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LA SOFFERENZE DEL MESSIA NELLA TRADIZIONE EBRAICA ANTICA

Francesco Giosuè VOLTAGGIO

«Coloro le cui iniquità sono sepolte con te sono de-


stinati a sottometterti con un giogo di ferro e ti ridur-
ranno come un vitello i cui occhi sono accecati e sof-
focheranno il tuo spirito sotto il giogo; a causa dei lo-
ro peccati, la tua lingua si attaccherà al palato. È que-
sto ciò che desideri?»
«Re dell’universo, io accetto tutto questo con gioia su
di me, affinché nessun ebreo vada perduto!»
YalqSh su Isaia, remez 499.

Introduzione
Un «profetico» testo di Platone (+348/347 a.C.) presenta il paradosso del giusto che entra nel
crogiuolo dell’ingiustizia in modo da passare per empio ed essere ucciso, affinché la sua giusti-
zia sia vagliata e appaia così autentica. L’umiliazione che il giusto subisce deve accadere e com-
piersi fino all’estremo. Egli è tale proprio perché torturato e appeso al legno come un ingiusto:
Conviene che gli si tolga l’apparenza della giustizia; poiché, se apparirà giusto, avrà onori e doni per
apparire tale, e non sarebbe chiaro se sia giusto per amore della giustizia o dei doni e degli onori. Per-
ciò deve essere spogliato di tutto fuorché della giustizia stessa: (…) abbia egli massima fama
d’ingiustizia, cosicché sia messo alla prova (…); vada innanzi irremovibile sino alla morte, sembran-
do per tutta la vita essere ingiusto ed essendo invece giusto (…): flagellato, sarà torturato, sarà legato,
gli bruceranno gli occhi, e, alla fine, dopo aver patito ogni genere di mali, sarà appeso al legno1.
Le parole di Platone intendono rispondere a una questione cruciale che toccò già il suo mae-
stro Socrate, condannato a morte ingiustamente: perché il giusto deve soffrire? Riguardo al no-
stro tema, il problema potrebbe essere così formulato: perché il messia, il giusto par excellence,
deve soffrire? Non viene forse a portare pace al mondo? Non deve, pertanto, trionfare? Come
accettare il fallimento dell’inviato di Dio? Il Corano rigetta l’idea che il profeta ‘Issa (Gesù) ab-
bia sofferto una morte tanto ignominiosa: «Il loro detto è: “Abbiamo ucciso il messia, Gesù, fi-
glio di Maria, inviato di Dio”. Ma non l’hanno ucciso né crocefisso, ma è parso loro»2. Anche
l’apocrifo Vangelo di Barnaba (215-216) scioglie il paradosso: è Giuda e non Gesù (asceso al
cielo al momento dell’arresto) a soffrire la pena della croce, semplicemente perché lo merita.
La crisi di fede di vari ebrei dopo la Shoah fu legata a un dilemma simile: come si può am-
mettere l’Olocausto del popolo eletto? La sofferenza degli innocenti rappresenta un problema
universale e costituisce l’«asso nella manica» degli anti-teisti: «Se un dio ha fatto questo mondo
– asserì con hybris Schopenhauer – io non vorrei essere quel dio, perché il dolore del mondo mi
strazierebbe il cuore»3. In Israele il problema era già sorto con la riflessione sapienziale degli
autori di Giobbe e di Qoèlet. Non essendo ancora giunta a una fede chiara nella retribuzione ul-
traterrena, la sapienza tradizionale d’Israele, quale emerge ad esempio nel libro dei Proverbi,
aveva sostenuto la retribuzione del giusto in questa vita. Giobbe e Qoèlet mettono in crisi tale
concezione tradizionale tramite le seguenti domande: perché il giusto deve soffrire come il mal-
vagio e spesso più di lui? (Gb). Perché il giusto deve morire come lo stolto? (Qo).
Un argomento ricorrente tra gli ebrei per dimostrare che Gesù di Nazaret non possa essere il
messia è la semplice constatazione che lo shalom messianico fino ad oggi anelato non è giunto
con lui. Gesù sarebbe dunque un messia fallito, come ce ne sono stati tanti in Israele (l’esempio
più noto è Bar Kokhba). Un tale fallimento non sarebbe compatibile con il concetto ebraico tra-
dizionale di «messia».

1
PLATONE, Repubblica, II, 361c-362a (trad. nostra).
2
Corano 4,157 (trad. dall’arabo nostra).
3
A. SCHOPENHAUER, O si pensa o si crede, ed. A. Verdecchia – B. Betti (Classici del pensiero), Milano 2000, 41.
L’interesse del presente studio si può mostrare come segue a partire dal Nuovo Testamento.
In Lc 24,25 Gesù afferma ai due di Emmaus: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che
hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua
gloria?». Perché un così duro rimprovero ai due discepoli da parte del maestro? Si meritavano
davvero di essere chiamati anoētoi («senza nous», «senza intelligenza»)? Avevano elementi suf-
ficienti nella Scrittura e nella tradizione orale d’Israele per ritenere che il messia dovesse soffri-
re? Nel v.32 l’evangelista nota riguardo a Gesù: «E cominciando da Mosè e da tutti i profeti in-
terpretò per loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano». Gesù interpreta le sofferenze
del messia cominciando dalla Torah e dai profeti. Dov’è scritto in essi, tuttavia, che il messia
deve soffrire?
Nella tradizione orale ebraica, la questione è legata alla misteriosa figura del messia «figlio
di Efraim» o «figlio di Giuseppe», oggetto continuo di studio da parte degli studiosi. Come ve-
dremo, alcuni di essi hanno sostenuto che tale tradizione risalga al secondo secolo d.C. e quindi
non fosse conosciuta al tempo di Gesù. Il presente studio intende mettere in discussione tale da-
tazione, prendendo come punto di partenza le seguenti domande: vi erano al tempo di Gesù, nel-
le Scritture e nella tradizione orale che le mediava, tradizioni circa i patimenti e la morte del
messia? Era legittimo interpretare la figura del Servo di YHWH descritta da Isaia come una pro-
fezia messianica? Le tradizioni che parlano del messia di Efraim e del messia figlio di Giuseppe
risalgono a un’epoca pre-cristiana?
Il problema tocca anche la presa di posizione di alcuni esegeti liberali. Secondo Bultmann,
per citare solo l’esempio più illustre, le predizioni della passione da parte di Gesù sarebbero me-
re invenzioni della comunità post-pasquale. Similmente, l’interpretazione messianica della figu-
ra del Servo di YHWH in Isaia sarebbe una creazione della comunità cristiana, mentre
l’interpretazione collettiva di tale figura sarebbe più antica4. Non si tratta tuttavia solo di un pro-
blema d’interesse storico o teologico. Il tema del messia non riguarda esclusivamente ebrei e
cristiani, ma in un certo modo ogni uomo. Il problema del messia sofferente, infatti, non è senza
conseguenza per il senso dell’umana esistenza. Il messianismo, lungi dall’essere solo un feno-
meno religioso, è divenuto anche una realtà politica, sociale ed esistenziale. L’immagine del
messia che si possiede, analogamente all’immagine della divinità, implica sempre conseguenze
antropologiche, politico-sociali ed etiche. Per dare solo un esempio, alcuni ebrei che negano
l’identificazione del messia con una figura personale sono fermi sostenitori del socialismo sioni-
sta che vede il messia come personalità collettiva e lo identifica con l’intero popolo che «si auto-
redime». Il tema si ripresenta oggi, nel momento in cui, in vari paesi del mondo, si propone un
modello di leader con «tratti messianici». La questione, per la nostra generazione, delusa dopo il
crollo delle ideologie, è ancora più radicale: si può ancora sperare nell’avvento di un messia? Il
nostro futuro è aperto a un compimento o è condannato alla ciclicità?
Il tema, infine, è fondamentale anche per l’ebraismo attuale. Poiché la questione circa il
messia sofferente è cara ai messianici, che ne fanno largo uso, essa è stata archiviata da vari rab-
bini e studiosi ebrei come un losco strumento in mano ai missionari per fare proselitismo. Qui si
vuole invece rimarcare quanto l’immagine del messia sia basilare per Israele e abbia delle riper-
cussioni impensabili in molti ambiti. Per questa ragione, l’ebraismo non dovrebbe abbandonare
la ricchezza delle tradizioni sul messia sofferente che, per ovvie ragioni polemiche, sono state
alquanto accantonate. Esse, tuttavia, riemergono in continuazione. Né il messia né il Servo di
YHWH descritto in Isaia si possono identificare sic et simpliciter con il popolo d’Israele, senza
che tale concezione abbia serie conseguenze in vari campi.

4
Cf. R. BULTMANN, Teologia del Nuovo Testamento, BTC 46, Brescia 1985, 39-41.
1. Un messia sofferente nei manoscritti del mar Morto?
1.1. Il messia trionfante e le sue tribolazioni
I rotoli del mar Morto sono d’enorme valore per stabilire l’antichità delle tradizioni, giacché
è ormai assodato che nessun manoscritto rinvenuto a Qumran e a Masada può esser stato copiato
dopo il 68 d.C. Si tratta quindi di testi datati con certezza prima della distruzione del tempio. La
seconda considerazione, altrettanto ovvia ma non meno basilare è che tali manoscritti parlano in
più occasioni del messia (o forse, come avviene altrove nella letteratura rabbinica e in alcuni te-
sti targumici, a due figure messianiche)5 e testimoniano, pertanto, una notevole effervescenza
messianica all’epoca del secondo tempio6. Benché riflettano una visione alquanto settaria, essi
presentano sovente concezioni comuni alle varie correnti ebraiche del tempo. La fervente attesa
messianica non era prerogativa solo di comunità ristrette. Probabilmente le concezioni messiani-
che hanno subito uno sviluppo che però è difficile tracciare, così com’è arduo fare una sintesi
della figura del messia che gli autori dei testi aveva. L’insistenza maggiore nei testi messianici
rinvenuti nei rotoli del mar Morto è sul messia regale che trionferà sulle nazioni. Lungi dal sof-
fermarci qui sulla varietà delle concezioni messianiche presenti nei rotoli del mar Morto, ci limi-
tiamo ai testi in cui vi possono essere allusioni alle sofferenze del messia.
Un testo degno di nota è contenuto nella Regola della Comunità (1QSa [1Q28a] II,11-22).
Esso è di tono escatologico: si tratta della generazione e dell’ingresso del messia tra gli uomini
della comunità. Qui si fa anzitutto riferimento al messia regale, come dimostra la menzione della
sua «generazione» in linea con Sal 2,7, in cui Dio dichiara al suo unto: «Tu sei mio figlio, io og-
gi ti ho generato». Troviamo qui una chiara testimonianza, parallela al NT, di come tale Salmo
fosse interpretato in senso messianico. Non solo. Non va dimenticato che lo stesso Salmo 2 pre-
senta le contrarietà che l’Unto del Signore dovrà soffrire da parte dei potenti della terra. Nel
testo si fa poi riferimento alle caratteristiche sacerdotali e messianiche del personaggio in que-
stione: egli ha un ruolo preminente rispetto ai sacerdoti della comunità, ha la precedenza assolu-
ta nel benedire il pane e il vino ed è chiamato «il messia d’Israele».
Un altro testo indicativo è contenuto in 4QApocalisse aramaica (4Q246), coll.1-2. A prima
vista, il testo, di carattere apocalittico, parla solo del messia trionfante che porterà pace sulla ter-
ra. Eppure, a un’attenta lettura, l’avvento del messia non sarà senza sofferenze e tribolazioni,
ma sarà preceduto da tempi d’oppressione e di spada. Il regno del messia seguirà a battaglie e
sconvolgimenti e si nomina letteralmente una «grande tribolazione». Nel testo, inoltre, si fa rife-
rimento a una guerra che dovrà sostenere il messia e che Dio combatterà per lui.

