Sei sulla pagina 1di 160

LETTERATURA SPAGNOLA II.

La figura di Carlo V.
Introdotto grazie alla figura de las Cortes: Carlo V era solito convocare las cortes, lui
coinvolgeva i notabili delle rappresentanze locali per discutere di questioni di
carattere fiscali, le convoca dunque per liquidità. Per queste richieste lui genera un
enorme mantenimento tra la popolazione. Carlo V convoca due volte las cortes a
Toledo trattando fiscalità.
Nasce da una famiglia eccezionale: i nonni materni sono non altro che i re cattolici
Isabel e Fernando (coloro che nel 1492 con il loro matrimonio uniscono i regni di
Castiglia e Aragona), i paterni invece sono Massimiliano d’Amburgo e Maria di
Borgogna, dunque si uniscono due casate diverse: gli Amburgo e i re cattolici.
Nasce nelle Fiandre, nella citta di Gand, una città belga nel 1500 e comincia la sua
istruzione a Tordesillas per motivi di convenienza. La madre era Juana la Loca, fu
dichiarata malata di mente, venne estromessa dal potere e rappresentava una presenza
“ingombrante” per Carlo e per il padre. Lei impazzisce per la morte del marito, che
amava alla follia. Il marito era Felipe el Hermoso.
Nel 1516 muore suo nonno Ferdinando detto il cattolico e ciò determinerà il suo
viaggio in Spagna, nel 1517 parte e durante il viaggio incontra la mamma con la
quale parla in Francese perché Carlo è stato educato secondo il protocollo della
Borgogna, la cui lingua ufficiale è il francese. Solo dopo impara il castigliano e in
Spagna non riesce a comunicare infatti uno dei motivi di mal contento generato da
Carlo V al suo arrivo in Spagna fu proprio il fatto che lui non parlasse spagnolo.
La corte Borgognana è caratterizzata dal lusso, lo sfarzo e questo trionfo del lusso
dovrà poi essere pagato da lui, viene accolto con molta diffidenza e sospetto.
La città di Bruxelles sancisce l’ufficialità, inizia il regno di Carlo V, avviene la
cerimonia di abdicazione e divide i suoi possedimenti: affida il sacro romano impero
al fratello Fernando e gli altri possedimenti al figlio Filippo II.
Porta con sé un ritratto della moglie defunta dopo il parto, lasciandolo nello sconforto
più profondo: era la figura di Isabel de Portugal rappresentata dal pittore Tiziano, suo
pittore di fiducia il quale ritrae quadri celebri come la battaglia di Mühlberg.
Prima i matrimoni avvenivano per convenienza politica, senza conoscersi, il
matrimonio di Carlo V e Isabel de Portugal fu, fortunatamente, un matrimonio felice.
Dopo questo matrimonio Carlo non volle più sposarsi, ebbe anche delle amanti e dei
figli illegittimi ma non si risposò mai più.
MATRIMONIO CON ISABEL.
Si sposa con Isabel de Portugal nel 1526 a Siviglia per poi trasferirsi a Granada in
Andalusia; matrimonio importante perché tra gli invitati vediamo la figura di un
ambasciatore veneziano di nome Andrea Navagero il quale intendendosi di poesia e
letteratura ha un dialogo con Juan Bóscan lancia una sorta di guanto di sfida per
introdurre la versificazione con l’utilizzo dell’endecasillabo e da ciò inizia una
rivoluzione nella quale rientra anche Garcilaso e cerca di portarla avanti.
Carlo V sposa una portoghese, il Portogallo prima era un paese affine alla Spagna, il
quale poi verrà annesso nel 1580 grazie al regno di Filippo II.
Nel 1527 nasce Filippo, data emblematica perché avviene il sacco di Roma, nel
maggio del 1527 le truppe dei lanzichenecchi mettono a ferro e fuoco la città santa,
sede papale. Il Papa scappa e avvengono violenze per giorni, chiese profanate.
Qui avviene la rottura dei rapporti tra Carlo V e la chiesa, dunque figura
compromessa di Carlo V come paladino della chiesa ; la figura della chiesa viene
compromessa durante la riforma protestante di Lutero e con le leggi di Wittemberg.
Ora Carlo V è complice all’assalto della città eterna. Papa Clemente VII poi
incoronerà imperatore Carlo V a Bologna siccome il malcontento della Spagna era
ancora troppo forte.
CARLO V SOLDATO E I FRONTI.
Carlo V schierò le sue battaglie su ben tre fronti:
1. FRANCIA VS SPAGNA con Francesco I;
2. OTTOMANI VS SPAGNA contro Solimano il Magnifico;
3. MARTIN LUTERO VS SPAGNA con la riforma che genererà la controriforma
con il concilio di Trento.
FRASE CELEBRE: Veni, vidi y Diós Venció: sono venuto, ho visto e dio ha vinto,
Carlo V si afferma paladino dei cristiani per difenderne i principi; con ciò lui si
riferisce a Cesare, infatti il suo sogno era vivere i passi dell’impero romano di Cesare
e la propaganda di corte mise in risalto le affinità tra le due figure. Lo stesso
Garcilaso de la Vega lo chiamerà Cesar African in seguito alla campagna vittoriosa di
Tunisi nel 1535 per fargli rivivere la sua vita.
Lo stesso Garcilaso è stato un soldato, soggetto a Carlo V, ha vita breve e muore in
seguito a una spedizione militare. I due furono coetanei, scrive versi durante la
battaglia di Tunisi dal fronte, doveva impugnare rapidamente la piuma o la spada,
durante la sua vita ebbe molte pene d’amore.
Per il suo servizio segue Carlo V nel suo viaggio verso Genova per l’incoronazione,
raggiungendola tramite mare con tutti i rischi che c’erano.
La vita di Garcilaso viene segnata dalla guerra de las comunidades, rivolta dei
comuneros, sollevazioni popolari.
Toledo era la città di nascita di Garcilaso E quando scoppia la rivolta molte famiglie
si dividono tra i fedeli di Carlo V e coloro che vorrebbero cacciarlo; anche nella
famiglia di Garcilaso ci sono queste divisioni, il fratello maggiore era un rivoltoso e
viene poi esiliato.
UN MONARCA, UN EMPERIO, UNA ESPADA.
Citazione di un sonetto di Fernando de Apugna, poeta soldato dedicato al figlio
Filippo II nella battaglia di Lepanto.
L’articolo indeterminativo indica uno solo, un solo gregge per un solo pastore, un
solo re per il paladino dei cristiani e difensore degli attacchi.
<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<
GARCILASO DE LA VEGA.
Nasce tra il 1500 e il 1502 a Toledo, è un coetaneo di Carlo V. Lo accompagnò in
Italia per l'incoronazione via mare e fece un testamento.
Ebbe una morte prematura; precisamente il 13/14 ottobre del 1536. Era considerato
un poeta soldato e il 17 maggio 1536 diventa capo dell’esercito, durante una delle
battaglie si trovava a Nizza e pensando che una torre avversaria fosse abbandonata
volle raggiungerla ma si imbatte in una pioggia di pietre che lo colpiscono sulla testa.
Ebbe una vita editoriale molto travagliata, muore senza aver pubblicato in vita una
parola della sua produzione, ma lo pubblica l'amico Bóscan che si fece esecutore
letterario delle volontà dell'autore.lui ne cura le edizioni e li pubblica ma il destino
spezza anche la sua vita.
Nel 1543 sia un'edizione doppiamente postuma perché dice le opere di Bóscan e
alcune di Garcilaso che Bóscan ha raccolto e preparato per l’edizione ma non lo portò
lui a stampare perché nel 1542 muore.
Si stampava a Barcellona da Carles Amoros. Stampata poi dalla vedova Anna Giron.
Nel COLOPHON vediamo indicate le coordinate tipografiche della stampa come il
mese il luogo e l'officina. Questa edizione del 1543 è considerata l’edizione princeps;
edizione detta principe, la prima edizione stampa.
Doppiamente postuma perchè ci sono state 2 morti prima della pubblicazione. Né
Bóscan né Garcilaso hanno supervisionato la propria opera nemmeno in fase di
correzione per la stampa effettuata con formine di piombo, passate nell’inchiostro e
pressate sul foglio. Garcilaso non ha mai potuto revisionare quest’opera, opera
introdotta da una dedica al potente. Compone l’opera in endecasillabo italiano ma a
volta usava 12 sillabe dunque l’editore per sanare l’errore interviene facendo delle
varianti.
I sonetti di Bóscan sono usati per omaggiare l’amico scomparso, il sonetto è un
componimento poetico formato da 2 quartine e 2 terzine in versi endecasillabi.
Bóscan si rivolge a Garcilaso dicendogli che gli è toccata una vita corta e qui esprime
tutto l’affetto per l’amico defunto che aspirava al bene, un bene che ha seguito ed ha
raggiunto del tutto. Bóscan gli chiede perché non l’ha portato con lui quando è morto
lasciandolo da solo qui, ma si giustifica dicendo che c’è un ordine supremo a colore
tutto ciò. Bóscan afferma che se avesse avuto l’occasione di cambiare qualcosa del
suo destino, non si sarebbe dimenticato di lui o di salutarlo lui sa per certo che
Garcilaso l’avrebbe salutato o addirittura tornato da lui.

Un’altra edizione è intitolata “Las obras del excelente Garcilaffo de la Vega” nel
1569 dove la poesia di Garcilaso si stampa a sé, ebbe più audience di Bóscan e venne
stampata a Salamanca con las Ediciones Excenta grazie a Simon Borgónon.
Altre due edizioni del 1577 e del 1580 vennero definite glossate cioè documentate.
Si evidenzia anche una epistola di Bóscan verso la duchessa di Sama per introdurre il
secondo dei 4 libri di Bóscan e Garcilaso nella prima edizione.
Bóscan usa il sonetto, considerato il principe spagnolo e solo grazie a Garcilaso che
lo sostiene riesce a comporli.
I nomi di Garcilaso e Bóscan vengono ripresi in un’altra grande opera cioè “Il
cortigiano di Baldassarre de Castiglione”; pubblicata nel 1528 dopo una travagliata
storia editoriale, il quale cortigiano venne tradotto in castigliano da Bóscan e
pubblicato nel 1534.
Dedicata alla signora Jeronima Palova de Almogavar firmata da Garcilaso de la Vega
ricordando alcune cose.
Garcilaso in questa dedica dice che tradurre il libro è un’impresa molto difficile come
comporre uno ex novo. Leggendo la traduzione di Bóscan sembra una nuova
composizione in castigliano, non una vera traduzione.
Segue l’elogio di Bóscan, Garcilaso riesce a usare un linguaggio secco, asciutto, crea
un equilibrio perfetto. Ha creato una lingua magnifica alta ma anche di facile
comprensione per questa traduzione. Traduttore fedele all’opera, fedele ed elegante
allo spirito del testo.

Él me hizo estar presente a la postrera Lima: postrera cioè ultima, l’ultima


rifinitura. Garcilaso è stato presente alla rifinitura di questa traduzione.
Enmienda= correzione. Ha voluto il suo parere senza interventi considerandola
persona intelligente.

TESTAMENTO GARCILASO.
Il 9 marzo del 1529 la corte abbandona Toledo per andare in Italia, fa un viaggio per
mare, viaggio positivo economicamente: varie tappe a Zaragoza,Barcellona, Genova
ed infine Bologna dove avverà l’incoronazione di Carlo V il 24 febbraio 1530. Dopo
l’incoronazione vanno a Mantova e poi rientrano non prima di aver ottenuto una
ricompensa in Maravedis cioè la moneta dell’epoca.
Nel testamento di Garcilaso si parla anche di un certo Don Lorenzo nominandolo Mi
Hijo.
È un figlio nato fuori dal matrimonio, alla cui madre si voleva dare un nome.
Su questa questione Maria del Carmen Vaquero Serrano ha condotto delle ricerche ed
ha trovato una Carta de Donación rivolgendosi a una certa Doña Guioimar Carrillo
nel 1537.
Lei in verità era una conoscenza di Garcilaso; Doña Guiomar ci racconta lo stato
civile dei due: liberi da ogni vincolo, si conoscevano ma non si sposeranno mai,
questa storia d’amore è una storia anteriore al matrimonio con Elena.
Non si sono mai sposati perchè la famiglia di Guiomar durante la guerra de Las
COMUNIDADES si era schierata a favore dei rivoltosi; mentre Garcilaso era a
favore di Carlo V, il quale osteggiò questo amore nonostante la nascita del figlio.
Nutrì un profondo odio verso i rivoltosi che Carlo V concede il perdono a pochi,
mandando altri in esilio o giustiziandoli, la famiglia di Guiomar non venne mai
perdonata.
ISABEL FREYRE
La poesia di Garcilaso fino al 1998 citava un altro nome cioè Isabel Freyre, una dama
portoghese, conosciuta durante il viaggio verso il Portogallo per andare a trovare il
Pedrolazo de la Vega che si trovava in esilio perché rivoltoso. In Portogallo
Garcilaso conosce la cultura del posto e usa le dame portoghesi per un richiamo
storico/politico.
Isabel Freyre però si sposa con Don Antonio de Fonseca il quale ha una morte
prematura.

COPLA II
CANCIÓN, HABIÉNDOSE CASADO SU DAMA
Culpa debe ser quereros, Deve essere colpa mia se ti amo
según lo que en mí hacéis, secondo quello che fai in me
mas allá lo pagaréis ma lo pagherai
do no sabrán conoceros, se non sapranno conoscerti
por mal que me conocéis. per quanto poco mi conosca.

Por quereros, ser perdido Per amarti,essendo perso


pensaba, que no culpado; ho pensato, non incolpato
mas que todo lo haya sido, ma che tutto sia stato
así me lo habéis mostrado così, mi hai dimostrato
que lo tengo bien sabido. che lo so bene
¡Quién pudiese no quereros Chi non potrebbe amarti
tanto como vos sabéis, quanto sai,
por holgarme que paguéis perchè sono felice che paghi
lo que no han de conoceros ciò che non devi sapere
con lo que no conocéis! con cio che non sai.

COPLA II: forse ispirata da lei, si parla di un amore infelice ( tema principale della
poesia di Garcilaso). Isabel Freyre come sua musa ispiratrice.

ELENA ZUÑIGA.
Si sposa con una dama al servizio di Leonor de Austria cioè Elena Zuñiga con la
quale avrà ben 5 figli: garcilaso, Iñigo, Pedro, Sancha e Francisco. Inizialmemte si
trasferiscono a casa della mamma però grazie a varie donazioni di Carlo V e varie
donazioni familiairi e riconoscimenti riesce ad acquistare una casa tutta sua.
Partecipa alle nozze del nipote Garcilaso con doña Isabel de la Cueva, figlio del
fratello maggiore di Garcilaso de la vega cioè Pedrolaso de la Vega. Garcilaso de la
Vega assume il ruolo di testimone. Queste nozze però furono osteggiate da Carlo V e
dalla famiglia del padre della sposa mentre la mamma della sposa la incoraggia per
un incremento del patrimonio.
La famiglia del padre di Isabella vorrebbe che sposasse lo zio e decide di scrivere a
Carlo V inveendo contro questo matrimonio e Carlo V decide di mettere un veto a
questo matrimonio.
Nonostante questo divieto il 14 agosto del 1531 si celebrano le nozze sotto gli occhi
di Garcilaso e Carlo V quando venne a sapere della presenza di un suo fedele a un
matrimonio vietato decide di mandarlo in esilio per non aver rispettato l’autorità di
Carlo V.
Inizia il suo esilio a Ratisbona in un’isola del Danubio (la quale verrà citata nella 3°
canción scritta durante l’esilio dove si sente vittima dell’ingiustizia.).
Alcuni cercano di intercedere per Garcilaso facendogli scontare la pena a Napoli dal
1532 al 1534 vicino al vice re Don Pedro de Toledo; qui farà la traduzione del
Cortigiano di Baldassarre di castiglione con Boscán.
1535= spedizione di Tunisi accompagnando carlo V in Tunisia (nord africa).
Nel viaggio di ritorno fa entrate trionfali in varie città: 1. Sicilia (precisamente a
Trapani dove compone la Elegia II dedicata a Boscán); 2. Messina; 3 Calabria; 4
Napoli (dove fa un’entrata trionfale e qui le strade di Carlo V e Garcilaso si dividono
per l’esilio di Garcilaso).
Col passare del tempo Carlo V permette a Garcilaso di ritornare in Spagna per delle
missioni e per andare a trovare la famiglia e l’amico Boscán.
Ritornando da Barcellona fa tappa in Francia e poi torna a Napoli ( dove ha legami
con altri autori come Jacopo Sannazzaro) per poi finire in Provenza dove poi morirà.
L’esilio svolta la sua vita del tutto.

Canción III de Garcilaso de la Vega


Questa canzone è segnata dalla delusione/amarezza/dolore, ma c’è un’ambiguità
nel dolore espresso.
C’è un gioco tra ciò che è detto e ciò che non lo è, riferimenti criptici, aspetti
politici ma anche amorosi.
Con un manso rüido
d’agua corriente y clara
cerca el Danubio una isla que pudiera
ser lugar escogido
para que descansara
quien, como estó yo agora, no estuviera:
do siempre primavera
parece en la verdura
sembrada de las flores;
hacen los ruiseñores
renovar el placer o la tristura
con sus blandas querellas,
que nunca, día ni noche, cesan dellas.

Aquí estuve yo puesto,


o por mejor decillo,
preso y forzado y solo en tierra ajena;
bien pueden hacer esto
en quien puede sufrillo
y en quien él a sí mismo se condena.
Tengo sola una pena,
si muero desterrado
y en tanta desventura:
que piensen por ventura
que juntos tantos males me han llevado,
y sé yo bien que muero
por solo aquello que morir espero.

El cuerpo está en poder


y en mano de quien puede
hacer a su placer lo que quisiere,
mas no podrá hacer
que mal librado quede
mientras de mí otra prenda no tuviere;
cuando ya el mal viniere
y la postrera suerte,
aquí me ha de hallar
en el mismo lugar,
que otra cosa más dura que la muerte
me halla y me ha hallado,
y esto sabe muy bien quien lo ha probado.

No es necesario agora
hablar más sin provecho,
que es mi necesidad muy apretada,
pues ha sido en una hora
todo aquello deshecho
en que toda mi vida fue gastada.
Y al fin de tal jornada
¿presumen d’espantarme?
Sepan que ya no puedo
morir sino sin miedo,
que aun nunca qué temer quiso dejarme
la desventura mía,
qu’el bien y el miedo me quitó en un día.

Danubio, rio divino,


que por fieras naciones
vas con tus claras ondas discurriendo,
pues no hay otro camino
por donde mis razones
vayan fuera d’aquí sino corriendo
por tus aguas y siendo
en ellas anegadas,
si en tierra tan ajena,
en la desierta arena,
d’alguno fueren a la fin halladas,
entiérrelas siquiera
porque su error s’acabe en tu ribera.

Aunque en el agua mueras,


canción, no has de quejarte,
que yo he mirado bien lo que te toca;
menos vida tuvieras
si hubiera de igualarte
con otras que se m’an muerto en la boca.
Quién tiene culpa en esto,
allá lo entenderás de mí muy presto.

1°strofa=
Con un manso rüido
d’agua corriente y clara
cerca el Danubio una isla que pudiera
ser lugar escogido
para que descansara
quien, como estó yo agora, no estuviera:
do siempre primavera
parece en la verdura
sembrada de las flores;
hacen los ruiseñores
renovar el placer o la tristura
con sus blandas querellas,
que nunca, día ni noche, cesan dellas.
Manso ruido si vuole intendere un rumore sommesso dall’acqua (suggestione
petrarchesca).
Cerca vuol dire circondare. Che cosa? Il danubio circonda un’isola che potrebbe
essere un luogo scelto (luogo perfetto) per riposare per qualcuno che non stesse come
sto io ora.
Garcilaso ci parla di un locus amenus cioè un luogo paradisiaco per coloro che non
stanno nella sua condizione.
DO= donde.
La primavera si manifesta nel verde dei prati (eterna primavera), seminata da fiori e
in questo prato c’è un aspetto uditivo cioè gli usignoli cantano rinnovando piacere o
tristezza con delle dolci lamentele.
Il pronome “que” si riferisce agli usignoli che non smettono di cantare.

2°strofa=
Aquí estuve yo puesto,
o por mejor decillo,
preso y forzado y solo en tierra ajena;
bien pueden hacer esto
en quien puede sufrillo
y en quien él a sí mismo se condena.
Tengo sola una pena,
si muero desterrado
y en tanta desventura:
que piensen por ventura
que juntos tantos males me han llevado,
y sé yo bien que muero
por solo aquello que morir espero.

Garcilaso afferma che lui non ha scelto di stare là, ce l’hanno messo, l’hanno
collocato, preso, forzato e solo. Qui si esprime questa sofferenza.
bien pueden hacer esto en quien puede sufrillo
Con questa frase Garcilaso ci dice che possono farlo a chi lo sopporta e condanna se
stesso (dunque si dichiara colpevole), qui lui ci fa capire due cose: o è innocente o è
colpevole per aver fatto qualcosa di male.
que juntos tantos males me han llevado,
L’unica pena di Garcilaso, morendo in esilio, è che gli altri (irresponsabili della
reclusione) gli hanno provocato questa sofferenza ma lui sa di morire non per l’esilio
ma per un amore impossibile o per la perdita del favore dell’imperatore.
3°strofa=
El cuerpo está en poder
y en mano de quien puede
hacer a su placer lo que quisiere,
mas no podrá hacer
que mal librado quede
mientras de mí otra prenda no tuviere;
cuando ya el mal viniere
y la postrera suerte,
aquí me ha de hallar
en el mismo lugar,
que otra cosa más dura que la muerte
me halla y me ha hallado,
y esto sabe muy bien quien lo ha probado.

Con il primo verso Garcilaso si riferisce a Carlo V dicendo che lui può gestire il
suo corpo ma non potrà far in modo che manipoli la sua anima, che resta libera
anche in prigione

4°strofa=
No es necesario agora
hablar más sin provecho,
que es mi necesidad muy apretada,
pues ha sido en una hora
todo aquello deshecho
en que toda mi vida fue gastada.
Y al fin de tal jornada
¿presumen d’espantarme?
Sepan que ya no puedo
morir sino sin miedo,
que aun nunca qué temer quiso dejarme
la desventura mía,
qu’el bien y el miedo me quitó en un día.

