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DOC da Relazione:
riconoscerlo,
affrontarlo,
superarlo.
Copyright © 2021 Andrea Iengo
Sommario
Ringraziamenti
Prefazione
Introduzione
1: Un dubbio che ti logora piano piano
2: DOC: logica stringente che arriva all’assurdo
3: Che cosa succede nella mente di una persona che soffre di DOC
4: Problema quantitativo, plasticità neuronale, salto qualitativo
5: Un problema che coinvolge anche familiari e amici
6: Formazione del disturbo
7: I falsi ricordi nel doc: sei sicuro di ricordare quello che hai fatto?
8: Il problema dell’errata diagnosi
9: Gli errori che si commettono
10: Manovre terapeutiche
11: E ora?
12: La storia di giulia
13: La storia di amalia
14: La storia di isabella
Informazioni sull'autore
RINGRAZIAMENTI
Ringrazio Amalia, Giulia e Isabella, senza le loro storie questo libro non
sarebbe stato scritto.
PREFAZIONE
In questo libro condividerò con te ciò che ho imparato in questi anni riguardo
al DOC da Relazione, ogni indicazione è stata testata direttamente da me e te
la descriverò nel modo più chiaro possibile.
“Dubita che di fuoco siano gli astri, dubita che si muova il sole, dubita che
menzognero sia il vero, ma non dubitare del mio amore” scriveva William
Shakespeare alla sua amata dama in nero e forse, senza volerlo, ha messo in
difficoltà tutti quegli amanti privi della sua stessa sicurezza.
Il poeta inglese proclamava il suo amore con la certezza che potrebbe avere
chiunque a cui domandassero se il suo sangue è rosso. E, dato che dalla sua
parte aveva l'immortalità dei grandi artisti, la solidità della sua convinzione è
diventata tutt'uno col concetto d'amore.
Gli artisti hanno il potere di trasformare i propri versi in modelli. E questi
modelli nella nostra mente possono diventare vere e proprie interpretazioni
del mondo che, ad esempio, ci portano a pensare che stiamo davvero vivendo
un amore solo se proviamo lo stesso trasporto di Romeo e Giulietta.
In effetti forse ognuno di noi si sentirebbe quantomeno infastidito se il
proprio partner gli dicesse: “Sì ti amo, ma non sempre allo stesso modo”.
Allo stesso tempo non possiamo non esserci riconosciuti almeno una volta
nella vita nei versi di Catullo:
Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia.
Non lo so, ma sento che ciò accade, e ne sono tormentato.
Perché sin da quando l'uomo ha avuto la possibilità di comunicare i propri
sentimenti, accanto all'amore ha sempre affiancato il dubbio: questa sorta di
entità che scaraventa la persona innamorata nel tormento. Non a caso lo
scrittore turco Mehmet Murat Ildan lo definisce “il diavolo in paradiso”.
Il fatto è che il dubbio per gli amanti non è un qualcosa di strano, anzi,
potremmo dire che è parte della normalità.
Ovviamente non sempre, ma in vari momenti del rapporto gli amanti possono
dubitare dei sentimenti dell'altro, delle sue intenzioni, al punto da cercare di
interpretare le sue parole, ponderandole di notte anche a costo di togliersi il
sonno, pur di scovare dei particolari che possano offrire una risposta
univoca.
Ma in questo libro voglio affrontare un tipo di dubbio diverso, quel dubbio
che stritola l'amante e lo porta a dubitare dei propri sentimenti, della propria
relazione, del futuro che si sta costruendo. E non mi riferisco a quel dubbio
più che normale che si prova all'inizio, durante i primi mesi, ma di quello che
colpisce nel bel mezzo di un rapporto, quasi dalla sera alla mattina, e che non
trova mai risposta. Parlerò di quel dubbio amoroso che genera solo domande
brutali, che colpiscono così duro da cambiare la persona, stravolgendo il suo
modo di pensare e il suo modo di agire.
Perchè non si tratta di un normale dubbio, bensì di un dubbio patologico, che
si trasforma in un vero e proprio disturbo ossessivo compulsivo, che prende il
nome di DOC da relazione.
Nel corso della mia carriera di psicoterapeuta ho incontrato persone che non
erano in grado di restare in una stanza che non fosse completamente in
ordine, così come uomini che dovevano lavarsi le mani almeno sei volte ogni
ora; ho incontrato chi alla fine di certe attività non poteva fare a meno di
ripetere più volte certe frasi, così come chi era terrorizzato dal dimenticare di
respirare, e posso dire con certezza che un ben preciso tipo di dubbio in
amore non è affatto diverso da questi DOC.
Non so cosa questo possa dire di me, ma ho concentrato tutto il mio lavoro
sullo studio della risoluzione dei DOC, trovando affascinante il modo in cui
la psicoterapia breve strategica sia in grado di aiutare le persone: negli anni
sono stato sorpreso da come certi cambiamenti avvengano in fretta, portando
il paziente ad abbandonare le sue ossessioni per riappropriarsi di quella vita
che gli avevano strappato via.
Ma in cosa consiste il DOC?
In breve non è altro che una paura che si trasforma in ossessione, sino al
punto di generare una serie di comportamenti che non si riescono più a
gestire. La donna che deve aprire e chiudere la manopola del gas dieci volte
prima di andare a dormire, in realtà ha paura di morire intossicata durante la
notte, e questa paura la porta a mettere in atto dei comportamenti (di fondo
per niente funzionali) al solo scopo di attutire quella sensazione.
Nel dubbio patologico tipico del DOC da relazione accade esattamente la
stessa cosa ed è proprio ciò che ti mostrerò nelle prossime pagine.
Ma non saremo soli, infatti con noi ci saranno anche Giulia, Amalia e
Isabella: sono tre pazienti che mi hanno dato il permesso di raccontare la loro
storia.
Quando ho spiegato quale fosse il mio progetto, sono state felici di offrire la
propria testimonianza. E questo perché tutte e tre raccontano la storia di una
donna che viveva un amore felice che di colpo è stato straziato dai dubbi. Ma
è difficile capire quando un dubbio è sano e quando invece è la
manifestazione di una vera e propria patologia.
Isabella, ad esempio, mi ha detto: “La cosa peggiore per me era vivere nei
sensi di colpa a causa di tutto quello che pensavo del mio compagno. Ed era
terribile, ci stavo male. Quando ho capito che non era colpa mia, ma che
effettivamente avevo un DOC, è stato un bel sollievo. Il problema non era
l'amore. Il problema era tutta un'altra cosa, molto più facile da superare”.
Ti racconterò le loro storie proprio per questo: non mi interessa solo mostrare
cosa è un DOC da relazione, ma il mio intento è dimostrare che si può
superare, che certe volte quando smetti di sentire le farfalle nello stomaco
potrebbe trattarsi della fine di una relazione, o forse potrebbe essere che c'è
qualcosa che impedisce a quelle farfalle di volare.
1: UN DUBBIO CHE TI LOGORA PIANO PIANO
La serata di Isabella col suo ragazzo è stata perfetta, eppure c'è qualcosa
che non va.
Mentre è stesa sul letto, pensa alla sua relazione con Marco, con cui sta da
nove anni. E piange.
È come se avesse appena raggiunto la consapevolezza che quella storia sia
finita: non solo la relazione ma tutti i sentimenti alla base.
E la dimostrazione è quella vocina nella testa che non la smette di farle
delle domande.
Perché non senti più niente?
E se fosse stata tutta un'illusione?
E se non fosse mai esistita questa storia?
Se fosse stata solo il frutto della tua immaginazione?
E se non l'avessi mai davvero amato?
Questa vocina la tormenta già da un po': si intrufola nei suoi pensieri e
vuole per sé tutta la sua attenzione, portando Isabella lontano da tutto il resto.
Mentre è stesa sul letto a piangere non riesce a zittirla e neppure a
silenziarla: queste domande la avvolgono come certezze, come se fossero più
solide e concrete del cuscino su cui poggia la testa.
Ha già provato a fare di tutto per liberarsene.
