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“FEMINA MOBILIOR
“DUX FEMINA FACTI”
VENTIS”
Virgilio Eneide I, 364 Lucio Calpurnio
LA SOCIETÀ’ MATRIARCALE NELL'ETÀ’ PRIMITIVA
QUANDO E DOVE È NATA
Il termine matriarcato è stato coniato verso la fine del XIX secolo sul modello del patriarcato e introdotto nell’ambito degli studi
antropologici per indicare un’organizzazione sociale fondata sulla discendenza dalla parte materna. La prima a confermare
l’ipotesi del matriarcato è stata Momolina Marconi, con l’idea che dalla Puglia alla Sardegna, dalle coste africane
all’Anatolia, fosse esistita una civiltà matriarcale, quella dei Pelasgi, che credeva in una grande madre matriarcale.
La società matriarcale è un’istituzione giuridica esistente presso molti popoli, di cultura inferiore o media, per cui i figli
assumono il cognome, e proprietà, diritti o l’appartenenza alla tribù da parte della madre, anche nei casi in cui il padre è conosciuto.
Nel matriarcato il potere politico-economico di una comunità è posseduto dalla madre più anziana della comunità stessa e,
per estensione, alle donne di tale società; due caratteristiche principali sono la matrillinearità (discendenza da parte materna) e la
matrilocalità (consuetudine nella quale una coppia di sposi novelli si stabilisce nel gruppo sociale di appartenenza della sposa o
nella casa dei genitori della sposa); qui non è necessaria una “festa della donna” perché la maternità e la femminilità sono
celebrate ogni giorno.
LA DONNA EGIZIA
La donna egizia godeva della stessa posizione giuridica dell’uomo. La donna esercitava le sue principali attività nella sfera
privata come “donna di casa”. Anche le figlie dei faraoni godevano di una posizione invidiabile.
Le donne nobili avevano titoli religiosi e civili; disponevano di proprietà che amministravano da sole e che potevano trasmettere
ai loro eredi.
Il tipo di lavoro di una donna era caratterizzato dalla posizione sociale di lei o del marito.
Da alcune fonti sappiamo che anche le donne erano proprietarie terriere, che partecipavano a transazioni mercantili senza
l’aiuto degli uomini e che potevano ereditare o lasciare in eredità a loro piacimento. Anche in caso di divorzio la donna non
perdeva nessun potere.
La posizione della donna in Egitto era, dunque, molto più invidiabile di quella della maggior parte delle contemporanee di altre
civiltà.
IL MITO DI PANDORA
Una volta, nei tempi dei tempi, quando agli uomini
Pandora
era concesso di sedersi al cospetto degli dei,
frequentando anche la stessa tavola, viveva Prometeo,
etimologicamente “colui che riflette prima”. Era un
Titano giusto e pietoso e provava molta compassione
per gli uomini. Per questa ragione, un giorno rubò il
fuoco a Zeus visto che voleva cambiare le sorti
dell’umanità, ancora primitiva. Zeus, che era il padre
di tutti gli dei, si adirò tantissimo e punì in modo
esemplare Prometeo. Lo incatenò per sempre a una
roccia, condannandolo a essere giornalmente beccato
da un’aquila che gli mangiava il fegato. Zeus volle,
però, punire anche gli uomini e trovò un modo per
farlo senza essere etichettato come un dio crudele.