Garcilaso afferma che il giorno in cui arriverà la morte lui rimarrà fermo ad
aspettarla perché ha affrontato difficoltà ancora più dure, lui non ha paura di nulla.
Ha perso tutto quello che aveva vissuto in un’ora. Usa sempre un tono drammatico
per amore e per l’esilio. La sua sventura non gli lascia nemmeno la paura perché
non ha nulla da perdere=> esempio di superiorità.
5°strofa=
Danubio, rio divino,
que por fieras naciones
vas con tus claras ondas discurriendo,
pues no hay otro camino
por donde mis razones
vayan fuera d’aquí sino corriendo
por tus aguas y siendo
en ellas anegadas,
si en tierra tan ajena,
en la desierta arena,
d’alguno fueren a la fin halladas,
entiérrelas siquiera
porque su error s’acabe en tu ribera.

Garcilaso parla col fiume Danubio, affida il suo messaggio alle acque del Danubio,
parole che però moriranno annegate.
ENTIERRELAS= con questo imperativo 3°p,s.Garcilaso ci dice che le sue parole
non sopravvivranno al viaggio e se la corrente le porterà alla riva e qualcuno le
troverà gli chiederò di seppellirle. Dunque lui vorrebbe lanciare un messaggio che
o morirà o arriverà a riva e verrà seppellito.

COMMIATO FINALE.
Aunque en el agua mueras,
canción, no has de quejarte,
que yo he mirado bien lo que te toca;
menos vida tuvieras
si hubiera de igualarte
con otras que se m’an muerto en la boca.
Quién tiene culpa en esto,
allá lo entenderás de mí muy presto.
In questa parte finale Garcilaso si rivolge alla canción dicendo che la canzone
morirà o verrà seppellita e anche che se muore nell’acqua non deve lamentarsi;
afferma di aver trattato questa canzone meglio delle altre morte “nella bocca”
mentre questa morirà nelle acque del danubio.
Così come muore la canzone anche Garcilaso la raggiungerà.

Si tratta dunque di una canzone molto sentimentale, dolorosa e amara per la


lontananza e il dispiacere di aver perso il favore del re o il dolore per i figli e la
donna amata, ma anche degli affetti come Isabel Freyre.
Dolore di non fare più poesia, desiderio di essere innocente.
SONETTO 4°
Un rato se levanta mi esperanza
mas cansada d’haberse levantado
torna a caer, que deja, a mal mi grado,
libre el lugar a la desconfianza.
¿Quién sufrirá tan áspera mudanza
del bien al mal? ¡Oh corazón cansado,
esfuerza en la miseria de tu estado,
que tras fortuna suele haber bonanza!
Yo mesmo emprenderé a fuerza de brazos
romper un monte que otro no rompiera,
de mil inconvenientes muy espeso;
muerte, prisión no puede, ni embarazos,
quitarme de ir a veros como quiera,
desnudo espíritu o hombre de carne y hueso.

La data di composizione di questo sonetto corrisponde al 1532, data prossima alla


composizione della 3° canción. Vediamo per la prima volta il riferimento alla
prigione. 2 quartine, 2 terzine tutti versi endecasillabi.
Nella prima quartina ripete il concetto di aver perso tutto, un cambiamento così
improvviso dal bene al male. Si rivolge al suo cuore stanco che si fa coraggio, si
farà strada e riuscirà dove gli altri hanno fallito.
Sonetto scritto durante il periodo dell’esilio, qui vediamo un sentimento
conflittuale tra speranza e disperazione; il tono però poi cambia, vediamo un
Garcilaso con tanta volontà di conquista, nel senso che prima o dopo la morte
continuerà a cercare la donna amata, anche con la “fuerza de brazos” per far capire
che vuole agire. Si butterà in questa impresa così come si butta in battaglia, tema
dell’amore non corrisposto.
EPÍSTOLA A BOSCÁN. 1534. Epistola scritta ad Avignone nel 1534.
Señor Boscán, quien tanto gusto tiene
de daros cuenta de los pensamientos, Garcilaso fa due viaggi in Spagna tra cui uno a
hasta las cosas que no tienen nombre, Barcellona dove fa visita all’amico Boscán per la
no le podrá faltar con vos materia, traduzione del cortigiano di baldassar de
ni será menester buscar estilo castiglione. Questo viaggio di Garcilaso verso
presto, distinto d’ornamento puro Napoli viene raccontato in questa epistola all’amico
Boscán in endecasillabi sciolti.
tal cual a culta epístola conviene.
È un vero e proprio elogio all’amicizia perfetta,
Entre muy grandes bienes que consigo raccontato con parole semplici, non ricercate dove
el amistad perfeta nos concede alla fine della lettera si scopre dove e come è
es aqueste descuido suelto y puro, arrivato a Napoli in 12 giorni.
lejos de la curiosa pesadumbre;
y así, d’aquesta libertad gozando,
digo que vine, cuanto a lo primero,
tan sano como aquel que en doce días
lo que sólo veréis ha caminado
cuando el fin de la carta os lo mostrare.
Alargo y suelto a su placer la rienda,
Col termine rienda
mucho más que al caballo, al pensamiento, Garcilaso vuole dire che in
y llévame a las veces por camino questo viaggio ha allentato
tan dulce y agradable que me hace e redini dei pensieri che lo
olvidar el trabajo del pasado; portano in un viaggio così
otras me lleva por tan duros pasos dolce che gli fa dimenticare
que con la fuerza del afán presente il travaglio; altre volte il
también de los pasados se me olvida; pensiero lo porta in
a veces sigo un agradable medio cammini così aspri che
sono dolorosi.
honesto y reposado, en que’l discurso
del gusto y del ingenio se ejercita. Fa ulteriori riflessioni sul
Iba pensando y discurriendo un día valore dell’amicizia con
a cuántos bienes alargó la mano Boscán, lo chiama
el que del amistad mostró el camino, addirittura “esempio di
y luego vos, del amistad enjemplo, amicizia”
os me ofrecéis en estos pensamientos, Fino al vv.65 vediamo una
riflessione sull’amicizia
y con vos a lo menos me acontece
perfetta chiusa con una
una gran cosa, al parecer estraña, piccola ironia.
y porque lo sepáis en pocos versos, vv-63
es que, considerando los provechos, “En el hacer el bien que el
las honras y los gustos que me vienen recebille”, Garcilaso
desta vuestra amistad, que en tanto tengo, afferma che è meglio dare
ninguna cosa en mayor precio estimo che ricevere.
ni me hace gustar del dulce estado
tanto como el amor de parte mía.
Éste comigo tiene tanta fuerza
que, sabiendo muy bien las otras partes
del amistad y la estrecheza nuestra
con solo aquéste el alma se enternece;
y sé que otramente me aprovecha
el deleite, que suele ser pospuesto
a las útiles cosas y a las graves.
Llévame a escudriñar la causa desto
ver contino tan recio en mí el efeto
y hallo que’l provecho, el ornamento,
el gusto y el placer que se me sigue
del vínculo d’amor, que nuestro genio
enredó sobre nuestros corazones,
son cosas que de mí no salen fuera,
y en mí el provecho solo se convierte.
Mas el amor, de donde por ventura
nacen todas las cosas, si hay alguna,
que a vuestra utilidad y gusto miren,
es gran razón que ya en mayor estima
tenido sea de mí que todo el resto, vv-63
cuanto más generosa y alta parte “En el hacer el bien que el recebille”, Garcilaso
es el hacer el bien que el recebille; afferma che è meglio dare che ricevere.
así que amando me deleito, y hallo
que no es locura este deleite mío.
¡Oh cuán corrido estoy y arrepentido vv-66-82.
Corrido= corre e narra dicendo di essere mortificato e pentito
de haberos alabado el tratamiento
di avervi lodato il trattamento che si riceve per il cammino per
del camino de Francia y las posadas! arrivare in Francia e le locande (dove sostano; las posadas).
Corrido de que ya por mentiroso MORTIFICATO DI aver perso tempo a lodare quelle
con razón me ternéis; arrepentido locande, ha paura che l’amico possa considerarlo bugiardo
de haber perdido tiempo en alabaros con tutte le ragioni, nel lodare qualcosa degna di
cosa tan digna ya de vituperio, vituperio/vilipendio (ingiuria).
donde no hallaréis sino mentiras, Riprende gli aggettivi (arrepentido e mentiroso) per dire che
vinos acedos, camareras feas, in queste locande di cui garcilaso parlava bene non troverà
(l’amico Boscán) non altro che vini aspri, cameriere brutte,
varletes codiciosos, malas postas,
valletti avidi (coloro che accumulano più ricchezze possibili),
gran paga, poco argén, largo camino; brutte postas (brutti stazionamenti di cambio di cavallo),pochi
llegar al fin a Nápoles, no habiendo soldi ma grandi pagamenti ha affrontato in questo lungo
dejado allá enterrado algún tesoro, cammino per arrivare fino a Napoli, non avendo lasciato alcun
salvo si no decís que’s enterrado bottino interrato se non ciò che non si trova mai.
lo que nunca se halla ni se tiene.
A mi señor Durall estrechamente Vv 81-82= saluti al signor Durall chiede se può salutarlo= uomo
catalano; ABRAZÁ= forma tronca di ABRAZAD( imperativo),
abrazá de mi parte, si pudierdes. dice “SI PUDIERAS” forma ironica per intedere una persona obesa,
abbracciatemela se potete, se ci riuscite.
Doce del mes d’otubre, de la tierra
do nació el claro fuego del Petrarca Ultimi versi dedicati a Petrarca= 12 ottobre nella terra dove è nata
y donde están del fuego las cenizas. Laura di Petrarca cioè ad Avignone in Francia e dove ci sono le
ceneri del fuoco.
Questi versi sono stati scritti dal fronte. Si esprime tutto il legame con l’amico
Boscán.
Off topic= il sogno di Carlo V era di far rivivere la
gloria dell’impero romano chiamandolo Cesar el
African.

SONETTO 33. 1535


A BOSCÁN DESDE LA GOLETA. (EPIGRAFE)
Boscán= vocativo.
Boscán, las armas y el furor de Marte, Il soggetto qui sono le armi e la forza di Marte hanno
que con su propria fuerza el africano ricondotto alla memoria l’arte/abilità, e l’antico valore
suelo regando, hacen que el romano italiano per cui la forza e valorosa mano, l’Africa fu
distrutta completamente ( ci parla della distruzione di
imperio reverdezca en esta parte, cartagine avvenuta nel 1046 nella terza guerra punica).
Con questa impresa dunque riviviamo la gloria
han reducido a la memoria del arte dell’impero romano.
y el antiguo valor italïano, vv-2-3= REGANDO vuol far capire bagnando/irrigando
por cuya fuerza y valerosa mano il suolo africano con il sangue fanno si (le armi e le
furie) che l’impero romano rinasca (con l’impresa di
África se aterró de parte a parte.
Tunisi).

Aquí donde el romano encendimiento,


AQUÍ= Garcilaso si trova a Tunisi dove il fuoco e la
donde el fuego y la llama licenciosa
fiamma impetuosa lasciarono solo il nome alla città
sólo el nombre dejaron a Cartago, di Cartagine; il focus qui è proprio il termine AQUÍ
dove si vuole accentuare che qui l’amore sconvolge
vuelve y revuelve amor mi pensamiento, e turba il mio pensiero, ferisce e infiamma l’animo
hiere y enciende el alma temerosa, temeroso e in pianto e cenere mi dissolgo.
y en llanto y en ceniza me deshago.

In questo sonetto si esprime dove e quando Garcilaso ha scritto questo sonetto.


Dalla Goletta= dal porto della città di Tunisi nel 1535 (riferimento all’impresa di
Tunisi dove Barbarossa ha occupato i territori della Spagna e Carlo V va a
riprenderseli= tutto ebbe un successo rapido e le truppe dell’imperatore ritornano in
Spagna con tappe di propaganda come Sicilia e Napoli).
Versi scritti dopo l’espugnazione della Goletta (Garcilaso è un poeta soldato dunque
non usa muse ispiratrici). Ci sono temi diversi.
È un sonetto quasi bellico ma con una transazione amorosa(si passa dalle ceneri della
città alle ceneri del suo amore che si dissolve.
Bellicoà amoroso.
Ardore romano fiammeàincendio Cartagine lasciando solo il nomeàfuoco
appiccato truppe romaneàfuoco del suo amore.
L’amore ferisce la sua anima timorosa. Garcilaso si strugge per amore riducendosi in
cenere così come è stata distrutta Cartagine. Il pianto che scende per terra come il
sangue che bagna il suolo africano (ambito bellico).
Garcilaso piange e bagna con lacrime il suolo.
ALMA TEMEROSAàtimorosa per la gelosia siccome lui è sempre lontano dalla
donna amata(los celos) la gelosia dunque. Immagina la donna amata in braccia altrui.
OFF-TOPIC= sonetto di Leandro e Ero(sacerdotessa di Venere)àstoria di Ero innamorata di Leandro il quale
attraversava lo stretto dei Dardanelli la notte, illuminata dal cero di Ero, il quale durante una tempesta si spegne
e Leandro muore affogato, vedendo il corpo Ero si suicida. Garcilaso parla di questa storia in un sonetto vedendo
la figura di Leandro il quale esprime il desiderio di avere pietà di lui alle onde e chiede di fargli raggiungere la
sua amata e di ucciderlo dopo nel viaggio di ritorno, le onde non lo ascoltano e muore davanti gli occhi
dell’amata.
C’è dunque la paura di non rivedere l’amore per l’ultima volta.
SONETTO 35.
A MARIO, ESTANDO SEGÚN ALGUNOS DICEN, HERIDO EN LA LENGUA Y
EN EL BRAZO.(EPIGRAFE)
Mario, el ingrato amor, como testigo
de mi fe pura y de mi gran firmeza,
usando en mí su vil naturaleza,
que es hacer más ofensa al más amigo;

teniendo miedo que si escribo o digo


su condición, abato su grandeza;
no bastando su fuerza a mi crüeza
ha esforzado la mano a mi enemigo.

Y ansí, en la parte que la diestra mano


gobierna. y en aquella que declara
los conceptos del alma, fui herido.

Mas yo haré que aquesta ofensa cara


le cueste al ofensor, ya que estoy sano,
libre, desesperado y ofendido.

Sonetto scritto per l’amico Mario Galeota, un amico napoletano. Sonetto


apparentemente bellico.
Ancora a Tunisi, scritta prima della conquista di Tunisi, dedicato a Mario Galeotaàsi
rivolge a lui parlandogli dell’ingrato amor (cioè Cupido) che ha esforzado la mano al
mio nemico. Per Garcilaso è stato il dio amore a incoraggiare e ad armare le mano dei
saraceni a far male al braccio (destro che governa la mano) e alla lingua (che dichiara
i concetti dell’anima) dell’amico. Non è un caso se è stato ferito in quei punti perché
amore ha cercato di impedire che io parlassi e scrivessi contro di lui facendolo ferire
dai Saraceni.
Amore INGRATO= io essendo il devoto di Amore, amico di Amore ma lui mi arreca
offesa, usa contro di me la sua natura vile arrecando maggior offesa a chi è più
amico; perché ha paura che se scrivo e parlo della condizione ridimensiono la sua
grandezza sminuendolo.
Non riuscendo ad agire da solo usa i Saraceni, ferisce garcilaso al braccio e alla bocca
(pretesto per parlare d’amore).
Si lamenta contro amore col suo amico più fidato. Lui farà in modo che questa offesa
gliela ripagherà ad Amore solo dopo essersi ripreso dalle ferite; sano perché si sta
riprendendo, libero, disperato (contro le conseguenze dell’amore cioè la gelosia che
lo fa soffrire tanto) e offeso. La gelosia lo spezza tanto che il tormento dell’amata
nelle braccia di un altro lo uccide ma fino alla follia, lui prima vorrebbe vederla
questa scena ma poi non avrebbe più speranze e future gioie dunque illusioni di una
donna che rimane fedele. Gelosia che lo consuma, la fantasia che gli domina la mente
lo porta alla follia ma poi ritorna sui suoi passi e vuole quel briciolo di speranza.
VERSI ENDECASILLABI, RIMA RIPRESA DALLA DIVINA COMMEDIA,
TERZINE INCATENATE (Il secondo verso della prima terzina rima con il primo verso
della seconda terzina). Garcilaso usa il verso endecasillabo (considerato verso principe),
ma qui non abbiamo un sonetto ma terzine incatenate, tercetos encadenados.
ELEGIA 2.
A BOSCÁN.
Aquí, Boscán, donde del buen troyano
Anquises con eterno nombre y vida
conserva la ceniza el Mantüano,
Aquí= dove si intende? A Trapani in Sicilia dove Virgilio (il Mantovano) conserva le
ceneri di Anchise, padre di Enea, dandogli forma eterna.

debajo de la seña esclarecida


de César africano nos hallamos
la vencedora gente recogida:

chi è il soggetto qui? Nos hallamos= noi ci troviamo, facciamo parte dell’esercito
vittorioso di Carlo V raccolti sotto l’illustre bandiera (si riferisce alla battaglia di
Tunisi). Cesar Africano perché il sogno di Carlo V era di far rivivere la gloria
dell’impero romano chiamandolo Cesar el African.

diversos en estudio, que unos vamos


muriendo por coger de la fatiga
el fruto que con el sudor sembramos;
otros (que hacen la virtud amiga
y premio de sus obras y así quieren
que la gente lo piense y que lo diga)
destotros en lo público difieren,
y en lo secreto sabe Dios en cuánto
se contradicen en lo que profieren.
Yo voy por medio, porque nunca tanto
quise obligarme a procurar hacienda,
que un poco más que aquéllos me levanto;
ni voy tampoco por la estrecha senda
de los que cierto sé que a la otra vía
vuelven, de noche al caminar, la rienda.

Segue la descrizione della tipología di Soldati delle truppe. Garcilaso li divide in due
categorie : i CODICIOSOS (gli avidi) e los IPOCRITAS, diversi nelle proprie
aspirazioni. Garcilaso rientra nei primi (i codiciosos vanno morendo per raccogliere
il frutto che abbiamo seminato col sudore, i codiciosos combattono per i soldi).
OTROS= si intendono gli ipocriti= dicono qualcosa in pubblico (dicono di
combattere per la virtù) e altro in segreto (combattono in realtà per denaro).
Garcilaso afferma di rientrare nella categoria di mezzo; lui si sente in mezzo tra qiesti
due gruppi perché non si è obbligato a fare soldi, lui fa il suo; non si sente né avido
nè ipocrita come coloro che imboccano il sentiero stretto (della virtù) e che la notte
lasciano le redini e vanno per l’altra via.
Mas ¿dónde me llevó la pluma mía?,
que a sátira me voy mi paso a paso,
y aquesta que os escribo es elegía.

DOVE LO PORTA LA SUA PENNA? = si accorge di sfociare in una satira mentre


scrive una elegia.
Con il termine elegia si intende un componimento meditativo e malinconico.
Questo è un inizio imprescindibile per descrivere il tema amoroso (legato al tema
bellico) non abbandonandolo mai.
Vive delle contraddizioni durante la sua vita, non
Yo enderezo, señor, en fin mi paso può coltivare il dialogo con le muse ma non le
por donde vos sabéis que su proceso abbandona, anzi le prendo e le lascio di continuo,
siempre ha llevado y lleva Garcilaso; dialogo con loro appena posso, e appena posso
compongo.
y así, en mitad d’aqueste monte espeso,
de las diversidades me sostengo,
no sin dificultad, mas no por eso
dejo las musas, antes torno y vengo *i pericoli bellici non gli interessano ma il
dellas al negociar, y varïando, tradimento si.
con ellas dulcemente me entretengo.
Así se van las horas engañando;
así del duro afán y grave pena Passano i giorni con difficoltà.
estamos algún hora descansando.
D’aquí iremos a ver de la Serena
Percorso di Garcilaso dopo Trapani, con il termine la
la patria, que bien muestra haber ya sido Serena SI PARLA DI NAPOLI, a Napoli Garcilaso,
de ocio y d’amor antiguamente llena. il cuo cuore ha fatto un nido e Garcilaso si chiede se
Allí mi corazón tuvo su nido questo nido al ritorno lo troverà vuoto (dimostrando
un tiempo ya, mas no sé, triste, agora la fedeltà dell’amata) oppure occupato da qualcuno
o si estará ocupado o desparcido; che si burla di lui.
daquesto un frío temor así a deshora Questa incertezza di gelosia gli fa sentire una fredda
por mis huesos discurre en tal manera paura che scorre nelle sue ossa all’improvviso.
que no puedo vivir con él un’hora. Afferma che la distanza, quando una coppia si
Si, triste, de mi bien yo estado hubiera separa, o rinforza la coppia o la distrugge.
Fa la differenza tra una lontananza breve e una lunga
un breve tiempo ausente, no lo niego e la rappresenta con l’esempio della fragua cioè la
que con mayor seguridad viviera: fucina (il forno del fabbro).
la breve ausencia hace el mismo juego Se la lontananza è breve avviene lo stesso gioco
en la fragua d’amor que en fragua ardiente della fucina dove se ci buttiamo una piccola quantità
el agua moderada hace al fuego, di acqua ci sarà una forte fiamma (assenza
breveàpassione più forte).
la cual verás que no tan solamente Se su quel fuoco buttiamo un secchio di acqua di
no le suele matar, mas le refuerza tutto ciò rimane solo cenere e polvere dunque qui si
con ardor más intenso y eminente, parla di distanza lunga.
porque un contrario, con la poca fuerza
de su contrario, por vencer la lucha
su brazo aviva y su valor esfuerza.
Pero si el agua en abundancia mucha
sobre’l fuego s’esparce y se derrama,
el humo sube al cielo, el son s’escucha
y, el claro resplandor de viva llama Se su quel fuoco buttiamo un secchio di acqua di
en polvo y en ceniza convertido, tutto ciò rimane solo cenere e polvere dunque qui
si parla di distanza lunga.
apenas queda d’él sino la fama:
así el ausencia larga, que ha esparcido
en abundancia su licor que amata
el fuego qu’el amor tenía encendido,
de tal suerte lo deja que lo trata
la mano sin peligro en el momento
que en aparencia y son se desbarata.

