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Sicilia.
[Titolo Originale: Reise in Deutschland, der Schweiz, Italien und Sicilien. 2Bde.
Hrsg. von Joh. Janssen. Franz Kirchheim, Mainz, 1877 – Bd. 2]
Centoduesima lettera
Il 9 ottobre, di buon’ora, abbiamo lasciato Roma. Nel corso della mattinata, abbiamo
percorso quello che un tempo era il territorio dei veienti la cui capitale, Veio, fu
conquistata, dopo dieci anni di assedio, dal grande Camillo. Il quale fu reso in
seguito ancora più celebre dalla liberazione del Campidoglio assediato dai galli.
Attraversammo poi Civita Castellana, l’antica Faliscum, che venne assediata proprio
da quel condottiero. Un maestro di scuola, che cercava di fare la sua fortuna per
mezzo del tradimento, portava spesso la nobile gioventù falisca all’esterno della città,
col pretesto di qualche passeggiata, e alla fine, così, la consegnò ai romani. Camillo,
però, non accettò di conquistare la città a quel modo: fece dunque legare il traditore
con le mani dietro la schiena, diede le bacchette ai ragazzi e ordinò che riportassero
in città il maestro facendogliele assaggiare. Commossi dalla generosità del romano, i
falisci si arresero. (Tit. Liv. V. 27). Alla stessa zona apparteneva Nepete, per la quale
eravamo passati di sfuggita in precedenza. Ora si chiama Nepi. I veienti e faleri (o
falisci) erano popolazioni etrusche. Giacché l’antica Etruria era parecchio estesa, sia
a sud e che nella Toscana di oggi.