moderna, della civiltà antica. Cerca quella chiarezza, quella oggettività che sembra che si possa
riconoscere solo nella cultura classica.
Inizia, già prima, la tendenza a schiarire i colori, a evitare i contrasti chiaroscurali, a dare una forma
geometrica alle strutture. Il vero teorico del neoclassicismo fu Winckelmann che ritiene che l’opera
d’arte sia espressione del bello ideale, raggiungibile non imitando la natura e scegliendo di essa le
parti più belle e fondendole insieme. Inoltre Winckelmann ritiene che solo i greci abbaiano
raggiunto il bello ideale e quindi assume l’opera greca come modello da imitare. L’opera d’arte
dovrà superare, secondo Winckelmann, agitarsi delle passioni umane, il movimento, il dramma e
poiché padrone dei propri sentimenti è l’uomo la più alta forma d’arte è la scultura che imita il
corpo umano. Attraverso la scultura sarà possibile esprimere una serena compostezza anche nel
dolore.
Importanti sono gli scavi delle due città romane “vittime” del Vesuvio Ercolano e Pompei
soprattutto a Pompei che aveva una maggior facilità di scavo offriva una straordinaria abbondanza
di oggetti antichi, che divennero modello indiscusso di imitazione, dando luogo a quello che fu
definito “ stile pompeiano”.
Quindi il neoclassicismo fu un movimento culturale che persegue un fine estetico: il bello ideale.
Per il raggiungimento della libertà, per la salvaguardia della dignità, occorre combattere, e, se la
massa non è ancora in grado di farlo, dovrà esserci qualcuno, che assuma su se stesso l’onere,
conducendo fino in fondo la battaglia, pronto a pagare ogni prezzo. Nasce nuovamente il mito
dell’eroe, l’uomo leggendario che, da solo, salva l’umanità.
L’ideale estetico e l’ideale etico sono dunque due poli entro i quali si muove il neoclassicismo,
talora con risultati artistici di grande valore, soprattutto nel campo della poesia e della musica.
Il neoclassicismo si divide in due fasi quella prerivoluzionaria e rivoluzionaria da un lato e quella
imperiale dall’altro.
C’è un altro aspetto molto importante la “prima rivoluzione industriale” e la nascita di una nuova
concezione urbanistica.
Il problema che venne affrontato da teorici è quello di cercare di studiare e progettare abitazioni
destinate a creare una vita socialmente e qualitativamente migliore per lo più in campagna. I più
noti sono l’inglese Robert Owen e il francese François- Charles Fourier.
Il primo tentò una riforma sociale che prevedeva la costituzione di piccole comunità agrarie
autogestite, villaggi organizzati al di fuori dei grandi agglomerati urbani, secondo una concezione
“città – giardino” inglesi.
Il Fourier, convinto dell’uguaglianza sociale di tutti gli uomini, pensava invece alla costruzione di
grandi edifici autosufficienti in ciascuno dei quali avrebbe abitato una collettività di 1620 persone
detta falange.
Owen e Fourier non sono architetti ma uomini preoccupati di dar un volto umano ai centri abitati,
con progetti impossibili ad essere realizzati nella società dell’epoca e perciò detti utopici. Tutto ciò
dimostra la nascita di una mentalità nuova, quella dell’urbanistica moderna, che concepisce
l’edificio in relazione alla sua funzione sociale e all’intera collettività.
L’ARCHITETTURA NEOCLASSICA ha come scopo fondamentale la valorizzazione di edifici
pubblici dando loro risalto con strutture che si impongano per nobiltà e grandiosità di origine antica.
Il maggior architetto del primo neoclassicismo italiano fu Giuseppe Piermarini che nel 1776
progettò il Teatro della Scala.
Sempre a Milano Giovanni Antonio Antolini che progettò fin dal 1801, Il Foro Bonaparte che
avrebbe dovuto consistere in un’immensa piazza circolare costruita attorno al Castello Sforzesco.
Uno dei maggiori protagonisti della vita artistica romana è Giuseppe Valadier fu un archeologo
architetto e urbanista. La più importante è la sua opera di urbanistica nella sistemazione di Piazza
del Popolo a Roma.
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CANOVA: interpreta il bello ideale e la rinascita dell’arte antica. Nelle sculture appartenenti alla
periodo della sua prima attività artistica svoltasi a Venezio ( per esempio Dedalo e Icaro) è
riconoscibile il motivo fondamentale canoviano: naturalismo e idealizzazione. Evidente è il
movimento delle superfici con un riferimento alle opere ellenistiche. Tratta diversamente il marmo
per esprimere l’età delle persone scolpite. Rispetta con perfezione i rapporti proporzionali del
corpo. Riesce a rappresentare al meglio il “vibrare” e il movimento nello spazio dei corpi. Canova
cerca anche l’equilibrio nella sua scultura: per esempio:
Amore e Psiche:
Paolina borghese:
Questo blocco scultoreo esprime gli ideali canoviani nel rispetto
delle teorie winckelmanniane; l'amore per la natura subisce una
sublimazione, un superamento negli ideali così da esser tramutato
in bellezza. Il marmo della sorella di Napoleone presenta un rigore
chiaramente dettato dalla necessità di oggettivare le forme, di
ritrovare la trasparenza in contrasto con gli eccessi e la complessa
ridondanza propria del barocco. La rigidità viene però smorzata
dalla naturale morbidezza con cui sono rappresentati i drappeggi e il triclinio, abilità che Canova
apprende grazie ai numerosi studi in gesso e in terracotta finalizzati ad una elevatissima conoscenza
del nudo umano.
Notevole importanza hanno anche i numerosi disegni e i bozzetti preparatori, sia per il loro valore
intrinseco, sia come tappe fondamentali dell’iter creativo dell’autore.
La produzione culturale tedesca del XIX secolo è l’espressione del lento processo di unificazione
del paese, che si realizzò nel 1871.
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Durante la prima metà dell’800 abbiamo, accanto al perdurare del Neoclassicismo, la formazione
dello Sturm Und Drung ( movimento culturale tedesco che prende il nome dal dramma teatrale
scritto da Klinger nel 1776, letteralmente Tempesta e Impeto ed p da considerare come una delle
fasi culminanti della poetica romantica del sentimento per la sua esplosione di passionalità e
irrazionalit), che rappresenta il nucleo del romanticismo tedesco (arte come espressione
dell’irrazionale) di cui il maggiore esponente fu C.D. Friedrich.
GOTHIC REVIVAL: corrente che si sviluppa all’inizio dell’800 in Inghilterra; propone la libera
imitazione del Medioevo e si colloca, storicamente, nel periodo di rivendicazione delle tradizioni
nazionali.
CASPAR DAVID FRIEDRICH: è ritenuto un grande paesaggista (non inteso in senso illuminista
bensì nel senso romantico di totale convivenza dell’uomo, finito e tuttavia colmo di aspirazione
all’infinito, con la natura, immensa e possente; nel paesaggio, Friedrich trasfonde la ricchezza dei
suoi sentimenti, la coscienza della solitudine dell’uomo, la sua angoscia di fornte al mistero; nella
natura egli coglie il “sublime”, quel sublime che è uno dei temi fondamentali del romanticismo, e
che è stato definito da Kant: sublime è il senso di sgomento che l’uomo prova di foronte alla
grandezza della natura, sia nel suo aspetto pacifico, sia, ancor più, nel momento della sua terribilità,
quando ognuno di noi sente la sua piccolezza, la sua finitezza, ma, al tempo stesso, proprio perché
cosciente di questo, intuisce l’infinito e si rende conto che l’anima possiede una facoltà superiore
alla misura dei sensi.
OPERE: una delle opere di Friedrich che possono meglio servire da esempio è
Poiché l'uomo, nella concezione romantica, è immerso nella natura, il paesaggio diventa uno dei
temi preferiti: non il paesaggio riprodotto con lucida oggettività, ma quello vissuto intimamente dal
pittore.
E' in questo ambito che si devono collocare i maggiori paesaggisti inglesi:
WILLIAM BLAKE: traduce in visioni libere, come sognante, il suo mondo intimo, estricandolo
con l’uso di una linea sinuosa o avvolgente che, diventando mezzo espressivo dominante, esclude la
costruzione plastica e spaziale. OPERE:
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Paolo e Francesca: le linee sinuose e avvolgenti, che diventano mezzo
espressivo dominante,escludono la costruzione plastica.
PAESAGGISTI INGLESI:
JHON CONSTABLE & JOSEPH TURNER: sono i due maggiori paesaggisti inglesi, mentre il
primo ama la bellezza e la freschezza della natura, Turner coglie piuttosto la grandiosità di essa e lo
smarrimento dell’uomo di fronte alla maestà dei suoi fenomeni.
Il paesaggio tradizionale si dissolve, per Turner, in vortici di linee e di luci, che annullano la
consistenza degli oggetti rappresentati immergendo lo spettatore all’interno del quadro e facendolo
protagonista.
Ciò che viene rappresentato non è la realtà che è davanti ai nostri occhi; è piuttosto la reazione
soggettiva dell’uomo, la vita interiore che questi proietta nella natura circostante.
Altri pittori inglesi cercano di recuperare temi antichi, dando loro una veste dimessa, attuale.
Nasce così, ad opera di Dante Gabriel Rossetti, William Holman Hunt, e JOHN EVERETT
MILLAIS, la “Confraternita dei preraffaelliti”.
I preraffaelliti intendono rifarsi alla pittura del passato e, precisamente, a quella che precede
Raffaello, volendo recuperare la purezza dell'arte del primo rinascimento italiano.
Ofelia:
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È uno dei quadri prerafaelliti più noti. Il tema del suicidio di Ofelia, tratto
dall’Amleto da Shakespeare, è trattato, pur nell’accurata resa di ogni
dettaglio, non con senso drammatico o realistico, ma con raffinata
idealizzazione.
ARTS AND CRAFTS: movimento formatosi nel 1888 (letteralmente Arti e Mestieri) sulla base del
tentativo di W. MORRIS di applicare canoni di bellezza e buon gusto al prodotto industriale.
L’oggetto prodotto dall’industria poteva e doveva essere bello e raffinato, come quello lavorato a
mano. Si tratta del primo tentativo di superamento della scissione fra produzione in serie e
creazione dell’individualità umana.
