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Il libro

C
ome sarebbe vivere al di là dei limiti e dei vincoli che ci
imponiamo? Cosa possiamo fare quotidianamente per
scoprire la pace interiore e la serenità? Un’anima sconfinata
risponde a queste domande in modo semplice e profondo: che questo
sia il tuo primo viaggio nello spazio interiore o che tu sia un
esploratore navigato dell’interiorità, il presente libro trasformerà la
tua relazione con te stesso e con il mondo attorno a te.
Per prima cosa sarai guidato a scoprire il rapporto con i tuoi stessi
pensieri ed emozioni, e aiutato a svelare la fonte della tua energia
interiore. Quindi imparerai a liberarti da tutti quei pensieri, emozioni
e schemi energetici che ostacolano la tua consapevolezza. Infine, con
estrema chiarezza, Un’anima sconfinata ti spalancherà la porta a
un’esistenza vissuta nella totale libertà del tuo vero essere interiore.
L’autore

Michael A. Singer si è laureato in economia nel 1971; durante il


dottorato, ha avuto un risveglio spirituale e si è ritirato in solitudine
per praticare yoga e meditazione. Nel 1975 ha fondato Temple of the
Universe, un centro per la pratica di yoga e meditazione rivolto a
persone di tutte le religioni e credenze. Con il suo lavoro, inoltre, ha
dato contributi fondamentali al mondo del business, dell’istruzione,
dei servizi sanitari e della tutela dell’ambiente. Un’anima sconfinata è
un bestseller internazionale, tradotto in oltre dieci Paesi.
Michael A. Singer

UN’ANIMA SCONFINATA
Un viaggio oltre te stesso

Traduzione di Sergio Orrao


Un’anima sconfinata

Ai Maestri
Introduzione

E infine sii fedele a te stesso;


dal che deve seguire, come la notte al giorno,
che non potrai esser falso con nessuno.

WILLIAM SHAKESPEARE

Questo antico monito viene pronunciato da Polonio, che si rivolge al


figlio Laerte nell’atto I dell’Amleto, e a prima vista è chiarissimo,
inequivocabile: per mantenere una relazione sincera con gli altri,
dobbiamo prima di tutto restare fedeli a noi stessi. Eppure, se Laerte
fosse stato completamente onesto con se stesso, avrebbe compreso
che suo padre gli stava chiedendo l’impossibile. In fin dei conti, a
quale “sé” dovremmo restare fedeli? A quello che emerge quando
siamo di cattivo umore, oppure a quell’altro, che si manifesta
quando ci vergogniamo di un errore? A quello che parla dai più
oscuri recessi del cuore quando siamo depressi e irritati, o a quello
che compare durante quei fugaci momenti in cui la vita ci appare
gioiosa e imprevedibile?
Da queste domande possiamo comprendere che il concetto di “sé”
è più elusivo di quel che si pensi. Se Laerte avesse avuto accesso alle
conoscenze della psicologia, forse avrebbe potuto fare un po’ di
chiarezza in merito. Nel 1927 Sigmund Freud, il padre della
psicoanalisi, divideva la psiche in tre parti: es, io e super-io. L’es
corrisponde alla nostra natura primaria, animale, il super-io è il
sistema di giudizio che la società instilla in noi, mentre l’io è il nostro
rappresentante nel mondo esterno, quello che si sforza di mantenere
l’equilibrio tra le altre due forze. Ma nemmeno questo avrebbe
giovato al giovane Laerte: in fin dei conti, a quale di quelle forze
conflittuali avrebbe dovuto essere fedele?
Ancora una volta, constatiamo che le cose non sono così semplici
come sembrano. Se solo osiamo guardare oltre la superficie del
termine “sé”, scorgiamo interrogativi che molti preferirebbero
evitare: «I vari aspetti del mio essere sono tutti parti costituenti del
mio sé a pari merito? O uno di essi predomina sugli altri? E se è così,
quale fra i tanti, e in che modo, in che occasioni, perché?».
Nei capitoli seguenti compiremo un percorso di esplorazione del
sé, ma lo faremo in modo tutt’altro che convenzionale. Non
ricorreremo né agli esperti della psicologia né ai grandi filosofi. Non
ci metteremo a confrontare e a scegliere fra le tante religioni
millenarie, né ricorreremo a sondaggi e statistiche. Al contrario,
rivolgeremo l’attenzione all’unica fonte che ha una conoscenza
fenomenologica diretta sull’oggetto della nostra indagine.
Chiederemo aiuto a un esperto che ha dedicato ogni momento della
sua esistenza a raccogliere tutti i dati necessari per portare
finalmente a termine questa grande ricerca. Quell’esperto sei tu.
Ma prima di abbandonarti a facili entusiasmi, o viceversa
decidere che non sei all’altezza del compito, permettimi di chiarire
che non intendo indagare sulle tue opinioni o visioni sull’argomento.
Né mi interessano i libri che hai letto, i corsi che hai frequentato o i
seminari cui hai partecipato. L’unica cosa che conta davvero è la tua
esperienza intuitiva di ciò che significa essere te stesso. Non mi
interessano le tue conoscenze, solo la tua esperienza diretta. È un
obiettivo che non puoi mancare, perché quel “sé” è ciò che sei, in
ogni momento, chiunque tu sia. Basta fare un po’ di chiarezza,
perché sappiamo che c’è parecchia confusione dentro di noi.
I capitoli di questo libro non sono altro che tanti specchi, grazie ai
quali potrai osservare il tuo sé da diverse angolazioni. È un viaggio
interiore, ma coinvolgerà ogni aspetto della tua vita, anche esteriore.
Ti chiedo solo di essere assolutamente disponibile a osservare te
stesso nel modo più naturale e intuitivo possibile. Ricorda, cercare le
radici del sé significa andare alla ricerca di se stessi.
Leggendo queste pagine, scoprirai di sapere molto di più di quel
che credi su tanti argomenti complessi. Il fatto è che sai già come
g p g
trovare te stesso; ti sei soltanto distratto, e ora sei disorientato. Una
volta recuperata la concentrazione, comprenderai che non solo hai
già la capacità di ritrovarti, ma hai anche la capacità di liberarti. Sta a
te decidere se farlo oppure no. Tuttavia, al termine del viaggio, non
ci sarà più confusione, né senso di impotenza, né necessità di
attribuire le colpe ad altri. Saprai con esattezza cosa fare. E se
sceglierai di dedicarti al cammino verso l’autorealizzazione in modo
permanente, svilupperai un notevole rispetto per ciò che sei
davvero. Allora apprezzerai appieno il significato del monito: «Sii
fedele a te stesso».
Parte prima
IL RISVEGLIO DELLA COSCIENZA
1
La voce nella testa

«Cavolo, non riesco a ricordare il suo nome. Come si chiama? Accidenti,


eccola che arriva. Com’era… Sally? Sue? Me l’ha detto soltanto ieri. Ma
che mi succede? Che figuraccia…»

Forse non ci hai fatto caso, ma nella tua testa c’è una vocina che
parla senza sosta, non si ferma mai. Ti sei chiesto il motivo della sua
esistenza? Come decide cosa dire e quando intervenire? Quanto di
ciò che esprime corrisponde alla verità? In che misura è davvero
importante? E se in questo momento sorge in te il pensiero: «Ma che
stai dicendo? Non ho nessuna voce in testa!» eccola, è proprio lei, la
voce di cui ti sto parlando.
Se sei sveglio, ti prenderai il tempo necessario per esaminarla e
conoscerla meglio. Però c’è un problema: sei troppo vicino per essere
obiettivo. Devi fare un passo indietro, se vuoi osservarla davvero.
Per esempio, ipotizziamo che tu stia guidando e in te si svolga un
dialogo del genere:

«Non dovevo chiamare Fred? Certo che dovevo farlo! Oh, mio Dio, non
so come ho fatto a dimenticarmene. Andrà su tutte le furie, non mi
rivolgerà più la parola. Forse dovrei accostare e chiamarlo subito. Ma
no, non voglio fermarmi proprio adesso…»

Osserva come la voce si immedesima in entrambi i “protagonisti”


della conversazione. Non importa di chi prende le parti, ciò che
conta è che non si interrompe mai. Quando sei stanco e ti corichi a
letto, è ancora lì che dice:
«Ma che sto facendo? Non posso andare a dormire! Mi sono
dimenticato di chiamare Fred! Me n’ero ricordato in macchina, ma poi
non gli ho telefonato. Se non lo faccio adesso… Oh, caspita, è troppo
tardi. Non posso chiamarlo ora. Anzi, non so nemmeno perché ci sto
pensando. Ho bisogno di dormire. Accidenti, adesso non riesco più ad
addormentarmi, non sono neppure stanco. Ma domani ho una giornata
lunga, e devo svegliarmi presto!»

Non c’è da meravigliarsi se non riesci a dormire! Semmai, perché


dovresti tollerare quella voce che parla di continuo? Anche se fosse
piacevole e rilassante, sarebbe comunque un fattore di disturbo per
qualsiasi cosa tu stessi facendo.
Se passi un po’ di tempo a osservarla, la prima cosa che noterai è
che non si zittisce neppure un istante e che, se la lasci fare, prosegue
imperterrita. Immagina uno che parla da solo. Penseresti che è un
tipo strano, forse ti chiederesti: «Se la persona che ascolta coincide
con quella che parla, sa già cosa verrà detto prima ancora che venga
detto, quindi che senso ha quel dialogo?». Lo stesso vale per la tua
voce interiore. Perché sta parlando? Sei tu che parli e sei anche tu che
ascolti. E quando obietta a se stessa, in realtà con chi se la prende?
Chi potrà mai vincere? La faccenda è confusa. Senti qui:

«Forse dovrei sposarmi. No! Non sei ancora pronta. Te ne pentirai. Ma


io l’amo. Oh, ma dai, provavi gli stessi sentimenti per Tom. Immagina se
l’avessi sposato…»

Se osservi attentamente, constaterai che la voce cerca un posto


confortevole in cui rifugiarsi. Cambia opinione non appena le
sembra utile farlo e non cessa neppure quando scopre di aver
sbagliato: si limita ad adeguarsi e va avanti. Guardandoli da vicino,
questi schemi mentali diventeranno evidenti. In realtà, la prima volta
che scopri di avere una voce interiore che non sta mai zitta è
scioccante. Potresti persino arrabbiarti e urlarle contro, nel vano
tentativo di interromperla. Ma a quel punto capiresti solo che la voce
ha sgridato se stessa:
«Stai zitta! Voglio dormire. Perché continui a parlare senza sosta?»

Ovviamente non è questo il modo per metterla a tacere. Il metodo


migliore per liberarti dell’incessante chiacchiericcio interiore è farti
da parte e osservarlo con obiettività. Considera quella voce come un
dispositivo di vocalizzazione che è in grado di farti credere che
qualcuno, là dentro, ti sta rivolgendo la parola. Non pensarci,
limitati a osservarlo. Indipendentemente da ciò che dice, tanto è
sempre la stessa solfa. Non importa se sta profferendo qualcosa di
gentile o delle cattiverie, se ti sta parlando di cose mondane o di
questioni spirituali. Non importa, perché è soltanto una voce che
parla nella tua testa. L’unico modo per prendere le distanze è
smettere di differenziare ciò che dice, di credere che qualche frase
provenga dal tuo sé autentico, mentre altre non ti appartengano. Se
la senti, è ovvio che non sei la voce. Tu sei quello che ascolta la voce,
sei quello che osserva chi parla.
Perché la ascolti quando parla, vero? Falle dire «Ciao», proprio
ora. Ripetitelo alcune volte. Urlalo mentalmente! Riesci a sentire te
stesso mentre pronunci il «Ciao» interiore? Certo che ci riesci. C’è la
voce che parla, e ci sei tu che osservi la voce che parla. Il problema è
che è facile riconoscere la voce che dice «Ciao», mentre è difficile
percepire che, indipendentemente da quel che dice, è pur sempre
solo una voce che parla, mentre tu sei quello che ascolta. Fra le tante
cose che dice non ce n’è una che corrisponda a te più di un’altra.
Supponiamo che tu stia guardando tre oggetti: un vaso di fiori, una
fotografia e un libro. Se qualcuno ti chiedesse: «Quale di quegli
oggetti sei tu?», risponderesti: «Nessuno dei tre. Sono quello che sta
osservando le cose che ha davanti. Non importa cosa siano: sono
solo oggetti che osservo». C’è un soggetto che percepisce tre oggetti
diversi. Lo stesso vale anche per la voce interiore: non importa ciò
che dice, conta solo chi la percepisce. Finché ti identifichi con una
cosa che dice e non con un’altra, non hai obiettività. Magari desideri
identificarti con la parte che dice cose piacevoli, ma è pur sempre
una voce interiore. Può piacerti quel che dice, però non sei tu.
Per crescere veramente è importante capire che non sei il tuo
dialogo interiore: sei colui che ascolta. Finché non te ne renderai
g
conto, cercherai di scoprire quale voce, fra le tante che senti nella
mente, corrisponde a ciò che sei davvero. Gli individui si
sottopongono a tanti cambiamenti nel tentativo di “trovare se stessi”,
perché vogliono scoprire quale di quelle voci, quale fra i tanti aspetti
della loro personalità, corrisponde a ciò che sono realmente. La
risposta è semplice: nessuna.
Se la osservi obiettivamente, vedrai che in genere la voce dice cose
prive di senso. Tutto quel parlare è quasi sempre una perdita di
tempo e uno spreco di energie. La verità è che la vita si sviluppa in
base a forze che sono al di là del nostro controllo, a dispetto di ciò
che vuol farci credere la mente. È un po’ come passare una notte
insonne per decidere se domattina il sole deve sorgere o no. Il punto
è che il sole sorgerà, e poi tramonterà. L’universo è un intreccio di
miliardi di fenomeni diversi. Puoi riflettere quanto vuoi, ma la vita
continuerà ad accadere.
In realtà, l’influenza dei tuoi pensieri sul mondo è molto inferiore
a ciò che potresti credere. Se li osservi con obiettività, constaterai che
nella stragrande maggioranza dei casi i tuoi pensieri non hanno
alcuna importanza, non hanno alcun effetto su nulla o nessuno,
eccetto te. Contribuiscono semplicemente a farti sentire meglio o
peggio riguardo a qualcosa che sta accadendo ora, che è successo in
passato o che potrebbe avvenire in futuro. Se passi le ore a sperare
che domani non piova, sprechi il tuo tempo, perché la mente non
può modificare il meteo. Un giorno scoprirai che il chiacchiericcio
interiore è inutile, e che non c’è bisogno di esaminare e capire tutto
ciò che ti accade. Alla fine vedrai che la vera causa dei problemi non
è da cercarsi nelle circostanze della vita, ma nella confusione che la
mente produce pensando di influenzare il corso della vita.
Ora, questo solleva un interrogativo importante: se la voce
interiore dice cose insignificanti e inutili, perché esiste? Per
rispondere a questa domanda bisogna capire perché dice ciò che
dice, e osservare quando lo dice. Per esempio, in certi casi parla per
lo stesso motivo per cui un bollitore fischia, ossia per sfogare un
pericoloso accumulo di energia. Se ci fai caso, quando dentro di te
certe sensazioni – come il nervosismo, la paura o la bramosia –
crescono a dismisura, il chiacchiericcio interiore si intensifica. È
facile osservarlo quando ti arrabbi con qualcuno e provi il bisogno di
dirgliene quattro. Cerca di notare quante volte la voce interiore
inveisce contro questa persona prima ancora che la incontri. Quando
c’è un accumulo di energia interiore, e l’impulso di agire è
fortissimo, la voce, alimentata dal malessere, funge da valvola di
sfogo.
Constaterai peraltro che continua a parlare anche quando sei
tranquillo. Per esempio, cammini per strada e pensi:

«Guarda quel cane! È un labrador. E lì ce n’è un altro, chiuso in


macchina. Somiglia proprio al mio primo cane, Ombra. Oh! Guarda
quella: è una vecchia Oldsmobile, e ha la targa dell’Alaska. Non se ne
vedono molte da queste parti…»

La voce interiore descrive la realtà circostante. Ma a che serve?


Vedi già cosa accade là fuori: perché ripeterlo mentalmente? È un
processo che merita molta attenzione. Con ogni sguardo acquisisci
istantaneamente i dettagli di tutto ciò che osservi. Se guardi un
albero, non hai bisogno di uno sforzo particolare per notare rami,
foglie e boccioli fioriti. Quindi, perché mai verbalizzare quel che
vedi?

«Guarda quel corniolo. Le foglie verdi sono così belle, e che bel
contrasto con i fiori bianchi. E quanti ce ne sono: accidenti, che
fioritura!»

Se ci fai caso, noti che quel tipo di narrazione serve a metterti a


tuo agio nel mondo, come un passeggero che continua a dare
indicazioni al conducente per sentire di avere il controllo sulla
guida. In qualche modo ti credi in relazione con l’ambiente
circostante. Un albero non è più soltanto un albero in un mondo che
non ha niente a che fare con te: diventa l’albero che hai visto,
catalogato e giudicato. Verbalizzandola mentalmente, hai trasferito
nel dominio del pensiero quella che all’inizio era solo un’esperienza
diretta, ed è lì che essa viene integrata da altri pensieri, per esempio
quelli che costituiscono il tuo insieme di valori e il ricordo delle
esperienze passate.
Concediti un momento per esaminare la differenza tra
l’esperienza del mondo esteriore e l’interazione con il mondo
mentale. Quando pensi e basta, sei libero di originare un pensiero a
piacimento e di esprimerlo attraverso la voce. La mente diventa un
parco giochi in cui crei e manipoli i pensieri. Il mondo interiore è
completamente sotto il tuo controllo e rappresenta un ambiente
alternativo a quello esteriore, che tuttavia continua a funzionare
secondo le proprie leggi. La narrazione che ne fa la voce mentale si
pone sullo stesso livello di tutti gli altri pensieri, con i quali si
mescola, modificando l’esperienza del mondo circostante. Finisci
così per sperimentare una rappresentazione personalizzata del
mondo, plasmata dal giudizio e diversa dall’esperienza nuda e
cruda, non filtrata, di ciò che ti circonda. Questa manipolazione
mentale dell’esperienza funge da cuscinetto rispetto alla realtà
esteriore. Per esempio, in ogni istante i sensi percepiscono una
miriade di informazioni diverse, eppure la narrazione interiore ne
segue solo una piccola parte, che diventa l’unica cui attribuisci
importanza. Con questa sorta di pretrattamento, riesci a controllare
l’esperienza della realtà affinché combaci con il contenuto della tua
mente. In realtà, la tua coscienza sperimenta una proiezione mentale
della realtà, non la realtà stessa.
Analizza questo processo con attenzione, perché accade di
continuo. Stai facendo una passeggiata, d’inverno, cominci a
tremare, e la voce interiore dice: «Fa freddo». Ora, quanto ti è di
aiuto quest’informazione? Sai già che fa freddo, poiché sei la persona
che lo sta sperimentando. Perché la voce interiore te lo ripete? Per
ricreare una visione del mondo all’interno della mente, visto che la
seconda è controllabile, mentre il primo no. È questa la fonte
originaria del chiacchiericcio interiore. Non riesci ad accogliere il
mondo per ciò che è, e quindi lo verbalizzi mentalmente, lo giudichi,
te ne lamenti e agisci di conseguenza. Questo ti fa sentire padrone
della situazione. Se provi freddo, probabilmente non c’è nulla che tu
possa fare per modificare la tua temperatura corporea
nell’immediato, ma se la mente verbalizza: «Fa freddo», puoi dirti:
p
«Dai, siamo quasi a casa, resisti ancora qualche minuto», e ti senti
subito meglio. Nel mondo dei pensieri c’è sempre la possibilità di
controllare l’esperienza.
In pratica, ricrei nella mente il mondo esterno, per poi viverlo
interiormente. E se decidessi di non farlo? Se decidessi di astenerti
da quella narrazione e, invece, ti limitassi a osservare consciamente il
mondo? Ti sentiresti più aperto, più vulnerabile. Questo perché non
sai mai cosa sta per succedere, e la mente vuole aiutarti a
compensare questa incertezza. Lo fa elaborando le esperienze attuali
in modo che corrispondano alle percezioni passate e alle previsioni
sul futuro, per darti una parvenza di controllo. Se non lo facesse, ti
sentiresti troppo a disagio. Per la maggior parte di noi, la realtà è fin
troppo reale, e quindi la attenuiamo con la psiche.
Scoprirai che se la mente parla di continuo, è perché le hai affidato
un compito: è un meccanismo di protezione, un forma di difesa, che
ti dà sicurezza. Se è questo ciò che vuoi, sarai costretto a usare
sempre la mente come un cuscinetto fra te e la vita, anziché viverla.
L’universo segue il suo corso e ha davvero poco tempo per te e per le
tue paure. Era qui molto prima che tu nascessi, e continuerà a
esistere altrettanto a lungo quando te ne sarai andato. Pensi di voler
mantenere la coerenza nel mondo, ma in realtà stai solo cercando di
puntellare la tua piccola identità.
Crescere davvero significa trascendere la parte di te che non sta
bene, e che ha bisogno di protezione. Lo puoi fare ricordandoti che
tu sei colui che osserva la voce interiore. È questa la via di fuga.
Colui che è consapevole del dialogo interiore rimane in silenzio, ma
è la porta di accesso alle profondità dell’essere. Prendere
consapevolezza del fatto che puoi osservare in silenzio il
chiacchiericcio mentale significa affacciarsi sulla soglia di un
fantastico viaggio interiore. Se adoperata nel modo giusto, quella
stessa voce mentale che è all’origine di preoccupazioni, distrazioni e
nevrosi può diventare la rampa di lancio di un risveglio spirituale.
Fai conoscenza di colui che osserva quella voce, e ti ritroverai al
cospetto di uno dei grandi misteri del creato.
2
Il coinquilino interiore

La crescita interiore dipende completamente dalla comprensione che


l’unico modo per trovare pace e soddisfazione è smettere di pensare
a se stessi. Sei pronto a fare un passo avanti quando capisci
finalmente che quell’io che non smette un secondo di parlare non è
mai soddisfatto; ha sempre un problema con qualcosa. Onestamente,
quand’è stata l’ultima volta in cui non c’era proprio nulla che ti
infastidisse? Prima di avere il problema che ti affligge adesso, ce
n’era un altro. E, se ci rifletti, sai che quando anche questo cruccio si
sarà risolto, un altro prenderà il suo posto.
Il punto è che non sarai mai libero dai problemi, finché non ti
libererai di quella parte di te che ha problemi. Quando qualcosa ti
turba, non chiederti: «E ora cosa faccio?», quanto piuttosto: «Qual è
la parte di me che è così preoccupata da questo grattacapo?». Se ti
chiedi: «E ora cosa faccio?» ti sei già convinto che si tratta di una
questione esterna, che dev’essere affrontata e risolta. Se vuoi sentirti
in pace nel far fronte ai problemi, devi capire perché percepisci una
particolare situazione come se fosse un problema. Se provi gelosia,
non cercare di difenderti, ma chiediti: «Quale parte di me è gelosa?».
Questa domanda ti aiuterà a guardarti dentro, e a scoprire qual è la
parte di te che ha un problema di gelosia.
Soltanto dopo aver chiaramente distinto la parte turbata, chiediti:
«Chi è che ha questa percezione? Chi riconosce il malessere
interiore?». Queste domande sono la soluzione a tutto. Il fatto stesso
che tu possa identificare il malessere significa che non sei il
malessere. Vedere qualcosa comporta una relazione fra soggetto e
oggetto. Il soggetto è definito “il testimone”, perché è colui che
osserva ciò che accade, mentre l’oggetto è ciò che percepisci, nel
nostro caso, un turbamento interiore. Mantenere la consapevolezza
p
obiettiva di un problema interiore è meglio che perdersi in una
situazione esteriore. È questa la differenza fondamentale tra una
persona spirituale e una mondana. Per “mondano” non intendo uno
che fa la bella vita, ma uno che crede di trovare la soluzione ai
problemi interiori nel mondo esteriore. Se pensi che cambiando
qualcosa fuori starai meglio, sappi che non è così, perché c’è sempre
un nuovo problema in arrivo. L’unica soluzione è identificarsi con il
testimone e cambiare completamente il proprio sistema di
riferimento.
Per conquistare la vera libertà interiore, devi osservare i problemi
con obiettività, anziché perderti in essi. Nessuna soluzione è
possibile finché sei totalmente assorbito da un problema. Tutti sanno
quanto sia difficile gestire le situazioni in cui si è preda dell’ansia,
della paura o della rabbia. Il primo problema da affrontare è la tua
stessa reazione. Finché non capisci come una certa situazione ti tocca
dentro, non puoi risolverla all’esterno. Generalmente i problemi non
sono ciò che sembrano. Raggiunto il necessario livello di lucidità,
capirai che il vero problema consiste nella presenza dentro di te di
una parte che è turbata da tutto. Il primo passo è affrontarla, e
questo implica un cambiamento fondamentale: dalla ricerca di una
soluzione esteriore alla consapevolezza della soluzione interiore.
Devi smettere di pensare che per risolvere i tuoi problemi sia
necessario modificare le circostanze esteriori. La sola soluzione
permanente è volgere lo sguardo all’interno, e lasciar andare quella
parte di te che ha problemi con la realtà. Una volta fatto ciò, avrai la
lucidità necessaria per affrontare il resto.
C’è davvero un modo per sbarazzarsi di quella parte che
percepisce tutto come un problema. Può sembrarti impossibile, ma
non lo è. In te esiste una parte che è realmente in grado di astrarsi
dal tuo melodramma interiore. Puoi osservarti mentre sei accecato
dalla gelosia o dalla rabbia; non devi riflettere o analizzarti, ma
semplicemente prendere consapevolezza. Chi è che vede tutto ciò?
Chi si accorge dei tuoi cambiamenti di umore? Quando dici a un
amico: «Ogni volta che parlo con Tom, mi arrabbio!», come fai a
saperlo? Lo sai perché sei là dentro, e vedi cosa sta accadendo;
perché c’è una separazione fra te stesso e la rabbia o la gelosia. Tu sei
p p g
colui che si accorge di questi fenomeni. Se ti collochi nella coscienza,
ti libererai di qualsiasi turbamento. Comincia osservando, prendi
consapevolezza di essere cosciente di quanto accade nella tua psiche.
È facile. Noterai che osservi la personalità di un essere umano, con i
suoi pregi e i suoi difetti, come se là dentro ci fosse un altro con te,
potremmo dire un “coinquilino”.
Se vuoi fare conoscenza con il tuo coinquilino, siediti da solo, in
silenzio, ed entra dentro di te. Ne hai tutto il diritto: è il tuo regno.
Ma invece di trovare il silenzio, verrai accolto dal solito, incessante
chiacchiericcio mentale:

«Ma cosa sto facendo? Ho altre cose più importanti da fare. È solo una
perdita di tempo. Non c’è nessuno qui. Cos’è questa storia?»

Ti presento il tuo coinquilino! Tu hai deciso di fare un po’ di


silenzio dentro di te, ma lui non ha nessuna intenzione di
collaborare. E questo non capita solo quando cerchi un po’ di
tranquillità. Il coinquilino ha sempre qualcosa da ridire su tutto ciò
che osservi: «Mi piace, non mi piace. Questo è buono, questo è
cattivo». Non fa altro che parlare senza sosta, ma in genere non te ne
accorgi nemmeno, perché non prendi le distanze da lui. Sei così
vicino da non renderti neppure conto che, in realtà, le sue
chiacchiere ti hanno ipnotizzato.
In parole povere, non sei solo là dentro. Ci sono due aspetti
distinti della tua interiorità. Il primo sei tu, la consapevolezza, il
testimone, il centro decisionale; l’altro è quel tizio che mantieni sotto
osservazione. Il problema è che lui non sta mai zitto. Se potessi
sbarazzartene, anche solo per un istante, sperimenteresti una pace e
una serenità che non hai mai trovato in nessuna vacanza.
Immagina come sarebbe la vita se non dovessi trascinarti
appresso il coinquilino ovunque vai. La crescita spirituale consiste
proprio nel liberarsi poco per volta di quella presenza fastidiosa.
Tanto per cominciare, devi capire che sei in compagnia di un matto,
che da un momento all’altro può sbottare: «Non voglio stare qui, non
voglio fare questo, non voglio parlare con la persona che ho
davanti». E tu provi subito tensione e disagio. Il coinquilino è capace
p g q p
di rovinarti tutto, e senza preavviso, persino il giorno del tuo
matrimonio, o magari la tua prima notte di nozze. È quella parte di
te che può compromettere qualsiasi situazione, e che in genere lo fa.
Compri un’auto nuova, bellissima, ma ogni volta che la guidi, il
tuo coinquilino ci trova qualcosa che non va. La voce mentale
continua a rilevare ogni piccolo cigolio, ogni minima vibrazione,
finché quella macchina non ti piace più. Se ti accorgi che il
coinquilino ti rovina la vita, sei pronto per intraprendere un lavoro
spirituale. Intendo dire che sei pronto a cambiare quando finalmente
ammetti: «Questa cosa mi sta distruggendo. Io voglio una vita
pacifica e soddisfacente, e invece sono seduto su un vulcano sul
punto di esplodere. Da un momento all’altro il mio coinquilino
potrebbe decidere di esplodere, o di chiudere bottega, o di mettersi a
combattere contro tutto ciò che la vita mi offre. Un giorno gli piace
una persona, e quello dopo critica tutto ciò che fa. La mia vita è un
casino, perché lui trasforma ogni cosa in una tragedia». Ma una volta
che te ne accorgi, e che impari a non identificarti più con il tuo
coinquilino, sei pronto per conquistarti la libertà.
Se ancora non hai raggiunto quel livello di consapevolezza, inizia
a tenerlo d’occhio. Dedica un giorno a guardare tutto ciò che fa.
Comincia la mattina, e vedi se riesci a cogliere quello che dice in
qualsiasi situazione. Ogni volta che incontri qualcuno, o che squilla
il telefono, prova semplicemente a studiarlo. Un buon momento per
ascoltare il suo chiacchiericcio è mentre fai la doccia. Scoprirai che
non ti lascia in pace nemmeno lì. Lo scopo della doccia è lavare il
corpo, non ascoltare uno sproloquio della mente. Eppure, se riesci a
rimanere consapevole abbastanza a lungo, farai una scoperta
scioccante: il coinquilino interiore non sta mai zitto, e salta di palo in
frasca; è talmente nevrotico che ti viene da pensare che non possa
essere sempre così. Invece lo è.
Se vuoi liberartene, devi continuare a osservarlo. Non è necessario
fare nulla di particolare, però devi acquisire consapevolezza della
situazione in cui ti trovi, capire che ti sei cacciato in un bel pasticcio.
Se vuoi che dentro di te regni la pace, devi cercare una soluzione.
Innanzitutto guarda in faccia questo coinquilino, ossia la psiche.
Per riuscirci, ti conviene personificarlo esteriormente. Immagina che
p g
abbia un corpo tutto suo. Come? Fai finta che la voce che ti parla
interiormente appartenga a una persona reale, fuori di te, una che
dice tutto ciò che direbbe la voce. Passa una giornata in compagnia
del tuo nuovo amichetto.
Ti siedi sul divano per guardare il tuo programma preferito, ma
c’è anche lui con te. Adesso dovrai sorbirti il solito monologo, tranne
che questa volta non lo sentirai in testa, ma dalla bocca di uno che ti
sta accanto:

«Hai spento la luce di sotto? Meglio andare a controllare. No, non


adesso. Aspetto che finisca il programma. No, vacci subito. Ecco perché
la bolletta dell’elettricità è così salata.»

Resti seduto in un silenzio meravigliato. Qualche secondo dopo, il


tuo coinquilino attacca un altro dibattito:

«Ehi, ho fame! Ho voglia di pizza. No, non posso andare in pizzeria


adesso, è troppo lontana. Ma ho fame. Quand’è che si mangia?»

Con tua grande sorpresa, ti accorgerai che quei conflitti interiori,


al limite della nevrosi, vanno avanti incessantemente. Come se non
fosse abbastanza, invece di godersi con calma lo spettacolo, il
coinquilino commenta tutto ciò che appare sullo schermo. Quando
arriva una tipa con i capelli rossi, lui ripensa alla tua ex moglie e
rivanga il vostro doloroso divorzio, e a un certo punto iniziano gli
strepiti, proprio come se l’ex consorte fosse lì con te nella stanza. Poi
smettono, all’improvviso come sono cominciati, e tu ti ritrovi
aggrappato al bracciolo all’estremità opposta del divano, nel
tentativo di allontanarti il più possibile da quel pazzo furioso.
Te la senti di fare un esperimento del genere? Non provare a
interrompere il chiacchiericcio interiore. Limitati a riconoscere ciò
che vivi dentro di te, e a esteriorizzare la voce. Dalle un corpo e
mettila al mondo, come se fosse una persona reale, e lascia che dica
tutto ciò che direbbe interiormente. Adesso fattela amica. D’altronde,
è uno con cui trascorri tutta la vita e a cui dai retta in ogni istante.
Come ti sentiresti se ci fosse qualcuno là fuori che ti parla davvero
come la tua voce interiore? Che tipo di relazione instaureresti con
uno che dice tutto ciò che direbbe la tua voce mentale? Secondo me,
dopo pochissimo tempo gli chiederesti di levare i tacchi e non farsi
più vedere. Ma quando è il tuo amico interiore a parlare in
continuazione, non gli dici nulla di tutto ciò, anzi, per quanto sia
fastidioso, continui ad ascoltarlo, non ti perdi una parola di quel che
dice. Ti distrae persino dalla cosa più piacevole del mondo, e tu gli
dai tutta la tua attenzione. Immagina che oggi sia il giorno del tuo
matrimonio. Stai andando alla cerimonia in macchina. Ecco che
spunta la voce:

«Forse non è la persona giusta. Sei nervosa. Cosa stai facendo?»

Se te l’avesse detto qualcun altro, lo avresti ignorato. E invece ti


senti in dovere di rispondere, di convincere la tua mente nervosa che
stai per sposare l’uomo giusto per te. Se non lo fai, rischi di non
arrivare nemmeno all’altare. Ecco fino a che punto rispetti quella
vocina nevrotica che ti si agita in testa. E sai che, se non la ascolti, ti
perseguiterà per sempre:

«Te l’avevo detto di non sposarti! Te l’avevo detto che non eri sicura!»

La conclusione è innegabile: se per ipotesi quella stessa voce si


manifestasse in un corpo al di fuori del tuo, e ti seguisse a vista, non
resisteresti nemmeno un giorno. A chi ti chiedesse delucidazioni su
quel tizio che sta sempre con te, risponderesti: «È uno che ha seri
problemi mentali. Leggiti la definizione di nevrosi sul vocabolario e
avrai subito il quadro della situazione…».
Stando così le cose, e avendo trascorso un’intera giornata con il
tuo amico, dimmi, ti rivolgeresti mai a lui per un consiglio? Dopo
averlo visto cambiare idea ogni due minuti, contraddirsi su tutto,
abbandonarsi a reazioni emotive spropositate, gli chiederesti mai un
parere sul tuo rapporto di coppia, o sul tuo piano di investimenti?
Eppure, per quanto possa sorprenderti, lo fai di continuo, ogni
singolo istante. Una volta tornata al suo posto, cioè nella tua testa, la
g p
voce riprende a dirti cosa devi fare, a commentare ogni aspetto della
tua vita. Hai mai pensato di verificare le sue credenziali? Quante
volte si è completamente sbagliata?

«Non le importa più niente di te, ecco perché non ha chiamato. Ti


mollerà questa sera stessa. Me lo sento. Lo so e basta. Se dovesse
chiamarti, non rispondere neppure.»

Dopo mezz’oretta, squilla il telefono. È la tua fidanzata. È in


ritardo, perché si stava preparando per una cenetta a sorpresa, per
festeggiare il vostro primo anniversario. Ed è davvero una sorpresa
per te, perché tu te l’eri completamente scordato. Dice che è già per
strada, sta passando a prenderti. Be’, sei felicissimo, e la tua voce
interiore si spertica in lodi alla fidanzata. Non hai dimenticato
qualcosa? Hai dimenticato che quella stessa voce ti ha tormentato e
fatto soffrire per mezz’ora, prima della telefonata?
Che cosa sarebbe successo se il suo pessimo consiglio ti fosse stato
proposto da un consulente di coppia? Sarebbe stato un errore
madornale, basato su una lettura del tutto sbagliata della situazione.
Chissà, seguendo il suggerimento dell’esperto, magari non avresti
risposto alla telefonata della tua fidanzata. E dopo? Non l’avresti
liquidato su due piedi? Ti saresti affidato ancora alle sue consulenze,
dopo aver constatato quanto è incompetente? Bene, allora perché
non scarichi il tuo coinquilino? I suoi consigli e le sue analisi sono
spesso completamente erronei, quindi perché non lo consideri mai il
responsabile dei guai che ti causa? Tutt’altro: la prossima volta che ti
darà un consiglio, sarai tutt’orecchi. Ti pare sensato? Eppure, quante
volte quella voce si è sbagliata riguardo a ciò che stava succedendo,
o che sarebbe successo? Secondo me, è il caso di valutare meglio la
persona cui chiedi spesso consiglio.
Quando ti sarai osservato con la massima sincerità, dovrai
ammettere che sei nei guai. Comprenderai che per tutta la vita hai
avuto un unico problema, e finalmente ce l’hai davanti agli occhi. In
effetti, è la causa primaria di ogni problema. A quel punto, una
domanda sorgerà spontanea: come liberarsi di quel piantagrane
interiore? La cosa più importante è volerlo davvero, altrimenti non
p p
c’è nessuna speranza. Finché non hai osservato il coinquilino quanto
basta per prendere coscienza della terribile situazione in cui ti mette,
non hai nessun fondamento pratico per cominciare un vero lavoro
sulla psiche. Solo quando ti deciderai a superare il tuo melodramma
mentale, sarai pronto per apprendere gli insegnamenti e applicare le
tecniche, perché a quel punto ne avrai capito l’utilità pratica.
Se vuoi consolarti, pensa che non sei il primo ad avere questo
problema. Innumerevoli persone si sono ritrovate nella medesima
situazione, e molte hanno chiesto aiuto a chi aveva già affrontato
questo cammino prima di loro. Hanno imparato esercizi e tecniche,
come lo yoga, che sono stati creati apposta per facilitare questo
processo di conoscenza di sé. Lo yoga non serve solo a restare in
salute, anche se di certo ha tale funzione. È un sapere che aiuta a
uscire da questa situazione penosa, che aiuta a liberarsi. Se decidi
che il senso della vita è la libertà, ci sono diverse pratiche spirituali
che possono aiutarti a liberarti da te stesso, perché alla fine capirai
che in pratica devi prendere le distanze dalla tua stessa psiche. Come
fare? Stabilendo un proposito in un momento in cui hai la mente
sgombra, e poi non lasciandoti distrarre dalle fluttuazioni altalenanti
della mente ordinaria. La tua volontà è più forte dell’abitudine di
ascoltare il chiacchiericcio interiore. Non c’è nulla che tu non possa
fare: la tua volontà regna suprema su tutto.
Lo ripeto, se vuoi liberarti, per prima cosa devi prendere
coscienza del pasticcio in cui ti trovi, poi potrai dedicarti al lavoro
interiore volto a conquistare la libertà. Devi impegnarti come se
fosse una questione di vita o di morte, perché in un certo senso è
proprio così. Ora come ora, infatti, la tua vita non ti appartiene: è
controllata dalla psiche, dal tuo coinquilino interiore. Piazzati sul
banco del testimone e allenta la presa della mente abitudinaria. È la
tua vita: rivendicala.
3
Chi sei tu?

Ramana Maharshi (1879-1950), un grande maestro della tradizione


yoga, ripeteva che per trovare la libertà interiore bisogna porsi
continuamente e con sincerità una sola domanda: «Chi sono io?».
Diceva che era più importante di qualsiasi lettura, mantra o
pellegrinaggio. Chiediti: «Chi vede quando io vedo? Chi ascolta
quando io ascolto? Chi sa che sono consapevole? Chi sono io?».
Esploriamo la questione con un gioco. Facciamo finta che tu e io
siamo impegnati in una conversazione. Normalmente, nelle culture
occidentali, se qualcuno si avvicina e ti chiede: «Scusi, lei chi è?» di
certo non lo rimproveri per averti posto una domanda troppo intima
e profonda. Gli dici come ti chiami, per esempio Sally Smith. Io,
però, voglio mettere in discussione la tua risposta, e lo faccio
scrivendola su un foglietto, lettera per lettera: S-a-l-l-y-S-m-i-t-h. Poi
te lo mostro. È questo ciò che sei? Una sequenza di lettere? È questo
che vedi quando ti guardi? Ovviamente no, perciò rispondi:

«D’accordo, hai ragione, mi correggo: non sono Sally Smith. È solo il


nome che mi hanno dato, è un’etichetta, diciamo. In realtà sono la
moglie di Frank Smith».

Neanche per sogno, oggi non è più neppure politicamente


corretto adottare il cognome del marito! Come puoi dire di essere la
moglie di Frank Smith? Stai forse insinuando che prima di conoscere
Frank non esistevi? E che smetterai di esistere se lui morisse o se per
caso ti risposassi? La moglie di Frank Smith non può essere ciò che
sei. Anche in questo caso, è solo un’etichetta, la conseguenza di una
situazione in cui ti sei ritrovata. Dunque, ricominciamo. Chi sei tu?
Questa volta rispondi:
p
«Va bene, va bene, adesso mi concentro. La mia “etichetta” è Sally
Smith. Sono nata nel 1965, a New York. Ho vissuto nel Queens con i
miei genitori, Harry e Mary Jones, fino all’età di cinque anni, poi ci
siamo trasferiti nel New Jersey, dove ho frequentato la Newark
Elementary School. A scuola prendevo sempre dieci, e in quinta
elementare ho interpretato Dorothy nel Mago di Oz. Ho cominciato a
uscire con i ragazzi alle superiori, e il mio primo fidanzato si chiamava
Joe. Poi sono andata alla Rutgers University, dove ho incontrato Frank
Smith, che poi ho sposato. Ecco chi sono!»

Fermi tutti. È una storia interessante, ma non ti ho chiesto che


cosa ti è successo da quando sei nata in poi. La mia domanda era:
«Chi sei tu?». Quelle che mi hai descritto sono solo esperienze, ma
chi le ha vissute? Saresti ancora qui, saresti ancora consapevole di
esistere, se anziché la Rutgers avessi frequentato un’altra università?
Allora ci rifletti su, e ti rendi conto che nella vita non ti sei mai
posta quella domanda per davvero, almeno non cogliendone il
significato più profondo. «Chi sono io?» chiede Ramana Maharshi.
Quindi ci ripensi:

«Okay, sono il corpo che occupa questo spazio. Sono alta un metro e
sessantacinque e peso sessanta chili. Eccomi qui.»

Ma quando hai interpretato Dorothy, in quinta elementare, non


eri alta un metro e sessantacinque, bensì un metro e trenta. Quale
delle due sei tu? Sei quella alta un metro e trenta o quella alta un
metro e sessantacinque? Non eri tu quella che interpretava Dorothy?
Quella che ha fatto l’esperienza di diventare Dorothy in quinta
elementare e quella che ora sta facendo l’esperienza di provare a
rispondere alle mie domande non sono forse la stessa persona? Non
sei sempre tu?
Forse dobbiamo fare un passo indietro, e porci qualche domanda
introduttiva, prima di tornare sul problema. Quando avevi dieci anni
e ti guardavi allo specchio, non vedevi forse il corpo di una bambina
di dieci anni? Ma colei che guardava non era forse la stessa persona
che ora vede il corpo di un’adulta? L’immagine riflessa è cambiata,
p g
ma che dire di chi la vede? Non c’è forse una continuità nell’essere?
Voglio dire, non è sempre la stessa creatura che si è guardata allo
specchio in tutti questi anni? Rifletti con molta attenzione. Ecco altri
spunti: la notte, quando vai a dormire, sogni? Chi è che sogna? Cosa
significa sognare? Forse risponderai: «Be’, è un po’ come un film
proiettato dalla mente, e io lo guardo». Ma allora chi è lo spettatore?
«Sono io!» Vuoi dire la stessa persona che si guarda allo specchio? La
stessa che adesso legge queste parole e osserva i propri sogni?
Quando ti svegli, sai che quel che hai visto era solo un sogno, perché
c’è una continuità nella consapevolezza dell’essere. Ramana
Maharshi faceva domande semplicissime: chi è l’osservatore quando
guardi qualcosa? Chi ascolta, quando ascolti? Chi vede i sogni? Chi
contempla l’immagine allo specchio? In sostanza, a chi
appartengono tutte queste esperienze? Se ti sforzi di rispondere in
modo sincero e spontaneo, dirai: «Io. Sono io quello che sperimenta
tutto ciò». È la risposta migliore che potresti dare.
In realtà, è semplice constatare che non sei gli oggetti che osservi.
È il classico caso di soggetto e oggetto. Tu sei il soggetto che osserva
gli oggetti. Non c’è bisogno di passare al vaglio ogni singolo oggetto
dell’universo per renderti conto che quell’oggetto non sei tu.
Possiamo generalizzare e dire che, se stai osservando una cosa, allora
quella cosa non sei tu. Basta un attimo per sapere cosa non sei: non
sei il mondo esteriore, ma colui che lo osserva.
Facile, vero? Adesso almeno ci siamo sbarazzati di un’infinità di
oggetti esteriori. Ma chi sei tu? E dove ti trovi, se non sei all’esterno,
in tutte le altre cose? Se rifletti, capisci che sei sempre qui a
sperimentare emozioni e sensazioni, e che continueresti a esserci
anche se tutti gli oggetti esteriori sparissero. Immagina che paura in
quel caso! O magari che frustrazione, o forse persino che rabbia. Ma
chi percepirebbe tutto ciò? Ancora una volta rispondi: «Io!». Ed è
proprio questa la risposta corretta: è sempre l’“io” che sperimenta sia
il mondo esteriore, sia i pensieri e le emozioni interiori.
Per chiarire il punto, immagina di osservare un cane che gioca
all’aperto. All’improvviso senti un rumore alle tue spalle: un sibilo,
come quello di un serpente a sonagli! Resteresti tranquillo?
Continueresti a seguire il cane con la stessa concentrazione rilassata
g
di prima? Ovviamente no. Proveresti una paura tremenda. Il cane
continuerebbe a giocare di fronte a te, ma tu verresti completamente
risucchiato dall’esperienza della paura. Le emozioni riescono ad
assorbire tutta la nostra attenzione in un istante. Ma chi è che prova
paura? Non è forse la stessa persona che osservava il cane? Chi
prova amore quando amiamo? Non è forse vero che l’amore può
diventare così intenso da farci chiudere gli occhi? Si può essere
talmente rapiti da una meravigliosa emozione, oppure così assorbiti
da una paura terrificante, da arrivare a non distinguere più con
lucidità gli oggetti esteriori. In pratica, le esperienze interiori ed
esteriori si contendono la tua attenzione e tu devi fare i conti con
entrambe. Ma, di nuovo, chi sei tu?
Per approfondire la questione, proviamo con un’altra domanda:
esistono momenti in cui non hai esperienze emotive, ma al contrario
provi soltanto un senso di pace interiore? Sei ancora lì, però
percepisci solo silenzio e tranquillità. Le sensazioni esteriori e le
emozioni interiori vanno e vengono, e tu – colui che le sperimenta –
rimani sempre consapevole di ciò che ti passa davanti.
Ma dove sei tu? Forse potrei trovarti nei pensieri. «Penso, quindi
sono» proclamava il celebre filosofo Cartesio. È davvero così? Il
dizionario definisce il verbo “pensare” più o meno in questi termini:
«Dare forma ai pensieri, servirsi della mente per valutare idee ed
esprimere giudizi». Resta un interrogativo: Chi si serve della mente
per formare pensieri e poi elaborarli sotto forma di idee e giudizi? Il
pensatore continua a esistere anche quando i pensieri non sono
presenti? Fortunatamente, non devi darti pena. Sei sempre
consapevole della tua presenza in quanto essere vivente, percepisci
la tua esistenza senza l’ausilio del pensiero. Per esempio, se entri in
uno stato di meditazione profonda, il pensiero si arresta. Non è
qualcosa che “pensi”, sei semplicemente consapevole dell’assenza di
pensieri. Quando ritorni nello stato ordinario, osservi: «Accidenti!
Sono entrato in uno stato di meditazione profonda e per la prima
volta i pensieri si sono fermati. Ero in una condizione di pace
assoluta, di armonia e di calma». Se riesci a sperimentare la pace che
caratterizza l’assenza di pensieri, è evidente che la tua esistenza non
dipende dalla facoltà intellettiva.
p
I pensieri possono fermarsi, ma al contrario possono anche
diventare molto rumorosi, e in certe occasioni fanno più baccano che
in altre. A volte possono persino indurti a esclamare: «Sto
impazzendo! Ho la testa che non si ferma mai, non riesco nemmeno
a dormire. La mia mente non sta mai zitta». La mente di chi? Chi
percepisce i pensieri? Non sei forse tu? Non risuonano dentro di te?
Non sei forse consapevole della loro esistenza? Davvero non puoi
sbarazzartene? Se un pensiero non ti piace, non riesci a cacciarlo?
Molte persone sono in guerra con i loro stessi pensieri, ma anche in
questo caso si tratta di un rapporto tra soggetto e oggetto. Tu sei il
soggetto, mentre i tuoi pensieri non sono altro che un oggetto, come
tanti altri oggetti di cui sei consapevole. Tu non sei i tuoi pensieri, sei
semplicemente consapevole dei tuoi pensieri. Alla fine, concludi:

«Bene, non sono nulla di ciò che si trova nel mondo esteriore e non sono
neppure le emozioni che provo dentro di me. Gli oggetti esteriori e
interiori vanno e vengono, e io ne faccio esperienza. Inoltre, non sono i
miei pensieri: loro possono essere tranquilli o agitati, felici o tristi, però
sono solo un oggetto di cui prendo consapevolezza. Ma chi sono io?»

