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Appunti di Matematica

Simone Secchi
Dipartimento di Matematica ed Applicazioni
Universit degli Studi di MilanoBicocca
22 febbraio 2009
ii
Prefazione
Le dispense che state leggendo nascono dallesperienza di insegnamento del
corso di Matematica per gli allievi biotecnologi dellUniversit degli Studi di
MilanoBicocca. Il programma del corso piuttosto vasto, e la prima di-
colt stata quella di scegliere un libro di testo. Alcune esigenze hanno reso
molto dicile questo compito: innanzitutto opportuno utilizzare materiale
in lingua italiana, onde evitare di aggiungere la dicolt di apprendimento
in una lingua straniera a quella intrinseca della materia. Inoltre, la presen-
za di argomenti piuttosto avanzati (introduzione alle equazioni dierenziali
ordinarie, cenni ai metodi di approssimazione) esclude la maggioranza delle
opere attualmente presenti sul mercato.
Dalle discussioni con alcuni insegnanti di scuola media superiore, emerso
chiaramente labbassamento del livello dei programmi scolastici rispetto a
quelli di ventanni fa. Basti dire che, nei licei scientici e nei principali
istituti tecnici degli anni 90 del secolo scorso, era consuetudine insegnare
tutti gli argomenti che tratteremo in queste dispense, sebbene con poche
dimostrazioni rigorose. Non era raro, poi, studiare il calcolo combinatorico e
qualche concetto di probabilit elementare. chiaro che i testi pi datati di
Istituzioni di Matematica sono ormai inutilizzabili per i nuovi corsi.
Questi appunti non sostituiscono in alcun modo un buon libro di testo,
ad esempio quelli elencati in bibiliograa o quelli consigliati nelle informazio-
ni sul corso allURL http://www.matapp.unimib.it/~secchi nella sezione
dedicata alla didattica. Piuttosto vengono proposti per non perdere la bus-
sola durante lo studio dei testi pi autorevoli. Ogni capitolo costituisce un
argomento o una serie di argomenti ani, che costituiscono lossatura del
corso di Matematica per la laurea di primo livello in Biotecnologie, Biologia,
e pi generalmente in tutti i corsi dove non si debba insegnare il calcolo ma-
triciale e vettoriale. In questa versione ho inserito, per completezza, un breve
capitolo sulle serie numeriche (di numeri reali). Dicilmente c il tempo per
insegnare anche questo argomento, che in eetti sarebbe utile arontare. Il
capitolo sulle serie non comunque indispensabile alla comprensione del resto
delle dispense.
iii
iv
Gli argomenti trattati sono quelli classici, esposti nellordine pi clas-
sico:
1
brevi richiami di insiemistica e di teoria elementare delle funzioni,
successioni e loro limiti, limiti di funzioni e funzioni continue, derivazione,
integrazione secondo Riemann. I prerequisiti sono quelli di ogni corso di ma-
tematica a livello universitario, e comprendono lalgebra delle scuole supe-
riori, i principi della geometria analitica nel piano, le pi importanti formule
della trigonometria e possibilmente la capacit di usare la logica elementare.
In queste dispense mancano, salvo poche eccezioni, esempi ed applicazio-
ni. Daltronde, libri di testo pieni di gure e di esempi banali abbondano
in ogni biblioteca universitaria. Personalmente ho sempre faticato ad im-
parare la matematica su questo genere di libri, e posso garantire che molte
applicazioni sono in realt accademiche.
Nellultimo decennio, luniversit italiana ha subito molti cambiamenti.
La (presunta) urgenza di aumentare il numero di laureati ha spinto il legi-
slatore a ridurre e semplicare il percorso formativo degli studenti. Se prima
avevamo poniamo cento laureati provenienti da lunghi corsi annuali di
otto mesi, ora abbiamo centoventi laureati che hanno assorbito come spugne
gli stessi contenuti esposti per supercialmente. Non dicile comprendere
che i corsi di matematica generale per le lauree scientiche hanno sopportato
tagli ed abusi di ogni sorta. Allo stato attuale delle cose (ma si sa che al peg-
gio non c mai ne), lantico corso di matematica che si estendeva da ottobre
a giugno ridotto ad un corso di dodici settimane all inclusive. Per amore
o per forza, il programma si apertamente sbilanciato verso il calculus delle
universit americane. Studiando su alcuni libri italiani pi recenti, sembra
che tutto si riduca a qualche tecnica di calcolo da apprendere alla stregua del-
la ricetta per fare una torta. Questo approccio non sarebbe privo di utilit,
purch al primo corso di calculus ne seguisse uno di mathematical analysis.
Purtroppo (per chi scrive) o per fortuna (per chi deve ancora laurearsi), nel
corso di laurea in biotecnologie non c spazio per un corso avanzato di ma-
tematica. Queste dispense si propongono come un ragionevole compromesso
fra la praticit del calcolo e il rigore dellanalisi matematica.
1
Recentemente, sono apparsi sul mercato testi, non ancora tradotti in italiano, che
vantano una presentazione dellanalisi matematica classica secondo un ordine naturale.
Occorre dire che il cammino cronologico della matematica non rispecchia fedelmente quello
dei capitoli delle nostre dispense. La derivabilit stata studiata euristicamente prima
che si fosse capito il concetto di continuit. Per molti anni ha fatto scuola lapproccio
alla Bourbaki, in cui la deduzione logica prevale sulla storia: se tutte le funzioni derivabili
risultano continue, meglio allora spiegare innanzitutto che cosa sia una funzione conti-
nua. Personalmente penso che per fare matematica si pi conveniente apprenderne le basi
secondo la dipendenza logica. Uno storico della matematica ha probabilmente unopinione
diversa in materia.
v
La teoria elementare delle successioni viene esposta come primo esempio
per lo studio dei limiti. Infatti, la denizione di limite per una successione
(di numeri reali) pi immediata di quella per una funzione reale di una
variabile reale. Sebbene lesperienza mi abbia dimostrato che le successioni
non sono un argomento che eccita gli studenti, continuo a credere che can-
cellarle completamente dagli argomenti trattati sarebbe una perdita pi che
un guadagno.
Nelle prime pagine ho inserito alcuni cenni, volutamente superciali e
pratici, di logica booleana elementare. Di fatto, emerso che la pi grande
dicolt per gli studenti del primo anno labitudine a trarre conclusioni
logiche da ipotesi astratte o sperimentali. importante, in matematica,
sapere che se un insieme di oggetti descritto dalla sovrapposizione di due
o pi condizioni, gli oggetti che non cadono in questo insieme sono quelli che
non soddisfano almeno una dell e suddette condizioni. Altrettanto inevitabile
luso delle espressioni per ogni ed esiste, che appaiono praticamente in
ogni teorema. Ho comunque preferito non usare la simbologia della logica,
come al posto di per ogni, al posto di esiste, al posto di implica.
La denizione di continuit per una funzione f : [a, b] R in x
0
si leggerebbe
( > 0)( > 0)(x [a, b])([x x
0
[ < ) ([f(x) f(x
0
)[ < ).
Qualunque studente inizia a barcollare di fronte a questa scrittura. Sebbe-
ne la notazione logica abbia uneleganza fuori dallordinario, ho preferito
attenermi a un linguaggio pi discorsivo.
In alcuni casi, ho privilegiato notazioni e convenzioni minoritarie nella
letteratura italiana. Per fare qualche esempio, ho usato sistematicamente la
notazione operatoriale Df per la derivata di una funzione f. Quasi tutti
scrivono f

, ma per uno studente forse meno evidente che la derivazione


unoperazione applicata alle funzioni.
Nel contesto delle successioni, ho usato laggettivo divergente come ne-
gazione di convergente. Ci contrasta con la tradizione italiana, che distin-
gue le successioni divergenti (allinnito) da quelle oscillanti fra due valori
niti o inniti. Per essere espliciti, i testi italiani dicono che n
2
una suc-
cessione divergente, mentre (1)
n
indeterminata. Capiter spesso, tutta-
via, di scrivere o pronunciare frasi come la successione p
n
tende allinnito,
al posto della pi corretta la successione p
n
diverge a innito.
In questa versione aggiornata ho introdotto un breve paragrafo sullinte-
grazione indenita. Coerentemente con limpostazione adottata, mi limito
a qualche cenno. La scelta di trascurare completamente questo argomento
appariva forse arrogante e snob: se un matematico o un sico possono giudi-
care perno noiose le tecniche di calcolo delle primitive, un biotecnologo ha
bisogno anche di imparare a fare qualche calcolo di routine.
vi
Il capito sullintegrazione secondo Riemann fornisce una trattazione pi
ampia di quella presente in molti libri di testo. Dicilmente c il tempo
per discutere tutti i dettagli in aula, ma la scelta di riassumere lintegrazione
denita in due o tre pagine di teoremi calati dallalto non mi convince.
Lultimo capitolo un assaggio di calcolo numerico e approssimato. Sono
fortemente critico sullopportunit di inserire questi argomenti in un corso di
matematica generale. Delle due luna: o si insegna unanalisi numerica rigo-
rosa, fatta di teoremi e dimostrazioni, e allora occorrono molte ore di lezione;
oppure si mostra qualche tecnica senza troppi dettagli, e allora servirebbe
una ausilio informatico che renda interessanti i contenuti dal punto di vista
sperimentale. Poich risulta impossibile, per varie ragione, attuare entram-
be le alternative, forse sarebbe meglio recuperare delle ore per approfondire
argomenti gi introdotti.
Concludo con unosservazione non particolarmente originale. La mate-
matica come uno sport: senza esercizio non si fa molta strada. Si impara la
matematica facendola, cio cimentandosi con gli esercizi proposti nelle eserci-
tazioni, con le prove desame degli anni precedenti, con gli esercizi dei libri di
testo consigliati, e anche sfruttando le ore di ricevimento dei docenti. Luso
della rete Internet non stato inserito fra le fonti principali di apprendimen-
to. Mentre i libri di testo danno una garanzia di correttezza dei contenuti,
la ricerca di materiale on line pu portare a spiacevoli sorprese. Consiglio
pertanto di scaricare appunti e esercizi solo da siti ritenuti assolutamente
adabili. Con rammarico devo sconsigliare allo studente lo studio sui libri
delle scuole superiori. In eetti, il concetto stesso di dimostrazione rigoro-
sa appare molto vago in quei libri, e la validit di un teorema giusticata
sovente con un paio di esempi. Ricordiamo, come scherzoso ammonimento,
la storiella dei tre scenziati che viaggiano in treno: un ingegnere, un sico e
un matematico. Passando accanto a un recinto di pecore, il primo esclama:
Tutte le pecore sono bianche. Il sico lo corregge: Tutte le pecore di questo
prato sono bianche. Interviene inne il matematico: No, possiamo solo dire
che esiste un prato in cui ci sono delle pecore, e queste pecore hanno almeno
un lato bianco. A volte si sente dire che il matematico quello scienziato a
cui piacciono i controesempi pi degli esempi.
Per quanto riguarda gli esercizi, molti dei testi elencati in bibliograa (e in
particolare [6] e [13]) ne contengono a volont. Sul sito del corso sono inoltre
raccolte le prove scritte e quasi tutte le relative soluzioni commentate. Ho
preferito evitare di aggiungere, alla ne di ogni capitolo, la classica pagina
di esercizi consigliati. Per uno studente alle prime armi, un esercizio utile
soprattutto se accompagnato da una soluzione completa o almeno parziale.
Tutti ricordiamo la frustrazione provocata da un esercizio che non sapevamo
vii
proprio risolvere. Incoraggio dunque tutti gli studenti ad utilizzare gli esercizi
proposti e risolti in [6].
Sono certo che molti dei miei studenti hanno letto n qui nella speranza
di trovare la frase che ogni Autore si sente in obbligo di inserire nellintro-
duzione alla propria opera: mi sono sforzato di rendere la matematica pi
interessante, inserendo svariati esempi e modelli presi dalla realt. Si molto
discusso sullopportunit di seguire il metodo Mary Poppins per insegnare
la matematica alle matricole.
2
Lopinione di chi scrive che gli argomenti
trattati sono sucientemente classici e spesso familiari da lasciare spazio a
quel poco di rigore indispensabile in tutte le discipline scientiche moderne.
Propriet intellettuale del materiale
Queste dispense sono rese pubbliche senza oneri aggiuntivi mediante pub-
blicazione sul sito internet dellAutore. consentito luso e la riproduzione
per scopi personali di studio e senza ni di lucro. altres vietato apportare
qualsiasi modica al testo da parte di terzi.
Di ogni errore e imprecisione responsabile lautore. Ringrazio n dora
quanti vorranno segnalare considerazioni e commenti sul contenuto di queste
dispense.
Ringraziamenti tecnicoinformatici
Queste dispense sono state redatte utilizzando il sistema di scrittura
L
A
T
E
X
3
su computer dotati dei sistemi operativi Apple Mac Os 10.4 e 10.5,
GNU/Linux Slackware 12.2, Microsoft Windows XP, e (saltuariamente) Sun
Solaris 10 su piattaforma AMD64 e PcBSD-7. Lautore profondamente
grato a Donald Knuth per aver creato a sviluppato il sistema di videoscrit-
tura T
E
X, senza il quale la stesura di queste note sarebbe stata molto pi
complicata. La variante L
A
T
E
X stata costruita da Leslie Lamport, ed il
dialetto utilizzato per scrivere queste dispense.
Le gure sono state prodotte dallautore mediante i programmi XFig
4
e
Maple.
5
. La gura 5.1 stata creata invece con il software Asymptote.
6
Cant e Milano, febbraio 2009.
2
Basta un poco di zucchero, e la pillola va gi.
3
Si legge approssimativamente latek. LURL di riferimento http://www.tug.org
4
http://www.xg.org
5
Maple un marchio registrato di Maplesoft Inc. http://www.maplesoft.com
6
http://asymptote.sourceforge.net
viii
Capitolo 1
Insiemi e Funzioni
1.1 Cenni di logica elementare
Qualunque scienza esatta fondata sul ragionamento logico deduttivo. Per
noi, questo signica che seguiremo alcune leggi di calcolo con le proposizioni.
Non avendo n lobiettivo, n tantomeno il tempo per occuparci della relativa
teoria, ci limiteremo a brevi cenni.
Innanzitutto, gli oggetti delle nostra logica for dummies sono le propo-
sizioni, cio frasi di senso compiuto. Indicheremo le proposizioni con lettere
minuscolo, ad esempio p, q, r, ecc. Una proposizione potrebbe essere se
piove, prendo lombrello, oppure la mia squadra del cuore lInter.
Esattamente come i numeri sono gli atomi del calcolo numerico, le pro-
posizioni sono i mattoni con cui costruire il linguaggio della matematica.. Si
pensi ad un teorema, che ha la forma Se vera p, allora vera q. Ogni
proposizione assume, nella logica classica, due valori: vero (V) o falso (F).
1
Esaminiamo rapidamente le principali operazioni con le proposizioni.
Denizione 1.1. Data una proposizione p, la sua negazione la proposizione
p, che risulta vera quando p falsa, e falsa quando p vera. Quindi la
sua tavola di verit
p p
V F
F V
Ovviamente, la negazione di una proposizione si eettua seguendo lin-
tuizione: la negazione di oggi piove oggi non piove. Occorre prestare
1
Gli informatici usano 1 per la verit e 0 per la falsit. Segnaliamo che esiste una logica,
detta fuzzy, in cui una proposizione pu essere qualcosa di diverso da vero o falso.
1
2 CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI
attenzione alle insidie del linguaggio comune. Infatti, sarebbe sbagliato aer-
mare che la negazione di oggi piove oggi c il sole. In eetti, potrebbe
anche nevicare!
Denizione 1.2. Date due proposizioni p e q, la loro congiunzione p q (si
legge: p e q) vera se e solo se sia p che q sono vere, e falsa in tutte le altre
situazioni. La tavola di verit della congiunzione pertanto
p q p q
V V V
V F F
F V V
F F F
In pratica, congiungere due proposizioni signica metterle a sistema: in
particolare, p ( p) sempre falsa.
Denizione 1.3. Date due proposizioni p e q, la loro disgiunzione p q (si
legeg: p o q) vera quando almeno una fra p e q vera, e falsa altrimenti.
La tavola di verit risulta pertanto
p q p q
V V V
V F V
F V V
F F F
Osservazione 1.4. Lo studente faccia attenzione: loperazione di disgiun-
zione intesa in senso largo, non in senso esclusivo. Nel linguaggio comune,
si usa oppure per escludere leventualit che entrambe le proposizioni siano
vere. In matematica, oppure non esclude aatto la verit simultanea dei
due argomenti. In particolare non contraddittorio dire che 2 un numero
pari oppure 3 dispari.
Veniamo inne alloperazione su cui si costruiscono i teoremi: limplica-
zione.
Denizione 1.5. Date due proposizioni p e q, limplicazione p q (si legge:
p implica q, oppure se p allora q) risponde alla tavola di verit
p q p q
V V V
V F F
F V V
F F V
1.1. CENNI DI LOGICA ELEMENTARE 3
Inne, scriveremo brevemente p q (da leggere p se e solo se q, oppure
p equivale a q) per indicare la proposizione (p q) (q p).
Lo studente legga bene la denizione precedente. Non proprio in li -
nea con le aspettative della nostra intuizione, soprattutto nel momento in
cui si aerma che falso implica falso vero. In realt, viene semplicemente
sostenuto che da unipotesi falsa pu essere tranquillamente dedotta una con-
clusione falsa. Si ricordi che la logica proposizionale non giudica il contenuto
delle singole proposizioni, ma solo le regole con cui si opera su di esse.
Come detto, i teoremi saranno sempre scritti nella forma, o in forme a
questa rincoducibili, Se p allora q. Lo studente, per esercizio, scriva la tavola
di verit di p q e di ( q) ( p). Il fatto che coincidano non casuale,
ed anzi costituisce la tecnica di dimostrazione per antinomia.
Concludiamo con qualche parola sui quanticatori.
Denizione 1.6. Il quanticatore universale si legge per ogni, mentre il
quanticatore esistenziale si legge esiste.
I quanticatori permettono di comporre proposizioni articolate. Ad e
sempio
(x R)(n N)(n > x)
si legge per ogni numero reale x esiste un numero naturale n tale che n
maggiore di x. Inoltre i quanticatori si negano scambiandoli: la nega-
zionei di per ogni esiste, e viceversa. La negazione della precedente
proposizione dunque
(x R)(n N)(n x),
cio esiste un numero reale x tale che, per ogni numero naturale n, risulta
n minore o uguale a x.
Vediamo ora alcuni esempi.
1. Siano p = p(x) = (x un numero negativo) e q = q(x) = (x
2
2).
Allora linsieme E = x R [ p(x) q(x) linsieme dei numeri reali
negativi, il cui quadrato pi grande (o uguale) di 2. Dunque stiamo
descrivendo linsieme (,

2].
2. Usando le rispettive tavole di verit, si verica in pochi istanti che
p q logicamente equivalente a ( p) q. A parole, aermare che p
implica q signica aermare che o lipotesi p falsa, oppure che vera
la tesi q. In particolare, limplicazione non un concetto primitivo,
alla pari di e .
4 CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI
3. Descriviamo il complementare dellinsieme
E = x Z [ x dispari e e
x
7.
Posto p(x) = (x dispari) e q(x) = (e
x
7), osserviamo che E =
x Z [ p(x) q(x). Quindi il suo complementare , per denizione,
Z E = x Z [ p(x) q(x) = x Z [ ( p(x)) ( q(x)) =
x Z [ x pari oppure e
x
> 7. Poich log 7 1.9, abbiamo una
descrizione esplicita del complementare:
Z E = x Z [ x pari (Z [2, +)).
4. Vogliamo negare la proposizione Per ogni numero reale > 0 esiste un
numero reale > 0 tale che la propriet P vera. Seguendo le regole
di negazione dei quanticatori, possiamo concludere che la negazione
di questa proposizione Esiste un numero reale > 0 tale che per
ogni numero reale > 0 la propriet P falsa. Nel seguito avremo
occasione di applicare questo ragionamento abbastanza spesso.
Lo studente interessato ad approfondire la logica elementare e il calcolo
proposizionale, pu consultare il primo capitolo del libro [20].
1.2 Richiami di insiemistica
Un noto proverbio recita Chi ben comincia ha la met dellopera.
2
un modo
gentile per sostenere che la parte pi dicile di ogni impresa linizio; il resto
verr da s. Lapprendimento dela matematica non fa eccezione a questa
regola, e addirittura si prendono delle scorciatoie. Alle scuole elementari
tutti noi abbiamo imparato a fare i conticini, ma forse nessuno ha imparato
la denizione di numero.
Anche il concetto di insieme considerato, nella matematica elementare,
come un concetto primitivo. Questo signica che non faremo alcuno sforzo
per denirlo in termini di altri concetti gi noti. Brevemente, un insieme sar
per noi un raggruppamento
3
di oggetti di natura ben specicata. Parleremo
pertanto dellinsieme delle automobili di colore rosso, come pure dellinsieme
dei gatti dagli occhi verdi.
Nota linguistica. Nelle principali lingue neolatine il sostantivo per indi-
care linsieme matematico ha lo stesso signicato doppio che ha in italiano.
2
forse pi diusa la versione in italiano moderno Chi ben comincia, a met
dellopera.
3
Oppure una collezione.
1.2. RICHIAMI DI INSIEMISTICA 5
Infatti, si usa conjunto in spagnolo, ensemble in francese, insieme in italia-
no. Questo si rispecchia nel signicato intuitivo che un insieme proprio
un raggruppamento di oggetti, che sono messi insieme. Il rumeno si disco-
sta leggermente con mulime, chiaramente indicativo di una moltitudine di
oggetti. In inglese, invece, si usa il sostantivo set, e si parla di set theory.
Qui si coglie una sfumatura pi pragmatica, come a voler sottolineare che un
insieme qualcosa che viene organizzato, disposto, quasi pronto alluso.
consuetudine
4
denotare gli insiemi con lettere maiuscole dellalfabeto
latino:
A, B, C, X, Y, Z, . . .
Come detto, ogni insieme formato dai suoi elementi, di qualunque natura
essi siano. In matematica, lappartenenza di x allinsieme X indicato dal
simbolo
x X.
Quindi, per ogni insieme X, risulta che
5
X = x [ x X.
Il fatto che lelemento x non appartiene allinsieme X, si esprime scrivendo
x / X.
Allo studente dovrebbero essere familiari le operazioni elementari sugli
insiemi, cio lunione, lintersezione, il complementare di insiemi. Ricordiamo
che
X Y = x [ x X oppure x Y
X Y = x [ x X e x Y
X
c
= x [ x / X
X Y = x [ x X e x / Y .
Vogliamo chiarire che la congiunzione oppure viene usata dai matemati-
ci in senso lato: x X Y signica che x appartiene ad almeno uno dei
due insiemi X ed Y , ed eventualmente ad entrambi. Nella lingua italiana,
laermazione esco oppure resto a casa interpretata in maniera esclusi-
va, essendo piuttosto improbabile che io possa essere contemporaneamente
4
In certi settori della matematica, capita di denotare un insieme con una lettera
minuscola o addirittura con lettere di alfabeti non latini.
5
la sbarra verticale [, spesso sostituita dai due punti, si legge tali che. Quindi la
scrittura seguente si legge X linsieme degli elementi x tali che x appartiene ad X.
6 CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI
dentro e fuori casa. A volte pu capitare di dover scrivere proprio ununione
esclusiva, e in matematica si usa la scrittura
XY = x [ x appartiene a X o a Y ma non ad entrambi
= (X Y ) (X Y ).
Il fatto che gli elementi di un insieme E appartengano anche a un (altro)
insieme X si scrive
E X oppure X E.
Osservazione 1.7. A scanso di equivoci, sottolineiamo che, per noi, scrivere
E X non esclude aatto che E = X. Alcuni testi usano il simbolo in
senso esclusivo, mentre usano E X per dire quello che noi diciamo con
E X. Si tratta di convenzioni, e crediamo che il lettore di questi appunti
non avr mai occasione per rimpiangere le convenzioni adottate.
Probabilmente meno nota la costruzione del prodotto cartesiano di due
insiemi. Nel nostro corso non avremo grandi occasioni di farne uso, ma
preferiamo spendere qualche parola visti i legami con il piano cartesiano.
Denizione 1.8. Dati due insiemi X ed Y , il loro prodotto cartesiano XY
linsieme i cui elementi sono coppie ordinate del tipo (x, y) dove x X ed
y Y .
Laggettivo ordinate si riferisce alla seguente propriet: due coppie (x, y)
e (x

, y

) sono uguali se e solo se x = x

, y = y

.
Lo studente che volesse approfondire ulteriormente le problematiche della
moderna teoria degli insiemi, pu riferirsi allappendice di [19].
1.3 Insiemi numerici
Durante lo studio del nostro corso, lo studente si imbatter` quasi esclusiva-
mente con insiemi di numeri. Ci sembra utile richiamare brevemente la
terminologia dei principali insiemi numerici.
Linsieme dei numeri naturali, i primi numeri che luomo ha utilizzato
nella vita quotidiana, indicato dal simbolo N. Pertanto,
6
N = 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, . . . .
6
Alcuni libri di testo preferiscono escludere lo zero 0 da N. una scelta supportata
solo dal proprio gusto.
1.3. INSIEMI NUMERICI 7
Se a questi numeri aggiungiamo anche i numeri negativi, otteniamo linsieme
dei numeri interi relativi Z, cio
Z = . . . , 5, 4, 3, 2, 1, 0, 1, 2, 3, 4, 5, . . . .
La necessit di dividere fra loro dei numeri interi relativi ha spinto a costruire
un insieme pi capiente di numeri, detti numeri razionali. Precisamente,
Q =
_
p
q
[ p, q Z, q ,= 0
_
.
Daremo per scontati i discorsi sulla possibilit di scrivere lo stesso numero
razione in inniti modi diversi, sulla riduzione delle frazioni ai minimi termini,
e cos via.
7
Lultimo insieme numerico che introduciamo, anche quello
pi importante. Purtroppo, la sua costruzione non aatto elementare, n
possibile specicare semplicemente che cosa occorra aggiungere a Q per
ottenerlo. Si tratta dellinsieme dei numeri reali R. Possiamo pensare a
R come allinsieme dei punti di una retta.
8
Nonostante questa dicolt
tecnica, i numeri reali sono ormai parte integrante della cultura di qulunque
studente delle scuole superiori. un dato di fatto che luso dei numeri reali
di facilissimo apprendimento, senza dubbio agevolato dalla diusione delle
calcolatrici tascabili negli ultimi ventanni. Gli sparuti studenti interessati a
capire meglio come nascano rigorosamente i numeri reali, possono consultare
uno dei testi indicati in bibliograa, ad esempio [3, 6].
Non ci sembra il caso di insistere sul fatto che
9
N Z Q R.
Nellarontare la teoria dei limiti, ci sar utile la seguente propriet dei nu-
meri naturali rispetto ai numeri reali. La dimostrazione pu essere letta
in [24].
7
Algebricamente, Q il primo insieme numerico, a parte lovviet della costruizione di
Z, costruibile in maniera elementare ma non banale. Precisamente, i numeri razionali sono
delle classi di equivalenza di coppie ordinate di numeri interi con segno. Se lo studente
non ha capito nemmeno una parola dellultima frase, non grave. In parole povere, la
frazione 1/2 la coppia ordinata (1, 2), e il fatto che 1/2 = 2/4 = 3/6 = . . . si rispecchia
nellintroduzione di una regola, la relazione di equivalenza, che considera uguali le coppie
(1, 2), (2, 4), (3, 6), ecc.
8
Gi quarantanni fa, Walter Rudin osservava nella prefazione del suo libro [24] che la
maggior parte degli studenti non sente la necessit di costruire linsieme dei numeri reali,
almeno in prima battuta.
9
In realt, non si tratta di vere inclusioni insiemistiche; piuttosto dovremmo parlare di
immersioni.
8 CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI
Proposizione 1.9 (Propriet archimedea dei numeri reali). Per ogni y R
ed ogni x > 0 reale, esiste n N tale che nx > y.
Per i nostri scopi, applicheremo quasi esclusivamente il seguente
Corollario 1.10. Per ogni numero reale x > 0, esiste un numero naturale
n tale che n > x.
Dim. Ovviamente una conseguenza diretta della Proposizione precedente.
Per si dimostra anche in modo elementare: immaginiamo che x sia scritto
nella sua espansione decimale, e arrotondiamolo al numero intero n succes-
sivo. Per esempio, se x = 1475.1234567, lo arrotondiamo a n = 1476. Questo
numero naturale n quello cercato.
Una propriet meno nota dei numeri reali la seguente.
Proposizione 1.11. Fra due numeri reali qualsiasi e distinti, cade sempre
un numero razionale.
Non esponiamo la dimostrazione di questo fatto, che il lettore interessato
potr studiare in [24]. Ci limitiamo ad osservare che da questa proposizione
deriva la possibilit di approssimare, con errore scelto a piacere, ogni numero
reale con un numero razionale. Infatti, sia x un numero reale, e sia > 0
lerrore con cui vogliamo approssimare x mediante un numero reale. Dalla
Proposizione precedente, applicata ai due numeri reali distini x e x + ,
deduciamo c he esiste un numero razionale q tale che x q x + .
Pertanto [x q[ , come volevasi dimostrare.
Nota tipograca: simboli altrettanto diusi per denotare i precedenti
insiemi numerici sono N, Z, Q e R.
Concludiamo questo paragrafo con alcune considerazioni sul valore asso-
luto di un numero reale.
Denizione 1.12. Il valore assoluto (spesso detto anche modulo) di un
numero reale x denito come
[x[ =
_
x, se x 0
x, se x < 0
Operativamente, la denizione del valore assoluto di un qualsiasi numero
reale x basata sul controllo del segno di x. Se x positivo o nullo, viene
restituito il valore x. Se x negativo, viene restituito il valore x. Qualche
volta si trova scritto che [x[ il numero x, senza segno. Questa aermazione
suggestiva ma priva di senso: tutti i numeri reale hanno un segno!
1.3. INSIEMI NUMERICI 9
Lemma 1.13. Per ogni x, y, z R, vale la disuguaglianza triangolare
[x y[ [x z[ +[z y[. (1.1)
Dim. Basta dimostrare che, per ogni a, b R, vale la disuguaglianza
[a +b[ [a[ +[b[. (1.2)
Infatti, scegliendo a = xz e b = zy, da questa segue subito [xz+zy[ =
[x y[ [x z[ +[z y[, che la tesi. Siano quindi a e b due numeri reali
qualunque. Distinguiamo vari casi.
1. Se a = 0 oppure b = 0, la tesi ovvia.
2. Se a > 0 e b > 0, allora a+b 0. Vogliamo dimostrare che a+b a+b,
ma questo ovvio.
3. Se a < 0 e b < 0, allora a + b < 0. Pertanto vogliamo dimostrare che
[a +b[ = a b a b, e ancora una volta questa relazione ovvia.
4. Se i due numeri a e b sono luno positivo e laltro negativo, a primo
membro di (1.2) abbiamo la dierenza fra due numeri positivi, e a
secondo membro abbiamo la loro somma. Ovviamente il primo membro
minore del secondo.
Avendo vericato la tesi in tutti i casi possibili, la dimostrazione completa.
Concludiamo con qualche informazione sulle diseguaglianze che coinvol-
gono i valori assoluti. Lo studente apprezzer queste informazioni leggendo
il capitolo sui limiti.
Lemma 1.14. Per ogni > 0,
x R : [x[ = x R : x
x R : [x[ = x R : x x R : x
Dim. Dimostriamo la prima uguaglianza. Essendo unuguaglianza fra due
insiemi, occorre dimostrare la doppia inclusione. Sia dunque x un numero
reale tale che [x[ . Questo vuol dire che x se x 0, e che x se
x < 0. Nel primo caso, 0 x , nel secondo x < 0. Linsieme delle
soluzioni sar lunione di queste condizioni, cio x . Abbiamo
dimostrato che
x R : [x[ x R : x
10 CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI
Viceversa, sia x un numero reale tale che x . Allora [x[ un numero
reale, non negativo, non superiore a . Quindi
x R : [x[ x R : x
e pertanto i due insiemi a primo e a secondo membro coincidono. Lasciamo
allo studente la verica della seconda uguaglianza, imitando i ragionamenti
appena visti.
Passando dai simboli alle parole, il Lemma precedente ci dice che la
relazione
[x[
equivale a
x .
Similmente, la relazione
[x[
equivale a
x oppure x .
Osservazione 1.15. Occorre fare attenzione quando si utilizzano quantit
aribitrarie. Ad esempio, se x un numero reale tale che [x[ < per ogni
> 0, allora x = 0. Se infatti x fosse diverso da zero, allora potremmo
scegliere = [x[/2 e avremmo la contraddizione [x[ . A parole, stiamo
dicendo che lunico numero non negativo arbitrariamente piccolo lo zero.
1.4 Topologia della retta reale
In questa breve sezione, il lettore vedr delle idee e dei simboli certamente gi
noti n dalle scuole medie. Eppure, dubitiamo che i professori delle scuole
medie gli abbiano mai parlato di topologie. La topologia
10
un ramo della
matematica che si occupa di studiare in astratto il concetto di forma. In
che senso possiamo deformare un oggetto di gomma, cambiandone laspetto
esteriore, senza per dire che si rtatta di un oggetto dierente? A questa e
ad altre domande tenta di rispondere proprio la topologia. Ovviamente, i
nostri numeri reali sono un caso molto particolare di spazio topologico, e
noi ci accontenteremo di formalizzare alcuni concetti utili nel resto del corso.
10
Dal greco topos e logos, dunque conoscenza della forma.
1.4. TOPOLOGIA DELLA RETTA REALE 11
Denizione 1.16. Siano a e b due numeri reali. Diciamo che a < b (a
minore di b) se b a un numero positivo. Se b a un numero negativo,
diremo al contrario che a > b. Il simbolo a b indica il fatto che b a
positivo oppure zero, e analogamente a b.
11
Denizione 1.17. Sia E R un sottoinsieme dei numeri reali. Un numero
M R un maggiorante per E se
x M per ogni x E.
Analogamente, un numero m R un minorante per E se
x m per ogni x E.
Un insieme E di numeri reali limitato dallalto se possiede un maggiorante,
mentre limitato dal basso se possiede un minorante.
Per esempio, N limitato dal basso poich ogni numero naturale mag-
giore o uguale a zero. Tuttavia N non limitato dallalto, perch esistono
numeri naturali grandi quanto vogliamo.
Denizione 1.18. Sia E un sottoinsieme di R, limitato dallalto. Lestremo
superiore di E, denotato con
sup E,
denito come il pi piccolo di tutti i maggioranti di E. Analogamente,
lestremo inferiore di E,
inf E,
denito come il pi grande di tutti i minoranti di E.
Osservazione 1.19. In generale, inf E e sup E non appartengono ad E. Si
confronti con la denizione di minimo e massimo nelle prossime pagine.
Sar comodo, nel seguito, usare delle notazioni meno rigide per inf e sup.
Ad esempio, scriveremo
inf
nN
1
n
= 0
invece di
inf
_
1
n
[ n N
_
= 0.
11
Questa denizione, a pensarci bene, fatica a stare in piedi. Come denire un numero
positivo x, se non chiedendo che x > 0? un circolo vizioso. Tuttavia, speriamo che lo
studente sappia distinguere un numero positivo da uno negativo in maniera quasi inconscia.
12 CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI
La prima notazione, che sembra interpretare inf come unoperazione sui nu-
meri invece che sugli insiemi, fa il paio con la notazione per le unioni e le
intersezioni di insiemi. Infatti, se A
1
, A
2
e A
3
sno tre insiemi qualsiasi, si
scrive
3
_
i=1
A
i
invece di
_
A
1
, A
2
, A
3
=
_
A
j
[ i 1, 2, 3 .
Queste notazioni abbreviate hanno qualche risvolto curioso. Se E un
insieme di numeri reali, la scrittura
sup
xE
x
coincide in tutto e per tutto con sup E, ma questa volta non possiamo dire
che sia preferibile. Ne traiamo una morale: le notazioni con il pedice sono
preferibili quando linsieme su cui agiscono inf e sup hanno una descrizione
di tipo funzionale f(x) [ x E. Per un approfondimento delle notazioni
insiemistiche, consigliamo il libro di P. Halmos [15] e quello di J. Kelley [19].
In questultimo si suggerisce anche la notazione
E
xR
_
x
2
< 1
_
per signicare linsieme x R [ x
2
< 1. Possiamo ritenerci fortunati che
questa notazione non abbia mai preso piede!
Lemma 1.20. M R lestremo superiore di E se e solo se
1. M x per ogni x E;
2. per ogni > 0 esiste x E tale che M x M.
Una caratterizzazione analoga vale per lestremo inferiore.
Lemma 1.21. m R lestremo inderiore di E se e solo se
1. m x per ogni x E;
2. per ogni > 0 esiste x E tale che m x m+.
Non dimostriamo in questi appunti i due lemmi precedenti. Spendiamo
qualche parola sul loro signicato. Il primo, ad esempio, ci dice che lestremo
superiore di un sottoinsieme E di R quel numero M che innanzitutto un
maggiorante. E, in secondo luogo, ci devono essere elementi di E vicini a
piacere a M.
1.5. LINFINITO 13
Denizione 1.22. Sia E un sottoinsieme limitato (dallalto e dal basso) di
R, e poniamo m = inf E, M = sup E. Diciamo che m il minimo di E se
m E, e che M il massimo di E se M E.
Notiamo che questa denizione non superua. Nessuno ci garantisce
che lestremo superiore di un insieme sia un elemento di tale insieme. In
generale, solo un numero reale. Quindi, lestremo superiore diventa il mas-
simo esattamente quando appartiene allinsieme in considerazione. Simili
considerazioni valgono ovviamente per lestremo inferiore.
Denizione 1.23. Siano a < b due numeri reali. Gli insiemi
(a, b) = x R [ a < x < b
[a, b] = x R [ a x b
[a, b) = x R [ a x < b
(a, b] = x R [ a < x b.
si chiamano rispettivamente intervallo aperto, chiuso, chiuso a sinistra, chiu-
so a destra, di estremi a e b.
Osservazione 1.24. Per ricordare queste denizioni, possiamo dire che la
parentesi quadra corrisponde ad un estremo compreso, mentre quella tonda
corrisponde ad un estremo escluso. Alcuni libri usano la notazione ]a, b[ al
posto di (a, b), ecc.
Denizione 1.25. Sia x
0
R un numero reale ssato. Si chiama intorno
di x
0
qualunque intervallo aperto (a, b) tale che x (a, b).
Quindi ogni numero reale possiede inniti intorni. Spesso conviene uti-
lizzare intorni simmetrici, della forma (x
0
, x
0
+ ), dove > 0 si chiama
raggio dellintorno.
Esercizio. Invitiamo lo studente a dimostrare che, se E = (a, b), allora
inf E = a, sup E = b. Inoltre, inf[a, b) = a = min[a, b), e sup[a, b) = b, ma b
non il massimo di [a, b).
1.5 Linnito
Nello studio dellanalisi matematica, lo studente si imbatte in un concetto
assolutamente nuovo: quello di innito. Mentre Algebra e Geometria ele-
mentari si occupano di quantit nite (numeri, rette, piani, ecc.), lAnalisi
14 CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI
vuole formalizzare lidea vaga di avvicinarsi indenitamente a qualcosa. In-
troduciamo in questa sezione, secondo una logica assai pratica, il simbolo
e il suo signicato.
Denizione 1.26. Per i nostri scopi, un simbolo privo di signicato
numerico.
Invitiamo il lettore a trattenere il sorriso sarcastico che la denizione
precedente potrebbe generare.
12
Chiunque abbia studiato per qualche tempo
la losoa antica e medioevale ricorda certamente gli sforzi e le acrobazie
messi in atto dai pensatori per motivare il conceto di innito: qualcosa senza
limiti spaziali o temporali, addirittura un ente metasico vicino alla divinit.
Nelleconomia del nostro corso, non serve denire rigorosamente il simbo-
lo . A noi interessa piuttosto usare come abbreviazione per esprimere
concetti gi noti. Si tratta dunque di stipulare opportune convenzioni nelle
quali una mera abbreviazione tipograca, quasi un simbolo stenogra-
co. Per esempio, se un insieme E R non limitato dallalto, si conviene di
scrivere
sup E = +.
e se E non limitato dal basso,
inf E = .
In particolare, + sembra nascondere lidea di muoversi indenitamente
verso destra lungo la retta (orientata) dei numeri reali. Per analogia,
signica in qualche senso muoversi indenitamente verso sinistra su tale retta.
Vogliamo per mettere in guardia lo studente dal compiere un errore fra i pi
frequenti ed ingenui: + e non sono numeri reali ! In particolare, ad
essi non si applicano le consuete operazioni algebriche di somma, sottrazione,
moltiplicazione e divisione.
13
Vogliamo tuttavia ricordare che la Matematica moderna introduce il con-
cetto di innito anche con signicati diversi. In Geometria Proiettiva e in
Analisi Complessa si parla altrettanto spesso di innito, sebbene da un punto
di vista pi geometrico.
Osservazione 1.27. Molti libri introducono la cosiddetta retta reale estesa

R = R+, ottenuta aggiungendo ai consueti numeri reali i due


12
Chi scrive, ricorda una denizione sul proprio libro di Algebra, in cui si diceva ...
dove x un simbolo al quale non attribuiremo alcun signicato.
13
Sappiamo che qualche studente pi esperto potrebbe dire che, con i limiti, si fanno
le operazioni su . Questo parzialmente vero, e in certe discipline conviene denire
0 = 0. Lesistenza delle forme di indecisione ci lascia per intendere che in questa
denizione il simbolo ha un signicato diverso da quello che gli abbiamo nora attibuito.
1.6. PUNTI DI ACCUMULAZIONE 15
inniti dotati di segno. Ovviamente, si richiede che, per ogni numero reale
x,
< x < +.
possibile una (parziale) aritmetizzazione di

R estendendo le quattro ope-
razioni: per ogni x R si denisce
x + = +, x =
++ = +, =
e
x (+) =
_
+ se x > 0
se x < 0,
x () =
_
se x > 0
+ se x < 0,
(+) (+) = +, (+) () = , () () = +
Non si d invece alcun senso alle scritture
+, +.
Il caso 0() particolare: esistono settori della matematica in cui conviene
porre 0 () = 0, ad esempio la Teoria della Misura. NellAnalisi Mate-
matica elementare, opportuno evitare di denire questo prodotto, poich
creerebbe pericolose confusioni al calcolo dei limiti. Per uno studente di un
primo corso di matematica, luso della retta reale estesa non presenta parti-
colari utilit, e nel resto delle dispense non utilizzeremo mai questo ambiente
numerico.
1.6 Punti di accumulazione
Introduciamo un concetto che appartiene di diritto alla matematica moderna
e che permette notevoli semplicazioni nei discorsi che faremo pi avanti.
Denizione 1.28. Sia E un sottoinsieme di R. Diremo che il punto x
0
R
un punto di accumulazione per linsieme E se, preso un qualsiasi intorno
I di x
0
, si verica che (I x
0
) E ,= . A parole, ogni intorno I di x
0
contiene un punto di E, diverso da x
0
.
Per esempio, il punto x
0
= 0 di accumulazione per
E =
_
1,
1
2
,
1
3
,
1
4
, . . . ,
1
n
, . . .
_
.
Infatti, sia I = (a, b) un intorno di 0; in particolare a < 0. Scegliamo n
naturale tale che 1/n < b. Perci 1/n I E, e poich 1/n ,= 0 abbiamo
16 CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI
vericato la nostra aermazione. Lo studente potr vericare senza sforzo
che i punti di accumulazione per un intervallo chiuso qualsiasi [a, b] sono tutti
e soli i punti di [a, b]. Invece, i punti di accumulazione di un intervallo aperto
(a, b) sono i punti di [a, b] (ci sono anche i punti a e b!).
Un esempio di natura opposta il seguente. Linsieme N R non possie-
de punti di accumulazione. Infatti, se scegliamo un qualsiasi numero naturale
n N, lintorno I = (n 1/2, n + 1/2) non contiene alcun numero naturale
ad eccezione di n stesso. Per mettere ulteriormente in luce il senso dellesclu-
sione del punto x
0
nella denizione di punto di accumulazione, consideriamo
linsieme E = 0 (1, 2). A parole, E composto dal singolo punto 0 e
dallintervallo aperto (1, 2). Domanda: quali sono i punti di accumulazione
di E?
La risposta che i punti di accumulazione di E sono esattamente i punti
dellintervallo [1, 2]. Infatti, il punto isolato 0 non pu essere di accumula-
zione, visto che ogni suo intorno (, ) con < 1 interseca E solo nel punto
0 stesso.
Pu essere utile, in certi casi, adattare al simbolo alcuni concetti propri
dei punti al nito. Ad esempio, un intorno di + un qualsiasi intervallo
della forma (a, +), e similmente un intorno di un qualsiasi intervallo
della forma (, b). Lasciamo allo studente il seguente spunto di riessione:
se E un sottinsieme di R, quando + un punto di accumulazione per E?
E quando lo ? Le risposte sono abbastanza semplici. In particolare,
lo studente si convincer che + un punto di accumulazione per E = N,
linsieme dei numeri naturali.
1.7 Appendice: la dimostrazione per induzione
Nello studio del calcolo, si incontrano spesso identit e formule che coinvolo-
gno i numeri naturali. Cerchiamo di formalizzare un metodo di dimostrazione
valido in queste situazioni.
Supponiamo che, per ogni valore dellindice naturale n, P(n) sia una
proposizione logica. Supponiamo inoltre di poter dimostrare le seguenti
aermazioni:
1. esiste n
0
N tale che P(n
0
) vera;
2. Se vera P(n), allora vera anche P(n + 1).
Le propriet dellinsieme N dei numeri naturali permettono di dimostrare che
la proposizione P(n) allora vera per ogni n n
0
.
1.7. APPENDICE: LA DIMOSTRAZIONE PER INDUZIONE 17
A parole, per dimostrare la validit di unaermazione per ogni n natu-
rale, basta dimostrarla per n = 1, e poi dimostrare che la validit di P(n)
implica la validit di P(n + 1). Cerchiamo di chiarire il concetto con un
esempio.
Esempio: la disuguaglianza di Bernoulli. Dimostriamo che
(1 +x)
n
1 +nx, per ogni x > 1 e per ogni n N.
Procediamo per induzione sul numero naturale n. Per n = 1, dobbiamo
dimostrare che 1 + x 1 + x, il che palesemente vero. Supponiamo che la
disuguaglianza sia vera per n, e dimostriamo che deve essere vera anche per
n + 1. Quindi, per ipotesi,
(1 +x)
n
1 +nx, per ogni x > 1 e per ogni n N.
Che cosa dobbiamo dimostrare? Scriviamo n+1 al posto di n nella disugua-
glianza di Bernoulli, e troviamo
(1 +x)
n+1
1 + (n + 1)x.
Questo il nostro obiettivo. Ma (1 +x)
n+1
= (1 +x)
n
(1 +x) (1 +nx)(1 +
x) = 1 +x+nx+nx
2
1 +x+nx = 1 +(n+1)x. Osserviamo che abbiamo
usato la validit della disuguaglianza per n e abbiamo trascurato il termine
nx
2
0 nellultimo passaggio. Il principio di induzione garantisce allora che
la disuguaglianza di Bernoulli sempre vera.
14
Esempio: somme di quadrati. Vogliamo dimostrare lidentit
15
n1

k=1
k
2
=
n(n 1)(2n 1)
6
. (1.3)
Procediamo per induzione su n. Per n = 2,
16
lidentit si riduce a
1
2
=
2 1 3
6
= 1.
14
La condizione x > 1 stata usata nel passaggio (1 + x)
n
(1 + x) (1 + nx)(1 + x).
Se il termine 1 + x fosse negativo, dovremmo invertire il senso della disuguaglianza, e il
ragionamento perderebbe validit.
15
Lestremo superiore n 1 appare in questa forma perch ci servir in un esempio nel
capitolo sullintegrale di Riemann.
16
Poich lestremo n1 della somma deve essere almeno pari a quello inferiore, occorre
chiedere che n 1 1, cio n 2.
18 CAPITOLO 1. INSIEMI E FUNZIONI
Supponiamo che lidentit sia vera per n, e dimostriamo che deve essere vera
anche per n + 1. Per n + 1, il primo membro di (1.3) diventa
n

k=1
k
2
=
n1

k=1
k
2
+n
2
,
e sfruttando lipotesi per n possiamo scrivere
n

k=1
k
2
=
n1

k=1
k
2
+n
2
=
n(n 1)(2n 1)
6
+n
2
.
Se togliamo le parentesi a secondo membro e mettiamo a denominatore
comune, troviamo dopo qualche passaggio elementare
n(n 1)(2n 1)
6
+n
2
=
n(n + 1)(2n + 1)
6
,
espressione che coincide con il secondo membro di (1.3) in cui n rimpiazzato
da n+1. Questo signica esattamente che la nostra identit continua a valere
anche per n + 1, e dunque il procedimento per induzione terminato.
17
17
La prima curiosit di molti studenti chi abbia indovinato lidentit (1.3). Infat-
ti, la dimostrazione per induzione non costruttiva, e non serve a dedurre quanto valga