Pimpernel (Morris):
In ITALIA il pittore romantico più acclamato è FRANCESCO HAYEZ (Venezia, 1791 - Milano,
1882).
Di lui si apprezzava non il valore artistico, ma la scelta dei temi tratti dalla storia italiana, tali da
evocare momenti di antica gloria nazionale,momenti di riscatto popolare contro gli stranieri, tali da
poter essere considerati risorgimentali; come ad esempio:
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riesce a dare anima a ciò che narra, in quanto egli, in realtà, è un neoclassico che sceglie soggetti
storici senza sentirli romanticamente.
È la terza versione dipinta dallo Hayez del tema che trae spunto dalla nota insurrezione palermitana
del 1282 che liberò la città dal dominio degli Angiò, francesi,facendola tuttavia passare sotto quella
degli Aragona, spagnoli. I protagonisti sono in primo piano, come in un melodramma.
REALISMO: movimento culturale sviluppatosi in Francia nella prima metà dell’Ottocento come
forma di reazione nei confronti dell’idealismo classico e romantico.
Corrisponde alla nascita del positivismo e all’evoluzione delle dottrine storiche in un momento in
cui anche l’artista tende ad ottenere una riproduzione oggettiva della realtà, anziché a darne una sua
personale interpretazione.
Il movimento realista si esprime nelle arti figurative con G. COURBET, J. F. MILLET..
Per le sue caratteristiche antiaccademiche può essere considerato il precedente immediato
dell’Impressionismo.
La parola “realismo” significa la descrizione della realtà così come appare sotto i nostri occhi: è la
riproduzione oggettiva della realtà, senza aggiunte da parte del pittore, senza interpretazioni:
“ Imitatrice della realtà”. Ha come secondo fine il superamento del molteplice per raggiungere l’uno
nell’arte greca.
L’affermazione della supremazia di Roma, nell’arte romana.
L’espressione della verità divina, astratta, attraverso l’immagine concreta nell’arte cristiana medievale
GUSTAVE COURBET: pittore francese considerato uno dei principali rappresentanti del realismo,
studiò la pittura veneziana, francese e olandese.
I dipinti dell’artista, che suscitarono disapprovazione e polemiche violente presso la critica del
tempo, rappresentano paesaggi, contadini, gente del popolo, che sono descritti con pennellate libere
ed efficaci, con un sentimento di profonda naturalezza. Può essere considerato referente principale
della pittura impressionista.
OPERE:
Le Bagnanti:
I corpi sono assai reali, non hanno più la superficie levigata (come nel
neoclassicismo), sono di persone vive, reali. I contemporanei in un primo
momento non apprezzarono questo tipo di rappresentazione così realistico,
poiché vedevano loro stessi.
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MILLET: rappresenta la realtà della vita dei campi, una realtà che conosce bene non solo perché di
origine contadina, ma anche perché, dopo la morte improvvisa del padre, si dedicò personalmente al
lavoro della terra per mantenere la famiglia composta da otto figli.
OPERE:
L’Angelus:
Quest' opera ci mostra uno splendido spaccato del ruolo giocato
dalla religione nella vita dei contadini, secondo l' autore: "L'
Angelus" è il titolo dell' opera, ma l' angelus è anche quella
preghiera che si recita al mattino e alla sera, dopo il rintocco della
campana. La scelta di usare un solo colore in varie tonalità, si
riallaccia, insieme alla grande importanza data alla luce, al desiderio
dell'autore di comunicare il senso del divino della scena.
Il soggetto lo prende dall’ambiente circostante; con la preghiera
l’artista ci trasmette semplicità e devozione.
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per ricevere con immediatezza l'impressione in tutte le infinite sfumature della luce, del colore, dei
movimenti e degli spazi.
( C. Monet, C. Pissarro, A. Renoir, A. Sisley, E. Menet, E. Degas).
EDOUARD MANET: cominciò ad esporre al Salon di Parigi nel 1861 e nel 1863 uno suo dipinto
(colazione sull’erba), rifiutato dalla giuria, fu esposto al Salon des Refusés.
Manet che è uno dei principali esponenti dell’Impressionismo, frequentò la cerchia di artisti e
intellettuali che si incontravano al Caffè Guerbois. A Manet si deve la nascita della pittura EN
PLEN-AIR (aria aperta) e della tecnica impressionista che non si basa sulla linea e sul chiaro scuro,
ma sulla stesura dei colori giustapposti.
Contrariamente a tale interpretazione invece, nella realizzazione del dipinto Manet ha ben presenti
alcuni famosi esempi rinascimentali: il Concerto campestre attributo al Giorgione e alcune incisioni
di Marcantonio Raimondi tratte dal Giudizio di Paride di Raffaello. L'isprazione è dunque classica e
ciò che disturba non sta nel soggetto ma nella sua attualizzazione. Anche la nuova tecnica pittorica
dell'artista venne messa abbondantemente in ridicolo, in quanto lo si accusò di non aver saputo
usare né la prospettiva né il chiaroscuro. Osservando un dipinto si nota come personaggi a sfondo
siano trattati in modo diverso, quasi che i primi (forse con l'unica eccezione della ragazza che sta
lavandosi nel ruscello) fossero ritagliati e incollati sul secondo, come se si trattasse di figure prive
di un volume e di una consistenza propri. Il senso della profondità prospettica non è dato dal
disegno, in realtà quasi assente, ma dai piani successivi degli alberi e delle fronde, che si
sovrappongono gli uni alle altre come in una quinta teatrale, creando zone di luce e di ombra più per
sovrapposizione che grazie alla tecnica del chiaroscuro. I colori, infine, sono stesi con pennellate
veloci, giustapponendo toni caldi (come ad esempio quelli della frutta fuoriuscita dal cestino
rovesciato) e freddi (come quelli del vestito azzurro) in modo da creare quel contrasto simultaneo
che li rende più vivaci e squillanti. L'atmosfera del dipinto è pertanto fresca e luminosa.
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corteggiatore. Ma il motivo principale per cui il dipinto fece scalpore, era la rappresentazione di una
donna sul "posto di lavoro" in quanto prostituta (Olympia era infatti un nome molto diffuso tra le
prostitute), aspetto sottolineato dal nastrino di raso nero al collo della donna, tipico delle prostitute
del tempo. Anche se la mano sinistra copre il pube, il riferimento al pudore e alla tradizionale virtù
femminile è ironico. Il pittore dipinge la donna di colore per creare uno spazio più "normale" in
quanto la presenza di una donna bianca,avrebbe conferito allo spazio una tonalità troppo
"pulita,ideale",troppo chiara insomma.
CAMILLE PISSARRO: la sua pittura è impressionista, nel senso che egli sente la mobilità della
luce e degli effetti cromatici, ma, più di quella dei suoi amici, è costruttiva; dipinge en plein air, ma
medita e studia lungamente e seriamente.
Non esitò, già anziano, ad accostarsi, intorno al 1855, alla pittura puntillista, la nuova ondata
artistica che segue alla crisi dell’impressionismo.
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poiché è mobile e riflette i colori di tutto ciò che la sovrasta e la circonda, i quali si fondono e ne
vengono respinti, tornando ad influenzare gli oggetti che vi si erano specchiati. Inoltre queste
vibrazioni di colore variano di continuo, a seconda dell' inarrestabile movimento della superficie. In
questo modo le percezioni visive dei colori sono infinite e sempre diverse. In questo quadro la
mobilità dell' acqua e dei riflessi è resa distribuendo i colori a macchie accostate a forma di piccole
strisce orizzontali ed evitandone la fusione.
La cattedrale di Rouen :Nel ciclo delle Cattedrali, che comprende oltre cinquanta
dipinti, eseguiti tra il 1892 ed il 1894, Monet indaga e riproduce in maniera
sistematica il variare della luce sull'architettura, in rapporto ai diversi punti di
vista ed alle diverse ore di osservazione. Il sole di mezzogiorno invade e
trasfigura le forme della Cattedrale. Nelle zone di maggiore lucentezza i contorni
sono completamente dissolti dal chiarore. I colori utilizzati sono per lo più varie
tonalità di gialli.
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La Grenouillère: i due quadri sono simili anche nell’impostazione del colore, oltre che nella
posizione degli oggetti e delle persone, ma la pennellata di Renoir è leggera, levitante, i riflessi sono
vibranti, i toni più chiari e luminosi, l’atmosfera più primaverile.
EDGAR DEGAS: il disegno, come mezzo per fermare le idee sulla carta, resta caratteristica
fondamentale per tutta la vita di Degas.
La pittura di Degas è fin dall’inizio caratterizzata da una profonda modernità, dal movimento, dal
senso della cattura istantanea dell’immagine e del colore.
Questa sensibilità avvicinò ben presto il pittore al gruppo degli artisti del Cafè Guerbois.
Apparentemente sembra divergere parecchio dagli impressionisti: questi ultimi usano il colore
giustapposto a macchie e Degas la linea che contorna l’oggetto; gli impressionisti ritraggono la
natura più che la città e Degas la vita cittadina più che la campagna; gli impressionisti dipingono en
plein air e Degas in studio.
Ma nonostante queste differenze, Degas può essere considerato un impressionista:
- Rende la realtà che lo circonda nella sua globalità spaziale e temporale, ossia facendone
intuire la continuità (al di là dei limiti imposti dalla cornice).
- Rappresenta comunque la vita quotidiana, poco importa se, piuttosto che quella della
natura,la vita artificiale della città, la vita che conosce a fondo perché oggetto costante della
sua osservazione quotidiana, la vita della società che frequenta: quella delle corse dei
cavalli, del teatro, dei cafè.
- Dipinge nello studio perché la memoria lo aiuta ad eliminare il superfluo, ricordando con gli
occhi della mente ciò che lo ha realmente colpito.
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prova il suo passo. Il movimento avvolgente è sottolineato dalla presenza della scala a chiocciola; il
pavimento crea uno spazio, imprime un movimento obliquo. Il colore è steso con molta leggerezza
per rendere così leggero l’abbigliamento tecnico delle ballerine.
