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La collana è diretta da

Mario Torelli
I BRETTII
STORIA E ARCHEOLOGIA
DELLA CALABRIA PREROMAN A

di PIER GIOVANNI

GUZZO

VENTIQUATTRO TAVOLE
FUORI TESTO

LONGANESI & C.
MILANO
PROPRIETÀ LI!TTI!RARIA RISERVATA
Longanesl & C., © 1989 10111 Milano, via Sa/vini, 3

ISBN 88-304-0906-S
I Brettii
Le uniche cose che sappiamo su di loro
ci provengono dai pettegolezzi dei loro nemici.
U. Eco, Il pendolo di Foucault, p. 309
Introduzione

LA documentazione storiografica antica sui Brettii è tutta opera


dei loro antagonisti, così che un'analisi di questo popolo dovrà
essere costruita partendo dal presupposto che l'informazione an-
tica è viziata di partigianeria. Dal canto suo, la documentazione
archeologica si riferisce a indagini sui Brettii avviate solamente
da pochi anni, quasi come se alcuni archeologi si risvegliassero
da un lungo sonno tutto e soltanto percorso da sogni ellenici.
In tale stato documentario, una ricerca su questo popolo itali-
co potrebbe proporsi come una raccolta dell'evidenza disponibi-
le, ordinata secondo criteri che tentino di mettere a frutto mo-
delli elaborati per conoscere altri popoli o altre situazioni per i
quali manchi documentazione storiografica. Così facendo, tutta-
via, si corre il rischio di tralasciare spunti e indizi che gli avver-
sari dei Brettii - Italioti e Romani - ci hanno tramandato. Non
esiste, a quanto risulta, una ricerca che si avvalga di un metodo
tale da garantire un risultato oggettivo, in specie per quanto ri-
guarda l'antichità, il cui patrimonio reale di consistenze, mate-
riali e culturali, è giunto fino a noi in condizioni di lacunosità
e frammentarietà. Ciò vale tanto più quando l'oggetto dell'inda-
gine è costituito dalla storia di un popolo che non ha lasciato una
letteratura propria e che, per tutta la sua durata, è stato conside-
rato quasi come il nemico per eccellenza. Se quindi ci si propo-
ne di portarne nel cerchio della coscienza più diffusa una visio-
ne storica, l'obiettivo di questa ricerca è già dichiarato: racco-
gliere !abili indizi e tracce disperse non può non derivare da una
partecipe simpatia, da un'attenzione non distaccata. O, forse, so-
lamente dal desiderio di sperimentare tutti gli strumenti d'inda-
gine che si hanno a disposizione su una materia tanto sfuggente,
così da verificarne l'efficacia. Verifica, peraltro, puramente teo-
rica: perché proprio lo stato della documentazione non la per-
mette. Ma si può essere certi che l'eventuale adozione di model-
li interpretativi diversi da quelli qui adoperati porterebbe a con-
clusioni diverse da quelle che si riterrà di proporre al lettore nel
corso di queste pagine.
Come che sia, dei Brettii non è definibile con sicurezza né l'i-
nizio né la fine della loro parabola storica; maggiore approssi-
mazione si ha per quanto riguarda il teatro territoriale nel quale
hanno esplicato la propria cultura; ma tentare una definizione di
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quest'ultima fin dall'inizio del lavoro è impresa impossibile: co-
me si vedrà, non sarà definita neanche la conclusione.
Questo lavoro si deve alle cortesi insistenze di Mario Torelli;
non so il lettore, ma io gli sono molto grato. Perché mi ha spinto
a riflettere su passati studi e su precedenti esperienze, così da
poter considerare chiuso un capitolo, al quale spero di farne se-
guire altri, diversi. Informazioni, consigli e aiuti mi sono venuti
da Felice Costabile, Giuseppe Covolo, Pietro Galiuto, Emanue-
le Greco, Silvana Iannelli, Elena Lattanzi, Mario Lombardo, Sii-
vana Luppino, Dieter Mertens, A. Battista Sangineto: li ringra-
zio tutti, evidentemente addossandomi la responsabilità di travi-
samenti ed errori.
P.G. Guzzo
Taranto, gennaio 1.989

Avvertenza

SI è adoperata la grafia Brettii (e derivati) traslitterando il greco


BeErnot. In latino, la grafia è Bruttii, a seguito del mutamento
fonetico E> u. Le fonti antiche danno anche lezioni in cui com-
pare la i, sia in latino sia in greco. Il motivo della preferenza
tra le possibili scelte consiste nel fatto che le fonti storiografiche
più vicine ai fatti narrati sono quelle greche: e pertanto se ne è
seguito, traslitterandola, la denominazione ritenendola più vici-
na alla realtà originaria.
Per quanto riguarda le determinazioni cronologiche, esse van-
no tutte intese « avanti Cristo ,. , a meno che non sia esplicita-
mente indicato.
Il quadro territoriale

LA presenza dei Brettii, così come ci è tramandata dalle fonti let-


terarie antiche, riguarda quasi l'intera attuale regione della Cala-
bria; essa è collegata con le altre regioni dell'Italia meridionale
sia per via marittima sia per mezzo di percorsi terrestri. Sembra
pertanto opportuno inserire una breve descrizione geomorfologi-
ca della Calabria all'interno di uno scenario più ampio, proprio
in quanto appare preferibile considerare le manifestazioni cultu-
rali dei Brettii non isolatamente, ma in confronto con quelle de-
gli altri popoli attivi nelle zone contermini. Da tale confronto può
derivare una chiave di lettura utile all'indagine.
In Italia meridionale la geomorfologia permette di distinguere
comprensori naturali, dalla cui identificazione schematica sem-
bra opportuno iniziare l'analisi. La motivazione è da ricercare
nel fatto che gli insediamenti umani a basso livello tecnologico
sono condizionati nella propria localizzazione dalle caratteristi-
che dei luoghi, fra le quali è presente anche la possibilità di col-
legamenti con altri comprensori, e quindi con altri insediamenti.
Inoltre, le descrizioni geografiche antiche danno particolare ri-
lievo alle conformazioni geomorfologiche, in quanto permettono
l'identificazione di capisaldi descrittivi e, se del caso, la delimi-
tazione dei territori occupati dai diversi popoli.
A chi navigasse dalla Grecia verso occidente, anche sfruttan-
do il moto delle correnti marine, si presenta per prima la riva
adriatica dell'attuale Puglia, protesa verso oriente con le basse
terre che giungono alla punta di Leuca. Simile è l'aspetto del li-
torale ionico, terrazzato sul mare, ma articolato con punte e in-
senature fino al sicuro rifugio del golfo interno di Taranto, preav-
visato dalle piccole isole costiere. Le comunicazioni tra i due mari
che bagnano la Puglia sono facilitate dall'esigua estensione delle
terre, oltre che dalla loro piattezza: ali' interno di Taranto la pia-
nura è aperta.
Se la costa ionica, che da qui si incurva fino a Crotone a for-
mare l'arco del gran golfo di Taranto, rimane, per quasi tutto
questo lungo tratto, bassa e facile ali 'approdo, anche se povera
di veri e propri porti naturali che non siano le foci dei corsi d'ac-
qua, quel che profondamente si modifica è l'entroterra.
Da Metaponto a Policoro la costa è scompartita dai tratti ter-
minali dei fiumi Bradano, Basento, Cavone, Agri e Sinni, qua-
IO
si paralleli fra loro. Il territorio interno, caratterizzato da profili
generalmente accidentati, anche se non elevati, si divide fra i ba-
cini tributari di questi corsi d'acqua, a regime torrentizio attual-
mente, sicuramente più regolari in antico. Benché la costa ionica
dell'attuale Basilicata sia il tratto più lontano da quella opposta
tirrenica, le valli dei cinque fiumi permettono comunicazioni pro-
prio in tale direzione. Inoltre, dalle sorgenti del Bradano è age-
vole il passaggio nel bacino deli'Ofanto, chiuso allo sbocco sulla
piana pugliese da Melfi, così da allargare il ventaglio dei rap-
porti. Agri e Basento nascono dal cuore dell'Appennino Lucano,
ponendosi quasi paralleli al tracciato del Vallo di Diano, percor-
so dal Tanagro e quindi tributario della costa tirrenica. L'alto Sele,
che sfocia nel Tirreno e nel quale confluisce il Tanagro, chiude
a nord-ovest il massiccio interno dell'Appennino Lucano, così co-
me a nord-est, in proseguimento con esso, fa l'Ofanto. Questi
due fiumi, pertanto, valgono come via naturale di collegamento
tra Adriatico e Tirreno; i cinque della Basilicata permettono alla
costa ionica di essere posta in rapporto con la zona interna, dalla
quale ci si può poi dirigere verso il mare orientale o quello occi-
dentale.
Il Sinni, dal canto suo, si accosta con le sue sorgenti al bacino
tirrenico del Lao e del Noce.
La morfologia dell'interno risulta pertanto organizzata lungo
gli assi naturali di percorrenza che si sono schematizzati: gli spar-
tiacque sono netti, ma le vallate ampie e irrigate. Il percorso è
obbligato, eppure le mete possono essere molteplici.
Tornando alla costa ionica, il Sinni costituisce il limite sudoc-
cidentale della bassa costa della Basilicata: al di là del suo corso
l'Appennino giunge al mare con ripidi versanti, che non hanno
permesso i lunghi corsi di vie d'acqua come nel comprensorio
dei cinque fiumi.
Questo tratto, pur se breve, conduce a un comprensorio del tut-
to diverso, costituito dall'ampia piana di Sibari, delimitata a nord
dali' Appennino, ormai Calabrese, a sud dalla Sila. La piana è for-
mata dalle valli del Coscile e del Crati; il primo nasce dal Polli-
no, e può costituire una via verso lo spartiacque che divide le sor-
genti del Sinni da quelle del Lao e del Noce. Le sorgenti del Crati
invece non sono lontane dal Tirreno, ma assai a sud della propria
foce: il suo lungo corso circonda alla base il massiccio della Sila.
Verso il Tirreno, un'ulteriore via è offerta dal molteplice bacino
dell'Esaro, affluente nel Coscile ai bordi della piana di Sibari.
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A sud di questa, fino alla foce del Neto, la Sila giunge al mare
percorsa da brevi fiumare, così come si è accennato tra il Sinni
e la piana di Sibari. Dal Neto al promontorio Lacinio, confine
meridionale del golfo di Taranto, si apre una piana servita dal
porto naturale di Crotone e ben collegata con gli altipiani inter-
ni, ma difficilmente con il versante tirrenico.
L'ulteriore tratto della costa ionica, fino al capo Spartivento,
disegna due ampie insenature falcate, separate dalla punta Stilo.
La spiaggia è agevole e piana, bordata da una breve pianura, di-
visa perpendicolarmente dai corsi delle fiumare. Su tutto incom-
bono i monti. Sul settore nordorientale del golfo di Squillace è
la base meridionale della Sila: al centro del golfo sfocia il Cara-
ce che segna sia il margine di quel massiccio sia il cammino più
breve tra Ionio e Tirreno, in connessione con il Lamato. A sud
del Corace sarà sempre il fianco orientale dell'Aspromonte a do-
minare il mare, verso il quale si avanza con tozzi promontori.
Strette conche terrazzate sono separate da fiumare; da Spartivento
a Reggio solo queste ultime segnano il paesaggio.
Nell'imbuto dello Stretto, Ionio e Tirreno si mescolano: fino
a Scilla, e ancora a nord fino a Palmi, la costa è alta e rocciosa,
senza approdi che non siano calette. Il ricordo della conca di Reg-
gio dura finché sul Tirreno non si apre la piana di Gioia Tauro.
Ampia e allargata, essa raccoglie i bacini del Petrace, a sud, e
del Mesima, a nord. Rinserrata sul mare dalle rupi del Sant'Elia
e del Poro, si rivolge invece naturalmente alle pendici occiden-
tali dell'Aspromonte, solcate da valli che ne permettono la per-
correnza fino allo Ionio.
Il Poro costituisce una precisa caratterizzazione della costa tir-
renica, sia puntando all'arcipelago delle Eolie sia separando la
piana di Gioia Tauro da quella di Lamezia. Quest'ultima, come
detto, in breve si riconnette alla spiaggia ionica di Squillace.
Sul mare, tornano ad affacciarsi le terrazze della Sila, che la
foce del Savuto distingue dal braccio più meridionale dell' Ap-
pennino, che qui si chiama Catena Costiera. La costa è alta, con
piccole conche, fino alle piane costiere aperte sulle foci del Lao
e del Noce più sopra ricordati.
La morfologia della costa continua immutata fino ad Agropo-
li: la conca di Sapri, quella della foce del Bussento, capo Palinu-
ro, la conca di Velia, capo Licosa ne segnano i segmenti, varia-
mente composti, ma assimilabili fra loro. Possibilità di percor-
renza verso l'interno si hanno dalla foce del Bussento, attraverso
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Sanza, fino al Vallo di Diano; mentre il Cilento si apre sì, par-
zialmente, al mare, ma con difficoltà permette di essere attra-
versato. La più favorevole all'insediamento urbano è la conca di
Velia, con lo sfogo offerto dalla valle deli'Alento.
La piana di Paestum, sul golfo di Salerno, permette di nuovo
all'occhio di spingersi verso l'interno, orlato dall'ultimo Cilen-
to, dagli Albumi, dali' Appennino Campano. Quest'ultimo è di-
viso dai primi per mezzo della valle del Sete, lungo la quale de-
fluiscono il Calore meridionale e il Tanagro; le sue sorgenti, presso
la Sella di Conza, sono in vicinanza di quelle deli'Ofanto. È quindi
nella piana sul golfo di Salerno che si raccolgono le numerose
vie, originatesi sull'Adriatico e sullo Ionio, che si spingevano ver-
so l'interno montuoso. In questo, il Vallo di Diano costituisce
una zona di raccolta e, rispettivamente, di smistamento.
La montuosa penisola di Sorrento divide i golfi di Salerno e
di Napoli; quest'ultimo è dominato dal Vesuvio, che separa a sua
volta due fertili pianure interne: a sud è la valle del Sarno, alla
cui foce è Pompei; a nord è la pianura campana, solcata dal Vol-
turno e orlata, sul capo Miseno, dai vulcani Flegrei. A guardia
del golfo, le isole di Capri, di Ischia, di Procida e di Vivara.
A nord-ovest della linea Ofanto-Sele, l'interno è montagnoso e
non facile; ma l'altopiano irpino permette di dirigersi verso i due
mari e, inoltre, per i crinali de li' Appennino Sannita fino al cuo-
re dell'Italia centrale.
Le delimitazioni territoriali e, contemporaneamente, le recipro-
che connessioni risultano quindi evidenti.
Per completare lo schematico quadro descrittivo del teatro ter-
ritoriale occorre accennare ad alcune particolarità fisiche: il cli-
ma e le produzioni naturali.
La varietà morfologica e altimetrica produce la coesistenza di
regimi climatici diversi tra le zone costiere e quelle interne. In
queste ultime le precipitazioni piovane e, oltre determinate quo-
te, nevose contribuiscono al mantenimento di numerose sorgen-
ti, anche se causano, insieme al generale breve sviluppo di mol-
teplici corsi d'acqua, il loro regime torrentizio. Gli alti sbarra-
menti montuosi, che si elevano a breve distanza dalla costa tirre-
nica in particolare, causano piovosità prolungate e violente, in
quanto costringono alla risalita le correnti umide che giungono
dal mare. Sulle coste il clima è temperato; durante il periodo estivo
la circolazione continua dell'aria allevia la temperatura.
Il regime idrico e la bontà delle terre permettono ovunque, sal-
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va ovviamente l'ampiezza dei comprensori, l'attività agricola, at-
testata fin dagli insediamenti protostorici. Accanto a questa, l'al-
levamento del bestiame, da quello maggiore a quello minuto, co-
stituisce una costante deli' economia dell'Italia meridionale penin-
sulare. L'agricoltura più diffusa è quella rivolta ai cereali; la col-
tivazione della vite. ha prodotto vini rinomati in determinate zo-
ne, come quelli di Lagaria, nei pressi di Sibari, o quelli dei colli
Aminei, di incerta identificazione topografica. I vini della zona
di Reggio sembrano di sfruttamento più recente. L'olivicoltura,
per quanto verisimilmente altrettanto diffusa, non sembra aver
lasciato documentazione letteraria: e per quella archeologica, co-
m'è noto, è difficilmente distinguibile dalla lavorazione dell'u-
va. La diffusione di lucerne per l'illuminazione a olio, ridotta per
tutto il VI secolo, può dimostrare che l'olio ha costituito una merce
pregiata.
Per quanto concerne l'allevamento, le sue forme più caratteri-
stiche sono diverse a seconda dei periodi storici. Per l'epoca ar-
caica non si dispone di sostanziali notizie letterarie, e la docu-
mentazione archeologica difetta di approfondite analisi faunisti-
che. L'instaurarsi dei latifondi nel corso dell'Impero romano ha
condotto all'esistenza di allevamenti, attestati almeno fin dal la-
pis Pollanus, transumanti, sia ovini sia, in particolare per la Ba-
silicata, suini. Documentata anche la grande abbondanza di qua-
drupedi da trasporto. All'allevamento si possono accostare la cac-
cia e la pesca: ambedue attestate sia dalle notizie letterarie sia
dai dati archeologici per tutto lo sviluppo dell'epoca antica. Col-
legata alla pesca è l'attività di conservazione del pesce, nota in
specie a Velia e anche da parte dei Brettii.
Lo sfruttamento delle zone boschive è ampiamente attestato:
da Milone a Gregorio Magno si ha un seguito di notizie al pro-
posito, per quanto accentrate in particolare sulla Sila e sulla pro-
duzione di pece.
Attività di trasformazione dei prodotti naturali sono collegate
alla tessitura e allo sfruttamento dei minerali. La prima è docu-
mentata dalla diffusione dei pesi da telaio sia in abitazioni sia in
tombe sia in depositi votivi: indizi, tutti, della frequenza dei te-
lai. Beninteso va osservata la diacronia delle attestazioni: più an-
tiche nelle colonie greche, progressivamente si estendono ai nu-
clei indigeni a esse subordinati (così ad Amendolara rispetto a
Sibari). In epoca romana, alle terminazioni verso la costa dei trat-
turi si impiantano attività organizzate e assai importanti di tes-
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situra di lane, così che poi si istituzionalizza la produzione di in-
dumenti militari, chiamati vestis birrum, ricavati appunto da quelle
lane.
La conformazione geologica della Calabria permette l'affiora-
re di vene minerali: dal rame all'argento, forse all'oro e al fer-
ro, si hanno attestazioni letterarie di presenze e di sfruttamento
minerario. Ciò ha comportato una metallotecnica diffusa fin dal
periodo protostorico, che forse è una delle cause di richiamo per
l'interesse dei Greci. Pur con minori implicazioni economiche,
è molto diffusa la lavorazione dell'argilla, così come, al contra-
rio, è scarsa la presenza di marmi o di altre pietre metamorfizzate.
Occorre ricordare un'ulteriore risorsa" naturale »: la possibi-
lità, nei primi tempi della colonizzazione, di procacciarsi mano-
dopera subordinata fra le popolazioni indigene. La situazione, per
quanto istituzionalmente differente nelle varie colonie, è attesta-
ta dalle fonti letterarie.
L'importanza relativa delle diverse possibilità produttive mu-
ta, evidentemente, sia con il variare della pertinenza di zone geo-
grafiche specifiche a circuiti economico-commerciali diversi sia
con il passare del tempo.
Prima dei Brettii

DoPo aver accennato al quadro territoriale e alle principali pro-


duzioni naturali attive in esso, è opportuno esaminare rapidamente
quelle che appaiono le categorie più salienti dei popolamenti pre-
cedenti l'identificazione storica dei Brettii. Ciò non per ritrovare
in tempi precedenti le cause di fatti verificatisi in tempi successi-
vi; né per costruire un'astorica galleria di specchi, nei quali si
rifrangono i fatti in maniera parallela, ma una sola delle imma-
gini è quella reale, mentre l'altra è soltanto un gioco di rifrazione.
Il nostro rapido sondaggio nel profondo del tempo e della do-
cumentazione ha lo scopo di evidenziare, piuttosto, i salti di con-
tinuità che si constatano nella regione che ci interessa. E, al con-
tempo, di cercare di cogliere se esistono costanti: ma sistemando
queste nel loro reale contesto, cronologico e culturale, così che
anche ne possa sortire la causa di tale costanza. La quale, gene-
ralmente, deriva da fattori esterni (come può essere la scelta di
determinate tipologie geomorfologiche per gli abitanti o i colle-
gamenti fra gruppi lungo le vie naturali) o da costanti culturali
(come ad esempio la sovrastruttura) che archeologicamente si de-
terminano in maniera non differente anche per culture materiali
diverse fra loro.
Il periodo precedente ali' identificazione storica dei Brettii è se-
gnato da un fondamentale discrimine: l'impiantarsi delle colonie
greche.

l. Età del Bronzo e del Ferro

Fra i più significativi fatti culturali riscontrabili nelle comunità


dell'Italia meridionale nel corso del n millennio è quello dell'i-
nizio di rapporti con la cultura micenea.
Dalla Puglia all'isola di Vivara, nel golfo di Napoli, si hanno
numerose attestazioni di importazioni dalla Grecia, che paiono
concentrarsi nell'arcipelago delle Eolie; rimangono mute, allo stato
attuale della documentazione, le coste del mar Ionio, la Sicilia
e le coste tirreniche. Questa situazione, databile nei secoli cen-
trali del n millennio, si amplia alla zona sudoccidentale della Si-
cilia, alla Sardegna, ali 'Italia centrale (sui due versanti adriatico
e tirrenico), oltre a riempire i vuoti precedenti sullo Ionio e sul
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Tirreno meridionali. Tale fase mediana, situabile nel XIV e xm
secolo, pare mostrare un'articolazione delle componenti, fra le
quali si isola una presenza cipriota, composta anche da manufat-
ti metallici. Negli ultimi due secoli del 11 millennio, la presenza
di prodotti micenei da un lato si rarefa, dall'altro si espande, sia
in assoluto verso nord, fino alla pianura padana, sia nei compren-
sori interni tributari degli scali costieri più antichi. A tale distri-
buzione più capillare pare si possano riportare i manufatti indi-
geni morfologicamente influenzati da prodotti micenei.
Così può schematizzarsi l'evidenza archeologica d'importazione;
occorre soffermarsi, adesso, sui modi organizzativi delle comu-
nità che tali importazioni ricevono. La presenza stanziale di in-
dividui o gruppi micenei nella penisola italiana sembra ipotesi non
comprovata: l 'unica incertezza è data per la località tarantina di
Scoglio del Tonno, dove sono state rinvenute anche statuette fit-
tili, con funzione rituale. Ma l'argomento appare troppo isolato
per costituire sicura prova. L'impatto con genti e necessità esterne
va quindi ricondotto interamente ali' analisi interna delle comu-
nità indigene. Queste ultime dimostravano un notevole grado di
dinamismo e di articolazione. Le sollecitazioni di prodotti da parte
dei Micenei hanno causato probabilmente un'organizzazione più
accentuata, e con finalità più precise di uno sbocco esterno, " eco-
nomico ,. in senso lato, dalle linee costituenti fin allora il corpo
sociale. Scambi di prodotti naturali e diffusioni di fogge caratte-
ristiche, in specie metallurgiche, avvertibili anche prima delle più
antiche importazioni micenee, ci indicano che i gruppi indige-
ni possedevano, e perfezionavano progressivamente, un'organiz-
zazione della produzione, attuata per mezzo di un uso articolato
del territorio. Quest'ultimo è essenziale sia nelle più semplici for-
me di economia di sussistenza, sia negli allevamenti transuman-
ti, sia nelle agricolture primitive anche seminomadi. Il gruppo
umano deve conoscere i limiti di spazio entro i quali può svolge-
re le proprie attività senza interferire con quelle di altri gruppi,
pena scontri e« guerre »; deve, o meglio desidera, scegliere co-
me stanziamento fisso, o come tappa, un comprensorio che sod-
disfi alle proprie esigenze.
Relazioni spaziali tra punti diversi di uno stesso comprenso-
rio, funzionali a un'economia ricostruibile, sono ipotizzabili con
ragionevole certezza nell'arco della piana di Sibari sul golfo di
Taranto, almeno per quanto oggi si conosce dall'età del Bronzo
media.
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Tali insediamenti si organizzano sia gerarchicamente fra loro,
nell'ordine dell'estensione, sia spazialmente, attribuendosi, a quan-
to sembra legittimo ricostruire, porzioni equivalenti di territorio
costituite da analoghe caratteristiche ambientali e produttive. Su
tale organizzazione territoriale, lo scambio con navigatori ester-
ni conduce probabilmente ad accentuare la preminenza gerarchi-
ca di alcuni dei siti, ma non ne modifica l'equilibrio interno. Ciò
sembra dimostrabile in base all'evidenza disponibile per il perio-
do dello scorcio del n millennio e dell'inizio del successivo (Bron-
zo Finale e prima età del Ferro). Pur in mancanza di scambi con
genti esterne, gli indigeni della piana di Sibari mantengono l'or-
ganizzazione territoriale più antica, rafforzandone, secondo un'ov-
via linea di tendenza, la gerarchizzazione.
Per quanto riguarda gli elementi che compongono i nuclei abi-
tati, strutture di capanne sono abituali a Porto Perone, Broglio
di Trebisacce, Vivara. A Termitito pare che le ceramiche mice-
nee fossero conservate, insieme ai cereali, in una sorta di silos.
L'organizzazione dei siti pugliesi prevede, generalmente, una di-
fesa costituita da ciottoli accumulati a formare un muro.
Elementi per tentare di ricostruire la società indigena sono rap-
presentati solamente dai prodotti materiali: l'accertata articola-
zione delle produzioni naturali può aver condotto a un embrione
di differenziazione funzionale tra « agricoltori ,. e « pastori ,. . Sem-
bra proponi bile l'esistenza di un'identificata classe di metallur-
ghi, probabilmente non stanziali. Anche per la produzione cera-
mica, dal periodo centrale della seconda metà del n millennio,
si documentano classi particolari, sia per il tipo di argilla usato
sia per l 'uso del tornio; in seguito, la comparsa di forme cerami-
che dipinte, più o meno influenzate da quelle micenee, indica la
specializzazione raggiunta dalla classe dei ceramisti.
L'attività di scambio, anche se- ·in alcuni casi mediato, con i
M ice nei deve aver condotto ali' identificazione, ali' interno dei
gruppi indigeni, di individui che organizzavano tale attività. È
stato proposto che le placchette a globuli, in osso, della prima
metà del n millennio assolvessero anche alla funzione di identifi-
care i corrispondenti indigeni dei navigatori. Se quanto è noto
dagli insediamenti non sembra far identificare differenze orga-
nizzative, la presenza di spade di produzione o di diretta influen-
za micenea può indicare che i relativi portatori, grazie a tale spe-
~ifico armamento, si distinguessero all'interno del corpo sociale.
E certo che, durante il Bronzo Finale, nella Calabria meridiona-
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le sono documentati individui che utilizzavano un armamento ca-
ratteristico e specializzato.
Una categoria sovrastrutturale che generalmente rivela l'orga-
nizzazione del gruppo - quella del sacro - è scarsamente attesta-
ta, o meglio riconosciuta, nel n millennio. L'unica documenta-
zione sicura è quella della grotta di Pertosa, alla cui imboccatura
interna vennero deposte grandi quantità di minuscoli recipienti
fittili, segni di un culto tributato da devoti non differenziati. Al-
l'interno della grotta fu invece rinvenuto un deposito di oggetti
in bronzo, che raggiunge periodi cronologicamente più recenti;
in esso si distinguono armi e ornamenti personali, segni, forse,
di devoti embrionalmente differenziati. In Italia meridionale, inol-
tre, mancano i frequenti rinvenimenti, generalmente costituiti da
armi e oggetti personali metallici, effettuati in corsi d'acqua, e
convincentemente interpretati come depositi votivi. I pochi ritro-
vamenti del genere noti in Calabria sembrano piuttosto apparte-
nere all'inizio dell'età del Ferro.
L'interruzione subìta in Grecia dalla società micenea- la cau-
sa della quale è stata riportata a catastrofi naturali, a epidemie,
alla" discesa degli Eraclidi ''• a sommovimenti sociali - ha com-
portato la fine degli sbocchi esterni alle produzioni italiche. La
mancanza di oggetti importati, che costituisce la traccia archeo-
logica di tale situazione, non sembra tuttavia aver causato inter-
ruzioni nelle linee che si vedevano operanti nelle comunità indi-
gene. L'esistenza di rapporti con realtà esterne alla penisola, ol-
tre che da singoli, anche se rari, oggetti, è dimostrata, se non
altro, dall'applicazione della tecnologia del ferro, estranea all'I-
talia nella propria origine, anche se vi si trovano vene del mine-
rale, in specie nell'Italia centrale. Più che ai Fenici, o ad altre
stirpi di Orientali, l'introduzione della lavorazione del ferro spetta
probabilmente agli Euboici, interessati dall'inizio del I millennio
all'emporion di Al-Mina, sull'attuale costa siriana, posto alla fo-
ce del fiume Oronte.
Se, come detto, le linee di tendenza valide per il 11 millennio
rimangono tali durante l'età del Ferro, la novità di questo perio-
do è costituita da una maggiore facilità, dovuta anche alla più
abbondante documentazione archeologica, nel distinguere tra lo-
ro diversi aspetti della cultura materiale. La diversità dei prodot-
ti non comporta necessariamente differenza etnica dei produttori
e dei fruitori.
La divisione più macroscopica è quella costituita dalla diversi-
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tà dei riti funerari: all'inumazione si oppone l'incinerazione. La
prima è quantitativamente dominante da Cuma allo Stret#p, e vie-
ne distinta come « cultura delle tombe a fossa ", dal tip'b di se-
poltura adoperata. Ali'interno di questa cultura si hanno artico-
lazioni costituite dalle sepolture multiple in camere scavate nella
roccia, localizzate nella Calabria meridionale; dalla ricopertura
delle fosse con tumuli, più o meno rilevanti, formati da pietra-
me, caratteristiche dalla fascia ionica settentrionale, che trovano
confronti in Puglia. La forma di base è molto semplice, consi-
stendo in uno scavo quadrangolare, variamente ricoperto a se-
conda delle varietà geologiche locali; l'organizzazione interna delle
necropoli assume progressivamente nel tempo una sempre mag-
giore attenzione, fino a raggiungere particolari segni di identifi-
cazione per individui, o più raramente per gruppi, già nell'aspetto
esterno. Questi segni possono essere costituiti da canali di sepa-
razione (forse, in origine, destinati ad alloggiare la base di stec-
cati); da zone circostanti di rispetto, lasciate sgombre da sepol-
ture coeve o immediatamente più recenti; da recipienti infissi al-
la sommità del tumulo.
Nuclei di incinerazione, anche quantitativamente rilevanti, so-
no attestati, tralasciando Capua, a Pontecagnano: a questa loca-
lità costiera sono collegati sia l'Arenoso la e Capo di Fiume, an-
cora marittimi, sia l'altro importante nucleo interno di Sala Con-
silina. Da questo è proponibile derivi la conoscenza del rito, scar-
samente attestata a Satriano: nell'attuale Basilicata, infatti, il
precedente incineratorio documentato a Tirnrnari (fine del n mil-
lennio) non sembra aver avuto prosecuzione altrove nei primi
due secoli del 1 millennio. Altrettanto sembra verificarsi in Cala-
bria: i casi di incinerazione risalgono al periodo del Bronzo Fi-
nale (Amendolara, Tropea, Oppido Mamertina-Castellace), men-
tre per l'età del Ferro l'unica attestazione, che però richiede ve-
rifiche, pare presente nella necropoli, per il resto a fosse di inu-
mati, di Sant'Onofrio di Roccella Ionica. L'estraneità di fondo
delle popolazioni dell'Italia meridionale al rito dell' incinerazio-
ne sembra dimostrata anche a Sala Consilina, dove i pozzetti che
accolgono i vasi cinerari sono a pianta quadrangolare e foderati
di pietre, come accade per le fosse da inumazione.
Non a caso l'esame è iniziato dalla documentazione da necro-
poli: sono queste, infatti, che forniscono i più abbondanti ele-
menti di conoscenza. Gli insediamenti noti sono scarsissimi di
numero e, generalmente, ancor più scarsamente editi. Tuttavia,
20
la localizzazione delle necropoli comporta la non distante pre-
senza di un abitato, la cui consistenza quantitativa può essere de-
dotta da quella delle sepolture appartenenti a uno stesso periodo
cronologico.
Il proseguimento, al quale si è già accennato, delle linee di ten-
denza valide per l'età del Bronzo ha comportato talvolta una con-
tinuità di insediamento; altre volte gli insediamenti dell'età del
Ferro sono dislocati, a giudicare dalle necropoli, rispetto ai pre-
cedenti, ma pur sempre entro i margini di flessibilità del siste-
ma. Rimane cioè inalterata la divisione in segmenti, ugualmente
caratterizzati naturalmente, dei comprensori geomorfologici. La
modificazione principale riguarda l'aumentato numero delle at-
testazioni e degli spazi occupati. Parallelamente, la possibilità di
individuare aspetti culturali permette di cogliere i modi di colle-
gamento fra le diverse comunità, che fanno parte di un sistema
più vasto che giunge almeno all'Italia centrale. Da sepolture in-
cinerate dell'Etruria costiera e di zone ad essa tributarie proven-
gono recipienti ceramici decorati « a tenda » e fibule a quattro
spirali in bronzo, tutti materiali databili entro la metà dell'vm
secolo. Il tramite è costituito, tra la Lucania interna e l'Etru-
ria, dai nuclei di incineratori posti sulla costa del golfo di Saler-
no: i recipienti sono segni di traffici costituiti probabilmente
da materie prime, come ferro, e da prodotti agricoli o di alle-
vamento.
L'esistenza di tali collegamenti può risalire anche al fatto che
il rito dell' incinerazione sia stato introdotto nella Campania me-
ridionale da gruppi, diversi dai precedenti abitanti della stessa zo-
na, culturalmente affini agli incineratori dell'Etruria costiera. Col-
legamento analogo, ma con l'Etruria interna, si è proposto per
gli incineratori attestati a Santa Maria Capua Vetere.
La continuità d'uso delle necropoli attestate all'inizio dell'età
del Ferro giunge, per lo più, fino al periodo nel quale si impian-
tano le colonie greche: queste ultime generalmente interrompo-
no, o profondamente modificano, i modi di organizzazione indi-
geni. Tale accertata stabilizzazione di insediamento implica un
approfondimento dell'articolazione del gruppo sociale, che si era
individuata embrionalmente già nell'età del Bronzo.
21
2. La colonizzazione greca di età storica

