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Canto XV dell'Inferno:
testo, parafrasi,
significato e analisi del
canto in cui Dante
incontra Brunetto Latini
Significato e analisi del canto XV
dell'Inferno di Dante che racconta
dell'incontro del Poeta con Brunetto Latini.
Testo e parafrasi del canto che si svolge nel
terzo girone del settimo cerchio.

Vincenzo Lisciani Petrini

Devi conoscere
L'Inferno di Dante Alighieri: gironi e struttura
L'Italia degli Stati regionali tra 1300 e 1400

Cosa imparerai
a conoscere le caratteristiche e il
significato di questo canto
a conoscere i protagonisti del canto XV
dell'Inferno
a farne l'analisi e la parafrasi

INDICE

1 Inferno, Canto XV, introduzione


2 Inferno, Canto XV: testo

3 Inferno, Canto XV: parafrasi

4 Sodomia e Letteratura: la condanna di


Brunetto
5 Sintesi narrativa del Canto XV
dell’Inferno
6 Canto XV dell’Inferno: personaggi
6.1 Il maestro di Dante: Brunetto Latini
6.2 Prisciano di Cesarea o di Bologna o
l’eretico Priscilliano?
6.3 Francesco d’Accorso
6.4 Andrea de’ Mozzi

7 Analisi del testo del Canto XV dell’Inferno


7.1 Lo spazio nel canto XV dell’Inferno
7.2 L'atmosfera notturna e le difficoltà
di percezione visiva
7.3 L'incontro fra Brunetto Latini e Dante
7.4 La profezia di Brunetto Latini
8 Guarda il video sul Canto XV dell'Inferno

Concetti chiave

Infobox
Autore
Dante Alighieri
Cosa
Canto XV dell'Inferno
Quando
alba di sabato 9 aprile 1300
Caratteristiche
Siamo nel settimo cerchio, terzo girone. Qui
si trovano i condannati per aver peccato di
sodomia o violenza contro Dio per quanto
riguarda la natura, che è figlia di Dio. I
dannati camminano in un sabbione
infuocato sotto una pioggia di fuoco. In
base alla legge del contrappasso, essendo
andati contro natura, la natura per
analogia cade su di loro come pioggia di
fuoco anziché d’acqua (inversione: il fuoco
dovrebbe salire verso l’alto, la pioggia
cadere verso il basso).
Dove
settimo cerchio, terzo girone
Frase celebre
"Se tu segui tua stella non puoi fallire a
glorioso porto, se ben m'accorsi ne la vita
bella..."

1 Inferno, Canto XV,


introduzione

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Kurt Vonnegut nelle sue famose orazioni


per i laureati nei College era solito
pronunciare questo particolare discorso,
che è una sorta di ode agli insegnanti:
«Quanti di voi hanno avuto un insegnante,
in qualunque grado di istruzione, che vi ha
resi più entusiasti di essere al mondo, più
fieri di essere al mondo, di quanto
credevate possibile fino a quel momento?
Alzate le mani, per favore. Adesso
abbassatele e dite il nome di
quell’insegnante a un vostro vicino, e
spiegategli che cosa ha fatto per voi. Ci
siamo? Cosa c’è di più bello di questo?»
(Quando siete felici fateci caso).

Se Dante fosse stato a uno di questi


discorsi, forse avrebbe detto a un vicino
questo nome: ser Brunetto Latini. E avrebbe
aggiunto questa motivazione: mi ha
insegnato come l’uomo diventa eterno.

Approfondisci

Virgilio: vita e opere

L’incontro tra Dante e Brunetto è un


omaggio del discepolo al maestro e al
tempo stesso un omaggio a sé stesso di
Dante per avere imparato molto dal primo
ed essere riuscito a superarlo
ricollegandosi a una più vasta tradizione
letteraria, simboleggiata dall’altro maestro
che lo accompagna, cioè Virgilio. È un
incontro all’insegna dell’amicizia e della
stima, ma anche della condanna.