n1
k=1
k
2
. Se nessuno ci scrivesse la formula, per induzione non riusciremmo mai a rico-
struirla. Questo tipo di formule erano il divertimento di matematici del calibro di F. Gauss,
che era solito calcolarle da bambino, mentre il maestro spiegava unaritmetica evidente-
mente troppo noiosa. Nel libro di M. Spivak, Calculus, c un esercizio del primo capitolo
che suggerisce un metodo costruttivo per calcolare somme nite come quella appena vista.
Capitolo 2
Funzioni fra insiemi
Ora che abbiamo conquistato una certa familiarit con il linguaggio degli
insiemi, rivediamo rapidamente il linguaggio della teoria delle funzioni fra
insiemi.
Denizione 2.1. Siano X ed Y due insiemi qualsiasi. Una funzione f : X
Y (si legge: f da X in Y ) una legge che ad ogni x X associa precisamente
uno ed un solo elemento y Y , denotato anche con f(x). La notazione
completa
f : X Y
x f(x)
Utilizzeremo sovente la notazione pi compatta f : x X f(x) Y .
Linsieme X si chiama dominio (di denizione) di f, mentre Y si chiama
codominio di f.
Notiamo che la denizione appena data nasconde una certa ambiguit .
Che cosa sarebbe una legge? In realt, gli studenti del corso di Matematica
imparano n dallinizio una denizione pi rigorosa di funzione. Quella che
abbiamo proposto ricalca la denizione ingenua delle scuole superiori, e si
ada allidea innata di legge che permette di mettere in corrispondenza due
elementi di due insiemi noti.
Purtroppo la denizione rigorosa richiederebbe lintroduzione di ulteriori
concetti che non verrebbero pi utilizzati nel nostro corso. Riportiamo il
seguente commento, tratto da [1].
Possiamo pensare una funzione f : X Y come una specie di
scatola nera, con un ingresso e unuscita. Ogni volta che in in-
gresso entra un elemento del dominio, la scatola nera la funzione
19
20 CAPITOLO 2. FUNZIONI FRA INSIEMI
lo elabora e poi emette dalluscita un elemento del codominio.
Non importante la natura degli elementi del dominio e del codo-
minio (possono essere numeri, rette, patate, cavalleggeri prussiani
o qualsiasi altra cosa) n il tipo di processi digestivi che avven-
gono allinterno della scatola. Siano somme, prodotti, classiche
o formine da sabbia, tutte ammissibile purch il procedimento
usato sia sempre lo stesso: ogni volta che in ingresso inliamo la
stessa patata, in uscita dobbiamo ottenere sempre la stessa cipol-
la ad ogni elemento del dominio viene associato uno ed un solo
elemento del codominio, appunto.
Avvertenza. Molti studenti, ma anche molti docenti e qualche libro di testo,
hanno labitudine di riferirsi alla funzione f(x) invece che alla funzione f.
Come abbiamo visto, una funzione una legge, mentre f(x) semplicemente
il valore che f assume in x. Per fare un paragone, sarebbe come confondere
la persona Simone Secchi con le dispense scritte da Simone Secchi.
Quindi non esiste la funzione sin x, n la funzione x
2
. Pi corretto, e
senzaltro pi accettabile, parlare della funzione x x
2
, indicata anche
con (#)
2
in alcun i libri. Questultima notazione, o lequivalente ()
2
,
ampiamente tollerata. La scrittura (sin #)/# signicherebbe la funzione
x (sin x)/x, e quindi # assumerebbe il valore di carattere jolly per la
variabile indipendente. Sfortunatamente, questa notazione comune in molti
libri avanzati come [9], ma non ha mai fatto breccia nella tradizione dei testi
elementari.
1
Lo studente, a regola, non capisce perch occorra perdere tempo in queste
disquisizioni, che non giovano molto alla sua premura di superare lesame
nale. Lasciando da parte il doveroso rimprovero a chi crede che gli esami
universitari siano inutili scocciature da superare balbettando qualche frase
davanti al professore, stiamo parlando di un concetto veramente profondo. La
x non una divinit, nessun medico ce ne prescrive luso, e solo la tradizione
invoglia a usare tale lettera per la variabil e indipendente.
2
Le due scritture
x e
x
e e

denotano la stessa funzione: x e , ma potremmo usare ,


o anche z, sono soltanto simboli. Una celebre battuta dice che, in matematica,
un cappello rosso non necessariamente un cappello, e anche se lo fosse non
sarebbe necessariamente rosso. Quello che conta veramente il signicato
attribuito ai simboli, nel nostro caso la legge, cio la funzione, alla quale tali
simboli vengono sottoposti. In alcuni contesti avanzati, la funzione f(x)
1
Purtroppo, la tendenza a confondere ci che un soggetto con ci che quel soggetto
fa, un errore sempre pi diuso anche nella nostra societ.
2
I sici preferiscono usare t, come se parlassero di un tempo.
21
potrebbe anche indicare il nome di una funzione che agisce come
f(x): t f(x)(t).
Sembra un paradosso, ma non lo , ed anzi tali notazioni sono pressoch
obbligatorie in Geometria Dierenziale e in Analisi Funzionale. Domanda
provocatoria per lo studente: chi parlerebbe della funzione g(1/2)? Se x
denota un numero, g(1/2) dovrebbe essere tanto legittimo quanto g(x)...
Per amore di verit, molti docenti continuano a ritenere essenzialmente
(o totalmente) corretta unespressione come sia f(x) una funzione conti-
nua. Seguendo la prassi italica che si fanno le regole e poi si tollerano le
trasgressioni,
3
i trasgressori non verranno perseguiti in sede desame.
Esempi. Siano X linsieme di tutti gli uomini della Terra, e Y linsieme
di tutti i colori. Se ad ogni uomo di X associamo il colore del suo occhio
destro,
4
abbiamo costruito una funzione da X in Y .
Se X linsieme di tutte le scatolette di tonno di un certo negozio, e
Y linsieme dei numeri razionali Q, possiamo associare ad ogni x X
il suo prezzo y Q = Y , ottenendo una funzione. La scelta di Y = Q
nasconde la presunzione che nessun negoziante ci far mai pagare euro per
una scatoletta di tonno. Sembra perci ragionevole che i prezzi delle scatole
di tonno siano numeri con una quantit nita di numeri decimali, e dunque
numeri razionali.
Se inne X linsieme di tutte le circonferenze del piano cartesiano e
Y = R, possiamo associare ad ogni circonferenza il suo raggio. Anche questa
una funzione.
Scegliamo ora X = Y come linsieme di tutti gli individui viventi sulla
Terra. Associando ad ogni individuo vivente i suoi genitori, non deniamo
una funzione: esistono gli orfani, e inotre potremmo associare a un x X
due elementi di Y , madre e padre.
Nel seguito, useremo quasi esclusivamente insiemi numerici e funzioni fra
di essi.
Denizione 2.2. Se f : X Y una data funzione, linsieme
f(X) = y Y [ esiste x X tale che y = f(x) Y
si chiama immagine di X rispetto a f. Se invece V Y , linsieme
f
1
(V ) = x X [ f(x) V
3
Ogni riferimento sociopolitico pienamente voluto.
4
Ci sono esseri umani pochi con occhi di colori dierenti, dunque parlare di colore
degli occhi non denirebbe una funzione. Escludiamo implicitamente gli individui privi
dellocchio destro.
22 CAPITOLO 2. FUNZIONI FRA INSIEMI
si chiama controimmagine (o preimmagine, o ancora anti-immagine) dellin-
sieme V .
Il codominio Y decisamente meno importante del dominio X. Eet-
tivamente, per specicare una funzione, ci servono in maniera essenziale il
dominio e la legge, mentre il codominio pu essere allargato senza inuire
troppo sulla funzione. Infatti, ci che conta sembra essere f(X): gli elementi
di Y che non sono immagini di elementi di X possono essere sacricati in
prima battuta. Oppure, potremmo aggiungere ulteriori elementi allimma-
gine, senza alterare la funzione. Invitiamo il lettore a ritornare sullesempio
delle scatolette di tonno. vero che i prezzi sono (ragionevolmente) numeri
razionali, ma se avessimo scelto come codominio linsieme dei numeri reali
non avremmo compromesso la nostra funzione.
Convenzione didattica. Abbiamo appena detto che una funzione si com-
pone di tre elementi: un dominio, un codominio, e una legge. Ogni studente
sa gi, per, che in certi esercizi si chiede di trovare il dominio di denizione
di una certa funzione, scritta solitamente f(x) = . . . una richiesta poco
chiara, a cui si conviene di attribuire un senso convenzionale molto chiaro.
Quando si lavora con funzioni reali di una variabile reale, il dominio inteso
come il dominio naturale, cio il pi grande sottoinsieme di R in cui tutte
le operazioni scritte nella formula di f hanno senso. Se f(x) =

x 1, il
dominio linsieme delle x tali che x1 0. Questo perch si pu estrarre la
radice quadrata solo di numeri maggiori o uguali a zero. Se f(x) = log(3x1),
il dominio linsieme delle x tali che 3x 1 > 0, poich solo i numeri stret-
tamente positivi hanno un logaritmo. Chiedere di trovare il dominio di una
data funzione signica chi edere allo studente di ricordare quali sono i domini
di denizioni delle principali funzioni elementari, e di fargli risolvere alcune
disequazioni. vero che f(x) = log x pu essere legittimamente denita
sul dominio [1, ], ma non si tratta del dominio naturale. Nel linguaggio
introdotto in questi appunti, sono semplicemente due funzioni diverse.
Osservazione 2.3. Una situazione che solitamente risulta insidiosa per gli
studenti il caso delle funzioni contenenti potenze in cui sia la base che
lesponente sono variabili. Ad esempio, qual il dominio di denizione di
x x
x
? O di x (sin x)
log x
? La risposta che per denire unespressione
quale
f(x)
g(x)
occorre imporre la condizione f(x) > 0. La ragione si capisce solo ricordando
quella teoria delle potenze che ormai non viene quasi pi insegnata.
23
Langolo dello smemorato: le potenze. Ricordiamo che, dato un qual-
siasi numero reale (positivo, nullo o negativo) x, si denisce la sua potenza
n esima, per n N mediante la formula
x
n
= x x . . . x (n fattori).
Indi, si deniscono le potenze con esponente intero relativo, dicendo che
x
n
=
1
x
n
.
Naturalmente, occorre richiedere che x ,= 0. I primi dubbi arrivano per
esponenti razionali. Infatti, come denire x
1/q
, dove q N, q ,= 0? Di solito
si dice che
x
1/q
= y se e solo se x = y
q
.
Pertanto, bisogna distinguere fra q pari e q dispari. Nel primo caso, poich
ogni numero elevato ad una potenza pari diventa non negativo, dovremo
imporre x 0. Nel secondo caso, invece, ogni numero x R pu essere
elevato alla potenza 1/q, q dispari. Si pensi, per ricordarlo, alla radice cubica
x
1/3
, denita per ogni x reale. Ad esempio, lespressione x
1/8
ha senso solo
per x 0, mentre x
1/17
denita per ogni x reale.
Ultimo passaggio, il caso dellesponente razionale qualunque: x
p/q
. Ov-
viamente, possiamo pensare che la frazione p/q sia gi ridotta ai minimi
termini. Poniamo allora
x
p/q
= (x
p
)
1/q
se p 0, mentre
x
p/q
=
1
x
p/q
se p < 0. Ovviamente, dobbiamo controllare che le potenze scritte abbiano
signicato: se q un numero pari, (x
p
)
1/q
ha senso solo per x
p
0, cio per
x 0. Se q dispari, possiamo scrivere (x
p
)
1/q
per ogni x reale. Per p < 0,
dobbiamo inoltre escludere x = 0 dalla denizione. Per esempio,
x
2/3
= (x
2
)
1/3
,
denita dunque per ogni x reale (perch il denominatore 3 dellesponente
dispari), mentre
x
5/2
=
_
x
5
_
1/2
denita solo per x 0 perch il denominatore 2 dellesponente un numero
pari. Inne,
x
4/3
=
1
x
4/3
,
24 CAPITOLO 2. FUNZIONI FRA INSIEMI
denita per ogni x ,= 0: lunica condizione infatti che il denominatore x
4/3
sia diverso da zero.
Dopo qusta lunga digressione, non aatto chiaro come denire x

, per
un qualunque numero R. La risposta insita nella costruzione dellin-
sieme dei numeri reali.
5
Ci limitiamo ad un cenno: ssato , si approssima
con una successione di numeri razionali p
n
/q
n

nN
. La tentazione di
denire
x

= lim
n+
x
p
n
/q
n
.
Il problema per che non possiamo avanzare pretese sui numeri q
n
: po-
trebbero essere alternativamente positivi o negativi. Allora, per essere certi
che x
p
n
/q
n
abbia senso, lunica via duscita chiedere che x > 0. Morale del
discorso: possiamo elevare ad una potenza reale generica solo le basi positive.
Un approccio alternativo, dovuto a Dedekind, propone di denire x

come il
valore di
sup r

[ r Q, r x = inf r

[ r Q, r x .
Questa uguaglianza per falsa per x < 0. Resta un ultimo, tremendo, dub-
bio: siccome N Z Q R, come ci comportiamo davanti allespressione
x
2/3
? Pensiamo 2/3 come un numero razionale oppure come un numero rea-
le? Gi, perch le primo caso possiamo scegliere x reale, mentre nel secondo
solo x > 0! La risposta quella pi complicata
6
: quando lesponente un
numero razionale, lo trattiamo come tale, senza pensarlo come un numero
reale.
Per togliere qualsiasi ambiguit, converrebbe distinguere rigorosamente e
senza eccezioni la funzione esponenziale dalla funzione inversa delle potenze.
In altri termini, dovremmo considerare separatamente (per esempio) le due
funzioni
f : (0, +) R, f(x) = x
2/3
g : R R, g(x) =
3

x
2
.
Si pu seguire senzaltro questa strada, ma i matematici amano ammorbidire
le asperit della loro materia con qualche cedimento alle convenzioni.
Per concludere, c una situazione che molti studenti non sanno come
arontare: come si calcola 0
0
? una domanda insidiosa, che in eetti ha gi
avuto implicitamente la risposta nella discussione precedente: loperazione 0
0
5
Questo uno dei momenti, non troppo frequenti per fortuna, in cui si rimpiange di
non avere le basi di teoria dei sistemi numerici.
6
I matematici scelgono spesso la strada pi ricca di bivi, almeno quando questi bivi
arricchiscano la teoria.
2.1. OPERAZIONI SULLE FUNZIONI 25
non denita. Per x ,= 0, possiamo pensare che x
0
= x
mm
= x
m
/x
m
, dove
m un numero intero (diverso da zero) qualunque. Allora, viene spontaneo
dire che x
0
= 1 per x ,= 0. Ma questo ragionamento non convincente per
x = 0, poich x
m
gi privo di signicato. A volte, i matematici convengono
di dare un senso ad unespressione indenita, e lo fanno con lo scopo di
semplicare o unicare argomenti che richiederebbero una trattazione diversa
caso per caso. Molti studiosi di analisi matematica usano la convenzione 0
0
=
1, pensando che 0
0
= lim
x0
x
0
= lim
x0
1 = 1. Altri, invece, preferiscono
pensare che 0
0
= lim
x0
0
x
= lim
x0
0 = 0. Questo, da un punto di vista
avanzato, si interpreta con il fatto che la funzione di due variabili f(x, y) =
x
y
, denita per x > 0 e y R, non prolungabile per continuit in (0, 0). Chi
scrive, se proprio obbligato, ha una maggiore simpatia per la convenzione
0
0
= 1, ma si tratta di gusti.
Denizione 2.4. Supponiamo che f : X Y sia una funzione fra i due
insiemi X e Y . Se Z un sottoinsieme di X, la nuova funzione f[Z: Z Y
denita da f[Z(x) = f(x) per ogni x Z prende il nome di restrizione di f
allinsieme Z.
7
Restringere lazione di una funzione a un dominio di denizione pi pic-
colo pu apparire inutile. Il punto che, per noi, una funzione individuata
in modo univoco dal suo dominio, dal suo codominio, e dalla sua legge. Ad
esempio, vedremo pi avanti che la funzione f : R R denita dalla legge
f(x) =
_

_
1, se x < 0
0, se x = 0
1, se x > 0
discontinua nel punto x = 0, ma la sua restrizione a qualsiasi intervallo che
non contiene il punto x = 0 continua. Questo ci convince che le restrizioni
di una funzione possono godere di propriet che la funzione di partenza non
possiede.
2.1 Operazioni sulle funzioni
Quando lavoriamo con funzioni a valori reali, facile estendere ad esse le quat-
tro operazioni dellaritmetica. Basta infatti operare sulle immagini, come
nella denizione che segue.
7
A volte si usa il simbolo f
|Z
.
26 CAPITOLO 2. FUNZIONI FRA INSIEMI
Denizione 2.5. Sia X un insieme, e siano f : X R e g : X R due
funzioni a valori reali. Deniamo la loro somma, il loro prodotto e il loro
quoziente come
1. f +g : X R, x f(x) +g(x)
2. fg : X R, x f(x)g(x)
3. f/g : X x X [ g(x) = 0 R, x f(x)/g(x),
Anche le funzioni possiedono delle operazioni, senza dubbio meno fa-
miliari di quelle algebriche. A noi ne serviranno due: la composizione e
linversione.
Denizione 2.6. Siano f : X Y e g : Y Z due funzioni. La funzione
g f : X Z denita da
g f : x X g(f(x)) Z
si chiama funzione composta di g ed f.
Osservazione 2.7. Qualche Autore, soprattutto quelli che si occupano di
algebra, usano la convenzione della composizione in ordine inverso rispetto
al nostro. Per costoro, f g signica calcolare prima f e poi g.
Nella pratica, comporre due funzioni signica applicarle in successione,
facendo attenzione allordine di scrittura. Gracamente,
x X f(x) Y g(f(x)) Z,
dove la prima freccia indica lazione di f su x e la seconda freccia lazione
di g su f(x). Questa rappresentazione evidenzia lipotesi che il codominio di
f coincidesse con il dominio di g.
8
In generale, non ha senso scrivere f g,
perch il codominio di g non il dominio di f. E anche se questa condizione
strutturale soddisfatta, facile costruire un esempio in cui f g e g f sono
due funzioni ben distinte.
Pi macchinosa la denizione di funzione inversa. Premettiamo una
denizione fondamentale.
Denizione 2.8. Sia f : X Y una funzione. Diciamo che f iniettiva se
ad elementi x
1
,= x
2
di X sono associate sempre immagini f(x
1
) ,= f(x
2
) in
Y . Diciamo invece che f suriettiva se f(X) = Y , cio se per ogni y Y
esiste un x X tale che f(x) = y. Diciamo inne che f biunivoca se
iniettiva e suriettiva.
8
In base a quanto detto poco sopra, basterebbe che f(X) fosse un sottoinsieme del
dominio di g.
2.1. OPERAZIONI SULLE FUNZIONI 27
Supponiamo che f : X Y sia una funzione biunivoca. Ad ogni y Y si
associa un elemento x X tale che f(x) = y. Ora, tale elemento x unico:
se ce ne fossero due, chiamiamoli x
1
e x
2
, ovviamente x
1
,= x
2
e liniettivit
di f implicherebbe
y = f(x
1
) ,= f(x
2
) = y,
cio y ,= y. Questo chiaramente impossibile, dunque esiste uno (per la
suriettivit) ed uno solo (per liniettivit) x X tale che f(x) = y. Ma
allora abbiamo costruito una funzione da y in X. Questa funzione, che
chiameremo f
1
, gode della propriet che
f f
1
: y Y y Y (2.1)
e
f
1
f : x X x X. (2.2)
Denizione 2.9. Sia f : X Y una funzione biunivoca. La funzione
f
1
: Y X costruita sopra si chiama funzione inversa di f, ed carat-
terizzata dalle condizioni (2.1) e (2.2).
Diversamente da alcuni libri di testo, saremo piuttosto rigidi sul concetto
di funzione invertibile. Come visto, per noi una funzione invertibile quan-
do biunivoca. Altri chiedono sono liniettivit: il dominio della funzione
inversa sar limmagine della funzione diretta. Questa una convenzione
legittima e addirittura comoda in certi contesti elementari. Noi privilegiamo
la denizione pi comune fra i matematici puri. Tuttavia, lo studente si con-
vincer facilmente di questo: qualsiasi funzione diventa suriettiva, a patto
di scegliere come codominio limmagine della funzione. Se ci viene data una
funzione iniettiva f da un dominio X in un codominio Y , la nuova funzione

f : X f(X) una funzione biunivoca e perci invertibile. Sebbene



f sia
una funzione diversa da f, comodo indulgere in questa confusione.
Riassumendo, le (2.1) e (2.2) dicono che la funzione inversa eetti-
vamente quelloperazione che inverte una funzione biunivoca rispetto alla
composizione . Quando allo studente dovr dimostrare che una certa funzio-
ne invertibile, dovr vericare che la funzione iniettiva e suriettiva. Pu
far comodo usare la caratterizzazione contenuta nella prossima proposizione.
Proposizione 2.10. Sia f : X Y .
1. f iniettiva se e solo se dalluguaglianza f(x
1
) = f(x
2
) discende x
1
=
x
2
.
2. f suriettiva se e solo se, per ogni y Y , lequazione (nellincognita
x X) f(x) = y possiede almeno una soluzione.
28 CAPITOLO 2. FUNZIONI FRA INSIEMI
3. f biunivoca se e solo se, per ogni y Y , lequazione f(x) = y possiede
esattamente una soluzione x X. In tal caso, x = f
1
(y).
Concretamente, tutto si riduce a risolvere equazioni. Purtroppo non tut-
te le equazioni sono risolvibili in termini espliciti,
9
e i metodi del calcolo
dierenziale ci verranno in aiuto.
2.2 Funzioni monotne e funzioni periodiche
Spendiamo qualche parola sui rapporti fra le funzioni reali di variabile reale
e la relazione dordinamento fra numeri reali. Dati due numeri reali x
1
e
x
2
, esattamente una delle seguenti aermazioni deve essere vera: x
1
< x
2
,
oppure x
1
= x
2
, oppure x
1
> x
2
.
Denizione 2.11. Sia X R un sottoinsieme, e sia f : X R una fun-
zione reale di una variabile reale. Diremo che f monotona crescente (risp.
crescente in senso stretto) se soddisfatta la condizione seguente: se x
1
,
x
2
X e se x
1
< x
2
, allora f(x
1
) f(x
2
) (risp. f(x
1
) < f(x
2
)). Di-
remo che f monotona decrescente (risp. decrescente in senso stretto) se
soddisfatta la condizione seguente: se x
1
, x
2
X e se x
1
< x
2
, allora
f(x
1
) f(x
2
) (risp. f(x
1
) > f(x
2
)).
A parole, le funzioni monotone crescenti rispettano lordinamento dei
numeri reali, mentre quelle monotone decrescenti lo invertono.
Osservazione 2.12. Attenzione alla pronuncia dellaggettivo monotona:
laccento cade sulla seconda lettera o. Il professore di matematica pu essere
montono (accento sulla prima o), mentre le funzioni sono monotne (accento
sulla seconda o).
Teorema 2.13. Sia [a, b] un intervallo, e sia f : [a, b] R una funzione
strettamente crescente (oppure strettamente decrescente). Allora f inietti-
va.
Dim. Siano x
1
e x
2
due elementi distinti di [a, b]. Non restrittivo supporre
che x
1
< x
2
. Siccome f strettamente crescente (oppure decrescente), avre-
mo che f(x
1
) < f(x
2
) (oppure f(x
1
) > f(x
2
)), e in particolare f(x
1
) ,= f(x
2
).
Pertanto f una funzione iniettiva.
Corollario 2.14. Una funzione strettamente monotona invertibile sulla
sua immagine, e la funzione inversa strettamente monotona nello stesso
senso della funzione diretta.
9
Per esempio, sinx = x ha soluzione, ma non esiste una scrittura esplicita della
soluzione.
2.3. GRAFICI CARTESIANI 29
Lasciamo allo studente pi volenteroso la dimostrazione di questo corol-
lario. Una sola avvertenza: la funzione inversa rispetta il senso della mo-
notonia. Per qualche suggestione psicologica, molti studenti sono convinti
che linversa di una funzione crescente debba essere una funzione decrescen-
te. Basta pensare allesempio della funzione esponenziale e della funzione
logaritmo per non sbagliarsi.
Introduciamo inne unulteriore propriet di alcune funzioni che incon-
treremo spesso.
Denizione 2.15. Una funzione f : R R periodica di periodo T > 0 se
f(x +T) = f(x), per ogni x R.
e T il pi piccolo numero positivo che soddis questa uguaglianza.
Ne consegue che, per conoscere una funzione Tperiodica, basta conoscer-
la su un qualunque intervallo di ampiezza T, ad esempio [0, T] o [T/2, T/2].
La clausola di minimalit di T parte integrante della denizione di
periodicit. La funzione seno ha periodo T = 2, ma sin( + T) = sin
vera anche per tutti i multipli interi di 2.
2.3 Graci cartesiani
Il piano cartesiano sar, per noi, linsieme dei punti di un piano nel quale sono
stati scelte due rette perpendicolari. Queste rette si intersecano in un punto
detto origine, e sono chiamati assi cartesiani. I punti di questo piano sono
copppie ordinate di numeri reali, ed suggestivo usare il simbolo R
2
= RR
per indicare brevemente il piano cartesiano.
Denizione 2.16. Sia f : X Y una funzione, dove X, Y sono due
insiemi. Il graco di f il sottoinsieme di X Y
(f) = (x, f(x)) X Y [ x X.
In pratica, il graco di una funzione costituito dalle coppie ordinate il cui
primo elemento appartiene al dominio, e il secondo elemento limmagine del
primo elemento. Per le nostre funzioni reali di una variabile reale, il graco
una sottoinsieme di R
2
. Di solito si tratta di una curva (nel senso intuitivo
del termine), ma potrebbe anche essere un solo punto. Pensiamo infatti alla
funzione x

x
2
, denita evidentemente solo in 0. Il suo graco
formato dal punto (0, 0) R
2
.
Ci sembra opportuno insistere su un punto: non tutte le curve che si
possono disegnare nel piano cartesiano sono graci di funzioni. Prendiamo
30 CAPITOLO 2. FUNZIONI FRA INSIEMI
per esempio una circonferenza o unellisse: sono rappresentanti delle ben note
coniche, ma non sono certamente graci di funzioni reali di una variabile reale.
Esistono infatti rette verticali che intersecano tali curve in due punti distinti,
contro la denizione di funzione.
Ma come si leggono, su un graco cartesiano, le propriet di una funzio-
ne? In genere, tutte le principali caratteristiche di una data funzione hanno
una visibilit notevole nel graco cartesiano. Per esempio, la suriettivit cor-
risponde al fatto che qualunque retta orizzontale interseca il graco almeno
una volta. Se ogni retta orizzontale interseca il graco al massimo una vol-
ta,
10
la funzione iniettiva. Se ogni r etta orizzontale interseca il graco una
ed una sola volta, allora la funzione biunivoca.
La periodicit si rispecchia invece in una ripetizione esatta del graco
ogni volta che lascissa si sposta di una quantit pari al periodo. Come detto
sopra, basta pertanto tracciare il graco su un intervallo di ampiezza pari al
periodo.
2.4 Funzioni elementari
In questultima sezione introduttiva, riepiloghiamo le caratteristiche di alcune
funzioni di natura elementare. Queste costituiranno in un certo senso un
archivio a cui attingere esempi e controesempi nel corso del programma.
Innanzitutto, lo studente ricorder le funzioni lineari ani, cio le rette
del piano. Fatta eccezione per le rette verticali
11
, la generica funzione linere
ane ha la forma
x mx +q,
per opportuni valori di m, q R. Le funzioni rappresentate invece da
polinomi di secondo grado sono invece parabole, e hanno la forma
x ax
2
+bx +c,
dove i coecienti a, b e c sono numeri reali.
Il lettore dovrebbe avere una certa familiarit anche con le funzioni espo-
nenziali, quelle rappresentate dalla formula
x a
x
,
10
Cio non lo interseca oppure lo interseca esattamente una volta.
11
Che non sono funzioni!
2.4. FUNZIONI ELEMENTARI 31
dove a (0, +).
12
Il caso a = 1 non merita tante parole: la funzione
chiaramente costante, poich 1
x
= 1 qualunque sia lesponente x. Nel
caso 0 < a < 1, la funzione esponenziale di base a positiva, monotona
decrescente. Nel caso a > 1, essa invece positiva ma monotona crescente.
Per quanto visto, la funzione esponenziale di base a (0, 1) (1, +)
invertibile, e la sua funzione inversa si chiama logaritmo in base a. Si scrive
x (0, +) log
a
x.
Per a > 1, la funzione logaritmica strettamente crescente, attraversa lasse
delle ascisse per x = 1, negativa per 0 < x < 1 e positiva per x > 1.
Per 0 < a < 1, la funzione logaritmica strettamente decrescente, positiva
per 0 < x < 1 e negativa per x > 1. Lunico valore in cui si annulla x = 1.
Concludiamo la panoramica con le funzioni goniometriche. Poich una
denizione rigorosa di tali funzioni pu essere data solo avendo a disposizione
strumenti che introdurremo pi avanti, ci adiamo alle conoscenze pregresse
dello studente. Probabilmente, sapr che il seno di un angolo il rapporto fra
cateto opposto e ipotenusa di un certo triangolo rettangolo, e cos via. Per
iniziare, questa denizione geometrica ci basta. Abbiamo dunque a nostra
disposizione due funzioni,
x R sin x
x R cos x,
chiamate rispettivamente seno e coseno, denite sullintero insieme dei nume-
ri reali, periodiche di periodo 2. A queste si aanca la funzione tangente,
denita come
tan x =
sin x
cos x
per ogni x R k/2 [ k Z.
13
La tangente una funzione periodica
di periodo , e sullintervallo (/2, /2) strettamente crescente, nulla in
x = 0.
Osservazione 2.17. Gli angoli saranno sempre misurati in radianti. Luso
dei gradi sessagesimali, cui lo studente forse pi abituato, si adatta male
al calcolo dierenziale. Ricordiamo che la relazione fra la misura
gradi
in
gradi sessagesimali e quella
rad
in radianti di un angolo stabilita dalla
seguente proporzione:

rad
:
gradi
= 2 : 360.
12
La base a un numero positivo per ipotesi. Infatti, problematico elevare un numero
negativo ad un esponente reale, e questo ci costringerebbe a distinguere vari casi.
13
Questa scrittura apparentemente complicata la scrittura simbolica per la frase x
diverso da tutti i multipli interi di /2.
32 CAPITOLO 2. FUNZIONI FRA INSIEMI
Quindi

rad
=

180

gradi
.
Capitolo 3
Successioni di numeri reali
In questo capitolo, introdurremo uno degli strumenti pi importanti di tutta
lAnalisi Matematica, le successioni. Ci imbatteremo per la prima volta nella
denizione di limite, e dimostreremo un certo numero di teoremi fondamentali
che avranno dei corrispettivi nella teoria dei limiti per le funzioni.
3.1 Successioni e loro limiti
Denizione 3.1. Una successione di numeri reali una qualunque funzione
p: N R. Per consuetudine, useremo la scrittura p
n
invece della pi rigida
notazione funzionale p(n) per denotare il valore della funzione p in n N.
Parleremo poi, sempre con un certo abuso di notazione, della successione
p
n
.
Una successione viene spesso presentata come un allineamento (innito)
di numeri reali
p
1
, p
2
, p
3
, . . . , p
n
, p
n+1
, . . .
Per questo motivo, si trova frequentemente la notazione
p
1
, p
2
, p
3
, . . . , p
n
, p
n+1
, . . . (3.1)
per indicare la successione p
n
. C sfortunatamente un aspetto che richiede
molta attenzione da parte dello studente. La notazione (3.1) si confonde del
tutto con linsieme p
1
, p
2
, p
3
, . . . , p
n
, p
n+1
, . . . R. Tutto ci spiacevole,
dato che una funzione un oggetto ben diverso dalla sua immagine. A costo
di essere ripetitivi, consideriamo la successione cos denita:
p
n
=
_
1, se n pari
1, se n dispari.
33
34 CAPITOLO 3. SUCCESSIONI DI NUMERI REALI
Limmagine di p
n
formata dallinsieme 1, 1, mentre la successione
costituita da inniti numeri reali. In questo senso luso delle parentesi grae
per denotare tanto la successione quanto linsieme dei punti sulla retta reale
da essa individuati azzardata. La tradizione didattica, cos consolidata,
rende inutile ogni battaglia contro questo abuso di notazione.
Osservazione 3.2. Osserviamo che qualunque successione in realt la re-
strizione a N di innite funzioni di una variabile reale. Data infatti una
qualunque successione p
n
, possiamo denire innite funzioni f : R R in
maniera tale che f(n) = p
n
per ogni n N. Ad esempio, possiamo specicare
assolutamente a caso i valori di f(x) per x R N.
LOsservazione sopra ci permette di fare una divagazione divertente con
un nale polemico. Tutti ci siamo imbattuti, prima o poi, nel seguente rom-
picapo: data una sequenza di quattro o cinque numeri (solitamente naturali),
dire quale sar il numero successivo. chiaro che, per un matematico, que-
sto un rompicapo assolutamente ozioso: basta scrivere un numero a caso!
Chiaramente non sar mai la soluzione prevista da chi pone il dilemma. Ad
esempio, se la sequenza 1,3,5,7,9, sembra plausibile congetturare che il nu-
mero successivo sar 11, data lassonanza evidente con i primi numeri dispari.
In tutti questi casi, il vero rompicapo capire che cosa signichi scrivere un
numero che segue logicamente quelli dati. Un buon rompicapo dovrebbe pos-
sedere una soluzione inequivocabile, e soprattutto utilizzare questi problemi
per selezionare le future matricole universitarie appare unidea abbastanza
discutibile.
Denizione 3.3. Una successione p
n
crescente (risp. strettamente cre-
scente) se p
n
p
n+1
(risp. p
n
< p
n+1
) per ogni n, e decrescente (risp.
strettamente decrescente) se vale la disuguaglianza opposta (risp. la disugua-
glianza stretta opposta). La successione p
n
limitata se esiste una costante
M > 0 tale che [p
n
[ M per ogni n.
Denizione 3.4. Diremo che la successione p
n
tende al valore R per
n +, e scriveremo lim
n+
p
n
= oppure p
n
per n +, se, per
ogni > 0 esiste N N tale che
[p
n
[ < per ogni n > N.
Denizione 3.5. Diremo che una successione p
n
di numeri reali con-
vergente se essa possiede un limite nel senso della denizione precedente. In
caso contrario, diremo che la successione divergente.
Un primo avvertimento che ci sembra doveroso dare che i libri di testo
italiani usano una terminologia molto pi descrittiva. Noi abbiamo usato
3.1. SUCCESSIONI E LORO LIMITI 35
laggettivo divergente per la negazione logica di convergente. La tradizio-
ne italiana usa tale aggettivo per indicare che la successione tende allin-
nito, come vedremo fra poco. La negazione della convergenza si divide cos
in due sotto-classi: tendere allinnito e assumere innite volte valori pros-
simi a piacere a due numeri distinti. Chi scrive, senzaltro sotto linusso
del bellissimo libro di Walter Rudin [24], preferisce evitare questa ulteriore
distinzione. Nelleconomia di questo corso, per inciso, sarebbe anche poco
saggio dare eccessiva importanza alle successioni che oscillano fra due valori
diversi.
Osservazione 3.6. fondamentale che lo studente si renda conto del se-
guente fatto: se esiste un numero N N che soddisfa le richieste contenute
nella denizione di limite, anche tutti i numeri naturali

N > N andranno
bene.
Unosservazione particolarmente importante che i primi termini di una
successione sono ininuenti al ne dellesistenza del limite.
Proposizione 3.7. Siano p
n
e q
n
due successioni, e supponiamo che
esista un numero naturale n
0
tale che p
n
= q
n
per ogni n > n
0
. Sotto queste
ipotesi, la successione p
n
possiede limite (nito oppure innito) se e solo
se la successione q
n
possiede limite, ed in tal caso i due limiti coincidono.
Dim. Supponiamo che lim
nto+
p
n
= R. Per denizione, ssato > 0
esiste N N tale che [p
n
[ < per ogni n > N. Posto N
1
= maxN, n
0
,
ovviamente [q
n
[ < per ogni n > N
1
, dal momento che q
n
= p
n
per tali
valori dellindice n. Quindi lim
n+
q
n
= . Poich questo ragionamento
perfettamente simmetrico, possiamo scambiare il ruolo di p
n
e di q
n
, e
concludere che se lim
n+
q
n
= allora anche lim
n+
p
n
= . Il caso del
limite innito lasciato per esercizio.
Lo studente non deve comunque sopravvalutare la portata della Proposi-
zione appena dimostrata: se il limite rappresenta il comportamento della suc-
cessione per indici molto grandi, naturale che si disinteressi dellandamento
della successione per valori piccoli dellindice.
Ma come si controlla, operativamente, che una successione sia convergen-
te? Vediamolo con un esempio. Consideriamo la successione
n1
n+1
, e veri-
chiamo che convergente al limite = 1. In base alla denizione, dobbiamo
ssare a nostro piacere un numero > 0, e vericare che la disequazione

n 1
n + 1
1

<
36 CAPITOLO 3. SUCCESSIONI DI NUMERI REALI
soddisfatta per tutti i valori di n maggiori di qualche N. Riscriviamo la
disequazione facendo il denominatore comune:

n 1 n 1
n + 1

< ,
cio
2
n + 1
< .
La domanda : esiste un indice N N tale che
2
n+1
< sia soddisfatta per
ogni n > N? Per rispondere, risolviamo la disequazione
2
n+1
< rispetto a
n:
n >
2

1.
Pertanto, se scegliamo N uguale al primo numero naturale maggiore di
2

1,
abbiamo nito la verica del limite proposto.
Dunque la verica di un limite si riduce nel risolvere una disequazione
e nel dimostrare che linsieme delle soluzioni contiene tutti i numeri naturali
maggiori di un opportuno valore. Prima di passare oltre, osserviamo che il
valore del limite stato regalato, e che non saremmo riusciti a calcolar-
lo con la sola denizione. Vedremo fra poco quali strumenti esistano per
leettivo calcolo dei limiti.
La prossima domanda se possano esistere due numeri
1
e
2
che siano
entrambi il limite di p
n
? La risposta negativa.
1
Proposizione 3.8. Se p
n

1
e p
n

2
, allora
1
=
2
.
Dim. Supponiamo che
1
<
2
e mostriamo che questo porta ad una contrad-
dizione. Un ragionamento del tutto simile vale anche sotto lipotesi (assurda)

1
>
2
, e perci non resta che
1
=
2
. Dunque, sia =
1
2
(
2

1
) > 0.
Applichiamo la denizione di limite per
1
: esiste N
1
N tale che
[p
n

1
[ < se n > N
1
.
Applicando la denizione a
2
, troviamo che esiste N
2
N tale che
[p
n

2
[ < se n > N
2
.
Scegliamo N > maxN
1
, N
2
. Quindi

1
[p
n

1
[ +[p
n

2
[ <
2

1
,
assurdo.
1
Almeno per successioni di numeri reali. In contesti molto pi generali, una successione
potrebbe addirittura ad inniti limiti diversi.
3.1. SUCCESSIONI E LORO LIMITI 37
Nella dimostrazione abbiamo usato la disuguaglianza triangolare
[x y[ [x z[ +[z y[ (3.2)
valida per ogni terna x, y, z di numeri reali. Unaltra propriet delle suc-
cessioni convergenti, cio delle successioni che tendono a un limite nel senso
della nostra denizione, che sono successioni limitate.
Proposizione 3.9. Ogni successione convergente limitata.
Dim. Infatti, se lim
n+
p
n
= , allora esiste N N, corrispondente alla
scelta di = 1, tale che [p
n
[ < 1 se n > N. Quindi, per la disuguaglianza
triangolare,
[p
n
[ < M = max[p
1
[, [p
2
[, . . . , [p
N
[, 1 +[[.
Osservazione 3.10. per falso che ogni successione limitata converge. La
successione 1, 1, 1, 1, 1, 1, . . . limitata (M = 1 nella denizione), ma
non converge. Vedremo comunque che tutte le successioni limitate hanno
una sottosuccessione convergente.
Prima di proseguire, osserviamo che alle successioni possono essere ap-
plicate le quattro operazioni algebriche. Precisamente, se p
n
, q
n
sono
successioni e se R, possiamo denire le successioni
p
n
+q
n
, p
n
, p
n
q
n
,
p
n
q
n
sotto lovvia condizione che q
n
,= 0 quando q
n
appare a denominatore.
Il seguente teorema aerma che loperazione di limite rispetta le opera-
zioni algebriche.
Teorema 3.11. Siano p
n
e q
n
due successioni. Se p
n
e q
n
m
per n +, allora
1. p
n
+q
n
+m;
2. p
n
;
3. p
n
q
n
m;
4.
p
n
q
n


m
se m ,= 0.
38 CAPITOLO 3. SUCCESSIONI DI NUMERI REALI
Dim. Le aermazioni 1 e 2 sono ovvie. Vediamo la 3, un po pi dicile. Per
ipotesi, dato > 0 esistono N
1
ed N
2
in N tali che [p
n
[[ < e [q
n
m[ <
rispettivamente per n > N
1
ed n > N
2
. Fissiamo N > maxN
1
, N
2
e
osserviamo che per n > N
[p
n
q
n
m[ = [p
n
q
n
q
n
+q
n
m[ [p
n
[[q
n
[ +[[[q
n
m[ (3.3)
per la disuguaglianza triangolare. Poich ogni successione convergente
limitata, avremo [q
n
[ < M, e dunque
[p
n
q
n
m[ M +[[ = (M +[[).
Poich > 0 arbitrario, altrettanto arbitrario il numero (M + [[), e
quindi anche 3 dimostrata. La dimostrazione di 4 del tutto analoga, e lo
studente pu provare a dimostrarla da solo, oppure pu studiarla su uno dei
llibri di testo consigliati.
Nellultima dimostrazione, ci sono due passaggi la cui importanza non va
sottovalutata. Lo studente deve capirli bene e saperli adattare a situazioni
simili.
Il primo passaggio di natura logica. Se un numero piccolo a piacere,
altrettanto lo 2, o anche 100. Limportante che il fattore moltiplicativo
di sia indipendente da stesso.
2
Il secondo passaggio, la tecnica di sommare e sottrarre una medesima
o anche pi quantit per raggruppare termini che fanno comodo. Nelle-
quazione (3.3), sommare e sottrarre q
n
ci ha permesso di raccogliere a fattor
comune termini come [p
n
[, che sapevamo stimare con . Avremo locca-
sione di applicare questa tecnica molto spesso, e lunica regola per scoprire
che cosa aggiungere e togliere lesperienza. Allinizio, si procede by trial
and error, cio provando senza paura di sbagliare.
Molti studenti ricorderanno che quando si studiano i limiti, i guai vengono
dalle forme di indecisione. Per poterne parlare, occorre per estendere la
denizione di limite.
Denizione 3.12. Sia p
n
una successione. Diciamo che p
n
tende a +
(risp. a ), e scriviamo lim
n+
p
n
= + (risp. lim
n+
p
n
= ) se
per ogni numero reale M > 0 esiste un indice N N tale che p
n
> M per
ogni n > N (risp. p
n
< M per ogni n > N).
Osservazione 3.13. Fra i matematici in voga la locuzione la successione
p
n
esplode. Di solito, con questo linguaggio un po colorito intendono dire
che lim
n+
p
n
= +.
2
Ovvio, perch
1
= 1 non aatto piccolo a piacere.
3.1. SUCCESSIONI E LORO LIMITI 39
Per esercizio, verichiamo mediante questa denizione che lim
n+
log n =
+. Fissiamo arbitrariamente un numero reale M > 0, e cerchiamo di sce-
gliere N N tale che log n > M per ogni n > N. Poich la disuguaglianza
log n > M equivale a n > e
M
, ci basta scegliere il primo numero naturale N
maggiore di e
M
.
ovvio che non tutte le relazioni di limite possono essere vericate ap-
pliacndo pedissequamente la denizione. conveniente dicorrere alle regole
per il calcolo algebrico dei limiti, ogni volta che ci sia possibile in virt dei
teoremi visti nella pagine precedenti.
Sfortunatamente, esistono situazioni in cui le regole algebriche non pos-
sono essere conclusive: stiamo parlando delle forme di indeterminazione.
Dando per scontato che n + e 1/n 0 quando n +, vediamo che
n
1
n
= 1 1
e dovremmo ipotizzare che + 0 = 1. Se per cambiamo lesempio,
n
2

1
n
= n +
e dunque + 0 = +. C di che diventare matti. Ma insomma, quanto
fa zero per innito? La risposta che... non fa! la prima forma di
indecisione che incontriamo, e nasconde un fatto piuttosto sottile: non tutti
gli inniti sono uguali fra loro.
3
Si usa scrivere [0 ] fra parentesi, per
sottolineare che la moltiplicazione scritta richiede ulteriori precisazioni.
Altre forme di indecisione molto popolari fra gli studenti sono
_
0
0
_
,
_

_
, [+].
Altrettanto indeterminate sono le espressioni
_
0
0

, [1

] ,
sebbene pochi studenti sembrino ricordarsene. A parte lultima e patologi-
ca espressione,
4
tutte le altre sono caratterizzate dalla presenza di 0 e .
La forma di indecisione pi complicata probabilmente [+ ], mentre
per quelle di natura moltiplicativa esistono tecniche ranate e potenti che
incontreremo a tempo debito. Laspetto sgradevole che queste tecniche ri-
chiedono il calcolo dierenziale, e non sono pertanto direttamente applicabili
alle successioni.
3
A conferma del fatto che non designa un numero.
4
Ci sono nascosti dei logaritmi, come vedremo pi avanti.
40 CAPITOLO 3. SUCCESSIONI DI NUMERI REALI
Osservazione 3.14. Perch introdurre la teoria dei limiti per le successioni,
considerato che impareremo presto la teoria dei limiti per tutte le funzioni di
una variabile reale? La risposta che le successioni sono uno strumento molto
utile e forniscono tecniche dimostrative particolarmente intuitive di alcuni
teoremi. Inoltre, tutto il mondo informatico che ci circonda basato sulle
successioni: i numeri vengono rappresentati come approssimazioni decimali
(o meglio binarie), ed anche i pi avanzati software di calcolo utilizzano
tecniche basate sulle successioni per fornire risposte.
3.2 Propriet asintotiche delle successioni
In questa lezione, vedremo una serie di risultati riguardanti le propriet
delle successioni, che valgono da un certo indice in poi. Innanzitutto,
formalizziamo questa frase.
Denizione 3.15. Data una successione p
n
, diremo che una propriet
vale denitivamente per p
n
quando esiste un indice N N tale che la
propriet vale per ogni p
n
con indice n > N.
Osservazione 3.16. Laggettivo denitivamente dipende in modo essen-
ziale dalla successione. Per essere pi chiari, denitivamente per una suc-
cessione p
n
non signica denitivamente anche per unaltra successione
q
n
. Infatti, lindice N che funziona per la prima successione potrebbe non
essere abbastanza grande da funzionare anche per la seconda successione.
Tuttavia, non siamo di fronte ad un grande problema. Se per la prima suc-
cessione troviamo un indice N
1
e per la seconda un altro indice N
2
, chiaro
che lindice N = maxN
1
, N
2
va bene per entrambe, in quanto N pi
grande sia di N
1
che di N
2
.
5
Ad esempio, una successione denitivamente positiva se tutti i termi-
ni sono positivi tranne (al pi) un numero nito. Inoltre, una successio-
ne converge a se e solo se la disuguaglianza < p
n
< + vera
denitivamente.
Il primo teorema che dimostriamo molto importante.
Teorema 3.17 (Permanenza del segno). Supponiamo che lim
n+
p
n
=
R.
1. Se > 0 (risp. < 0), allora p
n
> 0 (risp. p
n
< 0) denitivamente.
5
La scrittura N = maxN
1
, N
2
signica precisamente che N il pi grande fra N
1
e
N
2
. Ancora pi esplicitamente, si confrontano fra loro N
1
e N
2
, e si sceglie il maggiore dei
due: quello sar N.
3.2. PROPRIET ASINTOTICHE DELLE SUCCESSIONI 41
2. Se p
n
0 (risp. p
n
0) denitivamente, allora 0 (risp. 0).
Dim. Infatti, supponiamo > 0. Fissiamo =
1
2
, e scegliamo N N tale
che < p
n
< + per ogni n > N. Quindi, in particolare, p
n
> =
1
2
> 0 per n > N. Questo dimostra il punto 1.
Il punto 2 segue dal punto 1. Infatti, se < 0, allora sarebbe anche p
n
< 0
denitivamente, contro lipotesi p
n
0.
Nel punto 2 del teorema precedente, la disuguaglianza stretta nellipotesi
non garantisce la disugualianza stretta nella tesi. Infatti, consideriamo la
successione p
n
= 1/n. Chiaramente, p
n
> 0 per ogni n, ma p
n
0 per
n +.
C sempre un punto sul quale gli studenti dimostrano molta dicolt:
rendersi conto che certe successioni non hanno limite, n nito n innito.
Volendo fare un esempio, possiamo considerare la successione
1, 1, 1, 1, 1, 1, 1, 1, . . . .
Questa successione alterna i due valori 1 e 1 periodicamente, e dovrebbe
essere chiaro che non pu esistere alcun numero reale che sia limite della
successione. Si tratta di un principio generale che, per i limiti di questo corso,
non possiamo inquadrare in un teorema.
6
Per sgombrare il campo da future
discussioni, precisiamo che per noi esistono solo due categorie di successioni:
quelle convergenti e quelle divergenti. La successione appena vista pertanto
divergente. Molti testi elementari parlano invece di successioni oscillanti.
Non c nulla di male in questo, ma non ci sem bra utile costringere lo
studente a imparare a memoria classicazioni ben poco utili. In fondo, i
limiti sono utili quando esistono, niti o anche inniti. Quando non esistono,
limportante capire perch non esistono.
Vi una categoria di successioni il cui comportamento piuttosto rego-
lare. Si tratta delle successioni monotone.
Proposizione 3.18. Sia p
n
una successione monotona crescente (o de-
crescente). Se p
n
limitata, allora p
n
converge, e il limite coincide con
sup
nN
p
n
(oppure con inf
nN
p
n
se p
n
decrescente.)
6
Lo studente pi curioso si accontenter di sapere che, a anco del limite, esistono
anche il limite inferiore liminf
n+
e il limite superiore limsup
n+
. Una successione
converge se e solo se i limiti inferiore e superiore sono uguali. Purtroppo, la denizione dei
limiti inferiore e superiore non semplice, e preferiamo evitare di aggiungere complicazioni
ulteriori.
42 CAPITOLO 3. SUCCESSIONI DI NUMERI REALI
Dim. Infatti, supponiamo che p
n
sia crescente, e poniamo S = sup
nN
p
n
.
Lipotesti di limitatezza della successione implica che S R.
7
Sia > 0
ssato arbitrariamente. Per denizione di estremo superiore, esiste N N
tale che S < p
N
< S. Per la monotonia di p
n
, se n > N allora
S < p
N
p
n
< S,
e questo signica che p
n
S per n +. La dimostrazione nel caso in cui
p
n
sia decrescente analoga.
Forse lo studente avr notato che la Proposizione precedente ammette
una immediata generalizzazione.
Proposizione 3.19. Una successione crescente e illimitata dallalto diverge
a +. Una successione decrescente e illimitata dal basso diverge a .
Dim. In eetti, la Proposizione precedente dimostra che una successione mo-
notona tende
8
sempre allestremo superiore oppure allestremo inferiore. Se
una successione illimitata, almeno uno di tali estremi innito.
Osservazione 3.20. In realt, la gran parte dei teoremi che parlano di suc-
cessioni e dei loro limiti hanno unimmediata generalizzazione secondo la
terminologie del denitivamente. Solo per fare un esempio, una successione
denitivamente monotona, cio una successione che comincia ad essere mo-
notona dopo un certo indice,
9
ovviamente possiede un limite, nito o innito.
Questo dovrebbe essere abbastanza chiaro, dal momento che i primi termini
di una successione non ne inuenzano il comportamento asintotico.
Enunciamo e dimostriamo uno dei criteri pi usati per dimostrare la con-
vergenza delle successioni. Come accade sovente in matematica, il principio
quello di ricondursi al caso precedente.
Teorema 3.21 (Due carabinieri). Siano a
n
, b
n
e p
n
tre successioni.
Supponiamo che lim
n+
a
n
= lim
n+
b
n
= R, e che a
n
p
n
b
n
denitivamente. Allora lim
n+
p
n
= . Se invece a
n
+ allora p
n

