Sei sulla pagina 1di 14

IL CLIMA DELL’ENERGIA

LA BREVE PARABOLA
DEL NUCLEARE NOSTRANO di Lorenzo PINNA

Come si è creato, e poi rapidamente disperso, il patrimonio


tecnologico e industriale che puntava sulle centrali atomiche
per ridurre la nostra dipendenza dal petrolio. Il caso Ippolito
e le sue conseguenze. Černobyl’ e il referendum del 1987.

1. C OSA È RIMASTO OGGI DEL NUCLEARE


in Italia a venti anni esatti dalla sua «abrogazione» con il referendum popolare del
novembre 1987? Non molto. Le maggiori competenze in materia, ereditate dall’E-
nel, sono concentrate nella Sogin, la società del ministero dell’Economia che si oc-
cupa della messa in sicurezza e del successivo smantellamento delle quattro vec-
chie centrali atomiche italiane (Garigliano, Latina, Trino e Caorso), delle scorie ra-
dioattive e dei centri di ricerca nucleare o per il riprocessamento del combustibile
esaurito (Trisaia, Bosco Marengo, Casaccia, Saluggia).
Il know how nucleare ha permesso alla Sogin di offrire le sue consulenze an-
che in campo internazionale, soprattutto nei paesi dell’ex Unione Sovietica. Diver-
se vecchie centrali con tecnologia sovietica (con reattori Vver o addirittura Rbmk,
cioè del tipo di Černobyl’) in Russia, Armenia, Kazakistan e Ucraina sono in corso
di ammodernamento, su progetto della Sogin, con sistemi e strutture per portare la
sicurezza verso standard internazionali.
Più conosciuti al grande pubblico gli interessi nucleari dell’Enel. All’estero na-
turalmente. Si tratta, per il momento, soprattutto di partecipazioni finanziare, che
non escludono però la presenza di tecnici e ingegneri italiani nella gestione, nel
controllo e nella manutenzione di queste centrali. In Slovacchia, dove l’Enel con-
trolla il 66% dell’Ente elettrico nazionale (Slovénske Elektràrne), sono quattro i reat-
tori attualmente in funzione, mentre di altri due è prevista l’installazione nelle cen-
trali di Mochovce e Bohunice. Potenza nucleare disponibile: 2.200 megawatt circa.
Un’intesa preliminare con la Francia prevede la partecipazione al 12,5% dell’E-
nel nella costruzione e successiva gestione di sei nuovi reattori Epr (European
Pressurised Reactor). Per adesso i lavori sono cominciati solo in un sito: Flamanvil-
le, dove la potenza da installare è di 1.630 megawatt. In base a questo accordo l’E-
nel potrà importare elettricità prodotta dai nuovi impianti nucleari francesi. 259
LA BREVE PARABOLA DEL NUCLEARE NOSTRANO

In Spagna, se l’Opa su Endesa andrà in porto, l’Enel si troverà ad avere la


partecipazione di maggioranza in tre reattori (Asco 1 e 2 e Vandellos 2) e di mino-
ranza in altri due (Almaras 1 e 2), per una potenza totale di oltre 5 mila megawatt
nucleari.
Infine c’è anche un accordo preliminare con Rosatom (l’Agenzia federale per
il nucleare della Russia) per la gestione di centrali nucleari esistenti e per la realiz-
zazione di nuovi impianti sia nella Federazione Russa che in Europa orientale.
Un piccolo settore dell’industria nucleare italiana è riuscito a sopravvivere gra-
zie alle commesse estere. L’Ansaldo Nucleare ha costruito vari componenti per
ammodernare e rendere più sicure le centrali romene (con la tecnologia canadese
Candu), mentre di recente ha ricevuto dall’americana Westinghouse la commessa
per costruire varie parti di quattro reattori «Ap 1000», che l’impresa statunitense ha
venduto alla Cina. Il gruppo Camozzi ha invece realizzato, per la centrale nucleare
di Palo Verde in Arizona, Usa, generatori di vapore con numerose innovazioni tec-
nologiche.
E la ricerca? Pur essendo ridotta al lumicino qualche collaborazione e qualche
progetto stanno andando faticosamente avanti. Ad esempio il Politecnico di Mila-
no, quello di Torino e l’Università di Pisa partecipano agli studi su un reattore di
nuova concezione denominato Iris e proposto dall’americana Westinghouse. Il
reattore di taglia ridotta, ma vero, non simulato al computer, dovrebbe (il condizio-
nale è d’obbligo) essere costruito e collaudato dalla Siet (società partecipata da
Enel ed Enea) nei suoi laboratori di Piacenza. Ovviamente senza uranio. Le barre
di combustibile verranno scaldate con l’energia elettrica, invece che dalla fissione
dell’atomo. Ma per provare tutti i sistemi del reattore (pompe, valvole, condutture
eccetera) questo dettaglio non è poi così importante.
All’Università di Roma (insieme all’Enea e all’Ansaldo) è stato messo a punto
il progetto di un piccolo reattore modulare: Mars. Un progetto che potrebbe inte-
ressare ad una grande iniziativa internazionale nota come Gnep (Global Nuclear
Energy Partnership) promossa dagli Stati Uniti per costruire, entro una decina d’an-
ni, un reattore in grado di ridurre al minimo i rischi di proliferazione (cioè la pro-
duzione di plutonio) e quindi da proporre a Stati di cui ci si fida, ma solo fino a
certo punto. Anche sui futuri reattori di quarta generazione l’Italia, pur non parteci-
pando ufficialmente al consorzio internazionale che promuove questi progetti
(Gen IV International Forum), svolge una piccola attività di ricerca. In particolare
Enea, Ansaldo e Cesi Ricerca stanno studiando uno dei reattori considerati fra i sei
più promettenti: quello raffreddato al piombo liquido.