La faccenda si fa seria: «Chi sono io? Chi è che vive tutte queste
esperienze fisiche, emotive e mentali?». Ecco che adesso contempli il
grande interrogativo a un livello più profondo. Per farlo devi lasciar
andare le esperienze e osservare ciò che resta. È così che cominci a
notare chi fa esperienza dell’esperienza, e poco per volta raggiungi
un punto, dentro di te, in cui capisci che lo “sperimentatore” si
contraddistingue per una certa qualità. E tale qualità è la
consapevolezza, la coscienza, la sensazione intuitiva di esistere.
Capisci che sei lì. Non hai nemmeno bisogno di pensarci: lo sai e
basta. Se vuoi, puoi pensarci, ma in quel caso sei consapevole di tale
pensiero. Tu esisti indipendentemente dai pensieri, e dall’assenza di
pensieri.
Per rendere un po’ più pratico il concetto, proviamo a fare un
esperimento. Getta uno sguardo sull’ambiente in cui ti trovi, e nota
come cogli istantaneamente tutti gli oggetti che rientrano nel tuo
campo visivo, tanto quelli lontani quanto quelli vicini. Senza bisogno
p q q q g
di muovere la testa o gli occhi, percepisci una miriade di particolari.
Osserva tutti i colori, le gradazioni di luce sui mobili, le venature del
legno, o, se sei all’esterno, l’architettura degli edifici, le sfumature
della corteccia o delle foglie degli alberi. Nota che sei capace di
assorbire queste informazioni in un colpo solo, senza pensare. Il
pensiero non serve: basta guardare. Adesso, invece, prova ad attivare
il pensiero, per classificare, etichettare e descrivere tutti gli oggetti
che hai colto. Quanto tempo ci impiega la voce della mente per
catalogare tutto, rispetto a quel che ha fatto la coscienza con un
semplice sguardo? Quando osservi senza pensare, la coscienza è
consapevole di tutto ciò che vedi, e senza fare alcuno sforzo.
«Coscienza» è la parola più nobile che tu possa pronunciare. Non
esiste nulla di più elevato, o più profondo. La coscienza è
consapevolezza pura. Ma che cos’è la consapevolezza? Facciamo un
altro esperimento. Immagina di trovarti in una stanza con un gruppo
di persone e un pianoforte. Adesso immagina che il pianoforte
svanisca, smetta di esistere. È un problema per te? Risposta: «No,
penso di no. Non sono particolarmente legato ai pianoforti». Bene,
allora facciamo finta che anche tutte le persone nella stanza cessino
di esistere. Va ancora tutto bene? Risposta: «Certo, mi piace stare da
solo». Ora però immaginiamo che svanisca pure la consapevolezza.
Spegnila. Come stai adesso?
Cosa succederebbe se la tua consapevolezza non esistesse più? In
realtà è molto semplice: non ti troveresti nemmeno qui. Non ci
sarebbe alcuna percezione dell’essere, e non ci sarebbe neppure uno
in grado di dire: «Caspita, una volta c’ero, ma adesso non ci sono
più!». Verrebbe a mancare la consapevolezza dell’essere, e senza
questa consapevolezza, ossia senza la coscienza, non esiste nulla.
Esistono forse gli oggetti? Chi lo sa? Se non c’è nessuno che ne è
consapevole, la loro esistenza o non esistenza diventa assolutamente
irrilevante. Puoi avere una montagna di oggetti davanti a te, ma se
spegni la coscienza, svaniscono. Viceversa, se sei cosciente, puoi
anche avere davanti il nulla, ma resti consapevole del nulla. In realtà
non è un concetto complicato, ma è illuminante.
Quindi se ora ti chiedessi: «Chi sei tu?», risponderesti:
«Sono colui che vede. Sono qui dentro, da qualche parte, e guardo fuori,
e sono consapevole degli eventi, dei pensieri e delle emozioni che mi
scorrono davanti.»

Se vai molto in profondità, trovi la tua vera dimora: la sede della


coscienza. Un ricercatore spirituale risiede sempre là, senza alcuno
sforzo o intenzione. Proprio come puoi guardare all’esterno e
cogliere tutto ciò che vedi senza sforzo, se scendi abbastanza in
profondità dentro di te, puoi vedere anche i pensieri e le emozioni
come se fossero oggetti esteriori, di fronte a te. I pensieri sono un po’
più vicini, le emozioni un pochino più in là, e le forme esteriori
molto lontane. Alla base di tutto, ci sei tu. Non solo, ma ti rendi
conto che sei sempre stato lì. In ogni momento della tua vita hai
visto passare pensieri, emozioni e oggetti, ma sei sempre stato
l’osservatore consapevole di tutto ciò che accade.
Adesso sei nel centro della coscienza, la tua autentica dimora.
Elimina tutto il resto e tu sarai ancora lì, consapevole dell’assenza di
ogni fenomeno. Se però elimini pure il centro della coscienza, non
resta nulla. Quel centro è la sede del sé. È da lì che prendi
consapevolezza della presenza di pensieri, emozioni e di un mondo
conoscibile attraverso i sensi. Ora però sei anche consapevole di
essere consapevole. Quel centro è la sede del Sé buddhista (come
spiegato dal Buddha nel Mahāyāna Mahāparinirvāṇasūtra), dell’ātman
induista (la più profonda essenza di ogni individuo, secondo la
definizione del Merriam-Webster) e dell’anima della tradizione
ebraica e cristiana. Il grande mistero si rivela non appena raggiungi
quel luogo sepolto nella profondità dell’essere.
4
Il Sé lucido

Esiste un tipo di sogno, chiamato sogno lucido, in cui sei


consapevole di sognare. Per esempio, se sogni di volare, sei cosciente
di volare. Addirittura potresti pensare: «Guarda! Sto sognando di
volare. Adesso mi dirigo da quella parte…». In pratica, la coscienza è
sveglia quel tanto che basta per sapere che stai volando all’interno di
un sogno, e che stai sognando. È una sensazione assai diversa dal
sogno comune, in cui sei immerso appieno nell’esperienza onirica.
La distinzione corrisponde esattamente alla differenza che passa tra
chi sa di essere consapevole nella vita quotidiana, e chi non lo sa. Se
sei consapevole, non sei più completamente immerso negli eventi a
cui partecipi, ma al contrario diventi colui che sperimenta gli eventi,
le emozioni e i pensieri corrispondenti. Quando sei in questo stato di
consapevolezza e si manifesta un pensiero, invece di perderti in esso,
mantieni la consapevolezza di essere colui che pensa quel pensiero.
In parole povere, sei lucido.
Questa constatazione solleva alcuni interrogativi interessanti. Se
tu sei l’essere interiore che sperimenta tutto, per quale motivo
esistono livelli di percezione diversi? Quando dimori nel centro della
consapevolezza, sei lucido. Ma dove sei quando non hai ancora
raggiunto completamente quel livello, quando non sei colui che ha
piena consapevolezza di tutto ciò che sperimenta?
Innanzitutto, la coscienza ha la capacità di focalizzarsi; è nella sua
natura. La sua essenza è la consapevolezza, e questa implica la
facoltà di essere più o meno consapevoli di una cosa. Per dirla
altrimenti, la coscienza ha la capacità di concentrarsi su un
particolare oggetto. «Concentratevi su ciò che sto spiegando» dice il
professore ai suoi allievi. Cosa significa? Significa focalizzare tutta
l’attenzione su un unico punto. Il professore dà per scontato che i
p p p
ragazzi sappiano farlo, ma chi glielo ha insegnato? Quando mai
qualcuno ci ha spiegato come concentrare la nostra coscienza su un
oggetto? Nessuno l’ha fatto: è una capacità innata e intuitiva, che
abbiamo sempre avuto.
Dunque sappiamo tutti che la coscienza esiste, anche se di solito
non ne parliamo. Con ogni probabilità, sei andato a scuola per anni
senza che nessuno ti parlasse mai della coscienza e della sua natura:
né alle elementari, né alle medie, né alle superiori e nemmeno
all’università. Per fortuna, questo argomento è stato studiato in
modo approfondito in altri contesti, ed è al centro di molte
tradizioni, come quella dello yoga. A pensarci bene, gli insegnamenti
dello yoga in pratica non trattano d’altro.
Il miglior modo per imparare qualcosa sulla coscienza è farne
esperienza diretta. Per esempio, sappiamo bene che la coscienza può
essere consapevole di un’ampia gamma di oggetti
contemporaneamente, o al contrario concentrarsi su uno solo di essi,
al punto da dimenticare tutto il resto: è quel che accade quando ci
perdiamo nei pensieri. Stavi leggendo un libro, e poi all’improvviso
ti accorgi che hai smesso e ti sei distratto. Succede di continuo:
cominci a pensare ad altro e ti perdi. Qualsiasi oggetto esteriore o
fenomeno mentale può catturare la tua attenzione in ogni momento.
Tuttavia, si tratta pur sempre della stessa consapevolezza, sia che si
focalizzi su un oggetto esteriore, sia che si concentri su un pensiero.
Il punto cruciale è che la coscienza può concentrarsi su fenomeni
diversi. Il soggetto (la coscienza) ha la capacità di focalizzare
selettivamente la consapevolezza su oggetti specifici. Se fai un passo
indietro, vedi chiaramente che gli oggetti scorrono senza sosta
davanti ai tuoi tre ordini di percezione: fisico emotivo e mentale.
Quando non sei centrato, la coscienza è inesorabilmente attratta da
uno o più oggetti, e si focalizza su di loro. Se si concentra troppo, si
perde nell’oggetto stesso. Ciò significa che non è più consapevole di
se stessa e si limita semplicemente a essere consapevole dell’oggetto.
Hai mai notato che quando sei totalmente assorbito dalla televisione,
non sei più consapevole di ciò che ti circonda, tanto da non sapere
nemmeno dove sei seduto?
L’analogia è perfetta per esaminare il modo in cui il centro della
coscienza abbandona la consapevolezza del Sé e si smarrisce negli
oggetti su cui si concentra. La differenza è che invece di startene
seduto sul divano, totalmente coinvolto da ciò che appare sullo
schermo televisivo, sei seduto nel centro della coscienza e ti lasci
assorbire dagli oggetti proiettati sullo schermo della mente, delle
emozioni e del mondo esteriore. Quando ti focalizzi sul mondo dei
sensi, ne vieni attratto in modo irresistibile, e le relative reazioni
emotive e mentali fanno il resto. A quel punto non sei più centrato
nel Sé, ma ti perdi nello spettacolo interiore che stavi osservando.
Guardiamolo, dunque, questo show. Di base c’è uno schema di
pensieri che viene trasmesso di continuo e resta più o meno identico
a se stesso. Ti fa sentire a tuo agio, perché è familiare, proprio come
il salotto di casa tua. Poi ci sono le emozioni a cui sei abituato: un
dose di paura, un manciata di amore e un pizzico di insicurezza,
diciamo. Sai bene che in certi casi quelle emozioni divampano e
dominano la consapevolezza, finché poi si placano e la situazione
torna alla normalità. È un meccanismo che conosci benissimo, e fai di
tutto perché non si verifichi. In effetti, sei così occupato a controllare
il mondo dei pensieri, delle emozioni e delle sensazioni fisiche, che
dimentichi che ci sei anche tu là dentro. È questa la condizione
normale in cui vive la maggior parte delle persone.
Quando sei perso in questa dimensione, sei talmente assorbito
dagli oggetti dei pensieri, delle emozioni e dei sensi, da scordarti del
soggetto. Ipotizziamo che, in questo preciso istante, tu sia nel centro
della coscienza, che osservi lo spettacolo interiore. Ci sono tanti
oggetti interessanti che ti distraggono e che inevitabilmente, prima o
poi, cattureranno la tua attenzione. Sono travolgenti, tridimensionali
e tutt’intorno a te; assorbono ogni senso (vista, udito, gusto, olfatto e
tatto), nonché le emozioni e i pensieri. Eppure, interiormente, resti
tranquillo, centrato, e ti limiti a osservarli. Proprio come il sole, che
non si sposta per illuminare ogni cosa con i suoi raggi, la tua
coscienza non abbandona il centro per proiettare la sua
consapevolezza sulle forme esteriori, sui pensieri o sulle emozioni.
Quando senti il bisogno di centrarti, comincia a ripetere la parola
“ciao” nella mente, più volte. Poi nota che sei consapevole di quel
p p q
pensiero. Non pensare di essere consapevole: questo sarebbe un altro
pensiero! Non devi fare altro che rilassarti, ed essere consapevole
che c’è un “ciao” che ti riecheggia in testa. Ecco, sei di nuovo
centrato, sei tornato nella vera dimora della consapevolezza.
Passiamo dal piccolo al grande schermo: studiamo la coscienza
servendoci dell’esempio del cinema. Quando guardi un film, ti lasci
coinvolgere dalla storia, fa parte dell’esperienza. Usi due sensi: la
vista e l’udito, ed è molto importante che siano sincronizzati, perché
in caso contrario non saresti altrettanto coinvolto. Immagina di
guardare un film di James Bond, e che il sonoro non sia
sincronizzato con le scene. Invece di perderti nel magico mondo
degli agenti segreti, resteresti consapevole di essere seduto in un
cinema, e che c’è qualcosa che non va. Ma poiché di norma sonoro e
immagini sono perfettamente sincronizzati, il film cattura tutta la tua
consapevolezza, al punto da farti dimenticare che sei in una sala
cinematografica. Dimentichi pensieri ed emozioni personali, e la tua
coscienza viene assorbita dal film. In realtà, c’è una bella differenza
tra le due esperienze: sedere in una sala buia e fredda con degli
sconosciuti, ed essere talmente assorbiti da un film da dimenticarsi
l’ambiente circostante. E se la storia è avvincente, sei capace di
mantenere questo stato di inconsapevolezza anche per due ore di
fila. Dunque, dicevamo, la sincronizzazione tra vista e udito è molto
importante affinché la coscienza venga completamente assorbita da
un film. E stiamo parlando solo di due sensi su cinque.
Cosa accadrebbe se ci fosse un film che coinvolge anche l’olfatto e
il gusto? Immagina che quando l’attore mangia qualcosa, tu
percepisca il sapore e l’odore del cibo che sta masticando.
Sicuramente, un film del genere catturerebbe tutta la tua attenzione,
gli stimoli sensoriali sarebbero raddoppiati, e di conseguenza si
moltiplicherebbe anche il numero degli oggetti capaci di assorbire la
tua coscienza. Fin qui abbiamo parlato di vista, udito, olfatto e gusto,
ma non abbiamo ancora menzionato il senso più importante: cosa
succederebbe se quell’ipotetico film coinvolgesse anche l’esperienza
del tatto? Quando i cinque sensi sono all’opera nello stesso
momento, è impossibile resistere. Se sono tutti sincronizzati, sei
completamente assorbito dall’esperienza. Ma non è detto. Immagina
p p g
di aver preso posto in sala, e che, malgrado quella travolgente
esperienza sensoriale, il film cominci ad annoiarti. Non cattura più la
tua attenzione, e i tuoi pensieri cominciano a vagare. Per esempio,
inizi a pensare a cosa farai una volta tornato a casa, oppure ti metti a
rimuginare su qualcosa che è accaduto in passato. Dopo un po’,
saresti così perso nei pensieri da ricordarti a malapena di essere al
cinema. E ciò malgrado il fatto che tutti e cinque i sensi siano
stimolati dal film. Questo può succedere solo perché i pensieri sono
indipendenti dal contenuto della pellicola, e possono fornire alla
coscienza una narrazione alternativa su cui concentrarsi.
Ora, immagina un film in grado non solo di coinvolgere i cinque
sensi, ma anche di sincronizzare i tuoi pensieri e le tue emozioni con
ciò che accade sullo schermo. In pratica, oltre che sentire, vedere e
gustare tutto ciò che prova il personaggio, sperimenti anche le sue
emozioni e i suoi pensieri. Se, per esempio, dicesse: «Sono
nervosissimo. Non so se chiederle di sposarmi», tutt’a un tratto
sentiresti nascere in te un forte senso di insicurezza. Sarebbe
un’esperienza a tutto tondo: i cinque sensi fisici, più i pensieri e le
emozioni. Immagina che un film del genere esista davvero e che tu
vada a vederlo. Stai attento, perché in pratica significa la fine di te
stesso così come ti conosci. La coscienza verrà completamente
sincronizzata con l’esperienza, senza la possibilità di posarsi su
nessun oggetto che non faccia parte del film. Quando quest’ultimo
avrà assunto il controllo dei tuoi pensieri, sarà finita: non ci sarà più
un “te stesso” in grado di dire: «Questo film non mi piace, voglio
andarmene». Ciò richiederebbe un pensiero indipendente, ma il film
ha il dominio assoluto su ogni tuo pensiero e quindi sei
completamente perduto. Come potrai mai uscirne?
Per quanto spaventosa, è proprio questa la condizione in cui vivi
abitualmente. Giacché tutti gli oggetti di cui sei consapevole sono
sincronizzati, sei risucchiato nel film della vita, e non hai alcuna
consapevolezza di essere qualcosa di diverso dagli oggetti che
sperimenti. Pensieri ed emozioni sorgono in conformità con ciò che
vedi e ascolti. Sei sommerso dagli stimoli esteriori e interiori, e la tua
coscienza ne è totalmente assorbita. A meno che riconquisti il banco
del testimone, non puoi essere consapevole del fatto che, in realtà, tu
sei colui che osserva tutto ciò. Ecco cosa significa essere perduti.
L’anima persa è la coscienza precipitata nella dimensione in cui
tutti i pensieri e le emozioni, nonché le percezioni sensoriali (vista,
udito, gusto, tatto e olfatto), sono sincronizzati. Tutti quei messaggi
convergono in un unico punto, e la coscienza, che è consapevole di
ogni cosa, commette l’errore di concentrarsi troppo su quell’unico
punto. Quando viene così risucchiata, non riconosce più se stessa in
quanto tale, ma si riconosce nell’oggetto che sperimenta. Per dirla
altrimenti, percepisci te stesso come gli oggetti di cui sei
consapevole, e pensi di essere la somma di tutte le esperienze che hai
fatto.
È ciò che accade se vai a vedere una di quelle proiezioni
potenziate che abbiamo ipotizzato sopra. Per prima cosa, scegli
quale personaggio diventare. Mettiamo che tu decida: «Sarò James
Bond». Perfetto, ma una volta premuto il pulsante, è fatta. Spera solo
che l’esperienza sia limitata nel tempo, perché tu, così come ti
conosci al momento, non ci sarai più. Ogni tuo pensiero diventerà
esattamente quello di Bond, e tutto quel che pensavi di essere andrà
perduto. Ricorda che la concezione di sé non è che l’insieme dei
pensieri che abbiamo a proposito di noi stessi. Analogamente, le tue
emozioni diventeranno quelle di 007, e seguirai il film attraverso la
sua prospettiva, visiva e uditiva. L’unico aspetto inalterato del tuo
essere sarà la coscienza, che rimarrà consapevole degli oggetti
percepiti. Sarà sempre lo stesso centro di consapevolezza che prima
della proiezione era consapevole del tuo vecchio insieme di pensieri,
emozioni e percezioni sensoriali. A un certo punto l’operatore
interromperà il film. I pensieri e le emozioni di James Bond
svaniranno e saranno immediatamente sostituiti dal tuo vecchio set
di pensieri ed emozioni. Tornerai a percepirti come una donna sulla
quarantina, per esempio. I tuoi pensieri corrisponderanno a quel
profilo caratteriale, così come le emozioni, e tutto avrà lo stesso
aspetto, odore, gusto e consistenza di prima, ma, se ci pensi bene,
sarà sempre solo qualcosa che la coscienza sperimenta. Saranno solo
oggetti percepiti dalla coscienza. Tu, però, sei la coscienza.
C’è un’unica differenza fra una persona conscia e centrata e una
che invece non lo è: l’oggetto della sua consapevolezza. Non c’è
nessuna differenza nella coscienza in sé. La coscienza è identica per
tutti. Proprio come la luce del sole, che è sempre la stessa, ovunque
si posi. La coscienza non è né pura né impura, non possiede qualità
particolari, è semplicemente lì, conscia di essere consapevole. La
differenza sta nel fatto che quando non è centrata su se stessa, finisce
per focalizzarsi unicamente sugli oggetti che percepisce. Se sei una
persona centrata, però, la tua coscienza sarà sempre consapevole di
essere cosciente. La consapevolezza di esistere è indipendente dagli
oggetti interiori ed esteriori che percepisci.
Se davvero vuoi capire questa differenza, parti dalla
constatazione che la coscienza può focalizzarsi su qualsiasi cosa.
Stando così le cose, cosa succede se si focalizza su se stessa? Quando
ciò accade, invece di essere consapevole dei tuoi pensieri, sei
consapevole di essere consapevole dei tuoi pensieri. Hai fatto in
modo che la luce della coscienza si rivolga su se stessa. In realtà,
contempli sempre qualcosa, ma in questo caso contempli la fonte
della coscienza. È questa la vera meditazione. La vera meditazione
va al di là della semplice concentrazione. Per raggiungere il livello
più profondo della meditazione, non solo devi riuscire a concentrare
tutta la tua coscienza su un unico oggetto, ma devi anche far sì che
quell’oggetto sia la consapevolezza stessa. Nella condizione più
elevata, la coscienza si rivolge al Sé.
Quando contempli la natura del Sé, mediti. Ecco perché la
meditazione è la condizione più elevata che ci sia. Ti riporta alle
radici dell’essere, alla pura consapevolezza di essere consapevole.
Non appena sei cosciente della coscienza stessa, entri in una
dimensione del tutto diversa dalle altre. Sei consapevole di ciò che
sei: un essere risvegliato. In realtà, è la cosa più naturale del mondo:
eccoti qui, dove sei sempre stato! È come se prima fossi stato sul
divano a guardare la televisione, completamente immerso nello
spettacolo, dimentico di te stesso al punto da non sapere dove ti
trovavi. Poi qualcuno ti ha scosso, riportandoti alla consapevolezza
di essere sul divano, intento a guardare la tivù. Non è cambiato
nient’altro: hai semplicemente smesso di proiettare la percezione del
p p p
sé su quel particolare oggetto della coscienza. Ti sei svegliato. Ecco
cos’è la spiritualità. Ecco cos’è la natura del Sé. Ecco ciò che sei.
Quando ti ritiri nella coscienza pura, il mondo cessa di essere un
problema e diventa solo un fenomeno che osservi; è in continuo
mutamento, ma non lo percepisci più come un problema. Più sarai
disponibile a lasciare che il mondo sia solo un oggetto di cui sei
consapevole, più il mondo ti consentirà di essere ciò che sei: il Sé,
l’ātman, l’anima.
Scoprirai che non sei chi pensavi di essere. Non ti riconoscerai più
neppure come un essere umano, ma solo come qualcuno che osserva
un essere umano. Nel centro della coscienza farai esperienze
profonde e intuitive sulla vera natura del Sé. Comprenderai di essere
infinitamente vasto. Quando l’oggetto della tua esplorazione diventa
la coscienza, anziché il mondo delle forme, ti rendi conto che la
coscienza sembra piccola e limitata solo perché si focalizzava su
oggetti piccoli e limitati. È la stessa cosa che accade quando ti
concentri unicamente sulla tivù: nel mondo non c’è nient’altro. Ma se
fai un passo indietro, puoi tornare a osservare l’intera stanza,
televisore incluso. Analogamente, invece di concentrarti soltanto su
un particolare essere umano, con il suo mondo sensoriale, i suoi
pensieri e le sue emozioni, puoi allontanarti quanto basta per
percepire tutto il resto. Puoi passare dal finito all’infinito. Non è
forse questo che i grandi saggi e i grandi santi di ogni epoca e
religione, dal Cristo al Buddha, hanno sempre cercato di dirci?
Uno di loro, Ramana Maharshi, era solito chiedere: «Chi sono
io?». Adesso dovrebbe esserti chiaro che è una domanda davvero
profonda. Devi portela incessantemente, senza tregua, perché solo
così scoprirai di essere tu la risposta. Non c’è una risposta
concettuale, la risposta sei tu. Sii quella risposta, e tutto cambierà.
Parte seconda
SPERIMENTARE L’ENERGIA
5
Energia infinita

La coscienza è uno dei più grandi misteri della vita. Anche l’energia
interiore è un mistero. È davvero un peccato che il mondo
occidentale presti pochissima attenzione alle leggi dell’energia
interiore. Studiamo l’energia all’esterno di noi stessi, e attribuiamo
grande valore alle risorse energetiche, ma ignoriamo l’energia
interiore. Le persone passano la vita a pensare, a provare sensazioni
ed emozioni, e ad agire, ma non si chiedono da dove provengano
questi fenomeni. In verità, ogni movimento del corpo, ogni
emozione e ogni pensiero che ci passa per la testa comportano un
dispendio di energia. Proprio come qualsiasi fenomeno del mondo
esteriore richiede energia, anche tutto ciò che accade interiormente
implica un consumo di energia.
Per esempio, se sei concentrato su un pensiero e un altro pensiero
interferisce, sei costretto a mettere in campo una forza contraria per
opporti all’interferenza. Questo processo richiede energia, e può
essere logorante. Allo stesso modo, se cerchi di tenere a mente
qualcosa, ma la mente continua a divagare, devi concentrarti
moltissimo per riportarla sul pensiero originario. Quando fai
qualcosa del genere, attribuisci a quel pensiero una dose maggiore di
energia, per tenerlo fermo in un posto. Anche le emozioni
consumano molta energia. Se sei afflitto da un’emozione sgradevole,
che interferisce con ciò che stai facendo, la cacci via. Lo fai quasi
istintivamente, in modo che l’emozione indesiderata se ne vada e
non ti disturbi più. Ognuna di queste azioni interiori, però, comporta
un dispendio di energia.
Creare pensieri, trattenerli e richiamarli alla mente; generare
emozioni e controllarle; disciplinare le pulsioni interiori: sono tutte
azioni che richiedono grandi risorse energetiche. Ma dove proviene
g g p
quell’energia? Perché qualche volta c’è, mentre in altri momenti ci
sentiamo del tutto prosciugati? Hai mai notato che quando sei
mentalmente ed emotivamente scarico, neppure il cibo ti è di grande
aiuto? Per contro, se ripensi ai periodi della tua vita in cui eri
innamorato, ispirato o entusiasta di qualcosa, ti accorgerai che eri
talmente pieno di energia da non aver nemmeno bisogno di
mangiare. L’energia di cui parlo non è contenuta nel cibo, non sono
le calorie che l’organismo brucia per funzionare. C’è una fonte
interiore di energia cui puoi attingere, ed è molto diversa da
qualsiasi fonte esteriore.
Il modo migliore per illustrare questo tipo di energia è tramite un
esempio. Diciamo che hai una ventina d’anni e che la fidanzata ti ha
appena lasciato. Sei così depresso che ti chiudi in casa e non vuoi più
vedere nessuno. Ben presto, visto che non hai nemmeno le forze per
fare le pulizie, il pavimento sembra un campo di battaglia. Fatichi ad
alzarti dal letto, non fai altro che dormire. Sicuramente ogni tanto
mangi qualcosa, come testimoniano i cartoni delle pizze disseminati
dappertutto, eppure non c’è nulla che ti aiuti davvero, hai zero
energie. Gli amici cercano di farti uscire, ma tu li ringrazi e declini
ogni invito. Sei troppo stanco per fare qualsiasi cosa.
Molti si sono ritrovati in questa situazione a un certo punto della
vita. Ti senti intrappolato, senza via d’uscita, e arrivi a pensare che
resterai per sempre in quello stato. Poi, un bel giorno, squilla il
telefono. È la tua ragazza, o meglio è quella che ti ha scaricato tre
mesi fa. Piange, e tra i singhiozzi dice: «Oh, mio Dio! Ti ricordi di
me? Spero che vorrai ancora parlarmi. Mi sento così male… Lasciarti
è stato l’errore più grande della mia vita. Adesso ho capito quanto
sei importante per me. Non posso vivere senza di te. Ho provato il
vero amore solo quando stavo con te. Ti prego, perdonami! Potrai
mai perdonarmi? Posso venire a trovarti?».
Come ti senti ora? Sii sincero, quanto tempo ti ci vuole per
recuperare abbastanza energia da saltare fuori dal letto, ripulire
l’appartamento, farti una doccia e riportare un po’ di colorito sul tuo
volto smunto? Ci hai messo un attimo, vero? Non appena hai
riattaccato, ti sei sentito pieno di energie. Com’è possibile? Eri
completamente a terra. Per mesi ti sei sentito senza un briciolo di
p
forze, e ora, nel giro di pochi secondi, hai così tanta energia da non
stare più nella pelle.
Non puoi semplicemente ignorare questi cambiamenti enormi a
livello energetico. Da dove proviene tutta quell’energia? Non hai
cambiato abitudini, non hai mangiato o dormito di più, eppure,
quando la tua fidanzata si è presentata alla porta, avete parlato tutta
la notte, fino all’alba, e il giorno dopo non eri affatto stanco. Adesso
vi siete rimessi insieme, camminate mano nella mano, e tu provi una
gioia immensa. Chi ti conosce non può fare a meno di notare la tua
luminosità. Da dove proviene quell’energia?
Se osservi con attenzione, scopri che in te c’è una riserva di
energia fenomenale. Non deriva dal cibo, e neppure dal sonno. È
sempre disponibile, puoi attingervi in qualsiasi momento, sgorga da
sola e ti riempie dall’interno. Quando sei così pieno di energia, ti
senti in grado di conquistare il mondo. Quando scorre impetuosa, la
avverti davvero affluire in te, a ondate. Esce spontaneamente da
qualche remota sorgente interiore, e ti permette di ristabilirti,
ricostituirti e ricaricarti.
L’unico motivo per cui non la percepisci in modo costante è
perché a volte la blocchi, chiudendo il cuore e la mente, fino a
rintanarti in una prigione interiore, che ti isola dal flusso energetico.
Se chiudi il cuore e la mente, finisci nell’oscurità interiore, dove non
c’è luce, non c’è energia, non c’è niente che fluisca. In realtà l’energia
è sempre lì, ma non riesce ad attraversarti.
Ecco cosa significa essere “bloccati”. È per questo che quando sei
depresso non hai forze. L’energia fluisce attraverso una serie di
centri sottili, e se li chiudi, non la ricevi più. Tuttavia basta riaprirli,
per ritrovarla. Sebbene questi centri energetici siano più di uno,
quello che tutti percepiscono intuitivamente è situato nella zona del
cuore. Immaginiamo che ami una persona, e che quindi ti apri
particolarmente quando stai con lei. Poiché hai assoluta fiducia nei
suoi confronti, abbassi ogni difesa, e sperimenti un notevole flusso di
energia, e di qualità elevata. Ma se quella stessa persona un giorno ti
fa uno sgarbo, non starai più altrettanto bene in sua presenza, non
proverai più amore come prima, sentirai invece una sorta di tensione
all’altezza del petto. Questo significa che hai chiuso il cuore. Il cuore
p g
è un centro energetico, che può essere aperto o chiuso. Nello yoga
questi centri si chiamano chakra. Se chiudi il chakra del cuore,
interrompi il flusso di energia, e quando l’energia non fluisce più,
ecco che subentra l’oscurità. A seconda del grado di chiusura, puoi
provare una profonda agitazione o una letargia opprimente. Spesso
le persone oscillano fra questi due stati. Se poi scopri che la persona
amata non ha fatto niente di sbagliato, oppure si scusa (con tua
grande soddisfazione), ecco che il centro del cuore si riapre. Fai di
nuovo il pieno d’energia e l’amore riprende a fluire.
Quante volte hai sperimentato una dinamica del genere nella tua
vita? Dentro di te c’è una sorgente di energia meravigliosa. Quando
sei aperto, puoi percepirla, quando sei chiuso, no. Questo flusso
sgorga dalla profondità dell’essere, ed è stato denominato in vari
modi. Nella medicina tradizionale cinese è il qi, nello yoga prende il
nome di shakti, in Occidente è lo “spirito”. Chiamalo come preferisci.
Tutte le grandi tradizioni spirituali parlano di energia, dandole
semplicemente nomi diversi. Questa energia è ciò che senti quando
hai il cuore gonfio di amore, quando ti entusiasmi per qualcosa, e
provi una forza incontenibile, che sgorga dal profondo del tuo
essere.
Dovresti conoscerla, perché ti appartiene di diritto, dalla nascita,
ed è inesauribile. Puoi attingervi in qualsiasi occasione, a prescindere
dall’età: ci sono ottantenni che hanno l’energia e l’entusiasmo di un
bambino. Lavorano molte ore al giorno, sette giorni su sette. È
energia, e l’energia non invecchia, non conosce stanchezza e non ha
bisogno di cibo. Ciò di cui ha bisogno, però, è apertura e ricettività. È
disponibile per tutti, sempre. Il sole non illumina una persona più
dell’altra: se fai il bravo risplende, ma risplende ugualmente anche se
ti comporti male. Lo stesso vale per l’energia interiore, con la
differenza che nel suo caso puoi bloccarne il flusso. Succede quando
ti chiudi, mentre se ti apri, scorre liberamente, come un torrente. I
veri insegnamenti spirituali trattano di questo e spiegano come
aprirsi all’energia.
Ti basti sapere che se ti apri, le permetti di entrare, mentre se ti
chiudi, la blocchi. Sta a te decidere se la vuoi o no. Vuoi elevarti?
Vuoi provare amore? Vuoi mettere entusiasmo in ciò che fai? Se
p
vivere una vita piena e appagante significa sperimentare un flusso
ininterrotto di forza, amore ed entusiasmo, allora non chiuderti mai.
Restare aperti è semplicissimo: bisogna appunto non chiudersi
mai. È davvero tutto qui. Devi solo decidere se sei disposto a restare
aperto o se invece pensi che sia meglio chiudersi. Puoi anche
allenarti a non chiuderti, o meglio, a dimenticarti di farlo. Perché
chiudersi è un’abitudine e, come tale, può essere modificata. Per
esempio, potresti essere uno di quelli che hanno una vaga paura
degli sconosciuti, e che quando fanno una nuova conoscenza,
tendono a chiudersi. Magari sei abituato a irrigidirti ogni volta che
incontri una persona nuova. In questo caso, puoi allenarti a fare
l’esatto opposto, cioè ad aprirti ogni volta che entri in contatto con
una persona nuova. Il punto è che è una reazione controllabile, per
cui devi solo scegliere se vuoi chiuderti o aprirti.
Purtroppo, però, non siamo abituati a esercitare quel tipo di
controllo. Normalmente, il nostro grado di apertura dipende da vari
fattori psicologici. In pratica, siamo programmati per aprirci o
chiuderci sulla base delle esperienze vissute. Le impressioni
accumulate in passato restano in noi, e vengono stimolate da ciò che
ci succede nel presente. Se quelle impressioni erano negative,
tendiamo a chiuderci, mentre se erano positive, siamo spinti ad
aprirci. Ipotizziamo che tu senta un profumino che ti ricorda di
quando eri piccolo e la mamma ti preparava la cena. La tua reazione
dipenderà dalle impressioni legate a quell’esperienza. Era piacevole
cenare con i tuoi? La mamma cucinava bene? Se sì, allora
quell’aroma ti riscalderà il cuore, ti inviterà ad aprirti, ma se al
contrario il clima che si respirava intorno alla tavola di famiglia non
era dei più gradevoli, o se ti costringevano a mangiare cibi che non ti
piacevano, potresti irrigidirti e chiuderti. È un meccanismo
automatico. Un certo odore può aprirti o chiuderti, e lo stesso vale
per qualsiasi cosa, dal colore di un’automobile che incroci, alle
scarpe che indossa una certa persona. Siamo programmati in base
alle impressioni passate, al punto che qualsiasi cosa può provocare
un’apertura o una chiusura. Facci caso, e scoprirai che accade
regolarmente, più volte al giorno.
Tuttavia non dovresti lasciare al caso qualcosa di così importante
come il libero scorrimento del tuo flusso energetico interiore. Se vuoi
avere energia, e sono sicuro che è così, allora non chiuderti mai. Più
impari a restare aperto, più l’energia fluirà. Per esercitarti, basta che
non ti chiudi mai. Ogni volta che cominci a chiuderti, domandati se
vuoi davvero interrompere il flusso energetico, perché se non lo
vuoi, puoi rimanere aperto sempre, qualunque cosa accada. Basta
che ti impegni a esplorare la tua capacità di ricevere energia in
quantità illimitata. Basta che decidi di non chiuderti. All’inizio potrà
sembrarti innaturale, perché abbiamo la tendenza innata a chiuderci,
a proteggerci. In realtà, chiudere il cuore non ti protegge da un bel
nulla; ottieni solo il risultato di tagliarti fuori dalla tua fonte di
energia e, alla lunga, di imprigionarti dentro te stesso.
Scoprirai che gli unici doni che vorresti dalla vita sono
entusiasmo, gioia e amore. Se riesci a provarli sempre, che cosa ti
importa di ciò che accade all’esterno di te? Se dentro di te stai bene
sempre, se provi entusiasmo per tutto ciò che fai nel momento
presente, allora un’esperienza vale l’altra. È bello sentirsi così,
indipendentemente da ciò che fai. È in questo modo che impari a
restare aperto qualunque cosa accada. Se ci riesci, ottieni senza
sforzo ciò per cui tutti si affannano: amore, entusiasmo, gioia e forza.
Arrivi a capire che mettendoti a definire ciò di cui hai bisogno per
restare aperto, limiti le tue possibilità. Se fissi i prerequisiti che
dovrebbe avere il mondo affinché tu ti apra, riduci le tue opportunità
a quelle condizioni. Meglio restare aperti sempre, succeda quel che
succeda.
Spetta a te imparare un modo per restare aperto, ma in ultima
analisi si tratta sempre di non chiudersi. Se non ti chiudi, significa
che sai restare aperto. Non lasciare che un evento qualsiasi della tua
vita assuma una rilevanza tale da indurti a chiudere il cuore. Se senti
che il cuore inizia a chiudersi, prova semplicemente a ripeterti: «No,
non mi chiudo. Mi rilasso, resto presente e lascio che questa
situazione vada come deve andare». Onora e rispetta ogni
esperienza, e affrontala. Non scappare, anzi fai del tuo meglio per
affrontarla, ma sempre con il cuore aperto, con passione ed
entusiasmo. Qualunque cosa sia, vivila con sportività e, a tempo
q p p
debito, scoprirai di aver dimenticato di chiuderti.
Indipendentemente dalle azioni degli altri o dagli imprevisti della
vita, vedrai che non avrai più la tendenza a chiuderti. Accoglierai
tutto con entusiasmo e a cuore aperto. Quando avrai raggiunto
questa condizione elevata, sperimenterai un livello di energia
fenomenale. Avrai tutta la forza che ti serve, ininterrottamente. Prova
a rilassarti e ad aprirti, e da subito percepirai in te un’energia che
non sapevi di avere. L’unico limite è la tua capacità o incapacità di
restare aperto.
Se non sei convinto, fai caso alle circostanze in cui provi amore ed
entusiasmo, e poi chiediti perché mai non dovresti sentirti sempre
così. Perché mai quelle sensazioni dovrebbero sparire? La risposta è
ovvia: perché scegli di chiuderti, ovvero decidi di non percepire più
un senso di apertura e di amore. Rifiuti l’amore. Lo provi solo finché
qualcuno non ti dice qualcosa che non ti aggrada, e allora addio
amore. Sei entusiasta del tuo lavoro, ma solo finché qualcuno non lo
critica, dopodiché avresti voglia di mollare tutto. In realtà la scelta
spetta a te: puoi chiuderti perché non ti piace ciò che hai udito o ciò
che è successo, oppure non farlo e continuare a provare amore ed
entusiasmo. Se ti ostini a classificare tutto, definendo ciò che ti piace
e ciò che non ti piace, continuerai ad aprirti e a chiuderti. Sei tu
l’artefice dei tuoi stessi limiti, sei tu che dai alla mente le indicazioni
per aprire e chiudere il cuore. Smettila: abbi il coraggio di cambiare,
goditi la vita nella sua interezza.
Più ti mantieni aperto, più permetti al flusso energetico di
ingrossarsi. A un certo punto, l’energia è così tanta che inizia a
traboccare. La percepisci come una serie di ondate che sgorgano dal
tuo essere, la senti che ti esce dalle mani, dal cuore e dagli altri centri
energetici. Ma non è tutto: un’energia tale ha un effetto anche sul
prossimo. Chi ti circonda la sente e ne trae beneficio. Se sei pronto ad
aprirti ancora di più, scopri che non si esaurisce mai. Diventi una
fonte di luce per tutti quelli che ti stanno intorno.
Cerca solo di restare aperto e di non chiuderti mai. Abbi pazienza,
e osserva cosa succede dentro di te. Il flusso energetico può persino
curare l’organismo. Quando percepisci le prime avvisaglie di una
malattia, non devi far altro che rilassarti e aprirti. Aprendoti, apporti
p p pp
più energia al corpo, con un effetto terapeutico. L’energia guarisce,
ed è per questo che anche l’amore guarisce. Se studi i meccanismi
dell’energia interiore, scoprirai un mondo meraviglioso dentro di te.
L’elemento più importante della nostra vita è l’energia interiore.
Se sei sempre stanco e privo di entusiasmo, la vita non è piacevole.
Ma se sei ispirato e pieno di energia, ogni momento della giornata
diventa un’esperienza entusiasmante. Impara a lavorare su questi
aspetti, impara a mantenere aperti i centri energetici, con la
meditazione, la consapevolezza e l’intenzione. Puoi farlo
semplicemente rilassandoti e sciogliendoti, ed evitando di cadere
nella trappola di credere che in certe circostanze sia opportuno
chiudersi. Ricorda: se ami la vita, non c’è nulla per cui valga la pena
chiudersi. Non c’è esperienza che giustifichi un cuore chiuso.
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I segreti del cuore spirituale