+, e se b
n
allora p
n
.
Dim. Infatti, ssiamo > 0 e scegliamo N N tale che < a
n
< + e
< b
n
< +. Quindi
< a
n
p
n
b
n
< +,
7
A volte, scriveremo S < +.
8
Usiamo questo verbo con una certa imprecisione.
9
Resta inteso che la monotonia deve sussistere per sempre, oltre quel valore dellindice.
3.3. INFINITESIMI ED INFINITI EQUIVALENTI 43
e la prima parte del teorema dimostrata. Se a
m
+, allora p
n
deniti-
vamente maggiore di qualunque numero ssato, dato che p
n
a
n
. Lasciamo
allo studente il caso b
n
, che si tratta in maniera del tutto analoga.
Una parola di commento sulla terminologia. Lappellativo dei due ca-
rabinieri rappresenta la classica immagine di due carabinieri (a
n
e b
n
)
che scortano in prigione (il limite) il prigioniero (p
n
), aancandolo passo
dopo passo. unimmagine che appare in molti libri per ragazzi di cento
anni fa. Apparentemente, i corpi di polizia dei paesi anglosassoni non han-
no mai avuto labitudine di scortare i malfattori in questo modo, ed infatti
nessun testo di calculus dimostra alcun twopolicemen theorem. Unaltra
spiegazione che associare galeotti e teoremi di matematica non un buon
modo di rendere lanalisi matematica pi aascinante.
Spesso il Teorema dei due carabinieri si applica alle successioni positive,
scegliendo a
n
= 0 per ogni n. Pensiamo allesempio
_
sin n
n
_
.
Non aatto immediato vericare che questa successione ha limite, dato che
sin n ha un comportamento piuttosto bizzarro. Tuttavia, basta osservare
che [ sin n[ 1, e quindi
0

sin n
n

1
n
,
per concludere che la successione tende a zero. Il teorema dei due carabinieri
si applica con a
n
= 0 e b
n
= 1/n.
In realt non veramente restrittivo pensare alle successioni che conver-
gono a zero. Vale il seguente risultato, la cui dimostrazione immediata
lasciata per esercizio.
Proposizione 3.22. Una successione p
n
converge a R se e solo se la
successione di numeri non negativi [p
n
[ converge a zero.
3.3 Innitesimi ed inniti equivalenti
In questa sezione, vogliamo introdurre un linguaggio piuttosto diuso e co-
modo per confrontare due successioni con lo stesso comportamento.
Denizione 3.23. Sia p
n
e q
n
due successioni, entrambe tendenti a zero
(rispettivamente ad innito). Diciamo che p
n
un innitesimo (rispetti-
44 CAPITOLO 3. SUCCESSIONI DI NUMERI REALI
vamente un innito) equivalente a q
n
, in simboli
10
p
n
q
n
,
se
lim
n+
p
n
q
n
= 1.
Osservazione 3.24. Ovviamente, se due successioni p
n
e q
n
sono tali
che lim
n+
p
n
/q
n
= ,= 0, allora p
n
q
n
.
La principale utilit degli innitesimo (ed inniti) equivalenti contenuta
nella seguente
Proposizione 3.25. Supponiamo che a
n
, p
n
e q
n
siano successioni,
e che p
n
q
n
. Allora
lim
n+
a
n
p
n
= lim
n+
a
n
q
n
.
Dim. Infatti,
lim
n+
a
n
p
n
= lim
n+
a
n
p
n
q
n
q
n
= lim
n+
a
n
q
n
,
nel senso che il limite lim
n+
a
n
p
n
esiste se e solo se esiste lim
n+
a
n
q
n
,
e i due valori coincidono.
In breve, possibile sostituire fra di loro gli innitesimi (o gli inniti)
equivalenti nelle strutture moltiplicative. Lo studente faccia attenzione a
non tentare questa strada nel caso additivo: falso che
lim
n+
a
n
+p
n
= lim
n+
a
n
+q
n
se p
n
q
n
.
3.4 Sottosuccessioni
Immaginiamo di avere una successione
p
1
, p
2
, p
3
, . . . , p
n
, . . .
e di selezionare alcuni elementi da essa, avendo cura di prenderli in ordine
crescente di indici. Per esempio, potremmo selezionare
p
3
, p
10
, p
11
, p
50
, p
100
, . . .
Anche se a prima vista sembra un po curioso, abbiamo costruito unaltra
successione. Diamo una denizione generale per questo procedimento.
10
Su alcuni testi si trova p
n
q
n
, oppure p
n
q
n
.
3.5. IL NUMERO E DI NEPERO 45
Denizione 3.26. Una successione q
n
una sottosuccessione di p
n
se
q
n
= p
k(n)
, dove k: N N una funzione strettamente crescente. Per
brevit, si scrive spesso p
k
n
.
Teorema 3.27. Una successione converge a un limite se e solo se tutte le
sue sottosuccessioni convergono a .
Omettiamo la dimostrazione di questo teorema, ma vogliamo evidenziarne
limportanza. Per esempio, la successione 1/n
2
converge a zero perch
una sottosuccessione di 1/n. Per lo stesso motivo, per ogni numero
naturale > 0 la successione 1/n

converge a zero. Lo studente non deve


pensare che questo ragionamento giustichi la scrittura lim
n+
1/n

= 0
per ogni numero reale > 0. Infatti, quando non un numero naturale,
n

non una sottosuccessione di n. Per esempio, quando = 1/2, la


successione
1,

2,

3,

4, . . . ,
non una sottosuccessione di 1, 2, 3, 4, . . . ,
Concludiamo con un teorema di esistenza. un caso molto speciale di uno
dei teoremi pi usati in tutta lanalisi matematica, il teorema di compattezza
per successioni degli insiemi chiusi e limitati di R
n
.
Teorema 3.28. Sia [a, b] un intervallo chiuso e limitato di R. Ogni suc-
cessione p
n
tale che p
n
[a, b] per ogni n, possiede una sottosuccessione
convergente a qualche elemento di [a, b].
Ad esempio, la successione 1, 1, 1, 1, 1, 1, . . . cade nelle ipotesi di
questo teorema.
11
Infatti una sottosuccessione convergente esiste senzaltro:
1, 1, 1, 1, . . . . Molto meno scontato il fatto che la successione sin n
possegga una sottosuccessione convergente.
Corollario 3.29. Ogni successione limitata di numeri reali possiede una
sottosuccessione convergente.
Dim. Se p
n
limitata, esiste M > 0 tale che [p
n
[ < M per ogni n. Allora
p
n
[M 1, M +1] per ogni n, e dunque si applica il teorema precedente.
3.5 Il numero e di Nepero
Lo studente avr senza dubbio gi sentito parlare del numero di Nepero,
12
indicato dalla lettera e. uno dei numeri pi celebri della matematica ele-
11
Si pu scegliere [a, b] = [1, 1].
12
O meglio di John Napier.
46 CAPITOLO 3. SUCCESSIONI DI NUMERI REALI
mentare, insieme a e allunit immaginaria i =

1.
13
Il numero e
anche la base di logaritmi universalmente utulizzata nelle scienze, avendo
ormai soppiantato in quasi tutti i settori la pi classica base 10.
14
Occorre
una denizione che individui tale numero senza possibilit di errore. Esistono
due denizioni (evidentemente equivalenti) di e. La prima, e anche la pi
comoda per fare i calcoli,
e =

n=0
1
n!
.
Il simbolo n! = 1 2 3 (n 1) n il fattoriale di n, ma il guaio che
noi non sappiamo sommare inniti numeri reali, come richiesto dalla formula
precedente. Dovremmo addentrarci nella teoria delle serie numeriche, ma
usciremmo dai limiti di questo corso.
Proponiamo invece la seguente denizione, ormai comprensibile allo stu-
dente:
e = lim
n+
_
1 +
1
n
_
n
. (3.4)
Insomma, e il limite della successione di termine n-esimo
e
n
=
_
1 +
1
n
_
n
.
Ma chi garantisce che e
n
abbia un limite, e che questo limite sia nito?
Poich [1

] una forma di indecisione,


15
certo non i teoremi sul calcolo
algebrico dei limiti. Si potrebbe dimostrare con un po di fatica, ma noi
non lo faremo, che e
n
una successione monotona crescente e limitata. Di
conseguenza, e
n
ha un limite nito, e battezziamo e tale limite. Usando
un programma di calcolo, si trova la seguente approssimazione con cinquanta
cifre decimali esatte:
e 2.7182818284590452353602874713526624977572470937000 . . .
13
La formula e
i
+1 = 0 considerata una delle relazioni pi belle di tutta la matematica,
poich coinvolge in maniera semplice i cinque numeri pi importanti: 0, 1, e, ed i.
14
Questa aermazione vera quando si vuole usare il calcolo dierenziale. Un tempo
i logaritmi servivano per fare velocemente i calcoli, ed era inevitabile scegliere come base
10, poich siamo abituati ad usare il sistema decimale per esprimere i numeri. Se fossimo
abituati ad operare nel sistema binario dei computer, useremmo con maggior protto la
base 2.
15
Lo studente mediti sul fatto che lim
n+
1
p
n
= 1, qualunque sia la successione
p
n
che diverge a . Non in contraddizione con laermazione che [1

] una forma
indeterminata?
3.6. APPENDICE: SUCCESSIONI DI CAUCHY 47
Si dimostra che e un numero irrazionale e che
lim
n+
_
1 +
1
n
_
n
=
+

n=0
1
n!
.
3.6 Appendice: successioni di Cauchy
Supponiamo che p
n

n
sia una successione convergente ad un limite (nito)
. Per ogni > 0, esiste n N tale che per ogni n > N si ha [p
n
[ < /2.
Sia m > N; dalla disuguaglianza triangolare deduciamo che
[p
n
p
m
[ [p
n
[ +[p
m
[ <

2
+

2
= .
A parole, abbiamo dimostrato che la distanza fra due termini di indice su-
cientemente grande di una successione convergente pu essere resa piccola a
piacere. Diamo un nome alle successioni che soddisfano questa propriet.
Denizione 3.30. Una successione p
n

n
si chiama successione di Cauchy
se, per ogni > 0 esiste N N tale che
[p
n
p
m
[ < per ogni n, m > N. (3.5)
Dalla discussione precedente, tutte le successioni convergenti sono succes-
sioni di Cauchy. Ora, di fronte a questo genere di implicazione, viene spon-
taneo domandarsi se le successioni di Cauchy coincidano con le successioni
convergenti. La risposta contenuta nel seguente teorema.
Teorema 3.31 (Completezza di R). Ogni successione di Cauchy di numeri
reali convergente.
Premettiamo un risultato che interverr nella dimostrazione.
Proposizione 3.32. Sia p
n

n
una successione di Cauchy. Se una sotto-
successione p
n
k
}
k
converge a un limite , allora tutta la successione p
n

n
converge a .
Dim. Sia > 0. Esiste N N tale che, per ogni n, m > N risulta [p
n
p
m
[ <
. Per ipotesi, in corrispondenza di , esiste un indice K N tale che
[p
n
K
[ < . Fissiamo un numero naturale

N > maxN, n
K
. Per ogni
indice n >

N, risulta
[p
n
[ [p
n
p
n
K
[ +[p
n
K
[ < + = 2.
In conclusione, lim
n+
p
n
= .
48 CAPITOLO 3. SUCCESSIONI DI NUMERI REALI
Dim. del teorema di completezza. Sia p
n

n
una successione di Cauchy for-
mata da numeri reali. Dalla denizione di successione di Cauchy segue che
p
n

n
necessariamente limitata.
16
Sappiamo (si veda il Teorema 3.28) che
ogni successione limitata possiede una sottosuccessione convergente, e chia-
miamo tale limite. Dalla precedente Proposizione, tutta la successione
p
n

n
deve convergere a , e questo conclude la dimostrazione.
Il nome di questo teorema legato al fatto che gli spazi metrici in cui tutte
le successioni di Cauchy sono necessariamente convergenti vengono chiamati
completi.
16
Lo studente si convinca di questa aermazione. Suggerimento: ssato = 1, tutti
i numeri della successione, ad esclusione di un numero nito N, distano luno dallaltro
meno di 1, e possono dunque essere inseriti in un intervallo di ampiezza 1. Allarghiamo
ora lampiezza di questo intervallo nch non vengano intrappolati tutti i primi N termini
della successione...
Capitolo 4
Serie numeriche
Per spiegare che cosa sia una serie numerica,
1
pensiamo di raccogliere una
quantit nita di numeri reali, di ordinarli in un certo modo
p
1
, p
2
, . . . , p
N
e di sommarli: p
1
+ p
2
+ . . . + p
N
. Si pu abbreviare questa scrittura
introducendo il simbolo di sommatoria

:
N

i=1
p
i
= p
1
, p
2
, . . . , p
N
.
Osservazione 4.1. Lindice i una variabile muta. Qualunque altra lettera
potrebbe essere usata senza alterare il valore della somma:
N

i=1
p
i
=
N

j=1
p
j
=
N

k=1
p
k
= . . .
Questa operazione chiara se sommiamo un numero nito di termi-
ni, mentre diventa confusa se vogliamo sommare gli inniti termini di una
successione.
Denizione 4.2. Sia p
n

n
una successione di numeri reali. La serie asso-
ciata a p
n

n
la successione s
n

n
denita dalla formula
s
n
=
n

j=1
p
j
.
1
Esistono anche altri tipi di serie: di funzioni, di vettori, ecc.
49
50 CAPITOLO 4. SERIE NUMERICHE
Useremo il simbolo

n=1
p
n
,
o anche labbreviazione

n
p
n
, per indicare la successione s
n

n
. La succes-
sione s
n

n
prende il nome di successione delle somme parziali della serie.
Osservazione 4.3. Esplicitamente, s
1
= p
1
, s
2
= p
1
+p
2
, s
3
= p
1
+p
2
+p
3
,
ecc. Osserviamo che, data una serie s
n

n
, risulta p
n
= s
n
s
n1
, e pertanto
univocamente individuata la successione che genera la serie.
Osservazione 4.4. In esatta analogia con le successioni del capitolo pre-
cedente, poco importa da quale valore parte lindice della serie. Se vero
che

n=1
p
n
e

n=0
p
n
rappresentano due serie diverse, tuttavia noto che la convergenza della
prima equivale alla convergenza della seconda. Per questo motivo, capiter
di far partire la serie dallindice 0 o dallindice 1, a seconda della convenienza.
Ovviamente, certe volte la forma della serie impone dei limiti allindice. Si
pensi ad una serie come

n=2
1
n 1
,
il cui primo indice n = 2 perch n = 1 annullerebbe il denominatore.
Osservazione 4.5. In relazione allosservazione precedente, possiamo sfrut-
tare il fatto che lindice di somma una variabile muta per eettuare uno-
perazione che sar il cambiamento di variabile nella teoria dellintegrale di
Riemann. Operiamo su un esempio: la serie

n=1
1
3
n
si trasforma nella serie

k=0
1
3
k+1
=
1
3

k=0
1
3
k
mediante il cambiamento di indice k = n 1. Per convincersene, scriviamo
con i puntini le due serie:

n=1
1
3
n
=
1
3
+
1
3
2
+
1
3
3
+. . .
51
1
3

k=0
1
3
k
=
1
3
_
1
3
0
+
1
3
+
1
3
2
+
1
3
3
+. . .
_
=
1
3
+
1
3
2
+
1
3
3
+. . .
Dunque una serie semplicemente una successione, il cui termine gene-
rale costruito sommando i primi termini di unaltra successione. Si pone
naturalmente il problema della convergenza delle serie numeriche.
Denizione 4.6. La serie

n=1
p
n
converge al valore S se
S = lim
n+
n

j=1
p
j
,
o, con la notazione usata nora, se S = lim
n+
s
n
. Con un leggero abuso
di notazione, si scrive S =

n=1
p
n
.
Langolo dello psichiatra. Gli studenti pi attenti si saranno senzaltro ac-
corti della notazione paradossale usata comunemente per indicare una serie.
Siccome abbiamo denito una serie come la successione

n
k=1
p
k

n
, usare il
simbolo

n=1
p
n
signica confondere la serie con il suo limite! Se pensassimo
di estendere questo abuso di notazione a tutte le successioni, ci accorgerem-
mo immediatamente della pazzia compiuta: invece della successione 1/n
n
,
parleremmo della successione 0, il suo limite. La scrittura abbreviata

n
p
n
gi migliore, ma non esente da critiche. Possiamo confrontare questuso
leggero dei simboli con lespressione la funzione x
3
, che alla lettera non
aatto una funzione, ma al massimo un numero reale. Probabilmente
tutto ci un retaggio della confusione fra successioni, numeri e funzioni
che caratterizzava gli albori dellanalisi matematica.
Esiste una condizione necessaria e suciente per caratterizzare le serie
convergenti.
Teorema 4.7 (Criterio di convergenza di Cauchy). Una serie

n=1
p
n

convergente se e solo se, per ogni > 0 esiste un numero N N tale che
q

n=p
[p
n
[ <
per ogni p, q N tali che p > N, q > N.
Dim. la traduzione, nel linguaggio delle serie, del teorema di completezza
di R.
52 CAPITOLO 4. SERIE NUMERICHE
A volte si riassume il contenuto di questo teorema dicendo che le code
della serie sono piccole a piacere.
Corollario 4.8. Se la serie

n=1
p
n
convergente, allora lim
n+
p
n
= 0.
Dim. Se la serie convergente, il criterio di Cauchy garantisce che, ssato
arbitrariamente > 0, esiste N N tale che, in particolare,
k

n=k1
[p
n
[ = [p
k
[ <
per ogni k > N. Ma questa la denizione del limite lim
n+
p
n
= 0.
Questo corollario, letto in negativo, aerma che se il termine generale p
n
di una serie non tende a zero, allora la serie non pu convergere. Ad esempio,
la serie

n
n1
n+2
non converge, dato che lim
n
n1
n+2
= 1. Purtroppo, non
possibile invertire questo ragionamento: vedremo presto che la serie

n
1
n
2
converge, mentre la serie

n
1
n
non converge. Entrambe hanno tutavia un
termine generale tendente a zero.
Osservazione 4.9. Dato che una serie semplicemente una successione par-
ticolare, una serie pu convergere o divergere. Nella divergenza sono inclusi
tanto la divergenza allinnito, quanto loscillazione. Per esempio, la serie

n
(1)
n
oscilla fra i valori 1 e 0.
Esempio: la serie geometrica. Sia q [0, +) un numero ssato.
Consideriamo la serie

n=0
q
n
= 1 +q +q
2
+q
3
+q
4
+. . .
Ci chiediamo se esistano scelte della ragione q che portano ad una serie
convergente. Togliendo le parentesi, facile convincersi che
(1 q)
_
1 +q +q
2
+q
3
+q
4
+. . . +q
n
_
= 1 q
n+1
.
Pertanto,
s
n
=
n

k=0
q
k
=
1 q
n+1
1 q
.
La successione s
n

n
delle somme parziali converge se e solo se lim
n+
q
n+1
esiste nito, e questo accade se se solo se 0 < q < 1. Inoltre, abbiamo anche
il valore della serie:

n=0
q
n
=
1
1 q
53
per 0 < q < 1.
Esempio: le serie telescopiche. Vanno sotto tale nome le serie

n
p
n
il
cui termine generale pu essere scritto come
p
n
= q
n
q
n+1
per una scelta opportuna di q
n

n
. allora chiaro che
n

k=1
p
k
=
n

k=1
q
k
q
k+1
= q
1
q
2
+q
2
q
3
+q
4
q
5
+. . . = q
1
q
k+1
.
Si conclude subito che

n=1
p
n
= lim
n+
n

k=1
p
k
= q
1
lim
n+
q
n+1
. (4.1)
Una serie telescopica converge se e solo se lim
n+
q
n
esiste nito. La serie
di Mengoli un esempio di questa classe di serie:

n=1
1
n(n + 1)
.
Poich
1
n(n + 1)
=
1
n

1
n + 1
,
possiamo porre q
n
= 1/n e concludere da (4.1) che la serie di Mengoli converge
a 1.
In generale, potrebbe non essere evidente n dallinizio che una serie
telescopica. Di primo acchito, la serie

n=1
log
(n + 1)
2
n(n + 2)
non sembra molto telescopica. Usando per le propriet dei logaritmi, vedia-
mo che
log
(n + 1)
2
n(n + 2)
= 2 log(n + 1) log n log(n + 2)
= [log(n + 1) log n] [log(n + 2) log(n + 1)].
La serie telescopica con q
n
= log(n+1)log n. Poich q
n
0 per n +,
da (4.1) deduciamo che questa serie converge a log 2.
54 CAPITOLO 4. SERIE NUMERICHE
4.1 Serie a termini positivi
Vanno sotto questo nome le serie i cui termini sono numeri maggiori o uguali a
zero. Queste serie presentano una forte peculiarit: o convergono o divergono
allinnito. Infatti, se p
n
0 per ogni n, allora
s
n
=
n

k=1
p
k

n+1

k=1
p
k
= s
n+1
,
e dunque la serie monotona crescente. Sappiamo che una successione mo-
notona o converge o diverge allinnito, e questo giustica la precedente
aermazione sulle serie a termini positivi. In eetti, vale di pi.
Proposizione 4.10. Sia

n
p
n
una serie a termini positivi. Questa serie
convergente se e solo se la successione s
n

n
delle sue somme parziali
limitata dallalto.
Dim. Infatti, sappiamo che s
n

n
monotona crescente. Dalla teoria vista
nel capitolo precedente, s
n

n
converge se e solo se sup
n
[s
n
[ < +, cio se
e solo se esiste una costante C > 0 tale che s
n
C per ogni n.
Il principale strumento per lanalisi della convergenza delle serie a termini
positivi il seguente teorema di confronto.
Teorema 4.11. Siano

n
p
n
e

n
q
n
sue serie a termini positivi. Suppo-
niamo che p
n
q
n
per ogni n sucientemente grande.
1. Se

n
q
n
converge, allora anche

n
p
n
converge.
2. Se

n
p
n
diverge, allora anche

n
q
n
diverge.
Dim. Nel primo caso, le somme parziali della prima serie sono pi piccole
delle somme parziali della seconda serie, le quali per ipotesi restano limitate.
Perci saranno limitate anche le somme parziali della prima serie.
Nel secondo caso, le somme parziali della seconda serie sono maggiori delle
somme parziali della prima serie. Poich queste ultime non sono limitate, non
lo saranno nemmeno quelle della serie

n
q
n
.
Osservazione 4.12. Il criterio del confronto destinato a fallire per le serie
di termini arbitrari. Ad esempio,

1
n
<
1
n
2
,
ma la serie

n
1
n
diverge (a ), mentre la serie

n
1
n
2
converge. Si veda
il Corollario 4.20.
4.1. SERIE A TERMINI POSITIVI 55
Corollario 4.13 (Criterio del confronto asintotico). Siano

n
p
n
e

n
q
n
sue serie a termini positivi. Supponiamo che
lim
n+
p
n
q
n
= (0, +).
Allora le due serie sono simultaneamente convergenti o divergenti.
Dim. Per lipotesi sul limite, esiste un numero N N tale che

2
q
n
p
n

3
2
q
n
(4.2)
per ogni n > N. La conclusione segue immediatamente dal criterio di
confronto.
Per comprendere la potenza di questo criterio, applichiamolo allanalisi
della serie

n=1
sin
1
n
2
.
Innanzitutto, i termini della serie sono positivi, dal momento che 0 < 1/n <
/2 per ogni n 1 e la funzione seno positiva nellintervallo (0, /2).
Dal limite notevole lim
x0
sin x
x
= 1 deduciamo che la serie data ha lo stesso
comportamento della serie

n=1
1
n
2
,
e presto imparareremo che questa serie convergente. Il criterio del confronto
asintotico garantisce che anche la serie iniziale converge.
Osservazione 4.14. Se nel criterio del confronto asintotico risulta = 0,
non pi possibile dedurre che le serie

n
p
n
e

n
q
n
hanno lo stesso compor-
tamento rispetto alla convergenza. Per convincerci di questo, consideriamo
p
n
= 1/n
2
e q
n
= 1/n. Ovviamente lim
n+
p
n
/q
n
= lim
n+
1/n = 0, ma
impareremo presto che

n
1
n
diverge, mentre

n
1
n
2
converge.
Non tutto comunque perduto: se = 0, possiamo concludere che la
convergenza di

n
q
n
implica la convergenza di

n
p
n
. Infatti, per = 0
vale solo la seconda disuguaglianza di (4.2), perci

n
p
n
(3/2)

n
q
n
.
2
2
Siamo volutamente imprecisi: la conclusione rigorosa sarebbe che le somme parziali
della serie con p
n
sono maggiorate dalle somme parziali della serie con q
n
. Come sappiamo,
il criterio asintotico non pu garantire la (4.2) anche per i primi valori di n, e questo
potrebbe invalidare la relazione

n
p
n
(3/2)

n
q
n
.
56 CAPITOLO 4. SERIE NUMERICHE
4.2 Criteri di convergenza
Ma esistono metodi generali per decidere se una data serie sia convergente?
La risposta ampiamente aermativa per le serie a termini positivi, ed so-
lo parzialmente aermativa per le serie qualunque. Nel seguito, esporremo
alcuni criteri classici per studiare la natura di una serie numerica.
Teorema 4.15 (Criterio della radice). Sia

n
p
n
una serie a termini posi-
tivi. Supponiamo che
lim
n+
n

p
n
= L.
Se L < 1, allora la serie converge; se L > 1, allora la serie diverge. Il criterio
non applicabile se L = 1.
Dim. Supponiamo dapprima che L < 1. Preso (1L)/2, esiste un numero
naturale N tale che
n

p
n
< L + = (1 + L)/2 per ogni n > N. Elevando
questa diseguaglianza alla potenza n,
p
n
<
_
1 +L
2
_
n
,
e poich la serie geometrica

n=0
_
1+L
2
_
n
convergente
3
dal criterio del
confronto concludiamo che

n
p
n
converge. Se invece L > 1, prendiamo
= (L 1)/2, e come prima arriviamo a
n

p
n
>
_
1 +L
2
_
n
> 1
per ogni n > N. Quindi p
n

n
non tende a zero, e la serie non pu convergere.
Teorema 4.16 (Criterio del rapporto). Sia

n
p
n
una serie a termini posi-
tivi. Supponiamo che
lim
n+
p
n+1
p
n
= L.
Se L < 1, allora la serie converge; se L > 1, allora la serie diverge. Il criterio
non applicabile se L = 1.
Dim. Supponiamo dapprima che L < 1. Preso (1L)/2, esiste un numero
naturale N tale che p
n+1
/p
n
< L + = (1 + L)/2 per ogni n > N. Quindi
p
n+1
< p
n
(1 +L)/2 per ogni n > N. Ma allora
p
n
<
1 +L
2
p
n1
<
_
1 +L
2
_
2
p
n2
< . . . <
_
1 +L
2
_
nN1
p
N+1
,
3
Infatti
1+L
2
< 1.
4.2. CRITERI DI CONVERGENZA 57
che possiamo scrivere come
p
n
<
p
N+1
_
1+L
2
_
N+1
_
1 +L
2
_
n
.
Ancora dal confronto con la serie geometrica convergente

n=0
_
1+L
2
_
n
de-
duciamo la convergenza di

n
p
n
. Viceversa, per L > 1, preso = (L1)/2,
ripetendo gli stessi ragionamenti arriviamo a
p
n
>
p
N+1
_
1+L
2
_
N+1
_
1 +L
2
_
n
ed ancora una volta il termine generale p
n
non tende a zero.
Osservazione 4.17. Lo studente avr notato che questi criteri sono sem-
plicemente applicazioni del criterio del confronto con opportune serie geo-
metriche. Le divergenze, invece, sono dedotte dal fatto che viene violata la
condizione necessaria per la convergenza di una serie. Intuitivamente, questo
fatto ci induce a sospettare che i due criteri non siano particolarmente ni nei
casi meno accademici. Come anticipato, nel caso L = 1 nessuno dei criteri
ecace. Rimandiamo la disamina di questo fatto allosservazione successiva.
Osservazione 4.18. Il criterio del rapporto, di solito, di applicazione pi
immediata. Ormai sappiamo che in matematica non si fanno sconti, e pun-
tualmente ci accade anche in questa situazione. Si potrebbe mostrare che
il criterio della radice pi potente: quando ecace, lo anche il criterio
del rapporto. Quando non conclusivo (per L = 1), anche il criterio del
rapporto non porta ad alcuna conclusione. Per i dettagli, rimandiamo a [24].
Volendo fare dellironia, n luno n laltro sono criteri utili nella pratica.
Risultano invece importanti nella teoria delle serie di potenze, da cui prende
vita lanalisi matematica nel piano complesso.
Un criterio piuttosto ecace il seguente, a dispetto della formulazione
vagamente misteriosa.
Teorema 4.19 (Criterio di condensazione). Sia

n
p
n
una serie a termini
positivi. Supponiamo che p
n+1
p
n
per ogni n. Sotto tali ipotesi, la serie

n
p
n
converge se e solo se converge la serie

k
2
k
p
2
k.
58 CAPITOLO 4. SERIE NUMERICHE
Dim. Poich stiamo lavorando con serie a termini positivi, ci basta dimo-
strare che le somme parziali di

n
p
n
e di

k
2
k
p
2
k sono simultaneamente
limitate o non limitate dallalto. Siano
s
n
= p
1
+p
2
+. . . +p
n
,
t
k
= p
1
+ 2p
2
+. . . + 2
k
p
2
k
le somme parziali delle due serie.
Per n < 2
k
,
s
n
p
1
+ (p
2
+p
3
) +. . . + (p
2
k +. . . +p
2
k+1
1
)
p
1
+ 2p
2
+. . . + 2
k
p
2
k
= t
k
e quindi s
n
t
k
. Invece, Per N2
k
,
s
n
p
1
+p
2
+ (p
3
+p
4
) +. . . + (p
2
k1
+1
+. . . +p
2
k)

1
2
p
1
+p
2
+ 2p
4
+. . . + 2
k1
p
2
k
=
1
2
t
k
e quindi t
k
2p
n
. Unendo le due conclusioni, le succesisoni delle somme
parziali s
n

n
e t
k

k
sono simultaneamente limitate oppure illimitate, e
questo conclude la dimostrazione.
Corollario 4.20. Sia R ssato. La serie

n
1
n

converge se > 1, e
diverge se 1.
Dim. Il caso 0 semplice, perch il termine generale non tende a zero.
Applichiamo il criterio di condensazione, e ci riduciamo a studiare la serie

k
2
k
1
2
k
=

k
2
(1)k
.
Si tratta di una serie geometrica di ragione 2
1
. Essa sar convergente se
e solo se 2
1
< 1, cio se e solo se > 1, e divergente allinnito per
1.
Osservazione 4.21. Il Corollario ci convince che i criteri del rapporto e della
radice sono insoddisfacenti quando L = 1. Ad esempio, le due serie

n=1
1
n
e

n=1
1
n
2
hanno entrambe L = 1 (per entrambi i criteri), ma la prima
diverge, mentre la seconda converge. La serie

n=1
1
n
prende il nome di
4.2. CRITERI DI CONVERGENZA 59
serie armonica. La sua divergenza pu essere mostrata anche direttamente.
Chiamando al solito s
n
la somma dei suoi primi n termini, abbiamo
s
1
= 1
s
2
= 1 +
1
2
=
3
2
s
3
=
3
2
+
1
3
+
1
4
>
3
2
+
1
4
+
1
4
= 2
s
4
= 2 +
1
5
+
1
6
+
1
7
+
1
8
> 2 +
1
8
+
1
8
+
1
8
+
1
8
=
5
2
e in generale
s
2n
= 1 +
1
2
+ +
1
n
+
1
n + 1
+ +
1
2n
=
= s
n
+
1
n + 1
+ +
1
2n
s
n
+
1
2n
+ +
1
2n
= s
n
+
1
2
.
Raddoppiando quindi il numero degli addendi, la somma aumenta almeno di
un termine 1/2. Deduciamo che [s
2n
s
n
[ 1/2, e quindi non pu essere
soddisfatto il criterio di convergenza di Cauchy.
Questa serie ci consente unosservazione di natura pratica. Volendo stu-
diare al computer le serie, pu essere molto fuorviante leggere le prime somme
parziali e trarne conclusioni sulla convergenza. Infatti, per la serie armonica
si ha
s
1
= 1
s
3
< 2
s
7
< 3
s
15
< 4.
Per arrivare a 10 bisogna sommare pi di 1000 termini, e pre superare 20
occorrono fpi di un milione di addendi. Se si vuole arrivare a 100, che pure
non un segno inqeuivocabile della divergenza della serie, occorre sommare
circa 10
30
termini!
4
abbastanza evidente che questa quantit di addendi
supera ampiamente le capacit di calcolo di molti personal computer.
Il punto che le serie numeriche sono molto sensibili alle piccole pertur-
bazioni dei loro termini. La serie

n=1
1
n
1.01
4
10
30
si scrive come 1 seguito da 30 zeri.
60 CAPITOLO 4. SERIE NUMERICHE
ha termini numericamente molto prossimi a quelli della serie armonica, ma
nonostante questo convergente. Il celebre losofo francese Voltaire sugge-
riva maliziosamente al matematico tedesco Gauss che prima di mettersi a
fare conti per tre giorni, meglio controllare se non si possa usare qualche
ragionamento per arrivare in porto in tre minuti.
5
4.3 Convergenza assoluta e convergenza delle
serie di segno alterno
Tutti i criteri esposti si applicano alle serie a termini positivi.
6
Ci sono
criteri di convergenza per le serie qualunque? Prima di rispondere e la
risposta non sar del tutto soddisfacente introduciamo il concetto di serie
assolutamente convergente.
Denizione 4.22. Una serie

n
p
n
assolutamente convergente se

n
[p
n
[
convergente.
Poich [p
n
[ 0, il concetto di serie assolutamente convergente di perti-
nenza delle serie a termini positivi. Inoltre, le serie assolutamente convergenti
sono convergenti.
Proposizione 4.23. Ogni serie assolutamente convergente anche conver-
gente.
Dim. Basta osservare che p
n
[p
n
[ ed applicare il criterio del confronto.
Osservazione 4.24. La Proposizione non si inverte: vedremo che la serie

n
(1)
n
n
5
K.F. Gauss, uno dei pi importanti matematici dellera moderna, aveva una caparbia
invidiabile nel mettersi a fare calcoli. Oggi lo potremmo denire simpaticamente uno
smanettone. Ad onor del vero, certi problemi matematici possono essere risolti solo
ricorrendo a lunghe pagine di calcoli. Quello del matematico come uno scienziato che
risolve problemi dicili senza scrivere una sola riga di conti un falso mito che lusinga
tutti gli studenti del primo anno. Leleganza formale con cui vengono presentati i teoremi
non dovrebbe far passare in secondo piano i sacrici e gli sforzi dei matematici che li hanno
dimostrati per la prima volta.
6
giunto il momento di sfatare un mito: ovviamente questi criteri si applicano al-
trettanto bene alle serie a termini negativi. Limportante che tutti i termini della serie
abbiano lo stesso segno.
4.3. CONVERGENZAASSOLUTAE CONVERGENZADELLE SERIE DI SEGNOALTERNO61
converge, ma ovviamente non converge assolutamente (perch?). Questo non
diminuisce lutilit della Proposizione 4.23. Non saremmo altrimenti in grado
di stabilire la convergenza della serie

n
sin n
n
3
,
visto che i suoi termini non sono tutti dello stesso segno. Usando per la
maggiorazione [ sin n[ 1, possiamo concludere che questa serie converge
assolutamente, e quindi anche in senso ordinario.
7
Una classe di serie a termine di segno variabile quella delle serie a termini
di segno alterno.
Denizione 4.25. Una serie

n
p
n
detta serie a termini di segno alterno
quando p
n
p
n+1
0 per ogni n.
Di fatto, la Denizione richiede che ogni coppia di termini successivi nella
serie sia costituita da due numeri di segno opposto (o eventualmente nulli).
Il caso pi frequente quello delle serie del tipo

(1)
n
p
n
,
dove p
n
0 per ogni n. Per queste serie esiste un potente criterio di conver-
genza (ma non di divergenze). Premettiamo un lemma che corrisponde alla
formula di integrazione per parti nel calcolo integrale.
Lemma 4.26 (Sommatoria per parti). Siano p
n

n
e q
n

n
due successioni.
Poniamo s
1
= 0 e
s
n
=
n

k=0
p
k
per n 0. Se 0 m n sono numeri naturali, allora
m

k=n
p
k
q
k
=
m1

k=n
s
k
(q
k
q
k+1
) +s
m
q
m
s
n1
q
n
. (4.3)
Dim.
m

k=n
p
k
q
k
=
m

k=n
(s
k
s
k1
)q
k
=
m

k=n
s
k
q
k

m1

k=n1
s
k
q
k+1
e lultima espressione uguale a (4.3).
7
A volte conviene dire che una serie converge semplicemente quando essa converge
secondo la denizione generale. In questo modo, si usa un aggettivo per distinguere la
convergenza dalla convergenza assoluta.
62 CAPITOLO 4. SERIE NUMERICHE
Teorema 4.27 (Criterio di Leibniz). Supponiamo che
1. le somme parziali s
n

n
di

n
p
n
formino una successione limitata;
2. q
0
q
1
q
2
. . .;
3. lim
n+
q
n
= 0.
Allora

n
p
n
q
n
converge.
Dim. Scegliamo M > 0 tale che [s
n
[ M per ogni n. Fissato arbitrariamente
> 0, per lipotesi 3 esiste un numero naturale N tale che q
N
/(2M).
Per N n m, dal Lemma precedente ricaviamo

k=n
p
k
q
k

m1

k=n
s
k
(q
k
q
k+1
) +s
m
q
m
s
n1
q
n

m1

k=n
(s
k
s
k+1
) +q
m
+q
n

= 2Mq
n
2Mq
N
= .
Questo dimostra che la serie

n
p
n
q
n
soddisfa la condizione di Cauchy, e
quindi converge.
Corollario 4.28. Supponiamo che
1. [c
1
[ [c
2
[ [c
3
[ . . .;
2. c
2n1
0, c
2n
0;
3. lim
n+
c
n
= 0.
Allora

n
c
n
converge.
Dim. Applicare il Teorema precedente con p
n
= (1)
n+1
e q
n
= [c
n
[.
Questo corollario garantisce ad esempio che

n
(1)
n
n
converge. poich
[c
n
[ = 1/n decrescente e tende a zero. Si noti il contrasto con la convergenza
assoluta, che in questo caso non sussiste.
Esistono inniti criteri di convergenza e/o divergenza per le serie (preva-
lentemente a termini positivi). In questo breve capitolo ne abbiamo discussi
alcuni estremamente classici. Lo studente interessato potr trovarne altri
in [21] e nei testi classici di analisi matematica come [16]. I testi pi recenti
sembrano dare molto meno peso a questi criteri, dal momento che sono tutti
riconducibili al criterio di confronto (eventualmente asintotico).
Capitolo 5
Limiti di funzioni e funzioni
continue
Con questo capitolo, lasciamo il mondo delle successioni, cio delle funzio-
ni denite sul dominio N, ed entriamo in quello delle funzioni reali di una
variabile reale. Vedremo che anche per queste funzioni sensato pensare a
un concetto di limite, ed anzi c una maggiore essibilit. Come lo stu-
dente avr osservato, i limiti delle successioni si calcolano solo per lindice
n +. Parlando in termini estremamente imprecisi, questo non ci sor-
prende pi di tanto. Daltronde, se lo spirito dei limiti quello di vedere cosa
succede quando una variabile si avvicina a piacere a un valore, una variabile
n N non pu avvicinarsi a piacere a un numero reale. Invece, una variabile
reale x pu senza dubbio essere vicina a piacere a qualunque altro numero
reale.
5.1 Limiti di funzioni come limiti di successioni
Denizione 5.1. Sia f : (a, b) R una funzione, e sia x
0
un punto di
accumulazione di (a, b).
1
Diremo che lim
xx
0
f(x) = L, o che f(x) L
per x x
0
, se lim
n+
f(x
n
) = L per ogni successione x
n
di numeri
x
n
(a, b) con lim
n+
x
n
= x
0
e x
n
,= x
0
per ogni n.
Logicamente parlando, questa denizione rigorosa: sappiamo calcola-
re i limiti di succesioni e questo tutto quello che la denizione richiede.
Confrontando con la denizione di limite per successioni, troviamo imme-
1
Non una svista, x
0
potrebbe essere uno degli estremi del dominio di f, anche se f
non denita per questi due valori.
63
64 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI E FUNZIONI CONTINUE
diatamente una diversa caratterizzazione dei limiti di funzioni.
2
Per inciso,
vericare una relazione di limite con la Denizione 5.1 praticamente impos-
sibile. Vedremo fra poco che la condizione (ii) del seguente teorema rende le
veriche pi agevoli.
Teorema 5.2. Siano f e x
0
come nella Denizione. Sono equivalenti
(i) lim
xx
0
f(x) = L;
(ii) per ogni > 0 esiste > 0 tale che [f(x) L[ < per ogni x (a, b)
tale che 0 < [x x
0
[ < .
Dim. Supponiamo che sia vera la (i) ma che la (ii) sia falsa. Allora esiste
> 0 ed esiste una successione x
n
tale che x
n
x
0
, x
n
,= x
0
, ma [f(x
n
)
L[ . Quest una contraddizione con lipotesi (i), e perci anche (ii)
deve essere vera. Viceversa, supponiamo che sia vera (ii) e dimostriamo la
(i). Sia x
n
una qualunque successione di elementi di (a, b), distinti da x
0
e tali che x
n
x
0
. Fissiamo > 0 e sia > 0 il numero la cui esistenza
garantita dallipotesti (ii). Denitivamente, 0 < [x
n
x
0
[ < , e dunque
[f(x
n
) L[ < . Questo signica esattamente che lim
n+
f(x
n
) = L.
Invitiamo lo studente ad osservare e memorizzare la richiesta x
n
,= x
0
e
lequivalente 0 < [x x
0
[. Entrambe signicano che, nelleettuare lopera-
zione di limite per x x
0
, possiamo (e dobbiamo) trascurare completamente
tutto ci che avviene nel punto x
0
. Nel punto x
0
a cui tende la x la funzione f
potrebbe tranquillamente non essere denita. Ma anche se lo fosse, il valore
f(x
0
) non importerebbe nulla. Per esempio, le due funzioni
f(x) = x x R
e
g(x) =
_
x, x ,= 0
1, x = 0
assumono valori diversi in x
0
= 0, e tuttavia lim
xx
0
f(x) = lim
xx
0
g(x) =
0. LAutore di [13] sottolinea che la richiesta [xx
0
[ > 0 potrebbe tranquil-
lamente essere omessa, perch le funzioni che in questo modo non avrebbero
limite sarebbero senza importanza. Chi scrive rispetta ovviamente questo
punto di vista, ma non lo condivide. Il concetto di limite sembra infatti
particolarmente signicativo proprio perch applicabile in quei punti vici-
ni a piacere al dominio di denizione (i cosiddetti punti di accumulazione
2
In certi testi italiani, il prossimo teorema viene chiamato teorema ponte. Non avendo
mai capito bene questa terminologia, preferiamo evitarla.
5.1. LIMITI DI FUNZIONI COME LIMITI DI SUCCESSIONI 65
per il dominio di denizione) ma non necessariamente appartenenti al domi-
nio medesimo. Quindi, una scrittura come lim
x0+
1
x
= + perderebbe di
signicato.
Osservazione 5.3. fondamentale che lo studente capisca il seguente fatto:
se esiste un > 0 come nel punto (ii) del Teorema precedente, anche tutti i
numeri positivi

< vanno bene. Nella pratica, questo signica che possiamo
sempre considerare restrizioni come 1 quando verichiamo un limite. In
eetti, la dimostrazione di limite non pretende che si individui il migliore
> 0 che verichi le richieste.
Per chiarire come si applica la denizione di limite, dimostriamo che per
ogni a > 0
lim
xa

x =

a.
Infatti, consideriamo la quantit

x

a; moltiplicando e dividendo per

x +

a si ottiene
3

=
[x a[

x +

a
<
[x a[

a
.
Fissato allora > 0, si avr [

a[ < non appena x 0 e [xa[ <

a;
la relazione (ii) del Teorema sar allora vericata con =

a. Osserviamo
che il risultato vale anche per a = 0, con una diversa dimostrazione. Infatti,
[

0[ =

x < non appena 0 x <
2
. Baster scegliere =
2
.
Lo studente ha certamente notato che il valore del limite altro non che
il valore assunto da

x quando x = a. Insomma, sarebbe bastato sostituire
x = a nella funzione

. Certamente non un caso, e capiremo nel capitolo
successivo tutte le ragioni di questa apparente coincidenza.
Osservazione 5.4. Una denizione pi generale di limite la seguente. Sia
f : E R una funzione, denita sullinsieme E R. Sia x
0
un punto di
accumulazione di E; diciamo che
lim
xx
0
xE
f(x) = L
se, per ogni successione x
n
di elementi x
n
E, escluso al pi x
0
stes-
so, convergente a E, accade che lim
n+
f(x
n
) = L. Oppure, in manie-
ra equivalente, se per ogni > 0 esiste > 0 tale che, per ogni x
E ((x
0
, x
0
+) x
0
), accade che [f(x) L[ < .
3
Aumentando il denominatore, la frazione diminuisce. Poich

x +

a >

a, valida
lultima disuguaglianza.
66 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI E FUNZIONI CONTINUE
Questa denizione si riduce alle precedenti quando E un intervallo, e
contiene automaticamente i limiti per x , ma in un corso elementare
ce il rischio che leleganza di questa denizione non venga apprezzata.
Introduciamo ora i limiti allinnito. Vediamo come si esprimono le
corrispondenti denizioni.
Denizione 5.5. Sia f : (a, b) R e sia x
0
[a, b]. Diremo che
lim
xx
0
f(x) = + se per ogni K > 0 esiste > 0 tale che f(x) > K
per ogni x (x
0
, x
0
+).
Denizione 5.6. Sia f : (a, b) R e sia x
0
[a, b]. Diremo che
lim
xx
0
f(x) = se per ogni K > 0 esiste > 0 tale che f(x) < K
per ogni x (x
0
, x
0
+).
Denizione 5.7. Sia f : (a, +) R una funzione denita su un intervallo
illimitato a destra.
4
Diremo che lim
x+
f(x) = L R se per ogni > 0
esiste M > 0 tale che [f(x) L[ < per ogni x > M.
Denizione 5.8. Sia f : (, b) R una funzione denita su un intervallo
illimitato a sinistra.
5
Diremo che lim
x
f(x) = L R se per ogni > 0
esiste M > 0 tale che [f(x) L[ < per ogni x < M.
Denizione 5.9. Sia f : (a, +) R una funzione denita su un intervallo
illimitato a destra. Diremo che lim
x+
f(x) = + R se per ogni K > 0
esiste M > 0 tale che f(x) > K per ogni x > M.
Denizione 5.10. Sia f : (a, +) R una funzione denita su un inter-
vallo illimitato a destra. Diremo che lim
x+
f(x) = R se per ogni
K > 0 esiste M > 0 tale che f(x) < K per ogni x > M.
Ripetiamo che le denizioni scritte qui sopra non sono denizioni indi-
pendenti dalla 5.1. Le abbiamo riportate solo per convenienza, ed invitiamo
lo studente a formularle con il linguaggio della Denizione 5.1.
Concludiamo con la denizione di limiti per eccesso e per difetto.
Denizione 5.11. Sia f : (a, b) R e sia x
0
(a, b). Diremo che
lim
xx
0

f(x) = L
se per ogni > 0 esiste > 0 tale che [f(x)L[ < per ogni x (x
0
, x
0
).
Analogamente, diremo che
lim
xx
0
+
f(x) = L
se per ogni > 0 esiste > 0 tale che [f(x)L[ < per ogni x (x
0
, x
0
+).
4
Ricordiamo che (a, +) = x R [ x > a.
5
Ricordiamo che (, b) = x R [ x < b.
5.2. TRADUZIONE DEI TEOREMI SULLE SUCCESSIONI 67
La dierenza rispetto alla denizione completa di limite che alla x
permesso di avvicinarsi a x
0
solo per valori minori oppure maggiori di x
0
stesso.
La seguente proposizione aerma che una funzione ha limite se, e soltanto
se, esistono niti ed uguali i limiti da destra e da sinistra.
Proposizione 5.12. Sia f : (a, b) R e sia x
0
(a, b). Sono equivalenti
1. lim
xx
0
f(x) = L
2. lim
xx
0

f(x) = lim
xx
0
+
f(x) = L.
Dim. chiaro che se il limite esiste, a maggior ragione esistono i due limiti
direzionali, e coincidono con il valore del limite. Viceversa, supponiamo che
i due limiti direzionali esistano e coincidano: sia L il valore comune di questi
due limiti. Dalle denizioni, ssato > 0, esistono