Yo solo fuera voy d’aqueste cuento,


porque’l amor m’aflige y m’atormenta
y en el ausencia crece el mal que siento;
y pienso yo que la razón consienta
y permita la causa deste efeto,
que a mí solo entre todos se presenta,
Garcilaso ponendosi nel mezzo di tutto, va a
porque como del cielo yo sujeto distaccarsi dalla prassi, l’amore l’affligge;
estaba eternamente y diputado Lui si sente sotto al cielo in un fuoco amoroso, si
al amoroso fuego en que me meto, sente totalmente immerso in questo fuoco.
así, para poder ser amatado,
el ausencia sin término, infinita
debe ser, y sin tiempo limitado; Per lui niente mette fine alla sua passione dalla
lo cual no habrá razón que lo permita, quale non ne uscirà mai vittorioso (la sua paura
porque por más y más que ausencia dure, costante è il tradimento dell’amata).
con la vida s’acaba, qu’es finita.
Mas a mí ¿quién habrá que m’asegure
que mi mala fortuna con mudanza
y olvido contra mí no se conjure?
Este temor persigue la esperanza
y oprime y enflaquece el gran deseo
con que mis ojos van de su holganza;
con ellos solamente agora veo
este dolor qu’el corazón me parte,
¡Oh crudo, oh riguroso, oh fiero Marte, Si lamenta con Marte (dio della guerra) per
de túnica cubierto de diamante trattenerlo lontano dal nido d’amore che lo rende
y endurecido siempre en toda parte!, vulnerabile.
¿qué tiene que hacer el tierno amante EJERCITANDO POR MI MAL TU
OFICIOàcon il termine tu oficio si riferisce a
con tu dureza y áspero ejercicio, Marte dicenco che con il tuo mestiere delle armi,
llevado siempre del furor delante? mi hai ridotto in una condizione pessima
Ejercitando por mi mal tu oficio, affermando che la morte sarà il suo ultimo
soy reducido a términos que muerte BENEFICIO.
será mi postrimero beneficio;

y ésta no permitió mi dura suerte Il mio destino crudele non permise alla morte di
que me sobreviniese peleando, prendermi mentre combatto in battaglia ma
de hierro traspasado agudo y fuerte, d’amore e gelosiaà cosa non vera perché
Garcilaso muore in battaglia, da un uomo che gli
porque me consumiese contemplando ha rubato la donna, burlandosi di lui.
mi amado y dulce fruto en mano ajena,
y el duro posesor de mí burlando. Dice ma dove mi pota questa paura infelice? E se
Mas ¿dónde me trasporta y enajena assistessi a questa scena??
de mi propio sentido el triste miedo?

A parte de vergüenza y dolor llena,


donde, si el mal yo viese, ya no puedo, Il dolore rimarrebbe uguale, está perdido con
esperalle, il male lo aspetta , non può soffrire più di
según con esperalle estoy perdido, come soffre ora.
acrecentar en la miseria un dedo.

Así lo pienso agora, y si él venido


fuese en su misma forma y su figura, Dice di voler vedere questo scenario ma fa marcia
ternia el presente por mejor partido, indietro tenendo accesa questa speranza di illusione.
y agradeceria siempre a la ventura Paura enorme del tradimento.
mostrarme de mi mal solo el retrato
que pintan mi temor y mi tristura.

Yo sé qué cosa es esperar un rato


el bien del propio engaño y solamente Vediamo due lati per Garcilaso: l’amico fedele che gli fa da
tener con é1 inteligencia y trato, confessore, gli cheide di togliere il peso dall’anima e dall’altro lato
como acontece al mísero doliente vediamo la moglie devota che lo vede soffire e vuole che non soffra
que, del un cabo, el cierto amigo y sano ancora di più dicendogli che la fine è vicina dunque lei lo illude con
le muestra el grave mal de su acidente, un dolce inganno dicendo che non è nulla.
y le amonesta que del cuerpo humano Tra le due voci si preferisce la voce della moglie , abrazado con su
comience a levantar a mejor parte
dulce engaño,
el alma suelta con volar liviano;
vuelve los ojos a la voz piadosa
mas la tierna mujer, de la otra parte,
y alégrase muriendo con su daño
no se puede entregar al desengaño
È umano aggrapparsi ad un brandello di vita dunque.
y encúbrele del mal la mayor parte;
él, abrazado con su dulce engaño, La voce della ragione dice di rinunciare a qualsiasi speranza mentre
vuelve los ojos a la voz piadosa quella del cuore dice di tenere duro (Garcilaso dunque preferisce
y alégrase muriendo con su daño: autoingannarsi).
así los quito yo de toda cosa
y póngolos en solo el pensamiento
de la esperanza, cierta o mentirosa; In questo dolce errore, errore di pensare, di
en este dulce error muero contento, autoingannarsi con la speranza, lui muore
contento. Come colui che muore in acqua
porque ver claro y conocer mi ’stado tiepida tagliandosi le vene.
no puede ya curar el mal que siento,
y acabo como aquel qu’en un templado
baño metido, sin sentillo muere,
las venas dulcemente desatado. Versi finali dedicati a Boscán: Garcilaso se lo
immagina in riva al mare a Barcellona, tra le
Tú, que en la patria,entre quien bien te quiere, persone che gli vogliono vene, ascoltando le onde
la deleitosa playa estás mirando del mare che si infragono sulla spiaggia.
Boscán ha cio che Garcilaso non ha: vive in una
y oyendo el son del mar que en ella hiere, patria con la donna che ama cioè Anna Guiron de
y sin impedimiento contemplando Rebolledo, può contemplarla nelle sue opere e
la misma a quien tú vas eterna fama lodarla.
en tus vivos escritos procurando,
alégrate, que más hermosa llama Dice rallegrati perché hai una fiamma più bella di
quella dell’incendio di Troia; non temere i venti
que aquella qu’el troyano encendimiento contrari, il vento per Boscán spazza le nubi via
pudo causar el corazón t’inflama; garantendo un ciel sereno mente per Garcilaso si
no tienes que temer el movimiento parla di un cielo di nubi dicendo EL
de la fortuna con soplar contrario, MOVIMIENTO DE LA FORTUNA dunque la
que el puro resplandor serena el viento. tempesta.
Si vede un SOPLAR CONTRARIO per garcilaso
Yo, como conducido mercenario, cioè un vento che ostacola il suo viaggio.
voy do fortuna a mi pesar m’envía, Vv157-165: Garcilaso si considera come un
si no a morir, que aquéste’s voluntario; mercenario prezzolato (coloro che combattono per
solo sostiene la esperanza mía sopravvivere), la fortuna/la sorte/il fato lo invia
dove vuole lei a mio malgrado (contro la sua
un tan débil engaño que de nuevo
volontà) se non a morire , che il morire è volontario.
es menester hacelle cada día, Devo obbedire agli ordini dunque (senza badare agli
y si no le fabrico y le renuevo, affetti)la sua speranza è sostenuta dall’ Engaño
da consigo en el suelo mi esperanza (soggetto), un inganno così debole che è necessario
tanto qu’en vano a levantalla pruebo. rifarlo ogni giorno per la prima volta (si riferisce
all’inganno che la sua donna sia fedele= la sua
illusione che ogni giorno deve cancellare che oscilla
tra il vedere la realtà cruda del tradimento o
illudersi).
Questo inganno deve essere rifatto sempre e se non
lo rifabbrica la sua speranza cade a terra tanto che
invano prova a risollevarla.
Lessico dell’amor cortese: aqueste premio mi servir= il
corteggiatore (al dio amore) raggiunge questo premio,
dove la fortuna negò la sua abituale comune alla
miseria della mia vita (La fortuna è volubile, è
Aqueste premio mi servir alcanza, mutevole, è paragonata a una ruota che però per
que en sola la miseria de mi vida Garcilaso non gira maiàGarcilaso è un’eccezioneà
negó fortuna su común mudanza. condannato all’infelicità).
¿Dónde podré hüir que sacudida
un rato sea de mí la grave carga Si chiede dove può scappare per essere un po’ più
sereno; siccome si porta addosso una grave cargaàun
que oprime mi cerviz enflaquecida? grave carico che gli opprime il capo indebolito ma
Mas ¡ay!, que la distancia no descarga carico d’amore (innamorato dell’amore ma schiavo di
el triste corazón, y el mal, doquiera esso).
que ’stoy, para alcanzarme el brazo alarga:
si donde’l sol ardiente reverbera
La distanza non alleggerisce il cuore triste e il male,
en la arenosa Libya, engendradora ovunque esso sia, allunga il braccio per raggiungermi
de toda cosa ponzoñosa y fiera, (male inteso come gelosia che lo raggiunge sempre).
o adond’él es vencido a cualquier hora Spiega la metafora del braccio con riferimenti
de la rígida nieve y viento frío, geografici che lui userebbe per scappare: 1 deserto
africano dove dice che il sole potente che genera ciò
parte do no se vive ni se mora,
che è velenoso e dannoso, 2 polo nord dove il sole è
si en ésta o en aquélla el desvarío vinto dalla neve e dal freddo.
o la fortuna me llevase un día Persino in questi paesi il timore (la paura/la gelosia),
y allí gastase todo el tiempo mío, con mano fredda( la paura prende corpo dunque
el celoso temor con mano fría personificazione) mi stringerebbe il cuore triste e lo
segue nel deserto africano e nella sabbia che brucia, e
en medio del calor y ardiente arena nel paesaggio opposto con venti gelidi che ghiacciano
el triste corazón m’apretaría; l’acqua dei fiumi e dei laghi, nemmeno lì potrò stare al
y en el rigor del hielo, en la serena sicuro da questo vivo fuoco che mi consuma piano
noche, soplando el viento agudo y puro piano, non ho scampo da amore e gelosia se non con la
qu’el veloce correr del agua enfrena, morte.
d’aqueste vivo fuego, en que m’apuro
y consumirme poco a poco espero,
sé que aun allí no podré estar seguro,
y así diverso entre contrarios muero.

SONETTO 30. Sospetti (vocativo, sospetti del tradimento) che vivono


Sospechas, que en mi triste fantasía nella sua mente, fate la guerra alla mia ragione,
puestas, hacéis la guerra a mi sentido, sconvolgendo il petto (il cuore) afflitto notte e giorno
volviendo y revolviendo el afligido
pecho, con dura mano noche y día;
duramente. HACÉIS LA GUERRA =riferimenti alla
guerra dunque poeta soldato. Noche y día= concetto
ya se acabó la resistencia mía ripreso dalla 2° elegia per tenere viva la speranza.
y la fuerza del alma; ya rendido vv.5 il poeta decide di arrendersi, mi lascio vincere dai
vencer de vos me dejo, arrepentido sospetti, pentito di avervi contrastato con ostinazione.
de haberos contrastado en tal porfía. LLEVADME= portatemi in quel luogo così spaventoso
che per non vedere la mia morte ho tenuto gli occhi chiusi
Llevadme a aquel lugar tan espantable,
que, por no ver mi muerte allí esculpida,
(temendo le illusioni di un eventuale tradimento della
cerrados hasta aquí tuve los ojos. donna che si burla di lui.
Depongo le armi(segno di resa), io sono un infelice al
Las armas pongo ya, que concedida quale non è concessa una difesa così lunga (che non dà
no es tan larga defensa al miserable; scampo), Appendete (colgad) sul vostro carro i bottini ( si
colgad en vuestro carro mis despojos. riferisce al carro trionfale che i romani usavano per
deridere i vinti).

SOSPECHAS= PAROLA CHIAVE DEL SONETTO.


Qui ci viene presentato un albero genealogico (particolarità:
ha le radici in alto fino ad andare in basso).

Un dolce amore fu generato da me dentro la mia anima e la


SONETTO 31. sua nascita fu così celebrata dalla mia ragione coma la nascita
Dentro de mi alma fue de mí engendrado di un unico figlio desiderato (lui stesso ha generato un amore
un dulce amor, y de mi sentimiento dolce che quando è nato si è rallegrato come un figlio atteso).
tan aprobado fue su nacimiento
como de un solo hijo deseado; Dopo è nato dall’amore, una creatura che ha distrutto del
tutto il pensiero d’amore, ha trasformato i primi piaceri in un
mas luego de él nació quien ha estragado grande tormento (si parla della gelosia).
del todo el amoroso pensamiento:
que en áspero rigor y en gran tormento NIETO= NIPOTE DI NONNO.
los primeros deleites ha tornado. SOBRINO= NIPOTE DI ZIO.
Oh crudele nipote (gelosia) che uccide il nonno e dà vita al
¡Oh crudo nieto, que das vida al padre, padre (amore), Perché esci così diverso da colui da cui sei
y matas al abuelo! ¿por qué creces nato? (la gelosia ammazza il nonno, la gelosia lontana dal
tan disconforme a aquel de que has nacido? sentimento bello dell’amore).
¡Oh, celoso temor! ¿a quién pareces? Oh paura gelosa a chi assomigli?, perfino l’invidia (tua
¡que la envidia, tu propia y fiera madre, madre) si spaventa nel vedere il mostro che ha partorito, non
se espanta en ver el monstruo que ha parido!+ ti riconosce del tutto.

Garcilaso
(padre di
amore)

Amore (padre di gelosia) Invidia (madre di gelosia)

GELOSIA
SONETTO 39.

¡Oh celos, de amor terrible freno


quen un punto me vuelve y tiene fuerte; Problemi metrici e sintattici in questo
sonetto, ci sono alcuni versi che
hermanos de crueldad, deshonrada muerte chiamiamo ipermetri, ci sono delle
que con tu vista tornas el cielo sereno! sillabe di troppo (si vede a prima
vista), sul 4 e sul 6, avanzano sillabe.
¡Oh serpiente nacida en dulce seno Improbabile fu Garcilaso e se lo fu
de hermosas flores, que mi esperanza es muerte: forse era una traduzione da
riprendere.
tras prósperos comienzos, adversa suerte, Si riprendono i versi di un sonetto di
tras suave manjar, recio veneno! Sammazzaro e di fatto è una
traduzione dove ricorrono termini già
¿De cuál furia infernal acá saliste, visti:
oh cruel monstruo, oh peste de mortales, La gelosia è un mostro crudele che
incute paura, che è fonte di
que tan tristes, crudos mis días heciste? sofferenza ed amarezza. Giusto per
completare il percorso sulla gelosia.
Tórnate al infierno sin mentar mis males;
desdichado miedo, ¿a qué veniste?,
que bien bastaba amor con sus pesares.
1° sonetto mitologico, si apre con un vocativo alla belle
ninfe fluviali del fiume Tajo, dopo un vocativo c’è sempre
un imperativo dunque dejad.
SONETTO 11. Come se le immagina le ninfe? Garcilaso le immagina
collocate nel fiume, che abitano felici nelle dimore
fabbricate con pietre lucenti, sostenite su una colonna di
Hermosas ninfas, que en el río metidas, cristallo.
contentas habitáis en las moradas Cosa fanno le ninfe? Garcilaso si immagina due scenari: o
de relucientes piedras fabricadas sia che stiano ricamando/tessendo le tele delicate o che
y en columnas de vidrio sostenidas, l’una con le altre si stiano raccontando gli amori e le vite.

Dejad= lasciate per un attimo la vostra occupazione,


agora estéis labrando embebecidas alzando le vostre teste bionde per guardarmi (Secondo i
o tejiendo las telas delicadas, canoni la bellezza femminile si traduceva in un incarnato
agora unas con otras apartadas molto chiaro, pelle chiarissima, non
contándoos los amores y las vidas: toccata dal sole e capelli biondi, la donna perfetta era
bionda e dall’incarnato chiaro. Quindi non a caso le
loro teste sono bionde.), non vi intratterrete molto per come
dejad un rato la labor, alzando mi vanno le cose (Garcilaso vuol dire che non gli ruberà
vuestras rubias cabezas a mirarme, molto tempo) perché o non potrete ascoltarmi per la troppa
y no os detendréis mucho según ando, pietà (dunque compassione) o perché piangendo diventerò
acqua (si potrebbe liquefare) e lì potrete consolarmi (nelle
que o no podréis de lástima escucharme, acque del fiume).
o convertido en agua aquí llorando, Diventerò acqua anche io, tutt’uno con esso e lì potrete
podréis allá despacio consolarme. consolarmi con calma.

SONETTO 13. A Dafne già crescevano le braccia che si mostravano


trasformate in lunghi rami, vidi capelli che rendevano scuro
A Dafne ya los brazos le crecían l’oro (per dire che erano più lucenti dell’oro) che si
y en luengos ramos vueltos se mostraban; trasformavano in foglie verdi, le tenere membra che si
en verdes hojas vi que se tornaban stavano ancora agitando (stanno correndo) si coprivano di
los cabellos que al oro oscurecían corteccia ruvida, i piedi bianchi/candidi si conficcavano a
de áspera corteza se cubrían terra e si trasformavano in radici attorcigliate.
los tiernos miembros que aún bullendo estaban;
los blancos pies en tierra se hincaban, Colui che fu la causa di tale danno, Apollo a forza di
y en torcidas raíces se volvían. piangere faceva crescere questo albero, che con le lacrime
Aquel que fue la causa de tal daño, innaffiava.
a fuerza de llorar, crecer hacía
el árbol que con lágrimas regaba
¡Oh miserable estado, oh mal tamaño,
que con llorarla crezca cada día Oh misero stato, oh male di tale danno, così grande cperchè
la causa y la razón por que lloraba! piu piangi e piu cresce l’albero, ogni giorno la causa e il
motivo per cui piangi.
Statua del Bernini di Apollo e Dafne, ci guida nel commento di questi versi, perché
Garcilaso descrive esattamente il momento rappresentato da Bernini, realizzata tra il 1622 e
1625, mentre questi versi risalgono nel 1530. MOMENTO METAMORFOSI DI DAFNE.

Mito: il dio dell’amore Cupido aveva nella sua faretra frecce di due materiali diversi, con la
punta d’oro e la punta di piombo, chi veniva colpito da una freccia con la punta d’oro
provava immediato amore, chi veniva colpito dalla freccia con la punta di piombo
immediato odio. Si narra di una contesa tra Cupido ed Apollo, Apollo avrebbe schernito il
Dio dell’amore che volle vendicarsi di lui e fece innamorare perdutamente Apollo di Dafne
ma lancio una freccia di piombo a Dafne che provava avversione nei confronti del Dio
Apollo. Si narra di questa corsa nei boschi di Apollo che voleva a tutti i costi raggiungere
Dafne, e Dafne sentendo che lui stava per raggiungerla invocò l’aiuto degli dei, le versioni
del mito sono tante e non sempre coincidono, alcuni dicono che chi le concesse il dono fu
suo padre era dio di un fiume, gli dei dell’olimpo ecc. fatto sta che la preghiera di Dafne fu
ascoltata, pur di non cadere tra le braccia di Apollo, si trasformò in una pianta e questa
pianta era l’alloro, non è una pianta qualunque perché i poeti venivano incoronati con
l’alloro.
In entrambi i casi, sia il sonetto sia l’opera, l’artista coglie l’inizio della metamorfosi di
Dafne, si è avviata questa metamorfosi e lo capiamo dai piedi e dalle mani, dove stanno
spuntando fuori le foglie e le radici ai piedi. E’ lo stesso inizio di metamorfosi che ci
descrive Garcilaso iniziando questa descrizione in media res, non c’è una presentazione, una
spiegazione ecc.

Apollo dopo aver constatato che non rimane più nulla della bellissima Dafne di cui lui si era
innamoratoscoppia a piangere, perché non riconosce più quell’essere per cui aveva nutrito
quell’amore devastante e travolgente. Dunque piange, piangendo innaffia quell’alloro, e più
viene innaffiato quell’alloro, più cresce.
E’ una condizione misera quella in cui si trova Apollo, che sperimenta un male così grande.
Questo è un paradosso: più piange, più cresce l’albero, più cresce l’albero, più Apollo si
dispera e con le lacrime ogni giorno è la causa e la ragione del perché piangeva’. Con la
crescita dell’alloro cresce anche la poesia in sé, perché Apollo è il Dio della poesia e l’alloro
è quella pianta di cui venivano fatte le corone con qui si incoronavano i poeti. La poesia
merita l’alloro ossia la gloria. Piangendo cresce il dolore di Apollo ma si alimenta anche la
poesia stessa. Questo è il paradosso su cui riflette Garcilaso in questi versi finali del sonetto.
Questo sonetto viene ripreso nella 3 egloga di Garcilaso, egloga tripartita dove vediamo una
scena che ci riporta al sonetto 11, ci vengono presentate ben 4 ninfe le quali stanno tessendo
delle tele di temi mitologici e rappresentano anche il mito di Dafne e Apollo solo che
nell’egloga vediamo una contestualizzazione della metamorfosi.
Un altro dei miti rappresentati sulle tele di queste 4 ninfe è un mito carissimo a Garcilaso,
perché alluso in vari suoi componimenti: il mito di Orfeo e Euridice.
Orfeo era il cantore d’eccellenza, quindi per un poeta come Garcilaso rappresentava una
sorta di modello inarrivabile, ce lo dice molte volte, il canto e la musica di Orfeo avevano
un potere sovrannaturale, era in grado di fermare il corso delle acque, rendere mansuete le
bestie feroci e stravolgere le leggi dell’aldilà.
Euridice era la moglie di Orfeo, un giorno morsa da un serpente muore, per la disperazione
Orfeo ottiene di scendere nell’oltretomba con il suo canto straordinario riesce ad entrare
nell’Ade e a convincere i dei dell’Ade a dare ad Euridice un’altra possibilità, ritornare sulla
terra, ma con una condizione: non dovrà mai voltarsi indietro fin quando non saranno
ritornati sulla superficie della terra. Euridice per tutto il percorso evoca Orfeo, resiste fino al
momento in cui cede alla tentazione di voltarsi indietro e perde per sempre Euridice.
La condizione era molto chiara e Orfeo purtroppo la viola. Nella fine si dice che Orfeo
impazzì con un finale tragico, resta il fatto che Orfeo per Garcilaso rimane un modello per
eccellenza di poeta cantore e quindi nei suoi versi aspira a quella perfezione.
In questo sonetto non appare mai il nome di Orfeo, ma per chi conosce il mito le allusioni
sono evidenti. Il primo punto fermo arriva al verso 11.
Se i gemiti e i fremiti ebbero tanto potere da frenare il corso dei
fiumi (uno degli effetti del canto di Orfeo), spostare gli alberi
col canto, alberi che si trovavano sui monti lontani e
ombreggiati. Se furono capaci di far ascoltare il suo canto pure
SONETTO 15. alle bestie feroci come tigri e rocce inanimate, addirittura le
Si quejas y lamentos pueden tanto, rocce piangevano mosse da pietà, se con disgrazie meno gravi
que enfrenaron el curso de los ríos, delle mie scesero nei regni della paura, negli inferi.
y en los diversos montes y sombríos (qui in questi 8 versi iniziali vediamo raccontato il mito di
los árboles movieron con su canto; Orfeo senza citarlo). Cosa chiede con tutto ciò Garcilaso?
Secondo lui le disgrazie di Orfeo sono meno gravi delle sue.
si convertieron a escuchar su llanto Stiamo parlando di disgrazie e stiamo facendo un confronto tra
le disgrazie di Orfeo e quelle di Garcilaso, secondo lui le sue
los fieros tigres, y peñascos fríos;
sono maggiori e allora perché mai non intenerirà un cuore duro
si, en fin, con menos casos que los míos nei miei confronti? Se la donna amata lo tratta con disprezzo
bajaron a los reinos del espanto, perché mai non si dovrebbe lasciar commuovere da questa sua
vita travagliata, infondo pensiamo a quanto ha ottenuto Orfeo
¿por qué no ablandará mi trabajosa con disgrazie meno gravi. Garcilaso spera di commuovere
vida, en miseria y lágrimas pasada, questa donna così aspra nei suoi confronti, questo mio vissuto
un corazón conmigo endurecido? dovrebbe commuovere questa donna così dura nei miei
confronti.
Con más piedad debría ser escuchada
la voz del que se llora por perdido Perché sono meno gravi? àDovrebbe essere ascoltata con
que la del que perdió y llora otra cosa. maggiore compassione la voce di chi piange sé stesso per
essersi perso piuttosto che la voce di chi ha perso e piange
un’altra cosa.