Nei giorni passati ha riguardato le vecchie foto di quando lei e Marco si
sono conosciuti, ritornando a quei giorni di dolcezza, di passione e scoperta,
nella speranza di mettere a fuoco tutte le sensazioni positive che dovrebbe
provare quando è con lui.
Ha osservato ogni foto con attenzione, come se stesse seguendo un
delicato rituale magico, grazie al quale tutti i vecchi sentimenti sarebbero
tornati in vita.
Ma non ha funzionato.
Ha provato anche a ragionare lucidamente su tutti i pregi di Marco,
elencando ogni sua singola qualità.
Eppure ogni volta che gliene veniva in mente una ecco che tornava la
vocina: “Ma l'amore non dovrebbe essere cieco? Lo sai anche tu, l'amore
mica bada a queste cose”.
Così la sua mente saettava velocemente alla ricerca di difetti, che
spuntavano nella sua memoria come germogli che crescono dieci volte più in
fretta del normale.
E la vocina, anche in questo caso, tornava a farsi sentire: “Ma se vedi tutti
questi difetti forse è perché non lo ami più?”
E ancora: “Se lo amassi davvero non dovresti neppure chiederti perché lo
ami”.
Mentre è sul letto e proprio non riesce a smettere di piangere, si dice che la
cosa più giusta da fare è lasciarlo.
É la cosa più corretta nei confronti di Marco.
Ma è anche la cosa più sana nei propri confronti, perché sente un‘esigenza
che striscia dentro tutto il suo corpo e la vuol fare scappare via da questa
relazione, per lasciarsela per sempre alle spalle.
E sarebbe facile, davvero ci vorrebbe poco.
Ma la sola idea la terrorizza, blocca quella voglia di scappare,
congelandola completamente.
È una donna imprigionata nel ghiaccio: vuole fuggire via, ma non può
muoversi.
E la cosa peggiore è che quella prigione non gliel'ha costruita nessuno: lei
è tanto la donna quanto il ghiaccio che la trattiene.
Così non può fare altro che restare stesa sul letto a piangere.
Almeno al momento non ha nessuna alternativa.
Isabella non lo sa ancora, ma soffre di DOC da relazione, una patologia
che si scatena proprio in questo modo: sino a qualche giorno prima non aveva
nessun dubbio sul suo compagno, ma di colpo ecco che emerge con
prepotenza un pensiero fisso che non la abbandona mai.
Un pensiero che porta con sé difficoltà a concentrarsi, crisi di pianto e che
conduce a terribili picchi di ansia e attacchi di panico.
Ma perché succede tutto questo?
E soprattutto cosa possiamo fare per evitarlo, o per superare questo
problema?
Partiamo dal principio: “disturbo ossessivo compulsivo da relazione” è
una denominazione piuttosto recente, infatti se ne parla per la prima volta nel
2014, ed è una particolare forma del così detto dubbio patologico.
Il disturbo ossessivo compulsivo (DOC) è un disturbo molto subdolo e
non semplicissimo da riconoscere perché, per quanto alcuni dei sintomi si
manifestino nel 13% della popolazione, si stima che solo tra l'1% e il 2% ne
soffra davvero.
Quando si manifesta come DOC da relazione, si presenta sotto forma di
dubbi ossessivi sul proprio partner e sulla relazione, nonché con una serie di
comportamenti compulsivi generati dalla necessità di gestire o alleviare il
disagio.
I dubbi possono prendere la forma di domande del tipo:
● Ma è davvero quello giusto?
● Oggi sento di non amarlo come al solito, forse non lo amo più?
● Se mi faccio delle domande forse non è vero amore?
● Perchè se lo amo mi sento attratto da altre persone?
● Se lo amassi non dovrei pensare continuamente a lui?
Non posso dire con certezza cosa accadeva nella mente di Amalia, ma
possiamo essere sicuri che bisogna prendere in esame gli elementi visti
sopra.
Mentre sviluppava un attaccamento morboso per il suo partner, accadde
una cosa molto particolare: trovò il blog di una ragazza che parlava di DOC
da relazione.
In un primo momento Amalia ne restò spiazzata: la ragazza descriveva
molte cose in cui si riconosceva, ma le sembrava quasi impossibile che
potesse esistere una patologia del genere.
Ma un “quasi impossibile” per chi soffre di dubbio patologico non è una
risposta, anzi, è uno spunto per altre domande, a cui Amalia cercò nuove
risposte, sino a quando non trovò in internet dei professionisti che ne
parlavano.
“Allora io ho questo” pensò e di colpo tutti i dubbi sparirono.
Non era lei a pensare quelle cose, aveva solo un DOC da relazione.
Fu come un improvviso cielo sereno che spezza la tempesta, come se un
mago invisibile avesse appena lanciato un incantesimo.
Purtroppo la magia durò solo qualche settimana.
4: PROBLEMA QUANTITATIVO, PLASTICITÀ NEURONALE,
SALTO QUALITATIVO
È evidente che il DOC è qualificato non tanto sulla tipologia di azioni che
la persona mette in atto, quanto sulla ripetizione ossessiva di quelle azioni.
È innegabile che lavarsi le mani per proteggersi da un’infezione – magari
dopo aver toccato qualcosa di sporco – sia un gesto sano e positivo, viceversa
lavarle per trenta minuti senza aver toccato nulla di particolare è patologico.
Bisogna comprendere che se questa azione viene ripetuta così tante volte è
perché c'è dietro un ragionamento che la sostiene, un'idea che dall'esterno può
apparire bizzarra ma che per i soggetti con DOC risulta più che logica:
quanto più si ripete un'azione più il risultato migliorerà.
Il problema è che la ripetizione eccessiva di un certo tipo di gesto per un
tempo abbastanza lungo porta la persona a modificare la struttura della sua
mente; così, senza neppure rendersene conto, se prima la persona si lavava le
mani per trenta minuti perché decideva di farlo, adesso mette in atto
quell'azione perché non è più in grado di farne a meno.
Per rendere chiaro questo punto è necessario fare un bel passo indietro.
Infatti per molti secoli la scienza ufficiale ha sostenuto che i circuiti
cerebrali fossero immutabili, cablati fin dalla nascita per produrre in ogni
persona esiti non modificabili dall'apprendimento. Tali convinzioni, però,
vennero spazzate via dalla scoperta della "neuroplasticità" quando il
neuroscienziato Eric Kandel vinse il Nobel per la medicina nel 2000 per aver
dimostrato che l'apprendimento può attivare geni in grado di modificare la
struttura neurale.
Kandel ricavò questa conclusione studiando il cervello di una lumaca di
mare, l’aplysia che, per attivare l’azione riflessa di protezione della sua
branchia, può contare su ventiquattro neuroni sensitivi e sei neuroni motori.
Con questo semplice organo nervoso, l’aplysia, adeguatamente istruita, è in
grado di imparare che quando riceve uno stimolo su una certa parte del corpo
deve proteggere la branchia, ritraendola.
Sfruttando la semplicità del suo organo nervoso, i neuroscienziati sono
riusciti a capire che lo stimolo ripetuto può attivare uno specifico gene che
porta alla crescita di nuove connessioni tra il neurone sensoriale e quello
motorio. In breve, la base biochimica dell’apprendimento.
Lo stesso meccanismo vale per noi esseri umani: se ricordi qualcosa di ciò
che hai letto sino a questo punto è perché il tuo cervello adesso è leggermente
diverso rispetto a quando hai iniziato a leggere.
Questo meccanismo, così evidente nella lumaca di mare, si ripete
all’infinito anche nel cervello degli esseri umani fin dal primo momento in
cui arriviamo al mondo. L’utilizzo del cervello modifica costantemente la sua
stessa architettura, e questa è anche la base delle differenze esistenti tra le
persone.
In breve, il nostro cervello si modifica in base alle esperienze che fa e,
quanto più queste esperienze si ripetono, più rendono istantanei certe
reazioni.