Sono davvero poche le persone che conoscono il cuore. È uno dei


capolavori del creato, uno strumento fenomenale. Ha la capacità di
creare vibrazioni e armonie che superano di gran lunga l’incanto del
pianoforte, di qualsiasi strumento a corde o a fiato. Puoi ascoltare
uno strumento, ma il sentire appartiene al cuore. E se ti sembra di
poter “sentire” uno strumento, è solo perché ti ha toccato il cuore. Il
cuore è uno strumento costituito da energia così sottile che solo
pochi la percepiscono.
Nella maggior parte degli esseri umani, il cuore compie il suo
dovere in maniera autonoma. Sebbene il suo comportamento
governi il corso della nostra vita, non lo conosciamo davvero. Se in
un dato momento abbiamo il cuore aperto, ci innamoriamo, ma se a
un certo punto si chiude, l’amore smette di scorrere. Se qualcuno ci
ferisce al cuore, ci arrabbiamo, e se per caso smettiamo di percepirlo
del tutto, ci sentiamo svuotati. Tutti questi eventi si verificano perché
il cuore sperimenta vari cambiamenti. Gli spostamenti e le variazioni
dell’energia che hanno luogo in quella zona dell’essere dominano la
nostra vita, e siamo talmente abituati a identificarci con essi che,
quando parliamo di qualcosa che riguarda il cuore, ne parliamo in
prima persona, diciamo “io”. Ma la verità è che una persona non è il
suo cuore: è colei che ne fa esperienza.
Conoscere il cuore è molto semplice. È un centro energetico, un
chakra, uno dei più magnifici e potenti che ci siano, e ci influenza
quotidianamente. Come abbiamo visto, un centro energetico è una
zona dell’essere in cui l’energia si concentra, si distribuisce e fluisce.
Questo flusso di energia viene chiamato in diversi modi: shakti, qi o
spirito, e ha un ruolo fondamentale nella vita. L’energia del cuore è
sempre percettibile: pensa a come ti senti quando hai il petto gonfio
p p p q p g
d’amore, o che trabocca ispirazione ed entusiasmo. Prova a ricordare
cosa significa sentire l’energia che sgorga dal cuore, riempiendoti di
forza e fiducia. Tutto questo accade perché il cuore è un centro
energetico.
Il cuore controlla il flusso energetico del corpo, aprendosi e
chiudendosi. Ciò significa che agisce come una valvola, e permette il
pieno scorrere della corrente energetica, o ne riduce il passaggio. Se
ti osservi, sai benissimo cosa significa essere aperti e cosa si prova
quando invece si è chiusi. In realtà, il cuore cambia stato
costantemente. Puoi provare un grande amore per qualcuno, finché
non dice qualcosa che non ti aggrada. A quel punto il tuo cuore si
chiude, e di fatto non provi più amore per lui. È un fenomeno che
abbiamo sperimentato tutti, ma quali ne sono le cause? Proprio
perché ci riguarda tutti, è bene capire esattamente come si svolge.
Cominciamo quest’analisi ponendo una domanda cruciale: a
livello strutturale, che cos’è che spinge il cuore a chiudersi? Il cuore
si chiude perché è ostruito da blocchi energetici accumulati nel
passato e rimasti irrisolti. Per constatarlo, non devi fare altro che
esaminare la tua esperienza quotidiana. Gli eventi che accadono nel
mondo vengono recepiti dai sensi e influenzano il tuo stato d’animo,
suscitando, per esempio, paura, ansia o amore. L’esperienza interiore
varia in base al modo in cui accogli e assimili gli eventi esteriori. I
fenomeni non entrano direttamente nella mente o nel cuore,
rimangono all’esterno, ma la loro impressione viene elaborata dai
sensi e trasformata in uno schema energetico che cuore e mente
possono recepire e sperimentare. La scienza stessa spiega questo
processo sensoriale: gli occhi non sono due finestre attraverso cui
osservi il mondo, bensì due fotocamere che trasmettono al cervello
un’immagine elettronica del mondo. Lo stesso vale per tutti gli altri
sensi: percepiscono il mondo, convertono le informazioni in impulsi
nervosi (elettrici), che vengono poi processati nella mente sotto
forma di impressioni. In realtà, quindi, i sensi sono dei dispositivi di
rilevamento elettronici. Tuttavia, se gli schemi energetici che
arrivano nella mente creano un malessere, ecco che in te sorge una
resistenza, la quale impedisce loro di attraversarti e svanire. Quando
succede, questa energia resta bloccata dentro di te.
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È un concetto della massima importanza. Per capire meglio cosa
comporta tale accumulo di energie irrisolte, vediamo prima di tutto
cosa succede quando non accumuli niente. Cosa accade se le
esperienze della vita ti attraversano e basta? Per esempio, stai
viaggiando su una statale, e vedi gli alberi che ti sfilano accanto
l’uno dopo l’altro, ma non lasciano alcuna impressione in te:
scompaiono subito dopo essere stati percepiti. Vedi anche le case e le
altre automobili, ma nessuno di questi oggetti crea un’impressione
duratura, solo un’immagine temporanea che ti consente di
percepirli. Sebbene raggiungano i tuoi sensi, e creino impressioni
nella mente, tali impressioni vengono abbandonate con la stessa
rapidità con la quale sono state create. Se non stimolano nessun
ricordo personale, vengono elaborate e poi subito abbandonate.
È così che il sistema di percezione dovrebbe funzionare in
condizioni normali. Dovrebbe recepire i fenomeni, permetterti di
sperimentarli sotto forma di impressioni e poi di abbandonarli, in
modo da lasciarti libero di sperimentare l’attimo successivo. Finché
funziona correttamente, va tutto bene, navighi tranquillo da
un’esperienza all’altra. Guidare è un’esperienza, vedere gli alberi
sfilare è un’esperienza, osservare le automobili che incroci è
un’esperienza: sono tutti doni che ti vengono elargiti, come in un
bellissimo film. Ti attraversano, risvegliandoti e stimolandoti. In
realtà hanno un effetto molto profondo su di te: un momento dopo
l’altro, vivi delle esperienze, impari e cresci. Cuore e mente si
espandono, e tu vieni stimolato a un livello molto profondo
dell’essere. Se l’esperienza è il miglior modo per imparare qualcosa,
allora non c’è nulla di così importante come l’esperienza della vita.
Vivere significa assaporare ogni esperienza che ti attraversa, e poi
quella successiva, e poi un’altra ancora; tante esperienze diverse che
arrivano e ti attraversano. È un sistema stupendo, almeno quando
funziona correttamente. Se vivessi sempre in questo modo, saresti
quel che si dice un “risvegliato in vita”. È così che vive un
illuminato, nel “qui e ora”, totalmente presente, come la vita che lo
attraversa. Immagina come ti sentiresti se fossi pienamente presente
a ogni esperienza della vita: ogni istante ti toccherebbe nel profondo;
ogni esperienza sarebbe stimolante, estatica, perché saresti
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completamente aperto, e la vita fluirebbe attraverso di te senza
incontrare nessun ostacolo.
Ma non è quel che succede alla maggior parte di noi. Le cose
invece vanno così: stai viaggiando sulla statale, ed ecco gli alberi, le
case e le auto, e tutto ti attraversa senza problemi. Poi però,
inevitabilmente, arriva qualcosa che si incastra. Cos’è? È un’auto, una
Ford Mustang azzurra, per la precisione, identica a quella della tua
fidanzata. Mentre ti sfrecciava a fianco, hai notato due persone
abbracciate sul sedile anteriore, o almeno così ti è sembrato; l’auto di
certo era uguale a quella della tua fidanzata. Ma in fondo era solo
una macchina come tante, o no? No. Non era un’auto come tante,
almeno non per te.
Esaminiamo bene quel che è successo. A livello visivo, non c’era
nessuna differenza tra quell’oggetto e gli altri che hai percepito. Era
semplicemente un fascio di luce rifratto da una superficie, che ha
attraversato la retina lasciando un’impressione visiva nella psiche. A
livello fisico, non è accaduto nulla di anormale. Ma, a livello mentale,
l’impressione si è incastrata. Di conseguenza, di colpo non sei stato
più consapevole degli alberi, non hai più notato le altre automobili.
Sebbene l’immagine fosse sparita da un pezzo, il tuo cuore e la tua
mente sono rimasti fissi su di essa. Ecco qual è il problema. Adesso
hai un blocco dentro di te, uno schema mentale irrisolto. Le altre
esperienze stanno cercando di attraversarti, ma in te è accaduto
qualcosa che ha bloccato l’elaborazione di quella specifica
impressione.
Che cosa succede all’esperienza che è rimasta incastrata? Più
specificamente, cosa succede all’immagine dell’auto della fidanzata,
se non svanisce nei recessi della memoria come tutte le altre? Prima o
poi, smetterai di pensarci perché dovrai occuparti di qualcosa di più
urgente, come un semaforo. Ma la tua intera esperienza della vita è
cambiata a causa di quell’impressione che non è riuscita ad
attraversarti. Adesso la tua attenzione è contesa fra la vita che scorre
e l’evento bloccato, che non si limita a starsene quieto, anzi ti ritorna
in mente. In realtà, è un tentativo di indurti a elaborarlo. Non hai
bisogno di elaborare l’impressione degli alberi, ma quella dell’auto
azzurra sì, devi ancora digerirla. Siccome sul momento hai opposto
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resistenza, quello schema energetico è rimasto incastrato, e ora è
diventato un problema. Ecco che alimenta pensieri ansiosi: «Be’,
forse non era lei. Di sicuro non era lei. Com’è possibile che fosse
lei?». Le ipotesi si susseguono con affanno, finché ti scoppia la testa,
ti sembra di impazzire. Ma tutto quel fracasso è solo un tentativo di
smaltire un’impressione bloccata.
Nel lungo termine, tutti gli schemi energetici che non sono riusciti
ad attraversarti passano in secondo piano e vengono immagazzinati,
in attesa che tu sia pronto a rielaborarli e a scioglierli. Trattengono
un’infinità di particolari legati agli eventi a loro associati, e sono
molto reali. Non scompaiono e basta. Se non consenti agli eventi
della vita di attraversarti, le impressioni da essi generate rimangono
bloccate dentro di te, e diventano un problema. Ci sono blocchi che
possono restare intatti per anni.
Non è facile conservare tanta energia in un posto solo e così a
lungo. Quando opponi una strenua resistenza e impedisci a certi
eventi di attraversare la tua coscienza, per prima cosa quell’energia
cerca di sfogarsi attraverso la mente. Ecco perché l’attività mentale si
intensifica. Quando non può passare dalla mente, per esempio
perché quella particolare impressione contraddice degli schemi o
delle opinioni consolidati, allora cerca una via di fuga attraverso il
cuore. È questo che stimola l’attività emotiva. Se ti opponi anche a
quest’ultimo tentativo di rilascio, l’energia viene immagazzinata nel
profondo del tuo essere. Nello yoga, questi schemi energetici non
elaborati prendono il nome di samskara, un termine sanscrito che
significa “impressione”. Secondo gli insegnamenti yogici, i samskara
sono uno dei fattori che più ci condizionano la vita. Sono blocchi,
rimasugli del passato; sono schemi energetici irrisolti che finiscono
per rovinarci l’esistenza.
Per comprendere tutto ciò, per prima cosa diamo uno sguardo più
approfondito alle leggi della fisica che governano questi blocchi
energetici. L’energia si trasmette sotto forma di onde e per sua natura
deve continuare a scorrere, ma ciò non significa che non possa
restare intrappolata. C’è un modo in cui l’energia può continuare a
muoversi pur rimanendo nello stesso posto, ed è girando su se
stessa. È un fenomeno osservabile tanto negli atomi quanto nelle
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orbite dei pianeti. Tutto è energia, che se non viene contenuta in
qualche modo, tende a espandersi verso l’esterno. Perché ci sia una
creazione manifesta, l’energia deve girare su se stessa e generare
un’unità stabile. Ecco perché l’energia che si manifesta sotto forma di
atomo costituisce il mattone fondamentale dell’universo fisico. Come
abbiamo scoperto, gli atomi hanno imbrigliato un’energia sufficiente
a far esplodere l’intero pianeta, nel caso dovesse essere liberata
all’improvviso. A meno che non sia costretta a fare altrimenti, però,
l’energia resta imbrigliata nella forma e mantiene lo stato di
equilibrio.
Un samskara funziona allo stesso modo, perché in pratica è uno
schema energetico accumulato in passato, che ora vortica su se
stesso in una condizione di relativo equilibrio. È la tua resistenza a
elaborarlo che lo spinge a continuare a girare su se stesso. Non ha
nessun altro posto in cui andare e sei tu che non glielo permetti. È
così che la maggior parte delle persone gestisce i problemi:
immagazzinando blocchi di energia vorticante nel centro energetico
del cuore. Tutti i samskara che hai accumulato nel corso dell’esistenza
sono custoditi lì.
Per cogliere appieno le ripercussioni di questo fenomeno,
torniamo all’esempio della Mustang azzurra che somigliava a quella
della tua fidanzata. Quando vengono immagazzinati nel cuore, gli
schemi energetici bloccati diventano praticamente inattivi. Così, puoi
illuderti di aver gestito la situazione, e che in futuro essa non
rappresenterà un problema. Forse non ne parlerai neppure con la tua
fidanzata, per non darle l’impressione di essere geloso. Non sapendo
bene che fare, hai opposto resistenza al libero fluire dell’energia, hai
creato un blocco, che è stato immagazzinato nel cuore, dove è
passato in secondo piano e potrebbe benissimo non infastidirti mai
più. La questione sembra risolta, ma non è così.
Tutti i samskara che hai messo da parte negli anni sono ancora lì.
Tutte le impressioni che non sono riuscite ad attraversarti, da
quando avevi pochi giorni di vita fino a questo preciso istante, sono
ancora dentro di te. Sono quelle impressioni, quei samskara, che
incrostano la valvola del cuore spirituale. Con il passare del tempo,
l’ostruzione si ingrandisce e limita il flusso energetico.
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Ora che abbiamo compreso da dove vengono i blocchi del cuore,
abbiamo la risposta alla domanda che abbiamo formulato all’inizio:
perché il cuore si chiude? Come avrai sicuramente intuito, i samskara
possono accumularsi al punto da ostruire quasi del tutto il flusso
energetico, e precipitarti nella depressione. In quello stato vedi tutto
buio, perché l’apporto di energia al cuore e alla mente si riduce a un
rigagnolo. Qualsiasi evento appare negativo, perché per raggiungere
la soglia della coscienza, le percezioni dei sensi sono costrette ad
attraversare una spessa coltre di energia depressiva.
Ma anche senza arrivare alla depressione, il cuore può comunque
bloccarsi, pur se in maniera non permanente. Le scorie si
accumulano sempre, ma a seconda delle esperienze che fai nella vita,
il cuore può aprirsi e chiudersi più volte. Questo ci porta alla
domanda successiva: qual è la causa dei frequenti cambiamenti nelle
condizioni del cuore? Se fai attenzione, scoprirai che anch’essi sono
collegati a quelle impressioni del passato che hanno generato dei
blocchi energetici.
Lo ripeto: gli schemi energetici conservati nel cuore sono qualcosa
di molto concreto. Un samskara è ricco di particolari legati all’evento
che non è riuscito ad attraversarti. Se hai provato gelosia perché ti è
sembrato di vedere la tua ragazza abbracciata a un altro, in quel
samskara verranno registrati tutti i dettagli dell’episodio: la sua
vibrazione, la sua natura, e persino la tua sensibilità all’evento.
Per capirlo, riprendiamo quell’esempio e andiamo avanti di
cinque anni. Non stai più con quella fidanzata. In effetti, hai sposato
un’altra e adesso sei più maturo di allora. Un bel giorno, ti trovi in
macchina insieme alla tua famiglia. Vi state divertendo, alberi, case e
auto ti sfrecciano a fianco, ma all’improvviso incroci una Mustang
azzurra con due persone abbracciate sul sedile anteriore… Di colpo
percepisci una tensione all’altezza del petto. Il cuore ha un sobbalzo,
poi comincia a pulsare più velocemente. Ti rabbui, all’improvviso sei
di malumore, diventi agitato e irritabile; di certo non ti diverti più.
Tutti quei cambiamenti interiori sono stati generati dalla breve
visione di una certa automobile. Fai un passo indietro e osserva
l’intero processo: non è sorprendente? Cinque anni fa si è verificato
un certo evento, che è durato appena un istante. Non ne hai mai
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parlato con nessuno, ma a distanza di parecchio tempo rivivi
un’esperienza simile, e questo basta per modificare il flusso
energetico che ti attraversa il cuore e la mente.
Per quanto possa sembrare incredibile, è tutto vero. E la Mustang
azzurra è solo un episodio fra i tanti che hai vissuto. Non c’è da
stupirsi se siamo così stressati, e se i nostri cuori si aprono e si
chiudono di continuo. L’energia che immagazzinano è molto reale, e
interagisce con il flusso dei pensieri e degli eventi. Le dinamiche di
quell’interazione possono attivare le vibrazioni accumulate in un
particolare samskara, talvolta anche ad anni di distanza, come nel
nostro esempio della Mustang. Peraltro non c’era bisogno di rivedere
la stessa identica automobile per attivare l’energia immagazzinata.
Sarebbe bastato lo stesso modello di un altro colore, oppure un’auto
qualsiasi, con sopra due che si tengono stretti stretti. Qualsiasi
situazione simile avrebbe potuto riattivare quel samskara.
Il punto è che le impressioni del passato, anche molto remoto,
vengono stimolate di continuo, e influenzano la tua vita. Tutti gli
impulsi sensoriali degli eventi di oggi vengono confrontati con il
materiale accumulato negli anni, e richiamano in superficie gli
schemi energetici associati. Quando un samskara viene così stimolato,
si apre come un fiore, e inizia a rilasciare l’energia racchiusa.
All’improvviso, nella tua coscienza irrompono flashback relativi a
ciò che hai sperimentato in passato: pensieri, emozioni e talvolta
persino stimoli sensoriali, olfattivi o di altro genere. Un samskara
contiene una descrizione completa dell’evento irrisolto. Ha una
capacità di gran lunga superiore a qualsiasi sistema di archiviazione
digitale ideato dall’uomo. Archivia tutto ciò che hai sentito e pensato
nel momento della sua creazione, nonché tutti i particolari che
riguardano l’esperienza in questione. Questa grande mole di
informazioni viene custodita nel cuore, incapsulata in una minuscola
bolla energetica, che può scoppiare anche ad anni di distanza, e farti
provare le stesse identiche sensazioni dell’evento originario. Capita
addirittura di percepire le paure e le insicurezze di un bambino di
cinque anni quando ne hai ormai sessanta. Basta che venga riattivato
un blocco energetico irrisolto.
Detto questo, è importante capire che la maggior parte delle
impressioni che ricevi non restano bloccate, ma ti attraversano e
spariscono. Pensa a quante cose percepisci ogni giorno: non tutte
diventano dei samskara. Le sole che restano bloccate sono quelle
problematiche, o al contrario quelle particolarmente piacevoli.
Proprio così: archivi anche le impressioni positive. Se ti succede
qualcosa di meraviglioso, tendi ad aggrapparti a quell’esperienza, a
impedirle di andarsene. Per “aggrapparsi” intendo qualcosa del
genere: «Non voglio perdere questo ricordo. Ha detto che mi ama, e
mi sento amata e protetta tra le sue braccia. Non voglio mai
dimenticare questa sensazione bellissima, voglio riviverla
all’infinito». Trattenere questo tipo di esperienze genera samskara
positivi, che, se stimolati, rilasciano energia positiva. Quindi ci sono
due tipi di azioni che bloccano il cuore: respingere le esperienze
problematiche, o aggrapparsi a quelle piacevoli. In entrambi i casi,
impedisci alle impressioni di attraversarti, e così facendo sprechi
energia, perché ostruisci il flusso, vuoi per rifiuto, vuoi per
attaccamento.
L’alternativa consiste nel godersi la vita, senza trattenere o
respingere nulla. Se riesci a vivere così, ogni istante porterà un
cambiamento. Se sei disposto a sperimentare i doni della vita,
anziché combatterli, raggiungerai le profondità dell’essere, e allora
comincerai a scoprire i segreti del cuore. Il cuore è il nodo attraverso
cui scorre l’energia vitale, e questa energia ci dona ispirazione e ci
eleva: è la forza che ci permette di vivere, è una bellissima esperienza
d’amore, che si riversa in tutto il nostro essere. È lo stato in cui
dovremmo vivere sempre. La condizione più elevata che tu abbia
mai sperimentato era una diretta conseguenza del grado di apertura
del tuo cuore in quel momento. Se non ti chiudi mai, puoi restare
così per sempre. Non sottovalutarti, è davvero qualcosa che può
essere presente in ogni momento: ispirazione infinita, amore infinito,
apertura infinita. È questa la condizione naturale di un cuore sano.
Per raggiungere questo stato dell’essere, devi semplicemente
consentire a tutte le esperienze della vita di attraversarti. Se
riemergono dei vecchi schemi energetici che non sei riuscito a
elaborare in passato, lasciali andare ora. Tutto qui. Se incroci di
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nuovo una Mustang azzurra, che risveglia in te antiche paure e
gelosie, sorridi. Rallegrati del fatto che quel samskara, che era rimasto
sepolto nel profondo del tuo essere per tanto tempo, ha finalmente
avuto la possibilità di manifestarsi e di attraversarti. Apriti, rilassa il
cuore, perdona, ridi o fa ciò che ti sembra meglio, ma in ogni caso,
non respingerlo. È ovvio che fa male quando emerge: è stato
immagazzinato con dolore, sarà sciolto con dolore. Sta a te decidere
se vuoi continuare ad andartene in giro con quel peso sul cuore, che
blocca e limita la tua esistenza, o se invece vuoi lasciarlo andare nel
momento stesso in cui affiora in superficie. Ti farà soffrire per un
minutino, e poi sarà sparito per sempre.
Dunque hai una scelta: vuoi intestardirti a cambiare il mondo
affinché nulla disturbi i tuoi samskara, o sei disposto ad attraversare
un processo di purificazione? Non prendere decisioni lasciandoti
influenzare dai blocchi che hai accumulato, impara a centrarti
quanto basta per osservare con distacco tutto ciò che emerge.
Quando avrai imparato a sedere immobile nella radice del tuo
essere, e avrai smesso di combattere contro gli schemi energetici del
passato, questi cominceranno a fuoriuscire di continuo,
attraversandoti. Emergeranno durante il giorno e persino nei sogni.
Il tuo cuore si abituerà a questo processo di rilascio e di pulizia.
Lascia semplicemente che accada. Sciogli i blocchi una volta per
tutte. Non rielaborarli a uno a uno, ci vorrebbe troppo tempo; resta
centrato e lasciali andare. Proprio come l’organismo elimina i batteri
e qualsiasi elemento indesiderato, il normale flusso dell’energia
purificherà il tuo cuore dagli schemi accumulati negli anni.
La ricompensa è un cuore aperto, sempre, senza valvole che si
aprono e si chiudono in base ai capricci della vita. Vivi nell’amore,
che ti alimenta e ti rafforza, ecco cosa significa avere il cuore aperto.
È così che dovrebbe funzionare questo strumento. Dai, sperimenta
ogni nota che è in grado di suonare. Se ti rilassi e sciogli i samskara, ti
accorgerai che la purificazione del cuore è un processo meraviglioso.
Poniti come obiettivo la condizione dell’essere più elevata che riesci a
immaginare, e non perderlo mai di vista. Se scivoli nelle vecchie
abitudini, non importa, rialzati e riprendi il cammino. Il solo fatto
che tu abbia deciso di affrontare questo processo di liberazione fa di
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te un eroe. Prima o poi ce la farai. Non smettere mai di sciogliere e
lasciar andare.
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Trascendere la tendenza a chiudersi

Le fondamenta della crescita spirituale e del risveglio individuale


sono state notevolmente rafforzate dalle scoperte della ricerca
scientifica. La scienza ha dimostrato che l’energia si condensa negli
atomi, che poi si legano in molecole, che a loro volta danno vita
all’intero universo fisico. Per noi vale lo stesso principio. Tutti i
fenomeni che avvengono nella nostra interiorità affondano le radici
nell’energia. Sono le dinamiche di questo campo energetico che
creano gli schemi mentali ed emotivi, nonché le pulsioni interiori, i
desideri e le reazioni istintive. Indipendentemente da come tu
preferisca chiamare questo campo energetico interiore (qi, shakti,
spirito), si tratta di un’energia primaria che scorre al tuo interno
seguendo percorsi specifici.
Se osserviamo questi percorsi dentro di noi, così come nelle altre
specie viventi, non è difficile constatare che il flusso energetico
primordiale è quello dell’istinto di sopravvivenza. Nel corso
dell’evoluzione, dalle forme di vita più semplici a quelle più
complesse, la lotta quotidiana per la sopravvivenza è stata una
costante. Nella nostra società altamente evoluta, anche l’istinto di
sopravvivenza si è modificato. Molti di noi non devono più
preoccuparsi di procurarsi cibo, acqua, vestiti o un riparo; né
rischiano quotidianamente la vita per colpa di un predatore. Il
risultato è che l’energia della sopravvivenza si è riconvertita alla
difesa psicologica, anziché fisica, dell’individuo. L’essere umano
moderno prova il costante bisogno di proteggere la propria identità,
piuttosto che il corpo, e non teme più le forze esterne come un
tempo. La grande battaglia quotidiana si è spostata all’interno, e si
combatte sul terreno delle paure, delle insicurezze, delle abitudini
distruttive.
Nondimeno, gli impulsi che spingono un cervo a scappare sono i
medesimi che ci inducono a fare lo stesso davanti a una situazione di
presunto pericolo. Supponiamo che, durante una discussione, il tuo
interlocutore alzi la voce, o affronti un argomento imbarazzante.
Non si tratta di circostanze che minacciano la tua esistenza, eppure
avverti che il tuo cuore ha cominciato a battere più velocemente. È la
stessa cosa che accade al cervo che sente un rumore improvviso: il
suo battito cardiaco aumenta, e l’animale prova l’impulso di
scappare o restare immobile. Nel tuo caso, però, è difficile che la
paura ti spinga a fuggire fisicamente; piuttosto si presenta come un
forte bisogno di protezione.
Poiché non è socialmente accettabile scappare nei boschi e
nascondersi come fa un cervo, il risultato è che ti rintani in te stesso.
Ti ripari dietro il tuo scudo interiore, cioè chiudi i tuoi centri
energetici. Anche se non sai di averli, hai imparato a chiuderli sin da
quando eri piccolo. Sai perfettamente come chiudere il cuore, e
cingerlo con un muro protettivo, così come sai chiudere gli altri
centri per evitare di aprirti troppo e risultare eccessivamente
sensibile alle numerose energie esteriori che possono penetrare in te,
e di cui hai paura.
Quando ti chiudi e ti proteggi, costruisci un guscio protettivo
intorno a una parte di te che ritieni debole e indifesa. È una parte che
sente un bisogno di protezione, anche se non è minacciata a livello
fisico. Quindi, in realtà proteggi la tua identità, la tua immagine di te
stesso. Anche se non rappresentano una minaccia alla tua esistenza,
certe situazioni suscitano in te emozioni sgradevoli, come paura e
insicurezza. Ecco perché senti la necessità di proteggerti.
Il problema è che quella parte di te che è così suscettibile alle
influenze esterne non è equilibrata. È talmente vulnerabile che basta
un piccolissimo stimolo per provocare una reazione eccessiva. Vivi
su un pianeta che orbita nello spazio infinito, e ti crucci per un
brufolo in fronte, per un graffio sulla macchina nuova o perché ti è
scappato un rutto in pubblico. Non è salutare: se il tuo corpo fisico
fosse altrettanto sensibile, saresti malato. Eppure la nostra società
considera normale qualsiasi forma di suscettibilità psicologica.
Poiché nella maggior parte dei casi non dobbiamo più preoccuparci
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di trovare cibo e riparo, ci concediamo il lusso di preoccuparci per
una macchia sui pantaloni, perché siamo scoppiati a ridere in modo
inopportuno o perché abbiamo detto qualcosa di sbagliato. La nostra
psiche è diventata ipersensibile, e dedichiamo tantissime energie a
difenderla e a proteggerci. Ma questo processo non risolve i
problemi, si limita a occultarli. Blocchiamo la malattia dentro di noi,
e così facendo la situazione non può che aggravarsi.
A un certo punto capisci che, se continui a proteggerti, non sarai
mai libero. È ovvio: essendo spaventato, ti sei “barricato in casa” e
hai tirato giù le tapparelle. Ora è buio pesto e avresti voglia di
sentire i raggi del sole sulla pelle, ma non puoi, è impossibile. Se ti
chiudi e ti proteggi, imprigioni quella creatura spaventata e insicura
nel profondo del tuo cuore e, così facendo, non puoi raggiungere la
libertà.
Alla fine, se ti proteggi da tutto e da tutti, non crescerai mai. Le
tue abitudini e le tue contraddizioni resteranno ferme a ciò che sono.
Quando le persone si limitano a proteggere le problematiche
irrisolte, la vita ristagna. Capita di sentire frasi del genere: «Sai che
non possiamo parlare di questa faccenda in presenza di tuo padre».
C’è tutto un insieme di regole sulle cose che non vanno manifestate
apertamente, perché potrebbero causare disagio. Vivere così concede
ben poco spazio alla gioia, alla spontaneità e all’entusiasmo, e, a
lungo andare, toglie la voglia di vivere. Molte persone passano il
tempo a proteggersi, ad assicurarsi che nulla le sconvolga. Alla fine
della giornata, se chiedi loro: «Com’è andata oggi?», una delle
risposte più comuni è: «Si tira avanti…». Quale visione della vita si
cela tra le righe di quella risposta generica? Che la vita, per loro, è
una minaccia, e che una buona giornata è una giornata trascorsa
senza soffrire. Più vivi così, più ti chiudi.
Se vuoi crescere davvero, devi fare l’esatto opposto. La crescita
spirituale ha luogo solo quando dentro di te c’è una persona sola,
non una parte che è spaventata e un’altra che la protegge. Tutte le
parti si sono riunificate, perché non c’è più nessun lato di te stesso
che ti rifiuti di vedere, e la psiche non è più spaccata fra conscio e
subconscio. Ciò che vedi dentro di te è semplicemente un oggetto
che osservi al tuo interno. Non sei tu, è ciò che vedi. Rimane solo
energia pura, che si riversa dentro di te, creando le increspature dei
pensieri e delle emozioni, e c’è la coscienza che è consapevole di
tutto ciò. Ci sei solo tu, che osservi la danza della mente.
Per raggiungere un tale stato di consapevolezza, devi lasciar
emergere in superficie tutto il contenuto della psiche. Devi lasciar
affiorare ogni singolo pezzo. Ora come ora, trattieni dentro di te
molti frammenti mentali, ma se vuoi essere libero devi esporli tutti
alla luce della consapevolezza, e poi abbandonarli. Se torni a
chiuderti, invece, non esporrai mai nulla. D’altronde, ti chiudi
proprio per evitare di esporre le parti più sensibili di te stesso.
Quindi comprendi bene che, indipendentemente dalla sofferenza che
tale esposizione ti provocherà, è quello il prezzo da pagare per la
libertà. Quando non ti identificherai più con quella parte di te che è
separata in milioni di pezzi diversi, sarai pronto per un’autentica
crescita interiore.
Comincia a riconoscere la tua tendenza a proteggerti e a
difenderti. Questa tendenza a chiudersi è profonda, innata, e
riguarda soprattutto i tuoi punti deboli. Prima o poi ti renderai conto
che chiudersi comporta un lavoro immane. Devi assicurarti che ciò
che proteggi non venga disturbato, e questo è un compito cui devi
poi dedicarti per il resto della vita. L’alternativa è acquisire
consapevolezza di te stesso, così da limitarti a osservare quella parte
del tuo essere che cerca costantemente di proteggersi. Allora puoi
concederti il dono supremo di decidere di non farlo più. Decidi
invece di sbarazzarti di quella parte di te.
Inizia osservando la vita e prendendo consapevolezza del
costante flusso di persone e di oggetti che stimolano la tua
suscettibilità. Quante volte cerchi di proteggerti e di difendere i tuoi
punti deboli? Ti sembra che il mondo sia sempre pronto a colpirti
dove fa più male? Ovunque vai c’è qualcuno o qualcosa che cerca di
turbarti o di irritarti? Perché non dargliela vinta? Se quella parte di te
in realtà è qualcosa che non vuoi più, smetti di proteggerla.
La ricompensa per chi smette di proteggere la propria psiche è la
liberazione. Sei libero di andartene per il mondo senza nessun
problema per la testa. Puoi semplicemente divertirti, goderti ogni
istante. Siccome ti sei sbarazzato del tuo piccolo io spaventato, non
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devi preoccuparti che qualcuno ti ferisca o ti infastidisca, né di dover
affrontare pensieri come: «Cosa penseranno di me?», oppure:
«Oddio, vorrei non averlo detto: ho fatto una figuraccia». Continui a
vivere dedicando tutto te stesso a qualsiasi cosa tu stia facendo,
anziché doverti occupare di proteggere la tua suscettibilità.
Quando ti impegni a liberarti della persona spaventata che c’è in
te, ti accorgi che la crescita personale è un fenomeno che avviene in
un momento ben preciso. Corrisponde all’attimo in cui percepisci un
cambiamento nel campo energetico interiore. Per esempio, una
persona ti muove una critica, e tu senti che, dentro di te, l’energia
cambia, diventa un po’ strana; è come una specie di tensione. È
quello l’indizio che indica la possibilità di crescita. Non è il momento
di difendersi, perché non ti riconosci più in quella parte che dovresti
difendere. Quindi, se non la vuoi, lasciala andare al suo destino.
Poco per volta acquisisci abbastanza consapevolezza da fermarti
nel momento stesso in cui percepisci un’alterazione nel flusso
energetico. Smetti di farti coinvolgere dalle energie squilibranti. Se di
solito ti spingono a replicare verbalmente, allora stai zitto; fermati a
metà frase se necessario, perché sai dove ti portano, se continui.
Nell’istante stesso in cui ti accorgi che stai perdendo il tuo equilibrio
interiore, ovvero quando cominci a sentire che il cuore si irrigidisce e
si sta mettendo sulla difensiva, fermati.
Ma cosa significa esattamente “fermarsi”? È un processo interiore
che viene definito “lasciar andare”. Quando lasci andare, abbandoni
l’energia che stava per trascinarti via con sé. Le energie interiori sono
molto forti e pertanto sono capaci di attrarre e assorbire tutta la tua
consapevolezza. Se ti cade un martello sul piede, tutta la tua
consapevolezza si concentra sul piede. Lo stesso accade quando senti
un rumore forte e improvviso: attira tutta la tua attenzione. La
coscienza tende a concentrarsi sui fattori di disturbo, e le energie
sottili che disturbano la quiete interiore non fanno eccezione:
anch’esse attraggono la coscienza. Ma non sei costretto a permettere
che ciò accada: sei capacissimo di staccarti da quel meccanismo e
lasciarti quei comportamenti deleteri alle spalle.
Quando ti accorgi che le energie interiori cominciano a muoversi,
non farti trascinare. Per esempio, se ti sorge un pensiero, non sei
p g p
costretto a seguirlo. Immaginiamo che tu stia facendo una
passeggiata e che vedi passare una bella macchina. La mente pensa:
«Come mi piacerebbe comprarmene una così….». Potresti
semplicemente continuare a camminare, e invece ti accorgi che sei
irritato: vorresti un’auto come quella, ma con il tuo stipendio non
puoi permettertela. E così, inizi a pensare a come ottenere un
aumento, o cambiare lavoro. Be’, non eri costretto a seguire il filo di
quel primo pensiero. L’auto è arrivata e se n’è andata, e il relativo
pensiero avrebbe potuto fare altrettanto: comparire e scomparire.
Sarebbero svaniti entrambi per il semplice motivo che non avresti
concesso loro la tua attenzione. Ecco cosa significa essere centrati.
Se non sei centrato, la tua coscienza non farà altro che seguire
qualsiasi cosa catturi la sua attenzione. Vedi passare un’auto, e subito
pensi a questa, tralasciando tutto il resto. Il giorno dopo vedi una
barca, e allora tutti i pensieri sull’auto cedono il passo a quelli sulla
barca. Alcune persone vanno avanti così. Sono quelle che in genere
non riescono a mantenere un posto di lavoro a lungo e che tendono a
imbastire relazioni fallimentari, perché hanno un sacco di cose per la
testa e disperdono le loro energie ai quattro venti.
Sei perfettamente in grado di non farti coinvolgere da nessun
pensiero del genere. Devi solo restare centrato nella sede della
coscienza, e lasciare che pensieri ed emozioni sorgano e spariscano
da soli. Li osservi, e poi li abbandoni. Questa tecnica di liberazione si
basa sul presupposto che pensieri ed emozioni siano solo oggetti
della conoscenza. Quando nel cuore provi ansia, ovviamente sei
consapevole di quello stato d’animo. Ma chi è consapevole? È la
coscienza, l’essere interiore, l’anima, il Sé. È l’osservatore, colui che
vede tutto. Anche i cambiamenti che sperimenti nel flusso energetico
interiore sono solo degli oggetti della coscienza. Se vuoi liberarti,
ogni volta che percepisci una modificazione nel flusso, rilassati e
lasciala andare. Non ostacolarla, non cercare di cambiarla e non
giudicarla; non dirti: «Non ci posso credere, ci sto di nuovo
pensando. Mi ero ripromesso di non pensare mai più a
quell’auto…». Non farlo, perché finiresti solo per abbandonare il
pensiero dell’auto per seguire quello del senso di colpa. Devi lasciar
andare tutto.
Ma non si tratta solo di lasciar andare pensieri ed emozioni. In
realtà il processo consiste nel liberarsi della forza di attrazione che
l’energia stessa esercita sulla tua coscienza. Quell’energia squilibrata
sta cercando di attrarre l’attenzione su di sé, ma se metti in campo la
tua forza di volontà e non la segui, restando semplicemente centrato,
osservi che la distinzione tra coscienza e oggetto della coscienza è
paragonabile a quella che c’è tra il giorno e la notte: sono due cose
completamente diverse. L’oggetto va e viene, mentre la coscienza lo
osserva andare e venire. Poi sorge un altro oggetto, che anch’esso
passa e se ne va, e la coscienza sta ferma e ne segue il tragitto.
Entrambi gli oggetti sono emersi e poi sono spariti, ma la coscienza
non è andata da nessuna parte, è rimasta costante nel suo ruolo di
osservatore, semplicemente consapevole di ciò che accade. La
coscienza sperimenta la creazione di pensieri ed emozioni, e dispone
della lucidità necessaria per scorgerne l’origine. Osserva tutto senza
pensare e vede con la stessa facilità tanto i fenomeni interiori quanto
quelli esteriori. Osserva le energie interiori che si modificano in base
all’azione delle forze interiori o esteriori. I fenomeni che osservi
sorgono e svaniscono, a meno che tu non perda la centratura e ti
lasci trascinare da essi.
Proviamo a esaminare al rallentatore cosa accade quando ti perdi
in quelle energie squilibranti. All’inizio sorge un pensiero o
un’emozione. Può essere qualcosa di molto forte, oppure di appena
percettibile, che però ti provoca un irrigidimento, ti spinge sulla
difensiva. Se la tua coscienza viene catturata da un’energia del
genere, tutto il suo potere si concentra su questa, e la alimenta. La
coscienza ha una forza straordinaria, e quando si focalizza su un
pensiero o un’emozione, li carica di energia e di potere. È questo il
motivo per cui i fenomeni intellettivi ed emotivi si rafforzano in
proporzione all’energia che attribuisci loro. Immaginiamo che un
giorno provi una lieve gelosia, o un po’ di paura. Se ti concentri su
quello stato d’animo, gli dai importanza e gli permetti di esigere
un’attenzione sempre maggiore. Ma l’attenzione lo alimenta, e quindi
esso diventa ancora più forte e attrae ulteriore attenzione. Si instaura
così un circolo vizioso, e quella che all’inizio era un’emozione fugace
diventa il fulcro della tua stessa esistenza. Se non la lasci andare
quanto prima, la situazione può davvero sfuggirti di mano.
Il saggio rimane sempre sufficientemente centrato da
abbandonare sentimenti e pensieri ogni volta che capisce di essersi
messo sulla difensiva. Nel momento stesso in cui percepisci un
cambiamento nel flusso energetico interiore, e senti che la tua
consapevolezza si sta dirigendo lì, rilassati e lascia andare. Questo
vuol dire lasciare che quel particolare schema energetico svanisca
così come è emerso, invece di farsene attrarre; ci vuole solo un attimo
di sforzo cosciente per decidere di non prendere quella direzione.
Lascialo andare, assumiti il rischio: scommetti che starai meglio
abbandonandolo anziché facendoti coinvolgere. Se ti liberi della
morsa che sta cominciando a stringerti, sperimenterai tutta la gioia e
l’espansività che ci sono in te.
È per questo che dobbiamo usare la nostra stessa vita per
liberarci, ed essere disposti a pagare qualsiasi prezzo per la libertà
della nostra anima. A un certo punto capirai che l’unico prezzo da
pagare è abbandonare te stesso. Solo tu puoi rinunciare alla libertà
interiore, oppure concedertela; nessun altro può farlo al posto tuo.
Non importa cosa fanno gli altri, a meno che tu non decida
altrimenti. Comincia dalle piccole cose. Tendiamo a lasciarci
infastidire da tanti contrattempi insignificanti che ci accadono ogni
giorno. Per esempio, qualcuno ti suona il clacson mentre sei fermo al
semaforo. Nel momento stesso in cui percepisci un cambiamento
interiore in reazione a questo evento esteriore, rilassa le spalle e
l’area del cuore. Appena percepisci un movimento energetico,
rilassati e lascia andare. Gioca con questa sensazione di abbandono
delle tensioni, e osserva con distacco il senso di fastidio che emerge e
svanisce. Supponiamo che al lavoro qualcuno ti abbia fregato la
penna. Ogni volta che sei costretto a cercarne un’altra senti un
cambiamento energetico dentro di te, benché minimo. Chiediti:
«Sono disposto a rinunciare alla vecchia penna in cambio della
libertà?». È così che fai della libertà un gioco. Invece di irritarti per
una certa situazione, la trasformi in un esercizio di libertà. E quando
prendi una penna sostitutiva, e provi di nuovo un lieve senso di
irritazione, rilassati e lascia andare. Naturalmente potresti pensare:
p p
«Oggi è una penna, ma se lascio correre, domani sarà qualcos’altro.
Magari la mia scrivania, la mia casa o persino mio marito!». La
mente è piuttosto melodrammatica. Ma per ora è solo una penna,
quindi vai a prenderne un’altra. Ti dici: «Quando si tratterà
dell’automobile, ne riparleremo, per adesso, però, la mia libertà costa
solo una penna». Decidi che, indipendentemente da ciò che ti passa
per la testa, non ti farai coinvolgere. Non devi lottare con la mente,
in realtà non provi neppure a cambiarla: trasformi quel piccolo
dramma quotidiano in un gioco, imparando a rilassarti e ad
abbandonare la tendenza a farti assorbire dall’energia. La base di
questa tecnica è prendere coscienza dell’attrazione che queste
energie esercitano su di noi.
Devi capire che hanno la capacità di coinvolgerci totalmente.
Anche se decidi che non glielo permetterai, esercitano comunque un
potere tremendo. Succede al lavoro così come a casa, con i figli o con
il partner. Accade con qualsiasi cosa e in ogni situazione, ma d’altro
canto ciò significa che le opportunità di crescita sono infinite, le hai
sempre lì sotto gli occhi. Decidi di non lasciarti assorbire da quelle
energie perturbatrici. Quando percepisci la loro attrazione, come una
tensione a livello del cuore, rilassati, scioglila; non serve far altro. E
per quante volte al giorno accada, tu continui a ripetere il
procedimento: rilassati e lascia andare. Poiché la tendenza a cedere
alla forza di attrazione è costante, anche la volontà di svincolarsi
dev’essere costante.
Il centro della coscienza è più forte delle energie che provano ad
attrarlo. Devi solo impegnarti a esercitare la tua volontà, ma attento
a non trasformarla in una lotta o in uno sforzo. Non stai cercando di
impedire a quelle energie di emergere, tutt’altro: non c’è nulla di
sbagliato nel provare paura o gelosia, non è certo colpa tua se
esistono. Tutte le attrazioni, le repulsioni, le idee e le emozioni del
mondo non fanno alcuna differenza: non ti rendono più puro o più
impuro, non sono te. Tu sei colui che le osserva, la cui natura è
coscienza pura. Non cadere nel tranello di credere che se quel genere
di emozioni non esistesse, saresti libero. Non è così che stanno le
cose. Se riesci a essere libero pur provando quelle emozioni, allora
sei davvero libero, perché ci sarà sempre qualcosa.
p p q
Se imparerai a restare centrato davanti ai piccoli contrattempi
della vita, riuscirai a farlo anche nelle situazioni più gravi. A tempo
debito, scoprirai che puoi far fronte anche alle tragedie: una volta ti
avrebbero distrutto, ma adesso appaiono e svaniscono, lasciandoti
perfettamente centrato e in pace. Nel profondo del tuo essere, puoi
star bene anche al cospetto di una grande perdita. Non c’è nulla di
sbagliato nel rimanere sempre tranquilli e centrati, a patto di
sciogliere i blocchi energetici, anziché reprimerli. In ultima analisi,
anche se ti accadesse qualcosa di terribile, saresti in grado di
lasciarlo correre senza accumulare cicatrici emotive. Se non trattieni i
traumi dentro di te, puoi andare avanti con la tua vita senza subire
danni psicologici. Indipendentemente dalla natura degli eventi che ci
capitano, è sempre meglio lasciarli andare anziché chiudersi e
respingerli.
C’è un luogo, alle radici del tuo essere, in cui la coscienza entra in
contatto con l’energia, e l’energia entra in contatto con la coscienza. È
da lì che devi intervenire: è da quello spazio che devi lasciar andare.
Quando avrai imparato a farlo in ogni istante della giornata, anno
dopo anno, allora dimorerai stabilmente in quella dimensione.
Nessuno potrà rimuoverti dalla sede della coscienza, starai sempre
lì. E dopo aver dedicato anni a questo processo, e imparato ad
abbandonare qualsiasi cosa, indipendentemente dal dolore che
provoca, approderai a una grande realizzazione: avrai spezzato la
dipendenza più importante, l’incessante attrazione del sé inferiore.
Sarai libero di esplorare la natura e la fonte del tuo vero essere, la
coscienza pura.
Parte terza
LIBERARE SE STESSI
8
Abbandonare o cadere

