasso di natalit prospetta la eventualit che molte imprese restino senza eredi o, ancora peggio, nelle mani di eredi che non sono affatto interessati alla sopravvivenza dellazienda. Inoltre lincremento della longevit e le trasformazioni culturali prospettano difficolt nel passaggio di potere tra le generazioni allinterno del quale si vanno perdendo quelle risorse di stabilit e consenso a favore dellinnovazione che hanno caratterizzato questo modello di sviluppo. La piccola impresa che, nel migliore dei casi, notevolmente cresciuta in termini di fatturato coincide sempre meno con un progetto familiare che, parallelamente, diventato pi fragile e limitato. Sul fronte della domanda di lavoro la crescita delle piccole imprese ha da tempo esaurito il retroterra omogeneo di vicini, amici e compagni di scuola dellimprenditore e della sua famiglia e, una volta drenato tutto il bacino di relativa omogeneit regionale e culturale, sta alimentandosi con un numero crescente di immigrati stranieri. Non si dispone ancora di analisi approfondite ma evidente che la trasformazione su questo fronte profonda. Le piccole imprese italiane in fase fordista si reggevano su un modello di cooperazione fondato sulla omogeneit mentre oggi vivono su un modello in cui la disomogeneit culturale tra imprenditori e lavoratori, e tra lavoratori al loro interno, abbastanza forte, forse di pi che non nelle grandi imprese. Sul fronte dei processi di finanziamento, la crescita delle piccole imprese stata favorita da una combinazione tra unelevata capacit di autofinanziamento, alimentata anche da tradizioni di risparmio familiare, e laccesso al credito locale, anche questo favorito dal risparmio locale e dal fatto che i rendimenti degli investimenti nelle grandi imprese e nella speculazione immobiliare stavano decrescendo mentre non era ancora incominciata lera della grande espansione dei buoni del tesoro. Per un lungo periodo lequilibrio tra labbondante disponibilit di credito locale e le basse aspettative delle imprese, limitate dallautofinanziamento e dalla modesta progressione iniziale della crescita, ha reso il sistema poco selettivo, il che ha rafforzato il clima di cooperazione locale favorendo iniziative di consorzio e joint venture. Si trattava quindi, in linea di massima, di un modello finanziario ad alto livello di autonomia che ha promosso una parallela vertiginosa espansione delle banche locali coinvolte nel processo di crescita industriale. Oggi per la globalizzazione

27

finanziaria sta indebolendo la stabilit di questo modello. Sia lautonomia che il basso livello di competizione, e quindi la possibilit di mantenere un clima di cooperazione tra imprese, sono minate dal regime finanziario globale, allinterno del quale le imprese della terza Italia non possono pi contare sulla protezione della perifericit e della piccola dimensione di nicchia economica. Vi sono casi, come Benetton e Luxottica, che anzi hanno assunto un ruolo di primo piano nel sistema finanziario globale. Oggi le piccole imprese non sono pi finanziariamente piccole e il sistema aperto, poco autonomo e sempre pi esposto alla competizione. Le banche locali non bastano pi, le multinazionali sono interessate ad acquisire le imprese disponibili (a partire da quelle dove viene a mancare il ricambio allinterno della famiglia), la strategia del consorzio locale sempre meno praticabile. Anche su questo fronte, il panorama dellembeddedness sta cambiando. Non abbiamo ancora una idea precisa di quale sia limpatto delle nuove condizioni ma sappiamo che il vecchio quadro su cui stata fondata lesperienza dei sistemi di piccole imprese scomparso. I due esempi sono troppo limitati per alimentare una costruzione teorica, ma possono essere un utile spunto metodologico per lavorare allaggiornamento dei parametri dei welfare mix come quadro di fondo su cui costruire modelli di embeddedness. In questa direzione non possiamo limitarci infatti a parlare di globalizzazione e flessibilit ma di come questi processi si articolano in termini di tensioni dettate dal mercato rispetto ai differenti contesti in cui agiscono gli attori economici. Ed questa la sfida che deve affrontare oggi la nuova sociologia economica.

Bibliografia Amin, Samir 1976 Unequal Development: An Essay on the Social Formations of Peripheral Capitalism, New York, Monthly Review Press. Arrighi, G. 1986 Custom and Innovation: Long Waves and Stages of Capitalist Development, duplicato, Fernand Braudel Center, State University of New York at Binghamton. 1996 Il Lungo XX Secolo, Milano, Il Saggiatore. Bagnasco, A. 1977 Tre Italie: la problematica territoriale dello sviluppo italiano, Bologna, Il Mulino. 1988 La costruzione sociale del mercato, Bologna, Il Mulino. Bagnasco, A; Trigilia, C. 1984 Societ e partiti nelle aree di piccola impresa: il caso di Bassano, Venezia, Arsenale. 1985 Societ e partiti nelle aree di piccola impresa: il caso di Valdelsa, Milano, F. Angeli. Banfield, E.C. 1976 Le basi morali di una societ arretrata, Bologna, Il Mulino. Barbieri, P. 1997 Non c rete senza nodi. Il ruolo del capitale sociale nel processo di incontro tra domanda e offerta di lavoro, in Stato e Mercato, n. 1. 1998 Regolazione istituzionale e redistribuzione dello stigma. Stato, mercato e reti sociali nei processi di avviamento al lavoro come fattori di esclusione sociale in Europa, in Rassegna Italiana di