Ordinò al dio Vulcano di fabbricare una donna di
straordinaria bellezza e chiese a tutti gli dei di fare un dono
alla fanciulla: chi la omaggiò del coraggio, chi della
bellezza, chi delle attitudini ai lavori femminili. Per questo
la donna venne chiamata Pandora che, appunto, vuol dire
“tutti i doni”. A queste regalie Zeus aggiunse anche un vaso
chiuso, raccomandandosi di non aprirlo mai. Pandora
venne mandata sulla terra e lì conobbe il fratello di
Prometeo, Epimèteo, “colui che non prevede”, il quale se
ne innamorò subito e volle sposarla. Prometeo cercò in
ogni modo di dissuaderlo, esortandolo a diffidare di tutto
quello che proveniva da Zeus ma il fratello, impulsivo,
sposò ugualmente la fanciulla. Pandora non riuscì a
resistere alla curiosità e aprì il vaso che le era stato
regalato. A quel punto uscirono tutti i mali del mondo che
si sparsero su tutta la terra e così iniziarono i problemi per
gli uomini. I mali erano la malattia, la morte, l’inganno, la
delusione, la miseria, la violenza…
LA DONNA A SPARTA
La storia ci ha tramandato uno stereotipo di donna greca non inserita nella
vita sociale e dedita esclusivamente alla famiglia. Tuttavia alcune donne
greche, piuttosto colte, in certi casi riuscivano ad avere influenza nelle
decisioni private e pubbliche.
Tra Sparta e Atene, le maggiori città greche, c’erano però grandi differenze
nei ruoli che esse esercitavano all’interno delle rispettive società.
Una donna vedova, laboriosa, che aveva delle ancelle, era abituata a svegliarle di notte
al canto del gallo per i lavori. Quelle oppresse dalla fatica pensarono che bisognava
uccidere il gallo di casa; ritenevano infatti che quello fosse la causa dei mali, in quanto
svegliava di notte la padrona.
Accadde però che a loro, che avevano fatto ciò, capitassero sventure peggiori.
Infatti la padrona, non sapendo l’ora del canto dei galli, le svegliava per il lavoro ancora
prima.
Sposò Teseo, re di Atene che aveva già avuto un figlio con la regina delle Amazzoni. Fedra si innamorò
follemente di Ippolito e, dopo essere stata respinta da lui, lo accusó di averla violentata. Solo quando in seguito
il ragazzo verrà ucciso da un mostro marino “ a causa della maledizione lanciata dal padre “ la donna
confesserá le sue colpe e si toglierà la vita.
Nella versione di Euripide il giovane si dedica esclusivamente alla caccia, trascurando tutto ciò che riguarda la
vita comunitaria e sessuale, andando orgoglioso della sua verginità, per questo Afrodite lo punisce suscitando in
Fedra un amore incestuoso. Questo segreto lacera Fedra, quindi decide di raccontare tutto alla nutrice che lo
rivela al ragazzo. Facendo ciò suscita nel ragazzo una reazione esagerata, rabbiosa e offensiva e per questo
Fedra, sentendosi umiliata, decide di suicidarsi; ma per salvare il suo nome decide di lasciare un biglietto in cui
lascia scritto che Ippolito l’ha violentata. Nel racconto di Seneca Fedra è innamorata follemente di Ippolito e al
ritorno della sua missione dagli inferi Fedra racconta a Teseo che il figlio ha cercato di abusare di lei e Teseo,
infuriato, lancia una maledizione al figlio che successivamente muore in maniera orribile; quando Fedra vede il
cadavere del ragazzo nella reggia confessa la verità a Teseo e dopo ciò si uccide e al padre non resta che
piangere il figlio perso e ricomporlo anche se fatto a pezzi. Dopo ciò ordina ai servi di gettare il corpo di Fedra in
una fossa.
Medea: La donna tradita
Chi era Medea? Figlia di Eeta, re di Colchide, dea dell’oltretomba e delle notti di luna piena. A
lei è dedicato anche un comune in Friuli-Venezia Giulia.
LA TRAGEDIA DI MEDEA
Dopo aver aiutato Giasone e gli Argonauti a conquistare il vello d’oro Medea scappa con il suo
futuro marito. Dopo essersi sposati e aver avuto due figli la donna scopre che il marito si deve
sposare con la sovrana di Corinto, al che si infuria, ma l’uomo decide di esiliarla e lei chiede
un giorno di tempo per prepararsi. Il giorno del matrimonio la donna avvelena i vestiti
della sposa facendola morire davanti gli occhi dello sposo e poi uccide i due figli.
Questa tragedia fu scritta da Euripide, drammaturgo greco antico considerato uno dei
maggiori poeti tragici greci.