1.2. L’espiazione del messia tramite la sofferenza


Il testo 4Q541 è costituito da un centinaio di frammenti in aramaico. Databile verso la fine
del secondo secolo a.C. e, quindi di epoca asmonea, presenta la figura di un sommo sacerdote
che, benché non sia indicata esplicitamente come il messia, possiede decisamente tratti messia-
nici e verrà a compiere l’espiazione in favore degli uomini della sua generazione. Si fa cenno al-

5
In vari testi contenuti nei rotoli del mar Morto si fa riferimento a due «unti»: il messia d’Aronne e quello d’Israele.
Nella Regola della Comunità (1QS IX,11), ad esempio, si nominano i due messia di Aronne e d’Israele: il messia
sacerdotale viene nominato per primo. Non è da escludere che le diverse figure messianiche siano aspetti diversi di
un unico messia.
6
Un altro testo (4Q252 V,1-6) interpreta Gen 49,10 come una profezia del messia. Si tratta qui del messia davidico
ovvero regale. Esso è denominato «messia di giustizia» e «germoglio di Davide» (cf. Is 11,1; Ger 23,5; 33,15). Altri
testi mostrano come il messia poteva essere associato ad altri simboli o personaggi, come ad esempio il leone di
Giuda (ovvero un messia guerriero: 1Q28b); il messia escatologico regale e sacerdotale (4Q175 9-20); lo scriba o il
profeta (forse Mosè: CD VI,2-11); Elia o l’interprete della Torah (CD A VII,20; 1Q28b V,20-29; 1QM 5,1); la stella
di Giacobbe ovvero l’interprete della Torah (CD VII,19); il germoglio di Davide interpretato ancora come
l’interprete della Torah (4Q174 I,10-11) o il messia regale vittorioso su Magog nella battaglia escatologica (4Q161
fr.8-10,III,18-22); il sommo sacerdote presentato come messia guerriero e condottiero nella battaglia escatologica
(1QM II,1-2; XV,4-6; XVI,13-14; XVIII,5-6; XIX, 11-12); il consigliere ammirabile di Is 9,5 (1QHa XI [III], 7-18).
le persecuzioni e alle sofferenze che tale sommo sacerdote dovrà patire, ma anche al trionfo del-
la sua luce sulle tenebre del cosmo e alla ricostruzione del tempio.
In 4Q541 si legge che il messia «compirà l’espiazione per tutti i figli della sua generazione»
(fr. 9,I,2: «hrd ynb lwk lo rpkyw). Anche nel Documento di Damasco si afferma che il messia
d’Aronne e d’Israele «compirà l’espiazione per i loro peccati» (CD-A XIV,18-19). Così conti-
nua il testo di 4Q541: «Proferiranno contro di lui molte parole e abbondanza di menzogne; in-
venteranno favole contro di lui e proferiranno ogni sorta d’infamia contro di lui» (fr. 9,I,5-6). In
questo testo emerge con chiarezza l’idea di un messia trionfante che vincerà le tenebre del mon-
do. Eppure il suo trionfo non avverrà senza sofferenze, non solo subite dal popolo, ma anche da
lui stesso, che dovrà patire, come si dice letteralmente, «tutte le infamie». L’espiazione che egli
dovrà compiere a favore del popolo non avverrà quindi senza personali sofferenze da parte sua.
Si presenta, pertanto, non solo una figura messianica trionfante, ma anche sacerdotale, che dovrà
essere perseguitata e soffrire personalmente7.

1.3. Il messia e l’uccisione dell’unto innocente


11Q13 (II,1-25) è riconosciuto come un testo messianico ove si presenta la figura escatologi-
ca di Melchisedek. Il testo è incentrato sulla salvezza alla fine dei tempi ed è considerato un pe-
sher tematico, vale a dire un’interpretazione basata sull’accostamento di vari passi biblici. Esso
è databile tra il 75 e il 25 a.C.
Benché nel testo non si faccia riferimento esplicito alle sofferenze del messia, esso cita Dn
9,25 («fino a un principe consacrato vi saranno sette settimane»), ove si trova il termine māšîaḥ
(«unto, consacrato»). In primo luogo, è importante rimarcare che, nel testo rinvenuto nei rotoli
del Morto, il termine māšîaḥ è inteso nel senso forte di «messia» e non solo come «unto, consa-
crato». In secondo luogo, non si deve dimenticare che nel versetto seguente il profeta Daniele
riceve la rivelazione dell’uccisione del consacrato innocente: «Dopo sessantadue settimane un
consacrato sarà soppresso senza colpa di lui» (Dn 9,25). È innegabile dunque che nel testo vi sia
un riferimento, almeno implicito, all’uccisione del messia. In 11Q13, si parla del compimento
della profezia messianica contenuta in Is 52,7. Colui che la compie è denominato «l’unto dello
Spirito» ([j]Øwrh jyC«m) e l’«annunciatore di buone notizie». La sua missione è di consolare gli af-
flitti e vigilare sopra gli afflitti di Sion. Dal contesto si comprende che tale personaggio è legato
al personaggio di Melchisedek. Si tratta quindi di un messia sacerdotale. Qui non si fa alcun ri-
ferimento alle sue sofferenze. Eppure il messia è identificato con il Figlio dell’uomo di Daniele
e ha una missione speciale per gli afflitti e i sofferenti.
Per riassumere, in questo testo l’era messianica è mostrata come il grande giubileo. Melchi-
sedek, il «re di giustizia», è presentato come il messia: egli proclamerà la liberazione a coloro
che appartengono alla sua eredità. Tale liberazione non sarà solo materiale, ma anche spiritua-
le, poiché egli li libererà dalle loro iniquità e per mezzo suo si compirà l’espiazione e il giudi-
zio. L’avvento del messia non avverrà senza la battaglia con Belial e quelli della sua parte.
Melchisedek, aiutato dagli angeli, trionferà. conseguenza sarà la pace messianica. il messaggero
di bene profetizzato da Isaia, colui che annuncia la buona notizia della salvezza è il «messia del-
lo Spirito» di cui parla anche Daniele: qui (9,25) si parla genericamente di «un unto»
(senz’articolo). Il nostro testo menziona invece l’«unto dello Spirito», il messia. Benché non si
faccia accenno alle sofferenze del messia, ma solo al combattimento escatologico che egli con-
durrà insieme alle forze angeliche, poiché in Dn 9,26 si fa riferimento all’uccisione dell’unto in-
nocente, non è da escludere che si potesse ricavare da tale pesher la conclusione che il messia
dovesse essere ucciso.

7
Ancor più frammentario e misterioso, ma non meno interessante se riferito allo stesso personaggio messianico, è il
testo contenuto in 4Q541 fr. 24,II,2-6.
1.4. Un messia ucciso?
Un altro testo rilevante per il nostro tema è 4Q285. Si tratta di un frammento in ebraico che
contiene solo sei linee e che è correlato a testi appartenenti al Rotolo della Guerra8. Tutte le sei
linee sono incomplete. Il testo è datato alla prima metà del primo secolo d.C. Esso fa riferimento
al messia della stirpe di Davide e alcuni l’hanno interpretato nel senso che il messia sarà sotto-
posto a giudizio e ucciso. Sull’interpretazione di questo testo è scoppiato un acceso dibattito9.
Ecco il testo completo del frammento 7 (1-6) secondo la trascrizione di G. Vermes:
Il profeta Isaia: [Le sommità della foresta] saranno tagliate [via con un’ascia e il Libano per mezzo di
uno maestoso c]adrà. Uscirà un virgulto dal germoglio di Iesse […], il germoglio di Davide, ed essi
entreranno in giudizio con […] e il principe della congregazione, il germo[glio di Davide] lo ucciderà
([dywd] [j]«mx hdoh ayCn wtymhw) [con colp]i e ferite. E un sacerdote [di riconosciuto… (?)] comanderà
[l’ecc]idi[o] dei Kitti[m]10.
Nel testo si dice che «uscirà un germoglio dal tronco di Iesse» (fr. 7,2) e subito dopo si parla
due volte di «germoglio di Davide» (fr. 7,3-4). Si fa poi riferimento a un’uccisione «con colpi e
ferite» Non è da escludere che questo testo, come CD A XIV,18-19 e 4Q541 fr. 9,I,2.5-6, parli
di un messia che espia e soffre. Del resto, in Isaia 53 il Servo del Signore, che è oggetto di vitu-
perio, offre la sua vita in sacrificio di espiazione (Is 53,10) e si addossa le iniquità del popolo (Is
53,11), è paragonato a un «germoglio» (Is 53,2). La linea 4, tuttavia, può essere letta in due mo-
di, secondo le due vocalizzazioni possibili del verbo whmytw: come «il principe della congrega-
zione, il germoglio di Davide, lo ucciderà»; oppure come: «essi uccideranno il principe della
congregazione, il germoglio di Davide». Le due ipotesi sono grammaticalmente possibili ma
opposte. M. Bockmuehl ha fornito diverse ragioni sintattiche e contenutistiche per provare che
l’interpretazione più probabile del brano è che il messia compirà il giudizio e ucciderà il suo
nemico, il capo delle forze del male11. La sua conclusione è che questo testo non menziona un
messia che muore e pertanto non può essere d’aiuto per progredire nella questione se vi fosse,
prima della venuta di Gesù Cristo, la nozione di un messia che dovesse soffrire e morire12.
1.5. Il messia e il terzo giorno
Altro testo che merita un approfondimento è un’iscrizione in ebraico proveniente dalla Gior-
dania, pubblicata da A. Yardeni e B. Elitzur nell’aprile del 200713. L’iscrizione è intitolata Ḥa-
zon Gabriel («Visione di Gabriele»). Il testo è datato tra la seconda metà del primo secolo a.C. e
la prima metà del primo secolo d.C. Si tratta di un misterioso testo apocalittico, contenente pro-
fezie proferite da parte dell’arcangelo Gabriele.
La prima parte descrive la guerra escatologica delle nazioni che assediano Gerusalemme. In
questa situazione di battaglia, Dio manda Davide a chiedere qualcosa a Efraim: «Il mio servo
Davide chiede a Efraim (‘bdy dwd bqš mn lpny ’prym)» (linee 16 e 17). Forse Davide domanda
a Efraim di operare un segno. Ad ogni modo, l’espressione «il mio servo Davide», come nota I.

8
Come 1QM, 1Q33, 4Q491-496, 11Q14.
9
G. VERMES, «The Oxford Forum for Qumran Research. Seminar on the Rule of the War from Cave 4 (4Q285)»,
JJS 43 (1992) 85-90.
10
Le parentesi quadre costituiscono ricostruzioni del testo; nel presente studio, le traduzioni dai testi ebraici e ara-
maici sono nostre.
11
Cf. M. BOCKMUEHL, «A “Slain Messiah”», 166-167.
12
Ecco la lapidaria conclusione di M. BOCKMUEHL, «A “Slain Messiah”», 167: «(Il testo) non fa di certo avanzare
circa la questione se vi fosse, prima della venuta di Cristo, alcuna concezione ebraica di un messia che soffre e
muore. Il dibattito circa quest’ultimo tema, comunque, rimane immutato: il tentativo, da parte degli autori del NT,
di provare che la sofferenza e la morte di Cristo sono “secondo le Scritture” trova poco supporto
nell’interpretazione ebraica contemporanea dei passaggi rilevanti dell’AT e probabilmente nessuna nei rotoli del
mar Morto» (trad. e cors. nostri). L’autore si tradisce: «poco» supporto significa che vi era un certo supporto!
Comunque sia, tra quel «poco» e quel «probabilmente» s’inserisce la nostra ricerca.
13
A. YARDENI – B. ELITZUR, «Document. A First-Century BCE Prophetic Text Written on a Stone. First
Publication», Cath 123 (2007) 55–66 (in ebraico).
Knohl, si riferisce spesso a personaggi escatologici e messianici (Ez 34,23.24; 37,24.25)14. La
menzione di Davide, pertanto, potrebbe essere un riferimento al messia. A cosa si deve la men-
zione di «Efraim»? Efraim, come vedremo, è un nome del messia nella letteratura rabbinica15.
Nelle linee 19-21 si trova una profezia sulla distruzione del male nel giro di tre giorni: «Entro
tre giorni (lšlšt ymyn) tu saprai – così dice il Signore degli eserciti, Dio d’Israele – che il male
sarà infranto dinanzi alla giustizia». Nelle linee 26-28 si trova un’allusione ai sette carri usati
nella guerra escatologica, carri che si trovano alle porte di Gerusalemme, e si nomina
l’arcangelo Michele.
Nella seconda parte del testo (linea 80) si fa riferimento a un personaggio misterioso cui
l’arcangelo Gabriele ordina di tornare in vita entro tre giorni: «Entro tre giorni, vivrai! Te
l’ordino io, Gabriele, principe dei principi!». Secondo alcuni, la lettura del verbo «vivrai!» non è
così chiara, come invece Knohl sostiene. Non entreremo nel dibattito della lettura più probabile
del verbo, giacché è compito dei paleografi. Ci soffermiamo invece su ciò che è certo: per due
volte nel testo si ripete l’espressione «entro tre giorni».
Secondo Knohl, non è da escludere che il misterioso personaggio menzionato nel testo sia da
collegare con la figura del messia di Efraim, il messia figlio di Giuseppe, un messia sofferente,
che non è assente, come vedremo, dalla tradizione ebraica16. Se questa ipotesi è vera, l’opinione
secondo cui la tradizione del messia figlio di Efraim risalirebbe al secondo secolo d.C. (ovvero
dopo la sconfitta di Bar Kokhba) è da abbandonare. Lo stesso Knohl ritiene che la tradizione del
messia figlio di Giuseppe possa risalire al 4 a.C. È vero che, intorno a tale data, anno di morte di
Erode il Grande, vari leaders ebrei che si presentavano con tratti messianici furono messi a mor-
te e le loro aspirazioni alla libertà soppresse nel sangue. Non è da escludere che in questo conte-
sto sia nata o si sia diffusa l’idea di un messia sofferente.
Le posizioni di Knohl sono state soggette a varie critiche che perdurano fino ad oggi. Lo si è
accusato di aver ricostruito erroneamente il testo per sostenere tesi sensazionalistiche. Talvolta,
chi ha accolto la sua tesi lo ha fatto, più che per motivazioni scientifiche, per ragioni ideologiche
diametralmente opposte. Da un lato, in campo cristiano, si è voluto vedere una base solida per
sostenere che vi era già, al tempo di Gesù, una tradizione sulla morte e risurrezione del messia.
Dall’altro, i critici del cristianesimo hanno sottolineato che, poiché questa tradizione già esiste-
va, i credenti in Gesù hanno applicato al loro messia credenze ebraiche già diffuse prima di lui, e
che in realtà la morte e la risurrezione di Gesù non costituiscono né un fatto né una novità. Non
è facile dimostrare con sicurezza che il testo in questione faccia riferimento alla morte del mes-
sia. Ciò che tuttavia resta interessante è il riferimento ai tre giorni. Non è sfuggito ai rabbini che
nella Scrittura i tre giorni fanno spesso riferimento a una sofferenza da cui un personaggio o tut-
to il popolo è sollevato. Mostriamo di seguito un esempio tratto dal Midrash Bereshit Rabbah
56,1. Sebbene il testo sia di qualche secolo posteriore a Cristo, l’associazione dei testi, che costi-
tuiscono un mirabile florilegio, può essere antica:
«Il terzo giorno», ecc... «Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla
sua presenza» (Os 6,2). Il terzo giorno delle tribù: «Il terzo giorno Giuseppe disse loro...» (Gen
42,18); il terzo giorno del dono della Torah: «Il terzo giorno, sul far del mattino...» (Es 19,16); il terzo
giorno delle spie: «Rimanete nascosti là tre giorni» (Gs 2,16); il terzo giorno di Giona: «Giona restò
nel ventre del pesce tre giorni» (Gn 2,1); il terzo giorno di coloro che tornano dall’esilio: «Là siamo
stati accampati per tre giorni» (Esd 8,15); il terzo giorno della resurrezione dei morti: «Dopo due
giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza» (Os 6,2). Il terzo
giorno di Ester: «Il terzo giorno, Ester indossò le sue vesti da regina» (Est 5,1). E in virtù di cosa? I
nostri maestri dicono: «In virtù del terzo giorno del dono della Torah» e rabbi Levi dice: «In virtù del
terzo giorno del nostro padre Abramo».