L’esplorazione del Sé è inestricabilmente intrecciata al dispiegarsi


della vita. Gli alti e i bassi dell’esistenza possono contribuire alla
crescita personale, o viceversa generare paure: dipende da come
interpretiamo il cambiamento. Il cambiamento può essere
considerato tanto entusiasmante quanto spaventoso, ma
indipendentemente dal modo in cui lo affrontiamo, dobbiamo
comprendere che è insito nella natura stessa della vita. Se sei pieno
di paure, cambiare non ti piacerà. Cercherai quindi di crearti una
realtà circostante che sia prevedibile, controllabile e definibile. Ti
creerai un mondo che non stimoli le tue paure. La paura non vuole
essere percepita, perché… ha paura di se stessa. Per questo userai la
mente per manipolare la vita, in modo da non sperimentare mai la
paura.
Le persone non capiscono che la paura è una cosa. È solo uno dei
tanti oggetti dell’universo di cui si può fare esperienza. Di fronte alla
paura puoi procedere in due modi: riconoscerla e provare a
liberartene, oppure tenertela stretta e cercare di nasconderti. Chi non
affronta le sue paure con obiettività, non le capirà mai e finirà per
tenersele strette nel cuore ed evitare accuratamente qualsiasi
situazione che rischi di stimolarle. Nel corso dell’esistenza cercherà
di mantenersi sempre in una condizione di sicurezza e di controllo,
definendo il modo in cui devono andare le cose per non provare
malessere. Ma è proprio così che il mondo diventa un luogo
angosciante.
Questo atteggiamento potrebbe non sembrarti angosciante, e anzi
darti un senso di sicurezza. Invece non è affatto sicuro. Se segui
questa strada, il mondo finirà davvero per apparire minaccioso, e la
tua vita diventerà un’eterna lotta contro tutto e tutti. Quando hai
paura, o ti senti insicuro e vulnerabile, ma ti sforzi di impedire che
qualcosa stimoli queste sensazioni, inevitabilmente andrai incontro a
situazioni e cambiamenti che ti metteranno alla prova in questo
senso. Se ti opponi ai cambiamenti, la vita diventerà una battaglia
perpetua. Per esempio, penserai che una certa persona non si
comporti come dovrebbe, o che un determinato evento non si svolga
come vorresti tu. Vedrai il passato come una fonte di turbamento, e il
futuro come un insieme di potenziali problemi. Le tue definizioni di
situazione desiderabile o indesiderabile, così come di buona o
cattiva, derivano dal fatto che hai deciso quali caratteristiche
dovrebbe avere il mondo perché tu possa vivere in pace.
Lo facciamo tutti, ma nessuno si chiede se sia opportuno.
Crediamo di avere il diritto di immaginare come dovrebbe essere la
nostra esistenza, e poi comportarci di conseguenza. Solo chi è capace
di guardare al di là delle apparenze, e si domanda perché abbiamo
bisogno che gli eventi della vita vadano in un certo modo e non in
un altro, mette in dubbio questo presupposto. Come siamo arrivati a
pensare che la vita non vada bene così com’è, o che non andrà bene
così come sarà? Chi ha deciso che c’è qualcosa di sbagliato nel
naturale decorso dell’esistenza?
La risposta è facile: lo ha deciso la paura. La parte di te che non si
trova a suo agio con se stessa non riesce ad accettare che la vita faccia
il suo corso, perché è un fenomeno che sfugge al suo controllo. Se un
certo evento stimola un problema interiore, automaticamente lo
rifiuti. È davvero semplice: ciò che non ti disturba va bene, mentre
quello che ti crea malessere non va bene. Definisci l’intera esperienza
esteriore in base agli effetti che ha sulle tue problematiche interiori.
Ma se vuoi crescere spiritualmente, devi cambiare atteggiamento. Se
definisci l’intero creato basandoti sugli aspetti più confusi del tuo
essere, come pensi che ti apparirà il mondo? Ovviamente, confuso e
terribile.
Quando progredisci sul cammino spirituale, comprendi che i
tentativi di proteggerti dai problemi in realtà non fanno che crearne
altri. Se cerchi di controllare le circostanze, le persone e gli ambienti
della tua esistenza, affinché non ti creino malessere, finirai per avere
l’impressione che la vita ce l’abbia con te. Ogni giorno ti sembrerà
p g g
una lotta, una fatica, perché sarai costretto a controllare e combattere
contro tutto. Vivrai di competitività, gelosia e paura, e penserai che
chiunque, in qualsiasi momento, possa farti soffrire. È sufficiente che
una persona dica o faccia qualcosa, perché tu ti irrigidisca. Tutto
diventa una minaccia. Ecco perché sei sempre preoccupato, ecco
perché hai la testa immersa in un incessante dialogo interiore: perché
pensi a come impedire alle cose di accadere, oppure rimugini sul da
farsi una volta che sono successe. Sei in guerra con il creato, il che lo
rende la cosa più spaventosa del mondo.
L’alternativa c’è, ed è decidere di non lottare. Devi accettare che la
vita non si può controllare, perché è in continuo cambiamento, e
devi capire che, se cerchi di controllarla, non riuscirai mai a
godertela appieno. Invece di accoglierla, ne avrai paura. Ma nel
momento in cui decidi di non combattere, sei costretto ad affrontare
la paura che prima ti incitava a combattere. Per fortuna, non devi
tenertela dentro: è possibile vivere senza paura, ma, per contemplare
una tale possibilità, per prima cosa bisogna capire in cosa consiste
questo particolare stato d’animo.
Quando sei pervaso dalla paura, gli eventi della vita finiscono
inevitabilmente per stimolarla. Come un sasso gettato nell’acqua, il
mondo e i suoi incessanti cambiamenti producono delle increspature
in ogni aspetto del tuo essere. Non c’è nulla di sbagliato in questo: la
vita ci mette davanti a situazioni che ci inducono a scoprire i nostri
limiti, e che hanno l’effetto di rimuovere ciò che è bloccato dentro di
noi. Infatti, sono proprio queste ostruzioni sepolte nel profondo del
nostro essere la vera radice della paura. La paura è una conseguenza
dei blocchi nella normale circolazione del flusso energetico. Quando
ciò accade, l’energia non riesce ad alimentare adeguatamente il
cuore, che di conseguenza si indebolisce e diventa più vulnerabile
all’influenza di vibrazioni di bassa lega, fra le quali la paura
primeggia. La paura è l’origine di tutti i mali. Da essa nascono
pregiudizi ed emozioni negative, come rabbia, gelosia e possessività.
Se non avessi paura, saresti felice di vivere nel mondo così com’è.
Niente ti turberebbe. Saresti sempre pronto ad affrontare chiunque e
qualsiasi cosa, perché dentro di te non ci sarebbero paure in grado di
farti star male.
Lo scopo dell’evoluzione spirituale è proprio rimuovere i blocchi
che provocano la paura. L’alternativa è proteggerli e rafforzarli, in
modo da non provare questo sentimento sgradevole. Ma se fai una
cosa del genere, sei costretto a controllare tutto, per evitare il
confronto con i tuoi problemi interiori. È difficile capire perché
abbiamo deciso che sia saggio sfuggire a questo confronto, ma è una
cosa che facciamo abitualmente. Sotto sotto pensiamo: «Farò di tutto
per difendere i miei problemi, se dici qualcosa che mi turba, mi
difenderò. Ti urlerò contro e ti costringerò a rimangiarti tutto. Se solo
provi a infastidirmi, la pagherai cara!». In altri termini, se qualcuno
fa qualcosa che stimola le tue paure, pensi che abbia sbagliato, e poni
in campo tutte le tue risorse per assicurarti che non accada mai più.
Per prima cosa ti difendi a spada tratta, e poi ti metti al riparo. Sei
disposto a tutto, pur di evitare qualsiasi turbamento.
Ma nel corso del tempo acquisirai la saggezza necessaria per
capire che è inutile portarsi appresso quello scomodo bagaglio
interiore. Non importa chi lo stimoli, quale situazione lo scateni, così
come non conta se abbia una sua logica, o se sia giusto o ingiusto.
Sfortunatamente, la maggior parte di noi non ha questo grado di
lucidità e non vuole sbarazzarsi del proprio fardello personale, anzi
trova mille giustificazioni per tenerselo stretto.
Se vuoi davvero crescere a livello spirituale, devi capire che è
proprio questo attaccamento a tenerti in trappola. Prima o poi non
ne potrai più, e desidererai sbarazzartene a qualsiasi costo. Allora
comprenderai che la vita vuole semplicemente aiutarti a farlo,
proponendoti le persone e le situazioni adatte a favorire la tua
crescita personale. Non sta a te decidere chi ha ragione o torto, né
preoccuparti delle problematiche altrui. Devi solo essere disposto ad
aprire il cuore a qualsiasi situazione o persona ti capiti davanti, e
acconsentire che il processo di purificazione abbia luogo. Una volta
fatto ciò, per prima cosa noterai che certe situazioni sollecitano i
blocchi irrisolti che ti porti dentro, e poi che, se ci pensi bene, è
sempre stato così. La differenza è che adesso percepisci questi
stimoli come qualcosa di positivo, perché rappresentano
un’occasione per abbandonare un peso inutile.
Di tanto in tanto, i problemi interiori che vogliono trattenerti in
basso riaffioreranno. Quando accade, non opporre resistenza.
Consenti al dolore di raggiungere il centro del cuore e di
attraversarlo; così facendo, passerà. Se sei sincero nella tua ricerca
della verità, lascia andare qualsiasi cosa affiori. Questa azione è al
contempo l’inizio e la fine del cammino: arrenditi al processo di
pulizia. Man mano che procederai con il lavoro, imparerai a
conoscere le sottili leggi dell’abbandono.
C’è una legge che scoprirai subito, nelle prime fasi del processo,
perché è ineludibile. La scoprirai presto, ma sbaglierai più volte
prima di riuscire a seguirla. È molto semplice: ogni qualvolta un
problema represso viene stimolato, lascialo andare subito, perché
più aspetti e più sarà difficile farlo. Se cerchi di analizzarlo o
manipolarlo, nella speranza di allentare la tensione, finisci solo per
complicarti il lavoro. E non serve nemmeno rifletterci su, parlarne
con qualcuno o rilasciarlo un pezzo alla volta. Se vuoi essere libero
fino in fondo, devi abbandonare subito il problema emerso, perché
più ritardi, e più diventerà difficile.
Per vivere secondo questa legge, devi comprenderne i principi.
Innanzitutto, prendi consapevolezza del fatto che in te ci sono dei
problemi irrisolti che vanno liberati. Poi renditi conto che tu, colui
che osserva quelle tensioni mentre emergono, sei distinto da ciò che
provi. Le osservi, ma chi sei? Sei colui che dimora nel centro della
consapevolezza, nel banco del testimone, nella sede del Sé. È l’unico
posto da cui puoi lasciare andare tutto il resto. Supponiamo che tu ti
accorga che qualcosa di spiacevole, all’altezza del cuore, sia stato
stimolato da un evento esteriore. Se lo lasci andare subito, e resti
saldo sul trono della consapevolezza, lo osservi e passa. Se invece
resisti, e al contrario ti perdi in quel vortice di emozioni e di pensieri
disarmonici, tutto accadrà con una rapidità tale che, quando sarà
finito, non saprai nemmeno cos’è successo.
Se non lasci andare, scoprirai che l’energia stimolata nel cuore è
peggio di una calamita. Ha una forza di attrazione incredibile, ed è
capace di assorbire tutta la tua attenzione. In un attimo, non ci sei
più: non hai più la consapevolezza che avevi nel momento in cui hai
notato le prime avvisaglie del malessere interiore. Sei caduto dal
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trono della coscienza, dal quale eri riuscito a scorgere l’inizio della
reazione, e sei diventato preda dei turbini energetici che si sono
scatenati. Qualche tempo dopo, torni in te e ti rendi conto che non
eri presente. Ti centri nuovamente, e capisci che ti sei completamente
perso all’interno delle energie dolorose che sono affiorate. A quel
punto puoi solo sperare di non aver detto o fatto qualcosa di cui
dovrai pentirti.
Dai un’occhiata all’orologio, e scopri che sono passati cinque
minuti, o magari un’ora, o anche un anno. Si può smarrire la lucidità
per molto tempo. Dov’eri finito? E come hai fatto a tornare indietro?
Risponderemo a queste domande tra poco, ma è importante notare
che, quando percepisci le cose con lucidità, non vai da nessuna parte.
Resti centrato nella sede della consapevolezza, e osservi con distacco
tutto ciò che affiora. Ricorda: se lo stai osservando, vuol dire che non
ti ha catturato.
Il punto cruciale è che, se non lasci immediatamente andare ciò
che emerge, la forza perturbatrice dell’energia riattivata assorbirà
tutta la tua consapevolezza, finché questa non abbandonerà la
dimora del Sé e tu perderai la lucidità. Accade in un battibaleno.
Non percepisci nessun cambiamento, non più di quando perdi la
consapevolezza del divano su cui sei seduto perché ti lasci assorbire
da una lettura avvincente o da un programma televisivo. Di colpo
non sei più centrato, non sei più nel punto immobile da cui avevi
una consapevolezza a trecentosessanta gradi dell’ambiente
circostante. La coscienza abbandona la sua posizione di testimone
delle diverse energie che si muovono dentro di te, e viene risucchiata
da una sola di queste, fino a identificarsi con essa.
Di norma l’abbandono della dimora del Sé non è un atto
intenzionale, ma è governato dalle leggi dell’attrazione. La coscienza
è sempre attratta dall’oggetto che causa più distrazione: può trattarsi
di una martellata sul piede, di un rumore improvviso o di un cuore
che sanguina. La stessa legge agisce dentro e fuori di noi. La
coscienza si dirige verso ciò che le causa maggiore distrazione. È ciò
che intendiamo quando diciamo: «È stato così intenso che ha
catturato tutta la mia attenzione». Si tratta per l’appunto di un evento
che ha assorbito la tua consapevolezza per intero. La stimolazione
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dei blocchi irrisolti attiva la stessa forza di attrazione, e la
consapevolezza accorre verso l’origine del turbamento, che a quel
punto diventa la nuova dimora della coscienza. Quando il disturbo
si risolve e ti senti di nuovo in pace, la coscienza ritorna
naturalmente alla sua sede legittima, il trono del Sé. È lì che abiti
quando nulla ti distrae. Ma per quanto importante sia quella
nobilissima dimora, lo è altrettanto osservare cosa accade quando un
problema ti distrae: la coscienza si precipita immediatamente nel
luogo del malessere, e il mondo intero ti appare diverso.
Proviamo ad analizzare questa caduta, una fase alla volta. Tutto
comincia quando l’energia di un blocco irrisolto ti trascina giù con
sé, e ti ritrovi in un posto che non ti appartiene, l’ultimo in cui
vorresti finire. Adesso osservi il mondo attraverso il velo confuso di
quell’energia disarmonica, e tutto ti appare distorto dalla nebbia del
malessere interiore. Ciò che prima era bello, ora è brutto; le cose che
prima ti piacevano diventano orribili e deprimenti. Ma in realtà non
è cambiato un bel niente: stai semplicemente osservando la vita dalla
prospettiva del turbamento.
Queste dislocazioni della percezione dovrebbero rammentarti
quanto sia importante sciogliere i blocchi energetici e lasciarli
andare. Nel momento stesso in cui una persona che ti era simpatica
comincia a non andarti più a genio, nell’attimo in cui ti accorgi che la
vita ti appare davvero diversa, nell’istante in cui cominci a vedere
tutto nero, c’è solo una cosa da fare: lasciare andare. Avresti dovuto
farlo prima, ma non ci sei riuscito. L’unico problema è che ora è più
difficile. Avresti potuto fare un bel respiro e lasciarti attraversare da
quell’energia fastidiosa nel momento stesso in cui si è formata, ma
non l’hai fatto. Ora, per riportare la coscienza alla sua sede originaria
e completare il ciclo, dovrai fare un bel po’ di lavoro.
Il ciclo consiste nel periodo di tempo che intercorre dal momento
in cui abbandoni la condizione di lucidità a quello in cui vi fai
ritorno. È determinato dalla profondità dei blocchi energetici che
hanno causato il turbamento iniziale. Una volta attivato, il blocco
deve fare il suo corso. Se non lo lasci andare, vieni risucchiato dalla
sua energia e non sei più libero; ti trovi in trappola. Una volta persa
la lucidità, sei alla mercé dell’energia disarmonica. Se quel blocco è
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stato stimolato da una situazione che si protrae da tempo, potresti
restare imprigionato per molto tempo. Se invece si attiva in virtù di
un evento passeggero, e l’energia rilasciata si dissipa
immediatamente, allora risalirai in fretta. Il punto principale è che
tutto ciò non dipende più dal tuo controllo, perché l’hai perso.
È questa la dinamica della caduta. Quando ti trovi in uno stato di
disarmonia interiore, tendi ad agire in modo tale da ripristinare la
condizione iniziale. Ti manca però la lucidità necessaria per capire
cosa stia realmente accadendo, desideri solo stare meglio. Così ti
affidi all’istinto di sopravvivenza. Potresti sentire la necessità di un
intervento drastico, per esempio abbandonare la moglie o il marito, o
cambiare casa, o licenziarti in tronco. La mente comincia a proporre
soluzioni di ogni sorta, perché si trova in una condizione che non le
piace, e vuole scappare a qualsiasi costo.
Adesso viene il peggio. Immagina che, mentre sei perso in questo
stato di squilibrio, tu faccia una delle cose che la mente ti suggerisce.
Immagina, per esempio, che ti licenzi davvero: «Basta! È troppo
tempo che mi tengo tutto dentro, adesso lo chiamo e gli dico quello
che penso!». Non hai idea di che errore madornale stai per
commettere. Se l’energia perturbata resta dentro di te è un conto, ma
nel momento in cui le permetti di esprimersi e lasci che si trasformi
in azione, la faccenda cambia radicalmente: precipiti a un livello
ancora più basso, dove è praticamente impossibile lasciar andare e
sciogliere i blocchi. Se te la prendi con qualcuno, o anche solo gli dici
cosa pensi di lui mentre sei in quello stato di non lucidità, coinvolgi
un’altra psiche e un altro cuore nelle tue problematiche personali. Gli
ego coinvolti diventano due. Una volta che hai esteriorizzato le tue
energie disarmoniche, cercherai di difendere il tuo operato e di farlo
apparire giustificato, cosa che il tuo interlocutore non accetterà mai.
A quel punto intervengono altre forze, che ti tarpano
ulteriormente le ali. Per prima cosa sei precipitato nell’oscurità, e poi
l’hai manifestata all’esterno, scaricando letteralmente il tuo blocco
energetico addosso a un altro. Quando rovesci i tuoi problemi nel
mondo in questo modo, è come se li propagassi tutt’intorno a te.
Spargi quel tipo di energia nell’ambiente in cui vivi, e prima o poi ti
ritornerà indietro. Finirai per essere circondato da persone che si
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comportano come te. È una forma di inquinamento ambientale che
condiziona pesantemente l’esistenza.
È così che si genera un circolo vizioso. In pratica, prendi i tuoi
problemi irrisolti, cioè quegli schemi energetici del passato che si
sono radicati in te, e li impianti nei cuori di chi ti circonda. A un
certo punto, ti tornano indietro: tutto ciò che butti fuori, prima o poi
ritorna. Immagina cosa può succedere se quando sei arrabbiato
rovesci quell’energia disarmonica su una persona cara. È così che si
guastano i rapporti, è così che ci roviniamo la vita a vicenda.
Fino a che punto ti abbasserai? Siccome sfogandoti in questo
modo ti sei indebolito, ora rischi maggiormente che un altro blocco
venga stimolato, e poi un altro ancora. Rischi di precipitare in una
condizione in cui la vita diventa un inferno, in cui non hai più alcun
controllo su di te, e sei completamente sbilanciato. In questo stato,
potresti avere ancora qualche barlume di lucidità, ma non riesci a
trattenerlo. Sei perso. Dubiti che il risveglio di un singolo schema
energetico incastrato nella profondità del cuore possa innescare una
caduta che dura una vita intera? Dovresti ricrederti, perché succede.
Pensa che, per evitare un disastro del genere, sarebbe stato
sufficiente abbandonare il blocco originario non appena si è
presentato. Se lo avessi fatto, saresti salito di un gradino, anziché
scendere. E così che funziona. Quando qualcosa smuove un vecchio
schema energetico dentro di te, rallegrati, perché hai l’opportunità di
scioglierlo, aprendo il cuore. Se lo lasci andare, e acconsenti che il
processo di purificazione faccia il suo lavoro, quell’energia sarà
liberata e riprenderà a scorrere. Si trasformerà in una forza purificata
e tornerà a fondersi con il centro della coscienza. Ti rafforzerà,
anziché indebolirti, e ti aiuterà a elevarti sempre più in alto, finché
scoprirai il segreto dell’ascesa. Il segreto dell’ascesa consiste nel
rivolgere sempre lo sguardo verso l’alto, e mai verso il basso.
Qualsiasi cosa succeda sotto di te, punta gli occhi verso l’alto, e
rilassa l’area del cuore. Non abbandonare la dimora del Sé per
affrontare le tue tenebre, non serve: se glielo permetti, si
purificheranno da sole, ma se cominci ad analizzarle, finirai per
alimentarle, anziché dissiparle. Non degnarle nemmeno di uno
sguardo. È normale che esistano: non pensare di non avere più alcun
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blocco energetico da sciogliere. Tuttavia resta sempre saldo sul trono
della consapevolezza, non abbandonarlo mai. Indipendentemente da
ciò che vedi accadere ai tuoi piedi, rimani lì, apri il cuore e lascia
andare i blocchi. In tal modo ti purificherai, finché non conoscerai
più cadute.
E se ti capita di scivolare, rialzati e prosegui il cammino. Serviti di
quella lezione per rafforzare la tua determinazione. Dimenticati la
dinamica della caduta, non razionalizzarla, non giudicarla e non
analizzarla nel tentativo di capirci qualcosa. Ribadisco: non fare
niente, lascia andare i blocchi e consenti all’energia di tornare nel
centro della coscienza. Se provi vergogna, lasciala andare; se provi
paura, lasciala andare: sono solo i rimasugli di un blocco energetico
che è stato purificato.
Se un giorno ti accorgi che un blocco non si è sciolto
completamente, rilassati e lascia andare tutto quel che resta. Non
sprecare il tuo tempo: usa l’energia per muoverti verso l’alto. Sei un
essere magnifico, cui è stata concessa l’incredibile opportunità di
esplorare se stesso. È un processo entusiasmante, ma comprende alti
e bassi. Può accadere qualsiasi cosa nel corso del viaggio, ed è
proprio questo il bello.
Evita le cadute, se possibile. Lascia andare tutto ciò che emerge in
te. Non importa cosa sia, non trattenere nulla. Più il blocco è
importante, più grande sarà la ricompensa se lo abbandonerai, ma
più gravi saranno le conseguenze se lo tratterrai. È davvero una
scelta netta: o lasci andare, o non lo fai; non ci sono vie di mezzo.
Trasforma tutti i tuoi blocchi e tutti i tuoi malesseri interiori nel
combustibile che ti sostiene lungo il cammino. Ciò che ti trattiene in
basso può trasformarsi in una forza potentissima capace di
proiettarti verso l’alto. Devi solo volerlo.
9
Le spine interiori

Il cammino spirituale è caratterizzato dalla trasformazione perpetua.


Per crescere, devi rinunciare a lottare per mantenere le cose come
stanno, e imparare ad abbracciare il cambiamento in ogni
circostanza. Uno dei mutamenti più importanti che ci aspettano
riguarda il modo in cui scegliamo di risolvere i problemi personali.
Di norma, tendiamo a evitare qualsiasi turbamento interiore
tenendoci al riparo. La vera trasformazione, invece, comincia
dall’accettare gli ostacoli in quanto strumenti di crescita. Per
comprendere come funziona questo processo, esaminiamo la
seguente situazione.
Immagina di avere una spina conficcata nel braccio, che tocca un
nervo. Ogni volta che la sfiori, provi dolore. Fa davvero male, per cui
è un problema serio. Ti impedisce persino di dormire, perché
girandoti nel sonno la schiacci inavvertitamente; anche stare con gli
altri è difficile, perché hai paura che la tocchino senza volerlo. Non
riesci più nemmeno a fare quelle passeggiate nei boschi che ti
piacevano tanto, perché rischi di strusciare il braccio contro il
fogliame. In definitiva, quella spina è una fonte di fastidio costante, e
per risolvere il problema hai solo due possibilità. La prima è
assicurarti che niente e nessuno la sfiori mai, oppure puoi decidere
che, visto che è un vero tormento, va estratta. Che tu ci creda o no, il
resto della tua vita dipende da questa scelta: è una decisione
fondamentale, “strutturale”, che pone le fondamenta stesse del tuo
futuro.
Cominciamo dalla prima opzione, ed esploriamo in che modo
influenzerebbe la tua vita. Se decidi di evitare a ogni costo che
qualcosa entri in contatto con la spina, questo diventerà il lavoro
della tua vita. Se vuoi camminare nei boschi, prima del tuo
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passaggio dovrai sfoltire la vegetazione sul sentiero, per assicurarti
che nessun ramo ti sfiori. Dato che durante il sonno cambi spesso
posizione, e inevitabilmente la spina sfrega contro qualcosa, anche lì
devi trovare una soluzione adeguata. Potresti inventare un nuovo
apparecchio che funga da dispositivo di prevenzione. Se ci dedichi
tutta la tua energia, vedrai che troverai una soluzione e ti sembrerà
di aver risolto il problema. «Ecco, ora posso dormire! E sai che ti
dico? Devo andare in televisione a condividere la mia esperienza.
Chiunque abbia il mio stesso problema potrà utilizzare il mio
dispositivo; lo brevetterò, e diventerò pure ricco con i diritti!»
Finirai per riorganizzare la tua intera esistenza intorno alla spina,
e ne andrai persino fiero. Sarà sufficiente tenere pulito il tuo sentiero
preferito, indossare il dispositivo di protezione durante la notte e via
di questo passo. Ma ecco che sorge un nuovo problema: ti innamori.
È un bel guaio, perché nella tua condizione hai difficoltà ad
abbracciare qualcuno. Nessuno può sfiorarti, perché rischia di
stimolare la spina. Così sei costretto a progettare un altro congegno,
che ti consenta una minimo di intimità. Alla fine, però, decidi che
vuoi goderti la massima mobilità, senza preoccuparti sempre della
spina. E dunque progetti un congegno da indossare ventiquattr’ore
su ventiquattro, che non va tolto di notte, né cambiato per poter
abbracciare la persona amata o svolgere le varie attività quotidiane.
Quel macchinario, tuttavia, è ingombrante, quindi è necessario
munirlo di ruote, e poi dotarlo di comandi idraulici e di sensori di
collisione. Adesso sì che hai un congegno davvero impressionante.
Certo, sei costretto ad allargare tutte le porte di casa per girare con
il nuovo dispositivo, però sei finalmente libero di vivere come ti
pare: puoi andare al lavoro, dormire serenamente ed entrare in
contatto con chi vuoi. Annunci a tutti: «Ho risolto il mio problema.
Sono libero. Posso andare dove voglio e fare qualsiasi cosa. Una
volta, quella spina dominava la mia vita, mentre adesso comando
io.»
Ma la triste verità è che in realtà la spina ha assunto il controllo
della tua intera esistenza. Determina tutte le tue decisioni: in quali
posti puoi o non puoi andare, con chi ti senti a tuo agio, e chi può
sentirsi a suo agio con te. Stabilisce dove puoi lavorare, in quale casa
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riesci a vivere, e in che tipo di letto devi coricarti per prendere
sonno. A conti fatti, adesso governa ogni istante della tua vita.
Così, scopri che quella vita dedicata a proteggerti dal problema è
diventata un riflesso del problema stesso, e che non hai risolto un bel
niente. Se non lo risolvi alla radice, ma al contrario cerchi solo di
proteggerti, non sei più padrone della tua esistenza. A livello
psicologico, sei talmente ossessionato dal problema che ormai non
riesci nemmeno a coglierlo nel suo complesso, ma ne vedi solo i
dettagli e le conseguenze. Pensi di averlo risolto perché hai ridotto al
minimo il dolore che produce, però non è così. Non hai fatto altro
che dedicare la vita intera a evitarlo, con il risultato di collocarlo al
centro del tuo universo, e adesso non esiste altro.
Proviamo a estendere l’analogia della spina, prendendo come
esempio la solitudine. Immaginiamo che tu soffra di un profondo
senso di solitudine. È talmente intenso che non ti lascia dormire la
notte, e durante il giorno ti rende estremamente suscettibile. Potresti
addirittura percepirlo come un forte dolore all’altezza del cuore, che
ti dà parecchio fastidio. Sul lavoro, hai difficoltà a concentrarti e
anche le interazioni quotidiane diventano problematiche. Come se
non bastasse, più ti senti solo, e più fai fatica a rapportarti con gli
altri. Vedi, la solitudine è proprio come la spina: causa sofferenza e
disagio in tutti gli aspetti della vita. Ma, nel nostro caso, le spine
spesso sono più di una: siamo sensibili alla solitudine, al rifiuto, alle
critiche rivolte al nostro aspetto fisico o alle nostre capacità mentali.
Giriamo con un bel po’ di spine nel petto, che vanno a toccare la
parte più suscettibile del nostro cuore. In qualsiasi momento,
qualcosa può stimolare quei punti dolenti e farci soffrire.
Anche per queste spine interiori hai due opzioni, come per la
spina nel braccio. In quel caso, era ovvio che sarebbe stato molto
meglio estrarla, che non era ragionevole passare la vita intera a
evitare qualsiasi sfioramento accidentale. Avresti potuto
semplicemente sbarazzartene, e poi saresti stato libero di non
pensarci più. Lo stesso vale per le spine interiori: possono essere
estratte. Ma se scegli di tenertele e non vuoi che ti infastidiscano, sei
costretto a modificare ogni aspetto della tua esistenza, e a evitare
tutte quelle situazioni che potrebbero stimolarle e farti patire. Per
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esempio, se soffri di solitudine, eviterai con cura i luoghi
abitualmente frequentati da coppie; se hai paura del rifiuto, non
entrerai mai troppo in intimità con gli altri. È un po’ come pulire il
sentiero del bosco per paura che un ramo sfiori la spina che hai nel
braccio: cerchi di adattare la tua vita all’inevitabilità degli incidenti.
L’unica differenza è che nel primo esempio si trattava di una spina
esteriore, mentre ora stiamo parlando di tormenti interiori.
Quando ti senti solo, provi a riflettere su cosa puoi fare, o dire, per
alleviare il senso di solitudine. Nota bene che non ti stai chiedendo
come liberarti definitivamente del problema, ma solo come fare per
proteggerti e non provare sofferenza. Potresti riuscirci evitando certe
situazioni, o servendoti di persone, luoghi e oggetti come scudi
protettivi. Ma, come nell’esempio della spina nel braccio, il risultato
sarà che la solitudine assumerà il controllo della tua vita. Finirai per
sposare la persona che ti fa sentire meno solo, e penserai che ciò sia
del tutto naturale. In realtà ti sei comportato come quello che ha
cercato di attutire l’effetto della spina nel braccio anziché estrarla una
volta per tutte: non hai rimosso le radici della solitudine, hai
semplicemente provato a proteggerti per evitare di percepirla. Se tua
moglie ti lasciasse, o venisse a mancare, ti ritroveresti a tu per tu con
il medesimo problema: la solitudine si ripresenterebbe nel momento
stesso in cui la situazione esteriore non riuscisse più a proteggerti da
ciò che provi dentro di te.
Se non estrai la spina, finirai per doverti preoccupare non solo
della spina, ma anche di tutto ciò che imbastisci per evitare di
sentirla. Se per un colpo di fortuna trovassi una persona capace di
farti sentire meno solo, per esempio, cominceresti a preoccuparti di
non perderla. Evitando di fronteggiare il problema, hai aggravato la
situazione. È come nel caso dei mille congegni ideati per non
stimolare la spina nel braccio: sei costretto a riorganizzare tutta la tua
vita intorno al problema. Se permetti a un problema di radicarsi in te
in questo modo, si espande e genera una moltitudine di
complicazioni, e allora non pensi nemmeno più a sbarazzartene: al
contrario, pensi solo a come evitare di percepirlo. In quel caso non
hai altra scelta se non modificare tutto ciò che lo riguarda. Ti
preoccupi di come ti vesti e di come parli; ti preoccupi di quel che gli
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altri pensano di te, perché questo potrebbe acuire il tuo senso di
solitudine, o il tuo bisogno di amore. Se una persona è attratta da te,
e lenisce la tua sensazione di solitudine, vorresti poterle dire: «Come
devo comportarmi per farti contenta? Farò tutto quello che vuoi, mi
basta non sentirmi mai più solo come prima».
Ecco che ti sei caricato di una nuova preoccupazione: non far
naufragare la relazione. Questo ti crea una nuova tensione costante
di sottofondo, un nuovo malessere, e ricominci a non dormire bene
la notte. Tuttavia, a dire il vero, il fastidio che sperimenti ora non è
più la sensazione di solitudine, è piuttosto un’interminabile serie di
pensieri del tipo: «Avrò detto la cosa giusta? Le piaccio davvero o mi
sto solo illudendo?». Il problema originario è sepolto sotto una
miriade di questioni secondarie, che esistono soltanto per evitare
quelle più profonde. La situazione diventa molto complicata. In
genere, le persone usano i rapporti sentimentali per nascondere le
proprie spine. Nelle coppie affiatate, l’aspettativa reciproca è che
entrambi i partner adattino il proprio comportamento per evitare di
toccare i nervi scoperti dell’altro.
È così che fanno tutti: si lasciano influenzare dalle paure legate
alle loro spine interiori e finiscono per limitare la propria esistenza,
proprio come quel signore che viveva con la spina conficcata nel
braccio. Alla fine, se ti accorgi che qualcosa dentro di te ti dà fastidio,
devi fare una scelta netta: o cerchi di compensare, modificando la tua
vita esteriore pur di evitare ogni contatto con il disturbo, o
semplicemente lo espelli e non gli permetti di diventare il centro
della tua esistenza.
Non dubitare della tua capacità di recidere il problema alla radice,
puoi farcela. Devi solo guardare dentro te stesso, nel cuore del tuo
essere, e decidere che non vuoi più permettere alla parte più debole
di te di dominare la tua vita, ma vuoi liberartene. Vuoi fare amicizia
con le persone perché le trovi interessanti, non perché ti senti solo;
vuoi avviare una relazione sentimentale perché ti piace davvero
quell’uomo o quella donna, e non perché senti il bisogno di piacere a
qualcuno. Vuoi amare perché ami davvero, non perché vuoi evitare i
tuoi problemi interiori.
Come si fa a conquistare una libertà del genere? Ti liberi trovando
te stesso, nel senso più profondo dell’espressione. Tu non sei il
dolore che provi, non sei la parte stressata di te stesso, non hai nulla
da spartire con i tuoi malesseri interiori, perché tu sei colui che li
osserva. E poiché la tua coscienza è separata e consapevole della
situazione che sperimenta, puoi sottrarti alla presa che quest’ultima
esercita su di te. Per liberarti delle tue spine interiori, non devi far
altro che smettere di stuzzicarle, perché più le stimoli e più si
irritano. Stai sempre attento a evitarle, ma così facendo non dai loro
la possibilità di risolversi spontaneamente. Se vuoi, puoi permettere
a questi elementi di disturbo di emergere, per poi lasciarli andare
per sempre. Dato che in definitiva le spine sono dei blocchi
energetici legati al passato, tu hai il potere di scioglierli. Il vero
problema è che di solito eviti accuratamente le situazioni che li
porterebbero allo scoperto, oppure li ricacci indietro per proteggerti.
Supponiamo che tu stia guardando un film a casa tua. La storia ti
piace, almeno finché i due protagonisti non si innamorano.
All’improvviso provi un senso di solitudine, e non hai nessuno
vicino che ti presti attenzione. È interessante notare che, fino a
qualche istante prima, eri perfettamente a tuo agio. Questo dimostra
che hai una spina conficcata nel cuore, sempre, anche se viene
attivata solo da stimoli ben precisi. Forse la percepisci come un
vuoto nella zona del petto, ma in ogni caso è una sensazione
sgradevole. Ti senti invaso da una strana debolezza, e ti vengono in
mente tutte le volte in cui sei stato lasciato, e le persone che ti hanno
ferito in passato. I blocchi energetici accumulati in quelle occasioni
tornano in superficie, nel cuore, e generano una catena di pensieri.
Adesso, invece di goderti il film, ti ritrovi in balia di idee ed
emozioni fuori controllo.
Cosa puoi fare per toglierti dall’impiccio, a parte mangiare
qualcosa, chiamare qualcuno o fare qualunque altra cosa in grado di
tranquillizzarti? Puoi prendere nota di ciò che hai appena osservato.
Acquisire consapevolezza del fatto che la tua coscienza poco fa stava
guardando la televisione, mentre ora si ritrova a fare da spettatrice al
tuo melodramma interiore. Colui che osserva tutto sei tu, il soggetto,
ciò che osservi è solo un oggetto. Il senso di vuoto è un oggetto, una
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sensazione di cui si fa esperienza. Ma chi è che ne fa esperienza? La
via d’uscita è semplicemente rendersi conto che c’è un osservatore. È
davvero facile. E sicuramente molto meno complesso di qualsiasi
dispositivo di protezione, con i suoi comandi idraulici e sensori di
collisione. Non devi far altro che riconoscere chi sta sperimentando
quel senso di solitudine. Chi osserva l’esperienza è già libero. Se vuoi
fare piazza pulita delle energie del passato, devi lasciare che ti
attraversino, anziché nasconderle dentro di te.
Sono energie che accumuli da quando eri bambino. Svegliati e
riconosci che sei là dentro, e che sei in compagnia di una persona
estremamente suscettibile. Limitati a osservare quella parte sensibile
della tua identità, quella che prova il malessere; osservala mentre
sperimenta gelosia, bisogno e paura. Quelle emozioni fanno parte
della natura dell’essere umano, ma se fai attenzione, capisci che non
sono te: sono solo qualcosa che sperimenti. Tu sei colui che è
consapevole di tutto ciò. Se mantieni il centro, impari ad apprezzare
e a rispettare anche le esperienze difficili.
Per esempio, molte poesie e musiche bellissime sono state
composte da persone che provavano un forte turbamento interiore.
Le grandi opere d’arte scaturiscono dalle profondità dell’essere. Puoi
fare esperienza di condizioni così umane senza perderti in esse, e
senza rifiutarle. Puoi osservare di saper osservare, e notare, per
esempio, come l’esperienza della solitudine influisca su di te. Forse ti
spinge a cambiare postura? Il respiro rallenta, o accelera? Cosa
accade quando le concedi lo spazio necessario per attraversarti?
Diventa un esploratore, diventa un semplice testimone, e vedrai che
tutto svanirà. Se non ti lasci assorbire dalle emozioni che affiorano,
presto passeranno e verranno sostituite da altre. Goditele tutte. Se ci
riesci, sarai libero, e un mondo di pura energia si spalancherà ai tuoi
piedi.
Più dimori nel tuo Sé, più sperimenti un’energia che non avevi
mai provato. La senti arrivare da dietro, anziché da davanti, come
invece i pensieri e le emozioni. Quando non sei più assorbito dai tuoi
drammi interiori, ma al contrario ti centri nella sede della
consapevolezza, senti un flusso di energia che scaturisce dal
profondo. È stato chiamato shakti, o spirito, ed è ciò che sperimenti
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quando ti identifichi con il Sé, anziché con i tuoi turbamenti interiori.
Non c’è bisogno che ti liberi della solitudine, smetti semplicemente
di lasciarti coinvolgere da essa, finché diventa solo un fenomeno fra i
tanti di questo universo, come le automobili, l’erba e le stelle. Non ti
riguarda, lasciala andare. È questo che fa il Sé. La consapevolezza
non lotta, la consapevolezza scioglie; la consapevolezza è
semplicemente consapevole di tutto ciò che l’universo le mette di
fronte.
Quando dimori nel Sé, sperimenti la forza del tuo essere interiore
anche nei momenti in cui il cuore è debole. È questa l’essenza del
cammino, l’essenza della vita spirituale: non appena capisci che è
normale provare qualsiasi turbamento interiore, e che nulla può
distoglierti dalla legittima sede della coscienza, sei libero. Cominci a
sentirti sostenuto dal flusso di energia che scaturisce alle tue spalle.
Una volta assaggiata l’estasi di quella corrente interiore, cammini nel
mondo senza che nulla riesca a toccarti, ed è così che diventi una
persona libera, capace di trascendere.
10
Liberare l’anima

Il prerequisito della vera libertà è decidere di non voler più soffrire.


