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SEMINARIO SUL TEATRO DELL’OPPRESSO

TEATRO FORUM
( 20, 21, 22 Gennaio 2012 )

20 GENNAIO 2012

Jordi Forcadas Baladier fa parte dell’associazione spagnola Pà tothom: due parole,


una castigliana ed una catalana, perché già dal nome sia chiara la voglia di non
individualismo e contaminazione. Pà è una contrazione che sta per “para” tutto il
mondo!
Il Teatro dell’Oppresso è un metodo teatrale elaborato da Augusto Boal a partire
dagli anni ’60, prima in Brasile e poi in Europa, che usa il teatro come mezzo di
conoscenza e come linguaggio, come mezzo di trasformazione della realtà interiore e
sociale. E' un teatro che rende attivo il pubblico e serve ai gruppi di "spett-
attori" per esplorare, mettere in scena, analizzare e trasformare la realta' che
essi stessi vivono. Ha tra le finalità quella di far riscoprire alle persone la
propria teatralità, vista come mezzo di conoscenza del reale, e di rendere gli
spettatori protagonisti dell’azione scenica, affinché lo siano anche nella vita. Il
teatro dell’oppresso è una forma di teatro sociale, che attraverso diverse
tecniche, in primis il teatro immagine, si pone l’obiettivo di interventi nel
tessuto sociale, in modo che lo strumento teatrale sia tramite per trasformazioni
sociali a partire dalla presa di coscienza del singolo.

GIOCHI TEATRALI
- PRESENTAZIONE DELL’ALTRO: a cerchio, per ogni coppia uno dei membri presenta
l’altro. Fatto tra persone che non si conoscono, serve a che chi parla proietti un
po’ di sé sull’altro, senza sentire il peso di una presentazione consapevole.
- SCAMBIO DEL NOME: si gira per la stanza, quando si incrocia qualcuno si dice:
<<Ciao, io sono A (nome)>> e l’altro risponde: <<Ciao, io sono B (nome)>> Dopo
questo momento A diventa B e viceversa, per cui quando A incontra C, lo scambio
sarà: << Ciao, io sono “B”>> (poiché preso questo nome nel precedente incontro) e
la risposta sarà: <<Ciao, io sono C>> Quindi A diventa C e C diventa B e così via.
Quando ad A nell’incontro qualcun altro gli ridà il suo nome, questi esce di gioco.
Il giro si concluderebbe con tutti che riprendono il proprio nome. Gioco
prettamente d’ascolto, molto complicato, poiché ci si concentra sul dare il nome
che si porta, ma non a ricevere quello che l’altro ci consegna. Facile quindi
dimenticare il nome ricevuto e far sballare il gioco. Per semplificare le cose si
dice solo il nome senza aggiungere altro.
- LETTURA DI IMMAGINI A coppie i partecipanti costruiscono delle immagini fisiche:
tolti i due che sono in scena, gli altri sono invitati a descrivere in modo
oggettivo quanto vedono. Devono limitarsi a quanto c’è, tracciando la dinamica, le
tensioni fisiche, dove vanno gli occhi, ecc, evitando qualsiasi tipo di
interpretazione. In un secondo momento, gli osservatori possono esprimere cosa stia
accadendo, secondo loro e che tipo di relazione ci sia tra i personaggi.
- GIOCO A TRE: 1 e 2 creano un’immagine attraverso la loro postura fisica a contatto.
Arriva 3 che guarda dall’esterno e poi si inserisce nel quadro creando una seconda
immagine. Esce 1, guarda dall’esterno, torna dentro e aggiungendosi crea
un’immagine. Esce 2, osserva e si aggiunge e così via. Consegna: massimo contatto
fisico, andando a riempire gli spazi.

Cosa si può trarre da questo gruppo di esercizi? Un'immagine da sola non dice
niente, necessita di un contesto, affinché sia chiara e siano comprensibili le
relazioni tra i personaggi egli status. Un re è re solo se c'è un suddito che ne
mostra la superiorità!

L'immagine consente di vedere il problema, ma attraverso la giusta distanza, per


sentirlo, ma in zona protetta. Visualizzando una causa di quel che non va, ci si
mette in grado di vederlo, ma in una “simulazione”, sicché da non sentirsene
investiti.

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- LA PAROLA TEATRO Ad ogni partecipante viene chiesto di creare fisicamente
un’immagine che rimandi a quello che pensi essere il teatro. Ognuno si ferma
istantaneamente, senza rifletterci troppo in una postura. Fatto ciò, osservandosi,
i partecipanti vengono invitati a mettersi in gruppo con i soggetti la cui immagine
sentono affine. Si formano sei gruppi: due di quattro persone, uno di tre e tre di
due persone. Emergono diverse visioni del teatro, alcune più classiche e ordinate,
altre più popolari, altre più di ricerca ed essenzialità. Per meglio indagarle,
Jordi chiede al gruppo, al centro dell’attenzione del resto dei partecipanti, di
procedere nel movimento cui l’immagine sembra accennare, muovendosi a rallenty. A
chi guarda il compito di esprimere cosa sembri cambiare o approfondirsi. Si
aggiunge anche una frase detta all’unisono.
- GUERRA TRA BANDE: Divisi in due gruppi, in due file orizzontali una di fronte
all’altra ai due lati opposti della sala. A giro, uno fa il capobanda proponendo un
movimento con un suono, con il quale tutto il gruppo avanza battagliero verso
l’altro. Il capobanda è un passo avanti al gruppo. Arrivati di fronte alla seconda
banda, si fa avanti un nuovo capobanda che guida il secondo gruppo all’attacco del
primo, che è costretto ad indietreggiare. Il secondo gruppo avanza fino all’altro
estremo della sala e poi riparte la prima banda con un nuovo capo alla guida.
- IMMAGINE DI FELICITA’ Al gruppo si chiede di costruire un quadro collettivo a tema:
la felicità. Ogni persona entra, una dopo l’altra, componendo pian piano il tutto,
ognuno per sé. Jordi chiede poi di modificare l’immagine in modo che le persone
siano in relazione il più possibile tra loro.
- IMMAGINE DI ROMA Si costruisce l’immagine emblematica di quello che pensiamo di
Roma, l’immagine della città così com’è. Poi si cerca di modificarla per renderla
quella della Roma come dovrebbe essere. Jordi chiede cosa cambi dall’una all’altra.
Si possono anche stabilire microdialoghi tra i personaggi del quadro, per meglio
chiarire la prospettiva che mostrano.

Jordi conclude la giornata con sue riflessioni su cosa faccia il teatro oggi? oggi
è un teatro deciso altrove, attraverso i finanziamenti. I soldi decidono cosa la
gente dovrà vedere, non vi è interesse a che la gente sia spinta a pensare,
attraverso gli spettacoli che vede. Manca un vero teatro sociale, manca chi
racconti la propria storia. E' compito dell'attore, e dell'attore sociale in
particolare, scrivere e rendere pubblica la propria storia, che non è quella di un
singolo, ma quella di un gruppo comune.