> 0 e
+
> 0 tali che
[f(x) L[ < se x
0

< x < x
0
e [f(x) L[ < se x
0
< x < x
0
+
+
.
Deniamo = min

,
+
. Allora, qualunque sia x
0
(x
0
, x
0
+)x
0
,
risulta [f(x) L[ < . Poich > 0 arbitrario, questo dimostra che
lim
xx
0
f(x) = L.
Osservazione 5.13. La precedente Proposizione piuttosto intuitiva. Do-
potutto, ci sono solo due modi di avvicinarsi ad un punto: da sinistra o da
destra. E se il comportamento durante lavvicinamento da sinistra coincide
con il comportamento avvicinandosi da destra, naturale credere che il limi-
te debba esistere. Il discorso cambia radicalmente in dimensione maggiore o
uguale a due. Gi nel piano cartesiano, esistono inniti modi di avvicinarsi
ad un punto: lungo una retta, lungo una spirale, saltando da una parte
allaltra, ecc. Questo fa presagire che lo studio dei limiti per funzioni di due
o pi variabili sia alquanto complicato, e che lavvicinamento lungo direzioni
privilegiate non baster mai a descrivere interamente i limiti.
5.2 Traduzione dei teoremi sulle successioni
La Denizione 5.1 come la chiave di un codice segreto: ci permette di
tradurre nel linguaggio delle funzioni le propriet dei limiti viste per le suc-
cessioni.
6
Ne enunciamo alcune, con lavvertenza che si tratta solo di alcuni
dei casi possibili per le funzioni. Per comodit, diamo gli enunciati per limiti
al nito, ma enunciati corrispondenti valgono per i limiti allinnito.
6
In questo senso, le successioni sono sucienti a caratterizzare tutti i limiti delle funzioni
reali di una variabile reale. Non si tratta di una banalit, visto che concettualmente i limiti
di funzione diventano un caso speciale dei limiti di successione. Al fondo c una propriet
topologica di R che non abbiamo la possibilit di discutere in queste pagine.
68 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI E FUNZIONI CONTINUE
Teorema 5.14 (Unicit del limite). Sia f : (a, b) R e sia x
0
[a, b]. Se
lim
xx
0
f(x) = L
1
e lim
xx
0
f(x) = L
2
, allora L
1
= L
2
.
Teorema 5.15 (Limitatezza locale). Sia f : (a, b) R e sia x
0
[a, b]. Se
esiste nito il limite lim
xx
0
f(x), allora f localmente limitata vicino a x
0
.
Pi esplicitamente, esiste un intorno I di x
0
ed esiste un numero C > 0 tali
che [f(x)[ < C per ogni x I.
Teorema 5.16. Sia f : (a, b) R e sia x
0
[a, b]. Se lim
xx
0
f(x) = L > 0,
allora esiste un intorno U di x
0
in cui f > 0. Se f 0 in un intorno di x
0
e se esiste il lim
xx
0
f(x) = L, allora L 0.
Teorema 5.17 (Due carabinieri). Siano f, g ed h tre funzioni denite in
(a, b), e sia x
0
[a, b]. Supponiamo che, per ogni x (a, b), risulti g(x)
f(x) h(x). Se lim
xx
0
g(x) = lim
xx
0
h(x) = L, allora lim
xx
0
f(x) = L.
Teorema 5.18. Sia f : (a, b) R una funzione monotona (crescente oppure
decrescente).
(i) Se f crescente, allora
lim
xb
f(x) = sup
x(a,b)
f(x), lim
xa+
f(x) = inf
x(a,b)
f(x).
(ii) Se f decrescente, allora
lim
xa+
f(x) = sup
x(a,b)
f(x), lim
xb
f(x) = inf
x(a,b)
f(x).
5.3 Raccolta di limiti notevoli
Proposizione 5.19. Valono le seguenti relazioni di limite.
lim
x0
sin x
x
= 1 (5.1)
lim
x0
1 cos x
x
2
=
1
2
(5.2)
lim
x0
tan x
x
= 1 (5.3)
lim
x0
(1 +x)
1/x
= e (5.4)
lim
x0
e
x
1
x
= 1 (5.5)
lim
x0
log(1 +x)
x
= 1 (5.6)
5.3. RACCOLTA DI LIMITI NOTEVOLI 69
O
P
T
Q
Figura 5.1: Il limite notevole lim
x0+
sin x
x
= 1
Dim. Il primo limite ha una dimostrazione dal sapore geometrico. Innazi-
tutto, la funzione x
sin x
x
pari (lo studente lo verichi secondo la deni-
zione), e pertanto ci baster dimostrare il limite notevole per x 0
+
. Sia
x > 0 un angolo piccolo. Dalla denizione geometrica di sin x, discende
che sin x x tan x.
7
Nella gura 5.1, Q il punto di intersezione fra la
circonferenza e il segmento OT, x la lunghezza dellarco PQ, tan x quel-
la del segmento TP. Invece sin x la lunghezza del segmento che scende
perpendicolarmente dal punto Q no ad incontrare il segmento OP. Poich
sin x > 0 per 0 < x <

2
, possiamo dividere queste disuguaglianze per sin x e
ottenere
1
x
sin x

1
cos x
,
e il teorema dei due carabinieri garantisce che lim
x0+
x
sin x
= 1.
Il secondo limite notevole si ottiene dal primo:
1 cos x
x
2
=
(1 cos x)(1 + cos x)
x
2
(1 + cos x)
=
1 cos
2
x
x
2
(1 + cos x)
=
sin
2
x
x
2
(1 + cos x)
.
7
Si tratta di una dimostrazione in cui molto lasciato allintuizione geometrica, e
dunque poco apprezzata dai bourbakisti.
70 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI E FUNZIONI CONTINUE
Quindi
lim
x0
1 cos x
x
2
= lim
x0
_
sin x
x
_
2
lim
x0
1
x
2
(1 + cos x)
=
1
2
.
Il terzo limite quasi ovvio, basta scrivere tan x =
sin x
cos x
ed usare il primo
limite notevole.
Il quarto limite di solito usato come denizione del numero di Nepero
e. Spesso lo si trova scritto nella forma equivalente
lim
x
_
1 +
1
x
_
x
= e.
Gli ultimi due limiti, fra loro equivalenti (suggerimento: cambiare la variabile
1 + x = e
t
), possono essere dimostrati solo utilizzando la denizione della
funzione esponenziale. Non avendo tempo di discutere la costruzione delle
potenze reali con base reale, ci accontentiamo di sapere il valore dei limiti.
5.4 Continuit
inutile sottolineare che non sempre una funzione ha limite. La funzione
f : [0, 1] R denita da
f(x) =
_
0, x Q
1, x R Q
non ha limite per x 1. Infatti, ogni intorno di 1 contiene inniti valori di
x in cui f(x) = 0, e inniti valori di x in cui f(x) = 1.
8
Daltronde, anche se il limite esiste, pu non aver niente a che vedere
con il valore della funzione in quel punto. Abbiamo proprio sottolineato che
loperazione di limite ignora per denizione il valore della funzione nel punto
verso cui ci stiamo avvicinando.
Denizione 5.20. Sia f : [a, b] R una funzione reale di una variabile
reale, e sia x
0
[a, b]. Diciamo che f continua nel punto x
0
se per ogni
> 0 esiste > 0 tale che [f(x)f(x
0
)[ < per ogni x (x
0
, x
0
+)[a, b].
Diremo che f continua in [a, b] se continua in ogni punto x
0
[a, b].
8
Sempre per lo studente pi curioso, risulta liminf
x1
f(x) = 0 < 1 =
limsup
x1
f(x) e quindi il limite non esiste.
5.4. CONTINUIT 71
Confrontando questa denizione con quella di limite, abbiamo una carat-
terizzazione della continuit in termini di limiti.
9
Teorema 5.21. Sia f : [a, b] R una funzione reale di una variabile reale,
e sia x
0
[a, b]. La funzione f continua in x
0
se e solo se lim
xx
0
f(x) =
f(x
0
).
Corollario 5.22. Una funzione f continua in un punto x
0
appartenente
al suo dominio se e solo se
lim
xx
0

f(x) = lim
xx
0
+
f(x) = f(x
0
).
Dalle regole per il calcolo algebrico dei limiti, segue immediatamente che
tutte le funzioni polinomiali, cio le funzione rappresentate da un polinomio

N
i=1
a
i
x
i
di qualsiasi grado N 1 sono continue in ogni punto di R. Infatti,
la somma e il prodotto di funzioni continue sono continue. Sono inoltre
continue praticamente tutte le funzioni elementari che lo studente conosce:
seno, coseno, esponenziali, logaritmi.
Osservazione. Capita spesso di sentir dire, anche da persone autorevoli,
che la funzione x 1/x discontinua nel punto x = 0. Ora, tale funzione
non denita in x = 0, ed pertanto imbarazzante applicare la denizione
di continuit in questo caso. Di solito, non si fanno aermazioni relative ad
oggetti inesistenti. Per esempio, vero o falso che i mandarini alati hanno
quattro ruote motrici?
chiaro che questa discussione ha una natura losoca: lecito attribuire
propriet a ci che non esiste? Io credo che non si possa parlare razionalmente
del nulla, ma capisco anche laltra posizione: il nulla non possiede alcuna
propriet, proprio perch nulla. Quindi, una funzione non denita in un
punto non possiede la continuit, e dunque discontinua.
10
9
Mentre la Denizione 5.20 ha validit generale, il teorema di caratterizzazione non
pu coprire una caso particolare: quello di una funzione come f : (0, 1) 2 R. Ci
chiediamo che cosa signichi dire che f continua in x
0
= 2. La Denizione 5.20 ci dice
che nei fatti f sempre continua in tale punto, qualunque sia il valore di f(2). Mentre
il teorema di caratterizzazione privo di senso: non si pu far avvicinare x a 2 restando
nel dominio di f. In altri termini, non ha senso scrivere lim
x2
f(x). Sembra che la
denizione di continuit proposta in [13, Denizione 7.1] risenta di questa scorrettezza.
In ogni caso, per un corso come il nostro, il dominio delle funzioni non contiene punti
isolati, ed il teorema di caratterizzazione contiene una condizione necessaria e suciente
per la continuit.
10
Molti dei pi celebri scienziati erano anche loso, e queste diatribe hanno a volte
rallentato il progresso scientico. Nelle scienze umane, la sovrapposizione fra progresso
scientico e insegnamento religioso ha generato molte pagine buie della storia del pensiero
moderno. In questo senso, una disciplina astratta come la matematica ha sempre goduto
di maggiore libert.
72 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI E FUNZIONI CONTINUE
Torniamo al nostro programma. Abbiamo osservato che eettuando le
quattro operazioni algebriche su funzioni continue, otteniamo ancora funzioni
continue. Ma che accade se componiamo due funzioni continue? La risposta
che la composizione ancora una funzione continua. A questo risultato
premettiamo una Proposizione sul calcolo dei limiti.
Proposizione 5.23 (Cambiamento di variabile nei limiti). Siano date due
funzioni f : (a, b) R e g : (c, d) R, e siano x
0
(a, b), y
0
(c, d). Se
(i) g(y) L per y y
0
, y (c, d);
(ii) f(x) y
0
per x x
0
, x (a, b);
(iii) o g(y
0
) = L o f(x) ,= y
0
per ogni x ,= x
0
allora lim
xx
0
g(f(x)) = L.
Dim. Dimostriamo la Proposizione nel caso in cui valga la seconda alterna-
tiva in (iii). Fissiamo > 0. Per (i) esiste > 0 tale che se y (c, d),
y ,= y
0
, [y y
0
[ < , allora [g(y) L[ < . Daltra parte se si ha f(x) (c, d),
per la (iii) f(x) ,= y
0
e per la (ii) esiste > 0 tale che se 0 < [x x
0
[ <
allora [f(x) y
0
[ < . Dunque in denitiva se x (a, b) f
1
(c, d), x ,= x
0
,
[x x
0
[ < , allora [g(f(x)) L[ < . Per larbitrariet di ge > 0, la tesi
dimostrata. Lasciamo al lettore la dimostrazione, pi facile, nel caso in cui
g(y
0
) = L. Notiamo che questo signica che g continua in y
0
.
Un commento sulla Proposizione. Perch abbiamo dovuto introdurre lal-
ternativa in (iii)? La ragione sta tutta nella condizione 0 < [x x
0
[ <
della denizione di limite. In altre parole, non ci interessiamo al valore della
funzione nel punto. Quando facciamo la composizione gf e facciamo tende-
re x a x
0
, per poter usare lipotesi (i) dobbiamo accertarci che y = f(x) ,= y
0
.
In caso contrario, potrebbe accadere un fenomeno bizzarro. Consideriamo la
funzione costante f : x y
0
, e la funzione
g(y) =
_
0, y ,= y
0
1, y = y
0
.
Quindi, la funzione composta g f la funzione costante che vale ovunque
1. Si ha f(x) y
0
per x x
0
, g(y) 0 per y y
0
, ma nessuna delle
alternative in (iii) soddisfatta. E infatti lim
xx
0
g(f(x)) = 1 ,= 0.
Teorema 5.24. Siano f : (a, b) R e g : (c, d) R due funzioni, e siano
x
0
(a, b), y
0
(c, d). Se f continua in x
0
e se g continua in y
0
= f(x
0
),
allora g f continua in g(y
0
).
5.5. INFINITESIMI ED INFINITI EQUIVALENTI 73
Dim. Basta applicare la Proposizione precedente.
Il problema della continuit della funzione inversa si pone in termini ana-
loghi: data una funzione continua ed invertibile, vero che la funzione inversa
continua? Nei limiti del nostro corso, la risposta aermativa.
11
Iniziamo da unosservazione molto intuitiva. Omettiamo la dimostrazio-
ne rigorosa, ma invitiamo caldamente lo studente a convincersi con qualche
disegno della verit di quanto aermato.
Lemma 5.25. Sia f : (a, b) R una funzione invertibile e continua in tutti
i punti di (a, b). Allora f strettamente monotona.
Lidea che si nasconde dietro questo Lemma la seguente: se f non fos-
se strettamente monotona, dovrebbe andare un po su e un po gi. Ad
esempio, dovrebbe crescere e poi decrescere. Siccome f continua, neces-
sariamente esisterebbe una retta orizzontale che interseca il graco di f in
almeno due punti distinti. Ci in contraddizione con linvertibilit di f. Ne
segue che f o va sempre su o va sempre gi, cio strettamente mono-
tona. Questo discorso non sostituisce una vera dimostrazione, ma possiamo
dire che non servirebbe aggiungere molto per ottenerne una. Lo studente
interessato trover i dettagli in [11].
Teorema 5.26. Sia f : (a, b) R una funzione strettamente monotona e
continua in tutti i punti di (a, b). Allora linversa f
1
, denita sullintervallo
(c, d), c = inff(x) [ x (a, b), d = supf(x) [ x (a, b), continua in
tutti i punti di (c, d).
Per brevit, nellenunciato siamo stati un po imprecisi. Se f stret-
tamente decrescente, lintervallo (c, d) ha un aspetto insolito, ad esempio
(5, 3). In questo caso, lo studente deve pensare di scambiare i due estremi
dellintervallo, cio deve prendere (d, c).
5.5 Innitesimi ed inniti equivalenti
Anche per le funzioni possibile parlare di innitesimi ed inniti equivalenti.
Dovrebbe essere chiaro, a questo punto, che le denizioni richiedono qualche
sottigliezza.
11
Mentre il teorema di continuit delle funzioni composte un teorema valido in generale,
quello di continuit della funzione inversa non lo . Se studiassimo funzioni denite su
insiemi pi grandi di R occorrerebbero ipotesi supplementari.
74 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI E FUNZIONI CONTINUE
Denizione 5.27. Siano f e g due funzioni, denite almeno in un intorno
bucato (x
0
, x
0
+) x
0
di un punto x
0
. Supponiamo che lim
xx
0
f(x) =
lim
xx
0
g(x) = 0 (rispettivamente ). Diciamo che f e g sono innitesimi
(rispettivamente inniti) equivalenti per x x
0
se
lim
xx
0
f(x)
g(x)
= 1,
e scriviamo
f g per x x
0
.
Osservazione 5.28. indispensabile specicare che lequivalenza sussiste
per x x
0
. Ad esempio f(x) = x(x1)
4
e g(x) = x(x1)
2
sono innitesimi
equivalenti per x 0 ma non per x 1.
Osservazione 5.29. A costo di sembrare ottusi, ribadiamo con forza che il
quoziente f(x)/g(x) deve tendere a 1: nessun altro numero permetterebbe
la sostituzione degli innitesimi ed inniti equivalenti nel calcolo dei limiti
(vedi sotto).
Osservazione 5.30. Siamo stati pedanti nella denizione precedente, alme-
no nel caso degli innitesimi. In eetti, avremmo potuto supporre addirittura
che f e g fossero continue in x
0
. Infatti, le funzioni

f(x) =
_
f(x) se x ,= x
0
0 se x = x
0
e
g(x) =
_
g(x) se x ,= x
0
0 se x = x
0
sono continue in x
0
, e si verica facilmente che f g se e solo se

f g per
x x
0
. Nel caso degli ininiti, ovviamente insensato pretendere che f e g
siano continue se entrambe divergono allinnito.
Osservazione 5.31. chiaro che denizioni simili si possono dare per x
. Ovviamente, la due funzioni dovranno essere denite (almeno) in un
intervallo del tipo (a, +) oppure (, b). Ad esempio, f(x) = sin(1/x) e
g(x) = 1/x sono innitesimi equivalenti per x +.
Vale inne un criterio di sostituzione degli innitesimi (e degli inniti)
equivalenti, che lo studente potr ricostruire per esercizio a partire dallana-
logo visto per le successioni (Proposizione 3.25).
5.6. TEOREMI FONDAMENTALI PER LE FUNZIONI CONTINUE 75
Per convincere lo studente che il principio di sostituzione degli innitesimi
(ed inniti) equivalenti non vale in ambito additivo, consideriamo il classico
limite
lim
x0
sin x x
x
3
.
Impareremo presto che tale limite vale 1/6. Ma questo conta poco: voglia-
mo invece mostrare che sbaglieremmo, se pensassimo di calcolarlo sostituendo
sin x con x. Infatti, arriveremmo alla situazione assurda
lim
x0
sin x x
x
3
= lim
x0
x x
x
3
= lim
x0
0
x
3
.
Ma perch stiamo sbagliando? Apparentemente, dovremmo concludere che
il limite esiste e vale zero. Invece questo ragionamento non sta in piedi, e ce
ne rendiamo conto se proviamo a capire i passaggi nascosti:
lim
x0
sin x x
x
3
= lim
x0
x
sin x
x
x
x
3
= lim
x0
x
_
sin x
x
1
_
x
3
= lim
x0
sin x
x
1
x
2
,
e questo limite ancora una forma di indecisione [0/0]. Insomma, possiamo
dire un po paradossalmente, che il principio di sostituzione resta quasi
vero, ma non serve a concludere!
5.6 Teoremi fondamentali per le funzioni con-
tinue
A parte le traduzioni dei teoremi sui limiti, le funzioni continue godono di
propriet peculiari, alcune abbastanza intuitive. Se lo studente torna con la
memoria alle parole certamente pronunciate dal suo professore di matema-
tica alle scuole superiori, le funzioni continue sono quelle che si disegnano
senza staccare la penna dal foglio, gli sembrer quasi ovvio che una fun-
zione continua che parte negativa e arriva positiva debba necessariamente
annullarsi.
Teorema 5.32 (Teorema degli zeri). Sia f : [a, b] R una funzione conti-
nua. Se f(a)f(b) < 0, allora esiste (almeno) un punto x
0
(a, b) tale che
f(x
0
) = 0.
Dim. Supponiamo per comodit che f(a) < 0 e f(b) > 0. Il caso f(a) > 0 e
f(b) < 0 identico. Deniamo linsieme
E = x [a, b] [ f(x) < 0.
76 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI E FUNZIONI CONTINUE
Ovviamente E contiene il punto a, ed limitato dallalto poich b / E.
Perci esiste in R il numero x
0
= sup E. Aermiamo che f(x
0
) = 0. Infatti
se f(x
0
) < 0, evidentemente x
0
< b. Inoltre per il teorema di permanenza del
segno in un intervallo a destra di x
0
f sarebbe negativa. Ci sarebbero dunque
punti di E maggiori di x
0
, e questo non possibile perch x
0
lestremo
superiore di E.
Se f(x
0
) > 0, allora x
0
> a e di nuovo per la permanenza del segno ci
sarebbe un intervallo sinistro (x
0
, x
0
) di x
0
in cui f sarebbe strettamente
positiva. I punti di E sarebbero allora tutti minori di x
0
, e dunque
x
0
x
0
, assurdo. Non resta che f(x
0
) = 0, e il teorema dimostrato.
Di questo, e di altri teoremi che vedremo, esiste una dimostrazione che fa
uso delle successioni.
12
istruttivo presentarne le idee. Si prende a
1
= a e
b
1
= b. Poi si calcola f nel punto mediano, cio
f
_
a
1
+b
1
2
_
.
Se questo numero negativo, si denisce a
2
=
a
1
+b
1
2
, altrimenti si denisce
b
2
=
a
1
+b
1
2
. Supponiamo, per ssare le idee, che a
2
=
a
1
+b
1
2
. Si divide in
due lintervallo [a
2
, b
1
] e si calcola f(
a
2
+b
1
2
) Se troviamo un valore negativo,
deniamo a
3
=
a
2
+b
1
2
, altrimenti deniamo b
2
=
a
2
+b
1
2
. Facendo sempre
lo stesso tipo di ragionamento, si costruiscono due successioni a
n
e b
n
,
con la propriet che f(a
n
) < 0 e f(b
n
) > 0. Inoltre la prima successione
monotona crescente, mentre la seconda monotona decrescente. Inne,
poich ogni volta abbiamo dimezzato lintervallo precedente, risulta
0 b
n
a
n

b a
2
n
. (5.7)
Le successioni monotone limitate
13
hanno limite, siano
a

= lim
n+
a
n
, b

= lim
n+
b
n
.
La relazione (5.7) dice che a

= b

e il teorema della permanenza de segno


dice che f(a

) 0, mentre f(b

) 0. Poich questi numeri coincidono,


devessere f(a

) = 0. Abbiamo pertanto individuato un punto di [a, b] dove


f si annulla.
12
Del teorema precedente esiste anche una dimostrazione molto elegante basata su
argomenti topologici. Si veda [24].
13
Ovviamente a
n
e b
n
sono limitate, perch composte di punti dellintervallo [a, b].
5.6. TEOREMI FONDAMENTALI PER LE FUNZIONI CONTINUE 77
Il metodo con cui abbiamo costruito a

= b

si chiama metodo di bise-


zione, ed uno dei primi metodi per il calcolo approssimato delle soluzioni
di equazioni del tipo
f(x) = 0
con f funzione continua. Pur essendo indubbiamente ecace ed elegante,
sono stati sviluppati metodi pi veloci basati sul calcolo dierenziale.
14
Proponiamo uninteressante conseguenza del teorema degli zeri.
Teorema 5.33 (Valori intermedi). Una funzione continua denita su un
intervallo [a, b] assume tutti i valori compresi fra f(a) e f(b).
Dim. Senza ledere la generalit del discorso, supponiamo f(a) f(b). Sce-
gliamo y
0
[f(a), f(b)] e dimostriamo che esiste x
0
[a, b] tale che f(x
0
) =
y
0
.
Se y
0
= f(a), basta prendere x
0
= a. Analogamente se y
0
= f(b).
Se f(a) < y
0
< f(b), deniamo la funzione ausiliaria g(x) = f(x) y
0
.
Ovviamente g : [a, b] R continua, e g(a) = f(a) y
0
< 0, g(b) = f(b)
y
0
> 0. Per il teorema degli zeri, esiste x
0
[a, b] tale che g(x
0
) = 0. Ma
questo vuole dire che f(x
0
) = y
0
. Il teorema dimostrato.
Osservazione 5.34. Come si legge in [13], per molti decenni i matematici
hanno ritenuto che la continuit fosse del tutto equivalente alla propriet
dei valori intermedi. Pi precisamente, essi pensavano che se una funzione
soddisfa la propriet dei valori intermedi in un certo intervallo [a, b], allora
deve essere continua in [a, b]. Oggi sappiamo bene che questo falso, come
dimostra la funzione
f(x) =
_
sin
1
x
, se x ,= 0
0, se x = 0.
facile vedere che, preso arbitrariamente y [1, 1], esiste almeno un nu-
mero x R tale che sin
1
x
= y.
15
Tuttavia f presenta una discontinuit in
x = 0.
14
Non insistiamo sul fatto che questi metodi funzionano solo per le funzioni del calcolo
dierenziale, mentre quelle continue sono indiscutibilmente pi numerose. Daltra parte,
molti problemi delle scienze applicate assumono tacitamente che tutte le quantit in gioco
siano funzioni estremamente addomesticate.
15
Ad esempio x = 1/ arcsiny per y ,= 0. Il caso y = 0 altrettanto facile.
78 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI E FUNZIONI CONTINUE
5.7 Massimi e minimi
In tutte le scienze, pure ed applicate, si pone un problema che possiamo for-
mulare in questi termini: massimizzare (o minimizzare) una certa quantit,
a sua volta dipendente da altre quantit.
Massimizzare il risparmio, minimizzare lattrito, scegliere il percorso mi
gliore per raggiungere un indirizzo: sono tutti esempi di ottimizzazione. Poi-
ch il nostro corso ha carattere elementare, ci limiteremo ad alcune conside-
razioni relative alle funzioni reali di una variabile reale. Avvertiamo per lo
studente che si tratta solo del primo approccio ad una teoria molto ricca e
dicile, che oggetto di ricerca attiva.
Denizione 5.35. Sia f : A R R una funzione denita su un insieme
A. Diremo che x
0
A un punto di minimo assoluto per f se
f(x
0
) = inf
xA
f(x).
Analogamente diremo che x
0
A un punto di massimo assoluto per f se
f(x
0
) = sup
xA
f(x).
In parole povere, x
0
un punto di minimo assoluto se f(x
0
) f(x) per
ogni x A. Invece x
0
un punto di massimo assoluto se f(x
0
) f(x) per
ogni x A.
Ad esempio, se f(x) = x
2
per ogni x R, ovvio che 0 un punto di
minimo assoluto. Infatti, f(0) = 0 x
2
= f(x) per ogni x R.
Avvertenza. Capita molto spesso di commettere delle piccole inesattezze
formali, parlando di massimi e minimi. Il pi frequente quello di dire un
minimo x
0
invece di un punto di minimo x
0
. A rigor di logica, il minimo
il valore f(x
0
) della funzione nel punto di minimo. Daltra parte, una volta
individuati i punti di massimo e minimo, immediato calcolare il valore della
funzione in tali punti. Questo spiega la tendenza a privilegiare la variabile
indipendente rispetto a quella dipendente. Di solito, il contesto chiarisce da
s se si stia parlando di punti di minimo oppure di valori di minimo.
Consideriamo ora la funzione x (1 x
2
)
2
denita per ogni x reale.
Essa sempre maggiore o uguale a zero, e vale zero se e solo se x 1, 1.
Quindi x = 1 e x = 1 sono gli unici due punti di minimo assoluti. Poich
lim
x
(1 x
2
)
2
= +, la funzione non limitata dallalto, e non esistono
punti di massimo assoluti. Per intuitivo che la nostra funzione, nellinter-
vallo [1, 1], deve avere dei valori maggiori di zero, e per simmetria rispetto
allasse delle ordinate in x = 0 c una specie di massimo.
5.7. MASSIMI E MINIMI 79
Denizione 5.36. Sia f : A R R una funzione denita su un insieme
A. Diremo che x
0
A un punto di minimo relativo per f se esiste un
intorno U di x
0
tale che
f(x
0
) f(x) per ogni x U A.
Diremo che x
0
A un punto di massimo relativo per f se esiste un intorno
U di x
0
tale che
f(x
0
) f(x) per ogni x U A.
Quando si parla di punti di minimo o massimo relativi, si guarda in real-
t la funzione solo vicino a tali punti, disinteressandosi completamente di
quanto accade lontano da essi. Inutile sottolineare che un punto di minimo
(o massimo) assoluto anche un punto di minimo (o massimo) relativo. Non
per vero il viceversa. Torneremo su queste considerazioni nel capitolo della
derivata.
Ma la ricerca dei punti di massimo e di minimo basata solo su conside-
razioni speciali, peculiari di volta in volta per la funzione in esame? Se cos
fosse, non esisterebbe nemmeno una teoria, ma solamente una raccolta di
trucchi. Il teorema pi famoso
16
che fornisce una garanzia per lesistenza di
punti di massimo e minimo (assoluti) dovuto al grande matematico tedesco
C. Weierstrass.
17
Teorema 5.37 (Weierstrass). Sia f : [a, b] R una funzione continua, de-
nita su un intervallo chiuso e limitato. Allora f possiede almeno un punto
di minimo assoluto ed un punto di massimo assoluto.
Dim. Presentiamo una tipica dimostrazione che usa le successioni ottimiz-
zanti. Diamo i dettagli per lesistenza del massimo assoluto, lasciando le
ovvie modiche allo studente per il caso del minimo. Sia M = sup
x[a,b]
f(x).
Se M = +, pe rle propriet dellestremo superiore, per ogni n N esiste
x
n
[a, b] tale che f(x
n
) > n, Dunque f(x
n
) + per n +. Se
M R, per ogni n N esiste x
n
[a, b] tale che
M
1
n
< f(x
n
) M
e perci f(x
n
) M per n +. In ogni caso, esiste una successione x
n

di punti di [a, b] tale che lim


n+
f(x
n
) = M.
16
Talmente famoso da essere citato perno in una pubblicit televisiva negli anni passati.
17
Una pronuncia accettabile vaierstrass.
80 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI E FUNZIONI CONTINUE
Per il Teorema 3.28, la successione x
n
possiede una sottosuccessione
x
n
k
convergente ad un punto x
1
[a, b]. Siccome f continua, f(x
n
)
f(x
0
) per n +. Ma allora
M = lim
n+
f(x
n
) = lim
k+
f(x
n
k
) = f(x
1
).
Abbiamo cos dimostrato che f(x
1
) = M = sup
x[a,b]
f(x). Ci implica che
M R e che x
1
un punto di massimo assoluto per f.
Di questo importantissimo teorema vogliamo presentare una seconda di-
mostrazione, basata sul metodo della bisezione. Seguiamo abbastanza fedel-
mente [13].
Dimostrazione alternativa. Dimostriamo ad esempio che f ha massimo as-
soluto. Detto S = sup
x[a,b]
f(x), dividiamo lintervallo I = [a, b] in due
intervalli uguali, e siano S
1
e S
2
gli estremi superiori di f in questi due
sottointervalli. Poich I lunione di questi sottointervalli, necessariamen-
te S = maxS
1
, S
2
. Abbiamo cos individuato un intervallo I
1
= [a
1
, b
1
]
tale che sup
x[a
1
,b
1
]
f(x) = S e b
1
a
1
= (b a)/2. Proseguendo allo
stesso modo, troveremmo degli int ervalli I
n
= [a
n
, b
n
] tali che I
n
I
n1
,
b
n
a
n
= (b a)/2
n
, e sup
x[a
n
,b
n
]
f(x) = S per ogni n 1. La successione
a
n
monotona crescente, e la successione b
n
monotona decrescente.
Siccome entrambe sono limitate, necessariamente sono dotate di limite ni-
to. Inoltre, lim
n+
b
n
= lim
n+
a
n
+ (b a) lim
n+
2
n
= lim
n+
a
n
.
Detto x
0
[a, b] il valore comune dei due limiti, vogliamo dimos trare che
f(x
0
) = S. Si ha ovviamente f(x
0
) S. Se fosse f(x
0
) < S, posto
2p = S f(x
0
), si avrebbe f(x
0
) = S 2p < S p e dunque, per il
teorema della permanenza del segno, esisterebbe un intorno J di x
0
tale che
f(x) < Sp per ogni x J. Daltra parte le successioni a
n
e b
n
tendono
a x
0
, e quindi per n abbastanza grande sia a
n
che b
n
cadranno in J, e dunque
I
n
= [a
n
, b
n
] J. Ma allora si dovrebbe avere f(x) < S p per ogni x I
n
,
il che in contraddizione con il fatto che sup
x[a
n
,b
n
]
f(x) = S. Concludiamo
che f(x
0
) = S, e per denizione ci signica che x
0
un punto di massimo
assoluto per la funzione f.
Osservazione 5.38. Per gli studenti pi curiosi, segnaliamo che la seconda
dimostrazione basata sulla forma del dominio di f, un intervallo chiuso e
limitato. Il teorema di Weierstrass continua a valere per qualunque funzione
continua denita su un insieme chiuso e limitato (ma non necessariamente
un intervallo). La dimostrazione alternativa non pu essere estesa a questo
caso pi generale, mentre la prima dimostrazione resta essenzialmente valida.
Per capirci, una funzione continua denita sullinsieme (chiuso e limitato)
5.7. MASSIMI E MINIMI 81
A = 0 1/n [ n N, n 1 possiede almeno un punto di massimo ed
un punto di minimo assoluti in A, ma non chiaro come generalizzare lidea
della bisezione allinsieme stravagante A. Osserviamo che A costituito
dai punti della successione 1/n
n1
e dal limite 0 di tale successione.
Pi esplicitamente, questo teorema ci dice che, sotto le ipotesi fatte, esiste
un punto x
0
[a, b] di minimo assoluto per f, ed esiste un punto x
1
[a, b]
di massimo assoluto per f. Lo studente deve ricordare che il contenuto
del Teorema di Weierstrass tutto qui. Non si aerma nulla sul numero
di punti di massimo o minimo, n sulla loro localizzazione nellintervallo
[a, b]. Potrebbero coincidere con gli estremi, potrebbero essere dieci, cento
oppure mille. E, purtroppo, non dice come individuarli. In una giornata
di pioggia, saremmo tentati di sostenere che allora un teorema inutile. In
tal caso, faremmo bene ad attendere una giornata di sole per schiarirci le
idee. Il teorema appena enunciato ci dice che, sotto le ipotesi scritte, i punti
di massimo e minimo assoluti esistono! Sarebbe una tortura dover cercare
qualcosa che forse non esiste. Ci sarebbero studenti ormai decrepiti, ancora
impegnati a controllare se una funzione ha massimi e minimi.
18
Che le ipotesi del teorema di Weierstrass servano proprio tutte, si capisce
dai prossimi esempi. Se il dominio della funzione non un intervallo chiuso
e limitato
19
possono sorge problemi. Prendiamo la funzione f : x (0, 1]
1/x R. continua sul suo dominio, ma non possiede massimo assoluto.
Infatti sup
x(0,1]
f(x) = +. Il dominio un intervallo primo di uno degli
estremi. Ma il teorema fallisce anche quando il dominio un intervallo non
limitato: f : x R e
x
R una funzione continua, priva di massimo
e di minimo assoluti. Inne, evidente che la continuit sia fondamentale.
Deniamo f : [1, 1] R come
f(x) =
_
[x[, x ,= 0
1, x = 0.
Questa funzione ha due punti di massimo assoluti negli estremi 1 e 1. Ma
non ha minimo assoluto. Infatti inf
x[1,1]
f(x) = 0 ma non esiste nessun
x
0
[1, 1] tale che f(x
0
) = 0. chiaro che f non continua in x = 0.
18
un dato di fatto che questi studenti ci sono. Forse perch il perdo professore ha
chiesto di studiare una funzione che non verica le ipotesi del teorema di Weierstrass. La
matematica interessante soprattutto quando obbliga a usare strumenti non ordinari.
19
In realt la formulazione generale del teorema di Weierstrass non si limita agli
intervalli, ma non abbiamo le conoscenze per scendere nei particolari.
82 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI E FUNZIONI CONTINUE
5.8 Punti di discontinuit
Denizione 5.39. Una funzione discontinua in un punto appartenente al
suo dominio di denizione, se non continua in quel punto.
Osservazione 5.40. La denizione precedente opinabile. Ad esempio,
tanti studenti sono fermamente convinti che la funzione x 1/(x2) sia di-
scontinua nel punto x = 2. In base alla nostra denizione, la stessa funzione
continua in tutto il suo dominio di denizione. Chi ha ragione? In mate-
matica la ragione sta sempre dalla parte di chi rispetta assiomi e denizioni.
Quindi il problema si scarica sulla giusta denizione di punto di disconti-
nuit. Quelli che pensano sia pi corretto privilegiare lidea di disegnare un
graco senza staccare la penna dal foglio, diranno sicuramente che c una
discontinuit in x = 2. Quelli che pensano le funzioni come oggetti dota-
te inevitabilmente di un dominio di denizione, probabilmente penseranno
che non ha senso parlare del comportamento di una funzione laddove non
nemmeno denita.
Poich la libert di pensiero sacra, ma per andare avanti dobbiamo sce-
gliere da che parte stare, dora in poi converremo che i punti di discontinuit
debbano appartenere al dominio di denizione. Pertanto, la nostra funzione
x 1/(x 2) sar considerata continua in tutti i punti del suo campo di
esistenza.
Ma i punti di discontinuit sono tutti uguali? Riprendiamo lenunciato
del Corollario 5.22. In un punto di discontinuit pu capitare solo un numero
molto limitato di fenomeni. Ripetiamo, a costo di perdere la voce, che x
0
deve appartenere al dominio di denizione di f.
Un primo caso quello dellultimo esempio della sezione precedente. La
nostra funzione vorrebbe essere continua, per noi le imponiamo di non
esserlo. Formalmente, ci accade quando lim
xx
0
f(x) esiste nito, ma
diverso da f(x
0
). Si usa parlare di discontinuit eliminabile in x
0
. Per quanto
detto sopra, il punto x
0
dovrebbe necessariamente appartenere al dominio di
denizione della funzione f. Tuttavia, proprio per il fatto che ci accingiamo a
denire opportunamente il valore f(x
0
), non il caso di essere troppo rigidi.
In pratica, se abbiamo una funzione fatta in modo che lim
xx
0
f(x) esiste
nito, parliamo comunque di discontinuit eliminabile in x
0
, senza neanche
controllare see x
0
appartenga oppure non appartenga al dominio di f. Basta
infatti denire una nuova funzione

f(x) =
_
f(x), x ,= x
0
lim
xx
0
f(x), x = x
0
.
5.8. PUNTI DI DISCONTINUIT 83
Questa funzione coincide con f dappertutto, tranne in x
0
. Inoltre

f
continua in x
0
, poich

f(x
0
) = lim
xx
0

f(x) = lim
xx
0
f(x).
20
Un secondo caso quello di una funzione in cui
lim
xx
0

f(x) ,= lim
xx
0
+
f(x),
pur essendo entrambi numeri reali. Il valore di f(x
0
) poco importa, non ci
sono speranze che f sia continua in x
0
. Intuitivamente, f salta dal valore
lim
xx
0

f(x) al valore lim


xx
0
+
f(x). Si parla di discontinuit a salto in x
0
.
Inne, restano... tutti gli altri casi immaginabili. Ad esempio se almeno
uno dei due limiti destro e sinistro innito, oppure se il limite lim
xx
0
f(x)
non esiste, oppure se uno solo dei limiti destro e sinistro non esiste. Parleremo
di discontinuit di terza specie, senza addentrarci in ulteriori classicazioni.
20
Uno studente spiritoso potrebbe sollevare la seguente obiezione: se permesso cam-
biare la funzione, qualunque funzione diventa continua. un po provocatorio, ma ha
un fondo di verit: se iniziamo giocando a pallacanestro, non possiamo nire giocando a
briscola.
84 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI E FUNZIONI CONTINUE
Capitolo 6
Il calcolo dierenziale
Siamo arrivati al cuore del nostro corso: introdurremo nalmente lo strumen-
to principale per analizzare il comportamento di una funzione. Molti studenti
universitari conoscono gi la derivata e le sue applicazioni. Li invitiamo a
non commettere uno degli errori pi spiacevoli, quello di vivere di rendita
sui ricordi liceali. Vedremo presto che a noi interessa esporre con rigore la
teoria delle funzioni derivabili, mentre nelle scuole superiori c la compren-
sibile tendenza a nascondere sotto il tappeto le dicolt e le patologie. Non
tutte le funzioni sono derivabili, anzi la famiglia delle funzioni derivabili
una sparuta minoranza nelluniverso delle funzioni continue.
1
6.1 Variazioni innitesime
Spiegare che cosa sia la derivata senza essere bourbakisti
2
non un compito
facile.
1
Questa frase non una sciocchezza. Esistono strumenti matematici che misurano la
percentuale di funzioni derivabili fra le funzioni continue. E il risultato, sorprendente sono
per chi si avvicina all Analisi Matematica per la prima volta, che le funzioni derivabili
sono davvero poche.
2
Dal nome di Nicholas Bourbaki. il nome collettivo di un gruppo di matematici
francesi che, nel XX secolo, decisero di rifondare la matematica moderna da un punto
di vista completamente deduttivo. Nei loro libri non si trovano spiegazioni discorsive, ma
solo denizioni seguite da teoremi e corollari. un approccio aascinante alla matematica,
ma considerato da molti pedagogicamente disastroso. Chi scrive ha sempre considerato i
libri pieni di graci, gure e divagazioni varie piuttosto fuorvianti. Danno la sensazione
che tutto sia facile, mentre la realt
`
ben pi dura. Se a molti basta avere una percezione
del proprio giardino, a molti altri farebbe comodo dare uno sguardo allintera citt. Le
parabole sono funzioni continue, ma ci sembra pi conveniente denire in astratto la
continuit e poi applicarne i risultati alle parabole.
85
86 CAPITOLO 6. IL CALCOLO DIFFERENZIALE
C chi ama parlare di rette tangenti, chi di velocit ed accelerazione. Per
tutte queste motivazioni storicolosoche, rimandiamo lo studente ad uno
dei testi citati in bibliograa. In ogni caso, lidea innovativa in comune
quella di variazione innitesima di una funzione.
Ricordiamo che, data una funzione f : (a, b) R, la variazione di f nel
punto x
0
(a, b) di incremento h il rapporto
f
x
(x
0
, h) =
f(x
0
+h) f(x
0
)
h
.
Questo rapporto ben denito quando [h[ sucientemente piccolo, in modo
che x
0
+h (a, b). Ha allora senso domandarsi che cosa rappresenti il limite
lim
h0
f
x
(x
0
, h) = lim
h0
f(x
0
+h) f(x
0
)
h
.
Spesso questo limite non esiste nemmeno; se consideriamo il punto x
0
= 0 e
la funzione f(x) = [x[, allora
lim
h0
f(x
0
+h) f(x
0
)
h
= lim
h0
[h[
h
= 1,
mentre
lim
h0+
f(x
0
+h) f(x
0
)
h
= lim
h0+
[h[
h
= 1,
Per altre funzioni, tale limite esiste banalmente. Prendiamo le funzioni
costanti: f(x) = q per ogni x reale. Allora
lim
h0
f(x
0
) +h) f(x
0
)
h
= lim
h0
q q
h
= 0,
qualunque sia x
0
. Questo non ci soprende, dato che la variazione di una fun-
zione costante non pu che essere nulla, anche prima di prendere il limite per
h 0. Se invece f(x) = mx +q una generica funzione lineare, calcoliamo
lim
h0
f(x
0
) +h) f(x
0
)
h
= lim
h0
[m(x
0
+h) +q] [mx
0
+q]
h
= m.
La variazione innitesima di una funzione lineare coincide in ogni punto con
il coeciente angolare m. Anche per la parabola f(x) = x
2
si fanno i calcoli
agevolmente:
lim
h0
f(x
0
) +h) f(x
0
)
h
= lim
h0
(x
0
+h)
2
x
2
0
h
= lim
h0
x
2
0
+ 2x
0
h +h
2
x
2
0
h
= lim
h0
2x
0
+h = 2x
0
.
6.1. VARIAZIONI INFINITESIME 87
Per la funzione x x
2
, la variazione innitesima dipende esplicitamente dal
punto x
0
in ci la calcoliamo, e il risultato 2x
0
.
Denizione 6.1. Sia f : (a, b) R una funzione data, e sia x
0
(a, b) un
punto di (a, b). Chiamiamo derivata di f in x
0
il numero
Df(x
0
) = lim
h0
f(x
0
+h) f(x
0
)
h
, (6.1)
a patto che tale limite esista nito. Diremo che f derivabile in x
0
se esiste
la derivata Df(x
0
).
Altre notazioni di uso comune per la derivata sono
f

(x
0
),
df
dx
(x
0
),
df
dx

x=x
0
,

f(x
0
)
La prima forse la pi diusa e popolare, la seconda e la terza sono dovute
a Leibniz, mentre la quarta dovuta ad I. Newton. Questultima ancora
oggi la notazione preferita in Fisica e in Meccanica, dove la Seconda Legge
di Newton ha la forma
m x = F.
Avvertenza. La derivata unoperazione che dipende dalla funzione f e dal
punto x
0
. In particolare, il nome della variabile indipendente non riveste al-
cun ruolo. Ecco perch non amiamo particolarmente la notazione
df
dx
. Quella
x a denominatore ha unevidenza che non le compete. Infatti, se usiamo una
scrittura come f(t) = t
2
, dobbiamo scrivere
df
dt
. Il grande vantaggio della
notazione frazionaria
df
dx
che permette di scrivere formule come
d
dx
sin x = cos x.
La notazione
D(x sin x)(x) = cos x,
per quanto logicamente pi corretta, sembra improponibile. Lo studente
libero di scegliere la notazione preferita, con la consapevolezza che
d
dt
sin x = cos t
una immane sciocchezza. Limportante che, compiuta una scelta, ad essa
ci si attenga con coerenza.
88 CAPITOLO 6. IL CALCOLO DIFFERENZIALE
Prima di procedere, osserviamo che la derivata anche caratterizzata
dalluguaglianza
Df(x
0
) = lim
xx
0
f(x) f(x
0
)
x x
0
.
Infatti, basta cambiare variabile: x = x
0
+h e osservare che x x
0
se e solo
se h 0.
Proposizione 6.2. Ogni funzione derivabile in un punto anche continua
in quel punto.
Dim. Sia f derivabile in x
0
. Allora
lim
h0
f(x
0
+h) f(x
0
) = lim
h0
f(x
0
+h) f(x
0
)
h
h = Df(x
0
) 0 = 0.
Quindi, ricordando losservazione che precede questa Proposizione, f(x
0
) =
lim
xx
0
f(x), e la tesi dimostrata.
Non soltanto esistono funzioni continue ma non derivabili in un singolo
punto: Carl Weierstrass ha dimostrato il seguente, sorprendente, risultato.
Teorema 6.3 (Weierstrass). possibile costruire una funzione, denita in
tutto R, che non derivabile in alcun punto.
Il bello che la dimostrazione costruttiva, cio si pu scrivere una
formula che denisce tale funzione. Si tratta comunque di una denizione
un po particolare, che richiede la conoscenza delle serie di funzioni. Una
dimostrazione alternativa contenuta in [21, Theorem 1.2, pag. 192], ma
richiede un paio di pagine di calcoli!
Vediamo adesso che la derivata identica in modo univoco una retta che
rappresenta la migliore approssimazione lineare di ogni funzione derivabile.
Proposizione 6.4. Sia f : (a, b) R una funzione, e sia x
0
(a, b). Sono
equivalenti:
(i) f derivabile in x
0
;
(ii) f continua in x
0
, e la retta di equazione y = Df(x
0
)(x x
0
) +f(x
0
)
approssima la funzione f localmente, nel senso che
lim
xx
0
f(x) (Df(x
0
)(x x
0
) +f(x
0
))
x x
0
= 0.
Lasciamo la dimostrazione per esercizio. La retta y = Df(x
0
)(x x
0
) +
f(x
0
) si chiama retta tangente al graco di f nel punto (x
0
, f(x
0
)).
6.2. IL CALCOLO DELLE DERIVATE 89
6.2 Il calcolo delle derivate
Quando un esercizio chiede di calcolare la derivata della funzione f(x) =
sin
5
_
1 + log(x 2), di sicuro nessuno studente di buon senso cercher di
applicare la denizione di derivata. Esistono infatti alcune regole di deriva-
zione, piuttosto facili da memorizzare, che ci aiutano a calcolare senza fatica
le derivate di funzioni anche molto complicate.
Teorema 6.5. Siano f e g due funzioni derivabili in un punto x
0
. Sia c un
numero reale. Allora le funzioni x f(x)+g(x), x f(x)g(x) e x cf(x)
sono derivabili in x
0
, e valgono le identi
1. D(f +g)(x
0
) = Df(x
0
) +Dg(x
0
);
2. D(cf)(x
0
) = cDf(x
0
);
3. D(fg)(x
0
) = Df(x
0
)g(x
0
) +f(x
0
)Dg(x
0
) (regola di Leibniz).
Inne, se Dg(x
0
) ,= 0, allora anche la funzione x f(x)/g(x) derivabile
in x
0
, e vale lidentit
D
_
f
g
_
(x
0
) =
Df(x
0
)g(x
0
) f(x
0
)Dg(x
0
)
(g(x
0
))
2
.
Dim. Le prime due formule sono facilissime da dimostrare, e lasciamo i det-
tagli allo studente. La terza formula richiede il trucco di aggiungere e togliere
una quantit opportuna. Facciamo il limite del rapporto incrementale per la
funzione fg:
lim
xx
0
f(x)g(x) f(x
0
)g(x
0
)
x x
0
= lim
xx
0
f(x)g(x) f(x
0
)g(x) +f(x
0
)g(x) f(x
0
)g(x
0
)
x x
0
= lim
xx
0
f(x) f(x
0
)
x x
0
g(x)
g(x) g(x
0
)
x x
0
f(x
0
)
= Df(x
0
)g(x
0
) +f(x
0
)Dg(x
0
).
La dimostrazione della formula per la derivata del quoziente potrebbe essere
fatta in modo analogo. Invece, dimostriamola innanzitutto nel caso f(x) = 1
per ogni x:
lim
xx
0
1
g(x)