2. Nonostante le batoste, il nucleare non è quindi completamente scomparso


dall’orizzonte scientifico e industriale dell’Italia. Tuttavia non ci si può nascondere
che, in questo campo, l’industria e la ricerca italiane non sono assolutamente più
in grado di competere con quelle estere. A questo si aggiunge l’immagine di un
paese che ha rifiutato il nucleare. Come fidarsi della tecnologia nucleare di un pae-
260 se che per primo non ne ha fiducia?
IL CLIMA DELL’ENERGIA

In realtà il «grande» nucleare, la fonte che doveva fornire un’energia meno cara
del gas e del petrolio e meno vulnerabile alle crisi geopolitiche, è una storia con-
clusa da almeno vent’anni. Dall’8 e 9 novembre 1987. È in questi due giorni che
cala, definitivamente, il sipario su una delle più grandi e sofferte imprese tecnolo-
giche dell’Italia nel dopoguerra. Il referendum popolare, convocato ad un anno e
mezzo dal disastro di Černobyl’, ha un esito scontato. L’incidente alla centrale so-
vietica dell’aprile 1986 ha spaventato mezzo pianeta e il comportamento delle au-
torità di Mosca, oscillante fra silenzi e confusione, ha peggiorato la situazione. An-
che in Italia, nonostante i comunicati rassicuranti dell’ente addetto alle misure di
radioprotezione, l’Enea, dilaga la paura. La radioattività arrivata nel nostro paese è
una frazione minima e non desta preoccupazioni, ma le contraddittorie raccoman-
dazioni di una miriade di «esperti» sono riprese e amplificate da stampa e televisio-
ni. Sul banco degli imputati finiscono soprattutto il latte e le verdure a «foglia lar-
ga», come vennero allora definite. Il sospetto che questi alimenti, così familiari e
quotidiani, si fossero trasformati in micidiali pericoli per la salute scatena una psi-
cosi collettiva. Tutto il nucleare finisce sotto accusa. Si dimentica che la centrale di
Černobyl’ è di un tipo che non esiste in Occidente. Non solo: quel reattore non era
protetto da misure di sicurezza, come il cupolone di contenimento, che avrebbero
limitato i danni. Misure che nei paesi occidentali sono obbligatorie da anni.
Tutti i partiti, ad esclusione di quello repubblicano e liberale, piccoli e poco
influenti, sono contro il nucleare. Il fronte contrario a questa fonte energetica rap-
presenta, in breve, il 95% degli elettori. Dalla Democrazia cristiana al Partito comu-
nista ai socialisti di Bettino Craxi.
Le elezioni anticipate previste per l’anno successivo consigliano agli strateghi
della politica italiana di non prendere posizioni impopolari al referendum. I risulta-
ti non deludono le aspettative. Un piccolo neo in questo trionfo. L’affluenza non è
eccezionale. Solo il 65% degli elettori si reca a votare. Più che sufficienti però a
rendere valida la consultazione. I sì all’abrogazione delle tre leggi che riguardano il
nucleare sono l’80%, i no il 20%.
Le tre centrali nucleari italiane in funzione verranno chiuse negli anni succes-
sivi (quella del Garigliano era stata chiusa nel 1982). Unico paese al mondo, l’Italia
ha rinunciato a una fonte che ancora oggi produce, in media, il 30% dell’energia
elettrica nel resto dell’Europa (ma in Francia la quota sale al 78%). Poteva permet-
terselo? E perché l’Italia, pur senza molta convinzione, aveva mosso alcuni passi su
questa strada?
La storia che si conclude l’8 e il 9 novembre 1987 era cominciata più di 40 an-
ni prima. Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. Ed è anche la storia
di come l’Italia, un paese povero di risorse energetiche abbia tentato di sfuggire a
una dipendenza dall’estero che si annunciava sempre più pesante e rischiosa. Ma
in quegli anni, subito dopo la fine della seconda guerra, tutti questi problemi era-
no per il momento lontani, in un futuro non ben definito. L’Italia, uscita in condi-
zioni disastrose dalla sconfitta, era ancora un paese prevalentemente agricolo. Ol-
tre il 40% degli occupati lavorava nei campi. E solo il 7% delle abitazioni possede- 261
LA BREVE PARABOLA DEL NUCLEARE NOSTRANO