21 GENNAIO 2012
GIOCHI TEATRALI
- ZATTERA Camminare, guardandosi negli occhi, bilanciando lo spazio, riempiendo i
vuoti lasciati dal movimento. Allo stop ci si blocca, guardandosi intorno e
vedendo dove ci sono gli spazi vuoti. Spostarsi di poco, al fine di redistribuirsi
dove mancano le persone, al fine di equilibrare lo spazio occupato. Variante: fatto
ciò, toccare le persone più vicine, senza spostare i piedi, allungando più
possibile le braccia. Osservare l'immagine di gruppo che si genera. Massima
attenzione, in questo esercizio, a non guardare il pavimento, tenendo lo sguardo
alto e aperto, a 180°.Variante: stesse regole, quando si incontra qualcuno si fa
una giravolta.
- CANTA E CAMMINA Si sceglie una canzone che conoscano tutti: “ Bella ciao”. Si
inizia cantando a gran voce e camminando a passo spedito tutti. Al segnale di
Jordi: gli uomini continuano a cantare, ma da fermi. Le donne continuano a
camminare, in silenzio
Allo stop, si chiama la caratteristica, seguendo la quale si chiarisce chi dovròà
camminare/cantando e chi non. Per esempio: i maggori di 28 anni; minori di 28 anni
;gli sposati, chi sia genitore; i divorziati; ecc. Quelli fermi fanno il solletico
a chi passa.
- AH! Quando ciascuno incontra qualcun altro, salta, portando le braccia in alto e
gridando “Ah!”
- CAMMINATE
camminando delicatamente e sottovoce
camminando velocemente ma cantando piano
camminando velocemente e cantando a squarciagola

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- LEADER Camminiamo tutti, da fuori si chiama un leader (es chi ha la camicia nera,
maggiore di 28, qualcuno con il pearcing qualcuno che abbia ancora il bisnonno...
comanderà il movimento - può esser più di uno) . Quando questo cammina, gli altri
camminano; quando si ferma, il gruppo si ferma. (Attenzione a non fermarsi subito,
non appena viene chiamato il leader, è più facile, ma meno utile).
- STIMOLO MULTIPLO In cerchio, il conduttore fa partire uno stimolo verso destra, che
deve esser passato e dopo un po' parte un secondo stimolo a sinistra, da passarsi
anch’esso, in direzione opposta al primo. Devono essere mantenuti entrambi nei
passaggi.
- CLAPPING a cerchio: i primi due battono il clap insieme, il secondo dei due si
gira e batte il clap insieme al terzo, poi si rigira e ribatte prima con il primo e
poi con il secondo, che nel frattempo ha passato il clap al quarto. E così via.
Veloce, trovando un ritmo comune.
- PARTI A CONTATTO Divisi a due a due: Il conduttore chiama una coppia di parti
anatomiche, per esempio “naso –orecchio”. I due partecipanti devono stabilire tra
queste parti un contatto. Si chiama una seconda coppia di pezzi fisici, e i membri
della coppia dovranno agire questo, ma senza perdere il primo contatto. Da fuori,
si continua a chiamare, più che si può, ai limiti dell’impossibile.
- GIOCO DEL SAMURAI: in cerchio. Bisogna passare un colpo a destra o a sinistra. Si
può chiamare: “AH” , ossia colpo a due mani laterale nello stesso verso in cui lo
si ha ricevuto; “OH” mani incrociate a pugni chiusi davanti al viso, per dare il
rifiuto del colpo più il cambio giro ; ““IH” calcio in avanti ad un’ altra persona,
basta che non sia laterale. Variante “a morte”: chi sbaglia esce dal cerchio, va
al centro, non in piedi, e deve distrarre gli altri in tutti i modi, per farli
sbagliare.

CONCETTI CHIAVE DEL TdO


A cosa fa pensare la parola oppressione?

 Qualcuno che vuol farti fare qualcosa che non vuoi.


 Qualcosa che impone il suo peso, qualcosa che grava.
 Un potere, un obbligo.
 Il senso di impotenza.
 Il sentirsi in una gabbia.
 La sensazione d’esser vittime.

Queste le risposte del gruppo. Jordi dà la sua definizione:“Un dominio gerarchico


di un gruppo sociale su di un altro. In particolare, esistono due forme distinte di
oppressione: la prima si ha quando si obbliga qualcuno a fare qualcosa che non
desidera fare, la seconda, quando si impedisce a qualcuno di fare quello che
desidera.”

Il TDO è DEGLI oppressi, non PER gli oppressi. E’ lo strumento attraverso il quale
gli oppressi dicono ciò che desiderano esprimere, non è rappresentazione
dell’oppressione, ma l’oppressione è in scena. L’oppresso agisce, non viene
mostrato, ma racconta la propria storia. Il “regista” non usa gli oppressi per
creare la propria opera. L’opera, la storia è degli oppressi, che ne sono anche
soggetti attivi e raccontano se stessi e la loro condizione.
Anzitutto dobbiamo distinguere tra due concetti:
1. VITTIMA
2. OPPRESSO
Entrambe sono immerse nella situazione di oppressione, ma la prima la subisce
completamente, non fa nulla perché la sua situazione cambi. Perché? O non ne ha
addirittura coscienza, o la differenza di status e di potere è troppa rispetto
all’oppressore, ha pochi strumenti per poter agire il cambiamento (es. donna
emigrante che non parla la lingua del luogo, in cui si trova, non ha la possibilità
di fare alcunché rispetto a situazioni di oppressione. Il depresso o il rassegnato
sono altri esempi di vittima).
Il primo lavoro, con queste persone, è stimolare la coscienza del proprio status,
far sì che si scoprano nella loro oppressione, sicché possano evolvere e sentirsi
oppressi, passando ad azioni che permettano loro un cambiamento positivo.
FARE SI’ CHE CI SI RENDA CONTO DI COSA OPPRIMA
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Chi è l’OPPRESSORE? Differenziamo anche qui tra:

- L’ oppressore ANTAGONISTA : situazione in cui una delle due parti deve soccombere
perché vada via il conflitto ( potere- poveri)
- L’ oppressore NON ANTAGONISTA : in cui l’oppressore non deve smettere di esistere
per la risoluzione, non è necessario che “muoia”. (relazione padre-figlio, se il
figlio muta il proprio atteggiamento, cambierà la relazione, ma il padre rimarrà
nella vita del giovane)

Qual è la miglior oppressione? Ossia l’oppressione più funzionale per lavorarla con
il TdO? La più semplice da agire in scena. Quando è chiaro l’oppressore! Se questo
non è possibile, come nelle società dove il benessere è diffuso e sembra vi sia
uguaglianza, si parla di oppressione strutturale, quella che ingloba più situazioni
oppressive. In questo caso non c’è un personaggio che sia incarnabile sulla scena
da un soggetto unico. Molto più complesso da realizzare e focalizzare. IDENTIFICARE
ESATTAMENTE CHI SIA L’OPPRESSO E’ L’OBIETTIVO DI PARTENZA DEL LAVORO. Fatto ciò, la
“migliore”oppressione è, allora, quella che rappresenta la necessità per tutto il
gruppo sociale con cui si sta lavorando.

D chiede se siano possibili rischi di eccessiva generalizzazione, data la premessa


che la problematica riguardi un intero gruppo. Jordi le risponde che è vero che
ogni individuo ha la sua personale oppressione, ma il lavoro del TdO è tale che si
va a cercare quale elemento della singola oppressione viene incentrato sulla
ricerca di un “momento comune” del gruppo speciale scelto (si lavora su elementi
aggreganti, dal micro al macro, dalla struttura piccola alla macrodimensione,
perdendo l’elemento individuale).

Il processo di costruzione del lavoro si articola in tre momenti:


1. L’individuo è il punto di partenza, questi racconta la sua storia personale.
2. Da essa ci si focalizza sull’elemento X che accomuna il singolo al gruppo.
3. Tramite questo processo si perde la storia individuale, la personalizzazione e
nasce la storia del gruppo.