1
g(x
0
)
x x
0
= lim
xx
0
g(x
0
) g(x)
x x
0
1
g(x)g(x
0
)
=
Dg(x
0
)
(g(x
0
))
2
.
90 CAPITOLO 6. IL CALCOLO DIFFERENZIALE
Osservando che, per ogni x risulta
f(x)
g(x)
= f(x)
1
g(x)
,
possiamo applicare la regola per la derivata del prodotto e lultima formula,
ottenendo la derivata del quoziente.
Quindi, attenzione: la derivata della somma la somma delle derivate,
ma la derivata del prodotto molto diversa dal prodotto delle derivate!
Unaltra regola di derivazione riguarda le funzioni composte.
Teorema 6.6 (Regola della catena). Siano f : (a, b) R, g : (c, d) R con
f((a, b)) (c, d).
3
Se f derivabile in x e se g derivabile in f(x), allora
g f derivabile in x e vale la relazione
D(g f)(x) = Dg(f(x))Df(x).
Dim. La funzione v : (c, d) R data da
v(y) =
_
g(y)g(f(x))
yf(x)
, se y ,= f(x)
Dg(f(x)), se y = f(x)
continua in f(x) perch g per ipotesi derivabile in f(x). Inoltre per ogni
h sucientemente piccolo si pu scrivere
g(f(x +h)) g(f(x))
h
= v(f(x +h))
f(x +h) f(x)
h
come si verica subito distinguendo i due casi f(x +h) ,= f(x) e f(x +h) =
f(x). Per h 0 si ha f(x + h) f(x), v(f(x + h)) v(f(x)) = Dg(f(x))
per il teorema di continuit delle funzioni composte. Quindi
lim
h0
g(f(x +h)) g(f(x))
h
= Dg(f(x))Df(x),
e il teorema dimostrato.
Osservazione 6.7. La precedente dimostrazione contiene in realt una de-
nizione equivalente di derivabilit per una funzione f, introdotta da Weier-
strass. Una funzione f, denita almeno in un intorno del punto x
0
, deriva-
bile in x
0
se e solo se esiste una funzione continua tale che
f(x) = f(x
0
) +(x)(x x
0
), per ogni x.
3
Questa condizione garantisce che la funzione g f abbia senso.
6.2. IL CALCOLO DELLE DERIVATE 91
Infatti, la funzione continua univocamente individuata dalla formula
(x) =
_
f(x)f(x
0
)
xx
0
, x ,= x
0
Df(x
0
), x = x
0
.
Leggendo fra le righe la dimostrazione del teorema precedente, lo studente
osserver che la funzion v gioca esattamente il ruolo di per la funzione g
invece che per f.
Usando la notazione frazionaria per le derivate, ponendo
y = y(x), w = w(y),
la regola di derivazione delle funzioni composte prende la forma suggestiva
dw
dx
=
dw
dy
dy
dx
.
Lo studente avr notato che la dimostrazione dellultimo teorema non aat-
to scontata. Per spiegarne laspetto pi delicato, introduciamo la notazione
f
x
=
f(x +h) f(x)
h
per il rapporto incrementale. Scriviamo per semplicit y = f(x). Ora, non
vero che
(g f)
x
=
g
y
y
x
.
Il punto che potremmo aver diviso per zero, operazione vietata in mate-
matica. Nessuno pu garantire che y = f(x + h) f(x) ,= 0, a meno
di supporre che Df(x) ,= 0. Tuttavia, sarebbe assolutamente pretestuoso
aggiungere questa ipotesi nel teorema, che infatti vale comunque.
4
Per applicare la regola della catena, occorre imparare ad isolare gli atomi
che compongono una funzione. Tutte le funzioni di questo corso sono solo
somme, prodotti, quozienti e composizioni delle solite funzioni elementari.
Per esempio x sin(1 +x) si decompone nella composizione
x 1 +x sin(1 +x).
4
Daccordo, lo studente libero di credere che si commetterebbe un peccato veniale. In
matematica, purtroppo, le dimostrazioni sono giuste o sbagliate. Spiace comunque notare
che parecchi libri di testo, sia per le scuole superiori che per luniversit, propongono una
dimostrazione sbagliata della regola della catena.
92 CAPITOLO 6. IL CALCOLO DIFFERENZIALE
Quindi
d
dx
sin(1 +x) = cos(1 +x) 1,
poich f(x) = 1 + x e g(y) = sin y. molto utile ragionare come se fossimo
una calcolatrice: ci viene fornito x, e su tale variabile facciamo delle ope-
razioni. Nellesempio, prima calcoliamo 1 + x, e poi calcoliamo il seno del
risultato. Ecco dunque le due funzioni che compongono x sin(1 +x). Non
c nulla di sbagliato in questo approccio, anche se presto si impara a rag-
gruppare le operazioni pi comuni. Se vero che per la funzione x 3x +2
si prende x, si trova 3x e p oi si trova 3x + 2, ben poche persone applicano
la regola della catena a questa funzione. Pi semplicemente, si nota che
d
dx
(3x + 2) =
d
dx
(3x) +
d
dx
2 = 3.
Il risultato deve essere lo stesso, ma lesperienza aiuta sempre a scegliere
quale strada prendere per giungere rapidamente al traguardo.
Esiste naturalmente una formula di derivazione della funzione inversa.
Purtroppo, lenunciato sembra pi dicile di quanto non lo sia davvero.
Teorema 6.8 (Derivata della funzione inversa). Sia f : (a, b) (c, d) una
funzione biunivoca e derivabile nel punto x
0
(a, b). Allora la funzione
inversa f
1
: (c, d) (a, b) derivabile nel punto y
0
= f(x
0
) (c, d), e vale
la relazione
Df
1
(y
0
) =
1
Df(x
0
)
. (6.2)
Dim. La dimostrazione diretta: siano y
0
= f(x
0
) e k = f(x
0
+h) f(x
0
).
Per la continuit della funzione inversa, k 0 per h 0. Quindi
lim
k0
f
1
(y
0
+k) f
1
(y
0
)
k
= lim
h0
h
f(x
0
+h) f(x
0
)
.
Ma questa esattamente la relazione (6.2).
Illustriamo questo teorema con un esempio. Vogliamo calcolare la deri-
vata della funzione logaritmo, denita da y (0, +) log y. noto che
questa la funzione inversa della funzione f : x R e
x
, nel senso che
log e
x
= x per ogni x R e e
log y
= y per ogni y > 0. Quindi stiamo calco-
lando la derivata di f
1
. Poich Df(x
0
) = e
x
0
per ogni x
0
reale, la regola
del precedente teorema ci garantisce che , se y
0
= e
x
0
, allora
Df
1
(y
0
) =
1
e
x
0
.
6.3. I TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLODIFFERENZIALE93
Quindi
Dlog(y
0
) =
1
e
x
0
=
1
y
0
,
e questo vale per ogni y
0
> 0. Abbiamo quindi trovato la derivata del-
la funzione logaritmo, senza nemmeno scriverne il rapporto incrementale.
Seguendo questo schema, si calcolano le derivate delle funzioni inverse di se-
no, coseno, tangente. Lo studente potr ricavare le rispettive formule per
esercizio, e trover i dettagli nei testi citati in bibliograa.
6.3 I teoremi fondamentali del calcolo dieren-
ziale
Finora, lintroduzione della derivata non sembra questa gran rivoluzione. Si
tratta di calcolare qualche limite di rapporti incrementali, usando di volta in
volta unaccorgimento particolare. Invece sono svariate le applicazioni delle
derivate allanalisi delle funzioni, e in questo paragrafo ce ne occuperemo
dettagliatamente.
Per prima cosa, pu essere utile denire le derivate sinistra e destra in un
punto.
Denizione 6.9. Sia f : (a, b) R una funzione continua, e sia x
0
(a, b).
Diciamo che f possiede derivata sinistra in x
0
se esiste nito il limite
lim
h0
f(x
0
+h) f(x
0
)
h
.
Analogamente, f possiede derivata destra in x
0
se esiste nito il limite
lim
h0+
f(x
0
+h) f(x
0
)
h
.
Proposizione 6.10. Una funzione f : (a, b) R derivabile nel punto x
0

(a, b) se e solo se f ha derivata destra e derivata sinistra in x
0
, e queste sono
uguali fra loro.
Dim. una conseguenza immediata della Proposizione 5.12.
Una prima applicazione di questo fatto alle funzioni denite per incol-
lamento.
94 CAPITOLO 6. IL CALCOLO DIFFERENZIALE
Teorema 6.11. Siano p: (a, b) R e q : (a, b) R due funzioni continue e
derivabili. Sia x
0
(a, b) un punto ssato. Deniamo la funzione f : (a, b)
R come
f(x) =
_
p(x), x (a, x
0
)
q(x), x [x
0
, b).
Allora
1. f continua in x
0
se e solo se p(x
0
) = q(x
0
);
2. f derivabile in x
0
se e solo se p(x
0
) = q(x
0
) e Dp(x
0
) = Dq(x
0
).
La dimostrazione evidente. Sottolineiamo che la sola condizione
Dp(x
0
) = Dq(x
0
) non suciente a garantire la derivabilit di f. In-
fatti le due funzioni p(x) = x e q(x) = x + 1 hanno la stessa derivata in
x
0
= 0, ma la funzione f costruita incollandole nellorigine ha un salto.
Esempio. Applichiamo questa ricetta alla funzione f(x) = [x[. In eetti,
in base alla denizione del valore assoluto, possiamo scrivere
f(x) =
_
x, (x 0)
x, (x < 0)
e da ci deduciamo che f non derivabile in x
0
= 0. Infatti lincollamento
continuo in questo punto, ma la derivata di x dierisce da quella di x. In
ogni altro punto x ,= 0, la derivata vale
f(x) =
_
1, (x 0)
1, (x < 0).
A volte si introduce la funzione segno sign: R 0 R denita da sign x =
x
|x|
. Per esercizio, lo studente verichi che f

(x) = sign x per ogni x ,= 0.


Il prossimo teorema, dovuto al matematico francese Fermat,
5
di fonda-
mentale importanza nella ricerca di massimi e minimi di una data funzione.
Teorema 6.12 (Fermat). Sia f : (a, b) R una funzione, e sia x
0
(a, b)
un punto di massimo (o di minimo) relativo. Se f derivabile in x
0
, allora
Df(x
0
) = 0.
5
Si pronuncia ferm.
6.3. I TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLODIFFERENZIALE95
Dim. Supponiamo che x
0
sia un minimo relativo. Dunque, esiste un intorno
[x
0
, x
0
+ ] di x
0
tale che f(x
0
) f(x) per ogni x di tale intorno. Sia
h (, ), e costruiamo il rapporto incrementale di f in x
0
:
f(x
0
+h) f(x
0
)
h
.
Poich x
0
+h [x
0
, x
0
+], il numeratore sempre maggiore o uguale a
zero. Ne deduciamo che
Df(x
0
) = lim
h0
f(x
0
+h) f(x
0
)
h
0,
mentre
Df(x
0
) = lim
h0+
f(x
0
+h) f(x
0
)
h
0.
Se un numero simultaneamente 0 e 0, allora tale numero 0. Il teorema
cos dimostrato per i minimi relativi. Per i massimi relativi, si applicano
le stesse considerazioni, e lunica dierenza linversione delle ultime due
disuguaglianze.
Concretamente, il procedimento per individuare i punti di massimo e
minimo relativi di una funzione assegnata : isolo i punti dove f non
derivabile, e isolo gli (eventuali) estremi del dominio di denizione. Inne
cerco gli zeri della derivata. Attenzione, il teorema di Fermat falso se x
0
cade in uno degli estremi di (a, b). Come esempio, sia f : x [0, 1] x. Il
minimo assoluto in x = 0, il massimo assoluto in x = 1. Per f

(x) ,= 0 per
ogni x [0, 1].
Denizione 6.13. I punti critici di una funzione derivabile f sono i punti
x tali che Df(x) = 0.
Questa denizione non superua: non tutti gli zeri della derivata sono
massimi oppure minimi. Se poniamo f(x) = x
3
per ogni x R, troviamo
facilmente lunico zero della derivata prima, x = 0. Ora, se x > 0 allora
x
3
= f(x) > 0, mentre se x < 0 x
3
= f(x) < 0. Quindi, lorigine non un
minimo n un massimo per f, visto che in ogni intorno dellorigine cadono
punto in cui f vale meno di 0 e punti in cui f vale pi di 0. Lorigine dunque
un punto critico di f che non sa ppiamo ancora descrivere bene.
6
Inne, la
funzione x [x[ un classico esempio di funzione con un punto di minimo
assoluto (quale?) dove la derivata non esiste. Il prossimo teorema d una
6
Qualche studente ricorder che 0 un punto di esso per f, ma ci arriveremo fra un
po.
96 CAPITOLO 6. IL CALCOLO DIFFERENZIALE
condizione suciente anch una funzione derivabile abbia almeno un punto
critico. Invitiamo lo studente a convincersi con esempi che la condizione posta
non necessaria per lesistenza di punti critici.
7
Teorema 6.14 (Rolle). Sia f : [a, b] R una funzione continua e derivabile
in (a, b). Se f(a) = f(b), allora esiste (a, b) tale che
8
Df() = 0.
Dim. Per il teorema di Weierstra la funzione f ha massimo e minimo (as-
soluti) in [a, b]. Siano x
M
un punto di massimo e x
m
un punto di minimo.
Esistono solo due casi:
1. sia x
m
che x
M
cadono agli estremi dellintervallo [a, b]. Poich f assume
(per ipotesi) lo stesso valore in questi due punti, il massimo assoluto
di f coincide con il minimo assoluto, e pertanto la funzione costante.
La sua derivata dunque sempre uguale a zero, e non c altro da
dimostrare.
2. Uno almeno dei due punti x
m
e x
M
cade allinterno dellintervallo [a, b].
Per il teorema di Fermat, in questo punto la derivata di f si annulla, e
la dimostrazione completa anche in questo caso.
In ogni caso, abbiamo vericato che la derivata di f si annulla in almeno un
punto di (a, b).
Osservazione. Il precedente teorema inaugura la serie di enunciati in cui
si tratta di funzioni continue su un intervallo chiuso [a, b] e derivabili nel-
lintervallo aperto (a, b). Non si tratta di uninutile complicazione introdotta
da qualche docente particolarmente cattivo, bens di uneettiva necessit.
Lesistenza delle derivate nei punti a e b non necessaria. Anzi, la dimostra-
zione del teorema di De lHospital richiede luso di questi teoremi esattamente
come li abbiamo enunciati.
Il Teorema di Fermat ci dice che i punti di massimo e di minimo si na-
scondono fra i punti critici. Ma esiste un modo per stabilire se un punto
critico un massimo, un minimo, o nessuno dei due? Ne esiste pi di uno, e
il modo pi facile per capirlo studiare la monotonia della funzione. Se essa
cresce a sinistra del punto critico, e decresce dopo averlo superato, siamo
inequivocabilmente in presenza di un massimo relativo. Simmilmente per
i minimi relativi. Ma come si studia la monotonia di una f unzione? Se la
funzione derivabile, i metodi del calcolo dierenziale ci sono utili. La chiave
un teorema celeberrimo.
7
Quello che vogliamo dire : esistono funzioni dotate di punti critici, ma che non
soddisfano lipotesi fondamentale del teorema di Rolle.
8
La lettera greca si legge pi o meno csi.
6.3. I TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLODIFFERENZIALE97
Teorema 6.15 (del valor medio, o di Lagrange). Sia f : [a, b] R una
funzione continua e derivabile in (a, b). Allora esiste (a, b) tale che
Df() =
f(b) f(a)
b a
.
Dim. La tecnica dimostrativa consiste nellapplicare il teorema di Rolle a
una funzione ausiliaria che ne verica le ipotesi. A tale scopo, deniamo
g : [a, b] R mediante la formula
g(x) = f(x) f(a)
f(b) f(a)
b a
(x a).
In pratica, facciamo la dierenza fra f e la retta che unisce gli estremi
(a, f(a)) con (b, f(b)). chiaro che g continua in [a, b], derivabile in (a, b),
e g(a) = g(b) = 0 Dunque g soddisfa le ipotesi del teorema di Rolle, sicch
esiste [a, b] dove Dg() = 0. Le regole di derivazione aermano che
Dg(x) = Df(x)
f(b)f(a)
ba
, e la condizione Dg() = 0 si legge
Df() =
f(b) f(a)
b a
.
Questo completa la dimostrazione del teorema.
Osservazione 6.16. Applicando alla funzione f(x) = log x il teorema pre-
cedente, si dimostra la relazione di Nepero
1
b
<
log b log a
b a
<
1
a
per ogni 0 < a < b. Lasciamo i dettagli (semplicissimi) allo studente.
frequente trovare il teorema di Lagrange come caso particolare di un
altro teorema molto famoso, dovuto al matematico francese Louis Augu-
stin Cauchy. Lo enunciamo e diamo solo uno spunto per completarne la
dimostrazione.
Teorema 6.17 (Cauchy). Siano f e g due funzioni continue su [a, b] e de-
rivabili in (a, b). Suppponiamo inoltre che Dg(x) ,= 0 per ogni x (a, b).
Allora esiste [a, b] tale che
f(b) f(a)
g(b) g(a)
=
Df()
Dg()
98 CAPITOLO 6. IL CALCOLO DIFFERENZIALE
Cenno della dimostrazione. Trovare un numero erale k tale che il teorema di
Rolle sia applicabile alla funzione ausiliaria h(x) = f(x)kg(x). Osserviamo
che lipotesi Dg(x) ,= 0 per ogni x (a, b) implica in particolare g(b)g(a) ,=
0. una conseguenza del teorema di Rolle.
Il teorema di Lagrange appare dunque come un caso particolare (per
g : x x) del teorema precedente. Il fatto che le applicazioni del teorema di
Lagrange siano molte pi di quelle del teorema di Cauchy, ci ha indotti ad
attribuirgli unevidenza maggiore.
Il prossimo risultato mostra che la derivata di una funzione (derivabile)
non pu avere salti.
Teorema 6.18. Sia f : (a, b) R una funzione derivabile. Se Df(a) < <
Df(b), allora esiste (a, b) tale che Df() = .
Dim. Deniamo una funzione ausiliaria g : x (a, b) f(x) x. Per
ogni x (a, b), Dg(x) = Df(x) . Inoltre Dg(a) < 0, Dg(b) > 0.
Quindi g decrescente in un intorno di a e crescente in un intorno di b. In
particolare, esiste un punto di minimo (a, b) per g. Per il teorema di
Fermat, Dg() = 0, cio Df() = .
6.4 Punti singolari
Sappiamo che una funzione derivabile in un punto deve essere ivi continua.
Rovesciando logicamente questa aermazione, nessuna funzione derivabile
in un punto di discontinuit. Quindi la discontinuit la causa pi rozza
di perdita di derivabilit. Daltronde, abbiamo gi imparato che la funzione
x [x[ continua ovunque ma non derivabile in 0.
Denizione 6.19. I punti singolari di una funzione sono quelli in cui la
funzione continua ma non derivabile.
Elenchiamo due tipi di punti singolari.
1. I punti angolosi. Sono quelli in cui la derivata destra e la derivata
sinistra esistono, ma non coincidono. La funzione del valore assoluto
ne un esempio.
2. Le cuspidi. Sono quelli in cui almeno una fra la derivata destra e la
derivata sinistra innita.
9
Il punto 0 una cuspide per la funzione
x
_
[x[.
9
Il linguaggio comprensibile ma impreciso. Una derivata non pu essere innita, in
base alle nostre denizioni. Qui intendiamo piuttosto dire che una delle due derivate destra
o sinistra non esiste proprio perch il corrispondente limite del rapporto incrementale
innito.
6.5. APPLICAZIONI ALLO STUDIO DELLE FUNZIONI 99
Nei vari testi consultati, esistono piccole dierenze nella classicazione dei
punti singolari. In particolare, molti libri chiamano cuspide solo un punto
singolare in cui sono innite sia la derivata sinistra che quella destra. Poi,
per, non attribuiscono alcun nome al punto singolare in cui solo una di tali
derivate innita. Fortunatamente, non sembrano esserci divergenze sulla
denizione dei punti angolosi.
6.5 Applicazioni allo studio delle funzioni
Teorema 6.20. Sia f : (a, b) R una funzione derivabile.
1. Se f monotona crescente (risp. decrescente) allora Df(x) 0 (risp.
Df(x) 0) per ogni x (a, b).
2. Se Df(x) 0 (risp. Df(x) 0) per ogni x (a, b), allora f
monotona crescente (risp. decrescente).
3. Se Df(x) > 0 (risp. Df(x) < 0) per ogni x (a, b), allora f
strettamente crescente (risp. strettamente decrescente).
Dim. La prima aermazione discende dal teorema della permanenza del se-
gno applicato al rapporto incrementale. Le altre aermazioni sono conse-
guenza del teorema di Lagrange. Fissati arbitrariamente x
1
< x
2
in (a, b),
esiste un punto (x
1
, x
2
) tale che f(x
2
) f(x
1
) = Df()(x
2
x
1
). Quindi
il segno di f(x
2
) f(x
1
) individuato dal segno di Df().
Iil teorema precedente fornisce una regola per decifrare la monotonia di
una funzione derivabile. Salvo qualche cautela sulla monotonia stretta, oc-
corre identicare gli intervalli dove la derivata positiva: in tali intervalli, la
funzione cresce. La funzione invece decresce negli intervalli dove la derivata
negativa.
Una seconda applicazione del teorema di Lagrange riguarda la derivabilit
stessa. Supponiamo che una certa funzione sia continua in (a, b) e derivabile
in tutti i punti dellintervallo eccettuato al pi un punto x
0
. Come si fa a
decidere se la funzione derivabile anche in x
0
? Si pu pensare di ricorrere
alla denizione, scrivendo il rapporto incrementale centrato in x
0
e facendo
tendere a zero lincremento. Oppure si pu usare il seguente criterio.
Proposizione 6.21. Sia f : (a, b) R una funzione continua. Sia x
0

(a, b) un punto, e supponiamo che f sia derivabile in (a, x
0
) (x
0
, b). Se
esiste nito = lim
xx
0
Df(x
0
), allora f derivabile in x
0
e Df(x
0
) = .
100 CAPITOLO 6. IL CALCOLO DIFFERENZIALE
Dim. Sia x (a, b), x ,= x
0
. Per il teorema di Lagrange, esiste = (x) tale
che f(x) f(x
0
) = Df()(x x
0
). Ovviamente, siccome (x
0
, x), si avr
x
0
per x x
0
. Lipotesi della Proposizione garantisce allora che
lim
xx
0
f(x) f(x
0
)
x x
0
= lim
xx
0
Df() = .
Perci f derivabile in x
0
, e Df(x
0
) = .
Occorre per fare attenzione, perch il criterio della Proposizione prece-
dente suciente ma non necessario per lesistenza della derivata in x
0
.
10
Consideriamo infatti la funzione
f(x) =
_
x
2
sin(1/x) x ,= 0
0 x = 0.
Poich
0 [f(x)[ = x
2

sin
1
x

x
2
0
per x 0, f continua un x = 0. Inoltre
lim
x0
f(x) f(0)
x 0
= lim
x0
x sin
1
x
= 0.
Dunque Df(0) = 0. Se x ,= 0, la derivata vale
Df(x) = 2x sin
1
x
cos
1
x
,
che non ha limite per x 0. La Proposizione non perci applicabile,
mentre la derivata di f in 0 esiste.
11
Osservazione 6.22. Se riettiamo un istante sullenunciato della Proposi-
zione, ci accorgiamo che la sua tesi va oltre la mera esistenza della derivata in
x
0
. In realt, le ipotesi ci permettono di concludere che la funzione derivata
f

continua in x
0
: lim
xx
0
f

(x) = = f

(x
0
). Nei controesempi appena
discussi, chiaro che la derivata risultava sempre discontinua in x
0
.
10
In parole povere, se il criterio si applica allora la funzione derivabile; se il criterio
fallisce, non siamo autorizzati a trarre alcuna conclusione. Invito lo studente a fare molta
attenzione.
11
Laccanimento con cui presentiamo controesempi non deve indurre lo studente a pen-
sare che tutti i teoremi siano deboli. Piuttosto, vogliamo evidenziare lottimalit delle
ipotesi.
6.6. DERIVATE SUCCESSIVE 101
6.6 Derivate successive
Se una funzione f : (a, b) R derivabile in (a, b), la funzione x (a, b)
Df(x) denisce una funzione reale di una variabile reale, che chiamiamo
naturalmente funzione derivata di f.
Denizione 6.23. Diremo che la funzione f derivabile due volte nel punto
x
0
(a, b) se la funzione derivata di f derivabile a sua volta in x
0
. La
derivata seconda di f in x
0
denotata con uno dei simboli
D
2
f(x
0
), f

(x
0
),
d
2
f
dx
2
(x
0
),

f(x
0
).
Evidentemente, possibile iterare il ragionamento precedente, e parlare
cos di derivata terza, quarta, ecc. In generale, per indicare la derivata n
esima si usano i simboli
D
n
f(x
0
), f
(n)
(x
0
),
d
n
f
dx
n
(x
0
).
Impareremo presto ad usare uno strumento, il polinomio di Taylor, in cui le
derivate successive rivestono un ruolo di fondamentale importanza. Nel resto
di questo paragrafo, ci concentreremo sulla derivata seconda, lultima ad ave-
re qualche interpretazione geometrica degno di nota. Prima per dobbiamo
introdurre una denizione.
Denizione 6.24. Sia f : (a, b) R una funzione. Si dice che f convessa
in (a, b) se, per ogni x
1
, x
2
(a, b) e per ogni [0, 1], risulta
f ((1 )x
1
+x
2
) (1 )f(x
1
) +f(x
2
). (6.3)
Si dice invece che f concava in (a, b) se la funzione f, che agisce come
x f(x), convessa.
Posto x = (1)x
1
+x
2
, la disuguaglianza di convessit si pu riscrivere
come
f(x) f(x
1
) +
f(x
2
) f(x
1
)
x
2
x
1
(x x
1
), x [x
1
, x
2
].
Essa quindi equivale allaermazione geometrica: per ogni x
1
, x
2
con x
1
< x
2
,
il graco di f in [x
1
, x
2
] sta al di sotto della corda per i punti (x
1
, f(x
1
)),
(x
2
, f(x
2
)).
Immaginiamo che lo studente sia stato introdotto, seppure brevemen-
te, alla convessit durante le scuole superiori. Quasi certamente gli sar
stato insegnato un linguaggio un po diverso: invece di funzione convessa,
102 CAPITOLO 6. IL CALCOLO DIFFERENZIALE
Figura 6.1: Una tipica funzione convessa
Figura 6.2: Una tipica funzione concava
6.6. DERIVATE SUCCESSIVE 103
funzione che volge la concavit verso lalto. Pur sentendoci in grado di af-
fermare che convessit lunica denominazione in voga nella matematica
contemporanea, poco importano i nomi e gli aggettivi.
Osservazione. Come visto, per noi la denizione di funzione convessa
di natura globale, e non daremo un signicato a frasi quali la funzione
convessa in un punto.
Un altro punto sul quale condividiamo le perplessit dello studente lap-
plicabilit della disuguaglianza di convessit. Se, per esempio, non dicile
dimostrare con tale denizione che la funzione x x
2
convessa in tut-
to R, per funzioni pi complicate risulta impossibile gestire elementarmente
le disuguaglianze. Occorrono dunque dei criteri, cio delle condizioni atte
ad assicurare la convessit di una data funzione mediante test maneggevoli.
Eccone uno.
Proposizione 6.25. Sia f : [a, b] R una funzione derivabile. Sono equi-
valenti:
(i) f convessa.
(ii) La funzione x Df(x) monotona crescente in (a, b).
(iii) Il graco di f sopra tutte le sue tangenti, cio per ogni x, x
0
[a, b]
f(x) f(x
0
) +Df(x
0
)(x x
0
).
La caratterizzazione pi utile lequivalenza di (i) e (ii). La convessit
di una funzione derivabile equivale in tutto e per tutto alla monotonia della
sua derivata prima. Siccome sappiamo che la monotonia di una funzione si
riette nel segno della derivata della funzione, abbiamo il seguente criterio
di convessit per le funzioni derivabili due volte.
Proposizione 6.26. Sia f : (a, b) R una funzione derivabile due volte.
Sono equivalenti:
(i) f convessa.
(ii) D
2
f(x) 0 per ogni x (a, b).
Denizione 6.27. Sia f : (a, b) R una funzione. Diremo che x
0
(a, b)
un punto di esso per f se f convessa in (a, x
0
) e concava in (x
0
, b), o
viceversa.
104 CAPITOLO 6. IL CALCOLO DIFFERENZIALE
In altre parole, in un punto di esso la retta tangente al graco di f, se
esiste, attraversa tale graco. Vogliamo invece sfatare un mito assai diuso.
Non tutti gli zeri della derivata seconda sono punti di esso. Sia f : x x
4
.
Si ha D
2
f(0) = 0, ma 0 evidentemente un punto di minimo assoluto per f.
Vale per il seguente teorema.
Teorema 6.28. Una funzione f derivabile due volte e dotata di un punto di
esso in x
0
, deve vericare D
2
f(x
0
) = 0.
Dim. Infatti, f deve essere convessa a sinistra di x
0
e concava a destra di x
0
(o viceversa). Pertanto la derivata prima di f cambia il senso di monotonia
attraversando il punto x
0
. Questo implica che x
0
un punto di massimo (o
di minimo) per Df. Il teorema di Fermat garantisce allora che D(Df)(x
0
) =
D
2
f(x
0
) = 0.
Osservazione 6.29. Non facile trovare in letteratura una denizione de-
nitiva di punto di esso. Il motivo che si tratta di unidea tipica per le
funzioni di una variabile. Volendo generalizzare la convessit a funzioni di un
numero maggiore di variabili, ci si imbatte nel problema seguente: mentre un
punto spezza lasse reale R in due parti, un punto nello spazio (per esempio
tridimensionale, cio quello in cui viviamo) non suddivide lo spazio stesso in
parti disgiunte. Non sembra dunque ragionevole parlare di punti di esso per
funzioni di due, tre o pi variabili.
Concludiamo questa sezione con qualche altra propriet delle funzioni
convesse.
Lemma 6.30 (Disuguaglianza di Jensen, caso discreto). Supponiamo che f
sia una funzione convessa denita in un intervallo I. Allora
f(
1
x
1
+. . . +
n
x
n
)
1
f(x
1
) +. . . +
n
f(x
n
)
per ogni n N, x
1
, . . . , x
n
I,
1
, . . . ,
n
0 con
1
+. . .
n
= 1.
Corollario 6.31. Supponiamo che f sia una funzione convessa denita in
un intervallo I. Allora
f
_

1
x
1
+. . . +
n
x
n

1
+. . .
n
_


1
f(x
1
) +. . . +
n
f(x
n
)

1
+. . .
n
,
per ogni x
1
, . . . , x
n
I,
1
, . . . ,
n
> 0.
Corollario 6.32. Fissiamo arbitrariamente n N, ed n punti x
i
> 0, per
i = 1, . . . , n. Siano poi
i
0, per i = 1, . . . n, n numeri reali non negativi
tali che
1
+. . . +
n
= 1. Allora
x

1
1
x

2
2
x

n
n

1
x
1
+. . . +
n
x
n
.
6.7. CLASSI DI REGOLARIT 105
Osservazione 6.33. Se scegliamo
1
=
2
= . . . =
n
= 1/n nel prece-
dente corollario, otteniamo la nota relazione fra la media algebrica e media
aritmetica di n numeri reali positivi:
n

x
1
x
2
x
n

x
1
+. . . +x
n
n
.
Denizione 6.34. Sia I un intervallo della retta reale, e sia f : I R una
funzione. Diremo che f Jensenconvessa se
f
_
x +y
2
_

f(x) +f(y)
2
per ogni x, y I.
Ovviamente, tutte le funzioni convesse son oanche Jensenconvesse. Il
viceversa in generale falso, ma diventa vero limitatamente alle funzioni
continue.
Proposizione 6.35. Ogni funzione Jensenconvessa e continua in un inter-
vallo I convessa in I.
Dim. Si veda, ad esempio, [21, Proposition 6.3].
6.7 Classi di regolarit
Per abbreviare alcuni enunciati, conviene introdurre una terminologia pro-
gressiva per la regolarit di una funzione. Vorremmo assegnare alla continuit
il grado di regolarit pi basso, per poi passare alla derivabilit una, due,
tre, o pi volte.
Denizione 6.36. Sia f : (a, b) R una funzione. Diremo che f di
classe C
k
(a, b), e scriveremo f C
k
(a, b), se f possiede k derivate in ogni
punto di (a, b), e se queste derivate sono tutte funzioni continue in (a, b).
Per estensione, diremo che f di classe C

(a, b), se f possiede derivate di


ordine arbitrariamente alto in (a, b).
Convenzionalmente, una funzione di classe C
0
(a, b) semplicemente una
funzione continua in (a, b). Una funzione di classe C
1
(a, b) una funzione
che possiede una derivata continua in (a, b). Invitiamo lo studente a prestare
attenzione alla richiesta di continuit per tutte le derivate coinvolte. Potreb-
be infatti accadere che una funzione sia derivabile, ma che la derivata abbia
una discontinuit: in questo caso non possiamo attribuire la regolarit C
1
.
Per dare qualche esempio, tutti i polinomi sono di classe C

(R), cos
come la funzione esponenziale, il seno e il coseno. Nei fatti, praticamente
tutte le funzioni elementari sono di classe C

nel loro dominio di denizione.


106 CAPITOLO 6. IL CALCOLO DIFFERENZIALE
6.8 Graci di funzioni
Abbiamo ormai tutti gli strumenti per eettuare uno studio qualitativo del
graco di una funzione. Sappiamo che, in buona sostanza, il segno della
derivata prima un indicatore della monotonia, mentre il segno della derivata
seconda descrive la convessit. Per avere un graco rappresentativo di una
funzione, conviene mettere in risalto gli eventuali asintoti.
Nella sostanza, un asintoto semplicemente una retta verso la quale il
graco di una funzione si avvicina indenitamente. Piuttosto che aron-
tare una dicile denizione unitaria di asintoto, preferiamo presentare tre
denizioni. Sebbene la terza possa inglobare la seconda con poco sforzo,
didatticamente consigliabile tenerle separate.
Denizione 6.37. Sia f una funzione reale di variabile reale, denita alme-
no su un intervallo (a, b). La retta di equazione x = a un asintoto verticale
destro per f se lim
xa+
f(x) = . Similmente, la retta x = b un asintoto
verticale sinistro se lim
xb
f(x) = .
Nulla impedisce che una retta x = c sia simultaneamente un asintoto
verticale sinistro e destro. Ovviamente, la funzione f deve essere denita
almeno in un intorno di c, escluso al pi c.
Denizione 6.38. Sia f una funzione denita almeno su un intervallo illi-
mitato (a, +). La retta di equazione y = q un asintoto orizzontale destro
se lim
x+
f(x) = q. Analogamente, se f denita almeno su un inter-
vallo illimitato (, a), la retta y = q un asintoto orizzontale sinistro se
lim
x
f(x) = q.
Meno ovvia la denizione di asintoto obliquo, e soprattutto meno
immediato capire se una funzione ammetta asintoti obliqui.
Denizione 6.39. Sia f una funzione denita almeno su un intervallo il-
limitato (a, +). La retta di equazione y = mx + q, m ,= 0, un asintoto
obliquo per x + se lim
x+
[f(x) (mx + q)[ = 0. Analogamente,
possiamo denire un asintoto obliquo per x .
In primo luogo, osserviamo che una condizione necessaria anch una
funzione f abbia un asintoto obliquo (diciamo per x +) che
lim
x+
f(x) = .
Questo chiaro: se y = mx +q un asintoto obliquo, allora
lim
x+
f(x) = lim
x+
f(x) mx q +mx +q = lim
x+
mx +q = .
6.8. GRAFICI DI FUNZIONI 107
Vediamo come calcolare i coecienti m e q di un asintoto obliquo. Se
lim
x+
[f(x) (mx +q)[ = 0, a maggior ragione
lim
x+
x
_
f(x)
x
m
q
x
_
= 0.
Quindi la parentesi deve tendere a zero, e
m = lim
x+
f(x)
x
. (6.4)
Ora che abbiamo trovato il coeciente angolare m, dalla denizione stessa
di asintoto obliquo deduciamo
q = lim
x+
f(x) mx. (6.5)
Non c bisogno di dire che considerazioni del tutto analoghe devono essere
fatte per gli asintoti obliqui per x . Evidenziamo poi che abbiamo
sempre supposto m ,= 0. Da un lato, il caso m = 0 corrisponde allasintoto
orizzontale. Dallaltro, se la relazione (6.4) fornisce m = 0, non corretto
aermare che esiste un asintoto orizzontale. Ad esempio, la funzione x

x
non ha asintoti per x +, eppure m = 0.
Da ultimo, una stessa funzione pu presentare due asintoti obliqui distinti,
il primo per x e il secondo per x +. Dunque le formule (6.4)
e (6.5) devono essere applicate sia per x + che per x , senza
alcuna possibilit di fare economia sui calcoli.
12
Riassumendo, studiare landamento di una funzione un esercizio che
possiamo suddividere in vari passi. In particolare, lo studente potr seguire
questo schema.
Identicare eventuali simmetrie, anche in senso lato, o periodicit della
funzione, cos come le zone in cui la funzione continua, derivabile, ecc.
Studiare landamento asintotico della funzione vicino ai punti estremi
del dominio di denizione. Questo comprende anche il calcolo dei limiti
allinnito, e lindividuazione degli asintoti.
Identicare il segno della derivata prima, cio le zone in cui f mo-
notona, e i punti critici. Determinare la natura degli eventuali punti
critici, e, quando possibile, studiare il segno della derivata seconda per
denire le regioni di convessit e gli eventuali punti di esso.
12
Lo studente non prenda questa aermazione come unaccusa di scarsa volont. In un
corso non specialistico come il nostro, buona parte degli esercizi consiste nel fare conti.
Prafrasando Pasolini, calcolare stanca, ma anche lunico modo per vericare se lo
studente sa usare le idee presentate a lezione.
108 CAPITOLO 6. IL CALCOLO DIFFERENZIALE
Studiare gli eventuali punti singolari.
Disegnare il graco cartesiano della funzione, avendo cura di dare risalto
alle conclusioni ottenute con lanalisi dei punti precedenti.
6.9 Il teorema di De lHospital
La collocazione di questo paragrafo pu sembrare bizzarra, dal momento che
consuetudine introdurre il Teorema di De lHospital subito dopo il teorema
del valor medio. Inoltre, averlo a disposizione prima di arontare lo studio del
graco di una funzione di grande aiuto in determinate circostanze. Abbiamo
preferito collocarlo in coda ai teoremi fondamentali del calcolo dierenziale
per due ragioni: la prima che questa scelta porta diritti a parlare del
polinomio di Taylor. La seconda che tanto pi un teorema utile per gli
esercizi, tanto pi lo studente tende ad abusarne. Alcuni fra gli errori pi
grossolani negli elaborati desame riguardano esattamente questo teorema.
Certo, il docente spesso contribuisce a seminare trappole negli esercizi; ma
anche questo il suo lavoro.
Per ragioni pedagogiche, scindiamo lenunciato in due teoremi piuttosto
simili. Il primo enunciato copre la situazione [0/0], e il secondo la situazione
[qualunque cosa/].
13
Teorema 6.40 (Prima parte). Siano f : (a, b) R e g : (a, b) R due
funzioni derivabili. Supponiamo che
(i) lim
xa+
f(x) = lim
xa+
g(x) = 0;
(ii) Dg(x) ,= 0 per ogni x (a, b);
Se
lim
xa+
Df(x)
Dg(x)
= L,
ammettendo anche la possibilit che L = , allora
lim
xa+
f(x)
g(x)
= L.
Dim. Sia q > L un numero arbitrariamente vicino a L, e scegliamo r R
tale che L < r < q. Per lipotesi sul limite del quoziente delle derivate, esiste
c (a, b) tale che
Df(x)
Dg(x)
< r
13
Questa simbologia tratta da [10].
6.9. IL TEOREMA DI DE LHOSPITAL 109
per ogni x (a, c). Ora, se a < x < y < c, il teorema di Cauchy implica
lesistenza di un numero t (x, y) con
f(x) f(y)
g(x) g(y)
=
Df(t)
Dg(t)
< r.
Facciamo tendere x a, e vediamo che
f(y)
g(y)
< r
per ogni a < y < c. Similmente, se p < L arbitrariamente vicino a L,
poossiamo trovare un numero c tale che
p <
f(y)
g(y)
per ogni a < y < c. Riassumendo, abbiamo dimostrato che il rapporto
f(y)/g(y) vicino a piacere a L, a patto di prendere y abbastanza vicino a
a. La dimostrazione del teorema completa.
Teorema 6.41 (Seconda parte). Siano f : (a, b) R e g : (a, b) R due
funzioni derivabili. Supponiamo che
(i) lim
xa+
g(x) = ;
(ii) Dg(x) ,= 0 per ogni x (a, b);
Se
lim
xa+
Df(x)
Dg(x)
= L,
ammettendo anche la possibilit che L = , allora
lim
xa+
f(x)
g(x)
= L.
Dim. La dimostrazione molto simile a quella della prima parte. Dobbiamo
per usare lipotesi g(x) per x a+. Sia q > L un numero arbitra-
riamente vicino a L, e scegliamo r R tale che L < r < q. Per lipotesi sul
limite del quoziente delle derivate, esiste c (a, b) tale che
Df(x)
Dg(x)
< r
110 CAPITOLO 6. IL CALCOLO DIFFERENZIALE
per ogni x (a, c). Ora, se a < x < y < c, il teorema di Cauchy implica
lesistenza di un numero t (x, y) con
f(x) f(y)
g(x) g(y)
=
Df(t)
Dg(t)
< r. (6.6)
Per ssare le idee, supporremo dora in avanti che lim
xa+
g(x) = +.
Lasciamo allo studente le piccole modiche necessarie a trattare il caso
lim
xa+
g(x) = .
Tenendo y ssa nellultima equazione, scegliamo c
1
(a, c) tale che
g(x) > g(y) per ogni x (a, c
1
). Questo possibile, perch g(x) diventa
innitamente grande al tendere di x verso a. Per la stessa ragione, possiamo
anche supporre che g(x) > 0. Moltiplicando la (6.6) per la quantit positiva
(g(x) g(y))/g(x), troviamo
f(x)
g(x)
< r r
g(y)
g(x)
+
f(y)
g(x)
per ogni x (a, c
1
). Facciamo tendere x a+ e deduciamo che esiste c
2
tale che
f(x)
g(x)
< q
per ogni x (a, c
2
). Un ragionamento analogo mostra che per ogni p < L
esiste c
3
tale che la disuguaglianza
p <
f(x)
g(x)
sia valida per ogni x (a, c
3
). Come nella prima parte, la dimostrazione
completa.
Qualche parola di commento. Per semplicare gli enunciati, abbiamo
presentato un caso modello, il limite per x a+. Si tratta di una scelta
piuttosto convenzionale, visto che i teoremi continuano a valere anche per
x x
0
(a, b) e perno per x . sottinteso che, per i limiti
allinnito, le due funzioni devono essere denite almeno su un intervallo
della forma (a, +) o (, a).
Le dimostrazione dei teoremi precedenti sono abbastanza tecniche, ma
crediamo che quella della prima parte sia piuttosto chiara. Lipotesi sul limite
del quoziente delle derivate viene usato per mezzo del teorema di Cauchy. La
dimostrazione della seconda parte richiede qualche accorgimento tecnico sul
segno del denominatore.
Attiriamo lattenzione dello studente su un fatto: il teorema tratta la for-
ma [qualunque cosa/]. Potrebbe non trattarsi di una forma indeterminata,
ci che importa che siano soddisfatte le ipotesi del teorema.
6.9. IL TEOREMA DI DE LHOSPITAL 111
Osservazione 6.42. Il teorema di De lHospital permette di dimostrare una
parziale inversione della Proposizione 6.21. Come visto, non possiamo aspet-
tarci che lesistenza del limite della derivata prima sia equivalente allesistenza
della derivata prima nel punto x
0
, ma possiamo comunque dire qualcosa in
pi.
Proposizione 6.43. Supponiamo che f : (a, b) R sia una funzione conti-
nua, che x
0
(a, b), e che f sia derivabile in (a, x
0
) (x
0
, b). Se
lim
xx

0
f

(x) =

,=
+
= lim
xx
+
0
f

(x),
allora f non derivabile in x
0
.
Dim. Applichiamo il teorema di De lHospital ai due intervalli (a, x
0
) e (x
0
, b).
Per denizione di derivata, dobbiamo controllare lesistenza del limite
lim
xx
0
f(x) f(x
0
)
x x
0
.
Tutte le ipotesi del teorema di De lHospital sono soddisfatte, in particolare
lim
xx