L’assenzio:
PAUL CEZANNE: solitario chiuso e riflessivo, occupa una posizione differenziata, tale che a volte
la sua pittura può sembrare l’opposto di quella impressionista, al punto che, talvolta, la sua pittura
sembra essere l’opposto di quella impressionista, ricercando, invece che la fugacità
dell’impressione, la solidità costruttiva della forma. Nonostante ciò, Cezanne ha molti punti in
comune con l’impressionismo, primo fra tutti: il contatto diretto con la natura e il superamento della
rappresentazione di essa come qualcosa di immobile; in secondo luogo non vuole riprodurre
l’apparenza della natura, ma coglierne la sostanza. Il quadro è il momento terminale
dell’elaborazione della realtà operata dal pittore; solo che, a differenza degli altri impressionisti,
Cezanne ritiene di trovare la sintesi fra i vari aspetti della natura nella forma geometrica: vuole
superare la superficialità dell’occhiata gettata a caso sulla natura, per esprimere il significato che
acquista la somma sintetica delle sensazioni, diventate comprensione profonda della natura e perciò
durevole nella nostra coscienza come la forma geometrica.
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case e delle montagne.I colori caldi sono vicini, così come quelli freddi sono lontani e anche questo
aumenta il volume.
POST-IMPRESSIONISMO: termine con il quale si indica, per convenzione, la pittura francese
sviluppatosi in conseguenza, o come evoluzione dell’esperienza impressionista nell’ultimo quarto
del secolo scorso.
L’impressionismo inteso come movimento stretto si conclude, infatti, attorno al 1880, in parte
perché molti pittori lasciarono Parigi, in parte perché ciascun artista modificò ed approfondì il
proprio itinerario figurativo approdando a risultati diversi.
A partire dal 1880 circa ci si pone il problema di come dare consistenza alla fugacità
dell’impressione. È nell’ambito di questa crisi che si colloca la nascita della nuova corrente
chiamata PUNTILLISMO o NEOIMPRESSIONISMO.
All’interno di questo periodo si formarono diverse correnti , fra le quali vere e proprie scuole, come
il Pointillisme, che ebbe una filiazione nel Divisionismo italiano (P. Cézanne, P. Gaugui, V. Van
Gogh, H. Rousseau): POINTILLISME: movimento sviluppatosi in Francia ad opera di G. Seurat
e P. Signac che cercarono di applicare alla pittura un metodo scientifico, capace di dare un ordine
razionale ai principi dell’Impressionismi.
Ogni colore nasce dall’influenza del colore che ha vicino quindi i colori non vanno più mescolati
ma accostati l’un l’altro, soprattutto al suo complementare, ricevendone un’esaltazione luminosa.
Seurat afferma che finora si sia seguito più l’occhio che il colore e facendosi a delle letture di
trattati scientifici applica sistematicamente il metodo dell’accostamento sulla tela dei colori e dei
loro complementare. In modo che la fusione avvenga nella retina dell’osservatore. E ai colori dovrà
essere data la forma non più di virgole di trattini di strisce di diverse forme ma bensì di puntini da
qui il nome della nascente corrente. Le immagini di Seurat sono posizionate esclusivamente di
fronte, di spalle o di profilo prive di volume come se fossero ritagliate. Nonostante i volti siano
molto seri c’è comunque una vena d’ironia in essi che voleva ridicolizzare soprattutto i borghesi.
Tutto nei quadri è accuratamente calcolato i rapporti dei colori sovrapposti fra loro la disposizione
delle figure che sono concatenate secondo un ordine preciso così come i loro atteggiamenti.
Mentre gli impressionisti accostavano i colori fondamentali e complementari sulla tela attraverso
trattini, i Pointillisti, scelsero come unica forma di scomposizione del colore , il punto.
Dal punto di vista iconografico i temi scelti da Signac e da Seurat sono di tipo impressionista, ma
sul piano tecnico, la rigida scomposizione del colore produce una quasi totale assenza di
movimento.
Il più noto esponente è Georges Seurat che ricercò e applicò alla pittura un metodo scientifico che
dia ordine razionale alle intuizioni impressioniste sull’importanza del rapporto luce-colore nella
resa della realtà.
SEURAT:
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PAUL GAUGUIN: Da spazio alla libera espressione di se stesso. È uno di quei poeti simbolisti, che
attraverso la musicalità della parola, di esprimere il proprio mondo interiore. Culmina con Gauguin
quella corrente culturale, tipicamente francese, che tende all’evasione dalla società civile, corretta e
corruttrice, verso il mito della purezza incontaminata del “buon selvaggio”, o comunque attraverso
l’ignoto di terre lontane. L’unico a attuare questa evasione è Gauguin che nel 1883 a 35 anni decide
di abbandonare la vita borghese fino allora condotta e di dedicarsi interamente alla pittura,
affrontando la miseria e , incurante della famiglia va sempre più lontano. Durante un precedente
viaggio in Bretagna aveva sviluppato un nuovo linguaggio pittorico, affidandosi esclusivamente alla
suggestione della linea di contorno evidente e del colore piatto con un antinaturalismo cromatico e
quindi si evoca al valore simbolico del colore. Predominano i colori primari (giallo, blu, rosso)
evitando toni intermedi così da ottenere uno straordinario potere suggestivo: ogni colore, ogni linea,
posti in un ordine o in un altro, quantitativamente maggiori o minori, hanno infatti, come le note
della musica, continuative o simultanee, la possibilità di creare stati d’animo differenti in ciascuno
di noi. “La pittura, come la musica, agisce sull’anima attraverso i sensi; i toni pittorici armoniosi
corrispondono alle armonie dei suoni” (Gauguin).
Durante un viaggio in Bretagna aveva sviluppato un particolare linguaggio pittorico, affidandosi
esclusivamente alla suggestione della linea di contorno evidente e del colore piatto.
Negli anni trascorsi nelle isole dei mari del Sud, Gauguin mantiene aumentando
questa tendenza all’astrazione pur continuando a rappresentare uomini e
paesaggio tratti dal mondo che lo circonda. Il suo stile si ammorbidisce, le
forme sono più modellate, il colore è meno violento e più caldo, il contorno
meno pesante benché sempre evidente e più complesso. Comunque
permangono, è più che la descrizione della realtà, la suggestione dei ritmi musicali del disegno e dei
rapporti cromatici. In alcune sue opere c’è anche un’ evidente riferimento ad antiche sculture
fortemente stilizzate ed idealizzate.
VINCENT VAN GOGH: è un autodidatta che dipinge per necessità interiore inventa una tecnica
personale e anche lui trasfigura la realtà a favore del proprio “io”. Ebbe uno spirito irrequieto.
Il suo modo di vedere non è mai oggettivo: a lui più che narrare fatti o descrivere luoghi, interessa il
significato umano di ciò che rappresenta, così come lo sente.
I mangiatori di patate:
Con questo quadro il pittore vuole mostrarci la situazione economico-
sociale di quel tempo. Singolare è la rappresentazione del volto e delle
mani dipinti in modo caricaturale: con questo il pittore vuole esagerare
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e intensificare la realtà (la caricatura e la deformazione sono, infatti, un'esagerazione della realtà
stessa, al fine di renderla più intensa).Il colore, che richiama le tecniche fiamminghe, è
monocromatico; ciò fa sì che l'occhio non sia appagato ma percepisca la realtà attraverso
l'interiorità di Van Gogh.
Da una svolta decisiva alla storia dell’arte tendendo a proiettare nella realtà se stesso e quindi a
trasformarla la trasfigura secondo i propri sentimenti è come se “ avesse obbligato la natura,
immedesimandola in se, a modellarsi secondo le forme del proprio pensiero, a seguirlo nelle sue
impennate, addirittura a subire le sue deformazioni. Usa la linea non come mezzo descrittivo ma
con funzione espressiva e trasforma volutamente il colore reale per renderlo “ suggestivo” usando
un colore che suggerisca l’emozione invece che cercare di dipingere con esattezza ciò che ha sotto
agli occhi infatti si serviva del colore nel modo più arbitrario per esprimersi con maggior forza.
Nel 1886 va a Parigi dal fratello Thèo che incide particolarmente sulle opere di Van Gogh e qui
incontrò fra i maggiori artisti d’avanguardia parigini.
Col passare del tempo Van Gogh schiarisce sempre più la sua tavolozza, fino ad allora molto scura
e monotona, scoprendo la bellezza del colore. Van Gogh adotto una forma in un primo momento di
“puntillismo” ( ma invece di usarlo come mezzo scientifico per rendere la realtà lo usa come mezzo
per eludere la restituzione del vero ) poi passa al “ divisionismo “ perché i puntini si trasformano
gradualmente in linguette di colore accostate disposte secondo un ordine coerente alla forma del
soggetto. In quasi tutti i suoi quadri esprime le sue angosce per esempio
nella Camera da letto:
Per mezzo della tensione delle linee prospettiche del pavimento.
Van Gogh studia la pittura in una chiave psicanalitica cercando di
scoprire come e quanto le sue turbe psichiche si sono riversate nelle
sue opere.
I MACCHIAIOLI
Il movimento artistico più importante dell’Ottocento italiano nasce a Firenze dove da ogni parte di Italia
giungevano giovani artisti. Il luogo d’incontro era una saletta del Caffè Michelangiolo; qui si discuteva
soprattutto sui problemi dell’arte. È solo in questo momento, infatti, che si comincia a parlare di nuovi modi
di dipingere e conoscere ciò che accade in Francia. È dunque nel 1856 che si pone la data ufficiale di nascita
della pittura “a macchia”. Questo indirizzo artistico nasce dalla constatazione che noi vediamo le forme non
isolate dal contesto della natura mediante la linea di contorno disegnata, ma come macchie di colore distinte
o sovrapposte ad altre macchie di colore. Questo colore, che ci appare come una macchia, costituisce la
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nostra prima impressione; è il nostro modo di entrare in contatto con la realtà. Ciò che manca ai macchiaioli
rispetto agli impressionisti è la sistematicità della ricerca e la coerenza nell’applicazione pittorica della
teoria. Inoltre essi non raggiungono mai nei loro quadri una luminosità come quella dei quadri impressionisti
poiché non usano l’accostamento dei colori complementari.