PAULO FREIRE: PEDAGOGIA DELL’OPPRESSO


Secondo Freire, viviamo nella società del monologo: una società che dice cosa
studiare, cosa fare, cosa pensare, ma in cui non si insegna nè l’interazione nè il
dialogo. Non insegna a d esser critici. E’ necessario allora rompere il monologo.
Obiettivo del TDO è che il singolo possa credere di poter parlare, essere
consapevole che la sua parola conti qualcosa. Questo elemento è vitale, poichè
l’unico da cui può partire il cambiamento è l’oppresso. L’oppressore non cambia,
perchè dovrebbe? La sua è una posizione comoda. Per Freire, pericolosa è la figura
del rivoluzionario. Ma chi è secondo lui? Il rivoluzionario è colui non vuole che
le cose cambino realmente, colui che rompe il sistema, ma che non costruisce
un’alternativa nel tempo, un contro dipendente. Il rivoluzionario è quello che
rompe con il sistema, ma non in maniera da cambiare la struttura del sistema
oppressivo. “Rivoluzionario” in un’accezione profondamente negativa.

AUGUSTO BOAL
Per Boal, il fondatore del TdO, il teatro è anch’esso una struttura d’oppressione.
E’ un monologo. Lo spettatore è “fuori”, protetto da quello che avviene sul palco,
si trova ad una distanza che gli consente di essere al sicuro da quello che vede.
E’ possibile l’identificazione con il protagonista in scena, ma comunque rimane al
riparo nel suo posto in platea. Quando lo spettatore prova la stessa cosa del
personaggio cosa accade? Si identifica , prova la catarsi e si libera da paura e
rabbia in maniera indiretta. Delega all’eroe della rappresentazione il compito di
“essere salvato”. Piange, ride e ritorna, poi, a casa tranquillo ed oppresso come
prima. Tutto rimane uguale. La catarsi teatrale, quindi, è anch’essa uno strumento
d’oppressione. Lo spettatore è meno ancora di una persona per Boal, poichè “regala”
le sue pulsioni a qualcun altro, che le vive per lui. Brecht parla della necessità
dello straniamento: quando gli attori-personaggi ,nel pieno dell’opera cantano le
marcette, lo spettatore viene inibito nella catarsi. Non è più così reale: è
costretto a pensare! Shock! Rompendo la catarsi, lo spettatore non può esserne
“liberato così semplicemente”. Si chiede perciò che la gente pensi. Solo così si
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può empatizzare con personaggi come Madre Coraggio. Bisogna pensare! Lo spettatore
deve attivare la critica, ma non il giudizio, ( Il giudizio è il figlio naturale
della morale, mentre la critica ha come matrice l’etica.) rendersi conto che è il
contesto che porta il personaggio ad una scelta cos’ì drammatica. Il terrore della
guerra conduce una madre ad una scelta estrema e solo il pensiero può concepirne la
crudezza.
Negli anni ’70, Boal inaugura la sua opera di denuncia e il Teatro Forum è una
scoperta casuale. Avvenne durante uno spettacolo, il cui tema era l’inganno, il
tradimento di un marito nei confronti della moglie. Questa donna, analfabeta,
raggirata per anni dal compagno, viene presa in giro per l’ennesima volta: lui le
mostra un documento, che in realtà è la lettera della sua amante, ma sapendo che
lei non sa leggere, le dice che è un’ipoteca che grava sulla loro casa. Un’amica di
lei le legge la lettera e rivela come stiano veramente le cose. Si chiese al
pubblico cosa poter fare in quel momento: una signora dal pubblico: <<Deve dirlo al
marito!>>. Si invitarono gli attori ad agire il suggerimento. Rivolgendosi al
pubblico per una conferma della bontà del comportamento, gli spettatori chiesero di
più. La donna che aveva parlato per prima non era ancora soddisfatta. Il regista
chiese che gli attori ripetessero, facendo meglio. Si ripetè, ma ancora la donna
era insoddisfatta. Il regista le chiese allora di salire e fare lei. La signora
accettò, imbracciò una scopa e picchiò l’attore-marito. Era nato il Teatro Forum!
In esso, lo spettatore diventa spett-Attore: il teatro non viene più delegato di
vivere per sè, diventando il luogo, in cui il pubblico si trasforma in protagonista
e impara a reagire.Si parla di “metaxis”: quando una persona passa dalla platea
alla scena ,varca la porta che separa un mondo dall’altro. Il primo sguardo è
protetto e consente di guardare e provare emozioni a distanza di sicurezza, il
secondo porta il tentativo di cambiare le circostanze che si sentono opprimenti. E
quando il singolo sale, tutto il pubblico è con lui, perché vi è già stato un
processo precedente di dibattito in cui insieme si è concordato quello che uno
andrà ad esperire. Tutti si vivono l’agito come esperienza personale, da
protagonisti.
E’ il jolly che guida l’azione: chi è il jolly? E’ colui che ha preparato la
performance e guiderà l’interazione con il pubblico. Lui chiede al pubblico: cosa
può fare X per raggiungere l’obiettivo? Uno dal pubblico offre la propria
soluzione, sale sul “palco”, indossa un oggetto che è dell’attore/attrice, che va
ad impersonare, in modo che chi sale si identifichi con chi sostituisce, e, poi,
agisce secondo la sua idea.Il jolly non dice mai se la soluzione proposta vada bene
o no, chiede invece sempre al pubblico cosa funziona (Anche se umanamente non può
essere mai totalmente neutrale!). Il jolly fa solo domande, e sono queste che non
sono neutrali. Sempre. Alcune sono addirittura imbeccate, per guidare il lavoro o
ottenere una reazione precisa. Il jolly non deve pensare troppo la sua reazione, ma
neanche lasciarsi vivere il momento, perché il rischio sarebbe quello di passare d
personaggio a persona. E non è questo l’obiettivo. L’ “oppressore”, l’oppresso e
tutti i partecipanti devono avere chiaro quale gruppo sociale rappresentano e
essere coerenti e “veri”.
Non tutti gli attori possono lavorare in questo tipo di teatro:
servono attori sociali!
Quanta forza deve imprimere sul pubblico il jolly? Immaginiamo due persone, che si
sbilanciano uno sull’altro, spalla contro spalla, testa contro testa. Se uno dei
due pesa troppo sull’altro, questo secondo dovrà imprimere più forza, se questa
ora sarà diventata, a sua volta, troppa, dovrà ora essere il primo ad aumentare la
propria pressione sull’altro. E così via. Questa è una metafora del gioco di
equilibri tra jolly e pubblico. Il jolly deve far “lottare” il pubblico al massimo
delle sue possibilità. Bilanciare la forza di chi sale sul palco. Così come
l’attore-oppressore: inizialmente cambiava subito, si faceva “conquistare” in pochi
momenti (c.d. attore blando) E il pubblico era contento, ma non piaceva: troppo
facile. D’altronde un oppressore che non cambia, (c.d. attore magico, irreale)
qualsiasi cosa accada, uno cioè troppo forte, non crea la sensazione della
possibilità del cambiamento. E non vogliamo che il pubblico vada via con una
sensazione di impotenza. E’ NECESSARIO TROVARE LA CREPA DOVE ENTRARE PER COLPIRE
L’OPPRESSORE E FARLO VACILLARE. La consegna non è vincere sul pubblico, ma farlo
giocare al massimo delle sue possibilità.
DIVISI IN GRUPPI CREARE IMMAGINI DI OPPRESSIONE:
OGNUNO LA PROPRIA
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Gruppo A (cinque elementi)
Gruppo B (cinque elementi)
Gruppo C (quattro elementi)
Gruppo D (quattro elementi)