Devi decidere che vuoi goderti la vita, e che non hai motivo per
cedere allo stress, alla sofferenza o alla paura. Ogni giorno, ci
trasciniamo appresso un fardello che non ci appartiene: temiamo di
non essere abbastanza bravi, o di fallire; proviamo insicurezza, ansia
e imbarazzo; abbiamo paura che le persone ci attacchino, o che si
approfittino di noi, o che smettano di amarci. Tutte queste cose ci
appesantiscono tremendamente. Cerchiamo di instaurare relazioni
aperte e amorevoli, di realizzarci e di esprimerci, ma abbiamo un
peso interiore che ci rallenta. Questo peso è la paura di soffrire, di
provare angoscia, tristezza o altro. Non passa giorno senza che
sentiamo questa paura, o ci adoperiamo per non sentirla. Agisce a un
livello così profondo, che non ci rendiamo nemmeno conto di quanto
sia imperante.
Quando il Buddha ha detto che ogni aspetto della vita è
sofferenza, è a questo che si riferiva. Molte persone non capiscono
quanto stiano soffrendo, perché non hanno mai provato una vita
priva di sofferenza. Per farti un’idea, immagina un mondo in cui né
tu né nessuno dei tuoi conoscenti sia mai stato in salute. Tutti sono
malati gravi, al punto da non alzarsi quasi mai dal letto. In una
situazione del genere, non si potrebbe fare nulla che non avvenga in
prossimità del letto e nessuno conoscerebbe una condizione diversa
dalla malattia. Tutta l’energia disponibile servirebbe a malapena per
sopravvivere; non esisterebbe nemmeno il concetto di salute.
È esattamente ciò che accade nell’ambito delle energie mentali ed
emotive che costituiscono la psiche. La tua suscettibilità ti espone a
una condizione di sofferenza costante, che varia solo per grado di
intensità. Sei sempre intento a bloccare la sofferenza, a controllare il
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tuo mondo per evitarla o a preoccuparti di quella che sperimenterai
in futuro. Questo stato di cose è talmente onnipervasivo che non lo
vedi neppure, proprio come un pesce non vede l’acqua in cui nuota.
Ti accorgi di soffrire solo quando la situazione si aggrava
oltremisura. Ammetti di avere un problema solo quando peggiora al
punto da influenzare il tuo comportamento quotidiano, ma in verità,
nella vita di tutti i giorni, sei sempre a confronto con le
problematiche della psiche. Per accertartene, confronta la relazione
che hai con la mente con quella che hai con il corpo. In condizioni
normali, di buona salute, non pensi al corpo. Badi agli affari tuoi,
cammini, guidi, lavori e ti svaghi, senza neppure farci caso. Ti
accorgi del corpo soltanto quando c’è un problema. Per contro, ti
preoccupi costantemente del tuo benessere psicologico. Molti non
fanno che ripetersi cose come: «E se mi mettono alle strette? Cosa
dico? Mi sento sempre a disagio se non sono preparato». Ecco la
sofferenza. Quel chiacchiericcio interiore, costante, ansioso, è una
forma di sofferenza: «Posso davvero fidarmi di lui? E se mi espongo
e se ne approfitta? Non voglio rivivere un’altra volta la stessa
delusione». È la sofferenza di chi pensa continuamente a se stesso.
Ma perché farlo? Perché dedicare così tanti pensieri all’io, a me, a
ciò che è mio? Nota quanto tempo passi a chiederti come stai, o se
una cosa ti piace o non ti piace, o come cambieresti il mondo perché
ti vada a genio. I pensieri di questo genere sorgono perché non stai
bene interiormente, e vorresti sentirti meglio. Se hai un problema
fisico di lunga data, tendi a proteggere la parte malata e a pensare
spesso a come guarire. Lo stesso vale per la psiche: l’unico motivo
per cui dedichi così tante riflessioni al tuo benessere psicologico è
che da molto tempo non stai bene. In cuor tuo, ti senti molto fragile,
e basta un nonnulla per turbarti.
Per porre fine alla sofferenza, devi innanzitutto riconoscere che la
tua psiche così com’è non va, e che anch’essa, come il corpo, può
tornare in salute; è davvero un dono comprendere che non devi
accettarla così com’è, e nemmeno proteggerla. Non ti serve a niente
rimuginare su qualcosa che hai detto, o su ciò che qualcuno pensa di
te. Che razza di vita è, se la passi a preoccuparti continuamente per
questo genere di cose? La suscettibilità è un sintomo di malessere. È
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un fenomeno analogo al dolore fisico, o agli altri segnali che il corpo
ci invia quando non sta bene. Il dolore non è negativo: è un
messaggio del corpo. Se mangi troppo, ti viene il mal di pancia; se
sforzi un braccio, questo comincia a dolerti. Il corpo comunica
attraverso il linguaggio universale del dolore. Anche la psiche ha il
suo linguaggio universale: la paura. Disagio, gelosia, insicurezza e
ansia sono tutte paure.
Se maltratti un animale, diventerà pauroso. È quel che accade alla
psiche. L’hai maltrattata, dandole una responsabilità
incomprensibile. Fermati un attimo, e osserva quanti compiti le hai
affidato. Le hai detto: «Voglio piacere a tutti, non voglio che
qualcuno parli male di me. Voglio che ogni cosa io dica o faccia sia
ben accetta e gradita, a chiunque. Non voglio essere ferito. Non
voglio che mi capiti nulla che non mi piaccia. Voglio che mi succeda
solo ciò che mi piace». Poi le hai intimato: «Adesso, mente, trova un
sistema per fare in modo che tutto ciò si realizzi, anche se dovessi
lavorarci su giorno e notte». E lei ti ha risposto: «Certo, mi metto
subito all’opera e non smetterò mai».
Ti immagini che sforzo? La mente deve far sì che tutto ciò che dici
sia detto correttamente, preso nel modo giusto e sortisca l’effetto
desiderato, su chiunque. Deve assicurarsi che ogni tua azione sia
interpretata e percepita correttamente, e che nessuno ti ferisca.
Inoltre, deve fare in modo che tu ottenga tutto ciò che vuoi, senza
mai incappare in una situazione che non desideri. Cerca sempre di
darti consigli, perché tutto vada come vuoi tu. Ecco perché è così
attiva: le hai affidato un compito impossibile. È come se chiedessi al
corpo di sradicare un albero a mani nude o di scalare una montagna
con un balzo solo; se gli imponessi di tentare cose di cui non è
capace, finirebbe per ammalarsi. Ebbene, è così che hai spezzato la
psiche: i segni dell’esaurimento fisico sono il dolore e la spossatezza,
quelli dell’esaurimento psichico sono la paura e il pensiero nevrotico
e incessante.
A un certo punto, devi svegliarti e ammettere che hai un
problema. Osservati un attimo, e vedrai che la mente ti dice sempre
cosa fare. Ti dice di andare di qui, e non di lì, di dire questo, ma non
quello. Ti indica quali vestiti indossare e quali non indossare. E non
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ha mai smesso di farlo: non era così già alle superiori, o alle medie, o
addirittura alle elementari? Non è sempre stato così? Questa
incessante preoccupazione per la propria persona è una forma di
sofferenza. Ma come rimediare? Come mettervi fine?
La maggior parte delle persone cerca di risolvere i propri disturbi
interiori perfezionando vari giochetti psicologici. Se potessimo
scattare un’istantanea del malessere, constateremmo che ognuno di
noi è occupato a risolvere quello che potremmo definire il “problema
del giorno”, cioè la cosa che ci risulta più fastidiosa in ogni dato
momento. Quando questo problema smette di tormentarci, però, ne
salta fuori un altro, e quando anche quest’altro smette di
preoccupare, ne compare un terzo, e così via. È a questo che si
dedica la nostra mente: si focalizza su un problema del giorno dopo
l’altro. Pensa ai modi per risolverlo e al tormento che ci crea e, se non
interveniamo, continua a farlo per il resto della nostra vita.
Noterai poi che la mente ti suggerisce sempre di cambiare
qualcosa al di fuori di te per risolvere il problema del giorno. Ma se
sei accorto, non ti lascerai ingannare dai suoi giochetti. Ti renderai
conto che sono i consigli di una psiche malata, turbata dalle paure.
Sono i peggiori suggerimenti del mondo, perché sono fuorvianti.
Supponiamo che ti dica: «Se ottenessi una promozione, filerebbe
tutto liscio. Ritroverei l’autostima e potrei rimettere insieme i pezzi
della mia vita». Ma andrebbe davvero così? Basterebbe una
promozione per risolvere tutte le tue insicurezze, e per farti stare
tranquillo dal punto di vista economico per il resto dei tuoi giorni?
Ovviamente no. L’unica cosa certa è che, risolto quel problema, se ne
presenterà subito un altro.
Una volta constatato ciò, ti renderai conto che la mente ha un
grave problema di fondo: è sempre intenta a manipolare le situazioni
esteriori per rendere più confortevole la vita interiore. Ma le
situazioni esteriori non sono la causa dei problemi interiori, sono
solo un tentativo di risolverli. Per esempio, se nel profondo del cuore
provi un senso di solitudine e di inadeguatezza, non è perché non
hai ancora trovato l’amore della tua vita. Non è quella la causa del
problema, anzi, un’eventuale relazione sarebbe soltanto un tentativo
maldestro di risolverlo. Cercherai una relazione solo per vedere se
mitiga il tuo malessere, e se non ci riesce, proverai con qualcos’altro.
In realtà nessun cambiamento esteriore potrà mai risolvere il tuo
problema, perché non lo affronta alla radice, cioè non cambia il fatto
che non ti senti integro e completo. Se non individui la questione di
fondo, cercherai sempre dei palliativi, che però finiranno per
nasconderla ulteriormente. Ti nasconderai dietro il lavoro, le
persone, la fama e le lodi. Magari riuscirai persino a trovare il
partner ideale, quello che ti ama e ti adora, ma avrai di nuovo fallito
miseramente, perché non avrai fatto altro che coinvolgere un altro
essere umano nelle tue problematiche. Ecco perché incontriamo così
tante difficoltà nell’ambito dei rapporti di coppia: cerchiamo di
risolvere i nostri malesseri interiori invischiandovi un’altra persona.
Una relazione che parte da premesse del genere diventa per forza
problematica, perché nasce e si fonda su un problema. Non è difficile
capirlo, devi solo fare un passo indietro e avere il coraggio di
esaminare la tua situazione con sincerità.
Ora che abbiamo visto in cosa consiste il fallimento, proviamo a
dare una definizione del successo. Per quel che riguarda la psiche, il
successo è paragonabile alla salute fisica per il corpo. Hai successo
quando non devi più pensare alla psiche. Un corpo è sano se fa il suo
dovere lasciandoti libero di vivere come ti pare, senza dover badare
a lui. Analogamente, non dovresti aver mai bisogno di pensare a
come star bene psicologicamente, a come non aver paura o a come
sentirti amato. In sostanza, non dovresti trovarti costretto a
consacrare la vita intera al tuo benessere psichico.
Immagina quanto sarebbe bella la vita se non fossi afflitto da una
sfilza di pensieri nevrotici ed egotistici. Potresti goderti tutto ciò che
ti capita, e conoscere davvero le persone anziché dipendere da loro.
Potresti semplicemente vivere la vita, sperimentarla appieno, invece
di usarla per correggere ciò che non va dentro di te. È un risultato
che sei in grado di raggiungere. Non è mai troppo tardi.
La tua attuale relazione con la psiche è paragonabile a una
dipendenza. La mente avanza una richiesta, e poi un’altra e un’altra
ancora, e tu dedichi la vita intera al vano tentativo di soddisfarle. Se
vuoi essere libero, devi trattare questa cosa come una dipendenza.
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Per esempio, i tossicodipendenti riescono a smettere di assumere
droghe e, dopo una fase di astinenza, a liberarsi definitivamente del
vizio. Non è facile, ma è fattibile. Lo stesso vale per la dipendenza
dalla psiche. Puoi porre fine a questa assurdità, che consiste nel
prestare continuamente ascolto ai problemi macinati dalla mente.
Puoi cambiare, puoi svegliarti la mattina e contemplare la giornata
che ti attende senza preoccuparti minimamente di ciò che accadrà.
La tua vita quotidiana può diventare un’eterna vacanza. Il lavoro
può essere piacevole, così come la famiglia: puoi goderti tutto. Ciò
non significa che smetterai di fare del tuo meglio, ma soltanto che ti
divertirai facendo del tuo meglio. Poi la sera, quando sarà ora di
andare a dormire, lascerai andare tutto. Ti limiterai a vivere senza
nervosismi e preoccupazioni. Allora ti godrai davvero la vita, invece
di temerla o di combatterla.
Puoi vivere un’esistenza completamente libera dalle paure della
mente, ma devi imparare a farlo. Prendiamo come esempio il vizio
del fumo. Non è difficile capire come si fa a smettere di fumare. La
parola chiave è “smettere”: non importa quanti cerotti o quali
espedienti uno impieghi, alla fine della fiera si tratta semplicemente
di dire basta. Per smettere di fumare, bisogna smettere di infilarsi le
sigarette in bocca. Tutte le altre tecniche sono degli ausili, l’unica
cosa che conta è non infilarsi mai più una sigaretta in bocca. Se ci
riesci, è sicuro che hai smesso di fumare.
La stessa tecnica si può impiegare per uscire da questo pasticcio
psicologico in cui ti ritrovi. Smetti di imporre alla mente di risolvere i
tuoi problemi personali. È un compito che l’ha letteralmente
distrutta, turbandola nel profondo, e che ha generato paura, ansia e
nevrosi. La psiche ha pochissimo controllo sugli eventi del mondo
esterno, non è né onnisciente, né onnipotente; non può controllare il
tempo meteorologico o le forze della natura, né le persone, i luoghi e
gli oggetti che ti circondano. Affidandole il compito di cambiare il
mondo, con l’idea di risolvere così i tuoi problemi personali, le stai
chiedendo l’impossibile. Se davvero vuoi ritrovare la salute
psicologica, smetti di disturbare la mente con simili pretese.
Sollevala da quel compito improbo, non chiederle di assicurarsi che
tutto e tutti si comportino in modo da farti sentire meglio. La mente
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non è adatta a un lavoro del genere. Quindi licenziala, e cerca
piuttosto di liberarti dei tuoi problemi personali.
Puoi instaurare un rapporto diverso con la mente. Ogni volta che
ti dice cosa dovresti o non dovresti fare affinché il mondo
corrisponda ai tuoi preconcetti, non darle ascolto. È come smettere di
fumare: a dispetto di ciò che ti dice la mente, non ti metti mai più
una sigaretta in bocca. Non ha importanza se hai appena finito di
cenare, se sei ansioso o se la voglia diventa irresistibile. Hai deciso di
non toccare mai più una sigaretta, qualunque cosa accada. Allo
stesso modo, quando la mente comincia a dirti cosa fare per stare
bene psicologicamente, non crederle. La verità è che ogni cosa andrà
meglio non appena tu starai bene con ogni cosa. Non c’è altra
possibilità.
Ribadisco: devi smettere di aspettarti che la mente ti risolva i
problemi. Non è colpa sua, anzi a dire il vero la psiche è del tutto
innocente, perché è solo un computer, uno strumento. Può essere
usata per elaborare grandi pensieri, risolvere enigmi scientifici e
servire l’umanità. Ma tu, nella tua confusione, le hai chiesto di
dedicare il suo tempo a escogitare delle soluzioni esteriori ai tuoi
problemi interiori. Sei tu che cerchi di servirti di una mente analitica
per proteggerti dal naturale svolgimento della vita.
Se la osservi, noterai che la mente è sempre impegnata a far sì che
tutto vada per il meglio. Allora ricorda che non è questo ciò che vuoi,
e sollevala con gentilezza dall’incarico. Non metterti a lottare.
Ripeto: non lottare mai contro la mente, perché non vinceresti. O ti
sconfiggerebbe subito, oppure si ritrarrebbe per poi riemergere e
batterti in seguito. Invece di lottare con la mente, chiamati fuori dalla
battaglia; quando ti dice come riordinare il mondo e le persone
intorno ai tuoi bisogni, non darle ascolto.
La chiave consiste nel restare calmi. Ma, attenzione, non è la
mente che deve restare calma: sei tu. Tu, che osservi i tuoi pensieri
nevrotici, non devi far altro che rilassarti. Così facendo, li lascerai
andare e ti ritroverai alle loro spalle, cioè nel tuo stato naturale.
Perché tu non sei la mente pensante, ma colui che è consapevole dei
pensieri. Sei la coscienza che sta dietro la mente, e che ne osserva
l’attività. Nel momento stesso in cui smetti di focalizzarti su di lei, di
trattarla come la tua salvatrice e protettrice, ti ritroverai alle sue
spalle, e potrai osservarla con distacco. È in questa condizione che
puoi conoscere davvero i tuoi pensieri. Alla fine riuscirai
semplicemente a sedere tranquillo e a osservare l’attività intellettiva
con piena consapevolezza.
Una volta raggiunto questo stato, avrai risolto tutti i problemi.
Quando ti poni alle spalle della psiche, tu, la consapevolezza, non sei
più coinvolto nel processo del pensiero. I pensieri diventano una
semplice attività mentale, che tu osservi. Tu sei l’essere interiore, la
coscienza. Non devi pensarci: lo sei e basta. Puoi osservare le tue
nevrosi senza lasciarti coinvolgere da loro. Non serve altro per
staccare la spina alla mente disturbata: i pensieri corrono perché tu
dai loro energia, sotto forma di attenzione. Ritira l’attenzione, e si
calmeranno.
Comincia con le piccole cose. Per esempio, uno ti dice qualcosa
che non ti piace o, peggio ancora, ti ignora. Stai camminando da solo
per strada, quando vedi un amico in compagnia di altri, lo saluti, ma
lui non ricambia. Vai avanti, però ti rimane il dubbio che non ti abbia
sentito, o che ti abbia ignorato apposta. Chissà se ce l’ha con te per
qualche misterioso motivo? La mente parte al galoppo. Ecco un buon
momento per farsi un esame di coscienza: ci sono miliardi di esseri
umani su questo pianeta, e uno di loro non ti ha salutato. Stai
dicendo che non puoi accettare una cosa del genere? È illogico.
Sfrutta questi piccoli incidenti quotidiani per liberarti.
Nell’esempio che abbiamo fatto, scegli di non lasciarti coinvolgere
dai pensieri paranoici. Ciò significa forse che li reprimi o impedisci
loro di correre in tondo come matti? No. Significa solo che ti rilassi e
ti godi il piccolo dramma interiore che la mente ti mette in scena.
Guarda quanta indignazione per lo sgarro che hai subito («Come ha
potuto ferirmi così…»), osserva il pensiero che si affanna a cercare
una spiegazione per ciò che è successo, stupisciti per il fatto che tutto
ciò accade perché uno non ti ha detto: «Ciao». È davvero incredibile.
Limitati a osservare la mente che sbuffa e si agita, mentre tu continui
a rilassarti e ad affrancarti. Resta alle spalle di quel baccano mentale.
Fallo con tutte le piccole esperienze quotidiane. È un’attività molto
privata, che si svolge interiormente. Presto constaterai che la mente
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dà di matto per delle inezie. Se la cosa non ti sta bene, non darle
energia. Non occorre far altro. In questo cammino, serve solo
rilassarsi e lasciar correre. Quando ti accorgi che la mente è fuori
controllo, rilassa le spalle, rilassa il cuore, e fai un passo indietro
rispetto ai pensieri. Non lasciarti coinvolgere e non cercare di
fermarli. Resta semplicemente consapevole del fatto che li stai
osservando. È così che se ne esce: lasciando andare tutto.
Inizia questo viaggio verso la libertà ricordando regolarmente a te
stesso di osservare la psiche: ciò ti eviterà di perderti dentro i suoi
meandri. Poiché la dipendenza dai pensieri è molto forte, devi
stabilire un metodo che ti ricordi periodicamente di osservare.
Esistono diversi esercizi di consapevolezza, molto facili da
apprendere e che portano via solo un attimo di tempo, ma che ti
permettono di restare centrato dietro la mente. Ogni volta che monti
in macchina e ti accomodi sul sedile, per esempio, fermati un attimo.
Concediti un momento per ricordarti che sei su un pianeta che
vortica nello spazio, rammenta a te stesso che sei determinato a non
lasciarti coinvolgere nei drammi della mente. In altre parole, lascia
andare tutto ciò che provi in quel preciso istante, e ricordati che non
vuoi più sottostare ai giochetti della psiche. Quando arrivi a
destinazione, prima di scendere dall’auto, ripeti la procedura. Se
vuoi davvero rimanere centrato, puoi rifare lo stesso esercizio anche
prima di rispondere al telefono, o prima di aprire una porta, per
esempio. Non devi cambiare nulla nelle tue abitudini. Basta che tu
sia presente, che ti ricordi che stai osservando. È un po’ come fare un
rapido esame della situazione: controlla cuore, mente, spalle,
eccetera. Scegli alcuni momenti della vita quotidiana e usali come
promemoria per ricordarti chi sei e cosa accade dentro di te.
Queste pratiche creano tanti attimi di consapevolezza e di
centratura durante il giorno, finché essi non si dilateranno e
diventeranno una costante. La coscienza centrata è la dimora del Sé.
I n quello stato sei sempre consapevole di essere conscio, non c’è
neppure un istante in cui non sei assolutamente consapevole di
tutto. Accade senza sforzo, non devi fare nulla. Sei semplicemente
qui, consapevole dei pensieri e delle emozioni che sorgono in te, via
via che il mondo si manifesta davanti ai tuoi sensi.
Alla fine, ogni modificazione del flusso energetico, che si tratti di
un’agitazione mentale o di una nuova emozione, servirà a ricordarti
che tu sei solo l’osservatore. Ciò che un tempo ti ostacolava diventa
uno strumento di risveglio. Per prima cosa, però, devi calmarti quel
tanto che basta a ridurre la reattività, poi i tuoi punti deboli ti
aiuteranno a ricordarti di restare centrato. Alla fine, sarai talmente
tranquillo che riuscirai a osservare il cuore non appena inizia a
reagire, e a sciogliere le tensioni prima ancora che la mente
intervenga. A un certo punto del cammino, tutto diventerà cuore,
non ci sarà più mente. Allora vedrai che la mente segue il cuore. Il
cuore reagisce molto prima che la mente cominci a parlare. Quando
sei consapevole, i cambiamenti energetici nel cuore ti ricordano
all’istante che tu sei colui che osserva, e la mente non ha la minima
possibilità di inserirsi, perché hai già lasciato andare i blocchi
quando si sono manifestati nel cuore.
Adesso sei bene avviato: le stesse cose che prima ti trattenevano
ora ti aiutano a progredire. Puoi sfruttare tutte le energie a tuo
vantaggio, perché il processo di lasciar andare ti permette di liberarle
per poter liberare te stesso. Nel mezzo della vita di tutti i giorni,
passo dopo passo, ti affranchi dalla schiavitù della psiche, e arrivi a
liberare l’anima. È un obiettivo talmente eccelso che viene definito
“liberazione” per antonomasia.
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La sofferenza è il prezzo della libertà

Uno dei presupposti fondamentali per un’autentica crescita


spirituale e una vera trasformazione personale è scendere a patti con
il dolore. Senza cambiamento non è possibile nessuna evoluzione,
ma i cambiamenti non sono sempre facili. Cambiare implica mettere
in discussione tutto ciò che ci è familiare e porci domande sul nostro
bisogno di sicurezza, comodità e controllo. Questa esperienza è
spesso percepita come dolorosa.
Familiarizzarsi con tale sofferenza fa parte del percorso di
crescita. Sebbene il malessere interiore possa essere tutt’altro che
piacevole, se vuoi scoprire da dove scaturisce, devi saperlo
affrontare con la massima tranquillità. Quando riuscirai a farlo,
vedrai che nel profondo del cuore c’è uno spesso strato di dolore,
talmente sgradevole, oneroso e distruttivo per la tua identità, da
indurti a dedicare l’intera esistenza al tentativo di evitarlo. La tua
personalità è costruita intorno a un insieme di comportamenti,
pensieri e convinzioni sviluppati solo per evitare di percepirlo.
Ma poiché tale elusione ti impedisce di esplorare quella parte di te
che è sepolta là sotto, non puoi crescere davvero se non decidi di
affrontare quella sofferenza che, dal centro del cuore, si irradia e
influenza tutto ciò che fai. In ogni caso, questa sofferenza non è come
il dolore fisico, che ti avverte di un problema a livello corporeo, e che
insorge quando c’è una disfunzione nell’organismo. È un tormento
interiore, sempre presente, seppur nascosto sotto vari strati di
pensieri ed emozioni. Lo percepiamo soprattutto quando il cuore è in
fermento, per esempio quando affrontiamo una situazione che non
soddisfa le nostre aspettative. È un dolore interiore, psicologico.
La psiche è costruita in modo da evitare di percepire la sofferenza;
si fonda sulla paura del dolore, anzi è nata proprio per questo scopo.
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Per comprenderlo, ipotizziamo che uno dei tuoi problemi
fondamentali sia la sensibilità al rifiuto. Osserva come hai paura di
tutte le esperienze che possono provocarlo e come questa paura sia
diventata una componente essenziale della tua psiche. Sebbene la
probabilità di sentirsi davvero rifiutati non sia poi così alta, ti
ritroverai continuamente a fare i conti con la paura del rifiuto. È così
che cronicizziamo la sofferenza. Se cerchi di evitare il dolore, il
dolore diventa il padrone della tua vita, e tutti i tuoi pensieri sono
determinati dalla paura di provarlo.
Qualsiasi schema comportamentale basato sulla fuga dal dolore si
trasforma in una via di accesso per il dolore stesso. Se hai paura di
essere rifiutato da qualcuno, e lo avvicini con l’intenzione di
conquistarti la sua accettazione, rischi grosso: sarà sufficiente che lui
ti guardi di traverso, o che pronunci una parola sgarbata, perché tu
percepisca un rifiuto doloroso. Il punto è che, avendolo avvicinato
con la paura del rifiuto, tutti i vostri scambi saranno in bilico su
quella sensazione. In un modo o nell’altro, qualsiasi emozione
risalirà al motivo originario delle tue azioni. Se le tue azioni sono
improntate a evitare la sofferenza, quell’impronta rimarrà sempre
percepibile.
Il dolore nasce nel cuore, ed è proprio per questo motivo che
durante la giornata percepisci molte situazioni come sgradevoli:
perché al centro del tuo essere c’è uno strato di sofferenza. Tutti i
tratti della tua personalità e i tuoi schemi comportamentali sono
imperniati su un unico obiettivo: evitare quel dolore. Lo fai cercando
di mantenere un certo peso corporeo, per esempio, scegliendo un
determinato abbigliamento, parlando in un modo particolare e
adottando una certa acconciatura. Tutte le tue scelte sono improntate
alla fuga dalla sofferenza. Se vuoi una prova, è sufficiente che osservi
ciò che accade quando qualcuno commenta la tua forma fisica o
critica come sei vestito: ci soffri. Ogni volta che fai qualcosa per
scongiurare il dolore, quell’iniziativa diventa un collegamento
capace di scatenare proprio ciò che volevi evitare.
Se non vuoi affrontare il dolore, sarà meglio che i tuoi
stratagemmi per evitarlo funzionino. Se per caso ti nascondi in una
vita sociale molto attiva, qualsiasi cosa che minacci la tua autostima,
q
per esempio non essere invitato a una festa, diventa fonte di dolore.
Immaginiamo che chiami un amico per proporgli di andare a vedere
un film insieme, e che lui ti risponda che ha da fare: a qualcuno basta
anche così poco per restarci male. Se avevi cercato la sua compagnia
solo per sfuggire alla tua sofferenza, il suo rifiuto te la farà sentire
forte e chiara. Prendiamo un altro esempio. Immaginiamo che tu
esca in giardino e chiami il cane: «Ehi, Spot, vieni qui!», e lui non
venga. Se l’hai chiamato per dargli da mangiare, non farai altro che
lasciargli la ciotola a terra, per quando ne avrà voglia. Se invece lo
cercavi perché hai avuto una giornata difficile, allora ti sentirai ferito:
«Nemmeno Spot mi vuole più bene!». Perché mai dovresti soffrire se
il cane ti ignora? O se oggi il tuo amico ha altro da fare e non può
venire al cinema con te? Com’è possibile che cose del genere ti
facciano star male? Perché dentro di te, nel profondo del cuore, c’è
un dolore che non hai ancora elaborato. Il tuo tentativo di evitarlo ti
ha portato a costruire diversi strati di suscettibilità, l’uno sull’altro, e
tutti collegati alla sofferenza repressa.
Concediamoci qualche minuto per vedere come si formano questi
strati protettivi. Per evitare il dolore del rifiuto, per esempio, ti
impegni a coltivare le amicizie. Siccome hai già constatato che è
comunque possibile andare incontro a un rifiuto, persino da parte
degli amici, fai del tuo meglio per evitare che un’esperienza del
genere si ripeta. Per riuscirci, ti accerti che qualsiasi cosa tu faccia sia
gradita agli altri, e adegui tutto di conseguenza, dal comportamento
all’abbigliamento. Però, attenzione, non sei più focalizzato
direttamente sulla paura del rifiuto: pensi al vestiario, al tuo
atteggiamento o all’automobile che possiedi. Ecco gli strati che si
ammucchiano sul dolore originario. Se qualcuno ti dice: «Accidenti,
credevo che tu potessi permetterti una macchina più bella di
questa!», percepisci un fastidio. Da dove sorge? Che problema c’è se
qualcuno critica la tua auto? Chiediti da dove scaturisce quella
reazione. A quale emozione è associata? Perché è sorta? Di solito le
persone non si chiedono il perché delle loro reazioni interiori,
cercano solo di evitarle.
Ma tu devi scavare in profondità, e osservare le dinamiche che si
sono stratificate sopra il dolore originario. Nel nostro esempio, avevi
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paura del rifiuto e quindi ti sei circondato di amici: questo è il primo
strato sotto cui hai sepolto la sofferenza originaria. Poi, per
assicurarti la loro approvazione, ti mostri in modo da conquistarli e
influenzarli: ecco un secondo livello. Tieni presente che ognuno di
questi strati è collegato direttamente al dolore sottostante. Ecco
perché anche le normali interazioni quotidiane possono
scombussolarti così tanto. Se non fossero legate al dolore, non ti
toccherebbero minimamente, ma poiché nascono dal bisogno di
evitarlo, finiscono per manifestarlo. A lungo andare, diventi così
suscettibile che non riesci a fare più nulla senza sentirti ferito. Non
riesci nemmeno a interagire con il prossimo o a svolgere una
normale attività senza percepire una tensione all’altezza del cuore. Se
osservi bene, vedrai che anche la più semplice interazione ti provoca
una certa sofferenza, un senso di insicurezza, di turbamento.
Per considerare tutto ciò con un certo distacco, devi mettere le
cose nella giusta prospettiva. Esci all’aperto durante una notte
limpida e alza gli occhi al cielo. Sei su un pianeta che ruota nello
spazio. Vedi qualche migliaio di stelle, ma pensa che solo nella
nostra galassia, la Via Lattea, ce ne sono centinaia di miliardi. Si
stima che una galassia a spirale ne contenga migliaia di miliardi,
eppure a occhio nudo essa ci appare grande come una stella. Quindi,
sei qui, su una pallina di polvere che gira intorno a una stella fra le
tante. Da questo punto di vista, che importanza ha se gli altri hanno
qualcosa da ridire su come ti vesti o sulla macchina che guidi? Devi
davvero sentirti imbarazzato se ti sei dimenticato il nome di un
collega? Come puoi lasciare che queste inezie ti facciano soffrire? Se
vuoi uscirne, se vuoi una vita degna di questo nome, non dedicarla a
scappare dal dolore. Non preoccuparti di piacere agli altri, o di quel
che pensa qualcuno della tua auto. Che razza di vita è questa? È una
vita di dolore. Forse pensi che in fondo non stai sempre male, ma
invece è così. Se passi il tempo a evitare il dolore, il dolore è sempre
con te. Sai che da un momento all’altro potrebbe scapparti una
parola fuori luogo, che potrebbe accadere un imprevisto, e allora
sacrifichi la vita intera a evitare la sofferenza.
Dopo esserti guardato dentro e avere constatato come stanno le
cose, ti accorgerai di essere di nuovo di fronte a due opzioni
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fondamentali. La prima è lasciare che il dolore dimori in te e ti
spinga a lottare contro le circostanze esterne; la seconda è decidere
che non vuoi dedicare tutta la tua vita a evitarlo, perché è molto
meglio sbarazzarsene. Sono poche le persone che osano imboccare
questa via: la maggior parte non si rende neppure conto di avere uno
strato di dolore represso in fondo al cuore. Vuoi davvero continuare
a portartelo dentro? A controllare il mondo per evitare che riaffiori?
Come sarebbe la tua vita se non fosse dominata dalla sofferenza?
Saresti libero. Potresti andartene in giro per il mondo in assoluta
libertà, divertendoti, sentendoti a tuo agio in qualsiasi situazione.
Potresti vivere una vita piena di esperienze interessanti e godertele
per ciò che sono. Potresti semplicemente vivere la tua vita su questo
pianeta in orbita nello spazio infinito, fino alla morte.
Per poter godere di questo livello di libertà, devi imparare a non
temere la sofferenza e tutto ciò che ti provoca malessere. Finché hai
paura, cercherai di proteggerti; sarà proprio la paura a spingerti in
quella direzione. Se vuoi essere libero, devi contemplare il dolore
come un cambiamento momentaneo nel tuo campo energetico. Non
c’è motivo di aver paura, non devi temere il rifiuto, né ciò che ti
accadrebbe se ti ammalassi, o se una persona cara dovesse morire, o
se qualsiasi altra cosa ti andasse storta. Non puoi trascorrere la vita
intera a evitare situazioni che in realtà non stanno accadendo,
altrimenti tutto assumerà un aspetto negativo, e ti rimarrà solo da
contemplare fino a che punto il resto possa andarti male. Hai idea di
quante cose possono farti soffrire? Probabilmente sono più
numerose delle stelle nello spazio. Se vuoi crescere, e sentirti libero
di esplorare la vita, non puoi passarla a evitare tutto ciò che rischia
di ferirti.
Devi guardarti dentro e decidere che da questo momento in poi il
dolore non sarà più un problema per te, ma solo uno dei tanti
fenomeni dell’universo. Qualcuno potrà dirti qualcosa che ti provoca
una reazione e ti fa sentire un bruciore al petto, ma poi passa. È
soltanto un’esperienza temporanea. Molte persone non riescono
neppure a immaginare cosa significhi convivere tranquillamente con
il proprio malessere. Peraltro, se non impari a sentirti a tuo agio con
il dolore, passerai l’intera esistenza a cercare di evitarlo. Se provi
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insicurezza, ricorda che non è che una sensazione, una sensazione
che puoi gestire. Se ti senti in imbarazzo, anche quella è una
sensazione, è parte del creato. Se la gelosia ti gonfia il cuore di
rabbia, limitati a osservarla con distacco, come se fosse un graffietto.
È solo uno dei tanti fenomeni dell’universo che sta attraversando il
tuo organismo. Ridici sopra, scherzaci, ma non averne mai paura.
Non ti può toccare, a meno che sia tu a decidere di toccarla.
Esaminiamo la cosa prendendo in considerazione una tendenza
fondamentale dell’essere umano. Se il nostro corpo entra in contatto
con un oggetto che provoca dolore, l’istinto è di allontanarci
all’istante. Lo facciamo persino con gli odori o i gusti sgradevoli. La
psiche si comporta allo stesso modo: se incontra qualcosa di
fastidioso, tende a ritrarsi, ad allontanarsi, a proteggersi. Lo fa
quando prova insicurezza, gelosia o qualsiasi altra vibrazione
spiacevole che abbiamo menzionato sopra. In sostanza si chiude,
cioè tenta di proteggere l’energia interiore ergendo uno scudo.
Possiamo percepirne gli effetti come una sensazione di contrazione
al cuore. Ipotizziamo che una persona ti muova una critica: subito
senti un bruciore al petto. Poi la mente attacca: «Questo non lo
accetto: me ne vado e non gli rivolgerò mai più la parola. Se ne
pentirà!». Il tuo cuore sta cercando di ritrarsi da un’esperienza
dolorosa, e di proteggersi per non riviverla mai più. Ti comporti così
perché non sai come gestire il dolore che stai provando, ma finché
non imparerai a farlo, continuerai a chiuderti e a proteggerti.
Quando blocchi uno schema energetico dentro di te, la mente gli
costruisce intorno una grande sovrastruttura psicologica: comincia a
razionalizzarlo, a tirar fuori tutti i motivi per cui tu hai ragione e
l’altro ha torto, e ti dice come dovresti comportarti.
Se ti lasci convincere, quel dolore diventerà una parte integrante
della tua personalità. Resterà rinchiuso in te e finirà per trasformarsi
in uno dei fondamenti della tua vita, determinerà le tue reazioni
future, la tua mentalità, le tue preferenze. Se resisti al dolore
provocato da una certa situazione, poi sei costretto a modificare il
tuo comportamento e i tuoi pensieri per proteggerti. Dovrai farlo,
affinché nulla aggravi la sofferenza rinchiusa dentro di te. Ci
costruirai intorno una struttura protettiva. Puoi evitare questa
p q
trappola solo se mantieni la lucidità necessaria per vedere ciò che sta
accadendo mentre accade, e se capisci le sue conseguenze nel lungo
termine. Tuttavia, non sarai mai completamente libero finché non
abbandonerai il dolore originario, invece di scansarlo. Devi imparare
a trascendere l’impulso che ti spinge a evitare la sofferenza.
I saggi non vogliono rimanere schiavi della paura del dolore.
Permettono al mondo di essere ciò che è, invece di temerlo.
Abbracciano la vita con tutto il cuore, non la manipolano per evitare
se stessi. Se la vita ti propone qualcosa che ti fa stare male, non
rifiutarlo, ma lascia che ti attraversi come un vento. Dopotutto, non
passa giorno senza che accada qualcosa capace di suscitare
malessere. In qualsiasi momento puoi provare frustrazione, rabbia,
paura, gelosia, insicurezza o vergogna. Se ci fai caso, noterai che il
cuore cerca sempre di respingere queste emozioni così umane. Per
essere libero, però, devi smettere di lottare contro di esse.
Quando provi dolore, consideralo nient’altro che una forma di
energia. Comincia a percepire queste esperienze interiori come
un’energia che attraversa il cuore e passa davanti all’occhio della
coscienza. Poi rilassati, non contrarti e non chiuderti, al contrario
sciogli e lascia correre. Rilassa il cuore, finché non ti ritrovi faccia a
faccia con la fonte del dolore. Resta aperto e ricettivo, per essere
presente con tutto te stesso nel punto in cui c’è tensione. Devi essere
pronto a mantenere la presenza nel punto esatto da cui si originano
il dolore e la tensione, per poi rilassarti e andare ancora più in
profondità. È un momento di crescita e di trasformazione molto
intenso. So che ti tirerai indietro. Sperimenterai una fortissima
resistenza, ma è proprio questo che rende così potente il risultato.
Via via che ti rilasserai e percepirai una resistenza crescente, il cuore
vorrà fuggire, chiudersi, mettersi al riparo, difendersi. Ma tu
continua a rilassarti. Rilassa le spalle, rilassa il cuore. Lascia andare,
fai spazio al dolore, in modo che possa attraversarti. È solo energia.
Riconoscila come tale e lasciala andare.
Se ti chiudi e impedisci al dolore di attraversarti, rimarrà bloccato
dentro di te. Per questo la naturale tendenza a sfuggirlo è
controproducente. Se non vuoi quel dolore, perché gli fai quadrato
intorno e te lo tieni stretto? Pensi davvero che se opponi resistenza,
pp
passerà? Le cose non stanno affatto così. Se ti lasci attraversare,
l’energia passa e se ne va; se ti rilassi e affronti il dolore quando lo
senti sorgere nel cuore, anche quello passa. Ogni volta che ti rilassi e
lasci andare, ti liberi per sempre di un pezzetto della tua sofferenza.
Peraltro, ogni volta che resisti e ti chiudi, aggiungi un nuovo strato al
dolore che ti porti dentro. È come costruire una diga per arginare un
torrente inesauribile. Sei costretto a usare la psiche per creare un
certo distacco tra te – la persona che sperimenta il dolore – e il dolore
stesso, ed è proprio per questo che hai sempre la testa piena di
pensieri: sono un tentativo di evitare la sofferenza immagazzinata
nel cuore.
Se vuoi essere libero, devi innanzitutto accettare il dolore che ti
porti dentro. Lo hai chiuso tu là sotto, nel profondo del tuo essere, e
poi hai fatto del tuo meglio per tenercelo, così da non doverlo mai
sperimentare. In te ci sono anche tanta gioia, e bellezza, amore e
pace, ma si trovano sul lato opposto del dolore. Al di là del dolore c’è
l’estasi, c’è la libertà. La tua magnificenza si nasconde là, oltre quello
strato di dolore, e devi accettarlo, se vuoi arrivare dalla parte
opposta. Accetta la sofferenza che è in te, decidi di sperimentarla. Se
ti rilassi, si manifesterà alla tua coscienza, e poi passerà. Succede
sempre così.
A volte ti capiterà di sperimentare una sensazione di calore
durante questo processo. Quando ci si rilassa e si sciolgono le
energie dolorose, si può provare un forte bruciore nella zona del
cuore. È la purificazione dalla sofferenza. Impara a goderti quel
calore: è il fuoco dello yoga. Di primo acchito può sembrare
sgradevole, ma imparerai ad apprezzarlo, perché è liberatorio. Il
dolore è il prezzo della libertà. Nel momento in cui sei disposto a
pagare quello scotto, non hai più paura. E quando non hai più paura
di soffrire, sei pronto ad affrontare qualsiasi situazione senza timore.
A volte ti capiterà di vivere esperienze particolarmente intense,
che ti tireranno fuori parecchio dolore: se è dentro di te, si
manifesterà. Sii saggio e lascialo uscire tutto, non fare nulla per
evitarlo. Rilassati e concedigli lo spazio necessario perché emerga e
bruci attraverso di te. Non vuoi più tenertelo dentro. Se desideri
amore e conoscenza, se vuoi sentire la presenza di Dio dentro di te,
p
devi sbarazzarti di tutta la sofferenza che hai accumulato in passato.
È attraverso questo lavoro interiore che la spiritualità diventa una
realtà concreta. La crescita spirituale ha luogo nel momento in cui sei
disposto a pagare il prezzo della libertà. Devi essere pronto sempre,
in qualsiasi circostanza, a rimanere consapevole di fronte al dolore, e
a collaborare con il cuore, rilassandoti e restando aperto.
Ricorda: se ti chiudi davanti a qualcosa, rimarrai
psicologicamente vulnerabile a quella stessa cosa per il resto della
vita. Poiché l’hai immagazzinata dentro di te, avrai paura di
incontrarla di nuovo. Se invece di chiuderti ti rilassi, ti attraverserà.
Rimani sempre aperto, e l’energia bloccata dentro di te uscirà
naturalmente, e non ne accumulerai altra.
È questa l’essenza del lavoro spirituale. Se ti senti a tuo agio
mentre vieni attraversato dal dolore, sei libero. Il mondo non può
più ferirti, perché il massimo che può fare è stimolare il dolore che
hai accumulato in te. Se non ti importa più di questo, se non hai più
paura di te stesso, sei libero. Puoi andare per il mondo con un
entusiasmo e una vitalità che non hai mai avuto. Percepirai tutto a
un livello più profondo, farai esperienze interiori meravigliose e
scoprirai che dietro il dolore e la paura c’è un oceano di amore.
Questa forza ti sosterrà, alimentandoti dal profondo del tuo essere.
Con il passare del tempo, costruirai una relazione molto intensa con
questa profonda forza interiore, che prenderà il posto attualmente
occupato dal dolore e dal malessere. Pace e amore governeranno la
tua vita. Superata la coltre del dolore, sarai finalmente libero dai
ceppi della psiche.
Parte quarta
ANDARE OLTRE
12
Abbattere le mura

A un certo punto del cammino, comincerai a sentirti più in pace con


te stesso. È una cosa che accade in modo del tutto naturale, quando ti
abitui a restare centrato nella profondità del tuo essere. Ti rendi
anche conto che in realtà non ti eri mai mosso da lì, solo che eri
completamente travolto da un fuoco di sbarramento, fatto di
pensieri, emozioni e stimoli sensoriali, che assorbiva tutta la tua
consapevolezza. Appena te ne accorgi, capisci che potresti andare
oltre quei disturbi. Più riesci a dimorare nel banco del testimone,
nella sede della coscienza, più comprendi che, siccome sei
completamente indipendente da ciò che osservi, dev’esserci un
modo per liberarti dall’incantesimo che la psiche esercita sulla tua
consapevolezza. Dev’esserci una via di fuga.
Questa realizzazione, che apre la strada alla libertà assoluta, è
tradizionalmente definita con un termine abusato e in genere
frainteso: “illuminazione”. Il problema è che la nostra idea di
illuminazione di norma si basa o su un’esperienza personale o su
una comprensione concettuale limitata. Poiché la maggior parte delle
persone non ha mai sperimentato questo stato, l’illuminazione viene
denigrata e derisa, o viceversa considerata una condizione
elevatissima, appannaggio di pochi mistici. Si può dire che l’unica
cosa che molti di noi sanno per certo circa l’illuminazione è che non
l’hanno raggiunta.
Tuttavia, avendo compreso che pensieri, emozioni e sensazioni
sono semplici oggetti che giungono al cospetto della coscienza,
diventa ragionevole chiedersi se la nostra consapevolezza debba
limitarsi a questo genere di esperienze. E se fosse in grado di
distogliersi dalla limitata serie di attività intellettive, emotive e
sensoriali che ci caratterizzano? Se potesse emanciparsi dai vincoli
p p
della personalità, ed essere libera di andare oltre? Ma, tanto per
cominciare, come ha fatto la coscienza a restare legata al nostro sé
individuale? Per rispondere a queste domande, bisogna prima di
tutto parlare di ciò che esiste oltre i confini della mente. Come è
ovvio, è una discussione molto complessa, se deve svolgersi
all’interno dell’intelaiatura mentale cui siamo abituati. Per questo
motivo, inizieremo a esplorare la condizione della coscienza liberata
servendoci di un’allegoria, un po’ come fece Platone nel suo dialogo
sul mito della caverna, intorno al IV secolo a.C. L a nostra allegoria
parla di una casa davvero speciale.
Un bel giorno hai trovato un campo aperto, su cui splendeva il
sole. Era un posto bellissimo, con una luce fantastica e un cielo
sconfinato. Era talmente bello che hai deciso di viverci. Così, hai
comprato quel campo, e proprio nel mezzo hai progettato e costruito
la casa dei tuoi sogni. Per prima cosa hai gettato delle fondamenta
solide, perché volevi una casa forte e resistente al tempo e alle
intemperie. Hai fatto i muri di cemento armato, per non temere
cedimenti e infiltrazioni, e, per non sprecare aria condizionata, hai
messo poche finestre e hai costruito un tetto con una falda molto
sporgente. Tuttavia ti sei accorto che entrava ancora molto calore, e
così hai installato delle imposte di qualità, che non solo riflettevano
la luce solare, respingendo il calore all’esterno, ma proteggevano la
casa dalle effrazioni. Era una dimora talmente grande che potevi
immagazzinarci molte provviste ed essere autosufficiente per
parecchio tempo. Hai anche costruito una piccola dépendance per
una domestica silenziosa, che ti rigovernasse la casa senza
minacciare la tua solitudine. Una solitudine garantita, perché la tua
impresa comprendeva la decisione di escludere i collegamenti con il
mondo esterno: niente telefoni, radio, televisioni o connessioni
Internet.
Un bel giorno i lavori sono finiti, e con grande entusiasmo hai
preso possesso della tua nuova abitazione. Amavi il panorama dei
campi aperti, la luce solare e la bellezza della natura, ma eri
soprattutto innamorato della tua casa. Ti eri dedicato anima e corpo
al progetto, e si vedeva: era un perfetto riflesso della tua personalità.
In realtà, nel corso degli anni, un po’ per amore della casa e un po’
per un crescente disagio causato da strani rumori e apparizioni, hai
cominciato a trascorrere sempre più tempo all’interno. È allora che ti
sei accorto che, con le imposte e le porte chiuse, la tua casa diventava
un castello inespugnabile. La cosa ti andava benissimo: essendo nato
in città, avevi un po’ paura di vivere in mezzo al nulla, isolato dal
mondo, ma eri determinato a cavartela da solo.
È stato così che pian piano ti sei abituato a vivere al sicuro,
protetto dalle mura del tuo castello. Ti tenevi felicemente occupato
scrivendo e leggendo, due attività cui avevi sempre desiderato
dedicarti. L’ambiente era piacevole, perché completamente
climatizzato, e avevi avuto l’ottima idea di installare un moderno
impianto di illuminazione. Ironia della sorte, la casa era così
comoda, accogliente e sicura, che hai smesso di pensare al mondo
esterno. Dopotutto, l’interno era familiare, prevedibile e
assolutamente sotto controllo, mentre l’esterno era sconosciuto,
imprevedibile e decisamente incontrollabile. La tua percezione di
una sorta di sancta sanctorum era rinforzata dal fatto che, quando
erano chiuse, le imposte si armonizzavano perfettamente con le
pareti, quasi fossero dei quadri, e di certo non ci pensavi nemmeno a
sbloccarle. Erano così ben fatte che quando spegnevi le luci si creava
il buio totale, indipendentemente dal fatto che fuori fosse giorno o
notte. Ma ormai non ti curavi nemmeno più di che ora fosse, perché
eri abituato a tenere sempre le luci accese. Finché un brutto giorno
hanno cominciato a bruciarsi le lampadine. Solo a quel punto ti sei
reso conto che nessuno ti aveva lasciato delle lampadine di riserva
compatibili con il tuo impianto, e così, quando l’ultima si è
fulminata, ti sei trovato a brancolare nella più assoluta oscurità.
Da quel momento in poi, l’unica luce che avevi era quella delle
candele che avevi comprato per le emergenze. Ma erano poche,
quindi stavi molto attento a non sprecarle. Era una situazione
difficile, perché tu ami la luce, ma non così grave da spingerti a
superare la paura di uscire da quell’ambiente così familiare e sicuro.
Alla fine, lo stress della vita al buio ha cominciato a minare la tua
salute, sia mentale che fisica. Il ricordo stesso del bel campo
illuminato dal sole è svanito dalla tua mente, per non tornare mai
più.
Eri sempre occupatissimo a tenere almeno una luce accesa, anche
se era solo quella delle tue preziosissime candele. Ti sentivi molto
solo là dentro, tagliato fuori da tutto, e l’unico conforto che avevi era
il senso di protezione che ti comunicava la casa. Non ti ricordavi
nemmeno più di cosa avessi paura: sapevi solo di essere sempre
stato spaventato e tormentato. Riuscivi a malapena ad andare avanti,
la mancanza di luce ti aveva persino fatto smettere di scrivere e di
leggere. C’era sempre buio, e anche tu stavi precipitando
nell’oscurità.
Poi un giorno la tua domestica, che condivideva il tuo bisogno di
stare al sicuro dentro le mura di casa, ti ha chiesto di scendere con lei
in cantina. Sei rimasto di stucco alla vista che ti si è parata davanti
agli occhi: c’era un’intera scorta di torce di emergenza, che si
accendevano semplicemente agitandole. Lei ne aveva già accese
alcune, e lo scantinato era tutto illuminato. Quel momento è stato un
vero e proprio punto di svolta.
Vi siete subito messi all’opera per riportare luce, bellezza e felicità
nella casa. Avete decorato ogni stanza, e tenuto le luci accese fino al
momento di andare a letto. Hai ripreso a leggere e scrivere, e hai
scoperto che la tua domestica amava leggere i tuoi racconti. In realtà,
a illuminare la casa non c’era soltanto la luce artificiale: la fiamma
dell’amore aveva preso a risplendere nei vostri cuori, e la luce che ne
scaturiva non era nemmeno paragonabile a quella che creavate
singolarmente. Avete iniziato a trascorrere tutto il tempo insieme, e
persino inscenato una specie di matrimonio. È stato bellissimo
quando avete promesso di dedicarvi l’una all’altro, e di portare
amore e luce nella vostra casa. Rispetto all’oscurità in cui vivevi
prima, ti sembrava di stare il paradiso.
Un giorno hai trovato un libro nella tua biblioteca. Era
interessante, perché parlava della luce naturale che brillava
“all’esterno”; diceva addirittura che poteva “inondare” un ambiente.
Descriveva una luce più intensa di qualsiasi luce tu potessi mai
immaginare, e lasciava intendere che non c’era bisogno di produrla.
Eri confuso, ma d’altronde l’unica luce che conoscevi era quella
q
artificiale, delle candele o delle torce: com’era possibile che ne
esistesse una immensa e sempre accesa? Non capivi di cosa parlasse
quel libro, perché potevi confrontarlo solo con il mondo cui eri
abituato: l’interno della tua abitazione immersa nella semioscurità.
L’unica luce che conoscevi era quella che producevi tu dentro casa.
Eri lì da così tanto tempo che tutte le tue speranze, i tuoi sogni, le tue
idee e le tue convinzioni erano basati su quella vita al chiuso e al
buio. La tua esistenza consisteva nel custodire e mantenere ciò che
eri riuscito a costruire dentro le mura di casa.
Andando avanti con quel libro all’apparenza mistico, sei arrivato
alla descrizione di una passeggiata sotto il “sole”, una fonte di luce
sempre presente, che si autoalimentava e illuminava tutto in un
colpo solo e indiscriminatamente. Sebbene non avessi nessun
termine di paragone per comprenderlo, quel passaggio ti toccava nel
profondo dell’animo. Il libro parlava di uscire all’aperto, ossia
all’esterno delle mura che ognuno di noi si è creato. Spiegava che
finché sei innamorato del mondo che hai creato per evitare l’oscurità,
non puoi conoscere la luce naturale che abbonda fuori casa. Come
puoi avventurarti fuori, se sei così dipendente da ciò che hai
costruito dentro?
L’allegoria è perfetta per spiegare la condizione in cui ci troviamo.
La nostra coscienza – la consapevolezza di esistere – risiede nella
profondità di noi stessi, ma è circondata su tutti i lati: quattro pareti,
un pavimento e un soffitto. È talmente sepolta che nemmeno un
raggio di sole riesce a raggiungerla, e l’unica luce che riceve è quella
che ci creiamo da soli. Se non ci adoperiamo per illuminarla
artificialmente, là sotto regna l’oscurità, ed è per questo che ogni
giorno dedichiamo tanto tempo a “decorarla”. Lo facciamo
portandoci dentro un sacco di cose, nella speranza di creare un
minimo di luce nella casa che ci siamo costruiti e nella quale ci siamo
isolati dal mondo.
Ecco il quadro della situazione: sei chiuso dentro una casa,
completamente escluso dalla luce naturale, anche se quell’abitazione
si trova in mezzo a un campo illuminato dal sole. Ma di cosa è fatta
la tua casa? Di cosa sono fatte le pareti? Come possono impedire
l’accesso alla luce naturale e tenerti prigioniero? La tua casa è fatta di
p g
pensieri ed emozioni, le pareti sono la psiche. Ecco cos’è quella casa:
tutte le tue esperienze passate, tutti i pensieri e le emozioni; tutti i
concetti, le visioni, le opinioni, le convinzioni, le speranze e i sogni
che hai raccolto negli anni. Li hai disposti tutt’intorno a te, e anche
sopra e sotto. Hai creato un determinato insieme di pensieri ed
emozioni, e li hai intessuti tra loro costruendo il mondo concettuale
in cui adesso dimori. Questa struttura mentale blocca
completamente l’accesso a qualsiasi luce naturale risplenda
all’esterno. Le pareti sono così spesse e sigillate che dentro la tua casa
c’è solo oscurità. Inoltre, sei così rapito dai pensieri e dalle emozioni
che ti circondano che non ti spingi mai al di là dei loro confini.
Se vuoi avere un’idea di quanto siano limitanti quelle mura, prova
ad accostartici. Ipotizziamo che tu abbia paura dell’altezza, perché
da piccolo sei caduto da una scala e sei rimasto traumatizzato. Ecco,
quella è una delle tue pareti. Se non ci credi, prova ad attraversarla.
Poniamo che la vita ti metta in una situazione in cui quella paura si
ripresenta, e che tu decida di affrontarla a testa bassa. Più ti
avvicinerai al punto cruciale, e più avvertirai l’impulso di ritrarti. Le
paure accumulate nel tempo definiscono i nostri limiti, e l’istinto ci
spinge a evitarli. È normale, poiché è questo che facciamo con i muri
veri: evitiamo di andarci a sbattere contro. Eppure, proprio perché
eviti di avvicinarti ai tuoi confini mentali, finisci per muoverti solo
all’interno del loro perimetro, tanto che diventano la tua prigione, i
limiti della tua consapevolezza. Siccome non ti ci avvicini nemmeno,
non riesci a scorgere cosa c’è al di là.
Quando ti accosti ai confini dei tuoi pensieri e delle tue emozioni,
hai la sensazione di precipitare in un abisso. Non vorresti mai
andarci, ma puoi farlo e, se vuoi uscire, devi andarci. Alla fine
scoprirai che l’oscurità era solo apparente, era soltanto l’effetto delle
pareti che bloccavano l’accesso alla luce infinita. Per chi cerca la luce,
è una distinzione cruciale: se ti trovi al cospetto di un muro che ti
protegge da un’oscurità infinita, allontanati; ma se individui un
muro che sta bloccando la luce, abbattilo. Si dice spesso che per
giungere alla luce infinita si deve attraversare la notte più buia.
Questo perché ciò che chiamiamo “tenebre” in realtà sono delle
pareti che bloccano il passaggio della luce. Dobbiamo oltrepassarle.
p p gg p
Non è così difficile. Ogni giorno, la luce sconfinata le investe e
cerca di abbatterle, ma noi le difendiamo. Devi capire che quando
pensi di proteggerti, in realtà stai proteggendo le tue mura. Non c’è
nient’altro da difendere dentro di te, solo la consapevolezza di
esistere e la casetta limitata che ti sei costruito, quindi ciò che stai
difendendo è la tua prigione. Te ne stai rintanato là dentro, e se
qualcosa minaccia le pareti della tua psiche, ti metti subito sulla
difensiva. Ti sei costruito un’immagine di te stesso, ci sei entrato
dentro e ora la difendi come meglio puoi. Ma di cos’è fatta, se non di
pareti concettuali? Quando dici: «Sono una donna, ho
quarantacinque anni. Sono sposata con Joe e mi sono diplomata al
liceo…» sono solo pensieri. Sono cose che non esistono, se non sotto
forma di pensieri, cui però ti aggrappi: «Ero una cheerleader, e
l’ultimo anno sono stata eletta capoclasse». Certo, ma è successo
trent’anni fa. Quelle situazioni non esistono più, eppure vivono
ancora in te, anzi contribuiscono a formare le mura dentro cui sei
rinchiusa.
E se qualcuno mette in discussione quell’immagine di te stessa, o
addirittura riesce ad aprirvi un varco? In altre parole, cosa succede
se una persona smuove una delle convinzioni su cui hai edificato il
tuo castello mentale? Immagina che un giorno uno ti dica: «Senti,
quei due non sono i tuoi genitori. Sei stata adottata. Non lo sapevi?».
Prima di tutto negherai, almeno finché quello non ti mostra i
documenti di adozione. Un evento del genere ti scuoterà
violentemente. Basta poco perché la struttura vacilli, e paure e
turbamenti prendano il sopravvento. Se scopri che qualcosa non è
come pensavi, ti senti sconvolta nel profondo, perché la novità
minaccia la roccaforte concettuale in cui dimori. Per rimediare,
cominci a razionalizzare: «Comunque sono due persone stupende,
che si sono comportate proprio come avrebbero fatto i miei veri
genitori. Pensa, adottare una come me e crescerla come una figlia.
Oddio, sono ancora più speciali di quanto pensavo!». Bene, in questo
modo ci hai messo su una bella pezza. Del resto è quello che
facciamo di solito con le nostre mura: le restauriamo e le
manteniamo intatte. Niente deve minacciarle.
Ti rendi conto che hai tappato la falla con un altro costrutto
mentale? D’altronde, ripari con un pensiero ciò che è fatto di
pensieri. È così che si fa. E proprio come quei due che, in preda alla
paura, si sono rinchiusi in una casa buia, in mezzo a un campo
baciato dal sole, e poi a fatica hanno creato un po’ di luce artificiale,
anche noi ci adoperiamo per ricreare un mondo piacevole, che sia
migliore dell’oscurità interiore, dentro i confini definiti dalle nostre
pareti mentali. Decoriamo quelle mura con i ricordi del passato e i
sogni per il futuro, in altre parole, le abbelliamo di pensieri. Tuttavia,
come i due sepolti in casa del nostro esempio, che potrebbero uscire
dal loro mondo artificiale e godersi la bellezza della luce naturale,
anche tu puoi uscire dal tuo castello di pensieri e conquistare una
libertà illimitata. La tua consapevolezza può espandersi sino a
comprendere la vastità dello spazio, anziché solo l’ambiente
circoscritto in cui dimori. Allora, gettando un ultimo sguardo alla
casetta che ti eri costruito, ti chiederai perché mai ci eri finito dentro.
È così che si conclude il cammino. La vera libertà è davvero a
portata di mano, dall’altra parte delle mura della tua psiche.
L’illuminazione è una condizione molto speciale, ma in verità non
dovresti focalizzarti su quell’obiettivo, quanto piuttosto sulle pareti
che ti sei costruito e che impediscono l’accesso alla luce. A che serve
edificare dei muri che bloccano la luce se sei in cerca
dell’illuminazione? Per uscirne devi lasciare che sia la vita stessa ad
abbattere le pareti che ti confinano. Non devi fare altro che astenerti
dal sostenere, mantenere e difendere la tua fortezza.
Immagina che la tua casa di pensieri si trovi in mezzo a un oceano
di luce, illuminato da miliardi di stelle. Immagina la tua
consapevolezza intrappolata all’interno dell’oscurità di quella casa,
impegnata in una lotta quotidiana per sopravvivere alla misera luce
artificiale delle tue esperienze ristrette. Ora, immagina che le pareti
crollino, e la coscienza si espanda senza sforzo alcuno nello
splendore di ciò che è ed è sempre stato. È un’esperienza cui puoi
dare un nome: illuminazione.
13
Molto, molto oltre

La parola “oltre” coglie bene il vero significato della spiritualità.