Per questo capiamo perché Orfeo ottenne ciò che ottenne con meno disgrazie delle mie,
perché Orfeo aveva perduto la sua sposa Euridice, ma io ho perso me stesso, io mi sono perso
e allora le mie disgrazie sono ben più gravi, io mio smarrito, e la mia sventura dovrebbe
muovere a pietà più facilmente rispetto alla sventura di Orfeo.

MITO LEANDRO ED ERO.


Il giovane Leandro che tutte le notti attraversava lo stretto dei Dardanelli per andare a trovare
Ero che era una sacerdotessa di Afrodite che viveva rinchiusa in quella torre. Tutte le sere
accendeva una lampada per guidare il buon Leandro che nuotava verso di lei finchè una
tragica notte una tempesta non spense col vento forte quella fioca luce, Leandro si disorientò
e nonostante la difesa dalla forza delle acque fu sopraffatto dai flutti e morì, il suo corpo fu
trasportato sull’altra riva delle sponde e quando Ero l’indomani vide il cadavere di Leandro
decise di lanciarsi dalla torre perdendo anche lei la vita.
Un altro mito celeberrimo e Garcilaso ce lo presenta in questi versi in un modo originale,
anche qui non ci sono preamboli, non c’è presentazione dei protagonisti di questo mito, anche
qui si inizia in Medias Res e si descrive il momento più drammatico di questo mito ovvero il
momento prima della morte di Leandro.
Il nome di Ero non viene mai fatto ma si allude a lei.

Nel primo verso si cita Leandro l’audace, mentre Leandro


il coraggioso attraversava il mare, con il termine “en
amoroso fuego” vediamo una traduzione quasi letterale
SONETTO 29. dell’Orlando furioso, tutto infiammato di amoroso fuoco.
Pasando el mar Leandro el animoso, Si ripete un’azione che compie quasi tutte le notti,
en amoroso fuego todo ardiendo succede che il vento soffiò con forza e l’acqua si andò
esforzó el viento, y fuése embraveciendo agitando con impeto furioso, inizia la tempesta e lui deve
el agua con un impetu furioso. nuotare più forte per non essere sopraffatto dai flutti.
Vencido del trabajo presuroso,
contrastar a las ondas no pudiendo, vv.5 à vinto dalla fatica frenetica, non riuscendo a
y más del bien que allí perdía muriendo contrastare le onde, preoccupato di perdere morendo il
que de su propia visa congojoso suo bene cioè ERO.
como pudo esforzó su voz cansada come potè, sforzò la sua voce stanca e l’onda parlò ma la
y a las ondas habló desta manera, sua voce non fu mai ascoltata dalle onde (Leandro sa che
mas nunca fuéla voz dellas oída: morirà).
“Ondas, pues no se escusa que yo muera, Si rivolge alle onde stesse dicendo:
dejadme allá llegar, es y a la tornada “Onde, non c’è un modo di evitare la morte, lasciatemi
vuestro furor esecutá en mi vida”. arrivare/vedere Ero un’ultima volta e al ritorno mettete in
atto la vostra furia sulla mia vita (qui esprime dunque il
suo ultimo desiderio)

Garcilaso ci aveva anticipato che quel desiderio non si avvererà perché non sarà mai ascoltato.
Non ha bisogno di dirci che le onde inghiottirono il corpo di Leandro, ce lo dice con quel
verso facendocelo intendere. Non ha bisogno di descrivere la scena della morte effettiva
perché è tutto anticipato nel verso 11.
Qui vediamo una situazione di libertà.
SONETTO 34. Garcilaso si trova a ringraziare il cielo per essersi liberato dal
Gracias al cielo doy que ya del cuello grave gioco d’amore che aveva sul collo; si rallegra di non
del todo el grave yugo ha desasido, essere più oppresso ed è felice ora di vedere il mare agitato
y que del viento el mar embravecido senza avere più paura di vedere dall’alto,
veré desde lo alto sin temello;
MA DI COSA?
veré colgada de un sutil cabello Vedrà la vita dell’amante appesa (colgada) a un filo (capello
la vida del amante embebecido sottile) confuso/imbevuto dall’errore, addormentati
en su error, en engaño adormecido, nell’inganno, sordo rispetto alla voci che cercano di metterlo
sordo a las voces que le avisan dello. in guardia da ciò che fanno. TUTTO CIO LO VEDE
DALL’ALTO. DELLOS= si riferisce al male
Alegrárame el mal de los mortales, Alegrárameàmi renderà felice il male dei mortali, in questo
y yo en aquesto no tan inhumano sentimento non sarò tanto disumano contro il mio essere
seré contra mi ser cuanto parece: quanto sembra.

alegraréme , como hace el sano, Mi renderà felice come fa la persona sana, non di vedere i
no de ver a los otros en los males, sofferenti bensì di vederli mancanti di mali. Lui è privo ora
sino de ver que dellos él carece. di mali.

Vediamo dunque un’opposizione tra sani e malati, innamorati e tormentati; qui Garcilaso si pensa
sano e ciò potremmo riportarlo in un esempio dell’autore latino Lucrezio: lui diceva che è bello
vedere il mare in tempesta mentre noi non ci siamo all’interno; ed è come Garcilaso ora si sente, lui
ora la ammira questa tempesta. Garcilaso ora è sereno per essersi scrollato il sentimento d’amore di
dosso quindi è gioioso.
CANCIÓN 5.
ODE AD FLOREM GNIDI.
È una canzone di un malato d’amore, ode al fiore di cnido dove possiamo individuare ben due
chiavi di lettura: 1 vista come l’antica città dell’asia minore dove vediamo il santuario di Cnido
dove all’interno vediamo situata la statua di Prassitele che raffigura la dea venere; 2 oppure si
riferisce alla statua Nilo nel quartiere di Napoli, il fiore di Cnido che riporta al quartiere di Napoli
dove viveva la protagonista di questa canzone cioè Violante Sanseverino.

C’è una novità metrica: strofe divise in 5 versi che possono essere di lunghezza variabile; abbiamo
versi più corti e versi più lunghi composti a un numero diverso di sillabe.
Dunque 5 versi per ogni strofa dove vediamo 2 endecasillabi e 3 settenari; questa è una creazione di
Garcilaso chiamando tutto ciò con il nome LIRA schema rimico ABABB.

Si de mi baja lira In queste lire iniziali Garcilaso rievoca Orfeo e il suo potere del
tanto pudiese el son que en un momento canto.
aplacase la ira
del animoso viento
y la furia del mar y el movimiento, 1 e 2àse il suono della mia umile lira fosse capace di placare l’ira de
vento e del mare, di rendere mansuete le bestie feroci, di spostare gli
y en ásperas montañas alberi a ritmo della musica,
con el süave canto enterneciese
las fieras alimañas,
los árboles moviese
y al son confusamente los trujiese: 3ànon pensare che sarebbe cantato da me, Bel fiore di Cnido (vocativo
si riferisce al fiore di Cnido), il feroce Marte, portato a morte in polvere
no pienses que cantado e sangue e sudore tinto (di sangue inteso).
seria de mí, hermosa flor de Gnido, Garcilaso dice al bel fiore dice che non parlerebbe di guerra se avesse le
capacità di Orfeo ma se la sua umile lira potesse, non credere che
el fiero Marte airado,
canterei di guerra, sceglierei un altro tema.
a muerte convertido,
de polvo y sangre y de sudor teñido, 4ànon canterebbe nemmeno di sfilate trionfali sui carri di guerra
(colgad en vuestro carro mis despojos), né di battaglie, né di capitani
ni aquellos capitanes sconfitti.
en las sublimes ruedas colocados,
por quien los alemanes 5àecco cosa canterebbe se avesse le capacità di Orfeo= la forza della
el fiero cuello atados, tua bellezza (al fiore), verrebbe cantata da me, e sarebbe esaltata con la
y los franceses van domesticados; tua asprezza di cui tu sei armata, bella quanto aspra.
Io di questo canterei, non di guerre.
mas solamente aquella
fuerza de tu beldad seria cantada,
6àcanterebbe della bellezza e dell’asprezza e di come a causa tua e per
y alguna vez con ella il tuo gran valore e bellezza, il misero amante piange la sua sventura,
también seria notada trasformato in violaàuna tonalità della viola è un giallo scuro che indica
el aspereza de que estás armada, il pallore dell’amante, amante respinto, soffre e diventa pallido come il
colore della viola.
y cómo por ti sola
y por tu gran valor y hermosura, PROTAGONISTI= una dama virtuosa ma aspra, sorda alle offerte di
convertido en vïola, amore e il misero amante che si dispera per lei.
llora su desventura Non si parla di Garcilaso che si dispera ma un suo amico per il quale
el miserable amante en tu figura. Garcilaso tenta di intercedere.
Non vengono mai menzionati direttamente i nomi perché Garcilaso
gioca con le parole: usa i termini il bel fiore di cnido e sappiamo che
l’amante si è trasformato in una viola: la dama è Violante di Sanseverino
che viveva nel quartiere Nido/Nilo.
L’amante si scopre nella lira successiva.
7àversi con giochi di parole: CATIVO (prigioniero o infelice di
cui si deve prestare maggior attenzione perché sta morendo,
condannato al remo [al remo era la condanna dell’epoca, la galera
dell’epoca ma dovevano garantire la mano d’opera, si scontava però
la pena in una imbarcazione legati al remo di essa e remavano
Hablo d’aquel cativo sempre] àcoloro che erano condannati al remo erano i
de quien tener se debe más cuidado, GALEOTTI.
que ’stá muriendo vivo, Da ciò capiamo che l’altro amante era Mario Galeotaàprigioniero
al remo condenado, su una galea di Venere, schiavo galeotto alla conchiglia di Venere
en la concha de Venus amarrado. (da qui il mito di venere che si pensa sia nata dalla acque del amre
all’interno di una conchiglia come una perla dentro un’ostrica)
Por ti, como solía, dunque schiavo d’amore. Questi giochi ci fanno mantenere celata
del áspero caballo no corrige l’identità della coppia.
la furia y gallardía,
ni con freno la rige, Conseguenze amore non corrispostoàstrofe 8-9-10-11; strofe che
ni con vivas espuelas ya l’aflige; iniziano con a causa tua.
Per colpa di questo amore non corrisposto Mario Galeota non è più
por ti con diestra mano come prima: trascura le sue occupazioni, i cavalli, le armi, la poesia
no revuelve la espada presurosa, e la musica e l’amicizia sta trascurando i suoi amici tra cui
y en el dudoso llano Garcilaso. La mia presenza ti è sgradita e fastidiosa, di Garcilaso.
huye la polvorosa
palestra como sierpe ponzoñosa;

por ti su blanda musa,


en lugar de la cítera sonante,
tristes querellas usa
que con llanto abundante
hacen bañar el rostro del amante;

por ti el mayor amigo


l’es importuno, grave y enojoso:
yo puedo ser testigo,
que ya del peligroso
naufragio fui su puerto y su reposo,

y agora en tal manera 12à ora mi tratta come una bestia velenosa, mi evita, la mia
vence el dolor a la razón perdida compagnia non gli è gradita a causa di Violante Sanseverino
que ponzoñosa fiera
nunca fue aborrecida
tanto como yo dél, ni tan temida.
13àTu, sei una fanciulla bellissima virtuosa ma sei sedgnosa con
Mario Galeota , lo respingi, sei sorda agli appelli suoi.

No fuiste tú engendrada
ni producida de la dura tierra; 14àmito di Ifi e Anassarete: Anassarete era una fanciulla bellissima
no debe ser notada di Cipro e Ifi era un pastore innamorato di Anassarete la quale però
que ingratamente yerra lo ignorava e allora Ifi si impicca davanti casa di Anassarete la quale
quien todo el otro error de sí destierra. si impietosì solo in extremis.
Venere decide di punire Anassarete trasformandola in una statua di
Hágate temerosa
esortativo.
.congiuntivo
HAGATE= 3p.s

marmo così come era stato il suo cuore nei confronti di Ifi.
el caso de Anajárete, y cobarde, Garcilaso mostra la donna Violante Sanseverino come Anassarete: è
que de ser desdeñosa dura nei confronti di Mario, nelle prossime strofe la mette in guarda
se arrepentió muy tarde, per non farle fare la stessa fine di Anassarete la quale si pentì troppo
y así su alma con su mármol arde. tardi di essere stata coì sdegnosa e così la sua anima brucia nel
marmo, dannata l’anima. Garcilaso sta spaventando Violante.

Estábase alegrando 15 e 16à il petto insensibile di Anassarete si stava rallegrando del


del mal ajeno el pecho empedernido male altrui quando guardando giù vide il corpo morto del misero
cuando, abajo mirando, amante, con un cappio al collo che ha fatto sì che lui si fosse liberato
el cuerpo muerto vido dalla catena d’amore (impiccandosi mette fine alle sue sofferenze )
del miserable amante allí tendido, ma ha provocato il castigo altrui cioè Anassarete essendo la sua
causa della morte si condanna definitivamente perché sente un
y al cuello el lazo atado briciolo di pietà nei confronti di Ifi
con que desenlazó de la cadena
el corazón cuitado,
y con su breve pena
compró la eterna punición ajena.
17à Allora sente l’asprezza trasformata in pietà, oh troppo tardi
Sentió allí convertirse pentirsi.
en piedad amorosa el aspereza.
¡Oh tarde arrepentirse!
¡Oh última terneza!
¿Cómo te sucedió mayor dureza?
18àil corpo diventa pietra si trasforma, le ossa crescono e
Los ojos s’enclavaron diventano più dure, in marmo
en el tendido cuerpo que allí vieron;
los huesos se tornaron
más duros y crecieron
y en sí toda la carne convertieron; In quetse due strofe 19 e 20 rivediamo alcune immagini presenti in
Apollo e Dafne; vuelto, volverse, los huesos se tornaron mas duros.
las entrañas heladas Le viscere diventavano in pietra dura, il sangue cambia perde la sua
tornaron poco a poco en piedra dura; forma, si solidifica.
por las venas cuitadas
la sangre su figura
iba desconociendo y su natura,
Finchè tutta Anassarete diventa marmo facendo sì che la gente non
hasta que finalmente, si stupisce di questa trasformazione avvenuta di fronte alla donna
en duro mármol vuelta y transformada, ingrata quasi come se lo meritasse, vendicata dunque.
hizo de sí la gente
no tan maravillada
cuanto de aquella ingratitud vengada.
No quieras tú, señora,
de Némesis airada las saetas
probar, por Dios, agora;
baste que tus perfetas 21 e 22à Non volere tu signora, provare le saette di
obras y hermosura a los poetas Nemesi adirata, basta che, sia sufficiente che la tua
bellezza e le tue azioni diano materie immortali ai poeti
den inmortal materia, senza che si celebri la morte di qualche amante
sin que también en verso lamentable disperato per colpa tua.
celebren la miseria
d’algún caso notable
que por ti pase, triste, miserable.

EGLOGA 3.
Ripresa dalle bucoliche di Virgilio di genere pastorale che presenta una forma dialogica alla fine di
essa, è un’egloga TRIPARTITA cioè divisa in 3 parti: la prima parte ci presenta la dedica a una
Doña Maria; la seconda è un racconto di storie su tele, che tessono 4 ninfe del fiume Tajo dove
ognuno di loro racconta una storia mitologica tranne la quarta che narra una storia contemporanea a
Garcilaso; la terza parte è un canto amebeo cioè alternato; un pastore dice una cosa e l’altro
risponde, tra due pastori cioè Tirrenio e Alzino.
Per quanto riguarda la metrica questa egloga è divisa in strofe da 8 versi endecasillabi, con rima
alternata e pareada cioè baciata.
6 versi sono in rima alternata e 2 versi in rima baciataàGarcilaso ci presenta questo schema poetico
sotto il nome di ottava seca/reale/rima.
Composta durante la guerra, si suppone sia l’ultimo componimento durante la campagna in
Provenza. Scrive anche di Marte.

1. 1à inizia la dedica a Maria.


Aquella voluntad honesta y pura, Illustre e bellissima Maria, della quale canta la bellezza nonostante le
ilustre y hermosísima María, avversità. Quella volontà di cantarla che era solita accompagnarmi di
que’n mí de celebrar tu hermosura, celebrare la tua bellezza, il tuo ingegno e valore malgrado la sorte
tu ingenio y tu valor estar solía, che mi porta per un’altra strada, quella volontà è e starà
a despecho y pesar de la ventura fissa/conficcata/radicata in me tanto quanto l’anima accompagna il
corpo.
que por otro camino me desvía,
Mantengo ferma la mia volontà. Indissolubile come l’anima sta in
está y estará tanto en mí clavada me.
cuanto del cuerpo el alma acompañada.

2.
Y aun no se me figura que me toca
aqueste oficio solamente en vida, 2àIo penso che questo impegno (di lode) va oltre la vita terrena
mas con la lengua muerta y fria en la boca ma io canterò di te con la lingua morta e fredda (dunque anche da
pienso mover la voz a ti debida; morto continuerò a lodarti), la mia anima, libera dal corpo (roca),
libre mi alma de su estrecha roca, condotta per la palude Stigia (riferimento a dante) , ti celebrerà e
por el Estigio lago conducida, quel suono fermerà le acque del fiume Lete.
celebrándo t’irá, y aquel sonido Ti celebrerò anche nell’aldilà.
hará parar las aguas del olvido.
3àma il destino, non stanco del mio male, mi affligge e mi
3. porta da un travaglio a un altro: mi allontana ora dalla mia
Mas la fortuna, de mi mal no harta, patria, ora dal bene, ora mette alla prova la mia pazienza in
me aflige y d’un trabajo en otro lleva; mille modi diversi e ciò che mi dispiace di più è che la carta
dove vorrei scrivere con la piuma una nuova lode per tessere
ya de la patria, ya del bien me aparta, le tue lodi; cosa fa la fortuna? Me la toglie e me la strappa
ya mi paciencia en mil maneras prueba, dalle mani aggiungendo vane preoccupazioni.
y lo que siento más es que la carta Per Garcilaso l’unica preoccupazione sarebbe la poesia ma
donde mi pluma en tu alabanza mueva non può perché il destino gli affida altri lavori.
poniendo en su lugar cuidados vanos, La fortuna lo distrae ma lui è più forte, si ritaglia del tempo
me quita y m’arrebata de las manos. per essa sempre.

4.
Pero, por más que en mí su fuerza pruebe, 4àperò la sua forza non cambierà il mio cuore mutevole,
no tornará mi corazón mudable; nessuno potrà dire che la fortuna mi distoglie da uno studio
nunca dirán jamás que me remueve così lodevole; Apollo (dio della poesia) e le nove muse mi
fortuna d’un estudio tan loable; daranno tempo libero e lingua con cui io possa parlare per lo
Apolo y las hermanas todas nueve, meno di ciò che riguarda te; questo sarà il massimo che io
me darán ocio y lengua con que hable portò fare (almneo canterò di te, dovrò lasciare la penna per la
lo menos de lo que’n tu ser cupiere, spada ma il tempo che avrò da dedicare alle muse lo dedicherò
a te.
qu’esto será lo más que yo pudiere.

5. 5àper ora non offenderti, nè ti risulti noioso che trattare di campagna e


En tanto, no te ofenda ni te harte solitudine che tu eri solita amare, neanche voglio che tu disprezzi questa
tratar del campo y soledad que amaste, parte più incolta della mia poesia per la quale però hai dimostrato in
ni desdenes aquesta inculta parte passato apprezzamento, tra le armi di Marte dove a mala pena si trova
de mi estilo, qu’en algo ya estimaste; qualcuno per contrastare il suo furore, io rubai del tempo per fare questa
entre las armas del sangriento Marte, breve raccolta, impugnando ora la spada e ora la piuma.
do apenas hay quien su furor contraste, Garcilaso dovrebbe dedicarsi solo alle armi perché è un soldato ma si è
hurté de tiempo aquesta breve suma, ritagliato spazi di tempo come se li avesse rubati al suo mestiere, non al
tomando ora la espada, ora la pluma. 100% alle muse ma a ratos perdidos è riuscito a comporre poesie

6.
Aplica, pues, un rato los sentidos 6à presta un po’attenzione al suono umile della mia rude zampogna
al bajo son de mi zampoña ruda, (strumento utilizzato dai pastori), indegna di arrivare alle orecchie tue per
indigna de llegar a tus oídos, essere priva di ornamento e grazia, ma a volte si ascoltano con più piacere
pues d’ornamento y gracia va desnuda; l’ingegno puro e una lingua quasi muta, piuttosto che l’artificio della
mas a las veces son mejor oídos persona eloquente, testimoni limpidi di un animo innocente.
el puro ingenio y lengua casi muda,
Una poesia semplice nasce da un animo puro; Garcilaso dice a Maria io
testigos limpios d’ánimo inocente, spero che tu possa apprezzare questo.
que la curiosidad del elocuente.

7.
Por aquesta razón de ti escuchado, 7àper questa ragione anche se me ne dovessero mancare altre di ragioni merito
aunque me falten otras, ser merezco; di essere ascoltato da te; ti do ciò che posso, e con il semplice gesto di ricevere
Lo que puedo te doy, y lo que he dado, tu il dono che io ti offro, io mi arricchisco. [mi arricchisce il fatto che tu sia
con recebillo tú, yo m’enriquezco. disposta ad accettare il mio dono], mi dispongo a cantare di 4 ninfe che
De cuatro ninfas que del Tajo amado uscirono insieme dal mio amato Tajo (già nel sonetto 11 abbiamo trovato
salieron juntas, a cantar me ofrezco: Hermosas Ninfas solo che lì non era specificato il nome deel fiume mentre qui
Filódoce, Dinámene y Climene, si), Filodoce, Dinamene y Climene y Nise che non ha pari in bellezza.
Nise, que en hermosura par no tiene
FINE PRIMA PARTE DELL EGLOGA: CHI è QUESTA MARIA?
si pensa sia la moglie del vicerè di Napoli cioè Don Pedro de Toledo che si chiama Maria Osorio y Pimentel. La coppia di vicerè aveva 4 femmine
e 2 maschi e si pensa che i due maschi siano i due pastori del canto amebeo, e le 4 femmine sono le quattro ninfe per omaggiarle. Don Pedro era
uno dei protettori di Garcilaso, uno degli artefici della concessione di Carlo V per la modifica del luogo d’esilio. Dunque, associamo il nome di
Maria a Maria Osorio y Pimentel.
8.
Cerca del Tajo, en soledad amena,
de verdes sauces hay una espesura, 8àLOCUS AMENUS: Vicino al Tajo, in un luogo solitario ma
toda de hiedra revestida y llena piacevole, c’è una boscaglia di salici verdi, tutta di edera rivestita e piena
que por el tronco va hasta el altura che si attorciglia intono ai tronchi dei Salici dalla terra fino a su, così
y así la teje arriba y encadena tesse e incatena che il sole non trova un varco fino al prato e l’acqua
bagna il prato rallegrando il prato con vista e l’udito.
que’l sol no halla paso a la verdura;
el agua baña el prado con sonido,
alegrando la hierba y el oído.