14
Cf. I. KNOHL, «“By Three Days, Live”. Messiahs, Resurrection and Ascent to Heaven in Hazon Gabriel», JR 88
(2008) 147.
15
Cf., come possibile fondamento biblico, Ger 31,18 e Os 11,1-8.
16
Cf. I. KNOHL, «“By Three Days, Live”», 147-158.
1.6. Un messia figlio di Efraim?
D.C. Mitchell ha destato l’attenzione su un passo contenuto in 4Q17517. Riporteremo qui la
sua interpretazione di questo testo, giacché mi sembra importante far conoscere i risultati del suo
studio, finora noti solo in lingua inglese e a una cerchia ristretta di studiosi. 4Q175 è noto sotto
il nome di 4QTestimonia: si tratta di una collezione di testi biblici (testimonia per l’appunto)
concernenti la figura del messia, una sorta di «antologia messianica» di passi biblici. Il testo è
datato all’inizio del primo secolo a.C. Contiene quattro testi: Dt 18,18-19, riguardante il profeta
come Mosè, vale a dire il messia profetico; Nm 24,15-17, concernente la stella che sorge da
Giacobbe, ossia il messia regale; Dt 33,8-11, relativo alla benedizione di Levi, cioè al messia sa-
cerdotale; Gs 6,26 (la maledizione di Giosuè su Gerico), seguito da 4Q379, noto sotto il nome di
Apocrifo di Giosuè. Ognuno dei testi segue lo stesso schema: figura biblica/messianica - versetto
biblico - maledizione. Ecco il testo del quarto passo biblico, che ci interessa più da vicino
(4Q175 1,21-30):
Nel tempo in cui Giosuè finì di lodare e di rendere grazie con le sue lodi, disse: «Maledetto davanti al
Signore l’uomo che si metterà a ricostruire questa città! Sul suo primogenito ne getterà le fondamenta
e sul figlio minore ne erigerà le porte!». Ed ecco che un maledetto, uno di Belial si alza per essere
trappola per il suo popolo e rovina per tutti i suoi vicini. […per es]sere, loro due, strumenti di violen-
za. E torneranno a costruire [questa città ed erige]ranno per essa muraglia e torri per fare una fortezza
empia, [una grande malvagità] in Israele e un abominio in Efraim e Giuda. [… e compiran]no una
profanazione nella terra e una grande blasfemia fra i figli di [Giacobbe. E verseranno san]gue come
acqua sulle mura della figlia di Sion e nella zona di […].
Mentre gli autori, circa i primi tre testi, identificano la figura biblica e sottolineano il loro si-
gnificato messianico, per quanto concerne il quarto testo si limitano a dire che esso tratta dei
nemici, vale a dire dell’anti-modello del messia. In realtà, anche il quarto testo menziona una fi-
gura interpretata messianicamente nella tradizione ebraica: Giosuè. Qui la figura messianica le-
gata a Giosuè è il messia guerriero, spesso denominato sotto il nome di «messia, figlio di Giu-
seppe» o «messia, figlio di Efraim». Ricordiamo che, nel testo biblico, Giosuè è della tribù di
Giuseppe e discendente di Efraim. In alcuni testi, come vedremo, egli è ucciso nel combattimen-
to escatologico. Ora, secondo la maggioranza degli studiosi, la figura del messia figlio di Efraim
o figlio di Giuseppe sarebbe nata tardivamente, dopo il fallimento e la morte di Bar Kokhba18,
riconosciuto come messia da Rabbi Aqiva. L’importanza dell’interpretazione del nostro testo è
quindi legata al fatto che può smentire tale opinione, così diffusa, costringendo a retrodatare la
nascita della tradizione di tale figura messianica.
Vediamo ora rapidamente i testi, indicati da Mitchell, che contengono la tradizione del mes-
sia guerriero, figlio di Giuseppe o figlio di Efraim. Le somiglianze tra il testo di 4Q175 e i testi
riportati di seguito sono d’aiuto per datare la tradizione contenuta in quest’ultimo, dato che
4Q175 è un testimone datato al primo secolo a.C., mentre gli altri testi sono di datazione incerta
e comunque tardiva.
Il primo gruppo di testi contiene un’interpretazione midrashica a Zc 2,3, ove il Signore mo-
stra al profeta quattro fabbri che abbattono le corna delle nazioni nemiche di Giuda e Israele (cf.
Zc 2,1-4). Vi sono due versioni di tale midrash. La versione più antica, che risale a maestri tan-
naiti del primo o secondo secolo19, è contenuta in tre testi: Pesiqta Rabbati 15,14-15, Pesiqta
deRav Kahana 5,9 e Shir Ha-Shirim Rabbah 2,13,4. Il primo testo, commentando Ct 2,12 («i
fiori sono apparsi nei campi») riporta la seguente interpretazione di Rabbi Isaac: «È scritto: Il
Signore mi fece vedere quattro fabbri (Zc 2,3). Essi sono: Elia, il re messia, Melchisedek e il

17
D.C. MITCHELL, «The Fourth Deliverer: A Josephite Messiah in 4Testimonia», Bib 86 (2005), 545-553.
18
Tale opinione deriva dalla tesi di J. HEINEMANN, «The Messiah of Ephraim and the Premature Exodus of the
Tribe of Ephraim», HTR 68/1 (1975) 1-15, e oggi è largamente diffusa.
19
Va ricordato qui che l’attribuzione ai maestri è un indizio che va preso con grande cautela quando si cerca di da-
tare un’interpretazione: alcune interpretazioni possono essere state messe in bocca di maestri antichi, per varie ra-
gioni.
messia della guerra». Qui va notato l’accostamento tra i due versetti biblici interpretati messia-
nicamente. Una seconda versione è attribuita a maestri tannaiti tardivi ed è contenuta nel Tal-
mud Babilonese (b.Suk 52b,) e in due testi midrashici: Seder Eliyahu Rabbah 96 e Yalqut Shi-
moni a Zc 1,20 (568). Il Talmud babilonese, riporta un’interpretazione di Rabbi Hana bar Bizna,
in nome di Rabbi Shimon Hasida, che dà un’identità ai quattro misteriosi fabbri di Zc 2,3: si
tratta del messia figlio di Davide, del messia figlio di Giuseppe, di Elia e del sacerdote giusto.
Nei due gruppi di testi si trova una grande somiglianza con 4Q175 circa le quattro figure mes-
sianiche. Nella versione più antica dell’interpretazione rabbinica a Zc 2,3 l’ordine delle figure è
addirittura lo stesso riscontrato in 4Q175: messia profetico (Mosè/Elia); messia regale (figlio di
Davide); messia sacerdotale (Levi/Melchisedek/sacerdote giusto); messia guerriero (figlio di
Giuseppe/Giosuè).
Anche il Targum Pseudo-Jonathan (TgPsJEs 40,9-11) presenta ancora questi quattro perso-
naggi messianici, operando però una fusione tra la figura messianica sacerdotale e quella profe-
tica20, cioè rispettivamente: il messia regale di Giuda; il messia sacerdotale di Aronne/profetico-
sacerdotale di Elia; il messia di Giosuè/figlio di Efraim. Riporteremo e commenteremo più
avanti questo passo targumico21.

1.7. Un Messia di Giuseppe che muore e risorge?


Il testo contenuto in 4Q372 (fr.1,10-31) mostra come all’epoca del secondo tempio vi fosse
un’attenzione particolare alla figura del patriarca Giuseppe. Si nota una tensione tra un’identità
collettiva e una individuale22. Il testo è databile paleograficamente alla seconda metà del primo
secolo a.C.
Nella prima parte del testo ci si riferisce alla storia di Giuseppe e alle sue sofferenze. Nella
seconda, lo stesso Giuseppe intercede per le tribù esiliate. Recentemente D. Mitchell ha ipotiz-
zato, in un interessante articolo, che in questo testo vi sia già un riferimento al messia di Giu-
seppe che muore e risorge23. Tratteremo più avanti i testi della tradizione ebraica relativi al mes-
sia figlio di Giuseppe e figlio di Efraim. Per ora, lasciamo parlare il testo stesso, di rara bellezza
(fr.1,10-31):
E con tutto ciò, Giuseppe fu scaraventato in terre che non [conosceva...] in un popolo straniero, e fu-
rono dispersi in tutto il mondo. Tutti i loro monti si sorpresero di loro […]. Si fanno un’altura in un
monte elevato per provocare lo zelo d’Israele. E dissero parole [...] i figli di Giacobbe e li terrorizza-
rono con le parole delle loro bocche, bestemmiando contro la tenda di Sion; e dissero pa[role false, e
tutte] e parole menzognere proferirono per irritare Levi, Giuda e Beniamino con le loro parole. E con
tutto ciò Giuseppe [fu dato] in mano degli stranieri, che divorarono la sua forza e ruppero tutte le sue
ossa fino al tempo della sua fine. E gridò, [e il suo grido] invocò il Dio potente perché lo salvasse dal-
le loro mani. E disse: «Padre mio e Dio mio, non mi abbandonare in mano dei pagani, fammi tu giu-
stizia, affinché non periscano i poveri e gli afflitti. Tu non hai bisogno di alcun popolo, né di alcun
aiuto. Il tuo dito è più grande e forte di quanto vi è nel mondo. Tu scegli la verità e nella tua mano non
c’è violenza alcuna. E la tua tenerezza è grande e grande la tua pietà con chiunque ti ricerca; sono più
forti di me e di tutti i miei fratelli che si uniscono a me. Un popolo nemico abita in essa e [...] ed essi
aprono la loro bocca contro tutti i figli del tuo amato Giacobbe, con oltraggi per […] il tempo della lo-
ro distruzione del mondo intero e saranno dati […]. Io mi alzerò per fare il diritto e la giusti[zia.., per

20
D.C. MITCHELL, «The Fourth Deliverer», 3, vede nel testo targumico solo tre personaggi messianici, in quanto
considera Elia sommo sacerdote come la fusione della figura messianica profetica e quella sacerdotale.
21
Nel riportare il testo targumico si evidenziano in corsivo le aggiunte del targumista al testo biblico.
22
Sono queste le conclusioni della tesi di M. ROSSETTI, Giuseppe negli scritti di Qumran. Studio sulla figura del
patriarca a partire da 4Q372 1. Excerpta ex dissertatione ad Doctoratum in Facultate Biblica Pontificii Instituti
Biblici, Roma 2006, 85-90. L’autore vede, nella presentazione di Giuseppe come orante in 4Q372 1, una «sorta di
tensione tra un’interpretazione collettiva ed una individuale del personaggio» (p. 85) e l’emergere di
un’interpretazione della sua figura come personalità corporativa; l’autore nota (p. 86) che già in Dn 9,1-20 «il pro-
feta nell’atto di innalzare a Dio la sua preghiera funge da intercessore e sembra rivestire una personalità corporati-
va, pur mantenendo la propria personale identità».
23
Vedi D.C. MITCHELL, «A Dying and Rising Josephite Messiah in 4Q372», JSP 18 (2009) 181-205.
fare] la volontà del mio creatore, per offrire sacrifici [di azione di grazie ...] al mio Dio. E proclamerò
la sua pietà [...]. Ti loderò, YHWH, Dio mio, e benedirò ogni [...] prime, e per insegnare ai peccatori i
tuoi precetti, e le tue leggi a coloro che ti abbandonano [...] e il male, di modo che i tuoi testimoni non
mi rimproverino, e per proclamare le tue parole di giusti[zia ...]. Poiché Dio è grande, santo, potente,
glorioso, terribile, e sono meraviglio[si... I cieli] e la terra, e anche le profondità dell'abisso.