GIOVANNI FATTORI: è il maggiore esponente della pittura a macchia ed è anche colui che meno di altri
segue teorie e programmi rigidi, guardando liberamente la natura e rendendola come la sente. La sua arte è
cultura visiva e conoscenza e comprensione dell’uomo che nasce dalla lunga osservazione quotidiana del
vero naturale e della società. Verso gli anni ’50 dell’Ottocento, entra in contatto con il Caffè Michelangiolo
dove si comincia a parlare di macchia. La maturazione artistica di Fattori è lenta, ma alla fine arriva a
dipingere soprattutto animali, paesaggi (temi comuni dell’Ottocento) e vita militare (tema risorgimentale). I
soggetti militari sono il mezzo per mostrare che i soldati, i combattenti, i morti sono vittime; sono contadini,
operai, eroi non nel senso neoclassico, ma in quello umanistico di persone qualsiasi che hanno accettato la
sorte e che conducono fino in fondo il proprio compito con fatica e sofferenze.
OPERE:
Un altro esempio di quadro in cui vengono rappresentate le lotte combattute è “Soldati francesi del ‘59”
Fattori dipinse anche paesaggi e il lavoro umano; proprio in questi quadri egli dà il meglio di sé.
Nel dipinto “La rotonda di Palmieri”
Fattori rappresenta un gruppo di signore sedute sulla Rotonda
dello stabilimento balneare di Palmieri. È un quadro privo di un
tema importante, dipinto dal vero, in cui tutto è realizzato per
macchie, ci dà una visione d’insieme, d’impatto e i soggetti sono
presi dalla vita quotidiana. Fattori, a differenza degli
impressionisti, non dà il senso di fugacità della vita, ma coglie
nella transitorietà di ciò che vede, quel che vi è di eterno in tutte
le cose.
Nell’opera “Marina al tramonto” vediamo il mare agitato in un tramonto livido e nuvoloso, mentre un uomo
visto di spalle compare in un angolo come una macchia scura sui colori chiari e fa sentire lo spazio di
profondità. Una delle opere dove si vede di più le caratteristiche sociali che Fattori dipingeva è “il cavallo
morto”: in una tortuosa strada sterrata, in mezzo ai campi gialli, sotto un livido cielo percorso da nubi, un
povero vecchio cavallo muore improvvisamente. Tutto il corpo è scomposto, il cesto con il cibo è in terra; in
piedi con le redini e la frusta in mano, il contadino guarda nel vuoto. Al dolore per la perdita di un amico
fedele si aggiunge l’angoscia per il futuro ora che il cavallo, mezzo indispensabile al proprio lavoro, è morto.
La cupa disperazione dell’uomo è resa per mezzo della rappresentazione pittorica: la grande piana desolata,
la strada che si perde, la presenza del corpo senza vita dell’animale e quella dell’uomo per metà contro il
colore chiaro della terra e metà contro il cielo nuvoloso.
SILVESTRO LEGA
Anche Lega, come Fattori, giunge relativamente tardi alla pittura a macchia. Secondo Lega non conta il fatto
narrato, ma la resa del mondo borghese.
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La visita:
IL DIVISIONISMO
Sulla fine del secolo, la conoscenza delle teorie sul colore conduce ad una corrente artistica che,
analogamente al pointillisme, sostiene la necessità di non mescolare i colori sulla tavolozza, ma di
accostarli direttamente sulla tela. I colori quindi sono divisi e non fusi, per cui la corrente prende il nome di
divisionismo. Inoltre il divisionismo si carica spesso di significati simbolici.
GIOVANNI SEGANTINI: è il maggiore tra i divisionisti. In lui c’è una tale dedizione al proprio dovere di
pittore che morirà, privo di cure, durante una tempesta su una baita dove era salito per contemplare uno
studio di neve incurante della fatica e del pericolo. Alla solennità della montagna e all’ampiezza delle vallate
alpine sono dedicate le sue opere migliori. Egli si immedesima nella natura e più che collocarsi davanti ad
essa ne fa parte riuscendo a creare un rapporto di unità fraterna con tutto ciò che lo circonda.
OPERE:
Nelle sue opere “Alla stanga” e “La mucca all’abbeveratoio”
I soggetti sono delle mucche al pascolo quindi un soggetto reale della vita di montagna. In entrambi i dipinti
è presente il vasto respiro della vallata chiusa da monti lontani. Un’altra celebre opera di Segantini è
GIUSEPPE PELLIZZA DA VOLPEDO: è il più sincero e convinto pittore italiano che affronta temi sociali
della fine del secolo. OPERE:
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ART NOUVEAU: gli anni di passaggio dall’ottocento al novecento sono contrassegnati da una profonda
crisi di cui abbiamo visto le conseguenze in quasi tutti gli artisti, da un lato prosegue la fede nel progresso
scientifico che appare inarrestabile e tale da portare a soluzione ogni problema umano, fede sentita in ogni
strato sociale non più quindi soltanto negli ambienti colti.
Dall’altro lato ci si rende conto però che questa “felicità” universale è solo apparente, se la borghesia al
potere è ricca, lo è sfruttando il lavoro delle classi subalterne, costrette a lottare per conquistare una migliore
qualità di vita.
E il progresso tecnico non è necessariamente legato al progresso dell’umanità, anzi rischia di meccanizzare
l’uomo uccidendone la spiritualità, cosicché sarà necessario, invece che considerare la tecnica come fine a se
stessa, cercare (come afferma Bergson) un “supplemento d’anima”. È questa una delle aspirazioni di quella
corrente culturale detta “decadentismo”, la quale, per evadere dalla materialità volgare della realtà, si rifugia
in un mondo intimo e raffinato, in un mondo fatto di immaginazione e di sogni, svincolato dalle leggi
rigorose della ragione, libero come la musica.
È in questo clima “decadente” che nasce e si diffonde in tutta Europa il movimento detto Art Nouveau nei
paesi di lingua francese, Modern style in Inghilterra, Modernismo in Spagna, Liberty o Floreale in Italia.
La prima definizione italiana fa riferimento al nome dell’inglese Arthur Libery, il quale, fin dal 1875 aveva
fondato a Londra una ditta che commerciava in oggetti di arredamento di alto livello qualitativo ma destinati
ad un largo numero di acquirenti. È un’accezione dunque che sottolinea una delle caratteristiche importanti
della corrente: rendere validi esteticamente quegli oggetti di uso comune che le industrie vanno diffondendo,
con il rischio altrimenti di un appiattimento e di una banalizzazione dovuti alla produzione in serie.
La definizione floreale indica che la decorazione è costituita prevalentemente da forme stilizzate tratte dai
fiori.
I termini usati dalle altre nazioni europee preferiscono invece esprimere il significato di novità (art nouveau),
di giovinezza (Jugendstil), tutti sottolineando un unico atteggiamento di attualità.
Comunque la si chiami questa corrente è simile in tutta Europa senza caratterizzazioni relative alle differenti
culture locali, come era stato il “gotico internazionale”.
La morbida linea curveggiante e simbolica, la disposizione planimetrica del colore, il decorativismo floreale
fine a se stesso sono comuni all’architettura.
Premesse indispensabili per giustificare la nascita dell’Art nouveau sono dunque, oltre al decadentismo e al
simbolismo, le ricerche di William Morris e di Arts and Crafts, le raffinatezze preraffaellite (ripresa della
purezza dello stile del primo risorgimento italiano) e i sogni fantastici di Blake.
Nel campo dell’architettura occorre ricordare una delle personalità più indipendenti, più estrose e più
creative, lo spagnolo ANTONI GAUDI’: la libertà inventiva di Gaudì plasma le forme senza un’apparente
rapporto con quelle della tradizione classica, indipendentemente dalla geometrizzazione caratteristica
dell’architettura di ogni tempo, come una scultura astratta, sciogliendo l’uomo, cui l’edificio è destinato, da
ogni rigidità precostituita e proiettandolo in una dimensione fantasiosa.
Casa Milà: Sorge sul Paseo de Gracia, il grande viale alberato, una delle
principali e animate vie di Barcellona, è comunemente detto La Pedrera (la
pietraia) per la sua forma. Oltre alla flessibilità delle superfici, deve essere
annotata l’asimmetria nella disposizione delle finestre sui differenti piani e
delle colonne che inquadrano il portone centrale, il moto filiforme dei
cornicioni, la ricchezza decorativa di ogni particolare, la curiosa forma
attorta dei camini, quasi una ripresa del barocco bonnomiano.
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Nella Sagrada Familia i pinnacoli e le guglie sono di chiara provenienza gotica,
ma non catalana, bensì francese. Le strutture si reggono da sole, non hanno
bisogno di archi rampanti e contrafforti e la costruzione procede per passi verticali
non orizzontali. Ogni torre è infatti auto sostenuta. Le alte torri strette fra loro
ricordano anche il barocco spagnolo settecentesco.
Pur riallacciandosi al neogotico ottocentesco, nasce dalla fantasia, come un
castello di sabbia, che è medioevale solo nell’apparenza esteriore, ma in cui si
proiettano i sogni evocati dal passato.
Iniziata nel 1883, la chiesa, lasciata incompiuta dall’autore, è tutt’ora in costruzione.
ESPRESSIONISMO: Il termine espressionismo è stato usato per la prima volta in Germania nel
1911 in una rivista intitolata Sturm.
Agli inizi del ‘900 fanno parte dell’espressionismo quegli artisti che sostengono l’assoluta priorità
dell’espressione del sentimento individuale sull’imitazione della natura.
Espressionismo = opere che intendono “esprimere” fortemente il sentimento individuale dell’artista
piuttosto che rappresentare oggettivamente la realtà deformandola affinché risulti evidente che ciò
che noi vediamo dipinto non è la riproduzione dell’oggetto così come appare ma come la “sente”
l’autore che proietta in esso la propria vita interiore. L’espressionista in un certo senso “costringe”
lo spettatore a vivere i sentimenti che vuole esprimere con immediatezza coinvolgendolo lo
emoziona provocandogli reazioni violente. ARTE = ESPRESSIONE l’attività artistica con la
sensibilità si scinde dall’attività scientifica- filosofica con la ragione. Ossia con l’esteticità
illuminista prima e successivamente via via accentuandone sempre più il soggettivismo con lo
Sturm und Drang con il romanticismo e il tardo romanticismo.
