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Un tetto alle spese in campagna elettorale

La pubblicazione a quasi sei mesi dal voto dei rendiconti delle spese sostenute in campagna elettorale da Giuliano Pisapia e Letizia Moratti, permette di corroborare su basi pi che concrete lasfittico dibattito parlamentare in corso sui costi della politica. La prima considerazione che il rendiconto arriva in ritardo ed politicamente inutilizzabile per lelettore che avesse voluto considerare se la promessa del sindaco uscente di confermare il proprio budget del 2006 (6 milioni e 250 mila euro) fosse veritiera. Stava spendendo il doppio, ma lo si sarebbe scoperto solo a giochi fatti. La seconda considerazione lassoluta sproporzione delle risorse: Pisapia ha speso 1,7 milioni di euro, la Moratti 12,3. Una competizione nella quale si permette a un candidato, gi avvantaggiato per la carica che ricopre, di investire nella propria campagna elettorale sette volte quanto non faccia il suo principale avversario falsata in partenza, non garantisce le pari opportunit che si impongono in ogni competizione politica. Da queste due prime constatazioni possono derivare delle scelte: le risorse a disposizione dei candidati devono essere rese pubbliche nel corso della campagna elettorale (e infatti sul sito di PisapiaXMilano un contatore aggiornava sul progresso delle sottoscrizioni) ed necessario imporre un tetto di spesa. Dalla documentazione depositata alla Camera si ricava un altro elemento: la candidatura di Letizia Moratti stata sostenuta con quattro maxi assegni dal marito Gianmarco Moratti (11,6 milioni) e 737mila euro del Pdl; quella di Pisapia con 585mila euro del Pd e centinaia di donazioni tutte inferiori ai 50mila euro (per le quali la registrazione obbligatoria). Il risultato noto e ci dice che possibile combattere e vincere anche con pochi soldi perch, fortunatamente, le idee non sempre sono in vendita. Se i cittadini sono chiamati a finanziare direttamente la politica, sempre che il candidato lo meriti, lo fanno infrangendo cos uno dei pi solidi argomenti a favore del mantenimento comunque moderato o mascherato dellattuale sistema di finanziamento pubblico dei partiti. Certo, nel caso si volesse considerare seriamente lipotesi, per evitare che i comitati elettorali si trasformino nei superpacs delle presidenziali Usa, oltre al tetto alle spese bisognerebbe riservare alle sole persone fisiche la possibilit di finanziare lattivit politico-elettorale (godendo anche di eventuali sgravi fiscali) escludendone le persone giuridiche tranne quelle che partecipano direttamente alla competizione. Andrebbe poi rimosso il vincolo ipocrita dei 50mila euro per le iscrizioni obbligatorie alla lista dei finanziatori fissandolo ben pi in basso a 1.000-5.000 euro, che per un semplice elettore sono comunque una bella cifra, permettendo cos anche di individuare sponsorizzazioni

pi o meno imbarazzanti nel presente e nel futuro. Parallelamente, bisognerebbe rendere trasparenti le spese cos che si sappia se quei soldi finiscono in ricche consulenze agli amici degli amici o in utili attivit di informazione e propaganda: non serve aspettare sei mesi , il bilancio certificato e la societ di revisione (se non per le verifiche a posteriori che comunque sono dovute), basta un ragioniere, la vecchia partita doppia e un computer collegato in rete. Ultimo appunto. Considerato il patrimonio milionario accumulato nelle rispettive casse, i partiti hanno dimostrato di avere il braccino corto. Forse perch per le comunali non si prevede alcun rimborso di spese elettorali e c il rischio di spendere soltanto. Potrebbero allora investire quanto hanno risparmiato almeno per saldare le multe per le affissioni abusive, finanziando le casse pubbliche e risparmiandoci per il futuro unaltra campagna elettorale selvaggia. (la Repubblica Milano, 15 aprile 2012)

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