1.8. Mani forate


Nel Sal 22,17 (TM) ricorre un’espressione controversa. Così recita il versetto: «Un branco di
cani mi circonda, una banda di malfattori accerchia me, come un leone, le mie mani e i miei pie-
di». Il termine discusso è l’ebraico yrak, «come un leone». La LXX (21,17) legge wrak, «hanno
scavato», e traduce con il greco ōryxan, «scavarono, forarono». Ovviamente quest’ultima tradu-
zione è stata seguita dai commentatori cristiani che hanno visto nel versetto una profezia delle
sofferenze del messia. Il messia «doveva» avere le sue mani e i suoi piedi forati, perché così è
scritto. Il problema è legato all’ultima lettera del termine sopra riportato: si tratta di una waw
(«hanno forato») o di una yod («come un leone»)? Un testo rinvenuto presso Nahal Hever
(5/6Hev col. IX, fr. 9), che contiene il versetto in questione, ci viene in aiuto. Esso contiene co-
me ultima lettera la waw. L’interesse di questa scoperta è dovuto al fatto che il rotolo che con-
tiene il testo è molto antico: risale al 50-68 d.C. ed è quindi contemporaneo di Gesù. Qui abbia-
mo una prova del fatto che, al tempo, di Gesù il testo era interpretato nel modo seguente: «Han-
no forato le mie mani e i miei piedi». La traduzione della LXX non ha quindi tradito il testo.

1.9. Conclusione
Il vantaggio dei testi provenienti dai rotoli del mar Morto sopra citati è che essi risalgono
certamente almeno al primo secolo d.C. Lo svantaggio è che non sempre sono decifrabili nella
loro interezza. Alcuni sono assai frammentari e, per questo motivo, la loro interpretazione è af-
fidata alla competenza e talvolta alla «fantasia» dello studioso.
I rotoli del mar Morto testimoniano il fervore dell’attesa messianica all’epoca del secondo
tempio. In essi sono già presenti testimonia o florilegi di testi interpretati messianicamente, se-
gno che il messia era oggetto di profonda meditazione nello scrutare le Scritture. I rotoli del mar
Morto sono così testimoni inequivocabili della fede nel messia come un personaggio individuale
(o più personaggi?) escatologico, dai tratti regali, profetici e sacerdotali. È probabile che, tra le
diverse credenze messianiche, fosse già emersa la figura del messia guerriero, discendente di
Giuseppe e di Efraim, e che Giosuè (al pari di altre figure più importanti come Davide, Mosè ed
Elia), in quanto discendente di Giuseppe e di Efraim, fosse un personaggio già reinterpretato in
chiave messianica. I manoscritti del mar Morto, tuttavia, non menzionano esplicitamente che il
messia dovrà soffrire o morire. Non prevedono chiaramente un primo fallimento del messia. Es-
si nondimeno presentano alcuni personaggi misteriosi con connotazioni messianiche, le cui sof-
ferenze sono salvifiche per il popolo, come anche la venuta del messia come un evento precedu-
to da un’epoca di grandi tribolazioni e sofferenze.

2. Le sofferenze del messia negli Apocrifi dell’AT


2.1. Un messia figlio di Giuseppe
Negli Apocrifi dell’AT si menziona varie volte il «messia» o l’«eletto». Anch’essi sono te-
stimoni della fervente attesa messianica nei primi secoli precedenti alla nostra era. La maggio-
ranza dei testi presentano la figura di un messia trionfante e glorioso, vittorioso sui suoi nemi-
ci24.

24
Cf., ad es., 1Hen 48,5-10; 49,2-4; 52,2-9; 55,3-4; 61,5-10; PsSal 17-18; 4Esd 12,31-32; 2Bar 29,1-30,5; 40,1;
72,2-73,2. In TestLev 8,11-14 sono identificate la figura sacerdotale e regale di messia (cf. anche 18,3; TestDan
5,4.10; TestJos 19,1-11). Altri testi nel Testamento dei Dodici Patriarchi esaltano piuttosto il messia come figura
regale e davidica (cf. ad es. TestJud 24,1-2).
Il Terzo Libro di Enoch (3Hen) è un’opera apocalittica ebraica, scritta in ebraico, probabil-
mente nella seconda metà del terzo secolo d.C. (con alcune aggiunte più tardive), benché alcune
sue parti possano risalire anche al primo o al secondo secolo d.C. Il testo potrebbe contenere
tradizioni risalenti all’epoca dei maccabei. Per alcuni, la redazione finale non può essere co-
munque anteriore al quinto secolo d.C. Si deve riconoscere, infine, che, con i dati oggi in nostro
possesso, è impossibile pronunciare una sentenza finale circa la sua datazione. L’opera ha una
stretta relazione con i primi due libri di Enoch. Essa contiene l’ascensione e la visione della
Merkabah da parte di Rabbi Ishmael ben Elisha. Ruolo centrale nel libro è assegnato a Metatron,
che è anche Enoch, il Principe della Presenza. Si presenta il giudizio finale. Metatron rivela i
suoi segreti a Rabbi Ishmael.
3Hen 45,5 contiene un testo escatologico. Si tratta di una visione degli ultimi tempi da parte
di Rabbi Ishmael. Egli vede due figure messianiche, che sembrano distinte: il messia figlio di
Giuseppe e il messia figlio di Davide. Nei loro tempi vi saranno battaglie finali da parte di Israe-
le contro Gog e Magog. Va notato che il messia figlio di Giuseppe o figlio di Efraim è citato al-
trove, come vedremo, nella letteratura ebraica antica. Ecco il testo:
E vidi il messia, figlio di Giuseppe, e la sua generazione e le loro opere e le loro azioni, che essi com-
piranno contro le nazioni del mondo. E vidi il messia, figlio di Davide, e la sua generazione, e tutte le
battaglie e le guerre e le loro opere e azioni che essi faranno con Israele sia per il bene sia per il male.
E vidi tutte le battaglie e le guerre che Gog e Magog combatteranno nei giorni del messia e tutto ciò
che il Santo, Benedetto Egli sia, compirà con loro nei tempi che verranno.

Non si fa riferimento esplicito qui alle sofferenze del messia figlio di Giuseppe, come invece
avviene, come vedremo, nei testi targumici e talmudici. Si menzionano due figure messianiche,
sebbene non si possa stabilire se si tratta di due figure distinte o di un’unica figura vista sotto
due aspetti diversi e quindi descritta con due titoli. Ad ogni modo, l’avvento del messia sarà se-
gnato da guerre e battaglie contro Gog e Magog. Uno dei nomi di tale messia è «il messia figlio
di Giuseppe».

2.2. Il messia morirà con tutti gli altri


Il Quarto Libro di Esdra (4Esd) è un’opera apocalittica del primo secolo della nostra era, con
aggiunte posteriori cristiane. Il messia occupa un ruolo centrale nell’opera. Egli è un uomo che
si leva dal mare e viene sulle nubi (13,3). Deve affrontare un combattimento celeste contro i
nemici che vengono dai quattro venti del cielo, ma li distrugge con il diluvio di fuoco che esce
dalla sua bocca (13,3-11). È un uomo nascosto da Dio fino al tempo fissato, in cui dopo una
grande battaglia (13,26). Tale uomo è denominato «figlio di Dio» (13,32). Anche in 4Esd 7,28-
30 si chiama il messia «figlio di Dio» e si profetizza la sua morte. Ecco il testo completo:
Poiché il mio figlio, il messia, sarà rivelato con coloro che sono con lui e farà rallegrare coloro che
rimangono per quattrocento anni. Dopo questi anni, il mio figlio (o: il mio servo, ndr), il messia, mo-
rirà e coloro che hanno respiro umano. Il mondo ritornerà al suo primitivo silenzio per sette anni, co-
me al suo primo inizio, cosicché nessuno rimarrà.
4Esd è, con tutta probabilità, posteriore al 70 d.C. e anteriore al 135 d.C. Il riferimento ai
quattrocento anni è probabilmente un riferimento alla schiavitù del popolo d’Israele in Egitto:
forse si tratta di un regno messianico intermedio. Il testo menziona esplicitamente la morte del
messia: si tratta, dopo il NT, della prima menzione esplicita nella letteratura antica della morte
del messia.

2.3. Il sommo sacerdote e re che morirà in battaglia


I Testamenti dei Dodici Patriarchi sono un apocrifo conservato in greco, armeno e slavo; cir-
ca la sua datazione non abbiamo purtroppo molte certezze: si discute se la sua redazione finale
sia precedente o meno all’era cristiana, se sia da ritenere opera di un ebreo o di un cristiano, e
se, nel primo caso, contenga interpolazioni cristiane, mentre è certo che includa materiale ebrai-
co palestinese risalente almeno al secondo secolo a.C. Vista la complessità redazionale
dell’opera, il suo uso nelle comparazioni esige particolare cautela. In tale scritto si presenta la
figura di un messia sacerdotale (di Levi) insieme al solito messia regale (di Giuda), che si riuni-
scono in una sola figura. Vi sono delle somiglianze con i testi dei rotoli del mar Morto. In Te-
stRub 6,8-12 si trova un altro riferimento alla morte del messia:
Perciò vi ordino che prestiate ascolto a Levi, perché egli conosce la Legge del Signore e vi darà istru-
zioni per il giudizio e offrirà sacrifici per tutto Israele, fino alla consumazione dei tempi, poiché egli è
sommo sacerdote, l’unto di cui il Signore ha parlato. Vi scongiuro per il Dio del cielo che ciascuno
dica la verità al suo prossimo e abbia amore per suo fratello. Avvicinatevi a Levi con umiltà di cuore,
affinché riceviate la benedizione delle sue labbra. Egli benedirà Israele e Giuda, perché il Signore ha
scelto di regnare attraverso di lui sopra ogni nazione. Inchinatevi dinanzi alla sua discendenza, perché
morirà per voi in battaglie visibili e invisibili e sarà in mezzo a voi un re eterno.
La novità di questo testo consiste nel fatto di presentare il messia di Levi e, pertanto, il mes-
sia sacerdotale25. Egli è sommo sacerdote, benedice Israele e Giuda e regnerà in eterno: il suo
regno sarà universale. Si dice che morirà per Israele «in battaglie invisibili e invisibili», benché
il senso di quest’espressione rimanga oscuro. Non è da escludere che nel testo sia presente un
riferimento a un personaggio storico concreto, Simone, Giovanni Ircano o un altro discendente
dei maccabei (cf. 1Mac 14,41), benché si tratti anche di una figura escatologica: non si deve di-
menticare che i maccabei provenivano dalla tribù di Levi. Né va dimenticato che Mosè e Aron-
ne, figure interpretate messianicamente nella letteratura ebraica antica, sono della stessa tribù.
D’altra parte, la morte del sommo sacerdote-messia potrebbe essere un’interpolazione cristiana.

2.4. L’agnello vittorioso combattuto dalle belve


Un altro testo, contenuto in TestJos 19,1-11, sebbene non faccia riferimento alla morte del
messia, lo presenta come un agnello in lotta con le belve, che non lo potranno vincere:
Ascoltate anche, figli miei, la visione che ebbi. Vi erano dodici cervi che pascolavano: nove erano di-
spersi per tutta la terra e allo stesso modo anche gli altri tre [… E vidi che da Giuda nasceva] una ver-
gine [adornata con vestito di lino e da lei] nasceva un agnello [senza macchia] e alla sua sinistra aveva
qualcosa come un leone. Tutte le bestie si alzarono contro di esso, ma l’agnello li vinse, li distrusse e
li annientò sotto i suoi piedi. Si rallegrarono di lui gli angeli, gli uomini e tutta la terra. Tutte queste
cose avverranno a suo tempo, negli ultimi giorni. Perciò, figli miei, osservate i comandamenti del Si-
gnore e onorate Giuda e Levi, perché da essi sorgerà per voi [l’agnello di Dio].
Si tratta qui del messia procedente dalla tribù di Giuda. Egli radunerà le tribù d’Israele di-
sperse (i dodici cervi). Il messia-agnello vince tutte le bestie, cioè tutte le nazioni della terra. La
sua vittoria procura una gioia universale. Infine si dichiara che il messia regale (di Giuda) e sa-
cerdotale (di Levi) sono un’unica figura. Anche qui, non è da escludere che il riferimento
dell’agnello nato da una vergine o da una donna sia un’interpolazione cristiana. D’altra parte,
non si deve pensare che l’accostamento del messia di Levi all’agnello sia necessariamente
un’interpolazione cristiana. Anche nel Targum Pseudo-Jonathan, ove non sono presenti interpo-
lazioni cristiane, Mosè, discendente al cento per cento dalla tribù di Levi, è paragonato
all’agnello e, messo a confronto con la potenza egiziana, risulta vittorioso. Ecco il testo in que-
stione, tratto da TgPsJEs1,15:
Il Faraone disse di aver visto un sogno mentre dormiva: ed ecco, la terra d’Egitto era su un piatto di
una bilancia e un agnello era sull’altro piatto e il piatto che aveva l’agnello pendeva in basso. Egli
25
Circa tale figura messianica, si veda, ad es., TestLev 18,1-2.7-11: «Quando il Signore avrà fatto vendetta di loro,
il sacerdozio scomparirà. Allora il Signore farà sorgere un sacerdote nuovo, al quale tutte le parole del Signore
saranno rivelate. Egli farà sulla terra un giudizio di verità, durante molti giorni (...). La gloria dell’Altissimo sarà
pronunciata sopra di lui e lo spirito d’intelligenza e di santità riposerà su di lui sull’acqua. Egli infatti darà la maestà
del Signore ai suoi figli, in verità e per sempre. Egli non avrà successori, di generazione in generazione e per
sempre...Inoltre egli aprirà le porte del paradiso e devierà la spada puntata contro Adamo. Darà da mangiare
dell’albero della vita ai santi e su di loro riposerà lo spirito di santità».
mandò subito a chiamare tutti i maghi d’Egitto e ripeté loro il suo sogno. Subito Iannes e Iambres, i
capi dei maghi, aprirono la loro bocca e dissero al Faraone: «Un figlio sta per nascere alla comunità
d’Israele, per la cui mano tutta la terra d’Egitto andrà in rovina».