La fondazione delle colonie greche di età storica in Italia com-


porta per questa regione del mondo antico, oltre che, ad esem-
pio, l'introduzione dell'alfabeto e di tecnologie produttive raffi-
nate in rapporto all'epoca, la determinazione di comprensori più
precisi di quanto fino ad allora la documentazione archeologica
abbia permesso di identificare.
Le colonie, tuttavia, facevano parte di una rete più vasta di quan-
to fosse l'Italia meridionale e la Sicilia: esse erano emanazione
dei diversi popoli (Eubei, Achei, Corinzi, Locresi, Spartani) che
abitavano la Grecia e che già da secoli percorrevano per com-
mercio il settore orientale del Mediterraneo. Per quanto una con-
tinuità tra le frequentazioni di epoca micenea e le colonie di eta
storica appaia non ancora giustificata dalla documentazione ar-
cheologica posseduta, la costante che si può identificare fra i due
fenomeni è il riconnettere l 'Italia meridionale a un circuito di rap-
porti e di scambi d'ampiezza mediterranea.
L'identificazione di comprensori conseguenti all'installarsi delle
colonie deriva dall'essere queste ultime emanazione, come det-
to, di popoli diversi: talché fra essi esistevano ovviamente rap-
porti, sia commerciali sia guerreschi, ma anche delimitazioni co-
stituite da differenze di lingua, di costumi, di forme alfabetiche,
di pesi e di misure, di produzione artistica, di forme cultuali. Di
fronte, o per meglio dire, in opposizione ai non-parlanti greco,
i barbaroi, i coloni si sentivano tuttavia unitariamente Elleni, par-
tecipi di una cultura superiore rispetto a quelle che incontravano
nella Penisola.
Per quanto riguarda l'attuale Calabria, la tradizione storiogra-
fica e la documentazione archeologica permettono di identificare
colonie derivanti da tre popoli greci, tutte poste sul versante io-
nico. Al popolo degli Achei si debbono Sibari e Crotone; ai Lo-
cresi, Locri Epizefiri; ai Calcidesi, Reggio.
Le colonie achee in Italia si completano con Metaponto, men-
tre la calcidese Reggio fa parte di una serie più numerosa, riferi-
ta anche alla Sicilia, e che giunge all'estremo occidentale della
presenza greca in Italia con la colonia di Pitecusa, nell'odierna
isola d'Ischia. I Locresi in Italia dedussero un unico stanziamen-
to, appunto Locri Epizefiri.
Sibari, Crotone e Reggio furono stanziate nel corso dell'ulti-
mo quarto dell'v m secolo; Locri nel primo quarto del successivo.
22
Sibari e Crotone derivano da spedizioni tra loro successive: le
fonti letterarie tramandano che l 'ecista di Crotone, Miscello da
Ripe, compì viaggi esplorativi per scegliere con cura la sede della
colonia. Il luogo già occupato da Sibari gli apparve assai confa-
cente: era infatti situato in un'ampia pianura, ma ciò nonostan-
te ben protetto ai due lati dai corsi paralleli del Sybaris e del
Krathis, le cui foci permettevano con sicurezza l'approdo ai na-
vigli. La sua scelta fu quindi rivolta più a sud; la pianura nella
quale sarebbe stata edificata Crotone era di minore estensione ri-
spetto a quella di Sibari, ma la conformazione della costa mista
di un'insenatura e del largo sbocco del fiume Esaro offriva un
ancoraggio migliore. Inoltre, l'emergere di una collina che do-
minava l 'insenatura e la foce garantiva la protezione della città
che si andava fondando.
Reggio fu posta lungo la rotta che univa l'isola di Eubea aPi-
tecusa; lo Stretto svolgeva anche la funzione di smistamento ver-
so le colonie calcidesi di Sicilia. Insieme alla prospiciente Zan-
cle, Reggio aveva quindi uno scopo" strategico ''• e per ottener-
lo i Calcidesi non esitarono a scacciare i " barbari >> che abitava-
no in precedenza le stesse zone. La colonia era rafforzata anche
da un contingente di Messeni, i quali sfuggivano al dominio che
Sparta, con guerre successive, imponeva alloro territorio. L'u-
nione fra i due gruppi avvenne, come tramandano le fonti, a se-
guito di un oracolo pronunziato dal dio Apollo a Delfi. Così co-
me fu un oracolo, sempre delfico, a spingere Miscello per la lo-
calizzazione di Crotone rispetto a Sibari. Anche da queste noti-
zie si deduce che l'intero fenomeno della colonizzazione di epo-
ca storica avvenne in base e, contemporaneamente, diede luogo
a una definizione di comprensori, sui quali si esercitava l'influenza
autonoma e distinta delle diverse colonie. La determinazione dei
comprensori e la soluzione di eventuali conflitti e attriti erano
compito di trattative " diplomatiche >> che ricevevano, secondo la
cultura greca del periodo, sanzione sovrannaturale dall'emissione
di oracoli. Quest'ultima può essere la lettura" decodificata ''delle
avventure di Miscello a proposito della fondazione di Crotone.
Nella zona intermedia tra il comprensorio acheo, costituito da
Sibari e da Crotone, e quello calcidese di Reggio, fu dedotta la
colonia di Locri Epizefiri. Il primo stanziamento dei Locresi av-
venne ai piedi dell'odierno capo Bruzzano, allora detto Zephy-
rion, luogo che fu identificato a seguito di contrattazione con gli
indigeni siculi che abitavano la zona. Dopo qualche tempo, tut-
23
tavia, i coloni, infrangendo i patti giurati, scacciarono i Siculi
dal proprio insediamento, posto nella zona denominata Esopis.
Questa era più favorevole all'accrescimento e alla sicurezza di
un abitato complesso, in quanto costituita da una terrazza ben in-
dividuata sia dallo scoscendimento delle pareti perimetrali sia dal-
la presenza di corsi d'acqua che la delimitavano. Inoltre, verso
la vicina spiaggia, era fronteggiata da una pianura adatta all'a-
gricoltura ..
La fondazione e il successivo consolidarsi di Locri condussero
probabilmente Crotone a stabilire una sua colonia a guardia dei
confini meridionali del proprio comprensorio: essa fu Caulonia,
fondata in corrispondenza dell'attuale punta Stilo. Il confine fra
i due comprensori fu definito al corso del fiume Sagra, il cui idro-
nimo è ripreso, secondo Strabone, da una precedente denomina-
zione indigena. Reciprocamente, il confine meridionale di Locri
nei confronti di Reggio fu definito al fiume Halex: tale suo ca-
rattere di demarcazione diede origine a una leggenda secondo la
quale le cicale stanziate su una delle sue rive frinivano, mentre
erano silenziose quelle stanziate sull'opposta riva.
Tra Crotone e Sibari il confine, secondo Strabone, correva sul
fiume Traeis, identificato con l'odierno Trionto in base a criteri
di verisimiglianza fonetica. L'identificazione precisa dei confini
tra Crotone e Locri e tra questa e Reggio è lontana dall'essere
accettata unanimemente: l'unico dato sicuro è costituito dall'iden-
tificazione di Caulonia nell'odierno comune di Monasterace, per
cui il confine doveva essere più a sud.
Pur con queste incertezze di esatta delimitazione, si può affer-
mare con sicurezza che lo stanziarsi e lo stabilizzarsi delle colo-
nie greche comportarono l'identificazione di comprensori; e, al-
l'interno di questi, di centri e di periferie: i primi costituiti dalle
colonie stesse; le seconde dai settori territoriali progressivamen-
te più lontani. Le utilizzazioni produttive dei diversi settori si an-
darono via via specializzando: schematicamente, si può dire che
le città producevano trasformazioni delle risorse naturali, sia ar-
tigianalmente sia commercialmente, mentre nelle periferie veni-
vano sfruttate appunto le rispettive risorse naturali. Legnami, mi-
nerali, allevamento costituivano le principali categorie, accanto
all'agricoltura che rappresentava una costante e una caratteristi-
ca dominante di tutte le colonie greche.
Questa essenziale organizzazione del territorio ripeteva le li-
nee principali della strutturazione territoriale che l'archeologia
24
ha permesso di ricostruire anche per il periodo precedente la co-
lonizzazione storica. Ma la differenza fondamentale è che i set-
tori territoriali sono, adesso, identificati « politicamente »; e ciò
non solo in quanto il loro centro è costituito da una polis, ma
per il fatto che le caratteristiche distintive, sul piano della cultu-
ra propria di ognuna delle colonie, si ritrovano entro i confini,
e non oltre, dei diversi settori. Tale delimitazione non deriva da
un'incapacità propulsiva, economica e politica, dei centri produt-
tivi, come avveniva nel periodo precedente, bensì da un raggiunto
equilibrio fra le diverse colonie. Tale equilibrio era, evidente-
mente, instabile: i confini videro di frequente battaglie con le quali
si volevano ampliare i territori e soggiogare le rivali. Ma è pro-
prio la coscienza di tali fatti, così come è tramandata dalle fonti
letterarie antiche, che ne fa risaltare il valore politico.
La raggiunta composizione del quadro territoriale sulla costa
ionica può fissarsi alla fine del VI secolo, quando Crotone riuscì
a distruggere Sibari e ad annettersene interamente il territorio,
almeno in maniera nominale. Questo finale equilibrio sul versante
orientale della penisola deriva dall'avvenuto esaurimento delle pos-
sibilità di espansione anche sull'opposto versante tirrenico. Su que-
sto, infatti, le colonie originarie condussero a loro volta dedu-
zioni, tanto nella forma per così dire canonica di stanziare un abi-
tato organizzato quanto in una forma più elastica, costituendo cen-
tri, o insediamenti, di riferimento e di raccolta delle attività pro-
duttive delle rispettive zone, ai quali far capo per i rapporti con
la madrepatria. Le fonti letterarie e, parzialmente, le ricerche ar-
cheologiche permettono di conoscere anche questa situazione. A
Reggio e a Zancle si deve Matauros, nell'attuale Gioia Tauro,
posta a sud del fiume Medma, che delimitava la zona d'influen-
za locrese nel vn secolo, ma che fu più tardi travalicata, a giudi-
care dalla documentazione archeologica. Locri, infatti, dedusse
Medma (l'odierna Rosarno) e Hipponion (l'odierna Vibo Valen-
tia) almeno dalla prima metà del VI secolo, se non subito prima:
probabilmente si tratta, in ambedue i casi, di stanziamenti rego-
lari. A queste precise identificazioni, se non altro topografiche,
si oppone l'indeterminatezza di Terina, che Crotone dedusse sulle
sponde settentrionali del golfo di Sant'Eufemia, al termine di quel
breve percorso, ricordato dalle fonti antiche, che univa i due mari.
Molto più a nord, tra le odierne Praia a Mare e Cetraro, Sibari
organizzò quelle zone con i centri di Laos e di Skydros: il primo
si trova in rapporto, ma ancora non sappiamo esattamente quale,
25
con l'attuale Marcellina di Santa Maria del Cedro; per il secon-
do ogni ipotesi è azzardata.
Lo stabilizzarsi di questa rete, nella quale erano chiaramente
definiti i ruoli e le direzioni dei flussi, prevedeva la sopravvi-
venza di nuclei di indigeni, discendenti da quei barbaroi che la
prima generazione di coloni aveva trovato in quelle terre. Tali
nuclei vengono tuttavia strutturati e finalizzati all'economia e al-
la politica delle colonie. Le fonti letterarie e l'archeologia ci fan-
no intravedere la situazione, in special modo per Sibari. Si sa
infatti che gli Achei dominavano su quattro popoli e su venticin-
que città e che non erano restii a concedere i diritti civili. Si ha
una documentazione epigrafica di un trattato, apparentemente ste-
so in parità, tra Sibariti e Serdaioi, popolo non altrimenti noto,
ma da indentificare in un nucleo fra quelli che abitavano la zona
interna fra Ionio e Tirreno, per quanto non sia possibile stabilir-
ne la latitudine. Conosciamo, inoltre, la forma materiale che as-
sunse, nel corso del VI secolo, l'abitato scavato in località San-
t' Antonio di Amendolara. In esso, squadrato con strade dal fon-
do battuto e costituito da case del tutto simili a quelle nelle quali
contemporaneamente abitavano i Sibariti, viveva un nucleo di in-
digeni - come si rivela chiaramente nei relativi corredi sepolcra-
li - le cui attività produttive erano inserite nell'economia gene-
rale del territorio di Sibari. Qui si scrivevano nomi indigeni con
l'alfabeto acheo, si usavano recipienti ceramici plasmati in loco
a imitazione di quelli coloniali, si filava e si tesseva « alla gre-
ca "• si tesaurizzavano monete coniate dalla capitale.
Per Petelia, posta nel settore settentrionale ionico del territo-
rio di Crotone, e per Temesa, sul confine tirrenico tra la sfera
crotoniate e quella sibarita, non siamo così ampiamente informati.
Ma la composizione della rispettiva popolazione era esclusiva-
mente indigena. E sicuramente indigeni erano i nuclei che face-
vano riferimento a Laas, come ci indica la conoscenza archeolo-
gica del villaggio della Petrosa di Scalea.
La commistione etnica non poteva tuttavia non essere livellata
dalle forme culturali greche, superiori sia intrinsecamente sia per
la potenza d'irradiazione derivante dalla maggiore strutturazione
politica degli Italioti. Tale predominanza delle forme culturali el-
leniche è, per noi, documentata dalle scoperte archeologiche: l'a-
scia votiva iscritta in alfabeto acheo ritrovata a San Sosti; il ri-
postiglio monetale di Sambiase-Acquafredda; la stipe votiva del
Timpone del Gigante in territorio di Cotronei, per citare le prin-
26
cipali. Tutti questi ritrovamenti sono anteriori alla fine del VI se-
colo, anche se di poco: contribuiscono a chiarire la situazione
sui due versanti de li' organizzazione cultuale e dei rapporti com-
merciali. I quali ultimi, com'è noto, comportano una trasmissio-
ne di nozioni e una conoscenza di modelli, culturali in senso la-
to, che producono adattamenti tendenti a omologare il livello in-
feriore a quello superiore. Questi aspetti particolari vanno, inol-
tre, inseriti nel quadro più generale dei rapporti « politici », ai
quali si è sopra accennato con particolare riguardo allo stato ge-
rarchizzato tra Sibari e i popoli indigeni componenti il suo « im-
pero ''• per come siamo autorizzati a ricostruire dalle fonti lette-
rarie e da quelle epigrafiche.
Il progressivo formalizzarsi e consolidarsi della rete organiz-
zativa dello sfruttamento territoriale facente capo alle colonie portò
a una cristallizzazione e ottimizzazione de li 'uso delle vie natura-
li di collegamento, già percorse nel periodo precoloniale. Tale
ottimizzazione derivava anche dal fatto che i punti di recapito,
costituiti dalle localizzazioni geografiche delle colonie, aprivano
l'estensione di queste reti al commercio transmarino, in una for-
ma stabile, così da diventare essenziale all'economia generale di
età arcaica, che non trova paragoni, per estensione e regolarità,
con i rapporti che avevano legato la Penisola alla Grecia nella
seconda metà del 11 millennio.
L'importanza di questa cristallizzazione è notevole anche nel
tempo, sia pure con evidenti alternanze a seconda delle differen-
ti situazioni storico-economiche che si andavano verificando. Basti
ricordare, come esempio, che Cicerone (ad Alt. 9, 19) ha inten-
zione ancora di utilizzare Thurii come porto d'imbarco per la sua
fuga verso la Grecia, in quanto che, essendo ormai divenuto di
secondaria importanza, poteva sperare che fosse meno, o affat-
to, presidiato dai propri avversari. Mentre, una generazione pri-
ma, Silla tornando dall'Oriente è proprio a Thurii che sbarca.
Parallelamente, tale cristallizzazione è anche il portato di un'ot-
timizzazione economica dei percorsi possibili. Così che, ali 'in-
terno delle opportunità naturali di percorrenza, si viene a instau-
rare una gerarchia funzionale. L'e~;empio di questo assunto può
essere rappresentato dal tracciato della via pubblica ab Rhegio
ad Capuam; la sua funzione era quella, anche, di permettere un
più efficace controllo di zone che, proprio perché gerarchica-
mente meno sfruttate, costituivano bacini di raccolta per banditi
e ribelli.
27
La progressiva lontananza dai nodi costituenti la rete compor-
tava un meno vivace influsso della cultura greca arcaica sulle po-
polazioni indigene. Ma, come detto, i ritrovamenti archeologici
poco sopra citati ci assicurano che esso comportò la loro « ac-
culturazione >> progressiva; e non è forse un caso che la docu-
mentazione materiale superstite, sicuramente casuale e non cor-
rispondente neanche in percentuale all'effettiva realtà antica, si
riferisca a due essenziali categorie.
Quella dei rapporti commerciali si dimostra, alla fine del VI
secolo, abituata all'uso di monete coniate, per determinare il va-
lore degli scambi. Se questa deduzione non può far meraviglia
vista dalla parte dei Greci (non si può dimenticare che è Sibari
la prima colonia a coniare, adottando la caratteristica tecnica del-
l'incuso), merita qualche approfondimento dal punto di vista de-
gli indigeni. In quanto, considerata la localizzazione topografica
del ritrovamento di Sambiase, non sembra legittimo dubitare della
sua pertinenza a un insediamento anellenico. L'uso di monete pre-
suppone nei suoi utilizzatori la conoscenza e la coscienza della
funzione della coniazione, e dunque la certezza che il valore di
scambio si equiparasse al valore d'uso ritenuto congruo per la
specifica trattazione in atto. Gli indigeni, quindi, facevano pro-
prie le categorie mentali dei Greci: i dati sperimentali oggi pos-
seduti si riferiscono al campo economico, ma ciò presuppone un'a-
desione più ampia. Né si può ritenere che ciò fosse dovuto a
un'imposizione forzata, in quanto non potevano mancare agli in-
digeni i mezzi per rifiutare controvalori non graditi nello scam-
bio con prodotti da loro forniti. Il ripostiglio di Sambiase ha re-
stituito, accanto alle coniazioni, anche una parte di un lingotto
d'argento, il cui peso corrisponde a quello di dieci stateri cor-
renti. Ciò, a quanto pare, può significare che le monete coniate
costituivano un simbolo, garantito dalla polis emittente, di un va-
lore in metallo prezioso assunto come misura per gli oggetti del-
lo scambio. Questo fatto, se reale, non sembra indizio di un li-
vello culturalmente basso nello scambio: non siamo, cioè, di fronte
a un baratto, ma in presenza di una già avvenuta, e concorde-
mente riconosciuta, identificazione di un valore-base sul quale
misurare l'equità, e la convenienza, dello scambio. Inoltre, visti
i raggi di circolazione e di validità delle coniazioni arcaiche, il
verificarsi di scambi con controvalore monetario presuppone re-
golarità e costanza nei rapporti tra indigeni e Greci.
Regolarità e costanza che comportano una formalizzazione al-
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la greca anche delle sovrastrutture religiose, e quindi delle loro
manifestazioni cultuali. Si è già accennato al fatto che sono del
tutto ignote le forme religiose degli indigeni che abitavano l'Ita-
lia meridionale prima dell'arrivo dei Greci, se non per qualche
incerto indizio. In realtà, a questo proposito, Polibio tramanda
che i culti locresi derivano da quelli siculi, in particolare per quanto
riguarda il rilievo dato alla phialephoros nella liturgia di Perse-
fone. Ma sembra possibile, invece, supporre che l'interpretazio-
ne dell'antico storico sia tendenziosa, in quanto non valorizza ap-
pieno il particolare ruolo di predominanza e di autonomia che
le donne avevano nella società locrese, e quindi anche nelle ma-
nifestazioni pubbliche a carattere religioso. Su questo argomento
non si può affermare altro che gli indigeni avessero forme reli-
giose « naturalistiche », rivolte alla magia del ciclo stagionale e
della fecondità. E ciò sembra legittimo in quanto si è visto che
essi non avevano elaborato forme sociali rigidamente strutturate.
Inoltre, nei due casi tramandati di giuramenti - quello relativo
agli accordi tra Locresi e Siculi e quello relativo al trattato tra
Sibariti e Serdaioi - non è fatta menzione nel primo di alcun ga-
rante, nel secondo se non di divinità tutte puramente greche.
Occorre quindi concludere che almeno i Serdaioi facessero pro-
prie tali divinità: e anche qui non sembra legittimo supporre che
ciò avvenisse solamente per costrizione, in quanto, sia pure leo-
nino, il trattato doveva costituire per i Sibariti uno strumento ef-
ficace nei confronti degli indigeni contraenti.
I ritrovamenti di San Sosti e del Timpone del Gigante, come
il ripostiglio di Sambiase, sono topograficamente pertinenti a com-
prensori posti all'esterno delle città coloniali e delle loro vici-
nanze. I luoghi di culto così indiziati dovevano quindi essere fre-
quentati da mercanti greci e da indigeni: e in essi, probabilmen-
te, si svolgevano contrattazioni per lo scambio dei prodotti indi-
geni contro le merci portate dai Greci. Che queste avvenissero
sotto una garanzia sovrannaturale è indizio di una compenetra-
zione della categoria del sacro con quella dello scambio, che non
può non essere promanata altro che dal livello culturalmente su-
periore. Questa interpretazione si fonda sul contenuto dell'iscri-
zione di San Sosti: incisa su un'ascia votiva, costituisce la dedi-
ca a Hera « quella della piana » da parte del sacrificatore Ky-
nisqos della decima dei suoi guadagni. Sappiamo, quindi, che la
conclusione di una contrattazione veniva celebrata con un sacri-
ficio officiato da un greco secondo la tradizione greca. Il sup-
29
porre, invece, che il santuario arcaico di San Sosti fosse collega-
to a un centro esclusivamente greco appare, allo stato delle co-
noscenze odierne, del tutto impossibile. Meno perspicua è la do-
cumentazione derivante dalla stipe del Timpone del Gigante, an-
che perché si tratta di offerte costituite da recipienti di fabbrica
corinzia; ma, a quanto oggi si conosce, mancano del tutto iscri-
zioni, che sarebbero ovviamente preziosissime per il nostro stu-
dio. Oltre alle considerazioni generali d'ordine topografico già
proposte, occorre anche riflettere sul fatto che finora non si di-
spone di ritrovamenti che possano essere interpretati come col-
legati alla sfera del sacro da parte di individui o comunità in-
digeni, mentre il deporre in stipe recipienti ceramici rientra nel-
la tipologia più consueta del rito votivo greco. Così che, anche
in questo caso, possiamo proporre con giustificata certezza che
siamo di fronte a un luogo di culto, frequentato da Greci e da
indigeni, posto lungo il percorso della valle del Neto, che uni-
va la costa crotoniate alle riserve di allevamento e di silvicoltura
della Sila.
La situazione generale per ora riassunta fino al termine del VI
secolo comporta quindi, schematicamente, due fondamentali da-
ti di fatto per le popolazioni indigene: il fissarsi di precisi reca-
piti per le attività produttive; il trasmettersi (con il conseguente
adattamento ricettivo) di forme culturali a loro esterne, sia mate-
riali sia sovrastrutturali.
Lo sviluppo degli eventi nel corso del v secolo e nella prima
metà del successivo, cioè fino all'atto di nascita ufficiale della
confederazione dei Brettii, vede da un lato prima la distruzione
di Sibari e successivamente una sempre maggiore presenza sira-
cusana; dall'altro il progressivo espandersi verso sud dei popoli
italici collegati al ceppo sannita.
La distruzione di Sibari comportò un vuoto di potere nella zo-
na che univa l'estremità meridionale della Magna Grecia al suo
settore tirrenico. La presenza crotoniate fu più nominale che ef-
fettiva: e da tale situazione trassero profitto sia Poseidonia sia
i Focei che fondarono Velia. Il tentativo reggino di fondare Pis-
sunte, l'attività di Laos e, per quello che possiamo supporre, di
Skydros non furono tali da costituire alternative efficaci: il vuo-
to documentario che finora la ricerca archeologica constata cor-
risponde alla lacunosità e ali' intrinseca povertà delle fonti lette-
rarie. Sempre sul versante tirrenico, le battaglie navali combat-
tute a Cuma tra Siracusani ed Etruschi indicano che la meta dei
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tiranni Dinomenidi era costituita dalle coste campane, non da quel-
le calabresi. Su queste ultime solamente Hipponion veniva con-
siderata con qualche interesse, ma, a quanto si può giudicare, in
qualità di porto di scalo tra la Sicilia e la Campania. Sotto questa
luce va forse riletta la notizia delle fonti (Athen. 12, 542a) rela-
tiva all'istituzione (o al restauro) da parte di Gelone di un san-
tuario di Amaltea Keras presso Hipponion: si tratta forse di uno
di quei luoghi di culto collegati alle attività portuali che compor-
tano rapporti con stranieri secondo il modello dell'emporion? Ma
gli interventi dei Dinomenidi sono irrisori a confronto della più
recente presenza nella Calabria attuale dei due Dionisi, tanto che
Strabone (6, l, 4) ricorda come al tempo della guerra tra Dione
e Dionisio II tutti i popoli della regione erano reciprocamente al-
le armi. Tale situazione derivava anche dal progressivo indebo-
lirsi interno delle colonie: sul luogo di Sibari nel 444-443 fu de-
dotta Thurii, divisa in tanti quartieri quante erano le molte stir-
pi in essa convenute, e opposta a Taranto, oltre che a Crotone;
quest'ultima, retta dapprima dali 'oligarchia pitagorica, conobbe
successivamente rivolte e tirannidi; altre tirannidi sfiancarono
Reggio per avventati disegni di lontane alleanze, che condussero
a perdere migliaia di cittadini combattendo con Taranto contro
i Messapi. Solamente Locri sembra aver conosciuto una stabile
continuità socio-politica, ma a costo di una chiusura quasi autar-
chica, che impediva un ricambio nella società.
Dal versante italico, come accennato, il v secolo vede il pro-
gressivo strutturarsi e la sempre più ampia espansione dei diver-
si nomina derivanti dal gran ceppo sannita: Capua e Cuma nel
corso della seconda metà del secolo; subito dopo Neapolis e Po-
seidonia; entro il 389 Laos; delle colonie greche poste sulla co-
sta tirrenica solamente Velia non conosce la conquista o la deter-
minante presenza di genti italiche. Queste si muovevano lungo
le dorsali appenniniche, ripercorrendo gli assi che durante le fasi
culturali della protostoria erano stati utilizzati per i rapporti sche-
matizzati più sopra. Tale << preferenza >> topografica non sembra
derivare esclusivamente dal fatto che le coste -o almeno i setto-
ri più favorevoli di esse - risultavano già occupate dalle città ita-
liote: si è infatti detto che gli Italici hanno finito per conquistare
le città costiere. Piuttosto ciò deriva dal tipo di economia prati-
cata da quei popoli, prevalentemente di allevamento e quindi non
necessitante di sbocchi commerciali con l'esterno della penisola.
La << riconversione >>produttiva all'agricoltura stanziate è un fe-
31
nomeno più tardo nella storia degli ltalici, e non sapremmo dire
quanto ciò derivi da processi di<< acculturazione ''· Gli studi com-
piuti nel comprensorio di Poseidonia possono anche portare a pro-
porre che fu la disponibilità di territori adatti a introdurre a un'at-
tività agricola non più solo di sussistenza, ma di notevole rile-
vanza economica. Attività agricole, infatti, sono attestate negli
insediamenti italici del periodo arcaico: per esempio a Cairano,
come autorizzano a ricostruire i ritrovamenti di recipienti adatti
alla conservazione di derrate.
L'espansione italica più meridionale è dovuta ai Lucani; il lo-
ro confine è da riconoscersi ali' istmo di Lamezia, visto che la
città di Petelia si dice esser stata la loro capitale. Essa fu fortifi-
cata per condurre scorrerie contro Thurii, e la notizia letteraria,
messa in serie con quella relativa alla conquista di Laos, indica
al più tardi l'inizio del IV secolo come il periodo nel quale la pre-
senza di Lucani nell'odierna Calabria, oltre a essere un fatto com-
piuto, si era strutturata in maniera fissa. Tale strutturazione è la
fase matura di una presenza che rimonta almeno alla metà del
v secolo; si ha infatti notizia letteraria di combattimenti tra l'e-
sercito dei Thurini, condotto da Cleandrida, e i Lucani (Polyaen.,
Strat. 2, 10, 2-4).
Queste notizie, tuttavia, sono tarde e quindi possono essere sog-
gette a cautela, anche ricordando come in Erodoto- che, secon-
do la tradizione, visse da ultimo a Thurii e vi ricevette onori do-
po morto- non c'è menzione alcuna dei Lucani. Ma non sfugge
che le notizie di Polieno sembra si possano interpretare come re-
lative a fatti di guerriglia, così come sono attente alle particola-
rità geomorfologiche del territorio nel quale si svolgono gli scontri;
e quindi sembrano riferirsi ancora a scorrerie compiute da bande
di Lucani che, scesi dai monti per razziare, tentino poi di rigua-
dagnare i propri lontani e impervi rifugi, e non invece piazzefor-
ti come la fortificazione di Petelia farebbe supporre.
La conoscenza del territorio tributario di Laos potrebbe costi-
tuire il campo di indagine favorito per studiare i tempi e i modi
della più antica presenza lucana nell'odierna Calabria, in quanto
abbiamo un preciso termine di datazione ante quem nel 389, quan-
do la città era già in mani italiche. Le ricerche che si conducono
nel sito di Marcellina hanno individuato un centro abitato fisso
e organizzato, cinto con mura di difesa e dotato di edifici e spazi
pubblici; ma la sua frequentazione va posta nel corso del IV se-
colo, cioè in periodo posteriore alla battaglia tra Thurini e Luca-
32
ni. Dove fosse localizzata la colonia sibarita non sappiamo; tut-
tavia possiamo dedurre che il suo rafforzamento, avvenuto dopo
la distruzione di Sibari come testimonia Erodoto, comportò una
concentrazione di piccoli abitati sparsi sulla costa, e frequentati
da indigeni, ai quali si è accennato più sopra. All'interno, le ri-
cerche condotte fanno rilevare piccoli nuclei, dalla Serra La Cit-
tà di Rivello a Laino, i cui frequentatori non possono essere de-
finiti altrimenti che indigeni. La più antica documentazione ar-
cheologica che possa essere collegata all'arrivo dei Lucani è pro-
babilmente il vaso iscritto rinvenuto a Castelluccio sul Lao e con-
servato un tempo nei Musei di Berlino. Si tratta di un'olia
sferoidale, d'impasto rossastro, con due anse poste sulla massi-
ma espansione del corpo. Sulla parte alta di questo è incisa un'i-
scrizione in caratteri alfabetici adattati dall'acheo, in lingua itali-
ca: toutikemdipaterem. È stato anche proposto che la lettura del
dodicesimo segno possa essere o, invece di a. La posizione lin-
guistica - anch'essa - non è concordemente intesa dagli studio-
si. Sembra, invece, che la posizione cronologica del recipiente
possa, con sufficiente tranquillità, essere ricondotta al corso del-
la prima metà del v secolo. Infatti, il vaso fu visto, per la prima
volta, nel 1833 nel commercio antiquario napoletano insieme ad
altri venticinque recipienti, tutti provenienti da Castelluccio. Di
questi, ventiquattro appartenevano a produzioni italiote a figure
rosse, mentre solo uno era un prodotto attico a figure rosse, at-
tribuito al pittore di Firenze 3984, attivo nel secondo quarto del
v secolo. Questa hydria sembra il termine più antico del ritrova-
mento, e pertanto l'olia iscritta, che trova confronti tipologici con
analoghi prodotti indigeni situati in contesti tra la fine del VI e
la prima metà del v secolo, può essere considerata non più anti-
ca dell'inizio di quest'ultimo secolo. E ciò, inoltre, in quanto,
nonostante le incertezze e le difficoltà d'interpretazione, sembra
proponibile di vedere nelle prime lettere un rapporto con la defi-
nizione « touta », che segna il concetto di civitas presso i popoli
italici. Tale concetto non sembra possa esser stato proprio anche
degli indigeni che i Lucani hanno trovato nei comprensori pro-
gressivamente occupati, mentre questi più antichi indigeni pos-
sono aver condizionato le forme linguistiche che sono attestate
nell'iscrizione da Castelluccio sul Lao.
In periodo di poco posteriore è stato prodotto il bronzetto, raf-
figurante un offerente, rinvenuto a Nemoli, posta a valle di Ca-
stelluccio lungo il corso del fiume Noce. La statuetta è stata as-
33
segnata al << gruppo Tiriolo " ed è sicuramente da collegare alla
presenza di stirpi sannitiche.
Per tutto il corso del v secolo, continua la precedente occupa-
zione della Serra La Città di Rivello, che costituisce un avampo-
sto naturale a sbarramento della media valle del fiume Noce.
A una quantitativamente discreta, sia pure sussultoria, docu-
mentazione archeologica di v secolo all'interno, corrisponde un
gran vuoto sulla costa tirrenica; l'unica eccezione è costituita dalle
emissioni monetali di Laos, che giungono alla seconda metà del
secolo, segno del! 'autonomia della città.
La situazione della conoscenza archeologica si può confronta-
re con l'interpretazione poco prima proposta delle notizie tratte
da Polieno: Laos subì scorrerie provenienti dall'interno finché non
fu conquistata, a differenza di quanto Thurii, nello stesso perio-
do di tempo, riuscì a scongiurare.
Nel restante territorio calabrese la conoscenza di reperti archeo-
logici databili entro il corso del v secolo non riferibili a stanzia-
menti o a nuclei di Italioti, in quanto topograficamente non in
connessione con stanziamenti di tale cultura attestati anche in pe-
riodo più antico, è ridottissima. Si tratta di una dozzina di ripo-
stigli monetali e di una mezza dozzina di ritrovamenti, tutti data-
bili entro il terzo quarto del v secolo. Entro questo termine, co-
me si è visto, è accertato dalle notizie tramandate dalle fonti let-
terarie che la presenza dei Lucani nell'odierna Calabria era stata
avvertita dagli Italioti.
Alcuni dei ripostigli monetali sono stati trovati in rapporto con
le città italiote di Locri, Medma e Terina: per quest'ultima è no-
tevole il numero dei ritrovamenti effettuati a Curinga, a Sant'Eu-
femia e a Gizzeria. Tali ritrovamenti non possono essere utili al-
la nostra ricerca in quanto, privi come sono di ulteriori notizie
di contesto, possono essere interpretati in due maniere diverse
e alternative. Essi, infatti, possono essere il segno di stanziamenti
al servizio delle città italiote, la popolazione dei quali poteva es-
sere formata da indigeni, così come si è verificato, per un perio-
do di poco precedente, nel caso di Amendolara in rapporto a Si-
bari; oppure possono essere il segno di << avamposti '' italici che
si situano in posizione tangente alle sfere delle città italiote, così
da potervi compiere scorrerie.
Due dei ripostigli monetali che interessano questo periodo sto-
rico sono stati ritrovati, invece, in zone lontane da città italiote:
uno a Santo Stefano di Rogliano, nella zona montuosa che pone
34
in collegamento la valle del Crati (sfociante nello Ionio) con quella
del Savuto (sfociante nel Tirreno) e che costituisce inoltre la con-
nessione di crinale tra la Catena Costiera tirrenica e il massiccio
della Sila. Purtroppo, non è certo che il ripostiglio sia stato recu-
perato nella sua interezza: quanto si conserva non contiene conia-
zioni di Thurii ed è quindi da considerare anteriore al 444-443.
Vista la collocazione topografica, si può avere la ragionevole
certezza che il ripostiglio di Santo Stefano di Rogliano costitui-
sca un segno di presenza non-italiota. Esso è più recente di quel-
lo di Sarnbiase-Acquafredda; pertanto, essendo da considerare coe-
vo de li' epoca proposta per il seppellimento de li' olia iscritta da
Castelluccio sul Lao, potrebbe essere inteso come segno di una
presenza lucana. Ma potrebbe essere invece un segno della so-
pravvivenza di un nucleo di indigeni, che gestivano un segmento
de li' asse di percorrenza tra Ionio e Tirreno, lungo la via Crati-
Savuto che collegava Sibari con Temesa. Questa incertezza di de-
finizione è assai molesta per la chiarificazione della problemati-
ca storica; comunque il ritrovamento costituisce un punto fermo
nella ricostruzione dei modi di popolamento delle zone interne
anelleniche. Infatti, anche qualora il ripostiglio sia da riferirsi a
indigeni,. si dimostra che a Santo Stefano di Rogliano esisteva un
tale insediamento, il quale sarà stato utilizzato dai Lucani nel lo-
ro progressivo espandersi verso sud.
E ciò tanto più in quanto in territorio di Strongoli è stato ritro-
vato un secondo ripostiglio composto da emissioni di città situa-
te sulla riva ionica, alle quali si aggiungono coniazioni di Posei-
donia. L'attestazione della coniazione poseidoniate, per quanto
isolata, indica un collegamento con la zona tirrenica più setten-
trionale dalla quale provenivano i Lucani. La consistenza del ri-
postiglio appare completa, così che la cronologia della sua chiu-
sura intorno alla metà del v secolo è ragionevolmente solida. Una
conquista che dovrà essere compiuta dalla futura ricerca è quella
di determinare in maniera più precisa e ampia di quanto finora
sia possibile la diacronia della frequentazione antica nel territo-
rio di Strongoli nel corso del v secolo.
In esso si distinguono due nuclei abitati antichi: uno nella lo-
calità Murgie, il secondo in località Pianette. Quest'ultimo è si-
curamente strutturato con difese della metà almeno del IV seco-
lo, mentre sembra mancarvi documentazione archeologica rife-
ribile a epoca precedente. La sua identificazione con Petelia è
assicurata sia dalla continuità di urbanizzazione fino al periodo
35
tardoantico sia dalle epigrafi latine del periodo imperiale che men-
zionano il nome della città.
Le Murgie, invece, si trovano pochi chilometri più all'interno
delle Pianette; sono frequentate fin dall'età del Ferro e poi con
continuità sino a un momento imprecisato, ma che pare piuttosto
iniziale, del v secolo. Dalla fine di questo secolo o, come pare
più prudente, dalla prima metà del IV secolo, si definisce un abi-
tato di ridotte dimensioni, posto alla sommità della montagna, di-
feso da un braccio di mura, frequentato fino al termine del m
secolo.
Pare evidente ricollegare l'interruzione della fase più antica del-
l'abitato sulle Murgie- che andrà rapportato a una frequentazio-
ne indigena in rapporto con Crotone, distante una ventina di chi-
lometri- all'arrivo degli Italici-Lucani: i quali, come s'è visto,
fecero di Petelia la propria capitale. Il dato mancante circa il ter-
mine più recente d'uso del deposito votivo di Cotronei, posto a
monte di Strongoli lungo la valle del Neto, e quindi sicuramente
interessato dall'espansione lucana; l'incertezza di assegnazione
del ripostiglio monetale agli indigeni già stanziati in quel com-
prensorio oppure ai Lucani sopravvenienti, non chiarita dalla pre-
senza di una moneta coniata a Poseidonia; la non completa cono-
scenza archeologica sia delle Pianette sia delle Murgie: sono tut-
ti elementi che non permettono di fissare con sicurezza nel tem-
po, né di ricostruire con esattezza di dettaglio, i modi della ve-
nuta degli Italici-Lucani nel comprensorio. Comprensorio, come
detto, essenziale per lo studio del nostro problema, in quanto la
sua sicura identificazione con la capitale dei Lucani permetterebbe
di identificare con certezza i portatori dei segni archeologici che
la ricerca sul terreno ha il compito di tutelare.
L'analisi brevemente condotta su questo insieme di evidenze
introduce a discutere le altre scoperte archeologiche situabili cro-
nologicamente tra la fine del VI e il terzo quarto del v secolo.
Da Castrovillari proviene un'antefissa, frammentaria, decora-
ta a stampo con una protome femminile circondata da un " nim-
bo » costituito da elementi a rilievo. L'antefissa può essere si-
tuata in una tipologia campana; tale inquadramento sembra assai
confacente, insieme a una cronologia nel primo quarto del v se-
colo, per un'assegnazione del reperto a un nucleo di ltalici. Tan-
to più che il dato cronologico si pone in contiguità con quanto
si è creduto di poter dedurre a proposito dell'olia iscritta da Ca-
stelluccio sul Lao.
36
L'antefissa di Castrovillari, inoltre, indizia una presenza strut-
turata, almeno in maniera elementare, del nucleo abitato. Un ul-
teriore elemento di rafforzamento potrebbe essere costituito dal
bronzetto, raffigurante Ercole in assalto, prodotto nel corso del
v secolo e pertinente in origine a un deposito votivo. La cautela
nell'interpretazione storica di tale classe di produzione è d' ob-
bligo; infatti, ove non si avesse già la prudenza del massimo
conoscitore di quei bronzetti nell'assegnare ai singoli pezzi una
cronologia assoluta, occorrerebbe ricordare che nulla è conosciu-
to circa l'esatto luogo di ritrovamento (che potrebbe, quindi, an-
che essere esterno a Castrovillari) e, tanto meno, sul contesto
originario d'uso. Il bronzetto, comunque, è significativo per de-
durre forme cultuali e culturali italiche, da situare non prima del-
l'inizio del v secolo, che rafforzano l'assegnazione qui proposta
per l'antefissa.
I restanti ritrovamenti si riferiscono tutti a contesti d'uso se-
polcrale. A Rossano è stata scavata, e dispersa, una necropoli,
dei cui corredi è stata conservata una piccola parte. Di questa
si documentano ancora uno specchio in bronzo, con sostegno a
figura femminile; frammenti di una lekythos a fondo bianco; fram-
menti di un piattello a vernice nera. Nel 1919 Paolo Orsi diede
notizia di due lekythoi, integre o integralmente conservate, an-
ch'esse a fondo bianco con figure nere. L'insieme è databile en-
tro la metà del v secolo: la sua pertinenza a un nucleo di Lucani
è puramente congetturale, ma si appoggia sia sui criteri generali
già esposti sia sulla conformazione topografica del sito di rinve-
nimento. Infatti sembrerebbe finora un unicum che una posizio-
ne come quella di Rossano avesse ospitato un « posto di guar-
dia » crotoniate, finalizzato al controllo del territorio di Siba-
ri, tanto più che lo specchio indizia una deposizione femminile.
Caratteristiche analoghe hanno i poco più recenti ritrovamenti
da Trebisacce: consistono in tre lekythoi a fondo bianco con de-
corazioni vegetali e in uno stamnos attico a figure rosse, attri-
buito al pittore di Pan.
Sul versante tirrenico, si hanno ugualmente ritrovamenti di ca-
rattere sepolcrale: ad Acquappesa un sostegno di specchio in bron-
zo a figura femminile e a Sant'Eufemia-Moscarello una lekythos
attica a fondo bianco con decorazioni vegetali.
Il ritrovamento più meridionale finora noto è costituito da un'ul-
teriore lekythos attica, sempre a fondo bianco, proveniente da
Crichi.
37
La lacunosità dei ritrovamenti fin qui elencati permette poche
osservazioni sicure, ma comunque autorizza ad affermare che de-
terminati comprensori territoriali, simili fra loro per caratteristi-
che geomorfologiche e per collocazione su assi naturali di per-
correnza, conoscono una frequentazione, per quanto esigua, che
non sembra possibile attribuire a nuclei di Italioti.
Quel che colpisce, allo stato attuale della conoscenza, è la man-
canza di documentazione relativa a stanziamenti strutturati, sal-
vo l'esile e dubbio indizio di Castrovillari. Già si è visto a pro-
posito di Laos e di Petelia; ma anche gli insediamenti che sono
attestati in vita dal IV secolo avanzato non hanno finora restituito
traccia archeologica di una frequentazione stabile più antica. Ta-
le, ad esempio, non si può considerare una moneta coniata nel
v secolo a Crotone e ritrovata nella fase di IV secolo avanzato
a Torre Mordillo. Eppure, i ritrovamenti sepolcrali che ci sono
noti ci dicono che dovevano esistere strutture abitative.
Si può supporre, anche in assenza di una documentazione ar-
cheologica di carattere cultuale, che i primi stanziamenti dei Lu-
cani nell'attuale Calabria non abbiano rivestito una forma fissa
e strutturata tale da lasciare tracce recuperabili, o finora recupe-
rate, dalla ricerca archeologica. Tale supposizione potrebbe es-
sere collegata ali' intepretazione più sopra offerta per i passi di
Polieno riferiti alle più antiche guerriglie tra Thurini e Lucani,
che si svolsero in un periodo contemporaneo, o di poco più re-
cente, rispetto ai ritrovamenti archeologici sopra ricordati. E, a
questo proposito, non potrà sfuggire la disposizione geografica
di Trebisacce, di Castrovillari e di Rossano, in cerchio attorno
a Thurii. Cerchio che diventa più chiuso se aggiungiamo al no-
stro scarso elenco un ulteriore ritrovamento: quello di un'anfora
di produzione protoitaliota, databile alla fine del v secolo, pro-
veniente con molta probabilità da una tomba di località Sciam-
mara di Santa Sofia d'Epiro. Questa località chiude la bassa val-
le del fiume Crati, al ridosso interno delle colline che delimitano
la piana di Sibari: luogo adatto quant'altri mai a costituire un punto
di partenza, e di pronto ricovero, per scorrerie contro i Thurini.
Inoltre, a favore della nostra interpretazione è la distribuzione
geografica generale di questi ritrovamenti, che non sono, alme-
no ad oggi, documentati a sud dell'istmo di Santa Eufemia, deli-
mitando così quello che fu il territorio principale degli ltalici nel-
l'attuale Calabria. Ed è notevole che, se la nostra ipotesi è nel
reale, l'espansione lucana si compì entro il volgere del v secolo,
38
nello spazio massimo di tre generazioni: quante se ne possono
situare tra l'olla da Castelluccio e la lekythos da Crichi.
Forse proprio questa rapida ed estesa penetrazione fu causa della
mancata strutturazione, fin dal v secolo, degli abitati, in quanto
si potrebbe aggiungere che l'espansione lucana si compì secondo
un modello di avanzamento a piccoli gruppi di carattere fami-
liare, tali quindi da non necessitare di strutture urbane né per le
esigenze economiche e produttive né per quelle di difesa.
Tale visione del problema pone, tuttavia, in una luce interpre-
tativa nuova la menzione straboniana di Petelia: come si è già
accennato, la città è detta« capitale dei Lucani »e se ne ricorda-
no le fortificazioni erette per recar molestia ai Thurini. La noti-
zia, per come è stata tramandata, costringerebbe a postulare una
struttura dell'abitato di Petelia entro il 356: perché è proprio Stra-
hone che, pochi capitoli più sopra, rimprovera ad Antioco di non
distinguere fra Lucani e Brettii. Fino a oggi, tuttavia, l'evidenza
archeologica disponibile non permette una ricostruzione dei do-
cumenti materiali perfettamente coerente e parallela allo svolgersi
degli eventi così come sono stati tramandati letterariamente. Pa-
re pertanto proponibile di intendere la notizia riportata da Stra-
hone come un compatto, e quindi non omogeneizzato, riassunto
di due fasi diverse fra loro. In quella più antica, a cavallo della
metà del v secolo, la progressiva espansione dei Lucani inter-
rompe, o limita gravemente, il precedente insediamento indige-
no delle Murgie; non sembra si possa oggi archeologicamente co-
noscere dove fosse stabilito - se qui o alle Pianette - il primo
nucleo dei Lucani. Questo, comunque, assume una centralità ta-
le ali 'interno dei diversi, e possiamo supporre numerosi, nuclei
lucani che occupano nello stesso periodo la regione, da essere
considerato la loro '' capitale ''· Nella fase più recente, che oggi
non possiamo situare molto prima della metà del IV secolo, l'a-
bitato delle Pianette, sicuramente Petelia, si struttura militarmen-
te con la costruzione delle mura.
Se la nostra ricostruzione è nel reale, occorrerà ritrovare, nel
territorio dell'odierna Strongoli, un luogo di culto di tutti i Lu-
cani meridionali; non sembra infatti altrimenti distinguibile una
<< capitale » se non come sede di una funzione riconosciuta e ac-
cettata dai diversi nuclei, e quindi sovrastrutturale.
Il carattere della documentazione archeologica nota e che si è
fin qui utilizzata è prettamente e quasi esclusivamente greco: sia
metropolitano sia italiota. Ciò può derivare dal modo della co-
39
noscenza, basata su ritrovamenti non controllati e, almeno nel ca-
so di Rossano, oggi meno numerosi che al momento della scoper-
ta. Tale casualità può aver portato a conservare soltanto gli og-
getti immediatamente riconosciuti e apprezzati dal fortuito rinve-
nitore: cioè quelli di bronzo e quelli figurati. Il quadro è appena
variato dali' antefissa e dal bronzetto votivo di Castrovillari.
Pur con queste cautele, occorre ricordare che nei corredi se-
polcrali di v secolo riferiti a deposizioni italiche rinvenuti in altre
zone dell'Italia meridionale i prodotti greci costituiscono la nor-
ma, sia pure in contesto con alcune forme caratteristiche della
produzione italica, e non delle minori, come si può dedurre per
l'olia iscritta da Castelluccio sul Lao.
Il modo della composizione dei corredi funerari è l'unico stru-
mento che possediamo per tentare di avanzare ulteriormente nella
comprensione dei Lucani che si espansero nell'attuale Calabria.
La presenza di prodotti greci indica che tra i due « avversari " esi-
steva un intreccio di rapporti di scambio che non è lecito limitare
a quelli guerreschi: non si può, infatti, supporre che tutti gli og-
getti greci posseduti dai Lucani fossero frutto di bottino. La zona
di attrito, anche cruento, fra i due popoli è da identificare in una
diversità di modo di produzione: agricoltori e commercianti gli
Italioti; allevatori i Lucani. Talché la produzione di« beni di pre-
stigio » - dai bronzi ai recipienti, dai gioielli al vino - propria
degli ltalioti veniva scambiata in direzione dei Lucani contro i pro-
dotti tipici di questi ultimi. Ma il sistema non poteva avere una
lunga durata: sia per la pressione demografica dei Lucani sia per
il desiderio di questi di integrare l'attività prevalente con le altre,
come l'agricoltura, che la consuetudine con l'organizzazione ita-
liota aveva permesso di meglio conoscere e apprezzare. E que-
sto va visto come unito a quel particolare sistema di produzione
che è stato definito « di rapina >>: tipico di culture non completa-
mente strutturate politicamente, che vivono in contiguità con so-
cietà « ricche ''.
Un ruolo ancora tutto da tratteggiare e da definire nella dialetti-
ca tra Lucani e Italioti ne li' attuale Calabria nel corso del v secolo
è quello del mercenariato. Era infatti consuetudine degli Italioti
assoldare contingenti militari da impiegare contro i propri avver-
sari, così com'era costume degli Italici combattere al soldo del
miglior pagatore. Le documentazioni al riguardo per gli Italici me-
ridionali risalgono almeno al primo quarto del v secolo. E nel corso
di questo secolo si hanno notizie relative a contrasti fra le città
40
italiote di Calabria, mentre è riportato che Dionisio il Vecchio
arruolò mercenari lucani insieme ad altri gallici (Diod. Sic. 16,
41, 4-4). Non è possibile individuare se questi mercenari lucani
non fossero stati in realtà tutti, o in parte, anche brettii. Comun-
que, per l'argomento che qui ci interessa, ciò non modifica i ter-
mini del problema: merita però considerare che è stato attivo an-
che questo strumento di rapporti e di acquisizione di reciproca
conoscenza.
Le fonti letterarie per la storia dei Brettii