Ogni membro del gruppo manipola gli altri in una posizione che rappresenta per lui
un’immagine oppressiva. Senza parlare! Per cui gli altri non conoscono il contenuto
del pensiero del manipolatore, possono solo indurre un’interpretazione, attraverso
quello che vedono e agiscono in prima persona
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Quest’albero è la rappresentazione visiva


del TDO. Il suolo in cui è radicato
l’albero è tutta la scienza e la
conoscenza che serve per il lavoro di
teatro sociale: il nostro substrato,
composto dall’Economia, l’Etica, la
Storia, la Politica, la Filosofia, la
Solidarietà e la Moltiplicazione della
Tecnica.
Jordi ci spiega che lavorando con gli
oppressi cosa accade? Il soggetto-attore
ha un problema e lo lavora, così da
provare a liberarsene. Ma se quello che
egli persegue è che il proprio sia un
lavoro sociale, allora, dall’aver
acquisito degli strumenti per aiutare sé,
deve fare sì che anche altri imparino la
strada per liberarsi, che anche altri
facciano propri quegli stessi strumenti,
che consentano loro di svincolarsi dallo
stesso problema. L’attore si rende conto
che il suo lavoro ha una dimensione
sociale. Questo è un passaggio
fondamentale. Abbandonare il proprio
individualismo e raccontare le
problematiche di un gruppo sociale, dando
peso all’importanza e alla dimensione del
proprio lavoro.Vi è anche il caso di chi,
lavorando nel TDO, si sorprende e si
scopre impreparato eticamente a “metterlo
in scena”, poiché vede se stesso
comportarsi da oppressore. E’ questo un
momento molto interessante di confronto,
poiché la prima fase di lavoro è quella in
cui Io non mi riconosco né come oppressore
né come oppresso.A chiede: <<Qual è
l’obiettivo del TDO, il cambiamento
dell’oppressore o la fuoriuscita
dall’oppressione dell’oppresso?>> Più che
trasformare l’oppressore, il TDO cerca di
CONOSCERLO, RICONOSCERLO, smettere di
giustificarlo nelle sue azioni. Il problema delle nostre società attuali è proprio
il non riuscire a riconoscere chi sia l’oppressore. Crediamo he il problema venga
da un’altra parte, per esempio lo vediamo nell’immigrante, non nel sistema.
OCCORRE RICONOSCERE L’OPPRESSORE E INDIVIDUARE GLI STRUMENTI PER ROMPERE
L’OPPRESSIONE. Sbagliamo a identificare il problema: una volta identificato,
invece, diventa possibile identificare la relazione e gli strumenti per attuare la
dinamica positiva di scioglimento dell’oppressione. Questa è l’elemento della
moltiplicazione della conoscenza.

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Tornando all’immagine:
Le radici sono tutto ciò che riguarda la Comunicazione:
 il Linguaggio
 le Parole
 i Giochi Teatrali
 le Immagini
 i Suoni
Il tronco è dato dalle due forme base di TDO:
• Teatro immagine
• Teatro forum
I rami sono le diverse tecniche:
I. Teatro Invisibile
II. Arcobaleno Del Desiderio
III. Teatro Legislativo
IV. Teatro Giornalistico
V. Azioni Dirette

I _ TEATRO INVISIBILE ha vissuto una grande contraddizione tra


Boal diceva che, per trasformare la la sua fede autentica e la concreta
società, bisognerebbe fare cento azioni oppressività della struttura del
invisibili al giorno. E’ un lavoro Vaticano.
continuo. Attraverso esse si visualizza B chiede: <<Non c’è il rischio che
il motivo dell’oppressione, della questa forma sia manipolativa nelle
discriminazione. Si va nelle strade, si reazioni che suscita?>> Sì, e, per
fanno azioni sceniche non dichiarate. Le questo occorre essere molto attenti. In
persone presenti, ignare, interagiscono. potenza, è una forma molto manipolativa.
Attraverso esse si visualizzano i motivi Perciò il lavoro che c’è dietro è
della discriminazioni. Una delle fondamentale: si utilizzano tutte le
migliori azioni invisibile cui Jordi possibilità, tenendo ben presente che
abbia partecipato è stata a Roma, nel non si tratta di una performance e
2009. Il luogo: un tram. Due attori preparando al meglio l’oppressore.
maschi: mano nella mano, si guardano
negli occhi con tenerezza. Sono II _ ARCOBALENO DEL DESIDERIO
evidentemente omosessuali. Un’attrice: ( ARCOIRIS DEL DESEO)
veste i panni di una monaca. Quando venne in Europa, Boal vide che
All’improvviso la “monaca” dice:<< Sì apparentemente non vi era nessun
bellissimo tutto questo, ma andatelo a oppressore all’esterno, però la gente
fare a casa vostra!>> In quelle parole era palesemente oppressa, peggio, si
c’era tutta la rigidità e la pesantezza sentiva oppressa. Da chi? L’oppressore
della struttura ecclesiastica. Quali le e’ interiore (le flic dans la tête). Chi
reazioni della gente? Le donne sui opprime non è fuori, ma dentro, la
cinquant’anni erano con la monaca, gli polizia, il controllore è interno.
uomini non hanno detto nulla, fintanto La tecnica è quella dell’ESTROVERSIONE:
che erano lì, ma scendendo dalla se metto in scena il mio oppressore, lo
vettura, si sono messi ad offendere con posso vedere e combattere. Se lo tengo
male parole, i due ragazzi. Il momento dentro, non posso fare niente. La
più forte si è avuto quando una ragazza tecnica consiste nel poter vedere la
sui vent’anni si è alzata e, piangendo, propria “polizia”, la propria volontà,
ha detto alla monaca: <<Basta con questa il proprio desiderio e vedere anche come
repressione!>> Il lavoro più pesante lo è organizzato in modo funzionale per
fa colui il quale va sulla strada ad perpetrare l’oppressione.
agire l’oppressione. Qui è tutto più
forte, più vero, non si è “protetti” III _ TEATRO LEGISLATIVO
dalle mura del teatro. Si riceve una Quando Boal entra in contatto con il
trasformazione. Nell’ occasione del mondo politico, comincia a evidenziare,
tram, per esempio, uno dei due ragazzi anche attraverso l’interazione dei
protagonisti si è veramente scoperto diversi gruppi di potere, quali leggi
gay, un altro si è reso conto di avere esistono contro e a favore
subito violenza da parte di un sacerdote dell’oppressione e quali sono i vuoti
e la ragazza che interpretava la monaca legislativi in merito. Crea Forum