2.5. Le tribolazioni per l’avvento del messia


Gli apocrifi noti sotto il nome di Apocalisse di Esdra o Quarto Libro di Esdra (4Esd) e Apo-
calisse siriaca di Baruc o 2Baruc (2Bar) provengono da ambienti e periodi simili: redatti in am-
biente farisaico, sono entrambi testimoni della distruzione del Tempio nel 70 d.C. La prima ope-
ra, conservata in latino in appendice alla Vulgata26, può essere collocata in una data immediata-
mente posteriore al regno di Domiziano (81-96 d.C.)27. La seconda, pervenutaci in siriaco, pro-
viene da un ambiente e un periodo simili a 4Esd: la sua datazione può oscillare tra il 70 d.C. e il
135 d.C., poiché menziona la distruzione di Gerusalemme senza far riferimento alla seconda ri-
volta giudaica. In questi due testi si trovano testi messianici di carattere apocalittico. Tali testi
sono stati composti dopo il 70 d.C.
In 2Bar (come in 4Esd), l’avvento del messia sarà preceduto dalle «doglie del parto». Se vi è
un elemento comune, nelle varie tradizioni ebraiche, circa l’avvento del messia è proprio questo:
le tribolazioni che precederanno l’avvento del messia saranno enormi, tanto che molti cadranno
nella disperazione. Queste tribolazioni sono uno dei segni più chiari dell’imminenza del messia.
Così si afferma in 2Bar 25,2-4:
Questo sarà il segno: quando lo stupore afferrerà tutti gli abitanti della terra ed essi cadranno in mol-
te tribolazioni e, ancora, quando essi cadranno in molti tormenti. E avverrà quando essi diranno nei
loro pensieri, a causa delle molte tribolazioni: «Il Potente non si ricorda più della terra», avverrà
quando abbandoneranno la speranza, che il tempo, allora, si risveglierà.
Secondo 2Bar 27,1-15 dodici saranno i flagelli che precederanno l’era messianica. In 48,29-
41 si sottolinea che, a tali flagelli, si accompagnerà un’enorme corruzione morale e spirituale (si
veda anche 70,1-10).

2.6. Conclusione
I testi apocrifi dell’AT contengono alcuni riferimenti alle sofferenze del messia, molti (non
riportati qui) al messia trionfante. I pochi testi presentati, seppur suggestivi, sono di difficile da-
tazione e possono essere stati soggetti a interpolazioni cristiane. 4Esd contiene la più antica te-
stimonianza datata (tra il 70 e il 135 d.C.) esplicita sulla morte del messia, a eccezion fatta, ov-
viamente, del NT. Ciò naturalmente non esclude che la tradizione di 4Esd non possa essere pre-
cedente alla distruzione del Tempio nel 70 d.C. Si deve sempre distinguere tra redazione finale
di un’opera e tradizioni contenute in essa.

3. Le sofferenze del messia nel Targum


3.1. Il messia, figlio d’Efraim e discendente di Giosuè, trionfante nella battaglia escatologica
Sono numerosi i testi targumici che fanno riferimento al messia. Noi ci soffermeremo qui in
particolare sui testi riguardanti le sofferenze del messia e la misteriosa figura del messia figlio di
Giuseppe e figlio di Efraim.
Nella tradizione rabbinica il messia è denominato talvolta «figlio d’Efraim». Alcune volte es-
so è presentato come un messia guerriero e vittorioso sulle forze del male, altre volte è presenta-
to piuttosto come figura sofferente o, comunque, che muore. La stessa duplicità è presente nei
testi targumici. Il primo testo da analizzare è tratto dal Targum Pseudo-Jonathan. Sebbene la

26
La traduzione greca di quest’opera, di enorme diffusione nella Chiesa primitiva, è andata perduta, mentre posse-
diamo le versioni dell’opera in siriaco, copto, etiopico, arabo, armeno e georgiano: l’analisi dei semitismi presenti
in tali versioni fanno pensare che l’opera originale fosse stata redatta in ebraico o in aramaico.
27
L’utilizzo dell’opera per la datazione delle tradizioni, tuttavia, va soggetto a particolare attenzione critica, giacché
contiene interpolazioni cristiane.
sua ultima redazione sia certamente tardiva (non può essere anteriore all’epoca islamica per mo-
tivi interni al testo), contiene molte tradizioni antiche, anche di epoca pre-cristiana, com’è stato
ampiamente dimostrato. Così TgPsJEs 40,9-11 rende gli ordini di Dio a Mosè circa la consacra-
zione del santuario:
Prenderai l’olio dell’unzione e ungerai con esso la Dimora e quanto vi sarà dentro e la consacrerai a
causa della corona della regalità della casa di Giuda e del Re Messia che è destinato a liberare
Israele alla fine dei giorni. Ungerai l’altare degli olocausti e tutti i suoi utensili. Ungerai anche
l’altare e l’altare diventerà cosa santissima a causa della corona di sacerdozio d’Aronne e dei suoi fi-
gli e d’Elia, il gran sacerdote, che è destinato a essere inviato al termine degli esili. Ungerai anche il
bacino con il suo piedistallo e lo consacrerai, a causa di Giosuè, tuo servitore, il capo del sinedrio del
suo popolo, per le cui mani la terra d’Israele è destinata a essere distribuita, e del messia figlio
d’Efraim, che uscirà da lui, per le cui mani la casa d’Israele sarà destinata a riportare la vittoria su
Gog e Magog e le sue bande, alla fine dei giorni28.
Le unzioni del tabernacolo, dell’altare degli olocausti e del bacino dell’altare sono per il tar-
gumista un’occasione di menzionare il messia, l’unto del Signore. Si presentano qui almeno tre
figure messianiche. Le tre figure provengono da tre diverse tribù: Giuda, Levi (Aronne) ed
Efraim. Per ogni tribù si menzionano due rappresentanti: uno storico e uno escatologico, che
giunge alla fine dei tempi o degli esili. La prima figura è associata alla casa reale di Giuda: si
tratta del messia davidico, la cui caratteristica è di essere un liberatore. La seconda figura è in-
vece associata al sommo sacerdozio (Aronne) e al profetismo (Elia). Circa la provenienza di Elia
da Aronne, si deve notare che nella tradizione ebraica Elia è in genere considerato un discenden-
te di Aronne29. La terza figura è relazionata a Giosuè e al figlio d’Efraim. Il messia di Efraim,
discendente di Giosuè, è presentato come vittorioso su Gog, il simbolico nemico d’Israele in
TgPsJ a Es 40,9-11. Riassumendo, le tre figure escatologiche sono presentate come figure ine-
quivocabilmente messianiche30: esse sono il re messia proveniente da Giuda, che verrà alla fine
dei tempi; Elia, il sommo sacerdote, che verrà alla fine degli esili; il messia figlio di Efraim pro-
veniente da Giosuè, che verrà ancora alla fine dei tempi.
Occorre anzitutto domandarsi se l’inserzione del targumista sia dovuta a qualche dettaglio del
testo. Una spiegazione potrebbe essere la seguente. È ovvio che l’inserzione sul messia,
sull’«unto» (māšîaḥ), deve la sua ragione alla triplice unzione del tabernacolo dell’altare e del
bacino e quindi al verbo «ungere» (mšḥ), che ricorre in tutti e tre i versetti. Per quanto concerne
l’inserzione della figura del messia figlio di Efraim, va notato che il termine kiyyōr («bacino»)
che ricorre in Es 40,11, è impiegato anche in Zc 12,6 nel contesto della battaglia finale escatolo-
gica, poco prima del v. 10 che, come vedremo nell’analisi del prossimo testo, è interpretato nella
Tosefta a TgPsJ in senso messianico e proprio in relazione al messia figlio di Efraim che com-
batte nella battaglia escatologica contro Gog. L’ipotesi è confermata dal fatto che anche il ter-
mine miškān («tenda») è da collegare con Davide e con la promessa messianica fatta a lui (cf.
2Sam 7,6), mentre il termine mizbēaḥ («altare») è da connettere ad Aronne e ad Elia (cf. 1Re
18,32). Si tratta quindi di tre accostamenti fatti con arte mirabile da parte del targumista, secon-
do la regola ermeneutica della gezarah shawah, consistente nell’accostamento di testi che con-
tengono lo stesso termine, al fine di ricavarne una nuova interpretazione.
Riguardo alla datazione di questa tradizione, un indizio importante è costituito dal testo pre-
sente in 4Q175 da noi analizzato sopra. Entrambi sono testi poli-messianici, cioè che presentano
vari messia. Come visto sopra, il testo di 4Q175 fa riferimento a quattro messia: il messia profe-
tico, il messia regale, il messia sacerdotale e il messia guerriero con riferimento a Giosuè. Qui
abbiamo una testimonianza datata che, all’epoca del secondo tempio, si associavano varie figure
messianiche e che una di esse era relazionata a Giosuè, proprio come nella tradizione targumica.

28
In corsivo si segnalano le aggiunte rispetto al testo del TM (in tondo).
29
Cf TgPsJEs 6,18; TgPsJDt 30,4; SER 18.
30
Cf D.C. MITCHELL, «Messiah bar Ephraim in the Targums», AS 4 (2006) 233.
Certamente Giosuè è considerato un tipo del messia nella tradizione ebraica antica. Una de-
scrizione del messia, presa dal simbolismo teriomorfo, ricorre nel testo etiopico di 1Hen (90,37-
38), ove il toro primogenito è seguito da un ariete messianico; questo testo, a sua volta, deriva
dalla profezia di Dt 33,17, riguardante Giuseppe (e i discendenti di Efraim e Manasse, figli di
Giuseppe), la cui maestà è paragonata al bue primogenito e le cui corna sono corna di bufalo con
cui egli cozzerà contro tutte le nazioni. Poiché nell’AT (come poi nel NT) le corna sono simbolo
di potenza dell’unto/messia, è probabile che la tradizione del messia guerriero di Giuseppe e di
Efraim sia sorta dall’interpretazione di questo versetto. Peraltro non va dimenticato che alcuni
passi delle benedizioni di Dt 33 sono interpretate messianicamente nella tradizione ebraica anti-
ca. Ora, Giosuè è, per eccellenza, il guerriero discendente di Giuseppe e di Efraim. Questo ha
contribuito a rendere «messianica» la sua figura, oltre al fatto che egli ha condotto Israele nella
terra promessa, distribuendola alle tribù, e che quindi ha compiuto in anticipo ciò che il messia
dovrà fare negli ultimi tempi: radunare le dodici tribù d’Israele.
Giuseppe Flavio testimonia circa un personaggio del tempo di Nerone che, salito sul monte
degli Ulivi, si autoproclamò messia e predisse che, come Giosuè, avrebbe fatto cadere le mura
della città al suo comando31. Qui abbiamo almeno una testimonianza di come il messia, per ma-
nifestarsi, doveva compiere le opere di Giosuè. Anche il NT presenta Gesù come il nuovo Gio-
suè. Del resto, non va dimenticato che il nome Gesù è solo una variante del nome Giosuè e che,
in greco, i due nomi si traducono entrambi con Iēsous. In TgEs 17,16 si afferma che il messia
dovrà sterminare gli amaleciti, come Giosuè a suo tempo.
Questa tradizione non è assente dal primo cristianesimo. Negli Oracoli Sibillini, con tutta
probabilità opera di un giudeo-cristiano, si menziona un personaggio che «ritornerà dal cielo»,
denominato «uomo eminente» e «il più nobile tra gli ebrei» e si aggiunge che «una volta fece
fermare il sole» (5,256-259): il testo fa chiaro riferimento a Giosuè (Gs 10,12-14), considerato
come un personaggio escatologico. Anche i Samaritani credevano in «un Giosuè» messianico:
secondo A.D. Crown tale credenza può risalire al secondo secolo a.C.32 I samaritani avrebbero
potuto contribuire allo sviluppo di un messia di Giuseppe e di Efraim, in quanto proveniente dal-
la Samaria. È certo che il nome Efraim fosse relazionato ai samaritani33.
La letteratura midrashica presenta talvolta il messia come un secondo Giosuè34: il messia fi-
glio di Giuseppe e figlio di Efraim sarà un discendente di Giosuè. Se si seguono i dati della
scrittura (1Cr 7,20-27) questa è d’altronde l’unica possibilità: vi è un solo ramo genealogico da
Efraim a Giosuè, giacché chi è discendente di Efraim, lo è necessariamente anche di Giosuè.