va quelle comodità che oggi ci sembrano così scontate e banali: il gabinetto e l’ac-
qua corrente in casa, l’elettricità e il riscaldamento. Nel 1939, un anno prima del-
l’entrata in guerra, la Fiat aveva prodotto 50 mila auto, cifra che, ovviamente, nel-
l’immediato dopoguerra, con le fabbriche seriamente danneggiate, non era più
possibile raggiungere. A piedi, in bicicletta o con i pochi e sgangherati mezzi pub-
blici: così ci si spostava nell’Italia dell’epoca. In altre parole, il nostro paese non
consumava, allora, molta energia. L’idroelettrico, quel poco di geotermia e di car-
bone nazionale (peraltro molto inquinante perché ad alto tenore di zolfo) riusciva-
no a coprire il 50% delle necessità energetiche. Il resto, cioè l’altra metà, veniva co-
munque importato.
Dopo la catastrofe della guerra chi non sperava in un’Italia rinata, ricostruita,
democratica, capace di porsi sulla strada di uno sviluppo che l’avrebbe resa più ric-
ca e più giusta? Fra i tanti giovani che credevano in una futura Italia, migliore di
quella passata, ce ne furono alcuni che si posero una domanda. Con quale energia
si sarebbe costruito questo futuro? Al Politecnico di Milano, già nel 1945, subito do-
po la fine della guerra, il professor Giuseppe Bolla aveva riunito un gruppo di allie-
vi per cominciare a studiare le possibilità di un uso pacifico dell’energia atomica.
Nel 1945 l’atomo aveva un solo significato. La terrificante potenza distruttiva
delle bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki e capaci di annientare intere città
e i loro abitanti in una frazione di secondo. Ma alcuni studi americani, come il rap-
porto Smith, sulla possibilità di utilizzare l’uranio a scopi civili, cominciavano a cir-
colare anche in Italia. Fu proprio questo primo gruppo di giovani, raccoltisi intor-
no al professor Bolla, a credere che questa fosse una possibilità che l’Italia non po-
teva lasciarsi sfuggire. Anzi come ha raccontato, in una delle sue ultime interviste,
il professor Carlo Salvetti, uno dei giovani di quell’epoca pionieristica, furono pro-
prio loro ad evitare che nel trattato di pace venisse proibito all’Italia l’uso dell’ener-
gia atomica a scopi pacifici. Ovviamente, come paese sconfitto l’uso militare non
era concepibile. Insomma una specie di diplomazia free lance (la richiesta venne
avanzata dalla delegazione belga su suggerimento dei fisici italiani), come la defi-
niremmo oggi, al di fuori dei canali ufficiali riuscì a lasciar aperta, per l’Italia, la
possibilità di sviluppare questa fonte energetica.
I primi a credere e a finanziare questo gruppo di giovani scienziati, fra i quali
Carlo Salvetti, Giorgio Salvini, Mario Silvestri, sono le industrie private. Come la
Edison (in particolare l’ingegner Vittorio De Biase), del settore elettrico che allora,
in Italia, era in mano ai privati. Ma anche la Montecatini, la Fiat e la Pirelli. È con i
loro fondi che, verso la fine del 1946, viene costituito il Cise, Centro informazioni
studi e esperienze. I locali si trovavano in via Procaccini a Milano. Oggi di quel
vecchio edificio non è rimasto in piedi un solo mattone. Le prime ricerche riguar-
dano la metallurgia, l’acqua pesante, i contatori di radioattività. Tutte tecnologie
necessarie per sviluppare reattori capaci di sfruttare l’uranio e produrre energia.
Contemporaneamente a questi giovani scienziati, alle prese con ricerche d’a-
vanguardia per dare al paese almeno una chance per la sua indipendenza energe-
262 tica, sta iniziando la sua spettacolare carriera una persona destinata a diventare un
IL CLIMA DELL’ENERGIA

grande protagonista nel mondo dell’energia e non solo di quella nazionale. Ha 39


anni e nella guerra appena terminata ha comandato alcune formazioni di partigia-
ni cattolici. È Enrico Mattei. Il suo esordio avviene come commissario liquidatore
dell’Agip, la compagnia petrolifera italiana fondata durante il fascismo. Non por-
terà a termine il compito assegnatogli. Anzi ben presto si rende conto che l’Agip
può giocare un ruolo importantissimo nella rinascita del paese, per garantire a fa-
miglie ed imprese un’energia a un prezzo più basso di quello offerto dalle società
straniere. Nelle intenzioni di chi lo aveva messo a liquidare l’Agip, Mattei doveva
privatizzare il settore energetico, lasciandolo sostanzialmente in mano alle potenti
compagnie americane e inglesi e ai loro alleati italiani. Nei fatti Mattei non solo
non liquida l’Agip, ma raddoppia la perforazione dei pozzi, sfrutta al meglio la ri-
cerca mineraria nella Valle Padana, comincia a costruire gasdotti e sceglie, spregiu-
dicatamente, le alleanze necessarie nel governo e nei partiti per realizzare quanto
aveva in mente. Ci riesce con l’istituzione dell’Eni nel 1953, dopo una lunga e tra-
vagliata battaglia iniziata nel 1947 tra chi sosteneva ad oltranza l’iniziativa privata
(legata a potenti interessi stranieri) e quanti erano fautori di una forte presenza del-
lo Stato nell’economia.
Di questo periodo rimangono leggendari i metodi che l’Agip, diretta da Mattei,
usava per stendere i gasdotti più in fretta che poteva e mettere i politici davanti al
fatto compiuto. Con la scusa di scavare qualche piccola traccia per verificare se i
terreni erano idonei, i tecnici dell’Agip stendevano, di notte preferibilmente, chilo-
metri e chilometri di tubi e la mattina i sindaci venivano svegliati di soprassalto con
la notizia del passaggio abusivo del gasdotto. Allora interveniva Mattei che con ri-
sarcimenti, promesse di assunzioni o sponsorizzando restauri di monumenti e altre
opere d’arte locali riusciva alla fine a strappare il consenso delle amministrazioni
interessate dai lavori abusivi dell’Agip.
Mattei è molto abile anche su un altro fronte: il rapporto con l’opinione pubbli-
ca. Le scoperte di gas e petrolio vengono presentate alla stampa come trionfi italia-
ni, come inizi di nuove epoche. Da manuale il caso dei piccoli giacimenti scoperti a
Cortemaggiore nel 1949. Il petrolio era poco, non avrebbe cambiato il quadro ener-
getico nazionale e per di più era di cattiva qualità. Mattei però riesce a tener banco
per settimane e settimane sulle prime pagine dei giornali e anche a coniare uno slo-
gan molto famoso in quegli anni «SuperCortemaggiore, la potente benzina italiana».
Persino l’orgoglio nazionale, uscito a pezzi dall’avventura bellica, poteva trovare
nelle parole e nelle idee di Mattei motivi per risollevarsi. Per quanto spregiudicato e
a volte capace di metodi discutibili, si deve riconoscere che Mattei non aveva inte-
ressi personali, ma l’ambizione e il senso di una grande missione civile. Rendere l’I-
talia indipendente in campo energetico e assicurare un rifornimento di energia a
basso prezzo, cioè il carburante per il futuro sviluppo economico.