FIN qui si è utilizzata esclusivamente la denominazione di Luca-


ni per definire quegli ltalici che occuparono progressivamente
l'attuale Calabria nel corso del v secolo. E ciò in quanto le fonti
letterarie stabiliscono all'anno 356 la costituzione e il riconosci-
mento per così dire internazionale della confederazione dei Bret-
tii. Non mancano, tuttavia, notizie circa un'identificazione più
antica di tale data di un'entità diversa, per quanto strettamente
collegata ai Lucani, definita già come Brettii.
Il metodo seguito in questo capitolo è esclusivamente quello
di porre in serie e analizzare le fonti letterarie antiche, dal mo-
mento che le notizie così tramandate ci permettono di compren-
dere come gli storiografi italioti, e poi romani, avessero inter-
pretato gli avvenimenti a loro di poco precedenti o contempora-
nei. Infatti, le nostre fonti storiografiche difettano totalmente di
testimonianze derivanti da opere italiche, così che è necessario
utilizzare quelle di una sola delle parti in gioco: anche se ciò
comporta una sempre vigile attenzione per giungere a un'inter-
pretazione sfrondata dall'ovvia tendenziosità dell'avversario.
Alle fonti letterarie saranno aggiunte quelle iscrizioni che si ri-
terranno utili alla trattazione: la loro autenticità le rende molto
simili alle fonti letterarie.
Nel capitolo seguente, invece, si analizzerà la documentazione
materiale: non al fine di rafforzare, o di cogliere in contraddi-
zione, le fonti letterarie, ma per offrire un panorama dallo spes-
sore più completo possibile, almeno per quanto ne è la cono-
scenza, dell'intera evidenza riferibile ai Brettii. Fonti letterarie
ed evidenza materiale costituiscono ambedue uno specchio della
realtà: ognuna di esse è costruita secondo proprie leggi, diverse
fra loro. Le fonti letterarie rispondono a un'esigenza di sistema-
tizzare, in un quadro teorico, conoscenze, ritenute tali o posse-
dute, di eventi, di credenze, di tradizioni. L'evidenza materiale,
quando ci sia pervenuta a seguito di un processo di conoscenza
scientifica, cioè con scavi archeologici rigorosamente condotti,
ci presenta una documentazione che va interpretata per se stessa,
con categorie prevalentemente funzionali. La direzione delle
funzionalità individuate può essere dedotta dall'analisi di più si-
tuazioni; ma l'interpretazione totale non può non essere condotta
sulla scorta delle notizie che le fonti letterarie ci hanno conser-
42
vato. Quando, come nella maggior parte dei casi, le conoscenze
archeologiche derivano da ritrovamenti casuali e lacunosi, o da
scavi dei quali non è stata redatta registrazione, le possibilità di
interpretazione sono minori e soggette a maggiori cautele.
Le più antiche definizioni dei Brettii risalgono al v secolo: so-
no brevi citazioni tramandate da Stefano Bizantino, che nel v se-
colo d.C. compose un Ethnikà, una sorta di repertorio di etnici
e toponimi allora conosciuti, compilando da storici a lui prece-
denti, anche di molto. Le citazioni così conservate sono rispetti-
vamente di Antioco e di Aristofane. Il primo, originario di Sira-
cusa, fu attivo nel v secolo e produsse una « storia " dei Greci
d'Occidente della quale si sono conservate solamente le citazioni
riportate, come in questo caso, da autori più recenti. Aristofane
è il famoso commediografo ateniese, vissuto nella seconda metà
del v secolo e fino all'inizio del successivo. Il valore documen-
tario delle due fonti, per quanto diverso fra l 'una e l'altra, è tut-
tavia sempre notevole, in quanto la cronologia di stesura assicu-
ra sulla veridicità della notizia riportata. E ciò tanto più vale in
quanto Antioco, per comporre la sua opera, dovette procurarsi
materiale documentario originale; e Aristofane è particolarmente
bene informato sulle vicende relative alla fondazione della colo-
nia panellenica di Thurii, avvenuta nel 444-443 sul luogo della
precedente Sibari e quindi nel territorio abitato dai Brettii. Que-
sti schematici accenni alla questione dell'autorità delle fonti uti-
lizzate sembrano sufficienti a garantirci che sia in Italia meridio-
nale sia nella stessa Grecia una definizione dei Brettii preesistes-
se alla metà del IV secolo.
Il merito delle due notizie, in realtà, non è molto illuminante.
Aristofane (fr. 629 Kock = Steph. Byz. s. v. Brettos) ci dice che
la lingua brettia è oscura, quindi incomprensibile. La differenza
di linguaggio rispetto agli altri popoli aveva creato nei Greci la
dizione di '' barbari "• cioè quelli che parlano come se balbettas-
sero. A parte ciò, è possibile che, se è reale la connessione qui
proposta tra la notizia e informazioni giunte ad Aristofane da
parte di partecipanti alla fondazione di Thurii, il passo ci rappre-
senti una situazione di primo impatto tra coloni greci, da poco
arrivati, e Brettii, anch'essi da non molto spintisi fino alla latitu-
dine di Thurii. E tale parallela situazione può aver comportato
difficoltà nella comunicazione linguistica, nei casi, ovviamente,
in cui i rapporti non siano stati esclusivamente guerreschi: que-
sti, come si è visto, sono riferiti, sia pure da fonte diversa, sola-
43
mente a Lucani, forse in quanto in tale contesto valeva più il rife-
rimento « politico >> che quello concreto individuale.
Antioco (fr. 3c J. = Steph. Byz. s.v. Brettos) ci informa, dal
canto suo, che l'« Italìa >>, prima di esser chiamata Enotria, era
stata detta Brettia. La denominaria di « Italìa >> non ha una deter-
minazione geografica univoca, ma generalmente si tende a colle-
garla con quei settori della Penisola nei quali i Greci avvertivano
una presenza stabile, e variamente strutturata, di abitatori indige-
ni. E ciò accade, per la prima volta, in Italia meridionale e più
esattamente nell'attuale Calabria. Come dal punto di vista geo-
grafico, anche da quello cronologico la denominazione attribuita
dai Greci a quei settori di territorio non situati nelle sfere d'influ-
enza delle diverse città italiote è stata varia. Generalmente questi
etnici si ricostruivano su antroponimi, cioè su nomi, tutti di rico-
struzione erudita, per non dire leggendaria, assegnati a personag-
gi ai quali venivano date funzioni regolamentari. Così, l'« Italìa >>
fu detta Enotria da un'' re •• di nome Enotro; e poi, appunto, lta-
lìa dal nome di un suo figlio, Italo, il quale, come ricostruisce
esemplarmente Aristotele (Poi. 7, IO, 2-3: 1329b), «costituì
agricoltori gli Enotri che fin allora vivevano da nomadi, e diede
loro per primo reciproche leggi e istituì banchetti comuni >>. Nei
diversi storiografi antichi, e nel progressivo sviluppo della rico-
struzione sulla storia della Magna Grecia, si viene quindi costi-
tuendo una sorta di albero genealogico di personaggi eponimi,
dai nomi dei quali cioè sono denominati e distinti i diversi popoli
con i quali i Greci vennero in contatto. Questo modello di inter-
pretazione '' storica >> de li' evidenza che lo storiografo antico si
trovava di fronte è molto diffuso: e, fatalmente, lo spingeva a si-
stemare aprioristicamente le notizie delle quali disponeva. Il caso
che esaminiamo in Antioco a proposito della Brettia rientra chia-
ramente in questo modello. Possiamo cioè ricostruire che Antio-
co conoscesse l'esistenza di un popolo chiamato Brettio: da ciò
ricostruisce, meccanicamente, un eponimo. Ha poi la necessità
di situare questo personaggio in una successione temporale. Le
denominazioni, e quindi la rispettiva diacronia, di Enotria e Italìa
erano già conoscenze acquisite; visto anche il carattere primitivo
e, come in seguito vedremo, subordinato dei Brettii, è possibile
che Antioco classifichi tali caratteristiche come indizio di arcaici-
tà. E quindi pone il progenitore Brettos, e la denominazione geo-
grafica derivata, in un passato ancora più remoto di quello nel
quale era collocata la denominazione di Enotria.
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In margine a questa notizia, occorre analizzare quanto Strabo-
ne riporta (6, l, 4: 255) a proposito dello stesso Antioco. Stra-
hone, originario di Amasea in Asia Minore, visse tra il 1 secolo
e il successivo; ci è rimasta una sua opera geografica, descrittiva
non solo di tutti i paesi che circondano il Mediterraneo, ma rela-
tiva anche alle vicende dei popoli che tali paesi abitavano, prima
e contemporaneamente all'autore. Per comporre il suo lavom,
Strabone utilizzò numerose fonti, che generalmente ricorda,
commentandone spesso le informazioni e l'autorevolezza. Il pas-
so che qui ci interessa rientra in questo critico modo di procede-
re, che è assai prezioso per interpretare compiutamente la lettura
del testo. Ebbene, Strabone considera Antioco uno storico sem-
plice e all'antica, in quanto non distingueva i Lucani dai Brettii.
Secondo quanto si è detto sopra, risulta una contraddizione assai
grave in Antioco. La spiegazione di questa sfavorevole osser.va-
zione di Strabone non può essere univoca, in quanto del Siracu-
sano noi conosciamo solamente qualche scarno passo, ma non
l'intera produzione.
Come si vedrà più ampiamente poco oltre, i Brettii costituiro-
no un'entità politica autonoma da quella dei Lucani, all'interno
della quale erano fin allora inclusi, solamente nel 356: quando,
cioè, Antioco era morto da tempo. Non può quindi far meravi-
glia se egli, nel narrare vicende - precedenti o contemporanee
al corso della propria vita - che avessero una rilevanza politica
in specie in rapporto con la propria città, Siracusa, distinguesse
quei popoli soltanto con la denominazione « ufficiale » di Luca-
ni. Salvo, come si è sopra proposto, razionalizzare, all'interno
del modello adoperato, la conoscenza che aveva sull'esistenza
anche dei Brettii. Dal canto suo Strabone può essersi trovato in
una delle seguenti condizioni: ignorare il rapporto diacronico in-
tercorrente tra la data della manifestazione dell'autonomia dei
Brettii dai Lucani e quella del completamento dell'opera di An-
tioco; conoscere, di quest'ultima, solamente una parte, o rias-
sunti lacunosi; non aver valutato appieno il valore della notizia
sui Brettii contenuta in Antioco, e che a noi è giunta, in quanto
per tutto il resto del lavoro erano esclusivamente i Lucani che
venivano nominati, a scapito dei Brettii.
Questo breve esempio può servire a mostrare quanto sia diffi-
coltoso utilizzare le fonti storiografiche antiche, a causa sia della
loro lacunosità sia delle diversità dei metodi utilizzati dagli anti-
chi scrittori.
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È Strabone (5, 3, l: 228) che, in maniera succinta ma assai
chiara, ci tramanda l'origine del popolo dei Brettii: " Si ha [in
Italia] l'antichissimo popolo dei Sabini. .. : da questi si distacca-
rono i Picentini e i Sanniti, da questi i Lucani, dai quali [infine]
i Brettii ». Il rapporto tra Sanniti e Lucani è ripetuto in un passo
successivo (6, l, 3: 254). L'automaticità dei reciproci rapporti
deriva da una variante di applicazione del modello genealogico
cui si è sopra accennato. Tuttavia la ricerca ha identificato un
reale modo di diffusione dei popoli italici nel rito conosciuto co-
me ver sacrum. In base a esso, un'intera generazione veniva vo-
tata alla divinità, così che, quando i nati in quell'anno giungeva-
no alla maturità, si allontanavano dalla " tribù » originaria e si
andavano a conquistare un territorio lontano, nel quale continua-
re la stirpe. Il gruppo che si allontanava seguiva un animale-
tQtem dal quale riceveva la denominazione. Non sappiamo quan-
to questo modello abbia contribuito ali' identificazìone del popo-
lo brettio, anche perché notizie diverse ci danno rappresentazio-
ni diverse del loro formarsi e rendersi progressivamente autono-
mo. Non sembra aiutarci a scegliere l'uno o l'altro modo di for-
mazione (che, d'altronde, non sono rigidamente alternativi) l'i-
potesi che l'etnico Brettio derivi da una base (illirica? " medi-
terranea ••?) * b (h) rend, che si rapporta al significato di " testa
di cervo ». In questa ipotesi, l'etnico sarebbe una conseguenza
della venerazione del totem cervo da parte del gruppo.
Come appena accennato, il rapporto di separazione filogeneti-
ca, per così dire, dei Brettii dai Lucani è contraddetto da altre
fonti. Anche Strabone (6, l, 4: 255) riporta che " i Brettii sono
così chiamati dai Lucani, con la denominazione che danno agli
schiavi fuggitivi; narrano infatti che dapprima erano loro sotto-
posti in funzione di pastori, poi si liberarono grazie alla mollez-
za di quelli, quando Dione combatteva contro Dionisio [il Gio-
vane] ». Più ampio è il resoconto di Diodoro Siculo, vissuto nel
1 secolo, che scrisse una sorta di storia universale, a noi parzial-
mente tramandata. " Nelle zone marginali della Lucania si aveva
una gran quantità (plèthos) di individui dalle origini più varie,
ma per lo più schiavi fuggitivi. Questi dapprima praticarono il
brigantaggio e grazie alla consuetudine di vivere in maniera sel-
vaggia si abituarono alla guerra e alle relative pratiche: così da
padroneggiare sui popoli vicini a seguito delle attività guerre-
sche e da giungere a una notevolissima potenza» (16, 15, 1).
La connotazione negativa di questi passi, che sembrano ricol-
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legarsi a fonti comuni, è evidente: l'origine di esse sembra deb-
ba ricercarsi presso coloro che subirono danni dall'attività dei
Brettii, e che quindi sono da identificare nei Lucani e nei loro
alleati Siracusani.
Pur utilizzando, anche se in parte, gli stessi dati, è possibile
distinguere un filone storiografico non così avverso ai Brettii.
A noi rimangono passi in opere di Pompeo Trogo e di Giustino.
Le opere del primo, contemporaneo di Strabone, sono riassunte
da Giustino, vissuto probabilmente nel III secolo d.C. Nel pro-
logo del XXIII libro delle Historiae Philippicae di Trogo è sinte-
tizzato il contenuto: le vicende della guerra combattuta da Aga-
tocle contro i Brettii, all'inizio del III secolo; e la ricostruzione
delle origini dei Brettii stessi. È da qui che Giustino riassume
(23, l, 7-10): « Infatti i Lucani erano soliti educare i propri figli
secondo consuetudini uguali a quelle degli Spartani. Pertanto,
fin dall'inizio della pubertà i ragazzi vivevano nelle foreste in-
sieme ai pastori senza l'aiuto di alcun servo, senza abiti per co-
prirsi o per usare da coltre, così che si abituassero, lontano dalle
città, alla fortezza e al prudente uso delle forze fin dai più te-
neri anni. Per essi il cibo era il risultato della caccia; la bevan-
da il latte o l'acqua di sorgente. Così si addestravano alle fati-
che guerresche. In seguito, di questi un gruppo di cinquanta
dapprima abitualmente razziava nei territori confinanti; dappoi,
divenuti più numerosi perché invogliati dal bottino, rendevano
insicure le regioni ''.
Risaltano alcune concordanze tra i due filoni: come l'essere
pastori o l'attività di brigantaggio. Ma è evidentissimo il diverso
angolo di osservazione degli stessi fatti, che può forse essere
identificato in ambiente tarantino, ostile a quello siracusano dei
due Dionisi.
Il filone pro-brettio giunge, nello stesso Giustino-T rogo (23,
l, 11-12), alla denominazione eponimica: il popolo dei Brettii
si sarebbe così chiamato dal nome di una donna, Brettia, la qua-
le favorì la conquista di una fortezza tenuta da seicento Africa-
ni, mercenari al soldo di Dionisio il Giovane, avversario dei
Brettii stessi. E ciò in quanto, come si sarà notato, nel passo pre-
cedente i " pastori ,, che i Lucani utilizzano come pedagoghi per
i propri rampolli non sono definiti con un etnico: il quale viene
autonomamente scelto dai Brettii stessi quando, grazie alla vit-
toria su Dionisio il Giovane, si sentono in grado di affermare
la propria libertà dai Lucani. Strabone, invece, non esita a in-
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di care l'origine della denominazione propria nella connotazione
negativa legata allo schiavo fuggitivo.
I Brettii, quindi, non usufruiscono di " buona stampa »diffusa
intorno alla metà del IV secolo: anche perché è possibile che il
filone storiografico a essi avverso sia stato conosciuto, e parzial-
mente utilizzato, addirittura da Platone, il filosofo ateniese, in
un passo delle Leggi (6, 776b-778a) composto dopo il 360. Il
filosofo rappresenta un dialogo sul problema degli schiavi, che
secondo l'Ateniese, uno dei partecipanti, è argomento assai spi-
noso: << infatti spesso se ne è avuta la dimostrazione fattuale nel-
le frequenti e abituali rivolte dei Messeni ... e ancora nelle im-
prese e vicissitudini brigantesche d'ogni genere dei cosiddetti
Peridinoi, che infestano l' ltalìa ''. È noto che Platone compì
viaggi a Siracusa, ai tempi di ambedue i Dionisi: è quindi da
supporre che, almeno in maniera complementare con altre, at-
tingesse in quell'ambiente le sue informazioni. La denominazio-
ne Peridinoi è qui attestata quest'unica volta: non costituisce un
etnico, ma piuttosto comporta il significato di " coloro che vaga-
no ». Significato che pare adattarsi perfettamente alle definizioni
che Strabone e Diodoro danno dei Brettii. Tanto più che i Peri-
dinoi sono menzionati in un contesto nel quale si tratta di schia-
vi: e di schiavi che, briganteggiando, infestano ampi territori
tanto da porsi in rivolta contro i propri padroni.
La conseguenza ultima che possiamo trarre dalle fonti utilizza-
bili a proposito dell'origine dei Brettii risalta facilmente da
quanto fin qui detto. Infatti l'accezione negativa o positiva dei
diversi filoni va posta non nel merito dei fatti, ma nell' interpre-
tazione che di questi hanno dato i diversi storiografi, a secon-
da dei rispettivi interessi e punti di vista. I Brettii, quindi, si
possono assumere come un'entità collegata a quella dei Lucani,
di originaria pertinenza al ceppo sannita; la loro attività era su-
bordinata all'autorità lucana, fino a quando non se ne resero au-
tonomi.
Tale schematica definizione, se può essere accettata come
strumento di lavoro, contiene alcuni punti oscuri. Ad esempio,
non sappiamo se i Brettii sono costituiti esclusivamente da indi-
vidui di stirpe italica o se fra essi, come pare più probabile vista
anche la subordinazione, fossero commisti i discendenti di que-
gli indigeni preitalici che abitavano la Calabria attuale. Inoltre,
sembra che le fonti ci autorizzino a supporre anche che alcuni
personaggi lucani si siano aggregati (in posizione dominante?)
48
alla massa dei Brettii. Non possiamo definire il contorno istitu-
zionale dell'originaria subordinazione dei Brettii ai Lucani, tan-
to più non essendo chiara, come detto. la composizione etnica
dei primi. E ancora, non siamo in grado di situare nel tempo
un eventuale sviluppo della « ribellione •• brettia. Si è difatti vi-
sto che si possono distinguere Brettii fin dal v secolo: qual è
stato il processo del loro rapporto con i Lucani? È ipotizzabile
che tale processo non sia stato breve. Infine, ed è il problema
conclusivo, le fonti non ci autorizzano ad affermare che l'« indi-
pendenza» dei Brettii sia stata il portato di un'esigenza esclu-
sivamente interna a quel popolo. E possibile che una chiave di
lettura sia offerta dal passo già ricordato di Strabone (6, 1, 4:
255): « I Brettii. .. si liberarono grazie alla mollezza di quelli [i
Lucani], quando Dione combatteva contro Dionisio [il Giovane]
e mise in armi tutti contro tutti "· In tale situazione confusa di
alleanze pronte a ribaltarsi era forse funzionale disporre di al-
leati, sia pure momentanei, che si potessero fregiare di essere
un popolo politicamente autonomo e non invece una raccolta di
<< schiavi fuggitivi ». In quanto quel tipo di economia di rapi-
na che praticavano i Brettii ancora subordinati, benché in ma-
niera sempre più formale, ai Lucani poteva continuare a sussi-
stere anche senza l'autonomia politica e proprio in grazia del-
la ,, mollezza » di questi.
Che l'<< indipendenza » dei Brettii vada vista, almeno tenden-
zialmente, in funzione di un quadro di rapporti che supera i con-
fini territoriali dell'attuale Calabria è ipotesi che pare rafforzata
da numerose altre fonti, che esamineremo qui di seguito, dalle
quali non traspare affatto che dopo la data del 356 i Brettii si
siano dotati di istituzioni e di strutture tali da giustificare un'in-
terna esigenza di autonomia. Tuttavia, un accenno di autoglorifi-
cazione, e di autocoscienza, sembra si possa ricavare da Diodo-
ro Siculo (16, 15, 2): << si chiamarono Brettii perché i più erano
stati schiavi: infatti nella lingua locale gli schiavi fuggitivi erano
detti brettioi ». Ma contrasta l'espressione immediatamente suc-
cessiva, nella quale ritorna la definizione ,, gran quantità » (p/e-
thos), che è la stessa utilizzata da Diodoro poche righe più sopra
nello stesso contesto; e dalla quale non sembra si possa ricavare
che, almeno per quanto riguarda il nostro autore, tale autoco-
scienza si fosse di certo realizzata. In caso contrario, ci aspette-
remmo un termine proprio del linguaggio istituzionale e politico.
Infine, sembra che solamente il filone favorevole ai Brettii ricor-
49
di come l'« indipendenza » dai Lucani sia stata guadagnata con
una guerra, combattuta e vinta, contro gli antichi padroni (lu-
stin. 23, l, 13).
All'interno della« grande Lucania » fin allora unita dalla foce
del fiume Sele a Metaponto così da giungere almeno ali' istmo
di Lamezia, se non più a sud, intorno alla metà del IV secolo
(per l'esattezza nel 356) si individuò una partizione spettante
esclusivamente ai Brettii. I confini di questa sono esplicitati da
Strabone (6, l, 4: 255): « viene poi la Lucania lungo la costa
del mare Tirreno e di quello Siculo [ = lo Ionio]: sul primo dalla
foce del Sele fino a quella del Laos; sul secondo da Metaponto
fino a Thurii. Nell'interno i confini sono segnati dal territorio
occupato dai Sanniti e dall'istmo che unisce Thurii a Cerilli, che
si trova vicino a Laos, lungo trecento stadi. Poi vi sono i Brettii
che occupano una penisola composta da un 'ulteriore penisola
identificata da un istmo, che va dal golfo Scilletino a quello lp-
poniate ». Qualche riga più sopra Strabone aveva assegnato ai
Brettii tutta la costa fino allo stretto di Messina, per uno svilup-
po di 1350 stadi.
Su quanto ci è tramandato si possono compiere alcune osser-
vazioni. Intanto sui diversi criteri con i quali si sono identificati
i confini tra Lucani e Brettii sulla costa tirrenica, per la quale
si usano determinazioni naturali, e per quella ionica, per la quale
invece si usano città. Questa differenza sembra derivare dal fatto
che solamente sulla costa ionica si avevano città abitate da Gre-
ci, e quindi tali da costituire un riconosciuto valore di orienta-
mento e di delimitazione per i lettori. Infatti, sulla costa tirreni-
ca, al tempo della fonte utilizzata da Strabone, Poseidonia e
Laos erano state conquistate dai Lucani, e quindi avevano perso
sia autonomia sia valore di riferimento. Inoltre, sulla costa tirre-
nica, del confine tra Lucani e Brettii è data una doppia definizio-
ne: prima la foce del fiume Laos, poi la città di Cerilli. Per
quanto si sappia, questa contraddizione non ha finora trovato
giustificazione: si può solamente supporre che la conformazione
topografica di quel comprensorio abbia comportato un'incertez-
za, o un'alternanza, di attribuzione politica. Il tratto terminale
del fiume Laos divide a metà una pianura, a forma semicircola-
re, circondata dalla Catena Costiera, che la delimita a nord e a
sud con propaggini che giungono al mare. Sul promontorio me-
ridionale è situata Cerilli; sulla riva sinistra del Laos, presso la
foce, è la città di Laos abitata dalla metà circa del IV secolo.
50
Vista l'attuale conoscenza archeologica che si ha di questo im-
portante insediamento, sembra legittimo attribuirlo, o almeno
collegarlo, al popolo dei Brettii, una volta rcsisi autonomi. Così
che il confine sarà stato posto alla foce del fiume. In periodo
precedente, invece, la città di Laos, non ancora localizzata ar-
cheologicamente, era di pertinenza lucana, e invano i Thurini
nel 389 ne tentarono la riconquista. Dove sia localizzata la città
precedente la metà del IV secolo, come si è già detto, non sap-
piamo ancora: ma sicuramente in rapporto con il fiume, e di cer-
to in grado di dominare tutta la piana che termina a sud con il
promontorio di Cerilli. Così che, se questa interpretazione dia-
cronica è nel reale, prima del 356 effettivamente i Lucani, do-
minatori sia della città di Laos sia dell'intero poP.olo dei Bret-
tii, estendevano il proprio dominio fino a Cerilli. È però da no-
tare che, fino al 356, non si distingueva un territorio lucano da
uno brettio, in quanto la dominanza politica era esclusivamente
detenuta dai Lucani. Ma probabilmente in questa definizione
geografica non si voleva distinguere un confine politico, che ap-
punto non aveva ragione di esistere, quanto solamente una deli-
mitazione tra due forme diverse fra loro di sfruttamento territo-
riale: quello dei Lucani che accentravano la propria attività in
un organismo urbano, posto a dominare, per di più, un com-
prensorio favorevole all'agricoltura; e quello dei Brettii, rivolti
alla pastorizia e all'economia della selva, così come d'altronde
la conformazione dei luoghi posti a sud di Cerilli sembra natu-
ralmente favorire. D'altra parte, proprio il silenzio delle fonti
sembra far fede dell'ambiguo statuto della città di Laos: tanto
più che Strabone (6, l, 5: 255) considera Temesa, posta nel
comprensorio della foce del Savuto, la prima città dei Brettii che
si incontra viaggiando verso sud da Laos.
Le vicende successive al 356 attribuite dalle fonti letterarie a
iniziative brettie si svolgono generalmente nel comprensorio co-
sì delimitato. Le notizie tramandate si riferiscono in assoluta
prevalenza a episodi bellici. Come si è già accennato, è grazie
all'abilità guerresca contrapposta alla " mollezza '' lucana che i
Brettii si rendono autonomi. Il primo fondamento della loro po-
testà territoriale si manifesta nell'occupazione di alcune città fin
allora italiote: " e dapprima assediarono e saccheggiarono Teri-
na, in seguito Hipponion e Thurii e molte altre » (Diod. Sic. 16,
15, 2). Per Temesa (Strab. 6, l, 5: 255) si tratterebbe di una
conquista sugli Etoli: la notizia si rifà a ricostruzioni erudite e
51
mitografiche relative all'emporio di Temesa, sul quale era già
informato Omero. Probabilmente il comprensorio della foce del
Savuto, fino alla definizione brettia della sua pertinenza territo-
riale, era frequentato da nuclei di indigeni in rapporto con Siba-
ri, come si è indicato più sopra a proposito del ripostiglio mone-
tale di Santo Stefano di Rogliano.
Mancano del tutto determinazioni cronologiche assolute; si
può solamente supporre che le conquiste siano state progressive
nel tempo, anche a giudicare dalle diverse posizioni geografiche
rispetto alle zone interne dalle quali è probabile che i Brettii
avessero iniziato la propria espansione.
Diodoro Siculo (12, 22) dà notizia di un 'ulteriore conquista
da parte dei Brettii. Dopo la deduzione panellenica della colonia
di Thurii, i discendenti dei Sibariti, che avevano promosso l'ini-
ziativa ateniese, provocarono disordini nel corpo sociale della
nuova città, in quanto vi pretendevano una collocazione privile-
giata. I restanti coloni si ribellarono, tanto da espellere i presun-
tuosi Sibariti: questi, " fuggendo il pericolo che loro derivava
dalla rivolta, stabilirono un abitato sul fiume Traeis. E, passato
qualche tempo, ne furono cacciati dai Brettii e si dispersero ». I
fatti narrati si prestano a più di una cautela, anche se altri autori
narrano della secessione dei discendenti dei Sibariti dalla appena
fondata Thurii. Intanto, Diodoro è l'unico che precisa la colloca-
zione geografica del rifugio dei Sibariti: presso il fiume Traeis,
che è noto solo da questo passo e da un secondo (lambl., vit.
Pyth. 260), come luogo dello scontro tra Crotone e Sibari nel
510, fatale a quest'ultima. Si deduce che il fiume, generalmente
identificato con l'odierno Trionto, sia localizzato tra le due città;
e sembra contrario alla logica che la secessione sibarita si sia
diretta proprio verso i territori della tradizionale nemica.
Infatti, Diodoro stesso in un passo precedente (12, 11) non lo-
calizza geograficamente il luogo di rifugio dei Sibariti fuggiti da
Thurii. Collegando la notizia di Diodoro con un passo di Strabo-
ne (6, l, 14: 264) possiamo ricostruire l'esistenza di un fiume
chiamato Teuthras, posto tra la Siritide e la Sibaritide, che si ri-
porta a vicende ricostruite per il passato eroico e mitico della
Magna Grecia. Si può quindi supporre che, con maggior logica,
i Sibariti secessionisti si siano rivolti a un rifugio in direzione
della Siritide che, poco dopo la metà del v secolo, costituiva un
territorio sul quale si appuntavano, seguendo una tendenza già
attuata da Sibari nel VI secolo, le mire espansionistiche di Thu-
52
rii, tanto da condurre in breve a una guerra con Taranto, an-
ch'essa mossa da uguali, seppure opposti, desideri.
Tale ricostruzione comporta il riconoscimento di un errore
nella denominazione del fiume adottata da Diodoro; e una totale
incertezza circa l'effettiva azione dei Brettii. La determinazione
cronologica degli eventi tramandati da Diodoro è talmente vaga
che è legittimo supporre un'attività brettia sia precedente sia po-
steriore al 356. Si è infatti visto che non mancano attestazioni
circa il riconoscimento di questo popolo anche prima di tale da-
ta; ma altrettanto si è visto che episodi che comportassero un
rapporto formale, sia pure bellico, con città italiote venivano at-
tribuiti a Lucani. E ciò accadde proprio nel caso di Thurii. Vice-
versa, se la conquista della Sibari sul Teuthras avvenne dopo il
356, rimane da spiegare come i Brettii abbiano svolto attività
non di infima rilevanza oltre il confine dei propri territori. A
meno che tale evento non si ponga nel periodo della presenza
lungo la costa ionica, proprio tra Heraclea e Thurii, di Alessan-
dro il Molosso: presenza, come vedremo più sotto, che condusse
a rivolgimenti delle situazioni pregresse. Viste tutte queste in-
certezze derivanti dall'intrinseca lacunosità delle fonti letterarie,
non rimane, a proposito della Sibari sul Teuthras fondata dopo
il 444-443, che ricordare la notizia e sospendere ogni identifi-
cazione.
La prima conquista brettia di Terina, di Hipponion e di Thurii
non sembra abbia comportato per le tre città, e per le molte altre
anonime, un uguale destino successivo al 356. Le prime due
sembra siano state soggette ai Brettii per una ventina d'anni, fino
al tempo della spedizione di Alessandro il Molosso; Thurii, in-
vece, era di nuovo libera almeno già nel 344. In quest'anno, in-
fatti, transitava da Corinto verso Siracusa Timoleonte, con un
seguito di armati (Piut., Timo/. 16, 4; 19, 2): fatto scalo a Thu-
rii, tenne in custodia la città mentre i Thurini compivano una
controffensiva nei confronti dei Brettii. Ritornati vittoriosi gli
abitanti, Timoleonte restituì loro la città in fede.
Dieci anni più tardi si svolsero le vicende originate dalla pre-
senza di Alessandro il Molosso in Magna Grecia. Questo re del-
I'Epiro, zio di Alessandro Magno, fu chiamato dai Tarantini per
fronteggiare l'offensiva dei popoli italici, che già, verisimilmen-
te, avevano occupato Metaponto, a poca distanza da Taranto. Il
re, anche grazie ad accorte operazioni " diplomatiche " che si
inserirono a suo favore nelle esistenti rivalità interne ai Lucani,
53
condusse campagne fino alle porte di Poseidonia, sul mare Tir-
reno, e comunque, per quanto più da vicino ci riguarda, tenne
saldamente in suo possesso la costa ionica da Taranto a Thurii,
almeno dal 333. Alessandro fortificò il proprio campo militare
sulle sponde di un fiume, chiamato Acalandro, di non accertata
identificazione, ma posto tra Heraclea e Thurii: in quest'ultima
trasferì la sede di un incontro fra tutte le città italiote, che avve-
niva annualmente, solennizzato da riti religiosi. Fin allora l'in-
contro si volgeva a Heraclea, a segnare la predominanza che Ta-
ranto aveva sulle altre città italiote. Ma, guastatisi i rapporti fra
il Molosso e i Tarantini, lo spostamento della sede dell'incontro
indica chiaramente che la supremazia militare era ormai del re.
Il quale, facendo base su Thurii, si inoltrò verso la sponda tirre-
nica, separando il popolo dei Brettii da quello dei Lucani: forse
anche grazie alla non ancora compiutamente realizzata struttura-
zione dei primi. Riconquistate Terina e Hipponion, come si è
accennato, si diresse, presumibilmente via mare, a Poseidonia.
Da qui ritornato, incontrò il suo fato tra Pandosia e Cosenza nel
331.
È a questa data che troviamo la più antica menzione, in rap-
porto ai Brettii, di queste due città: Pandosia, già mitica sede
dei re enotri (Strab. 6, l, 5: 256), è localizzata<< poco sopra»
(cioè a sud, visto il generale orientamento delle antiche carte
geografiche) Cosenza, che sarà considerata, ma non sappiamo
esattamente in quale periodo, la capitale della confederazione
brettia.
Il racconto che tramanda Livio (8, 24) è, forse, il più dram-
matico ed esteso fra quelli che si riferiscono allo stesso episodio.
Si aggiunga solamente la menzione di un oracolo (Strab. 6, l,
5: 256) pronunciato per il re a Dodona, secondo il quale Ales-
sandro si doveva guardare dal fiume Acheronte e da Pandosia:
toponimi attestati nella sua terra natale, lontano dalla quale per-
tanto svolse la propria attività. Alessandro, dunque, verisimil-
mente sbarcato in un porto tirrenico di ritorno da Poseidonia,
si accinge ad attraversare verso est l'istmo per raggiungere Thu-
rii. Oltre che dall'esercito, è protetto da una guardia del corpo
formata da duecento Lucani, i quali avevano abbandonato il pro-
prio popolo a seguito di dissidi. Le piogge abbondanti ostacola-
no la marcia dell'esercito, specie quando si giunge nella valle
dominata su un lato da Cosenza, sull'altro da Pandosia. Brettii
e Lucani, con continue scorrerie, costringono il re a ridursi in
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una posizione difendibile, in quanto delimitata da un corso d'ac-
qua. Posto sulla difensiva, Alessandro si informa dei luoghi e
ne apprende i nomi, per lui fatali, di Pandosia e Acheronte. Per
sfuggire le sempre più pressanti imboscate degli Italici, e quel
lontano oracolo, il re tenta una sortita: nel traversare il corso
d'acqua ormai in piena per le persistenti piogge, viene trafitto
da un Lucano della sua guardia, il quale così spera di riguada-
gnare il favore della propria gente. Il corpo del re è travolto e
portato a valle dalle acque, da cui lo traggono i Brettii, facendo-
ne ludibrio di una parte e inviando la restante a Cosenza perché
anche in città si festeggi la vittoria e la morte dell'avversario.
Una donna brettia, con il pretesto di riscattare presso i Greci il
marito e i figli prigionieri, riuscì a ottenere quanto poté recupe-
rare della spoglia: ne seppellì una parte nei pressi di Cosenza,
e una parte riuscì a far giungere a Metaponto (oppure a Thurii:
Iustin. 12, 2, 15), da dove fu fatta pervenire in Epiro.
Al di là degli eventi narrati, dai quali si individuano le caratte-
ristiche fisse dei Brettii nella tattica militare, è possibile eviden-
ziare alcune particolarità. Innanzitutto la precisa evidenza che,
all'interno della società italica, si avessero divisioni politiche, o
sociali, tali da indurre gli appartenenti agli avversi partiti a
schierarsi in campi opposti, sia pure temporaneamente, come ac-
cade all'uccisore di Alessandro. L'evidenza si limita esplicita-
mente al mondo lucano; ma il ruolo svolto dalla donna brettia
a proposito dei resti mortali del re non sembra possa imputarsi
esclusivamente a sentimenti di misericordia. La figura di questa
donna si presta a un'ulteriore analisi: a quanto consta, è la se-
conda donna brettia che le fonti letterarie ci tramandano. La pri-
ma è quella leggendaria Brenia cui l'intero popolo dovrebbe la
propria denominazione: da un non definito status sociale in Giu-
stino (23, l, 12), è promossa a quello di regina nel testo di Gior-
dane, compilatore del VI secolo d.C. È stato proposto che queste
scarne indicazioni possano discendere da una realtà, altrimen-
ti per noi perduta, relativa a una funzione sacerdotale ricoperta
da un personaggio femminile, intorno alla quale, molto prima
del 356, i Brettii si riconoscevano come un'unità etnica. E ta-
le unità, solennizzata dai riti officiati dalla presunta gran sacer-
dotessa, promanava dal culto totemico del cervo, dalla cui de-
nominazione in lingua di origine illirica o « mediterranea ,. i
Brettii avrebbero tratto l'etnico. È noto almeno un parallelo a ta-
le proposta ricostruttiva: Servio Tullio istituì un santuario a Dia-
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na, protettrice dei cervi, nel quale avevano tutela gli schiavi fug-
gitivi (Festo p. 460 L.); non può sfuggire l'ulteriore assonan-
za con le vicende dei Brettii a proposito degli schiavi fuggitivi.
Non si hanno a disposizione altri elementi che rafforzino una co-
sì suggestiva ipotesi; comunque, dalle fonti letterarie sembra di
poter ricavare, almeno, che nella società brettia alla donna ve-
niva riconosciuto un ruolo distinto. Secondo quali esatti profili
e funzionale a quali precisi esiti non possiamo, oggi, dire.
Infine, è da notare che nella guerra contro Alessandro il Mo-
losso i Brettii non combattono da soli, ma in alleanza con i Lu-
cani. Questo può voler significare due cose: che il pericolo rap-
presentato dal re era tale da costringere ad alleanze anche non
desiderate; e che l'" indipendenza >> dei Brettii dai Lucani, sva-
nite quelle necessità proprie ai personaggi siracusani, fosse nel
frattempo ritornata a non essere formalmente rafforzata, ma sol-
tanto tacitamente praticata.
Terminata l'avventura del re Alessandro, si può supporre che
i Brettii riconquistarono Terina e Hipponion, oltre probabilmen-
te a rafforzare Cosenza. E ciò tanto più in quanto, narra Diodo-
ro (19, 2), tentarono anche la conquista di Crotone, andata a
vuoto grazie alla presenza di un esercito inviato in soccorso dai
Siracusani, fra i quali si distinse per valore Agatocle. Gli eventi
intorno a Crotone sono assai interessanti: in quanto in essi vedia-
mo per la prima volta attivo Agatocle, che parteciperà fino ai
primi anni del m secolo alle vicende della Magna Grecia e in
particolare a quelle brettie; e in quanto la storia interna di Croto-
ne sullo scorcio del IV secolo permette di intravedere anche al-
l'interno della dialettica tra ltalioti e Brettii. La narrazione di
questi eventi si ricava da alcuni capitoli di Diodoro ( 19, 2-10):
Agatocle, tornato a Siracusa dopo la vittoriosa alleanza con Cro-
tone, promuove un'azione politica contro i comandanti del corpo
di spedizione siracusano, accusandoli di aspirare alla tirannide.
Scacciato da Siracusa, Agatocle, insieme a un gruppo di esiliati,
tenta invano di impadronirsi di Crotone; da qui, ripara a Taran-
to, dove diventa capo di mercenari. Venuto in sospetto di trama-
re ribellione, Agatocle combatte a fianco dei Reggini contro un
esercito inviato per conquistare quella città dai tiranni siracusa-
ni. Questi ultimi sono scacciati nel 319: la loro caduta comporta
quella del partito oligarchico, composto cioè dai più ricchi pro-
prietari, che governava Crotone, con il conseguente esilio dei
più importanti oligarchi crotoniati e la venuta al potere del parti-
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to democratico. Gli oligarchi crotoniati, da Thurii, dove aveva-
no eletto rifugio, assoldarono mercenari e guerreggiarono contro
Crotone; i democratici, stringendo patti con i Brettii, ebbero
agio di rivolgere tutta la loro attenzione contro gli oligarchi, così
da riuscire a sconfiggerli definitivamente nel 317. La battaglia
decisiva avvenne nella zona di confine tra il territorio di Crotone
e quello della confederazione brettia.
Da questi eventi possiamo evidenziare almeno due importanti
elementi: quello relativo agli accordi tra i Brettii e i democratici
crotoniati; e quello relativo alla definizione di un confine tra
Crotone e la confederazione dei Brettii. Del primo troveremo ul-
teriore esemplificazione in eventi che si verificano durante la se-
conda guerra punica.
Si è generalmente visto in questi episodi, intesi complessiva-
mente, una specie di « alleanza internazionale » tra classi social-
mente inferiori, che non tengono conto della propria pertinenza
etnica e culturale. L'interpretazione appare legittima, sia pure
con la sua coloritura ideologica. Ma occorre considerare che le
divisioni interne a qualsiasi corpo socio-politico spingono i par-
titi che ne risultano a cercare alleanze all'esterno; e la scelta di
tali alleanze, se può essere condotta seguendo le analogie ideolo-
giche reciproche, talvolta è così essenziale alla sopravvivenza di
un partito da non permettere tale selezione. Nel caso specifico,
intorno al 319, i democratici al potere a Crotone si trovavano
stretti da due città italiote rette da regimi oligarchici: a nord
Thurii, nella quale proprio gli oligarchi crotoniati avevano tro-
vato asilo; a sud Locri, da sempre retta dalla principali famiglie
terriere, cristallizzate nelle « cento case ». Talché l'alleanza con
i Brettii pare sia stata una scelta obbligata per i democratici cro-
toniati.
Se le considerazioni fin qui esposte sono nel reale, esse proba-
bilmente aiutano a intendere meglio la notizia circa l'esistenza
di confini tra Crotone e i Brettii. Come si ricorderà, a poca di-
stanza verso nord da Crotone era la città di Petelia, ormai bret-
tia: il suo comprensorio naturale era delimitato verso Crotone
dal corso ultimo del fiume Neto. Si può supporre che gli accordi
stipulati tra Crotoniati e Brettii prevedessero la formalizzazione
di un tale segno naturale come confine << politico » tra le due sfe-
re d'influenza. Non sembra infatti, data la fluidità generale della
situazione politica sia della confederazione brettia in quel perio-
do sia, reciprocamente, delle città italiote in guerra fra loro e
57
sottoposte a interventi bellici da parte dei Siracusani, come si è
visto, che potessero esser stati formalizzati tutti i confini all'in-
terno dei quali veniva riconosciuta la legittimità del possesso
brettio. E, in questa luce, è forse possibile proporre che nei
Brettii che prima attaccano e poi proteggono i Crotoniati si deb-
bano intendere solamente gli abitanti di Petelia. La loro defini-
zione come Brettii va imputata alla visione pro-agatoclea della
fonte utilizzata da Diodoro: al fine di far risaltare la virtù del
personaggio impegnato non contro un solo cantone, ma contro
l'intera confederazione. E tale interpretazione, per quanto ipote-
tica, è da porre in serie con quanto più sopra si è proposto: esser
stata, cioè, sollecitata l'« indipendenza >> dei Brettii nel quadro
della politica estera siracusana. In quanto la città siceliota, a pre-
scindere dal regime che la governasse, disponeva di tale poten-
ziale economico da non potersi astenere da una politica « inter-
ventista '' anche molto al di là dello Stretto.
Apparentemente opposta all'interpretazione, se vogliamo ri-
duttiva, appena proposta circa la reale consistenza politica della
confederazione brettia nell'ultimo quarto del IV secolo è la noti-
zia, tramandata da Arriano, relativa a un'ambasceria dei Brettii
ricevuta da Alessandro Magno a Babilonia nel 323 (Anabasis 7,
15, 4). Arriano, vissuto nel n secolo d.C., narra la progressiva
conquista compiuta dal Macedone dell'immenso impero persia-
no. Ad Alessandro, tornato a Babilonia, giunsero ambascerie
dalla Grecia, dalla Libia, da Cartagine, dalla Scizia, dalla Gal-
lia, dall'Iberia: tutte rendevano omaggio al più potente re del
tempo. Anche dall'Italia vennero ambascerie « dei Brettii e dei
Lucani e degli Etruschi ,, . È preliminarmente da osservare che
Brettii e Lucani sono nominati insieme, sia pure a fare terna con
gli Etruschi: così da continuare a lasciare aperto il problema sul-
l'effettiva indipendenza, o sul grado di alleanza, fra i due popo-
li. L'estrema concisione della notizia non permette di sapere
quali, dei Brettii e dei Lucani, si presentarono ad Alessandro:
almeno ali' interno dei secondi si è visto che dieci anni prima esi-
stevano fratture assai profonde. I motivi che spinsero questi tre
popoli, comunque si dovessero configurare, fra quanti abitavano
in Italia a inviare ambasceria presso il Macedone non sono uni-
vocamente identificabili. Per i Brettii si può supporre che avesse
un ruolo anche il desiderio di sapere se Alessandro non avesse
intenzione di vendicare l'atroce morte dello zio, avvenuta pochi
mesi prima tra Cosenza e Pandosia; e forse anche i Lucani, o
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parte di essi, non erano insensibili al quesito. Ma non sembra
che la spiegazione vada ricercata in campi differenti per ognuno
dei tre popoli; ci si può infatti domandare perché proprio, e sol-
tanto, questi tre ritennero necessario farsi rappresentare fino a
Babilonia. Forse un motivo unitario, sia pure accentato diversa-
mente per ognuno di essi, può essere identificato nella comune
preoccupazione di Etruschi, Brettii e Lucani (questi due ultimi
in qualità di ramificazioni dei Sanniti) nei confronti della pro-
gressiva espansione dei Romani condotta ai loro danni. L'ultimo
quarto del IV secolo vede la Repubblica in guerra contro questi
popoli: con alterne vicende, ma con una progressione che non
lasciava di certo tranquilli i più lungimiranti degli Etruschi e dei
Sanniti. E si ricorderà che Livio svolge una minuziosa analisi
su quale sarebbe potuto essere l'esito di un'invasione dell'Italia
da parte di Alessandro Magno, se questi non fosse stato pago,
prima della sua prematura morte, della conquista dell'intera
Asia; e Livio enumera proprio i nemici che Roma, in quel perio-
do, combatteva sanguinosamente.
Tornando alle vicende che si intrecciavano nell'attuale Cala-
bria, si vede di nuovo come la nostra fonte principale d'informa-
zione è costituita da Diodoro, che narra estesamente le attività
di Agatocle. Questi, progressivamente, si impadronisce del po-
tere a Siracusa, fino a proclamarsene re nel 304: fin allora aveva
svolto una politica di alleanza con i Brettii, forse tramite i demo-
cratici di Crotone. Ai Brettii aveva consegnato gli ostaggi che
aveva tratto dalla città el ima di Segesta (Diod. Sic. 20, 71, 5)
nel 307. Dopo il 304 ad Agatocle chiesero aiuto i Tarantini con-
tro i Lucani: questa possibilità legittima di intervenire nella Pe-
nisola comportò un ribaltamento delle precedenti alleanze sira-