Nella sua accezione più elementare, “andare oltre” significa superare
i limiti della situazione in cui uno si trova. Vuol dire non restare
nella condizione attuale. Quando vai costantemente oltre te stesso,
non ci sono più limiti, non ci sono più confini. Limiti e confini
esistono solo se smetti di andare oltre, ma se non ti fermi mai, superi
ogni limite, ogni confine, ogni percezione di un sé limitato.
Cosa significa andare oltre? Significa espandersi all’infinito in
ogni direzione. Se prendi un laser e lo punti in una direzione
qualsiasi, la luce procederà all’infinito. Il fascio si fermerebbe solo se
creassi una barriera artificiale, per bloccarlo. Sono i confini che
creano l’illusione del finito nello spazio infinito. Gli oggetti appaiono
finiti perché le percezioni cozzano contro i limiti dalla mente. In
realtà, ogni cosa è infinita. Sei tu che catturi ciò che proseguirebbe
all’infinito e lo misuri. Ma in fondo che cos’è una misura? Non è
altro che un frammento di infinito. In realtà i limiti non esistono
davvero, esiste solo l’universo infinito.
Per andare oltre, devi continuare a superare i limiti che hai
imposto ai fenomeni, ma ciò richiede un profondo cambiamento
interiore da parte tua. In questo preciso istante usi la mente analitica
per spezzettare il mondo in una miriade di singoli concetti. Poi ti
servi della stessa mente per porre quei pensieri distinti in rapporto
tra loro, per avere una parvenza di controllo. Puoi constatarlo
facilmente, esaminando i tuoi continui tentativi di trasformare
l’ignoto in qualcosa di conosciuto. Per esempio, pensi: «Domani non
deve assolutamente piovere. È il mio giorno di riposo. Jennifer adora
stare all’aria aperta, e certamente vorrà andare a camminare. Anzi,
potrei prendermi un giorno in più, tanto Tom potrebbe sostituirmi.
p p g p p
L’ho coperto io l’ultima volta». Hai progettato tutto: hai già deciso
come andranno le cose, anche se non sono ancora successe. Strategie,
idee, opinioni, preferenze, concetti, obiettivi e convinzioni sono tutti
mezzi per ridurre l’universo infinito a qualcosa di finito, su cui puoi
illuderti di esercitare un controllo. La mente analitica non sa gestire
l’infinito, per cui crea una realtà alternativa composta da pensieri
finiti e gestibili. Prende l’intero, lo suddivide in tanti pezzettini e poi
ne seleziona una manciata per ricomporlo in un modello mentale,
che diventa la tua realtà. A quel punto lotti giorno e notte affinché il
mondo reale combaci con il tuo modello riduttivo, e definisci
sbagliato, cattivo o ingiusto tutto ciò che non gli si confà.
Se accade qualcosa che pone in dubbio la tua visione del mondo,
ti ribelli e combatti. Ti metti sulla difensiva, razionalizzi, ti senti
frustrato e ti arrabbi, anche per cose futili. Questo succede quando
non riesci a inserire la realtà nel tuo modello. Se vuoi superarlo, devi
correre il rischio di non crederci. Se quello schema prefissato ti crea
problemi, è perché non comprende tutta la realtà. Quindi ti restano
due possibilità: contrastare la realtà o oltrepassare i limiti del tuo
mondo artificiale.
Per andare davvero oltre il tuo modello, devi innanzitutto capire
perché l’hai costruito, e il modo più semplice per farlo è vedere cosa
succede quando non funziona. Hai mai impostato la tua vita su
un’altra persona, o sulla stabilità di un rapporto sentimentale? Se è
così, hai mai sentito le fondamenta scricchiolarti sotto i piedi?
Quando il partner ti lascia, una persona amata muore o qualcosa non
va per il verso giusto, ecco che il nostro modello della realtà vacilla.
Quando ciò accade, l’intera visione di ciò che sei, compresi i tuoi
rapporti con qualsiasi persona o situazione intorno a te, comincia a
sgretolarsi. Vieni colto dal panico e sei pronto a fare di tutto pur di
mantenere il controllo: implori, combatti e ti agiti per impedire che il
tuo mondo vada in frantumi.
Quando ti capita un’esperienza del genere (e prima o poi tocca a
tutti) comprendi che il modello della realtà che ti sei creato è, nella
migliore delle ipotesi, fragilissimo. Può crollare da un momento
all’altro. Il tuo mondo, e tutto ciò che ci hai costruito sopra, compresa
l’idea che hai di te stesso e di ogni altra cosa, può sbriciolarsi. Ciò
g p
che sperimenti in questa situazione è una delle più grandi lezioni
della vita, perché ti ritrovi faccia a faccia con il motivo che ti ha
spinto a costruire il modello. Il malessere e la confusione che affronti
sono davvero spaventosi. Lotti come un matto solo per tornare a una
sembianza di normalità. In realtà stai cercando di ripristinare come
puoi lo schema mentale di prima, in modo da ritrovare un assetto
mentale familiare.
Ma non è necessario che il tuo mondo crolli a pezzi per capire che
sei costantemente impegnato a cercare di tenerlo in piedi. Se davvero
vuoi vedere perché fai certe cose, prova a non farle, e osserva ciò che
accade in quel caso. Supponiamo che tu sia un fumatore. Se smetti di
fumare, farai immediatamente i conti con ciò che ti spinge a fumare.
Il bisogno impellente che individui è la ragione per cui fumi, ma è
solo lo strato più superficiale del vizio; la causa originaria è più
nascosta. Se riesci a osservare il bisogno mentre si manifesta, senza
cedere alla tentazione di soddisfarlo, vedrai anche la causa
sottostante. Se poi riesci a padroneggiare quello che vedi, scoprirai la
causa successiva, e così via, strato dopo strato, un rapporto di
casualità dopo l’altro. Allo stesso modo, c’è un motivo preciso per
cui mangi troppo, oppure per cui ti vesti in una certa maniera. C’è
una ragione per ogni cosa. Se vuoi scoprire perché ti preoccupi così
tanto del tuo look o dei tuoi capelli, prova a infischiartene per un
giorno. Alzati la mattina ed esci con i capelli in disordine, e osserva
cosa accade al tuo campo energetico interiore. Intendo dire,
sperimenta cosa ti succede se ti astieni dal fare ciò che ti mette a tuo
agio: in questo modo capirai i veri motivi dei tuoi comportamenti.
Cerchi sempre di restare nella zona di comfort. Fai tutto il
possibile per mantenere persone, luoghi e oggetti in una
disposizione tale da confermare la tua visione del mondo. Se gli
eventi prendono una piega diversa dal previsto, provi disagio. La
mente si attiva per istruirti su come far tornare ogni cosa come tu hai
deciso che dev’essere. Non appena qualcuno si comporta in modo
contrario alle tue aspettative, la mente formula un pensiero del
genere: «E adesso cosa dovrei fare con lui? Non posso ignorare ciò
che ha fatto. Potrei affrontarlo a muso duro, o chiedere a qualcuno di
farlo a nome mio». In altre parole, ti dice di risolvere il “problema”, e
p p
non ha nessuna importanza cosa finirai per fare: quello che conta è
ritornare nella zona di comfort. È una zona “finita”. Tutti i tuoi
tentativi di restare nei suoi limiti ti rendono un essere finito. Uscire
dalla zona di comfort significa smettere di sforzarsi di tenere tutto
all’interno dei suoi limiti.
Di conseguenza, puoi vivere in due modi: dedicando la vita intera
a rimanere nella zona di comfort, oppure lavorando per la libertà.
Detto altrimenti, puoi passare i giorni ad assicurarti che tutto
combaci con il tuo modello limitato del mondo, oppure cercare di
liberarti dai limiti di quella visione riduttiva.
Per comprendere meglio la cosa, facciamo un giretto allo zoo.
Immagina di esserti goduto la visita, finché non hai visto una tigre
rinchiusa in una gabbia piccolissima. Subito hai pensato a cosa
significhi trascorrere la vita in uno spazio così confinato, e l’idea ti ha
spaventato. Sappi che i limiti della tua zona di comfort sono una
gabbia. È una gabbia interiore che non circoscrive il corpo, ma
l’espansione della coscienza. Se non sei in grado di uscire dalla zona
di comfort, vivi imprigionato come un animale dello zoo.
Prova a esaminare la faccenda, e capirai che rimani in quella
gabbia perché hai paura. Dopotutto la zona di comfort è familiare,
mentre là fuori c’è l’ignoto. Per capirlo meglio, pensa alla persona
più paranoica che tu abbia mai incontrato. La sua vita è
caratterizzata dal terrore, perché crede sempre che qualcuno voglia
farle del male. Se le proponessi di vivere in una gabbia come quella
della tigre, probabilmente accetterebbe. Non la vedrebbe come una
prigione, bensì come una protezione da tutto ciò che può nuocerle:
quella che per te è una condanna, per lei è una forma di sicurezza.
Come ti sentiresti se una ditta di antifurto venisse a casa tua per
sprangare l’ingresso e sbarrare tutte le finestre? Se tu fossi
all’interno, andresti nel panico e vorresti scappare, oppure li
ringrazieresti per aver reso la tua casa più sicura?
In genere, le persone reagiscono nel secondo modo quando si
tratta dei limiti della mente: vogliono restare chiuse dentro la loro
psiche e sentirsi al sicuro. Non dicono: «Fatemi uscire di qui! Sono
rinchiuso in un mondo minuscolo, in cui ogni cosa deve andare in
un certo modo. Sono costretto a preoccuparmi di ciò che fanno gli
p p g
altri, del mio aspetto e di quel che dico. Voglio uscire!». Al contrario,
nella maggior parte dei casi, le persone cercano di rinforzare la
propria gabbia, e se qualcosa le mette a disagio, fanno di tutto per
proteggersi e tornare all’abituale sensazione di sicurezza. Se ti è mai
capitata una cosa del genere, significa che ami la tua gabbia. Quando
la gabbia della psiche è stata scossa, hai fatto del tuo meglio per
stabilizzarla, e sentirti di nuovo a tuo agio.
Il risveglio spirituale consiste nel prendere coscienza di essere
chiusi in gabbia. Ti svegli e capisci che là dentro riesci a malapena a
muoverti, sbatti continuamente contro i limiti della tua zona di
comfort. Scopri che hai paura di dire agli altri ciò che pensi davvero,
che sei troppo imbarazzato per esprimerti liberamente, che per
essere a tuo agio devi tenere tutto e tutti sotto controllo.
Perché? Non c’è un vero motivo: sei stato tu stesso a importi quei
limiti. Se non li rispetti, ti senti impaurito, ferito, minacciato. Ecco la
tua gabbia! La tigre riconosce i confini della sua gabbia quando va a
sbattere contro le sbarre. Per quel che ti riguarda, fai esperienza dei
limiti della tua gabbia interiore allorché la psiche comincia a opporre
resistenza a un fenomeno esteriore o interiore. Le tue sbarre sono il
margine esterno della zona di comfort. Non appena ci sbatti contro,
la mente te lo fa sapere senza mezzi termini.
Proviamo a illustrarlo con un esempio. Un tempo, se volevi che il
cane rimanesse nel cortile di casa, dovevi costruire una recinzione,
ma oggi non ce n’è più bisogno: basta seppellire qualche cavo
sottoterra e mettere al cane un collarino elettronico. Lui pensa: «Che
bello, sono libero! Prima dovevo restare chiuso in quel recinto». Ma
quando cerca di superare i confini della proprietà, zap!, fa un salto
indietro e abbaia. Cos’è successo? C’era un limite invisibile, e non
appena si è avvicinato, il collare gli ha dato una piccola scossa.
Abbastanza dolorosa perché ora provi terrore ogni volta che si
accosta alla zona proibita. Vedi, una gabbia non deve per forza avere
le sbarre di ferro: può bastare la paura di soffrire. Quando ti spingi ai
limiti della tua gabbia, cominci a sentirti a disagio e insicuro: ecco le
tue sbarre. Ma finché ci resti dentro, non puoi neppure immaginare
cosa ci sia dall’altra parte. Sono quei confini mentali che fanno
sembrare il mondo limitato nel tempo e nello spazio. Ma l’infinito e
l’eternità sono appena fuori dalla gabbia.
Andare oltre significa uscire dalle sbarre che ti sei costruito. Non
dovrebbe esserci nessuna gabbia: l’anima è infinita, libera di
espandersi dove vuole, libera di sperimentare la vita in ogni suo
aspetto. Ma ciò può accadere soltanto quando sei disposto ad
affrontare la realtà senza costrizioni mentali. Se hai ancora dei limiti
(e sai quali sono, perché ci sbatti contro ogni giorno), devi essere
disposto a superarli. In caso contrario, resterai confinato nella tua
gabbia. E non dimenticare: decorarla con tante belle esperienze,
teneri ricordi e grandi sogni non è la stessa cosa che uscire. Chiamala
come vuoi, una gabbia è sempre una gabbia. Devi essere disposto ad
andare oltre.
Ogni giorno sbatti più volte contro le sbarre della tua prigione.
Quando accade, o ti ritrai, o cerchi di forzare la situazione per
sentirti di nuovo a tuo agio. Adoperi le magnifiche facoltà della
mente per restare all’interno della gabbia. Escogiti progetti e
strategie pur di rimanere nella tua zona di comfort. Certe notti non
riesci neppure a prendere sonno, perché continui a pensare a ciò che
devi fare per rimanere in gabbia: «Come posso fare in modo che non
mi lasci mai? Come posso impedirle di provare interesse per un
altro?». In questo caso stai cercando di ideare un piano per
assicurarti di non sbattere mai contro quella particolare sbarra della
tua prigione.
Torniamo all’esempio del cane. Era abituato ad andare dove
voleva, per cui il giorno in cui smette di provare a uscire dal cortile è
davvero un momento molto triste. L’unico motivo per cui non cerca
più di scappare è che adesso ha paura dei confini che gli hai
imposto. Ma che succederebbe se fosse un esemplare
particolarmente coraggioso, deciso a riconquistarsi la libertà a ogni
costo? Immagina che non rinunci, ma che resti seduto là, proprio
nella zona in cui il collare comincia a vibrare, senza indietreggiare.
Ogni tanto fa un passetto avanti, per abituarsi alle scosse. Se
continua così, alla fine ce la farà, non c’è alcun motivo al mondo per
cui non debba riuscirci. Siccome si tratta di un confine artificiale, può
superarlo, se si abitua a sopportare il dolore. Deve solo essere pronto
p pp p
e capace di gestire quella sensazione sgradevole. In fondo, il collare
non può ferirlo fisicamente, è solo un fastidio. Se lui è disposto a
uscire dalla sua zona di comfort, sarà libero di andare dove vuole.
La tua gabbia è identica. Quando ti avvicini alle sbarre, provi
insicurezza, gelosia, paura, imbarazzo. Fai marcia indietro, e se sei
come la maggioranza delle persone, prima o poi smetti di
avvicinarti. Il viaggio spirituale comincia nel momento in cui decidi
che non smetterai mai di provarci, consiste nell’impegno ad andare
oltre, a tutti i costi. È un viaggio infinito, basato sul superamento dei
propri limiti, ogni minuto di ogni giorno, per il resto della vita. Se
stai davvero andando oltre, ti trovi sempre al limite, non sei mai
nella zona di comfort. Un ricercatore spirituale si sente sempre al
limite, si sente sempre spinto ad attraversarlo.
Alla fine capisci che, quando superi le tue barriere psicologiche,
non ti fai davvero male. Se sei determinato ad avvicinarti al confine e
a oltrepassarlo, ce la farai. Una volta, quando una situazione
diventava sgradevole, facevi dietrofront; adesso ti rilassi e vai oltre.
Per superare i tuoi limiti non serve altro: vai oltre il punto in cui ti
trovavi un minuto fa, e affronta ciò che accade in quell’istante.
Ti piacerebbe andare oltre? Vorresti sentire cosa si prova quando
non ci sono più confini? Immagina una zona di comfort talmente
vasta che abbraccia un giorno intero, indipendentemente da ciò che
accade. Gli eventi della giornata si dispiegano, e la mente non dice
nulla. Non fai altro che interagire con essi con il cuore in pace e
ispirato. Se per caso sbatti contro un limite, la mente non fa una
piega: va oltre e basta. È così che vivono gli esseri più elevati.
Quando sei allenato, come un grande atleta, a rilassarti non appena
incontri un limite, lo attraversi subito ed è fatta. Comprendi che
andrà sempre tutto bene. In fin dei conti, non c’è nulla che possa
infastidirti, a parte i tuoi stessi confini, e ora sai come affrontarli.
Finisci persino per amarli, perché ti indicano il cammino verso la
libertà. Devi solo rilassarti costantemente, e buttarti. Poi, un bel
giorno, quando meno te l’aspetti, precipiterai nell’infinito. Ecco cosa
significa andare oltre.
14
Abbandonare la falsa solidità

L’interno della psiche è un luogo molto complesso e sofisticato,


pieno di forze conflittuali e in continuo mutamento, influenzate dagli
stimoli interiori ed esteriori. Da ciò scaturisce un’ampia gamma di
bisogni, paure e desideri, che si susseguono in un arco di tempo
relativamente breve. È per questo che pochi hanno la lucidità
necessaria per capire cosa accade realmente. L’avvicendarsi dei
fenomeni è troppo intenso per cogliere i nessi di causalità tra i
diversi pensieri, sentimenti e livelli energetici. Si fa fatica anche solo
a dare a quell’insieme una certa coerenza, perché tutto cambia senza
sosta: stati d’animo, desideri, simpatie, antipatie, entusiasmi,
letargie. Mantenere la disciplina necessaria per far sì che là dentro vi
sia una parvenza di controllo e ordine è un’occupazione a tempo
pieno.
Se sei alla mercé di quei cambiamenti psicologici ed energetici,
soffri. Magari non ti sembra di soffrire, ma se ti paragonassi a ciò che
potresti essere, scopriresti che è così. La responsabilità stessa di
tenere in piedi quel castello di carte è una forma di sofferenza. Te ne
rendi conto quando, esteriormente, qualcosa ti sfugge di mano: la
psiche va in subbuglio, e subito si adopera per mantenere la coesione
del tuo mondo interiore. Ma a cosa stai cercando di aggrapparti per
la precisione? Nella mente ci sono solo pensieri, emozioni e
cambiamenti energetici: nessuno di quei fenomeni offre una qualche
solidità; sono come nuvole, che vanno e vengono nella vastità dello
spazio interiore. Tuttavia continui ad aggrappartici, come se la
costanza potesse sostituirsi alla sostanza. Nel buddhismo c’è un
termine per definire questo atteggiamento: “afferrarsi”. E, in
definitiva, la psiche non fa nient’altro che questo.
Per comprendere il concetto, per prima cosa dobbiamo capire chi
si afferra. Via via che ti addentri nella profondità del tuo essere,
finisci spontaneamente per comprendere che c’è una parte che è
sempre presente e non cambia mai. È la consapevolezza, la
coscienza. È in virtù di tale caratteristica che sei consapevole dei
pensieri, che sperimenti il fluire delle emozioni e raccogli le
informazioni provenienti dai sensi. È questa la radice del Sé. Tu non
sei i tuoi pensieri, tu sei solo consapevole dei tuoi pensieri. Non sei
nemmeno le tue emozioni, sei colui che ne fa esperienza. E non sei
neppure il corpo: lo guardi allo specchio e fai esperienza di questo
mondo attraverso i suoi occhi e le sue orecchie. Tu sei l’essere
cosciente che è consapevole di conoscere i fenomeni interiori ed
esteriori.
Se esplori la coscienza – il tuo senso di consapevolezza nella
forma più pura che ci sia – ti rendi conto che non è collocata in
nessun punto dello spazio in particolare. È piuttosto un campo di
consapevolezza, che si focalizza su un punto concentrandosi su un
dato insieme di oggetti. Puoi concentrare la consapevolezza su un
unico dito, oppure percepire contemporaneamente il corpo intero;
puoi perderti completamente in un singolo pensiero, o essere
simultaneamente consapevole di tutti i tuoi pensieri, delle tue
emozioni, del tuo corpo e dell’ambiente circostante. La coscienza è
un campo di consapevolezza dinamico, che ha la capacità di
focalizzarsi su un punto o di espandersi all’infinito. Quando si
concentra troppo, smarrisce la sua più ampia percezione del sé, non
sperimenta più se stessa come un campo di pura coscienza, ma
comincia a identificarsi con l’oggetto su cui è focalizzata. Come
abbiamo visto, è quel che accade quando ti lasci assorbire da un film
al punto di perdere ogni cognizione di ciò che ti circonda, ossia la
sala cinematografica buia. In sostanza, la coscienza ha abbandonato
la consapevolezza del corpo e di ciò che lo circonda per concentrarsi
sul mondo rappresentato nel film, fino a perdersi completamente in
quest’ultimo. Tale esempio può essere generalizzato all’intera
esperienza della vita. Il tuo senso di identità è determinato da ciò su
cui concentri la coscienza.
Ma cosa determina ciò su cui si concentra la coscienza? A livello
più elementare, qualsiasi cosa attragga la tua attenzione perché
spicca rispetto al resto. Per comprenderlo, immagina che la tua
coscienza stia semplicemente osservando uno spazio interiore vasto
e vuoto. Ora ipotizza che questo spazio sia attraversato da un
placido flusso di oggetti mentali generati a caso: un gatto, un cavallo,
una parola, un colore, un pensiero astratto. Questi oggetti
sporadicamente filtrano attraverso la consapevolezza. Ora, lascia che
un certo oggetto si distingua dal resto, e attragga su di sé tutta la tua
attenzione, tutta la tua consapevolezza. Ti rendi subito conto che, più
ti focalizzi su di lui, più ne rallenti il movimento, fino a che, se insisti
a sufficienza, si ferma. La forza della coscienza riesce a trattenere
saldamente l’oggetto, concentrandosi su di esso. Come un pesce può
attraversare l’acqua, ma non il ghiaccio (che in fondo è acqua
concentrata), così gli schemi energetici, mentali ed emotivi si
bloccano se incontrano una coscienza concentrata. L’atto stesso di
differenziare la quantità di consapevolezza dedicata a un particolare
oggetto rispetto agli altri è all’origine di quello che abbiamo definito
“afferrarsi”. Il risultato è che i pensieri e le emozioni così selezionati
restano fermi quanto basta per trasformarsi in uno dei mattoncini di
cui è costruita la psiche.
L’afferrarsi è uno dei gesti più primordiali che esistano. Poiché
alcuni oggetti restano nella coscienza mentre altri la attraversano e
basta, il tuo senso di consapevolezza si basa soprattutto sui primi.
Essi diventano dei punti fermi, che ti danno un senso di
orientamento, di rapporto e di sicurezza, in un universo interiore in
continuo mutamento. Questo bisogno di punti di riferimento si
estende anche al mondo esteriore. Usi gli oggetti interiori per
orientarti e rapportarti con la moltitudine di oggetti fisici che
percepisci attraverso i sensi, poi generi dei pensieri per collegare fra
loro tutti questi oggetti, e infine ti aggrappi alla struttura che viene in
tal modo a crearsi. Ti afferri così saldamente che diventa il
fondamento su cui costruisci la tua identità, il tuo senso di sé. Più ti
afferri, e più questa struttura resta ferma, ma più resta ferma, e più ti
relazioni soprattutto con essa. Questa è la genesi della psiche. In
mezzo a una mente vuota e sconfinata, ti aggrappi a qualcuno degli
gg pp q g
oggetti che vi fluttuano, e costruisci un’isola di solidità apparente.
Quando hai un primo nucleo di pensiero permanente, puoi ancorarti
e poi, afferrando un numero crescente di pensieri, edifichi una
struttura interiore su cui concentri la coscienza. Più la coscienza si
focalizza su quel costrutto mentale, maggiore è la tendenza a
servirtene per definire la tua identità. In sostanza, questo processo
produce i mattoni e la calce con cui edifichi il tuo sé concettuale. In
mezzo alla vastità interiore, servendoti di nient’altro se non di
pensieri evanescenti, hai costruito una struttura all’apparenza solida,
su cui ti appoggi.
Chi sei tu, così smarrito e alla costante ricerca di un’identità, in cui
speri di ritrovarti? Questa domanda è l’essenza della spiritualità.
Non troverai mai te stesso nella struttura che hai costruito per
definirti, perché tu sei il costruttore. Puoi assemblare la più
sorprendente collezione di pensieri ed emozioni, edificare
un’impalcatura davvero magnifica, incredibile, interessante e
dinamica, ma ovviamente non sei tu. È solo una tua creazione. Tu sei
quello che era perso, spaventato e confuso perché ha distolto la sua
consapevolezza dalla consapevolezza del Sé. Spaesato e in preda al
panico, ti sei aggrappato ai pensieri e alle emozioni che ti passavano
di fronte, e hai imparato a tenerteli stretti. Li hai usati per costruire
una personalità, un’identità, un’immagine di te stesso che ti
permettesse di definirti. La consapevolezza si è fermata sugli oggetti
cui stava prestando attenzione, e ne ha fatto la sua dimora. Il
modello concettuale che si è venuto a creare ti aiuta ad agire, a
prendere le decisioni e a rapportarti con il mondo esterno. Se osi
guardare in profondità, però, scopri di aver vissuto una vita intera
basandoti su una visione artificiale della realtà.
Entriamo nello specifico. Cerchi di crearti un sistema coerente di
pensieri e concetti, come per esempio: «Sono una donna». Ebbene sì,
anche quello è solo un concetto su cui la tua mente fa affidamento,
malgrado tu, in realtà, non sia né un uomo né una donna. Tu sei la
consapevolezza che osserva quel pensiero, e che vede allo specchio il
corpo di una donna. È un’idea, ma ti ci aggrappi fermamente; pensi:
«Sono una donna, ho una certa età e credo in questa filosofia di vita,
e non in un’altra». Ti definisci, letteralmente, basandoti sulle tue
convinzioni: «Credo in Dio, o non credo in Dio. Credo nella pace e
nella non violenza, oppure credo nella legge del più forte. Credo nel
capitalismo, o credo nel socialismo». Prendi un insieme di
convinzioni e ti ci aggrappi. Su questa base, edifichi una struttura
relazionale estremamente complessa, e la presenti al mondo come
ciò che sei. Ma non sei affatto così: quelli sono solo dei concetti di cui
ti sei ammantata per definire te stessa, e l’hai fatto perché sotto sotto
ti sentivi smarrita.
Di fondo, cerchi sempre di creare un senso di stabilità e di
fermezza dentro di te. Questo genera un senso di sicurezza,
piacevole, ma finto. Inoltre, pretendi che chi ti circonda faccia la
stessa cosa: vuoi che sia altrettanto stabile, così da avere un
comportamento prevedibile. Se non lo è, la cosa ti disturba, perché le
previsioni sul comportamento altrui sono un elemento fondamentale
del nostro modello interiore del mondo. Quello scudo protettivo,
fatto di convinzioni e concetti sulla realtà esteriore, funge da
membrana tra noi e le persone con cui interagiamo. I preconcetti sul
comportamento altrui ci fanno sentire sicuri, capaci di controllare la
situazione. Immagina lo sgomento se quel muro difensivo crollasse
all’improvviso! A chi hai mai permesso di accedere al tuo sé
interiore, senza la protezione di quel cuscinetto mentale? A nessuno,
neppure a te stesso.
Le persone si costruiscono molte maschere, e addirittura
ammettono che alcune sono più autentiche di altre. Al lavoro indossi
la maschera professionale, ma poi proclami: «Adesso vado a casa,
con la famiglia e gli amici, e posso essere me stesso». E così la
maschera professionale viene dismessa a favore di quella sociale e
rilassata. Ma chi è colui che si mette e toglie le diverse maschere?
Nessuno può avvicinarlo: è troppo spaventoso, troppo sepolto in
profondità per poterlo affrontare.
Ecco perché siamo tutti indaffarati ad aggrapparci ai pensieri e a
costruire identità concettuali. Alcuni ci riescono meglio di altri e
anzi, in molte società, più sei bravo a farlo e più vieni ricompensato.
Quando costruisci con impegno un modello e non te ne discosti mai,
crei davvero un personaggio, che, se incarna ciò che gli altri
vogliono, o necessitano, può riscuotere successo, può diventare
g p p
molto popolare. Diventi quel personaggio: ti identifichi con lui fin da
piccolo, senza successive deviazioni. Puoi diventare davvero bravo
in questo giochino di creazione di un’identità, e se non riscuote il
successo sperato, puoi modificarlo di conseguenza. Non c’è nulla di
sbagliato in questo: è una cosa che facciamo tutti. Ma chi è l’autore di
tutto ciò, e perché lo fa?
È importante capire che non sei solo tu a decidere a quali pensieri
afferrarti, e che tipo di identità costruire. La società influisce
moltissimo, classificando come accettabili o inaccettabili quasi tutti i
comportamenti umani: come ci si siede, come si cammina, come ci si
esprime, come ci si veste e come si reagisce in ogni data situazione.
Come fa la società a inculcarci quelle strutture mentali ed emotive?
Quando ti comporti come si deve, sei ricompensato da una valanga
di abbracci e di commenti positivi, quando non ti adegui, vieni
punito, fisicamente, mentalmente o emotivamente.
Prova a pensare a quanto sei gentile con chi si comporta in
conformità alle tue aspettative, e poi rifletti su come ti chiudi e ti
ritrai da chi non lo fa. Per non parlare poi della rabbia, o persino
della violenza che possono scaturire nel secondo caso. Cosa stai
facendo? Stai cercando di modificare il comportamento dell’altro
lasciando una forte impressione sulla sua mente. Stai provando ad
alterare il suo insieme di convinzioni, pensieri ed emozioni, in modo
che la prossima volta lui agisca come tu ti aspetti. È una cosa che
facciamo tutti l’uno con l’altro, ogni giorno.
Perché lasciamo che accada? Perché ci preoccupiamo così tanto
che le persone accettino la maschera che offriamo loro? Per
rispondere, dobbiamo capire il motivo per cui ci aggrappiamo
all’identità che ci siamo costruiti, e per fare questo è sufficiente
lasciarla andare. Se ti levi la maschera (ma non per indossarne
un’altra!), i tuoi pensieri e le tue emozioni saranno privi di
ancoraggio e cominceranno ad attraversarti. È un’esperienza molto
spaventosa: può scatenare un profondo terrore e farti sentire
completamente alla deriva. È quel che succede quando ti imbatti in
un evento importante che non combacia con il tuo modello interiore
del mondo: le maschere non funzionano più, anzi iniziano a
sbriciolarsi. Senza protezione, cadi nel panico. Tuttavia, se sei
p p
disposto ad affrontarlo, sappi che c’è un modo per superarlo:
inoltrandoti ulteriormente nella coscienza che lo sta sperimentando,
finché persino il panico scompare. Allora scopri un senso di pace
sconfinata, che non avevi mai provato prima.
È questa la fase che pochi conoscono. Quando tutto si ferma: il
frastuono, la paura, la confusione e il costante mutamento delle
energie mentali; può davvero cessare tutto. Prima pensavi di doverti
proteggere, e quindi ti aggrappavi agli oggetti che attraversavano la
tua coscienza e li usavi per nasconderti; afferravi ogni cosa ciò su cui
potevi mettere le mani e l’adoperavi per costruirti un senso di
solidità. Ma puoi decidere di non stare più al gioco, e di non
aggrapparti più a nulla. Devi solo correre il rischio di lasciar andare
tutto, e avere il coraggio di affrontare la paura che rimane, e che ti
condiziona. Una volta attraversata quella parte di te, sarà finita,
smetterai di combattere, e non ci sarà altro che pace.
Questo cammino passa attraverso la soglia che hai sempre cercato
di non varcare. Mentre superi quello stato di profonda agitazione,
l’unico sollievo che hai è la coscienza. Sei consapevole dei tremendi
cambiamenti che hanno luogo in te, e che non c’è nessuna stabilità,
ma la cosa non ti procura il benché minimo turbamento. Riconosci
che ogni singolo momento, di ogni singola giornata, si svolge senza
che tu abbia alcun controllo su di esso, e nemmeno desideri averlo.
Così, non dai più spazio a concetti, speranze, sogni, convinzioni e
sicurezze; smetti di costruire un modello mentale di tutto ciò che ti
accade, e la vita va avanti lo stesso. Ti senti a tuo agio nell’essere
semplicemente consapevole di ciò che capita: appare un fenomeno,
poi il successivo e quindi un altro ancora. In realtà, è sempre stato
così, i fenomeni si sono sempre susseguiti al cospetto della coscienza,
l’uno dopo l’altro. La differenza è che adesso ne sei consapevole.
Vedi che le emozioni e la mente cercano di reagire a quella sfilata
fenomenica, ma tu non fai nulla né per fermarla né per controllarla.
Lasci che la vita faccia il suo corso, tanto all’interno come all’esterno
di te.
Seguendo questo cammino, ti ritroverai in situazioni in cui
percepirai con chiarezza la paura suscitata dal succedersi degli
eventi. Da quel punto di lucidità, sperimenterai il desiderio intenso
q p p
di proteggerti, che sorge proprio dalla consapevolezza di non avere
alcun controllo sulla vita. È una sensazione sgradevole. Se vuoi
davvero oltrepassare quella soglia, però, devi limitarti a osservare la
paura senza ritrarti o difenderti. Devi essere disposto a riconoscere
che quel bisogno di protezione è all’origine della tua intera
personalità, che infatti è solo una struttura mentale ed emotiva
costruita apposta per sfuggire alla paura. Ora ti trovi a tu per tu con
le radici della psiche.
Se scavi abbastanza in profondità, puoi osservare il processo
tramite cui si costruisce la psiche. Sei in mezzo al nulla, in uno
spazio infinito e vuoto, e vedi una serie di oggetti interiori che
fluttua verso di te: pensieri, emozioni e impressioni lasciati dalle
esperienze sensoriali che si riversano nella coscienza. Noti con
estrema lucidità che il tuo istinto ti spingerebbe a proteggerti da quel
flusso, a porlo sotto il tuo controllo. Sperimenti la fortissima
tentazione di farti avanti e aggrapparti a qualcuna di quelle
impressioni che ti attraversano. Ma se ti focalizzi su di esse, quelle
immagini mentali (lasciate da persone, luoghi e oggetti percepiti)
andranno a costituire una struttura, che nascerà dove prima c’era il
nulla. Scoprirai impressioni relative a eventi che sono successi
quando avevi dieci anni, cui ti afferri ancora adesso che ne hai
quaranta. Capisci che stai letteralmente raccogliendo tutti i tuoi
ricordi per organizzarli in un insieme coerente, con cui poi
identificarti. Ma non è vero: tu non sei gli eventi della tua vita, sei
colui che ne ha fatto esperienza. Come puoi definirti in base a ciò che
ti è accaduto? Eri consapevole della tua esistenza prima ancora che
quelle cose avvenissero. Tu sei colui che segue l’intero processo, che
lo osserva e lo sperimenta. Non hai bisogno di aggrapparti alle tue
esperienze per costruirti una personalità, che oltretutto è falsa: è solo
una concettualizzazione di te stesso, dietro la quale ti nascondi.
Per quanto tempo sei rimasto nascosto là dietro, tentando di
tenere in piedi quell’impalcatura? Ogni volta che il modello
protettivo che ti sei costruito tutt’intorno viene intaccato, ti difendi e
razionalizzi, e rimetti tutto a posto. La mente non smette di lottare
finché non ha metabolizzato la minaccia, o l’ha fatta sparire. In quei
momenti ti sembra che la tua stessa esistenza sia a rischio, perciò sei
p
disposto a combattere e a resistere finché non riprendi il controllo
della situazione. Questo succede perché cerchi solidità laddove non
ce n’è, e per mantenere quell’illusione ti devi impegnare con tutte le
tue forze. Il problema è che non hai via di scampo: è una battaglia
infinita, senza tregue e senza vincitori. Si dice di non edificare la
propria casa sulla sabbia. Ebbene, le tue fondamenta sono peggio
della sabbia: hai costruito la tua dimora nello spazio vuoto. Finché ti
aggrappi a ciò che ti sei fabbricato, dovrai difenderti continuamente
e per sempre. Dovrai mantenere tutto e tutti sotto controllo, per
riconciliare la realtà con il tuo modello mentale del mondo, che
senza una manutenzione continua rischia di crollare.
Seguire un cammino spirituale significa non partecipare a questa
lotta. Significa capire che i fenomeni che accadono in un certo istante
appartengono a quell’istante e basta, non hanno nulla a che vedere
con te. Devi smettere di definirti sulla base del tuo rapporto con loro,
e lasciare semplicemente che se ne vadano così come sono arrivati.
Non consentire a nessun evento di imprimersi nella tua anima. Se ti
sorprendi a rimuginare su qualcosa che è successo in passato,
lascialo andare nel momento stesso in cui te ne avvedi. Se un evento
non collima con il tuo modello mentale del mondo, e ti accorgi che ti
stai sforzando di razionalizzarlo per farlo combaciare, limitati a
riconoscere ciò che sta succedendo: c’è un evento nell’universo che
non si confà al tuo modello, e che ti provoca disagio. Se lo osservi e
basta, vedrai che sta minando il tuo modello mentale, per cui in
realtà ti sta facendo un favore, perché hai deciso che vuoi sbarazzarti
di quella struttura fasulla. È un bene, dato che non hai più voglia di
sprecare energie nella costruzione e nel mantenimento delle tue
maschere. Al contrario, permetterai a tutto ciò che ti crea malessere
(e quindi disturba il tuo modello concettuale) di fungere da
dinamite, per demolire la tua fortezza dalle fondamenta e liberarti.
Ecco cosa significa seguire un cammino spirituale.
Se vivi davvero una vita del genere, ti differenzi in modo radicale
da chi ti circonda. Non desideri ciò cui tutti ambiscono, accetti tutto
ciò che gli altri respingono. Vuoi che il tuo modello mentale – la tua
identità – vada in frantumi, e accogli con gratitudine le esperienze
che ti mettono a disagio. D’altronde, perché mai le parole o le azioni
g p p
di un altro dovrebbero turbarti? Ricorda: sei su un piccolo pianeta
che vortica nello spazio infinito. Sei qui solo di passaggio, pochi anni
e poi te ne vai. Perché mai dovresti stressarti per tutto quello che
succede? Evita di farlo. Se qualcosa ti disturba, significa che ha
cozzato contro il tuo modello concettuale del mondo, ossia che si è
scontrato con una parte falsa di te stesso, che ti sei costruito per
controllare la tua definizione di realtà. Rifletti: se il tuo modello
corrispondesse davvero alla realtà, perché mai un evento reale non
dovrebbe corrispondergli? Nelle tue costruzioni mentali, non c’è
nulla che possa essere considerato realtà.
Devi abituarti a padroneggiare il disagio psicologico. Se la mente
si agita, limitati a osservarla, se il cuore si infiamma, lascialo fare.
Sforzati di trovare quella parte di te che è capace di notare che la
mente è agitata e il cuore in fiamme. Quella parte è la tua unica via
di fuga. Nessun modello interiore che tu possa costruire può servire
allo stesso scopo. L’unica strada per la libertà è identificarsi con
l’osservatore, con il Sé. Il Sé osserva i pensieri e le emozioni che
fanno il loro corso, e non prova minimamente a trattenerli.
Senza dubbio è un processo doloroso. In fondo, il motivo
originario per cui hai costruito la tua struttura mentale era proprio
quello di evitare la sofferenza, e, se la demolisci, sperimenterai il
dolore che hai nascosto sotto le fondamenta. Però devi affrontarlo. Ti
sei rinchiuso nella tua fortezza interiore perché avevi paura di uscire
all’aria aperta, ma se adesso vuoi vivere una vita piena, devi
confrontarti con quel timore a viso aperto. In verità, la fortezza non ti
protegge, ti imprigiona. Per essere libero, per vivere davvero, devi
uscire; abbandonare ogni difesa e attraversare il processo di
purificazione che ti affrancherà dalla tua gabbia mentale. Lo fai
osservando la mente con distacco. La consapevolezza è l’unica
salvezza. Smetti di definire il malessere psicologico come
un’esperienza negativa, rilassati e guardalo. Quando provi disagio,
non chiederti: «E adesso che faccio?». Al contrario, domandati: «Chi
sono io, che osservo questo fenomeno?».
Con il passare del tempo, capirai che il centro da cui osservi un
turbamento non può essere turbato a sua volta. Se ti appare tale,
limitati a notare chi ha notato il turbamento, e alla fine smetterà di
infastidirti. A quel punto potrai dimorare nella profondità del tuo
essere e osservare la mente e il cuore che si dibattono negli ultimi
spasmi del turbamento. Ecco cosa significa trascendere. La
consapevolezza trascende ciò di cui è consapevole. È separata dagli
oggetti di cui fa esperienza, come la luce lo è da ciò su cui risplende.
Tu sei pura consapevolezza, e puoi liberarti di tutti i turbamenti
mentali rilassandoti e abbandonandoli al loro corso.
Se vuoi sperimentare pace, gioia e felicità durature, devi
oltrepassare il turbamento interiore, e approdare sulla sponda
opposta. Solo così puoi sentire l’amore che sgorga dal profondo ogni
volta che lo desideri. È questa la vera natura del tuo essere. Devi solo
raggiungere l’altro lato della psiche, e lo fai abbandonando la
tendenza ad aggrapparti agli oggetti, evitando di usare la mente per
costruire una parvenza di solidità. Devi solo decidere, una volta per
tutte, di seguire questo cammino, che consiste nel lasciar andare di
continuo tutto ciò che sorge.
A un certo punto il progresso può diventare estremamente
rapido. Attraversi la parte spaventata di te stesso, e constati che
lottava per mantenere coesa la fortezza mentale che si era costruita.
Smetti di alimentarla, lascia andare tutto, senza afferrarti a nulla, e ti
ritroverai alle spalle di quella falsa solidità. Non è qualcosa che fai,
piuttosto qualcosa che ti succede.
Il testimone (l’osservatore) è l’unica via d’uscita. Lascia che tutto
scorra, rimanendo consapevole di essere consapevole. Se attraversi
un periodo particolarmente negativo, buio e deprimente, chiediti:
«Chi è consapevole di questa negatività?». È così che superi le varie
fasi della crescita interiore: lasciando andare tutto ciò che si presenta,
e constatando ogni volta che tu sei sempre lì. Quando ti sei
sbarazzato del lato oscuro della tua psiche, e poi anche di quello
luminoso, e non ti aggrappi più a nulla, giungi a un punto in cui il
mondo si spalanca dietro di te. Eri abituato a essere consapevole di
ciò che ti passava davanti, ma adesso scopri che c’è un intero
universo dietro la sede della coscienza.
Pensavi che non ci fosse nulla alle tue spalle? Certo, eri
completamente preso dalla costruzione del tuo modello mentale del
mondo, a partire dai pensieri e dalle emozioni che ti sfilavano
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davanti, per cui ignoravi la vastità che si apriva dietro di te. Invece
c’è un intero universo laggiù. È solo che non ti sei mai girato a
guardarlo. Se lasci andare tutto, vedrai che è un oceano di energia.
Sarai inondato di luce, una luce che non lascia spazio a nessuna
oscurità, una pace che supera qualsiasi comprensione. Vivrai ogni
momento della tua quotidianità sorretto, alimentato e guidato da
una forza che trae origine dalle radici dell’essere. Avrai ancora dei
pensieri, delle emozioni e una personalità che fluttuano nel tuo
spazio interiore, ma saranno solo una minima parte della tua
esperienza complessiva. Non ti identificherai con nulla, se non con il
Sé.
Una volta raggiunto quello stato, non dovrai più preoccuparti di
niente. Le forze del creato continueranno a creare, all’interno e
all’esterno di te. Ma tu fluttuerai in una pace, un amore e una
compassione che sono al di là di qualsiasi creazione, e al contempo le
rendono omaggio. Non hai bisogno di alcuna falsa solidità quando
sei in pace con la vastità universale del tuo vero Essere.
Parte quinta
VIVERE LA VITA
15
Il cammino della felicità incondizionata

