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Il pesco ha origine in Cina, nella cui mitologia è simbolo di immortalità.

Il ritrovamento di semi in siti


archeologici sulla costa orientale cinese, provincia dello Zhejiang, fa datare gli inizi della sua domesticazione
(cioè della selezione operata dall’uomo per adattare la specie alla coltivazione) a circa 8.000 anni fa. Tra il II
ed il I secolo a.C. il pesco arriva in Persia (attuale Iran), da cui poi si diffonde in tutto il Bacino del
Mediterraneo in concomitanza con l’espansione dell’Impero Romano. Fino al XIX secolo il mondo
occidentale ha ritenuto che fosse la Persia l’area d’origine della specie, e traccia di questa errata
convinzione è rimasta nel nome botanico attribuito al pesco: Prunus persica. Le prime varietà (in alcuni casi
popolazioni varietali) sono state ottenute grazie al lavoro esperto di agricoltori e appassionati, che
propagavano le piante per seme, selezionando quelle con caratteristiche del frutto migliori e più adatte alle
condizioni ambientali locali. In Italia, dove questa specie vanta una lunga tradizione di coltivazione, si è così
sviluppata una moltitudine di varietà destinate per lo più a mercati locali, a motivo della breve vita
commerciale del frutto maturo, che in pochissimi giorni perdeva di consistenza, diventando molto sensibile
a qualsiasi tipo di manipolazione e trasporto.

La diversità genetica del pesco è condizionata dalla sua storia, che ha portato all’attuale panorama
varietale. La domesticazione, come accaduto per tutte le specie coltivate dall’uomo, ha provocato una
prima drastica riduzione della variabilità, cui ne è seguita un’altra, dovuta alla diffusione in Occidente,
attraverso la Via della seta. L’ultima diminuzione di diversità genetica è avvenuta con l’inizio dell’attività
moderna di miglioramento genetico, iniziata negli USA nel XIX secolo. Quest’attività parte da un ristretto
gruppo di varietà di origine occidentale e dalla varietà di origine cinese Chinese Cling, da cui derivano tutte
le varietà coltivate oggi. L’insieme di questi eventi ha portato alla perdita di circa l’80% della diversità
genetica della specie ed a un pool genetico (l’insieme dei geni presenti in una popolazione) delle attuali
varietà coltivate molto ridotto.

Un’indagine conoscitiva sulla peschicoltura italiana pubblicata nel 1936 aveva evidenziato come già allora
metà delle pesche commercializzate in Italia derivassero da varietà di origine statunitense. I censimenti
successivi non hanno fatto altro che confermare il ruolo sempre più marginale delle vecchie pesche locali
nella produzione nazionale, ‘bocciate’ dal mercato per la produttività insoddisfacente e la scarsa resistenza
alle manipolazioni e al trasporto. Questo trend ha destato nel mondo scientifico forti preoccupazioni sul
rischio di erosione del patrimonio di caratteri e di tradizioni legate al vecchio germoplasma italiano tanto
che, a partire dagli anni ’80, si sono susseguite numerose iniziative pubbliche finalizzate al censimento e al
recupero di questo materiale. Nell’Atlante dei Fruttiferi Autoctoni Italiani (2016), opera patrocinata dal
Mipaaf e coordinata da CREA Olivicoltura Frutticoltura Agrumicoltura (da qui CREA-OFA ), che mette
insieme le tantissime informazioni disponibili sul patrimonio frutticolo italiano, vengono citati oltre 600
nomi di varietà di pesco originarie delle diverse regioni italiane.

La tipologia di frutto prevalente è la pesca a polpa bianca, che a maturazione intenerisce e si stacca
facilmente dal nocciolo, ma c’è anche un 7% circa rappresentato da pesche bianche e gialle a polpa
duracina (come le pesche da industria), particolarmente apprezzate nelle regioni meridionali per il consumo
fresco.

Se, nonostante tutto l’impegno profuso nel recupero della biodiversità locale, molte varietà del passato (di
cui oggi resta solo il nome) sono purtroppo definitivamente perdute, tante altre però sono state salvate e
recuperate. Grazie al progetto RGV-FAO, finanziato dal Mipaaf, il CREA-OFA mantiene in collezione nelle
sedi di Roma, Caserta e Forlì, circa 1100 accessioni varietali di pesco del germoplasma regionale, nazionale
e internazionale, a cui si aggiungono esemplari di specie botaniche affini al pesco, mai domesticate,
potenziale fonte di caratteri di resistenza a malattie del frutto e/o della pianta.
Nell’ambito del progetto europeo FruitBreedomics, il CREA-OFA ha collaborato ad una ricerca
internazionale in cui è stata esplorata la variabilità genetica di circa 1600 accessioni di pesco, provenienti
dalle più importanti banche europee di germoplasma e dalla collezione cinese dell’Università di Zhejiang.
Insieme all’Università di Milano, il CREA-OFA ha coordinato un’azione mirata a selezionare – dalle circa
1200 accessioni presenti nelle collezioni europee – un gruppo ristretto di varietà che racchiude tutta la
variabilità genetica delle collezioni di origine e che oggi fa parte della PeachRefPop, la prima Collezione
internazionale di riferimento per il pesco, composta da 150 varietà e 250 individui ottenuti da incrocio,
rappresentativi dell’amplissima diversità di forme, dimensioni, colori, epoche di fioritura e maturazione
esistenti nel germoplasma occidentale ed è uno strumento eccezionale per studi finalizzati ad identificare
nuovi geni di interesse agronomico e a comprendere le complesse interazioni fra pianta e ambiente. La
PeachRefPop è replicata in 5 siti diversi distribuiti in Europa, tra i quali la Sede di Roma del CREA-OFA.