28

Sociologia, n. 2, pp. 249-272. Becattini, G. 1989 Riflessioni sul distretto industriale marshalliano come concetto socio-economico, in Stato e Mercato, n. 25, pp. 111-129. Bonacich, E., Modell, J. 1981 The Economic Basis of Ethnic Solidarity: A Study of Japanese Americans, Berkeley, University of California Press. Borzaga, C. (a cura di) 1991 Il terzo sistema. Una nuova dimensione della complessit economica, Padova, Zancan. Bourdieu, P., 1980 Le capital social: notes provisoires, Actes Rech. Sci. Soc., Vol. 31, pp.2-3. 1997 Le champ conomique, in Actes de la Recherche en Sciences Sociales, N. 119 - settembre, pp.4866. Brusco, S. 1986 Small Firms and Industrial Districts: The Experience of Italy, in D. Keeble, E. Weler (a cura di), New Firms and Regional Development, Londra, Croom Helm. 1991 La genesi dell'idea del distretto industriale, in F. Pyke, G. Becattini, W. Sengerberger, op. cit. pp. 25-35. Capecchi, V. 1989 The Informal Economy and the Development of Flexible Specialization in Emilia Romagna, in A. Portes et al. (a cura di) The Informal Economy: Studies in Advanced and Less Developed Countries, Baltimore e Londra, The Johns Hopkins University Press. Cardoso, F.H. e Faletto, E. 1979 Dependency and Development in Latin America, University Park, Pennsylvania State University Press. Castel, R. 1995 Les mtamorphoses de la question sociale. Une chronique du salariat, Parigi, Fayard. De Leonardis, O. 1994 Limpresa sociale, Milano, Anabasi. 1998 In un diverso welfare. Sogni e incubi, Milano, Feltrinelli. Donati, P.P. 1997 La relazione libert/controllo sociale nella societ globalizzante, in Studi di Sociologia, XXXV, 34, pp. 285-315. 1998 Ripensare il welfare in Europa: oltre il lib/lab, verso un nuovo complesso societario, in Sociologia e Politiche Sociali, a. 1, n. 1, p. 9-52. Donati, P.P.(a cura di) 1996 Sociologia del Terzo Settore, Roma, Carocci. Dore, R. 1986 Flexible Rigidities. Industrial Policy and Structural Adjustment in the Japanese Economy 197980, Londra, The Athlon Press. 1987 Take Japan Seriously. A Confucian Perspective on Leading Economic Issues, Londra, The Athlon Press. 1996 La globalizzazione dei mercati e la diversit dei capitalismi, in Il Mulino, 6/96, novembre, pp. 1017-1027. Esping-Andersen, G. 1989 The Three Worlds of Welfare Capitalism, Cambridge, Polity Press. 1994, Welfare States and the Economy, in Smelser and Swedberg, op.cit., pp.711-732. 1999 Social Foundations of Postindustrial Economies, Oxford, Oxford university Press. Ferrera, M. 1993 Modelli di Solidariet. Politica e riforme sociali nelle democrazia, Bologna, Il Mulino. 1998 Le trappole del Welfare, Bologna, Il Mulino.