Quiz sull'Inferno di Dante: rispondi alle


domande e scopri quanto ne sai sulla
prima cantica della Divina commedia

Viene da chiedersi perché Dante vi abbia


messo una persona che stima così tanto e
di cui ha una cara immagine paterna, e
per di più infamandolo del peccato di
sodomia. Guglielmo Gorni sottolinea che la
tradizione di Brunetto maestro di Dante sia
contenuta nella Commedia e poi nelle
Esposizioni di Boccaccio. Altre fonti non ci
sono.

E poi si sofferma sul misterioso verso che


abbiamo appena citato: «come l’uom
s’etterna». Il punto è proprio qui. Storica o
no la frequentazione di Brunetto, «maestro
di varia umanità o di comportamento
civile» (Pasquini-Quaglio), Dante gli
riconosce una grande e importante
lezione: diventare eterni con la fama
letteraria.

Tempo: alba di sabato 9 aprile 1300.


Luogo: settimo cerchio, terzo girone.
Personaggi: Dante e Virgilio, Brunetto
Latini, Prisciano, Francesco d’Accorso,
Andrea de’ Mozzi.
Colpa: peccato di sodomia, violenza
contro Dio per quanto riguarda la natura,
che è figlia di Dio.
Pena: i dannati camminano in un
sabbione infuocato sotto una pioggia di
fuoco.
Contrappasso: essendo andati contro
natura, la natura per analogia cade su di
loro come pioggia di fuoco anziché
d’acqua (inversione: il fuoco dovrebbe
salire verso l’alto, la pioggia cadere
verso il basso).

2 Inferno, Canto XV: testo


Ora cen porta l'un de' duri margini;
e 'l fummo del ruscel di sopra aduggia,
sì che dal foco salva l'acqua e li argini.
Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia,
temendo 'l fiotto che 'nver' lor s'avventa,

fanno lo schermo perché 'l mar si fuggia;


e quali Padoan lungo la Brenta,
per difender lor ville e lor castelli,
anzi che Carentana il caldo senta:
a tale imagine eran fatti quelli,
tutto che né sì alti né sì grossi,
qual che si fosse, lo maestro félli.

Già eravam da la selva rimossi


tanto, ch'i' non avrei visto dov'era,
perch'io in dietro rivolto mi fossi,

quando incontrammo d'anime una schiera


che venian lungo l'argine, e ciascuna

ci riguardava come suol da sera


guardare uno altro sotto nuova luna;
e sì ver' noi aguzzavan le ciglia

come 'l vecchio sartor fa ne la cruna.


Così adocchiato da cotal famiglia,
fui conosciuto da un, che mi prese
per lo lembo e gridò: "Qual maraviglia!".
E io, quando 'l suo braccio a me distese,

ficcaï li occhi per lo cotto aspetto,


sì che 'l viso abbrusciato non difese
la conoscenza süa al mio 'ntelletto;

e chinando la mano a la sua faccia,


rispuosi: "Siete voi qui, ser Brunetto?".
E quelli: "O figliuol mio, non ti dispiaccia
se Brunetto Latino un poco teco
ritorna 'n dietro e lascia andar la traccia".
I' dissi lui: "Quanto posso, ven preco;
e se volete che con voi m'asseggia,
faròl, se piace a costui che vo seco".
"O figliuol", disse, "qual di questa greggia
s'arresta punto, giace poi cent'anni
sanz'arrostarsi quando 'l foco il feggia.
Però va oltre: i' ti verrò a' panni;
e poi rigiugnerò la mia masnada,
che va piangendo i suoi etterni danni".
Io non osava scender de la strada
per andar par di lui; ma 'l capo chino
tenea com'uom che reverente vada.
El cominciò: "Qual fortuna o destino

anzi l'ultimo dì qua giù ti mena?

e chi è questi che mostra 'l cammino?".