Il miglioramento genetico moderno ha da sempre “attinto a piene mani” dalla diversità del germoplasma
peschicolo, nell’intento – spesso più facile a dirsi che a farsi – di combinare in un unico individuo i pregi
delle varietà scelte come genitori, senza portarsene dietro anche i difetti. Grazie anche alla riscoperta delle
leggi di Mendel sull’ereditarietà dei caratteri, le prime varietà moderne compaiono già nella seconda metà
del XIX secolo, ma è nel XX che il panorama varietale mondiale si arricchisce di migliaia di nuove cultivar che
rivoluzionano l’assortimento preesistente. Il CREA-OFA è tra i protagonisti dell’epoca d’oro del breeding del
pesco, come attestato dalle 89 cultivar di pesche, nettarine (sia a polpa bianca che gialla) e percoche
licenziate a partire dal 1978, alcune delle quali di ampia diffusione anche all’estero. Solo per citare alcuni
nomi, la pesca Rome Star, la percoca Romea e le nettarine Venus e Alitop o la serie UFO a frutto a piatto
che ha influenzato il mercato creando nuove tendenze di consumo. Tra gli obiettivi attuali del breeding: il
miglioramento della tenuta del frutto sull’albero e in post-raccolta (con l’introduzione del carattere “stony
hard” presente nel germoplasma di origine asiatica), lo sviluppo di pesche e nettarine a polpa rossa, ricca di
antociani, per aumentare il valore nutraceutico del frutto.

Ma le sfide più impegnative del prossimo futuro sono quelle legate ai cambiamenti climatici e alla
salvaguardia dell’ambiente e, in questo senso, sarà determinante il contributo che breeder e genetisti
potranno dare agli agricoltori, sviluppando cultivar in grado di adattarsi a condizioni ambientali mutevoli e
resistenti alle comuni malattie di specie o a quelle emergenti, per ridurre la dipendenza dai trattamenti
fitosanitari e implementare una peschicoltura sempre più sostenibile. A questo riguardo, il CREA-OFA è
impegnato nel progetto BioSOSFru, finanziato dal Mipaaf nell’ambito del progetto bandiera Biotech, che
mira a ottenere varietà migliorate in diverse specie coltivate attraverso l’applicazione delle più moderne
tecnologie di evoluzione assistita, cosiddette TEA, come il genome editing e la cisgenesi. La disponibilità di
questi nuovi strumenti costituisce una potente arma a disposizione del miglioramento genetico del pesco
poiché consentirebbe di superare le grandi difficoltà che si incontrano nello sviluppo di nuove varietà,
dovute da una parte ai tempi troppo lunghi necessari per la loro costituzione (fino a 10-20 anni) e dall’altra
alla mancanza di geni utili.
Quest’ultimo è il caso della Sharka, una virosi da quarantena che affligge le produzioni peschicole, causando
ogni anno ingenti perdite economiche nel settore e per la quale non sono disponibili varietà resistenti. In
questo caso, l’unica via per lo sviluppo di peschi resistenti è la creazione di nuova variabilità genetica, in
modo mirato e controllato, modificando, attraverso le TEA, solo ed esclusivamente il gene che controlla il
carattere della resistenza, senza che nel genoma della pianta rimanga alcun DNA estraneo. Il prodotto che
si ottiene non è dunque diverso da quello che si avrebbe in natura se una mutazione, che è un evento che
in condizioni naturali avviene in maniera casuale nel genoma, si verificasse proprio in quel punto esatto sul
nostro gene di interesse: evento possibile, ma improbabile, praticamente come vincere al Superenalotto!
Con lo stesso meccanismo il progetto BioSOSFru si prefigge di modificare l’architettura della pianta,
rendendola più adatta alla raccolta meccanizzata e di accorciare il tempo dell’entrata in fioritura delle
giovani piantine, velocizzando la loro entrata in produzione. Infine, sempre con approcci di evoluzione
assistita, il progetto mira a inserire la resistenza ai nematodi, parassiti delle radici presenti nel terreno.
Questi obiettivi, se dal punto di vista delle conoscenze sul genoma e sui geni che controllano i caratteri di
interesse sono perseguibili, trovano ancora forti ostacoli alla loro piena realizzazione in pesco, dovuti alla
recalcitranza di questa specie, a differenza di molte altre, verso le manipolazioni in vitro, necessarie a
rigenerare le piantine con le modifiche desiderate. Anche di quest’ultimo aspetto si sta occupando il
progetto BioSOSFru, che vuole fornire tutti gli strumenti potenzialmente in grado di mettere in atto risposte
rapide e certe alle esigenze presenti e future del settore peschicolo.

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