Nel caso di un soggetto affetto da DOC ecco che l'azione di lavarsi le
mani, più viene eseguita in modo ripetuto e costante, più smette di essere un
atto volontario, sino a trasformarsi in un vero e proprio bisogno, una
necessità di cui è impossibile fare a meno, proprio come se si fosse costretti
da una forza esterna.
Allo stesso modo chiedersi sporadicamente se va tutto bene nella nostra
relazione è sano perché dimostra attenzione e interesse nei riguardi dell'altra
persona, ma chiederselo continuamente in maniera ossessiva porta a
sviluppare un dubbio patologico e un DOC da relazione.
A questo dobbiamo aggiungere un ultimo punto: a differenza del credere
comune, il tentativo di controllare i nostri timori attraverso i processi logici è
destinato al fallimento. Anzi, si tratta di un qualcosa che non potrà fare altro
che rivoltarsi contro di noi.
Infatti il tentativo di usare la ragione per gestire le sensazioni così come le
emozioni (che si attivano attraverso i canali percettivi) e le reazioni
psicofisiologiche (non mediate dalla corteccia cerebrale bensì dal
paleoencefalo), fa in modo che la paura, anziché ridursi, cresca fino al panico.
Questo fenomeno non è stato semplicemente descritto dai pazienti con
DOC, ma è stato anche dimostrato grazie alle misurazioni in laboratorio delle
attività cerebrali di persone sottoposte a impulsi terrorizzanti, dalle quali
emerge come le prime fisiologiche reazioni di paura siano mediate da
strutture sottocorticali e come la reazione di panico scaturisca solo dopo
l'attivazione della corteccia cerebrale.
Come cantava Battisti: “Capire tu non puoi, tu chiamale se vuoi...
emozioni”.
Infatti il tentativo di tenere sotto controllo i propri timori attraverso il porsi
sempre nuove domande, e analizzare qualsiasi elemento è esattamente ciò che
porta alla perdita di controllo.
Quindi, una persona che teme di non amare più il proprio partner,
comincia a porsi una serie di domande nella speranza di arrivare a delle
conclusioni rassicuranti. Ma ogni risposta apre la porta a nuove domande,
sino al momento in cui la persona si perde nel caos assurdo dei propri
pensieri.
A tale riguardo, la storia di Giulia risulta essere molto più chiarificatrice:
lei aveva già sofferto di DOC.
Nei momenti stressanti della sua vita si manifesta il disturbo ossessivo
compulsivo, affiancato da orribili attacchi di panico. E di certo Giulia non sta
vivendo un periodo sereno quando l’ossessione si sposta dalle azioni ai dubbi
nei confronti del proprio ragazzo con cui sta da nove anni.
Non la smette di interrogarsi, di analizzare la realtà, cercando ogni minimo
dettaglio che possa essere rivelatore… ma anche lei senza alcun risultato.
Così lo allontana ma questo peggiora solo la situazione, portandola in una
spirale di ansia: ansia perché la storia è finita, ansia per la perdita di quel
ragazzo con cui aveva passato una fetta così grande della propria vita.
Ne sente la mancanza, sta male, vorrebbe fare qualcosa per tornare da lui,
non vuole perderlo, ma di nuovo quando gli telefona continua a non sentire
niente, se non le domande che l’hanno portata ad allontanarsi.
Si sente in colpa: lui non merita questo.
E questa non è una peculiarità di Giulia, anche Amalia e Isabella vivono il
senso di colpa e il terrore della perdita.
Perché il punto è che tutte e tre vogliono stare coi rispettivi partner, l’idea
di buttarli fuori dalla propria vita le devasta… ma proprio non riescono a
recuperare la certezza nei sentimenti.
Se non quelle innescate dai dubbi.
5: UN PROBLEMA CHE COINVOLGE ANCHE FAMILIARI E
AMICI
Già da ciò che abbiamo visto sino a questo momento, possiamo renderci
conto che il DOC da relazione risulta essere davvero debilitante per la
persona che ne è affetta. Ma se, invece di concentrarci sui dettagli
dell'individuo, utilizziamo una prospettiva più comprensiva, ci rendiamo
conto che ha effetti anche sui familiari di chi ha il disturbo, che ricevono
costantemente richieste di rassicurazione.
La persona che soffre di DOC da relazione non riesce a fare a meno di
interpellare amici e familiari, ponendo loro i propri dubbi, le proprie
incertezze, nella spasmodica ricerca di una risposta che possa mettere la
parola fine alle tribolazioni, giungendo con una chiarezza che fa svanire ogni
ombra.
Risposta che puntualmente non arriva e, se arriva, apre la porta a nuove
domande.
In alcuni casi può accadere persino che il partner venga coinvolto
all'interno di queste discussioni.
Gli studi scientifici sono stati in grado di misurare il livello di
compromissione che il DOC può causare sui familiari del paziente. Infatti
Stengler-Wenzke e colleghi hanno dimostrato che, comparata a quella della
popolazione generale, i familiari di pazienti affetti da questo disturbo
riferiscono una qualità di vita nettamente peggiore.
Attraverso un’indagine condotta con l’utilizzo del Medical Outcomes
Study 36-Item Short-Form Health Survey (SF-36) è stato evidenziato che i
familiari di pazienti affetti da DOC mostrano una compromessa qualità di
vita specificatamente a:
● salute fisica
● vitalità
● funzionamento sociale
Questo li porta a limitarsi a causa dell'insorgenza di problemi legati alla
sfera emotiva.
Inoltre, se si analizzano i fattori che sembrano essere indici di una più
scarsa qualità della vita, è interessante notare che per quanto riguarda il
punteggio relativo alla componente mentale ciò che risulta maggiormente
predittivo è la gravità del disturbo (punteggio totale alla YB-OCS).
Tra i disturbi mentali, infatti, il DOC è caratteristico proprio per la
consistenza e complessità con la quale tende a coinvolgere i familiari.
I familiari di pazienti ossessivo-compulsivi sopportano il carico di vivere e
prendersi cura di una persona che chiede costantemente rassicurazioni e
conforto.
La rilevanza di tale coinvolgimento (definito indiretto) è ampiamente
documentata in letteratura. Cooper e colleghi hanno riscontrato che l’82% dei
familiari riferisce limitazioni nella propria vita personale e sociale, e la stessa
percentuale riferisce che il carico sostenuto è gravoso.
Un esempio di dinamica che coinvolge i familiari di persone col DOC da
relazione può riguardare il tradimento.
Il paziente, per mettere alla prova i suoi dubbi, potrebbe decidere di tradire
il proprio partner, domandandosi se, proprio perché è stato in grado di
tradirlo, vuol dire che non lo ama. Quindi, per diradare questa spirale di
confusione, coinvolge amici e familiari, raccontando l'accaduto di nuovo alla
ricerca di rassicurazioni.
Se questa dinamica non sembra particolarmente fastidiosa messa su carta,
diventa un vero e proprio stillicidio quando viene vissuta nella realtà della
vita quotidiana.
Di nuovo, divertiamoci a cambiare prospettiva.
Immaginiamo che sei la madre di Marco, che ogni domenica sera riceve il
figlio e la compagna a pranzo. Ti piace la sua compagna e le sei molto
affezionata, spesso parlate, lei a volte ti racconta i suoi problemi e tu, giorno
dopo giorno, ti leghi sempre di più a lei.
Un giorno però tuo figlio ti racconta che l’ha tradita e ti chiede se questo
vuol dire che non la ama più.
Ora immagina la domenica successiva: la fidanzata di Marco si comporta
ignara di ogni cosa, ma tu sai tutto. È difficile gestire il rapporto, ti senti
costantemente in tensione, come se una parola sbagliata o anche solo una
parola di troppo possano far scoprire il tutto.
Ma andiamo avanti nel tempo, quando magari la fidanzata di Marco ti
chiede perché tuo figlio sia così strano e tu non sai cosa rispondere, la
rassicuri sapendo di mentire, e sperando che non lo venga mai a sapere.
E invece lo scopre ed ha una voce bassa ma ferma quando ti chiama al
telefono dicendo: “Pensavo che mi potessi fidare di te”.