3. Per il nucleare italiano il 1952 è un anno molto importante. Fino a quell’an-


no le ricerche sono condotte dal Cise, il gruppo di scienziati e ingegneri legati al-
l’università e all’industria privata. Ma ormai in tutto il mondo ci si comincia a inte- 263
LA BREVE PARABOLA DEL NUCLEARE NOSTRANO

ressare dell’atomo per scopi civili. Anche Enrico Fermi prevede un grande avveni-
re per questa fonte energetica.
Nel 1952 lo Stato italiano si accorge dell’energia nucleare. Nasce il Cnrn, il Co-
mitato nazionale per le ricerche nucleari. Lo dirige un chimico, Francesco Giorda-
no, e fra i suoi membri si trova anche un geologo, Felice Ippolito, destinato a se-
gnare la storia del nucleare italiano. Il gruppo milanese del Cise, diretto dal profes-
sor Bolla, diventa il braccio operativo del nuovo comitato. Ma l’unione di due filo-
sofie così diverse, quella del Comitato nazionale, più burocratica e statalista, e
quella del Cise più orientato verso l’industria privata, darà luogo a molti conflitti,
spesso anche a livello personale.
In breve le posizioni possono così riassumersi. Il Cise vorrebbe sviluppare un
reattore tutto italiano, seguendo una strada forse più faticosa e difficile, ma sicura-
mente più originale e in grado di permettere a scienziati e ingegneri di padroneg-
giare completamente una tecnologia estremamente complessa. Il Comitato nazio-
nale preferisce invece acquisire all’estero prodotti più avanzati, evitando così le
lunghe fasi di ricerca necessarie. Una strategia a base di scorciatoie e di salti in
avanti che non convince il Cise. In pratica le due linee convivono. Si continua così
a finanziare lo sviluppo del reattore italiano, chiamato Cirene, progettato da Mario
Silvestri, ma anche a importare altri tipi di reattori come il Cp5 dell’americana We-
stinghouse che finirà nel nuovissimo centro di ricerche nucleari di Ispra, vicino a
Varese. Ed anzi sarà proprio questo reattore di importazione a diventare il primo a
raggiungere la reazione a catena controllata nel nostro paese.
È la crisi di Suez del 1956 ad imprimere una brusca accelerazione ai program-
mi nucleari italiani, che segna la fine del colonialismo europeo. E suggerisce una
riflessione: il petrolio è abbondante, ma le vie di trasporto possono rivelarsi poco
sicure. I due terzi del petrolio del Golfo Persico diretti in Europa transitano, all’e-
poca, in quello stretto passaggio. Nello stesso anno della crisi di Suez vengono or-
dinate le prime tre centrali nucleari italiane. La Sme, una società del gruppo Iri, fir-
ma un contratto con l’americana General Electric per un reattore ad acqua bollente
che verrà installato nella centrale del Garigliano. L’Eni di Mattei non vuol restar
fuori da questa promettente fonte energetica e firma un analogo impegno con gli
inglesi, per un reattore moderato a grafite e raffreddato a gas per la centrale di Bor-
go Sabotino, vicino a Latina. Mentre la Edison, una delle più importanti industrie
elettriche private, sceglie un reattore della statunitense Westinghouse, ad acqua in
pressione ed uranio arricchito, destinato alla centrale di Trino nel Vercellese.
Il quadro che emerge da queste prime importanti decisioni in campo nuclea-
re è la mancanza quasi completa di coordinamento. Su tre centrali, ci sono tre tipi
differenti di reattore, il Comitato nazionale ne sta studiando altri ancora e il Cise
vorrebbe seguire una via tutta italiana. Mentre Ippolito succede a Giordano come
segretario generale del Cnrn, le tensioni fra le varie anime del nucleare italiano
raggiungono livelli sempre più preoccupanti. Il reattore di Ispra non ha nemme-
no fatto in tempo ad entrare in funzione che tutto il Centro, cioè quello che dove-
264 va essere il laboratorio dove si sarebbero formati ingegneri e tecnici dell’Italia nu-
IL CLIMA DELL’ENERGIA