"Là sù di sopra, in la vita serena",


rispuos'io lui, "mi smarri' in una valle,
avanti che l'età mia fosse piena.
Pur ier mattina le volsi le spalle:
questi m'apparve, tornand'ïo in quella,
e reducemi a ca per questo calle".
Ed elli a me: "Se tu segui tua stella,
non puoi fallire a glorïoso porto,
se ben m'accorsi ne la vita bella;

e s'io non fossi sì per tempo morto,


veggendo il cielo a te così benigno,
dato t'avrei a l'opera conforto.

Ma quello ingrato popolo maligno


che discese di Fiesole ab antico,
e tiene ancor del monte e del macigno,

ti si farà, per tuo ben far, nimico;


ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi
si disconvien fruttare al dolce fico.

Vecchia fama nel mondo li chiama orbi;

gent'è avara, invidiosa e superba:

dai lor costumi fa che tu ti forbi.


La tua fortuna tanto onor ti serba,
che l'una parte e l'altra avranno fame
di te; ma lungi fia dal becco l'erba.
Faccian le bestie fiesolane strame
di lor medesme, e non tocchin la pianta,

s'alcuna surge ancora in lor letame,

in cui riviva la sementa santa


di que' Roman che vi rimaser quando
fu fatto il nido di malizia tanta".
"Se fosse tutto pieno il mio dimando",
rispuos'io lui, "voi non sareste ancora
de l'umana natura posto in bando;
ché 'n la mente m'è fitta, e or m'accora,

la cara e buona imagine paterna


di voi quando nel mondo ad ora ad ora
m'insegnavate come l'uom s'etterna:

e quant'io l'abbia in grado, mentr'io vivo


convien che ne la mia lingua si scerna.

Ciò che narrate di mio corso scrivo,


e serbolo a chiosar con altro testo
a donna che saprà, s'a lei arrivo.

Tanto vogl'io che vi sia manifesto,

pur che mia coscïenza non mi garra,


ch'a la Fortuna, come vuol, son presto.
Non è nuova a li orecchi miei tal arra:

però giri Fortuna la sua rota


come le piace, e 'l villan la sua marra".

Lo mio maestro allora in su la gota


destra si volse in dietro e riguardommi;
poi disse: "Bene ascolta chi la nota".

Né per tanto di men parlando vommi


con ser Brunetto, e dimando chi sono
li suoi compagni più noti e più sommi.
Ed elli a me: "Saper d'alcuno è buono;
de li altri fia laudabile tacerci,
ché 'l tempo sarìa corto a tanto suono.

In somma sappi che tutti fur cherci


e litterati grandi e di gran fama,

d'un peccato medesmo al mondo lerci.


Priscian sen va con quella turba grama,
e Francesco d'Accorso anche; e vedervi,
s'avessi avuto di tal tigna brama,
colui potei che dal servo de' servi
fu trasmutato d'Arno in Bacchiglione,

dove lasciò li mal protesi nervi.

Di più direi; ma 'l venire e 'l sermone


più lungo esser non può, però ch'i' veggio
là surger nuovo fummo del sabbione.

Gente vien con la quale esser non deggio.

Sieti raccomandato il mio Tesoro,


nel qual io vivo ancora, e più non cheggio".

Poi si rivolse, e parve di coloro

che corrono a Verona il drappo verde


per la campagna; e parve di costoro

quelli che vince, non colui che perde.