Si opponeva a:
.Naturalismo
-Impressionisti perché l’espressionismo è la proiezione dei sentimenti dall’interno verso l’esterno al
contrario dell’impressionismo che è la ricezione dell’esterno nell’interno
EDVARD MUNCH: centro dell’interesse di Edvard Munch è l’uomo, il dramma del suo esistere,
del suo essere solo di fronte a tutto ciò che lo circonda, i suoi conflitti psichici, le sue paure.
Ma le sue immagini non sono una semplice illustrazione didascalica, diventano infatti opera d’arte
compiuta in sé.
Lo conferma una delle sue opere più note:
Il Grido: il titolo è significativo, non indica una cosa che sta accadendo (un uomo
che urla), né un luogo (il ponte), ma l’espressione interiore attraverso il grido. Il
grido non è l’articolazione logica di un pensiero o di un sentimento in parole
ordinata sintatticamente; il grido è la reazione istintiva, l’urlo originario,
primordiale, antico come l’uomo, che esprime un complesso inestricabile di
sentimenti, di paure, o meglio di insicurezza, smarrimento ed angoscia.
Seguendo le teorie contemporanee della sinestesia, ossia della corrispondenza tra
suono e colore, l’artista dimostra che la luce e gli impulsi pittorici sono in grado
di tradurre un’impressione sonora. La figura terrorizzata in primo piano – quella sorta di teschio
urlante, che altro non è che l’essere umano ridotto alla sua essenza – grida a tal punto che il
paesaggio gli fa eco deformandosi di onde sonore e travolgendo ogni elemento della natura: il cielo
rosso sangue, striato in gorghi gialli e azzurri, il mare blu intenso che volge in tornanti ondosi
intorno al fiordo, e persino il ponte che sembra scorrere via come un treno in corsa sotto i piedi
delle spettrali figure in nero.
Il suono orrendo e angosciante dell’urlo, quello interno alla coscienza dell’essere umano,
condannato a morte fin dalla nascita, deforma e risucchia il mondo reale e la stessa natura, per nulla
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benigna e rassicurante. La creatura, resa incomunicabile dal dolore, grida tappandosi le orecchie,
non potendo sostenere l’intensità del proprio stesso urlo che risuona da dentro.
I FAUVES: quando nel 1905 si apriva a Parigi l’annuale Salon D’Automne , una mostra che
raccoglieva opere di vari artisti di disparate tendenze, un gruppo di essi suscitò nel pubblico e nella
critica uno scandalo tale da essere paragonabile soltanto a quello di una trentina d’anni prima
(1874) degli impressionisti.
Fauves, dunque, belve venivano definiti questi artisti per la forza della loro critica espressiva. Come
già si disse per gli impressionisti nel 1874, anche in questo caso, il 1905, anno del Salon
D’Automne, è indicativo solo per la coniazione della parola fauves, non per la nascita della
tendenza che in realtà esisteva già da alcuni anni.
Abbiamo parlato di tendenza perché i fauves non sono un gruppo organizzato come, se pur con
divergenze, lo erano stati gli impressionisti per parecchi anni.
La loro posizione non è che la conseguenza estrema ed esplosiva ella polemica antimpressionista, in
atto già da qualche decennio in nome della libertà espressiva, contrapponendo cioè alla teoria della
pittura come riproduzione delle impressioni suscitate dalla realtà nell’artista, quella della pittura
come esclusiva dell’”io”: l’artista “vede” la realtà in un certo modo, diverso da come appare a tutti
gli altri, perché la “sente” così e così la rende, soggettivamente, proiettando in essa il proprio
sentimento, senza obbedire a regole esteriori uguali per tutti.
Fondamento dell’espressione pura, ossia non inquinata dal soggetto rappresentato, per i giovani che
si affacciano all’arte all’inizio del secolo è il colore.
Vi sono elementi comuni ed elementi divergenti nella corrente espressionistica e nei fauves: mentre
l’espressionismo tende soprattutto all’espressione di un mondo inquieto e angosciato, il fauvismo
rivela sempre la finezza, l’equilibrio, la chiarezza solare.
HENRY MATISSE: (1869-1954)come più degli altri faveus riesce a liberarsi del tutto
dall’impressionismo. Non vuole imitare la natura, ma esprimere ciò che vede e sente per mezzo
della stessa materia pittorica. Il pointillisme serve a Matisse come trampolino per passare all’uso dei
colori giustapposti, inizialmente frammentati in piccoli punti o trattini, come in Seurat o in Signac,
poi distesi per larghe zone.
Nel Salon D’Automne del 1905 Matisse espone il:
Ritratto con la riga verde disegnato con un forte tratto scuro e colorato con
toni puri à plat, ossia distesi per zone delimitate I colori sono innaturalistici
eppure funzionali, come dimostra l'irreale linea verde che taglia in due il viso
conferendogli rilievo (perchè costituisce quasi un crinale divisorio che,
sporgendo in avanti, modifica l'incidenza della luce sulle due parti dell'ovale)
e come dimostra il risalto luminoso del viso stesso, determinato
dall'accostamento dei suoi colori chiari con quelli della veste, del fondo e,
soprattutto della massa dei capelli che lo incorniciano e degli occhi profondi
(sottolineati da alcune macchie verdi e brune e dalla netta arcata
sopracciliare)..
Quando nel 1907 la corrente fauves si disgrega, Matisse continua la sua strada ottenendo sempre più
la sintesi ed esprimendo la gioia e la bellezza, quasi come un Renoir, senza con questo, si capisce,
voler istituire un impossibile parallelismo sitilist6ico con il grande maestro impressionista.
In questo senso una delle opere più significative è la danza : In quest'opera cinque nudi danzano in
tondo, tenendosi per mano. Matisse non descrive un fatto; attraverso la composizione e il colore
esprime piuttosto il prorompere inarrestabile della vita, il suo continuo rinnovarsi, il suo eterno
movimento, quello slancio vitale che secondo quanto afferma il filosofo Bergson è fondamento
della realtà, una sorta di ondata che cresce e si organizza nell’evoluzione creatrice. Questa opera ci
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permette di capire cosa significhi, per Matisse, "decorativismo", da intendersi, dunque, non nel
senso che si attribuisce normalmente alla parola riferendosi a qualcosa di elegantemente superfluo,
ma nel senso di organizzazione razionale di ciò che si sovrappone alla superficie neutra del quadro.
A suscitare in Matisse questo senso di stilizzazione decorativa contribuiscono anche i suoi viaggi in
Africa dove tanti pittori hanno scoperto il fulgore cromatico e da dove riporta sculture di arte negra
che servono, a lui ed ad altri contemporanei (Ricasso, Modigliani) non come modello da copiare ma
come mezzo per giungere alla massima semplificazione formale.
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occhi, accentuati dalla linea delle lunghe ciglia caudate e dal colore fiammeggiante dei capelli.
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Dopo un periodo in cui si può scorgere ancora un senso tradizionale di profondità e di volumetria
mediante piani larghi, semplici e solidi, si passa al primo momento del vero cubismo, detto
“analitico” che ha iniziato attorno al 1909, durante il quale la sfaccettatura è fitta, minuziosa e tende
a mostrare l’oggetto nei suoi molteplici aspetti; si giunge poi ad un secondo momento detto
“sintetico” che ha inizio verso la fine del 1910 e che consiste in una più libera ed intuitiva
ricostruzione di tale oggetto espresso nella sintesi con cui si presenta nella mente del pittore
nell’attimo in cui lo pensa rivivendolo interiormente.
È in questo secondo momento che comincia anche l’uso di incollare sulla tela inserti ritagliati da
giornali e da stampanti o materiali vari.
L’accostamento di frammenti di oggetti comuni, anzi per lo più poveri e consunti dall’uso, oltre a
determinare un interesse compositivo (si tratta di superfici che spiccano e polarizzano l’attenzione
per la loro estraneità e per la differenza del loro significato tattile, liscio o ruvido, duro o morbido, e
quindi della loro reazione alla luce), oltre a costituire note cromatiche in un contesto pittorico
normalmente povero di colore (per la ricerca cubista della forma nella sua purezza esistenziale),
riconduce alla realtà, una realtà vissuta e sofferta e perciò già di per sé ricca di contenuti.
PABLO PICASSO: (1881-1973) quando giunge a creare il cubismo è forse il maggior pittore del
secolo, ha alle spalle un’intensa attività che lo colloca in primo piano fra li artisti europei.
Nel 1900 Picasso si reca per la prima volta a Parigi stringendo i primi rapporti con artisti e marcanti
d’arte e conoscendo direttamente le opere di Toulouse-Lautrec e i luoghi che le hanno ispirate.
A Parigi torna anche l’anno seguente approfondendo la sua cultura sull’impressionismo e il post
impressionismo.
Le opere di questo momento, pur mostrando l’evidente influenza dell’arte francese, rivelano anche
la singolare personalità di Picasso che si esprime attraverso un linguaggio aspro e stridente.
Ma è nello stesso 1901, quando ha appena 20 anni, che raggiunge un proprio stile, del tutto
individuale, contraddistinto dall’uso quasi esclusivo del colore blu solcato in varie tonalità.
La rinuncia alla policromia e la scelta di quel colore corrispondono a precise esigenze espressive.
Il blu di Picasso è un colore freddo, malinconico, statico, attraverso il quale il pittore esprime la
tristezza sconsolata e senza speranza dei personaggi che rappresenta e verso i quali rivolge ora la
sua attenzione coerentemente con la propria ideologia politica: mendicanti, ciechi, girovaghi, tutti
gli emarginati della società.
Nel 1904 quando si trasferisce a Parigi definitivamente, muta il colore fondamentale dei suoi
quadri: al cosiddetto “periodo blu” segue il “periodo rosa”. E mutano anche i soggetti: invece dei
derelitti, gli uomini del circo che aveva probabilmente conosciuto frequentando, il Circo Mediano.
Il colore rosa è certamente meno drammatico del blu; e tuttavia anche in questi arlecchini, in questi
clowns, in questi acrobati è una sottile una sottile e struggente malinconia che li imparenta con i
poveri del periodo precedente.