cleare, viene ceduto dal Cnrn guidato da Ippolito all’Euratom, l’agenzia europea
che si occupa di energia atomica. E la cessione non si rivela nemmeno un buon
affare. La vicenda solleva un coro di critiche, soprattutto fra gli ingegneri e i fisici
del vecchio Cise.
Tutte queste storie abbastanza aggrovigliate non interessano gli italiani che in
questo scorcio finale degli anni Cinquanta vivono il boom economico. È l’Italia del
miracolo che cresce al ritmo del 5-6% ogni anno. Da pochi anni la televisione ha
fatto il suo trionfale ingresso nella nostra storia e nella nostra vita. Il boom significa
anche l’arrivo degli elettrodomestici, della lavatrice, del frigorifero e dell’automobi-
le privata. Nel 1951 l’Italia produceva 18 mila frigoriferi ogni anno, dieci anni dopo
più di un milione e mezzo. Nel 1950 la Candy fabbricava una lavatrice al giorno,
nel 1960 una ogni quindici secondi. L’Italia diventa così il terzo paese esportatore
di elettrodomestici dopo Stati Uniti e Giappone. E anche la Fiat passa dalle poche
decine di migliaia di auto alla fine degli anni Quaranta a superare il mezzo milione
nel 1960. La grande trasformazione, la fuga dalle campagne, l’emigrazione dal Me-
ridione verso il Nord industriale, l’espansione disordinata delle città cambiano il
profilo dell’Italia. Il vecchio paese agricolo e tradizionalista lascia il posto ad una
realtà indecifrabile in progresso rapidissimo, a contraddizioni e conflitti, ma anche
ad una crescita complessiva del benessere.
Tutto ciò ha un costo in termini di energia. Fra la fine degli anni Cinquanta e
quella degli anni Sessanta i consumi energetici si moltiplicheranno per due volte e
mezzo. È il momento delle grandi scelte. E di alcuni bilanci. Mentre nei primi anni
Sessanta le tre centrali nucleari italiane cominciano a produrre energia per un’Italia
che ne è sempre più affamata, il primo governo di centro-sinistra presieduto nel
1962 da Amintore Fanfani prende una decisione che era nell’aria da tempo: la na-
zionalizzazione dell’industria elettrica. Sarà una delle poche riforme, insieme a
quella della scuola, realizzate in una stagione politica iniziata tra grandi speranze.
La produzione di elettricità era rimasta fino al 1962 in mano a varie società
elettriche che agivano come monopoli nei territori di loro competenza. Così la Edi-
son riforniva Lombardia, Emilia-Romagna e Liguria, la Sip il Piemonte, la Centrale
Toscana, Lazio e Sardegna e così via. Le ragioni per nazionalizzare questa industria
erano molteplici. Da quelle ideologiche e politiche a quelle più tecniche ed econo-
miche. La nazionalizzazione fu una risposta adeguata ai nuovi bisogni energetici di
un’Italia in pieno sviluppo. Nacque così l’Enel, l’ente nazionale per l’energia elettri-
ca, mentre i vecchi industriali espropriati ebbero lauti indennizzi che vennero pa-
gati immediatamente, secondo le indicazioni dell’allora governatore della Banca
d’Italia Guido Carli.
Il 1962 è anche l’anno della morte di Enrico Mattei e del tramonto dei suoi so-
gni di indipendenza energetica per l’Italia. Il tentativo di stabilire rapporti diretti
con i paesi produttori di petrolio, specie in Africa del Nord e Medio Oriente, era
solo in parte riuscito. Lo stesso Mattei aveva paragonato l’Italia ad un gattino che si
avvicina ad una grande ciotola di latte dove stanno bevendo sette cagnacci, cioè i
sette colossi mondiali del petrolio. Nella ciotola ci sarebbe latte per tutti, ma i ca- 265
LA BREVE PARABOLA DEL NUCLEARE NOSTRANO

gnacci con una zampata allontanano il gattino. E il gattino, cioè l’Eni o l’Italia, de-
vono trovare il modo di arrivare al latte.
Uno degli ultimi accordi cui Mattei stava lavorando prima della morte era con
l’Algeria, allora in piena guerra di liberazione dal colonialismo francese. Anche in
questo caso Mattei si mise dalla parte degli arabi, scatenando le reazioni sia delle
grandi compagnie petrolifere che della destra francese. I nemici di Mattei furono
così numerosi, potenti e pericolosi che c’è veramente solo l’imbarazzo della scelta
nel fare ipotesi sui mandanti del sabotaggio all’aereo che il 27 ottobre del 1962
precipitò durante l’atterraggio a Linate. Nel disastro morirono Mattei, insieme al pi-
lota e ad un giornalista americano che lo accompagnava. Nel 1997 nuove indagini,
su alcuni reperti del velivolo precipitato, hanno portato alla conclusione che una
carica di 150 grammi di tritolo, collegata al meccanismo di apertura del carrello, fu
la causa del disastro. Tuttavia non può essere nemmeno scartata l’ipotesi che Mat-
tei, personaggio vulcanico e iperdinamico, abbia forzato la mano al pilota per non
perder tempo e tentare l’atterraggio nonostante il tempo proibitivo. Tutti gli accor-
di di Mattei, a cominciare da quello con l’Algeria, vengono abbandonati o comun-
que ridimensionati dai suoi successori.

4. Anche per Felice Ippolito, segretario generale del Cnen, che aveva sostitui-
to il vecchio Cnrn, è cominciato il conto alla rovescia. Gli indirizzi che la ricerca
nucleare ha preso con Ippolito al timone del Cnen non riscuotono un’approvazio-
ne unanime. Gli studiosi di quel periodo ne segnalano alcuni gravi errori. Proba-
bilmente le fughe in avanti, la mancanza di un progetto unico e la conseguente di-
spersione su troppe linee di ricerca non aiutarono il programma nucleare italiano.
Il piano 1959-64 del Cnen prevedeva la ricerca su ben quattro tipi diversi di reatto-
ri: il primo ad acqua bollente, il secondo moderato da sostanze organiche, il terzo
raffreddato a metalli liquidi, il quarto refrigerato da gas ad altissima temperatura
(senza contare il reattore italiano, il Cirene, ad acqua pesante e uranio naturale).
Un piano forse troppo ambizioso per una piccola potenza industriale come l’Italia
(nessuno di quei progetti venne portato a termine, tranne il Cirene).
Ippolito fu comunque uno scienziato che vedeva nel nucleare una strada da
percorrere, per ridurre la grave dipendenza energetica che ormai negli anni del
boom si stava chiaramente profilando. Insieme a Mattei, egli fu una delle poche
personalità dell’epoca a chiedersi come affrontare una situazione energetica sem-
pre meno sostenibile. E a prospettare alcune soluzioni. In effetti fra gli anni Cin-
quanta e Sessanta la dipendenza energetica italiana dall’estero passò dal 50% a ol-
tre l’80%, grosso modo la stessa situazione in cui ci troviamo oggi.
Ippolito era una persona onesta e scomoda. E divenne molto più scomodo
quando, dopo la nascita dell’Enel, entrò nella rosa dei possibili candidati alla presi-
denza del grande ente elettrico, anche se poi si dovette accontentare di un posto
nel Consiglio di amministrazione. Ma persino in tale ruolo la sua presenza non era
gradita. Si stavano decidendo i trasferimenti delle centrali dai privati all’ente pub-
266 blico e, cosa molto delicata, i relativi indennizzi. Forse anche i suoi legami con
IL CLIMA DELL’ENERGIA