cusane. Entro il 298 tale ribaltamento conduce a precisi fatti
guerreschi: Agatocle, di ritorno dall'isola di Corfù, assedia la
città brettia di Ethai, ma i difensori, durante una notte, gli inflig-
gono perdite fino a quattromila uomini, così che la spedizione
è costretta a ritirarsi precipitosamente a Siracusa.
Veniamo così ad apprendere che i Brettii, lungo il litorale io-
nico, disponevano, oltre a Petelia, di una seconda città, che pe-
raltro viene ricordata solamente in questa occasione. Dove essa
fosse localizzata è impossibile dire: in considerazione dell'abi-
tuale teatro delle operazioni di Agatocle si può supporre fosse
posta tra Crotone e Thurii.
In seguito all'insuccesso sotto Ethai, Agatocle (Diod. Sic. 21,
59
4, 8) organizza una spedizione assai ragguardevole contro i
Brettii, intorno al 295. I preparativi siracusani per disporre di
trentarnila fanti e di tremila cavalieri impensierirono i Crotonia-
ti; ma Agatocle li tranquillizzò, assicurando che si trattava della
scorta necessaria ad accompagnare la figlia Lanassa promessa
sposa di Pirro, re dell'Epiro. Ma, ciò nonostante, il primo risul-
tato della spedizione fu proprio la conquista di Crotone, dalla
quale i Siracusani compirono scorrerie contro i Brettii. A tali at-
tività, Agatocle aggiunse un secondo teatro operativo: quello tir-
renico, che comportò la conquista di Hipponion, tolta ai Brettii
dopo circa sessant'anni di possesso italico. Agatocle insediò nel-
la città un forte presidio, assicurato dalla detenzione di seicento
ostaggi consegnati dai Brettii. La rottura dell'alleanza con Pirro,
quella successiva con Demetrio Poliorcete (che sposò nel 290 la
stessa Lanassa), infine la morte di Agatocle nel 289 comportaro-
no una caduta d'interesse per i fatti d'Italia. Tanto che, dopo un
intervallo di durata non definita, i Brettii poterono riconquistare
Hipponion, una volta massacrato il presidio siracusano e liberati
gli ostaggi.
La Repubblica romana si stava affacciando sul mare Ionio: ne-
gli ultimi anni del IV secolo aveva stipulato un accordo con Ta-
ranto che definiva le rispettive zone di influenza, delimitandole
al promontorio Lacinio nei pressi di Crotone.
Nel 285 Thurii fu assalita, forse più pesantemente del solito,
da Lucani e Brettii comandati da Stennio Statilio: è di nuovo da
notare l'accordo operativo che è documentato tra Lucani e Bret-
tii, e anzi il fatto che il comando della congiunta operazione è
attribuito a un Lucano. Messi alle strette, i Thurini chiedono
aiuto a Roma con un'ambasceria, nonostante le proteste elevate
dai Tarantini (App., Sann. 7, l) che vedevano, contrariamente
ai patti stipulati, un intervento romano al di qua del promontorio
Lacinio. Fino al 282 i Romani furono impediti dall'intervenire
a causa della guerra in corso con i Galli Se noni e Bo i: ma in
quell'anno riuscirono a inviare in difesa di Thurii il console
Gaio Fabrizio Luscino che, sconfitti gli Italici, ne trionfò cattu-
randone il capo Statilio. Il risolutivo intervento romano a favore
dei Thurini spinse Crotone, Locri e Reggio a fare altrettanto: co-
sì che ognuna di queste città ebbe un presidio romano.
La tensione tra Roma e Taranto sfociò nella guerra: i Taranti-
ni chiamarono al proprio fianco Pirro, re dell'Epiro, che per pri-
mo fece conoscere ai Romani, a proprio danno, gli elefanti nella
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battaglia di Heraclea (Piin., N. H. 8, 6, 16). Le alterne vicende
di questa guerra sono note, fino all'ambigua battaglia di Bene-
vento, che comunque certificò l'abbandono dell'Italia da parte
di Pirro (275); la conquista romana di Taranto nel 272, console
Lucio Papinio Cursore, consentì alla Repubblica un'indisturba-
ta, anche se progressiva, presenza in Magna Grecia.
In questo primo trentennio del m secolo, la scelta di campo
da parte dei Brettii parve obbligata: contro i Romani, e quindi
a favore di Pirro e, ironia della sorte, financo di Taranto, prima
fra quelle città italiote contro le quali i Brettii avevano da sem-
pre razziato. Tale alleanza è accertata dalla titolatura data al
trionfo di Lucio Papinio Cursore nel 272: " sui Tarantini, Luca-
ni, Sanniti e Brettii ». Questo trionfo è l'ultimo di una serie pra-
ticamente ininterrotta, iniziata come si è detto nel 282, che è do-
cumentata nel 278 nuovamente con il console Gaio Fabrizio Lu-
scino; nel 277 con Gaio Giunio Bruto; nel 276 con Quinto Fabio
Massimo Gurgite; nel 273 con Gaio Claudio Canina; e ancora
nel 272 con il secondo console Spurio Carvilio Massimo. I trion-
fi sono celebrati sui Brettii e su altri popoli italici: come si è vi-
sto, si tratta dei Lucani e dei Sanniti; l'alterna presenza di questi
indica che il teatro delle operazioni fu sempre la regione dei
Brettii, con offensive nelle regioni finitime.
Dalle fonti letterarie che tramandano della guerra di Pirro in
Italia apprendiamo ulteriori notizie sugli alleati Brettii. Fin dal-
l'inizio, intorno al 280, Pirro inviò Cinea come ambasciatore
presso i Romani: chiedeva impegni per la libertà e l'autonomia
sia delle città italiote sia dei popoli italici. Di questi sono elenca-
ti " i Lucani e i Sanniti e i Dauni e i Brettii » da Appiano (Sann.
fr. 10, 3), uno storico in lingua greca vissuto tra ili e ilu secolo
d.C., che scrisse opere sulle principali guerre combattute dai
Romani. Una fonte parallela, e più antica, è rappresentata da
Cecilia Calactino, probabilmente un sicelioto vissuto nel 1 seco-
lo: l'unico passo attribuitogli conserva lo stesso episodio narrato
da Appiano, ma significativamente aggiunge un" tutti » (pantas)
alla denominazione dei Brettii. Che quindi, a differenza di quan-
to accade nello stesso autore per gli altri popoli italici, solamente
i Brettii abbiano avuto bisogno di essere definiti come " tutti »
nella richiesta di libertà e autonomia non può essere un fatto ca-
suale. Sembra pertanto che tale particolarità possa essere inter-
pretata nel senso che, ancora nel 280, la figura istituzionale della
confederazione brettia non fosse perfetta, o accolta e riconosciu-
61
ta da tutte le forze in campo; e che quindi i Brettii erano meglio
noti come un insieme di cantoni o tribù, per il cui complesso,
e per i singoli componenti, Pirro chiedeva un impegno da parte
dei Romani. Com'è noto, nonostante l'eloquenza dispiegata, Ci-
nea non ottenne nulla: così nell'anno successivo si combatté ad
Ausculum, l'odierna Ascoli Satriano. Pirro schierò le sue truppe
con i contingenti più agguerriti alle ali (Dion. Hai. 20, l, l-3),
fra i quali i Brettii e i Lucani montati. Ciò nonostante, i Romani,
secondo la patriottica versione di Dionigi di Alicarnasso, riusci-
rono a battere questo settore del fronte avverso (20, 2, 6). Due
anni dopo Ausculum, nel 277, in un'opera di carattere militare
attribuita a Frontino e datata nel 1 secolo d.C. è narrato un epi-
sodio relativo a Crotone (3, 6, 4). Il console Cornelio Rufino
assediava invano la città: anche perché i Crotoniati avevano as-
soldato contingenti lucani mercenari. Vista la situazione di stai-
lo, il console fa allontanare l'esercito: ma contemporaneamente
corrompe un prigioniero affinché, fingendosi fuggitivo, rassicuri
i Crotoniati sulla definitiva volontà dei Romani di allontanarsi.
Così illusi, i Crotoniati licenziano i Lucani: e il ritorno improv-
viso dei Romani li trova stupefatti e deboli. L'episodio, situato
cronologicamente tra Ausculum e Benevento, indica·che l'oppo-
sizione ai Romani da parte delle città italiote, che poco prima
ne avevano sollecitato presidi, era assicurata esclusivamente, o
in maniera prevalente, da contingenti italici. Possiamo supporre
che questi fossero, in maniera non univocamente definibile,
d'intesa con Pirro: sia all'interno di una « strategia» generale
di opposizione ai Romani (ma anche agli ltalioti) sia grazie a
rapporti di mercenariato. Quest'ultimo poteva bensì avvenire a
carico del conto delle singole città italiote, ma sarà stato sicura-
mente imposto a queste da Pirro; altrimenti, pur scontando la
stringatezza della notizia e il suo carattere aneddotico, non si ca-
pirebbe la velocità con la quale i Crotoniati si sbarazzarono dei
loro alleati, evidentemente ingombranti. Infine, si sarà notato
che si parla di Lucani, e in un comprensorio che pochi anni pri-
ma sembrava popolato esclusivamente da Brettii. Non sembra
realistico interpretare il dato nel senso che tutti i Brettii fossero
impiegati altrove; forse in Frontino riusciamo a recuperare un
ulteriore indizio della supremazia lucana sui Brettii, tanto da co-
prire con una sola denominazione etnica una realtà composita
ancora nella prima metà del 111 secolo.
La vittoria su Pirro è segnata, secondo Dionigi di Alicarnasso
62
che nel corso del 1 secolo scrisse una storia di Roma fin dalla
più remota antichità, da un'intesa tra Romani e Brettii, secondo
la quale questi ultimi conservavano la propria autonomia, ma
consegnavano ai primi metà dell'estensione della Sila, così che
ne potessero sfruttare il legname e la pece (20, 15). L'esatta col-
locazione cronologica della transazione è stata posta in dubbio,
preferendole una datazione più bassa, al termine della seconda
guerra punica. Gli argomenti portati a favore di questa datazione
più recente sono costituiti dalla mancata menzione dei Brettii
ne li' elenco degli Itali ci alleati dei Romani impegnati a prestare
loro milizie all'inizio della seconda guerra punica (Polyb. 2,
24); e dal fatto che la deduzione della colonia latina di Valentia,
avvenuta nel 192 nel territorio di Hipponion, si verificò al limite
del territorio riconosciuto come pertinente ai Brettii (Li v. 34,
53, l; 35, 40, 5).
I due argomenti sembrano di valore ineguale fra loro: il secon-
do appare irrilevante a decidere, in quanto Hipponion, e quindi
Valentia, non è pertinente al comprensorio silano, dal quale è
separato verso nord dall'ampia piana di Lamezia. Ove per " Si-
la » si fosse inteso tutto il comprensorio interno de li' attuale Ca-
labria, e quindi la precedente osservazione non avesse alcun va-
lore, è da osservare che Dionigi non specifica quale delle due
metà sia stata consegnata dai Brettii ai Romani; e, vista la con-
formazione del comprensorio interno calabrese, Hipponion può
ricadere solamente nella metà meridionale di esso. Così che la
notizia di Livio non può essere assunta come prova sicura per
confutare Dionigi di Alicarnasso.
Ben più cogente è il primo argomento; tuttavia anche questo
può essere posto in dubbio, in quanto, piuttosto che supporre
che i Brettii fossero troppo scarsi di numero per richiedere una
menzione in quel contesto, si può ritenere, con il Toynbee (l,
p. 492), che l'omissione sia dovuta a negligenza. Tanto più che
la stessa lista riportata da Polibio non è esente da consimili omis-
sioni a proposito di tribù dell'Italia centrale.
La << pacificazione '' imposta da Roma sulla penisola al termi-
ne de li' impresa di Pirro comporta precise delimitazioni alle sfe-
re di attività sia delle città italiote sia delle popolazioni italiche.
Talché, per quanto riguarda più strettamente il nostro argomen-
to, le fonti letterarie non registrano avvenimenti di rilievo fino
all'esplicarsi della seconda guerra punica.
Forse a questa fase cronologica, quasi di stallo, si riferiscono
63
due passi di Strabone (6, l, 2: 253-254): solamente Taranto,
Reggio e Napoli conservano costumi greci, mentre il resto della
Magna Grecia, e in specie le zone interne, risulta abitato da Lu-
cani, Brettii e Campani. Inoltre, questi popoli italici si distin-
guono per proprie caratteristiche relative alla lingua, all'arma-
mento, al costume dell'abbigliamento, per quanto non abbiano
organizzato un sistema istituzionale riconosciuto.
Queste informazioni letterarie trovano un parziale riscontro
materiale nell'evidenza che l'archeologia ha portato in luce, e
che sarà analizzata nel capitolo successivo: ciò che si può dire
fin d'ora è che tale evidenza archeologica si riferisce prevalente-
mente proprio al periodo cronologico in argomento. Circa le ca-
ratteristiche dell'armamento, si ha notizia che i Brettii adopera-
vano una forma particolare, peraltro non descritta, di scudo di
piccolo formato, forse da cavallo, detto " bruttiana >> (Festo p.
29, l L.).
Oltre a queste, si possono forse aggiungere alcune altre notizie
letterarie. La prima è riportata da Ateneo (3, 84, 116) in una
sorta di raccolta di notizie, dei più vari argomenti, che si finge
siano raccontate da una compagnia di sapienti riuniti per cena:
da qui il titolo dell'opera, Dipnosophistae, redatta nel II secolo
d.C. La notizia è relativa al commercio di pesce salato, da Ta-
ranto alla Grecia, ad opera di Campani e Brettii. Così isolato,
il passo è scarsamente utilizzabile, ma apre indicazioni tanto sul-
la effettiva percezione, da parte dei Greci, dell'esistenza di ca-
ratteristiche distintive proprie dei Brettii quanto sullo spettro
delle attività produttive praticate da questo popolo.
Un'altra notizia si riferisce all'attribuzione ai Brettii della città
di Tisia: questa non è ancora stata identificata sul terreno, ma
Appiano (Hann. 44) la considera nei pressi di Reggio, quindi nel
settore più meridionale deli' odierna Calabria. La definizione è
relativa al periodo della seconda guerra punica, la quale è ana-
lizzata in una delle opere che sono state tramandate di Appiano,
vissuto tra il I e il II secolo d.C. Si può quindi proporre, anche
in forza di quanto riconosciuto da Strabone (6, l, 2: 253), o me-
glio da una sua fonte, che il territorio riconosciuto come proprio
dei Brettii ha ormai travalicato quel settore interno più setten-
trionale, incentrato sulla Sila, che è stato ali 'origine della sfera
d'influenza lucano-brettia nell'attuale Calabria. Sfera d'influen-
za che nella prima metà del IV secolo, in periodo precedente al-
la ribellione brettia, già conosceva tendenze a espandersi verso
64
sud, se Dionisio I progettò di costruire uno sbarramento lungo
l'attuale Aspromonte, che servisse a tenere al sicuro i possedi-
menti locresi del tiranno siracusano (Strab. 6, l, IO: 261).
È altresì in questo periodo che si può supporre che Cosenza
venisse considerata come « capitale '' della confederazione bret-
tia (Strab. 6, l, 5: 256). Si sono già espresse cautele e riserve
circa l'effettiva sostanza e incidenza, su tutti i gruppi cantonali
dei Brettii, dell'istituzione confederale. Tuttavia, le fonti lettera-
rie, pur con le eccezioni già sottolineate, fanno esplicito riferi-
mento a tale organizzazione, indicando per di più la sede della
capitale. Si può proporre che sia stata proprio la cessione di me-
tà della Sila alla Repubblica romana, conseguente alla fine della
guerra contro Pirro, l'evento che deve aver contribuito a una
sorta di stabilizzazione, o di rafforzamento, delle istituzioni
brettie, compresa anche l'identificazione di una sede stabile e
fissa, come ad esempio Cosenza, nella quale procedere alla pe-
riodica verifica del trattato e dei conseguenti provvedimenti.
Comunque si debbano ricostruire le situazioni e gli eventi po-
sti al centro del m secolo, è di sicuro nei due ultimi decenni del
secolo che si verifica la fine traumatica dell'entità brettia. Si è
già accennato che, all'apparire in Italia di Annibale e a seguito
delle sue vittorie fino al Trasimeno, il Senato romano provvide
a richiedere, in esecuzione dei patti stipulati, truppe ausiliarie
agli alleati italici. Nonostante la coscrizione, Lucani e Brettii,
per quanto ci riguarda, militarono a favore dei Cartaginesi appe-
na questi si spinsero in direzione dei rispettivi territori (Li v. 22,
61, 11-12). Tale atteggiamento risulta un, per così dire, automa-
tico riflesso di tutta la storia precedente di questi popoli, raffor-
zato inoltre dalla costante alleanza che univa a Roma le classi
dominanti delle città italiote, esclusa Taranto. Queste infatti, co-
me si è visto, avevano richiesto, e ottenuto, fin dall'inizio del
secolo lo stanziamento di presìdi romani, anche grazie ai quali,
possiamo supporre, le classi dominanti italiote prolungavano la
propria supremazia. L'esito della battaglia di Canne (216) fece
precipitare una situazione già posta in precario equilibrio; ma
ciò non avvenne senza contraddizioni. Ricorda Livio (23, 20, 4)
che dei Brettii i soli Petelini rimasero alleati ai Romani, trovan-
dosi così a combattere sia contro gli altri Brettii sia contro i Car-
taginesi: tanto da dover richiedere ai Romani l'invio di un
presidio.
La situazione di Petelia viene ricondotta alla norma in tempi
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brevi (Liv. 23, 20, 7); ma gli eventi intercorsi meritano un'at-
tenta analisi. Infatti, una parte della popolazione della città non
fu affatto soddisfatta della decisione presa, tanto che iniziò una
sorta di guerra, interna alla stessa città, fra i due partiti, filo-
romano l'uno, filopunico l'altro. La connotazione dei due partiti
è facilmente identificabile: i primi erano membri delle classi do-
minanti, mentre erano popolari i secondi. La richiesta di aiuto
rivolta al Senato romano non fu accolta, così che i Petelini filo-
romani furono costretti a mutar parere. Una parte fuggì dalla cit-
tà rifugiandosi a Roma, un'altra si confuse con i restanti Peteli-
ni, diventando anch'essa filopunica. Gli eventi narrati dimostra-
no che anche all'interno di Petelia, come già nelle città italiote,
esisteva una violenta dialettica sociale, la quale trovò alimento
e ulteriore motivo per manifestarsi in concomitanza di turbative
di ordine più generale, come appunto la guerra tra Cartaginesi
e Romani. Antagonismi che prestavano il destro all'identifica-
zione di alleati: come spesso avviene, i conflitti interni si tingo-
no di alleanze esterne.
Sempre Livio (23, 30, 5), sia pure con minori particolari, ci
fa intravedere l'esistenza di una dialettica analoga anche all'in-
terno di Cosenza. La città, infatti, « difesa con minor costanza »
(rispetto a quanto era accaduto a Petelia), fu presa da Imilcone,
generale di Annibale. Nella più breve resistenza che Cosenza
oppose ai Cartaginesi sembra legittimo intendere una minore di-
varicazione fra le classi sociali cosentine rispetto a quanto si era
verificato a Petelia. Si può inoltre supporre, richiamando un'i-
potesi poco sopra esposta, che il ruolo che Cosenza ricopriva nei
rapporti ufficiali tra Brettii e Romani a proposito dello sfrutta-
mento della Sila abbia avuto un peso, prima nell'evidenziare un
ceto privilegiato ali 'interno dei suoi abitanti, poi nella resisten-
za, sia pure di breve durata, opposta ai Cartaginesi assedianti.
Se, quindi, per Cosenza possiamo ipotizzare un motivo specifico
in quelle evenienze, una simile possibilità, sia pure ipotetica,
manca per Petelia da quanto ci tramandano le fonti letterarie. E
occorre quindi rifarsi, per spiegare una così feroce contrappo-
sizione interna, a categorie generali d'ordine socio-economico.
Ove la spiegazione abbia riscontro nella realtà antica, ne deri-
va un'ulteriore conseguenza: cioè che Petelia, per proprie carat-
teristiche che bisognerà collegare alla sfera della produzione e
dell'economia, abbia seguito un processo di evoluzione partico-
lare e distintivo rispetto a quello seguito dagli altri cantoni bret-
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tii. A Petelia solamente, con la breve eccezione di Cosenza, si
sarebbero cristallizzati, o comunque identificati, due strati socia-
li gravemente contrari l'uno all'altro: esito, appunto, se non uni-
co fra i Brettii, almeno qui evidenziato storiograficamente.
La causa economica di tale situazione non sembra possa essere
messa in dubbio, anche se le conoscenze acquisite non ci per-
mettono di determinarne la fattispecie. Da notizie di epoca impe-
riale apprendiamo de li' esistenza di una pregiata e particolare
produzione vinicola a Petelia: non è certo possibile dire se già
nel 111 secolo fosse iniziato uno sfruttamento agricolo così spe-
cializzato. Il quale, tuttavia, potrebbe agevolmente spiegare l'ar-
ricchimento di poche famiglie, e quindi il loro predominio sul
resto della popolazione.
Proprio il controllo della produzione agricola determina la
predominanza di un ceto sociale su li' altro ali' interno delle città
italiote; e anche, in queste, le contrapposizioni fra classi le por-
tano ad allearsi alternativamente a uno dei due contendenti. Ro-
mani e Cartaginesi - questi ultimi con i loro alleati e subordinati
Brettii - proteggono, rispettivamente, gli ottimati e i popolari.
A Locri (Liv. 23, 30, 8) il presidio romano non bastò a frena-
re la consegna della città, richiesta con turbolenza dal popolo,
sobillato da Cartaginesi e Brettii. Gli ottimati ottennero sola-
mente di salvare se stessi e le truppe romane: pertanto riuscirono
via mare a rifugiarsi in Reggio. I Cartaginesi stipularono un'al-
leanza equa con i Locresi (Liv. 24, 1), mettendo così un ostaco-
lo alla volontà di saccheggio manifestata dai Brettii.
Questi intrapresero la conquista di Crotone, nella quale la si-
tuazione sociale sembra fosse analoga a quella di Locri: con la
variante che il partito popolare era capitanato da Aristomaco, il
cui nome indica un'origine nobile. Si tratta, forse, di un figlio
cadetto, o di un individuo nobile di nascita ma economicamente
decaduto. Aristomaco è favorevole all'alleanza con i Cartagine-
si, in odio alla politica filoromana condotta dagli ottimati. Ma,
di fronte alla conquista da parte dei Brettii della città bassa, an-
che lui si rifugia, come fanno i nobili, all'interno della sicura
fortezza dell'acropoli. Da qui, i Locresi ottengono che i nobili
crotoniati siano trasferiti per sicurezza a Locri (Li v. 24, 2-3).
Dagli eventi svoltisi a Crotone si apprende che i Cartaginesi, e
in particolare Annibale, svolsero un gioco di equilibrio assai dif-
ficile nei confronti degli ltalioti - che essi volevano al proprio
fianco e non a quello dei Romani - e dei Brettii, alleati utili ma
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ingombranti e pericolosi a causa della loro violenza e ferocia.
La rappresentazione senza mezze tinte è opera di Livio, per
comprendere l'atteggiamento del quale è opportuno riportare te-
stualmente un passo (24, 2): << quasi un'epidemia aveva conta-
giato tutte le città d'Italia, così che le plebi dissentivano dagli
ottimati: questi erano favorevoli ai Romani, quelle invece vole-
vano porre le città a discrezione dei Cartaginesi "· Ma, ciò no-
nostante, non siamo legittimati a credere che il diverso atteggia-
mento dimostrato nei confronti dei Brettii sia dovuto solamente
alla partigianeria dello storico: doveva, cioè, esistere una pro-
fonda consapevolezza, basata su li' esperienza, circa l' impossi-
bilità per gli Italioti di convivere produttivamente con i Brettii.
Tale situazione è in parziale contraddizione con quanto abbiamo
visto essere accaduto a Petelia: in questa città, sicuramente e
unicamente brettia, un partito è filoromano a costo dell'esilio.
E inoltre nello stesso contesto liviano ora utilizzato, cogliamo
un'ulteriore contraddizione. Quando si narra che '' lungo la va-
sta estensione delle mura [di Crotone] erano stati situati rari po-
sti di guardia costituiti da ottimati; ovunque invece vi fossero di
guardia uomini della plebe, là si poteva avere accesso [per i
Brettii assedianti] >>. Possiamo supporre che tra i plebei vi fosse
minore coscienza della sostanziale differenza tra Cartaginesi e
Brettii? Non sembra possibile, anche se possiamo supporre che
negli strati più bassi delle popolazioni italiote, in specie in quei
ceti rivolti ali 'attività agricola svolta al di fuori del circuito urba-
nizzato, fossero avvenute commistioni con individui brettii, e
che comunque, per necessità, si fosse instaurato un reciproco
equilibrio.
Piuttosto, proprio in conseguenza dell'avvenuta stratificazione
sociale realizzatasi a Petelia, che abbiamo supposto basata su at-
tività produttive significanti, possiamo proporre che i ceti domi-
nanti degli Italioti temessero di essere soppiantati dai ceti domi-
nanti brettii proprio nel controllo delle principali attività produt-
tive. Non occorre infatti dimenticare che, in specie i Crotoniati,
avevano sott'occhio la situazione che si era venuta sviluppando
a Petelia, dalla quale distavano una ventina di chilometri. E,
inoltre, era sicuramente di pubblico dominio quant'era accaduto
a Poseidonia e a Laos, città italiote conquistate intorno alla fine
del v secolo dai Lucani. Per Poseidonia ci soccorre una fonte
letteraria, dovuta ad Aristosseno, filosofo tarantino vissuto nel
IV secolo, quindi vicino ai fatti narrati e pertanto informatore au-
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torevole. La not1z1a è confluita nella raccolta di Ateneo (14,
632a) e si riferisce a una costumanza dei Poseidoniati sotto il
dominio lucano: nella ricorrenza di una loro solennità religiosa,
essi erano soliti riunirsi lungo la spiaggia in abito da cerimo-
nia; con tristi atteggiamenti, ricordavano le antiche tradizioni,
la lingua, i costumi: tutte particolarità ormai perdute. Proprio il
fatto che queste venissero ricordate, sia pure in un contesto così
privo di speranza, dimostra che i Poseidoniati possedevano an-
cora il patrimonio della tradizione. Sembra quindi che la notizia
vada intesa nel senso che i Poseidoniati lamentassero, in quel-
l'annuale ricorrenza, la perdita subìta del controllo, politico e
produttivo, della propria città, sottratto loro dai Lucani; i quali
ultimi non potevano vantare tradizioni e cultura tanto elevate e
nobili come quelle dei Poseidoniati. Di Laos non abbiamo docu-
mentazione letteraria, ma possiamo supporre che i fatti si siano
svolti non diversamente da Poseidonia. Ci sembra quindi com-
prensibile l'atteggiamento dei Crotoniati, più arrendevole nei
confronti dei Cartaginesi, dominatori possibili ma di lontana se-
de, e invece fermamente contrario nei confronti dei Brettii, vici-
ni e ben sperimentati.
Il coinvolgimento dei Brettii nell'ultimo decennio della guerra
punica non si limita a quanto appena esposto, che portò a un'e-
sclusione quasi completa dei Romani dal territorio dell'attuale
Calabria. A Thurii, infatti, Annibale deportò gli abitanti di Her-
donia, una città della Daunia, non fidandosi dei Thurini; e sola-
mente Reggio restò fedele a Roma. La dialettica sociale che ab-
biamo visto operante a Locri e a Crotone comportò per i Romani
anche la perdita di Taranto nel 212; nel 209 Fabio Massimo vi
pose l'assedio con un esercito nel quale militavano anche Taran-
tini, che siamo autorizzati a supporre appartenessero al partito
filoromano di quella città. Uno di questi amava teneramente una
sorella, rimasta a vivere nella città assediata (Plut., Fab. Max.
21). Essa aveva una relazione con il comandante della guarni-
gione disposta da Annibale a difesa di Taranto; il comandante
era un Brettio. Dal resto non si evince se tutta la guarnigione
fosse composta solamente da Brettii, oppure anche da rappresen-
tanti di altri popoli. Rimane il fatto che il Brettio doveva rappre-
sentare una posizione emergente. Proprio su tale considerazione
gioca il Tarantino, che, fingendosi disertore, sollecita la sorella
perché faccia dimostrare al suo amante barbaro la propria auto-
rità e potenza nel favorire una parte piuttosto che un'altra. E i
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ragionamenti, uniti alle seducenti grazie della fanciulla, insieme
alla promessa di ricchi doni da parte di Fabio, indussero il Bret-
tio « amante e insieme mercenario '' a cambiare bandiera. Que-
sta versione è riportata, nel suo schema, anche da Li v io (27,
15); ma Plutarco aggiunge una seconda versione, secondo la
quale era Fabio Massimo ad avere un'amante brettia: essa, nel-
l' assedio, apprese che il comandante della guarnigione brettia
era « suo conterraneo e di nota stirpe''· Condusse, quindi, un
incontro con quel comandante, convincendolo ad allearsi con i
Romani. Questa seconda versione, alla quale tuttavia Plutarco
sembra attribuire minore credito, anche perché nel capitolo suc-
cessivo (22) ritorna alla prima, indica tuttavia ugualmente una
situazione di differenziazione sociale all'interno dei Brettii. Nel-
l'amante di Fabio possiamo vedere un parallelo con i fuorusciti
lucani che, più di un secolo prima, formavano la guardia del
corpo di Alessandro il Molosso; e del comandante brettio è data
una connotazione sociale distintiva rispetto alla media del popo-
lo. Come in realtà si siano svolti i fatti, ai Brettii componenti
la guarnigione la presa di Taranto da parte di Fabio Massimo
non portò che sventure: infatti egli ordinò subito che venissero
passati a fil di spada « perché non si sapesse che la presa della
città era dovuta al tradimento ''. E come sia andata per i due
amanti non sappiamo.
La conquista di Taranto da parte dei Romani conduce a un
progressivo indebolimento delle posizioni cartaginesi. Nello
stesso anno gli Irpini, i Lucani e gli abitanti di Volcei si arrendo-
no ai Romani (Liv. 27, 15, 2-3). A queste delegazioni erano uni-
ti i due fratelli Vibio e Paccio, « di gran lunga i più nobili della
gente brettia ». A loro il console Quinto Fulvio promette, in ca-
so di resa, le stesse condizioni pattuite con i Lucani. Della resa
dei Brettii, fino al 204 e all'anno successivo, sembra non sia
successo nulla, a seguire Livio. Ma la notizia riveste un interes-
se specifico, in quanto conferma la divisione che già si era intra-
vista all'interno sia dei Brettii in generale sia delle singole città.
Inoltre, questa, a quanto consta, è l'unica menzione letteraria a
noi pervenuta di individui brettii distinti con un nome proprio,
di chiara pertinenza linguistica italica, i quali sono ascritti a un
ceto nobile. Livio, in questo passo, conferma l'esistenza di clas-
si differenziate dal punto di vista sociale.
La progressiva pressione dei Romani costringe Annibale a riti-
rarsi, insieme ai Lucani ancora fedeli, nel territorio dei Brettii,
70
posto<< nell'ultima estremità dell'Italia>> (Liv. 27, 51, 13). Qui,
gli eserciti avversi si danno a scontri e a scorrerie; la tipologia
delle tecniche militari adottate in questo scorcio della guerra pu-
nica è più quella di una guerriglia che di uno scontro regolare:
,, gli scontri si svolgevano nel territorio dei Brettii piuttosto co-
me scorrerie di briganti che come vere battaglie. Dapprincipio
si comportarono così i Numidi, ma i Brettii si adeguarono non
tanto per l'alleanza con i Cartaginesi, quanto per propria dispo-
sizione. Infine, anche i soldati romani, quasi contagiati, si diede-
ro a scorrerie nei campi dei nemici, per quanto glielo permette-
vano i comandanti,, (Liv. 29, 6, 2). Dalla notizia si ricava la
persistenza dell'organizzazione militare dei Brettii che abbiamo
visto operante fin dalla loro prima apparizione sul palcoscenico
della storia alla metà del IV secolo, persistenza che sarà forse
stata rafforzata dalla ferocia degli ultimi sprazzi di quella guerra
fatale e dalla consapevolezza della vicina sconfitta. Ma si può
forse anche ricavare che, fra le truppe romane, militassero con-
tingenti brettii, ai quali in particolare i comandanti davano licen-
za di compiere scorrerie nei confronti dei cantoni che ancora ri-
manevano contrari ai Romani. È questa una tragica consuetudine
delle guerre che vedono contrapposti gruppi appartenenti allo
stesso popolo; ma non possiamo dimenticare, nonostante il mo-
ralismo di Livio, che nella guerra si manifestano i peggiori istin-
ti dell'uomo, e che quindi anche soldati non brettii non saranno
rifuggiti dal commettere atti di saccheggio e di brutalità.
La strategia di accerchiamento e di pressione su Annibale
messa in atto dai Romani si completa con lo sbarco in Africa
condotto da Scipione: così che i Sufeti richiamano a difendere
la città Annibale, il quale lascia l'Italia da Crotone. Qui, nel ve-
nerato santuario di Hera Lacinia, in precedenza saccheggiato, il
Cartaginese erige una dedica bilingue, a memoria delle sue ge-
sta. La partenza dell'esercito punico riduce i Brettii allo stremo:
Livio, all'anno 204 e al successivo, sia pure con un sospetto di
duplicazione, registra le progressive rese di gruppi brettii identi-
ficati con il nome di alcune città. << Nel territorio dei Brettii
Clampezia fu conquistata con la forza del console, mentre Co-
senza e Pandosia e altre 'città' di scarsa importanza si arresero
a discrezione,, (Liv. 29, 38, l: anno 204); <<Si arresero al con-
sole Gneo Servilio, che era nel territorio dei Brettii, Cosenza,
Aufugo, Berge, Besidie, Ocricolo, Linfeo, Argentano, Clampe-
zia e molti altri popoli di scarsa importanza, poiché vedevano
71
che la guerra punica illanguidiva'' (Liv. 30, 19, 10: anno 203).
Dei toponimi registrati, Cosenza è nota; Clampezia sembra es-
ser stata di collocazione tirrenica, forse nel comprensorio dell'o-
dierna Amantea; Aufugo è tramandato come distintivo dell'o-
dierno comune di Montalto Uffugo, e così Argentano per San
Marco Argentano; ma queste identificazioni, e le altre, non sem-
brano sostanziarsi di evidenze controllate. Piuttosto, nei due
passi paralleli Livio adopera due espressioni che meritano un'a-
nalisi più approfondita. I gruppi brettii che si arrendono vengo-
no definiti dapprima civitates e poi populi: fa peraltro contrasto
che nel primo passo si ricordino solamente due città, mentre nel
secondo se ne ricordano otto. Il valore semantico di civitas è più
ampio di quello della parola italiana città: nel termine latino è
compreso anche il significato di gruppo organizzato che si rico-
nosce come un insieme, corrispondendo così perfettamente al
valore di populus. Si potrebbe quindi intendere Li v io come in-
terprete di una situazione organizzativa dei Brettii, nella quale
non era tanto importante la città, come punto materiale di aggre-
gazione e di recapito, quanto piuttosto un'organizzazione canto-
nale, in origine tribale, che, a seguito della progressiva comples-
sità in parte raggiunta in parte assunta per induzione dalla cultu-
ra esterna, ha un luogo abitato come riferimento nei confronti
degli altri popoli. È invece perfettamente parallelo, nei due pas-
si, l'uso dell'aggettivo ignobiles: la nostra traduzione(« di scar-
sa importanza '') tende più al significato di contesto che a quello
letterale. L'etimologia del termine lo riporta alla sfera del no-
to/ignoto: e quindi al concetto del regolamento opposto a quanto
è, invece, lasciato al caso. Ne è stato proposto un collegamento
al termine greco asemos, attribuito ad alcune città che, non
avendo coniazioni proprie, risultavano pertanto '' non distinte ''·
Non sappiamo quale sia stata l'effettiva presa di coscienza di
queste vicende da parte di Livio e, prima, da parte degli estenso-
ri degli annali ufficiali della Repubblica. Di certo, possiamo solo
immaginare lo sforzo fatto per tentare di definire comunità non
distinte, appunto, da moneta coniata, da magistrature istituzio-
nalmente perfette e rappresentative, da città formalmente e com-
piutamente strutturate: tanto più che la presunta confederazione
brettia, se strumentalmente ed episodicamente esistente, non era
comunque tale da poter pretendere di rappresentare tutti i canto-
ni brettii. Così che populi e civitates sembrarono i termini più
rappresentativi delle realtà con le quali i Romani vennero a con-
72
tatto negli ultimi anni del 111 secolo, e la loro difficoltà di defini-
zione si rivela nell'aggettivo ignobiles, nel quale invece non si
deve vedere un intento dispregiativo.
La sconfitta militare, le rese a discrezione, il consolidamento,
pur nelle traversie subite, delle città italiote sotto la protezione
romana contribuiscono a limitare le possibilità di espansione dei
Brettii dopo la guerra punica. Tanto più che, nel 194 e nel 193,
vengono dedotte colonie, di diritto latino e di diritto romano, po-
ste quasi a delimitare il territorio degli ltalici: da Buxentum a
Tempsa a Valentia corre il controllo lungo il litorale tirrenico;
su quello ionico si pongono Copia, nel territorio di Thurii, e
Crotone; con Petelia, nella quale evidentemente si reintegra il
partito filoromano, si rinnova un precedente trattato; Reggio e
Locri rimangono sotto il controllo degli ottimati. Ciò non signi-
fica, tuttavia, che non si possa intravedere, almeno nella genera-
zione successiva alla fine della guerra punica, una risorgenza
delle antiche caratteristiche di opposizione ai regimi organizzati
che si andavano espandendo. Nel 186 si diffonde, << come una
pestilenza » (Li v. 39, 14), una serie di agitazioni derivanti dalle
associazioni dei fedeli del culto di Bacco; ma alle stranezze pro-
prie di quei riti si aggiungono turbolenze che paiono di carattere
sociale, trovando alimento nelle popolazioni rurali e negli strati
più bassi dell'Urbe. Il Senato dà mandato ai consoli Quinto Mar-
cio e Spurio Postumio di porre in atto ogni provvedimento ne-
cessario a estirpare tali turbative. Così che i consoli, come di
consueto, recepito il parere del Senato, emanarono un editto che
fu inviato in copia alle autorità periferiche affinché, nel termine
di dieci giorni dalla ricezione del testo, venisse data esecuzione
alle disposizioni. Queste riguardavano i modi di riunione, di
svolgimento dei riti, della raccolta di denaro a favore dei cul-
ti bacchici e tendevano a estirpare completamente, anche con
sentenze capitali, il problema. La sorte ha voluto che una co-
pia dell'editto sia stata ritrovata, nel xvii secolo, a Tiriolo: si
tratta di una tavoletta in bronzo, attualmente conservata nel mu-
seo di Vienna (CIL 12 2, 581; ll.S 1 18). Nell'ultima riga dell'i-
scrizione, con una grafia diversa, è indicato il luogo di affissio-
ne: '' in agro Teurano >>. Si tratta cioè della copia che il pretore
di quel comprensorio aveva curato fosse esposta « in quel luo-
go, nel quale possa essere facilmente conosciuta >>; e la sfera di
competenza non è ristretta a una città, ma a un intero territorio
( = ager). Purtroppo, le condizioni della scoperta non sono regi-
73
strate con l'auspicata esaustività, così che non conosciamo il
contesto nel quale il documento era stato affisso; sempre che es-
so sia stato ritrovato nella collocazione originaria, e non invece
in reimpiego, ad esempio raccolto in una fonderia per riutilizzar-
ne il metallo. Non sappiamo, inoltre, se nel territorio teurano
le agitazioni dei Baccanti avessero raggiunto livelli più pericolo-
si che altrove, ma sembra che non se ne possa dubitare, data la
precisazione di Livio a proposito degli ambienti nei quali il mo-
vimento era più virulento. E di certo, all'interno dell'attuale Ca-
labria, dov'è localizzata Tiriolo, sembra che l'agricoltura e an-
cor· più la pastorizia potessero essere le attività produttive domi-
nanti, forse esercitate prevalentemente da gruppi di Brettii. Ri-
sulterebbe, quindi, che questi, anche a causa del modo di produ-
zione cui erano ridotti, soffrissero di tali ristrettezze da cogliere
ogni occasione, come ad esempio la partecipazione ai riti bac-
chici, per tentare di infrangere le regole imposte dai vincitori.
Nell'ultimo quarto del II secolo vengono dedotte le colonie
graccane, con le quali si voleva offrire una possibilità di sussi-
stenza alle classi più povere: i campi da condurre venivano indi-
viduati in quell' ager publicus che Roma aveva richiesto ai popo-
li progressivamente vinti e che era entrato così nel demanio della
Repubblica. Probabilmente, una di queste colonie fu dedotta a
Cosenza: e questo può aver causato problemi di convivenza tra
i Brettii, che continuavano a sfruttare la Sila secondo le tradizio-
nali tecniche, e i nuovi venuti a dissodare quelle terre. È questa
la situazione che il costruttore della via publica che unisce Reg-
gio a Capua si vanta di avere regolarizzato nello stesso periodo:
<< e per primo feci in modo che i pastori cedessero l 'usurpazione
dell'ager publicus ai contadini '' (CIL 12 2, 638; ILS 1 23). Per
tutto il II secolo, cioè, le rare notizie che ci sono tramandate,
anche se non fanno preciso riferimento al territorio dei Brettii,
ci permettono tuttavia di dedurre l'esistenza di una situazione
produttiva limitata alla prosecuzione di attività marginali, e
quindi di un'economia molto precaria.
Fa contrasto, a quanto sembra, un dato epigrafico, contenuto
in un'iscrizione rinvenuta nell'isola di Rodi, che comprende una
formula di dedica compiuta da personaggi rodi, ai quali si è as-
sociato un Platon, definito Brettios. Il nome proprio può essere
una grecizzazione dell'antroponimo Plator, attestato in contesti
italici; la pertinenza etnica lascia molto perplessi. L'iscrizione
è stata datata al II secolo, senza che sia possibile una più precisa
74
delimitazione: e abbiamo visto come questo non sia un periodo
felice per i Brettii. Così riesce difficile ricostruire un riconosci-
mento formale all'appellativo Brettios che è aggiunto al nome
proprio: infatti, l 'unico episodio di politica estera, per così dire,
nel quale compaiono i Brettii è l'ambasceria ad Alessandro il
Grande; e dopo la guerra punica, dei Brettii, come confederazio-
ne e come cantoni, non sembra si sia più parlato. Sono state con-
servate altre epigrafi che tramandano lo stesso appellativo: una
stele funeraria, sempre da Rodi e sincrona alla precedente, posta
per uno Stratios, di condizione servile; una seconda, sempre fu-
neraria, nella quale è inciso solamente '' Bruttiou ''• rinvenuta a
Velia, che però è forse ancora più recente in quanto si vede ope-
rante la modifica fonetica t:> u derivante dalla parlata latina; una
terza, da Cuma, di carattere votivo, nella quale l'appellativo è
modificato in " Brities >>. Parallela sembra l'attestazione epigra-
fica, proveniente sempre da Rodi, di un Botrys che si definisce
Lucano e di professione scultore in bronzo.
Da questa serie epigrafica, posta e interpretata nel quadro sto-
rico come risulta dalle fonti letterarie, sembra che l'appellativo
" brettio >> non possa rivestire alcun significato politico o istitu-
zionale relativo alla permanenza della confederazione, tanto più
in quest'epoca, quando ancora nel periodo del Iv e del m secolo
- nel quale ai Brettii era riconosciuta almeno una potenza milita-
re - la confederazione in quanto tale ci appare, dalle notizie let-
terarie, come un'entità a dir molto evanescente, se non strumen-
talmente utilizzata da altri. Sembra, quindi, che l'appellativo in-
dichi solamente una pertinenza etnica dell'individuo, in quanto
la pertinenza etnica non è concetto che possa essere cancellato,
rimanendo, ad esempio, viva e operante per la delimitazione e
la definizione di un determinato territorio. Nel caso di Platon,
l'appellativo etnico può esser stato utilizzato per equipararlo, sia
pure con diverso formulario, agli altri compartecipi della dedi-
ca: questi, infatti, menzionano il proprio patronimico, mentre
Platon si limita ali 'etnico. Anche per motivare il diritto di " epi-
damia ,, che gli è stato concesso dalla città di Rodi. Per lo schia-
vo Stratios, l'appellativo lo distingue fra gli altri schiavi, forse
indicandone una funzione specifica, ad esempio l'impiego nella
pastorizia. Per gli altri individui, la definizione solamente con
un appellativo riferito ali' etnico sembra indicame un' apparte-
nenza sociale piuttosto bassa. E in questa differenziazione si può
forse vedere un'eredità delle divisioni che abbiamo visto defla-
75
grare alla fine del 111 secolo a Petelia e a Cosenza e che hanno
portato i fratelli Vibio e Paccio a tentare di contrattare una pace
separata con i Romani. Se l'interpretazione proposta è nel reale,
il parallelismo si nora instaurato con l'iscrizione del bronziere
Botrys è solo apparente: sembra, infatti, che la confederazione
lucana abbia raggiunto una consistenza istituzionale, anche se
non si può dimenticare che la situazione generale della Lucania
nel 11 secolo non è gran che differente da quella del territorio
dei Brettii.
Alle forme produttive che si possono dedurre dalle scarne in-
dicazioni letterarie se ne può aggiungere un'altra: l'attività mili-
tare. Questa non può meravigliare, a mente della caratteristica
costante che denota i Brettii durante tutta la loro non lunga sto-
ria. Ma anche nell'esercito romano sembra che ai Brettii fossero
riservati ruoli marginali: come attendenti ai magistrati (Festa p.
28, 19 L.), o come corrieri (Strab. 5, 4, 13 in fine: 251). Del
primo ruolo sembra si possa osservare poco; il secondo è forse
possibile intenderlo come derivante da una costante del modo di
popolamento. Infatti, la funzione del corriere comportava l'abi-
lità di percorrere distanze rapidamente e senza appoggiarsi a
strutture di supporto: i Brettii, abituati a vivere nelle selve lonta-
no dalle comodità urbane, erano i più adatti ad assolvere tale
compito.
La guerra sociale e la rivolta di Spartaco sono i due eventi che
si possono considerare i più recenti svoltisi nel territorio dei
Brettii di cui rimanga ricordo letterario. Ma in nessuno dei due
appare il loro nome; eppure si potrebbe immaginare che l'antica
fierezza e il desiderio di menare le mani avrebbero potuto trova-
re in queste due occasioni più di un'opportunità per manifestar-
si. Nella guerra sociale c'è menzione solamente dei Lucani: non
sappiamo se questa dizione comprenda anche qualche cantone di
Brettii. La lunga resistenza che Spartaco riuscì a opporre pro-
prio nel territorio dell'attuale Calabria sembra non sia stata pos-
sibile senza un appoggio da parte delle popolazioni locali: fra
le quali di certo si contavano ancora numerosi discendenti del
popolo dei Brettii. Ciò può essere affermato con ragionevole si-
curezza, in quanto la fonte letteraria che si può intendere come
riferita alla più tarda attestazione di un'attività produttiva svolta
da individui brettii descrive un quadro assai confacente a quanto
si è appena proposto. Cicerone (Brutus 22, 85) rammenta un
episodio accaduto anni prima, che può essere situato ancora sul-
76
lo scorcio del II secolo. Una società di publicani aveva appaltato
lo sfruttamento di un settore della Sila, in particolare per l'estra-
zione della pece; le operazioni erano condotte da un gruppo di
schiavi. Questi, trovandosi in disaccordo con i possidenti locali,
probabilmente agricoltori, ne uccisero alcuni. Fra questi schiavi
è possibile vedere ancora i discendenti dei Brettii.
Questa citazione sembra assai significativa: al termine della
loro storia, quando ormai la denominazione ha quasi un sapore
di ricordo e di sopravvivenza, è la foresta a costituire lo scenario
delle azioni dei Brettii.
Quella stessa foresta dalla quale, si può dire all'improvviso,
i Brettii erano usciti alla luce della storia.
Archeologia dei Brettii

