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Arianna Fantin / Marina Fulgeri / Sabrina Mezzaqui

CASABIANCA

arianna fant in

Arianna Fantin Tela di lana (Relazione/Rapporto), 2011; Lana (100x50 cm) Alhambra, 2011; Tela in lino, filo di cotone (43x32 cm)

Pi o meno consapevoli, ci troviamo di fronte ad unopera che riassume in s la dimensione estetica della pura bellezza formale, quella concettuale della riflessione sul codice visivo e sul significato del linguaggio scritto, quella artigianale delloperato umano, dellabilit manuale non disgiunta dalla cura nella scelta del materiale. Arianna Fantin cuce un unico lembo di stoffa lungo quattro metri, e lo piega, dandogli la forma di un libro. Nellatto di sfogliarlo, nel tentare di leggerlo, siamo liberi di seguire lordine che la nostra cultura ci ha insegnato: entrambi i lati sono ricamati. Da destra a sinistra, alla maniera orientale, esso presenta scritte in lingua araba intersecate a motivi decorativi minuziosamente ricamati, tratti dalle pareti del palazzo moresco di Granada, il cui nome, Alhambra, lo stesso titolo dellopera. Ciascuna illustrazione poi corredata dalla traduzione in lingua araba, anchessa ricamata, delle parole inserite nelle decorazioni. Fantin tocca qui una profonda questione semiotica e concettuale: per tutti coloro che non leggono la lingua araba il testo perde il valore di senso, mantenendo unicamente quello della forma. Quando invece il libro viene sfogliato secondo la norma occidentale, da sinistra a destra, vi si trovano citazioni in spagnolo sul valore del testo nellarchitettura moresca, e la traduzione in spagnolo di un poema arabo. E il cerchio si chiude. Lartista tocca per anche le corde, o meglio i fili, del sentimento. La seconda opera presentata consiste in una tela di lana bianca sulla quale tracce di filo nero appaiono come limpronta di un testo, ormai cancellato, illeggibile. E quando Arianna Fantin tira il filo la tela si disfa, scompare, tutto ci che di quellombra di testo resta non che la materia stessa che lha generato, un gomitolo di lana. Effimero, precario, bruciato in un secondo, metafora di quella misteriosa relazione che sinstaura tra lopera e lo spettatore, ma anche, in fondo, un po di tutte le relazioni umane in questo presente transitorio e fuggitivo. Lisa Costalbano

marina fulgeri

Marina Fulgeri Alto Fragile, 2011; scatole di cartone, colla (2,20 m ca.) Cancello, 2011

Marina Fulgeri diretta, interviene sullo spazio, lo modifica, cambia la percezione di chi lo vive. Il primo ingresso sbarrato da un cancello, ma poi la sorpresa, il cortocircuito, lossimoro visivo, come lartista ama definirlo: il cancello forato, dovrebbe chiudere ma aperto, forse apre, ad una visione ulteriore. Le pesanti sbarre sono segate in un ritaglio di vuoto coincidente allesatta misura della finestra che vi sta dietro: quello che normalmente un impedimento al passaggio ora ci sbalza allinterno, ci proietta in avanti, quantomeno disorienta. Quando poi ci si sofferma ad osservare meglio, e si prendono nuovamente le misure di uno spazio inatteso che ci si imposto allo sguardo, scopriamo che anche quelle sbarre che rappresentano il negativo della finestra chiusa possono essere unapertura su tutto ci che vi sta oltre. Allinterno, il secondo cortocircuito, il secondo ingresso stravolto: una possente, quanto in realt fragile e leggera, costruzione ad arco, fatta di sole scatole di cartone. Come una seconda porta, o un rifugio, unarchitettura ecologica o futuristica, un gioco per bambini. Gli ossimori ritornano, la struttura prende vita: la forma pesante, imponente, ma il cartone che la costituisce potrebbe, ad un secondo esame, apparire pronto a crollare da un momento allaltro, o a volare via al primo refolo di vento. Come le tradizionali case giapponesi, fatte di carta e cartone, ma anche come gli imballaggi sotto cui si riparano i senzatetto. E al rigore formale del monumento si unisce e si contrappone infine la vivacit delle scritte, il caratteristico aspetto pop degli imballaggi commerciali: segno di vita nella geometria della forma architettonica.

Lisa Costalbano

sabrina mezzaqui

Sabrina Mezzaqui Lastra di ghiaccio, video, 2011

La poesia di una favola popolare, con i suoi intrinseci significati simbolici, ma anche quel senso di tradizione profondamente radicata nella societ, che recupera quella dimensione pi umana, pi vera, ci riporta in armonia con il mondo, con la realt e la vita naturale che l, fuori dalla nostra finestra, e che paradossalmente tendiamo a dimenticare. Sabrina Mezzaqui unisce passato e presente, e si confronta con il Tempo. Lispirazione le viene dalla famosa favola di Hans Christian Andersen La Regina delle Nevi, nella quale il giovane protagonista, soggiogato dalla Regina, costretto a comporre allinfinito parole con frammenti di ghiaccio, e solo se riuscir a comporre la parola Eternit torner padrone della propria vita. Lartista riporta questo gesto impossibile nella realt, ci mette di fronte allimpossibile, si misura con un Tempo che non potr mai essere dominato dagli esseri umani: incide in una lastra di ghiaccio la parola Eternit, proprio come in una favola moderna, e proprio come da morale della favola questa eternit impossibile scomparir, scorrer via assieme allacqua, di cui, in fondo, fatta. Sua compagna la neve, in fondo quasi pi reale questa del concetto poetico e filosofico racchiuso nel ghiaccio, che lartista espone in un video nel quale, come in piccolo quadro, viene mostrata la vista dalla finestra della sua casa, coperta da una candida coltre di fiocchi, questi s, che cadono per lEternit.

Lisa Costalbano

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il prufesur

il prufesur
chiunque vedesse una cattedra di taglia media pregato di telefonare al 3455335305

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Zola Predosa, 18 dicembre 2011

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