Ma non è necessario osservare queste dinamiche così estreme, ci basta
anche solo osservare Isabella per notare quello che accade.
Quando non è stata più in grado di gestire i dubbi, ne ha iniziato a parlare
con sua madre. Periodicamente le confidava le sue incertezze, ma da quel
confronto non riusciva a trovare nessuna soluzione.
E intanto la madre era lì, presente per lei, frustrata dal fatto che ogni sua
singola parola non serviva a niente, ma era solo un modo per accentuare
quella sofferenza che la figlia non riusciva a strapparsi dal cuore.
Così i confronti si trasformarono in vere e proprie domande, buttate nella
discussione quasi per caso, ma in modo molto diretto: “Mamma, per te cosa
dovrei fare?”
“Se hai tutti questi dubbi allora forse è vero che non lo ami”.
Cos’altro avrebbe potuto rispondere la madre?
Ovviamente questa sentenza - anche abbastanza netta e precisa - non è
servita assolutamente a nulla. Così Isabella ha cominciato a parlarne col
proprio partner.
Fermiamoci di nuovo per immaginare cosa voglia dire: sei un uomo e vivi
la tua relazione in modo sereno, costruendo giorno dopo giorno un futuro che
sembra rendere felice la coppia. Poi però succede qualcosa. Non riesci a
capire bene cosa, ma ti rendi conto che la tua compagna ha un problema. Non
te lo dice in modo chiaro, ma lo capisci: ormai sai riconoscere a colpo
d’occhio quando è stressata e nervosa. E il fatto che non ti dia risposte chiare
a riguardo, inizia a farti pensare che forse si tratta di un qualcosa molto
diverso dal solito.
Poi un giorno viene da te e ti racconta tutto: che è da tempo che sta
pensando che l’amore è finito, che nota più i tuoi pregi che i tuoi difetti, che
guardandosi attorno non riesce a fare a meno di domandarsi come sarebbe se,
invece di stare con te, stesse col tuo collega di ufficio.
Quando osserviamo la storia da questa prospettiva, ecco che la richiesta di
rassicurazione si trasforma in un vero e proprio colpo al cuore.
Molti uomini al suo posto forse sarebbero scappati, oppure avrebbero
concluso la relazione perché effettivamente tutti quei dubbi erano troppi!
Ma per fortuna il compagno di Isabella le restò comunque accanto. Anche
se escludo il fatto che per lui sia stato facile, anzi.
Ecco, dinamiche di questo tipo, sono all’ordine del giorno tanto per i
familiari quanto per gli amici delle persone con DOC da relazione, il che
chiarisce perché risultino compromessi anche loro in modo così profondo.
6: FORMAZIONE DEL DISTURBO
Quindi possiamo dire che cercare una soluzione sia parte del problema, ma
in realtà mancherebbe una sfumatura importante: è incaponirsi sulla
soluzione errata parte del problema.
E le soluzioni errate sono attraenti perché appaiono razionali, si parano di
fronte a noi come le strade più sagge da percorrere.
Purtroppo è solo un inganno.
Isabella non si era mai posta grandi domande sulla sua relazione, vivendo
il rapporto con la solita armonia che ogni tanto viene interrotta da qualche
screzio che non lascia tracce.
Eppure durante l'estate, le cose iniziarono a cambiare.
C'era sempre una vocina che si intrufolava nella sua mente alla fine di
questi litigi insignificanti.
Una vocina che faceva domande, metteva in discussione. Prima sottovoce,
poi in modo sempre più fragoroso.
E se quella vocina era lì, nella sua testa – una parte integrante dei suoi
pensieri – voleva dire solo una cosa: diceva il vero.
“Lo penso dunque è vero” è uno degli assunti più pericolosi della
psicologia popolare.
Per fare chiarezza iniziò a parlarne con la madre, che non poté fare altro
che darle il proprio punto di vista: se pensava quelle cose, evidentemente
aveva ragione, non lo amava più.
E sarebbe stata la risposta che chiunque altro le avrebbe potuto dare,
chiunque altro inconsapevole di ciò che stava accadendo nella sua mente,
incapace di rendersi conto di quel guazzabuglio interiore che stava vivendo e
che non può essere affrontato con la razionalità con cui gestiamo i soliti
dubbi della nostra vita.
Perchè è impossibile gestire qualcosa che non è razionale con la logica,
per lo stesso motivo che portava la nostra maestra a ripeterci che non si
possono dividere dieci mele per due fragole.
Giulia, invece, scorreva le fotografie sui social, cercando in ogni profilo
un segnale di attrazione, un movimento minimamente passionale (o
semplicemente ormonale) che dimostrasse la fine del suo amore. O, in
alternativa, una totale indifferenza, a prova che i sentimenti per il suo
compagno erano ancora vivi e solidi.
“Lo sento dunque è vero” è l’altro pericolosissimo inganno in cui
cadiamo.
Poi passava alle ricerche su internet, tra siti di specialisti, forum e
discussioni con persone che stavano vivendo la sua stessa crisi.
Lo stesso era per Amalia, alimentando giorno dopo giorno la frustrazione
derivante dal fatto che non importava quello che faceva, le cose continuavano
a peggiorare.
Di conseguenza è di vitale importanza comprendere quali sono gli errori
che si commettono in queste occasioni, proprio perché appaiono come le
soluzioni più logiche a cui tendere.
Il primo è la socializzazione, che si basa sull'idea comune che i problemi si
possano risolvere parlandone con altri, al grido di “bisogna buttare fuori ciò
che porti dentro!” Il che nella maggior parte dei casi può anche essere vero,
ma nel regno delle ossessioni le regole sono diverse: qui parlare del problema
è un modo per alimentarlo.
Non si fa altro che nutrire il mostro, rendendolo di volta in volta sempre
più grande, come una scimmia che, pasto dopo pasto, si trasforma
progressivamente in King Kong.
E il motivo è molto semplice: le persone con cui si parla non sono in grado
di riconoscere il problema e comunque non sarebbero capaci di gestirlo nel
modo opportuno (a meno che non siano dei professionisti formati sulla
patologia), quindi non possono fare altro che innescare quel meccanismo che
fa deflagrare ogni commento, ogni risposta, ogni opinione in tanti ulteriori
dubbi.
Quindi cosa dovrebbe fare una persona che soffre di dubbio patologico?
Può sembrare controintuitivo ma deve evitare di parlarne.
Se si alimenta il mostro, non ci può meravigliare che stia crescendo.
E il mostro quando non mangia può agitarsi, ruggire, oppure piangere
come un bimbo che vuole solo smettere di soffrire... in ogni caso, questo non
cambia il fatto che ogni boccone che gli offriamo lo aiuta a mantenersi in
vita, forte e sano.
Paradossalmente smettere di parlare dei propri dubbi può anche essere
molto confortante: quando raccontiamo un nostro problema a qualcuno, il
primo desiderio che abbiamo è che il nostro interlocutore ci comprenda.
Quando questo non accade, non è una sensazione piacevole, anzi. Amalia,
Isabella e Giulia non ricevevano mai il conforto che cercavano, perché quei
dubbi che possono sorgere in ogni relazione in loro scatenavano un dolore
inimmaginabile per tutti gli altri. Per questo quando un soggetto con il DOC
parla dei suoi problemi non riesce neppure a godere del sollievo della
comprensione, perché chi ha di fronte non può rendersi conto di ciò che sta
vivendo (in fondo neppure chi ne soffre se ne sta rendendo conto).
Smettendo di parlarne non si affama solo il mostro ma ci si sottrae
dall’esperienza urticante del cercare il conforto di qualcuno che non è in
grado di offrircelo.
Il secondo errore è la richiesta di rassicurazioni.
Anche in questo caso si tratta di una reazione logica: quando siamo assaliti
dai dubbi chiedere delle rassicurazioni avviene in modo spontaneo. Ma nel
regno delle ossessioni non ci si può fidare neppure delle rassicurazioni.