Emilio Colombo, il ministro dell’Industria del tempo, non gli giovarono. Nelle lotte
interne alla Democrazia cristiana chi voleva colpire Colombo poteva scegliere Ip-
polito come bersaglio.
L’attacco iniziò nell’estate del 1963 con alcuni articoli dei socialdemocratici
Giuseppe Saragat e Luigi Preti, che indicarono Ippolito come un pessimo ammini-
stratore del denaro pubblico e il nucleare come una causa persa, di cui era inutile
occuparsi. In un crescendo di accuse, Ippolito venne imputato per gravi malversa-
zioni durante la sua guida del Cnen e infine arrestato.
La condanna fu pesantissima: 12 anni di reclusione. Dopo due anni Felice Ip-
polito venne scarcerato. Alla fine, nei processi di appello, di tutte le accuse ne ri-
masero in piedi solo due. Di aver usato, una sola volta, un’auto di servizio per ra-
gioni private e di aver fatto confezionare a spese del Cnen delle cartelle omaggio
per alcuni giornalisti. Intanto il nucleare italiano aveva ricevuto un colpo dal quale
non si sarebbe più ripreso.
Nel corso degli anni Sessanta le auto private si moltiplicano per quattro, men-
tre la rete di autostrade passa da mille a 5 mila chilometri. Sboccia la grande storia
d’amore degli italiani per l’automobile. Una storia che deve essere alimentata con
molta benzina. Fra gli scarti più consistenti della raffinazione della benzina si trova
l’olio combustibile, un residuo che ha pochi impieghi. In pratica solo uno: essere
bruciato nelle grandi centrali termoelettriche. E infatti la scelta dell’Enel privilegerà
proprio questa fonte energetica. Scomparso Mattei e neutralizzato Ippolito, le
grandi compagnie petrolifere straniere e i loro alleati italiani, molto attivi nel setto-
re della raffinazione, hanno finalmente la luce verde.
Il nucleare non viene completamente abbandonato, ma tutto procede ormai
con esasperante lentezza. Forse per tenere in attività un settore industriale ormai
sovradimensionato rispetto alle nuove scelte energetiche, viene commissionata al-
l’Ansaldo una nuova centrale con un reattore dell’americana General Electric. Ci
vorranno più di dieci anni per completare la quarta e ultima centrale nucleare ita-
liana: quella di Caorso, nel piacentino (tabella).

Le centrali nucleari italiane


Località Tipo di reattore Potenza Inizio produzione Fine produzione Costruttore
Trino Pwr Westinghouse 242 MW Ottobre 1964 Luglio 1990 Edison
Garigliano Bwr General Electric 150 MW Gennaio 1964 Marzo 1982 Sem (Iri)
Latina Gcr Magnox 200 MW Maggio 1963 Dicembre 1990 Agip-Nucleare
Caorso Bwr General Electric 840 MW Maggio 1978 Luglio 1990 Enel
Legenda. PWR: Pressurized Water Reactor (Reattore ad acqua in pressione). BWR: Boiling Water Reactor
(Reattore ad acqua bollente). GCR: Gas Cooled Reactor (Reattore raffreddato a gas).

Nel 1973 la scelta di puntare tutto sul petrolio subisce un primo colpo. È l’an-
no della prima crisi petrolifera. L’Opec, il cartello dei maggiori produttori di petro-
lio, in prevalenza mediorientali, dichiara l’embargo petrolifero per protestare con- 267
LA BREVE PARABOLA DEL NUCLEARE NOSTRANO

tro l’aiuto americano ed europeo ad Israele, durante la guerra del Kippur. È un ta-
glio modesto della produzione, meno del 10%, ma la sorpresa genera il panico e i
prezzi del petrolio si moltiplicano per tre. L’epoca d’oro del petrolio, come è stato
definito il periodo fra la fine della seconda guerra mondiale e il 1973, era finita.
In Italia si vivono alcune settimane di austerità: le domeniche a piedi, i pro-
grammi televisivi che finiscono alle dieci e mezzo, il riscaldamento razionato. Ma
le conseguenze più gravi sono altre. In particolare sull’economia. Il rincaro dei
combustibili fossili accende nel mondo occidentale una preoccupante inflazione:
l’Italia è uno dei paesi in cui durerà più a lungo. Fra le numerose cause della peg-
giore situazione italiana si trova anche la più pesante dipendenza dal petrolio. Il
nucleare sembra riprendere quota. Ma è solo un’illusione. Il primo piano energeti-
co proposto nel 1975 dal ministro dell’industria Carlo Donat-Cattin prevede addi-
rittura la costruzione di 20 centrali nucleari. Ma nel frattempo non si riesce nemme-
no a terminare quella di Caorso, commissionata all’Ansaldo otto anni prima. E l’E-
nel continua a costruire grandi centrali da 1.000 megawatt, alimentate ad olio com-
bustibile, al ritmo di una l’anno. Non solo. Sono sorte altre difficoltà. L’attuazione
di quella parte della costituzione che prevede l’istituzione delle Regioni e un mag-
giore decentramento amministrativo crea inediti problemi nella scelta dei siti dove
costruire le centrali, non solo nucleari, ma anche a carbone. Sono i primi segnali
della nascita del famoso effetto Nimby (dall’inglese «Not in my back yard», «Non
nel mio cortile»).
I sindaci, anche dei piccoli Comuni, possono negare l’autorizzazione per la
costruzione di una centrale. Negli anni Settanta non sono le paure di inquinamenti
radioattivi o di danni alla salute a far scattare il «no». La ragione dell’opposizione è
un’altra. Si tratta di evitare gli sconvolgimenti inevitabili che la costruzione di una
grande centrale porta in un piccolo paese. Ed anche perché una volta terminate, le
centrali non danno molto lavoro agli abitanti del luogo. Quasi tutti i tecnici arriva-
no infatti da fuori.