9.
Con tanta mansedumbre el cristalino 9àIl fiume scorre così lentamente che a mal pene i miei occhi potevano
Tajo en aquella parte caminaba capire in quale direzione scorre l’acqua (l’acqua era quasi immobile), una
que pudieran los ojos el camino ninfa pettinando i suoi capelli d’oro tirò fuori la testa dall’acqua dove
determinar apenas que llevaba. abitava e vidi il prato ameno pieno di fiori e di ombre.
Ci troviamo nel mezzogiorno, l’ora più calda e le ninfe vengono attirate
Peinando sus cabellos d’oro fino,
dall’ombra.
una ninfa del agua do moraba
la cabeza sacó, y el prado ameno
vido de flores y de sombra lleno.

10.
Movióla el sitio umbroso, el manso viento,
el suave olor d’aquel florido suelo;
las aves en el fresco apartamiento 10àla mosse il posto ombreggiato, il vento mansueto, l’odore soave del
vio descansar del trabajoso vuelo; terreno fiorito, gli uccellini in un luogo appartato, che si riposano da un
volo travagliato, il sole seccava il terreno, salito nella metà del cielo (a
secaba entonces el terreno aliento
mezzogiorno), nel silenzio si sentiva solo il sussurro delle api.
el sol, subido en la mitad del cielo;
en el silencio solo se ’scuchaba
un susurro de abejas que sonaba.

11.
Habiendo contemplado una gran pieza
atentamente aquel lugar sombrío,
somorgujó de nuevo su cabeza
y al fondo se dejó calar del río;
a sus hermanas a contar empieza
del verde sitio el agradable frío, 11 e 12àdopo aver contemplato in questo locus amenus
y que vayan, les ruega y amonesta, fantastico, questa ninfa ritorna in acqua per andare a chiamare le
allí con su labor a estar la siesta. altre ninfe, le invita a salire in superficie per farle contemplare
anche a loro questo luogo molto caldo ma ombroso in modo da
12. poter tessere le loro tele in un luogo piacevole.
No perdió en esto mucho tiempo el ruego, Arrivarono sulla sabbia e dunque poi sul verde prato
que las tres d’ellas su labor tomaron
y en mirando defuera, vieron luego
el prado, hacia el cual enderezaron;
el agua clara con lascivo juego
nadando dividieron y cortaron,
hasta que’l blanco pie tocó mojado,
saliendo del arena, el verde prado.
13.
Poniendo ya en lo enjuto las pisadas,
escurriendo del agua sus cabellos,
los cuales esparciendo cubijadas 13àMettono i piedi sulla terra a asciutta e dopo essere uscite dal
las hermosas espaldas fueron dellos, mare fanno sgocciolare i capelli che vanno a ricoprire le belle spalle,
dopo prendendo le loro tele iniziano a concentrarsi sul lavoro di
luego sacando telas delicadas
tessitura di queste tele e naturalmente a riparo dal sole.
que’n delgadeza competian con ellos,
en lo más escondido se metieron
y a su labor atentas se pusieron.

14.
Las telas eran hechas y tejidas
del oro que’l felice Tajo envía,
apurado después de bien cernidas 14àtele fatte d’oro, quell’oro che inviava il felice Tajo ben
las menudas arenas do se cría, setacciando la sabbia, ben setacciando la sabbia e ben pulito l’oro, e
y de las verdes ovas, reducidas verdi alghe del fiume ridotte a un filo sottile
en estambre sotil, cual convenía
para seguir el delicado estilo
del oro ya tirado en rico hilo.

15.
La delicada estambre era distinta
de las colores que antes le habian dado
con la fineza de la varia tinta 15àdescrizione paesaggio e suoi elementi come conchiglie e
que se halla en las conchas del pescado; molluschi che hanno garantito alle ninfe i colori per adornare le tele,
tanto arteficio muestra en lo que pinta prese dal fiume Tajo
y teje cada ninfa en su labrado
cuanto mostraron en sus tablas antes
el celebrado Apeles y Timantes.

16.
Filódoce, que así d’aquéllas era
llamada la mayor, con diestra mano
tenía figurada la ribera
de Estrimón, de una parte el verde llano
y d’otra el monte d’aspereza fiera, 16 e 17à ci viene presentata la prima storia raccontata da Filodoce,
pisado tarde o nunca de pie humano, la sorella maggiore delle ninfe la quale racconta il mito di Orfeo e
donde el amor movió con tanta gracia Euridice
la dolorosa lengua del de Tracia. En el blanco pie mordidaàEuridice morsa sul piede bianco da una
piccola serpe nascosta tra l’erba.
17. Euridice qui viene rappresentata nel momento di morte, è come una
Estaba figurada la hermosa rosa che è stata colta prima del tempo, come la sua morte, una morte
Eurídice, en el blanco pie mordida prematura, rappresentata inoltre mentre si sta congedando dal corpo,
la sua anima dunque si sta separando dal corpo (despidiendo de su
de la pequeña sierpe ponzoñosa, hermosa carne).
entre la hierba y flores escondida;
descolorida estaba como rosa
que ha sido fuera de sazón cogida,
y el ánima, los ojos ya volviendo,
de su hermosa carne despidiendo.
18.
Figurado se vía estensamente 18àil marito audace/coraggioso, che scende fino agli inferi per
el osado marido, que bajaba recuperare la moglie perduta (momento in cui Orfeo nel guardarla
di nuovo la perde per la seconda volta) la prima quando muore
al triste reino de la escura gente
Euridice e la seconda quando Orfeo viola la legge che gli ha posto
y la mujer perdida recobraba; il TIRAN cioè Plutone, dio degli inferi, di cui Orfeo si lamenta
y cómo, después desto, él impaciente nonostante sia stato Plutone a concedergli di vedere la moglie ma
por mirarla de nuevo, la tornaba l’aveva violato la legge dunque non si può tornare indietro.
a perder otra vez, y del tirano MITO DELLA TELA DI FILODOCE, FINE.
se queja al monte solitario en vano.

19. 19àIl mito rappresentato sulla tela di Dinámene, è quello di Apollo e


Dinámene no menos artificio Dafne. Qui, però, non comincia in medias res; qui la storia comincia
mostraba en la labor que habia tejido, dall’inizio: si rappresenta Apollo dedito alla caccia, tutto concentrato;
pintando a Apolo en el robusto oficio poi si raffigura cupido che con la sua mano vendicativa, perché Apollo
de la silvestre caza embebecido. l’aveva sfidato, si vendica e scaglia le famose due frecce, una d’oro e
Mudar presto le hace el ejercicio l’altra di piombo, quella freccia ‘hizo a Apolo consumirse en lloro’ che
fece provare ad Apollo il pianto ‘después que le enclavó con punta
la vengativa mano de Cupido,
d’oro’ dopo che lo trafisse con una punta d’oro.
que hizo a Apolo consumirse en lloro
después que le enclavó con punta d’oro.

20.
Dafne, con el cabello suelto al viento, 20àDafne con i capelli sciolti al vento corre perché non vuole essere
sin perdonar al blanco pie corría raggiunta da Apollo, visto che lo odia. Corre a perdifiato senza
por áspero camino tan sin tiento risparmiare il suo candido piede, corre a piedi nudi quindi si ferisce.
que Apolo en la pintura parecía Vuole sottrarsi dall’abbraccio di Apollo quindi non si interessa se si fa
que, porqu’ella templase el movimiento, male e Apollo alla visione di Dafne che si fa male rallenta la sua corsa
con menos ligereza la seguía; per non farla far male.
él va siguiendo, y ella huye como
quien siente al pecho el odïoso plomo.

21.
Mas a la fin los brazos le crecían
21à“Ma alla fine le braccia le crescevano e si mostravano
y en sendos ramos vueltos se mostraban;
trasformate in rami attorcigliati (ogni braccio in un ramo diverso);
y los cabellos, que vencer solían
e i capelli, che erano più brillanti dell’oro, si trasformavano in
al oro fino, en hojas se tornaban;
foglie; i candidi piedi si estendevano in radici contorte e si
en torcidas raíces s’estendían
conficcavano della terra; piange l’amante e cerca l’essere che
los blancos pies y en tierra se hincaban;
c’era prima, baciando e abbracciando quel tronco.”
llora el amante y busca el ser primero,
besando y abrazando aquel madero.

Elementi di affinità e di differenza rispetto al sonetto 13:


- la prima differenza che salta agli occhi, rispetto all’intera raffigurazione della tela, è che nel
sonetto si legge la metamorfosi in piena evoluzione. Non viene detto chi è Apollo, chi è Dafne,
che siamo nel bosco, le frecce diverse, la corsa, la preghiera di Dafne. ‘A
Dafne ya losbrazos le crecían’, così inizia il sonetto. Qui nella raffigurazione descritta,
nell’Égloga 3, abbiamo l’antefatto della storia. Nel sonetto non è mai citato Cupido,
‘la vengativa mano de Cupido’; qui invece sì. Si parla di una vendetta di Cupido, si accenna
alla freccia con la punta d’oro e alla freccia con la punta di piombo ‘el odïoso plomo’, e si
parla anche di questo inseguimento che avviene nel bosco, e di una Dafne che è
talmente disperata che corre fino a ferirsi nel bosco. Dunque qui abbiamo 10 versi in più che
consentono a Garcilaso di contestualizzare questa metamorfosi. Quindi questa prima
differenza è che c’è tutto l’antefatto della storia. Garcilaso qui chiarisce, parla di Cupido che
è di fatto il responsabile della trasformazione (e indirettamente anche responsabile della
successiva trasformazione di Dafne), c’è la descrizione della corsa, c’è questa pennellata
molto delicata di un Apollo che addirittura sembra frenarsi perché non vuole che Dafne si
faccia male, e una Dafne che invece corre a perdi fiato anche a costo di farsi male, l’effetto
dell’oro, l’effetto del piombo.

L’ultima ottava, affinità e differenze rispetto al sonetto 13:


- affinità: descrizione delle braccia, i capelli, le radici, i piedi candidi; ritorna buona parte del
lessico che aveva usato Garcilaso. Le immagini sono quasi identiche.
- differenze/aggiunte: bacia e abbraccia il tronco, ma ‘busca el ser primero’. Di
fatto Garcilaso sta dicendo che la metamorfosi si è completata e che non è rimasto più nulla
di umano a Dafne, perciò Apollo cerca in quel tronco qualcosa che gli ricordi l’essenza umana
di Dafne, perciò ‘el ser primero’, l’essere che era prima di diventare una pianta di alloro. Nel
sonetto invece si parlava essenzialmente del pianto di Apollo, che con le sue lacrime faceva
crescere l’alloro, ciò che era causa del suo dolore.

Quindi è meno immediato il confronto nel caso del mito di Orfeo e Euridice, perché non c’è
nessun sonetto dedicato esclusivamente ad esso; ne parla tante volte, accenna molte volte al
mito di Orfeo, canta soprattutto di Orfeo e del suo canto disperato. Ma nel caso di Apollo e
Dafne abbiamo due elementi evidenti per stabilire un confronto.

22.
Climene, llena de destreza y maña,
el oro y las colores matizando, 22àClimene piena di abilità sta creando variazioni di colore, dava
iba de hayas una gran montaña, varietà a questa sua tela di paesaggi boschivi, una gran montagna di
de robles y de penas varïando; querce,faggi e rocce; un cinghiale emerso dalla boscaglia tra rocce e
un puerco entre ellas, de braveza extraña, querce stava aguzzando le zanne, le stava affilando contro un giovane
estaba los colmillos aguzando non meno coraggioso che bello, con la sua lancia corta in mano
contra un mozo no menos animoso,
con su venablo en mano, que hermoso.

Climene nella sua tela rappresenta il mito di Venere e Adone: Venere (dea dell’amore) si innamora
di Adone suscitando l’ira di Marte, sposo di Venere il quale si trasforma in un cinghiale che uccide
Adone e Venere di dispera. Climene ci rappresenta vari momenti della lotta tra Adone e il cinghiale
cioè Marte (che poi ucciderà Adone) che si vuole vendicare del tradimento di Venere.

23.
Tras esto, el puerco allí se via herido Il cinghiale si vedeva ferito da quel giovane coraggioso a suo danno
d’aquel mancebo, por su mal valiente, (perché sfida il cinghiale), Adone steso a terra ormai con il petto
y el mozo en tierra estaba ya tendido, squarciato da quelle zanne rabbiose, i capelli d’oro sparsi sul suolo
abierto el pecho del rabioso diente, spazzando il suo; le rose bianche seminate si trasformavano rosse
con el cabello d’oro desparcido con il sangue di Adone (dunque la pozza di sangue che provoca
barriendo el suelo miserablemente; un’emorragia).
las rosas blancas por allí sembradas Qui Adone prova a ferire il cinghiale ma ne resta ferito a morte.
tornaban con su sangre coloradas.
24.
Adonis éste se mostraba qu’era,
según se muestra Venus dolorida,
que viendo la herida abierta y fiera, 24àsi rivelava essere Adone per il fatto che Venere era addorolorata,
sobr’él estaba casi amortecida; quasi perde i sensi nel vedere il cadavere di Adone, bocca a bocca prende
boca con boca coge la postrera l’ultima parte d’aria che era solita dar vita al corpo, il corpo per il quale lei
aveva provocato l’ira di un dio dal cielo alto (dovuto alla gelosia).
parte del aire que solia dar vida
al cuerpo por quien ella en este suelo
aborrecido tuvo al alto cielo.

25.
La blanca Nise no tomó a destajo
de los pasados casos la memoria, 25àNise, il suo soggetto scelto non è antico, ricordo di eventi passati,
y en la labor de su sotil trabajo anzi mostrando la gloria del Tajo, lì dove bagna la terra più felice della
Spagna (si presusppone sia Toledo siccome Garcilaso con questa quarta
no quiso entretejer antigua historia;
ninfa celebra un tema contenporaneo per celebrarne la bellezza di Toledo
antes, mostrando de su claro Tajo sua città natale).
en su labor la celebrada gloria,
la figuró en la parte dond’ él baña
la más felice tierra de la España.

26. 26àIl fiume Tajo capitale, pieno di acqua, ridimensionato quando


Pintado el caudaloso rio se vía, circonda tutto questa montagna (dove sorge Toledo), sembrava volerla
que en áspera estrecheza reducido, circondare tutta ma era uno sfrozo vano, ma riprendeva il suo corso.
un monte casi alrededor ceñía,
con ímpetu corriendo y con rüido
querer cercarlo todo parecía
en su volver, mas era afán perdido;
dejábase correr en fin derecho,
contento de lo mucho que habia hecho.

27.
Estaba puesta en la sublime cumbre 27à la massa (pesadrumbre) adornata di antichi edifici che si trova sulla
del monte, y desde allí por él sembrada, vetta del monte e da lì il Tajo continua il suo viaggio/corso, irrigando i
aquella ilustre y clara pesadumbre campi e i boschi.
d’antiguos edificios adornada.
D’allí con agradable mansedumbre
el Tajo va siguiendo su jornada
y regando los campos y arboledas
con artificio de las altas ruedas.

28.
En la hermosa tela se veían, 28àle ninfe fluviali (ma ci sono anche qulle boschive) escono dalla
entretejidas, las silvestres diosas boscaglia, ed escono di fretta, affrettandosi celermente esse escono de
salir de la espesura, y que venían vanno verso la riva del fiume Tajo, sembrano tristi, portavano c estini
todas a la ribera presurosas, bianchi di rose rosse spargevano delle rose sul corpo di una ninfa morta
en el semblante tristes, y traían che piangevano.
cestillos blancos de purpúreas rosas,
las cuales esparciendo derramaban LE NINFE CELEBRANO DUNQUE UN RITO FUNEBRE.
sobre una ninfa muerta que lloraban.
29.
Todas, con el cabello desparcido, 29àtutte con i capelli sciolti (segno di tristezza e lutto), piangono una
lloraban una ninfa delicada ninfa morta prima del tempo, la sua vita è stata spezzata come un fiore
cuya vida mostraba que habia sido tagliato prima di essere sbocciato, il corpo sta vicino all’acqua (del
antes de tiempo y casi en flor cortada; fiume Tajo), in un prato fiorito stesa sul prato all’altezza dell’erba, con
cerca del agua, en un lugar florido, il collo spezzato, il bianco cigno ha perso la vita su un prato.
estaba entre las hierbas degollada
cual queda el blanco cisne cuando pierde
la dulce vida entre la hierba verde.

30.
Una d’aquellas diosas qu’en belleza
al parecer a todas ecedía, 30àuna che eccedeva in bellezza rispetto alle altre con aspetto triste
mostrando en el semblante la tristeza separandosi un po’ dal gruppo scriveva delle parole sulla corteccia di un
que del funesto y triste caso había, pioppo (anche incideva va bene), scolpire come un epitaffio (non c’è una
apartada algún tanto, en la corteza tomba , c’è il corpo esamine della ninfa sul prato ma) l’amica incide a
de un álamo unas letras escribía mo’di epitaffio delle parole incise e si immagina siano pronunciate dalla
como epitafio de la ninfa bella, stessa ninfa morta.
que hablaban ansí por parte della:

31.
«Elisa soy, en cuyo nombre suena 31àElisa sono (parla la ninfa morta) nel cui nome risuona e si lamenta il
y se lamenta el monte cavernoso, monte, questo monte è testimone del dolore e della pena in cui a causa
testigo del dolor y grave pena mia si affligge Nemoroso e chiama Elisa Elisa (prima la amava e ora la
en que por mí se aflige Nemoroso piange) e a bocca piena risponde il Tajo che affrettandosi porta il mio
y llama ‘¡Elisa!’; ‘¡Elisa!’ a boca llena nome al mari di Lusitania (antico nome del Portogallo) dove sarà
ascoltato il nome , io ho fiducia di ciò. (dunque porta con sé il nome di
responde el Tajo, y lleva presuroso Elisa e si fa carico del dolore di Nemoroso).
al mar de Lusitania el nombre mío, Tutta la natura si fa partecipe del dolore di Nemoroso. Si pensa che Elisa
donde será escuchado, yo lo fío». siccome è portoghese sia Isabel Freyre ma ci sono altre tesi.

32.
En fin, en esta tela artificiosa
toda la historia estaba figurada
que en aquella ribera deleitosa 32àin questa tela era racchiusa tutta la storia di Nemoroso che venne
de Nemoroso fue tan celebrada, tanto celebrata su quella riva deliziosa percheè Nise conosce la sua storia
porque de todo aquesto y cada cosa e mille volte lei si intenerì ascoltando i suoi lamenti.
estaba Nise ya tan informada
que, llorando el pastor, mil veces ella
se enterneció escuchando su querella;

33.
y porque aqueste lamentable cuento,
no sólo entre las selvas se contase,
mas dentro de las ondas sentimiento
33à Nise ha scelto apposta quel soggetto perché fosse noto a Nettuno,
con la noticia desto se mostrase, ossia il mare (Nettuno re del mare)
quiso que de su tela el argumento
la bella ninfa muerta señalase
y ansí se publicase de uno en uno
por el húmido reino de Neptuno.
34.
Destas historias tales varïadas
eran las telas de las cuatro hermanas,
las cuales con colores matizadas,
claras las luces, de las sombras vanas
mostraban a los ojos relevadas
las cosas y figuras que eran llanas, 34-35-36-37à erano dunque le
tanto que al parecer el cuerpo vano tele delle 4 sorelle, soggetti
pudiera ser tomado con la mano. rappresentati a rilievo (con i fili
della tessitura si creava un
35. rilievo sulle tele),
Los rayos ya del sol se trastornaban,
escondiendo su luz al mundo cara si vede una descrizione del
luogo ameno: prima si parlava
tras altos montes, y a la luna daban
del mezzogiorno con il sole nel
lugar para mostrar su blanca cara; punto più alto del cielo, ora il
los peces a menudo ya saltaban, sole sta quasi per lasciare il
con la cola azotando el agua clara, posto alla luna (le ninfe dunque
cuando las ninfas, la labor dejando, ritornano nelle acque del Tajo)
hacia el agua se fueron paseando.
è l’ora di tornare nelle acque,
36. smettono di tessere e si
En las templadas ondas ya metidos incamminano verso le acque,
tenian los pies, y reclinar querían hanno già immerso i piedi, si
los blancos cuerpos cuando sus oídos stanno per tuffare nelle acque ,
curvano le schiene ma c’è
fueron de dos zampoñas que tañían
qualcosa che le frena, il rientro
suave y dulcemente detenidos, a casa è rimandato per poco le
tanto que sin mudarse las oían FERMA IL SUONO DELLE
y al son de las zampoñas escuchaban ZAMPOGNE.
dos pastores a veces que cantaban.

37. Si sente il suono del canto


Más claro cada vez el son se oía amebeo di due pastori che
de dos pastores que venian cantando cantano dei loro amori: Tirreno
tras el ganado, que también venía che cantava di Flerida e Alcino
por aquel verde soto caminando che cantava di Filide.
y a la majada, ya pasado el día,.
recogido le llevan, alegrando
las verdes selvas con el son süave,
haciendo su trabajo menos grave.