IL MONOLOGO DI MEDEA SULLA CONDIZIONE DELLE DONNE
<<Di quanti esseri al mondo hanno anima e mente, noi donne siamo le creature più
infelici. Dobbiamo innanzitutto, con dispendio di denaro, comperarci un marito e dare un
padrone alla nostra persona; e questo è dei due mali il peggiore. E poi c'è il gravissimo
rischio :”Sarà buono colui o non sarà? “Separarsi dal marito è scandalo per la donna,
repudiarlo non può [...] Quando poi l’uomo di stare coi suoi di casa sente noia, allora va
fuori e le noie se le fa passare; ma noi donne a quella sola persona dobbiamo guardare.
Dicono anche che noi donne vivendo in casa viviamo senza pericoli e l’uomo ha i pericoli
della guerra. Ragionamento insensato. Vorrei tre volte trovarmi nella battaglia anziché
partorire una sola>>
LA DONNA A ROMA
La donna a Roma doveva rimanere in casa e badare ai propri figli, anche le
bambine dovevano rimanere a casa insieme alla madre per imparare a cucinare e
pulire la casa e, quando uscivano (visto che potevano partecipare ai banchetti),
visto che non potevano bere nessun tipo di vino, bevevano una bibita fatta
proprio per loro di nome “Mulsum”, che si otteneva miscelando vino e miele.
LA DONNA A ROMA
La donna era sottomessa a un ordine patriarcale, gli uomini controllavano la sua
sessualità e la sua capacità riproduttiva. A questo scopo si applicavano norme e
leggi di estrema durezza.
capo di una congiura contro il padre, venne mandata sull'isola per cinque anni. Giulia non era
che sono associate a lei. Ma nonostante fosse molto amata dal padre, venne educata con
durezza per diventare una vera aristocratica. Oltre alla cultura aveva un altro dono:
era bellissima, fin da ragazzina attirò l'attenzione degli uomini tanto che il padre ne fu
allarmato, decise che la fanciulla doveva incontrare solo persone autorizzate a lui; questo
gesto oltre ad essere una forma di gelosia era anche un modo per consolidare il potere
attraverso un'accorta politica matrimoniale. A soli 2 anni si sposò con Marco Antonio Antillo,
che ne aveva dieci e non fu mai celebrato. Subito dopo il padre la promise a Cotisone, ma
Il romanzo ha due protagonisti: Ottaviano Augusto, l'uomo che mise fine alle guerre civili , che
diede la pace a Roma e al suo impero, e sua figlia Giulia, definita “pedina di vetro” sulla
scacchiera del gioco dei latruncoli, un antenato del gioco degli scacchi. Dalle pagine del libro
emerge una figura di donna piena di vita, spensierata, amante del lusso, una donna che non ha
mai scelto i propri mariti, una madre che ha amato e allevato i propri figli.
LA DONNA E L’ARTE
Nell’antica Grecia la scultura classica propose di raffigurare la figura umana,
precisamente venivano rappresentate le gesta eroiche degli uomini. Per quanto riguarda
le donne, inizialmente nell’arte monumentale apparivano esclusivamente con il ruolo di
aiutanti e assistenti. Nelle arti figurative veniva accentuata la superiorità maschile nella
società greca.
LA DONNA E L’ARTE
A partire dal IV secolo anche le donne vennero introdotte nell’arte
con ruoli molto importanti come la rappresentazione di nudo, che
prima riguardava solo il genere maschile.
ATENA NELL’ARTE
L’unica donna che veniva celebrata straordinariamente nella civiltà greca e soprattutto
nel mondo artistico era la dea Atena. Nessuna dea oltre a lei occupava una tale
importanza, tanto da essere sempre rappresentata al centro delle facciate degli edifici.
Atena veniva rappresentata nei panni di una dea guerriera armata con simboli sacri: la
civetta, Athenae noctua, l’elmo, la lancia, lo scudo e l’Egida, ovvero il mantello
indistruttibile che aveva protetto Zeus.