CoME si è accennato in precedenza, la documentazione archeo-


logica non autorizza, di per sé, deduzioni di ordine storico. Nei
casi - come quello che trattiamo - in cui i segni materiali non
derivano, o derivano solo in minima parte, da produzioni esclu-
sivamente brenie, il tentare più che un inventario, sia pure ra-
gionato, dei ritrovamenti finora effettuati costituisce un'impresa
impossibile. Si crede che il compito scientifico degli archeologi
sia quello di proporre agli studiosi dell'antichità argomenti - af-
ferenti allo svolgersi politico, culturale, economico della storia
antica- basati appunto sui ragionamenti originati da un'organica
inventariazione della documentazione materiale. A tale scopo è
stata già svolta un'analisi delle fonti letterarie, dalle quali si pos-
sono trarre gli elementi, pertinenti a diversi gradi di sicurezza,
utili a delimitare le localizzazioni territoriali nelle quali sia legit-
timo attendersi il rinvenimento di cultura materiale brettia; nelle
quali, cioè, si è ragionevolmente certi che gli oggetti ritrovati
sono stati utilizzati nell'antichità da individui brettii. L'analisi
interna di tali ritrovamenti, più o meno affidabili scientificamen-
te a seconda della qualità dello scavo, ci potrà illustrare i modi
funzionali secondo cui quei ritrovamenti sono stati, al loro tem-
po, utilizzati; inoltre, se come in questo caso è definita la perti-
nenza territoriale esclusiva, sia pure con le ovvie cautele diacro-
niche, si potranno illustrare i modi, anch'essi funzionali a ben
vedere, dei collegamenti con altri territori, anch'essi di pertinen-
za esclusiva. Ma, di per sé, la documentazione archeologica so-
lamente in presenza di iscrizioni perspicue ci potrà dare il nome
antico dei luoghi o di popoli, o di gruppi di essi. Inoltre, dalla
documentazione archeologica si potranno soltanto inferire cesu-
re, o continuità; ma non identificarle con eventi, appunto, storici
di distruzioni o di persistenze. Infine, solo in scarsi casi la docu-
mentazione archeologica possiede in sé la possibilità di essere
datata in assoluto: e, per il secolo e mezzo circa che vide l'auto-
nomia dei Brenii, la ricerca è priva di sistemi sicuri di cronolo-
gia archeologica assoluta.
In tale situazione documentaria è parso metodologicamente
più giustificato separare l'analisi storiografica da quella archeo-
logica, così che ognuna delle due tecniche di conoscenza potesse
parlare al lettore d'oggi in piena autonomia. I richiami, anche
78
inconsci, fra le due analisi sono scontati in partenza; ma è sem-
brato preferibile adottare questo sistema di presentazione delle
evidenze così da far risaltare le specifiche peculiarità di ognuna
delle due, nelle reciproche discordanze, negli intervalli neutri,
nelle sovrapposizioni.
L'esposizione che segue è organizzata per grandi categorie,
anche per tentarne una sistematica.

l. Centri abitati
La sovrapposizione più immediata tra evidenza letteraria e ar-
cheologica è costituita dal constatare come, intorno alla metà del
IV secolo, si verifichi lo strutturarsi di centri abitati in alcune zo-
ne della Calabria attuale nelle quali l 'antica storiografia ricono-
sce una precisa presenza dei Brettii. Come si è visto in prece-
denza, per alcune di queste zone le fonti indicano anche il nome
delle città abitate da quel popolo.
La nostra esposizione, tuttavia, inizierà da un centro ancora
anonimo, posto in località Castiglione del comune di Paludi (Co-
senza), alla sommità di una collina perfettamente delimitata dal
torrente Coserie e dal torrente Scarmaci, così da offrire una sede
sicura ai suoi abitanti. La conformazione delle pendici alterna
tratti precipiti ad altri per i quali è invece possibile l 'accesso;
lungo il corso del Coserie si giunge, in meno di IO km, alla
spiaggia dello Ionio, circa 30 km a sud di Thurii. I tratti natural-
mente meno ripidi del declivio vengono cinti con un muro di di-
fesa costruito in blocchi parallelepipedi di arenaria, giustapposti
a secco secondo la tecnica diffusa di simili costruzioni militari.
Le mura erano provviste, in origine, di cammini di ronda alla
sommità, come indicano le scalette conservate. Il settore che
presenta le più accurate utilizzazioni delle tecniche militari si
trova sul versante est, verso il Coserie: questo era il più agevole
per l'accesso al pianoro sommitale, e la sua conformazione do-
veva essere costituita da una sorta di terrazza, sulla quale sono
state impostate le mura, di dimensioni maggiori delle attuali, co-
sì ridotte a causa della forte erosione subìta dal suolo. L'accesso
è chiuso da una porta a cortile rettangolare, fiancheggiata da due
torri a pianta circolare: quella meridionale è tangente alla cortina
e allo spigolo della porta; quella settentrionale invece interseca
la cortina ed è più scostata dalla porta. Ma l'angolo formato dal-
l. Antefissa. da Castrovillari
2. Specchio, da Rossano
J. Hydri<J . da C<Jstclluccio sul Lao
4. Stamnos. ua Trchisaccc
5. Lekythoi. da Trebisacce
6. Sostegno in bronzo di specchio. da Acquappesa
7 Mura di cinta di Laos
IO. Lekythos, da Simeri Crichi

A fronte:
8. Mura di cinta di Petelia
9. Mura di cinta, con torre a pianta circolare, di Castiglione di Paludi
13. Frammento di anfora protoitaliota, da Santa Sofia d'Epiro
14. Diadema in oro, da Marcellina
l S. Capitello iscritto, da Torano

A fronte:
Il. Mura di cinta di Hipponion
12. Porta orientale di Castiglione di Paludi
16. Corredo di una tomba a camera, da Marcellina: appliqucs in terracolla per
decorare mobili o sarcofagi in legno (in afro); cratere a calice apulo a figure
rosse: rhyton apulo a lesta di mulo: a fronte: silula apula a figure rosse: piallo
campano a figure rosse
l
17. Corredo di una tomba a camera,
da Marcellina: elmo di tipo frigio e
corazza di tipo anatomico; a fronte:
frammento di cinturone in lamina di
l bronzo con decorazioni a sbalzo in
argento; schinieri anatomici in bronU';
particolare di elmo di tipo frigio in
bronzo; particolare della parte
posteriore della corazza
20. Ganci di cinturoni, da Cariati
21. Frammenti di statua in terracotta, da Cariati

A fronte:
18. Recipienti in bronzo, da Camini
19. Corazza, da Cariati
22 . Cratere a figure rosse. da Cariati
23 . Anfora a vernice nera. da Strongoli
24 . Strongoli. tomba a camera

A ji·ome:
25 . Corredo tombalc . da Tresilico: coppa in vclro isloriala in oro : orecchini
aure•
26. Statuctta in terracotta, da
Hipponion
27. Bronzetto. da Castrovillari
Bronzetto. da Cosenza
Bronzetto. da Cirò Marina
Bronzetlo. da Cariati
31 Fornace ceramica rinvenuta a Laos

A .fi-omc·
32. Scultura in arenaria. da San Lucido
33. Statere in oro dei Brettii; semidramma in oro dei Brettii; didramma in
argento dei Brettii; dramma in argento dei Brettii; dramma in argento dei
Brettii (grandezza naturale)
34. Semidramma in argento dei Brettii; semidramma in argento dei Brettii;
diobolo in bronzo dei Brettii: diobolo in bronzo dei Brettii; obolo in bronzo di
Cosenza (grandezza naturale)
35. Obolo in bronzo di Medma; obolo in bronzo di Nuceria; due monete m
bronzo di Petelia; due monete in argento di Terina (grandezza naturale)
79
le mura, per sfruttare la pendenza del terreno, ne permette co-
munque una collocazione assai vantaggiosa per la difesa. Le tor-
ri contenevano due piani, a giudicare dagli aggetti interni adatti
a sostenere un solaio di legno; le porte d'accesso erano costruite
a caditoia, come indicano le scanalature praticate negli stipiti.
Gli accorgimenti difensivi a protezione de li' accesso principale
erano completati da una postierla, praticata circa l 00 metri a
sud della porta a cortile, così da permettere sortite atte ad alleg-
gerire la pressione degli assedianti; anche questa postierla era
dotata di una porta a caditoia.
All'estremità settentrionale del pianoro, nel suo punto più ele-
vato e rivolto al mare, era situata una terza torre a pianta circo-
lare; mentre una quarta, di minori dimensioni, è stata di recente
rinvenuta circa 60 metri a ovest da quest'ultima.
Sempre sul declivio orientale, ma nel suo settore meridionale,
fu costruito uno sbarramento per proteggere l'accesso da un val-
lone che poteva favorire le incursioni. Lo sbarramento è costi-
tuito da una cortina rettilinea interrotta da una semplice apertu-
ra, costeggiata all'interno da rinfianchi della cortina stessa.
Del declivio occidentale solamente il settore centrale offre fa-
cilità di accesso: e infatti si provvide a sbarrarlo con una cortina
che segue le curve dei livelli. Il suo stato di conservazione non
permette l' dentificazione sicura di eventuali porte o aperture.
Dalla porta a cortile si dirigeva verso il pianoro un asse stra-
dale, con fondo selciato, che sfruttava all'inizio il fondo di un
vallone, per poi piegare verso sud così da raggiungere il centro
della zona fortificata. Qui si sono ritrovate opere funzionali a
strutturare alcune caratteristiche del centro abitato: un muro di
sostruzione delimita e amplia un settore piano prospiciente un
teatro a pianta semicircolare, parzialmente scavato sul fianco di
un rialzo. Intorno al muro di sostruzione sono costruiti edifici
a pianta rettangolare, posti in reciproco allineamento fra loro e
con la sostruzione, divisi in più vani. Nella loro costruzione si
osservano due fasi: la più antica con l'impiego di blocchi paral-
lelepipedi di arenaria; la più recente con quello di ciottoli di
fiume.
Tra la porta a cortile e la zona centrale sono in corso scavi
archeologici che hanno messo in luce una serie di edifici: la su-
perficie finora indagata è estesa per circa un ettaro e mezzo, ma
le strutture paiono proseguire oltre. Questi edifici sono stretta-
mente accostati fra loro e l'orientamento è dato dali' asse stradale
80
che collega la porta a cortile con la zona del teatro e da cui si
dipartono ortogonalmente alcuni stretti vicoli.
Gli edifici sono a pianta quadrangolare, organizzata intorno a
un cortile centrale sul quale si affaccia una serie di vani. Alcune
strutture mostrano due fasi d'uso: la prima adopera blocchi pa-
rallelepipedi di arenaria; la seconda ciottoli di fiume. La notevo-
le pendenza del settore è sistematizzata con terrazzamenti co-
struiti con blocchi di arenaria.
A est di questa zona è stata scavata una cisterna con un pozzo.
Altri edifici molto mal conservati, costruiti con blocchi paral-
lelepipedi di arenaria, sono noti nella parte meridionale del pia-
noro centrale.
Ali' esterno della porta a cortile fu scavato un deposito di ter-
recotte votive.
Sia pure con diversi gradi di compiutezza, le tipologie eviden-
ziate dagli scavi a Castiglione di Paludi ci fanno conoscere come
era costituita una città abitata dai Brettii: la certezza di questa
assegnazione è costituita dalla cronologia riferibile alla frequen-
tazione delle opere descritte, non più antica della seconda metà
del IV secolo e non più recente della fine del successivo. Da al-
cuni indizi si può supporre che l'auspicata prosecuzione degli
scavi condurrà a ulteriori, significative scoperte: ad esempio, in
un crollo di blocchi da un settore delle mura, poco a nord della
porta a cortile, si notano alcuni elementi scolpiti con triglifi e
metope lisce. Si tratta forse di un reimpiego da una costruzione
pubblica con decorazione scolpita, sia essa stata profana oppure
religiosa?
Nelle altre città che le fonti letterarie assegnano con sicurezza
ai Brettii, l'evidenza documentaria è molto scarsa. A Cosenza
sono stati riconosciuti alcuni blocchi parallelepipedi di arenaria,
reimpiegati nel castello normanno, verisimilmente provenienti
da una cinta fortificata analoga a quella di Castiglione di Paludi.
Sotto l'attuale sede della Cassa di Risparmio di Calabria e Luca-
nia sono stati rinvenuti alcuni resti di muretti in ciottoli di fiu-
me, databili tra IV e III secolo. Negli anni '30 sono state scavate,
al di là del Busento, numerose tombe databili tra IV e III seco-
lo; inoltre è stato recuperato un capitello, d'ordine ionico, forse
pertinente a una colonna che decorava la fronte di una tomba a
camera. L'evidenza archeologica è troppo scarsa a fronte di
quella letteraria che identifica il luogo come la « capitale » dei
Brettii: se non fosse corroborata dalla continuità di frequenta-
81
zione dall'antichità ai nostri giorni, che garantisce circa la sua
collocazione strategica ed economicamente significativa.
Nella media valle del Crati, sulla riva sinistra, è situato Tora-
no (Cosenza): una cinta fortificata circonda la sommità di una
collina. I ritrovamenti non sono abbondanti, ma si inquadrano
nella fase cronologica che si ascrive con sicurezza alla presenza
brettia. Purtroppo senza ulteriori dati, è noto un capitello di or-
dine dorico, che porta sull'abaco un'iscrizione in greco: si può
supporre trattarsi della decorazione di una tomba a camera.
Nell'odierno comune di Tiriolo (Catanzaro), da cui proviene
la già ricordata iscrizione circa i riti di Bacco, sono state com-
piute, nel corso dell'ultimo secolo, varie scoperte riferibili a se-
polture, anche di notevole importanza a giudicare dalle armi e
dagli oggetti di ornamento. Ma solamente in anni recenti si sono
conosciute strutture, probabilmente abitative, costituite da edifi-
ci a pianta rettangolare con zoccoli in ciottoli di fiume regolariz-
zati da ricorsi di tegole. Gli alzati erano verisimilmente costruiti
in mattoni crudi o altri materiali deperibili. Si conservano le te-
gole piane delle coperture, che dovevano essere a due spioventi.
Nelle collezioni locali, confluite nel Civico Museo, si conserva-
no antefisse fittili decorate, pertinenti a edifici di maggiore im-
portanza di quelli scavati: anche se non t: sempre legittimo inten-
derli esclusivamente come a destinazione religiosa.
A Strongoli (Catanzaro), località Pianette, si sono conservati
alcuni tratti di un muro di difesa, costruito in blocchi parallelepi-
pedi di arenaria, delimitante la spianata superiore di un colle ben
difeso naturalmente su tre lati, mentre nel quarto si ha un'ampia
sella che ne assicura l'accesso dalla valle del Neto. Il muro, a
quanto sembra, proteggeva l'insediamento costruito: di questo si
ha evidenza solamente dalla ceramica di superficie, non più anti-
ca della seconda metà del IV secolo. Il sito, infatti, conosce una
continuità di edificazione e di frequentazione per tutto il periodo
romano-imperiale: le iscrizioni latine qui rinvenute permettono
di identificarlo con Petelia. Come per Cosenza, la conoscenza
archeologica della " capitale '' dei Lucani è più che ridotta; ma
le considerazioni già precedentemente esposte autorizzano un'i-
dentificazione topografica che contribuisce a far conoscere la
morfologia dei siti che i Brettii prescelsero per localizzare i pro-
pri insediamenti.
Delle città in precedenza abitate da Italioti conquistate dai
Brettii le fonti letterarie ricordano con sicurezza Terina e Hippo-
82
nion. Della prima non si è ancora riusciti a determinare la loca-
lizzazione. La seconda, invece, corrisponde all'odierna Vibo
Valentia (Catanzaro), posta a dominare un'accogliente insenatu-
ra del Tirreno da un rilevato strapiombo che chiude a sud la pia-
na di Sant'Eufemia. Il sito conosce frequentazione fin dall'età
del Ferro e accoglie una colonia locrese sullo scorcio del vn se-
colo, della quale sono noti edifici religiosi, stipi votive e settori
di necropoli. L'abitato è difeso da una cinta fortificata- in uso
almeno fino alle guerre civili di Cesare, come attesta un'epigrafe
latina che ne ricorda i restauri condotti in quell'occasione - il
cui circuito è stato identificato e parzialmente messo in luce, ma
non ancora datata con criteri scientifici. Le cortine, che in alcuni
tratti sono raddoppiate da settori paralleli, chiari indizi di raffor-
zamenti o di restauri necessari in evenienze belliche (ma quali?),
sono costruite con blocchi parallelepipedi di arenaria locale, di
colore grigio e di tenerissima consistenza. A intervalli, sul ver-
sante occidentale, dalla pendenza più dolce, si trovano torri a
pianta circolare, con notevole rastremazione verso l'alto, poste
in tangenza alla cortina.
È possibile che la fortificazione, o alcuni tratti di essa, risalga
all'ultimo periodo della colonia locrese di Hipponion; ma occor-
re ricordare che, a quanto finora si conosce, solamente a Locri
e a Reggio si hanno fortificazioni precedenti il IV secolo. Inoltre,
le vicende attraversate da Hipponion, che comprendono un pe-
riodo nel quale vi fu di stanza un contingente al soldo di Agato-
cle, possono permettere di supporre che la storia edilizia delle
fortificazioni sia stata molto complessa. Così che, allo stato del-
l'odierna conoscenza, è del tutto ingiustificato assegnare senza
sfumature le mura di Vibo alla necessità, e all'abitudine, dei
Brettii di fortificare i propri centri. Degli edifici, civili e religio-
si, frequentati o costruiti tra IV e m secolo non si conosce prati-
camente nulla; mentre sono numerose le semplici sepolture a
fossa, o con copertura di tegole, dello stesso periodo che occu-
pano la località Piercastello, contigua ma distinta dalla necropoli
di età greca.
Il centro abitato antico in corso di scavo presso la frazione
Marcellina di Santa Maria del Cedro (Cosenza), sulla riva sini-
stra del fiume Lao, è stato a ragione identificato con Laos: la
sua frequentazione è documentata dalla seconda metà del IV se-
colo alla fine del successivo. Come già accennato, e come le at-
tuali conoscenze archeologiche sembrano confermare in specie
83
dal punto di vista cronologico, pare legittimo assegnare anche
questo centro urbano al popolo dei Brettii, sempre tenendo pre-
sente ovviamente la schematicità e l'astrattezza di tali assegna-
zioni, in particolar modo quando si tratta di zone " di confine ''·
Il sito è costituito da una collina ad ampie terrazze, posta al
centro della pianura alluvionale del Lao. A mezza costa si dispo-
neva una cinta fortificata, costruita con due paramenti di scaglio-
ni regolarizzati riempiti da ciottoli costipati, della quale sono
stati scavati solamente alcuni tratti che non permettono di cono-
scere se vi si trovassero anche torri e come fossero organizzate
le aperture. All'interno della cinta è stato tracciato un impianto
regolare di strade, disposte ortogonalmente tra loro, che identifi-
cano isolati rettangolari adoperati per costruzioni private e pub-
bliche secondo un preciso disegno urbano. L'impianto si strut-
tura in un unico momento, di poco posteriore alla metà del IV
secolo, e si imposta sul suolo vergine; le strutture pubbliche e
private che lo compongono conoscono un'unica fase costruttiva
- esclusi i portici che costeggiano la via principale nord-sud -
e risultano totalmente abbandonate, ma non distrutte, alla fine
del Iii secolo. L'area fortificata raggiunge un'estensione di circa
60 ettari; a quanto finora risulta dagli scavi, appare che la zona
intermedia tra le mura e la sommità della collina è stata urbaniz-
zata in maniera intensiva, mentre i restanti settori sembrano fre-
quentati in maniera molto sporadica o specializzata. È così, ad
esempio, per il settore meridionale, dove sono stati rinvenuti im-
pianti produttivi ceramici, composti da fornaci, fosse di decanta-
zione per l'argilla, laboratori.
L'abitato si dispone su almeno una grande via orientata nord-
sud, incrociata ortogonalmente da altre strade poste a intervalli
regolari di 96 metri; le strade sono fiancheggiate da edifici per
abitazione a pianta rettangolare, con cortili interni.
Nel settore settentrionale, le dimensioni e l'accuratezza tecni-
ca degli edifici fanno supporre si possa localizzare qui il quartie-
re pubblico della città. Inoltre si ha notizia di ritrovamenti clan-
destini di terrecotte architettoniche che paiono essere state perti-
nenti a una costruzione di carattere religioso.
A valle della cinta difensiva era disposta la necropoli, ma gli
scavi risultano piuttosto confusi; ciò nonostante, si documenta
l'esistenza di un'importante tomba a camera e di sepolture sia
entro cassoni di lastre sia sotto coperture di tegole.
La netta delimitazione cronologica che gli scavi archeologici
84
assegnano ali' abitato antico di Marcellina non autorizza alcun
dubbio circa la sua attribuzione ai Brettii; ma proprio tale rico-
noscimento lascia del tutto aperto il problema della localizzazio-
ne della città più antica, la Laos abitata dagli esuli sibariti dopo
il 510 e successivamente conquistata dai Lucani, non ancora se-
parati dai Brettii.
È questa la città che Diodoro Siculo definisce eudaimon, cioè
ricca, e che la ricerca in corso saprà forse finalmente identi-
ficare.
Gli scavi condotti a Marcellina completano le conoscenze re-
cuperate a Castiglione di Paludi: i due siti sono quelli che hanno
restituito la maggior quantità di dati relativi ad abitati strutturati.
Ciò nonostante sembra che la ricerca sia ancora troppo poco
avanzata per impostare una tipologia formale delle strutture, fi-
nalizzata a identificare eventuali particolarità distintive brettie
degli abitati.
La morfologia insediativa pare rispondere prioritariamente a
necessità di difesa: ma non si disdegnano le prossimità a porti
(Laos, Hipponion) e sono evidenti i legami con gli assi naturali
di percorrenza e di comunicazione. Le particolarità costruttive
delle fortificazioni rientrano nelle conoscenze generali del perio-
do, tanto che si è avuto anche spazio per tentare di impostare
una teoria sulla pertinenza etnica dei costruttori: se italioti o ita-
lici. Teoria, evidentemente, artificiosa: i documenti archeologici
ci possono solamente testimoniare della completa circolazione
delle conoscenze costruttive fra i due gruppi culturali. E ciò vale
anche per la tecnica costruttiva degli edifici componenti gli
abitati.
L'influsso italiota è sicuramente operante per quanto riguarda
l'assetto urbanistico, che risulta particolarmente rigoroso a
Laos; tuttavia qui non sappiamo quanto si debba a un eventuale,
ma non improbabile, apporto delle esperienze antecedenti verifi-
catesi nello stesso comprensorio: sia che queste si debbano iden-
tificare in una precisa conoscenza del precedente impianto della
colonia sibaritica di Laos sia che, invece, esse siano costituite
dalle conoscenze trasmesse dagli ltalioti che hanno continuato a
vivere nel sito. Così come accadde sicuramente a Poseidonia,
sulla testimonianza del passo di Aristosseno sopra ricordato.
In definitiva, e giusta le premesse di questo capitolo, sembra
si possa affermare che solamente la localizzazione topografica
generale possa far distinguere un abitato brettio da uno italiota
85
contemporaneo; a ciò si potrebbe aggiungere l'eventuale certez-
za che quel determinato abitato non risulti esser stato frequentato
prima della metà del Iv secolo. Ma tale determinazione cronolo-
gica, da sola, non pare sufficiente a risolvere problemi di attri-
buzione: ne è esempio il caso di Torre Mordillo (in comune di
Spezzano Albanese, Cosenza). Il sito corrisponde alla morfolo-
gia degli insediamenti brettii, ma la sua localizzazione, al centro
interno della piana di Thurii che domina da una scoscesa colli-
na, è troppo ambigua. L'abitato di IV e m secolo lì parzialmente
indagato può essere un avamposto sia dei Thurini sia dei Bret-
tii: manca, ad oggi, una documentazione epigrafica che contri-
buisca a far luce.
Questa incertezza deriva anche dall'aver riconosciuto come
proprio del modo insediativo brettio quello di costituire centri
fortificati, di ridotte dimensioni, posti a catena fra quelli mag-
giori. D'altro canto, non è possibile escludere che le città italiote
non si fossero premunite costituendo, a propria difesa, una rete
di fortilizi, o di centri fortificati, posti a guardia dei luoghi attra-
verso i quali i Brettii erano costretti a passare per compiere le
loro incursioni. Oltre a Torre Mordillo, la stessa incertezza di
attribuzione vale anche per il piccolo apprestamento di Serra Ca-
stello (in comune di Corigliano Calabro, Cosenza), costituito da
una cinta con due torri circolari, che guarda la gola attraverso
la quale il Crati si immette nella pianura costiera. E così per il
non ben documentato ritrovamento di Pietrapennata, situato sui
valichi dell'Aspromonte alle spalle di Locri (Reggio Calabria).
Anche per questi insediamenti minori sembra che il criterio me-
no incerto per porre ipotesi di lavoro sia quello di considerare
fin dali' inizio la loro collocazione topografica generale.
Con tali premesse è sembrato giustificato attribuire a un " si-
stema » di organizzazione territoriale la disposizione di nuclei
fortificati lungo il litorale ionico tra Castiglione di Paludi e Pete-
lia. Tali nuclei fortifica,.ti sono generalmente noti da ricognizioni
di superficie e da ritrovamenti casuali e sporadici; solo di recen-
te si sono intraprese ricerche sistematiche al riguardo. La docu-
mentazione è, pertanto, solo parzialmente affidabile.
Pur con tali doverose cautele, il " sistema '' può essere identi-
ficato con l'occupazione e la strutturazione (soltanto, o preva-
lentemente, militare?) di sommità di colline, disposte a intervalli
quasi regolari e generalmente in vista reciproca. Tale disposizio-
ne sembra indicare che questi nuclei costituivano i punti di rife-
86
rimento di gruppi sociali, quantitativamente omogenei fra loro,
che abitavano in maniera sparsa i rispettivi comprensori, come
indicano i ritrovamenti, in specie di sepolture. A oggi, il " siste-
ma " si riconosce, iniziando da nord, nella località Muraglie di
Pietrapaola (Cosenza), posta a circa 10 km in linea d'aria da Ca-
stiglione di Paludi: qui si conosce un tratto di mura, costruite
con blocchi parallelepipedi di arenaria, che difende la spianata
sommitale di una collina nel versante verso il mare. Il muro è
interrotto da una semplice apertura d'accesso. A circa 15 km in
linea d'aria dalle Muraglie si ha la collina di Pruiia, in comune
di Cariati (Cosenza): è difesa da un muro in blocchi squadrati
di arenaria, oggi meno conservati che all'inizio del nostro seco-
lo, quando se ne ebbe una prima descrizione. All'interno della
fortificazione si rinvengono al suolo sia tegole piane, che indi-
ziano dell'esistenza di edifici, sia frammenti ceramici databili
nel IV e III secolo. Ancora più a sud di circa 12 km, si ha Cirò
(Catanzaro), da cui provengono ritrovamenti riferibili a un de-
posito votivo di IV-III secolo, mentre non si hanno notizie circa
apprestamenti difensivi. Tuttavia la continuità di edificazione del
sito fino ai nostri giorni può aver comportato la perdita di questo
genere di testimonianze. Il " sistema '' sembra completarsi con
la fase recente di frequentazione delle Murgie di Strongoli (Ca-
tanzaro), poste a circa l3 km in linea d'aria da Cirò; questa, co-
me si è detto, è fortificata e forse costituiva un insieme coordi-
nato con il sincrono abitato, anch'esso fortificato, delle Pianette,
nel quale si identifica Petelia.
Per gli altri comprensori del territorio dei Brettii mancano dati
che ci autorizzano a ricostruire, o a identificare, " sistemi '' ana-
loghi: così è per il fianco meridionale della Sila, per la catena
dell'Aspromonte, per il versante tirrenico. Tuttavia, oltre all'ov-
via necessità di impostare e portare a termine le non ancora
compiute ricerche sistematiche al riguardo, si può osservare che
proprio il versante ionico fu più soggetto a interventi da parte
degli ltalioti. Su qu'èsto, rivolto per di più verso Taranto e verso
la Grecia dalla quale vennero Timoleonte e i condottieri come
Alessandro il Molosso, erano situate, a non grande distanza fra
loro, Thurii e Crotone, che resistettero fino a tutto il III secolo
alle scorrerie brettie. Nei riguardi delle altre città italiote, inve-
ce, i Brettii erano più al sicuro grazie alla morfologia naturale.
Su Locri incombevano le pendici dell'Aspromonte, e tra questa
e Crotone solamente Caulonia poteva, forse, costituire un'isola
87
italiota. Sul versante tirrenico, la conquista di Laos, di Terina
e di Hipponion assicurava un possesso sicuro, tanto che solo per
breve intervallo si ebbe un'invasione da parte di Agatocle. Reg-
gio era ristretta alla punta dello stivale, più attenta alle vicende
siceliote che a quelle della penisola. Lo statuto di Medma, nel
sito dell'odierna Rosarno (Reggio Calabria), è incerto: la ricer-
ca archeologica ne ha dimostrato una continuità anche nel cor-
so del Iv secolo, dopo la deportazione di gran parte dei suoi abi-
tanti a opera di Dionisio il Vecchio. Dalle ricerche, appena ini-
ziate e ancora in corso, che si svolgono a Oppido Mamertina
(Reggio Calabria) si è iniziato a conoscere un ulteriore sito strut-
turato, coevo al periodo di autonomia dei Brettii: ove, e quando,
sarà possibile una sua attribuzione etnica, si ricaveranno chiari-
menti anche per i siti prospicienti, come Medma, noti invece già
da tempo.