Si comincia a notare piuttosto un rinnovato interesse per lo spazio e per il volume, che prepara un
ulteriore fase dell’arte picassiana, durante la quale il pittore costruisce le forme con solidità,
semplificando i larghi piani compositivi come nell’ Autoritratto.
Da qui il passo è breve per giungere all’opera destinata ad essere una tappa importante per lo
sviluppo di tutta la pittura moderna, Les demoiselles d’Avignon che non sono ancora il cubismo ma
ne sono la premessa necessaria: si potrebbe almeno parlare dio “protocubismo”.
La vita: opera "del periodo blu", esprime attraverso il colore (freddo e triste),
uno stato d'animo. Sono riconoscibili le varie fasi della vita: in primo piano il
matrimonio e la maternità, nello sfondo il dolore e la solidarietà. Diversi i motivi
simbolici, come ad esempio il bambino, frutto dell' amore per eccellenza.
Attraverso il colore e la posizione, le figure assumono una pacata
monumentalità, che pone la scena in un ambito aspaziale ed atemporale,
congelandola in un istante infinito.
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I giocolieri: nota anche come i Saltimbanchi, questa splendida tela
rappresenta un motivo ricorrente nella pittura di Picasso del periodo
rosa, per questo detto anche periodo di Arlecchino, cominciato alla fine
del 1904. Il mondo del circo esercitava un fascino particolare per gli
artisti che usavano ritrovarsi al Cirque Medrano. Tuttavia, Picasso ha
scelto un momento della vita quotidiana, lontano dal clamore della
scena, in cui i personaggi sono alle prese con le difficoltà giornaliere e
con i propri sentimenti. Il pagliaccio di Picasso getta la maschera e si
umanizza e per questo tutta la composizione assume un'intonazione
malinconica e introspettiva. Dal punto di vista formale le figure, in
particolare quella dell'acrobata, riprendono alcune immagini di bagnanti
di Cézanne.
Nel 1909 Picasso trascorre l’estate in Spagna, a Horte de Ebro, qui, di fronte alle forme severe e
rudi del villaggio, nascono i primi paesaggi cubisti, nei quali sono ancora evidenti i volumi e la
prospettiva. Non nel senso tradizionale della convergenza illusoria delle linee verso il punto di fuga,
ma come visualizzazione della conoscenza mentale della realtà, mediante la quale, anche se l’ottica
naturale ce la presenta in modo diverso, siamo ben certi, per esempio, che la faccia posteriore di un
parallelepipedo, pur essendo più distante dai nostri occhi, è di misure pari a quella anteriore.
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Picasso rende una realtà solida, costruita, ordinata; una realtà che egli cerca di “capire” attraverso la
“forma”, perché è questa che distingue il significato di un oggetto da quello di un altro.
Perciò il colore in questa fase della sua attività, ha un valore secondario, limitandosi a pochi toni,
per lo più bruni.
L’apparenza prospettica e la larghezza di piani e volumi scompaiono subito dopo in quel momento
che è stato detto “cubismo analitico”.
Nascono così alcuni capolavori come il ritratto di Ambrosie Vollard nel quale la minuta
sfaccettatura dei piani e la loro disposizione secondo un certo ordine dettato da esigenze
compositive, ci restituiscono, più che una copia fedele del vero, la realtà esteriore e interiore delle
persone rappresentate, tutte riconoscibili, individuate mediante un’accurata indagine psicologica,
sentite nella loro essenza volumetrica e nel loro “esistere” nello spazio.
Dopo essere passato attraverso l’esperienza del “cubismo sintetico” e del collage, intorno al ’17
cambia ancora stile ma nonostante questi ultimi mutamenti la sintesi, ossia la comprensione della
realtà attraverso l’intelletto, resta, insieme al vigore della linea, elemento costante di tutta la sua
vita.
Perciò in lui possono coesistere contemporaneamente o successivamente stili diversi,, classicamente
composti o drammatici, senza contraddizioni reciproche poiché relativi ai diversi momenti spirituali
dell’artista.
A questo periodo appartengono anche i quadri con soggetti mostruosi (il Minotuauro per esempio)
come Guernica, l’opera che miglio di ogni altra testimonia la partecipazione appassionata di Picasso
alla sofferenza umana e il suo furente giudizio morale sulla violenza sanguinaria.
La grande tela è stata ispirata ad un terribile evento bellico: la distruzione indiscriminata, durante la
guerra civile spagnola. Picasso eleva alta la sua voce contro l’eccidio e si schiera dalla parte degli
oppressi.
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come un fregio classico con scene di battaglie, Picasso ha optato per il contrasto di bianco e nero,
con modulazioni di grigio, ispirandosi verosimilmente ai giornali che avevano pubblicato numerose
fotografie del vile attacco. Tuttavia Picasso evita ogni realismo e ritaglia immagini simboliche di
una vera "strage degli innocenti", cui si aggiungono anche gli animali, in modo da rendere nel modo
più immediato il senso di questo affronto alla vita.
L’alto senso drammatico nasce dalle deformazioni dei corpi, dalle linee che si tagliano
vicendevolmente, dall’alternarsi di campi bianchi, grigi, neri, che, sostituendo i colori usuali,
accentuano la dinamica delle forme contorte, accavallate, incastrate le une nelle altre. E nasce anche
dalle dimensioni del grande quadro che impongono i contenuti con evidenza immediata, cosicché,
come spesso accade, la quantità diventa qualità.
La tela è la summa dell’arte picassiana. In essa si riassumono, portati al massimo livello, i contenuti
e gli strumenti linguistici sviluppati nel corso di tanti anni: da un lato torna la tematica del dramma
umano che il pittore ha affrontato fin dall’età giovanile; dall’altro l’esperienza cubista (si noti la
visione simultanea degli occhi su un piano solo) permette di giungere alla comprensione totale della
realtà, oltre l’apparente collocazione nello spazio e nel tempo convenzionali, rivivendola
interiormente.
Si può dire, dunque, che la scena non è ambientata né dentro né fuori, bensì ovunque, poiché
diverse linee guidano lo sguardo in profondità, accorciamenti prospettici irregolari confondono il
dato spaziale, e non si può stabilire un'unica fonte di luce. La composizione, che si allunga
orizzontalmente, riunisce sette gruppi di personaggi, e presenta un'articolazione chiara e raffinata.
Due scene occupano le superfici laterali di destra e di sinistra; tra queste, secondo una struttura
triangolare, si sviluppa una terza scena. Al centro, in una posizione innaturale, si vede un cavallo
ferito che si volge a sinistra; dalle fauci dolorosamente spalancate fuoriescono strazianti nitriti. A
destra si allungano il profilo stilizzato di una testa umana e un braccio che tiene accesa sulla scena
una lampada a petrolio. Sopra la testa del cavallo s'innalza un grande "occhio di Dio" inserito al
posto della pupilla, che presenta una lampadina e che è simbolo allo stesso tempo del sole e della
luce elettrica. A destra del cavallo una donna inginocchiata conclude il gruppo compositivo
centrale. A sinistra e sotto il cavallo ferito giace, al suolo con le braccia aperte quasi fosse
crocefisso, la statua di un guerriero, che stringe con la mano destra una spada spezzata. Sopra la
statua del guerriero della parte sinistra vi sono, tra le macerie fumanti, un toro e una madre urlante
che tiene tra le braccia il figlio morto. Sul margine destro ,invece, vi è una figura col capo
rovesciato all'indietro, la bocca spalancata in un grido di agonizzante dolore poiché avvolta dalle
fiamme.
GEORGES BRAQUE: (1882-1963) passa la prima giovinezza a Le Havre, dove segue con
attenzione il lavoro di decoratore del padre dal quale apprende l’importanza di quella tecnica che
sarà sempre presente nella sua attività artistica.
Come pittore dopo un inizio impressionista, scopre la pittura faveus e vi aderisce, ma in realtà
Braque non è fauves. Nel 1907 vede Le Demoiselles d’Avignon e ne resta turbato, sconcertato,
respinto.
Eppure è rimeditando su questa opera che probabilmente compie quei passi che lo porteranno,
insieme a Picasso, alla creazione del cubismo.
Nel 1908 all’Estaque, il rilievo collinare che domina l’omonima rada nella Francia meridionale,
dipinge una serie di paesaggi nel quale inventa un nuovo modo di rendere volume e spazio.
Come Picasso, anche Braque passa, per ulteriori frammentazioni, scomposizioni e ricomposizioni ei
piani, al “cubismo analitico”. Con il successivo passaggio al “cubismo sintetico” ha iniziato anche
l’uso del collage e del papier collé (inserti ritagliati da giornali) come affermazione della possibilità
dell’artista di esprimersi attraverso qualunque mezzo, oltre a quelli tradizionali, come richiamo
evidente alla realtà (intendendo naturalmente che questa, per il semplice fatto di essere ritagliata
secondo la volontà del pittore e inserita in un certo contesto, acquista una vita del tutto nuova) e
come mezzo cromatico.
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Case all'Estaque: è uno dei dipinti che indussero Matite a parlare di “cubi”.
Il dipinto fu realizzato durante un soggiorno estivo nella città provenzale di
Estaque, rappresentò un gruppo di case fra gli alberi. L’artista s’ispirò alla
pittura di Cezanne ed è particolarmente importante che le case non siano
rappresentate dall’ artista per come apparivano ai suoi occhi ma per come
apparivano alla sua memoria, come volumi squadrati e tozzi. La mancanza di
una prospettiva unificatrice costringe i nostri occhi a ricercare un unico punto di
vista dal quale osservare la scena. Il punto di fuga scompare, rialzando la linea
dell’orizzonte fino a farla uscire dal limite superiore, cosicché i volumi si accavallano ciascuno con
u proprio impianto prospettico, le facce di essi si accostano secondo i rispettivi angoli di
congiunzione, individuati da colori bruni con varianti d’intensità tonale, contrapposti a grigi verdi o
violacei, in un monocromo a zone compatte.