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interni alla politica: situazioni di settimana, una schiava praticamente, e
conflitto ,in cui si invitano avvocati senza un contratto. La moltiplicazione
ed addetti ai lavori, per analizzare lo del TDO ha fatto sì che si creassero
stato legislativo che agisce “intono” diversi gruppi di queste donne,
all’oppressione. Un esempio, il lavoro lavoratrici domestiche, tutti chiamati
svolto a Barcellona con le donne e la “Maria del Brasile”. Il lavoro è stato
violenza di genere. Hanno posto coronato da successo: ora c’è una legge
l’attenzione sulla legislazione in che obbliga il datore di lavoro a
merito ritenuta iniqua, come la norma redigere il contratto e a condizioni
del “diritto di sangue” paterno. Se un umane. La rispettano? Qui è la
uomo picchia sua moglie davanti a loro differenza! A volte il bisogno conduce
figlio, quella violenza non rende il comunque la povera gente a rinunciare ai
bambino una vittima, ma un danno propri diritti, ma così è consapevole di
collaterale. Per cui, in caso d’arresto, poter dare voce alla propria dignità.
il padre non perde alcun diritto nei Questa e’ la forma meno praticata di
confronti del figlio. Persino qualora teatro forum, perché la più complessa.
l’uomo uccidesse la donna, in carcere, E’ una tecnica che sta prendendo piede
lui potrebbe continuare a ricevere le lentamente, poiché richiede l’essere in
visite del bambino. Sarebbe ,invece, il contatto con politici che, dall’interno,
caso, che, almeno temporaneamente si interessino al problema.
perdesse la patria potestà, almeno
fintanto che non si sia proceduto ad una IV _ TEATRO GIORNALISTICO
riabilitazione. Nel Forum, c’è una In Italia, a Reggio Emilia, Roberto
sessione di dibattito, sessione che può Mazzini, è uno specialista del teatro
durare anche ore, durante la quale la giornalistico. Come la notizia scritta,
gente propone leggi, si radunano gli genera una reazione, un’opinione, una
avvocati e si discute se sia possibile consapevolezza . Come il pubblicare o
presentare una nuova legge, se ne esiste leggere una notizia, sia sul cosa, che
una utile che non si applica, se esiste, sul come, ponga l’attenzione su certi
ma non si conosce, ecc. Si raccolgono contenuti piuttosto che su altri e
firme, anche per abrogare delle norme. susciti determinate reazioni.
Il messaggio che si vuol far passare è
che non solo gli avvocati possono fare
le leggi, anche la gente può e deve. La V _ AZIONE DIRETTA
legge può esser fatta anche dal popolo, Come attori, si va direttamente a
non è privilegio del Parlamento. denunciare una situazione (come nella
In Brasile hanno ottenuto la legge per situazione attuale degli “indignados”
la sicurezza sociale per le colf. spagnoli). E’ come un’azione invisibile,
Storicamente in America Latina si poteva ma dichiarata. Più simile al teatro,
tenere a servizio una persona per 5€ a alla performance.

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GIOCHI
 CERCHIO – CROCE (in circolo) con la mano destra si disegna un cerchio nell’aria,
con la sinistra una croce (ripetere più volte il tentativo). E viceversa.
 CERCHIO PIEDE – NOME CON IL DITO (in circolo) con il piede destro si disegna un
cerchio nell’aria, con l’indice della mano sinistra si “scrive” il proprio nome,
sempre nell’aria(ripetere più volte il tentativo). E viceversa.
Questi primi due esercizi provano a scardinare dal cervello gli automatismi, quelle
azioni simmetriche, che vengono fatte senza volontà apparente. La difficoltà qui
è , infatti, non agire lo stesso movimento con entrambe le mani/arti.
 CIECO GUIDATO CON UN SUONO ( a coppie) Uno con gli occhi chiusi. Si concordano due
segnali sonori: uno per il “via libera”, uno per lo “stop, in caso di pericolo. Il
cieco viene guidato nello spazio dal suono del suo compagno, condividendo
l’ambiente con tutte le altre coppie. Chi guida deve proteggere l’altro sia dallo
scontro con le persone, sia dallo sbattere a pareti o simili.
Questo esercizio mette in gioco una dinamica di fiducia-paura dell’ “abbandono-
avversione al rischio-ascolto” da parte di chi è guidato. Preme, invece, sulla
pressione della “responsabilità dell’altro- gestione dell’ansia-ascolto” di chi
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guida. Il concetto di ascolto è cardine in questo gioco: chi guida non può
concentrarsi solo sul proprio cieco, deve ascoltare quanto avviene intorno a sé,
mentre il cieco deve riuscire a isolare il proprio suono rispetto al contesto, che
è rumoroso. Quanto difficile è riconoscere il suono del proprio compagno? Qui sta
la differenza tra sentire e ascoltare. Sento tutto, ma ascolto solo il mio suono.

IMMAGINI PERSONALI DI OPPRESSIONE


(prima parte)

Per tutte le immagini proposte, viene chiesta, anzitutto, agli osservatori una
descrizione oggettiva di quanto vedono, se la figura è dinamica o statica, dove
guardano gli occhi, se c’è contatto oppure no, dove sono le braccia ecc. Meramente
una descrizione di quanto viene presentato, senza nessuna interpretazione. Chi
costruisce fisicamente l’immagine non può parlare.
In un secondo momento si chiede al gruppo di osservatori che situazione si abbia
davanti. L’immagine che storia mostra? Chi è l’oppressore? Chi l’oppresso? Chi la
vittima? Definire le relazioni tra i “personaggi”.
Poi, viene chiesto al gruppo che sta esprimendo l’immagine, di mostrare il
fotogramma successivo, per chiarire se l’impressione, ricevuta dalla prima, viene
confermata o non negli osservatori. In questo passaggio non si chiede lo
scioglimento dall’oppressione, solo la chiarificazione della situazione. Per ogni
personaggio deve avvenire in maniera coerente al proprio sentire ed alla propria
postura. Al fotogramma si unisce una parola. Successivamente, si chiede di
ascoltare i pensieri dei personaggi in freeze.In ultimo, i personaggi possono
conversare tra loro, con brevi domande-risposte.

GRUPPO A

1. Nella prima immagine si nota un 3. Quattro persone a quadrilatero.


gruppo coeso femminile di quattro Immagine simmetrica. Tutti hanno le
elementi e a lato un uomo. Non è chiaro orecchie tappate con le mani e sono di
chi sia l’oppresso o l’oppressore, da spalle verso il centro. Lì una persona
parte di chi guarda vi sono pareri ha le braccia verso due dei quattro e
discordi. La situazione viene chiarita lo sguardo verso un terzo. Chiaro chi
dal fotogramma successivo. sia l’oppresso: il soggetto al centro.
Nell’interpretazione abbiamo una donna, Con il movimento si comprende meglio la
in un contesto familiare, che sfugge ad dinamica della scena: da che sembrava
un’ oppressione (quella delle altre quasi che l’oppresso stesse bene nella
donne) per finire in un’altra (quella sua oppressione, ora si capisce che
dell’uomo). trattenga fisicamente gli altri , come
per dire “Ascoltami!”. Tutti concordano
2. Immagine simmetrica. L’oppresso, sull’universalità di questa situazione
identificabile come il soggetto al oppressiva: quotidiana e attribuibile a
centro, sembra non lottare per qualsiasi contesto.
cambiare, è in una posizione chiusa, a
terra. Gli oppressori sono ai suoi 4. Non si comprende esattamente chi sia
lati, simmetrici, ma apparentemente l’oppressore, si individua un probabile
scomodi. Alle due estremità due figure: oppresso/vittima ed una, ancor più
sembrano vittime. Tra gli osservatori, papabile, vittima. Con il frame
c’è chi ha avuto la sensazione di un successivo l’oppresso diventa chiaro,
parto, data la posizione dell’oppresso. questi si ribella al potere, che
Con il movimento di un frame, i due esercita su di lei e sulla vittima, a
oppressori tentano di trattenere lato, un’oppressione violenta, sia
l’oppresso, che scappa in avanti. Le fisica, sia di manipolazione mentale.
due vittime si disinteressano agli L’oppresso trae forza dal proteggere la
avvenimenti prostrati. Storia vittima.
possibile: l’uomo-vittima, che si sente 5. Due sole figure, distanti
in colpa, ha messo incinta l’oppressa, fisicamente. Lui è piegato, con la
la cui madre è l’altra vittima schiena curva. Lei ferma, ma anch’essa
prostrata. I due presunti oppressori con le spalle curve. Dall’esterno
sono letti invece come mero personale l’immagine non segnale alcun
medico. oppressore, presente lì. Con il
movimento e l’interpretazione, quel che
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il gruppo di osservatori ne trae è che oppresso da una malattia diventa a sua
trattasi di un’ oppressione sottile, volta oppressore. Come una vittima
anch’essa in un contesto familiare, di possa diventare un oppressore, come nel
un soggetto malato (fisico o mentale) , caso di un parente gravemente malato,
che si appoggia totalmente all’altro, un caro tossico-dipendente o depresso.
che ne è schiacciato. Il paziente