Il cammino spirituale più elevato che ci sia è la vita stessa. Se sai


come viverla, la vita quotidiana diventa un’esperienza di liberazione.
Ma per prima cosa devi affrontarla in modo adeguato, altrimenti
può confonderti. Innanzitutto, devi capire che in questa vita c’è una
sola scelta da fare, e non parlo della carriera, di chi vuoi sposare o
della ricerca di Dio. Le persone tendono ad appesantirsi con un
sacco di scelte, ma potrebbero evitarle tutte e porsi un’unica
domanda fondamentale: «Voglio essere felice o no?». Semplice. Una
volta deciso questo, il percorso da seguire diventa chiarissimo.
Molti non osano darsi quella possibilità, perché ritengono che non
dipenda da loro. Per esempio, obiettano: «Certo che vorrei essere
felice, ma mia moglie mi ha lasciato». Per dirla altrimenti, chi fa
quest’affermazione avrebbe voluto essere felice, ma solo se non fosse
stato lasciato dalla moglie. La domanda però era molto più semplice:
«Voglio essere felice o no?». Se ci asteniamo dal complicare il
quesito, vediamo che in realtà è tutto sotto il nostro controllo, e che
l’unico problema è l’interferenza di un insieme di preferenze che è
profondamente radicato in noi.
Ipotizziamo che tu ti sia perso, e che non mangi da giorni. Alla
fine, dopo aver vagato alla cieca, ti imbatti in una casa. Con le ultime
energie rimaste riesci a trascinarti alla porta, e bussi. Ti apre un
uomo e appena ti vede in quello stato, esclama: «Oh, mio Dio!
Poveretto! Vuoi qualcosa da mangiare? Cosa vuoi che ti prepari?».
La verità è che non ti importa nulla di cosa ti offrirà. Non riesci
nemmeno a pensarci, arrivi solo a biascicare una parola: «Cibo…».
Siccome sorge dal profondo, quel desiderio non ha nulla a che
vedere con le tue preferenze mentali. Per tornare alla felicità, il
principio è lo stesso. La domanda è: «Vuoi essere felice?». Se la
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risposta è un sì veramente convinto, non c’è bisogno di ulteriori
precisazioni. Dopotutto, il vero senso della domanda è: «Vuoi essere
felice per il resto della tua vita, a prescindere da ciò che accadrà?».
Ora, se hai risposto sì, può anche succedere che tua moglie ti
molli, o che tuo marito muoia; che la Borsa crolli o che la macchina ti
lasci a piedi in autostrada nel cuore della notte. Sono tutte cose che
possono capitare, da adesso alla fine dei tuoi giorni. Ma se vuoi
percorrere un cammino spirituale, devi rispondere con un sì
incondizionato a quella domanda fondamentale. Non c’è spazio per i
“se” e per i “ma”, e non è neppure corretto chiederti se hai il
controllo della tua felicità. È ovvio che ce l’hai. Il problema è che
quando affermi di voler essere felice, in genere non ci credi davvero,
e poni delle condizioni. Dici che sarai felice solo se non succede
questa o quella cosa. Ecco perché ti sembra che la felicità sia fuori dal
tuo controllo. Sono le condizioni l’unico ostacolo alla felicità, perché
non puoi controllare gli eventi e farli andare secondo le tue
aspettative.
Devi dare una risposta incondizionata. Se decidi che da questo
momento in poi, e per il resto della tua vita, sarai felice, non solo lo
sarai davvero, ma sarai illuminato. La felicità incondizionata è la
tecnica infallibile. Non c’è bisogno di imparare il sanscrito, di
dedicarsi allo studio delle sacre scritture o di rinunciare al mondo.
Devi solo scegliere la felicità, e farlo con la massima apertura e
convinzione, indipendentemente da qualsiasi cosa accadrà. Questo è
un autentico cammino spirituale, la via al risveglio più diretta e
sicura che ci sia.
Non appena decidi di essere felice, senza condizioni,
inevitabilmente accadrà qualcosa che ti metterà alla prova. Ma sarà
proprio questo a stimolare la tua crescita spirituale. In effetti, è
l’aspetto incondizionato a rendere particolarmente impegnativa la
tua scelta. È semplice: ogni volta devi decidere se rompere il voto o
no. È facile essere felici quando tutto fila per il verso giusto, ma nel
momento in cui sorge un problema, non è più così semplice. Inizi a
dirti: «Però, non pensavo che sarebbe successa una cosa del genere.
Non pensavo di perdere l’aereo. Non pensavo che Sally si sarebbe
presentata al ricevimento con un abito identico al mio. Non pensavo
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che qualcuno mi avrebbe rigato l’auto nuova, un’ora dopo averla
ritirata dal concessionario». Sei disposto a rompere il voto di felicità
di fronte a eventi del genere?
Ci sono migliaia di cose che possono succedere, cui non hai
ancora pensato. La domanda non è se accadranno o no. Certo che
qualcosa accadrà. La vera domanda è se vuoi essere felice, malgrado
tutto ciò che succederà. Il senso della vita è godersi le esperienze che
ci propone, e imparare da esse. Non siamo venuti sulla terra per
soffrire, la nostra infelicità non è di aiuto a nessuno.
Indipendentemente dai tuoi convincimenti filosofici, è sicuro che sei
nato e che un giorno dovrai morire. Ma puoi decidere se goderti o no
tutto ciò che succede in mezzo. Non sono gli eventi esterni a
determinare la tua felicità o la tua infelicità. Puoi essere felice per il
semplice fatto di essere vivo, puoi essere felice di vivere qualsiasi
situazione ti capiti, e puoi essere felice di morire. Se riesci a vivere in
questo modo, il tuo cuore sarà così aperto, e il tuo spirito così vivo,
che ti sembrerà di toccare il cielo con un dito.
Questo cammino conduce alla trascendenza assoluta, poiché
comporta la scomparsa di ogni aspetto dell’essere che detta
condizioni alla scelta di essere felici. Se vuoi essere felice, devi
abbandonare quella parte di te che trasforma la vita in tragedia. È la
parte che pensa di avere un valido motivo per essere infelice. Devi
trascendere ciò che è personale e, così facendo, ti risveglierai
spontaneamente agli aspetti superiori del tuo essere.
In definitiva, godersi tutte le esperienze della vita è l’unica scelta
sensata da fare. Lo ripeto: sei su un pianeta che vortica nel nulla
assoluto. Forza, apri gli occhi: fluttui nello spazio infinito, in un
universo senza limiti. Visto che sei qui, almeno sii felice e goditi
l’esperienza. Prima o poi dovrai comunque morire, le cose
succedono in ogni caso: perché mai non essere felici? Non ci
guadagni nulla a lasciare che gli eventi della vita ti infastidiscano,
non cambi il mondo facendo così, soffri solo inutilmente. Ci sarà
sempre qualcosa che può turbarti, se glielo consenti.
La scelta di goderti la vita ti guiderà lungo il tuo cammino
spirituale. In verità, è di per se stessa una guida spirituale.
L’impegno a vivere nella felicità incondizionata ti insegna tutto ciò
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che c’è da imparare su te stesso, sugli altri e sulla natura della vita. E
anche per quel che riguarda la mente, il cuore e la volontà. Ma
quando affermi che vuoi essere felice per il resto della tua vita, devi
essere convinto. Ogni volta che una parte di te comincia a
manifestare infelicità, lasciala andare; lavoraci sopra, riafferma il tuo
proposito, fai tutto il necessario per restare aperto. Se sei
determinato, non c’è nulla che possa fermarti. Qualunque cosa
accada, accettala con il sorriso. Se ti arrestano e ti mettono in
isolamento, facendoti pure patire la fame, divertiti a essere come
Gandhi. Prendi tutto quello che la vita ti offre.
Sembra difficile, però chiediti cosa ci guadagni a non farlo. Metti
che sei innocente, ma ti hanno imprigionato lo stesso: tanto vale
godertela. A che ti servirebbe fare altrimenti? Non cambierebbe
nulla. Anzi, se non perdi la felicità, hai vinto tu. Trasforma la cosa in
un gioco e resta sempre felice, succeda quel che succeda.
La chiave della felicità è molto semplice. Comincia a capire le
dinamiche delle tue energie interiori. Se ti osservi, vedrai che,
quando sei felice, il cuore si apre e l’energia scorre liberamente. Al
contrario, quando sei infelice, il cuore si chiude e l’energia si
esaurisce. Quindi, resta felice e non chiuderti mai, qualsiasi cosa
accada, anche se tua moglie ti lascia o tuo marito muore.
Non c’è nessuna regola che ti impone di chiuderti. Ripetiti che,
qualsiasi cosa succeda, il tuo cuore resterà aperto. È una scelta, ed è
alla tua portata. Quando noti che ti stai chiudendo, chiediti se vuoi
davvero rinunciare alla felicità. Scopri se c’è una parte di te che
pensa di trarre beneficio dalla chiusura. Può bastare un niente per
perdere la felicità. Per esempio, era una gran bella giornata finché
qualcuno ti ha tagliato la strada mentre andavi al lavoro. La cosa ti
ha irritato parecchio, e sei rimasto in quello stato d’animo fino a sera.
Perché? Abbi il coraggio di porti questa domanda. Che senso ha
lasciare che una banalità del genere ti rovini la giornata? Non ti dà
nessun vantaggio, quindi, se uno ti taglia la strada, lascialo perdere e
resta con il cuore aperto. Puoi farcela, se lo vuoi davvero.
Su segui questo cammino della felicità incondizionata,
attraverserai tutti gli stadi dello yoga. Devi però restare cosciente,
centrato e determinato. Devi mantenerti saldo nel tuo impegno a
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rimanere aperto e ricettivo a ciò che la vita ti offrirà. Nessuno ha mai
detto che tu non possa farlo. I santi e i maestri insegnano a restare
aperti, insegnano che Dio è gioia, è estasi, è amore. Se rimani
sufficientemente aperto, sentirai delle ondate di energia che ti
gonfieranno il cuore e ti eleveranno. Le pratiche spirituali non sono
fine a se stesse: danno i loro frutti quando vai in profondità quanto
basta per restare sempre aperto. Se rimani aperto in ogni situazione,
ti aspettano grandi cose. Impara a non chiuderti mai.
Il punto fondamentale è mantenere una disciplina tale da non
farti abbindolare dalla mente, che prima o poi ti indurrà a credere
che sia venuto il momento di chiuderti. Se inciampi, non
preoccuparti: rialzati e continua. Nel momento stesso in cui ti
accorgi di essere caduto, di aver aperto bocca per difenderti, di aver
chiuso il cuore, rimettiti in carreggiata e riafferma interiormente il
tuo proposito di non chiuderti più, qualsiasi cosa succeda. Vuoi solo
essere in pace e apprezzare la vita. Non vuoi che la tua felicità sia
condizionata dal comportamento altrui, è già abbastanza penoso che
lo sia dal tuo. Se cominci a vincolarla a ciò che fanno o non fanno gli
altri, sei nei guai.
Ti capiteranno delle situazioni in cui proverai la voglia di
chiuderti. Ma puoi sempre scegliere: o ti ci aggrappi, o le lasci
andare. La mente ti dirà che non è ragionevole restare aperti quando
succedono cose del genere. In quei casi ricorda che la vita prima o
poi finisce, e che l’unica scelta davvero poco ragionevole è non
godersela.
Se non ti è facile ricordartelo, medita. La meditazione rafforza il
centro della coscienza, e ti permette di mantenere un grado di
consapevolezza sufficiente a resistere alla tendenza a chiudere il
cuore. Per restare aperto devi rilassarti e abbandonare la tendenza a
chiuderti. Appena senti che il cuore comincia a irrigidirsi, rilassalo.
Nessuno ti chiede di essere sempre radioso all’esterno, dalla mattina
alla sera; è sufficiente che tu gioisca interiormente. Invece di
lamentarti, cerca di prendere tutte le situazioni della vita come un
divertimento.
La felicità incondizionata rappresenta un sentiero estremamente
elevato, una tecnica davvero raffinata, perché risolve tutto. Potresti
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imparare le tecniche dello yoga, la meditazione e le asana, ma come
ti regoli nel resto della tua vita? La tecnica della felicità
incondizionata è ideale, perché definisce tutta la tua vita: dovrai
lasciarti andare, per restare sempre felice. Per ciò che riguarda la
spiritualità, crescerai molto in fretta. Se applichi questa tecnica
seriamente, giorno dopo giorno, istante dopo istante, ti accorgerai
che è un processo di purificazione del cuore. Questo succede perché
non ti lasci più coinvolgere da ciò che emerge. Inoltre è una
purificazione della mente, dato che non ti fai coinvolgere dai suoi
melodrammi. La shakti (o spirito) si risveglia anche se non ne hai mai
sentito parlare, e approdi così a una felicità che va ben oltre la
conoscenza umana. Questo cammino risolve tanto i problemi
quotidiani quanto la vita spirituale. Il più grande dono che possiamo
fare a Dio è apprezzare la sua creazione.
Secondo te, Dio preferisce attorniarsi di gente felice o infelice?
Non è difficile scoprirlo. Prova a metterti nei suoi panni: hai creato i
cieli e la terra per manifestarti e fare esperienza di te stesso, e un bel
giorno decidi di scendere in terra per vedere come se la cavano gli
esseri umani. Al primo che incontri chiedi: «Come te la passi?».
«Cosa vuoi dire?» risponde l’uomo.
«Be’, ti piace stare qui?»
«No, non mi piace affatto!»
«Perché? Cosa c’è che non va?»
«Quell’albero è piegato in cinque punti e io lo vorrei bello dritto.
Quella là è uscita con un altro, e a me è arrivata una bolletta del
telefono da far spavento. Questo qui ha un’automobile più bella
della mia, per non parlare poi di come si veste quell’altra. E ho il
naso troppo grosso, le orecchie troppo piccole, e le dita dei piedi
storte. Non sono per niente contento, ci sono un sacco di cose che
non mi piacciono.»
«Ah… e che mi dici degli animali?» insisti.
«Gli animali? Le formiche mordono, e le zanzare pungono: è
terribile! Non posso uscire la sera perché c’è pieno di insetti e
bestiacce. Strepitano e fanno i loro bisogni dappertutto, sono una
vera scocciatura.»
Credi che a Dio farà piacere sentire tutte quelle lamentele? «Ehi,
non sono mica l’ufficio reclami!» sbotterà, e poi andrà a cercare
qualcun altro. Mettiamo che lo trovi e ci riprovi: «Come te la passi?».
«Sono in estasi!» risponde quello.
«Oh, benissimo. E che ne pensi di tutte queste cose?»
«Sono bellissime. Qualsiasi cosa guardi, provo una gioia
immensa. Osserva quell’albero ricurvo: è stupendo. Le formiche
mordono? È strabiliante che un insetto così minuscolo abbia il
coraggio di morsicare un gigante come me.»
Indovina un po’ con chi decide di restare Dio. Nella tradizione
yogica, una delle più antiche definizioni del divino è sat-chit-ānanda:
“verità, coscienza, beatitudine”. Dio è estasi, è l’Altissimo, e se vuoi
avvicinarti a Lui, impara a gioire del creato. Se sei spontaneamente
felice e centrato, in ogni circostanza, troverai Dio. È questa la parte
incredibile: hai trovato la felicità, ma non è nulla rispetto a quel che
otterrai dopo.
Una volta superata la prova del fuoco, quando sarai saldamente
convinto di lasciar andare tutto, succeda quel che succeda, i veli
della mente e del cuore umano si dissolveranno. Verrai a contatto
con ciò che è al di là di te, perché non avrai più bisogno di avere un
“te”. Quando smetterai di trastullarti con il piano temporale e finito,
ti aprirai all’eterno e all’infinito. A quel punto la parola “felicità” non
sarà più sufficiente per descrivere il tuo stato. È qui che dobbiamo
ricorrere a termini come estasi, beatitudine, liberazione, nirvana e
libertà. La gioia sarà così immensa che traboccherà dalla tua coppa.
Questo è un cammino meraviglioso. Sii felice.
16
La via della non resistenza

Il vero lavoro spirituale consiste nell’imparare a vivere senza stress,


problemi, paure e melodrammi. Il cammino che si serve della vita
quotidiana per evolvere spiritualmente è il più nobile in assoluto.
Tensioni e problemi non hanno nessuna ragione di esistere, dato che
lo stress nasce solo se ti opponi agli eventi della vita. Se non li
respingi, né ti ci aggrappi, non crei resistenze. Sei solo presente,
osservi e sperimenti le cose man mano che si manifestano. Scegli
questo atteggiamento e scoprirai che puoi vivere in uno stato di pace
perpetua.
Che processo sorprendente è la vita, questo flusso di atomi
attraverso il tempo e lo spazio. È un’eterna sequenza di fenomeni che
prendono forma e subito si dissolvono nell’attimo successivo. Se
opponi resistenza a questo straordinario fluire, crei delle tensioni che
compenetrano il corpo, la mente e il cuore.
Nella vita di tutti i giorni non è difficile cogliere la tendenza a
resistere. Tuttavia, se vuoi comprenderla, devi per prima cosa capire
perché ti opponi allo scorrere naturale dell’esistenza. Che cosa c’è in
te che ha la capacità di resistere alla realtà? Se guardi con attenzione
dentro di te, scopri che sei tu, il Sé, l’essere interiore, a disporre di un
tale potere. Si chiama forza di volontà.
La volontà è un’autentica forza, che emana dall’essere. È quella
che ti fa muovere le gambe e le braccia, che non si spostano da sole a
casaccio, ma seguendo i dettami della tua volontà. Usi la stessa
volontà quando ti aggrappi a un pensiero e ti concentri su di esso. Il
potere del Sé, quando è focalizzato e diretto nella dimensione fisica,
mentale o emotiva, produce una forza che si definisce volontà. È
quella che usi quando cerchi di far accadere o di non far accadere
qualcosa. Non sei impotente: hai il potere di influenzare le cose.
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È sorprendente, però, che cosa finiamo per fare con la volontà: la
usiamo per opporci al flusso della vita. Se succede qualcosa che non
ci piace, facciamo resistenza, ma siccome la cosa si è già manifestata,
che cosa ci guadagniamo nel resisterle? Se il tuo migliore amico si è
trasferito in un’altra città, è comprensibile che questo non ti piaccia,
tuttavia puoi resistere per anni, ma l’evento non cambia: il tuo amico
si è trasferito. La resistenza non può alterare in nessun modo la
realtà dei fatti.
In verità, non si può neppure sostenere che stiamo resistendo alla
situazione reale. Per esempio, se qualcuno dice qualcosa che non ci
piace, la nostra resistenza ovviamente non può cancellare le sue
parole: ciò a cui ci opponiamo è l’esperienza di farci attraversare
dall’evento. Non vogliamo che influisca interiormente su di noi,
perché sappiamo che lascerà delle impronte mentali ed emotive che
non collimano con ciò che c’è già. Quindi usiamo la forza di volontà
contro l’influenza dell’evento, nel tentativo di impedirgli di
attraversarci il cuore e la mente. In altre parole, l’esperienza di un
evento non termina con la percezione sensoriale, ma attraversa la
psiche a livello energetico. È un processo che sperimentiamo
quotidianamente. Le impressioni sensoriali smuovono i nostri
aggregati energetici, mentali ed emotivi, generando movimenti che
attraversano la psiche in modo simile all’impatto delle onde
sull’acqua. È sorprendente, ma abbiamo la facoltà di resistere a tali
movimenti energetici: la forza di volontà può opporvisi, anche se ciò
produce tensione. Puoi esaurirti del tutto lottando contro
l’esperienza di un singolo evento, o di un singolo pensiero o di
un’emozione. È una sensazione che, ne sono sicuro, conosci fin
troppo bene.
Questa resistenza è un incredibile spreco di energia. In genere,
usiamo la forza di volontà per contrastare una di queste due cose: ciò
che è già accaduto o ciò che non lo è ancora. Te ne stai chiuso dentro
di te a combattere ricordi del passato o riflessioni sul futuro. Pensa a
quanta energia butti via nell’inutile tentativo di opporti a ciò che è
già successo: dato che l’evento in questione è passato, in realtà stai
lottando contro te stesso. Poi osserva quante forze sprechi a ribellarti
a quello che potrebbe accadere: siccome molte delle possibilità che
q p p
temi non si verificheranno mai, anche in questo caso stai solo
sprecando energia.
La gestione dei flussi energetici ha delle ripercussioni
importantissime sulla vita. Se usi la forza di volontà per opporti a un
evento che è già accaduto, è come se cercassi di fermare le
increspature provocate dalla caduta di una foglia sulla superficie
immobile di uno lago. Qualsiasi cosa tu faccia, causerà ulteriori
increspature, anziché ridurle. L’energia che viene ostacolata non ha
modo di sfogarsi, e resta intrappolata dentro di te, provocando gravi
effetti collaterali. Ostruisce il flusso energetico nel cuore, e riduce la
vitalità generale; ti fa sentire chiuso nei confronti del mondo. È quel
che accade quando sei ossessionato da un pensiero fisso, o quando
una certa situazione ti opprime.
È il guaio di noi umani. Tratteniamo interiormente l’energia di
eventi che hanno già avuto luogo, così, quando affrontiamo gli
eventi di oggi, non siamo né pronti ad accoglierli né in grado di
metabolizzarli, perché siamo occupati a lottare con le energie di
quelli del passato. Nel corso degli anni, l’accumulo di queste energie
indigeste diventa tale che la persona esplode o, viceversa, crolla
completamente. È quello che si chiama sindrome da stress o
esaurimento nervoso.
Non c’è motivo di stressarsi, né c’è motivo di esplodere o crollare.
Se non permetti che l’energia si accumuli in te, ma lasci che ti
attraversi, un evento dopo l’altro, un giorno dopo l’altro, ti senti
sempre fresco e riposato, come se fossi in vacanza. Lo stress non è
causato dagli eventi della vita, ma dalla resistenza agli eventi della
vita. Siccome il problema è provocato dalla volontà di opporsi al
flusso della vita che ci attraversa, la soluzione è alquanto ovvia:
smettere di resistere. Se ti opponi a qualcosa, cerca almeno di avere
un motivo sensato per farlo, altrimenti è solo un illogico spreco di
energie.
Esaminiamo questo processo di resistenza. Innanzitutto, il
meccanismo comincia quando decidi che qualcosa non va bene, non
è come vorresti. Ogni istante vieni attraversato da numerosi eventi:
perché scegli di bloccarne uno in particolare? Devi avere un motivo
per decidere quando lasciarli passare, e quando invece esercitare la
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forza di volontà per respingere un evento o aggrapparti a esso. C’è
una miriade di impressioni che non ti infastidiscono affatto. Ogni
giorno vai al lavoro in macchina, e quasi non ti accorgi degli alberi e
degli edifici lungo la strada. Le strisce bianche sull’asfalto non ti
stressano per nulla; le vedi, ma l’immagine ti attraversa come se
niente fosse. Non pensare che sia così per tutti: c’è chi si guadagna da
vivere dipingendo quelle strisce, e potrebbe essere infastidito se
notasse che non sono state eseguite con la dovuta precisione. La cosa
potrebbe disturbarlo al punto da indurlo a cambiare tragitto. È ovvio
che non ci opponiamo tutti alle stesse cose e non abbiamo tutti gli
stessi problemi, perché non abbiamo gli stessi preconcetti su come
dovrebbe essere il mondo, né diamo la stessa importanza ai suoi
fenomeni.
Se vuoi capire lo stress, inizia ad ammettere che hai una
personalissima visione di come dovrebbe essere il mondo. È sulla
base di quelle idee prefissate che fai valere la tua volontà di opporti a
ciò che è già accaduto. Ma su quali fondamenta hai costruito quei
pregiudizi? Supponiamo che le azalee fiorite ti diano molto fastidio.
Di certo non è una cosa che disturba tante altre persone. Dunque,
perché ti sconvolgono? Ecco il motivo: una volta avevi una fidanzata
che le coltivava, e vi siete lasciati proprio nel pieno della fioritura.
Ora, ogni volta che vedi un’azalea in fiore, senti una morsa al cuore.
Le azalee ti stressano al punto che non vuoi nemmeno avvicinartici.
Eventi personali come questo lasciano impressioni profonde nella
mente e nel cuore, le quali diventano la base per decidere a cosa
opporsi o aggrapparsi. In fondo è un meccanismo piuttosto
semplice. L’evento in questione può essere successo nell’infanzia o in
un’altra fase della vita, ma, indipendentemente dal momento in cui è
accaduto, ha lasciato un segno dentro di te. Adesso, sulla base di
quell’impressione passata, ti opponi agli eventi attuali, e questo ti
provoca tensione, turbamento, fatica e sofferenza. Invece di vedere
tutto ciò con chiarezza, e di non permettere al passato di
condizionare il presente, cadi in trappola: ti convinci che quei
trascorsi abbiano un significato, e ti aggrappi o respingi ciò che ti
succede adesso con tutte le tue forze. In realtà, però, questo processo
non ha alcun senso. Ti rovina la vita e basta.
L’alternativa consiste nel servirsi della vita per lasciar andare
quelle impressioni, e lo stress che producono. Per riuscirci, devi
acquisire un certo livello di consapevolezza, e osservare
attentamente la vocina interiore che ti suggerisce di opporre
resistenza a qualcosa, o meglio, che ti ordina di farlo: «Non mi piace
cos’ha detto quello: reagisci!». Ti dà consigli, ti spinge a opporti a ciò
che la vita ti mette davanti. Perché le presti ascolto? Fa’ in modo che
il tuo cammino spirituale coincida con la volontà di lasciarti
attraversare da qualsiasi cosa accada, anziché portartela appresso nel
passo successivo. Ciò non significa non affrontare ciò che ti succede.
Fallo, ma prima lascia che l’energia dell’evento ti attraversi, perché se
non glielo permetti, non ti confronterai con il fenomeno in corso,
bensì con dei blocchi energetici legati al passato. Non agirai da una
posizione di lucidità, ma da una condizione di resistenza e tensione.
Per evitarlo, comincia ad affrontare ogni situazione con un
atteggiamento di accettazione. Accettazione significa permettere agli
eventi di attraversarti senza incontrare resistenza. Se succede
qualcosa, e quel qualcosa è libero di attraversarti, ti trovi faccia a
faccia con la situazione così com’è. Affrontando l’evento concreto,
anziché le energie stimolate dall’evento stesso, non rafforzerai le
energie reattive del passato. Scoprirai così di poter far fronte alle
situazioni quotidiane molto meglio del solito. È addirittura possibile
che non avrai più nemmeno un problema, per sempre. Perché gli
eventi in sé non sono mai un problema, sono solo un fenomeno: è la
nostra resistenza che li trasforma in problemi. Ma, ribadisco, non
pensare che accettare la realtà così com’è significhi non affrontare gli
eventi che la vita ci propone. Li affronti sì, solo che li prendi come
uno dei tanti fenomeni che accadano sul pianeta Terra, non come un
problema personale.
Con tua sorpresa, scoprirai che la maggior parte delle situazioni
non ti chiede di affrontare nulla, se non le tue paure e i tuoi desideri.
Paura e desiderio rendono tutto molto complicato. Se un certo
evento non suscita né paura né desiderio, non c’è molto che devi
fare, se non permettergli di dispiegarsi, e interagire con esso in modo
spontaneo e sensato. Al presentarsi dell’evento successivo, sarai
pienamente nel presente e ti godrai l’esperienza. Non avrai problemi,
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e quindi nemmeno tensioni, stress o esaurimenti nervosi. Quando
tutti gli eventi di questo mondo ti attraversano e basta, hai raggiunto
un livello spirituale molto elevato. A quel punto riesci a essere
semplicemente cosciente di ciò che accade, senza accumulare blocchi
energetici. Quando raggiungi quello stadio, tutto ti diventa chiaro.
Gli altri, al contrario, affrontano gli eventi cercando allo stesso tempo
di tenere a bada le loro reazioni a essi e di adeguarli alle loro
preferenze personali. Se uno è sempre occupato a gestire paure,
ansie e desideri, quanta energia gli resta per vivere ciò che gli sta
realmente accadendo?
Fermati un attimo, e rifletti su ciò che potresti diventare. Finora, le
tue potenzialità sono state limitate da un’interminabile guerra
interiore. Immagina cosa succederebbe se la tua consapevolezza
fosse libera di focalizzarsi soltanto sugli eventi che stanno
concretamente avendo luogo, senza alcuna distrazione interiore.
Potresti fare qualsiasi cosa, disporre di capacità per ora
inimmaginabili. Se potessi applicare quel livello di consapevolezza e
di lucidità a tutto ciò che fai, la tua vita intera cambierebbe.
Ecco perché ti propongo un cammino in cui sfrutti le circostanze
della vita per abbandonare ogni resistenza. I rapporti interpersonali
sono un ottimo strumento per lavorare su se stessi. Immagina se ti
servissi delle relazioni per conoscere davvero l’altro, anziché per
alimentare i tuoi blocchi energetici. Se non provi a incasellare tutti
quelli che incontri in un modello precostituito di simpatia o
antipatia, scopri che le relazioni non sono per nulla difficili. Quando
smetti di giudicare le persone e di contrapporti a loro in base a ciò
che è bloccato dentro di te, ti accorgi che è molto più facile fare
amicizia, e che anche tu diventi più affabile. Lasciarsi andare è il
modo migliore per entrare in confidenza con gli altri.
Lo stesso vale per il lavoro. Il lavoro è un divertimento, è facile, è
solo ciò che fai del tuo tempo mentre ti trovi su un pianeta che
vortica nello spazio. Se vuoi sentirti appagato e godertelo, devi
lasciarti andare e permettere agli eventi della vita di attraversarti. Il
vero lavoro è quel che rimane da fare dopo che tutto il resto ti ha
attraversato.
Quando le energie ti attraversano liberamente, il mondo si
trasforma; persone ed eventi appaiono diversi, e ti accorgi di avere
talenti e facoltà che prima ignoravi. La tua visione della vita cambia,
anzi, ti sembra che ogni cosa sia stata trasformata. Questo accade
perché lasciandoti andare in una certa situazione, acquisisci più
lucidità per affrontare le successive. Per esempio, supponiamo che tu
abbia paura dei cani. Ti rendi conto che non tutti ce l’hanno e che si
vive benissimo anche senza. Tu soffri da una vita intera, mentre gli
altri no, per cui è una sofferenza evitabile e insensata. Dunque decidi
di lavorarci su e di rilassarti ogni volta che incontri un cane, poiché
ormai hai capito che il metodo per superare una resistenza è di
rilassarti mentre la sperimenti. Con piacere, scopri che così facendo
non solo migliori il tuo rapporto con i cani, ma anche con tutto il
resto, perché hai imparato a lasciarti attraversare da un’energia
sgradevole. La prossima volta che qualcuno dirà o farà qualcosa di
spiacevole, ti comporterai automaticamente come hai fatto con la
paura dei cani. La tecnica di rilassarsi quando si prova resistenza è
utile in tutte le situazioni, perché in fondo insegna a tenere aperto il
cuore che tenta di chiudersi.
Il rilassamento profondo è in sé un cammino spirituale. È la via
della non resistenza, dell’accettazione, della resa incondizionata.
Significa smettere di resistere alle energie che ti attraversano. Se ti
pare difficile, non prendertela con te stesso, ma continua a provarci,
a fare del tuo meglio per diventare una persona aperta, completa,
integra. È il lavoro di tutta una vita.
La chiave è rilassarsi e lasciar andare, e affrontare unicamente ciò
che rimane, ciò che hai davanti. Non preoccuparti del resto. Se ti
rilassi e ti abbandoni, sperimenterai una grande crescita spirituale.
Dentro di te comincerai a percepire un’energia enorme, molto più
amore di quanto tu abbia mai provato. Sarai felice e soddisfatto
come non mai, e alla fine nulla ti turberà mai più.
Puoi davvero raggiungere uno stato in cui non provi più alcuno
stress, in cui tensioni e problemi scompaiono per sempre. Devi solo
capire che la vita ti sta offrendo un dono, e che quel dono è costituito
dal flusso di eventi che si verificano tra la tua nascita e la morte.
Sono eventi entusiasmanti, e se ti mettono alla prova è solo per il tuo
p p
bene, per permetterti di crescere. Per fluire con la vita, mente e cuore
devono essere aperti, quanto basta per abbracciare le realtà. Se non
lo sono, è solo perché tu opponi resistenza. Smetti di opporti alla
realtà, e quelli che ora ti sembrano problemi stressanti si
trasformeranno nei gradini del tuo cammino spirituale.
17
Contemplare la morte

È davvero un paradosso cosmico che la miglior maestra di vita sia la


morte, ma fatto sta che nessuna persona o situazione potrà mai
insegnarci di più. Chiunque può ripeterti che in verità tu non sei il
tuo corpo, ma la morte te lo dimostra. Uno può ricordarti fino alla
nausea quanto sia insignificante ciò a cui ti aggrappi, ma la morte ti
porta via tutto in un attimo. Un altro ti insegna che gli uomini e le
donne di ogni razza sono tutti uguali, che non c’è nessuna differenza
tra ricchi e poveri, ma solo la morte mette tutti sullo stesso livello.
La domanda è: perché aspettare fino all’ultimo momento per
accettare gli insegnamenti della morte? Basta contemplare
l’eventualità della morte per beneficiare subito delle sue lezioni. Il
saggio non dimentica mai che ogni respiro può essere l’ultimo. Può
accadere in qualsiasi momento, in qualsiasi posto. Il saggio abbraccia
senza remore la realtà, l’inevitabilità e l’imprevedibilità della morte.
Ricordatelo ogni volta che hai un problema. Supponiamo, per
esempio, che tu sia geloso, tanto da non sopportare che la tua
compagna parli con qualcuno. Pensa a cosa accadrebbe, però, se
domani tu venissi a mancare. Cosa c’è di così romantico nell’idea che
la persona che ami resti improvvisamente sola, senza l’affetto di
qualche amico? Se superi quel tuo problema caratteriale, capisci che
in realtà vuoi che lei sia felice, e che abbia una vita piena e
soddisfacente. Allora perché infastidirla se parla con qualcuno?
Non dovresti aspettare la morte per dare il meglio di te. Perché
attendere di perdere tutto per scavare nel profondo ed esprimere il
tuo massimo potenziale? Il saggio osserva: «Se basta un respiro
perché tutto cambi, allora voglio dare il meglio finché sono vivo.
Smetterò di assillare le persone che amo. Da ora in poi mi
identificherò con la parte più pura del mio essere».
p p p
È questa la consapevolezza che costruisce relazioni intense e
appaganti. Guarda quanto sei insensibile con le persone che più ti
sono vicine: dai per scontato che saranno sempre presenti, che
saranno sempre a tua disposizione. E se morissero? O se morissi tu?
Come ti comporteresti se sapessi che oggi è il tuo ultimo giorno con
loro? Immagina che un angelo scenda dal cielo e ti dica: «Metti a
posto le tue cose oggi, perché domattina non ti sveglierai dal sonno.
Stanotte ti porterò via con me». Sapresti che qualunque incontro di
quel giorno sarebbe l’ultimo. Come ti sentiresti? Ti preoccuperesti
ancora di tenere il broncio, o di tutti i piccoli rancori che ti porti
appresso? Quanto amore dimostreresti ai tuoi cari, se sapessi di
vederli per l’ultima volta? Pensa a come sarebbe vivere ogni istante
come se fosse l’ultimo, con chiunque. È qualcosa su cui vale la pena
di riflettere. La morte non è un pensiero morboso, la morte è la
miglior insegnante di sempre.
Prenditi un momento per riflettere su tutto ciò di cui pensi di aver
bisogno; osserva quanto tempo e quanta energia dedichi alle varie
attività in cui sei coinvolto. Adesso immagina di scoprire che morirai
tra una settimana, o tra un mese. Come cambiano le tue priorità?
Come cambiano le tue riflessioni? Pensa sinceramente a come
occuperesti la tua ultima settimana di vita. È un esercizio
meraviglioso. Se ciò a cui hai pensato è davvero quel che faresti nella
tua ultima settimana di vita, cos’hai intenzione di fare con il tempo
che ti resta realmente da vivere? Sprecarlo? Buttarlo via? Trattarlo
come se non fosse preziosissimo? È proprio questo che ti chiede la
morte: «Cosa vuoi fare della tua vita?».
Supponiamo che tu viva senza mai pensarci, ma che un giorno ti
appaia l’angelo della morte e ti dica: «Dai, è ora di andare».
Rispondi: «Ma no! Avresti dovuto darmi un preavviso, così avrei
deciso cosa fare della mia ultima settimana. Pensavo di avere almeno
un’altra settimana». Sai cosa ti direbbe? «Senti un po’, solo
quest’anno ne hai avute cinquantadue di settimane. Senza parlare di
tutte quelle che ti ho dato prima. Perché mai dovrei lasciartene una
in più? Che ne hai fatto di tutte le altre?» Come replicheresti a
un’obiezione del genere? Forse con qualcosa del tipo: «Be’, non ci ho
fatto attenzione, non credevo fosse importante…». È un’affermazione
piuttosto sorprendente, visto che si tratta della tua vita.
La morte è un grande maestra, ma chi le presta ascolto? Non
importa quanti anni hai: potresti esalare l’ultimo respiro da un
momento all’altro, senza che te ne siano mai più concessi altri.
Accade di continuo, e non solo agli anziani, ma anche ai neonati, agli
adolescenti, ai quarantenni. Nessuno può sapere quando verrà il suo
momento, non è così che funziona.
Quindi, perché non farsi coraggio e riflettere abitualmente su
come passeresti la tua ultima settimana di vita? Se ponessi una
domanda del genere a un risvegliato, lui non avrebbe nessun
problema a risponderti, l’ipotesi non gli procurerebbe il minimo
turbamento. Se la morte dovesse sopraggiungere tra un’ora, una
settimana o un anno, continuerebbe a vivere esattamente come sta
vivendo ora. Nel suo cuore non ha desideri irrealizzati. Per dirla
altrimenti, sta già vivendo appieno, senza compromessi e senza
prendersi in giro.
Devi essere disposto a immaginare cosa faresti se ti trovassi al
cospetto della morte. Poi devi far pace con te stesso, in modo che tale
eventualità non faccia differenza alcuna. Un grande yogi sosteneva
di vivere ogni momento come se ci fosse una spada sospesa sopra la
sua testa, appesa a un filo di ragno. Viveva con la consapevolezza
costante di essere a un passo dalla morte. Anche tu sei altrettanto
vicino alla morte. Ogni volta che ti metti al volante, che attraversi la
strada o mangi qualcosa, potrebbe essere l’ultima volta che lo fai. Ti
rendi conto che qualsiasi cosa tu stia facendo in questo momento per
qualcuno è stata l’ultima cosa che ha fatto? «È morto mentre cenava;
è morto in un incidente stradale, a qualche chilometro da casa; è
morta in un incidente aereo, mentre andava a New York; è andato a
dormire la sera e non si è più svegliato…» Prima o poi succede a
tutti. Non importa cosa tu stia facendo in questo preciso istante, puoi
essere certo che qualcuno è morto mentre faceva la stessa cosa.
Non avere paura di parlare della morte, non irrigidirti. Al
contrario, lascia che questa conoscenza ti aiuti a vivere pienamente
ogni istante della tua esistenza, perché ogni momento è importante.
È ciò che succede quando uno sa che gli resta solo una settimana da
q g
vivere. Puoi essere certo che sarà la settimana più importante della
sua vita. Qualunque cosa accada, sarà mille volte più intensa. E se
vivessi ogni giorno che ti resta con quella stessa consapevolezza?
Chiediti perché non stai già vivendo così. Prima o poi morirai, è
un dato di fatto, soltanto che non sai quando accadrà. Sarai spogliato
di qualsiasi cosa, dovrai lasciarti alle spalle tutto ciò che possiedi, gli
affetti, le speranze e i sogni di questa vita. Sarai scaraventato fuori
dalla condizione in cui ti trovi, non interpreterai più i ruoli che tanto
occupavano il tuo tempo. La morte cambia tutto in un lampo. È
questa la realtà. Ma se tutte queste cose possono cambiare in un
istante, forse significa che, in fondo, non sono così reali. Non sarebbe
il caso di approfondire un po’ la questione?
La bellezza delle verità profonde è che, per accoglierle, non devi
cambiare vita, ma solo il modo in cui la interpreti. Non si tratta tanto
di ciò che fai, quanto piuttosto di quanto sei consapevole di ciò che
fai. Prendiamo un esempio molto semplice. Hai camminato
all’aperto migliaia di volte, ma quante volte ti sei davvero goduto
l’esperienza? Immagina di finire in ospedale, e che il medico ti dica
che hai solo una settimana di vita. «Posso fare un’ultima passeggiata
fuori? Vedere il cielo un’ultima volta?» chiedi. Se per caso piove,
vorrai sentire l’acqua sulla pelle un’ultima volta, sarebbe il dono più
prezioso per te in questo momento. Normalmente, invece, se piove,
corri a cercare un riparo.
Che cos’è che non ci permette di vivere in questo modo la nostra
esistenza? Quale parte di noi è talmente spaventata da impedirci di
godere della vita? È una parte così intenta ad assicurarsi che tutto
vada per il verso giusto che non ci lascia stare nel qui e ora. Nel
frattempo, la morte ci segue come un’ombra. Non vuoi vivere prima
che ti raggiunga? Probabilmente non ti darà alcun preavviso: sono
pochissime le persone che sanno quanto resta loro da vivere. Quasi
tutti fanno un respiro e non si accorgeranno mai di non averne fatto
un altro.
Dunque, giorno per giorno cerca di abbandonare quella parte
spaventata di te, che ti impedisce di vivere pienamente. Siccome sai
che stai per morire, sii pronto a dire ciò che deve essere detto e a fare
ciò che va fatto; sii sempre presente, senza avere paura di ciò che
p p p
accadrà nel futuro. È così che vive chi è a tu per tu con la morte.
Segui il loro esempio, perché anche tu ti trovi faccia a faccia con la
morte, in ogni istante.
Impara a vivere come se stessi per morire, e diventerai più
coraggioso e più aperto. Non ti rimarranno desideri inespressi,
perché li avrai esauditi tutti, un momento dopo l’altro. Solo allora
potrai dire di aver conosciuto pienamente la vita e di aver
abbandonato quella parte di te che aveva paura di affrontarla. Non
c’è motivo di temere la vita, e la paura si affievolisce non appena
scopri che tutte le esperienze servono per crescere. La vita stessa è il
tuo lavoro, la tua relazione più importante. Qualsiasi altra cosa tu
faccia, ti stai focalizzando su una piccola parte della vita, nel
tentativo di darle un senso. Ma ciò che dà davvero un senso alla vita
è la volontà di viverla. Non è nessuna esperienza in particolare,
bensì la disponibilità a viverle tutte.
Come ti comporteresti se sapessi che la prossima persona che
incontrerai sarà l’ultima che vedrai? Saresti pienamente presente,
totalmente immerso nell’esperienza. Ciò che quella persona ti
direbbe non avrebbe alcuna importanza, perché ti basterebbe goderti
il suono della sua voce, l’ultima conversazione della tua vita. E se
portassi lo stesso livello di consapevolezza in ogni interazione
quotidiana? È ciò che accade quando ti dicono che stai per morire:
cambi, e sei tu a cambiare, non la vita. Un vero ricercatore spirituale
cerca di vivere così ogni istante, e non si ferma davanti a nulla. Del
resto, cosa potrebbe impedirglielo? In fondo, sa che deve morire.
Se ti metti alla prova, sforzandoti di vivere ogni settimana come se
fosse l’ultima, ti ritroverai a fare i conti con ogni genere di desiderio
irrealizzato. La mente ti ricorderà cos’avresti sempre voluto fare, e ti
spronerà a farlo subito. Scoprirai presto che non è quella la risposta,
anzi capirai che è proprio il desiderio di accumulare esperienze
speciali a distoglierti dalla vera esperienza della vita. La vita va
avanti con o senza di te, come fa da miliardi di anni. Hai avuto
l’onore di riceverne una minuscola fettina, ma se sei sempre
indaffarato a ottenere qualcosa, non te la gusti. Ogni esperienza è
diversa, e merita di essere vissuta. La vita non va sprecata, è
preziosa, ed ecco perché la morte è una grande maestra: è proprio lei
p p g p p
a rendere preziosa l’esistenza. Senza la morte la vita non sarebbe
preziosa. Sprecheresti ogni istante, perché sapresti di averne
un’infinità. È la scarsità a rendere preziose le cose. È la scarsità a fare
di un semplice minerale un gemma rara.
Ecco perché la morte dà un senso alla vita. La morte è la nostra
amica, la nostra liberatrice. Per l’amor del cielo, non aver paura di lei,
cerca piuttosto di capire il suo insegnamento. Il più importante è
comprendere che ciò che conta è vivere appieno ogni singolo istante
della vita. Se impari a vivere totalmente ogni momento, avrai una
vita più piena, e non avrai paura della morte.
Se temi la morte, è perché desideri la vita. Hai paura della morte
perché pensi che ci sia ancora qualcosa che non hai sperimentato.
Molti credono che la morte li priverà di qualcosa. Il saggio sa che
invece la morte dà qualcosa, e per l’esattezza dà senso alla vita. Sei tu
che butti via la vita, che la sprechi. Monti in macchina, vai da un
posto all’altro, e non ti accorgi di nulla durante il tragitto; non ci sei,
sei troppo occupato a pensare a cosa farai una volta giunto a
destinazione. Vivi proiettato nel futuro, sei già un mese o un anno
avanti rispetto al presente. Non stai vivendo la vita, stai vivendo la
mente. Quindi sei tu che butti via la vita, la morte non c’entra nulla.
La morte, anzi, ti aiuta a riprendere in mano la vita, inducendoti a
prestare attenzione a ogni suo istante. Ti spinge a dire: «Mio Dio,
finirò per perdere tutto questo; perderò i miei figli, forse è l’ultima
volta che li vedo. Da questo momento darò loro più attenzioni, e
anche a mia moglie, agli amici e alle persone care. Voglio vivere più
intensamente!».
Se vivi ogni esperienza con consapevolezza, la morte non può
privarti di nulla. Non avrà niente da rubarti, perché sarai già
soddisfatto. Ecco perché il saggio è sempre pronto a morire. Non gli
importa quando la morte verrà a prenderlo, perché la sua esperienza
è già completa. Supponiamo che la tua più grande passione sia la
musica. Hai sempre desiderato ascoltare la tua composizione
preferita suonata dalla tua orchestra prediletta, è sempre stato il
sogno della tua vita, e finalmente si realizza. Eccoti là in sala ad
ascoltarla. La musica ti riempie, e fin dalle prime note vieni
trasportato via, proprio dove volevi andare. Questo dimostra che
p p p
basta un attimo per accedere a una pace che trascende tutto. In
verità, non hai bisogno di vivere più a lungo: ciò di cui hai bisogno è
sperimentare a fondo tutto ciò che vivi, nel tempo che ti verrà
concesso.
È questo il modo di vivere ogni istante: lasciare che ti riempia
completamente, che ti tocchi fino alla profondità del tuo essere.
Anche se fai un’esperienza terribile, considerala una fra le tante. La
morte ti promette qualcosa di grande, in cui puoi trovare una pace
profonda: è la promessa che tutto è transitorio, che tutto scorre nel
tempo e nello spazio. Se hai pazienza, anche questa cosa passerà.
Il saggio sa che, in ultima analisi, la vita appartiene alla morte. La
morte è quella che a tempo debito si prenderà la tua vita. La morte è
il padrone di casa, tu sei l’inquilino. Nel parlare comune si dice che
uno “ha i giorni contati”, ma chi sta contando i giorni? La morte,
ovviamente. È lei che reclamerà la sua proprietà alla fine, perché la
vita le appartiene. Ecco perché dovresti mantenere un buon rapporto
con la morte, anziché temerla. Prova gratitudine per lei, che ti ha
concesso un giorno in più, un’altra esperienza, e perché crea la
scarsità che rende la vita così preziosa. Se lo farai, non sprecherai
mai più i tuoi giorni, ma li apprezzerai tutti profondamente.
La morte è la natura ultima della vita. Gli yogi e i santi l’hanno
sempre accolta a braccia aperte. Come dice san Paolo: «O morte,
dov’è la tua vittoria? O morte, dov’è la tua forza che uccide?» (1
Corinzi 15:55). I grandi non hanno paura di parlare della morte.
Tradizionalmente, gli yogi vanno a meditare nei cimiteri e nei luoghi
dove avvengono le cremazioni. Si siedono fra le tombe e i resti dei
cadaveri per ricordarsi della fragilità del corpo e dell’inevitabilità
della morte. Ai buddhisti si insegna a contemplare l’impermanenza
di tutti i fenomeni. È proprio ciò che ci dice la morte: tutto è
transitorio.
Invece di perderti nel normale chiacchiericcio mentale, perché non
contempli la caducità della vita? Perché non usi la facoltà intellettiva
per qualcosa di utile? Non temere la morte, permettile di liberarti,
consentile di spingerti a vivere appieno qualsiasi esperienza.
Ricordati però che la vita non ti appartiene. Sperimenta ciò che ti
succede, anziché impuntarti su ciò che vorresti che accadesse. Non
p
sprecare un solo istante cercando di far succedere qualcos’altro:
apprezza tutto ciò che ti viene concesso. Non vedi che ogni minuto
che passa, sei più vicino alla morte? Ecco il modo migliore per vivere
la vita: come se ti trovassi sempre in punto di morte, perché in verità
è davvero così.
18
Il segreto della via di mezzo