0
f

(x)
1
=

,
lim
xx
+
0
f

(x)
1
=
+
.
Quindi
lim
xx

0
f(x) f(x
0
)
x x
0
= lim
xx

0
f

(x)
1
=

,
mentre
lim
xx
+
0
f(x) f(x
0
)
x x
0
= lim
xx
+
0
f

(x)
1
=
+
.
Il rapporto incrementale non possiede limite per x x
0
, e dunque f non
derivabile in x
0
.
In poche parole, lunico caso in cui la Proposizione 6.21 non si inverte,
esattamente quello dei nostri controesempi, in cui f

non possiede limite per


x x
0
.
Lo studente confronti anche la Proposizione VII.24 di [6].
Oltre alle consuete applicazioni al calcolo dei limiti, il teorema di De lHo-
spital il fondamento di una fra le pi eleganti tecniche di approssimazione
delle funzioni. Ce ne occupiamo nel prossimo paragrafo.
112 CAPITOLO 6. IL CALCOLO DIFFERENZIALE
6.10 Il polinomio di Taylor
piuttosto ragionevole aermare, anche nellera del calcolo automatizza-
to, che fare dei conti con i polinomi pi semplice che farli con funzioni
qualunque. Questa osservazione tanto ovvia ha permesso di gettare le basi
del calcolo approssimato. In questo corso toccheremo supercialmente due
metodi di approssimazione, il primo locale, il secondo globale.
In questo paragrafo, studieremo la possibilit di approssimare una fun-
zione molto regolare
14
mediante polinomi opportuni. Ricordiamo che un
polinomio di grado n per noi una funzione della fo rma
P
n
(x) = a
0
+a
1
x +a
2
x
2
+a
3
x
3
+ +a
n1
x
n1
+a
n
x
n
,
dove i numeri reali a
0
, . . . a
n
sono i coecienti di P
n
. Introduciamo inne la
cosiddetta notazione di Landau per i limiti.
Denizione 6.44. Siano f e g due funzioni denite almeno in un intorno
di a R. Diremo che f = o(g) (si legge f o piccolo di g) per x a se
lim
xa
f(x)
g(x)
= 0.
Osservazione 6.45. Dalla denizione segue che la notazione o piccolo
indica in realt un insieme di funzioni. Per essere precisi, data una funzione
g denita (almeno) in un intorno di un punto x
0
, abbiamo denito linsieme
o(g) =
_
f [ lim
xa
f(x)
g(x)
= 0
_
,
dove abbiamo sottinteso che le funzioni f di questo insieme sono anchesse
denite (almeno) in un intorno di x
0
. A rigor di logica, dovremmo scrivere
f o(g) per x x
0
invece di f = o(g). Alcuni testi, ad esempio quello
di Murean [21], seguono questo approccio pi rigoroso ma meno consue-
to. Questa notazione sarebbe pi corretta, ma ha avuto storicamente minor
fortuna.
15
14
Laggettivo regolare spesso usato come abbreviazione per espressioni riguardanti
la derivabilit. Per noi, una funzione regolare una funzione dotata di derivata prima,
seconda, terza, ecc. Il numero esatto delle derivate non conta molto, e verr specicato
negli enunciati dei teoremi.
15
un peccato, perch il simbolo di uguaglianza perde in questa situazione la propriet
simmetrica: Se f = o(g), non aatto vero che in generale g = o(f). Insomma, bisogna
usare il simbolo = con grandissima cautela.
6.10. IL POLINOMIO DI TAYLOR 113
Osservazione 6.46. Se c un o piccolo, ci dovrebbe essere anche un O
grande, dir qualche studente. vero, e il simbolo di O grande si utilizza
per dire che una funzione controllata da unaltra, sia dallalto che dal
basso, nellintorno di un punto. Precisamente, se f e g sono due funzioni
denite (almeno) in un intorno di x
0
, si scrive f = O(g) per x x
0
quando
si vuole dire che esistono un intorno I di x
0
ed una costante C > 0 tali che
1
C
[g(x)[ [f(x)[ C[g(x)[ per ogni x I.
In altre parole, f = O(g) signica che il rapporto [f(x)/g(x)[ si mantiene
limitato nelle vicinanze di x
0
. Nel caso particolare in cui g una funzione
costante,
16
la scrittura f = O(g) signica esattamente che nelle vicinanze del
punto x
0
la funzione f resta limitata. Per capirci, questo esclude la presenza
di un asintoto verticale in x
0
. Non ci soermiamo oltre su questo linguaggio,
che non useremo mai nel resto del corso. Per approfondimenti, il lettore
potr consultare il classico libro di Prodi [22].
Scegliendo nella Denizione 6.44 come g la funzione costante ed uguale a
1, f = o(1) signica semplicemente che f(x) 0 per x a. Lo studente si
convinca che la denizione di derivata pu essere riscritta
f(x) = f(x
0
) +Df(x
0
)(x x
0
) +o(x x
0
) per x x
0
Denizione 6.47. Siano f e g due funzioni denite almeno in un intorno
del punto x
0
. Diremo che g approssima f allordine n se f g = o((xx
0
)
n
)
per x x
0
.
Esplicitamente, richiediamo che
lim
xx
0
f(x) g(x)
(x x
0
)
n
= 0.
Un caso noto e particolarmente signicativo lapprossimazione allordine
1, chiamata anche approssimazione lineare. Ogni funzione derivabile in un
punto approssimabile linearmente in tale punto, e la funzione che realiz-
za lapprossimazione la funzione lineare ane rappresentata dalla retta
tangente nel punto.
Daltronde, senza ulteriori condizioni dobbiamo aspettarci una gran quan-
tit di funzioni approssimanti. Per esempio, la funzione quadratica f : x x
2
approssimata linearmente in x
0
= 0 da qualunque funzione g : x x
n
,
con R e n 2. Infatti
lim
x0
x
2
x
n
x
= lim
x0
x x
n1
= 0.
16
Qui non importa il valore di tale costante.
114 CAPITOLO 6. IL CALCOLO DIFFERENZIALE
Per abbiamo gi imparato che la retta tangente lunica retta che approssi-
ma linearmente una funzione derivabile in un dato punto. Poniamo dunque
il seguente problema: determinare, se esiste, un polinomio di grado n che
approssima una funzione allordine n nellintorno di un punto x
0
.
Procediamo per passi successivi, chiamando f la funzione da approssimare
e supponendo x
0
= 0. Il caso di x
0
qualunque verr discusso fra poco. Per
n = 1 sappiamo gi che lunico polinomio cercato
P
1
(x) = f(0) +Df(0)x.
Per n = 2, la cosa migliore scrivere il generico polinomio di secondo grado
P
2
(x) = a
0
+a
1
x +a
2
x
2
e imporre la condizione di approssimazione:
lim
x0
f(x) P
2
(x)
x
2
= 0.
Il denominatore tende a zero, il numeratore a f(0) a
0
. Quindi necessario
che a
0
= f(0). Il limite si riscrive
lim
x0
f(x) f(0) a
1
x a
2
x
2
x
2
= 0.
Possiamo applicare la regola di De lHospital, e ci riconduciamo al limite del
quoziente delle derivate
lim
x0
Df(x) a
1
2a
2
x
2x
.
La speranza che tale limite valga zero, e come prima necessario che
Df(0) = a
1
. Applicando una seconda volta la regola di De lHospital, trovia-
mo la condizione necessaria D
2
f(0) = 2a
2
. Se un polinomio approssimante
c, lunica possibilit che
P
2
(x) = f(0) +Df(0)x +
1
2
D
2
f(0)x
2
.
Lasciamo allo studente la verica banale che questo P
2
eettivamente
unapprossimazione di ordine 2 di f in x
0
= 0. Con la notazione di Landau,
f(x) = f(0) +Df(0)x +
1
2
D
2
f(0)x
2
+o(x
2
).
6.10. IL POLINOMIO DI TAYLOR 115
Se avessimo scelto un punto x
0
anche diverso da zero, la conclusione sarebbe
stata analoga ma un po meno trasparente. Il trucco consiste nello scrivere
il generico polinomio nella forma
P
2
(x) = a
0
+a
1
(x x
0
) +a
2
(x x
0
)
2
.
I valori per i tre coecienti a
0
, a
1
e a
2
sarebbero stati gli stessi. Applicando
pi volte largomento del teorema di De lHospital, si dimostra il seguente
risultato.
Teorema 6.48 (Taylor). Sia f : (a, b) R una funzione derivabile n volte,
e sia x
0
(a, b) un punto ssato. Allora esiste uno ed un solo polinomio P
n
di grado (al pi) n, che approssima f in x
0
con ordine n. I coecienti di P
n
sono
a
0
= f(x
0
), a
k
=
1
k!
D
k
f(x
0
) per k 1,
e conseguentemente
P
n
(x) = f(x
0
) +
n

k=1
1
k!
D
k
f(x
0
)(x x
0
)
k
.
Notazione. Il simbolo

quello della sommatoria. Dato un insieme nito


di numeri reali p
1
, p
2
, . . . , p
n
, scriviamo
n

k=1
p
k
= p
1
+p
2
+ +p
k
.
Forse qualche lettore avr sentito parlare della possibilit di sommare inniti
numeri reali, loperazione alla base della teoria delle serie numeriche. Questo
argomento esula dal programma del nostro corso. In ogni caso, il simbolo di
sommatoria

solo unabbreviazione comoda sommare una quantit nita
di numeri.
Il bello della matematica che, a parole, tutto semplice. Adesso che
abbiamo denito il polinomio di Taylor, calcolarlo concettualmente una
sciocchezza. Abbiamo infatti la ricetta che ci restituisce meccanicamente
tutti i coecienti. Basta saper calcolare le derivate. In alcuni casi, tali calcoli
sono davvero facilissimi. Ad esempio, il polinomio di Taylor di una funzione
polinomiale evidentemente la funzione stessa. Non c neanche bisogno di
fare calcoli, dato che basta inserire P
n
= f nella denizione del polinomio di
approssimazione.
116 CAPITOLO 6. IL CALCOLO DIFFERENZIALE
Calcoliamo i primi tre termini del polinomio di Taylor della funzione
f(x) =
1
1 x x
2
con punto iniziale x
0
= 0. Ci servono le prime due derivate di f:
Df(x) =
1 + 2x
(1 x x
2
)
2
D
2
f(x) =
2(1 x x
2
)
2
+ 2(1 + 2x)
2
(1 x x
2
)
(1 x x
2
)
4
Quindi
P
2
(x) = f(0) +Df(0)x +
1
2
D
2
f(0)x
2
= 1 +x + 2x
2
,
e perci f(x) = 1 + x + 2x
2
+ o(x
2
) per x 0. Osserviamo che lapprossi-
mazione ottenuta vale solo per x in un intorno di x
0
= 0, e lo studente deve
rifuggire la tentazione di estendere questa approssimazione a valori diversi di
x.
Giunti n qui, ci resta un dubbio: possibile stimare lerrore compiuto
con la sostituzione di P
n
al posto di f? Abbiamo visto che tale errore deve
tendere a zero pi velocemente di (x x
0
)
n
, per x x
0
. Ma di funzioni
che tendono a zero pieno il mondo. Sarebbe bello poter scrivere in termini
pi espliciti tale errore. Per il momento ci limitiamo al prossimo risultato.
Quando avremo anche gli integrali deniti nella nostra cassetta degli attrezzi,
potremo dare una stima d iversa e spesso pi utile.
Teorema 6.49 (Formula di Taylor con resto di Lagrange). Supponiamo che
f : [a, b] R. Sia n N e supponiamo che la derivata (n1)esima D
n1
f
sia una funzione continua in (a, b) e che D
n
f(x) esista per ogni x (a, b).
Siano x, x
0
[a, b] due punti distinti, e sia P
n1
il polinomio di Taylor di f
centrato nel punto x
0
di ordine n 1. Allora esiste un punto compreso fra
x
0
e x tale che
f(x) = P
n1
(x) +
D
n
f()
n!
(x x
0
)
n
.
Dim. Sia M quellunico numero reale tale che f(x) = P
n1
(x) +M(xx
0
)
n
.
Deniamo la funzione g : (a, b) R come
g(t) = f(t) P
n1
(t) M(t x
0
)
n
.
Vogliamo dimostrare che esiste compreso fra x
0
e x tale che n!M = D
n
f().
Derivando ripetutamente la funzione g, troviamo che
D
n
g(t) = D
n
f(t) n!M.
6.10. IL POLINOMIO DI TAYLOR 117
Ci basta allora dimostrare che D
n
g si annulla fra x
0
e x. Poich
D
k
P
n1
(x
0
) = D
k
f(x
0
)
per k = 0, . . . , n 1, abbiamo
g(x
0
) = Dg(x
0
) = = D
n1
g(x
0
) = 0.
La nostra scelta di M implica g(x) = 0, e applicando il teorema di Lagrange
in [x
0
, x] deduciamo lesistenza di x
1
[x
0
, x] tale che Dg(x
1
) = 0. Poich
Dg(x
0
) = 0 lo stesso teorema applicato in [x
0
, x
1
] garantisce lesistenza di
x
2
in tale intervallo con Dg(x
2
) = 0. Dopo n passi, troviamo inne un
punto x
n
= [x
0
, x
n1
] tale che D
n
g() = 0. Poich x
n1
compreso per
costruzione fra x
0
e x, la dimostrazione conclusa.
Un invito alla calma. Lo studente deve osservare con attenzione che la
formula di approssimazione dellultimo teorema
f(x) = P
n1
(x) +
D
n
f()
n!
(x x
0
)
n
.
C unapparente sfasatura negli indici: infatti per il termine nale
D
n
f()
n!
(x x
0
)
n
= o((x x
0
)
n1
).
Ma questo non in contraddizione con la formula ricavata precedentemente.
Per avere unapprossimazione lineare dobbiamo scegliere n = 2 nellultimo
teorema. Non il massimo della comodit , ma da un punto di vista teorico
ci sembra meglio privilegiare il ruolo della regolarit di f. Se la formula di
Taylor con il resto o piccolo richiede n derivate per avere unapprossima-
zione allordine n, la formula con il resto di Lagrange richiede n+1 derivate,
per avere lo stesso ordine di appross imazione. Per avere lapprossimazione
lineare con resto o piccolo, basta che la funzione sia derivabile. Se per
vogliamo la stima del resto del tipo
D
2
f()
2!
(x x
0
)
2
,
chiaramente f deve avere due derivate. Lo studente non far fatica a ricono-
scere come caso particolare del Teorema 6.49 proprio il teorema di Lagrange
(n = 1).
Uno degli usi pi frequenti delle formule di Taylor il calcolo dei limiti.
Supponiamo di voler calcolare il limite
lim
x0
e
x
1 x
x
2
.
118 CAPITOLO 6. IL CALCOLO DIFFERENZIALE
una forma di indecisione evidente, e nessun limite notevole pu risolverla
senza fare ulteriori indagini. Ma se ricordiamo la formula di Taylor per la
funzione esponenziale e la denizione di o piccolo, possiamo scrivere
e
x
1 x
x
2
=
1 +x +x
2
+o(x
2
) 1 x
x
2
= 1 +
o(x
2
)
x
2
1
per x 0. Una via alternativa
17
consiste nellapplicare due volte la regola
di De lHospital. Lasciamo allo studente i dettagli relativi.
Qualche studente intraprendente potrebbe credere che i principali limiti
possano essere dedotti dagli sviluppi di Taylor. Purtroppo, tali deduzioni
sarebbero quasi certamente scorrette da un punto di vista logico. Pensiamo
al famoso limite
lim
x0
sin x
x
= 1. (6.7)
Se usiamo lo sviluppo di Taylor sin x = x
1
3!
x
3
+o(x
3
), arriviamo immedia-
tamente al risultato. Ma calcolare il polinomio di Taylor richiede il calcolo
delle derivate. Come si calcola la derivata della funzione seno in x = 0?
Facendo il limite del rapporto incrementale:
lim
x0
sin x sin 0
x 0
= lim
x0
sin x
x
.
C qualcosa che non va: stiamo calcolando un limite notevole, ma abbia-
mo bisogno di conoscerlo prima di calcolarlo. Questo apparente paradosso
dovrebbe farci riettere sullimportanza di costruire una casa partendo dalle
fondamenta, e non dal primo piano. Dando per scontata la denizione in-
genua delle funzioni goniometriche seno e coseno, prima dobbiamo calcolare
i limiti notevoli, e solo poi possiamo calcolare le derivate. Quelle noiose di-
suguaglianze geometriche che costituiscono la dimostrazion e elementare del
limite notevole (6.7) non sembrano facilmente evitabili.
18
Inne, proponiamo unapplicazione della formula di Taylor alanalisi dei
punti critici.
17
Alternativa per modo di dire. Il polinomio di Taylor sostanzialmente equivalente
alluso di De lHospital, come visto. Se dovessimo calcolare ogni volta i coecienti del
polinomio, tanto varrebbe usare De lHospital. Fortunatamente esistono le tabelle degli
sviluppi di Taylor per le principali funzioni, e il loro uso riduce sensibilmente la mole
di calcoli necessaria per calcolare molti limiti in forma indeterminata. Ovviamente, molti
software sono capaci di scrivere i polinomi di Taylor di funzioni arbitrarie in pochi secondi.
18
I matematici puri danno spesso denizioni pi ranate per la funzione seno, e questo
permette di calcolarne la derivata seguendo strade diverse. Purtroppo, nelleconomia di
un primo corso di matematica questi escamotages sono troppo complicati.
6.10. IL POLINOMIO DI TAYLOR 119
Proposizione 6.50. Sia f : (a, b) R una funzione derivabile n volte in
(a, b). Inoltre sia
Df(x
0
) = D
2
f(x
0
) = = D
n1
f(x
0
) = 0, D
n
f(x
0
) ,= 0.
Allora
1. se n pari e D
n
f(x
0
) > 0, x
0
un punto di minimo;
2. se n pari e D
n
f(x
0
) < 0, x
0
un punto di massimo;
3. se n dispari, x
0
non n un punto di massimo n un punto di minimo.
Dim. Tutte le aermazioni discendono dal teorema di Taylor. Infatti, per
ipotesi si pu scrivere
f(x) = f(x
0
) +
D
n
f(x
0
)
n!
(x x
0
)
n
+o((x x
0
)
n
)
per x x
0
. Se n pari, allora, in un intorno di x
0
, f(x) f(x
0
) ha lo stesso
segno di D
n
f(x
0
), e si conclude. Se n dispari, in ogni intorno di x
0
ci sono
punti x in cui f(x) f(x
0
) positivo, e altri punti in cui la stessa quantit
negativa. Pertanto, x
0
non n u massimo n un minimo relativo.
La proposizione precedente gode di una certa popolarit soprattutto nei
testi di matematica per le scuole superiori. In eetti, quasi tutte le tecniche
meccaniche, che richiedono tanti calcoli e poco ragionamento, sembrano avere
grande fortuna nellinsegnamento secondario.
Tuttavia, il calcolo delle derivate successive pu essere fonte di banali er-
rori di calcolo; conviene allora cercare di studiare il segno della derivata prima
attorno a x
0
, per applicare il criterio di monotonia descritto in precedenza.
Fra laltro, esistono funzioni maleducate alle quali la Proposizione di-
mostrata adesso non si applica. Per esempio, la funzione P : R R denita
da
19
P(x) =
_
exp(1/x
2
), x ,= 0
0 x = 0
ha un evidente minimo in x = 0. Tuttavia si potrebbe dimostrare che per
ogni j N
D
j
P(0) = 0.
A parole, tutte le derivate di P calcolate in x = 0 sono nulle! Non ce speran-
za di descrivere la natura dellorigine mediante la Proposizione. Senza voler
19
P liniziale di piatta.
120 CAPITOLO 6. IL CALCOLO DIFFERENZIALE
essere rigorosi, potremmo dire che P indenitamente piatta nellorigine.
Landamento qualitativo di P evidenziato nella prossima gura.
0
0.05
0.1
0.15
0.2
0.25
0.3
0.35
1 0.8 0.6 0.4 0.2 0.2 0.4 0.6 0.8 1
x
Capitolo 7
Teoria dellintegrazione secondo
Riemann
Ogni studente universitario ha, o dovrebbe avere, una certa familiarit con
il calcolo di aree e volumi. A livello elementare, diciamo no alle scuole
superiori, si impara a misurare perimetri, aree e volumi di speciali gure geo-
metriche. Fra queste compaiono i quadrilateri, i triangoli, i parallelepipedi,
e cos via. Gi la lunghezza della circonferenza pone diversi problemi tecni-
ci, generalmente superati dautorit insegnando che la circonferenza unitaria
misura 2.
1
Sorvolando sulla denizione stessa di , che spesso si dice valere
circa 3.14 senza altri particolari, la misurazione della lunghezza della cir-
conferenza resa attraente mediante il classico trucco dello spago arrotolato
attorno alla circonferenza.
Con le aree, la faccenda si fa ancora pi spinosa. Infatti, se ci pu sem-
brare intelligente ed anche intuitivo dire che il rettangolo di lati a e b ha
unarea pari a ab (base altezza), ben pi inquietante laermazione che
il cerchio di raggio r ha unarea pari a r
2
(raggio raggio 3.14). Qui
non c pi lo spago da arrotolare. Nei casi pi fortunati, impariamo che la
misura dellarea del cerchio si ottiene inscrivendo in esso poligoni regolari con
un numero sempre maggiore di lati, e facendo tendere allinnito il numero
di lati. Larea del cerchio sar allora il limite, per n +, dellarea del
poligono regolare di n lati inscritto.
Ancora pi in generale, consideriamo una funzione f : [a, b] R, positiva
e continua. Nel piano cartesiano, il suo graco y = f(x) rappresenta una
curva continua: che signicato potremmo dare allarea di piano che giace
fra lasse delle x e il graco della funzione? Non facile dare una risposta
1
Ovviamente, occorrerebbe specicare ununit di misura: metri, centimetri,
chilometri.
121
122 CAPITOLO 7. INTEGRALE DI RIEMANN
completamente comprensibile da uno studente di terza media. Fu solo nel
corso del XVIII secolo che celebri matematici di nome Chauchy, Riemann,
ecc. furono in grado di introdurre una teoria potente e compatibile con
lintuizione stessa di area.
Nelle sezioni seguenti presenteremo un approccio ormai classico allinte-
grazione secondo Riemann. Seguiamo da vicino [24] e lappendice di [25].
Non daltronde lunico approccio possibile, e infatti in [6, 13] lo studente
pu trovare presentazioni diverse dalla nostra. In [5], la teoria dellintegrale
non veramente svolta, tranne per le funzioni continue.
Osservazione 7.1. Per molti decenni, i primi corsi di analisi matematica
per gli studenti di Scienze ed Ingegneria presentavano una teoria ristretta
dellintegrazione, dovuta a L. A. Cauchy. Si introduce un integrale denito
che esiste in generale solo sotto lipotesi di continuit; quindi uno strumento
meno potente di quello che vedremo nelle prossime pagine, sebbene abbia il
pregio della maggior semplicit.
Avvertenza. In queste note, abbiamo deciso di trattare la cosiddetta inte-
grazione indenita solo marginalmente in un paragrafo successivo. Riteniamo
infatti che la ricerca delle primitive sia una questione di esercizio, pi che di
teoria. Sul mio libro di quinta liceo scientico,
2
lAutore scriveva che tutta
la teoria dellintegrale indenito consiste di una denizione e di una decina
di integrali immediati. La denizione ovviamente quella di primitiva. Si
usa dire che alla base di tale teoria stia la necessit di invertire loperazione
di derivazione. Data una funzione, vorremmo scriverne (almeno) unaltra la
cui derivata coincida con la funzione assegnata. Problema legittimo e al-
quanto interessante, che si risolve comunque in una denizione, un paio di
osservazioni e due regolette. Tutto il resto esercizio. Ci piacerebbe che
lo studente prendesse consapevolezza di un fatto: in matematica la teoria
dellintegrazione quella denita.
7.1 Partizioni del dominio
Situazione: abbiamo una funzione f : [a, b] R, limitata, denita sullinter-
vallo chiuso e limitato [a, b].
Osservazione 7.2. Lipotesi di limitatezza della funzione f sar tacitamente
mantenuta in tutto la trattazione dellintegrazione secondo Riemann. Nella
sezione dedicata agli integrali impropri e generalizzati vedremo no a che
2
R. Ferrauto, Lezioni di Analisi Matematica. Casa editrice Dante Alighieri.
7.1. PARTIZIONI DEL DOMINIO 123
punto sia possibile parlare di integrazione denita per funzioni non limitate.
Ovviamente, lipotesi di limitatezza potrebbe essere rimossa n dallinizio
facendo ricorso allintegrazione secondo Lebesgue.
Denizione 7.3. Una partizione di [a, b] un insieme nito di punti P =
x
0
, x
1
, . . . , x
n
tali che
a = x
0
< x
1
< x
2
< < x
n1
< x
n
= b.
Una partizione P

pi ne di P se contiene pi punti di P. Date due


partizioni P e P

, il loro ranamento comune la partizione P

= P P

.
Osservazione 7.4. Poich le partizioni sono semplici insiemi, ad esse si ap-
plicano tutte le consuete operazioni fra insiemi: unioni, intersezioni, ecc.
Nei fatti, il ranamento comune di due partizioni si ottiene mettendo in-
sieme i punti di entrambe, e ovviamente disponendoli in ordine crescente di
grandezza.
Denizione 7.5. Lampiezza di una partizione P si denisce come
(P) = max
i=1,...,n
[x
i
x
i1
[.
Notazione. Se P = x
0
, x
1
, . . . , x
n
una partizione di [a, b], si pone
x
i
= x
i
x
i1
.
In corrispondenza di una partizione P, introduciamo due approssimazioni,
luna per difetto e laltra per eccesso, dellarea sottesa dal graco di f e
dallasse delle ascisse. Per ogni i 0, 1, . . . , n
m
i
= inf
x
i1
xx
i
f(x), M
i
= sup
x
i1
xx
i
f(x). (7.1)
La limitatezza di f garantisce ovviamente che m
i
e M
i
sono numeri reali, cio
< m
i
M
i
< +. chiaro che questa conclusione diviene falsa senza
ipotesi di limitatezza. Se, per esempio, f avesse un asintoto verticale x = x
0
interno allintervallo [a, b], almeno uno fra m
i
e M
i
diventerebbe innito per
ogni partizione contenente il punto x
0
.
Siano ora
L(P, f) =
n

i=1
m
i
x
i
, U(P, f) =
n

i=1
M
i
x
i
.
124 CAPITOLO 7. INTEGRALE DI RIEMANN
Geometricamente, L(P, f) la somma delle aree dei rettangoli di base x
i
e
di altezza m
i
, che rappresentano i rettangoli inscritti fra lasse delle ascisse
e il graco di f. Analogamente, i rettangoli di base x
i
e altezza M
i
sono
circoscritti al graco di f. Intuitivamente, L(P, f) unapprossimazione per
difetto dellarea sottesa dal graco di f, mentre U(P, f) unapprossimazione
per eccesso della stessa area.
Denizione 7.6. Il numero
_
b
a
f(x) dx = sup
P
L(P, f)
prende il nome di integrale inferiore di f su [a, b]. Analogamente, il numero
_
b
a
f(x) dx = inf
P
U(P, f)
prende il nome di integrale superiore di f esteso ad [a, b].
Segue dallovvia relazione L(P, f) U(P, f) che
_
b
a
f(x) dx
_
b
a
f(x) dx.
Inoltre, la limitatezza di f implica che i due integrali inferiore e superiore
sono sempre numeri reali niti. Infatti, da m f(x) M per ogni x [a, b]
discende che
< m(b a) L(P, f) U(P, f) M(b a) < +
per ogni partizione P. La conclusione segue prendendo linf e il sup al variare
delle partizioni P.
Denizione 7.7. Una funzione f : [a, b] R integrabile secondo Riemann
se
_
b
a
f(x) dx =
_
b
a
f(x) dx. In questo caso il valore comune dei due integrali
inferiore e superiore prendo il nome di integrale denito di f, e si denota col
simbolo
_
b
a
f(x) dx.
Osservazione. In queste note, abbiamo privilegiato la notazione tipica dei
libri di Calcolo
_
b
a
f(x) dx invece di quella, logicamente pi coerente,
_
b
a
f.
3
In eetti, dalle nostre denizioni consegue che solo f e lintervallo [a, b] so-
no coinvolti nella denizione di integrale. La variabile x perfettamente
superua. Tuttavia, capita spesso di scrivere espressioni quali
_
1
0
x
2
dx =
1
3
.
3
Capita di veder scritto
_
b
a
f(x) dx, I(f, a, b), oppure
_
b
a
dxf(x). Questultima
notazione, a mio parere detestabile, particolarmente popolare nei libri di sica.
7.1. PARTIZIONI DEL DOMINIO 125
Un attimo di riessione ci convince che quella appena scritta uninesattezza
paragonabile a
d
dx
x
3
= 3x
2
.
Sarebbe una battaglia persa convincere che la scrittura corretta pi o meno
d
dx
(t t
3
)(x) = 3x
2
.
C stato qualche coraggioso che ha tentato di introdurre nellAnalisi mate-
matica elementare queste notazioni, ma ormai nessuno ne ricorda il nome!
Morale della favola, i simboli
_
b
a
f(x) dx e
_
b
a
f(y) dy rappresentano il
medesimo ente matematico.
Proposizione 7.8. Sia P una partizione, e sia P

pi ne di P. Allora
L(P

, f) L(P, f), e U(P

, f) U(P, f).
Dim. Cominciamo a supporre che P

contenga esattamente un punto pi di


P. Se x questo punto, esiste un indice i tale che x
i1
< x < x
i
, dove x
i1
e x
i
sono due punti consecutivi di P. Posto
w
1
= inf
x
i1
x x
f(x), w
2
= inf
xxx
i
f(x),
chiaro che w
1
m
i
e w
2
m
i
. Quindi
L(P

, f) L(P, f) = w
1
( x x
i1
) +w
2
(x
i
x) m
i
(x
i
x + x x
i1
)
= (w
1
m
i
)( x x
i1
) + (w
2
m
i
)(x
i
x) 0.
Un ragionamento del tutto analogo mostra che U(P

, f) U(P, f). Se poi


P

contiene un numero k > 1 di punti pi di P, basta ripetere k volte il


discorso appena visto.
La denizione di integrale appena introdotta non molto signicativa ri-
spetto al calcolo eettivo degli integrali deniti. Inoltre, non abbiamo ancora
costruito una classe maneggevole di funzioni che possono essere integrate.
Questaermazione non dovrebbe pi sorprendere lo studente: sappiamo gi
che solo alcune funzioni sono continue, altre sono derivabili. Certamente non
possiamo aspettarci che tutte le funzioni siano integrabili.
Quella che segue una caratterizzazione molto forte dellintegrabilit .
Essendo una condizione necessaria e suciente per lintegrabilit, sar pos-
sibile utilizzarla in maniera del tutto equivalente alla denizione di integra-
bilit.
126 CAPITOLO 7. INTEGRALE DI RIEMANN
Teorema 7.9. Una funzione limitata f : [a, b] R integrabile se e solo se,
per ogni > 0 esiste una partizione P

tale che
U(P

, f) L(P

, f) < . (7.2)
Dim. Per ogni partizione P, L(P, f)
_
b
a
f(x) dx
_
b
a
f(x) dx U(P, f).
Se vale la (7.2), allora deduciamo che 0
_
b
a
f(x) dx
_
b
a
f(x) dx < , e
larbitrariet di garantisce che
_
b
a
f(x) dx =
_
b
a
f(x) dx. Questo signica che
f integrabile.
Viceversa, supponiamo che f sia integrabile. Fissato > 0, esistono due
partizioni P
q
e P
2
tali che
U(P
2
, f)
_
b
a
f(x) dx <

2
,
_
b
a
f(x) dx L(P
1
, f) <

2
.
Se P

il ranamento comune di P
1
e P
2
, allora U(P

, f) L(P

, f) < , e
possiamo scegliere pertanto P

= P

.
La condizione (7.2) sar quella che vericheremo sistematicamente per
controllare lintegrabilit delle funzioni. Prima di proseguire, vogliamo per
dare uninterpretazione pi intuitiva dellintegrale di Riemann. Per quanto
ne sappiamo nora, per calcolare lintegrale di una data funzione, dovremmo
calcolare un estremo inferiore ed un estremo superiore al variare di tutte
le possibili partizioni dellintervallo [a, b]. Non n comodo, n intuitivo.
Vedremo fra un attimo che linte grale in realt un limite di aree di rettangoli
al tendere a zero della lunghezza delle basi dei rettangoli.
Denizione 7.10. Sia P = x
0
, . . . , x
n
una partizione di [a, b]. Una somma
di Riemann per la funzione limitata f su [a, b] una somma del tipo
(P, f) =
n

i=1
f(t
i
)x
i
,
dove t
i
[x
i1
, x
i
] un punto qualsiasi nellintervallino [x
i1
, x
i
].
Il teorema che segue permette di vedere lintegrale come unoperazione di
limite.
Teorema 7.11. Una funzione limitata f integrabile se e solo se esiste nito
lim
(P)0
(P, f). In tal caso, risulta
_
b
a
f(x) dx = lim
(P)0
(P, f).
7.1. PARTIZIONI DEL DOMINIO 127
Dim. Supponiamo dapprima che A = lim
(P)0
(P, f) esista nito. Fissato
> 0, esiste > 0 tale che (P) < implica, per ogni scelta di t
1
, . . . , t
n
,
A

2
(P, f) A +

2
.
Sia P una partizione qualsiasi, con (P) < . Facendo assumere a t
1
, . . . , t
n
tutti i valori possibili e passando allestremo inferiore e superiore delle corri-
spondenti somme di Riemann, si ha
inf
t
1
,...,t
n
(P, f) = L(P, f),
sup
t
1
,...,t
n
(P, f) = U(P, f).
e quindi
A

2
L(P, f) U(P, f) A +

4
.
Ma allora f integrabile, ed anzi A =
_
b
a
f(x) dx per larbitrariet di .
Viceversa, sia > 0 ssato. Esiste una partizione P

tale che U(P

, f)
_
b
a
f(x) dx +

2
. Supponiamo che P

sia costituita da n + 1 punti e quindi


divida [a, b] in n intervalli. Siano
M = sup
x[a,b]
[f(x)[, 0 <
1
<

8Mn
.
Consideriamo una partizione P tale che (P) <
1
, e denotiamo con P

il
ranamento comune a P

e P. Allora
U(P, f) = U(P, f) U(P

, f) +U(P

, f) U(P, f) U(P

, f) +U(P

, f)
U(P, f) U(P

, f) +

4
+
_
b
a
f(x) dx.
I punti di P

interni a intervalli di P sono al massimo n 1, e quindi


U(P, f) U(P

, f) (n 1) 2M
1
<
n 1
n

4
<

4
.
Quindi
U(P, f)

2
+
_
b
a
f(x) dx
per ogni partizione P con (P) < . Analogamente si pu provare che esiste

2
> 0 tale che per ogni partizione P con (P) <
2
risulta
L(P, f)
_
b
a
f(x) dx

2
.
128 CAPITOLO 7. INTEGRALE DI RIEMANN
Se (P) < = min
1
,
2
, allora
_
b
a
f(x) dx

2
L(P, f) U(P, f)

2
+
_
b
a
f(x) dx.
Poich L(P, f) (P, f) U(P, f), si ha

(P, f)
_
b
a
f(x) dx


per ogni partizione P con (P) < e per ogni scelta dei punti t
1
, . . . , t
n
. Per
denizione, questo vuol dire che
_
b
a
f(x) dx = lim
(P)0
(P, f).
Osservazione 7.12. Molte attribuzioni vengono fatte per la teoria dellin-
tegrazione denita. L. A. Cauchy dimostr che il limite delle somme di
Riemann al tendere a zero dellampiezza della partizione esiste nito per tut-
te le funzioni continue. Alcuni Autori chiamano pertanto integrale secondo
Cauchy quello costruito mediante il limite delle somme di Riemann applicate
a funzioni continue. Lestensione al caso delle funzioni limitate sembra essere
dovuta a Riemann, mentre lapproccio con gli integrali inferiore e superio-
re dovuto al matematico francese Darboux. Come vedremo, tutte queste
teorie vengono a coincidere per la maggior parte delle funzioni elementari
e addirittura per tutte le funzioni (limitate) che possiedono un numero nito
di punti di discontinuit nellintervallo di integrazione [a, b].
Calcolo di un integrale mediante la denizione. Usando la teoria
delle serie numeriche e il Teorema precedente, mostriamo come calcolare un
integrale denito. Seguendo lesempio di Archimede, calcoliamo larea del
segmento parabolico:
S =
_
1
0
x
2
dx.
Fissato arbitrariamente n N, consideriamo la partizione equi-distribuita
0 =
0
n
<
1
n
<
2
n
< . . . <
n 1
n
<
n
n
= 1.
Dando per scontato che la funzione x x
2
sia integrabile in [0, 1], il Teorema
precedente garantisce che la somma di Riemann
S
n
=
n

k=1
_
k 1
n
_
2
1
n
7.1. PARTIZIONI DEL DOMINIO 129
converge al valore S dellintegrale cercato per n +. Per calcolare S
n
,
osserviamo che
S
n
=
1
n
3
n

k=1
(k 1)
2
=
1
n
3
_
1
2
+ 2
2
+ 3
2
+. . . + (n 1)
2
_
,
e dunque ci serve unespressione chiusa per la somma dei quadrati dei primi
n 1 numeri naturali. La formula per questa espressione nota, ma non
molto intuitiva. Lespressione chiusa
S
n
=
1
n
3
_
1
3
n
3

1
2
n
2
+
1
6
n
_
.
Per quanto detto sopra,
_
1
0
x
2
dx = lim
n+
S
n
=
1
3
.
piuttosto sorprendente che questo risultato, ottenuto praticamente con lo
stesso ragionamento esposto, fosse noto gi nellantica Grecia!
La verica dellintegrabilit della funzione x x
2
contenuta nel pros-
simo Teorema.
Una prima classe di funzioni certamente integrabili quella delle funzioni
monotone (crescenti oppure decrescenti).
Teorema 7.13. Sia f : [a, b] R una funzione monotona e limitata. Allora
f integrabile.
Dim. Dimostriamo lenunciato nel caso in cui f sia monotona crescente.
Prendiamo > 0 arbitrariamente piccolo, e sia n un numero naturale mag-
giore di (f(b) f(a))(b a)/. Consideriamo i punti equispaziati (nel senso
che x
i
= x
i
x
i1
= (b a)/n per ogni valore dellindice i)
x
i
= a +
b a
n
i, i = 0, . . . , n.
La partizione P = x
i

i=0,...,n
verica la condizione (7.2). Infatti, con ovvio
signicato dei simboli,
U(P, f) L(P, f) =
n

i=0
(M
i
m
i
)x
i
=
n

i=0
(f(x
i+1
) f(x
i
))
b a
n
=
b a
n
n

i=0
(f(x
i+1
) f(x
i
)) =
b a
n
(f(b) f(a)) < .
130 CAPITOLO 7. INTEGRALE DI RIEMANN
Dunque f integrabile su [a, b]. Il caso in cui f sia decrescente analogo.
Di pi, si deduce dal caso gi dimostrato: infatti se f decresce, allora f
cresce. Poich evidente che una funzione f integrabile se e solo se lo
f, abbiamo concluso.
Osservazione. Il teorema precedente non d informazioni di alcun tipo sul
valore di
_
b
a
f(x) dx. Ci dice soltanto che questo integrale di Riemann esiste.
Come sappiamo, una funzione monotona non necessariamente una fun-
zione continua. Si potrebbe dimostrare che non pu essere troppo discon-
tinua, ma questo va oltre gli scopi del nostro corso. Quindi, lintegrabilit
delle funzioni continue non un caso particolare del teorema sulle funzioni
monotone. Purtroppo la dimostrazione che tutte le funzioni continue sono
integrabili richiede qualche fatica aggiuntiva.
7.2 La continuit uniforme e lintegrazione del-
le funzioni continue
Ripensiamo alla denizione di continuit: una funzione f continua nel
punto x
0
se per ogni > 0 esiste > 0, dipendente da e da x
0
, tale che
[x x
0
[ < implichi [f(x) f(x
0
)[ < . Pensiamo alla continuit della
funzione x x
2
; si riesce a determinare esplicitamente un che soddisfa
questa condizione, ma non si pu pretendere che lo stesso vada bene per ogni
x
0
.
4
Decisamente diverso il caso della funzione x x. Per questa funzione,
basta scegliere = , senza specicare in quale punto x
0
stiamo vericando
la continuit. Questa propriet cos importante che le si attribuisce un
nome speciale.
Denizione 7.14. Una funzione f : D R R uniformemente continua
in D se per ogni > 0 esiste > 0 tale che [f(x
1
) f(x
2
)[ < per ogni
scelta di x
1
, x
2
D tali che [x
1
x
2
[ < .
La continuit uniforme un concetto diverso dalla semplice continuit:
la funzione exp: R (0, +), denita da exp x = e
x
, non uniformemente
continua in R. Infatti, negare la denizione di continuit uniforme signica
dimostrare che: esiste > 0 tale che, scelto arbitrariamente > 0, esistono
4
Scriviamo un cenno della dimostrazione. Sia x
0
,= 0, e ssiamo > 0. Se < /(2[x
0
[)
e [x x
0
[ < , allora [x
2
x
2
0
[ = [(x x
0
)(x + x
0
)[ < 2[x
0
[ < . evidente che 0
se [x
0
[ +. Questo rende impossibile la scelta di indipendentemente dal punto x
0
.
7.2. CONTINUIT UNIFORME 131
punti x
1
e x
2
D tali che [x
1
x
2
[ < ma [f(x
1
) f(x
2
)[ . Ora, se
scegliamo > 0 abbastanza piccolo, e se poniamo x
1
= + 1/ e x
2
= 1/,
ovviamente [x
1
x
2
[ = e
[ exp x
1
exp x
2
[ = e
1

= e
1

+
per 0
+
. Per questa ragione, la funzione continua exp non pu essere
uniformemente continua in R. Lostacolo che si frapposto fra la continuit
e la continuit uniforme stato la possibilit di far tendere x
1
e x
2
allinnito
mentre 0. Il prossimo risultato ci dice che tutte le funzioni continue su
un intervallo chiuso e limitato sono addirittura uniformemente continue.
Teorema 7.15. Tutte le funzioni continue, denite su un intervallo chiuso
e limitato della forma [a, b], sono uniformemente continue su tale intervallo.
Dim. Dimostreremo il teorema ragionando per assurdo. Se neghiamo la de-
nizione di continuit uniforme, arriviamo allenunciato: esiste

> 0 ed
esistono due successioni x
n
ed y
n
di punti in [a, b] tali che lim
n+
[x
n

y
n
[ = 0 ma [f(x
n
) f(y
n
)[

. Ora, per il Teorema 3.28, esistono due


sottosuccessioni x
n
k
di x
n
e y
n
k
di y
n
tali che x
n
k
x

[a, b]
e y
n
k
y

[a, b] per k +, ma [f(x


n
) f(y
n
)[

. Lipotesi che
lim
n+
[x
n
y
n
[ = 0 implica x

= y

, e la continuit di f implica che


f(x
n
k
) f(x

) e f(y
n
k
) y

per k +. Ma allora
0 <

lim
k+
[f(x
n
k
) f(y
n
k
)[ = f(x

) f(y

) = 0.
Questa catena assurda di disuguaglianze implica che era assurda la negazione
della continuit uniforme. Pertanto, f uniformemente continua.
Osserviamo che la funzione x R x
2
[0, +) non uniformemente
continua, come si pu vericare imitando il ragionamento utilizzato per la
funzione exp. Lo invece ogni sua restrizione a intervalli chiusi e limitati.
Per inciso, questo dovrebbe convincere lo studente che linsieme di deni-
zione di una funzione tanto importante quanto la formula analitica che la
rappresenta.
Abbiamo ormai a nostra disposizione tutti gli ingredienti per formulare e
dimostrare un teorea di integrabilit per le funzioni continue su un intervallo.
Teorema 7.16. Una funzione continua f : [a, b] R integrabile.
132 CAPITOLO 7. INTEGRALE DI RIEMANN
Dim. Per il teorema UC di uniforme continuit, la funzione f uniforme-
mente continua. Dato > 0, esiste > 0 tale che [f(x
1
) f(x
2
)[ < /(b a)
per ogni scelta di x
1
, x
2
[a, b] tali che [x
1
x
2
[ < . Sia P = x
0
, . . . , x
n

una partizione di ampiezza (P) < . Allora


U(P, f) L(P, f) =
n

i=1
(M
i
m
i
)x
i

i=0

b a
(x
i
x
i1
) =

b a
(b a) = .
poich [x
i
x
i1
[ < e di conseguenza M
i
m
i
<

ba
. Abbiamo costruito
una partizione P che soddisfa la (7.2), dunque f integrabile.
Pi in generale, si dimostra il seguente risultato di integrabilit. Avvisia-
mo lo studente che la dimostrazione abbastanza complicata.
Teorema 7.17. Una funzione limitata f : [a, b] R, avente un numero
nito di punti di discontinuit, integrabile.
Dim. Fissato arbitrariamente > 0, poniamo M = max
x[a,b]
[f(x)[ e sia E
linsieme (costituito da un numero nito di elementi) dove f discontinua.
Siccome E un insieme nito, possiamo ricoprirlo con un numero nito di
intervalli aperti [u
j
, v
j
] in modo che [v
j
u
j
[ < . Inoltre possiamo pensare di
posizionare questi intervalli in modo che ogni elemento dellinsieme E(a, b)
sia contenuto in qualche (u
j
, v
j
). Rimuoviamo ora gli intervalli (u
j
, v
j
) da
[a, b]. L insieme K che resta chiuso e limitato. Quindi f uniformemente
continua su K: esiste allora > 0 tale che [f(x) f(y)[ < se x, y K e
[x y[ < . Costruiamo adesso una partizione P di [a, b] come segue:
1. ogni u
j
ed ogni v
j
appartengono a P;
2. nessun punto di (u
j
, v
j
) appartiene a P;
3. se x
j
non uno dei punti u
j
, allora x
j
< .
Osserviamo che M
i
m
i
2M per ogni i, e che M
i
m
i
a meno che
x
i1
non sia uno dei punti u
j
. Pertanto
U(P, f) L(P, f) (b a) + 2M.
Dal momento che arbitrario, abbiamo dimostrato lintegrabilit di f.
7.2. CONTINUIT UNIFORME 133
Osservazione 7.18. Al di l dei tecnicismi, lidea della dimostrazione pu
essere riassunta cos: si tolgono da [a, b] dei piccoli intorni di ogni punto di
discontinuit, e si osserva che le somme di Riemann si spezzano in due. Da
un lato le somme dove f risulta continua e quindi integrabile. Dallaltra le
somme relative ai piccoli intorni appena costruiti.
Ricordando che somme, prodotti, quozienti di funzioni continue sono an-
cora funzioni continue, alla luce del teorema di integrabilit per le funzioni
continue siamo spinti a credere che lintegrabilit rispetti le usuali operazio-
ni aritmetiche. Questo vero, ma naturalmente richiede una dimostrazione
indipendente dalla continuit. Ci limitiamo allenunciato preciso.
Teorema 7.19. Siano f e g due funzioni limitate, denite sullintervallo
[a, b]. Se f e g sono integrabili, allora le funzioni f +g ed fg sono integrabili.
Per ogni costante reale c, la funzione cf integrabile. Se g(x) ,= 0 per ogni
x [a, b], allora anche f/g integrabile. Valgono inoltre le formule
_
b
a
f(x) +g(x) dx =
_
b
a
f(x) dx +
_
b
a
g(x) dx,
_
b
a
cf(x) dx = c
_
b
a
f(x) dx

_
b
a
f(x) dx


_
b
a
[f(x)[ dx.
Dobbiamo rifuggire dalla tentazione di estendere al prodotto fg e al quo-
ziente f/g le formule di integrazione. Non vero che lintegrale del prodotto
il prodotto degli integrali! Gli esempi si sprecano, e li vedremo quan-
do sapremo come calcolare di fatto un integrale denito di una funzione
assegnata.
Lintegrale di Riemann gode poi di una propriet molto interessante:
ladditivit rispetto al dominio di integrazione.
Proposizione 7.20. Sia f : [a, b] R una funzione integrabile. Se c [a, b],
allora f integrabile su [a, c] e su [c, b], e risulta
_
b
a
f(x) dx =
_
c
a
f(x) dx +
_
b
c
f(x) dx.
Lultima operazione inportante da analizzare quella di composizione. Si
preserva lintegrabilit componendo funzioni integrabili? S e no: la funzione
esterna deve essere almeno continua. Vale precisamente il seguente teorema.
134 CAPITOLO 7. INTEGRALE DI RIEMANN
Teorema 7.21. Sia f : [a, b] R una funzione integrabile su [a, b], e suppo-
niamo che c f(x) d per ogni x [a, b]. Sia : [c, d] R una funzione
continua. Allora la funzione composta f : [a, b] R integrabile su [a, b].
Deduciamo una conseguenza notevole: se f positiva ed integrabile, an-
che ogni potenza ad esponente reale positivo di f ancora integrabile. An-
che x e
f(x)
integrabile. Lasciamo al lettore il piacere di costruirsi altri
corollari dei risultati precedenti sullintegrabilit.
7.3 Il teorema fondamentale del calcolo inte-
grale
Arriviamo cos al momento pi atteso da ogni studente: la regoletta per
calcolare gli integrali. In altri termini, la formula che esprime il legame fra
lintegrale denito e le primitive di una funzione assegnata. Ci arriveremo
con la dovuta calma, passando attraverso una formula esplicita per scrivere
le primitive di una funzione continua.
Teorema 7.22. Sia f : [a, b] R una funzione limitata e integrabile. Allora
la funzione denita da
F(x) =
_
x
a
f(t) dt, (a x b) (7.3)
continua. Se f continua nel punto x
0
[a, b], allora F derivabile in x
0
e F

(x
0
) = f(x
0
).
Dim. Sia M = sup
x[a,b]
[f(x)[. Allora, presi x < y in [a, b], abbiamo che
[F(y) F(x)[ =

_
y
x
f(t) dt

_
y
x
[f(t)[ dt M(y x).
Quindi F addirittura uniformemente continua. Supponiamo che f sia con-
tinua in un certo x
0
. Fissiamo > 0 e sappiamo che esiste > 0 tale che
[x x
0
[ < implica [f(x) f(x
0
)[ < . Allora, se [h[ < ,

F(x
0
+h) F(x
0
)
h
f(x
0
)

1
h
_
x
0
+h
x
0
[f(t) f(x
0
)[ dt ,
e questo dimostra che
F

(x
0
) = lim
h0
F(x
0
+h) F(x
0
)
h
= f(x
0
).
La dimostrazione conclusa.
7.3. TEOREMA FONDAMENTALE DEL CALCOLO 135
Abbiamo appena visto che tutte le funzioni continue su un intervallo
hanno una primitiva abbastanza esplicita, ottenibile mediante integrazione
denita. Sottolineiamo che non si pu prescindere dalla continuit di f.
Infatti, prendiamo a = 0 e b = 2. La funzione discontinua
f(x) =
_
0 se 0 x 1
1 se 1 < x 2
denisce la funzione integrale F(x) =
_
x
0
f(t) dt mediante la formula
F(x) =
_
0 se 0 x 1
x 1 se 1 < x 2.
Questa funzione F continua, ma non una primitiva di f. Infatti, la
derivata di F nel punto x = 1 non esiste, trattandosi di un punto angoloso.
Il risultato che segue, noto sotto il nome di Teorema di Torricelli Barrow,
contiene un primo legame fra integrazione denita e integrazione indenita.
Teorema 7.23. Sia f : [a, b] R una funzione continua. Se F una
primitiva di f, cio F derivabile in ogni punto e F

= f, allora
_
b
a
f(x) dx = F(b) F(a).
Dim. Poniamo G(x) =
_
x
a
f(t) dt. Il teorema precedente ci mostra che G
una primitiva di f, e pertanto
d
dx
(F(x) G(x)) = f(x) f(x) = 0.
Quindi esiste un numero k reale tale che F(x) G(x) = k per ogni x [a, b].
Scegliendo x = a, vediamo che F(a) 0 = k, cio k = F(a). Quindi
_
b
a
f(x) dx = G(b) = F(b) k = F(b) F(a).
La dimostrazione conclusa.
Questo enunciato molto importante, e dipende in modo cruciale dalla
continuit della funzione integranda f. Tuttavia questa ipotesi non serve. Il
prezzo da pagare quello di una dimostrazione pi complicata.
136 CAPITOLO 7. INTEGRALE DI RIEMANN
Teorema 7.24. Sia f : [a, b] R una funzione integrabile. Se F una
primitiva di f, cio F derivabile in ogni punto e F