GRUPPO B

1. Persone una in file dietro l’altra. interiore, un impedimento. B vede in


La quarta sporge all’esterno e ha solo essa la metafora di chi si senta
un piede in terra, L’altra gamba è oppressa dal proprio corpo: <<chi non
sollevata. All’avvio del movimento sta bene con il proprio corpo, si
fuggono tutte in avanti, come liberate. nasconde. Cambiare quest’approccio è
smettere di nascondersi, uscire allo
2. Da quest’immagine nascono proiezioni scoperto.>> Si aggiungono
di soggetti non reali come fantasmi e considerazioni sul come spesso si creda
streghe, in genere, ci dice Jordi, di essere noi soli il problema, da cui
questo avviene quando la situazione non la soluzione non può che essere solo
è chiara. La vittima, che è però dentro di noi. Il grande inganno del
chiaramente identificabile, sembra metodo individuale! Alle volte non
sapere quello che non vuole, la basta: la trasformazione del singolo è
situazione di oppressione, ma non necessaria, ma non sufficiente al
quello che vuole (come cambiare). C’è cambio della società, che si deve
chi ci vede però anche una descrizione muovere collettivamente.
di una scena di bullismo o di violenza
popolare contro il diverso. 5. Corpi a contatto. Uno dietro
l’altro. Immagine che si sviluppa da
3. Una rappresentazione non concreta di sinistra verso destra: una figura di
una paura astratta. Si coglie il senso profilo protesa in avanti, con il
dello spavento, ma non si capisce cosa braccio destro verso l’alto. Con
lo provochi. Identificare la matrice, l’altra mano, è legata alla figura
significa segnare la strada per il apparentemente al centro del quadro.
cambiamento. Sulle spalle di quest’ultima, una
persone a cavalcioni. Infine, sempre la
4. Quattro persone ferme a mo’ di figura centrale ha, alle caviglie,
parete, a quadrilatero, spalla contro ancorati due altri soggetti, stesi in
spalla. Una all’interno, quasi terra. La consegna è che sia chiaro
invisibile. Al movimento il soggetto, l’oppresso e l’oppressore: qui per gli
che era dentro, riesce a trovare un osservatori non è così, in questo caso
passaggio. Per gli osservatori non è univoco. L’interpretazione
l’immagine non fornisce una spiegazione definitiva è comunque di una
univoca, c’è chi pensa ad una metafora raffigurazione inerente un contesto
della nascita, chi ad una fuga. Viene familiare.
comunque letta come un’immagine
interiore, simbolica di un blocco

GRUPPO C
1. Due donne e un uomo. schifo, dubbio o semplicemente studio.
Interpretazione: una donna in Comunque passa il senso di un uomo in
atteggiamento provocante a sinistra. balia di un mondo di donne. Con il
Sulla destra un uomo che, torcendo la movimento questo viene sancito in
testa alla seconda donna, la costringe maniera definitiva: il quadro è emblema
a guardare l’altra. Immagine chiara per di un giudizio severo delle tre su di
tutti gli osservatori. Il messaggio lui, lo stanno giudicando negativamente
è :“Devi essere in questo modo!” e lui ne viene schiacciato. Jordi ci
dice che comunque una situazione così
2. Un uomo steso in terra. Tre donne, netta di oppressione non è un buon
alle sua spalle, carponi, che hanno soggetto per un Forum. Meglio
corpo e sguardo rivolti verso di lui. un’immagine più aperta a diverse
Nell’interpretazione della scena si interpretazioni. Contesto familiare.
oscilla su quel che potrebbero
esprimere le tre figure femminili:
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3. Cerchio chiuso, con corpi rivolti 4. Due donne: una di fronte all’altra.
verso l’interno, sguardo verso il Quella di destra con il dito verso
basso. Fuori un soggetto, con il corpo l’altra. Quella di sinistra, con la
rivolto verso la platea; lo sguardo e mano destra si chiude un orecchio, con
la mano destra, palma alla platea la sinistra scrive. Dall’osservazione
anch’essa, verso il cerchio. Apparente il soggetto a sinistra sembra
situazione di estromissione l’oppresso /vittima e quello di destra
dell’oppresso da una comunità. C, l’oppressore, ma quanto è consentito
invece, lo legge come se il soggetto agli osservatori di ascoltare i
esterno fosse l’oppressore, il gruppo è pensieri ed il dialogo tra le due si
coeso, ma sottomesso. delinea una situazione simmetrica. Due
oppressori e due oppressi: a vicenda.
Il contesto sembra lavorativo.

Consegna per il giorno successivo: identificare, per ogni gruppo, quale può esser
definita il minimo comun denominatore delle oppressioni mostrate. Trovare
un’immagine, che sai sintesi del lavoro del gruppo. Identificare gli elementi che
si ripetono, che tipo di oppresso esce fuori e di conseguenza che tipo di
oppressore.
In pratica focalizzarsi su:
 immagini che ci hanno colpito
 elementi derivanti dalla lettura del gruppo esterno al’immagine
 elemento più riconosciuto dal gruppo
 tecnica oppressiva più frequente
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22 GENNAIO 2012 _
CAMMINATE:
 CAMMINO COME:
 un Elefante : a quattro zampe
 una Rana: a quattro zampe, mano destra/piede sinistro,
mano sinistra/piede destro
 un Cammello: a quattro zampe, mano destra/piede sinistro,
mano sinistra/piede destro
• CAMMINO CON:
• Esterno dei piedi
• Interno dei piedi
• Sui Talloni
• Sulle Punte

•CAMMINATA “ALZO IL TALLONE SOLO QUANDO TOCCO CON LE PUNTE”


•CAMMINATA A RALLENTY allo stop ci si ferma così come si è, cercando di sentire il
disequilibrio, mantenendo più possibile la postura.
•CORSA A RALLENTY Vince chi arriva per ultimo. Occorre andare “semplicemente” a
rallenty, avendo cura di non aver mai posizioni si stop. Sempre ci deve essere una
parte in micromovimento. Il piede in moto deve passare ad un’altezza, tale che
superi le ginocchia.
•ODORANDO In file da cinque. Uno con gli occhi chiusi. Gli altri, in fila indiana,
di fronte a lui. Uno per volta, mettono i loro palmi in prossimità del naso, senza
che ci sia contatto, facendo sì che il loro odore venga percepito. Dicono il loro
nome all’orecchio. Si mischiano. Il soggetto riceve, di nuovo, i palmi e deve,
dall’odore capire chi ha di fronte.
•IMMAGINE E TROVI Due file in modo da avere coppie di partecipanti, che si
trovano uno di fronte all’altro. Al clap, la fila di destra si blocca in una
postura, mentre la fila di sinistra guarda per pochi secondi e memorizza. Mentre la
fila di sinistra ha gli occhi chiusi, i componenti di quella di destra cambiano di
posto, costituendo una nuova fila. A occhi chiusi, ogni elemento della fila di
sinistra, con il semplice tatto, deve ritrovare il suo compagno. E viceversa.
•VARIANTE COMPLESSA Tutto il gruppo di sinistra forma un’immagine, il gruppo di
destra la guarda per pochi secondi e, poi, i primi si sciolgono, mentre i secondi

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la vanno a ricomporre, prendendo ognuno il posto che occupa il proprio compagno
dell’altra fila. E viceversa.