5. Come se non bastasse l’incidente alla centrale americana di Three Mile


Island, nel marzo del 1979, fa di nuovo crollare le quotazioni del nucleare ed anzi
incoraggia i movimenti ambientalisti a organizzare le prime campagne antinuclea-
ri. Nonostante la gravità dell’incidente (si è fuso più della metà del nocciolo), la ra-
dioattività fuoriuscita è insignificante. E ciò grazie al cupolone di protezione in ce-
mento armato. Ma i colpi di scena continuano.
Nuovo shock petrolifero. Fra il 1979 e il 1980 viene rovesciato lo scià in Iran e
scoppia la guerra fra il regime khomeinista e l’Iraq di Saddam Hussein. Tutti fatti
che trovano nuovamente impreparata l’Italia, dipendente in massima parte (l’80%
circa) dal petrolio. Nuova impennata dell’inflazione. L’opzione nucleare torna d’at-
tualità.
Questa volta, con la consueta lentezza, qualcosa sembra muoversi. Nel 1983
due leggi consentono al Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione
268 economica, un’agenzia del governo, di decidere il sito per la costruzione di centra-
IL CLIMA DELL’ENERGIA

li nucleari o a carbone, se Regioni e Comuni non arrivano, entro un certo tempo,


ad una scelta definitiva. Una seconda legge prevede anche un indennizzo per i di-
sturbi causati dalla costruzione e dall’esercizio della centrale. Sembra finalmente
possibile riuscire a riequilibrare la rischiosa dipendenza dai combustibili fossili.
Il nuovo piano energetico, varato nel 1985, prevede infatti il raddoppio della
centrale nucleare di Trino, l’ultimazione di quella di Montalto, dove i lavori sono
tanto avanzati quanto contestati dai movimenti ambientalisti, e la costruzione di sei
nuove centrali in siti ancora da individuare. La dipendenza energetica italiana sa-
rebbe così scesa entro il 2000 dall’80% al 70%. Non molto, ma pur sempre qualco-
sa. Il piano viene definitivamente approvato nel marzo del 1986. Un mese dopo
esplode la centrale sovietica di Černobyl’.
L’incidente, il più grave nella storia dell’industria nucleare, è stato causato, co-
me scoprirà l’inchiesta, non da errori o distrazioni, ma da un deliberato esperimen-
to condotto, senza autorizzazione, dal personale tecnico per «migliorare la sicurez-
za» della centrale. Nel corso di questa folle iniziativa tutti i sistemi di allarme e di
blocco automatico del reattore vennero disattivati. Dopo ore e ore di maltratta-
menti, alla fine, il reattore esplose. A trasformare l’incidente, già di per sé gravissi-
mo, in un incubo fu la mancanza di qualsiasi struttura di protezione e di conteni-
mento. Il reattore era alloggiato in un comune edificio in muratura che venne im-
mediatamente distrutto dall’esplosione, mentre la grafite prese fuoco generando il
micidiale pennacchio che trascinò nell’atmosfera i prodotti radioattivi volatili. Tutti
eventi che non potrebbero verificarsi nei reattori di tipo occidentale, neanche in
quelli che, all’epoca, si dovevano costruire in Italia.
Il parlamento italiano si affretta a bloccare il piano energetico appena appro-
vato e convoca una conferenza nazionale sull’energia e la sicurezza per ridiscutere
la scelta nucleare. Intanto tutti i partiti che pochi mesi prima avevano approvato il
piano energetico, tranne eccezioni, cambiano idea. La conferenza si svolge a Roma
nel febbraio 1987. Il suo compito è di chiarire una volta per tutte vantaggi e rischi
della scelta nucleare italiana, ma l’interesse dei politici è scarso, per non dire nullo.
Bettino Craxi, il presidente del Consiglio, si farà vedere all’apertura dei lavori e
ascolterà le tre relazioni iniziali, poi più niente. In breve: la conferenza riapprova,
con poche voci discordanti, il piano energetico già approvato dal parlamento.
Ma ormai i giochi sono fatti e il parere positivo, quasi unanime, sulla scelta nu-
cleare non interessa più nessuno. Le elezioni anticipate previste per l’anno succes-
sivo sconsigliano i partititi dal prendere posizioni impopolari. Nel referendum ven-
gono così abrogate proprio quelle leggi del 1983 che consentivano al governo
centrale di superare i veti posti dalle amministrazioni locali alla costruzione di cen-
trali nucleari o a carbone.
Nel 1988 il governo di Ciriaco De Mita scrive un nuovo piano energetico dove
il nucleare è scomparso e il suo posto è occupato da un risparmio energetico che
non verrà poi realizzato, dall’importazione di energia elettrica dai paesi vicini, co-
me Francia e Svizzera e dal metano, una fonte meno inquinante del petrolio, ma
che deve essere anch’essa importata, in gran parte, da zone geopoliticamente in- 269
LA BREVE PARABOLA DEL NUCLEARE NOSTRANO