3 Inferno, Canto XV: parafrasi

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[Adesso uno degli argini rocciosi ci


allontana dalla selva e le nebbie del
Flegetonte fanno ombra di sopra, in modo
da proteggere dal fuoco sia l'acqua sia gli
argini stessi. Come i Fiamminghi fra
Wissand e Bruges, temendo che la marea
si avventi su di loro, alzano dighe perché il
mare stia lontano; e come lungo il Brenta
fanno i Padovani per difendere le loro ville e
i loro castelli prima che la Carinzia avverta
il caldo della primavera; così erano costruiti
quegli argini, sebbene il maestro
costruttore, chiunque sia stato, non li aveva
eretti così alti e spessi.
Ormai eravamo piuttosto lontani dalla
selva tanto che se anche mi fossi voltato,
non l'avrei più vista, quando incontrammo
una schiera di anime che veniva lungo
l’argine, e ognuna di esse ci guardava
come quando si osserva qualcuno nella
sera di novilunio; e strizzavano gli occhi
verso di noi come il vecchio sarto quando
infila l'ago nella cruna.
Così, mentre ero guardato da tale schiera,
uno di loro mi riconobbe e mi prese per il
lembo della veste e mi gridò: «Che
meraviglia!». E io, non appena lui tese il suo
braccio verso di me, fissai i miei occhi al
suo volto e, benché fosse tutto bruciato,
non faticai a riconoscerlo. E avvicinando la
mano al suo viso, gli risposi: «Ser Brunetto,
siete proprio voi?». E lui a me: «Figliolo,
spero non ti dispiaccia se Brunetto Latini
torna un po' indietro con te e lascia
proseguire la schiera». Io gli dissi: «Quanto
posso, io ve ne prego; e se volete che io mi
fermi un attimo con voi, lo farò, purché sia
d’accordo la mia guida». Rispose: «Figliolo,
se un dannato di questa schiera si ferma
un solo istante, poi deve starsene fermo
cent'anni senza potersi riparare quando il
fuoco lo ferisce. Perciò prosegui: io
camminerò con te e poi raggiungerò la
mia schiera, che va piangendo la sua
dannazione eterna». Non avevo il coraggio
di scendere dall'argine per camminargli
accanto; ma abbassavo il capo, in segno di
deferenza. Lui cominciò: «Quale sorte o
destino ti conduce qui prima della tua
morte? E chi è costui che ti fa da guida?». Io
gli risposi: «Lassù, nella vita serena, mi sono
perso in una valle prima che la mia vita
raggiungesse il suo culmine. Solo ieri
mattina ne sono uscito: mi apparve costui
(Virgilio), mentre ci stavo rientrando, e mi
riporta alla mia casa per questo
cammino». E lui a me: «Se seguirai la tua
stella, non potrai non giungere al glorioso
porto, se ho inteso bene quando ero
anch’io in vita; e se non fossi morto troppo
presto, vedendo il cielo verso di te così ben
disposto, ti avrei aiutato a compiere la tua
opera. Ma i Fiorentini, quell’ingrato e
malvagio popolo che discese un tempo da
Fiesole e che conserva ancora i modi rozzi
dei montanari, sarà presto tuo nemico per
le tue buone azioni: e non sarà a torto,
poiché non è opportuno che il dolce fico
nasca tra i frutti agri. Un vecchio proverbio
li definisce ciechi; è gente avara, invidiosa
e superba: non lasciarti condizionare dai
loro costumi. La tua fortuna ti riserva tanto
onore che entrambe le parti – i Bianchi e i
Neri – vorranno sfogare il loro odio contro
di te; ma a quel punto l'erba sarà lontana
dal caprone. Le bestie di Fiesole si divorino
tra loro e non tocchino la pianta, ammesso
che possano ancora nascerne nel loro
letame, in cui rivive il santo seme di quei
Romani che restarono a Firenze quando il
nido di tanta malvagità fu fondato».
Io gli risposi: «Se potessi esaudire ogni mio
desiderio, vorrei che foste ancora tra i vivi;
poiché nella mia memoria è ben presente
(e il pensiero ora mi commuove) la cara e
buona immagine paterna di voi quando
nel mondo mi insegnavate di quando in
quando in che modo l’uomo guadagna
l’eternità: e finché sarò vivo, le mie parole
esprimeranno quanto ciò mi sia gradito.
Ciò che mi annunciate della mia vita, lo
tengo bene a mente, e mi riservo di farmelo
spiegare insieme a un'altra profezia da una
donna che saprà farlo, se mai arriverò sino
a lei. Ma questo voglio dirvi con chiarezza
che, purché la mia coscienza non mi
rimproveri, sono pronto a sopportare i colpi
della sorte, qualunque essi siano. Non mi
giunge nuova questa profezia: ebbene la
Fortuna giri pure la sua ruota come vuole,
e il contadino la sua zappa». Il mio maestro
allora si volse indietro, sulla sua destra, e mi
guardò, dicendo poi: «Apprende bene
questa lezione chi ben la scrive nella sua
memoria». Nondimeno continuai a
camminare e a parlare con ser Brunetto,
chiedendogli chi fossero i suoi compagni di
pena più importanti. E lui a me: «È bene
conoscerne giusto qualcuno: degli altri
sarà lodevole tacere, perché mancherebbe
il tempo per elencarli tutti. Sappi insomma
che furono tutti chierici e grandi letterati e
molto famosi, tutti sporchi dello stesso
peccato. Prisciano va con quella brutta
schiera, e anche Francesco d'Accorso; e
avrei potuto vederci, se avessi desiderio di
vedere un tale sudiciume, quello che il
servo dei servi (Bonifacio VIII) trasferì dalla
città sull’Arno a quella sul Bacchiglione,
dove morì lasciando i suoi sensi ancora
protesi al vizio. Ti direi di più, ma non posso
trattenermi e parlare oltre, poiché vedo già
alzarsi di là nuovo fumo dal sabbione.
Arrivano anime con la cui schiera non devo
mescolarmi. Ti raccomando il mio Trésor
nel quale io vivo ancora, e oltre non
chiedo». Poi si voltò e mi sembrò uno di
quelli che a Verona corrono il palio per il
drappo verde, nella campagna; e
sembrava colui che vince e non colui che
perde.]