ULTIMA STROFA.
47.
Esto cantó Tirreno, y esto Alcino
le respondió, y habiendo ya acabado 47àquado finsice il dolce suono del canto amebeo di
el dulce son, siguieron su camino Alcino e Tirreno per le ninfe è arrivato il momento di
con paso un poco más apresurado; tornare a casa, sentono i pastoria che si avvicinano, si
siendo a las ninfas ya el rumor vecino, lanciano (s’arrojan) nell’acqua a nuoto e della bianca
schiuma le onde cristalline si coprirono.
juntas s’arrojan por el agua a nado,
y de la blanca espuma que movieron
las cristalinas ondas se cubrieron.
Ispirato da una visita sulla tomba di una donna amata

SONETTO 25.
¡Oh hado ejecutivo en mis dolores,
cómo sentí tus leyes rigurosas! Garcilaso invoca il fato, implacabile nei miei dolori, come soffro
Cortaste el árbol con manos dañosas, per le tue leggi rigorose! Tu fato tagliasti l’albero con una mano
y esparciste por tierra fruta y flores. dannosa (l’albero è personificazione di una giovane vita troncata),
tu hai sparpagliato per terra frutta e fiori. ( si pensa che questa
morte sia la stessa della 3 egloga)
En poco espacio yacen los amores,
y toda la esperanza de mis cosas In poco spazio (si intende la tomba) giacciono gli amori e la
tornados en cenizas desdeñosas, speranza delle mie cose, trasformati in ceneri sdegnose, sorde ai
y sordas a mis quejas y clamores. miei lamenti e ai miei malori.
Garcilaso è sulla tomba della donna morta e le chiede di
accogliere le lacrime che versa per lei che is versano oggi e si
Las lágrimas que en esta sepultura sono versate in passato, tu ricevile,anche se non ti saranno utili
se vierten hoy en día y se vertieron, nell’aldilà.
recibe, aunque sin fruto allá te sean, Finchè quella eterna notte scura non mi chiuderà gli occhi che ti
videro in vita lasciandomi con altri occhi con cui potrò vederti
hasta que aquella eterna noche oscura nell’aldilà. (ti vedrò dunque con altri occhi).
me cierre aquestos ojos que te vieron,
dejándome con otros que te vean.

SONETTO 10. Oh dolci pegni d’amore, trovati a mio danno, dolci e


¡Oh dulces prendas, por mí mal halladas, allegri quando voleva Dio, siete ora nella mia memoriae
dulces y alegres cuando Dios quería, cospirate con la memoria (con ella) per provocare la mia
Juntas estáis en la memoria mía, morte!
y con ella en mi muerte conjuradas!
In un tempo felice grazie a voi (por vos) mi vedevo in
¿Quién me dijera, cuando las pasadas così tanto bene, cosi felice, chi mi avrebbe mai detto che
horas que en tanto bien por vos me vía, un giorno con un dolore così grande vi sareste
ripresentate davanti ai miei occhi per causarmi dolore? (ai
que me habiáis de ser en algún día
pegni si riferisce)
con tan grave dolor representadas?
Poiché in una sola ora mi toglieste tutto il bene che poco
Pues en una hora junto me llevastes a poco mi deste, portatevi via anche il male; (se no i pegni
todo el bien que por términos me distes, d’amore sono stati motivo di gioia quando la donna era
lleváme junto el mal que me dejastes; viva ma con la sua morte la gioia si riduce in cenere)

si no, sospecharé que me pusistes Sospetterò che mi deste tanta felicità solo perché
en tantos bienes, porque deseastes desideravate vedermi morire tra memorie tristi.
verme morir entre memorias tristes.
EGLOGA 1.
AL VIRREY DE NÁPOLES.
PERSONAS: SALICIO, NEMOROSO.
Consta di una dedica iniziale a Don Pedro de Toledo, due monologhi di cui due pastori tra
cui Nemoroso e Salicio.
Uno canta un amore non corrisposto per Galatea e l’altro canta la morte della sua amata cioè
Elisa.
MONOLOGO DI NEMOROSO DA ANALIZZARE.
In un passaggio di esso c’è un riferimento a una dulce prenda d’amor ai versi 338.

25.
desta manera suelto yo la rienda
a mi dolor y ansí me quejo en vano
de la dureza de la muerte airada;
ella en mi corazón metió la mano
y d’allí me llevó mi dulce prenda, 25àSciolgo le redini al mio dolore e mi lamento invano della
que aquél era su nido y su morada. durezza della tua morte, lei nel mio cuore mise mano; essa ossia
¡Ay, muerte arrebatada, la morte mise mano nel mio cuore e mi portò via dal cuore il mio
por ti m’estoy quejando dolce bene, si lamenta.
al cielo y enojando
con importuno llanto al mundo todo!
El desigual dolor no sufre modo;
no me podrán quitar el dolorido
sentir si ya del todo
primero no me quitan el sentido.

26.
Tengo una parte aquí de tus cabellos,
Elisa, envueltos en un blanco paño, 26àeccolo qui il pegno d’amore lo stesso cantato nel sonetto 10;
que nunca de mi seno se m’apartan; si tratta di una ciocca di capelli affinchè Nemoroso avesse una
descójolos, y de un dolor tamaño parte di Elisa con lui, avvolti in un panno bianco, e Nemoroso li ha
enternecer me siento que sobre ellos sempre con sé, li prende, apre il panno e piange a dirotto sui
nunca mis ojos de llorar se hartan. capelli, prende la ciocca apre e piange e poi visto che si sono
Sin que d’allí se partan, bagnati li asciuga con i suoi sospiri, li riavvolge con il panno e
con sospiros callientes, solo così il suo dolore trova tregua.
más que la llama ardientes,
los enjugo del llanto, y de consuno RIPETE QUESTE AZIONI PERCHÉ QUESTO SFOGO È IL
casi los paso y cuento uno a uno; SUO UNICO SOLLIEVO DA UN DOLORE INCONSOLABILE.
juntándolos, con un cordón los ato.
Tras esto el importuno
dolor me deja descansar un rato.
27.
Mas luego a la memoria se m’ofrece 27àalla memoria mi si offre quella morte buia, tenebrosa che affligge
aquella noche tenebrosa, escura, questa mia anima infelice con il ricordo della mia sventura: (la parola
que siempre aflige esta anima mezquina chiave di questi versi è LUCINA, identificata con Diana, dea della caccia
con la memoria de mi desventura: e dea invocata durante il parto dunque si deduce anche dal duro trance
verte presente agora me parece che il parto non è andato bene dunque la Elisa pianta sia da garcilaso che
en aquel duro trance de Lucina; da Nemoroso morì di parto), morta in una tragica notte invocando il
nome della dea Lucina che avrebbe dovuto proteggere il suo parto ma
y aquella voz divina,
così non fece.
con cuyo son y acentos Mi sembra di sentire quella voce divina di Elisa che ora però è muta
a los airados vientos (perché è morta), era una voce celestiale che avrebbe potuto placarecon i
pudieran amansar, que agora es muda, suoi lamenti, i venti adirati. [ci ricorda la virtù di Orfeo], in quel
me parece que oigo, que a la cruda, momento difficile, un parto travagliato, invocavi Lucina e le chiedevi
inexorable diosa demandabas aiuto (ma quella dea non la ascoltò) e tu crudele e inesorabile dov’eri??
en aquel paso ayuda;
y tú, rústica diosa, ¿dónde estabas?

28.
¿Íbate tanto en perseguir las fieras?
¿Íbate tanto en un pastor dormido?
¿Cosa pudo bastar a tal crüeza
que, comovida a compasión, oído
a los votos y lágrimas no dieras,
por no ver hecha tierra tal belleza,
o no ver la tristeza
en que tu Nemoroso
queda, que su reposo
era seguir tu oficio, persiguiendo
las fieras por los montes y ofreciendo
a tus sagradas aras los despojos?
¡Y tú, ingrata, riendo
dejas morir mi bien ante mis ojos!
28àQUI SI VEDE L’IDENTIFICAZIONE CON DIANA E LUCINA, si immagina Nemoroso che
si stava dedicando alla caccia chiedendole, Stava inseguendo qualche bestia del bosco? Ti
importava tanto inseguire le bestie nel bosco? Ti importava del pastore dormido cioè di Endimione
(di cui si diceva che la luna [altra identificazione con Diana] si era innamorata e per baciarlo tutte le
notti lo faceva addormentare in un sonno quasi eterno) ti importava così tanto di Endimione che
stavi persa dietro i pensieri d’amore per lui?
Cosa può spiegare una tale crudeltà che non hai prestato ascolto alle preghiere/cosa spiega (il fatto
che tu non abbia prestato ascolto a quelle invocazioni? (garcilaso dice che non si spiega come mai
non abbia prestato ascolto a quelle suppliche perché non avrebbe voluto vedere resa terra il corpo di
Elisa, non vedere persa per sempre la bellezza di Elisa).
In omaggio alla sua bellezza avresti dovuto salvarla o anche per non vedere la sua tristezza in cui
rimane il TUO Nemoroso, TUO perchè praticava la caccia, suo devoto dunque io ti omaggiavo in
questo dopo aver cacciato qualche animale offrendo parte del bottino ai tuoi altari (aras).
Lucina avrebbe dovuto salvare Elisa almeno per due motivi: 1 perché era bellissima, ti aveva
invocato e tu avresti dovuto proteggere il suo parto e non lasciare che la sua bellezza finisse in
polvere; 2 era una mia amata e io cacciavo per te, ero tuo devoto e per me avresti dovuto farlo.
ELISA NON MERITAVA DI MORIRE.
E tu ingrata lasci morire il mio bene ridendo davanti ai miei occhi! C’è un crescendo di accuse,
inizialmente pensa che Diana stia cacciando ma nell’accusa finale si capisce che l’ha voluta far
morire, ci volevi del male. IO TI HO DATO IL TRIBUTO E TU NON MI HAI AIUTATO.
29àDivina Elisa (vocativo) ora che in Paradiso calpesti e misuri il
cielo con i tuoi piedi immortali, e vedi il mutare del cielo, stando
29. tranquilla, perché ti dimentichi di me non chiedi che si affretti il tempo
Divina Elisa, pues agora el cielo in cui io rompa il velo del corpo e possa vedermi libero
con inmortales pies pisas y mides, (metaforaàmorire per Garcilaso il corpo è una sorte di prigione
y su mudanza ves, estando queda, dell’anima; Nemoroso vuole morire per ricongiungersi con Elisa).La
¿por qué de mí te olvidas y no pides sua morte è una liberazione, io sono qui per piangere, se non quando ho
que se apresure el tiempo en que este velo in mano la tua cioccaà ci ricorda l’epistola a Boscán dove Garcilaso
rimprovera Boscán e dice perché non mi hai portato con me?
rompa del cuerpo y yerme libre pueda,
y en la tercera rueda,
contigo mano a mano,
busquemos otro llano, E nella sfera celeste di Venere mano a mano insieme avremmo potuto
busquemos otros montes y otros ríos, cercare un’altra pianura, altri monti, altri fiumi, altre valli fiorite e
otros valles floridos y sombríos ombrose, dove io possa riposare e vederti sempre davanti ai miei occhi
donde descanse y siempre pueda verte senza più avere paura di perderti?
ante los ojos míos,
sin miedo y sobresalto de perderte?

SONETTO 10 E 25. DIFFERENZE E ANALOGIE.


Il sonetto 25 si chiudeva con un immagine simile a quella nell’Egloga 1, del ricongiungimento sulla
tomba della donna amata e offre le sue lacrime ed evocò la morte. L’immagine e il desiderio di un
ricongiungimento nell’aldilà sono gli stessi, Nemoroso dice ad Elisa nell’Egloga 1 se tu con le tue
preghiere lo affretti questo ricongiungimento avverrà presto e avremo altri occhi ma potremmo
guardarci ancora . Nel sonetto 10 si parla di DULCES PRENDAS cioè di pegni ed è possibile che
sia lo steso pegno cantato nella egloga 1, la ciocca di capelli.

È probabile che sia la stessa donna cantata nei tre componimenti (sonetto 25, 10 e egloga 1): il
sonetto 25 è ispirato da una visita sulla tomba di una donna amata (con il termine poco espacio
Garcilaso voleva intendere la tomba) e vediamo una pista che ci conduce al verso 4 del sonetto dove
si parla del fato che ha tagliato l’albero della vita di questa donna spargendone frutti e
fioriàALLUSIONE AL PARTOàLA DONNA È MORTA IN SEGUITO AL PARTO NEL
DARE ALLA LUCE IL FRUTTO DEL SUO VENTRE. [inizialmente è stato detto che questa
dama sia Isabel Freyre ma dobbiamo riprendere in mano i documenti della vita di Doña Guiomar
Carrillo che hanno dato un nome alla mamma di Lorenzo che ci porta alla COGNATA DI
GARCILASO cioè la seconda moglie di Pedrolazo de la Vega chiamata anche BEATRICE DE SÁ
(Beatriz de San Miranda), anch’ella era portoghese]. La elisa di Nemoroso era portoghese e ciò lo
capiamo dal fatto che Nemoroso affidava il nome della sua amata al Tajo che avrebbe portato il
suo nome fino al mare della Lusitania.
Isabel de Freyre anche morì di parto ma per scartarla dalla lista delle eventuali ipotesi si deve
pensare che la Elisa pianta da Nemoroso è morta davanti gli occhi Nemoroso/Garcilaso.
Quando Beatriz stava partorendo anche Garcilaso si trovava a Toledo, stiamo parlando degli
anni 29-30 prima dell’esilio (l’esilio inizia nel 32 sull’isola del Danubio); Garcilaso vive in una casa
vicina a quella del fratello Pedro Lasode la Vega. Non è poco plausibile che potesse essere a casa
del fratello nel momento del parto, soprattutto immaginando un’assenza del fratello. Pedro Laso de
la Vega viveva porta a porta con il fratello e quindi era comprensibile che stava a casa di
quest’ultimo e che abbia visto esalare l’ultimo respiro della cognata amata.
Totalmente incomprensibile se attribuiamo a questa donna l’identità di Isabel Freyre, sposata con
Antonio de Fonseca, che senso avrebbe avuto la sua presenza a casa di estranei? TU DEJAS
MORIR MI BIEN ANTES MIS OJOS. C’era un rapporto stretto di parentela.
Testo sulla Elisa di Garcilaso:
La fecha de muerte de Beatriz de Sá, la más que posible Elisa de Garcilaso
PERCHÉ TANTA PRESENZA DI DAME PORTOGHESI? Perché l’imperatrice era portoghese,
Isabel de portugal. La vaquero serrano immagina che la morte di Beatriz sia avvenuta intorno al 30
e nel 2004 uno studioso portoghese pubblica un articolo contro la serrano dicendo che era
impossibile, Beatriz de Sá era morta dopo il 1537, Garcilaso nel 1536 e se la morte di Beatriz si
colloca dopo quella di Garcilaso è impossibile che sia lei l’Elisa dato che lo scrittore va sulla tomba
di una donna amata in vita (come dice nel sonetto 25). Per il portoghese Beatriz de Sá era
l’improbabile Elisa di Garcilaso mentre per Vaquero si parla della più che probabile.
La Vaquero afferma che a partire dalla pubblicazione dell’articolo dello scrittore portoghese tutti gli
studiosi hanno dato per buona la sua data di morte nel 1537. Le ipotesi della Serrano che fosse
morta intorno al 1530 vennero respinte. Dice la Serrano che è convinta della sua interpretazione, in
un articolo che stava preparando sulla storia di Beatriz scrive: la seconda moglie di Pedro Laso de la
Vega, cognata di Garcilaso, cantata da molti poeti lusitani ovvero portoghesi, nata nelle
Azzorre. Beatriz de Sàera una donna bellissima, secondo uno storico era la donna più bella del
Portogallo e tutti i canzonieri dell’epoca contengono testi dedicati a questa dama. Che altro
scrive? Sposata con Pedro Lasonel 1526 bisogna dedurre che si sia stabilita nelle case principali
della famiglia a Toledo dove all’epoca viveva Garcilaso con la moglie e un tempo prima del 1532
abbiamo delle tracce scritteàprima del 32 Pedro Laso stesse nuovamente cercando moglie, la
deduzione è che la precedente era passata a miglior vita e allora era vedovo. Era chiamata Beatriz o
la Sà, in molti canzonieri non la si chiama Beatriz, bensì La Sà, è un indizio sui cui si poggia la
Serrano commentando la Egogla III (secondo il sostenitore della teoria Freyre è un omaggio a
Isabel Freyre dato che Elisa è l’anagramma imperfetto di Isabel) la Vaquero invece dà un’altra
spiegazione dicendo che è un omaggio al cognome dato che la chiamavano la Sà.
Beatriz è morta già agli inizi del 1532 ed è verosimile che sia morta di parto. Si scatenò una guerra
a colpi di scritti dato che lo studioso portoghese affermava che era morta nel 1537 e si basava su
documenti di archivio in cui si parla di una proprietà della stessa Beatriz che nel 1538 passa di
mano, trova una nuova destinazione. Sulla base di questo dato lo scrittore dice che è morta nel 37.
Le successioni non sono mai così immediate, le questioni di eredità possono impiegare anni per
risolversi e il fatto che quella questione si sia risolta nel 1538 non è una prova inequivocabile della
morte nel 1537.
Nel suo articolo la Serrano dice io chiederei a Fardilha di portare un documento che provi la morte
della dama in questo arco di tempo tra 32 e 37 e io sarò pronta a rettificare e il documento
sull’eredità datato nel 1538 non è una prova inconfutabile. Continua la polemica fino ad un felice
ritrovamento nell’archivo de Simancas il 26 agosto del 2011. Un ricercatore trova una lettera che
testimonia la teoria della Serrano: è una lettera della imperatrice Isabel de Portugal che scrive a Juan
III de Portugal parlando di Beatriz de Sà come già defunta e la lettera è del 1530.
C’è stata una corrispondenza precedente e sappiamo che la dama era morta a cavallo tra il 29 e il
30. Ho già manifestato la mia volontà di fare delle concessioni, una grazia a Doña Isabel de Sà, la
volontà dell’imperatrice è trasmettere alla sorella della dama una serie di privilegi di cui godeva sua
sorella, ora rimasti vacanti.
1. Beatriz de Sà morì quando era in vita Garcilaso e prima del 1530.
2. Non sappiamo quanto tempo prima dell’11 marzo sia morta perché si fa riferimento ad altre
lettere e sicuramente ci fu una lettera precedente scritta da doña Isabel, qualche mese deve essere
trascorso della morte, è impossibile definire il momento esatto.
3. La dama dunque morì prima del 11 marzo del 1530 e evidentemente Garcilaso scrive in
occasione della sua morte il sonetto 25.
4. Data la data di morte e vari motivi come la sua bellezza, la morte a Toledo quando Garcilaso
risiedeva a casa del fratello, l’allusione ad una Sá come elisa unita ai Laso nell’egloga Nemoroso
del 1537 scritta da un poeta lusitiano della famiglia dei Sá creando così un vincolo.
BEATRIZ È LA VERA ELISA DI GARCILASO.
PER FARDHILLA MUORE NEL 1537àIMPOSSIBILE.
PER SERRANO NEL 1530à VERITÀ.
SONETTO 28.
Boscán, vengado estáis, con mengua mía,
de mi rigor pasado y mi aspereza Inizia con un vocativoàBoscán, avete avuto vendetta, con mio
con que reprehenderos la terneza discredito e la vendetta dell’asprezza e del rigore con cui ero solito
de vuestro blando corazón solía. rimproverarvi dato che avevate il cuore troppo tenero,

Agora me castigo cada día ora mi castigo io stesso per essere stato così scortese e lo faccio quando
ben potrei vergognarmi e punirmi per la mia villania.
de tal salvatiquez y tal torpeza:
mas es a tiempo que de mi bajeza
Sapete che nella mia età perfetta (ripreso da danteànel mezzo del
correrme y castigarme bien podría. cammin di nostra vita cioè a 35 anni) mi sono arreso, armato, davanti
al bambino cieco e nudo (si riferisce a Cupido).
Sabed que en mi perfecta edad y armado,
con mis ojos abiertos me he rendido Mai il cuore fu consumato da un fuoco così bello: se mi vengono
al niño que sabéis, ciego y desnudo. rivolte domande sul resto sono muto (si riferisce all’identità della
donna amata, sono stato travolto da una passione mai vista, ora mi sono
De tan hermoso fuego consumido arreso, sono maturo davanti a cupido ed è il fuoco più bello ma non
nunca fue corazón: si preguntado posso descriverloàamore inconfessabile).
soy lo demás, en lo demás soy mudo.

RIFERIMENTI ITALIANI NEI SONETTI DI GARCILASO.


SONETTO 6à VERSI DA 5 A 8 CITAZIONE TRATTA DA PETRARCA VEDO QUAL È IL
MEGLIO EPPURE MI AFFERRO ALLA SOLUZIONE PEGGIORE. DI ISPIRAZIONE
PETRARCHESCA ANCHE È DURO CAMPO DI BATTAGLIA IL LETTO.
• SONETTO XVII: L’INTERA PRIMA TERZINA È ISPIRATA DAL CANZONIERE DI PETRARCA.
• NEL SONETTO XXII INSERISCE UN VERSO IN ITALIANO;
• SUGGESTIONI DA SANNAZZARO NEL SONETTO XXV, FIORI E FRUTTI SPARSI A TERRA;
NELLO STESSO SONETTO EN POCO ESPACIO… ECO DI PETRARCA! LA TRADUZIONE DEL
SONETTO DI SANNAZZARO SULLA GELOSIA;
• INFINE, NEL SONETTO XXIII, È UN ELOGIO DEL CARPE DIEM, COGLI L’ATTIMO, INVITO
A GODERE DEL FIORE DELLA GIOVENTÙ, ISPIRATO AD UN SONETTO DI BERNARDO
TASSO, PADRE DI TORQUATO TASSO, PUBBLICATO NEGLI AMORI NEL 34.
SONETTO 23 A CONFRONTO CON SONETTO BERNARDO TASSO.
En tanto que de rosa y azucena Mentre che l'aureo crin v'ondeggia intorno
se muestra la color en vuestro gesto, all’ampia fronte con leggiadro errore;
y que vuestro mirar ardiente, honesto, mentre che di vermiglio e bel colore
con clara luz la tempestad serena; vi fa la primavera il volto adorno;

y en tanto que el cabello, que en la vena mentre che v'apre il ciel piü chiaro il giorno,
del oro se escogió, con vuelo presto, cogliete, o giovenette, il vago fiore
por el hermoso cuello blanco, enhiesto, de' vostri piú dolci anni, e con amore
el viento mueve, esparce y desordena; state sovente in lieto e bel soggiorno.

coged de vuestra alegre primavera Verrá poi '1 verno, che di bianca neve
el dulce fruto, antes que el tiempo airado suol i poggi vestir, coprir la rosa,
cubra de nieve la hermosa cumbre. e le piagge tornar aride e meste.

Marchitará la rosa el viento helado, Cogliete ah stolte il fior; ah siate preste,


todo lo mudará la edad ligera, che fugaci son l'ore e '1 tempo lieve,
por no hacer mudanza en su costumbre. e veloce alla fin corre ogni cosa.