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Per rendere questa globalità del moto nelle arti visive, immobili per costruzione, il futurismo si
serve, in pittura e in scultura, principalmente delle “linee-forza”; poiché la linea agisce
psicologicamente su noi con significato direzionale, essa, collocandosi in varie posizioni, supera la
sua essenza di semplice segmento e diventa “forza” centrifuga e centripeta, mentre oggetti, colori e
piani si sospingono in una catena di “contrasti simultanei” determinando la ressa del “dinamismo
universale”.
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In scultura l’opera più compiuta è Forme uniche della continuità nello spazio.
Con la chiarezza tipica che contraddistingue Boccioni, il significato dell’opera è
espresso nel titolo: la forma umana in movimento veloce, mentre già ha
raggiunto una posizione e si accinge a procedere oltre, è in qualche modo ancora
presente nello spazio precedente, perché nelle nostra retina restano le immagini
e soprattutto perché il moto è continuo e noi lo percepiamo in sintesi.
GIACOMO BALLA: (1874-1958) la sua adesione futurista, dopo gli inizi veristi e divisionisti, è
tale da indurlo a firmarsi “Futurballa”; approfondisce soprattutto il problema della rappresentazione,
sulla superficie immobile del quadro, della continuità del movimento, ossia dello spostamento
continuo dello stesso oggetto entro lo spazio, problema che si risolve ripetendo più volte, in
posizioni diverse ma attigue, la stessa forma come nel celebre Dinamismo di un cane al guinzaglio
o ne Le mani del violinista.
SURREALISMO: nel 1924 Andrè Breton pubblica il primo Manifesto del surrealismo, il
documento che spiega con chiarezza e con abbondanza di esempio il significato del movimento
“automatismo psichico puro mediante il quale ci si propone di esprimere sia verbalmente, sia per
iscritto il funzionamento reale del pensiero”.
Il surrealismo è dunque il tentativo di esprimere l’”io” interiore in piena liberta, senza l’intervento
della ragione che, mettendo in atto meccanismi inibitori, dovuti all’insegnamento che riceviamo fin
dalla nascita, ci condiziona, obbligandoci a reprimere istinti e sentimenti, a nasconderli,
seppellendoli nel più profondo di noi stessi, ad apparire insomma come la società costituita vuole
che siamo (dadaismo).
Per raggiungere questa libertà occorre lasciarsi guidare dall’inconscio, come accade nel sogno,
quando le immagini si susseguono senza un legame apparente, rivelando la nostra realtà recondita,
molte volte ignota a noi stessi.
Il surrealismo cerca di scoprire il meccanismo con il quale opera l’inconscio, mettendo a nudo il
processo intimo, non soltanto durante il sonno, ma anche durante la veglia, mediante
l’”automatismo psichico”, lasciando cioè che un’idea segua l’altra senza la conseguenza logica del
ragionamento consueto ma automaticamente: una parola ce ne fa venire in mente un’altra
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completamente diversa; così una forma, un colore, una luce ne suscitano altri in un concatenamento
inarrestabile.
Il dadaismo che è il precursore più immediato del surrealismo, ha avuto il grande merito di
distruggere la convenzionalità di tutto ciò che è stato stabilito da secoli di presunta civiltà,
liberandone completamente l’uomo.
Accanto al dadaismo è fondamentale per la formazione del surrealismo la pittura di De Chirico.
Anche la metafisica vuole cogliere l’’essenza intima della realtà al di là della sua apparenza
sensibile, sciogliendo il singolo oggetto dai nessi logici che lo legano agli altri oggetti che lo
circondano al suo ambiente.
JOAN MIRO’: (1893-1983) in Mirò la pittura nasce spontaneamente, in uno stato di grazie che gli
permette di immaginare forme, di accostarle, di colorarle vivacemente, con una fantasia simile a
quella del fanciullo.
Questa felicità espressiva, questa serenità resterà fondamentale per tutta l’attività di Mirò anche
quando, giunto definitivamente a Parigi, compirà il salto verso una pittura apparentemente diversa.
A Parigi entra in contatto con tutta l’avanguardia, a Parigi espone, a Parigi aderisce al surrealismo.
Compone Carnevale d’ Arlecchino prima ancora che Breton pubblichi il manifesto.
Mirò è pittore fecondissimo, la sua fantasia non conosce pause, pur restando sempre fedele alla sua
concezione serena, che si incrina soltanto nelle ora drammatiche che vive tutta l’Europa negli anni
successivi al 30. in modo particolare, Mirò spagnolo, soffre il terribile momento della guerra civile
in Spagna.
Carnevale d’ Arlecchino: composta a Parigi, è un'opera altamente
rappresentativa del particolare surrealismo di Miró. Qui non sono
oggetti reali combinati insieme al di fuori del loro ambiente. Certo la
realtà è ancora riconoscibile: gatti, uccelli, occhi, un dado, un cono,
un cilindro, palloncini, note musicali, una finestra e, in particolare,
una scala a pioli, tante volte ricorrente in Miró, simbolo dell'evasione
verso l'altro. Ma questi frammenti di realtà si trasformano, come
fossero inventati, fluttuando nell'aria o appoggiandosi lievemente in
terra, inserendosi in una dimensione irreale, e popolano lo spazio fantasmi, nati dal subconscio del
pittore.
SALVODOR DALI’: rappresenta con minuzia ossessiva ogni oggetto entro spazi conclusi dalla
linea d’orizzonte, non inventando però forme nuove bensì componendo insieme immagini reali,
collocandole in posizioni irreali, spesso deformandole innaturalisticamente.
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Giraffa in fiamme: il titolo dell’opera si riferisce alla spettrale carne bruciata
della giraffa sulla sinistra in secondo piano, che potrebbe essere la
materializzazione della guerra civile, scoppiata proprio in quel momento in
Spagna. La vera figura protagonista, però, è quella femminile che occupa quasi
tutto lo spazio del quadro e che inaugura una nuova fisionomia di donna che
ritroveremo rappresentata poi anche in altre opere. L’immagine della donna
smontabile, che rivela il suo interno a cassetti, la donna stipo, priva di volto e di
identità esteriore, che si scompone in protuberanze sorrette da stampelle, è
un’idea nata dalla riflessione sul valore delle teorie psicanalitiche di Freud.
L’artista, infatti, dichiarerà anni dopo: L’unica differenza tra la Grecia
immortale e il nostro presente è Sigmund Freud, che scoprì come il corpo
dell’uomo, che al tempo dei greci era puramente neoplatonico, sia oggi pieno di cassetti segreti, che
solo la psicanalisi è in grado di aprire. Il surrealismo di Dalí, che da questo periodo in poi prenderà
le distanze da quello ufficiale di Breton, diventa, dunque, sempre più eccentrico, incontrollabile e
freudiano nel dare libero spazio alle proprie allucinazioni provocatorie, quelle che egli stesso
definirà attività paranoico- critiche.
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Sono previste anche solette per l’atterraggio degli “aereo-taxi”. Tutta la città è infine zonizzata a
seconda delle varie funzioni.
Passando dall’organizzazione generale all’edificio singolo, gli elementi essenziali che devono
uniformarlo sono stati condensati in cinque punti:
1) La casa deve essere sollevata sui piloni in cemento armato e perciò essere lontana dal
terreno, con il giardino che le passa sotto.
2) Il giardino deve trovarsi anche al di sopra. Mentre per secoli il tetto è stato costruito a
spioventi (neve pioggia), il cemento armato permette il tetto piano, anzi concavo poiché
sottoposto alla possibilità di “fessurazioni” per gli sbalzi climatici, ha bisogno di mantenere
l’umidità costante, con la sola condizione che il lastrico solare sia protetto da sabbia,
ricoperta di spesse lastre di cemento a giunti allargati seminati d’erba; così sul tetto
fioriranno i giardini.
3) Poiché con il cemento armato la casa è costruita mediante pilastri, cessa la funzione dei muri
portanti e quindi la necessità che i muri di ogni appartamento insistano su quelli sottostanti.
4) Per la stessa ragione le finestre possono correre da un capo all’altro, come una fascia
continua immettendo luce e aria.
5) Ancora per la stessa ragione la facciata è libera, può essere avanzata o arretrata rispetto ai
pilastri di sostegno; non è che una membrana leggera di muro o di vetro.
Per quanto riguarda i singoli edifici, le idee di Le Corbusier si trovano attuate già nella Villa Steine
nella famosissima villa Savoye a Poissy
Questa libertà planimetrica determina, in Le Corbusier, anche la forma dell’edificio che pertanto è
generata non dalla situazione esterna del luogo in cui si colloca, ma dall’interno, eludendo alle
caratteristiche del razionalismo che per lo più vuole forme geometriche.
Nasce da questa esigenza l’aspetto così estroso della Cappella di Notre-Dame-du-Haut sulla
sommità di una collina.
Cappella di Notre-Dame-du-Haut: la sua volumetria è estremamente
complessa. Escludendo il punto di vista unico dell’architettura
religiosa tradizionale (la facciata), esige al contrario la continua
variazione dei punti di vista seguendo un itinerario che la circondi
completamente, con la conseguente mobilità dei successivi impianti
prospettici.
La copertura inusuale è resa possibile dal cemento armato, vi è la
rivoluzione del concetto di chiesa, vi è una navata unica, come essere in un’aula. L’altare è in
mezzo al presbiterio e non più contro alla parete.
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L’ARCHITETTURA ORGANICA: per ben comprendere la posizione di Wright bisogna riflettere sulla
diversa tradizione architettonica americana rispetto a quella italiana. È vero che L’america non ha una
tradizione simile a quelle delle nazioni europee, ma sarebbe riduttivo affermare che una tradizione non esista
affatto.
Lo stesso neoclassicismo, assume qui (in America) un assetto diverso: l’edificio neoclassico americano è
imponente solo nella rare occasioni come il campidoglio di Washington.
Più spesso è una villa: la stessa casa Bianca, sede del presidente, non è paragonabile né per grandezza né per
maestà alle residenze monarchiche europee sia per la concezione democratica repubblicana, sia per
riferimento alle abitazioni dei pionieri, la casa costruita in mezzo alle praterie quindi a contatto con la natura.
La casa dei pionieri era in legno (materiale più comune) e l’uso della casa in legno resta costante in America
per tre secoli anche per residenze lussuose, chiese ed edifici pubblici.