Nessuna trattazione sulla vita intesa come un cammino spirituale


può dirsi completa senza menzionare uno dei più profondi
insegnamenti spirituali di tutti i tempi, il Tao Te Ching. Parla di un
argomento molto complesso, che il suo autore, Lao-Tzu, chiama
appunto tao. Tradotto letteralmente, significa “via”. Il tao, però, è un
concetto così evasivo che lo si può descrivere solo girandoci intorno,
senza mai affrontarlo direttamente. In questo trattato si delineano le
basi dei principi che reggono ogni forma di vita. Parla dell’equilibrio
tra yin e yang, femminile e maschile, tenebre e luce. Puoi leggerlo
senza comprenderne neppure una parola, oppure piangere come un
bimbetto a ogni parola. L’interrogativo d’obbligo è: disponi della
conoscenza, della comprensione e delle basi per cogliere ciò che
tenta di esprimere?
Sfortunatamente, gli insegnamenti spirituali spesso mascherano
l’essenza della verità con una cortina di termini mistici. In realtà
l’equilibrio, il tao, è molto semplice. Chi ha davvero capito i segreti
della vita riconosce le sue verità senza aver mai letto nulla. Se vuoi
capire il tao, devi procedere molto lentamente e con estrema
semplicità, perché in caso contrario potresti non scorgerlo, sebbene ti
stia proprio di fronte.
Il modo migliore per avvicinarsi al tao consiste nel porsi alcune
domande molto semplici, quasi retoriche. Per esempio, fa bene
mangiare ogni tanto? Certo che sì. Fa bene mangiare continuamente?
No. Ecco, da qualche parte in mezzo ai due estremi, c’è il tao. Fa bene
digiunare? Sì. E non mangiare mai? No. Il pendolo può oscillare da
una parte all’altra, dall’ingozzarsi fino al morire di stenti. Ecco i due
opposti del pendolo: lo yin e lo yang, l’espansione e la contrazione, il
fare e il non fare. Ogni cosa si caratterizza per due estremi;
g p
nell’oscillazione del pendolo ci sono varie gradazioni, e se si
raggiungono le estremità, non si sopravvive. Ecco quanto sono
radicali gli opposti. Per esempio, ti piace quando fuori fa caldo? E se
parlassimo di oltre 3000 °C? Evaporeresti all’istante. Preferisci
piuttosto il freddo? Che ne diresti dello zero assoluto? Le molecole
del tuo corpo sarebbero paralizzate per sempre.
Facciamo un altro esempio, un po’ meno estremo. Ti piace stare
con la tua compagna o il tuo compagno? E se dovessi restargli
sempre appiccicato? Immagina: pranzate, uscite, lavorate, fate tutto
insieme, sempre; quando parli al telefono, metti il vivavoce per
condividere ogni conversazione. Sareste così vicini da diventare
praticamente identici. Quanto pensi che durerebbe?
Questo è un estremo dei rapporti umani. Quello opposto è volere
sempre il proprio spazio, fare tutto per conto proprio,
l’indipendenza assoluta. Ipotizziamo che tu preferisca non vivere
con il tuo partner, perché così quando lo vedi hai sempre qualcosa
da condividere. Fin dove si spinge il tuo bisogno di indipendenza?
Dunque… viaggiate da soli, mangiate separatamente e vivete in case
diverse. Arriverete al punto che vi chiederete se avete ancora una
relazione: non vi vedete da anni! I due estremi hanno lo stesso esito.
Troppo vicini o troppo lontani: in entrambi i casi, prima o poi vi
lascereste. Ogni cosa ha i suoi estremi, il suo yin e il suo yang.
Adesso, andiamo un po’ più in profondità. La temperatura di
oltre 3000 °C non è ideale, e neppure lo zero assoluto pare molto
allettante; né lo è digiunare fino alla morte, o mangiare a crepapelle.
Stare appiccicati alla persona amata, però, non sembra così male, è
da provare. Se la pensi così, è perché il tuo pendolo è rimasto
bloccato nella direzione opposta troppo a lungo. Sei stato troppo
solo: troppe cene, troppi film e troppi viaggi solitari. Per dirla
altrimenti, il tuo pendolo interiore non è equilibrato.
La scienza ci dice che se portiamo un pendolo di trenta gradi a
destra e lo lasciamo andare, il braccio oscillerà fino a raggiungere i
trenta gradi a sinistra. Non c’è bisogno di Lao-Tzu per saperlo. Le
leggi interiori assomigliano a quelle esteriori, perché tutto ciò che
esiste nell’universo è guidato dagli stessi principi. Se tiri un pendolo
in una direzione, tornerà indietro, raggiungendo una posizione
gg g p
equidistante dalla parte opposta. Se non mangi da giorni, e qualcuno
ti offre del cibo, ti abbufferai come un maiale, e ti abbandonerai
all’istinto animale in misura direttamente proporzionale a quanto
hai patito la fame.
Dov’è il tao? Il tao è nel mezzo, è la condizione in cui non c’è
nessuna forza che spinge da una parte o dall’altra, è dove il pendolo
ha raggiunto una posizione di equilibrio, nei confronti del cibo, delle
relazioni, del sesso, del denaro, del fare e del non fare, e di qualsiasi
altra cosa al mondo. Ogni fenomeno ha uno yin e uno yang, e il tao è
la condizione in cui queste forze si trovano perfettamente bilanciate.
In verità, tendono a rimanere in quello stato di placido equilibrio
sempre, a meno che non sia tu ad abbandonarlo. Se vuoi capire il tao,
dai un’occhiata da vicino a ciò che esiste fra i due estremi, perché
nessun estremo può durare a lungo. Per quanto tempo un pendolo
può rimanere in una delle sue posizioni limite? Solo per un istante. E
per quanto tempo può restare in condizione di riposo? Per sempre, a
meno che non intervenga una forza a rompere l’equilibrio. Ecco cos’è
il tao: il centro. Ma ciò non implica che sia statico e immoto. Tra poco
comprenderai perché è più dinamico di quel che sembra.
Per prima cosa, devi capire che ogni fenomeno ha il suo yin e il
suo yang, e quindi ha anche un punto di equilibrio. È l’armonia di
tutti questi punti di equilibrio intrecciati insieme che forma il tao.
Quest’armonia mantiene l’equilibrio mentre si sposta nel tempo e
nello spazio e ha un potere incredibile. Se vuoi avere un’idea della
potenza del tao, osserva quanta energia si spreca oscillando da un
lato all’altro. Supponiamo che tu voglia spostarti dal punto A al
punto B, ma che, invece di raggiungere la meta in linea retta, tu
segua un percorso sinusoidale. Ciò richiederebbe molto più tempo, e
comporterebbe uno spreco di energia. Per dirla altrimenti, oscillare
lungo il cammino non è un modo efficiente di procedere. Per andare
più spedito, devi concentrare tutte le tue energie sulla via: in questo
modo l’energia che sprecheresti ondeggiando a destra e a sinistra
viene ricondotta verso il centro. Tale focalizzazione ti aiuta a portare
a termine qualsiasi compito nel modo più efficace possibile. È questo
il potere del tao. Quando smetti di oscillare tra gli opposti, scopri di
disporre di molta più energia di quanto avessi immaginato. Ciò che
p p g q g
qualcun altro porterebbe a termine in diverse ore a te richiederà solo
un minuto, ciò che prosciugherebbe le forze di un altro a te costerà
uno sforzo minuscolo. È questa la differenza tra chi si dimena da un
estremo all’altro, e chi rimane centrato e focalizzato sul proprio
scopo.
Lo stesso principio vale per ogni aspetto della vita. Se sei in
equilibrio, mangi quando è ora di mangiare, e in modo da mantenere
il corpo in salute. Fare altrimenti sarebbe uno spreco di energia,
perché ti costringerebbe ad affrontare le conseguenze delle
abbuffate, della malnutrizione o della cattiva alimentazione. È molto
più efficiente occuparsi delle necessità del corpo in modo
equilibrato, senza lasciarsi appesantire dagli effetti delle
esagerazioni.
Ripeto: le posizioni estreme comportano un notevole dispendio di
energia. Più ti avvicini a un estremo di una data impresa, più essa si
trasforma in un progetto a tempo pieno. Per esempio, il rapporto di
cui sopra, in cui volevi stare sempre appiccicato al partner, finirebbe
per assorbire tutto il tuo tempo. Potresti cambiare lavoro soltanto se
tutti e due trovaste la medesima occupazione, magari condividendo
la medesima scrivania. All’estremo opposto, se non hai una relazione
e ti senti solo e depresso, non riesci a realizzare granché. Entrambe le
situazioni sono squilibrate, e succhiano energia. L’inefficacia di una
certa azione è proporzionale alla sua distanza dal centro. Se
impieghi le tue energie per correggere le oscillazioni del pendolo, ne
avrai meno a disposizione per vivere la vita. Gli estremi, però, sono
grandi maestri, perché quando li esamini, riconosci facilmente gli
effetti negativi dei comportamenti squilibrati.
Prendiamo il caso di un fumatore accanito. Ha sempre una
sigaretta in bocca, ne accende una dopo l’altra, dedica una
percentuale significativa del suo tempo a fumare. Non fa che
comprare sigarette, accenderle e fumarle, e preoccuparsi di trovare
posti in cui può farlo. Siccome non ha voglia di uscire all’aperto ogni
volta che vuole accendersi una sigaretta, si unisce a un comitato che
chiede di permettere il fumo nei luoghi pubblici. Quanta energia
dedica alle sigarette? Adesso, immagina che un giorno decida di
smettere. Se un anno dopo gli chiedessi cos’ha fatto nel frattempo, ti
p g p
risponderebbe che ha smesso di fumare: per prima cosa ha provato i
chewing gum, ma non sono stati di grande aiuto; poi è passato ai
cerotti, e visto che anche quelli non funzionavano, ha fatto qualche
seduta di ipnoterapia. Siccome il pendolo del fumo era giunto a una
posizione estrema, prima di smettere ha dovuto oscillare fino
all’estremo opposto. Nota come entrambi gli opposti siano
dispendiosi: tutto tempo, energie e sforzi che avrebbero potuto
essere dedicati ad attività più produttive.
Quando sprechi energie per gli estremi, non progredisci. Sei a un
punto morto, e più ti sei spinto in là, minore è la tua libertà di
movimento. Sei bloccato in un solco, che diventa sempre più
profondo. Non hai energia per ritornare al tao, dato che il tuo
comportamento estremo la risucchia tutta.
Il tao è la via di mezzo, perché è il punto in cui le energie sono in
equilibrio. Ma come si fa a impedire al pendolo di oscillare da un
estremo all’altro? Per quanto potrà sorprenderti, il metodo è non fare
assolutamente nulla. Il pendolo oscilla verso gli estremi solo se tu li
alimenti. Abbandonali, smetti di caricarli di energia e l’equilibrio
ritornerà spontaneamente al centro. A quel punto ti sentirai pieno di
energia: è tutta quella che prima sprecavi.
Se scegli di centrarti e di non alimentare nessun estremo, conosci
il tao. Non hai bisogno di aggrappartici, non devi sfiorarlo, poiché
l’energia si armonizza da sola se non viene più sprecata per oscillare
da un opposto all’altro. Trova da sé il cammino che conduce al
centro di qualsiasi situazione, e riposa tranquilla a metà strada. Il tao
è cavo, vuoto. Come l’occhio dell’uragano, il suo potere è in quella
vacuità. Tutto ruota intorno al tao, ma il tao è immobile. Il vortice
della vita trae la sua energia dal centro, e il centro attinge la sua
energia dal vortice della vita. Queste leggi si ritrovano dappertutto:
nella natura, nei fenomeni meteorologici e in ogni aspetto della
nostra vita quotidiana.
Se resti centrato e non partecipi al vortice, l’energia troverà il suo
equilibrio naturale; scorrerà in te in abbondanza, dandoti maggiore
lucidità. Essere presente in ogni istante diventerà la tua condizione
naturale. Non sarai più fissato su certe cose, né ti lascerai catturare
dagli opposti. Man mano che aumenterà la consapevolezza, gli
g pp p g
eventi della vita sembreranno svolgersi al rallentatore, e non
appariranno più confusi o travolgenti, a prescindere dalla loro
natura.
È una condizione molto diversa da quella che sperimenta la
maggior parte delle persone. Per esempio, se stanno guidando e
tutt’a un tratto qualcuno taglia loro la strada, di solito si arrabbiano e
rimangono irritate per un’ora, o magari per l’intera giornata. Per chi
dimora nel tao, invece, gli eventi durano solo il tempo in cui hanno
luogo. Ecco tutto. Se stai guidando e uno ti taglia la strada,
percepisci la tua energia che si allontana dal centro del cuore. Se
però ti rilassi, ritorna al centro. Se non ti fai trascinare dagli estremi,
l’energia torna al momento presente. In questo modo sei pronto a
ricevere l’evento successivo in piena consapevolezza. Sei sempre nel
presente, sei molto più efficiente di chi è occupato a reagire agli
squilibri del passato. Quasi tutti hanno una soglia oltre la quale
perdono l’equilibrio. Ma quando ti perdi dietro un estremo, chi bada
a ciò che accade al centro? Chi si prende cura delle energie che ti
investono quando non sei presente? Ricorda: chiunque si mantenga
presente, con fermezza di proposito, alla fine ne uscirà vincitore.
Quando ti centri nel tao, sei sempre presente, e la vita diventa
semplicissima. Se dimori nel tao, è facile osservare ciò che accade
nella vita, perché tutto si svolge sotto i tuoi occhi. Se invece sei
occupato ad affrontare le diverse reazioni interiori provocate dagli
estremi, ti senti disorientato; ma non è la vita che è confusa, sei tu a
esserlo.
Quando esci dalla confusione, tutto si fa più semplice. Se non hai
preferenze, se l’unica cosa che desideri è restare centrato, allora la
vita si dispiega mentre ti limiti a percepire il centro. C’è un filo
invisibile che attraversa tutti i fenomeni, e tutto tende verso la
posizione centrale, di pace ed equilibrio. È quello il tao. È qualcosa di
molto concreto, che è presente tanto nei rapporti interpersonali
quanto sul lavoro, e finanche nelle scelte di alimentazione. È in tutto.
È l’occhio del ciclone, sempre tranquillo.
Per avere un’idea delle sensazioni che si percepiscono quando ci
si trova in quel centro, prendiamo come esempio la barca a vela. La
prima volta usciamo in mare quando non c’è vento: è un primo
p q p
estremo, e ovviamente non andiamo da nessuna parte. La volta
dopo, invece, usciamo con un forte vento, ma ci scordiamo le vele. È
l’estremo opposto, e anche in quel caso non ci muoviamo. La barca a
vela è un ottimo esempio, perché funziona con un’interazione di
forze: il vento, la vela, il timone, la tensione delle cime. È un
magnifico gioco di forze. Cosa succede se il vento soffia ma la vela
non è abbastanza tesa? Nulla. E se è troppo tesa? Rischi di ribaltarti.
Qual è la condizione ideale? Quella di equilibrio, in cui la tensione
della vela contrapposta alla spinta del vento non è né troppa né
troppo poca; è ciò che si dice “al punto giusto”. Immagina che il
vento spinga la vela al punto giusto, e le cime siano tese al punto
giusto. Veleggi con una perfetta sensazione di equilibrio, poi il vento
cambia e tu ti adegui di conseguenza. Tu, il vento, la vela e l’acqua
diventate una cosa unica. Tutte le forze sono in armonia e se una si
modifica, le altre rispondono all’istante. Ecco cosa significa muoversi
nel tao.
Nel tao della vela, l’equilibrio non è mai statico, è dinamico. Passi
sempre da un punto di equilibrio all’altro, da un centro all’altro. Non
puoi avere preconcetti o preferenze, devi consentire alle forze della
natura di farti muovere. Nel tao non c’è nulla di personale, sei solo
uno strumento in balia delle forze dell’universo, che partecipa alla
sua armonia. Devi raggiungere un punto in cui tutto il tuo interesse
è rivolto all’equilibrio, escludendo qualsiasi preferenza personale sul
modo in cui dovrebbe svolgersi la vita secondo te. È così per ogni
aspetto dell’esistenza. Più lavori sull’equilibrio, più riesci a
veleggiare nel mare della vita. L’azione senza sforzo è ciò che
succede quando vivi nel tao: la vita accade; tu sei presente, ma non
sei tu a farla accadere. Non ti carichi di nessun peso, non c’è stress, le
forze agiscono liberamente, mentre tu mantieni il centro. Ecco il tao:
il posto più bello del mondo. Non puoi definirlo, ma puoi diventare
un’unica cosa con esso.
Nella via del tao non ti capiterà più di svegliarti al mattino,
esaminare i compiti della giornata e poi iniziare a farli. Nel tao sei
cieco, e devi imparare a esserlo. Il cieco percorre le vie della città
orientandosi con il bastone. Diamo un nome a quell’attrezzo: è un
rilevatore di estremi, è lo strumento che percepisce i limiti, che tocca
p p
lo yin e lo yang. I ciechi che camminano con il bastone lo fanno
oscillare dando colpetti a destra e sinistra. Non stanno cercando di
scoprire dove devono camminare, vogliono solo capire dove non
devono andare. Identificano gli estremi. Se non riesci a vedere dov’è
la strada, tutto ciò che puoi fare è percepire continuamente i limiti
della carreggiata. Se li percepisci, e li eviti, resti nella via. Ecco come
si vive nel tao.
Tutti i grandi insegnamenti rivelano la via di mezzo, la via
dell’equilibrio. Chiediti continuamente se stai vivendo in quella
dimensione, o se sei perso negli estremi. Gli estremi creano i propri
opposti, e il saggio li evita. Trova l’equilibrio, il centro, e vivrai in
armonia.
19
Gli occhi amorevoli di Dio

Com’è possibile conoscere Dio? Abbiamo così tanti insegnamenti,


concetti e opinioni al riguardo, che però sono stati tutti manipolati
dall’uomo. Se ci pensi, è sorprendente che le nostre idee su Dio si
conformino quasi sempre alle varie culture da cui scaturiscono.
Fortunatamente, nel profondo del nostro essere, abbiamo una
connessione diretta con il divino. C’è una parte del nostro essere che
si situa al di là del sé individuale. Puoi scegliere consciamente di
identificarti con quella parte, anziché rivolgere la tua attenzione
soltanto alla psiche o al corpo. Così facendo, sperimenterai una
trasformazione naturale, e con il passare del tempo, via via che la
osserverai, capirai cosa significa avvicinarsi a Dio. Saprai come ci si
sente a procedere in direzione dello spirito. I cambiamenti che vedi
in te sono il riflesso della forza cui ti stai avvicinando. Puoi
conoscere la natura di Dio osservando allo specchio il tuo sé
trasformato. Non è filosofia, è un’esperienza diretta, come la pioggia
che ti bagna e il fuoco che ti riscalda.
La crescita spirituale può essere sperimentata alla stregua di ogni
altra cosa. Forse nella vita hai vissuto dei periodi caratterizzati da
una forte negatività, da rabbia e rancore. Sai bene come ci si sente in
quei casi, e come ti poni nei confronti del prossimo quando sei in
quello stato; conosci le sensazioni che provi nel cuore, e la forma che
prendono pensieri e azioni. Conosci bene quella dimensione, perché
non è una filosofia, ma un’esperienza diretta.
Se cresci fino a trascendere quella parte di te, con il passare del
tempo ti allontanerai dalle sensazioni di tensione e ansia, e le nubi
delle vibrazioni inferiori appariranno sempre più lontane dal centro
interiore in cui dimori. Forse persisteranno, ma se non ti aggrappi a
quelle nubi, anch’esse non potranno più aggrapparsi a te. Via via che
q p p gg pp
le abbandoni, smetti spontaneamente di identificarti con le
vibrazioni inferiori, o di credere di averci qualcosa a che fare. Più le
lasci andare, più il tuo spirito si eleva.
Come sai che lo spirito si eleva? Lo sai come sai di respirare, o che
il cuore batte, e che la mente pensa: ci sei dentro e lo sperimenti
direttamente.
Ma cosa significa elevarsi? La sensazione è di essere attratto in
una dimensione sempre più interiore. Non sei più trattenuto dal tuo
sé terreno, quindi cominci a percepire uno spazio sconfinato dentro
di te. Senti che fra te e la tua psiche c’è sempre più distacco. Fai un
passo indietro, scendi nel profondo e poi ti innalzi.
Come puoi essere certo del tuo progresso? Non sperimenti più
rabbia, paura o autocoscienza come prima, non provi risentimento,
non ti chiudi più, né ti irrigidisci. Certe cose che non vorresti
accadessero continuano ad accadere, ma non ti toccano più di tanto.
Non riescono più a ferirti, perché hai fatto un passo indietro rispetto
alla parte di te che reagiva di fronte a tutto. Sono esperienze
concrete, non cose che hai letto sui libri o che ti hanno raccontato. È
ciò che accade spontaneamente allorché lasci andare le vibrazioni
inferiori del tuo essere. Vai alla deriva e affiori nelle vibrazioni
superiori.
Dove vai? Anche se non hai le basi per capire cosa ti sta
accadendo, hai comunque la sensazione di andare da qualche parte.
Ciò che senti è che stai entrando nel tuo essere spirituale. Meno ti
riconosci nelle parti fisiche e psicologiche del tuo sé, più cominci a
identificarti con un flusso di pura energia.
Come ci si sente a identificarsi con lo spirito piuttosto che con la
forma? Prima eri pieno di ansia e di tensioni, adesso sei pieno di
amore, un amore che non è dovuto a una ragione specifica, ma è lo
scenario di tutto ciò che vivi. Ti muovi in uno scenario di apertura,
bellezza e gratitudine. Non devi sforzarti di sentirti così, perché è lo
spirito che si sente così. Se ti chiedessero come stai fisicamente,
risponderesti che a volte stai bene e altre non tanto. E
psicologicamente? Se fossi sincero, confesseresti che la tua mente è
sempre piena di lamentele e di paure. Ebbene, come si sente lo
spirito? È sempre in una condizione di assoluto benessere, di
apertura e di leggerezza.
È proprio per tale motivo che devi focalizzarti man mano sulla
parte spirituale del tuo essere. Per riuscirci non devi proiettarti verso
lo spirito, ma solo abbandonare la zavorra che ti impedisce di
raggiungerlo. In realtà, non c’è altro modo. Il sé personale non può
toccare lo spirito, anzi dev’essere lasciato da parte. Appena lo fai, ti
ritrovi alle spalle di te stesso e, se prosegui, inizi a salire. Entri in una
vibrazione sempre più elevata e sperimenti amore e leggerezza
crescenti. Ti elevi, con un progresso continuo ed esponenziale.
Via via che lasci andare volontariamente gli aspetti fisici, emotivi
e mentali del tuo sé, la tua dimensione diventa sempre più quella
dello spirito. Non pretendi di capire ciò che ti succede, sai solo che
più ti inoltri in quella direzione, più incontri bellezza. Sperimenti
spontaneamente le vibrazioni che sono state descritte dai grandi
saggi e dai santi delle diverse tradizioni. Capisci che anche tu puoi
avere profonde esperienze spirituali ed essere «preso dallo Spirito
nel giorno del Signore» (Apocalisse 1, 10).
Ma, in definitiva, come puoi sapere qualcosa su Dio? Come puoi
mai conoscere ciò che è oltre il tuo essere? Puoi farlo, perché quelli
che sono andati oltre e poi sono tornati indietro hanno rivelato che lo
spirito che sperimenti è ciò che conduce a Dio. Dopo aver
abbandonato gli aspetti inferiori del loro essere, costoro hanno
vissuto proprio ciò che provi tu: un amore sconfinato, il risveglio
dello spirito e della luce nel profondo del cuore. Hanno sentito che
nessuna percezione sensoriale avrebbe mai potuto superare ciò che
sgorgava dall’interno. Sono andati sempre più a fondo e si sono
elevati sempre di più. Poi, un bel giorno, all’improvviso, non c’erano
più: non c’era più la percezione di un “io”, di un’entità separata
dall’esperienza di amore e luce. C’era solo l’espansività assoluta del
Sé che si fondeva con l’amore e la luce, come una singola goccia che
si scioglie nell’oceano.
Quando la goccia di coscienza che conosce se stessa come “io”
retrocede a sufficienza, diventa come la goccia che cade nell’oceano.
L’ātman (l’anima) precipita nel paramātman (l’anima suprema), la
coscienza individuale si dissolve nell’unità universale, ed è tutto.
Chi lo ha sperimentato si è espresso così: «Io e il Padre siamo una
cosa sola» (Giovanni 10, 30); «… Quel che dico non viene da me; il
Padre abita in me, ed è lui che agisce» (Giovanni 14, 10).
Tutti i santi hanno detto cose simili. Raccontano di essersi fusi con
l’unità universale di Dio, dove non c’era più distinzione. La goccia di
coscienza, che corrisponde allo spirito individuale, è come un raggio
di luce che emana dal sole. In realtà quel singolo raggio non è
diverso dal sole. Quando la coscienza smette di sperimentare se
stessa come un raggio, giunge a riconoscersi nel sole. I santi si sono
dissolti in quello stato.
Nel Vangelo di Giovanni, un vangelo particolarmente mistico, il
Cristo afferma: «Fa’ che siano tutti una cosa sola: come tu, Padre, sei
in me e io sono in te, anch’essi siano in noi … io unito a loro e tu
unito a me. Così potranno essere perfetti nell’unità …» (Giovanni 17,
21-23). La stessa cosa insegnano i Veda indù, la cabala ebraica, i
grandi poeti sufi; e la stessa cosa insegnano tutte le tradizioni
religiose di ogni epoca. Questo stato esiste davvero: ci si può
dissolvere nell’assoluto universale; si può diventare uno solo con
Dio.
È l’unico modo di conoscere il divino, diventando una cosa unica
con lui. Lascia che il tuo essere si fonda con l’Essere e vedi cosa
succede. È quella che si chiama coscienza universale, e le
caratteristiche degli individui che l’hanno raggiunta sono simili in
ogni religione.
Cosa succede a chi percorre questo cammino verso il divino? A
quali trasformazioni va incontro? Per comprenderlo, immagina come
ti sentiresti se provassi un amore illimitato per ogni creatura, ogni
pianta, ogni animale, e per tutte le meraviglie della natura.
Immagina cosa accadrebbe se riconoscessi ogni bambino come tuo
figlio, e se ogni persona ti apparisse bella come un fiore, con il suo
colore, la sua forma, la sua voce. Andando sempre più in profondità,
noteresti una cosa incredibile: non giudichi più. Il giudizio si
interrompe, rimangono solo gratitudine, rispetto, amore e
apprezzamento. Differenziare significa giudicare. Vedere,
sperimentare e onorare vuol dire partecipare alla vita, anziché
tenersi in disparte e giudicarla.
p g
Quando visiti un giardino botanico, ti senti aperto e leggero, provi
amore e contempli la bellezza della natura. Non giudichi la forma e
la disposizione di ogni singola foglia: ce ne sono di ogni foggia e
dimensione, ma è proprio questo che le rende belle. E se provassi la
stessa cosa per le persone? Se non dovessero più vestirsi, credere o
comportarsi come vuoi tu? Se fossero simili ai fiori, che in qualsiasi
modo si manifestino ti appaiono belli?
Se ti è accaduto qualcosa del genere, hai colto un barlume del
divino. È questo il miglior modo per conoscerlo, anzi l’unico: osserva
cosa ti accade quando ti avvicini di un poco a Lui. Se cerchi un libro
che parli di Dio, ne trovi altri cinque che sostengono l’opposto, o
meglio ancora, trovi cinque interpretazioni dello stesso libro. C’è chi
pubblica la sua tesi, e chi si guadagna un dottorato confutandola. Se
vai alla ricerca di Dio sul piano mentale, prima o poi qualcuno
contesterà quel che hai trovato. Fa tutto parte del gioco della mente.
Non è così che puoi conoscere Dio; lo conosci soltanto attraverso
un’esperienza concreta. È ciò che succede nella meditazione, quando
lasci andare il sé inferiore. Ti abbandoni allo spirito, e lasci che in te
si compiano le dovute trasformazioni. Limitati a prenderne atto, e
comincerai a notare una tendenza verso le qualità del divino. Più
scavi in profondità, più quelle qualità si sviluppano in te. A ogni
passo lungo il cammino, ottieni maggiori intuizioni su cosa si prova
a dimorare nella condizione divina.
Ci sono persone che fanno esperienza della forza divina. Hanno
avuto un numero sufficiente di manifestazioni dirette per sapere che
la coscienza divina è una realtà. Hanno avuto un assaggio di una
forza onnisciente, onnipresente e onnipotente; una forza che è
consapevole di tutti i fenomeni in qualsiasi momento, in misura
eguale, e che è universalmente conscia.
Che aspetto ha il creato, osservato da quella condizione?
Cos’hanno visto quelli che hanno trasceso l’individualità e hanno
guardato il creato attraverso gli occhi di Dio? Hanno visto che non
c’è giudizio (la mente giudicante è svanita tempo prima). C’è solo
bellezza da contemplare. Hanno provato qualcosa del genere: «Ora
vedo tutti i fiori con un colpo d’occhio, sperimento l’operato di
ognuno dei miei figli, e di tutto ciò in cui mi diversifico. Provo
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amore, compassione, comprensione e ammirazione per le diverse
espressioni e azioni del mio creato». Ecco cosa vede il santo, e perché
il vero santo dimora in Dio.
Pensaci: se davvero Dio non giudicasse, se davvero fosse solo
amore? Sappiamo bene che il vero amore non giudica: non vede altro
che bellezza in ciò che ama. Non c’è impurità, e nemmeno la
possibilità dell’impurità. Qualsiasi cosa contempli, è tutto bello. È
così che il vero amore percepisce le cose, è così che appare la realtà
attraverso gli occhi dell’amore. Quindi, se Dio è amore, cosa vede
attraverso i suoi occhi, quegli occhi colmi di amore infinito e di
compassione incondizionata?
Se hai mai amato qualcuno, sai cos’è il vero amore. È amare l’altro
più di te stesso. Quando ami davvero, il tuo amore vede al di là delle
piccolezze dell’altro, abbraccia il suo intero essere, compresi gli
errori del passato e le imperfezioni del presente. È come l’amore
incondizionato di una madre che dedica ogni momento della propria
vita a un bambino fisicamente o mentalmente disabile: per lei suo
figlio è meraviglioso. Non si concentra sui difetti, in realtà non li
percepisce neppure come tali.
E se fosse proprio così che Dio contempla il creato? Se ti è stato
detto altrimenti, ti hanno fregato. Invece di incoraggiarti a sentirti
protetto, amato, adorato e rispettato dalla forza divina, ti senti
giudicato, e di conseguenza sei pieno di sensi di colpa e di paure. Ma
sensi di colpa e paure non ti aiutano a collegarti al divino, al
contrario, finiscono per chiuderti il cuore. La realtà è che Dio è
amore, e lo puoi constatare di persona. Se anche solo per un istante
hai guardato qualcuno attraverso gli occhi dell’amore vero, sai che
quegli occhi non ti appartengono. I tuoi occhi non sono in grado di
esprimere un amore del genere, non potranno mai, neppure in un
milione di anni, vedere nella persona amata quella bellezza
abbagliante e quella perfezione assoluta. Quelli sono gli occhi di Dio,
che guardano il creato attraverso di te.
Quando la mano divina si protende attraverso di te, non c’è nulla
che non puoi dare: daresti il tuo ultimo respiro senza neppure
pensarci su. Non ti passerebbe neppure per la testa di tirarti indietro.
Daresti tutto e faresti qualsiasi cosa per la persona che ami. Quando
q p p
provi un amore così profondo, sai che arriva da una forza più grande
di te. È un amore trascendentale, divino, incondizionato e altruistico.
È questo l’amore di cui parlano i maestri, coloro che sono andati
oltre, e ci dicono che è la condizione a cui accedi quando ti
abbandoni allo spirito. È così che lo spirito contempla il creato. Ecco
cos’avrebbero dovuto insegnarti: indipendentemente da ciò che fai o
che hai fatto, Dio ti amerà sempre.
Quando Gesù racconta ai discepoli la parabola del figliol prodigo,
narra loro di un ragazzo che abbandona la casa paterna e sperpera
tutta la sua ricchezza. Eppure, quando torna a casa in cerca di aiuto,
il padre lo tratta meglio del fratello, che è sempre rimasto al suo
fianco e ha sempre lavorato. Questo perché il figliol prodigo si era
smarrito, dice Gesù, e suo padre ne sentiva la mancanza. Non c’è
giudizio, solo amore (Luca 15, 11-32).
Gesù dice anche: «Chi tra voi è senza peccati, scagli per primo una
pietra …» (Giovanni 8, 7). Cosa vuole insegnarci? Cosa intende dire?
Con quale sguardo contempla questo mondo? Insegna un amore
assolutamente altruistico, compassionevole. Viene crocefisso al
fianco di un ladro e di un brigante, e quando il ladro gli chiede di
ricordarsi di lui, gli risponde che quel giorno stesso sarà con lui in
paradiso (Luca 23, 39-43). Quali sono le sue prime parole sulla croce?
«Padre perdona loro, perché non sanno quel che fanno» (Luca 23,
34). È l’amore di una madre che parla del figlio. Il suo amore e la sua
compassione sono talmente profondi che nel figlio non vedrà mai
alcuna colpa. Se una madre può arrivare a un livello di amore e di
compassione così disinteressato, che dire di Dio, il creatore
dell’amore?
Vuoi sapere come Dio rivolge il suo sguardo a questo mondo?
Vuoi sapere cosa prova per le varie persone? Osserva il sole: brilla
più intensamente su un santo che su un ladro? Un santo ha più aria a
disposizione? La pioggia cade più abbondante sull’orto del vicino?
Puoi distogliere lo sguardo dalla luce del sole e vivere
nell’oscurità per cent’anni, ma appena torni a guardarla, rieccola, è
sempre lì. È a tua disposizione, come lo è stata per chi ha fruito del
suo splendore per un secolo intero. In natura è tutto così. Il frutto
dell’albero si concede a chiunque. C’è forse una forza della natura
q
che opera una distinzione tra una persona e l’altra? Se escludiamo la
mente umana, c’è qualcosa nella creazione divina che esprime
giudizi? La natura dona senza discriminare, a chiunque sia disposto
ad accogliere i suoi regali. Se scegli di non accettarli, non ti punisce.
Sei tu che ti punisci scegliendo di non riceverli. Se dici alla luce:
«Non voglio rivolgerti lo sguardo. Ho deciso di vivere nell’oscurità»,
la luce continua a brillare. Se tu dici a Dio: «Non credo in te, e non
voglio avere niente a che fare con te», il creato continua a sostenerti.
La tua relazione con Dio è analoga alla relazione con il sole. Se ti
sottrai alla luce del sole per anni, e poi scegli di uscire dall’oscurità
in cui ti eri cacciato, il sole riprende a brillare su di te come se non
l’avessi mai abbandonato. Non c’è bisogno che ti scusi, limitati a
sollevare il capo e a volgere lo sguardo verso di lui. Lo stesso vale se
decidi di concentrarti su Dio: fallo e basta. Se consenti al senso di
colpa e alla vergogna di interferire, è il tuo ego che blocca la forza
divina. Non puoi offendere Dio, perché è per sua stessa natura luce,
amore, compassione, protezione e generosità. Né puoi impedirgli di
amarti. Lo ripeto: è come il sole, non puoi impedire alla sua luce di
illuminarti, puoi solo scegliere di non vederla. Nel momento in cui la
cerchi, scopri che è sempre là.
Quando torni a rivolgerti allo spirito, vedi che sono i suoi occhi
che contemplano il mondo, che è suo il cuore che risplende su tutto e
tutti. Attraverso quegli occhi, persino la più orribile delle creature
appare bella. Questo è il punto che nessuno capisce. Si sente spesso
dire che quando rivolge il suo sguardo in terra, Dio piange. Il santo
invece sa che quando Dio contempla la terra, in qualsiasi condizione
e in qualsiasi momento, va in estasi. Dio conosce soltanto l’estasi, la
sua natura è beatitudine eterna, consapevole, e qualsiasi cosa tu
abbia fatto, non potrai mai intaccarla.
Il bello è che puoi sperimentare quell’estasi, e che, quando
comincerai a percepirla, conoscerai la natura di Dio. A quel punto
nessuno potrà più irritarti o deluderti. Nulla rappresenterà più un
problema, tutto ti apparirà parte della bellissima danza del creato,
che si svolge proprio dinanzi a te. La tua condizione abituale sarà
sempre più elevata, invece che vergogna proverai amore. Anziché
aver paura di sollevare lo sguardo verso Dio, per via di qualcosa che
p g p q
hai detto o fatto in passato, ti rivolgerai a lui sapendo che ti
accoglierà senza condizioni.
Contempla tutto ciò, e abbandona l’idea di un Dio che giudica.
Dio è amorevole, anzi è amore, e l’amore non può far altro che
amare. Dio è in estasi, e tu non puoi farci nulla. E se Dio è estatico,
cosa vedrà quando volgerà lo sguardo su di te?
Bibliografia

Freud, Sigmund, The Ego and the Id, trad. di Joan Riviere, pubblicato
da Leonard & Virginia Woolf presso Hogarth Press e Institute of
Psycho-Analysis, Londra 1927; trad. it.: L’Io e l’Es, Bollati
Boringhieri, Torino 1978.
http://www.lachiesa.it/bibbia/tilc/index.htm
Maharshi, Ramana, The Spiritual Teachings of Ramana Maharshi,
Shambhala Publications, Boston 1988; trad. it. L’insegnamento
spirituale di Ramana Maharshi, Edizioni Mediterranee, Roma 1992.
Merriam-Webster’s Collegiate Dictionary, 11ª ed., Merriam-Webster,
Springfield, MA , 2003.
Platone, La Repubblica, Mondadori, Milano, 2018.
Yamamoto, Kōshō (trad. di), The Mahayana Mahaparinirvana Sutra,
Yamaguchi-ken, Karinbunko, Giappone, 1973.
Ringraziamenti

Il seme di quest’opera è stato piantato molti anni fa, allorché Linda


Bean, che stava trascrivendo alcune delle mie conferenze, mi ha
incoraggiato a scrivere un libro. Con pazienza, Linda ha passato al
vaglio il materiale archiviato nel corso degli anni, finché non è
giunto il momento di cominciare a scrivere. Ho molto apprezzato
l’impegno e la cura che ha riservato a questo progetto.
Una volta iniziata la stesura, Karen Entner mi ha aiutato a
organizzare il materiale, dandomi suggerimenti sui contenuti e
curando il manoscritto. Abbiamo revisionato insieme una versione
dopo l’altra, finché il flusso delle parole non ha cominciato a portarci
un senso di pace nel cuore, nella mente e nell’anima. Le sono
particolarmente riconoscente per la sua dedizione, e so che con la
pubblicazione di quest’opera si è realizzato uno dei sogni della sua
vita.
Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato,
riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico,
o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente
autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o
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distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione
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Un’anima sconfinata
di Michael A. Singer
Copyright © 2007 by Michael A. Singer
Titolo originale dell’opera: the untethered soul
© 2021 Mondadori Libri S.p.A., Milano
L’intento di questo libro è di offrire informazioni accurate e autorevoli sul
soggetto trattato. L’editore non dispensa consigli psicologici, finanziari, legali, né
di altra natura. Se sorgesse la necessità di un parere esperto, si raccomanda di
rivolgersi a professionisti qualificati.
Ebook ISBN 9788835709893

COPERTINA || COVER DESIGN: CHIARA BRAMBILLA


Indice

Copertina
L’immagine
Il libro
L’autore
Frontespizio
Un’anima sconfinata
Introduzione
Parte prima. IL RISVEGLIO DELLA COSCIENZA
1. La voce nella testa
2. Il coinquilino interiore
3. Chi sei tu?
4. Il Sé lucido
Parte seconda. SPERIMENTARE L’ENERGIA
5. Energia infinita
6. I segreti del cuore spirituale
7. Trascendere la tendenza a chiudersi
Parte terza. LIBERARE SE STESSI
8. Abbandonare o cadere
9. Le spine interiori
10. Liberare l’anima
11. La sofferenza è il prezzo della libertà
Parte quarta. ANDARE OLTRE
12. Abbattere le mura
13. Molto, molto oltre
14. Abbandonare la falsa solidità
Parte quinta. VIVERE LA VITA
15. Il cammino della felicità incondizionata
16. La via della non resistenza
17. Contemplare la morte
18. Il segreto della via di mezzo
19. Gli occhi amorevoli di Dio
Bibliografia
Ringraziamenti
Copyright

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