Quindi chi soffre di dubbio patologico potrà esserne davvero confortato per
un paio di minuti o per qualche ora, ma dopo un po' i dubbi continueranno a
grattare alla porta per poi entrare con tutta la loro irruenza.
La richiesta di rassicurazioni non viene fatta solo ad amici e parenti, nei
casi in cui la persona dovesse iniziare una psicoterapia, chiederà
rassicurazioni al proprio terapeuta. E nel caso questi non dovesse
comprendere che la persona che ha di fronte soffre di DOC da relazione,
involontariamente continuerà a perpetuare il meccanismo patologico.
Essendo il DOC da relazione un disturbo non facile da riconoscere, non è
insolito che un terapeuta non comprenda subito ciò è chiamato ad affrontare.
Un po' come è accaduto a Giulia che, in entrambe le terapie precedenti, ha
sviscerato tutto ciò che poteva essere analizzato nel suo rapporto, per poi
tornare ciclicamente a rivedere l’intero suo passato.
Purtroppo se il terapeuta non individua che chi ha di fronte soffre di DOC
da relazione, anche la terapia si trasforma in un altro strumento per
peggiorare ulteriormente il problema.
Un'altra soluzione a dir poco pessima sono i tentativi di risposta.
Anche in questo caso torniamo ad un concetto che abbiamo già preso
ampiamente in considerazione: nel dubbio patologico ci poniamo domande
per cui non esistono risposte, all'interno di un meccanismo dove ogni
elemento viene messo in discussione.
Ad esempio: nel momento in cui mi chiedo se amo o meno la mia partner,
è abbastanza semplice trovare una risposta; ma nel momento in cui continuo
domandandomi “Come faccio a sapere se la risposta che mi sto dando è
quella vera?” ecco che si entra in un loop a spirale dal quale è impossibile
trovare anche solo una via d'uscita.
Un altro esempio può essere quello di una donna che inizia a rimuginare in
questo modo: “Sono sicura di amare il mio ragazzo? Sì, certo che lo amo, è
tutta la mia vita. … ma se lo amo, allora perchè mi chiedo se lo amo?
L’amore non è mica una cosa razionale… ed io non dovrei farmi domande di
questo tipo. Allora è vero che non lo amo, e in questo momento mi sto solo
convincendo di amarlo perchè non riesco a stare senza di lui… forse perché
senza di lui non avrei niente. Quindi sto con lui solo per convenienza e non
perchè lo amo. O forse sto solo con lui perchè non voglio nessun altro nella
mia vita… quindi, sono sicura di amarlo oppure no?”
Questo esempio, per quanto possa sembrarti contorto, è una trascrizione
abbastanza fedele di quello che mi ha detto una mia paziente. Come puoi
vedere il loop si chiude così come è iniziato, il che è una cosa più frequente
di quanto si possa immaginare.
Inoltre più si tenta di trovare delle risposte a domande del genere più si va
a rinforzare nella propria mente l'importanza della domanda stessa. Un po’
come quando si inizia a giocare alle slot machine, e ogni moneta che
inseriamo all’interno aumenta il bisogno di continuare a giocare.
È questo il motivo per cui da una domanda si passa ad un’altra, poi ad
un’altra, poi ad un’altra e così via fino, a volte, a tornare addirittura indietro,
per riprendere così nuovamente lo stesso circolo vizioso.
Un'altra soluzione che potrebbe tentare chi soffre di DOC da relazione è
l'evitamento.
L'evitamento è una risposta razionale alla paura: quando temiamo
qualcosa, invece di andarle incontro, tendiamo ad andare in direzione
opposta. Quindi se una persona ha paura di tradire il proprio partner potrebbe
rinchiudersi in clausura come una suora per evitare tutte le occasioni di
peccato.
E se evitare una festa tra amici o una serata in un locale può non essere
così grave, ecco che la situazione inizia a degenerare quando ogni evento
viene percepito come un'occasione per tradire. Quindi, non è raro che si
finisca col lasciare gli studi, il lavoro e le amicizie per il terrore di tradire il
proprio compagno o la propria compagna.
Anche questa soluzione non fa altro che alimentare il problema, perché
ogni volta che si evita qualcosa che spaventa la si rende nella propria mente
sempre più terrificante.
In una commedia italiana di trent’anni fa, un uomo solo in strada si
accorge che qualcuno lo sta seguendo, così accelera il passo. Ma dopo
qualche secondo nota che anche la persona alle sue spalle sta accelerando il
passo; così inizia a correre. Dopo un po' si volta e si rende conto che c'è un
uomo dietro di lui che sta correndo. Mentre i due corrono, incontrano qualche
altro passante in strada che, vedendoli scappare, teme che siano inseguiti da
qualcuno di pericoloso e inizia a correre a sua volta. E così, dopo poco, le
persone che stanno fuggendo sono decine e decine.
Per farla breve: il primo uomo non era inseguito da nessuno, quello dietro
di lui era solo un passante, che vedendolo scappare spaventato ha fatto lo
stesso temendo per sé.
Anche se questa scena può sembrare buffa (e mi rendo conto che è molto
difficile renderla per iscritto), si avvicina molto alla descrizione del
meccanismo dell'evitamento: un timore giustificato – forse mi sta inseguendo
un malintenzionato – si trasforma in panico collettivo. Esattamente come
sopra: più evitiamo qualcosa più le diamo il potere di spaventarci.
Anche le ricerche su internet sono molto dannose: spulciare forum, siti
specializzati e blog di professionisti non è altro che l'ennesimo tentativo di
rassicurazione. Una rassicurazione che si fonde perfettamente alla
socializzazione nel momento in cui si trovano dei luoghi online dove è
possibile confrontarsi con gli altri utenti: è un po’ come incontrarsi in una
piazza popolata da sconosciuti con dubbi simili ai propri per alimentare tutti
insieme il proprio King Kong.
Infine c'è il mettersi alla prova, che si può manifestare, come nel caso di
Giulia, scorrendo i profili social alla ricerca di un brivido di attrazione. Ma ci
si mette alla prova anche quando ci si ossessiona a voler ascoltare il proprio
corpo: ad esempio mentre si sta col proprio partner. Così chi soffre di dubbio
patologico, ad esempio, potrebbe vivere un momento intimo come un test,
impegnandosi ad estrapolare tutte le sensazioni che prova, per poter decidere
se sono conformi o meno a ciò che si dovrebbe provare in momenti del
genere.
Il problema è che o viviamo l'esperienza oppure la analizziamo: quando ci
concentriamo sul nostro corpo, cercando di capire cosa stiamo provando, non
possiamo percepire altro che il nostro stato di tensione, tipico di un
ricercatore determinato a scovare ciò che vuole trovare a tutti i costi.
Insomma, vogliamo sentire le farfalle nello stomaco ma al massimo ci
sembra di osservarle immobili dentro una teca: meravigliose, ma morte.
Succede lo stesso quando proviamo ad analizzare la felicità. È molto
probabile che nei momenti in cui ti senti felice in realtà non c'è niente di
particolarmente diverso da altri momenti, proprio per questo se volessi
cercare i rapporti di causa ed effetto di quella gioia, potresti renderti conto
che non ci sono e, di conseguenza, non avresti nessun motivo per sentirsi così
bene.
Il bisogno di controllare le nostre sensazioni per analizzarle è ciò che ci
mette nella condizione di non sentire nulla.
Questi errori non sono tipici solo di chi soffre da DOC da relazione ma di
tutti i DOC. Il DOC da relazione infatti è una sotto specifica del disturbo da
dubbio patologico, che a sua volta è una forma particolare di disturbo
ossessivo-compulsivo. Questo implica che spesso oltre al DOC da relazione
sono presenti anche altri dubbi, o altre dinamiche ossessivo-compulsive, così
come pensieri intrusivi e rituali.