2. Nuclei abitati territoriali

Alle concentrazioni urbane fin qui esaminate si aggiungono nu-


clei abitati dispersi nel territorio, indiziati prevalentemente da ri-
trovamenti sepolcrali.
Non si può affermare che l'intero territorio brettio sia stato se-
tacciato con ricognizioni complete, ma la revisione e la sistema-
tizzazione dei dati raccolti, verificate con alcuni saggi di scavo,
permettono di proporre un modello di popolamento adottato dai
Brettii. Questi, per poter esplicare le proprie attività produttive,
popolavano il territorio in nuclei, forse costituiti sulla base di le-
gami di parentela; abitavano in strutture, talvolta precarie, tal-
volta costituite da edifici a pianta rettangolare con zoccoli in
ciottoli di fiume e alzati in materiali deperibili. Tali nuclei erano
posti. a controllare comprensori, funzionali alla pastorizia, ali' a-
gricoltura di sostentamento del gruppo, alla silvicoltura. Nei
pressi delle strutture venivano deposti i defunti: entro fosse co-
perte da tegole a cappuccina, oppure con tutte le pareti rivestite
di tegole. I corredi d'accompagno erano costituiti quasi esclusi-
vamente da recipienti ceramici, ma si hanno esempi di semplici
gioielli e di armi: sia d'offesa (punte di lancia in ferro) sia di
difesa (cinturoni in bronzo). L'insieme di più comprensori for-
mava il territorio dei diversi centri urbani fortificati, secondo un
modello di gerarchizzazione che veniva attivato in maniera parti-
88
colare sia durante eventi bellici sia per le istituzioni di governo,
e che trova riscontro anche presso altri popoli ricordati dalle
fonti letterarie antiche (Thuc. 3, 105).
Le conoscenze quantitativamente maggiori si riferiscono a se-
polture, il cui elenco sarebbe qui impossibile e fuori luogo, ma
che copre il territorio dell'attuale Calabria con maggiore consi-
stenza al nord, da Verbicaro a Castrolibero a Calopezzati, di
quanto oggi appaia verso sud.
Di edifici per abitazione se ne conosce con certezza uno ad
Acquappesa, località Aria del Vento, e con probabilità un secon-
do a San Lucido, sotto la chiesa della SS. Trinità. Il primo è
posto su una dorsale che chiude a sud la conca di Cetraro, domi-
nandola dali' alto; intorno si hanno sepolture. Dell'edificio ri-
mangono esigue porzioni degli zoccoli di fondazione, ma la sua
tipologia si può legittimamente ricondurre a quella documentata
- sicuramente in un esempio di maggiore complessità e di con-
servazione quasi completa - a Montegiordano, sulla costa ionica
a nord di Thurii, in territorio ormai da considerarsi lucano. Pi-
thoi per la conservazione di derrate agricole e pesi da telaio in
terracotta documentano le produzioni agricola, pastorale e
tessile.
La posizione di San Lucido è analoga a quella di Acquappesa
per quanto riguarda le opportunità agricole e pastorali; in più,
la sua contiguità a una rada naturale fa supporre che quel gruppo
di Brettii non rifuggisse da attività marinare, se non altro da
quella di raccolta e di pesca.

3. Tombe a camera
Alla dispersione dei ritrovamenti territoriali, che tuttavia ci do-
cumentano la fitta presenza del popolamento brettio, sembrano
opporsi alcuni corredi sepolcrali quantitativamente e qualitativa-
mente notevoli. Ma, a ben vedere, anche la localizzazione topo-
grafica di questi rientra nel modello territoriale di frequentazio-
ne e di sfruttamento produttivo che si delinea come proprio -
se non caratterizzante in maniera esclusiva rispetto ad altri popo-
li - dei Brettii.
Tali corredi sepolcrali si attribuiscono, senza possibilità di
dubbio, a personaggi dominanti. Quanto fosse ampio il raggio
del loro potere è invece argomento ancora tutto da ricostruire,
89
in parallelo con il più generale problema di tracciare i limiti dei
territori pertinenti alle diverse « città » e ai diversi cantoni che
costituivano << tutti i popoli » dei Brettii.
All'interno dell'evidenza nota si può forse intravedere una se-
parazione: alcuni di questi personaggi dominanti abitavano nelle
città; altri, invece, nei cantoni non caratterizzati, almeno per
quanto noi oggi conosciamo, da centri strutturati. Se la separa-
zione proposta è nel reale si confermerebbe, anche a questo li-
vello di evidenza, il modo di organizzazione del popolamento
brettio, che non si articola tra « città >> e « territorio » in forme
materiali e organizzative diverse fra loro. Gli scavi che hanno
recuperato questi corredi sepolcrali non sono mai stati condotti
completamente in maniera scientifica: è tuttavia possibile rico-
struire alcune particolarità.
La forma delle sepolture di personaggi dominanti sembra es-
ser stata quella a camera costruita ipogea ( = sotterranea); la co-
struzione poteva essere completata da decorazioni architettoni-
che struttive (Strongoli-Gangemi: decorazione del soffitto) o da
letti di deposizione decorati (Cirò-Terranova); forse anche da
colonne sulla fronte (Cosenza-Villanello; Torano). In un caso
(Cariati-Salto) si hanno resti di intonaco affrescato. La deposi-
zione è all'interno di un cassone in lastre (Oppido Mamertina-
Tresilico) e di fossa ricoperta da tegole (Camini-Jeritano).
I corredi si riferiscono a personaggi sia maschili sia femmini-
li; il più ricco è quello relativo a una doppia deposizione effet-
tuata a Marcellina.
Gli oggetti di pertinenza maschile riguardano principalmente
due funzioni: la guerra e il simposio. Sono simboli della prima
la corazza anatomica in bronzo decorata a sbalzo; l'elmo di tipo
frigio; gli schinieri; i cinturoni; uno sperone; le punte di lancia
in ferro. Al simposio è attinente il gruppo di recipienti ceramici,
composto da crateri italioti a figure rosse, da un rhyton a testa
di mulo, da vasi per versare e per bere. E inoltre il diadema in
lamina d'oro formato da una fascia sulla quale sono applicate ro-
sette. Isolato, ma non meno significativo, è lo strigile in bronzo
con bollo di una fabbrica italiota, che si riferisce alla pratica del-
l'atletismo, che però qui è forse interpretata nella sua versione
estrema dalla semplice attività militare.
La deposizione femminile è distinta da recipienti ceramici ita-
lioti a figure rosse, di forme - come la lekane, la pisside sky-
phoide, l'hydria, il !ebete matrimoniale - che ne assicurano la
90
pertinenza. Si hanno inoltre utensili in osso e in bronzo funzio-
nali alla cosmesi.
Il corredo era completato da un sarcofago in legno, di produ-
zione tarantina, del quale rimane solamente la decorazione appli-
cata costituita da piccole terrecotte a matrice, in origine dorate,
raffiguranti grifi, leoni, maschere gorgoniche, rosette; questa de-
corazione era completata da dischetti variopinti in pasta di vetro.
La deposizione di Marcellina, effettuata nell'ultimo quarto del
IV secolo, si riferisce probabilmente ai membri di una delle fami-
glie attorno alle quali si è conformato il gruppo sociale che, nel
corso della precedente generazione, ha strutturato il centro abita-
to più sopra descritto.
Coeva, ma pertinente a una sepoltura singola maschile, è la
tomba a camera di Cariati-Salto: essa è in rapporto, topografico
e organizzativo, con il centro fortificato « minore '' di Cariati-
Pruiia, e va quindi riferita, all'interno del modello interpretativo
proposto, a un personaggio dominante su un comprensorio non
strutturato intorno a un centro urbano<< maggiore ''· Il personag-
gio di Cariati è connotato in maniera del tutto simile a quello di
Marcellina: è armato con una corazza anatomica in bronzo, un
elmo, cinturoni; dispone di lance e di una spada di ferro; parteci-
pa al simposio con un recipiente in argento, vasi ceramici italioti
a figure rosse; un'anfora greco-italica è utilizzata come conteni-
tore del vino; la corona è di bronzo dorato con particolari in ter-
racotta anch'essa dorata.
Se la tipologia e la funzionalità degli oggetti, come detto, sono
analoghe nei due casi, non sfugge che il livello di ricchezza è in-
vece squilibrato a favore del guerriero di Marcellina. Questi è si-
curamente un cavaliere, mentre per quello di Cariati non è possi-
bile affermare lo stesso con sicurezza. Le armi di Marcellina so-
no decorate a sbalzo e recano applicazioni in argento; quelle di
Cariati sono semplicemente funzionali. Il diadema di Marcellina
è interamente in oro; quello di Cariati è solamente dorato. Il reci-
piente in argento di Cariati non è sufficiente a riequilibrare la si-
tuazione: così isolato, sembra possibile interpretarlo come segno
di un fortunato bottino; la composizione del corredo di Marcelli-
na, invece, sembra rispondere a una pianificata completezza, in-
dizio di una ricchezza non casuale, cioè non dipendente solo dalle
alterne fortune di scorrerie e saccheggi.
Sempre nello stesso periodo si può collocare un corredo, che
pare esclusivamente femminile, recuperato a Strongoli-Gangemi:
91
in rapporto, cioè, con l'abitato strutturato di Petelia, ma in ma-
niera non così immediata, vista la distanza, come accade per il
ritrovamento di Marcellina. Lo stato delle conoscenze odierne
autorizza, a quanto sembra, solamente questa osservazione: non
possiamo, cioè, inferire che attorno alla città di Petelia avessero
fissato la propria residenza famiglie dominanti, ripetendo, su
scala minore, il rapporto città/territorio che abbiamo più sopra
analizzato a scala maggiore. La signora di Strongoli è accompa-
gnata da numerosi recipienti ceramici acromi, a vernice nera, a
figure rosse: le loro forme sono prevalentemente funzionali alla
cosmesi. Il corpo era stato deposto su un letto funerario compo-
sto da un grande blocco di pietra a forma parallelepipeda, forni-
to di una sorta di " cuscino » distinto con tre scanalature trasver-
sali. La defunta era coperta con una veste adorna di oltre mezza
dozzina di fibule d'argento, di forma ad arco semplice e staffa
con bottone terminale piuttosto diffusa in quel periodo in Italia
meridionale; ma la preziosità del materiale adoperato distingue
questa sepoltura da quelle, ad esempio, di Praia a Mare-
Dorcara, pur ritenendola in una stessa sfera culturale. Un sem-
plice anello d'argento completava l'adornamento. Le attività
svolte in vita si riferiscono a quelle del governo della casa, come
sembrano indicare i coltelli e gli alari componenti il corredo. Il
recupero di questo complesso è del massimo interesse, in quanto
è coerentemente di assegnazione femminile (tanto che sembra
quasi impossibile supporre che i casuali rinvenitori abbiano tra-
fugato esclusivamente il corredo maschile); e possiamo dedurne
che nella società brettia gli individui femminili godevano della
stessa considerazione e importanza di cui godevano gli individui
maschili.
Di un'ulteriore deposizione provvista di un ricchissimo corre-
do ignoriamo quasi tutto. In prossimità di Gizzeria, nel com-
prensorio nel quale doveva trovarsi la città di Terina, venne alla
luce, a seguito di una frana causata da violente piogge, un insie-
me di oggetti antichi. Di questi, quelli in metallo prezioso furo-
no avviati presso un orefice, che in parte li sminuzzò per rifon-
derne il metallo. I proprietari del fondo dove si era verificata
la scoperta riuscirono, tuttavia, a recuperarli e, redatto un fasci-
coletto provvisto di documentazione fotografica, cercarono com-
pratori. Alla fine, in due distinte operazioni, il gruppo fu acqui-
stato dal British Museum di Londra, dove tuttora si trova con-
servato. I fatti riassunti accaddero negli ultimi decenni del seco-
92
lo scorso e Paolo Orsi nel 1921 ne registra ancora l'eco; a me
stesso è accaduto, una quindicina d'anni fa, di coglierne il ricor-
do nei favolosi, e cupidi, racconti della gente del luogo. Del cor-
redo di quella che doveva essere una tomba a camera di notevo-
lissima importanza si sono così persi tutti gli oggetti ceramici
e quelli metallici non preziosi; fra questi sembra si debba rico-
struire, da quanto riporta Paolo Orsi, almeno la presenza di una
corazza. Agli oggetti preziosi vanno aggiunte alcune monete co-
niate da Agatocle, tiranno siceliota, nel primo quarto del 111 se-
colo, utili per determinare una cronologia assoluta del comples-
so, altrimenti impossibile. Infatti, gli ornamenti preziosi, anche
considerando la lacunosità della documentazione, appaiono chia-
ramente scompagnati fra loro, tanto da farli considerare derivan-
ti più da bottini, o da altro genere di acquisizioni separate fra
loro, che dalla giustapposizione funzionale e completa di un
adornamento individuale. Oltre a quanto resta di pendenti, orec-
chini a helix, lamine decorate, si hanno un anello, un diadema
triangolare, parti di probabili diademi a fascia. L'anello è carat-
terizzato dal castone decorato a rilievo con la testa di Atena; la
produzione dell'oggetto non è definibile con certezza, ma se ne
può supporre una provenienza dall'ambito culturale alessandri-
no. Il diadema triangolare è in lamina, sulla cui superficie sono
saldati fili che disegnano simmetrici motivi vegetali; sulla cuspi-
de superiore, a sbalzo, è il viso del Sole. Questa forma costitui-
sce, a oggi, l'unica attestazione nota dall'Italia meridionale,
mentre se ne hanno vari esempi sulla costa dell'Asia Minore e
nella Grecia settentrionale. Inoltre lo stile di realizzazione delle
decorazioni vegetali sembra differenziarsi nettamente, per una
maggiore rigidità, da quello documentato in analoghe sintassi
che ornano gioielli rinvenuti, e probabilmente prodotti, in Italia
meridionale. I probabili diademi a fascia sono conservati in
frammenti, così che non ne è possibile una sicura ricostruzione.
Si tratta di lamine di forma rettangolare, con i lati corti stondati
e, talvolta, provvisti di asole in filo d'oro per assicurarne la
chiusura. Il corpo delle lamine reca costole longitudinali a rilie-
vo. L'altezza delle lamine indizia che si conservano frammenti
di almeno tre oggetti diversi fra loro, tutti tipologicamente ugua-
li. L'interpretazione funzionale come diademi deriva dali' esclu-
sione di quella di cinturone, che non appare solidamente suffra-
gata né dagli oggetti stessi né dal resto dell'evidenza finora nota,
e dalla presenza delle costolature Iongitudinali, che appaiono do-
93
cumentate con sicurezza nel diadema rinvenuto nella tomba a ca-
mera di Marcellina.
La produzione di tali diademi si attribuisce all'ambiente cultu-
rale italico, forse in particolare brettio. Come appare evidente,
l'interesse storico di questo complesso, noto nella letteratura ar-
cheologica come « tesoro di Sant'Eufemia ''• è assai notevole.
Ove le ricostruzioni proposte corrispondano alla realtà antica, ci
troveremmo di fronte a una raccolta di preziosi che pare condot-
ta su molte rive del Mediterraneo; ma il fortunato Brettio che
così si era arricchito aveva comunque voluto essere distinto an-
che da adornamenti caratteristici della propria cultura originaria.
Si è accennato che alcuni di questi gioielli, come gli orecchini,
sono di pertinenza femminile. Le lacune della conoscenza non
ci permettono più di ricostruire se, anche qui a Gizzeria, siamo
di fronte a una deposizione doppia, come a Marcellina, oppure
singola, come a Cariati e a Strongoli. D'altronde, se la prece-
dente ipotesi è nel reale, si può completare proponendo che il
bottino si era sostanziato di ornamenti sia maschili sia femmini-
li, che venivano quindi considerati, all'interno del corredo se-
polcrale, solamente in funzione del loro pregio materiale e non
più in quella, loro propria originariamente, di adornamento spe-
cializzato.
La presenza delle monete, oltre a farci intendere che il defunto
partecipava a una sfera economica formale, può significare che
l'attività svolta in vita avesse compreso un periodo di mercena-
riato, retribuito con moneta coniata. La completa perdita del re-
sto del corredo ci priva di dati essenziali per una più precisa e
completa conoscenza. I motivi immediati della lacuna sono stati
più sopra riassunti; quelli più profondi, e purtroppo ancor oggi
attivi, sono costituiti dal prevalere dell'interesse venale su quello
scientifico e culturale e dall'incapacità da parte degli organi re-
sponsabili a garantire un'efficiente ed efficace tutela del patri-
monio culturale.
Nella necropoli di località Piercastello a Hipponion è. stata
scavata una tomba a camera ipogea, con le pareti costruite in
blocchi di arenaria; la copertura sembra fosse a doppio spioven-
te. L'apertura frontale era incorniciata da due ante. La tomba
fu riutilizzata in tempi successivi, così che del corredo origina-
rio si sono salvati solamente oggetti dispersi: se ne eccettuino
due statuette in terracotta raffiguranti un guerriero, databili alla
fine del IV secolo.
94
Altri corredi particolarmente significativi provengono da se-
polture non a camera, come detto più sopra: a Camini, località
Jeritano, nei pressi della città di Caulonia, è stata ritrovata una
fossa delimitata con pietre unite a secco e coperta da tegole di-
sposte a tetto. All'interno sembra vi fosse una doppia deposizio-
ne effettuata nella seconda metà del IV secolo; a quella maschile
sono pertinenti i recipienti in bronzo da utilizzare nel simposio;
a quella femminile i recipienti adatti alla cosmesi e le fibule
d'argento che decoravano la veste sepolcrale. La definitiva
ascrizione di questa sepoltura a individui brettii, oppure italioti,
vista la vicinanza di Caulonia, rimane ancora incerta, in attesa
di un'edizione completa sia del ritrovamento sia della consisten-
za insediativa di quel comprensorio. È però possibile affermare
che la presenza di fibule d'argento, trovando ad esempio un con-
fronto funzionale nella deposizione di Strongoli-Gangemi, indi-
zia con sicurezza la presenza almeno di una donna brettia. Gli
elementi più notevoli del corredo sono costituiti dai recipienti in
bronzo: una situla, una brocca a bocca tonda, un vaso per bere
a due anse su alto piede. La situla aveva la funzione di conserva-
re l'acqua per mescolarla al vino durame il simposio; è provvista
di due anse a semicerchio inserite in un doppio anello con placca
di giunzione decorata da una foglia d'edera. La brocca era utiliz-
zata per versare a ognuno dei simposiasti il vino, attinto dal reci-
piente comune; l'orlo è decorato a baccelli; l'ansa ha un girale,
che si origina da un bocciolo d'acanto e da una palmetta. La
sommità dell'ansa reca una protome di negro a rilievo; e sempre
a rilievo è la placca inferiore di giunzione, decorata con la rap-
presentazione di un satiro che si fa trasportare dal proprio man-
tello, utilizzato come vela, su un otre gonfiato che funge da im-
barcazione. Dello schema iconografico si hanno diverse varian-
ti, per la caratterizzazione sia de li' ardito veleggiatore sia dell'o-
riginale imbarcazione; l'assegnazione a un centro produttore è
ancora oscillante tra Alessandria e Taranto. La coppa ha una sa-
goma complessa: dal diametro inferiore sporgono le anse, che
disegnano poi un rialzo e un'insellatura terminale; l'alto piede,
segnato da un anello a rilievo, poggia su un'ampia base.
Un corredo analogo sembra sia stato deposto, in una tomba
di forma non registrata, a Tiriolo-Castaneto. Qui, più di sessan-
t'anni fa, in occasione di lavori agricoli furono recuperati i resti
di una situla in bronzo a doppio manico con beccuccio a protome
di leone; i resti di un cinturone in bronzo con ganci a forma di
95
quadrupedi e di un altro con ganci a forma di pesci; frammenti
vari di recipienti di bronzo, uno dei quali con decorazione vege-
tale graffita; un candelabro e un gruppo di spiedi in piombo. È
evidente che, nel tumultuoso ritrovamento, si è verificata la per-
dita completa del corredo ceramico. Gli oggetti registrati sem-
brano comporre un gruppo coerente: vi sono attestati il simpo-
sio, la guerra, il banchetto simbolizzato dagli utensili in piombo.
I due cinturoni indicano una posizione non infima del defunto
nel corpo sociale. La cronologia della sepoltura non è facilmente
definibile in se stessa, ma, per la parallela presenza della situ-
la, può essere riportata allo stesso periodo di quella di Camini.
Più recente di almeno due generazioni è la deposizione femmi-
nile di Oppido Mamertina-Tresilico, effettuata in un cassone di
lastre intorno alla metà del m secolo. L'identificazione è assicu-
rata da una coppia di orecchini a cerchio in oro, decorati da pro-
tomi di antilopi, appartenenti a una forma diffusa in varie zone
del Mediterraneo e, in Italia meridionale, in particolare nella
parte più a sud dell'attuale Calabria. Si hanno inoltre, quasi di
supporto, uno specchio e un vasetto per contenere unguenti. In-
fine, è stata deposta una coppa di vetro, di forma bassa con lab-
bro svasato e pendulo, decorata con figure in oro; su piani sfal-
sati, inquadrata da un albero, da un cespuglio e da un uccello
alto nel cielo, si svolge una caccia. Un cavaliere vibra la lancia
verso una pantera, che gli ringhia contro voltando la testa; un
arciere saetta verso due capre che si allontanano a balzi, facendo
fuggire tra l'erba una lepre. La coppa era probabilmente utiliz-
zata per mescolare i cosmetici; la sua produzione si attribuisce
ad ambiente alessandrino.
Molto lacunosi sono i dati relativi ad altri ritrovamenti effet-
tuati a Tiriolo più di un secolo fa: da sepolture forse in fosse
sotto tegole, provengono una lamina d'argento frammentaria e
un elmo di bronzo. La lamina è decorata a sbalzo con rosette
disposte irregolarmente nel campo, nel quale si distingue verso
destra la figura di un cavaliere. La funzione della lamina, data
la lacunosità della conservazione, non è più ricostruibile. L'el-
mo è decorato a sbalzo, così da rappresentare una capigliatura
cinta da una corona di foglie d'edera, dalla quale sporgono due
orecchie ferine, da satiro. Se la lamina può essere attribuita a
una produzione d'Italia meridionale, l'elmo deriva da officine
sicuramente alessandrine, come altri esempi analoghi provenien-
ti anche dall'Etruria. Il periodo della deposizione non è precisa-
96
mente definibile, ma può essere ritenuto all'interno della prima
metà del 111 secolo.
Dai corredi di Camini, di Tresilico, di Tiriolo si documenta
ulteriormente la presenza tra i Brettii di oggetti di lusso di pro-
venienza esterna alla loro regione; e ciò in contesti di certo supe-
riori qualitativamente a quelli delle tombe a fossa più frequenti
e abituali, ma non pertinenti a deposizioni in camera. Non è pos-
sibile dire se questo minor impegno costruttivo dipenda da diffe-
renze di cronologia (ma il corredo di Camini è coevo alle came-
re finora note), oppure da distintive particolarità territoriali, op-
pure, infine, se siamo in presenza di individui non appartenenti
al ceto dominante dei rispettivi corpi sociali.
Giusta quest'ultima chiave di lettura, si verrebbe a identificare
un ceto intermedio tra il popolo e i dominanti; ma sembra che
non si abbiano a disposizione dati ulteriori, e di diversa natura,
per prolungare la discussione. È invece accertato dai ritrova-
menti stessi, e di notevole interesse, il fatto che in questi corredi
siano presenti oggetti di pregio importati da ambiti culturali non
italioti: caratteristica che si riscontra con grande evidenza nel
« tesoro di Sant'Eufemia » e che forse può derivare dalla fase
cronologica alla quale questi ritrovamenti appartengono. Siamo
cioè nel tempo che vede l'avventura di Pirro tra i Brettii, l'inte-
resse dei Tolomei per la Sicilia e per l'Italia meridionale, l'ini-
zio dell'espansione della Repubblica romana verso sud: un pe-
riodo di collegamenti all'interno del Mediterraneo, ai quali i
Brettii non saranno stati estranei, anche se la loro partecipazione
sarà stata specializzata e ristretta ali' attività militare subordinata
e non politicamente trainante.

4. Classi di produzione
La maggior quantità dei ritrovamenti effettuati nei siti che si
suppongono con verisimiglianza, o con certezza, abitati dai
Brettii non si distingue dai ritrovamenti compiuti invece nei cen-
tri italioti. Ciò vale in specie per le ceramiche d'uso quotidiano;
ma proprio per questa classe, che è la più abbondante, di recente
sono state scoperte fornaci, a Marcellina e nel territorio di Cirò
Marina, che ne indicano con certezza una produzione brettia.
Ma il repertorio formale, l'evoluzione delle sagome, la tecnica
costruttiva dipendono strettamente dalle parallele produzioni ita-
97
liote, e sarà compito di future ricerche individuare e definire le
caratteristiche distintive fra i due ambienti. Per quanto riguarda
la produzione delle ceramiche d'impasto non decorato non sem-
bra si possa dire molto, se non supporre, in parallelo con quanto
verificato per i recipienti a vernice nera, che anche queste fosse-
ro prodotte nei centri brettii ripetendo le forme universalmente
in uso in sincronia.
Sembra, a quanto oggi si conosce, che il vasellame quotidia-
no adoperato dai Brettii sia uniformemente derivato dal patrimo-
nio analogo in uso presso gli Italioti. Segno, forse, della man-
canza di una tradizione propria e distintiva più antica della metà
del IV secolo. Quest'ipotesi è comprovata dalla sia pur scarsa
documentazione archeologica del v secolo, in precedenza richia-
mata; e tale mancanza deriva probabilmente dalle consuetudini
di vita degli Italici, in quanto il fenomeno pare ripetersi in ma-
niera analoga fra i Lucani. Possiamo quindi supporre che i reci-
pienti quotidiani in uso presso questi popoli, prima che fissasse-
ro le rispettive sedi e impostassero sia scambi regolari e abbon-
danti con gli italioti sia proprie produzioni pesantemente in-
fluenzate da quelle degli avversari, fossero costruiti in legno e
tali da non lasciare né rimpianti né ricordi che limitassero una
loro sostituzione totale.
È rimasta allo stato di ipotesi di lavoro la proposta che presso
i Brettii si fossero localizzate, almeno nell'ultimo quarto del IV
secolo, anche officine di produzione di recipienti decorati a figu-
re rosse, ovviamente di stretta inùtazione da quelli italioti.
Per prodotti in altri materiali, in specie metallici, la ricerca
archeologica non ha ancora offerto i dati, sia pure tanto ridotti,
che si hanno a disposizione per le fornaci ceramiche. Così che,
quando ci si trova di fronte a oggetti non distinti da figurazioni
o da elementi decorati dei quali è riconoscibile la cifra stilistica,
l'identificazione produttiva non è affatto agevole. Sembra infatti
necessario distinguere fra due possibilità teoriche: che alcune se-
rie di oggetti fossero prodotte da artigiani brettii; oppure che ar-
tigiani italioti producessero per consumatori brettii. La situazio-
ne reale che possiamo ricostruire è probabilmente intermedia fra
i due estremi schematizzati. Occorre infatti ricordare che i Bret-
tii si impadronirono di città abitate da Italioti: Laos, Terina,
Hipponion; e che inoltre vissero in contatto, anche se talvolta
conflittuale, con le altre città italiote. È quindi ricostruibile un
processo di addestramento di alcuni individui brettii alle tecni-
98
che produttive e alla morfologia propria degli artigiani italioti:
anche se ciò non esclude l'eventualità di "ordini su commissio-
ne >> portati a termine da Italioti. Quest'ultima eventualità può
essere supposta per oggetti di particolare pregio, che non trova-
no, nell'attuale conoscenza, precedenti in analoghi prodotti sicu-
ramente italioti: ad esempio i diademi a fascia del « tesoro di
Sant'Eufemia ''• o le fibule d'argento da Strongoli e da Camini.
E ciò tanto più vale in quanto nelle produzioni sicuramente itali-
che non sembra di individuare familiarità con prodotti in mate-
riali preziosi.
Sembra metodologicamente più sicuro limitare a questa enun-
ciazione, della quale non sfugge la vaghezza, la definizione e
l'impostazione del problema: in quanto pare arrischiato intro-
durre il criterio della" qualità >>, secondo il quale i prodotti sem-
plici, o '' rozzi >>, sono opere italiche, mentre sono italioti quelli
complessi, o ,, belli >>. Come esempio di questa nostra cautela-
che potrà essere rimossa solamente a seguito di più numerose
e scientificamente controllate acquisizioni di dati - valga il ca-
so delle lamine votive, in argento dorato, dal santuario di Cirò
Marina. La semplicità delle lamine e della loro decorazione a
sbalzo è evidente; la frequentazione del santuario da parte dei
Brettii è assicurata dal rinvenimento di bronzetti figurati; ma la
,, italioticità ,, dei motivi decorativi qui attestati è superiore a
ogni dubbio.
D'altro canto, la produzione dei cinturoni di bronzo, che co-
stituiscono una classe esclusivamente italica, è da presupporre
sia avvenuta in officine italiche; nelle quali tuttavia non possia-
mo ancora individuare quanto di migliorativo, in specie dal pun-
to di vista tecnologico, sia dovuto alle nozioni possedute dai me-
tallurghi italioti, e da questi eventualmente trasmesse ad artigia-
ni italici. Ma, anche per questa classe, si hanno esempi di non
facile interpretazione: il cinturone da Marcellina con applicazio-
ni di figurette in lamina d'argento, di stile italiota, sembra deri-
vare da una giustapposizione di queste ultime, di reimpiego pe-
raltro non definibile, a un oggetto squisitamente italico. Qui ci
può forse guidare il « gusto >> nel definire brettio l'artigiano che
ha composto il pasticcio?
Per quanto riguarda le armi difensive occorre notare inoltre
che, a oggi, non si conoscono in territorio brettio armature a di-
sco dei diversi tipi: foggia, è bene ricordarlo, che è comunque
rappresentata nel suo tipo più semplice, e completo, dalla raffi-
99
gurazione sbalzata sulla corazza anatomica della tomba di Mar-
cellina. Ove lo stato delle conoscenze corrisponda alla realtà an-
tica, potremmo essere autorizzati a dedurre che i Brettii, finché
non si resero indipendenti dai Lucani, vivevano in tale stato di
subordinazione da non poter disporre neanche di armature. Così
che i loro condottieri, una volta resisi autonomi, utilizzarono
esclusivamente il più recente, funzionale e decorativo tipo di ar-
matura anatomica: peraltro di invenzione e, possiamo aggiunge-
re, di esclusiva produzione italiota. Anche in questo campo così
specializzato e caratteristico dei Brettii, come si è proposto ri-
guardo ai recipienti d'uso quotidiano, si comproverebbe l'asso-
luta mancanza, o l'infimo livello qualitativo, di produzioni pro-
prie dei Brettii precedenti alla data del 356. Alla prima metà del
m secolo è databile l 'elmo rinvenuto presso Locri, la cui perti-
nenza all'esercito romano è stata di recente dimostrata. Non è
possibile ricostruire le condizioni di ritrovamento, che ci avreb-
bero forse indicato se si tratta di un bottino conquistato da un
guerriero brettio a un soldato romano durante le guerre di Pirro.
Per gli oggetti di piombo, di varie fogge, con esclusiva fun-
zione sepolcrale, sembra legittimo postulare una produzione
brettia; e così per le più semplici forme coroplastiche. Ma già
in quelle figurate, ricavate da matrici, si riapre il problema della
produzione meccanica derivante da prototipi esterni, morfologi-
camente e stilisticamente, alla cerchia culturale che adopera i
prodotti finiti. Tanto più che, da Castiglione di Paludi e da Lai-
no, provengono arnesi per la manifattura ceramica e matrici
iscritti con antroponimi italioti. Lo stesso vale per le antefisse
figurate, anch'esse prodotte a matrice, da Marcellina a Cirò Ma-
rina a Tiriolo. Analogamente, è italiota la forma, e ancora più
a monte la necessità, di tegole piane per la copertura dei tetti;
ma da Castiglione e da Hipponion ne provengono esemplari con
bolli in lingua brettia.
Sembra di poter osservare che nelle produzioni utilitaristiche,
sia pure talvolta d'impegno, quanto era in uso fra i Brettii dipen-
desse strettamente da quelle italiote: salvo impegnare la ricerca
futura a tentare di risolvere il problema generale posto a propo-
sito dell'identificazione de li 'artigiano brettio e della sua diffe-
renziazione da quello italiota.
Una sicura pertinenza culturale brettia si può invece dimostra-
re in prodotti che attengono a una sfera sovrastrutturale, nella
quale, evidentemente, erano attivi imperativi e condizionamenti
100
talmente connaturati alla cultura del popolo brettio (componente
esso stesso della generale cultura italica in quanto altra da quella
italiota) e, si può aggiungere, talmente influenti sulla << qualità
della vita "da !asciarcene traccia materiale. Ci si riferisce a pro-
dotti figurati plastici: in terracotta, in bronzo, in pietra, di desti-
nazione votiva o cultuale. Ma è noto che in espressioni figurati-
ve analoghe si è cercato di individuare quanto abbiano fruttifica-
to l'esperienza e l'esempio di analoghi prodotti ellenici: così
che, forse, è solamente lo stile, e non la produzione materiale,
a farci individuare una distinzione brettia in questi prodotti.
Nella tomba a camera di Cariati sono stati trovati frammenti
pertinenti a una figura in terracotta: sono riconoscibili parte di
una capigliatura maschile, un orecchio sinistro, un piede sini-
stro. Dalle dimensioni si può ricostruire una rappresentazione
quasi al naturale, anche se troppo poco si è conservato per esse-
re sicuri che si trattasse di una figura intera. La lavorazione è
a mano libera, con particolari a stecca; sull'ingubbiatura bianca,
a vista nelle parti nude, è stesa una vernice rossastra per la capi-
gliatura. È solamente quest'ultima che ci fa individuare una cul-
tura figurativa diversa da quella italiota coeva.
Le due statuette fittili, dalla tomba a camera di località Pierca-
stello a Hipponion, raffigurano un guerriero con corazza anato-
mica ed elmo conico. Ne è incerta la localizzazione produttiva,
come l'esatta funzionalità, ma non sarà del tutto fantastico ricor-
dare il ritrovamento di un elmo simile presso Locri. La cifrasti-
listica non si differenzia da analoghi prodotti consueti nelle città
italiote.
Più documentati sono i prodotti plastici in bronzo, appartenen-
ti alla grande e diffusa classe delle figure votive proprie a tutti
i popoli italici. Alla sistematizzazione per i pezzi più antichi, al-
cuni dei quali ricordati in precedenza, non è ancora seguita l'a-
nalisi di quelli più recenti. Le definizioni cronologiche sono
molto ampie, a causa della generale mancanza di conoscenza del
contesto; la destinazione votiva è assicurata; le iconografie più
rappresentate sono quelle di Ercole, di Marte, della figura ma-
schile stante offerente, di quadrupedi. Un consistente gruppo è
stato ritrovato a Tiriolo, indiziando l'esistenza di un deposito
votivo composto da statuette in terracotta (raffiguranti Atena) e
in bronzo; in queste ultime, che si ascrivono con sicurezza a una
produzione italica e in particolare brettia, si colgono precisi in-
flussi iconografici italioti, ad esempio nella posizione dell' Erco-
101
le in riposo. Allo stesso ritrovamento è pertinente un frammen-
to di statuetta, sempre in bronzo, raffigurante la parte mediana
di un corpo femminile coperto da un peplos panneggiato: l'edi-
tore, convincentemente, lo riporta a uno << stile molto severo e
assai lontano dalla minuziosità delle epoche tardo ellenistiche e
romane'' (Ferri, in NSc 1927, p. 346). Ciò significa che il pez-
zo deriva da un prototipo prodotto nella prima metà del v seco-
lo; ma ciò non comporta un'analoga cronologia per il reperto ti-
riolese, quanto piuttosto la sua derivazione produttiva da un'of-
ficina italiota, oppure da una italica profondamente influenzata
da modelli italioti. In considerazione delle capacità stilistiche di-
mostrate dai plasticatori tiriolesi nella produzione delle figuret-
te di cavalli, la seconda possibilità non può essere esclusa, sal-
vo comunque un auspicato incremento delle conoscenze generali
sul problema.
La scultura in pietra è finora documentata da un unico ritro-
vamento sicuro, effettuato a Castiglione di Paludi a seguito di la-
vori agricoli nei pressi del pozzo che si trova un centinaio di me-
tri a est del quartiere abitato. Non è stato ancora possibile esplo-
rare il luogo della scoperta, così da conoscerne la destinazione.
La scultura è in arenaria locale a grana fine e rappresenta un vol-
to umano di prospetto, sicuramente maschile, di dimensioni quasi
al naturale, nel quale sono notati gli elementi componenti con
precisione di rapporto e con una rappresentazione schematica che
comporta distorsioni proporzionali, come nel caso delle orec-
chie. Le conoscenze generali acquisite a proposito della frequen-
tazione antica di Castiglione di Paludi assicurano che la scultura
è da riferirsi a un periodo tra la seconda metà del Iv e la fine del
111 secolo. I paragoni tipologici possono essere individuati nella
serie di sculture ritrovate nel santuario sannitico di Pietrabbon-
dante; il suo carattere italico sembra facilmente dimostrabile. La
scultura da Castiglione indizia in quel centro abitato l'esistenza
di un santuario, presso il quale era attivo uno scultore; future sco-
pe~e potranno ampliare questo campo d'indagine.
E forse pertinente a questo stesso problema una scultura in are-
naria, rinvenuta murata in una masseria in località Pollella di San
Lucido da A. Battista Sangineto. La mancanza di ogni notizia sul
ritrovamento originario non consente, per questo volto (forse
femminile, se il contorno rappresenta il velo portato sul capo),
un'assegnazione sicura. Potrebbe trattarsi di un prodotto brettio
(la zona di San Lucido ha restituito, come detto, documenti mate-
102
riali al proposito) oppure romano del periodo repubblicano, da
riconnettersi alla colonizzazione di Temesa, al cui territorio era
pertinente San Lucido.
L'analisi fin qui condotta sulle classi di produzione attestate
fra i Brettii non permette conclusioni ultimative: troppo spesso
si è ripetuto che mancano dati conoscitivi sufficienti. Da quanto
si è potuto raccogliere emerge tuttavia con chiarezza che i pro-
dotti materiali costituiscono l'immagine speculare della posizio-
ne dei Brettii: di stirpe italica, ma conquistati e partecipi della
cultura italiota contemporanea.