3.2. Il messia figlio d’Efraim trafitto nella battaglia finale


Un altro testo targumico degno di nota è la Tosefta (targumica a TgZc 12,1035, che presenta la
figura del messia figlio di Efraim nella battaglia escatologica. Il messia sofferente e che va in-
contro alla morte è denominato «figlio di Efraim»: in ogni caso, egli è discendente di Giuseppe,
giacché Efraim è il figlio eletto di Giuseppe (cf. Gen 48,17-20). A differenza di TgPsJEs 40,9-
11, il messia va incontro alla morte. Lo stesso Gog lo uccide alle porte di Gerusalemme. Esso è
trafitto dai pagani fuori della città! Ecco il testo completo:
Farò riposare sopra la Casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme lo spirito di profezia e la
preghiera di giustizia e dopo ciò il Messia, figlio di Efraim, salirà a ingaggiare battaglia contro Gog.
Ma Gog lo ucciderà alle porte di Gerusalemme. E verranno, a me e mi domanderanno perché i popo-

31
GIUSEPPE FLAVIO, Ant 2,169-170; Bell 2,261-263.
32
Cf. A.D. CROWN, «Dositheans, Resurrection and a Messianic Joshua», Anticht 1/1 (1967) 85.
33
Cf. E.D. FREED, «Samaritan Influence in the Gospel of John», CBQ 30 (1968) 581; R. PIETRANTONIO, «El Mesías
asesinado. El Mesías ben Efraim en el Evangelio de Juan», RevBib 44 (1982) 21.
34
Si veda, ad es., BerR 6,9; 39,11; 75.12; 99.2; BemR 2,7.
35
Il testo è contenuto nel margine del Codex Reuchlinianus: vedi A. SPERBER, The Bible in Aramaic. The Bible in
Aramaic Based on Old Manuscripts and Printed Texts, III. The Latter Prophets According to Targum Jonathan,
Leiden 1962, 495.
li hanno trafitto il Messia figlio di Efraim. E faranno lutto per lui come il padre e la madre fanno lutto
per il figlio unico e proveranno amarezza per lui come si prova amarezza per il primogenito.
In questo testo s’identifica il personaggio misterioso della profezia di Zaccaria con il messia
figlio d’Efraim, figura che viene denominata nella letteratura rabbinica e dagli interpreti ebrei
posteriori anche come il messia figlio di Giuseppe36.
Anzitutto si deve dire che il targumista ha cercato d’individuare il personaggio misterioso di
Zc 12,10 per una difficoltà presente nel testo masoretico, che lo rende «scandaloso» se letto così
com’è. È noto infatti che il targumista, specie quando il soggetto in questione è Dio, cerca di
eliminare dal testo elementi antropomorfici o che possano dare adito a interpretazioni errate e lo
fa correggendo il testo o spiegandolo. Qual è tale elemento «scandaloso» presente in Zc 12,10?
Forniamo una traduzione letterale del versetto evidenziandolo in corsivo: «Riverserò sopra la
casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guar-
deranno a me, colui che hanno trafitto. Ne faranno il lutto come si fa lutto per un figlio unico, lo
piangeranno come si piange il primogenito». Dal testo, se preso così com’è, si potrebbe evincere
che il trafitto è Dio stesso, in quanto egli sta parlando in prima persona.
Ora è necessario soprattutto domandarsi: da dove il targumista ha tratto l’identificazione del
misterioso personaggio trafitto in Zc 12,10 con il messia figlio di Efraim? Un’ipotesi a me plau-
sibile è che tale identificazione sia risultato di una gezarah shawah. Quest’ultima è un antico
procedimento rabbinico d’interpretazione, in base al quale si ricava l’interpretazione di un passo
difficile o misterioso con l’accostamento di un altro passo dove si trovano una o più parole simi-
li. In tal modo, si spiega la Scrittura con la Scrittura: tale procedimento è frutto non solo di un
procedimento intellettuale, ma anche dello scrutare orante della Parola, in cui si accostano testi
paralleli. Ora, il targumista interpreta la profezia di Zaccaria alla luce di Ger 31,9:
Erano partiti nel pianto (bīḇḵî), io li riporterò tra le consolazioni (uḇetaḥănûnīm); li ricondurrò a
fiumi ricchi d’acqua per una strada dritta in cui non inciamperanno, perché io sono un padre per
Israele, Efraim è il mio primogenito (beḵōrî).
In Ger 31,9 si usano due termini usati anche in Zc 12,10: taḥănûnīm («consolazione, suppli-
che») e beḵōr («primogenito»). In entrambi i testi, inoltre, si fa riferimento al pianto. La gezarah
shawah è quindi più che legittima. Poiché in Ger 31,9 il «primogenito» è Efraim, i rabbini ne
deducono che anche nella profezia di Zaccaria il primogenito ucciso sarà Efraim, figlio di Giu-
seppe, o un suo discendente.
Tale accostamento permette di rispondere alla domanda che sorge da Zc 12,10: chi è il pri-
mogenito per cui si farà lutto? Il primogenito è Efraim. D’altronde, il legame fra il termine
«primogenito» ed Efraim è chiaro anche in Gen 48,14ss e in Dt 33,17. Da notare che in
quest’ultimo testo Efraim è connesso al primogenito del toro e quindi alle corna, riconosciuto
simbolo messianico, come abbiamo visto37. In TgDt 33,17, non a caso, s’inserisce una tradizione
sul Figlio di Efraim.
Vi sono però altri elementi che avrebbero potuto servire da supporto per l’identificazione tra
il personaggio di Zc 12,10 con il messia figlio di Giuseppe o di Efraim38: egli viene trafitto pro-
prio come Giuseppe, di cui si dice che venne «esasperato e colpito», «perseguitato» dai tiratori
di frecce (Gen 49,23; cf. anche 37,26-27; 45,3); le sue sofferenze sono legate a eventi di salvez-
za (lo spirito di grazia e consolazione riversato sopra la casa di Davide e gli abitanti di Gerusa-
36
Si vedano le fonti citate in D.C. MITCHELL, «Messiah bar Ephraim», 224 n.4.
37
Confrontando 1Hen 90,37-38 (testo etiopico) con Dt 33,17, D.C. MITCHELL, «Firstborn Shor and Rem. A
Sacrificial Josephite Messiah in 1Enoch 90.37-38 and Deuteronomy 33.17», JSP 15/3 (2006) 211-228, ha inteso
dimostrare che già nel primo testo e pertanto già almeno nel 165 a.C. (sua data di redazione) era nota la tradizione
di un messia di Giuseppe su modello di Giosuè, destinato a una morte sacrificale. Tale conclusione avrebbe
conseguenze importanti circa l’interpretazione e la datazione delle tradizioni concernenti il messia di Giuseppe o di
Efraim, presenti in altri testi, e, più in generale, per le origini cristiane.
38
Le considerazioni che seguono e i riferimenti biblici (riveduti e, in qualche caso, corretti) sono tratti da D.C.
MITCHELL, «Messiah bar Ephraim», 224-225, benché la ricerca di somiglianze sia talvolta alquanto forzata.
lemme), proprio come quelle di Giuseppe (cf. Gen 50,20-21); si fa il lutto per lui come un pri-
mogenito, ciò che avvenne anche per Giuseppe (Gen 37,35), considerato come un primogenito,
sebbene non lo fosse, così come anche suo figlio Efraim (si veda 1Cr 5,1-2; Gen 37,2.3.14;
48,5-22; 49,26; Dt 33,17; Ger 31,9): anche i discendenti di Efraim, come suo padre Giuseppe,
saranno esiliati e pianti (Ger 31,15-18).
Tra i testi citati sopra, uno in particolare merita la nostra attenzione: Gen 49,23, un versetto
misterioso contenuto nelle benedizioni di Giacobbe che ha ricevuto varie interpretazioni messia-
niche, racchiude un riferimento alle sofferenze di Giuseppe e afferma che gli arcieri hanno lan-
ciato frecce, colpito e perseguitato Giuseppe. Nel versetto seguente si afferma che egli non soc-
combe, in quanto il suo arco è reso saldo dalle mani del potente di Giacobbe. Poiché nei versetti
ancora successivi egli è oggetto di immense benedizioni ed è chiamato principe tra i suoi fratelli
(v.26), è possibile che tale testo, unito a Dt 33,17 (altro testo di benedizione interpretato messia-
nicamente nella tradizione), abbia originato la tradizione del messia figlio di Giuseppe, messia
guerriero, perseguitato e trafitto. La doppia origine della tradizione (Gen 49,23; Dt 33,17) spie-
gherebbe anche la duplicità della figura del messia di Giuseppe, di cui si sottolineano talvolta i
patimenti e la morte, talvolta la vittoria nella battaglia escatologica. Mentre Gen 49,23 evidenzia
la debolezza e i patimenti in battaglia di Giuseppe (benché nel v. 24 egli sembri non soccombere
grazie all’aiuto di Dio), Dt 33,17 rimarca piuttosto la sua potenza messianica e la sua vittoria (le
sue corna cozzano contro tutte le nazioni).
Nel testo targumico che stiamo analizzando, il messia va incontro alla morte ed è ucciso da
una figura enigmatica denominata «Gog». In Ezechiele 38-39, Gog, figlio di Magog, è il nemico
di Israele nella battaglia escatologica finale. Nella tradizione ebraica, Gog è chiaramente identi-
ficato con Roma. Secondo il Targum menzionato sopra, quindi, il messia è trafitto dai romani
alle porte della città.
Per quanto concerne l’antichità della tradizione contenuta in questo testo, D.C. Mitchell ha
fornito varie indicazioni per una datazione antica (all’inizio del primo secolo)39. Sebbene i suoi
argomenti non siano tutti da trascurare, si deve riconoscere che non è facile datare la tradizione e
che le sue conclusioni non sono sempre probanti. Un suo argomento, tuttavia, è molto convin-
cente: è del tutto improbabile che l’interpretazione messianica contenuta nella Tosefta a TgZc
12,10 sia nata in epoca cristiana. Introdurre la tradizione di un messia figlio di Efraim o di Giu-
seppe (e quindi con chiaro riferimento a Giosuè, stesso nome di Gesù!), trafitto alle porte di Ge-
rusalemme, avrebbe dato adito alle interpretazioni cristologiche. È invece plausibile che la tradi-
zione, già nota all’epoca del secondo tempio, sia stata accantonata, corretta o relativizzata.

3.3. Conclusione
Come abbiamo visto, le inserzioni targumiche analizzate, dalla Torah, dai Profeti e dagli
Scritti, contengono la tradizione relativa al messia figlio di Efraim. Egli è un personaggio esca-
tologico associato a Giuseppe e a Giosuè. È destinato, come messia guerriero, a intraprendere la
battaglia finale contro Gog e a liberare Israele. Nella Tosefta a TgZc 12,10 si afferma che egli
sarà ucciso in battaglia. In tal modo, il targumista identifica il personaggio trafitto di Zc 12,10,
le cui sofferenze risultano salvifiche per il popolo, con il messia figlio di Efraim. Le sofferenze
del messia hanno come base alcuni testi scritturistici. Leggendo i testi targumici, ci si trova da-
vanti a un’ambiguità: il messia figlio di Efraim sconfiggerà Gog o sarà ucciso da lui? I testi stu-
diati lasciano questa domanda aperta e sembrano rimanere nell’indecisione.

39
Cf. D.C. MITCHELL, «Messiah bar Ephraim», 230-232.
4. Le sofferenze del messia nel Talmud e nella letteratura rabbinica posteriore
4.1. Le orme del messia
Nella letteratura rabbinica si trova la caratteristica ‘iqqeḇôṯ hammāšîaḥ che può essere tradot-
ta come le «orme del messia» o i «passi del messia». Nelle versioni targumiche palestinesi e nel
Targum Pseudo-Jonathan a Gen 49,1, Giacobbe e i suoi figli desiderano conoscere i tempi del
messia, ma non è loro concesso40. Qui si dice esplicitamente che il tempo del re messia che deve
venire è segreto ed è rimasto occulto a Giacobbe. Questo è del resto un tema ricorrente in tutta la
letteratura ebraica e nel Nuovo Testamento.
Il tempo occulto della venuta del messia costituisce una concezione diffusa nella letteratura
ebraica antica, in particolare nei testi apocalittici41. È proibito rivelare o calcolare il tempo fissa-
to della redenzione messianica42. Il tempo del messia è, infatti, un segreto riservato solo a Dio43.
Benché possa esser vero che, dopo le delusioni seguite alla seconda rivolta giudaica, tale conce-
zione si sia potuta rafforzare, questa risale tuttavia all’epoca del secondo tempio, giacché si ri-
scontra anche nei testi del mar Morto e nel Nuovo Testamento44. In At 1,6-7 Gesù afferma chia-
ramente ai suoi discepoli che non spetta a loro conoscere i tempi e i momenti della redenzione
messianica definitiva, riservati solamente a Dio.
Secondo la tradizione ebraica antica, pertanto, non si può conoscere con esattezza il tempo
della venuta del messia, giacché è un segreto riservato a Dio e nascosto all’uomo. Nonostante
ciò, si può intuire o riconoscere la sua venuta in base alle sue «orme», ai suoi segni. Secondo la
Mishnà, redatta prima del 217 d.C., nel trattato Sota, le «orme del messia» sono le tribolazioni
che precederanno la sua rivelazione, altrove denominate «doglie del parto»:
Nelle orme del messia (be‘iqqeḇôṯ hammāšîaḥ, cioè quando egli sarà vicino, ndr), l’insolenza crescerà,
la carestia raggiungerà il culmine: la vite darà il suo frutto, ma il vino sarà caro. Il regno passerà
all’eresia e non ci sarà nessuno che rimproveri. La sinagoga si convertirà in casa di prostituzione. La
Galilea sarà devastata e Gablan desolata. La sapienza degli scribi si corromperà, quelli che hanno ti-
more del peccato saranno disprezzati, la verità sarà assente. I giovani lasceranno lividi gli anziani, gli
anziani dovranno servire i minori. Il figlio disonorerà il padre, la figlia si alzerà contro sua madre, la
nuora contro la suocera, i nemici saranno i propri familiari (Mi 7,6). Il volto di questa generazione
sarà come il muso di un cane. Il figlio non avrà vergogna del padre. In chi troveremo appoggio? Nel
Padre nostro che è nei cieli45.
Il detto è attribuito a Rabbi Eliezer figlio di Hurkanus, denominato anche Eliezer il Grande,
che appartiene alla seconda generazione tannaita (70-135 d.C.). Le sofferenze del popolo per la
distruzione del tempio, profetizzate in Mi 7,6, sono il preludio dell’avvento del messia. Nel se-
guito di questo testo si elencano sette mali che verranno sulla terra nei sette anni precedenti alla
venuta del messia.
Vi è una certa indecisione tra i rabbini sulla questione se il messia venga in una generazione
totalmente virtuosa, che lo abbia meritato o comunque sia preparata, oppure in una generazione
totalmente perversa. Così si dichiara nel Talmud:

40
Anche il TgFGen 49,1 (P) contiene un riferimento esplicito al messia: s’inserisce l’espressione, sopra men-
zionata, «le orme del Messia».
41
Cf, ad es., 1QpHab VII,2; b.Pes 54b; b.San 97b; TgCt 7,13-14; TgQo 7,24-25; Mt 24,23; At 1,6-7; 1Ts 5,1ss; 1Pt
1,5,10-11; Ap 3,3; 16,15.
42
Cf b.Pes 56a; b.Meg 3a; b.San 97b.
43
Così recita TgQo 7,24: «È lontano dall’uomo il conoscere tutto ciò che fu dal giorno eterno, sia il segreto del
giorno della morte, sia il segreto del giorno in cui verrà il re messia»; cf. anche b.Pes 54b.
44
Per i testi del Mar Morto, cf., ad es., 1QpHab VII,1-2: «Dio disse ad Abacuc di scrivere le cose che stavano per
sopraggiungere sull’ultima generazione, ma la fine del tempo non gliela manifestò». In seguito (VII,4-5), tuttavia, si
afferma che tale mistero è conosciuto dal Maestro di Giustizia, al quale sono stati rivelati tutti i misteri delle parole
dei profeti.
45
m.Sot 9,15.
Disse Rabbi Yoḥanan: «Il figlio di Davide verrà solo in una generazione totalmente giusta o totalmen-
te peccatrice; totalmente giusta, come sta scritto: Il tuo popolo sarà tutto di giusti, per sempre avran-
no in eredità la terra (Is 60,21); totalmente peccatrice, come sta scritto: Egli ha visto che non c’era
nessuno, si è meravigliato perché nessuno intercedeva (Is 59,16) e come sta scritto: Per riguardo a
me, per riguardo a me lo faccio (Is 48,15)»46.
Riguardo alle sofferenze che precederanno la venuta del messia, vale la pena riportare un al-
tro testo contenuto nel Talmud, che riporta la seguente opinione di Rabbi Yitsḥaq riguardo alla
generazione che vedrà la venuta del messia figlio di Davide:
Nella generazione in cui verrà il figlio di Davide, vi saranno meno eruditi e gli occhi degli altri si spe-
gneranno per la tribolazione e l’afflizione. Vi sarà un nuovo precipitare di sofferenze e disposizioni
perverse: ogni nuovo male verrà immediatamente, prima che abbia fine il precedente47.
Dopo ciò, si elencano i sette mali che verranno sulla terra, sette anni prima della venuta del
messia. Nel seguito del testo talmudico, Rabbi Alexandri riporta la seguente contraddizione che
Rabbi Yehoshua figlio di Levi notò nelle due presentazioni del messia e della sua venuta: trion-
fante, da una parte e umile, dall’altra. La contraddizione è così risolta:
Sta scritto: Ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo (Dn 7,13); e sta scritto:
Umile e cavalcante un asino (Zc 9,9). Se lo avranno meritato, sarà con le nubi del cielo, se non lo
avranno meritato, sarà umile e cavalcante un asino48.
I passi del messia coincidono, pertanto, con le sofferenze materiali e morali che precedono la
sua venuta, denominate anche nella tradizione «doglie del parto», un’immagine già usata dai
profeti49, da Gesù stesso (Gv 16,21) e da Paolo (Rm 8,22). Nel Midrash Shir Ha-Shirim Rabbah,
si riporta un detto di Rabbi Hanna:
Quando vedi una generazione dopo l’altra insultare e bestemmiare Dio, cerca le orme del re messia,
com’è detto: (le ingiurie) con le quali i tuoi nemici insultano, insultano i passi del tuo consacrato
(iqqeḇôṯ mešîḥeḵā) (Sal 89,52)50.
Nel testo biblico citato (Sal 89,52) si trova l’origine dell’espressione «passi del messia»
(‘iqqeḇôṯ hammāšîaḥ) nonché la base dell’interpretazione midrashica: i nemici insultano i passi
(‘iqqeḇôṯ) del messia di Dio (il termine māšîaḥ significa «unto, consacrato, messia»), per cui,
proprio quando si vedrà insultare Dio, si devono cercare le orme del re messia, perché egli è vi-
cino. In altre parole, quando Israele «toccherà il fondo» allora arriverà la redenzione. Il Midrash
Tehillim riporta il seguente dialogo tra Dio e il suo popolo: «Israele disse davanti al Santo, be-
nedetto egli sia: “Signore dei mondi, “Quando ci redimerai?”. Ed egli disse loro: “Quando sarete
discesi al punto più basso, in quell’ora vi redimerò”»51.

4.2. Il messia lebbroso e piagato


Vi sono dei testi nel Talmud e nel resto della letteratura rabbinica successiva che parlano
esplicitamente di un messia sofferente o ucciso. Non potendo, in questa sede, essere esaurienti,
ci limiteremo ai testi più rappresentativi.
Un testo talmudico, contenuto nel trattato Sanhedrin, afferma che uno dei nomi del messia è
«il lebbroso della scuola di Rabbi Yehuda Ha-Nasi». Qui, cosa abbastanza curiosa, il messia è
paragonato a un uomo lebbroso e piagato. Citiamo il testo per intero:
46
b.San 98a.
47
b.San 97a.
48
b.San 98a. Non possiamo non rimanere impressionati rileggendo questi testi sui quali ancora oggi poggiano la
fede ebraica e la sua speranza messianica. Notiamo, infine, che nel cristianesimo, la contraddizione è risolta: la
prima venuta di Gesù è stata umile e sofferente, proprio perché nessuno lo meritava; la seconda sarà trionfante, sul-
le nubi del cielo.
49
Cf., ad es., Is 13,8; 66,9; Ger 4,31; 6,24; 30,6; 48,41; 49,24; 50,43; Mi 4,9-10.
50
ShirR 2,13.
51
MTeh 45,2.
Qual è il suo nome (il nome del messia, ndr)? La scuola di R. Shila diceva: «Shiloh è il suo nome,
com’è detto: finché verrà Shiloh (Gen 49,10)». La scuola di R. Yannai diceva: «Yinnon è il suo nome,
com’è detto: Il suo nome durerà (yinnon) quanto il sole (Sal 72,17)». La scuola di R. Ḥanina diceva:
«Ḥanina è il suo nome, com’è detto: Non vi darò grazia (ḥanina) (Ger 16,13)». C’è chi dice che il suo
nome è Menaḥem figlio di Ezechia, com’è detto: Il consolatore (menaḥem) che conforta la mia anima
si è allontanato da me (Lam 1,16). I rabbini affermano che il suo nome è «il lebbroso della scuola di
R. Yehuda Ha-Nasi», com’è detto: Egli ha sopportato le nostre sofferenze, si è caricato dei nostri do-
lori, perciò lo abbiamo considerato colpito, percosso da Dio e afflitto (Is 53,4)52.
Va notato che i nomi del messia sono tutti tratti da passi biblici. Fra essi, Isaia 53 è interpreta-
to in senso nettamente messianico. Si fa riferimento al termine nāgûa‘ che letteralmente vuol di-
re «colpito», ma che nell’Antico Testamento ha il significato più specifico di «lebbroso». Il rife-
rimento a R. Yehuda Ha-Nasi è dovuto al fatto che questo rabbino fu affetto per tredici anni da
una grave malattia e reagì con fede, tanto da sostenere che quelli che soffrono sono particolar-
mente amati da Dio, che in tal modo mostra loro la sua misericordia53.
In particolare, nel passo citato, il riferimento al Servo di YHWH in Isaia 53 è di grande rile-
vanza, poiché già nella tradizione ebraica s’identifica il messia con questo Servo piagato, colpi-
to, disprezzato, ma che sarà esaltato a causa delle sofferenze e diverrà strumento di guarigione
per il popolo («per le sue piaghe siamo stati guariti», Is 53,5). Il messia è, pertanto, chiaramente
il Servo di YHWH «colpito» e quindi «colpito dalla lebbra».
Secondo un altro passo del Talmud, contenuto ancora nel trattato Sanhedrin, il messia si tro-
va addirittura tra i lebbrosi alle periferie di Roma. Il testo narra che un giorno Rabbi Yehoshua
ben Levi ebbe una visione del profeta Elia che stava all’entrata della grotta di Rabbi Shimon ben
Yoḥai. Il rabbino ebbe un dialogo con Elia circa il tempo della venuta del messia e i segni per
riconoscerlo:
Gli chiese: «Quando verrà il Messia?».
Rispose: «Va’ a chiederglielo!».
«E dove abita?».
«Alle porte della città di Roma».
«E quali sono i segni per riconoscerlo?»
«Siede fra i poveri che soffrono infermità: mentre, però, tutti questi si tolgono e si rimettono le bende
tutte in una volta, egli si toglie le bende e se le rimette una alla volta, poiché pensa: “Forse avranno
bisogno di me, cosicché non ritardi!»54.
Non conosciamo l’antichità della tradizione contenuta nel testo talmudico citato. Il Talmud è
stato redatto fra il terzo e quarto secolo d.C., benché contenga tradizioni ben più antiche e risa-
lenti, in alcuni casi, almeno all’epoca di Gesù. Bisogna notare, tuttavia, che alcuni testi, ancora
più tardivi, non sono meno impressionanti.
Secondo il testo riportato sopra, il messia vive alle periferie di Roma, tra gli ultimi e tra i ma-
lati, forse i lebbrosi, dato il riferimento alle bende. A differenza di questi, tuttavia, il messia
scioglie le bende e se le rimette una a una, per essere pronto in ogni momento: Dio, infatti, lo
può chiamare a ogni istante affinché porti la redenzione al mondo senza tardare. Il messia si tro-
va quindi fra i malati, al centro dell’impero ma in periferia, alle sue porte: è nascosto, ignorato,
disprezzato, malato e piagato!

4.3. Il messia ucciso


Il Talmud contiene alcuni riferimenti a un «messia figlio di Giuseppe» mentre, come abbia-
mo visto sopra, tale personaggio messianico è denominato nel Targum «messia figlio di
Efraim». Un testo talmudico contenuto nel trattato Sukkah fa chiaro riferimento alla morte di ta-