IMMAGINI PERSONALI DI OPPRESSIONE (seconda parte)


GRUPPO C

1. Persone in una piazza che non prescindere dalla reale intenzione di


possono esprimere quello che pensano: esserlo.
hanno tutti la bocca chiusa. Sembra 3. Una persona in piedi che guarda in
un’oppressione strutturale, basso. Gi altri seduti: uno guarda lei,
dall’esterno. Non è chiaro chi sia uno distoglie lo sguardo,un altro ha
l’oppresso, forse tutti. Con il gli occhi chiusi. Sembrano tre vittime
movimento cambia tutto: sembrano in e un oppressore: la figura in piedi. Il
mezzo al mare, quattro oppressi che non contesto non è chiaro: ci si può
trovando un modo per collaborare, trovare in famiglia, in un ambiente
essere insieme, non riescono a religioso o scolastico, comunque ci si
salvarsi. Possono sembrare anche trovi, la figura verticale rappresenta
poliziotti che si preparano a l’autorità. Con il movimento, il gruppo
fronteggiare un’onda di manifestanti. converge verso un’interpretazione
Quando si apre il dialogo, essi non diversa. Sono tre parti della stessa
sembrano effettivamente parlare tra donna: una, l’anima spirituale, una
loro, si sfogano, ma non comunicano, seconda, quella che si sente vittima e,
non si ascoltano. Potrebbero anche infine, quella che cerca un modo per
essere più facce della stessa persona. migliorare.
2. Sono rappresentate qui più forme 4. Immagine composita: figure a
dì oppressione: una madre con, alle sua contatto, due unite per la schiena, da
spalle, il fantasma del giudizio sembrar quasi un’unica persona. Con il
morale. Non è chiaro se sia una vittima movimento, si disegna una situazione
o un’oppressa. Probabilmente è il molto più potente: un’ immagine di
fantasma l’oppressore, una pressione oppressione familiare, dotata di
metaforica. Poi vi sono due uomini, di dualità. Che si tratti di due fratelli
spalle, di fronte alla donna, che si o di due parti della stessa persona,
tengono per mano. Lei sembra non c’è una frattura tra due volontà. Una
volerli guardare, ha sull’addome il suo vuol restare lì , l’altra se ne vuole
pugno serrato. Nel movimento lei appare andare. Rimanda un po’ all’idea del
come l’oppressa, si gira per non vedere “coraggio di crescere”, la scelta tra
la coppia omosessuale, non riesce ad mantenere la dipendenza con la madre,
accettare questa realtà, che incarna figura qui pesantissima, e diventare
l’oppressione. Questa immagine segnala adulti, costruendo la propria
come, a volte, l’oppressore sia tale a autonomia.

IMMAGINI DI GRUPPO
GRUPPO A

Immagine dinamica. Una figura al centro. Ai


suoi piedi, una figura coricata che le ferma
le gambe. Alla sua sinistra, una seconda
figura che le tiene la testa indietro e le
tappa le narici. A destra una figura protesa
su di lei. Di fronte un’ultima figura che le
porge un qualcosa, forse una bottiglia,
dall’alto. Sembra una tortura. Un servizio
sanitario di qualche tipo. La figura centrale
sembra spaventata, ma ha le braccia morbide,
quindi non sembra voler scappare. Qual è
l’oppresso? La figura centrale. Un
prigioniero politico torturato. Oppure sono
le figure intorno che vogliono creare “il
loro soldatino”, loro la riempiono, la
tengono ferma. Loro sono il soggetto attivo:
loro vogliono che stia ferma, che mangi quello che le danno. La figura centrale non
vuole che accada, ma mostra fiducia in loro, non reagisce alla loro “violenza”, ma
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lei non ne comprende l’entità. Ascoltando i pensieri: si tratta di un’oppressione
familiare, per protezione, non per una violenza meditata.
Alla protagonista viene chiesto di uscire dall’immagine: Come modificherebbe
l’immagine, affinché il suo personaggio non senta più l’oppressione? Si compone la
propria e poi torna dentro. Jordi chiede agli osservatori cosa sia cambiato. si è
allargato lo spazio, non c’è costrizione fisica e si è mantenuta la struttura
circolare delle persone. Al pubblico, poi, Jordi chiede di commentare e di
modificare a loro volta l’immagine, qualora lo desiderino. Chi vuole, sale e cambia
la postura degli attori, come ritiene opportuno, proponendo la propria idea di
liberazione e il gruppo, che osserva, commenta il risultato, condividendo o no le
scelte del singolo.
Fatto ciò, si torna all’immagine originaria: la persona che svolge il ruolo della
figura centrale deve pensare ad un desiderio del suo personaggio, per ottenere una
situazione ideale ed agire in modo tale da ottenerla. Non è importante raggiungere
il risultato, quello che interessa è la tensione nello spostamento dalla situazione
presente. Nel cammino per arrivare, magari si può incontrare un nuovo obiettivo:
quello che importa non è l’ideale, è la ricerca. Gli altri devono reagire
all’azione, rimanendo coerenti con la loro figura di oppressori. Il tutto in
rallenty. Si mettono in atto diverse alternative: durante una di esse, C,
partecipante al quadro, dice di aver sentito la “necessità” di effettuare un certo
movimento, in risposta ad un altro spostamento fatto da un D. Jordi sfrutta questa
considerazione per far notare come l’azione di uno dei soggetti oppressori può
mutare anche il comportamento dell’altro oppressore, a prescindere da una volontà
in proposito. Esiste la possibilità di un altro conflitto. Durante un’altra,
esperita da A, si creano dinamiche per le quali, due dei quattro oppressori mollano
la presa. Jordi indica come una possibile strategia è la ricerca di possibili
alleati. Se in un’immagine quattro persone sono opposte ad una sola c’è poco
margine di azione, ma se c’è spazio perché qualcuno cambi parte, le sorti possono
essere cambiate. E cosa accade se si sceglie di provare a rompere l’oppressione con
la violenza? Se il gruppo la sente necessaria, allora può giocarla, non è
giocoforza vietata. Si opta allora per un tentativo che contempla morsi e tirate di
capelli alla “famiglia” ,senza però che questo comporti un effetto liberatorio. Gli
oppressori non mollano la presa! Si è fatto notare come tutti gli sperimentatori
fossero un po’ timidi nell’esser violenti, come a rappresentare questo tabù sociale
che ci vuole tutti mansueti e condiscendenti, incapaci di esprimersi, covando in
silenzio una rabbia profonda. Fuori da questa considerazione, l’uso della violenza,
accettabile o no, dipende dal tipo di aggressore inscenato, in questo caso non è
stato efficace ed è sembrato gratuito! Altro tentativo di B, che risponde alla
domanda su come si possa manifestare la brutalità subita, senza essere a propria
volta violenti: un urlo, profondo e commovente, che parla di rabbia e dolore. Tutti
mollano la presa! La violenza quotidiana è una forma silenziosa di violenza: questo
tipo di oppressori non è consapevole della sofferenza che procura. E’ in buona
fede. Sono oppressivi senza rendersi conto di esserlo! Ultima prova: H si
immobilizza, non combatte, non si muove più. Alcuni degli oppressori se ne vannno.
La chiusura della comunicazione può essere una strategia? No, anzi è pericolosa. Un
“oggetto” inanimato è ancora più vulnerabile e strumentalizzabile.