10: MANOVRE TERAPEUTICHE
Giulia: ad oggi posso dire che quando si sono manifestati i primi segnali di
DOC da relazione non mi rendevo conto di ciò che stava accadendo e non
sapevo cos'era. Anche la persona che mi aiutava a gestire quella situazione
era convinta che si trattasse di tutt'altro. Quindi ad un certo punto mi sono
convinta di averla superata, anche se non era così, visto che avevo lavorato su
aspetti completamente differenti. Quindi si è ripresentato quest'anno e andata
di nuovo in mille paranoie. Ho iniziato ad avere paura per il fatto che dal
giorno prima al giorno dopo non provavo più quello che avevo sempre sentito
per il mio ragazzo. Ho messo in discussione i sentimenti, i progetti e ogni
cosa che mi dava. Non sapevo se poteva darmi quello che volevo, né se io
potevo dargli quello che volevo dargli. Così l'ho allontanato, ho attraversato
un periodo bruttissimo, poi ho letto tanti articoli, ho parlato anche con delle
persone di famiglia che vi hanno conosciuto, e attraverso loro ho letto anche
il vostro materiale, e piano piano mi sono fatta da sola un'idea di quello che
poteva essere, anche attraverso le parole di altri psicologi che ho sentito.
Anche se mai nessuno ha mai capito quale fosse il vero problema. A parte
quella breve esperienza di due settimane con quella persona della quale se
solo sento il nome mi viene la pelle d'oca. Quindi ho finalmente individuato il
problema e ci abbiamo lavorato tanto.
T: quando ha sentito parlare del DOC da relazione per la prima volta?
T: quindi tutto questo era generato dalla paura che tu potessi cambiare ciò
che provavi nei suoi confronti?
G: si, perché fino a due giorni prima, per me era una cosa che mi
scoppiava in petto, era un sentimento molto chiaro.
T: ricordi se è successo qualcosa nello specifico che può aver fatto scattare
questo tuo interrogarti sui tuoi sentimenti?
T: dopo questo percorso ti sei accorta che avevi delle idee riguardo alla
relazione e l'amore che poi si sono rivelate errate?
G: sicuramente ho capito che per quanto può essere bello l'amore, in nove
anni di relazione
possono succedere degli eventi anche esterni alla coppia che possono
mettere in difficoltà la relazione stessa, anche senza toccare i sentimenti. E
questa era una cosa che prima non riuscivo a concepire. Così, anche se a
causa di questo problema ci siamo allontanati per un periodo, grazie al
sentimento che abbiamo sempre nutrito l'uno verso l’altro, tutto è andato
bene.
Quindi anche se il DOC mi ha fatto venire dei dubbi sia sul sentimento che
sulla relazione, andando avanti nel percorso di psicoterapia sono riuscita a
capire che non intaccava il sentimento.
G: la prima cosa stupida che fai è cercare domande e risposte sui siti
Internet, sentire delle persone che hanno vissuto la tua stessa cosa, ma
ovviamente leggendola sul sito non sai mai quanto sia, quindi la leggevi
cercando di rassicurarti, però non appena l'avevo letta mi dicevo "chissà se è
la stessa cosa che sto vivendo io".
Poi anche solo il fatto di provare a chiamarlo e a vederlo, e sentire l'ansia
per queste cose, per me era la prova che davvero non lo volessi più. Quando
poi ci siamo allontanati definitivamente, mi è caduto il mondo addosso, ed è
stata la prova del contrario, cioè che mi mancava tantissimo, che volevo
tornare da lui, perché avevo dei problemi con me stessa, che prescindevano
dalla nostra relazione.
T: facevi anche qualche altro tipo di verifica?
G: si, nella cartella preferiti dell'iPhone ho delle foto di noi due insieme,
che riguardavo per cercare di capire se i miei sentimenti per lui fossero
ancora forti. A volte riuscivo a rivivere le sensazioni che avevo provato in
quel momento, e questo mi dava un po' di forza, mi aiutava a capire che tutto
quello che stava succedendo era un problema che potevo risolvere.
G: la prima cosa che le direi è che ha bisogno di parlarne, ma non con una
persona qualunque, ma con qualcuno di competente. Dopo essere stata da
diversi psicologi ho anche capito che non tutti sono in grado di affrontare
quello che stai vivendo, quindi bisogna parlarne con chi può veramente
aiutarti. Quello che mi ha davvero aiutato è stato parlarne con una persona
che sa individuare il problema e che ti dà le indicazioni per risolverlo, non
una persona che ti dice "hai questo problema" ma poi concentra l'attenzione
su altre cose, che poi è quello che è successo a me.
Ad esempio la mia precedente psicologa non credeva che io potessi avere
una problematica del genere, le diceva che non vedeva la nostra relazione
come una relazione adatta a me, nel senso che vedeva il mio ragazzo non
adatto a me. Secondo lei eravamo persone diverse e questo non va bene.
Cercava sempre di trovare le risposte di oggi nel mio passato, sempre. Infatti
è stato proprio questo il motivo per il quale io ho un certo punto l'ho mollata,
non perché non mi abbia aiutato nel passato, ma a un certo punto ho visto un
blocco, io e lei continuavamo parlare sempre delle stesse cose del mio
passato, delle cose di 10 anni prima, delle cose che mi hanno fatto soffrire.
Continuava poi a mettere in discussione la mia relazione, dicendo "non fa per
te", quindi in questo modo era come se mi riportasse sempre indietro, a tutto
quello che avevo vissuto. Quindi metteva sempre sale sulle mie ferite, e poi
continuare a tirare sempre in ballo il fatto che la mia relazione non era giusta
per me. Le nostre sedute continuavano sempre in questo modo, era una specie
di limbo, non c'era mai uno scatto, non avevo mai una novità, qualcosa a cui
appigliarmi e dire "posso fare questo, o posso fare quello". Il suo consiglio
era "molla il tuo fidanzato" e questo andava in contrasto con i miei
sentimenti.
Questo per dire che non tutti riescono a capire realmente come funziona
questo problema.
Se hai dei dubbi e c'è una persona che ti ripete che quella relazione non fa
per te, non fa altro che alimentare ulteriormente i tuoi dubbi. Ad esempio,
dottor Iengo, ho trovato molto più facile seguire il suo approccio, quando
durante la nostra prima seduta, mi ha detto: “Magari non fa per te, però non è
adesso il momento in cui puoi rendertene conto, perché non sei lucida e devi
lavorare su altre cose ". Perché la verità è che in quel momento la relazione
col mio ragazzo era in secondo piano, e prendere una decisione era una cosa
da fare solo in un secondo momento.
G: innanzitutto è inutile dire "non pensarci" perché tanto farai quello tutto
il giorno. Più qualcuno ti dice di non pensarci, più ci penserai. Poi posso dire
che è dannoso cercare storie analoghe su Internet, anche se ora posso dirlo
con distacco, ma in quel momento era qualcosa di cui non riuscivo a fare
meno. Non giudicherei mai chi lo farà, perché è qualcosa che non si riesce a
controllare.
Un altro errore è quello di pensare che il problema che hai oggi dipenda
dal tuo passato, in alcuni casi potrebbe essere così, ma potrebbe anche non
essere così, quindi non è sempre necessario scavare negli errori e nelle brutte
avventure che hai avuto precedentemente. Semplicemente potrebbe essere un
problema che esiste oggi. Quindi uno degli errori è quello di cercare
necessariamente le risposte del passato, anche perché non serve per risolvere
le cose di oggi.
T: il fatto di aver fatto delle sedute anche con la tua famiglia, pensi che ti
abbia aiutato?
G: sì, penso sia stato molto utile, anche se all'inizio, pur sapendo che viene
fatto per il tuo bene, è dura accettare che le persone a te care debbano
smettere di rassicurarti, perché magari hai bisogno di un abbraccio mentre
piangi, di una rassicurazione... e chi hai di fronte invece non ti risponde, non
ci dà più di tanto peso. Però poi questa cosa ti fa sentire meno sbagliata e
quindi ti senti meglio.
T: ora che hai avuto modo di provare sia la terapia in studio sia quella on-
line hai delle preferenze?
T: qual è la cosa più difficile che ha dovuto fare durante la nostra terapia?
G: nove volte?