Ciò è visibile per esempio nel pronao neoclassico, nella villa di Ponticello, che Jefferson, presidente degli
stati uniti, costruì per sé stesso.
In relazione a questa scelta vi sono anche ragioni sentimentali: l’uomo medio, legato al ricordo degli antenati
pionieri, aspira al ritorno verso la natura.
Il GRATTACIELO, che è l’altro aspetto dell’architettura americana, nasce in relazione allo sfruttamento
intensivo delle aree urbane ed in conseguenza delle innovazioni tecnologiche ottocentesche, fra cui la
struttura portante a scheletro metallico che permette lo sviluppo in altezza senza lo spessore eccessivo che
avrebbero comportato i muri maestri.
Una forte spinta al rinnovamento edilizio e all’erezione dei grattacieli venne dal tragico incendio che, nel
1871, distrusse Chicago, costringendo gli architetti ad un imponente impegno per la ricostruzione della città
(“scuola di Chicago”).
FRANK LLOYD WRIGHT: il suo nome è indissolubilmente collegato all’ ”architettura organica”, spesso
messa in contrapposizione con quella “funzionale europea”.
Architettura organica: non è facile darne una definizione, ma si può dire che è quell’architettura che si
sviluppa come un organismo da un nucleo centrale, senza schemi geometrici preordinati vivendo liberamente
nel proprio ambiente, anzi connaturandosi in esso; è l’architettura per l’uomo “tagliata su misura” per lui,
nata intorno a lui e cresciuta con lui come se fosse il suo corpo.
Wright sembra fuggire al problema sociale, mentre infatti in America, le città si trasformano rapidamente in
metropoli ed il grattacielo appare come l’unica soluzione possibile, Wright propone l’abitazione familiare,
immersa nel verde, ampia e confortevole, l’abitazione per la borghesia ricca. La concezione di Wright è
quella dell’architetto antico e del suo rapporto costante con il committente privato al quale fornisce un
prodotto di alta qualità.
Nel 1936 nasce il capolavoro assoluto:
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La spirale capovolta riesce a dare una funzionalità incredibile, si parte da uno spazio piccolo e continuato per
espandersi man mano che si procede verso l’alto. Il museo è un edificio che serve alla comunità, si espande
verso l’alto come deve espandere la sua conoscenza all’intera comunità. La struttura va verso l’ambiente
naturale circostante.
DADAISMO: se è vero che non possiamo mai spiegarci i fenomeni umani senza inquadrarli nel
corrispondente periodo storico, ciò è ancora più vero nel caso di dada.
È impossibile capire il significato di questo momento culturale se non ci si riporta al particolare momento in
cui esso è nato: i terribili anni della prima guerra mondiale (1914-18) quando tutti i valori umani apparivano
irrimediabilmente travolti dalla logica del grande conflitto.
Ne nasce una specie di disgusto e di rifiuto verso tutto ciò nel cui nome si dice di combattere (patria, onore,
civiltà, tradizioni), in altre parole verso tutte le forme costituite dalla società, in primo luogo verso le classi
dirigenti, verso il potere economico che è in gran parte causa delle guerre, e perciò anche verso la cultura che
rappresenta la società contemporanea.
Dada è dunque una rivolta totale contro ogni aspetto della civiltà. Dada vuole distruggere tutto, per
ricostruire tutto il mondo completamente diverso, rendendone all’uomo quel ruolo di protagonista, che gli è
stato gradualmente tolto a favore dell’organizzazione alienante della società moderna.
Ufficialmente dada nasce a Zurigo nel 1916, in un cabaret in cui venne dato il significativo nome di Voltaire.
Dai primi spettacoli di cabaret viene via via crescendo un atteggiamento provocatorio; poiché il movimento
combatte contro i significati tradizionali attribuiti alle parole, espressione di concetti universalmente
accettati, dada non vuole significare nulla.
Tzara, uno dei fondatori narra di avere trovato la parola a caso in un vocabolario, in una pagina del quale era
incidentalmente scivolato un tagliacarte.
Dada è contro alla letteratura, contro la poesia, contro l’arte, contro tutto ciò che si è fatto passare per eterno,
bello, perfetto; è contro le correnti artistiche “moderniste”: l’espressionismo, il cubismo e il futurismo.
Il dadaismo non è un’estetica; è un modo di concepire. Non si interessa del valore artistico, si interessa
piuttosto dello shock che causa nello spettatore per toglierlo dalle sue pigre abitudini mentali.
Tutto è arte: pezzi di legno grezzi incollati e colorati, oppure un oggetto comune messo in una posizione
invece che in un’altra.
In ciò sono riconoscibili forse elementi cubisti, come il collage; ma è il modo di intenderli che è diverso; per
il cubismo il collage è un richiamo alla realtà, matrice unica di ogni nostra idea, ed è sottoposto
all’organizzazione estetica; per il dadaismo è la negazione dell’arte, o, meglio, la dimostrazione che non
esiste l’arte come qualche cosa di nobile, ma che qualunque oggetto costruito dall’uomo, proprio perché tale,
è frutto della creatività umana e quindi “è” arte.
MARCEL DUCHAMP:
Ruota di bicicletta: sono quelli che egli chiamòready-made “oggetti d’uso comune”,
“oggetti già fatti” isolati dal loro contesto, messi in mostra ed elevati polemicamente al
ruolo di “opere d’arte”.
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da non avere più alcuna relazione con l’oggetto come era considerato ordinariamente. L’artista pone una
specie di firma R.Mutt, che racchiude la chiave di lettura dell’opera. Anteponendo il cognome all’iniziale del
nome R abbiamo la parola Mutter, madre in tedesco. La forma dell’orinatoio ricorda, infatti, la forma di un
bacino femminile o di un vaso alchemico; il titolo stesso, Fontana indicherebbe la fonte della vita. Ma si può
intendere anche con Mut, la dea-madre egizia dotata contemporaneamente degli attributi maschili e
femminili in quanto generatrice di tutti gli uomini.
La gioconda con i baffi: l’aggiunta di barba e baffi a una riproduzione della Gioconda
di Leonardo da parte di Duchamp sottintende i numerosi punti in comune fra i due
artisti, sia sotto il profilo culturale - la passione che entrambi avevano per gli anagrammi
e i giochi di parole - sia estetico per entrambi l’arte deve essere più mentale che fisica. I
baffi e la barbetta potrebbero significare la sovrammissione di un elemento tipicamente
maschile su un volto femminile.
Sotto il quadro è una scritta, apparentemente misteriosa: L.H.O.O.Q essa in francese
suona El.Asch.O.o.Qy. potrebbe essere letta in seguito come Ella a Chaud au cul (“ella a
caldo al sedere”), in relazione con l’immagine dell’alchimia quale appare in un dipinto
rinascimentale che rappresenta una figura femminile con le braccia in posizione analoga
a quelle della Gioconda, e, come questa, collocata davanti ad una distesa d’acqua, ma seduta su un tronco
d’albero sotto il quale è un fuoco: in alchimia il fuoco è l’elemento maschile e l’acqua quello femminile,
l’uno e l’altra fondamentali per la generazione.
LA PITTURA METAFISICA
GIORGIO DE CHIRICO: la parola “metafisica” ha origine dal titolo assegnato, nel I secolo a.C, dal filosofo
Andronico da Rodi a quelle opere di Aristotele in cui si tratta delle “cause prime” della realtà da lui collocate
“dopo” (meta) quelle che trattano le cose naturali (physica).
Oggi, dimenticato il significato originario, lo si usa per esprimere ciò che è oltre l’apparenza fisica, ossia
l’essenza intima della realtà al di là dell’esperienza sensibile.
È questo il significato generico che gli attribuisce anche De Chirico parlando dell’arte di tutti i tempi, che
non si limita mai, anche quando sembra più ardente alla realtà esteriore, a descriverla, ma la interpreta.
De Chirico tuttavia è venuto precisando meglio il senso del termine così da rendere comprensibile, attraverso
esso, la sua pittura.
Metafisico è ciò che è avulso dalla logica ambientale in cui siamo abituati a vederlo: un oggetto qualsiasi
isolato dal contesto in cui vive e inserito in un altro , o, più semplicemente, guardato da noi intensamente e
prolungatamente e quindi staccato da quelli vicini; una piazza solitamente animata, completamente vuota; i
mobili quando, invece che collocati nelle stanze ad adempiere la loro funzione, sono su un marciapiede, per
esempio durante un trasloco. Tutto ciò suscita in noi un inquietudine, una sottile angoscia, quasi un senso di
paura, perché insolito, inaspettato, a-logico.
Ufficialmente la pittura “metafisica” nasce dall’incontro di Carrà con De Chirico a Ferrara, la più “metafisica
di tutte le città” per la grandi piazze ornate di monumenti, per la solitudine innaturale di vie e piazze sulle
quali si affacciano nobili palazzi inutilizzati, come in una “città morta” dalla quale, per ragioni misteriose, gli
abitanti fossero improvvisamente scomparsi.
A Ferrara è inspirato infatti uno dei quadri più emblematici, le Muse Inquietanti.
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dialogo con il mistero, con la verità al di là dell'apparenza, con una realtà svincolata dal tempo e
dallo spazio, in polemica con un concetto di modernità che nega i valori del passato, trasformandole
in manichini: quello in primo piano, grazie alle pieghe verticali della veste, pare sul punto di
metamorfizzarsi in colonna ionica, mentre l’altro, in secondo piano, seduto, ha la testa smontata ed
appoggiata a terra, simile ad una maschera che allude al negrismo caro a Pablo Picasso e
all’ambiente parigino del suo tempo, in riferimento polemico con il Cubismo e tutte le correnti
avanguardiste che De Chirico ha sempre rifiutato.
I colori sono caldi, giocati sui toni del rosso-marrone, corposi, privi di vibrazioni, la luce è bassa, le
ombre lunghe, nette e definite, la prospettiva converge verso il fondo del palco ligneo a definire uno
spazio vasto ed irreale, innaturalmente deserto e statico, un luogo allucinante, dove tutto è
cristallizzato in una sospesa realtà a-temporale e la vita umana è preclusa, sostiuita da quella
puramente figurativa dei manichini.
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