= f, allora
_
b
a
f(x) dx = F(b) F(a).
Dim. Sia > 0. Sappiamo che lintegrabilit di f implica lesistenza di
una partizione P = x
0
, . . . , x
n
tale che U(P, f) L(P, f) < . Per ogni
i = 1, . . . , n, il teorema di Lagrange applicato alla funzione F ci dice che
esiste t
i
[x
i1
, x
i
] tale che F(x
i
) F(x
i1
) = f(t
i
)x
i
. Dal momento che
t
i
[x
i1
, x
i
], avremo m
i
f(t
i
) M
i
, e dunque

_
b
a
f(x) dx
n

i=1
f(t
i
)x
i

< .
Inoltre,
F(b) F(a) = [F(x
1
) F(x
0
)] + [F(x
2
) F(x
1
)] + + [F(x
n
) F(x
n1
)]
=
n

i=1
F(x
i
) F(x
i1
).
Deduciamo che

F(b) F(a)
_
b
a
f(x) dx

i=1
F(x
i
) F(x
i1
)
_
b
a
f(x) dx

i=1
f(t
i
)x
i

_
b
a
f(x) dx

< .
Questo conclude la dimostrazione.
Osservazione 7.25. Ci sembra utile proporre il seguente argomento per la
dimostrazione del teorema precedente. Fissata arbitrariamente una parti-
zione P di [a, b], per ogni indice i esiste un punto t
i
[x
i1
, x
i
] tale che
F(x
i
) F(x
i1
) = f(t
i
)x
i
. Sommando rispetto a i, otteniamo
F(b) F(a) =
n

i=1
F(x
i
) F(x
i1
) =
n

i=1
f(t
i
)x
i
, ()
e a destra dellultimo segno di uguaglianza riconosciamo una somma di Rie-
mann per la funzione f. Invocando allora il Teorema 6.8, ci sembrerebbe
7.3. TEOREMA FONDAMENTALE DEL CALCOLO 137
lecito far tendere a zero lampiezza (P) della partizione P e di concludere
che
_
b
a
f(x) dx = lim
(P)0
n

i=1
f(t
i
)x
i
= F(b) F(a).
La dimostrazione cos terminata. Ne siamo proprio sicuri? La risposta
che questa non una dimostrazione corretta. Fare il limite delle somme di
Riemann signica che per ogni > 0 esiste > 0 tale che, per ogni partizione
P di ampiezza (P) < e per ogni scelta dei punti t
i
[x
i1
, x
i
] si ha

i=1
f(t
i
)x
i

_
b
a
f(x) dx

< .
Invece, nel nostro ragionamento, i punti t
i
sono opportunamente scelti. Spo-
standoli anche solo di poco, la relazione () diventa in generale falsa! Si
potrebbe dimostrare con poca fatica che le cose vanno a posto quando f
continua, dal momento che piccoli spostamenti dei punti t
i
comportano pic-
coli spostamenti dei valori f(t
i
). Ma il teorema fondamentale del calcolo per
le funzioni continue ha una dimostrazione ancora pi elementare che abbiamo
gi proposto.
Ricapitolando, per calcolare un integrale denito basta procurarsi una
primitiva e applicare il teorema di Torricelli.
Unestensione pressoch immediata al concetto di primitiva il seguente.
Denizione 7.26. Sia (a, b) un intervallo, e sia f : (a, b) R. Si dice che
F : (a, b) R una primitiva in senso esteso di f se F continua in ogni
punto di (a, b), se F derivabile in (a, b) eccetto al pi un numero nito di
punti x
1
, . . . , x
n
, e se F

(x) = f(x) per ogni x (a, b) x


1
, . . . , x
n
.
Invitiamo lo studente a dimostrare che se F e G sono due primitive in
senso esteso di una certa f, allora F e G dieriscono per una costante. Sug-
gerimento: su ciascuno degli intervalli [x
1
, x
2
], [x
2
, x
3
], ecc. la funzione F G
ha derivata nulla. Quindi essa costante su ognuno di questi intervalli. Il
punto che le varie costanti potrebbero essere diverse: F(x) G(x) = C
1
in [x
1
, x
2
], F(x) G(x) = C
2
in [x
2
, x
3
], e cos via. La continuit di F e di
G, assunta per ipotesi nella denizione precedente, obbliga tuttavia queste
costanti a coincidere. La conclusione ormai a portata di mano.
138 CAPITOLO 7. INTEGRALE DI RIEMANN
7.4 Media integrale
Se f : [a, b] R integrabile, il numero
1
b a
_
b
a
f(x) dx
si chiama media integrale di f sullintervallo [a, b]. Se P una qualunque
partizione di [a, b], risulta
(b a) inf
x[a,b]
f(x) L(P, f) U(P, f) (b a) sup
x[a,b]
f(x),
e in particolare
inf
x[a,b]
f(x)
1
b a
_
b
a
f(x) dx sup
x[a,b]
f(x).
Questo mostra che la media integrale di f un numero compreso fra lestremo
inferiore e lestremo superiore di f. Se f anche continua, sappiamo dal
Teorema 5.33 che tale numero deve essere assunto in qualche punto di [a, b].
Precisamente vale il seguente risultato.
Teorema 7.27. Se f : [a, b] R continua, allora esiste [a, b] tale che
f() =
1
ba
_
b
a
f(x) dx.
7.5 Applicazioni al calcolo degli integrali de-
niti
Ricordiamo che la formula di derivazione
(fg)

= f

g +fg

conduce alla regola di integrazione per parti (si veda anche il paragrafo
successivo)
_
f(x)g

(x) dx = f(x)g(x)
_
f

(x)g(x) dx.
Il teorema fondamentale del calcolo integrale ci dice immediatamente che
_
b
a
f(x)g

(x) dx = f(b)g(b) f(a)g(a)


_
b
a
f

(x)g(x) dx.
7.5. APPLICAZIONI AL CALCOLO DEGLI INTEGRALI DEFINITI 139
Un po pi complicata la formula per calcolare correttamente gli integrali
deniti per sostituzione. Se x = g(t), t [c, d], un cambiamento di variabile
monotono crescente,
5
allora
_
b
a
f(x) dx =
_
g
1
(b)
g
1
(a)
f(g(t))g

(t) dt. (7.4)


Se invece x = g(t), t [c, d], un cambiamento di variabile monotono
decrescente, dobbiamo usare la formula
_
b
a
f(x) dx =
_
g
1
(a)
g
1
(b)
f(g(t))g

(t) dt. (7.5)


Occorre fare molta attenzione alle formule (7.4) e (7.5). Queste ci dicono
che integrando per sostituzione gli estremi di integrazione vanno cambiati.
Vediamo un esempio: vogliamo calcolare
_
2
1
log x
x
dx.
Ponendo x = g(t) = e
t
, la formula (7.4) aerma che
_
2
1
log x
x
dx =
_
log 2
log 1
t
e
t
e
t
dt =
_
log 2
0
t dt =
1
2
(log 2)
2
.
Invitiamo gil studenti a fare molto esercizio per memorizzare queste formule.
Uno degli errori pi diusi quello di dimenticarsi di cambiare gli estremi di
integrazione.
Osservazione 7.28. Dalla discussione appena fatta, discende che il calcolo
di un integrale denito in cui sia necessario operare per sostituzione pu
essere svolto in due modi:
1. lavorando sempre con lintegrale indenito, e applicando il teorema
fondamentale solo come ultimo passaggio;
2. lavorando direttamente sullintegrale denito, ricordando sempre di
cambiare gli estremi di integrazione coerentemente con il cambiamento
di variabile.
5
sottinteso in questa espressione che g sia derivabile.
140 CAPITOLO 7. INTEGRALE DI RIEMANN
7.6 Cenni sulla ricerca delle primitive
Linsegnamento del paragrafo precedente che occorre sviluppare una certa
manualit nel calcolo delle primitive. Ricordiamo che
Denizione 7.29. Una funzione F una primitiva di una funzione f sul-
lintervallo I se F derivabile in I e risulta F

(x) = f(x) per ogni x


I.
Osservazione 7.30. Se calcolare la derivata di una funzione la cui formula
si compone di funzioni elementari sempre possibile mediante le regole di
calcolo dimostrate prima, il calcolo delle primitive delle funzioni elementari
pu sconnare dallambito delle funzioni elementari stesse. Per capirci, si
pu dimostrare che la funzione x e
x
2
non possiede primitive esprimibili
mediante formule elementari. Ovviamente questa funzione possiede primitive
in quanto si trata di una funzione continua. Il punto che non riusciremo
mai a scriverle esplicitamente mediante il solo utilizzo di funzioni elementari.
Innanzitutto, quante solo le primitive di una data funzione?
Proposizione 7.31. Dati un intervallo I ed una funzione f, due primitive
di f dieriscono per una costante additiva.
Dim. Siano F
1
ed F
2
due primitive di f su I. Poich
(F
1
F
2
)

= F

1
F

2
= f f = 0 in I,
la funzione F
1
F
2
costante in I. Quindi esiste C R tale che F
1
(x) =
F
2
(x) +C per ogni x I.
Quindi, se vogliamo trovare le primitive di una funzione su un intervallo,
occorre e basta trovarne una: tutte le altre dieriranno da essa per costanti
additive. Con un certo abuso di notazione, sottintendiamo lintervallo I e
scriviamo
_
f(x) dx = F [ F una primitiva di f su I . (7.6)
Questo pero non ci aiuta nel calcolo eettivo delle primitive. Inoltre, la
denizione non operativa, a dierenza di quella di derivata. Per arontare
questo problema, cominciamo ad osservare che ogni tabella di derivate
automaticamente una tabella di primitive. Ad esempio, dalla regola
d
dx
sin x = cos x
7.6. CENNI SULLA RICERCA DELLE PRIMITIVE 141
deduciamo che una primitiva della funzione coseno la funzione seno. Inoltre,
le regole algebriche per il calcolo dierenziale diventano (parzialmente) ergole
per il calcolo delle primitive. Infatti, se k una costante reale,
_
(f(x) +g(x)) dx =
_
f(x) dx +
_
g(x) dx,
_
k f(x) dx = k
_
f(x) dx.
Non ovviamente vero che la primitiva di un prodotto di funzioni sia il pro-
dotto delle corrispondenti primitive! La formula di Leibniz per la derivazione
dei prodotti d origine alla regola di integrazione per parti.
Proposizione 7.32 (Integrazione per parti). Se f 4 g sono due funzioni
derivabili in un intervallo I, allora
_
f(x)g

(x) dx = f(x)g(x)
_
f

(x)g(x) dx. (7.7)


Dim. Dalla formula di Leibniz D(fg) = Df g+f Dg segue immediatamente
che
f(x)g(x) =
_
f

(x)g(x) dx +
_
f(x)g

(x) dx,
cio la formula della proposizione.
Vediamo come si applica, in pratica, questa formula. Supponiamo di voler
calcolare
_
xe
x
dx. Come scegliere f e g? Abbiamo due possibilit :
1. f(x) = x e g

(x) = e
x
2. f(x) = e
x
e g

(x) = x.
Nel primo caso, la Proposizione precedente dice che
_
xe
x
dx = xe
x

_
e
x
dx = xe
x
e
x
+C.
Nel secondo caso,
_
xe
x
dx =
x
2
2
e
x

_
x
2
2
e
x
dx.
evidente che la seconda alternativa ha complicato il calcolo dellintegrale
indenito, mentre la prima lha risolto. Come vedere la scelta giusta?
Non ci sono ricette universali, ed soprattutto lesperienza che permette
di scegliere la strada migliore senza perdersi in calcoli inutili e complicati.
Se n qui abbiamo dato spazio alle regole algebriche, ci manca ancora un
metodo generale per arontare la ricerca delle primitive di funzioni ottenute
mediante composizione.
142 CAPITOLO 7. INTEGRALE DI RIEMANN
Proposizione 7.33 (Integrazione per sostituzione). Siano f ed x due fun-
zioni derivabili e tali che la composizione f x abbia signicato in un certo
intervallo. Allora
_
f

(x(t))x

(t) dt = f(x(t)) +C. (7.8)


Dim. Per la regola della catena,
d
dt
f(x(t)) = f

(x(t))x

(t),
sicch f(x(t)) +C =
_
f

(x(t))x

(t) dt.
Questa formula molto meno trasparente di quella di integrazione per
parti. In pratica, il metodo sembra potersi applicare solo alle funzioni in-
tegrande di un tipo molto particolare, cio (f x)x

. Vediamo ora S un
esempio molto semplice di applicazione. Si voglia calcolare
_
e
x+2
dx. Se po-
niamo f

(x) = e
x
e t = x+2, allora x = x(t) = t 2 derivabile e lintegarle
proposto si risolve con la formula di integrazione per sostituzione:
_
e
x+2
dx =
_
f

(x(t))x

(t) dt = e
t
+C = e
x+2
+C.
Ecco un secondo esempio: calcolare
_
x sin(x
2
) dx. Poniamo x
2
= t, in
modo che x = x(t) =

t. Quindi x

(t) =
1
2

t
e lintegrale diventa
_

t sin t
_

1
2

t
_
dt =
_
1
2
_
sin t dt =
1
2
cos t +C.
Torniamo inne alla variabile x, e poich t = x
2
possiamo scrivere
_
x sin(x
2
) dx =
1
2
cos(x
2
) +C.
Osservazione 7.34. Nellultimo esempio abbiamo cercato di proporre lo
schema pratico dellintegrazione per sostituzione, che appare un po diverso
dal contenuto della Proposizione 7.33. Per accertarsi di non aver commesso
qualche ingenuo errore di calcolo, lo studente senzaltro invitato a vericare
la correttezza della propria soluzione facendo la derivata della (presunta) pri-
mitiva. Se il risultato esattamente la funzione da integrare, allora lesercizio
corretto. Nel prossimo paragrafo lo studente pu trovare una motivazione
un po formale del funzionamento del metodo di sostituzione.
7.7. IL DIFFERENZIALE 143
Osservazione 7.35. Capita spesso di leggere interi paragra di libri di testo
dedicati ai cosiddetti integrali quasi immediati. Si tratta di quegli integrali
che si presentano sotto la forma generale
_
g(f(x))f

(x) dx,
dove f e g sono due funzioni assegnate. In realt, questi sono integrali
banalmente calcolabili per sostituzione: infatti, ponendo t = t(x) = f(x),
osserviamo che t

(x) = f

(x), sicch
_
g(f(x))f

(x) dx =
_
g(t) dt,
e basta allora procurarsi una primitiva G di g per concludere che
_
g(f(x))f

(x) dx = G(f(x)) +C.


Il secondo esempio visto sopra era in realt di questo tipo: infatti
_
x sin(x
2
) dx =
1
2
_
(2x) sin(x
2
) dx,
e riconosciamo un integrale quasi immediato nel quale f(x) = x
2
e g(x) =
sin x.
Se queste sono le uniche regole generali di calcolo delle primitive, que-
sto non signica che siamo capaci di calcolare tutti gli integrali indeniti
che possiamo concepire. Anche escludendo quei casi che non possiedono pri-
mitive esprimibili mediante funzioni elementari, il calcolo di una primitiva
pu richieder luso ripetuto e/o sovrapposto delle regole studiate, oltre na-
turalmente ad astuzie di natura algebrica o analitica. Insomma, il calcolo
integrale mette alla prova lo spirito di osservazione dello studente, e costitui-
sce certamente il primo ostacolo che la sola applicazione di regole meccaniche
non permettono di aggirare.
Nel prossimo paragrafo ci occuperemo dellintegrazione indenita di unam-
pia classe di funzioni, e saremo costretti ad utilizzare alcuni trucchi per
semplicare il nostro lavoro.
7.7 Il dierenziale
Denizione 7.36. Una funzione lineare L: R R una funzione tale che
per ogni x, y R ed ogni , reali risulti L(x +y) = L(x) +L(y).
144 CAPITOLO 7. INTEGRALE DI RIEMANN
Osservazione 7.37. Non dicile rendersi conto che tutte e sole le funzioni
lineari hanno la rappresentazione
L(x) = kx
per un valore opportuno di k R. In parole povere, le funzioni lineari di una
variabile sono rappresentate da rette uscenti dallorigine degli assi cartesiani.
Denizione 7.38. Una funzione f : (a, b) R dierenziabile nel punto
x
0
(a, b) se esiste una funzione lineare L (dipendente ovviamente da x
0
)
tale che
lim
h0
f(x
0
+h) f(x
0
) L(h)
h
= 0. (7.9)
Il dierenziale di f in x
0
, se esiste, viene indicato dal simbolo df(x
0
).
Osservazione 7.39. Dalla precedente osservazione, deriva che f dieren-
zialbile in x
0
se e solo se esiste un numero reale k tale che
lim
h0
f(x
0
+h) f(x
0
) kh
h
= 0,
e dunque se e solo se esiste un numero reale k tale che
k = lim
h0
f(x
0
+h) f(x
0
)
h
.
Dunque la dierenziabilit in x
0
coincide con la derivabilit in x
0
! Di pi,
df(x
0
) altro non che la funzione lineare h f

(x
0
)h.
Perch abbiamo introdotto linutile concetto di dierenziale se questo
coincide (con leggero abuso di terminologia) con la derivata? Una risposta
ranata ma poco corretta che, per funzioni di due o pi variabili, la derivata
deve essere denita mediante il dierenziale per avere tutte le propriet buone
che ci aspettiamo. Ma questa risposta non ci soddisfa, dato che per funzioni
di una variabile reale abiamo visto che tutto tempo sprecato.
Una risposta suggestiva che il dierenziale permette di rendere pi
intuitiva la formula di itnegrazione per sostituzione. Infatti, se x = x(t)
la sostituzione che vogliamo eettuare nellintegrale, allora possiamo usare il
concetto di dierenziale per scrivere
dx = x

(t) dt,
pensando che dt sia un piccolo incremento (quello che prima abbiamo de-
notato con h). Dunque, al posto di dx dobbiamo scrivere x

(t) dt, e questo


porta direttamente alla formula di integrazione per sostituzione.
7.8. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI RAZIONALI FRATTE 145
Osservazione 7.40. Capita spesso di leggere, sui testi pi tradizionali di
calcolo dierenziale, che i dierenziali sono pi essibili delle derivate perch
non richiedono che si specichi da quali variabili dipendono le quantit in
esame. Uno degli esempi classici la legge della sica pV = nT, dove p
la pressione, V il volume e T la temperatura (espressa in gradi Kelvin),
menter n una costante. A questo punto, si dice che dierenziando questa
uguaglianza, si ottiene
p dV +V dp = ndT,
qualunque siano le variabili indipendenti da cui dipendono p, V e T. Perso-
nalmente, non trovo questa conclusione cos eccitante ed innovativa. Il punto
che i matematici allantica pensavano alle funzioni come a formule esplicite
contenenti una o pi variabili indipendenti. Se non potevano scriverle, si
sentivano molto a disagio. Per noi, ormai, chiaro che la derivata opera sul-
le funzioni, indipendentemente dal nome scelto per le variabili indipendenti
che la descrivono. Nonostante ci, i sici matematici continuano ad utiliz-
zare un linguaggio pittoresco e simpaticamente vintage, e guai a mostrarsi
indierenti!
7.8 Integrazione delle funzioni razionali fratte
Le seguenti formule sono tratte da [2]: per a ,= 0,
_
dx
ax
2
+bx +c
=
_

_
2
_
4ac b
2
arctan
2ax +b
_
4ac b
2
, b
2
4ac < 0
1
_
b
2
4ac
log

2ax +b
_
b
2
4ac
2ax +b +
_
b
2
4ac

, b
2
4ac > 0

2
2ax +b
, b
2
= 4ac.
La forma analitica delle primitive dipende essenzialmente dal segno di =
b
2
4ac. I calcoli seguenti dovrebbero risvegliare qualche ricordo nella mente
146 CAPITOLO 7. INTEGRALE DI RIEMANN
dello studente: per a ,= 0,
ax
2
+bx +c = a
_
x
2
+
b
a
x +
c
a
_
= a
_
_
x +
b
2a
_
2
+
c
a

b
2
4a
2
_
= a
_
_
x +
b
2a
_
2
+
4ac b
2
4a
2
_
= a
_
_
x +
b
2a
_
2


4a
2
_
Vediamo che, per risolvere lequazione algebrica di secondo grado
ax
2
+bx +c = 0
dobbiamo risolvere
a
_
_
x +
b
2a
_
2


4a
2
_
= 0,
e cio
_
x +
b
2a
_
2


4a
2
= 0.
Ma questa equazione facile:
x +
b
2a
=
_

4a
2
=

2a
.
Lo studente non mancher di notare che abbiamo ricavato la celeberrima
formula risolutiva per le equazioni (algebriche) di secondo grado:
x =
b

2a
.
La presenza della radice quadrata di ci costringe a distinguere tre casi:
1. > 0
2. < 0
3. = 0.
Cominciamo dallultimo caso. Il polinomio ax
2
+ bx + c possiede due radici
reali coincidenti:
x
1
= x
2
=
b
2a
.
7.8. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI RAZIONALI FRATTE 147
Inoltre ax
2
+bx +c = a(x x
1
)
2
. Quindi
_
dx
ax
2
+bx +c
=
1
a
_
dx
(x x
1
)
2
=
1
a
1
x x
1
=
2
2ax +b
.
Il caso > 0 si tratta come nel seguito. Il nostro polinomio di secondo grado
possiede le due radici reali distinte
x
1
=
b

2a
, x
2
=
b +

2a
.
Perci ax
2
+bx +c = a(x x
1
)(x x
2
), e
_
dx
ax
2
+bx +c
=
1
a
_
dx
(x x
1
)(x x
2
)
.
Cerchiamo due numeri reali A e B tali che
1
(x x
1
)(x x
2
)
=
A
x x
1
+
B
x x
2
per ogni x / x
1
, x
2
. Mettendo a denominatore comune e operando qualche
semplicazione, otteniamo
1 = (A +B)x Ax
2
Bx
1
per ogni x / x
1
, x
2
. Ach questo sia vero, il coeciente della x a secondo
membro deve essere uguale al coeciente della x a primo membro (cio 0), e
i termini noti devono coincidere. Pertanto occorre risolvere il sistema lineare
in due equazioni
_
A +B = 0
Ax
2
+Bx
1
= 1.
(7.10)
La soluzione si trova facilmente per sostituzione:
_
A = 1/(x
1
x
2
)
B = 1/(x
1
x
2
).
Dunque
1
(x x
1
)(x x
2
)
=
1
x
1
x
2
1
x x
1

1
x
1
x
2
1
x x
2
.
148 CAPITOLO 7. INTEGRALE DI RIEMANN
Inne,
_
dx
ax
2
+bx +c
=
1
a
_
dx
(x x
1
)(x x
2
)
=
1
a
_
1
x
1
x
2
log [x x
1
[
1
x
1
x
2
log [x x
2
[
_
=
1
a(x
1
x
2
)
log

x x
1
x x
2

.
Sostituendo i valori di x
1
e x
2
e facendo qualche calcolo algebrico, si arriva
alla formula scritta allinizio di questo paragrafo.
Lultimo caso quello in cui < 0, ed noto che il nostro polinomio
di secondo grado non possiede radici reali. Probabilmente alcuni studenti
sanno che esso possiede invece due radici complesse coniugate. Non avendo
discusso i numeri complessi, e visto che non ne trarremmo alcun vantaggio
concreto, evitiamo di insistere su tale terminologia. Per integrare la funzione
razionale ci basta osservare che
ax
2
+bx +c = a
_
x
2
+
b
a
x +
c
a
_
e che
x
2
+
b
a
x +
c
a
=
_
x +
b
2a
_
2
+
c
a

b
2
4a
2
.
Poich < 0, esiste k R tale che
k
2
=
c
a

b
2
4a
2
.
La sostituzione t = x +
b
2a
ci conduce allintegrale
1
a
_
dt
t
2
+k
2
=
1
ak
2
_
dt
(
t
k
)
2
+ 1
.
Lulteriore sostituzione u = t/k risolve lultimo integrale:
1
ak
2
_
dt
(
t
k
)
2
+ 1
=
1
ak
2
_
k
u
2
+ 1
du =
1
ak
arctan u +C =
1
ak
arctan
t
k
+C.
Ricordando che t = x+
b
2a
ed esplicitando il valore di k, si arriva dopo qualche
passaggio allintegrale voluto.
Sconsigliamo allo studente di imparare a memoria i risultati: lo sforzo
non banale, ed certo pi importante saper riprodurre i ragionamenti nel
caso concreto.
7.8. INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI RAZIONALI FRATTE 149
Osservazione 7.41. Come sempre, non esiste necessariamente un unico
modo di esprimere una primitiva. Si consideri lesempio
_
dx
1 x
2
.
Si tratta evidentemente di una integranda di tipo razionale fratto. Ovvia-
mente 1 x
2
= (1 x)(1 +x), e dunque
1
1 x
2
=
1
2
1
1 x

1
2
1
1 +x
e lintegrale diventa immediato:
_
dx
1 x
2
=
1
2
log [1 x[
1
2
log [1 +x[ +C.
Molti software di calcolo simbolico propongono una primitiva molto diversa:
_
dx
1 x
2
= arctanh x +C.
Ricordiamo che
sinh x =
e
x
e
x
2
cosh x =
e
x
+e
x
2
tanh x =
sinh x
cosh x
.
Si verica facilmente che
6
(cosh x)
2
(sinh x)
2
= 1,
e dividendo per (cosh x)
2
si arriva allidentit
(cosh x)
2
=
1
1 (tanh x)
2
Inne,
d
dx
sinh x = cosh x
d
dx
cosh x = sinh x
d
dx
tanh x =
1
(cosh x)
2
.
6
Si osservi la somiglianza con lidentit fondamentale della (tri)goniometria (sin)
2
+
(cos )
2
= 1.
150 CAPITOLO 7. INTEGRALE DI RIEMANN
-4,8 -4 -3,2 -2,4 -1,6 -0,8 0 0,8 1,6 2,4 3,2 4 4,8
-2,4
-1,6
-0,8
0,8
1,6
2,4
Figura 7.1: la funzione sinh
La funzione arctanh denita come la funzione inversa di tanh. La sua
derivata vale
d
dy
arctanh y =
1
d
dx
tanh x
= (cosh x)
2
=
1
1 y
2
,
dove y = tanh x. pertanto
_
dy
1 y
2
= arctanh y +C.
Nelle gure 7.1, 7.2 e 7.3 appaiono i graci qualitativi delle funzioni seno
iperbolico, coseno iperbolico e tangente iperbolica.
7.9 Il polinomio di Taylor con resto integrale
Ricordiamo che, per una funzione f : (a, b) R derivabile n volte, vale la
formula
f(x) = P
n
(x) +R
n
(x),
dove
P
n
(x) = f(x
0
) +
n

k=1
1
k!
D
k
f(x
0
)(x x
0
)
k
7.9. IL POLINOMIO DI TAYLOR CON RESTO INTEGRALE 151
-4,8 -4 -3,2 -2,4 -1,6 -0,8 0 0,8 1,6 2,4 3,2 4 4,8
-2,4
-1,6
-0,8
0,8
1,6
2,4
Figura 7.2: la funzione cosh
-4,8 -4 -3,2 -2,4 -1,6 -0,8 0 0,8 1,6 2,4 3,2 4 4,8
-2,4
-1,6
-0,8
0,8
1,6
2,4
Figura 7.3: la funzione tanh
152 CAPITOLO 7. INTEGRALE DI RIEMANN
il polinomio di Taylor di ordine n e R
n
(x) = f(x) P
n
(x) lerrore che si
compie sostituendo P
n
a f. Abbiamo gi imparato che
lim
xx
0
R
n
(x)
(x x
0
)
n
= 0,
e che possibile esprimere tale resto mediante la derivata (n + 1) esima in
un punto opportuno :
R
n
(x) =
1
(n + 1)!
D
n+1
f()(x x
0
)
n+1
.
Il seguente risultato illustra unulteriore espressione per il resto.
Teorema 7.42 (Polinomio di Taylor con resto integrale). Sia f : (a, b) R
una funzione derivabile n+1 volte in (a, b), con derivata (n+1)esima D
n+1
f
continua. Allora
R
n
(x) =
1
n!
_
x
x
0
(x t)
n
D
n+1
f(t) dt.
Non dimostriamo tale formula, che richiederebbe la tecnica dellindu-
zione matematica. Lespressione integrale del resto R
n
ha unutilit quasi
esclusivamente teorica, dato che la funzione integrale coinvolta di dicile
calcolo.
7.10 Integrali impropri
Per quanto ci riguarda, solamente le funzioni limitate possono essere integrate
su un intervallo limitato [a, b]. Da questa classe esulano le funzioni come
x (0, 1) 1/

x e x (1, +) 1/x
2
, per esempio. Osserviamo che si
tratta di funzioni continue, ed anzi derivabili nel loro dominio. Lintegrale di
Lebesgue, la cui teoria ben pi complicata di quella vista nora, propone
una teoria che supera queste restrizioni. Noi ci accontenteremo di introdurre
i rudimenti dellintegrazione in senso generalizzato o improprio.
7.10.1 Funzioni illimitate
Per semplicit consideriamo una funzione f che sia denita e continua in un
intervallo [a, b). La funzione f potr non essere limitata. lecito allora per
ogni c < b considerare lintegrale
_
c
a
f(x) dx e viene spontanea la seguente
7.10. INTEGRALI IMPROPRI 153
Denizione 7.43. Se nelle ipotesi dette esiste il limite
lim
cb
_
c
a
f(x) dx,
questo viene detto integrale (improprio) di f in (a, b) e lo si indica ancora
con la notazione
_
b
a
f(x) dx.
chiaro che possiamo estendere la denizione precedente al caso in cui f
sia illimitata nellestremo sinistro a dellintervallo. Basta considerare il limite
lim
ca+
_
b
c
f(x) dx.
Quindi, tutto stato ricondotto allesistenza di un limite. Non sempre, per
possibile calcolare esplicitamente gli integrali, ed utile avere un teorema
che garantisca lintegrabilit impropria di f.
Teorema 7.44. Sia una funzione continua in [a, b), a valori positivi per
cui esista lintegrale improprio in (a, b), e sia f una funzione continua in
[a, b) tale che [f(x)[ (x) per ogni x [a, b). Allora esiste lintegrale
improprio fra a e b di f.
Conviene pertanto costruire una scala di funzioni illimitate che ci permat-
ta di decidere per confronto se una funzione ammetta integrale improprio
o no. Consideriamo questa semplice famiglia di funzioni illimitate in ogni
intorno delestremo b:
x [a, b)
1
(b x)

, ( > 0).
Ora,
_
c
a
dx
(b x)

=
_
log(b a) log(b c), = 1
1
1
(b a)
1

1
1
(b c)
1
, ,= 1.
Perci nel caso = 1 lintegrale improprio non esiste in quanto
lim
cb
_
c
a
dx
(b x)

= +.
Lo stesso accade per > 1. Per < 1
lim
cb
_
c
a
dx
(b x)

=
1
1
(b a)
1
In conclusione, lintegrale improprio esiste se e solo se 0 < < 1.
154 CAPITOLO 7. INTEGRALE DI RIEMANN
Diamo un cenno a un caso un po pi generale. Supponiamo che la fun-
zione f, denita in [a, b], sia continua con leventuale eccezione dei punti d
1
,
d
2
, . . . ,d
r
. Allora si pu suddividere lintervallo (a, b) in un numero nito di
intervalli, in modo che in ciascuno di essi la funzione f sia discontinua solo
in un estremo (destro o sinistro). A ciascuno di questi intervalli si possono
applicare le considerazioni fatte prima; se, per ciascuno di essi, esiste lin-
tegrale improprio, la somma di questi si denisce come integrale improprio
della f esteso allintervallo (a, b).
In pratica, se nellintervallo [a, b] ci sono due punti d
1
e d
2
dove la funzione
f illimitata, scriveremo
_
b
a
f(x) dx =
_
d
1
a
f(x) dx +
_
d
2
d
1
f(x) dx +
_
b
d
2
f(x) dx.
Il primo e lultimo integrale ricadono nella denizione di integrale improprio.
Il secondo pi delicato. Infatti f potrebbe essere illimitata in entrambi
gli estremi. Possiamo per ricondurlo a un integrale improprio con questo
trucco: scegliamo un punto c (d
1
, d
2
) dove f sia continua, e scriviamo
_
d
2
d
1
f(x) dx =
_
c
d
1
f(x) dx +
_
d
2
c
f(x) dx.
Vediamo, ad esempio, se esiste
_
+1
1
dx

|x|
.
La funzione integranda illimitata per x 0. Suddividiamo allora
lintervallo (1, 1) nei due intervalli (1, 0 e (0, 1). Si ha
7
lim
0+
_

1
1

x
dx = lim
0+
(2

+ 2) = 2
e
lim
0+
_
1

x
dx = lim
0+
(2 2

) = 2.
7.10.2 Funzioni denite su intervalli illimitati
Consideriamo ora il secondo caso, quello di una funzione denita su un inter-
vallo illimitato, ad esempio del tipo (a, +). Supporremo che f sia continua
in [a, +), e pertanto tutti gli integrali
_
c
a
f(x) dx hanno senso per c > a.
Denizione 7.45. Se nelle ipotesi dette esiste il limite
lim
c+
_
c
a
f(x) dx
questo viene detto lintegrale improprio di f in (a, +).
7
Lo studente noter che abbiamo esplicitato il valore assoluto nei due integrali.
7.10. INTEGRALI IMPROPRI 155
Esempio:
_
+
0
dx
x
2
+ 1
= lim
c+
_
c
0
dx
x
2
+ 1
= lim
c+
arctan c =

2
.
Come nel caso dellintervallo limitato, sussiste il seguente criterio del con-
fronto per lintegrale improprio su intervalli illimitati.
Teorema 7.46. Sia una funzione continua in [a, +), a valori positivi
per cui esista lintegrale improprio in (a, +), e sia f una funzione continua
in [a, b) tale che [f(x)[ (x) per ogni x [a, +). Allora esiste lintegrale
improprio fra a e + di f.
Costruiamo anche nel nostro caso una scala di funzioni che ci permetta,
per mezzo del criterio del confronto, di decidere se un integrale improprio
esiste. Consideriamo
_
c
1
dx
x

=
_
1
1
c
1
+
1
1
, ,= 1
log c, = 1.
Se > 1, il limite per c + 1/( 1), mentre, per 1, +.
Osservazione 7.47. Lapplicazione del criterio di confronto per la conver-
genza degli integrali impropri richiede la costruzione di una funzione di
confronto, e non esistono ricette universali per questo.
156 CAPITOLO 7. INTEGRALE DI RIEMANN
Capitolo 8
Introduzione alle equazioni
dierenziali ordinarie
Risolvere unequazione signica trovare i valori di una o pi incognite che
rendono vera una certa uguaglianza. Lo studente sa risolvere le equazioni
ax = b, ax
2
+bx+c = 0, 2
x
= 4, e altre ancora. In questi esempi, lincognita
x un numero.
1
possibile scrivere equazioni in cui lincognita sia una funzione e non
gi un singolo numero? Un attimo di riessione ci lascia intendere che il
senso delluguaglianza da vericare vada inteso come unuguaglianza punto
per punto. Per esempio, cercare una funzione f tale che
f
2
1 = 0
pu essere interpretato come cercare una funzione f tale che f(x)
2
1 = 0
per ogni x appartenente al dominio di f. Queste solo le cosiddette equazioni
funzionali, e sono un argomento davvero complesso.
In questo capitolo tratteremo un diverso tipo di equazioni, quelle in cui
lincognita una funzione ma luguaglianza da vericare coinvolge le derivate
dellincognita. Sar comodo indicare le derivate con apici: y

invece di Dy,
y

invece di D
2
y, ecc.
Denizione 8.1. Unequazione nellincognita y : (a, b) R del tipo
F(x, y(x), y

(x), y

(x), . . . , y
(n)
(x)) = 0, x (a, b) (8.1)
si chiama equazione dierenziale ordinaria di ordine n. Lordine n sta ad
indicare lordine di derivazione pi alto della funzione incognita y che eet-
tivamente compare.
1
Che intenderemo sempre reale. In matematica si studiano equazioni le cui inconite
devono appartenere ad insiemi specicati, ad esempio Z o Q.
157
158 CAPITOLO 8. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Denizione 8.2. Lequazione (8.1) si dice lineare se della forma
a
n
(x)y
(n)
(x) +a
n1
y
(n1)
(x) + +a
0
(x)y(x) = f(x) (8.2)
e lineare omogenea se f = 0.
Ora che sappiamo che cosa sia unequazione dierenziale
2
vogliamo anche
dire che cosa sia una sua soluzione.
Denizione 8.3. Una soluzione di (8.1) una funzione y : (a, b) R, de-
rivabile n volte in (a, b) e vericante (8.1) per ogni x (a, b). Linsieme di
tutte le soluzioni di (8.1) in (a, b) si chiama integrale generale di (8.1) in
(a, b).
importantissimo sottolineare che linsieme di denizione della soluzione
non un dato del problema, bens parte dellincognita. In particolare, non
possibile pretendere che le soluzioni di una data equazione dierenziale
risultino denite su un insieme da noi specicato. In termini equivalenti,
aggiungere il dominio della soluzione ai dati dellequazione pu portare a un
problema privo di soluzioni.
Unequazione dierenziale ordinaria che sappiamo gi risolvere
y

= f(x),
dove f una funzione continua assegnata. Il teorema fondamentale del calco-
lo ci dice che, trovata una primitiva F di f in un intervallo (a, b), la soluzione
generale y(x) = F(x) +C, al variare di C R.
Nei paragra seguenti proponiamo i metodi risolutivi per qualche altro
tipo di equazioni dierenziali del primo ordine. Non diremo quasi niente della
teoria che sta alla base. Lo studente tenga bene a mente che non esistono
metodi per risolvere una generica equazioni dierenziale ordinaria mediante
formule elementari.
8.1 Equazioni dierenziali lineari del primo or-
dine
In questa sezione, troviamo tutte le soluzioni di una equazione dierenziale
del primo ordine scritta nella forma
y

+a(x)y = f(x) (8.3)


2
Sottintenderemo spesso laggettivo ordinaria.
8.1. EQUAZIONI DIFFERENZIALI LINEARI DEL PRIMO ORDINE159
Quando si studiano le equazioni dierenziali lineari, conviene sempre appli-
care il principio di sovrapposizione. Esso consiste nelle seguenti due osserva-
zioni:
1. se y
1
e y
2
sono soluzioni della stessa equazioni dierenziale lineare
omogenea, allora c
1
y
1
+ c
2
y
2
, al variare di c
1
, c
2
R, ancora una
soluzione;
2. se y
1
e y
2
sono soluzioni della stessa equazioni dierenziale lineare con
termine noto f, allora y
1
y
2
una soluzione della stessa equazione
dierenziale lineare con f = 0.
Il senso pratico di questo principio che per trovare lintegrale generale di
unequazione dierenziale lineare non omogenea, basta trovare lintegrale ge-
nerale ella corrispondente equazione omogenea e sommargli una soluzione
particolare dellequazione non omogenea. Il vantaggio che la soluzione
particolare pu essere individuata con ogni mezzo, anche casualmente.
3
Per la nostra equazione (8.3), cominciamo a trovare lintegrale generale
della corrispondente equazione omogenea
y

+a(x)y = 0. (8.4)
Nel seguito, supporremo sempre che a sia una funzione continua. Dividendo
per y, si ottiene formalmente
0 =
y

y
+a(x) =
d
dx
log y(x) +a(x),
cio
log y(x) = A(x)
dove A una primitiva di a.
4
Il suggerimento che ne ricaviamo che la
funzione
y
0
(x) = exp
_

_
x

a(s) ds
_
(8.5)
dove un numero arbitrariamente ssato, sia una soluzione di (8.4). Lo
studente verichi per (semplice) esercizio che y
0
davvero una soluzione.
Lintegrale generale di (8.4)
y(x) = cy
0
(x), c R.
3
Questa soltanto una frase ad eetto. Nessuno individua le soluzioni particolari
casualmente, ma sempre seguendo qualche tecnica ragionevole.
4
Ricordiamo che, per denizione di primitiva, A

(x) = a(x).
160 CAPITOLO 8. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
Infatti,
d
dx
y(x)
y
0
(x)
=
y

y
0
y

0
y
y
2
0
=
ayy
0
+ay
0
y
y
2
0
= 0,
e dunque y/y
0
costante.
Per trattare il caso non omogeneo, proponiamo un metodo alquanto po-
tente e generale: quello della variazione delle costanti. Al di l della denomi-
nazione paradossale, un metodo che funziona sempre, anche se pu portare
a calcoli problematici. Lo schema il seguente. Si risolve lequazione omoge-
nea e si determina y
0
come sopra. A questo punto, cerchiamo una soluzione
particolare della forma
y
f
(x) = (x)y
0
(x)
Capiamo la ragione del nome: facciamo nta che la costante reale c che de-
scrive lintegrale generale di (8.4) sia una funzione (derivabile), e cerchiamo
di sceglierla cos da avere una eettiva soluzione dellequazione non omoge-
nea. Inserendo y
f
nellequazione (8.3), ci accorgiamo che y
f
una soluzione
se e solo se

(x)y
0
(x) +(x) (y

0
(x) +a(x)y
0
(x)) = f(x);
basta quindi scegliere in modo che

(x) =
f(x)
y
0
(x)
.
Questa unequazione dierenziale del tutto banale, dato che si risolve sem-
plicemente scegliendo una primitiva della funzione a secondo membro. In
conclusione, lintegrale generale dellequazione (8.3)
y(x) = y
0
(x)
_
c +
_
x

f(s)
y
0
(s)
ds
_
, (8.6)
dove
y
0
(x) = exp
_

_
x

a(s) ds
_
.
Inoltre, ciascuna di queste soluzioni univocamente determinata dal valore
assunto in , c = y().
Osservazione 8.4. Esiste un approccio pi diretto al caso non omogeneo.
Partiamo dallequazione y

+a(x)y = f(x) e poniamo v(x) = exp(


_
a(x) dx)y(x).
La derivata di v si calcola facilmente:
v

(x) = e
R
a(x) dx
y

(x) +a(x)e
R
a(x) dx
y(x)
= e
R
a(x) dx
(y

+a(x)y) .
8.2. EQUAZIONI DEL PRIMO ORDINE A VARIABILI SEPARABILI161
Quindi y risolve la nostra equazione dierenziale non omogenea se, e solo se,
v risolve lequazione dierenziale
v

= e
R
a(x) dx
f(x).
Ma allora v(x) =
_
e
R
a(x) dx
f(x) dx + C, e possiamo ricavare la soluzione
generale
5
y:
y(x) = e

R
a(x) dx
__
e
R
a(x) dx
f(x) dx +C
_
.
Qualche volta, la forma specica di f a secondo membro pu suggerire
una soluzione particolare. Per esempio, una soluzione di y

+ y = e
x
pu
essere suggerita dal fatto ben noto che, per ogni , R,
d
dx
(e
x
) = e
x
.
Si verica agevolmente che = 1/2 e = 1 fornisce la soluzione y
f
(x) =
(1/2)e
x
. Considerazioni analoghe valgono per funzioni a secondo membro di
tipo polinomiale e goniometrico.
8.2 Equazioni del primo ordine a variabili se-
parabili
Discutiamo ora alcuni esempi di equazioni dierenziali del primo ordine non
lineari
y

= f(x, y), (8.7)


dove f una funzione di due variabili assegnata. Una soluzione di (8.7)
una funzione y derivabile con continuit in un intervallo (a, b) e tale che
y

(x) = f(x, y(x)) per ogni x (a, b).