stabili. Negli anni successivi il parlamento decreterà la riconversione della centrale


di Montalto da nucleare a gas, con una spesa aggiuntiva, per l’erario, di circa 5 mi-
la miliardi di lire dell’epoca. Mentre la decisione di chiudere definitivamente le
centrali di Trino e Caorso, nel 1990, mette la parola fine alla storia nucleare italia-
na. Nel 1992 l’inchiesta milanese su Tangentopoli scoprirà altri retroscena e altre
ragioni per il frettoloso funerale al nucleare italiano: non furono solo Černobyl’ e
la paura delle radiazioni a far decidere l’abbandono di questa fonte energetica.
Intanto uno straordinario patrimonio di conoscenze di alta tecnologia, di ca-
pacità progettuali e industriali è stato, in gran parte, disperso. La centrale nucleare
di Latina è ormai spenta da più di quindici anni e in attesa di essere smantellata.
Pochi tecnici e le guardie della vigilanza presidiano ancora l’impianto. Nell’angolo
di una delle grandi sale di questa centrale si trova, ormai impolverato e dimentica-
to, il Cirene, il reattore di concezione e realizzazione completamente italiane pro-
gettato da Mario Silvestri, mai entrato in funzione. Il simbolo di una delle tante oc-
casioni mancate dal nostro paese.
Oggi l’Italia è dipendente dall’estero per l’83% dei suoi consumi energetici.
Nella produzione di elettricità impiega, per oltre il 70%, gas e petrolio. Ma l’elettri-
cità viene anche importata da Francia e Svizzera che la producono, più a buon
mercato di noi, con il nucleare. È come se 8 centrali nucleari svizzere o francesi la-
vorassero solo per noi.
In Europa e in Giappone gas e petrolio rappresentano solo il 30% nella pro-
duzione di elettricità, perché il resto lo coprono carbone e nucleare. Il nostro ki-
lowattora è il più caro in Europa e fra i più cari nel mondo. Qualsiasi nuovo rinca-
ro nel prezzo del petrolio e di quello, collegato, del gas ci metterà in difficoltà mol-
to più gravi di altri paesi. Mentre all’orizzonte si profila, con l’emergere di giganti
industriali come la Cina e l’India, una competizione sempre più serrata per le fonti
energetiche.

270
IL CLIMA DELL’ENERGIA

I NUOVI PROGETTI PER IL NUCLEARE

Gen IV (Reattori di IV generazione)

È uno sforzo internazionale che ha preso il via nel 2001 grazie all’accordo fra 9
nazioni (Argentina, Brasile, Canada, Francia, Giappone, Corea del Sud, Sudafri-
ca, Gran Bretagna e Stati Uniti) cui si sono aggiunti l’Euratom (cioè l’Europa), la
Cina, la Russia e la Svizzera. L’Italia non vi partecipa, se non attraverso l’Euratom.
L’obiettivo è di mettere a punto per il 2025-2030 reattori di nuova concezione. Più
efficienti, più sicuri, meno «sporchi» (con minore produzione di scorie) e meno uti-
lizzabili a fini militari. I principali filoni di ricerca che Gen IV International Forum
ha selezionato come più promettenti, sono sei:
• reattore veloce raffreddato a gas;
• reattore veloce raffreddato a piombo;
• reattore a sali fusi;
• reattore veloce raffreddato a sodio;
• reattore raffreddato ad acqua supercritica;
• reattore ad altissima temperatura.
Sono reattori molto innovativi in grado di produrre il proprio combustibile da ele-
menti non fissili, di generare gas ad altissima temperatura utilizzabili per ottenere
l’idrogeno, di bruciare le scorie più pericolose (i cosiddetti «attinidi») e di non
produrre plutonio di grado «militare» (adatto alla bomba). Unico neo: se si esclu-
de il Superphoenix (reattore veloce francese raffreddato al sodio), ormai chiuso
da decenni, e qualche altro reattore sperimentale (oggi sono in funzione solo due
piccoli reattori veloci, uno in India e l’altro in Russia), si è ancora abbastanza in-
dietro nella messa a punto di un prototipo industriale.

Gen III + (Reattori di III generazione)

I reattori di terza generazione sono quelli attualmente offerti dall’industria nuclea-


re. Tipici esempi l’Epr (European Pressurized Reactor) del consorzio franco-tede-
sco Areva e l’Ap1000 dell’americana Westinghouse. Le ricerche proseguono per
migliorare e rendere sempre più sicuri ed economici questi modelli. Si tratta di un
approccio al nucleare molto diverso dal progetto Gen IV. In questo caso si scom-
mette più sull’evoluzione dei sistemi attuali (in particolare i reattori con acqua in
pressione) che su concezioni radicalmente nuove. L’Italia potrebbe partecipare a
questo filone di ricerche con il programma Iris.

Reattori modulari

Il programma lanciato dagli Stati Uniti Global Nuclear Energy Partnership punta a
realizzare, entro una decina d’anni, un reattore pulito, sicuro, di semplice gestio-
ne e manutenzione da proporre ai paesi in via di sviluppo per soddisfare le loro
esigenze energetiche, ridurre le emissioni di gas serra ed evitare, con accordi par-
ticolari sul riprocessamento del combustibile esaurito, che venga estratto il plutonio
di grado militare. In questo programma potrebbe trovare collocazione il progetto
italiano Mars. 271

Potrebbero piacerti anche