T: si
T: sì, effettivamente è così, tanto che uno dei problemi principali che, se
per qualsiasi motivo il DOC smette di avere la relazione come tema, accade
che le persone smettano di cercare aiuto o interrompano una terapia pensando
di avere un problema completamente differente. In realtà tutte queste
tipologie di DOC basate sul farsi domande e darsi risposte rientrano nella più
ampia categoria chiamata "dubbio patologico". E il dubbio può cambiare
continuamente contenuto, per questo è importante riconoscere il meccanismo
del dubbio, perché se invece ci focalizziamo sul contenuto del dubbio,
cambiando continuamente, non riusciamo a stargli dietro.
13: LA STORIA DI AMALIA
T: Nei momenti molto critici quindi c'erano dei veri e propri attacchi di
panico?
A: Sì, non era la voglia di voler tradire, ma la paura di poterlo fare. Ormai
per me ogni cosa era diventata tradimento. Semplicemente guardare un
ragazzo per me era diventato una mancanza di rispetto verso il mio
compagno, anche se semplicemente lo guardavo passare. Quindi la mia testa
mi portava a farlo, perché ti spingi oltre per vedere quello che provi, per
vedere fin dove arrivi. Cercavo di chiudermi in casa, poi in alcuni momenti
mi dicevo: "Esci, vedi come ti comporti, come ti senti, e in base a quello
capirai".
E la risposta era sempre quella, cioè stavo male.
A: Sì, di quello che sentivo dentro. Ho notato che più ero nei luoghi
affollati, più c'erano persone, più ero in situazioni nuove rispetto alla mia
routine, e più questa cosa mi portava al panico.
Ad esempio nei centri commerciali, oppure quando ero a passeggio con il
mio compagno, e mi chiedevo: "È lui che voglio qui in questo momento?"
Guardavo un ragazzo passare e mi immaginavo con lui per vedere che
cosa provavo.
T: C'è qualcosa che ha fatto a causa del problema di cui poi si è pentita?
A: C'è stato un momento, una sera, in cui ero appena andata a convivere,
c'era l'addio al nubilato di una mia cara amica. Quella sera mi veniva a
prendere mia cugina e il mio compagno restava da solo. Ricordo che io avrei
pianto ogni secondo, ero nella disperazione più totale. Quindi siamo andate in
questo locale, dove c'erano dei ragazzi. Quella sera è stato come se mi
avessero preso e mi avessero buttato nel fuoco dell'inferno: c'erano ragazzi
intorno a noi! In quel momento mi ricordo che ho detto: “Basta, mollo tutto,
non posso vivere così!"
Mi ricordo tutte le facce di tutti i ragazzi che c'erano. Quelli belli, quelli
brutti: Mi continuavo a domandare: “Se loro mi facessero delle avance, ti
piacerebbe?" E mi rispondevo sempre di sì.
Quella sera sono tornata alle 3 del mattino, il mio compagno era sveglio,
perché sapeva cosa stavo passando, e ricordo di avergli detto: “Basta,
lasciami! Facciamola finita".
E lui mi ha detto: "Ma è quello che vuoi?"
Ed io gli dissi "No, però lasciami tu".
Lui quella notte ha pianto tanto, è stata la cosa più brutta della mia vita.
Abbiamo dormito abbracciati, e abbiamo continuato la nostra vita.
Però penso che se lui fosse stato un altro a quest'ora non sarebbe stato più
con me. [piange]
Questa cosa è successa più volte, ricordo una volta di avergli detto: "Non
so più che cosa provo per te, ho troppi dubbi, mi faccio troppe domande".
Lui continuava a rispondere dando ragione a questa mia sensazione. Mi
diceva: "Se hai dei dubbi lo sai quello che senti, non vuoi stare più con me?"
E io gli dicevo: “No, non è così”.
E ricordo che anche in quel caso lui mi portò a mangiare fuori per
distogliermi da quella situazione, e per la seconda volta, ha continuato a stare
con me, mentre forse un'altra persona sarebbe andata via. [piange]
T: Con il senno di poi, qual è la cosa più importante da sapere per chi sta
soffrendo di questo problema?
A: Chiedere aiuto alla famiglia, o agli amici. È la prima cosa che si fa, ma
è la cosa che ti distrugge di più. Non parlarne con i familiari è una cosa molto
difficile per una persona come me, è molto difficile tenersi una cosa dentro,
ma credo mi abbia fatto maturare tanto, perché non sempre gli altri possono
risolvere i tuoi problemi.
Bisogna essere aiutati da un professionista, oltretutto se lo vai a dire in
giro le persone dicono che se hai dubbi sulla relazione vuol dire che non sei
più innamorato.
Un altro grande errore è quello di pensare di riuscire a risolvere questo
problema da soli. Purtroppo gli stessi ragionamenti che ti hanno incastrato in
questa situazione non possono portarti fuori. Adesso mi rendo conto di
quanto è cambiata la relazione tra me e il mio compagno, sembra una magia,
sembra che dico frottole ma non è così. Adesso riesco a sentire ciò che provo
per lui veramente, tutto va per il meglio, senza che alla fine tu faccia nulla,
semplicemente affidandoti ad una persona che ti aiuta a sbrogliare quel
grosso serpente attorcigliato che non sai da che parte prendere.
Ricordo che dentro di me dicevo (e l'ho detto anche ai miei genitori): "Io
ho un problema e ho bisogno che qualcuno lo sbrogli. Ho bisogno che
qualcuno mi sbrogli la testa"
T: È interessante che stia dicendo questo perché noi della relazione agli
inizi non abbiamo mai parlato.
A: Esatto.
T: Quello che ha fatto con me quindi non è stato il suo primo percorso di
psicoterapia. C'era qualche paura che aveva nei confronti della psicoterapia?
A: Quando sono andata da questa psicologa non avevo detto niente in
famiglia, era un tabù per loro. Quando poi lo hanno scoperto, mia mamma è
rimasta molto male per il fatto che non glielo avessi detto. Mi diceva: "Che
vai a fare dalla psicologa, se reputi necessario andarci vacci, ma stai attenta".
Mio padre, che è un tipo molto curioso che ama leggere di filosofia e
psicologia, mi ha detto "Che vai a fare dalla psicologa, vengono fuori delle
cose tue che non sai neanche che hai!”
T: E alla luce del percorso fatto insieme, queste paure erano fondate?
A: Avevo dei pregiudizi, perché non sono una molto legata alla
tecnologia, mi sembrava tutto molto surreale. Sono sempre stata abituata a
fare le cose dal vivo, però a volte la disperazione ti porta anche a provare
cose nuove. Lei comunque si è approcciato in modo molto positivo verso di
me. Mi ha anche aiutato dicendomi: "Le concedo un breve colloquio
conoscitivo". E non le nego che ancora oggi questo modo di comunicare mi
lascia un po' stranita, perché non sono abituata.
A: Di affidarsi a lei.
T: Prima di aver avuto questo problema avevo già sentito parlare del
DOC, ma lo conoscevo nella forma più fisica, quello con le classiche
composizioni. Ricordo che solo una o due settimane prima di scoprire il DOC
da relazione, mi è capitato di vedere un video su YouTube, in cui c'è una
persona affetta da un DOC che si manifesta con compulsioni fisiche, che
parlava e mostrava i suoi rituali… non mi è passato nemmeno una volta per
la mente il fatto di poter avere questo tipo di problema.
Poi mi è capitato, dopo aver cercato per mesi i miei sintomi per capire che
cosa avessi, di trovare per caso il blog di una ragazza che sembrava avessi
scritto io: era terrorizzata, diceva fino al giorno prima di amare il suo ragazzo
senza problemi, mentre adesso le succedevano cose veramente assurde: “Mi
faccio un sacco di dubbi, non capisco niente”.
E un utente qualsiasi le ha risposto: "Prova a cercare on-line cos'è il DOC
da relazione".
Io, ormai disperata, ho cercato, ho iniziato ad informarmi, e mi si è aperto
il mondo, sono rimasta sconvolta, perché mi sono detta: "Allora non sto
impazzendo, la mia relazione forse è salva".