29

Frank, A. G. 1967 Capitalism and Underdevelopment in Latin America: Historical Studies in Chile and Brazil, New York, Monthly Review Press. Freeman, C. 1987 Technology Policy and Economic Performance: Lessons from Japan, Londra, Frances Pinter. Fukuyama, F. 1996 Fiducia, Milano, Rizzoli. Geertz, C. (ed) 1963 Old Societies and New States. The Quest for Modernity in Asia and Africa, New York, Free Press of Glencoe. 1964 Interpretazioni di culture, Bologna, Il Mulino. Germani, G. 1971 Sociologia della modernizzazione. Lesperienza dellAmerica Latina, Bari, Laterza. Gorz, A. 1992 Metamorfosi del lavoro. Critica della ragione economica, Torino, Bollati Boringhieri. Granovetter, M. 1985/1991 Economic Action and Social Structure: the Problem of Embeddedness, tr. it. Azione Economica e Struttura Sociale. Il problema dell'embeddedness, in M. Magatti (a cura di), op.cit. pp. 49-81. 1990 The Old and New Economic Sociology, in R. Friedland, A. F. Robertson (a cura di), Beyond the Market Place, New York, Aldine de Gruyer, pp. 89-112. 1992 The Nature of Economic Relationships, in R. Swedberg (a cura di), op. cit. pp. 3-42. 1998 La forza dei legami deboli e altri saggi, Napoli, Liguori. Granovetter, M., Swedberg, R. (a cura di) 1992 The Sociology of Economic Life, Boulder, Westview Press. Hirschman, A. O. 1987 Leconomia politica come scienza morale e sociale, Napoli, Liguori Editore. Laville, J.-L. 1998 Leconomia solidale, Bollati Boringhieri, Torino. Leibfried, S. 1992 Towards a European Welfare State? On Integrating Poverty Regimes into the European Community, in Ferge e Kolberg (eds.) Social Policy in a Changing Europe, Campus Verlag Westview Press, Francoforte e Boulder. Levi, Margaret 1996 Social and Unsocial Capital: A Review Essay of Robert Putnams Making Democracy, in Politics & Society, n. 1, March 1996, pp.45-55. Magatti, M. 1991 Mercato e forze sociali: due distretti tessili Lancashire e Ticino Olona 1950-1980, Bologna, Il Mulino. Mingione, E. 1991 Fragmented Societies: A Sociology of Economic Life beyond the Market Paradigm, Oxford, Basil Blackwell. 1997 Sociologia della vita economica, Roma, Nuova Italia Scientifica. Mutti, A. 1994 I sentieri dello sviluppo, in Rassegna Italiana di Sociologia, n. 1, pp.109-119. 1998 Capitale sociale e sviluppo. La fiducia come risorsa, Bologna, Il Mulino. Ostrom, E. 1997 Investing in Capital, Institutions, and Incentives, in Clague C. (ed) Institutions and Economic Devolopment, Baltimora, The Johns Hopkins University Press. Paci, M. 1989 Pubblico e privato nei moderni sistemi di Welfare, Napoli, Liguori.

30

Paci, M. (a cura di) 1980 Famiglia e mercato del lavoro in uneconomia periferica, Milano, F. Angeli. Picchio, A. 1992 Social Reproduction: the Political Economy of the Labour Market, Cambridge, Cambridge University Press. Piore, M., Sabel, C. 1987 Le due vie dello sviluppo industriale, Torino, Isedi. Pizzorno, A. 1996 Decisioni o interazioni? La micro-descrizione del cambiamento sociale, in Rassegna Italiana di Sociologia, a. XXXVII, N.1, pp.107-132. Pyke, F., Becattini, G., Sengerberger, W. 1990 Industrial districts and inter-firm cooperation, Genova, Institute for Labour Market. Polanyi, K. 1944/1974 The Great Transformation, tr. it. La Grande trasformazione, Torino, Einaudi. 1977/1983 The Livelihood of Man, tr. it. La Sussistenza dell'Uomo, Torino, Einaudi. Portes, A. 1998 Social Capital: Its Origins and Applications in Modern Sociology, in Hagan, J. e Cook, K.S. (a cura di) Annual Review of Sociology, pp. 1-24. Portes, A., Landolt, P. 1996 The Downside of social Capital, in The American Prospect, n. 26, May-June, pp. 18-21. Putnam, R.D. 1993 La tradizione civica nelle regioni italiane, Milano, Mondadori. Regini, A. 1996 La variet italiana del capitalismo. Istituzioni sociali e struttura portante negli anni ottanta, in Stato e Mercato, n. 43, pp 3-26. Rifkin J. 1995 La fine del lavoro, Milano, Baldini & Castoldi. Rimlinger, G. 1971 Welfare and Industrialization in Europe, America and Russia, New York, John Wiley and Sons. Salvati, M. 1994 Economia e Sociologia: un rapporto difficile, in Stato e Mercato, n. 38, pp. 197-242. Sandefur, R.L. e Laumann, E.O., 1998 A paradigm for social capital in Rationality and Society Vol. 10, N.3, pp.481-501. Schumpeter, J. A. 1954/1959 History of Economic Anlysis, tr. it. Storia dell'analisi economica, Torino, Bollati Boringhieri. Smelser, N.J. e Swedberg, R. (a cura di) 1994 The Handbook of Economic Sociology, Princeton, NJ, Princeton University Press e New York, Russel Sage. Swedberg, R. 1990 Economics and Sociology, New Jersey, Princeton University Press. Tilly, C. e Tilly, C. 1998 Work under Capitalism, Boulder, Westview Press. Titmuss, R. 1958 Essays on the Welfare State, Londra, Allen and Unwin. 1974 Social Policy, Londra, Allen & Unwin. Trigilia C. 1986 Grandi partiti e piccole imprese, Bologna. Il Mulino. Weber, M. 1922/1961 Wirtschaft und Gesellschaft, tr.it. Economia e Societ, Milano, Edizioni di Comunit, 2

31

vol..

Potrebbero piacerti anche