5. Architettura
La tecnica costruttiva documentata dagli edifici privati dei centri
abitativi brettii non presenta alcuna differenza da quella contem-
poraneamente in uso nelle città italiote. Come già per i recipienti
d'uso comune, si può proporre che le strutture abitate dai Brettii
prima che si stabilizzassero nell'attuale Calabria fossero tanto
elementari da essere sostituite totalmente. Anche la disposizione
planimetrica e funzionale dei vani non sembra presentare carat-
teristiche distintive; si osserverà, inoltre, l'ampia acquisizione di
tutte le tecnologie relative alla pavimentazione, ali' approvvigio-
namento idrico, allo smaltimento delle acque.
Lo stesso vale per la disposizione urbanistica degli edifici:
dalla descrizione sopra proposta di Marcellina e di Castiglione
di Paludi non risultano differenze rispetto a una città italiota.
Circa l'architettura militare, l'esempio privilegiato è finora
costituito dalla fortificazione di Castiglione di Paludi; e anche
in questo l'esperienza italiota è stata messa a frutto senza che
si possano distinguere apporti diversificanti.
Il problema dell'identificazione " etnica ''• non tanto dei co-
struttori materiali quanto dei progettisti e dei capi dei cantieri,
si presenta analogo a quello relativo alle altre classi di produzio-
ne. Tuttavia, in questo campo, che assume una rilevanza ecce-
zionale circa la sicurezza del gruppo sociale che usufruisce delle
fortificazioni, risalta con notevole evidenza l'identificazione cul-
turale degli Italici committenti con le analoghe realizzazioni do-
cumentate nelle città italiote, che hanno funzione di modello.
Sembra legittimo che tale identificazione comporti conseguenze
interpretative a livello sovrastrutturale e sociale forse più impor-
103
tanti di quanto sia possibile dedurre a proposito della stessa si-
tuazione evidenziata per gli oggetti d'uso privato. È stato propo-
sto, nel contermine territorio lucano, che maestranze italiche si
fossero impratichite e addestrate in cantieri italioti; e che, rien-
trate in patria, avessero poi provveduto in proprio a erigere for-
tificazioni uguali. L'ipotesi sembra cogliere solo una possibilità,
ma non sembra che l'organizzazione dei cantieri antichi permet-
tesse, a chi vi fosse impiegato, di apprenderne tutti i meccani-
smi di funzionamento: dalla progettazione del tracciato al taglio
dei blocchi; dal trasporto alla messa in opera, alla rifinitura dei
particolari, peraltro essenziali come le porte a caditoia attestate
a Paludi. Nelle fortificazioni brettie non si conoscono, finora,
né iscrizioni né segni di cava: questi ultimi sono stati frequen-
temente utilizzati per dedurre una costruzione italiota, ma di-
menticando che la lingua osca adopera l'alfabeto greco. È forse
possibile proporre che le fortificazioni brettie derivino dall'ope-
ra di progettazione e di organizzazione del cantiere di architetti
italioti, la cui mobilità è attestata dalle fonti letterarie (Diod. Sic.
14, 18, 4) sia pure in direzione della Sicilia, ma per i quali pos-
siamo legittimamente supporre non fossero ininfluenti gli ingag-
gi garantiti dai committenti brettii. Ci troveremmo in un caso
contrapposto a quello del mercenariato praticato dai Brettii al
soldo degli Italioti.
Per quanto riguarda l'architettura religiosa, la documentazio-
ne è scarsissima: essa è costituita da modelli fittili, rinvenuti a
Castiglione di Paludi, che ripetono schematicamente forme ita-
liote. Un caso molto interessante è rappresentato dalla seconda
fase edilizia del tempio dedicato ad Apollo Aleo presso capo
Alice di Cirò Marina.
Quasi sul mare, Paolo Orsi identificò il luogo di questo famo-
so santuario, recuperandone la pianta, le decorazioni architetto-
niche, i doni votivi, i resti della statua di culto, le linee principa-
li della sistemazione del luogo e della cronologia di frequenta-
zione; quest'ultima si dispiegava in due fasi: una arcaica, la se-
conda ellenistica. Recenti scavi stratigrafici e una rilettura criti-
ca della già acquisita conoscenza hanno permesso a Dieter
Mertens una nuova messa a punto. Per la fase arcaica basterà
accennare che il tempio è stato costruito non prima della metà
del VI secolo e che la sua statua di culto e i doni votivi furono
sepolti sotto il pavimento della cella in occasione della ristruttu-
razione avvenuta, secondo Mertens, all'inizio del m secolo. In
104
questa occasione fu conservata la dimensione, stretta e allunga-
ta, della cella arcaica, pur modificandone la distribuzione del-
lo spazio interno; ma fu ampliata e rafforzata la peristasi che
contava otto colonne sulle fronti e diciannove sui lati lunghi, ag-
giungendo un'ala colonnata sul lato orientale della fronte, così
da costituire '' l 'unico tempio periptero ellenistico di tutto l 'Oc-
cidente greco,, (Mertens, Atti Taranto 1983, p. 227). Di questa
fase, di ordine dorico come la precedente, si conservano ele-
menti sufficienti per ricostruire la trabeazione in pietra. La cro-
nologia indicata non è considerata definita con precisione a cau-
sa dell'impossibilità di acquisire scientificamente abbondanti da-
ti di scavo utili.
Il tempio di Cirò Marina, per quanto derivante sicuramente
dal progetto di un architetto italiota, rientra nel nostro argomen-
to generale a causa della sua collocazione topografica; già in
epoca arcaica sembra abbia costituito il « santuario di confine ,,
di Crotone nei confronti dei nuclei indigeni che frequentavano
l'entroterra, forse sacralizzando un ancora più antico luogo di
scambio, indiziato dalla leggenda di Filottete. Nel corso del 111
secolo, quel territorio, frequentato dai Brettii, è da considerarsi
tributario di Petelia, o ad essa collegato. Sembra quindi che il
problema si possa così definire: ammesso come verisimile che
il santuario di Apollo Ateo abbia conservato il suo valore « di
confine ••, cioè di luogo franco per lo scambio tra popoli diversi,
a seguito di quale occasione i Brettii, ormai divenuti dominatori
di quel territorio, procedettero a incaricare un architetto italiota
(di Crotone?) della ristrutturazione del tempio? Il seppellimento,
per motivi religiosi, della statua di culto prodotta poco dopo la
metà del v secolo sembra comportare un radicale cambiamento
rispetto alla fase più antica: non è raro, infatti, il caso che, nono-
stante i rifacimenti, si continuassero ad adorare le precedenti
statue raffiguranti la divinità titolare. La sostituzione della statua
sembra comportare non tanto quella della divinità venerata,
quanto il cambio radicale dell'autorità, o del gruppo sociale,
committente della ristrutturazione, e quindi gestore del santuario
e delle attività a esso collegate. La dominazione brettia su quel
territorio, e sul tempio ivi contenuto, può non aver impedito ai
Crotoniati l'osservanza delle festività anniversarie proprie di
quel culto; l'ipotesi può essere fondata sull'analogia di quanto
è documentato, quasi allo stesso proposito, per i discendenti dei
Poseidoniati ormai sotto il dominio dei Lucani. Il problema, co-
105
me risulta evidente, non è di facile soluzione: sia consentito pro-
porre l'ipotesi che la ristrutturazione del tempio di Apollo Aleo
sia opera dei Petelini, a conclusione delle guerre di Pirro. Du-
rante la seconda guerra punica, come si è detto, lo strato domi-
nante di quella città era alleato con i Romani: a quanto pare da
una fresca data, vista la costanza dimostrata. E parallelamente
la potenza, sia pure contestata, che dimostrano i maggiorenti dei
Petelini può derivare da una loro consolidata presenza al gover-
no della città: e sembra tipico delle aristocrazie illustrare il pro-
prio governo con splendenti opere pubbliche. Nella proposta
committenza a un architetto italiota si potrebbe scorgere il desi-
derio della classe dominante petelina di rifarsi - anche con la
realizzazione di un'opera pubblica con tali valenze di rappresen-
tazione sovrastrutturale - ai modelli culturali delle parallele
classi dominanti italiote e, ormai, romane, così da stringere, an-
che sotto questo aspetto, un'alleanza non tanto tra popoli, quanto
tra classi.
L'unica costruzione pubblica laica conosciuta è costituita dal
teatro di Castiglione di Paludi. La cursorietà dello scavo e la
scarsa conservazione del monumento ne impediscono una lettura
e un'interpretazione sicure. Pare comunque accertato che la sua
pianta sia circolare, con sostruzioni in blocchi per le gradinate
che sorreggevano i sedili; gli incavi quadrangolari che si osser-
vano nella parete rocciosa sovrastante derivano piuttosto da la-
vori di cava (svoltisi in epoca post-antica) che dalla presenza di
un settore di koilon così conformato. A oggi, l'unicità della tipo-
logia in ambiente brettio è assoluta: troppo vaghe sono le notizie
a proposito di resti di un teatro a Hipponion per costituire base
a più approfondite analisi. La derivazione del teatro di Castiglio-
ne da modelli italioti appare sicura: per quanto riguarda la sua
costruzione, il problema è analogo a quello esposto a proposito
delle opere di difesa, così come, verisimilmente, la fase cronolo-
gica di realizzazione. Lo scopo della costruzione sembra doves-
se prevedere anche quello di costituire un luogo di riunione per
l 'assemblea pubblica istituzionale.
Ipotesi ricostruttive della società
e della cultura dei Brettii

DELLA conformazione generale che la Calabria attuale presenta


si è già detto più sopra: i dati dimensionali esposti qui di seguito
in maniera schematica sono funzionali a cercare di ricostruire
oggettivamente, per quanto sia ancora possibile, i modi concreti
di organizzazione sociale e produttiva dei Brettii. Come si è vi-
sto, non si è raggiunta certezza assoluta né circa la localizzazio-
ne precisa dei confini né circa il loro configurarsi diacronico:
così che ogni calcolo quantitativo soffre di tale incertezza a mon-
te. Ma sembra che ogni studio quantitativo rivolto a situazioni
antiche si dibatta in simili difficoltà; mentre l'elaborazione di
studi in questo campo riveste un notevole interesse per rendere
più concreta la nostra rappresentazione della realtà antica, non
più ricostruibile con oggettiva sicurezza, ma non per questo non
inavvicinabile grazie a successive approssimazioni.
L'attuale regione Calabria si estende per 15.080 km 2 , dei qua-
li il 41,70 per cento è classificato come montagna, il 49,30 per
cento come collina, il 9 per cento come pianura.
Possiamo porre che, al massimo della loro espansione, su cir-
ca tre quarti dell'estensione territoriale vi fosse una presenza or-
ganizzata di nuclei brettii, o una loro influenza tale da non per-
mettere stanziamenti fissi da parte di Italioti: tale indicazione
percentuale si può ricavare da quanto ci si ritiene autorizzati a
dedurre dalle fonti letterarie relative. La massima parte di tale
estensione era costituita da montagna e da collina: solamente pic-
cole porzioni di pianura costituivano settori del territorio control-
lato dai Brettii, come quelle intorno a Marcellina, il fondovalle
del medio corso del Crati, la pianura di Lamezia. La conforma-
zione orografica non era tale da favorire lo sviluppo di grossi
centri urbani: piuttosto, venivano favorite le divisioni cantonali
accentrate e caratterizzate da corsi fluviali e da comprensori na-
turali. Gran parte del territorio non doveva conoscere insedia-
menti fissi sia per la presenza di foreste sia per motivi di altitudi-
ne e quindi climatici. Tale porzione " indivisa » del territorio
poteva costituire la sede di attività stagionali, dalla silvicoltura
alla transumanza, la cui esplicazione riposava probabilmente su
consuetudini basate su accordi raggiunti tra i nuclei che erano i
107
più favoriti territorialmente. Queste considerazioni sembrano
comportare conseguenze organizzative che tendono a conclusio-
ni concordi con quanto si è finora detto; aggiungendo il partico-
lare che, non trattandosi per lo più di attività stanziali, non erano
tali da favorire un rapido e massiccio incremento demografico.
Quest'ultimo sembra sia stato reso possibile solamente per
quei nuclei di Brettii che si fissarono in organismi stabili, sia pu-
re di diversa strutturazione più o meno urbana. Le contraddizio-
ni e dialettiche che abbiamo definito << sociali ''• testimoniate a
Petelia e a Cosenza, sono giunte fino a noi attraverso le fonti
letterarie antiche in quanto significative di episodi che hanno in-
teressato la storia della Repubblica romana; ma, dali' angolo vi-
suale che qui c'interessa, possiamo dedurre che siano stati an-
che la concentrazione e il numero degli abitanti di quei centri
i fattori che hanno contribuito ad accrescere le difficoltà interne
di quei gruppi sociali. Le fonti non ci danno elementi quantitati-
vi diacronici; il metodo di valutare le potenzialità produttive di
determinati territori per ricavarne il numero dei possibili abitan-
ti non sembra applicabile al territorio dei Brettii proprio a cau-
sa dell'impossibilità di determinare le rispettive percentuali, e le
rispettive potenzialità, riguardo al totale generale.
Mancano, infine, elementi archeologici utili alla quantizzazio-
ne dei Brettii, o ad alcuni loro cantoni. Gli scavi dei centri urba-
ni sono ancora troppo preliminari per permettere di valutare con
ragionevole approssimazione quanta parte della superficie forti-
ficata fosse occupata da edifici residenziali. Gli scavi di necro-
poli assegnabili a Brettii urbanizzati sono ancora più scarsamen-
te sistematizzati: anche a Hipponion, per la quale si conoscono
varie tombe nel periodo posteriore alla metà del IV secolo, i dati
sono troppo esigui per essere utilizzati con profitto. L'unico mo-
numento pubblico per riunioni noto - il teatro di Castiglione di
Paludi - si stima potesse contenere circa duecento persone sedu-
te; ma chi erano i fruitori di quel monumento? a quanta esten-
sione territoriale facevano riferimento?
A fronte di questa mancanza letteraria e archeologica vi sono
poche e discordi notizie storiografiche riferite allo scorcio del
m secolo, quando cioè il territorio dei Brettii fu teatro delle vi-
cende intercorse tra gli eserciti romani e quelli di Annibale. Po-
libio (2, 24), come si è già ricordato, elenca gli effettivi che i
Romani richiesero nel 225 ai propri alleati italici per contrappor-
li all'invasione cartaginese; del totale di 700.000 fanti e 70.000
108
cavalieri non fanno parte né i Brettii né gli Italioti di quelle città
della Calabria odierna che fin dal primo quarto del m secolo
avevano stretto alleanze con la Repubblica. I Lucani sono stima-
ti in 30.000 fanti e 3000 cavalieri.
Livio (23, 30) riporta che nel 216 a Crotone si avevano meno
di 20.000 abitanti: ne risulterebbe un numero intorno a 5000 in
età militare. Contro Crotone, sempre Livio (24, 2), come si è
visto, ricorda che i Brettii armarono un esercito di 15.000 uomi-
ni. I due dati sembrano in contraddizione, in quanto appare
schiacciante il rapporto a favore degli Itali ci. Nel 209 (Li v. 27,
16) da Taranto conquistata i Romani vendettero schiavi 30.000
abitanti. Da Petelia, in quegli anni, vennero esuli 800 abitanti
(App., Hann. 7, 29).
Tali dati frammentari, e almeno in parte insicuri, non valgono
a colmare la mancanza che si lamenta nella lista tramandata da
Polibio: sul cui motivo la ricerca moderna, come si è più sopra
ricordato, non ha potuto esprimersi altro che ricorrendo alla ne-
gligenza del compilatore o al fatto che Brettii e Italioti erano
troppo insignificanti e poco numerosi per essere menzionati.
Quest'ultima spiegazione non sembra trovare riscontro nella
realtà dei fatti successivi, tramandati dalle stesse fonti storiogra-
fiche; così come non sembra nel giusto una terza spiegazione
che vede nel ricordo dei Lucani un compattamento di essi con
i Brettii. Infatti in Li v io (22, 61, Il e 23, l l, l l) Lucani e Bret-
tii sono ricordati separatamente come alleati dei Cartaginesi.
Piuttosto sarà da condividere la linea di ricerca che tende a pro-
porre che, all'epoca di quei fatti, i Brettii fossero in numero ana-
logo a quello dei Lucani: anche se non ci si nasconde che il fon-
damento di questa linea è solo di verisimiglianza. La superficie
territoriale occupata dai Lucani si può stimare in circa 14.000
km 2 , comprendenti l'attuale provincia di Salerno e la parte non
costiera dell'attuale regione Basilicata, e quindi di poco superio-
re ai circa 11.310 km 2 che si è stimato occupassero i Brettii in
Calabria. Ove si assuma che le possibilità nutrizionali e organiz-
zative del territorio dei Lucani siano state simili a quelle del ter-
ritorio brettio, con un'equivalenza aritmetica si possono stimare
in circa 24.000 i fanti e in circa 2400 i cavalieri coscritti dai Ro-
mani in quest'ultimo. La nostra conclusione non è dissimile da
quella che, senza chiarire il procedimento ricostruttivo, aveva
proposto il Toynbee (l, p. 495). Secondo le consuete proporzio-
ni di calcolo tra uomini in armi e popolazione totale, si può ri-
109
cavare il numero generale dei Brettii nel periodo interessato.
Non sfugge, tuttavia, che il procedimento adottato è del tutto
meccanico e approssimativo, così che non resta che attendere
l'acquisizione di nuovi dati utili al problema. In specie per quel-
l'aspetto, al quale si è accennato poco sopra, tendente a chiarire
quanto la sedentarizzazione, anche se parziale, dei Brettii abbia
contribuito ad accrescerne il numero.
Sia pure in questa quasi totale incertezza quantitativa sembra
sia legittimo ritenere per fermo quanto già sostenuto: che gran
parte del territorio non era occupato da attività stabili e che oltre
ai centri strutturati si avevano piccoli nuclei produttivi dispersi.
In tale forma di popolamento dovevano svolgere una funzione
assai importante, dal punto di vista dell'organizzazione, le pe-
riodiche ricorrenze, utili allo scambio dei prodotti, solennizzate
da celebrazioni rituali. In tali occasioni, che non sappiamo se si
svolgessero presso i centri strutturati oppure in santuari " di con-
fine » come quello di Cirò Marina, si sarà verificata anche la
predominanza di alcuni individui e, forse in diacronia, di una
classe sulle altre.
Se è nel reale l'interpretazione offerta del teatro naturale nel
quale si è svolta l'attività dei Brettii, si può dedurre che la mas-
sima parte delle produzioni fosse collegata ai cicli stagionali: è
così per la pastorizia e l'allevamento del bestiame, per l'agricol-
tura, per il fare la guerra. Per le prime non sembra sia necessa-
rio insistere in maniera particolare; per l 'ultima, è noto che in
antico le attività militari si svolgevano solamente, o quasi sola-
mente, durante la stagione favorevole. Nell'attività guerresca, e
nella sua forma specifica che è il mercenariato, si vede un'ulte-
riore conferma dell'organizzazione dispersa e territoriale che
tutti i filoni di indagine fin qui seguiti ci sembra abbiano fatto
risultare per i Brettii. In specie per quanto riguarda l'emergere,
in un primo tempo, di individui distinti come riferimenti e capi
delle diverse bande; dai quali sarà, in un secondo tempo, deriva-
ta una classe dominante sull'altra, alla quale erano pertinenti i
componenti delle bande stesse. All'inizio della storia autonoma
dei Brettii, Giustino (23, l, IO) pone i cinquanta giovani Lucani
che compivano scorrerie e saccheggi con gruppi di Brettii; si
può supporre che sia stata attiva una presenza lucana tale da far
fermentare la ribellione brettia contro i dominanti, se non altro
a mente del fatto che, una generazione più tardi, i Lucani hanno
esiliati che costituiscono la guardia del corpo di Alessandro il
110
Molosso. Accanto a tale stimolo esterno dovette però essere pre-
sente anche una dominanza esclusivamente brettia, selezionata su
doti di forza e di coraggio fisici e, forse, su quelle caratteristiche
di vita selvaggia, funzionalizzata all'astuzia e alla rapidità nelle
imboscate e nelle scorrerie, che la vita nei boschi aveva sviluppa-
to nei Brettii e che li avevano fatti consigliare come pedagoghi
ai Lucani.
Accanto a queste attività produttive, per così dire, originarie
e caratteristiche dei Brettii, anche se non loro esclusive, si è visto
che in specie i centri strutturati non erano privi di produzioni arti-
gianali, commerciali così come edilizie. Per quanto concerne
queste ultime, un interessante campo di ricerca, che la futura atti-
vità dovrà esplorare compiutamente, riguarda le costruzioni mili-
tari dal punto di vista dell'organizzazione produttiva. La mano-
dopera non qualificata necessaria al funzionamento del cantiere
era forse costituita dagli strati più bassi della popolazione, in-
quadrati da quei capi cantiere ai quali si è accennato più sopra,
e utilizzati in questa attività dalla classe dominante dei singoli
centri. Un'analisi della quantità della forza lavoro occorrente per
le realizzazioni note potrebbe fornire dati assai utili anche per
una valutazione quantitativa del popolamento dei diversi com-
prensori afferenti alle fortificazioni.
Il segno archeologico delle attività commerciali è costituito sia
dal tipo dell'anfora su alcune emissioni monetali di Hipponion sia
dai ritrovamenti di oggetti per i quali si può supporre una fabbri-
cazione avvenuta in territorio non brettio, così come si è cercato
di argomentare più sopra. Si è però già visto che non sempre è
possibile definire le modalità di acquisizione: se mediante lo
scambio oppure a seguito di bottino militare. Siamo tuttavia a co-
noscenza di attività produttive brettie che potevano dar luogo a
scambi commerciali: dal pesce salato alla pece, ricordata già nel-
le tavole dell'archivio di Giove a Locri, ai prodotti della pastori-
zia, come ad esempio la lana. Parallelamente, alcuni ritrovamenti
in contesti brettii sembrano derivare piuttosto da commerci che
da bottini: ad esempio i vasi monumentali a figure rosse italioti
o le anfore vinarie da centri egei come Rodi e Chio. Forse scambi
di tale natura avvenivano anche in occasione di ricorrenze reli-
giose in santuari frequentati da Brettii e da Italioti; ma sembra
che non potesse mancare un controllo sociale, assicurato dalla
classe dominante, di tale attività, sia che questa si svolgesse al-
l'interno dei Brettii stessi sia, invece, che avvenisse all'esterno.
111
Infatti, un ritrovamento verificatosi a Marcellina ha fatto co-
noscere un gruzzolo di 175 « gettoni ,, in terracotta, stampigliati
tutti con un sigillo raffigurante Eros seduto su un altare con le
mani legate dietro la schiena. Si può ricostruire che il sigillo
adoperato per contrassegnare i « gettoni ,, sia stato una pietra in-
cisa o un castone di anello prodotto in un'officina italiota sullo
scorcio del IV secolo. La funzione degli oggetti, per quanto non
definibile con sicurezza, si può intendere come riferita ad atte-
stare, grazie alla particolarità della stampigliatura, la consegna
di una determinata quantità di un prodotto: quasi una sorta di
,, buono ,, a valere per future riscossioni. Analogo al ritrova-
mento di Marcellina è un secondo di Sala Consilina, in area lu-
cana: qui furono ritrovati 480 « gettoni ,, simili, contrassegnati
con una stampigliatura non interpretata, ma uguale per tutti gli
oggetti. Sembra quindi legittimo dedurre che, all'interno della
società brettia, si riconoscesse un « valore di scambio >> a oggetti
ufficializzati da una stampigliatura: ed essa doveva essere garan-
tita da un'istituzione riconosciuta.
Nei « gettoni » di Marcellina e di Sala Consilina possiamo ve-
dere l'embrione dell'economia monetale presso i Brettii: come
sintomo di una progressiva strutturazione istituzionale presso i
diversi popoli e, infine, per tutta la confederazione. Nel IV e nel
m secolo l 'uso della moneta coniata rientra nelle caratteristiche
acquisite e consolidate delle città italiote; solamente Locri non
ha ancora coniato proprie emissioni, ma comunque fa parte di
sfere di circolazione di coniazioni altrui, così che è legittimo af-
fermare che anche in quell'ambiente si adoperassero monete per
stabilire il valore degli scambi, o almeno di alcuni di essi. Paral-
lelamente, fra i Brettii circolavano monete coniate; si può anche
supporre, sull'analogia dell'episodio seguente alla battaglia di
Laos del 389, quando i Siracusani fissarono il valore del riscatto
dei prigionieri thurini, che non fosse ignoto il riscatto in denaro
di prigionieri. Le coniazioni attestate nella seconda metà del IV
secolo e nel successivo fra i Brettii derivano da tutte le città ita-
liote, e inoltre da centri della Sicilia, da Alessandria, dall'Epiro,
da Cartagine e dalla Repubblica romana. Questi ritrovamenti,
come è stato osservato, non sembra si possano riportare esclusi-
vamente all'attività di mercenariato: piuttosto possono essere
utilizzati per inquadrare questo territorio nelle grandi sfere d'in-
fluenza economica dei principali centri politici del Mediterra-
neo. Ad esempio, la circolazione di numerario cartaginese, che
112
va in parallelo con la presenza di anfore puniche coeve, deve
essere vista alla luce dei trattati stipulati, a proposito dei com-
merci intermediterranei, tra Roma e Cartagine nel corso del 111
secolo, in forza dei quali l'estrema Italia meridionale veniva as-
segnata alla sfera cartaginese.
La cronologia assoluta delle coniazioni brettie non è stata an-
cora fissata dagli studiosi in maniera da incontrare l'assenso ge-
nerale. Le ricostruzioni finora proposte inquadrano le emissioni
in oro, argento e bronzo, distinte dall'etnico al genitivo plurale,
e quindi derivanti da un'autorità confederale, nell'epoca dalla
guerra pirrica alla prima, o alla seconda, guerra punica (cioè al-
l'intero corso, o a parti di esso, del m secolo); oppure restringo-
no queste stesse emissioni solamente al periodo della seconda
guerra punica, cioè pressappoco al decennio successivo alla bat-
taglia di Canne del 216. Accanto alle coniazioni « confederali »
se ne hanno altre derivanti da singole città. Quelle note si riferi-
scono a Laos, a Cosenza, a Hipponion, a Medma, a Petelia: tutti
centri noti archeologicamente e dei quali si è già trattato. Ulte-
riori emissioni cittadine, ma riferite a centri non archeologica-
mente noti, sono quelle di Terina, di Nuceria e quella congiunta
di Mystia e Hyporon. Per l 'identificazione di quest'ultima la di-
scussione è del tutto aperta, anche se forse si tratta di centri del
comprensorio ionico; per Nuceria era stata proposta un'identifi-
cazione con il notevole abitato, in territorio di Nocera Terinese,
posto a dominare la foce del fiume Savuto. È però da osservare
che le uniche monete così distinte provengono da Strongoli, po-
sta sull'opposta riva ionica.
Le emissioni in bronzo di Laos sono distinte dal nome della
città in greco, nella consueta forma del genitivo plurale riferito
ai cittadini ( = '' moneta dei cittadini di Laos »). Al dritto si han-
no profili femminili, fra i quali si è voluto distinguere quello di
Persefone circondata da delfini; il rovescio è sempre distinto da
un volatile di profilo, talvolta in coppia. Una seconda serie di
emissioni omette l'etnico, ma la costante presenza al rovescio
del volatile garantisce della pertinenza. Il dritto è distinto dalla
testa di Dioniso, di Ercole, di una figura femminile. Al rovescio
sono, in abbreviazione, nomi propri in lingua osca e in caratteri
greci riferiti ai magistrati.
Le monete di Cosenza sono distinte al rovescio dall'etnico ab-
breviato, in caratteri greci; i tipi sono quelli dell'arco, del fulmi-
ne, del granchio, sempre completati con tre mezzelune. Al drit-
113
to teste di divinità: Artemide, Ares elmato, un giovane dio
fluviale.
Come per Cosenza, anche a Hipponion l'etnico appare al ro-
vescio: in una serie con il digamma iniziale ( = F eip-) e abbre-
viato; in una seconda senza digamma e per intero. Al dritto della
prima serie è costante la testa di Hennes; al rovescio si hanno
un'aquila che ghermisce un serpe, un'anfora, un caduceo. La se-
conda serie, per la presenza al dritto della testa di Zeus Olimpio
completa di legenda, è stata attribuita alla dominazione di Ales-
sandro il Molosso; si ha inoltre la testa di Hermes, che pare fa-
vorito. Al rovescio, oltre all'aquila con fulmine alato e all'anfo-
ra, si ha la raffigurazione della dea Pandina stante, con la legen-
da, e di una clava. Una terza serie ipponiate è stata collegata
al dominio di Agatocle: è distinta al dritto dalla testa elmata di
Atena, al rovescio da una Vittoria stante.
Al dritto delle monete di Medma si hanno le consuete teste di
divinità (Persefone e Apollo); al rovescio tipi diversi, come una
figura maschile seduta su una roccia, un cavallo in corsa, una
Vittoria con corona.
Le divinità che costituiscono i tipi del dritto delle emissioni
di Petelia sono Demetra, Apollo, Artemide, Ercole; al rovescio
si hanno, rispettivamente, Zeus che lancia il fulmine, il tripode,
un cane in corsa, una clava. L'etnico, senza abbreviazioni, com-
pare in caratteri greci costantemente al rovescio. La presenza
del tripode è da collegarsi con la vicinanza a Crotone, le cui mo-
nete sono distinte fin dal VI secolo con questo tipo.
Le monete in bronzo di Terina sembrano riferirsi al breve pe-
riodo di dominio da parte di Alessandro il Molosso (al dritto,
testa di Atena; al rovescio, pegaso); il tipo del pegaso si ritrova
al rovescio di una serie più recente, i cui ulteriori tipi sono costi-
tuiti dalla testa di Apollo e dallo scalpo del leone. L'etnico è
espresso per intero.
Lo scalpo di leone e la testa di Apollo sono anche fra i tipi
presenti, tanto al dritto quanto al rovescio, nelle emissioni di
Nuceria, distinte dall'etnico generalmente per esteso; ciò ha fat-
to sorgere l'ipotesi che Nuceria e Terina non fossero lontane fra.
loro, ambedue sul versante tirrenico. Un ulteriore tipo attestato
al dritto è una testa maschile giovanile diademata; al rovescio
sono, invece, un cavallo stante, un'aquila, un fulmine. Si ha
inoltre menzione di un magistrato monetiere, in lingua osca ma
sempre in caratteri greci.
114
Apollo e il tripode distinguono, rispettivamente, il dritto e il
rovescio dell'unica emissione conosciuta intitolata congiunta-
mente a Mystia e Hyporon, i cui etnici sono abbreviati. La pre-
senza del tripode spinge a localizzare la zecca sul versante ioni-
co, in zona d'influenza crotoniate.
Le coniazioni cittadine note sono, a oggi, di incerta cronolo-
gia: recenti studi su quelle di Petelia sono arrivati a concludere
che si tratta di emissioni prodotte a seguito della cacciata dalla
città della fazione favorevole ai Romani durante la permanenza
in zona dell'esercito cartaginese. Tuttavia, per quelle città che
furono conquistate dai Brettii, come Hipponion, Medma, Teri-
na, Laos, nelle quali probabilmente continuarono a vivere indi-
vidui di discendenza italiota e che già in precedenza avevano
emissioni proprie, si può supporre si sia continuato a usare co-
niazioni cittadine anche dopo il 356. L'ipotesi, evidentemente,
richiede di essere suffragata da dati oggettivi che, oggi, ancora
mancano.
Circa la cronologia delle emissioni confederali mancano, an-
che qui, dati oggettivi; ma si possono utilizzare, a favore di una
collocazione ne li 'ultimo periodo del III secolo, i dati risultanti
da due ritrovamenti. Il primo è un ripostiglio rinvenuto a San-
t'Eufemia Vetere, sepolto intorno alla metà del III secolo; il se-
condo è costituito dalle monete rinvenute nel già più volte ricor-
dato" tesoro di Sant'Eufemia ''• pressappoco coevo. In nessuno
di questi ritrovamenti sono presenti coniazioni confederali bret-
tie. La zona di questi ritrovamenti è direttamente contermine alle
località che, finora, hanno restituito il maggior numero di ripo-
stigli contenenti anche coniazioni confederali brettie: Catanzaro,
Tiriolo, Vibo Valentia, Ricadi-Capo Vaticano. Ove le emissioni
confederali fossero state già in circolazione nella prima metà del
111 secolo, ci si attenderebbe di ritrovarne esemplari nei due ripo-
stigli di Sant'Eufemia. L'argomentazione qui usata è del genere
detto « e silentio >>: cioè si adopera la mancanza di un'evidenza
(in questo caso: l'assenza di emissioni confederali brettie in una
determinata area e in un definito periodo storico) per rafforzare
la tesi proposta a priori. È chiaro che un futuro ritrovamento
archeologico può ribaltare diametralmente quanto qui si propo-
ne; ma sembra un obbligo per lo studioso dell'antichità, lacuno-
sa per definizione, sia procedere tentando di riempire le lacune
sia denunciare chiaramente l'affidabilità logica delle ipotesi che
sottomette ali 'intelligenza dei lettori.
115
Le emissioni confederali dei Brettii in oro sono distinte al drit-
to con teste di profilo, rispettivamente di Poseidon, di Ercole
giovane e di Ercole barbato; al rovescio si hanno una figura
femminile su ippocampo, una Vittoria stante con fascio di fulmi-
ni, una Vittoria su biga. Le coniazioni in argento sono più nume-
rose; al dritto è sempre una testa: di Atena con elmo corinzio,
di Apollo con corona di alloro, femminile con polos e scettro,
forse di Giunone, di Vittoria con diadema e ali, dei Dioscuri.
Nei rovesci, solamente al primo tipo del dritto si accompagna
un'aquila volante su fulmine; gli altri recano figure di divinità,
rispettivamente di Artemide con fiaccola; forse di Zeus o Posei-
don con piede destro su capitello ionico e lancia nella mano sini-
stra; forse di Dioniso che s'incorona.
Le coniazioni in bronzo sono state distinte in dodici tipi; i drit-
ti sono sempre costituiti da teste di divinità di profilo: Apollo
con corona di alloro; Zeus barbato; Vittoria con diadema; divi-
nità femminile marina; Atena elmata; Ercole con leontè; divinità
maschile giovanile con corona; Ares con elmo. Alcuni tipi dei
rovesci possono ripetere schemi già adoperati negli altri metalli:
Vittoria su biga; aquila volante su fascio di fulmini; Giove con
fulmini e scettro; granchio; civetta; clava e arco di Ercole; guer-
riero con elmo, scudo e lancia; Giove con fulmine e scettro su
biga; Vittoria che incorona un trofeo; Atena con scudo. In tutte
le emissioni l'etnico è riportato per intero ed esclusivamente in
caratteri greci.
Un elemento interno alle emissioni confederali che è stato uti-
lizzato per proporne una lunga durata, durante tutto il corso del
III secolo, è costituito dall'abbondanza di simboli, lettere, sigle
o monogrammi che si accompagnano ai tipi principali distin-
guenti le emissioni e i divisionali. Si è cioè argomentato che tale
abbondanza può giustificarsi solamente su un lungo periodo, e
non entro un decennio circa. Occorre tuttavia considerare che
le emissioni confederali possono aver svolto, più e oltre che una
funzione economica, una funzione politica, da intendere all'in-
terno della situazione politica di alterne alleanze tra Brettii, Ro-
mani e Cartaginesi durante l'ultima fase della seconda guerra
punica. Com'è noto, divisioni politiche nell'ambito di uno stesso
corpo sociale comportano per ognuna delle parti la rivendicazio-
ne di rappresentare l'intero corpo, così da legittimare la propria
esistenza e, contemporaneamente, delegittimare la parte avver-
saria. Sappiamo che una situazione del genere qui schematizza-
116
to si è verificata fra i Brettii: particolarmente significativo, oltre
alle vicende di Petelia e Cosenza, ci pare come sintomo l'episo-
dio dei fratelli Vibio e Paccio (Liv. 27, 15, 2-3).
È infatti indubbio che le emissioni monetali possono essere
utilizzate universalmente solo in quanto l'autorità emittente sia
riconosciuta, o pretenda di esserlo. E quello che la ricerca ar-
cheologica e l'analisi delle fonti letterarie ancora non ci permet-
tono di conoscere con sicurezza è quando e come tanto le singole
" città» quanto l'intera confederazione brettia si siano struttura-
te dal punto di vista istituzionale. Si può supporre che i Brettii
rientrassero nell'organizzazione generale degli altri popoli itali-
ci, descritta sinteticamente da Strabone (6, l, 3: 254): " in tem-
po di pace sono retti da magistrature democratiche; in occasione
di guerre eleggono un re ». Le magistrature ordinarie si identifi-
cano nella definizione di meddix, equivalente a quella di " giudi-
ce " ( = colui che esprime, che dice la norma di comportamen-
to), espressione dei guerrieri riuniti in assemblea per ogni " cit-
tà "o per ogni comprensorio. Il gruppo di guerrieri si riconosce-
va in un'organizzazione, oppure un'organizzazione si compone-
va entro un corpo sociale più ampio, definita come vereia, a
capo della quale, almeno in alcune attestazioni epigrafiche, sap-
piamo era posto un meddix. Forse il campo semantico di vereia
è più ampio: a quanto oggi sembra legittimo affermare, come
vereia si autodefiniva un distaccamento di mercenari a servizio
della città di Metaponto, ma anche l'autorità che stampiglia con
questa definizione le tegole ritrovate a Castiglione di Paludi. E
questa bollatura trova il suo parallelo funzionale in mattoni, pro-
venienti da Petelia, che recano sia l'eponimia di magistrati (cioè
la datazione per mezzo della menzione dei nomi dei magistrati
annuali, come si usava a Roma con i consoli) sia una sigla ab-
breviata che si può sicuramente integrare come demosia plin-
thos, cioè « mattone pubblico, fatto a seguito di provvedimento
pubblico "· Si può quindi intendere che a Castiglione di Paludi,
alla fine del 111 secolo, fosse attiva un'istituzione pubblica che
si definiva vereia e che aveva la responsabilità (fra le altre?) di
provvedere all'edilizia. Ma qual era il raggio territoriale di com-
petenza della vereia di Castiglione di Paludi? Per alcune emis-
sioni di Laos conosciamo i nomi dei magistrati, emittenti o epo-
nimi: possiamo quindi dedurre una probabile diversità nell'orga-
nizzazione istituzionale tra queste due città. Ma nulla sappiamo
su come fosse organizzata la confederazione brettia: quanto, in
117
effetti, di realtà istituzionale fosse sotteso all'emissione di mone-
te che sono distinte con il nome di tutti i Brettii.
Per questo popolo la ricerca archeologica non ha ancora recu-
perato una documentazione epigrafica sufficiente a rispondere a
problemi più ampi di quelli linguistici. Per esempio, per quanto
riguarda i Lucani, le iscrizioni ritrovate nel santuario di Rossano
di Vaglio hanno permesso osservazioni essenziali per impostare
la conoscenza dell'organizzazione istituzionale della tribù degli
Utiani che frequentava quel santuario. Le iscrizioni finora note
dal territorio dei Brettii assommano a una ventina, ma sono pre-
valentemente costituite da bolli su mattoni o su tegole.
Le eccezioni sono costituite da due iscrizioni su blocchi di pie-
tra: il primo ritrovato da Paolo Orsi nel santuario di Apollo Aleo
presso Cirò Marina. Si tratta di una sfaldatura di arenaria sulla
quale sono i resti di tre (o quattro) linee, sulla cui lettura gli stu-
diosi non hanno raggiunto il pieno accordo. Solamente i primi
segni sono letti, ma non intesi, in maniera concorde: si riferisco-
no, secondo il Vetter, a un sacrarium, cioè a un voto sacro, co-
struito da un personaggio ignoto che ha un rapporto (di parente-
la? di schiavitù?) con un Ovidius Herius, ricordato nella secon-
da linea. Nonostante tutte le incertezze, non v'è dubbio circa il
carattere brettio della lingua adoperata, che utilizza le lettere
dell'alfabeto ionico-tarantino per notare i segni. In un mattone
reimpiegato in una casa moderna di Cirò è incisa una formula
analoga: il Poccetti interpreta le prime lettere come una forma
dell'ablativo, con il significato<< durante la magistratura religio-
sa di. .. »
La seconda iscrizione su pietra è stata ritrovata anch'essa da
Paolo Orsi a Stalettì, ma ne è ignota la provenienza originaria.
Qui i caratteri adoperati sono da ricollegare a quelli dell'alfabeto
acheo arcaico; sul significato dell'iscrizione non sembra si sia
raggiunta certezza, così come sul suo carattere brettio. Sembra
infatti piuttosto da attribuire ancora al corso del v secolo, e quin-
di da considerare precedente al periodo brettio vero e proprio.
In più, la mancanza di sicurezza circa il luogo di rinvenimento
non autorizza collegamenti sicuri di quest'iscrizione con fasi ed
eventi storici, come si è proposto più sopra per l'iscrizione di
Castelluccio sul Lao: a questo proposito è da ricordare che il
Vetter considera probabile una provenienza di questa iscrizione
dalla Basilicata e non dalla Calabria.
Ulteriori iscrizioni brettie sono costituite da lamine di piombo
118
incise, provenienti da sepolture: i testi contengono elenchi di no-
mi propri e rientrano nella serie detta defixiones. Si tratta di testi
con carattere magico: generalmente si ha un nome al nominativo
e uno, o più, all'accusativo; il verbo, espresso o sottinteso, ha
il significato di « maledire ''• •• esecrare ''• « votare » o simili. Il
rito prevedeva che il defunto, o personaggi a esso legati, votasse
agli dei inferi colui, o coloro, che avesse mal meritato e che
quindi fosse ritenuto degno di ricevere maledizioni. I testi di
questa serie provengono da Cirò e da Tiriolo e, tranne la docu-
mentazione onomastica che rientra pienamente in quanto già si
conosceva al proposito presso gli altri popoli italici, non sembra-
no offrire ulteriori motivi di interesse.
Nel ristretto panorama epigrafico brettio occorre ricordare al-
tre due iscrizioni: alla prima, proveniente da Strongoli, si è già
accennato in quanto derivante da un mattone fabbricato •• a se-
guito di provvedimento pubblico ''• su una faccia del quale è
stampigliata una formula eponimica che menziona due magistra-
ti dai nomi indubbiamente brettii, Lucio e Novio, ma in lingua
e caratteri greci. Si tratta di ùna documentazione archeologica
del concetto, espresso da Festo (p. 31, 25 L.), circa il bilin-
guismo dei Brettii. La seconda è incisa, con lettere dell'alfa-
beto greco ionico-tarantino, su una fascetta di bronzo di forma
rettangolare allungata, provvista di fori passanti per essere fis-
sata con chiodi su una base. Essa è stata ritrovata a Vibo Va-
lentia; la lettura, sicura, si riferisce a una prescrizione religio-
sa: " A Giove Versore [si sacrifichi] un toro ''· La definizione
•• Versore '' sembra riferirsi alla qualità opposta di un'altra defi-
nizione dello stesso Giove, quella di " Statore ''· Giove, cioè,
da una parte rafforza ( = Stato re), dali' altra mette in fuga, ro-
vescia ( = Verso re). Per un popolo guerriero e bellicoso come
i Brettii sembra che la casualità della conoscenza archeqlogica
comprovi una caratteristica costante. Tanto la formula de li' iscri-
zione quanto la forma del supporto iscritto trovano precisi con-
fronti in analoghi oggetti rinvenuti nel santuario latino di Pra-
tica di Mare, presso Roma; le osservazioni compiute nel cor-
so di questi recenti scavi hanno permesso di ricostruire che le
fasce di bronzo iscritte erano inchiodate alle pareti degli altari
che si trovavano in quel santuario. Possiamo supporre che an-
che a Hipponion, durante il periodo della dominazione brettia
sulla città, si fosse seguito un rituale analogo a quello ricostrui-
to per Pratica di Mare.
119
Come si è visto, le iscrizioni brettie non consentono analisi al-
largate: la lingua adoperata, prevalentemente nota da nomi pro-
pri, è di ceppo italico; l'alfabeto usato è simile a quello adopera-
to nelle coeve iscrizioni lucane, derivante da quello ionico-
tarantino; i formulari rientrano nel panorama consueto deli' osco
meridionale. Tale deludente situazione sembra derivare dalla Ia-
cunosità delle ricerche: si ricorda, a sostegno di questa ipotesi,
che per quanto riguarda la Lucania solamente nel santuario di
Rossano di Vaglio si sono ritrovate, negli ultimi vent'anni, circa
cinquanta iscrizioni. Infatti si è visto che i Brettii sapevano scri-
vere ed erano abituati a comporre iscrizioni in diverse occasioni,
così che non sembra giustificato dedurre all'attuale stato delle
conoscenze che la scarsità di documenti epigrafici derivi da un
livello elementare di cultura posseduto dai Brettii.
Anche per quanto riguarda la sfera della religione siamo
sprovvisti di conoscenze non solo approfondite, ma anche ele-
mentari. Da quanto archeologicamente si conosce sembra che la
forma più diffusa di culto sia consistita nel deporre figurine in
terracotta o bronzetti figurati in luoghi di culto. Da Castiglione
di Paludi proviene un modello in terracotta di un tempio, coper-
to a doppio spiovente, su una pianta rettangolare, che pare deco-
rato da terrecotte architettoniche.
L 'unica costruzione religiosa nota è il già ricordato tempio di
Apollo Ateo a Cirò Marina, che nella sua seconda fase si è pro-
posto essere dipendente dalla città di Petelia; ma, a parte la man-
canza di dati che costringono a rimanere allo stadio ipotetico,
la persistente struttura, chiaramente d'impronta culturale greca,
ha influito in maniera pesante sulla ristrutturazione che qui si
suppone esser stata per iniziativa brettia. L'aver ritrovato sia i
consueti bronzetti figurati sia un'analoga figuretta, ma in argen-
to, testimonia del fatto che il luogo di culto era frequentato da
ftalici; tuttavia questo non ci illumina sulle forme di culto pro-
prie ed esclusive dei Brettii. Ercole e Marte sembrano le divinità
preferite per quanto riguarda i bronzetti; e per Giove Versore
abbiamo una precisa menzione epigrafica che permette, come
già detto, di proporre collegamenti con altri popoli italici. Inve-
ce, le divinità attestate come tipi monetali non sembra possano
costituire prove certe di un culto: visto il sicuro influsso italiota
sulle emissioni, per quanto riguarda sia il concetto sia la produ-
zione, forse i tipi scelti hanno un valore più decorativo che spe-
cifico. Appare, tuttavia, che da quanto detto si debba escludere
120
l'attestazione della dea Pandina, presente a Terina e a Hippo-
nion: divinità sconosciuta ai Greci, e il cui nome è stato ricolle-
gato allo strato indigeno precedente alla presenza degli ltalici dal
v secolo. Ciò eccettuato, non sembra si possa dire di più, se non
osservare che nella moneta di Hipponion Pandina appare atteg-
giata « alla greca » con scettro e caduceo (a Terina è rappresen-
tata solamente la testa), e questo conferma il profondo e ampio
influsso greco operante sulle coniazioni che si riferiscono e ap-
partengono alla sfera economico-politica dei Brettii.
Tale molteplicità di influssi doveva essere avvertita dai con-
temporanei: ne è rimasta infatti menzione letteraria in Festo (p.
31, 25 L.) che ricorda come i Brettii fossero soliti parlare sia
osco sia greco. Alle legende monetali e al mattone da Petelia,
già ricordati, possiamo aggiungere un documento privato, costi-
tuito da un dischetto in terracotta, con destinazione votiva, iscrit-
to con il nome Paccio, schiettamente italico, in caratteri greci,
rinvenuto a Tiriolo. Infatti, se i documenti ufficiali, e in specie
le monete, possono trovare una spiegazione per l'uso del greco
nel motivo che tale lingua ne avrebbe garantito una maggiore
circolazione (ma non può sfuggire che, contemporaneamente, la
confederazione lucana distingueva anche in lingua osca le pro-
prie enùssioni!), la notazione in lingua greca di un documento
privato, come il dischetto da Tiriolo, fa intendere come il feno-
meno degli influssi italioti fosse stato recepito capillarmente fra
tutti i Brettii. I modi di trasmissione degli influssi sono stati for-
se assicurati anc,he dalla convivenza fra i Brettii di individui ita-
lioti: si è già ricordato il capitello iscritto da Torano, che provie-
ne probabilmente dalla tomba di un Eumares, sicuramente italio-
ta. All'inizio del 111 secolo, nel santuario di Detti, Demarchos
figlio di Philotas riceve un decreto di prossenia, cioè è incaricato
di rappresentare presso il santuario i propri concittadini. Demar-
chos, come è specificato nell'epigrafe (FdD 3, l, 176), è cittadi-
no di Locri Epizefiri e, contemporaneamente, di Hipponion: si
trattava, forse, di un agente di commercio che aveva esteso la
propria attività anche verso la Grecia. L'archeologia, dal canto
suo, dimostra una capillare ellenizzazione nella cultura materiale
d'uso quotidiano, ma, parallelamente, una persistenza anellenica
nelle ritualità sovrastrutturali, documentate per ora con abbon-
danza solamente nella sfera sepolcrale. Sembra legittimo dedur-
re che l 'utilizzazione di prodotti italioti, o da questi derivati e/o
imitati, non abbia influito, o abbia influito solo parzialmente, sui
121
livelli più elevati della cultura brettia. Di questi, come detto, la
documentazione archeologica recuperata nelle tombe a camera
ci garantisce una caratterizzazione non-greca: il desiderio di mo-
strare, con la ricchezza quantitativa e qualitativa del ,corredo
d'accompagno, lo stato sociale posseduto in vita non è ellenico,
anche se ellenici sono, in parte, gli oggetti utilizzati per raggiun-
gere lo scopo. Lo stesso vale per la caratterizzazione funzionale
degli oggetti deposti, che, per mezzo di simboliche rappresenta-
zioni oppure realmente, ripetono le attività svolte in vita.
Forse, il sistema di produzione e di organizzazione socio-
economica dei Brettii non ha permesso un'ellenizzazione più
elevata; ma in questo non si scorge gran differenza con quanto
documentato fra i Lucani, eccettuato probabilmente il caso di
Poseidonia, nella quale la persistenza di tradizioni, e di portatori
di queste, ha svolto un ruolo decisivo. Sembra che ai Brettii sia
mancata una " classe dirigente,. nel senso che nell'antichità si
può dare a tale concetto: la mancanza di prolungate attività pro-
duttive agricole non ha permesso la creazione di gentes radicate;
e, parallelamente, l'attività militare ha favorito la frammentazio-
ne, l'episodicità, le brevi, anche se fulgide, fortune. La mancan-
za di Pitagorici fra i Brettii, a differenza di quanto accade fra i
Lucani, va forse letta anche in questa luce: pur se, principalmen-
te, il motivo sembra risiedere in esclusivi fattori cronologici. In-
fatti, la tradizione ricorda che soprattutto ad Archita si deve il
proselitismo fra gli Italici: il saggio tarantino andò tra i monti
dei Sanniti a cercare adepti per la sua setta. Ma, a quel tempo,
i Brettii non avevano, neanche ufficialmente, una " classe diri-
gente >>: questa, per loro, era esclusivamente costituita da Luca-
ni, che padroneggiavano sul popolo delle selve, addetto alla pa-
storizia e alle scorrerie. In mancanza, quindi, di un riconosci-
mento, per così dire, esterno di legittimazione e di una necessi-
tà, interna al proprio popolo, di caratterizzarsi come classe, gli
individui dominanti i diversi gruppi o cantoni dei Brettii non co-
stituirono una " classe >> e la loro cultura rimase dipendente dalle
accidentalità personali. Non sappiamo da dove traessero la co-
scienza di essere " da gran tempo nobili ,. i fratelli Vibio e Pac-
cio che tentarono di trattare una resa con i Romani (Li v. 27, 15,
2-3); ma, dato il contesto, non ci si dovrebbe meravigliare se
si fosse tentato un millantato credito.
Tutto ciò, se nel reale, non esclude che i diversi gruppi e indi-
vidui brettii avessero a disposizione sia potenzialità economi-
122
che sia desiderio di utilizzare prodotti di cultura materiale greca,
come è documentato archeologicamente. Ma l'opposta mesco-
lanza degli elementi che si è cercato di indicare ha portato fino
alla nostra conoscenza una contraddittoria forma materiale di
« acculturazione ,, dalla quale sembra legittimo dedurre una for-
ma culturale brettia altrettanto composita.
Il progressivo rafforzarsi dei Brettii che le vicende storiche ci
permettono di ricostruire consente a individui e a gruppi una
possibilità di acquisizione sempre maggiore che si rivolge, par-
tendo praticamente dal nulla, agli oggetti e alle realizzazioni ma-
teriali che si avevano a disposizione, e dei quali erano evidenti
i vantaggi. Ma il modo della produzione rimane quello delle ori-
gini, che trae dalle attività nomadi e da quelle militari la mag-
gior parte delle risorse; così che non si rende necessaria la modi-
ficazione della propria cultura acquisendo forme proprie di siste-
mi di produzione poggianti su attività sedentarie e mercantili.
Oltre a ciò, è notevole nel rapporto di « acculturazione ,, tra
Brettii e Italioti l'inverso stato di predominanza: se gli Italioti
mostrano una cultura superiore, sono i Brettii a dominare mili-
tarmente. Tuttavia, anche in questo rapporto di forza si vede co-
me la superiorità culturale italiota ha permesso di rallentare a
proprio vantaggio l'irruenza bellicosa dei Brettii: spezzandone il
fronte attraverso alterne alleanze e offerte di mercenariato, ad
esempio. Mentre non appare che la progressiva acquisizione di
forme culturali italiote da parte dei Brettii abbia modificato la
direzione dei loro sforzi tendenti a impadronirsi delle forme pro-
duttive ed economiche fin allora possedute dagli Italioti, se non
forse, al termine del 111 secolo, nel caso di Petelia, come si è
più sopra proposto.
La conquista romana interrompe la dialettica tra Brettii e Ita-
lioti, sostituendovi un dominio con forme fisse, e tali mantenute,
che non ci fa vedere l'esito ultimo del rapporto instauratosi al-
meno dal v secolo e riconosciuto formalmente alla metà del suc-
cessivo.
L'eredità dei Brettii