Bernardo Tasso si rivolge alle giovinette, le dice cogliete il fior, siate preste mentre Garcilaso si
rivolge a una fanciulla (usa il verbo coged dunque il vos) la quale è invitata a vivere l’attimi, a
cogliere l’attimo e a vivere le gioie della vita della sua dolce età che prima o poi passerà. La invita a
vivere la vita EN TANTO QUE, finchè il colore della rosa e il giglio (due fiori, due simboli, due
stati d’animo, la purezza del giglio e la passione della rosa rossa come le guance) appare diffuso sul
vostro volto, finchè il vostro sguardo onesto (giglio) e ardente(rosa) che con la sua luce chiara
rasserena la tempesta, e finchè il vento muove e scompiglia con un movimento rapido lungo il collo
bianco ed eretto quei capelli biondi che furono scelti in un filone d’oro.
COGEDà COGLIETE il frutto della vostra allegra primavera prima che il tempo adirato copra di
neve la bella cima ( si intende la testa, si parla dell’inverno non materiale ma metaforico cioè prima
che la testa si ricopra di capelli bianchi).
MARCHITARÁà il vento gelato arriverà e farà appassire la rosa (cioè la fanciulla stesso), il tempo
(rappresentato con le ali, tempus fugit, tempo vola) cambierà tutto per non cambiare la sua
abitudine.
TASSO DICE non siate stolte, cogliete quel fiore per godere del momento e prima di arrivare a quel
momento bisogna godere del fiore degli anni. CARPE DIEM ORAZIANO.

PARAGONE CON MIENTRAS POR COMPATIR CON TU CABELLO DI GONGORA Dove


Gongora stesso usa questo tema della morte dove lui fa una sorta di climax mortale dissolvendosi
prima in terra, fumo, polvere, ombra e nulla mentre la morte per garcilaso è un decadimento fisico
della fanciulla, della vecchiaia.
Dedicata al duca d’alba: protettore di Garcilaso, si tratta di don
Fernando di Toledo, nipote di Don Pedro de Toledo, in memoria
della morte di suo fratello cioè DON BERNARDINO DE
ELEGIA 1.
TOLEDO morto nei pressi di Trapani nella campagna di Tunisi
AL DUQUE D’ALBA EN LA MUERTE
1535; qui garcilaso tenta di consolare il fratello nei primi versi.
DE DON BERNALDINO DE TOLEDO.

Aunque este grave caso haya tocado


con tanto sentimiento el alma mía
que de consuelo estoy necesitado, Anche se questo grave fatto ha toccato con tanto dolore la mia anima di
con que de su dolor mi fantasía cui io stesso ho bisogno (di conforto) quise: volli tuttavia fare un
tentativo e vedere se l’ingegno mi bastava per comporre delle parole di
se descargase un poco y s’acabase
conforto.
de mi continuo llanto la porfía,
quise, pero, probar si me bastase
el ingenio a escribirte algún consuelo,

VERSO LA FINE DELL’ELEGIA GARCILASO IMMAGINA BERNARDINO NELL’ALTO DEI CIELI DOVE
PUÒ CONTEMPLARE LA TERRA. A PARTIRE DAL VERSO 280
Mira (NO IMPERATIVO MA INDICATIVO PRESENTE); si riferisce a
Mira la tierra, el mar que la contiene, Bernardino il quale “contempla la terra, il mare che lo contiene, giudica e
todo lo cual por un pequeño punto considera (la terra) come se fosse un piccolo punto rispetto al cielo
a respeto del cielo juzga y tiene; (Bernardino dall’alto gode della pace delle anime e giudica tutto pure gli
puesta la vista en aquel gran trasunto esseri umani). Puesta la vista= fissati gli occhi su quel trasunto (ritratto) e
y espejo do se muestra lo pasado uno specchio dove si mostra il passato, il futuro e il presente (si allude alle
con lo futuro y lo presente junto, tre ruote della fortuna o alla mente divina che lui può contemplare dove è
el tiempo que a tu vida limitado presente e si può contemplare passato presente e futuroàBernardino dunque
d,allá arriba t’está, Fernando, mira, può sapere tutto), in paradiso può sapere quanto tempo è stato concesso da
Dio a suo fratello Fernando, guarda il tempo di vita che ti attende.
y allí ve tu lugar ya deputado. Egli vede con i suoi nuovi occhi che ha nell’aldilà lo spazio destinato a
Fernando accanto a lui, anche lui andrà in paradiso, è destinato un posto
nell’aldilà dei giusti.

ALLÍ VS ALLÁ= PARADISO E VITA TERRENA


CRISTÓBAL DE CASTILLEJO.
Nato nel 1490 e morto nel 1550, era un poeta, umanista, segretario dell’arciduca Ferdinando, monaco
di Valdeiglesias; riunì la sua produzione in 3 raccolte. Le sue opere furono pubblicate nel 1563 in una
versione espurgata dalla inquisizione cioè dalla versione originale vennero soppresse capitoli o frasi
intere per sospetto di immoralità ed eterodossia.
Il primo bersaglio dell’inquisizione furono i testi eretici, luterani, dei protestanti riprendendo così
Carlo V nella sua lotta contro la riforma protestante. Gli immorali potevano essere dannosi per la
società, quindi molta poesia lasciva, lussuriosa e opere della letteratura d’evasione, invocando la
censura.

Quando morì Castillejo i parenti chiesero il permesso di pubblicare i manoscritti di una sua opera
anche se prima era importante chiedere il permesso per dare questi manoscritti alle stampe a causa
della prammatica, una legge che prevedeva un iter burocratico per poter stampare un testo: prima
veniva sottoposto a dei censori per dare un parere sul contenuto del manoscritto, quando si ottenevano
pareri favorevoli il testo veniva stampato in un’officina tipografica e per evitare le edizioni pirata si
scrivevano le coordinate tipografiche come luogo, data e nome dell’autore. Gli stessi censori avevano
una copia del testo a stampa per verificare non fossero stati fatti dei cambi, si faceva dunque il
confronto manoscritto-testo stampato; per questo c’era un controllo vigile su quanto si pubblicava per
evitare idee immorali e eterodosse. I suoi testi vennero però considerato immorali, nonostante fosse
un monaco scriveva componimenti licenziosi.
20 anni dopo le sue opere vennero pubblicate in una versione espurgata da Juan Lopez de Velasco
che su mandato della santa inquisizione mette mano sulle opere di Castillejo ma anche sull’opera
Propalladia e Il Lazarillo de Tormes ma la santa inquisizione decise di censurarle.
PERCHÉ PUBBLICARE OPERE ESPURGATE? Lopez ci dice che l’alternativa era vietarli, come
nel caso del lazarillo il quale venne vietato e finì nell’indice dei libri proibiti; LA CENSURA
RADICALE PORTA PERÒ IL PRIVARE AL PUBBLICO DELLA LETTURA DEL
CAPOLAVORO. La censura portava anche al proliferare di versioni pirata.
Dunque se un’opera veniva vietata, si stampava la versione non piacevole al pubblico il quale si
lamenta di non avere accesso a un capolavoro optando così per delle versioni castigate.
È grazie a Juan Lopez de Velasco che abbiamo tre opere rimaste espurgate di Castellejo.

REPRENSIÓN CONTRA LOS POETAS ESPAÑOLES QUE ESCRIBEN EN VERSO


ITALIANO

È un rimprovero dei poeti spagnoli che scrivono con il verso italiano cioè Garcilaso e Boscán.
Il testo è scritto in COPLAS REALES con un sonetto finale: la copla real è composta di ottonari,
verso principe della letteratura spagnola prima della rivoluzione metrica di Garcilaso. Ha scritto
strofe da 10 versi e 8 sillabe per rivendicare l’eccellenza della poesia tradizionale spagnola,
Cristóbal Castellejo usa un tono parodico, di burla e non di effettivo rimprovero.

Pues la sancta Inquisición Se la santa inquisizione di solito è così diligente nel


suele ser tan diligente castigare giustamente qualunque setta e opinione
en castigar con razón recente sia fatto resuscitare Lucero (era un
cualquier secta y opinión inquisitore di Cordoba) per correggere una nuova
levantada nuevamente, setta pericolosa quanto quella di Lutero in
resucítese Lucero, Germania.
a corregir en España
una tan nueva y extraña,
como aquella de Lutero
en las partes de Alemaña.
Bien se pueden castigar
(I pericolosi membri della setta) li castiga come se fossero anabattisti
a cuenta de anabaptistas,
(coloro che si battezzano una seconda volta in età adulta, farlo da bambini
pues por ley particular
dove non si ha consapevolezza non ha senso, bisogna rifarlo da adulti se si
se tornan a bautizar
sceglie quella fede), che per legge si sono ribattezzati e si fanno chiamare
y se llaman petrarquistas.
petrarchisti (Adottano il verso di Petrarca).
Han renegado la fee
de las trovas castellanas,
Hanno rinnegato la fede dei versi castigliani e si perdono dietro i versi
y tras las italïanas
italiani che dicono essere più belli (li tratta come luterani e anabattisti dato
se pierden, diciendo que
che hanno rinnegato il verso octosilabo con il quale lui scrive).
son más ricas y loçanas.

El juicio de lo cual Io non voglio esprimere il mio giudizio, lascio parlare chi ne sa più di me, am
yo lo dexo a quien más sabe; dico soltanto che non ha spazio in una persona gentile parlare male della sua
pero juzgar nadie mal patria ( rinnegare l’ottosillabo è come parlare male della patria e da qui inizia a
de su patria natural lodare le vecchie glorie della poesia spagnola con autori come Manrique, Juan
en gentileza no cabe; de Mena e Pedro de Cartagena citando anche alcuni versi)
y aquella cristiana musa
del famoso Joan de Mena, Prima li definisce anabattisti alla stregua dei luterani e poi rinnegando la fede
sintiendo desto gran pena, dei versi castigliani li chiama INFEDELI, TRADITORI.
por infieles los acusa
y de aleves los condena.

«Recuerde el alma dormida»


dice don Jorge Manrique ;
y muéstrese muy sentida Cita versi celebri di poeti come il “recuerde el alma dormida” di Manrique
de cosa tan atrevida, e fa riferimento alla “cristiana musa” di Juan de Mena.
por que más no se platique.
Garci -Sánchez respondió: Rientrano aggettivi che rimandano ad un ambito religioso, sono infedeli,
«¡Quién me otorgase, señora, peccatori e si è evocato Lucero nella prossima strofa.
vida y seso en esta hora
para entrar en campo yo
con gente tan pecadora!»

«Si algún Dios de amor había,


dixo luego Cartagena ,
muestre aquí su valentía Come l’eresia luterana nata in terra lontana così i pericolosi petrarchisti
contra tan gran osadía, adottano straniere idee (cioè il verso italiano).
venida de tierra ajena». Torres [..]: anche Torres Naharo si dispera e dice tutto questo è avvenuto
Torres Naharro replica: per esaltare amore (argomento dei petrarchisti che usavano
«Por hacer, Amor, tus hechos l’endecasillabo, verso per eccellenza per cantare poesie d’amore), ci
consientes tales despechos, priviamo del diritto di cui la nostra Spagna è ricca.
y que nuestra España rica
se prive de sus derechos».
Dios dé su gloria a Boscán
y a Garcilaso poeta, I capostitpiti della pericolosa setta sono Boscán e
que con no pequeño afán y Garcilaso ched hanno fatto seminare, prendere piede, a
por estilo galán questa setta e lo capirete leggendo il sonetto che segue.
sostuvieron esta seta ,
(Castillejo compone un sonetto e non bisogna prenderlo
y la dejaron acá
ya sembrada entre la gente; sul serio, perché questa moda petrarchista ha preso piede
por lo cual debidamente e dunque doveva scrivere anch’egli un sonetto.
les vino lo que dirá È un sonetto dove ci sono i poeti TROVADORES.
este soneto siguiente:

SONETO descrive Boscán e Garcilaso appena arrivati davanti ai poeti (i


Garcilaso y Boscán, siendo llegados trovadores) che furono segnalati in questo secolo per le loro
al lugar donde están los trovadores qualità (i più bravi). Arrivano lì e i poeti castillani, che hanno
que en esta nuestra lengua y sus primores sempre composto in versi ottosillabi, si guardano gli uni con
fueron en este siglo señalados, gli altri e guardano poi quei due con grande sospetto, temendo
che siano spie nemiche, degli infiltrati (corredores sono quelli
los unos a los otros alterados che vanno in avanscoperta quando c’è un conflitto in atto tra
se miran, con mudança de colores, due forze contrapposte) A primo impatto genera diffidenza,
temiéndose que fuesen corredores poi osservando meglio, guardano el traje (i vestiti che
espías o enemigos desmandados; indossano) e sembrano spagnoli, cavalieri spagnoli. Gentiles
gioca un doppio senso: nobili ma anche pagani.
y juzgando primero por el traje, Ma poi li sentono parlare e parlano un lingua strana, perché
paresciéronles ser, como debía, hanno adottato l’endecasillabo, nuovo linguaggio mischiato di
gentiles españoles caballeros; poesia straniera e loro hanno un atteggiamento (quei due)
evidentemente dissacratorio, si prendono gioco dei versi
y oyéndoles hablar nuevo lenguaje spagnoli dicendo che non arrivano assolutamente al livello di
mezclado de extranjera poesía, quelli italiani e di amore si può poetare solo con
con ojos los miraban de estranjeros . l’endecasillabo.
off-topic: il sonetto di Cristóbal cita Garcilaso e Boscán, il poeta li aveva definiti come pericolosi
petrarchisti di quella setta degna della repressione inquisitoriale di cui loro stessi sono gli
iniziatori. Lo stesso Castillejo si cimenta nel sonetto con questo nuovo lenguaje che suscita critiche
dei poeti della tradizione spagnola, lo stesso Castillejo immagina l’arrivo di Boscán e Garcilaso
tra i poeti del secolo anteriore, 400 e 500, prima della loro rivoluzione poetica, vestiti alla maniera
spagnola essendo all’apparenza castigliani ma quando parlano usano l’endecasillabo.

Mas ellos, caso que estaban


sin favor y tan a solas, Garcilaso e Boscán, anche se si trovavano isolati in mezzo a questi
contra todos se mostraban, trovatori della gloriosa vecchia scuola, nonostante ciò, e nonostante
y claramente burlaban fossero stai accolti con ostilità, non se ne curano più di tanto, si
de las coplas españolas, mostravano contro tutti e si burlavano delle coplas spagnola, c’è un
canciones y villancicos, elenco di classiche forme metriche spagnole, in una parola: tutto il
romances y cosa tal, nostro caudal= capitale, tutto il patrimonio poetico classico
arte mayor y real, spagnolo, deriso dai due.
y pies quebrados y chicos,
y todo nuestro caudal.
Y en lugar destas maneras
Garcilaso e Boscán disprezzano el octosilabo castillano e tutte le strofe costruite
de vocablos ya sabidos
a partire dagli ottosillabi e invece di queste forme, preferiscono cantare con otras
en nuestras trovas caseras, forsteras= schemi metrici stranieri, forestieri; nuovi alle nostre orecchie e c’è un
cantan otras forasteras, elenco di forme metriche note: sonetos, madrigadas, canciones…
nuevas a nuestros oídos: Compongono dunque i due sonetti, canzoni, madrigali, componimenti in ottava o
sonetos de grande estima, terza rima (octava real come L’Egloga III, in terza rima ad esempio l’Elegia II, la
madrigales y canciones rima sono le terzine dantesche) e altre nuove invenzioni (ma tutte basate
de diferentes renglones, sull’endecasillabo, preso da poesia italiana).
de octava y tercera rima
y otras nuevas invenciones.
I due, che si prendono gioco della vecchia poesia tradizionale, disprezzano
ogni cosa composta con gli antichi metri della nostra poesia e li
Desprecian cualquiera cosa disprezzano perché considerano che questi metri sono bajos de ley.
de coplas compuestas antes, BAJO DE LEY = si dice dell’oro e dell’argento, quando c’è meno oro o
por baja de ley, y astrosa argento puro (ma presenza di altri metalli) di quello che consente la legge
usan ya de cierta prosa si dice così, al di sotto degli standard previsti dalla legge, in altre parole di
medida sin consonantes. cattiva qualità, sono scadenti questi versi della poesia tradizionale. Non li
considerano eccelsi e preferiscono usare poesie composte in versi sciolti,
senza consonanti, senza rime (ad esempio l’Epistola a Boscán)

A muchos de los que fueron Il soggetto sono sempre quei due, che sono sempre lì, soli contro tutti perché
elegantes y discretos si rendono conto di essere guardati con sospetto, ma con fare sprezzante li
tienen por simples pobretos, guardano dall’alto in basso, li considerano dei poveracci perché non hanno
por solo que no cayeron conosciuto e usato i sonetti. Anche se ai tempi loro, quei poeti, furono elegantes
en la cuenta a los sonetos. y discretos, ma secondo Garcilaso e Boscán, quei poeti sono oramai passati di
moda, non rappresentano più l’eccellenza della poesia castillana.
Daban, en fin, a entender
aquellos viejos autores In poche parole, i due andavano ad intendere che i vecchi autori non erano
no haber sabido hacer stati capaci di comporre buone poesie e componimenti, non avevano
buenos metros ni poner soprattutto cantato d’amore, perché secondo loro la metrica castigliana non
en estilo los amores; erano all’altezza del tema cantato (l’amore, i temi amorosi) che richiedono un
y qu’el metro castellano verso eccelso ed elegante come solo l’endecasillabo sa essere. Quel vecchio
no tenía autoridad metro castillano non aveva l’autorità di dire in tono elevato (majestad, con
de decir con majestad maestà) quello che in toscano, col metro italiano, con l’endecasillabo
lo que se dice en toscano (toscano), si può esprimere felicemente.
con mayor felicidad.
[…]

Il testo continua, è molto lungo, ma leggiamo solo un frammento per darci la percezione di quanto
rivoluzionari furono Garcilaso e Boscán all’epoca, tanto da essere addirittura definiti capostipiti di
una setta pericolosissima, quella dei Petrarchisti, che con il loro poetare sembrano disprezzare e
giudicare vile e non all’altezza tutta la gloriosa poesia anteriore. Questa definizione di Castillejo va
presa con le pinze perché anche lui stesso compone un sonetto, riconosce che la rivoluzione è
compiuta e che non lo si può mettere da parte quel metro toscano solo perché forasteros, anche i
nuovi poeti si possono cimentare con questa metrica, forse quello che suggerisce Castillejo è un
giusto mezzo; si utilizzare nuovi metri ma non dimenticare il caudal, il patrimonio della poesia
classica spagnola, come ci suggerisce con questa sfilata di grandi poeti che hanno reso grande la
poesia spagnola.
FRAY LUIS DE LEÓN
Nasce nel 1527 a Belmonte in provincia di Cuenca e la morte avvenne nel 1591 a Madrid, a Madrigal
de las Altas Torres. E’ un frate, un teologo spagnolo, umanista, poeta, un traduttore (ha tradotto odi
veneziane, la poesia virgiliana e non solo) ed è stato un religioso dell’ordine degli agostiniani,
professore presso università di Salamanca dove si era formato, ricordiamo un episodio che segnò non
solo la sua biografia, ma la storia culturale della Spagna dell’epoca.
La Santa Inquisizione processa e imprigiona Fray Luis de León, a seguito di pesanti accuse di eresia,
da cui poi sarebbe stato scagionato pienamente.
Quali erano le accuse principali che gli venivano rivolte? Una delle accuse principali era quella di
aver tradotto in castillano il canto dei cantici e il libro di Giobbe, le traduzioni in volgare della Bibbia
erano assolutamente vietate, erano consentite solo le parafrasi, non solo, venne anche accusato di aver
sostenuto che la traduzione ebraica non aveva alterato il testo originario della Bibbia e che dunque,
aveva preferito il testo ebraico dell’antico testamento alla versione latina.
Venne poi scagionato, ma gli anni in carcere lo segnarono e l’università di Salamanca si spaccò
davanti a questo processo in cui fu imputato. Le sue opere vengono pubblicate vari decenni dopo, non
era opportuna la pubblicazione in vita, non era più in vita, sarà un altro, ossia Don Francisco de
Quevedo a pubblicare nel 1631 la poesia di Fray Luis de León, che era già morto.

Lo ricordiamo come uno dei più massimi esponenti della letteratura ascetica, uno dei più importanti
poeti della seconda fase del rinascimento spagnolo.

Che cos’è l’ascesi? È una parola che viene dal greco aschesis (dal verbo ascheo) che significa
esercitare; l’ascesi è un esercizio spirituale, che mira a raggiungere una perfetta comunione con Dio.
Azione interiore rivolta all’acquisto della perfezione e dell’ascensione verso Dio mediante l’esercizio
continuo delle virtù, la preghiera, meditazione e graduale distacco dal mondo.

Il graduale distacco dal mondo sarà uno degli elementi essenziali della poesia di Fray Luis. Per
raggiungere questa comunione con Dio tanto desiderata dagli Asceti, è necessario allontanarsi da
quello che viene chiamato il Mundanal Ruido= ruido è il rumore, mondano. La vita quotidiana è una
vita all’insegna di un chiacchiericcio confuso, rumori costanti che impediscono la meditazione, la
preghiera che è strumento per ascendere a Dio. È uno degli strumenti, l’altro strumento è il vivere
una vita retirada, ritirata, ossia solitaria.
Una scelta ben precisa quella di Fray Luis De León che condanna, senza mezzi termini, quelli che lui
considera falsi valori. In primis: il denaro, il successo, il potere. Gli uomini, che sembrano aver
dimenticato che l’esperienza sulla terra è qualcosa di passeggero, la vera vita comincia nell’aldilà, si
affannano inseguendo dei beni che sono vuoti, falsi valori; sono quelli a cui si ispira la maggior parte
degli esseri umani ma lui vuole distinguersi da questa massa, vuole separarsi da questa confusione,
vuole vivere una vita all’insegna della solitudine, del silenzio, della preghiere, della comunione con
Dio attraverso una natura che ha le caratteristiche del locus amenus.
Troveremo echi della poesia di Garcilaso nella sua poesia, ma il primissimo omaggio Fray Luis De
León lo rende tramite la sua scelta metrica: è una lira (Garcilaso, Cancion V, Ode a de flor de Gnidi).

L’intera vida ritirada, come anche noche serena (seconda ode) sono odi composte in lire.
La lira è strofa di 5 versi che prevede un’alternanza di endecasillabi e settenari. Vida retirada è
composta in lire (definizioni da dare per bene).
VIDA RETIRATA
¡Qué descansada vida
la del que huye el mundanal rüido,
y sigue la escondida
senda, por donde han ido
los pocos sabios que en el mundo han sido!
La vita di colui che fugge il rumore mondano è una vita riposata, all’insegna del riposo, è la vita di
colui che segue il sentiero nascosto. Il sentiero che porta alla vita retirada è nascosto che pochi conoscono e
percorrono. Qui Fray Luis de Leon ci dà l’idea di una via stretta, un sentiero percorso da pochi saggi che
sono vissuti in questo mondo.

Que no le enturbia el pecho


de los soberbios grandes el estado,
ni del dorado techo
se admira, fabricado
del sabio moro, en jaspes sustentado.
A chi non turba il petto? A chi non sente il mundanal ruido. Non gli turbi il petto, dallo stato dei potenti
superbi che hanno il potere, né si scompone ammirando case suntuose (tetti dorati). Le case fabbricate
dagli esperti architetti arabi, in marmi screziati. Tutto questo non lo impressione , perche lui cerca altro nella
vitaàsempre colui che fuggeànon è impressionato dallo sfarzo.