Discuteremo inoltre la risolubilit del problema di Cauchy, ovvero del proble-
ma di trovare una soluzione di (8.7) soddisfacente la condizione y(x
0
) = y
0
,
5
Qualche studente potrebbe criticare luso un po leggero del simbolo di integrazione
indenita: in particolare, a che serve la costante C se lintegrale indenito continene gi
tutte le innite primitive? La critica formalmente corretta, e possiamo dire che nella
formula seguente gli integrali denotano una primitiva scelta liberamente fra le innite a
disposizione.
162 CAPITOLO 8. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
(x
0
, y
0
) essendo un punto del piano cartesiano (appartenente al dominio di
f). In altre parole, discuteremo la risolubilit del sistema
_
y

(x) = f(x, y(x))


y(x
0
) = y
0
.
(8.8)
Geometricamente il problema consiste, dopo aver assegnato in ogni punto del
piano (x, y) un numero f(x, y), nel trovare una funzione y il cui graco passa
per (x
0
, y
0
) in ogni punto (x, y(x)) ha una pendenza assegnata f(x, y(x)).
Purtroppo non possiamo dire quasi nulla di astratto: la comparsa di una
funzione di due variabili porta tutta la discussione ad un livello di matematica
pi avanzato rispetto al nostro. Questa consapevolezza dei nostri limiti non ci
impedir tuttavia di imparare a risolvere alcuni tipi di equazioni dierenziali
di tipo speciale.
I due esempi che seguono mostrano alcuni comportamenti inattesi, almeno
a un primo sguardo.
Non unicit. Per ogni a < 0 < b, le funzioni
y(x) =
_

1
4
(x a)
2
, x < a
0, a x b
1
4
(x b)
2
, x > b
sono tutte funzioni derivabili con continuit in R.
6
Inoltre ognuna di esse
risolve il problema di Cauchy
_
y

(x) =
_
[y(x)[
y(0) = 0.
In contrasto con quel che capita con le equazioni lineari del primo ordine dove
la soluzione dellequzione univocamente determinata dal valore della stessa
in un dato punto, questa equazione non lineare presenta innite soluzioni
diverse.
Esplosione in tempo nito. La funzione y(x) = 1/(1 x), denita per
ogni x (, 1), soluzione del problema
_
y

(x) = y(x)
2
y(0) = 1.
6
Lo studente verichi attentamente questa aermazione.
8.2. EQUAZIONI DEL PRIMO ORDINE A VARIABILI SEPARABILI163
In questo caso, pur essendo lequazione denita per ogni possibile coppia
(x, y) del piano cartesiano, la soluzione y denita solo su un intervallo limi-
tato superiormente. Di pi, lampiezza dellintervallo dipende dal valore ini-
ziale. Ad esempio per > 0 la funzione y

(x) = /(1 x), x (, 1/),


la soluzione del problema di Cauchy
_
y

(x) = y(x)
2
y(0) = .
Osserviamo che. per x 1/, y

(x) +. Per questa ragione, parliamo


di esplosione della soluzione al tempo x = 1/.
Per ragioni di tempo ed opportunit, ci limiteremo a considerare solo il
caso delle equazioni a variabili separabili, cio equazioni dierenziali del tipo
y

(x) = f(x)g(y(x)),
dove f : (a, b) R e g : (c, d) R sono funzioni di una sola variabile.
Il seguente teorema ci tranquillizza rispetto allesistenza e allunicit della
soluzione.
Teorema 8.5. Siano f : (a, b) R e g : (c, d) R due funzioni derivabili
con continuit, dove i due intervalli di denizione possono essere eventual-
mente illimitati. Per ogni x
0
(a, b), y
0
(c, d) il problema di Cauchy
_
y

(x) = f(x)g(y(x))
y(x
0
) = y
0
possiede una ed una sola soluzione y : (, ) R.
Quindi, se le nostre equazioni a variabili separabili sono unicamente risol-
vibili (sotto le ipotesi del teorema, ovviamente), resta da capire se sia pos-
sibile scrivere esplicitamente le soluzioni. Vediamo un modello tratto dalla
Fisica.
A volte in un processo di crescita intervengono fattori esterni. il ca-
so di una popolazione (ad esempio di batteri) la cui crescita dipende dalla
produzione di cibo. Se si mantiene costante il cibo disponibile, suciente di-
ciamo per L elementi della popolazione, ci si pu aspettare che la rapidit di
crescita tenda a zero quando il numero di individui y tende a L. Un modello
semplice lequazione dierenziale
y

= ky
_
1
y
L
_
,
164 CAPITOLO 8. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
detta equazione logistica. Il parametro k una costante del problema, e
cerchiamo le soluzioni del problema di Cauchy
_
y

= ky
_
1
y
L
_
y(0) = .
Il Teorema 8.5 d in particolare l/unicit della soluzione. Vediamo di indo-
vinare una soluzione del nostro problema.
Se = L, allora la soluzione costante y(x) = L per ogni x R soluzione.
Se ,= L, riscriviamo formalmente lequazione come
dy
y
_
1
y
L
_ = k dx
che suggerisce per integrazione dei due membri
log

y
y L

= kx +C, C R.
Ricavando y,
y(x) =
cL
c +e
kx
, c R.
Imponendo che y(0) = L, ricaviamo la condizione
cL
c 1
=
che identica esattamente lunica soluzione nel caso ,= L. Notiamo che no
avremmo potuto ricavare la soluzione costante in questo modo.
Cerchiamo adesso di adattare la tecnica dellesempio allequazione a va-
riabili separabili generale. Notiamo che se g( y) = 0, la funzione y(x) = y per
ogni x una soluzione. Quindi, se y una soluzione allora o y costante
oppure y(x) non annulla mai la g. In questultimo caso, g(y(x)) ,= 0 per ogni
x, e dividendo lequazione per g(y(x)) si ottiene
y

(x)
g(y(x))
= f(x).
Se integriamo fra x
0
e x, con la formula di integrazione per sostituzione
arriviamo a
_
y(x)
y
0
1
g(y)
dy =
_
x
x
0
y

(t)
g(y(t))
dt =
_
x
x
0
f(s) ds.
8.2. EQUAZIONI DEL PRIMO ORDINE A VARIABILI SEPARABILI165
Chiamando F una primitiva di f e G una primitiva di 1/g, abbiamo ricavato
la soluzione in forma implicita:
G(y(x)) G(y
0
) = F(x) F(x
0
).
Ora, possibile dimostrare che G strettamente monotona, dunque inverti-
bile. Possiamo ricavare y(x) dalla relazione sopra:
y(x) = G
1
(F(x) F(x
0
) +G(y
0
)) .
In teoria, abbiamo trovato lunica soluzione esplicitamente. In pratica, oc-
corre una dose di sano realismo: il calcolo delle primitive F e G, e soprattutto
il calcolo della fuzione inversa di G, sono spesso di dicolt insormontabile.
Con questo non vogliamo incoraggiare lo studente a catalogare come impos-
sibile la risoluzione delle equazioni dierenziali: gli esercizi dei temi desame
sono costruiti in modo che lo studente possa fare esplicitamente tutti i calcoli
necessari ad arrivare alla formula della soluzione.
Esempio: capitale ed interessi. Supponiamo di depositare in banca un
certo capitale u
0
ad un tasso di interesse p computato continuamente. Questo
signica che in un intervallo di tempo innitesimo dt il capitale aumenta
di una somma du = pu(t) dt proporzionale alla durata dellintervallo e al
capitale stesso u(t). Dividendo
7
per dt, otteniamo lequazi one dierenziale
u

(t) = pu(t).
Essendo a variabili separabili, la soluzione si ottiene facilmente, ed espressa
dalla formula
u(t) = u
0
e
pt
.
Supponiamo ora di ritirare con regolarit una certa rendita (costante) b. In
questo caso landamento del capitale risponder allequazione
u

(t) = pu(t) b.
ancora a variabili separabili, e la sua soluzione si ricava risolvendo rispetto
a u lequazione
1
p
log(pu b) = t +C,
cio
u(t) =
1
p
_
Ce
pt
+b
_
.
7
Questi ragionamenti sono formali, ed infatti i veri interessi vengono computati ad
intervalli di tempo pressati.
166 CAPITOLO 8. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
La costante C si ricava imponendo che u(0) = u
0
, da cui u
0
=
C+b
p
, e dunque
C = pu
0
b. In conclusione
u(t) =
1
p
_
(pu
0
b)e
pt
+b

.
Si danno tre casi.
1. b < pu
0
. In questo caso il capitale aumenta con il tempo, anche se
meno velocemente di quanto avveniva senza prelievo. In eetti, tutto
avviene come se si fosse partiti da un capitale iniziale u
0

b
p
, remunerato
allinteresse p, pi un capitale sso b/p non remunerato.
2. b > pu
0
. Se si preleva troppo, il capitale diminuisce, e si estingue
in un tempo T che pu essere calcolato imponendo che u(T) = 0.
Esplicitamente, dobbiamo risolvere rispetto a T lequazione
(pu
0
b)e
pT
+b = 0.
Ricavando T, troviamo
T =
1
p
log
b
b pu
0
.
3. b = pu
0
. In questo caso il capitale rimane costante, sempre uguale a
u
0
= b/p.
Notiamo che il capitale u
0
ed il prelievo b possono essere negativi: se b > pu
0
stiamo parlando di un prestito che viene estinto con versamenti regolari. A
volte pu essere interessante sapere quanto occorre versare per estinguere
un prestito u
0
in un certo numero T di anni. Si deve semplicemente porre
u(T) = 0 e ricavare b:
b = pu
0
e
pT
e
pT
1
.
Se si vuole estinguere il prestito di 100 000 euro al 10% in 10 anni, si dovr
pagare una rata di
b = 10000
e
e 1
15800
euro allanno, cio circa 1317 euro al mese. Questo esempio tratto da [13].
8.3. EQUAZIONI LINEARI DEL SECONDO ORDINE 167
8.3 Equazioni lineari del secondo ordine a coef-
cienti costanti
Come detto nellintroduzione al capitolo, le equazioni lineari possiedono ca-
ratteristiche particolari. In questo paragrafo vedremo come utilizzare la linea-
rit dellequazione per determinare le soluzioni. Per semplicit, ci limiteremo
alle equazioni lineari del secondo ordine a coecienti costanti:
ay

+by

+cy = f, (8.9)
dove a, b e c sono numeri reali mentre f una funzione assegnata.
Osservazione 8.6. Ogni equazione di ordine due pu essere ricondotta ad
un sistema di equazioni di ordine uno. Consideriamo ad esempio la (8.9), e
introduciamo lincognita ausiliaria v = y

. Allora la (8.9) equivale al sistema


_
av

+bv +cy = f
y

= v.
Da un punto di vista teorico, si tratta di un risultato di importanza fonda-
mentale, poich permette di studiare solamente i sistemi di equazioni die-
renziali di primo ordine. Dal punto di vista pratico, spesso pi conveniente
sfruttare tecniche particolari, e la riduzione ad un sistema non ore molto
aiuto.
Come per le equazioni lineari del primo ordine, consideriamo innanzitutto
il caso omogeneo f = 0.
Lequazione ay

+by

+cy = 0 suggerisce la ricerca di soluzioni y tali che y,


y

e y

siano multipli di una medesima funzione. Cerchiamo allora una solu-


zione y(x) = e
rx
, per oppurtuni valori di r R. Sostituendo nellequazione,
troviamo in eetti
e
rx
_
ar
2
+br +c
_
= 0.
Questa identit pu essere soddisfatta soltanto se
ar
2
+br +c = 0 (8.10)
La teoria delle equazioni algebriche di secondo grado ci dice che le soluzioni
reali di (8.10) sono due, una
8
oppure nessuna a seconda che il discriminante
8
Gli insegnanti delle scuole superiori amano parlare di due radici coincidenti. Non
sbagliato, ed anzi in certi casi di grande aiuto usare tale espressione. Per i nostri
scopi, sarebbe come dire che oggi indosso due paia di pantaloni coincidenti: logicamente
ineccepibile ma francamente superuo. Tutto si sitema introducendo la molteplicit delle
radici di un polinomio, concetto comunque be al di l dei limiti del nostro corso.
168 CAPITOLO 8. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
= b
2
4ac sia positi vo, nullo oppure negativo. Schematicamente, vediamo
come trovare le soluzioni nei tre casi.
(1) Due radici reali. Lequazione (8.10) possiede due radici reali distinte
r
1
e r
2
, e dunque le due funzioni
x e
r
1
x
, x e
r
1
x
sono soluzioni. Per il principio di sovrapposizione, lintegrale generale delle-
quazione omogenea
y(x) = c
1
e
r
1
x
+c
2
e
r
2
x
. (8.11)
(2) Una radice reale. Se = 0, lunica radice reale
r =
b
2a
.
Dunque abbiamo trovato una soluzione
x e

b
2a
x
per lequazione omogenea. Malauguratamente, questa non basta a descrivere
lintegrale generale. Possiamo tuttavia provare a cercare una soluzione della
forma
x e

b
2a
x
u(x).
Sostituendo, otteniamo la condizione (r = b/(2a))
0 = e

b
2a
x
_
(ar
2
+br +c)u +au

+ (2ar +b)u

_
= au

.
Dunque u

= 0, e integrando due volte u(x) = c


1
+c
2
x. Lintegrale generale
della nostra equazione omogenea pertanto
y(x) = e

b
2a
x
(c
1
+c
2
x) . (8.12)
(3) Nessuna radice reale. Questo caso sempre il pi dicile da ana-
lizzare. Non avendo a disposizione lalgebra dei numeri complessi, piutto-
sto macchinoso costruire le soluzioni. Ci limitiamo pertanto a proporle ex
cathedra. Deniamo
=
b
2a
, =

4ac b
2
2a
.
8.3. EQUAZIONI LINEARI DEL SECONDO ORDINE 169
Lintegrale generale nel caso < 0 si scrive
y(x) = Ae
x
cos(x +) (8.13)
al variare delle costanti A 0 e [/2, /2). In alternativa, le formule
di addizione per la funzione coseno dicono che lintegrale generale pu essere
scritto
y(x) = e
x
(C
1
sin(x) +C
2
cos(x)) , (8.14)
al variare delle costanti reali C
1
e C
2
. Questa formula meno concisa della
precedente, ma spesso preferibile per fare i calcoli.
Il caso non omogeneo si discute usando il principio di sovrapposizione:
si trova lintegrale generale dellequazione omogenea e si somma ad una so-
luzione particolare dellequazione non omogenea. Tutto sta nel calcolare
questultima. Vi sono essenzialmente tre modi, per le equazioni del secondo
ordine a coecienti costanti.
1. Procedere per tentativi. Ad esempio, se f un polinomio di grado n,
si cerca una soluzione particolare che sia un polinomio di grado n + 2.
Questa tecnica la pi semplice ma anche la pi rischiosa, dato che
funziona solamente per classi molto ristrette di funzioni f.
2. Utilizzare il metodo della variazione delle costanti. Siano y
1
e y
2
due so-
luzioni dellequazione omogenea. Si cerca una soluzione dellequazione
non omogenea del tipo
y
f
(x) = c
1
(x)y
1
(x) +c
2
(x)y
2
(x), (8.15)
dove c
1
e c
2
sono funzioni incognite. Oltre al fatto che y
f
risolva lequa-
zione, si impone la condizione ausiliaria
9
c

1
(x)y
1
(x) + c

2
(x)y
2
(x) = 0.
Per trovare le incognite c
1
e c
2
occorre perci risolvere il sistema
_
c

1
(x)y
1
(x) +c

2
(x)y
2
(x) = 0
c

1
(x)y

1
(x) +c

2
(x)y

2
(x) = f(x).
(8.16)
A dispetto delle apparenze, questo sistema non di dicile soluzione:
basta ricavare algebricamente c

1
e c

2
, e integrare.
9
Se avessimo il tempo per la teoria generale delle equazioni dierenziali lineari, po-
tremmo far vedere che questa condizione tuttaltro che articiosa. Si veda [9] per i
dettagli.
170 CAPITOLO 8. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
3. Utilizzare la formula di Duhamel.
10
Se u la soluzione del problema di
Cauchy
_
_
_
au

+bu

+c = 0
u(0) = 0
u

(0) = 1,
(8.17)
allora
y
f
(x) =
_
x
0
u(x s)f(s) ds.
Si potrebbe dimostrare che questa espressione altro non che una con-
seguenza del metodo di variazione delle costanti. Lesperienza didattica
insegna che questo metodo risolutivo non particolarmente gradito agli
studenti.
Esempio 8.7. Applichiamo tutti questi metodi allequazione
y

y = x
2
. (8.18)
La soluzione generale dellequazione omogenea y

= y = 0 y(x) = c
1
e
x
+
c
2
e
x
. Poich il secondo membro dellequazione un polinomio di grado
2, cerchiamo un polinomio di grado 4 che sia una soluzione particolare. Il
generico polinomio di quarto grado ha la forma a
0
+a
1
x+a
2
x
2
+a
3
x
3
+a
4
x
4
,
e sar una soluzione di (8.18) se e solo se
12a
4
x
2
+ 6a
3
x 2a
2
a
0
a
1
x a
2
x
2
a
3
x
3
a
4
x
4
= x
2
per ogni x. Uguagliando i coecienti delle stesse potenze di x, dobbiamo
risolvere il sistema
_

_
a
4
= 0
a
3
= 0
12a
4
a
2
= 1
6a
3
a
1
= 0
2a
2
a
0
= 0.
Operando per sostituzione, troviamo molto facilmente lunica soluzione a
0
=
2, a
1
= 0, a
2
= 1, a
3
= a
4
= 0. Quindi una soluzione particolare la
funzione polinomiale x x
2
2.
Se usiamo invece il metodo della variazione delle costanti, dobbiamo
risolvere il sistema
_
e
x
c

1
+e
x
c

2
= 0
e
x
c

1
e
x
c

2
= x
2
,
10
Questa formula spesso attribuita a Cauchy, che la utilizz in una forma equivalente
ma diversa da quella che riportiamo. interessante osservare che la formula di Duhamel
vale per tutte le equazioni dierenziali lineari.
8.3. EQUAZIONI LINEARI DEL SECONDO ORDINE 171
che ci porta immediatamente a
c

1
=
1
2
x
2
e
x
, c

2
=
1
2
x
2
e
x
.
Integrando, c
1
= (
1
2
x
2
x 1)e
x
, c
2
= (
1
2
x
2
+ x 1)e
x
, e quindi la
soluzione particolare
y
f
(x) = c
1
e
x
+c
2
e
x
= x
2
2.
Utilizzando inne la formula di Duhamel, si trova che
y
f
(x) =
_
x
0
_
1
2
e
x2

1
2
e
sx
_
s
2
ds
=
1
2
e
x
_
x
0
s
2
e
s
ds
1
2
e
x
_
x
0
s
2
e
s
ds.
Lasciamo al lettore il calcolo di questi ultimi due integrali (suggerimento:
integrare per parti due volte). Alla ne si giunge allo stesso risultato: y
f
(x) =
x
2
2. In conclusione, la soluzione generale di (8.18)
y(x) = c
1
e
x
+c
2
e
x
x
2
2.
Sembra evidente che, almeno per funzioni f di tipo molto particolare, con-
viene almeno tentare di indovinare una soluzione particolare y
f
con il primo
metodo.
Esempio 8.8. Vogliamo risolvere
11
lequazione
y

+ 2y

+y =
e
x
x
.
Osserviamo che il polinomio associato allequazione
2
+2+1 = 0, che pos-
siede la radice doppia = 1. Dunque la soluzione generale dellequazione
omogena sar y
0
(x) = C
1
e
x
+ C
2
xe
x
. Occorre determinare una soluzione
particolare dellequazione completa. Poich sembra improbabile indovinare
ad occhio una soluzione, ricorriamo alla formula di Duhamel. La soluzione
del problema
_

_
y

+ 2y

+y = 0
y(0) = 0
y

(0) = 1
11
Con questa espressione intenderemo sempre che vogliamo calcolare la soluzione
generale.
172 CAPITOLO 8. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE
la funzione y(x) = xe
x
: basta imporre le condizioni y(0) = 0 e y

(0) = 1
e determinare le giuste costanti C
1
e C
2
. Quindi la teoria ci dice che
y
f
(x) =
_
x
1
y(x s)
e
s
s
ds =
_
x
1
(x s)e
(xs)
e
s
s
ds
=
_
x
1
x s
s
e
2t+s
ds =
_
x
1
x s
s
e
x
ds
= e
x
_
x
1
x s
s
ds = e
x
[x log [s[ s]
s=x
s=1
= e
x
(x log x x + 1) .
Unosservazione: abbiamo integrato fra 1 ed x invece che fra 0 ed x perch
la funzione a secondo membro dellequazione non denita in 0. Inne, la
soluzione generale della nostra equazione
y(x) = C
1
e
x
+C
2
xe
x
+x(log x 1)e
x
.
Per inciso, si potrebbe far vedere che la formula di Duhamel solo un
caso particolare del metodo della variazione delle costanti. La formula di
Duhamel sembra il metodo pi invitante, sebbene sia in realt abbastanza
insidiosa a causa degil integrali complicati a cui conduce.
Quasi tutto quello che abbiamo esposto tratto da [11]. Numerosi esempi,
modelli e tecniche risolutive per le equazioni dierenziali ordinarie si trovano
nei primi capitoli del libro [17]. Pur non presentando alcuna giusticazione
teorica dei risultati, in questo agile libretto lo studente interessato pu facil-
mente impratichirsi con la risoluzione delle equazioni dierenziali pi comuni.
Si veda anche [8].
Capitolo 9
Metodi del calcolo approssimato
In questultimo capitolo, aronteremo succintamente alcuni problemi del-
lAnalisi Numerica. Pur tenendoci a un livello di dicolt davvero basso,
abbiamo lambizione di proporre alcuni metodi di calcolo approssimato. In
particolare, proporremo il metodo di interpolazione di Lagrange per costruire
un polinomio che unisca dei punti del piano cartesiano. Di seguito, vedre-
mo tre modi per tovare approssimazioni numeriche degli integrali deniti.
Trattandosi di argomenti complementari al corso, non ci soermeremo su
molti dettagli, n discuteremo la questione pi importante di tutta lAnalisi
Numerica: quella della precisione dei metodi.
9.1 Interpolazione polinomiale
Supponiamo che, durante un esperimento di laboratorio, le misurazioni ci
forniscano delle coppie numeriche rappresentative di una quantit sica o
chimica in relazione a unaltra quantit variabile:
(x
1
, y
1
), (x
2
, y
2
), . . . , (x
n
, y
n
).
La prima cosa che ci viene in mente di fare di segnare tali punti nel piano
cartesiano, cenrcando di capire se esista una relazione fra i valori delle x e
quelli delle y.
1
Innanzitutto, la presenza di punti con uguale ascissa e diverse ordinate
creerebbero problemi insormontabili, perch non ci sarebbe speranza di avere
1
Chi scrive un matematico puro, e in queste situazioni convinto che dieci o cento
punti nel piano non servano assolutamente a niente. Anche se fossero allineati lungo
una retta orizzontale, la logica matematica non ci permetterebbe di trarre la conclusione
che ogni scienziato applicato ne trarrebbe. Chi ci dice che, facendo anche solo una
misurazione in pi, non troveremmo un punto completamente disallineato?
173
174 CAPITOLO 9. METODI DEL CALCOLO APPROSSIMATO
la y in funzione della x. Sbarazziamoci n dora di tale caso, peraltro ridicolo
da un punto di vista sperimentale. Infatti, se alla stessa x corrispondessero
due valori sperimentali distinti della y, dovremmo concludere che non siamo
capaci di fare lesperimento.
In seconda battuta, n da bambini ci siamo divertiti a unire i puntini
sulle riviste di enigmistica. Questo metodo funziona sempre, e produce una
funzione continua il cui graco la spezzata che congiunge i dati sperimentali.
Quasi sicuramente, questa funzione non sar per derivabile nei punti di
congiunzione. E soprattutto sarebbe presuntuoso ipotizzare che proprio quei
pochi dati calcolati siano gli spigoli della vera funzione che lega le ordinate
alle ascisse. Raramente i fenomeni macroscopici misurabili in laboratorio
presentano comportamenti spigolosi.
Ben consci di tutte queste dicolt, rivolgiamo allora lo sguardo verso
una classe di funzioni che uniscono vari pregi: facilit di derivazione, di
integrazione, di calcolo dei valori. Stiamo parlando dei polinomi.
Ora, c un evidente legame fra il numero di dati sperimentali e il grado del
polinomio che vogliamo trovare. Se abbiamo due coppie di punti, possiamo
unirli con una retta univocamente individuata
2
, ma possiamo anche unirli
con inniti rami di parabole variamente disposte nel piano cartesiano. Per
convincere di ci anche lo studente pi scettico, scegliamo i due punti (1, 0)
e (1, 0). La retta orizzontale y = 0 li congiunge, ma anche tutte le parabole
y = a(x
2
1) al variare di a R.
Riassumendo, con due punti abbiamo un unico polinomio di grado 1 =
2 1, e inniti polinomi di grado maggiore di 1. Per tre punti, la geometria
analitica delle scuole superiori ci assicura che esiste una ed una sola para-
bola che li unisce, ma facile costruire inniti polinomi di quarto grado che
passano per tali punti. Ci sembra di vedere un legame fra il numero n + 1
di dati sperimentali e il grado n del polinomio univocamente determinato. Il
seguente teorema non solo ci conforta in questa convinzione, ma ci fornisce
una formula esplicita per scrivere tutti i coecienti del polinomio di grado n
voluto.
Teorema 9.1 (Polinomio interpolatore di Lagrange). Dati n+1 punti distinti
x
0
, x
1
, . . . , x
n
e n+1 numeri reali y
0
, y
1
, . . . , y
n
non necessariamente distinti,
esiste uno ed un solo polinomio P di grado (minore o uguale a) n tale che
P(x
j
) = y
j
per ogni j = 0, 1, 2, . . . , n. Questo polinomio dato da
P(x) =
n

k=0
y
k
A
k
(x)
A
k
(x
k
)
, (9.1)
2
Il famoso assioma per due punti passa una ed una sola retta.
9.1. INTERPOLAZIONE POLINOMIALE 175
dove
A
k
(x) =

j=k
(x x
j
).
Certo, il polinomio interpolatore ha un aspetto vagamente misterioso.
Il simbolo

di produttoria analogo a quello della sommatoria: serve a
scrivere brevemente i prodotti invece che le somme. Vediamo di spiegare
brevemente perch il polinomio di Lagrange ha proprio questo aspetto. Par-
tendo dal caso molto semplice di due punti x
0
e x
1
, consideriamo le due
espressioni x x
0
e x x
1
. La prima si annulla per x = x
0
, la seconda per
x = x
1
. Se poi le dividiamo opportunamente, troviamo le espressioni
x x
0
x
1
x
0
,
x x
1
x
0
x
1
.
La prima vale 1 per x = x
1
. mentre la seconda vale 1 per x = x
0
. Pertanto
lespressione
y
0
x x
0
x
1
x
0
+y
1
x x
1
x
0
x
1
vale y
0
per x = x
0
e y
1
per x = x
1
. Ovviamente, al variare di x R,
questa espressione rappresenta un polinomio di primo grado. Confrontandolo
con il Teorema precedente, abbiamo costruito esattamente il polinomio di
Lagrange di primo grado. Non dicile convincersi che il generico polinomio
di Lagrange di grado n si costruisce seguendo lo stesso principio: prima si
trovano n polinomi A
j
, j = 0, 1, . . . , n, che hanno la propriet
A
j
(x
i
) = 0 per ogni i ,= j,
e poi si divide per A
j
(x
j
) in modo da ottenere unespressione polinomiale che
vale 1 per x = x
j
. Inne si moltiplica ognuna di queste espressioni per y
j
e
si somma rispetto a j. Il risultato esattamente il polinomio interpolatore
di Lagrange.
Osservazione. Un approccio pi concreto il seguente. Vogliamo un
polinomio di grado (al pi) n, e lo scriviamo nella forma
P(x) =
n

k=0
a
k
x
k
.
Come troviamo i coecienti incogniti a
0
, a
1
, ecc.? semplice: imponendo
le condizioni
P(x
j
) = y
j
, j = 0, . . . , n.
176 CAPITOLO 9. METODI DEL CALCOLO APPROSSIMATO
Ricaviamo un sistema di n + 1 equazioni lineari nelle n + 1 incognite a
j
,
j = 0, . . . , n. Risolvendo questo banale
3
sistema, ricaveremo il polinomio
interpolatore. Salvo errori di calcolo, lunicit di tale polinomio signica che
ad esso possiamo arrivare in qualunque modo ci faccia comodo.
Trovato il polinomio interpolatore, che ne facciamo? In primo luogo, lo
possiamo usare proprio per interpolare, cio per indovinare i valori della
funzione sperimentale nei punti compresi fra i nodi sperimentali usati per la
costruzione del polinomio.
4
Solo per fare un esempio di interesse storico e
matematico, le celebri tavole dei logaritmi con cui nei secolo scorsi generazioni
di ingegneri hanno fatto i loro calcoli erano basate sullinterpolazione lineare.
Pi correttamente, le tavole riportavano una grande quantit di nodi (i cui
logaritmi erano calcolati con metodi che qui non possiamo approfondire). Se
si voleva calcolare il logaritmo di un numero che non appariva sulle tavole, lo
si localizzava fra i due nodi adiacenti, e si faceva linterpolazione lineare fra di
essi. Questo procedimento comportava un errore, tutto sommato trascurabile
grazie alla densit dei nodi. Ci auguriamo vivamente che il nostro studente
non si abbandoni a sorrisi di scherno verso i suoi avi scienziati. Se vero
che i moderni calcolatori sanno operare con precisione molto alta, anchessi
forniscono risposte approssimate. Facendo qualche confronto fra i risultati
del metodo delle tavole e quelli di una calcolatrice scientica a dieci cifre
decimali, ci si accorge che le tavole sbagliano mediamente dalla quinta cifra
in poi. Un confronto decisamente lusinghiero, se si considera che le tavole
erano preparate calcolando con carta e matita!
Un altro uso possibile del polinomio interpolatore quello di usarlo per
calcolare lintegrale della funzione sperimentale incognita. Infatti, questo
integrale potrebbe avere un signicato concreto, e sarebbe pressoch impos-
sibile stimarne il valore in altro modo. Su questo problema ritorneremo nella
prossima sezione. Pi delicato e addirittura sconsigliabile se non come ultimo
tentativo luso del polinomio per calcolare la derivata della funzione speri-
mentale. La ragione di questo scetticismo dovrebbe essere chiaro. I graci
di due funzioni possono essere molto vicini nel piano cartesiano, ma avere
pendenze molto diverse. Si pensi, intuitivamente, a una funzione costante e
a una funzione che oscilla furiosamente fra due valori vicini alla costante.
La prima ha pendenza identicamente nulla, la seconda ha pendenze molto
3
Daccordo, stiamo facendo dellironia fuori luogo.
4
Si parla invece di estrapolazione quando si pretende di calcolare i valori esterni al pi
piccolo e al pi grande nodo sperimentale. Questo un procedimento molto pericoloso.
Se dati sperimentali molto tti possono ragionevolmente indurre a un miglioramento del-
linterpolazione, nulla ci rassicura sul fatto che il polinomio approssimi bene la funzione
sperimentale a grande distanza dai valori calcolati in laboratorio.
9.2. INTEGRAZIONE NUMERICA 177
brusche vicino alle oscillazioni. Poich il nostro polinomio interpolatore
costruito solo ed esclusivamente per assumere gli stessi valori della funzione
sperimentale nei nodi calcolati, dicile credere che serva ad approssimare
accuratamente la derivata. Anche per gli esperti, la derivazione numerica
un argomento tra i pi dicili, e naturalmente non ce ne occuperemo in
questa sede.
Osservazione 9.2. Esistono altri tipi di approssimazione polinomiale, an-
chessi molto diusi nei problemi delle scienze applicate. Un primo esempio
quello di cercare un polinomio che passi per i nodi (x
j
, y
j
) e che in tail
punti abbia un assegnato valore della derivata prima. I polinomi che se ne
ricavano
5
prendono il nome di polinomi di Hermite. Pur senza soermarci
sulle loro propriet, evidente che a parit di nodi occorrono polinomi di
grado pi alto che per la semplice int erpolazione di Lagrange. Pensiamo ai
due punti: sappiamo che per essi passa esattamente un polinomio di grado
uno, ma il valore della derivata nei due nodi ssato (e costante per i due
punti). Volendo prescrivere anche i due valori della derivata nei due nodi, ci
serev un polinomio di grado maggiore. Ne deduciamo che linterpolazione di
Hermite fornisce polinomi sensibilmente diversi da quelli di Lagrange.
Un altro esempio quello della ricerca della retta che meglio approssima
un insieme di punti del piano cartesiano. Abbiamo virgolettato la richiesta di
approssimazione perch non vogliamo entrare nei dettagli di questo metodo.
per evidente che non si pu parlare di interpolazione: se prendiamo tre
punti non allineati nel piano cartesiano, non ci sar nessuna retta di inter-
polazione. Ha invece senso chiedersi quale sia (se esiste) la retta che passa
pi vicino a tutti i punti segnati. Fra i metodi pi popolari per trattare
questo problema quello dei minimi quadrati. Facciamo un esempio nume-
rico: prendiamo i tre punti di coordinate (1, 0), (0, 0) e (1, 0), osservano
che appartengono alla parabola di equazione y = x
2
. Si calcola abbastanza
velocemente che la retta che passa pi vicino a questi punti ha equazione
y = 1/2. Siamo ben lontani dal concetto di interpolazione.
9.2 Integrazione numerica
Ci poniamo il problema di calcolare, con unapprossimazione pressata, un
integrale denito
_
b
a
f(x) dx,
5
Lo studente rietta sul fatto che non aatto banale che tali polinomi esistano.
178 CAPITOLO 9. METODI DEL CALCOLO APPROSSIMATO
dove f una funzione continua. Non sempre possibile conoscere esplici-
tamente una primitiva di f o, comunque, esprimere il valore dellintegrale
mediante una formula in cui compaiono solo funzioni elementari; anzi si pu
dire che queste situazioni favorevoli devono ritenersi eccezionali. Presentere-
mo tre metodi, tutti ispirati pi o meno direttamente alla denizione stessa
di integrale di Riemann.
8.2.1 Il metodo dei rettangoli
Fissato un intero n > 0, si ponga
x
k
= a +
b a
n
k (k = 0, 1, . . . , n)
e si assuma come valore approssimato dellintegrale
S
n
=
b a
n
(f(x
0
) +f(x
1
) + +f(x
n1
)) .
Il seguente risultato esprime la precisione con cui S
n
approssima il vero valore
dellintegrale.
Teorema 9.3. Ammettendo che, per qualche costante M
1
> 0 si abbia
[f

(x)[ M
1
in [a, b] risulta

S
n

_
b
a
f(x) dx

M
1
2
(b a)
2
n
.
Quindi vediamo che lim
n+
S
n
=
_
b
a
f(x) dx, e lerrore commesso tende
a zero come 1/n.
8.2.2 Il metodo delle tangenti
Il metodo precedente, come era da aspettarsi, piuttosto grossolano.
Lintuizione ci dice che, quando f sia abbastanza regolare, una somma del
tipo

k
(x
k
x
k1
)f(z
k
) fornisca una migliore approssimazione dellintegrale
se per ogni intervallo il punto z
k
coincide con il punto medio, cio z
k
=
(x
k1
+x
k
)/2. Sia dunque ancora
x
k
= a +
b a
n
k (k = 0, 1, . . . , n)
e sia
z
k
=
x
k1
+x
k
2
.
Poniamo
S

n
=
b a
n
(f(z
1
) +f(z
2
) + +f(z
n
)) .
9.2. INTEGRAZIONE NUMERICA 179
Teorema 9.4. Sia f una funzione dotata di derivate prima e seconda con-
tinue in [a, b] e si abbia [f

(x)[ M
2
. Allora

_
b
a
f(x) dx

M
2
24
(b a)
3
n
2
.
A parit di nodi, questo metodo fornisce eettivamente unapprossima-
zione migliore.
Osservazione. Spesso si denisce uno stimatore della precisione numerica,
chiamato ordine del metodo. Prendendo come funzionicampione i soliti
polinomi, un metodo numerico di ordine N se esso esatto (cio non si
comemtte nessun errore) per tutti i polinomi di ordine (non superiore a) N.
facile convincersi che sia il metodo dei retatngoli che quelo dei trapezi sono
di ordine N = 1. Basta pensare alla costruzione delle approssimazion per
rendersi conto che S
n
e S

n
coincidono con il valore dellintegrale di f ogni
volta che f una funzione lineare. In questo senso, invitiamo lo studente ad
usare con la dovuta cautela il concetto di precisione per i metodi numerici.
Potendosi dimostrare lottimalit delle stime fornite dai teoremi precedenti,
deduciamo che lordine uno stimatore che non si sovrappone alla velocit
con cui lerrore tende a zero. Daltra parte, lordine non fa ricorso al numero
di derivate disponibili per la funzione integranda, e questo lo rende sensato
anche per le funzioni che siano solo continue. Avvertiamo che i tre metodi
precedenti sono esposti anche in [12], dove per le formule relative agli errori
sono decisamente migliorabili. Una rapida ispezione delle stime mostra che
esse sono matematicamente rigorose, ma diverse da quelle dei nostri teoremi
proprio in quanto richiesta meno regolarit alla funzione integranda.
8.2.3 Il metodo di CavalieriSimpson
Il metodo delle tangenti consiste nel compiere lintegrazione dopo aver
sostituito, in ciascun intervallo della suddivisione, il graco della funzione
con la tangente al graco, in corrispondenza al punto di mezzo.
Viene spontaneamente lidea di introdurre una curva che meglio appros-
simi il graco, almeno quando queto sia abbastanza liscio. Il metodo che
esponiamo consiste nellapprossimare il graco con un arco di parabola, che
coincida con la curva in corrispondenza degli estremi di ciascun intervallo e
del punto di mezzo.
6
Presa dunque la suddivisione x
0
, x
1
, . . . , x
n
dellintervallo [a, b] in n in-
tervalli di uguale ampiezza, e posto z
k
= (x
k1
+ x
k
)/2, consideriamo un
6
Ricordiamo infatti che servono tre punti distinti per determinare univocamente una
parabola che li congiunga.
180 CAPITOLO 9. METODI DEL CALCOLO APPROSSIMATO
polinomio di secondo grado, che potr essere scritto nella forma
p
k
(x) = (x z
k
)
2
+(x z
k
) +,
e imponiamo le condizioni
p
k
(x
k1
) = f(x
k1
), p
k
(z
k
) = f(z
k
), p
k
(x
k
) = f(x
k
).
Ponendo
x
k
z
k
= z
k
x
k1
= =
b a
2n
,
si avr
= f(z
k
)

2
+ = f(x
k
) f(z
k
)

2
= f(x
k1
) f(z
k
).
Si ha poi
7
_
x
k
x
k1
p
k
(x) dx =
_

(x z
k
)
3
3
+(x z
k
)
_
x
k
x
k1
=
2
3

3
+ 2.
Ricavando e dal sistema,
_
x
k
x
k1
p
k
(x) dx =
f(x
k
) +f(x
k1
) + 4f(z
k
)
3

=
b a
n
f(x
k
) +f(x
k1
) + 4f(z
k
)
6
.
Sommando rispetto allindice k, otteniamo la seguente espressione approssi-
mata dellintegrale:
S

n
=
b a
n
n

k=1
f(x
k
) +f(x
k1
) + 4f(z
k
)
6
=
b a
6n
_
f(x
0
) +f(x
n
) + 2
_
f(x
1
) +f(x
2
) + +f(x
n1
)

+ 4
_
f(z
1
) +f(z
2
) + +f(z
n
)
_
.
Teorema 9.5. Sia f una funzione continua con le sue derivate no al quarto
ordine in [a, b] e sia [D
4
f(x)[ M
4
. Allora

_
b
a
f(x) dx

M
4
(b a)
5
2880
1
n
4
.
7
Il termine

2
(xz
k
)
2
si semplica perch stiamo integrando su un intervallo simmetrico
rispetto a z
k
.
9.2. INTEGRAZIONE NUMERICA 181
Dalla costruzione emerge chiaramente che il metodo di CavalieriSimpson
esatto per i polinomi di secondo grado, e dunque un metodo di ordine
N = 2.
Osservazione 9.6. Avvertiamo lo studente che su molti testi vengono utiliz-
zate notazioni diverse. Noi abbiamo introdotto, per ogni coppia di nodi x
k
e
x
k+1
un noto di comodo z
k
. Altri autori prendono invece tre nodi consecutivi
x
k1
, x
k
e x
k+1
della suddivisione, considerando ovviamente x
k
alla stregua
del nostro z
k
. A questo punto per bisogna scegliere obbligatoriamente n
pari, altrimenti non si riesce ad arrivare a b con lultimo passaggio. chiaro
che lidea resta sempre quella di approssimare f mediante archi di parabola.
Concludiamo con un confronto: cerchiamo di approssimare
log 2 =
_
2
1
dx
x
.
Prendendo n = 4 nel metodo delle tangenti, i punti di mezzo saranno
9
8
,
11
8
,
13
8
,
15
8
.
Troviamo dunque
S

4
=
1
4
_
8
9
+
8
11
+
8
13
+
8
15
_
= 0.6910
mentre log 2 = 0.6931... Con 4 suddivisioni, il valore corretto alla seconda
cifra decimale.
Usiamo invece il metodo di CavalieriSimpson con n = 2. facendo qualche
calcolo si arriva a
S

2
=
1
12
_
1 +
1
2
+
4
3
+ 4
_
4
5
+
4
7
__
= 0.6932...
Come si vede, lapprossimazione ottenuta sensibilmente migliore gi con la
met di suddivisioni.
8
Il contenuto di questo paragrafo preso dallultimo capitolo di [22]. Non
trattandosi di un testo specializzato nel calcolo numerico, la trattazione ha
unimpostazione molto geometrica ed intuitiva. In eetti, dubitiamo che
lo studente abbia scorto il legame fra i tre metodi proposti e linterpola-
zione polinomiale. Per il metodo dei rettangoli, tale legame semplicemen-
te non c, o comunque decisamente degenere. Infatti ci siamo limitati
8
A questo riguardo, si leggano gli ultimi capoversi del capitolo.
182 CAPITOLO 9. METODI DEL CALCOLO APPROSSIMATO
ad approssimare la funzione continua f con segmenti orizzontali, ottenendo
unapprossimazione chiaramente discontinua.
In realt, il metodo di CavalieriSimpson consiste evidentemente nellin-
tegrazione di un polinomio interpolatore di secondo grado, come abbiamo
evidenziato nella costruzione. Come utile esercizio, lo studente potr veri-
care che partendo dal polinomio interpolatore di Lagrange passante per i
tre punti (x
k
, f(x
k
)), (z
k
, f(z
k
), (x
k+1
, f(x
k+1
)) e integrandolo fra x
k
e x
k+1
si perviene alla stessa formula. Non abbiamo seguito questa via solo perch
conveniva sfruttare la simmetria rispetto al punto mediano z
k
per semplicare
alcuni calcoli.
Resta da capire se lintegrazione del polinomio interpolatore di primo
grado conduca a una formula di integrazione approssimata eciente. La
risposta aermativa, e il metodo va sotto il nome di metodo dei trapezi.
Fissata la solita suddivisione x
0
, x
1
, . . . , x
n
di [a, b], per ogni intervallino
[x
k1
, x
k
] possiamo introdurre il polinomio di interpolazione lineare p
1
, che
esplicitamente si scrive
p
1
(x) =
f(x
k
) f(x
k1
)
x
k
x
k1
(x x
k1
) +f(x
k1
).
Integrando,
9
_
x
k
x
k1
p
1
(x) dx =
f(x
k
) +f(x
k1
)
2
(x
k
x
k1
) =
b a
n
f(x
k
) +f(x
k1
)
2
.
Inne, sommando rispetto allindice k, troviamo la formula di approssima-
zione per lintegrale esteso da a a b:
S
trap
n
=
b a
n
n

k=1
f(x
k
) +f(x
k1
)
2
.
Per costruzione, questo un metodo di ordine N = 1, dato che i polinomi
per i quali linterpolazione lineare sempre esatta sono quelli di grado uno.
altres evidente che nulla ci impedisce di considerare polinomi inter-
polatori di grado pi alto di due. Potremmo infatti raggruppare i punti a
tre a tre e cercare un polinomio di terzo grado che li unisca.
10
Se questo
pu sembrare un gioco appassionante con cui mettere alla prova la propria
9
Lo studente si convinca che lintegrale di p
1
altro non che larea di un trapezio
rettangolo di basi f(x
k
) e f(x
k1
) e altezza (b a)/n.
10
Evidentemente, capiter di dover supporre che il numero di intervalli della suddivisione
sia pari. Questo dettaglio sar sottinteso.
9.2. INTEGRAZIONE NUMERICA 183
comprensione dellargomento, ci si accorge in fretta che esagerare non serve
a molto. Lo studente avr senzaltro notato che far passare un polinomio di
decimo grado per undici nodi solo una complicazione tecnica: tanto vale
ranare la suddivisione dellintervallo e usare un polinomio di grado infe-
riore. La formula di CavalieriSimpson una delle preferibili, dal momento
che unisce accuratezza e semplicit. Nella letteratura specializzata (si ve-
da [23]), molta importanza viene data ai metodi di NewtonCotes, basati
proprio sui polinomi di Lagrange.
Inne, tutti i metodi di integrazione approssimata hanno la caratteristica
di essere facilmente implementabili in un qualsiasi linguaggio di programma-
zione moderno, come il C, il Python, il Fortran o anche uno dei linguaggi di
alto livello come Matlab, Mathematica o Maple. Per tutti si tratta solamente
di ricevere in input una stringa di dati (i nodi sulle ascisse e i corrispondenti
valori sulle ordinate) e di emettere in output un numero ottenuto mediante
alcune semplici operazioni aritmetiche.
Lo studente interessato potr trovare alcuni esempi, assolutamente ele-
mentari e primitivi, di implementazione nel linguaggio C dei metodi dei
trapezi, delle tangenti e di Simpson sul sito dellautore, nella sezione di di-
dattica. La scelta del linguaggio C legata allesistenza dei compilatore
Open Source gcc, liberamente installabile su ogni sistema operativo moder-
no e gi presente nelle principali distribuzioni GNU/Linux. Naturalmente il
codice cos semplice da poter essere tradotto in tutti i linguaggi scientici
conosciuti. Solo per comodit, riportiamo di seguito il brevissimo listato del
metodo dei trapezi in Python. La prima riga specica per i sistemi Unix
(GNU/Linux, *BSD, Apple Mac OS X, ecc.)
#!/usr/bin/python
def f(x) :
t = 1./x
return t
n = 1000
i = 0
x1 = 1.
x2 = 1. + 1./n
S = 0.
while i<n :
x1 = x2
x2 = x2 + 1./n
S = S + (1./n)*0.5*(f(x1)+f(x2))
i = i+1
184 CAPITOLO 9. METODI DEL CALCOLO APPROSSIMATO
print S
Lo studente noter che abbiamo evitato luso degli array per memorizzare
i nodi della suddivisione e le corrispondenti immagini. Un informatico note-
rebbe che il listato in Python preferibile a quelli in C proprio perch usa
strutture pi elementari. Per un matematico, al contrario, pi spontaneo
usare un array di numeri reali.
Epilogo
Siamo arrivati alla ne del nostro viaggio, durato circa dodici settimane e
accompagnato probabilmente da prove scritte intermedie. Lo studio di queste
dispense, aancate dagli appunti del corso e delle esercitazioni, e soprattutto
completato dalla lettura di uno dei testi segnalati nella bibliograa, dovrebbe
trasmettere allo studente le conoscenze indspensabili a qualsiasi laureando in
una disciplina scientica. Sono sicuro che solo un numero statisticamente
trascurabile di iscritti serber un ricordo piacevole del corso di Matematica.
Resta tuttavia la speranza che, almeno una volta, le idee studiate con fatica
in questi mesi possano rivelarsi utili.
A tutti gli studenti che sono arrivati alla ne delle lezioni senza com-
mettere gesti insani, va un ringraziamento e linvito a proseguire la carriera
universitaria con seriet e passione.
185
186 EPILOGO
Commento alla bibliograa
Innanzitutto, suggeriamo senzaltro a tutti gli studenti di leggere il classico
testo di Courant e Robbins [7]. Ne esiste una traduzione italiana risalente agli
anni 70 del secolo scorso. una descrizione molto piacevole e scorrevole dei
fondamenti della matematica moderna, spesso presentati attraverso esempi
e problemi di facile comprensione. Non per un valido libro di testo per un
corso universitario.
Il fatto che il libro di G.H. Hardy [16] risalga al 1921 (ed era gi la terza
ristampa!) dovrebbe essere un chiaro segnale della classicit degli argomenti
trattati nel nostro corso. A parte qualche notazione ormai caduta in disuso, il
testo di Hardy conserva ancora oggi un notevole fascino scientico, e potrebbe
tranquillamente essere utilizzato nelle nostre universit.
Un manuale molto recente, che lo studente pu trovare interessante ed
educativo, [5]. Lo stile del libro veloce e preciso, e lunica dierenza fra il
suo contenuto e le lezioni in aula la costruzione dellintegrale di Riemann.
In questo libro stata privilegiata la denizione pi intuitiva dellintegrale
denito mediante il limite delle somme integrali. Come dimostriamo nel
Teorema 6.10, di fatto la nostra costruzione coincide con quella di [5], ma si
rivela pi maneggevole nelle dimostrazioni.
Un altro testo di riferimento per il corso [6]: un libro moderno e ricco
di contenuti, approfondimenti ed esercizi svolti. Alcuni argomenti vengono
per trattati da un punto di vista diverso, e presuppone nel lettore una
preparazione che, di questi tempi, non sembra essere molto diusa.
Proprio questanno uscito il manuale [13] che propone per intero gli
argomenti trattati nel nostro corso (con un capitolo di ripasso della geometria
analitica, utile per rivedere o apprendere qualche concetto utilizzato anche
da noi). Il ritmo dellesposizione molto tranquillo, e numerosi sono gli
esempi e i commenti ai contenuti. La lunga esperienza didattica ha suggerito
allAutore lomissione di alcune dimostrazioni particolarmente tecniche; in
questi rari casi, lo studente trover i dettagli sulle dispense.
Pi simile alle nostre dispense invece [11], strutturato in capitoli snelli
e adatti ad essere trattati in due ore circa di lezione. Le successioni sono
187
188 EPILOGO
introdotte soltanto alla ne, come capitolo facoltativo. Questo rende alcune
dimostrazioni meno trasparenti ed intuitive, e gli esercizi sono di un livello
senzaltro superiore a quelli che il nostro studente deve saper risolvere. Il
testo [22], scritto da o dei padri della moderna Analisi non lineare, sta-
to considerato a lungo uno dei migliori manuali universitari per lo studio
dellAnalisi Matematica, prevalentemente rivolto a studenti del corso di Ma-
tematica o Fisica. Cos come per [24], non ci sentiamo di consigliarli al nostro
lettore: appaiono qui solo perch, sporadicamente, ne abbiamo tratto spunti
e osservazioni interessanti.
Il libro [4] probabilmente il miglior testo per lo studio astratto delle
propriet innitesimali delle funzioni. Il livello della presentazione estre-
mamente elevato. Per quanto riguarda gli argomenti numerici, consigliamo
senzaltro [18, 23].
Qualche studente si chieder se lordine dei nostri capitoli corrisponde
fedelmente allo sviluppo storico del calcolo innitesimale. In realt, la mate-
matica si sviluppata gradualmente, e spesso i grandi matematici che hanno
sviluppato le idee esposte in queste dispense non scrivevano delle denizioni
rigorose e pulite come quelle a cui ci siamo abituati. Il libro di Hairer [15]
unaascinante confronto fra lo sviluppo storico del calcolo e quello pedago-
gico dei nostri giorni. Un fatto da tenere a mente stata la rivoluzione bour-
bakista degli anni 50 e 60 del secolo appena trascorso. Partendo dalla Fran-
cia, si diusa la richiesta di un ripensamento nitido e logicamente rigoroso
delle discipline che compongono la matematica contemporanea. Il gruppo
Bourbaki cerc di esporre tutta la matematica moderna in modo puramente
logicodeduttivo. Questo approccio stato molto criticato, e la principale
accusa era di nascondere la natura dellatto creativo in matematica.
Inne, un testo apparso di recente [21]. Gli argomenti trattati spaziano
dai numeri reali al calcolo integrale in pi dimensioni. Sembra chiaramente
ispirato allo stile di [24], ma con qualche attenzione in pi agil esempi e alle
necessit didattiche attuali. Gli esercizi non sono tutti originali, ed il loro
livello decisamente avanzato.
Indice
1 Insiemi e Funzioni 1
1.1 Cenni di logica elementare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
1.2 Richiami di insiemistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.3 Insiemi numerici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
1.4 Topologia della retta reale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
1.5 Linnito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
1.6 Punti di accumulazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
1.7 Appendice: la dimostrazione per induzione . . . . . . . . . . . 16
2 Funzioni fra insiemi 19
2.1 Operazioni sulle funzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
2.2 Funzioni monotne e funzioni periodiche . . . . . . . . . . . . 28
2.3 Graci cartesiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
2.4 Funzioni elementari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
3 Successioni di numeri reali 33
3.1 Successioni e loro limiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
3.2 Propriet asintotiche delle successioni . . . . . . . . . . . . . . 40
3.3 Innitesimi ed inniti equivalenti . . . . . . . . . . . . . . . . 43
3.4 Sottosuccessioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44
3.5 Il numero e di Nepero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
3.6 Appendice: successioni di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . 47
4 Serie numeriche 49
4.1 Serie a termini positivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54
4.2 Criteri di convergenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
4.3 Convergenza assoluta e convergenza delle serie di segno alterno 60
5 Limiti di funzioni e funzioni continue 63
5.1 Limiti di funzioni come limiti di successioni . . . . . . . . . . . 63
5.2 Traduzione dei teoremi sulle successioni . . . . . . . . . . . . . 67
189
190 INDICE
5.3 Raccolta di limiti notevoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68
5.4 Continuit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
5.5 Innitesimi ed inniti equivalenti . . . . . . . . . . . . . . . . 73
5.6 Teoremi fondamentali per le funzioni continue . . . . . . . . . 75
5.7 Massimi e minimi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78
5.8 Punti di discontinuit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82
6 Il calcolo dierenziale 85
6.1 Variazioni innitesime . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85
6.2 Il calcolo delle derivate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89
6.3 I teoremi fondamentali del calcolo dierenziale . . . . . . . . . 93
6.4 Punti singolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98
6.5 Applicazioni allo studio delle funzioni . . . . . . . . . . . . . . 99
6.6 Derivate successive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101
6.7 Classi di regolarit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105
6.8 Graci di funzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106
6.9 Il teorema di De lHospital . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108
6.10 Il polinomio di Taylor . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112
7 Integrale di Riemann 121
7.1 Partizioni del dominio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122
7.2 Continuit uniforme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 130
7.3 Teorema fondamentale del calcolo . . . . . . . . . . . . . . . . 134
7.4 Media integrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138
7.5 Applicazioni al calcolo degli integrali deniti . . . . . . . . . . 138
7.6 Cenni sulla ricerca delle primitive . . . . . . . . . . . . . . . . 140
7.7 Il dierenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143
7.8 Integrazione delle funzioni razionali fratte . . . . . . . . . . . . 145
7.9 Il polinomio di Taylor con resto integrale . . . . . . . . . . . . 150
7.10 Integrali impropri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 152
7.10.1 Funzioni illimitate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 152
7.10.2 Funzioni denite su intervalli illimitati . . . . . . . . . 154
8 Equazioni dierenziali ordinarie 157
8.1 Equazioni dierenziali lineari del primo ordine . . . . . . . . . 158
8.2 Equazioni del primo ordine a variabili separabili . . . . . . . . 161
8.3 Equazioni lineari del secondo ordine . . . . . . . . . . . . . . . 167
9 Metodi del calcolo approssimato 173
9.1 Interpolazione polinomiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173
9.2 Integrazione numerica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177
INDICE 191
Epilogo 185
192 INDICE
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