TRANNE Taranto, Reggio e Napoli, agli scrittori del periodo me-


dioellenistico l'Italia meridionale, l 'antica Magna Grecia, appa-
riva del tutto '' imbarbarita »: occupata, cioè, da Lucani, Brettii
e Campani che non parlavano la lingua greca e osservavano co-
stumi loro propri, oltre a infierire con progressive conquiste
contro le antiche colonie. In seguito, anche questi « barbari ,, di-
vennero Romani: così annota Strabone (6, l, 2: 253), che racco-
glie e utilizza gli scrittori a lui precedenti, aggiornandone le no-
tizie per quanto è funzionale alla propria linea interpretativa.
Il corso del 11 secolo sembra segnare un periodo di sistemazio-
ne deli' assetto deli' Italia meridionale, e in particolare deli' attua-
le Calabria. I popoli dei Brettii, singolarmente e come insieme
confederale, escono sconfitti dalla guerra annibalica: la metà
della Sila non confiscata al termine della guerra di Pirro viene
adesso inglobata nell' ager publicus della Repubblica romana.
Solamente i Petelini, a quanto pare, ricevono lo statuto di « al-
leati ''• mantenendo il diritto di battere propria moneta, la quale
conserva l'etnico, espresso in greco, dell'emittente, ma viene ta-
gliata sul piede ponderate romano, del quale prende i contrasse-
gni di valore.
I Romani deducono colonie di diritto latino a Thurii e a Hip-
ponion, rispettivamente nel 194 e nel 192; di diritto romano, ne-
gli stessi anni, a Temesa e a Crotone. Hipponion e Temesa era-
no in territorio brettio: confiscato questo, la divisione dei campi
ai coloni avviene senza problemi; ma Thurii e Crotone rimane-
vano come città indipendenti, contro le quali si erano rivolti sia
Annibale sia i Brettii. Rimane quindi incerto su quali porzioni
dei territori circostanti queste città si procedette ali' assegnazione
dei lotti ai coloni. A meno che le sofferenze patite dalle due città
durante la seconda guerra punica non ne avessero a tal punto ri-
dotto gli abitanti discendenti dalle famiglie originarie da rendere
vano il problema sollevato dalla critica moderna. Tranne che per
Crotone, le colonie ricevettero nomi nuovi rispetto ai toponimi
precedenti: Copia per Thurii; Valentia per Hipponion; Temesa
fu latinizzata in Tempsa. Tuttavia, tranne che nelle coniazioni
relative, i nomi ufficiali non godettero né di grande fortuna né
di ampia diffusione.
Anche al tempo di Caio Gracco si ebbero colonizzazioni: a
124
Scolacium, sullo Ionio; a Clampezia, sull'alto Tirreno, che era
una delle città ignobiles arresesi ai Romani; a Cosenza. Ma non
si hanno molte notizie su queste deduzioni. Dell'episodio relati-
vo alla società per l'estrazione della pece e della guerra sociale
si è già accennato in precedenza; e anche di Spartaco. Dei due
anni, tra il 73 e il 71, nei quali il gladiatore ribelle condusse la
sua resistenza ai Romani l 'ultimo fu quasi interamente trascorso
nell'attuale Calabria; da qui egli tentò di traghettare in Sicilia,
ma il tentativo gli fece perdere annegati molti uomini; quindi
mosse verso nord, quasi a ripercorrere il cammino verso Mode-
na seguito felicemente in precedenza, ma incontrò la morte alle
Nares Lucanae, località da vedere forse nell'odierno Vallo di
Diano.
Dei fatti di Spartaco, come di quelli della guerra sociale, le
fonti storiografiche non ricordano come partecipi i Brettii, ma
si è visto che le caratteristiche della guerriglia condotta in quelle
occasioni non potevano non vedere complici i discendenti di
quel popolo. Si può, forse, aggiungere un ulteriore indizio in
quanto narra Appiano (b.c. l, 4, 117); che Spartaco, occupando
le colline intorno a Thurii, aprì un mercato nel proprio accampa-
mento, quasi in concorrenza con quello della città. L'apertura
di un mercato, cioè di un luogo stabile nel quale convenire da
più parti per procedere allo scambio di merci e di prodotti, indi-
ca che, almeno in teoria, esisteva la possibilità di canalizzare
verso di esso gli abitanti del territorio circostante. E che questi,
pur producendo beni soggetti a scambi, non disponevano di altro
mercato se non di quello posto a Thurii; e che, quindi, il popola-
mento era disperso e non aggregato su centri tanto importanti
da poter disporre di un mercato proprio.
Che quei comprensori continuassero a conoscere una preva-
lenza di pastori è documentato un ventennio più tardi: quando
Cesare narra di Milone (b.c. 3, 21, 4) che venne a raccogliervi,
appunto, pastori per ingrossare le proprie bande; ma che morì,
colpito da un sasso, all'assalto di Cassa.
All'incirca contemporanea alle gesta di Spartaco è una rapida
rappresentazione del territorio intorno a Thurii, tracciata da Ci-
cerone (pro M. Tullio). Qui si hanno medie proprietà fondiarie,
come quella di M. Tullio, e latifondi: questi ultimi appartenenti
a personaggi senatori, oppure a« nuovi ricchi », come il P. Fa-
bio che perseguita M. Tullio tanto da costringerlo a ricorrere al-
la difesa di Cicerone. Fabio, infatti, si caratterizza per attività
125
sia agricole sia di allevamento; i suoi schiavi non rispettano le
proprietà altrui, tanto da incendiare abitazioni e compiere vio-
lenze. In questa situazione sembra di poter individuare la persi-
stenza delle caratteristiche di sfruttamento del territorio, che, si
può dire, si possono seguire per tutta la storia antica della Cala-
bria. Intorno alla città è. una corona di terre coltivate (che si tra-
mandano per eredità, come quella di M. Tullio, a riprova della
stabilità di alcune famiglie); più verso l'interno, i confini del ter-
ritorio sono incerti, anche perché le proprietà sono latifondisti-
che: e in esse si hanno produzioni di carattere estensivo (come
pastorizia e silvicoltura), che non richiedono stanziamenti fissi
e strutturati. Il contrasto, per così dire naturale, tra i due sistemi
di produzione si accresce con la transumanza, quando le greggi
sconfinano; o quando i produttori agricoli tentano di ampliare
l'estensione delle terre coltivate, restringendo automaticamente
la libertà di movimento delle greggi.
I conduttori di queste attività, come tramandano le fonti lette-
rarie, sono prevalentemente schiavi, numerosi provenienti dal
bacino dell'Egeo e dali' Asia Minore; ma forse fra essi erano an-
che i discendenti dei Brettii, che ritornavano così a quella condi-
zione servile dalla quale erano usciti con la ribellione alla metà
del IV secolo. Al silenzio delle fonti letterarie si aggiunge l'indif-
ferenziazione dei ritrovamenti archeologici ed epigrafici, così
che non è legittimo avanzare oltre quanto proposto. Come si è
già visto per i periodi precedenti, il peso della cultura materiale
italiota squilibra la documentazione archeologica che, sulla base
di un'interpretazione delle fonti letterarie, possiamo attribuire a
individui o gruppi brettii. Troncata in maniera completa, tranne
Petelia, l'autonomia politica dei Brettii, condizionata la loro
economia con la confisca del territorio e direzionati rigidamente
i recapiti di scambio con l'installazione delle colonie, è automa-
tico che dei Brettii scompaia ogni differenziazione di cultura ma-
teriale. Anche perché, come si è visto a proposito delle infor-
mazioni fornite da Cicerone, schiavi di origine esterna e i suppo-
sti discendenti dei Brettii sembra conducano lo stesso tipo di vi-
ta funzionale a un modo di produzione ormai esclusivo di ogni
altro.
In tali condizioni di documentazione non è pensabile di poter
ricostruire elementi relativi alla superstite sovrastruttura brettia.
A Petelia, come si è visto, le emissioni monetali si rifanno com-
pletamente al sistema romano, mostrando così che l'unico grup-
126
po che non subisce la completa disgregaziol)e si adegua comple-
tamente alla cultura e all'economia dei vincitori. Parallelamente,
nel grande santuario lucano di Rossano di Vaglio, se continua
il culto alla dea Mefitis, le iscrizioni dedicatorie sono ormai
espresse in lingua e in caratteri latini: e, pur così, ammettendo
che alcuni elementi di sovrastruttura persistessero, forse, se l'a-
nalogia non c'inganna, esclusivamente nel campo religioso.
Tanto che è ancora più frustrante la quasi assoluta mancanza di
documentazione archeologica brettia al riguardo. Purtroppo,
proprio per questo periodo la conoscenza relativa al tempio di
Apollo Alea a Cirò Marina è troppo approssimativa: si ha qual-
che traccia di frequentazione in epoca romana, ma non sembra
possibile identificarne la funzione, e ancor meno i portatori.
Che, tuttavia, dei Brettii rimanesse una coscienza è documen-
tato tanto dalle già riportate notizie circa la loro specializzazio-
ne, sia pure subordinata, nell'esercito romano quanto dalla de-
nominazione assunta dalla regione che, sotto Augusto, compren-
de il loro territorio insieme alla Lucania. La regione è la terza,
e si distingue come Lucania et Bruttii: l'etnico indica come non
vi si vedesse una storia accentrata, ma una frequentazione can-
tonale.
Il primo e il medio impero costituiscono un periodo di genera-
le prosperità: nelle città si compiono trasformazioni urbanistiche
e si costruiscono edifici sia pubblici sia privati. Le merci e i pro-
dotti si scambiano per tutto il Mediterraneo, apportando benes-
sere garantito dalla stabilità politica e amministrativa. A San Vi-
to di Luzzi, dove sorgeva un piccolo centro, svolgeva la propria
attività un chirurgo, che verrà sepolto insieme ai suoi strumenti
medici. Nel territorio dei Brettii la produzione trainante appare
essere l'agricoltura: si moltiplicano le villae che riuniscono una
parte residenziale, talvolta provvista di terme e adorna di deco-
razioni, e una produttiva, caratterizzata dai torchi, per vino e
olio, dai magazzini per le derrate, dai cubicoli degli schiavi. So-
no attestate specie particolari di viti nel territorio di Petelia. La
forma di proprietà rimane il latifondo; ma porzioni di esso pos-
sono essere state affittate a liberi, come forse si deduce da un'i-
scrizione da Crotone. Alcuni latifondi afferiscono al fisco im-
periale. .
Il ritrovamento a Montalto Uffugo di un'umetta cineraria de-
corata a rilievo, che conteneva i resti di un M. Aurelio procura-
tar a veredis, potrebbe indicare che in quella zona si sia riti-
127
rato nei suoi ultimi anni un funzionario de li' amministrazione
centrale. L'ufficio ricoperto è infatti relativo alla cura del servi-
zio postale statale, svolto da corrieri montati su cavalli selezio-
nati ( = veredi). Non sappiamo se il defunto di Montalto Uffugo
sia stato di lontano sangue brettio: avremmo una persistenza nel
n secolo d.C. di una caratteristica registrata per i Brettii, sia pu-
re in diversa posizione sociale, almeno tre secoli prima. Ma non
tutti compivano carriere brillanti: un abitante di Cerillae, poco
più tardi, riceve la sua pensione dall'esercito solamente come
trombettiere delle coorti pretorie.
Oltre all'agricoltura, continuano a essere praticate le tradizio-
nali produzioni della silvicoltura e dell'allevamento. Per la pri-
ma, oltre a documenti epigrafici in latino (CIL x, 7), si hanno
recenti ritrovamenti archeologici. A Pompei è stato rinvenuto un
frammento di anfora che reca sulla spalla uno stampo che ne
esplicita il contenuto: è menzionata chiaramente la pece brettia
(pix bruttia). Viste le condizioni di ritrovamento, si deduce che
prima del 79 d.C. esisteva un commercio di questo prodotto. A
Trebisacce si è recentemente scavata una fornace nella quale si
fabbricavano anfore: anch'esse stampigliate con analoga indica-
zione del contenuto. I due ritrovamenti archeologici si completa-
no in maniera evidente: nel comprensorio di Thurii affluivano
i prodotti della silvicoltura praticata nella parte settentrionale
della Sila, forse sfruttando la naturale via d'acqua del Crati.
Nella città si provvedeva alla " commercializzazione » del pro-
dotto, confezionandolo in appositi recipienti, lo stampo dei quali
garantiva la qualità del contenuto. I contenitori stessi venivano
prodotti a piccola distanza, in una località favorita in specie per
l'approvvigionamento del legname, necessario per il funziona-
mento delle fornaci, che cresceva sulle pendici digradanti del
Pollino.
La rinomanza della pece brettia è attestata dalle fonti lettera-
rie: la sua utilizzazione variava da quella medicinale a quella
enologica.
L'allevamento del bestiame non trova altrettanto sicuri sup-
porti archeologici; ma l'insieme delle informazioni contenute
nelle fonti letterarie, fino a quelle tardoantiche della Notitia di-
gnitatum, si possono interpretare legittimamente in questo
senso.
La crisi generale dell'Impero romano, seguente al corso del
m secolo d.C., sembra colpire in particolare l'Italia meridiona-
128
le, e in specie gli ambiti territoriali non -strutturati intorno a cen-
tri urbani vitali. Così è per il territorio dei Brettii, che mantiene
tale denominazione fino al VII secolo d.C. In quest'epoca, le zo-
ne governate dai Bizantini in Italia meridionale si sono ridotte
a parte deli' attuale Calabria e ali' estremità meridionale deli' at-
tuale Puglia: dal nome ufficiale di quest'ultima, Calabria, che
i Bizantini sono costretti a lasciare per rifugiarsi esclusivamente
nel territorio dei Brettii, la regione prende il suo nome che dura
fino a oggi. Calabri erano denominati i popoli dell'attuale pro-
vincia di Lecce; mentre, fino ad allora, perdurava l'antica deno-
minazione ufficiale di territorio dei Brettii, come testimonia an-
cora Procopio (Goth. l, 15, 21) nel VI secolo d.C. La perdita,
definitiva, di quest'ultimo ricordo di un'identità propria può di-
mostrare come fosse ormai disgregata la strutturazione prece-
dente al VII secolo d.C.; nella quale è, inoltre, lecito dubitare
fortemente rimanesse alcunché di proprio dei veri e originari
Brettii.
Dei Brettii non si parla più, a quanto pare, fino al xvi secolo:
Gabriele Barrio, francescano, compone nel 1571 cinque libri De
antiquitate et situ Calabriae, riediti nel 1737 con introduzione,
aggiunte e osservazioni di Tommaso Aceto. Il Barrio riportava
l'etnico dei Brettii a una radice ebraica Vrot-, con il significato
di armentorum praesepia: la falsa derivazione traeva la propria
apparente logica dali 'attività pastorale! L'opera è interessante,
nella storia della cultura, per la difesa, a ogni costo, della Cala-
bria, dei suoi abitanti, delle sue ascendenze: tanto più che Alfon-
so d'Aragona un secolo prima affermava che, se avesse avuto
da governare solamente la Calabria, avrebbe preferito vivere da
privato, tanti grattacapi gli procuravano gli abitanti di quella re-
gione. Nella sua apologia, il Barrio afferma che il passo di Gel-
lio (10, 3), nel quale è riportato che i Brettii svolgevano officia
servilia nell'esercito romano, era corrotto e che andava letto co-
me riferito ai Bajani oppure ai Bojani, rispettivamente abitanti
di Baja (in Campania) e di Boiano (in Molise).
Ma la cattiva fama della Calabria e dei Calabresi era difficile
da sconfiggere: nella letteratura spagnola del XVII secolo il Cala-
brese è ritratto in modo sinistro, fino a prestare la propria identi-
tà a Giuda; nella commedia dell'arte, il personaggio di Giangiur-
golo, sempre calabres~. è caratterizzato come un bravaccio. È
probabilmente da questo generale intendimento di disistima che,
basandosi sempre sul passo di Gellio, alcuni esegeti del Vangelo
129
affermano che i crocifissori di Cristo erano Brettii. Nell'edizio-
ne deli' Aceto è riportata una dissertazione di Pietro Poi idori,
lunga 73 pagine, dal titolo Brutii e calunnia de inlatis Jesu Chri-
sto Domino nostro tormentis et mone vindicati (Assoluzione dei
Bruzi dalla calunnia di aver prodotto i tormenti e la morte di no-
stro Signore Gesù Cristo). L'argomento principe del Polidori è
il seguente: proprio Gellio, affermando che i Brettii svolgevano
compiti servili, indica che essi non erano considerati milites (sol-
dati). Ora la narrazione evangelica e le chiose dei Santi Padri
concordano nell'affermare che Cristo fu crocifisso da soldati:
" quis numquam sanae mentis ex Gellii textu inferat Bruttios
fuisse? ,. (chi dunque, sano di mente, potrebbe dedurre dal testo
di Gellio che siano stati i Bruzi?).
La conclusione di Polidori è lucidissima: anche troppo, può
apparire a noi oggi, per un problema del genere. Ma basta consi-
derare la bibliografia contemporanea, o di poco precedente, di-
scussa dal Polidori per notare quanto l'argomento avesse interes-
sato in quel periodo.
Tranne questa parentesi, nella quale pare che sia la situazione
contemporanea a condizionare la conoscenza e il giudizio sui
Brettii, la bibliografia più recente non si occupa da presso di
questo popolo. Schiacciato tra gli ltalioti e i Romani, non sem-
brava degno di un interesse specifico, se non talvolta, come an-
che in tempi recentissimi, per fornire un pretesto (storicamente
inesistente) ai sempre rinnovati, ma sempre vani, richiami ai Ca-
labresi moderni per superare i particolarismi municipali tanto vi-
vi quanto pericolosi in un contesto socio-economico che supera
sempre più allargate frontiere spaziali.
La ricerca storiografica contemporanea si rivolge ai Brettii al-
l 'interno degli altri popoli itali ci meridionali, e così quella lin-
guistica ed epigrafica. L'oggettiva scarsità di documentazione,
nei due campi disciplinari, giustifica tale posizione, tanto da far
risaltare ancora di più l'interesse di uno studio specifico rivolto
ai Brettii, compiuto da Giovanni Pugliese Carratelli cinquant'an-
ni fa, per quanto basato esclusivamente su fonti storiografiche.
Della cattiva stampa sui Brettii si ha un'eco ancora in Dunbabin
quando, a proposito delle zone montagnose interne della Cala-
bria, scrive che i loro abitanti « have from the days of Bruttians
to this a reputation for backwardness and often incivility ,. (p.
201; hanno, dai tempi dei Brettii fino a oggi, una reputazione
di arretratezza e spesso di incultura).
130
La ricerca archeologica si è dapprima imbattuta, inconsape-
volmente, nelle testimonianze dei Brettii, poi - si può dire solo
da un decennio - ha riservato un'attenzione specifica al proble-
ma; ma, come sembra dimostri quanto fin qui si è potuto dire,
ancora lungo è il cammino da percorrere.
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Cariati
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Laino
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Pietrapaola
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Pietrapennata
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Rosarno
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Rossano
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Sant'Eufemia Vetere - Ripostiglio moneta/e


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Serra Castello
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Serra La Città di Rivello


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Strongoli
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Tiriolo
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Torano
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Verbicaro
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s. 3 8 , 16, 1986, pp. 1029-1058
Indici
Indice degli autori antichi citati

Antioco Diodoro Siculo


fr. 3c J 43 12, Il 51
12, 22 51
Appiano 14, 18, 4 103
Beli. civ. 16, 15, l 45
l, 4, 117 16, 15, 2 48, 50
124
16, 41, 4-4 40
Hann. 19, 2-10 55
7, 29 108 20, 71, 5 58
44 63 21, 4, 8 58
Sann.
7, l 59 Dionigi di Alicamasso
fr. IO, 3 60 20, l, 1-3 61
20, 2, 6 61
Aristofane 20, 15 62
fr. 629 Kock 42
Festo
Aristotele p. 28, 19 L. 75
Poi. p. 29, l L. 63
7, IO, 2-3: 1329b 43 p. 31, 25 L. 118, 120
p. 460 L. 55
Arri ano
Anab. Frontino
7, 15, 4 57 Strat.
3, 6, 4 61
Ateneo
3, 84, 116 63 Geli io
12, 542a 30 128
IO, 3
14, 632a 68

Cecilio Calactino Giamblico


fr. l 60 vit. Pyth.
260 51
Cesare
Beli. civ. Giustino
3, 21, 4 124 12, 2, 15 54
23, l, 7-10 46, 109
Cicerone 23, l, 11-12 46, 54
23, l, 13 49
Brutus
22, 85 75
Li v io
pro M. Tuili o 8, 24 53
passi m 124 22, 61, 11-12 64, 108
ad Att. 23, Il, Il 108
9. 19 26 23, 20, 4 64
144
23, 20, 7 65 Timo/.
23, 30 108 16, 4 52
23, 30, 5 65 19, 2 52
23, 30, 8 66
24, l 66 Poli bio
24, 2-3 66, 67, 108 2, 24 62, 107
27, 15 69
27, 15, 2-3 69, 116, 121 Polieno
27, 16 108 Strat.
2, IO, 2-4 31
27, 51, 13 70
29, 6, 2 70 Procopio
29, 38, l 70 Bel/. Goth.
30, 19, IO 71 l, 15, 21 128
34, 53, l 62
35, 40, 5 62 Stefano Bizantino
39, 14 72 s. v. Brettos 42, 43

Platone Strabone
Leg. 5, 3, 1: 228 45
6, 776b-778a 47 5, 4, 13: 251 75
6, l' 2: 253-254 63, 123
Plinio 6, l, 3: 254 45, 116
Nat. Hist. 6, l, 4: 255 30, 44, 45, 48, 49
8, 6, 16 60 6, l, 5: 255 50
6, l, 5: 256 53, 64
6, l, IO: 261 64
Plutarco
6, l, 14: 264 51
Fab. Max.
21 68 Tucidide
22 69 3, 105 88
Indice dei nomi propri

Aceto, Tommaso, 128, 129 Gaio Giunio Bruto, 60


Agatocle, 55, 58, 59, 82, 87, 92, Gelone, 30
113 Giordane, 54
Alessandro il Molosso, 52, 53, 54, Giuda, 128
55, 69, 86, 109, 113 Gneo Servilio, 70
Alessandro Magno, 52, 57, 58, 74 Gregorio Magno, 13
Alfonso d'Aragona, 128
Annibale, 64, 65, 66, 68, 69, 70, 1milcone, 65
107, 123 ltalo, 43
Antioco di Siracusa, 38, 42, 43,
44 Kynisqos, 28
Archita, 121
Aristomaco, 66 Lanassa, 59
Aristosseno, 67, 84 Lucio, 118
Augusto, 126 Lucio Papinio Cursore, 60
Barrio, Gabriele, 128 Marco Aurelio, 126
Botrys, 74, 75 Marco Tullio, 124, 125
Brettia, 46, 54 Mertens, Dieter, 103, 104
Brettos, 43 Milone, 13, 124
Bruttiou, 74 Miscello da Ripe, 22
Caio Gracco, 123 Novio, 118
Cicerone, 26, 124, 125
Cinea, 60, 61 Omero, 51
Cleandrida, 31 Orsi, Paolo, 36, 92, 103, 117
Cornelio Rutino, 61 Ovidius Herius, 117
Damarchos, figlio di Philotas, 120 Paccio, da Tiriolo, 120
Demetrio Poliorcete, 59 Paccio, fratello di Vibio, 69, 75,
Dione, 30, 45, 48 116, 121
Dionisio il Vecchio, 40, 64, 87 Pirro, 59, 60, '61, 62, 64, 96, 99,
Dionisio II, 30, 45, 46 105, 123
Dunbabin, T.J., 129 Pittore di Firenze 3984, 32
Pittore di Pan, 36
Enotro, 43 Platon Brettios, 73, 74
Erodoto, 31, 32 Poccetti, P., 117
Eumares, 120 Polidori, Pietro, 129
Pompeo Trogo, 46
Fabio Massimo, 68, 69 Publio Fabio, 124
Ferri, S., 101 Pugliese Carratelli, Giovanni, 129
Filottete, 104
Quinto Fabio Massimo Gurgite, 60
Gaio Claudio Canina, 60 Quinto Fulvio, 69
Gaio Fabrizio Luscino, 59, 60 Quinto Marcio, 72
146
Sangineto, A. Battista, 101 Stratios, 74
Scipione, 70
Servio Tullio, 54 Timoleonte, 52, 86
Silla, 26 Toynbee, A.J., 62, 108
Spartaco, 75, 124
Spurio Carvilio Massimo, 60 Vetter, E., 117
Spurio Postumio, 72 Vibio, fratello di Paccio, 69, 75,
Stennio Statilio, 59 116, 121
Indice dei nomz geografici

Acquappesa, 36, 88 70, 71, 73, 75, 80, 81, 89, 107,
Alessandria d'Egitto, 94, III 112, 113, 116, 124
Al-Mina, 18 Cossa, 124
Amantea, 71 Cotronei, 25, 28, 29, 35
Amendolara, 13, 19, 25, 33 Crichi, 36, 38
Agropoli, Il Crotone, 9, Il, 21, 22, 23, 24, 25,
Arenosola, 19 30, 35, 37, 51, 55, 56, 58, 59,
Argentano, 70, 71 61, 66, 67, 68, 70, 72, 86, 104,
Ascoli Satriano, 61 108, 113, 123, 126
Aufugo, 70, 71 Cuma, 19, 29, 30, 74
Curinga, 33
Babilonia, 57, 58
Baja, 128 Delfi, 22, 120
Benevento, 60, 61 Dodona, 53
Berge, 70
Besidie, 70 Ethai, 58
Boiano, 128
Buxentum, 72 Gioia Tauro, Il, 24
Gizzeria, 33, 91, 93
Cairano, 31
Calopezzati, 88 Heraclea, 52, 53, 60
Camini, 89, 94, 95, 96, 98 Herdonia, 68
Canne, 64, 112 Hipponion, 24, 30, 50, 52, 53, 55,
Capo di Fiume, 19 59, 62, 81, 82, 84, 87, 93, 97,
Capua, 19, 20, 30, 73 99, 100, 105, 107' l lO, 112, 113,
Cariati, 86, 89, 90, 93, 100 114, 118, 120, 123
Cartagine, 57, l li, 112 Hyporon, 112, 114
Castelluccio sul Lao, 32, 34, 35, 38,
39, 117 Laino, 32, 99
Castrolibero, 88 Laos, 24, 25, 29, 30, 31, 33, 37,
Castrovillari, 35, 36, 37, 39 ®,5~~.~.~.M.~.~.
Catanzaro, 114 lll, 112, 114, 116
Caulonia, 23, 86, 94 Leuca, 9
Cerillae, 127 Linfeo, 70
Cerilli, 49, 50 Locri Epizefiri, 21, 22, 23, 24, 30,
Cetraro, 24, 88 n.~.~.66.~.n.~.~.
Chio, l IO 86, 99, 100, IlO, l li, 120
Cirò, 86, 89, 117, 118 Luzzi, Ioc. San Vito, 126
Cirò Marina, 96, 98, 99, 103, 104,
109, 117, 119, 126 Marcellina, v. Santa Maria del Ce-
Clampezia, 70, 71, 124 dro
Copia, 72, 123 Matauros, 24
Corfù, 58 Medma, 24, 33, 87, 112, 113, 114
Corigliano Calabro, Ioc. Serra Ca- Melfi, IO
stello, 85 Metaponto, 9, 21, 49, 52, 54, 116
Cosenza, 53, 54, 55, 57, 64, 65, 66, Modena, 124
148
Monasterace, 23 Rossano, 36, 37, 39
Montalto Uffugo, 71, 126, 127 Rossano di Vaglio, ll7, 119, 126
Montegiordano, 88
Murgie di Strongoli, 34, 35, 38, 86 Sala Consilina, 19, Ili
Mystia, 112, 114 Sambiase, 25, 27, 28, 34
San Lucido, 88, 101, 102
Nares Lucanae, 124 San Marco Argentano, 71
Neapolis, 30, 63, 123 San Sosti, 25, 28, 29
Nemoli, 32 Santa Maria Capua Vetere, v. Capua
Nocera Terinese, 112 Santa Maria del Cedro, fraz. Mar-
Nuceria, 112, 113 cellina, 25, 31, 82, 84, 89, 90,
91, 93, 96, 98, 99, 102, 106,
Ocricolo, 70 Ili
Oppido Mamertina, 19, 87, 89, 95, Santa Sofia d'Epiro, 37
96 Sant'Eufemia, 33, 36, 114
Santo Stefano di Rogliano, 33, 34,
Paestum, 12 51
Palmi, Il Sanza, 12
Paludi, loc. Castiglione, 78, 80, 84, Sapri, Il
85, 86, 99, 101, 102, 103, 105, Satriano di Lucania, 19
107, 116, 119 Scalea, 25
Pandosia, 53, 54, 57, 70 Scilla, Il
Penosa, 18 Scoglio del Tonno, 16
Petelia, 25, 31, 34, 35, 37, 38, 56, Scolacium, 124
57. 58, 64, 65, 66, 67. 72, 75, Segesta, 58
81, 85, 86, 91, 104, 107, 108, Sibari, 13, 17, 21, 22, 24, 25, 26,
112, 113, 114, 116, 119, 120, 27, 29, 30, 32, 33, 34, 36
122, 125, 126 Sibari sul Teuthras, 51, 52
Pianette di Strongoli, 34, 35, 38, Siracusa, 44, 47, 55, 58
81, 86 Skydros, 24, 29
Pietrabbondante, 101 Spana, 22
Pietrapaola, loc. Muraglie, 86 Spezzano Albanese, 85
Pietrapennata, 85 Stalettì, 117
Pissunte, 29 Strongoli, 34, 35, 38, 81, 89, 90,
Pitecusa, 21, 22 91, 93, 94, 98, 112, 118
Policoro, 9
Pompei, 12, 127 Taranto, 9, 30, 52, 53, 55, 59, 60,
Pontecagnano, 19 63, 64, 68, 69, 86, 94, 108, 123
Pono Perone, 17 Temesa, 25, 34, 50, 51, 102, 123
Poseidonia, 29, 30, 31, 34, 35, 49, Tempsa, 72, 123
53, 67, 68, 84, 121 Terina, 24, 33, 50, 52, 53, 55, 81,
Praia a Mare, 24, 91 87, 91, 97, 112, 113, 114, 120
Pratica di Mare, 118 Termitito, 17
Thurii, 26, 30, 31, 33, 37, 42, 49,
Reggio, Il, 13, 21, 22, 23, 24, 30, 50, 51, 52, 53, 54, 56, 58, 59,
59, 63, 66, 68, 72, 73, 82, 87, 68, 72, 78, 85, 86, 88, 123, 124,
123 127
Ricadi-Capo Vaticano, 114 Timmari, 19
Rivello, Serra La Città, 32, 33 Timpone del Gigante, v. Cotronei
Roccella Ionica, 19 Tiriolo, 72, 73, 81, 94, 95, 96, 99,
Rodi, 73, 74, IlO 100, 114, 118, 120
Rosarno, 24, 87 Tisia, 63
149
Torano, 81, 89, 120 Velia, Il, 12, 13, 29, 30, 74
Torre Mordillo, 37, 85 Verbicaro, 88
Trebisacce, 17, 36, 37, 127 Vibo Valentia, 24, 82, 114, 118
Tresilico, v. Oppido Mamertina Vivara, isola, 15, 17
Tropea, 19 Volcei, 69

Valentia, 62, 72, 123 Zancle, 22, 24


Indice delle illustrazioni

l. Antefissa, da Castrovillari (Museo di Castrovillari)


2. Specchio, da Rossano (Municipio di Rossano)
3. Hydria, da Castelluccio sul Lao (Musei di Berlino)
4. Stamnos, da Trebisacce (Museo Nazionale di Reggio Calabria)
5. Lekythoi, da Trebisacce (Museo Nazionale di Reggio Calabria)
6. Sostegno in bronzo di specchio, da Acquappesa (Museo Nazionale di Reg-
gio Calabria)
7. Mura di cinta di Laos
8. Mura di cinta di Petelia
9. Mura di cinta, con torre a pianta circolare, di Castiglione di Paludi
IO. Lekythos, da Simeri Crichi (Museo di Catanzaro)
Il. Mura di cinta di Hipponion
12. Porta orientale di Castiglione di Paludi
13. Frammento di anfora protoitaliota, da Santa Sofia d'Epiro (Museo di
Sibari)
14. Diadema in oro, da Marcellina (Museo Nazionale di Reggio Calabria)
15. Capitello iscritto, da Torano (Museo Nazionale di Reggio Calabria)
16. Corredo di una tomba a camera, da Marcellina: appliques in terracotta per
decorare mobili o sarcofagi in legno; cratere a calice apulo a figure rosse; rhy-
ton apulo a testa di mulo; situla apula a figure rosse; piatto campano a figure
rosse (Museo Nazionale di Reggio Calabria)
17. Corredo di una tomba a camera, da Marcellina: elmo di tipo frigio e coraz-
za di tipo anatomico; frammento di cinturone in lamina di bronzo con decora-
zioni a sbalzo in argento; schinieri anatomici in bronzo; particolare di elmo
di tipo frigio in bronzo; particolare della parte posteriore della corazza (Museo
Nazionale di Reggio Calabria)
18. Recipienti in bronzo, da Camini (Museo Nazionale di Reggio Calabria)
19. Corazza, da Cariati (Museo di Sibari)
20. Ganci di cinturoni, da Cariati (Museo di Sibari)
21. Frammenti di statua in terracotta, da Cariati (Museo di Sibari)
22. Cratere a figure rosse, da Cariati (Museo Nazionale di Reggio Calabria)
23. Anfora a vernice nera, da Strongoli (Museo Nazionale di Reggio Calabria)
24. Strongoli, tomba a camera
25. Corredo tombale, da Tresilico: coppa in vetro istoriata in oro; orecchini
aurei (Museo Nazionale di Reggio Calabria)
26. Statuetta in terracotta, da Hipponion (Museo di Vibo Valentia)
27. Bronzetto, da Castrovillari (Cosenza, collezione Gallo)
28. Bronzetto, da Cosenza (Museo Nazionale di Reggio Calabria)
29. Bronzetto, da Cirò Marina (Museo Nazionale di Reggio Calabria)
30. Bronzetto, da Cariati (Museo Nazionale di Reggio Calabria)
31. Fornace ceramica rinvenuta a Laos
32. Scultura in arenaria, da San Lucido (in situ)
152
33. Statere in oro dei Brettii; semidramma in oro dei Brettii; didramma in ar-
gento dei Brettii; dramma in argento dei Brettii; dramma in argento dei Brettii
(Museo di Catanzaro)
34. Semidramma in argento dei Brettii; semidramma in argento dei Brettii;
diobolo in bronzo dei Brettii; diobolo in bronzo dei Brettii; obolo in bronzo
di Cosenza (Museo di Catanzaro)
35. Obolo in bronzo di Medma; obolo in bronzo di Nuceria; due monete in
bronzo di Petelia; due monete in argento di Terina (Museo di Catanzaro)
Indice generale

Introduzione 7
Avvertenza 8

Il quadro territoriale 9

Prima dei Brettii 15


l. Età del Bronzo e del Ferro 15
2. La colonizzazione greca di età storica 21

Le fonti letterarie per la storia dei Brettii 41

Archeologia dei Brettii 77


l. Centri abitati 78
2. Nuclei abitati territoriali 87
3. Tombe a camera 88
4. Classi di produzione 96
5. Architettura 102

Ipotesi ricostruttive della società e della cultura dei Brettii 106

L'eredità dei Brettii 123

Bibliografia 131

Indice degli autori antichi citati 143

Indice dei nomi propri 145

Indice dei nomi geografici 147

Indice delle illustrazioni 151


Biblioteca di Archeologia
diretta da Mario Torelli

l. Philip Barker
Tecniche dello scavo archeologico
2. John Coles
Archeologia sperimentale
3. Thomas Ashby
La Campagna Romana nell'età classica
4. Alessandra Melucco Vaccaro
l Longobardi in Italia
5. Angela Pontrandolfo Greco
l Lucani
6. Mauro Cristofani
Gli Etruschi del mare
7. David Ridgway
L'alba della Magna Grecia
8. Ettore De Juliis
Gli Iapigi
9. Carlo Tronchetti
l Sardi
IO. Jean-Pierre Adam
L'arte di costruire presso i Romani
Il. Fabrizio Pesando
La casa dei Greci
12. Pier Giovanni Guzzo
l Brettii

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