52
b.San 98b.
53
Cf. le varie affermazioni sul senso della sofferenza attribuite a questo rabbino in b.BM 85a.
54
b.San 98a.
le «messia figlio di Giuseppe». Si tratta di una discussione tra rabbini su Zc 12,9-10, in cui si
profetizza un misterioso pianto per la morte di un primogenito. Per questo misterioso personag-
gio, che in qualche modo s’identifica con Dio stesso («guarderanno a me» ed è Dio che sta par-
lando, cf. Zc 12,1), si farà lutto come per un figlio «unico» (yaḥid in ebraico), un «unigenito»
(monogenēs, in greco). Com’è interpretato tale passo nella tradizione ebraica? Nel Talmud i
rabbini si domandano: «Qual è la causa del pianto in questo versetto (Zc 12,10)?». La risposta
non è unanime:
Rabbi Dosa e altri rabbini non sono d’accordo riguardo a ciò. L’uno disse: «Per il messia figlio di
Giuseppe che è stato ucciso». L’altro disse: «Per la cattiva inclinazione che è stata uccisa». Ha ragio-
ne, tuttavia, chi ha detto: «Per il messia figlio di Giuseppe che è stato ucciso». Poiché sta scritto:
Guarderanno a me, colui che hanno trafitto e lo piangeranno come un figlio unico (Zc 12,10). Perché
dovrebbero piangere se si trattasse della morte della cattiva inclinazione che è stata uccisa? Questo sa-
rebbe motivo di gioia e non di pianto55.
Questo testo testimonia la credenza in un messia discendente di Giuseppe e per di più affer-
ma che tale messia sarà ucciso; inoltre, abbiamo qui una chiara testimonianza di come il per-
sonaggio trafitto in Zc 12,10 sia interpretato in chiave messianica; infine, l’opinione di Rabbi
Dosa, oggetto di discussione, è accolta come quella ufficiale. Con tutta probabilità, essa è da at-
tribuire a Rabbi Dosa ben Harkinas, morto pochi anni dopo la distruzione del tempio56. Egli af-
ferma che la causa del lutto è la morte del messia ben Yoseph, «figlio di Giuseppe». Dopo aver
menzionato un’opinione discordante, il Talmud propende per l’interpretazione messianica del
versetto. Sembra che la designazione «figlio di Giuseppe» riferita al Messia possa derivare da
Abd 18: «La casa di Giacobbe sarà un fuoco e la casa di Giuseppe una fiamma»57.
Nel Midrash Yalqut Shimoni su Isaia, si trova un dialogo tra il Signore e il suo messia. Dio si
rivolge a lui con le seguenti parole:
Coloro le cui iniquità sono sepolte con te sono destinati a sottometterti con un giogo di ferro e ti ridur-
ranno come un vitello i cui occhi sono accecati e soffocheranno il tuo spirito sotto il giogo; a causa
dei loro peccati, la tua lingua si attaccherà al palato. È questo ciò che desideri?
Il messia risponde a Dio: «Re dell’universo, io accetto tutto questo con gioia su di me, affin-
ché nessun ebreo vada perduto!»58. Secondo tale midrash, il messia liberamente alla sua passio-
ne, prende su di sé il giogo, accetta di essere disprezzato per la salvezza del popolo, «affinché
nessun ebreo vada perduto».
Un testo contenuto nello Zohar presenta il messia come uno che prende su di sé i dolori e i
castighi del popolo:
Nel giardino dell’Eden vi è un palazzo, chiamato «palazzo dei figli della malattia». Il messia entra in
quel palazzo e prende su di sé tutti i dolori e i castighi d’Israele: essi vengono e si posano sopra di lui.
Egli li alleggerì portandoli su di sé, perché non vi era nessuno capace di sopportare i castighi d’Israele
per le trasgressioni della Torah, com’è scritto: Egli si è caricato delle nostre malattie59.
Abbiamo tradotto il testo aramaico in modo letterale, per poterne «gustare», per quanto pos-
sibile, le espressioni originali. Tra esse, «figli della malattia» è un semitismo per dare enfasi sul
loro stato di infermi: «figlio di» nelle lingue semitiche è un modo di esprimere qualcosa di es-
senziale, che fa parte della propria natura, determinata, appunto, dal «padre». Il messia non solo
è un malato, come nei testi citati sopra, ma si carica anche delle infermità e del castigo del popo-
lo per i peccati e le trasgressioni della Legge.
55
b.Suk 52a.
56
Alcuni la attribuiscono a un altro Rabbi Dosa, vissuti secoli dopo; che si tratti, tuttavia, del Rabbi Dosa più antico
e noto è testimoniato dal fatto che sia menzionato, come altrove, senza patronimico (si veda m.Ed 3,3; m.Hul 11,2).
57
Si veda, in proposito, b.BB 123b, ove si afferma, riferendosi a questo testo, che Giacobbe aveva precisato che la
discendenza di Esaù sarebbe stata consegnata alla discendenza di Giuseppe.
58
YalqSh su Isaia, remez 499.
59
Zohar II, 212a.
Abbiamo commentato sopra il testo della Tosefta del Targum a Zc 12,10 sul messia figlio di
Giuseppe, trafitto dai pagani. Altri testi, benché assai tardivi, menzionano in modo esplicito non
solo le sofferenze del messia, ma anche la sua morte. Il primo è contenuto nel Midrash noto sot-
to il nome di Nistarot («misteri, segreti di») R. Shimon ben Yoḥay:
(Armilao) salirà a Gerusalemme e attaccherà battaglia contro il messia, figlio di Efraim e d’Israele,
presso la porta orientale, com’è detto: Guarderanno a me, colui che hanno trafitto (…) e morirà là il
messia figlio di Efraim e Israele farà il lamento su di lui. E dopo ciò, il Santo – benedetto egli sia – ri-
velerà loro il messia figlio di Davide e d’Israele, ma lo vorranno lapidare dicendo: «Tu hai detto falsi-
tà, poiché già il messia è stato ucciso e non c’è altro messia che sorgerà dopo lui». E lo disprezzeran-
no com’è detto: Disprezzato e reietto degli uomini. Ma egli si volterà e si nasconderà da loro, com’è
detto: come uno che copriva la sua faccia da noi60.
La tradizione relativa alla morte del messia è presente anche nella liturgia ebraica. In un
piyyut (poema liturgico ebraico), intitolato Az millifney bereshit, attribuito a Eleazar ben Killir
(570-640 d.C.) e contenuto nel Musaf (preghiera aggiuntiva) dello Yom Kippur, si recita:
Il messia, nostra giustizia, è andato via da noi, ci ha preso il terrore e non vi è chi ci giustifichi. Egli
ha portato le nostre iniquità e il giogo delle nostre colpe; è stato ferito per la nostra colpa, ha portato
sulla sua spalla i nostri peccati: possa egli trovare perdono per le nostre iniquità! Saremo guariti dalle
sue ferite al tempo in cui l’Eterno farà di lui una creatura nuova. Fallo salire dal centro della terra, in-
nalzalo da Seir per radunarci una seconda volta sul monte Libano!61
Questa preghiera ebraica sembra alludere al fatto che il messia sia morto o che almeno abbia
nascosto il suo volto dal popolo. Quest’ultimo sarà giustificato e guarito dal messia. Dio farà di
costui una creatura nuova (un’allusione alla sua risurrezione dalla morte?).

Conclusione
Sono sorte varie concezioni messianiche nelle diverse correnti ebraiche, fin almeno
dall’epoca del secondo tempio. L’ebraismo, in quest’epoca, era tutt’altro che monolitico.
L’attesa del messia trionfante, che doveva trionfare sui nemici e liberare il popolo dal giogo dei
peccatori, era senz’altro prevalente. Pur tuttavia, vi sono alcuni testi, sulla cui antichità ancora
oggi si discute animosamente, che parlano di una misteriosa figura di messia sofferente.
Nell’Antico Testamento non mancano allusioni, come i canti del Servo del Signore in Isaia o
altri passi in Zaccaria e nelle Lamentazioni, che presentano la figura di un giusto sofferente che
mediante la sua morte espiatrice porterà la salvezza al popolo e diverrà così luce per le genti.
Non si deve pensare, quindi, che questa sia solo una credenza creata ex novo da Gesù o dagli au-
tori neotestamentari alla luce della Pasqua. Nella tradizione ebraica antica vi sono alcuni testi,
benché non numerosi o comunque al margine della letteratura, che sono preziosi e illuminanti a
proposito. Il problema principale, riguardo ai testi studiati, è quello della loro datazione. Se è ve-
ro, da una parte, che la data di alcuni di questi testi è tardiva, cioè posteriore a Cristo e in alcuni
casi perfino di vari secoli, è possibile, dall’altra, che le tradizioni contenute in essi siano molto
antiche. Non va dimenticato, inoltre, che le conclusioni dei rabbini sono saldamente fondate sui
testi biblici, il che non esclude che, anche se un determinato testo fosse tardivo, non si sarebbe
potuti giungere a conclusioni simili da tempi antichi. I testi di Filone e i manoscritti del mar
Morto, anteriori al 70 d.C., mostrano come vi fosse da tempi remoti un’esegesi assai raffinata
dei testi biblici.
In diversi testi rabbinici, tra i quali abbiamo citato solo alcuni fra i più rappresentativi, ricorre
la tradizione relativa al messia figlio di Efraim o figlio di Giuseppe. Tale messia proviene dalla
60
Dopo molte ricerche ho potuto accedere al testo originale che ho tradotto qui e che si può trovare in A. JELLINEK,
Bet ha-Midrasch. Sammlung kleiner Midraschim und vermischter Abhandlungen aus der jüdischen Literatur, III,
Leipzig 1855 (in ebraico).
61
Traduzione dal testo ebraico riportato in P. LYDA, Siddur Yad kol bo, , Frankfurt am Main 1726, Musaf leYom
Kippur 24.
discendenza di Giuseppe e di Efraim, figlio eletto di Giuseppe. Ciò che gli studiosi di queste
tradizioni non hanno colto è che il figlio più famoso della discendenza di Giuseppe e di Efraim è
Giosuè, discepolo fedele di Mosè e suo discendente, guerriero e condottiero di Israele: egli lo ha
fatto entrare nella terra promessa e ha conquistato le sue città.
Nella tradizione ebraica, il messia figlio di Giuseppe o di Efraim è, come il più noto discen-
dente delle omonime tribù, un guerriero, destinato a intraprendere la battaglia finale contro Gog
(Roma) e a liberare Israele. Sarà, quindi, un messia vittorioso, che tuttavia, come si afferma il
Targum di Zaccaria, sarà ucciso in battaglia: il messia è il personaggio trafitto descritto in Zac-
caria al quale tutti guarderanno. Le sue sofferenze saranno salvifiche per il popolo.
Alcuni testi contenuti nel Targum e nel Talmud, seppur marginali, presentano un messia tra-
fitto dai romani alle porte di Gerusalemme, chiamato «figlio di Efraim» o «figlio di Giuseppe»
(che può essere associato quindi a Giosuè, come più illustre figlio di quella discendenza). Va no-
tato che varie volte nei vangeli ci si riferisce a Gesù come «il figlio di Giuseppe» (cf. Lc 4,22;
Gv 1,45; 6,42).
La domanda che ci poniamo ora è la seguente: posto che i testi targumici e talmudici sono di
alcune centinaia di anni posteriori all’epoca di Gesù, benché possano contenere tradizioni molto
antiche, a che periodo risale la tradizione sul messia trafitto figlio di Giuseppe o Efraim? La
maggioranza degli studiosi, specialmente fra gli ebrei, sostiene che essa è posteriore al 70 d.C. e
che quindi non fosse ancora sorta ai tempi di Gesù. Come notato sopra, J. Heinemann è convinto
che la tradizione sul messia figlio di Giuseppe/Efraim sia nata dopo il 135 d.C. a seguito del fal-
limento di Bar Kokhba, che Rabbi Aqiva aveva riconosciuto come messia ma fu tragicamente
ucciso nella seconda rivolta giudaica62.
Non si possono nascondere perplessità riguardo la teoria di Heinemann. Anzitutto, come vi-
sto sopra, vi sono chiari indizi che le tradizioni contenute nei testi relativi al messia sofferente e
a quello trafitto, figlio di Giuseppe/Efraim, possano essere antiche. La ragione principale per cui
la datazione di Heinemann non convince, tuttavia, è la seguente. È difficile immaginare che do-
po il 135 d.C., proprio in un’epoca di così grande polemica con i cristiani, i rabbini abbiano dato
origine ex novo a una figura di messia sofferente o morto alle porte di Gerusalemme, ucciso dai
pagani, e per di più chiamato ben Yoseph, «figlio di Giuseppe», con un doppio riferimento: a
Giosuè, della tribù di Efraim e quindi «figlio di Giuseppe», e a Gesù, figlio putativo di Giuseppe
di Nazaret secondo i vangeli. Com’è noto, il nome Yēšua‘ («Gesù») è il corrispondente aramaico
dell’ebraico Yehôšua‘ («Giosuè»). Il greco Iēsous traduce entrambi i nomi. Per di più, i cristiani
avevano messo molto presto Gesù in rapporto a Giuseppe: ambedue erano stati venduti dai loro
fratelli per salvare il popolo.
Ciò, in breve, avrebbe significato offrire «su un piatto di argento» argomenti ai cristiani per
controbattere agli ebrei che tale messia, che essi non riconobbero a suo tempo, fosse proprio Ge-
sù di Nazaret! Per lo stesso motivo, è illogico pensare che gli ebrei abbiano modellato tale tradi-
zione in base al Gesù dei vangeli. A nostro parere, di conseguenza, le tradizioni sul messia figlio
di Giuseppe/Efraim possono risalire all’epoca del secondo tempio, benché si attendesse preva-
lentemente, come abbiamo visto, un messia trionfante.

Sommario
Lo studio rivisita i testi più rappresentativi della letteratura ebraica antica (tratti dai mano-
scritti del mar Morto, dagli Apocrifi dell’AT e dalla letteratura targumica e talmudica) relativi
alla figura di un messia sofferente o ucciso, con particolare interesse alla datazione delle tradi-
zioni ivi contenute. Ci si sofferma sul misterioso personaggio del messia «figlio di Efraim» o
«figlio di Giuseppe», mettendo in discussione la datazione tardiva proposta da alcuni studiosi
circa la nascita della tradizione a lui relativa (dal secondo secolo d.C. in poi). Benché all’epoca

62
Cf. J. HEINEMANN, «The Messiah of Ephraim», 1-15; l’opinione è oggi largamente diffusa, come afferma D.C.
MITCHELL, «The Fourth Deliverer», 3.
del secondo tempio la figura del messia trionfante prevalga nelle varie correnti dell’ebraismo, è
difficile escludere, in base alla nostra analisi, che non fossero sorte tradizioni circa le tribolazio-
ni dei tempi messianici, le sofferenze del messia e una sua eventuale morte violenta, in vista del-
la redenzione finale. Tali tradizioni, così come le interpretazioni di alcuni passi biblici, sarebbe-
ro state in seguito censurate, accantonate o messe al margine da parte dell’ebraismo ufficiale,
sebbene ce ne siano giunte alcune «reliquie» di sommo interesse e fascino.

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