4 Sodomia e Letteratura: la
condanna di Brunetto
Il rapporto tra sodomia e studianti (o
studiosi o letterati) sembra, stando alle
parole di Brunetto, quasi fin troppo noto.
Evidentemente c’è un nesso che alcuni
critici hanno individuato nel sapere libresco
opposto al sapere della parola e dunque
l’andare contro natura sarebbe andare
contro la parola di Dio, che è massima
espressione del verbo. Questa critica ai
letterati e agli studianti sarà poi ripresa e
resa ancora più feroce da poeti successivi
a Dante, vale a dire Stefano Finiguerri detto
Za, Domenico di Giovanni detto il Burchiello
che prendono le mosse proprio da questa
passo di Dante.

Resta da capire perché Brunetto sia stato


condannato se è vero che la sua
bisessualità – giacché era sposato con figli
– era un fatto privato, di cui pochissimi
erano a conoscenza: Dante-personaggio è
sorpreso, segno che il Dante-autore
sapeva bene che questo fatto non era di
dominio pubblico. Questo dimostrerebbe
anche l’estrema vicinanza di Dante a
Brunetto.

Approfondisci

Inferno di Dante Alighieri:


gironi e struttura

E perché indurlo a dire che tra i sodomiti vi


erano tantissimi chierici e famosi
intellettuali, quando tra quelli citati l’unico
sembra essere Prisciano, di difficile
identificazione. Gli altri due infatti non
erano di Firenze, come il giurista Francesco
d’Accorso, anch’egli di Bologna come
magister Prisianus, ma forse ateo, non
sodomita, o erano dei farabutti come il
vescovo Andrea de’ Mozzi, tutto fuorché un
letterato. Questo canto resta per molti
aspetti oscuro.

Anche il finale con la corsa di Brunetto


talmente agile e scattante da sembrare un
corridore ha un che di grottesco che non si
addice alla cara e buona immagine
paterna con cui il poeta l’aveva salutato.

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