Appena ho visto come funzionava questo problema, mi sono ritrovata in
quasi ogni punto della definizione del meccanismo. Così la prima cosa che ho
fatto è stata contattare immediatamente uno psicologo specialista della zona
in cui vivevo, che mi ha dato appuntamento dopo pochi giorni.
Prima di incontrare lei, ricordo di essere stata dallo psicologo che mi era
stato indicato dalla prima psicologa: mentre io mi ero già fatta un'idea del
mio problema, lui la mise in dubbio, dicendo di non esserne convinto.
Cercava di farmi ragionare in maniera molto strana, di certo non in maniera
così precisa da poter trattare efficacemente i dubbi.
Ricordo che aveva degli elefanti sulla scrivania e mi diceva: "Guarda
questo è il tuo elefante bianco, qua ci sono tanti elefanti di vari colori, io
metto quel tuo elefante bianco, tu stessa razionalmente hai capito che devi
cercare di dare più importanza alla cura del tuo problema e quindi se
effettivamente, informandoti on-line hai capito che non devi dare troppa
importanza alle domande, allora vuol dire che questo è il percorso che devi
seguire".
Ma effettivamente, dopo averlo capito, avevo comunque bisogno di
conoscere delle tecniche per curare il problema. Così il giorno dopo sono
venuta da lei, perché cercavo una persona che mi aiutasse a trattare in
maniera specifica questi dubbi che avevo.
I: Sì, con la prima terapeuta c'è stata addirittura una seduta con mia madre,
perché diceva che, essendo io una ragazza molto giovane, lei aveva bisogno
di conoscere i dettagli della mia vita precedente al periodo in cui riuscissi a
ricordare.
Qui facciamo una piccola digressione: io questo problema, in maniera
molto più sfumata, l’ho avuto sin da quando avevo 14 o 15 anni, ma andava e
veniva in poco tempo.
A 16 anni ho avuto anche una crisi di panico, che mi ha fatto finire in
ospedale. In quel periodo mi facevo problemi sul fatto di farmi problemi: era
una sorta di dubbio sul dubbio. E da quel momento in ospedale mi hanno
consigliato un altro psicologo, e anche quest'uomo aveva un modo molto
diverso di affrontare i problemi: cercava di tirare fuori rami di traumi infantili
che potessero causarmi un pensiero del genere. Anche in questo caso non
sono arrivata da nessuna parte.
Ma dato che ad un certo punto il problema si è risolto da solo, ho chiuso la
terapia dato che non ne avevo più bisogno.
Quindi ho già incontrati diversi psicologi per trattare questo problema.
T: Quali erano i sintomi specifici nei momenti di crisi? Quali erano ricavi
di ricerca che inseriva in Google?
T: Quali erano i segnali che cercava come prova del fatto di non amare il
suo partner?
I: Una delle cose era quella che ho già detto riguardo al modo di vestirmi,
poi c'è questa cosa di cui un po' mi vergogno: succedeva che, uscendo di
casa, incontravo delle persone che potevano essere amici o amiche,
incontravo davanti a me un'altra persona, un altro uomo, che potevo
considerare ipoteticamente attraente.
Stavo molto attenta a come mi sentivo, e in qualsiasi momento mi sentivo
leggermente più attratta da un’altra persona. Così mi venivano in mente un
sacco di dubbi.
Facevo attenzione a come trattavo le cose del mio ragazzo, stavo attenta
alle cose che gli scrivevo quando gli scrivevo in chat. Quindi, se gli scrivevo
e mi sentivo tranquilla, allora forse lo amavo di più; se invece ero distratta da
altre cose e gli rispondevo in modo più frettoloso allora voleva dire che non
lo amassi abbastanza.
Facevo anche attenzione a quanto tempo pensavo a lui tanto… dopo due o
tre mesi di cura mi è capitato di andare a prendere una pizza con degli amici e
nel tragitto non ho pensato a lui. Questo in me ha sortito due effetti: da un
lato ero contenta di aver avuto un buco nei pensieri, ma dall’altro ho pensato
che, dato che in quel momento i pensieri ossessivi mi avevano lasciato libera,
allora voleva dire che avevo smesso di amarlo.
T: Se potesse tornare nel passato e parlare alla vecchia sé stessa, che cosa
le direbbe per evitare di finire in questa trappola?
I: Partiamo Innanzitutto col dire che l'ultimo anno è stato l'anno più
difficile della mia vita. Ovviamente è andato migliorando. Non dico che la
vita debba essere facile, ma questo problema sicuramente mi ha reso la vita
molto più complicata, molto influenzata sotto molti punti di vista: non
riuscivo neanche a capire come approcciarmi ad altri aspetti della mia vita,
perché poi il DOC si trasferiva anche su questi, quindi finivo per far
diventare tutta la mia vita un grande DOC.
Mi ricordo che ero così tanto triste di essere sveglia, perché essere sveglia
voleva dire pensare, che ero contenta quando andavo a dormire, perché
dormendo staccavo la spina, e almeno per un po' smettevo di soffrire. Ma poi
il problema è che il DOC si è trasferito nel sonno, e non mi lasciava in pace
nemmeno lì. In quel periodo non ero per niente contenta della mia vita, e ha
20 anni non è una bella cosa.
T: Qual è stato invece il compito più difficile che ha dovuto svolgere per
la terapia?
I: quello dei voti. [Alla paziente, spaventata di poter essere attratta dalle
persone che incrociava per strada, è stato prescritto di esporsi
quotidianamente a questa situazione, munita di un piccolo quaderno, sul
quale dare delle valutazioni estetiche a tutte le persone che incrociava]
Questa cosa mi faceva vergognare. Mi è anche capitato che una persona si
sedesse vicino a me sulla panchina e mi chiedesse che cosa stessi facendo. Io
gli ho risposto che stavo facendo un compito per l'università, e lui mi ha
detto: “Ah ok, perché mi sembrava che tu mi stessi guardando".
Questa cosa mi dava che un po' fastidio, dato che dovevo osservare anche
persone che normalmente non avrei mai guardato, perché completamente
distanti dai miei canoni estetici. Ma, nonostante questo, ero così disperata per
questa situazione che, anche se faceva freddo e se pioveva, uscivo comunque
tutti i giorni per fare questo compito.
I: La prima cosa di cui mi sono accorta è stata che sono riuscita a tornare a
studiare in maniera decente: avevo estremo bisogno di riuscire a concentrarmi
nuovamente sui miei studi universitari, purtroppo la mia testa era intasata dai
dubbi e non riuscivo a studiare. Oggi non ci sono più giornate in cui il DOC
mi impedisce di studiare. Oltretutto mi accorgo anche di essere molto più
attenta a quello che mi dicono le persone. Prima ero spesso persa nei miei
pensieri e non riuscivo a concentrarmi, perdendo il filo del discorso.
Ho riacquisito il piacere di vivere una vita normale, passeggiare per la
strada, guardarmi intorno, apprezzare la mia vita, perchè prima anche solo
fare quella che pensavo fosse la cosa più bella del mondo per me non era
possibile.
I: Perchè avevo capito che il mio problema era quello del dubbio, e dato
che mi aveva detto che ci sarebbe voluto del tempo, capendo chiaramente che
il problema fosse quello, ho deciso di proseguire. Quindi non ho mai messo
in dubbio di voler proseguire il percorso, ma ero terrorizzata dal non riuscire
a guarire da questo problema abbastanza in fretta.
Vorrei anche aggiungere una cosa che penso sia molto importante: a me i
dubbi non si presentavano necessariamente sotto forma di domanda, a volte
erano come delle "accuse" dalle quali cercavo di difendermi. Quindi per un
periodo mi ero anche fatta i dubbi sul fatto che i dubbi non erano sotto forma
di domande, ma era come se la mia testa "sapesse la verità" facendomi queste
accuse. Ma è importante sapere che anche queste "assolute verità" non sono
altro che dubbi da DOC.
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