GRUPPO B

Società meccanica. Catena di montaggio. Quattro


persone che marciano. Una carponi, a terra, con
un piede di uno dei quattro sulla spalla. Con
il movimento tutte le figure iniziano a
marciare e l’effetto di ciò è che G venga
espulsa. L’immagine è quella di una società
sistemica che fa sì che gli individui siano
alienati e perciò separati. Ognuno proiettato
su di sé e sul proprio.
Ulteriore distinzione: oltre alla figura della
vittima e dell’oppresso c’è anche quella
dell’alienato, il quale sa di essere oppresso,
ma accetta la sua condizione, interessato alla
sopravvivenza al meglio possibile, date le
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condizioni oppressive.. Guarda solo la sua vita, perdendo completamente la
prospettiva sociale.
Quando viene chiesto ai personaggi di parlare tra loro, non c’è vero dialogo.
Ognuno parla da solo, anche nel botta e risposta. Nella costruzione delle immagini
ideali, viene creato un unicum tra donne, con forte contatto fisico e di sguardi.
Un Hammam, con una forte coesione e carnalità non sessuale tra donne, e, in questa
costruzione, netta la riduzione dell’ oppressione nello sguardo di D. Viceversa,
nello sguardo di C, che vede, invece, in essa ancor maggiore alienazione, come se
il macrosistema stesse inglobando quella che all’inizio era la vittima.
Con l’agito del desiderio numero uno, l’oppresso riesce a scappare, sebbene due
elementi della schiera continuino ad inseguirlo meccanicamente. In questa fuga, uno
degli oppressori vacilla, rischiando di cadere sull’oppresso: paradigma di come, a
volte, il sistema che crolla, si abbatte sul popolo! In questo movimento, uno dei
soggetti che nell’immagine iniziale era oppressore, è caduto, da questa posizione è
pronto a diventare il nuovo oppresso. Un ultimo oppressore nel tramestio ha
inciampato in “qualcosa”: per tutelarsi, ha spostato il proprio sguardo da un
orizzonte dritto davanti a sé al basso, vedendo che c’era qualcuno. Una crisi è
sempre un’ opportunità di cambiamento!
Con il desiderio numero due, si chiede l’aggiunta di un oppresso, affinché quello
dell’immagine non sia così in svantaggio. Il loro movimento coeso, la loro
alleanza provoca una caduta generale del sistema. Interessante l’ “incidente” di un
oppressore, cui un altro pesta i capelli, cosa di cui viene automatico scusarsi.
Nella dinamica il primo oppressore era in transizione verso la coesione sociale con
i due oppressi, per cui questo momento è andato sprecato, ma, potenzialmente,
sarebbe potuta essere un’occasione per far cambiare anche il secondo oppressore.
Questi, invece, è rimasto nella sua alienazione e nella “sicurezza” del sistema che
si riassesta dopo la crisi. Da soli il massimo risultato è riuscire a fuggire, con
qualcuno con cui lottare, si può provare a cambiare il sistema. Nessuno può
trasformare niente da solo.

GRUPPO C

Tra le tre persone in piedi vi è un contatto rigido. Rimanda ad un ambiente


militare, per il gesto di B: la mano orizzontale sula fronte, il pugno chiuso di
E, che ha anche un piede addosso alla
figura orizzontale, a terra. Vi è una
contraddizione fisica tra due figure: una
sembra tirar su con lo sforzo delle mani,
l’altra buttare a terra, con la spinta del
piede. La figura a terra sembra aggrappata
all’altra.
Con il movimento si chiarisce, invece, che
voglia andare via, cercando di librarsi
dalla vessazione degli altri. Si evince,
anche nel sentire i pensieri, un’immagine
di tirannia, dittatura, in cui chi è in
piedi ed è forte disistima chi è a terra,
con, addirittura potere di vita e di morte
su di lui.
Quando viene espresso il primo “desiderio”
nulla può il tentativo di salvezza attraverso la forza. Nel tentativo di C,
comunque fallimentare, un elemento interessante emerge dal fatto che anziché
tentare una fuga, arretra verso il gruppo opprimente, e, nel far ciò, fa traballare
uno degli oppressori. L’oppressore prende forza dalla ribellione dell’oppresso!
Senza, può apparire molto più fragile e vulnerabile.
Jordi ci dice che questa è una situazione troppo estrema per dare ad un eventuale
pubblico una speranza. Una situazione così sperequata difficilmente avrà una
soluzione positiva e liberatoria.

GRUPPO D

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Non c’è nessun contrasto fisico
forte, quasi nessun contatto fisico.
Apparentemente non sembra ci sia
un’oppressione. Con il movimento, il
protagonista appare F, che si alza e
mostra un conflitto con le due figure
laterali e una relazione con l’altra
figura centrale. Sembra la
rappresentazione di una biforcazione
di personalità.
Il desiderio di F viene esperito, ma
dall’esterno non è chiaro quale possa
essere, forse la pacificazione di
tutte le figure, una riunificazione
familiare, forse.
Interessantissimo il respiro
iniziale del protagonista, che,
quasi, dà il la alla dinamica. Ma,
nel complesso, rimane poco chiaro, in particolare, non è evidente chi o cosa fosse
l’oppressore.Jordi ci fa notare che F, come già in tutte le altre immagini, è di
spalle. Non è un caso. Sembra rimandare l’idea che il personaggio non viva la scena
in funzione degli altri, non viva bene quello che sta accadendo. Si ponga,
nell’immagine, come se non si riuscisse a vedere, se non attraverso lo specchio
degli occhi altrui, si vede come lo vedono gli altri. Non ha una percezione di sé a
sé stante.

DOMANDE FINALI
- Cosa può essere usato della tecnica teatrale?
A parte la tecnica usata, che è una delle possibili, usandole tutte, quello che
conta nel TdO è l’obiettivo, quello di scuotere il pubblico, farlo render conto
dell’oppressione descritta. L’esercizio teatrale è o stesso, ma il motivo per cui
viene praticato è radicalmente diverso. Per esempio Jordi usa molto il c.d.
Pretesto Drammatico, per cui il conduttore pone un tema per lavorarlo con il
gruppo, che in genere, è , però , inconsapevole dell’oppressione.
- Che tipo di “protezione” c’è per il pubblico? Se quello che gli viene presentato,
ma, soprattutto, fatto agire è troppo forte da essere contenuto, è prevista una
strategia di sostegno per il pubblico affinchè la sensazione non dia uno shock
eccessivo?
L’attore deve avere attenzione all’obiettivo della performance: Quello che chiede
il TdO è che il pubblico esca dallo spettacolo messo in crisi, arrabbiato con il
meccanismo oppressivo, al contrario, non va bene che il pubblico esca con la
sensazione di impotenza al riguardo.
- Il TdO si può praticare con i bambini?
No, non è una forma che vada bene. Anzitutto, perché anche se il bambino si rende
conto di una certa oppressione, per esempio familiare, in quel contesto deve vivere
e non ha gli strumenti per muoversi contro o cambiare qualcosa di esso. E’ più
facile, eventualmente, lavorare con il teatro immagine, per fare sì che i bambini
mostrini il loro pensiero su un determinato tema. Si chiede loro di agire
un’immagine reale, per esempio della scuola. Si chiede loro se piace o no. Se non
piace, si chiede loro di creare un ‘immagine ideale. E si lavora su questo.

Llegò tarde la tortuga otra vez,


llegò tarde la tortuga otra vez,
que le pasa a la tortuga,
su paso ha no pressura,
llegò tarde la tortuga otra vez!

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