No cura si la Fama
canta con voz su nombre pregonera,
ni cura si encarama
a lengua lisonjera
lo que condena la verdad sincera.
Il vero saggio non si preocupa delle fama, non gli importano le lodi, soprattutto se sono false, se sono cantate
da adulatori (pregonera), non si preoccupa se la lingua adulatrice tesse le sue lodi, gli adulatori non sono
sinceri, il vero saggio preferisce la realtà/la verità. PREGONERA= UN EMPLEADO PUBLICO CHE
ANNUNCIA UN BANDO, IL BANDITORE

¿Qué presta a mi contento,


si soy del vano dedo señalado;
si en busca deste viento
ando desalentado
con ansias vivas, con mortal cuidado?
Cosa importa allá mia felicità se sono indicato da un vano vento (se mi indica qualcuno che per me non ha
valore) se io vado in affanno cercando questo vento, preso dall’ansia, preoccupazioni mortali. Al vero saggio
non importa il consenso altrui, non importa un applauso da persone in generale, non importa fatto da persone
che il vero saggio non stima. Non mi perdo dietro le opinioni degli altri. Sono versi di un’attualità
straordinaria, se pensiamo ai giorni d’oggi, dove le persone cercano consensi e fanno cose inaudite per
ottenerli

¡Oh monte, oh fuente, oh río!


¡Oh, secreto seguro, deleitoso!
Roto casi el navío,
a vuestro alto reposo
huyo de aqueste mar tempestuoso.
Fray Luis è uno di questi saggi che sono riusciti a scovarlo quel sentiero nascosto, il vero saggio cerca la
natura, isolarsi in una natura accogliente, monti, fonti, fiume! Rifugio segreto e piacevole! La vita dunque è
vista come un viaggio in un mare in tempesta e in questo mare in tempesta Fray intravede un porto sicuro,
quando la sua barca è quasi distrutta dalle onde, lui fugge cercando rifugio in mezzo a questo tipo di natura
(monte, fuente, rio)
Le primissime lire cantano di el que huye el mundanal ruido ma poi le persone verbali passano ad
essere la prima persona verbale Yo, proprio perché lui si considera uno di questi pochi saggi che
cerca una vita solitaria.

Un no rompido sueño,
un día puro, alegre, libre quiero ;
no quiero ver el ceño
vanamente severo
de a quien la sangre ensalza o el dinero.
Io, voglio dormire un sonno non interrotto, voglio dormire bene la notte, non voglio svegliarmi preso da
timori e ansie, totalmente vane. Voglio un giorno puro, allegro, libero, non voglio vedere la faccia accigliata
inutilmente severa di una persona che la sangre o il dinero ensalza.
Ensalzar: innalzare, collocare in una posizione di potere. La sangre si riferisce alle origini nobili,
solo perché una persona ha sangue blu, si può sentire in diritto di giudicare gli altri, di guardarli accigliato, o
anche chi ha i soldi. A me non interessa il giudizio o la critica di chi ha il potere, o perché gli deriva dalla
nascita familiare o perché gli deriva dai soldi, dal patrimonio, NON MI CURO DI QUESTE PERSONE.

Despiértenme las aves


con su cantar sabroso, no aprendido;
no los cuidados graves
de que es siempre seguido
el que al ajeno arbitrio está atenido.
Che mi svegliano gli uccellini, io mi voglio con il canto degli uccellini, un canto innaturale, appreso
naturalmente, non mi voglio svegliare per preoccupazioni gravi che sono quelle di chi dipende dal giudizio
altrui, un giudizio arbitrario; il mio benessere non deve dipendere da uno sguardo accigliato, dalla critica di
una persona che non stimo. Voglio vivere sereno, voglio vivere felice.

Vivir quiero conmigo,


gozar quiero del bien que debo al cielo,
a solas, sin testigo,
libre de amor, de celo,
de odio, de esperanzas, de recelo.
Voglio vivere con me stesso la vita solitaria, lontana dal mundanal ruido. Voglio vivere con il cuore leggero,
godere del bene che devo al cielo, senza testimoni, libero dall’amore, dalla gelosia, dall’odio, dalle speranze,
dalla diffidenza. Non voglio vivere turbato dalle passioni, voglio vivere.

Del monte en la ladera


por mi mano plantado tengo un huerto,
que con la primavera,
de bella flor cubierto,
ya muestra en esperanza el fruto cierto.
Una fonte di gioia per lui è l’orto, che io stesso ho piantato sul pendio del monte, e che in primavera, coperto
di bei fiori, già mostra le prime avvisaglie dei frutti in primavera. Quella è una
fonte di gioia per me.
Y como codiciosa
por ver y acrecentar su hermosura,
desde la cumbre airosa
una fontana pura
hasta llegar corriendo se apresura.
Altro motivo di gioia: vedere il corso dell’acqua pura e fresca divina, che sgorga dalla vetta e si affretta
correndo, ansiosa di veder accrescere la sua bellezza

Y luego, sosegada,
el paso entre los árboles torciendo,
el suelo de pasada
de verdura vistiendo
y con diversas flores va esparciendo.
E sparge fiori che crescono proprio lungo il percorso di questo corso d’acqua che innaffia i prati,
torcendo il suo cammino tra gli alberi.

El aire el huerto orea


y ofrece mil olores al sentido,
los árboles menea
con un manso rüido,
que del oro y del cetro pone olvido
L’aria rinfresca l’orto e offre ai sensi mille odori, fa muovere gli alberi. Se nella Canzone III, il manso
ruido era del fiume Danubio, qui invece è il suono soave che fanno i rami degli alberi mossi dal vento e
tutto ciò, ci dice, fa dimenticare l’oro e lo scettro.
Manso ruido: già trovato in Garcilaso, nella Canzone III, composta nella prima fase dell’esilio sull’isola del
Danubio.

Non c’è niente di più bello che contemplare questa natura che sboccia alla vita e tutti i sensi godono di
questo locus amenus: arrivano gli odori portati dalla brezza, sbocciano i fiori nei prati, si sente il manso ruido
dei rami = luogo di pace e armonia.

Ténganse su tesoro
los que de un flaco leño se confían;
no es mío ver el lloro
de los que desconfían
cuando el cierzo y el ábrego porfían
Che si tengano il loro tesoro, coloro che di fragile legno (secondo lui vita = viaggio in mare in tempesta)
e quindi quelli che viaggiano su una barca fragile, quella fragilità è la stessa dei falsi valori che
inseguono quelle persone. Se si vide una vita all’insegna del potere, il successo, la ricchezza si viaggia
su una nave fragile destinata a far naufragio; si tengano pure il loro tesoro.
Cierzo e abrego sono due venti: tramontana e il libeccio. Quando cominciano a soffiare forte questi venti
(nella metafora del viaggio in mare), quando si cominciano a vivere momenti difficili, si conoscono
avversità, queste persone si rendono conto che stanno viaggiando su una barca poco sicura e che
probabilmente affonderanno (tutto in chiave metaforica). E io non mi rallegro nel vedere il loro pianto.

La combatida antena
cruje, y en ciega noche el claro día
se torna; al cielo suena
confusa vocería,
y la mar enriquecen a porfía.
Il chiaro giorno diventa notte, è cieco perché non ci sono luci e la combatida antena (albero della nave nella
metafora) scricchiola perché è tutto debole e fragile su questa nave su cui viaggiano queste persone che
inseguono falsi valori. La combatida antena (antenna) è combattuta dai venti che soffiano violenti. Si
cominciano a sentire voci confuse, delle persone che temono di morire annegate, travolte dai frutti e
queste persone, che hanno caricato la loro nave fragile con tesori materiali, fanno a gare a buttarle
quelle ricchezze a mare per liberarsi della zavorra. Solo quando sono in pericolo di vita si rendono conto
che quei tesori che si erano affannati tanto ad accumulare sono una zavorra, un peso inutile e se ne liberano
cercando di salvarsi. Questi sono coloro che inseguono ricchezza, successo, potere, il consenso altrui.

A mí una pobrecilla
mesa, de amable paz bien abastada
me baste; y la vajilla
de fino oro labrada
sea de quien la mar no teme airada.
A me basti una tavola povera, apparecchiata solo della pace e le stoviglie con decorazioni d’oro, ricche,
decorate e lavorate siano di chi non teme il mare in tempesta. Io mi accontento di poco, la felicità è nelle
piccole cose: un orto, locus amenus, bellezza della natura.

Y mientras miserable- Si spezza la parola, ma scelta


mente se están los otros abrasando precisa.
con sed insacïable
del no durable mando,
tendido yo a la sombra esté cantando.
E mentre gli altri si stanno bruciando con la sete insaziabile di un potere che non dura. L’ansia di
potere è insaziabile, come l’ansia da ricchezza, chi più ha, più vuole avere, chi più potere detiene, più
potere vuole avere; è una sete che non si riuscirà mai a saziare e che provoca sofferenza. Proprio
perché non si riesce mai ad appagare questo desiderio, genera sofferenza, quel potere non è durabile,
non dura. Gli altri si perdono inseguendo questi vani valori, io glieli lascio, mentre loro si affannano, si
uccidono tra di loro e lottano per il potere, possa io stare all’ombra disteso cantando.

A la sombra tendido,
de yedra y lauro eterno coronado,
puesto el atento oído
al son dulce, acordado,
del plectro sabiamente meneado.
Steso all’ombra, coronato di edera e all’oro eterno; con l’edera erano coronati i dottori, con l’alloro i poeti.
Lui si immagina come scena che riassume i principi di questa vita solitaria, immagina se stesso disteso
sull’erba, con le orecchie ben aperte pronte a captare il suono dolce di quel plettro che altro non è che la
mano di Dio, quella di cui gode Fray Luiz de León è l’armonia del mondo e quell’armonia del mondo è
prodotta dalla sapiente mano di Dio.

Questo è l’ideale di vita solitaria cantato da lui in questa ode, di una vita lontana dalla folla che si
affanna, insegue il potere, litiga per avere successo, denaro, senza rendersi conto che sono beni che
passeranno e non si rendono nemmeno conto che più si caricano di ricchezze, più la loro nave
affonda, la loro vita è messa a repentaglio, quello che dovrebbe essere il bene più prezioso degli
esseri umani. Sprecano la vita inseguendo questi valori fallacei e vani beni.
Noche serena è stata composta durante la prigionia, sulla scia della commemorazione di una notte
con il cielo stellato, dedicato ad un amico.

NOCHE SERENA. Questi pensieri scaturiscono dalla contemplazione di un cielo


A DIEGO LOARTE. adornato di innumerevoli stelle, una notte stellata, serena, quando
Cuando contemplo el cielo non ci sono le nuvole è possibile ammirare la luce delle stelle.
de innumerables luces adornado,
Non si limita a contemplare la notte stellata, perché lo sguardo va
y miro hacia el suelo immediatamente dal firmamento verso terra e quel suolo è
de noche rodeado, circondato dalla notte, dalle tenebre, il cielo questa notte è
en sueño y en olvido sepultado, illuminato dalle stelle e il suolo è immerso nelle tenebre, sepolto
nel sonno e nell’oblio.
el amor y la pena
despiertan en mi pecho un ansia ardiente; Si mescolano nel suo cuore due sentimenti contrastanti, prova al
despiden larga vena contempo amore e pena. L’amore nasce per la natura, e per dio
(che ha creato tutto e gli permette di osservare tanta bellezza), a
los ojos hechos fuente;
questo amore si unisce la pena e questa fa si che gli occhi
Loarte y digo al fin con voz doliente: piangano, sgorgano lacrime dai suoi occhi e alla fine Loarte
(l’amico a cui è dedicata) dico con voce dolente:
«Morada de grandeza,
templo de claridad y hermosura, dimora di grandezza, tempio di luce e bellezza (contempla il
el alma, que a tu alteza cielo), alla nascita l’anima era alla tua altezza, e allora quale
nació, ¿qué desventura sventura la tiene prigioniera in un questo carcere oscuro? L’anima
la tiene en esta cárcel baja, escura? è prigioniera del corpo. L’anima (fatta a immagina e somiglianza
con dio) è imprigionata nel corpo, una prigione oscura.
¿Qué mortal desatino Quale follia mortale allontana così la ragione dalla verità? Così che
de la verdad aleja así el sentido, segue l’ombra in bene finito, dimenticato del tuo bene divino.
que, de tu bien divino
olvidado, perdido L’uomo è consegnato al sonno, che è anche il sonno della ragione, non
sigue la vana sombra, el bien fingido? preoccupandosi del suo destino non si rende conto che il cielo, girando,
gli va rubando le ore di vita.
El hombre está entregado
La vita passa, il tempo scorre e non ci rendiamo conto che stiamo
al sueño, de su suerte no cuidando; sprecando il nostro tempo, come lo si spreca?
y, con paso callado, Inseguendo ombre vane, valori che non sono sinceri e profondi, per
el cielo, vueltas dando, questo gli uomini, tranne quei pochi saggi che hanno trovato la
las horas del vivir le va hurtando. escondida senda, vivono in un perenne sonno, nel sonno della ragione;
tanto è vero che Fray Luis li invita a svegliarsi.
¡Oh, despertad, mortales!
Mirad con atención en vuestro daño. Svegliatevi esseri umani mortali e guardate che vi state facendo
del male con questo vostro modo di vivere! Le anime immortali,
Las almas inmortales,
fatte a immagine e somiglianza di un bene tanto grande, di Dio,
hechas a bien tamaño, potranno vivere di ombra e inganno?
¿podrán vivir de sombra y de engaño?
Sollevate lo sguardo a questa sfera celeste eterna (perché la
¡Ay, levantad los ojos contrapposizione è tra i vani beni effimeri e l’eternità del cielo)
aquesta celestial eterna esfera! L’aspirazione di Fray è quella di elevarsi al cielo, a Dio, arrivare ad
burlaréis los antojos una piena comunione con la sfera celeste, per realizzare questo
de aquesa lisonjera occorre un progressivo distacco dai beni terreni e si raggiunge
vida, con cuanto teme y cuanto espera. tramite esercizio spirituale, sono in questo modo si possono mettere
da parte los antojos: i paraocchi ai cavalli per guardare sempre
avanti (gli umani che inseguono beni vani è come se indossassero
dei paraocchi) che impediscono
loro di guardarsi intorno e capire quanto sia sbagliato il loro
percorso di vita.
Si chiede Fray Luis de León, questa nostra terra dove noi ci
affanniamo per cose inutili, perché passeggere, questa terra non è
altro che un minuscolo punto, non è forse vero se compariamo questo
piccolo puntino con questo grande trasunto (copia, immagine,
¿Es más que un breve punto modello), questo cielo è immagine del suo creatore, una fedele
el bajo y torpe suelo, comparado immagine di colui che l’ha creato quel firmamento e racchiude in sé
con ese gran trasunto, le tre strade (presente, passata, futura) esattamente come ci aveva
do vive mejorado raccontato anche Garcilaso con Bernaldino nella sua Elegia I il quale
lo que es, lo que será, lo que ha pasado? contempla il posto che è assegnato a suo fratello.

Quien mira el gran concierto


de aquestos resplandores eternales, In queste lire fa una carrellata delle sfere celesti: luna, Mercurio,
su movimiento cierto Venere, Marte, Giove, Saturno fino ad arrivare cielo delle stelle
fisse.
sus pasos desiguales
Esto resplandores eternales: da un idea di eternità, mortale che
y en proporción concorde tan iguales; contempla l’armonia di queste luci eterne e più in particolare che
contempla la Luna.
la luna cómo mueve
la plateada rueda, y va en pos della La Luna, primo pianeta descritto, con la sua circonferenza
la luz do el saber llueve, argentata. Secondo pianeta che va dietro di lei, la stella da
y la graciosa estrella quale piove il sapere ossia Mercurio. Poi ancora la graziosa
de amor la sigue reluciente y bella; stella d’amore, che è Venere, che segue bella e lucente.
Poi dopo Venere, Marte airado, che ci ricorda che lo abbiamo
y cómo otro camino trovato in due componimenti: Canzone V, Ode a flor Gnidi e un
prosigue el sanguinoso Marte airado, altro. Dopo Marte, Giove che rasserena il cielo con il suo
y el Júpiter benino, raggio amato.
Poi abbiamo Saturno; finita questa carrellata delle sfere
de bienes mil cercado,
celesti dice: chi è colui che questo contempla e dà giusto
serena el cielo con su rayo amado; valore alla bassezza della terra (si rende conto che la terra è
baja e torpe, non la sopravvaluta)?
-rodéase en la cumbre Contemplando il cielo e il firmamento si può capire quanto sia
Saturno, padre de los siglos de oro; povera, turpe, bassa la terra.
tras él la muchedumbre Chi può fare questo (contemplare) senza gemere e sospirare.
del reluciente coro Chi contempla il cielo non può non desiderare di liberarsi
su luz va repartiendo y su tesoro-: dalla prigione del corpo per ritornare ad una perfetta comunione
con Dio, il suo creatore, perché quel corpo, che è una zavorra,
¿quién es el que esto mira che ci lega a questa terra caduca, effimera con falsi valori.
y precia la bajeza de la tierra, Quella prigione esilia l’anima da quelli che sono i veri beni, il
y no gime y suspira corpo ci tiene legati alla terra ma la felicità è nell’aldilà, ci
dobbiamo elevare al cielo e a dio per raggiungere la vera felicità.
y rompe lo que encierra
el alma y destos bienes la destierra?
Aquí vive el contento,
aquí reina la paz; aquí, asentado
en rico y alto asiento,
está el Amor sagrado,
de glorias y deleites rodeado.

Inmensa hermosura
aquí se muestra toda, y resplandece
clarísima luz pura,
que jamás anochece;
eterna primavera aquí florece.

Ripetizione (anáfora di AQUÍ)à Questo Aqui si riferisce al cielo. Il cielo è un rimando al Paradiso,
all’aldilà dei giusti, dove anche l’anima si riunirà con dio. In queste lire finali abbiamo un
capovolgimento della prospettiva: eravamo partiti dalla terra oscura, avvolta dalle tenebre. La
contemplazione parte dalla terra con lo sguardo rivolto verso l’alto, ma quando si compie l’ascesi,
questo esercizio spirituale e si arriva ad una simbiosi con dio, allora il poeta capovolge il suo punto
di vista, la preghiera lo ha portato ad ascendere in alto e allora è dall’alto che dall’alto che in questi
versi finali contempla la terra. Qui, il che ci fa capire che il poeta l’ha raggiunta questa meta, qui,
vive la felicità e il contento, qui regna la pace, qui siede l’amore sacro circondato da glorie e
piaceri. Un’immensa bellezza si mostra qui, nella sua interezza e risplende una chiarissima
luce pura che non tramonta mai perché eterna. La luce del paradiso è eterna, come eterna è la
primavera che fiorisce qui nel cielo.

¡Oh campos verdaderos!


¡Oh prados con verdad frescos y amenos!
¡Riquísimos mineros!
¡Oh deleitosos senos!
¡Repuestos valles, de mil bienes llenos!»

Con questo cambio di prospettiva possiamo capire la lira finale:


In questo capovolgimento di prospettiva i veri campi fioriti sono in cielo, perché il cielo è
come se fosse un prato punteggiato di fiori. Cosa sono i fiori di questo prato celeste nella sua
metafora?
Le stelle, ciò che punteggia il cielo sono le stelle, ma nella metafora di noche serena è come
se fossero i fiori che illuminano questo verdadero campo.
I prati freschi e ameni, di ricchissime sorgenti, valli recondite piene di mille beni.
Si parte con la contemplazione del cielo adornato da innumerevoli luci, lo sguardo passa poi
al solo, rodeado de noche, sepolto in un sonno profondo, che non è solo il sonno delle ore
notturne, è un sonno della ragione anche, perché gli esseri mortali sembrano che abbiano
dimenticato chi è il loro creatore e a cosa devono aspirare, perché inseguono quei beni fallacei
che ci ha descritto nella precedente Ode.
Fray preferisce stare disteso ad ascoltare i suoni della natura, come se fosse una musica
che dobbiamo alla sapiente mano di dio, che suona questo strumento accordato. Quel prato
sulla quale si distende in vida ritirada, qui in noche serena, si trasforma in un cielo
celeste, costellato di stelle che è lo strumento per fare una riflessione sui valori della vita,
sulla massima aspirazione che dovrebbe guidare la condotta di ogni uomo e finalmente
al capovolgimento di prospettiva.
LA PROPALLADIA E LA PRECETTISTICA TEATRALE DEL 500.
PROPALLADIA DI TORRES DE NAHARRO.
FRONTESPIZIO.
Studieremo due testi di precettistica teatrale: uno del 500 e poi El arte nuevo de hacer
comedias de Lope de Vega, tra i due un secolo di tempo li separa perché la prima
edizione chiamata PRINCEPS della Propalladia ebbe una discreta fortuna iniziale,
poi stroncata in seguito dalla Inquisizione. La prima edizione risale al 1517.

Nel colophon dell’opera in greco


vediamo un’annotazione finale dove si
indica il nome dello stampatore, il
luogo di stampa e la data.

“Estampada en Napoles, da Sallo


(figura nebulosa non si sa bene se sia
una grafia di Salò, ancora non
costruita bene storia editoriale).
Importante anno e città. Junto a la
anunciada con toda la diligencia y la
advertencia posibles y caso que alcun
yerro o falta se hallare (nel
caso si trovi qualche errore di stampa)
por ser nuevo en la lengua ya le podria
viar con el de alguna misericordia.
Napoli, in quell’anno, faceva parte dei
possedimenti della corona spagnola,
non era qualcosa di straordinario
che si stampassero testi in lingua
spagnola, ma questo fu il primo ed era
comunque una sfida nuova per gli
stampatori locali stampare in spagnolo
e perciò dice che in una opera lunga
come questa possano verificarsi errori
di stampa.
Ababose: se acabò jueves 16 de
Marzo, 1517. E’ la data edizione
principe della Propalladia, stampata
con grazia papale e privilegio reale.

Piccolo componiment che l’autore rivolge ai lettori.


Torres Naharro, uno della vecchia scuola castigliana
che guardano male Garcilaso e Boscán.
IL CONTENUTO.
Il contenuto è distribuito nel frontespizio su 3
colonne:
Al blocco di sinistra 3 lamentaciones de amor,
una satira, once capítulos (non capitoli che
immaginiamo, componimento poetico derivato
nella forma metrica per imitazione o per
parodia dalla terzina dantesca) e 7 epistole
nella prima.
Al blocco centrale: comedia seraphina,
comedia Trophea, comedia Soldadesca,
comedia Tinellaria, comedia ymenea, comedia
Jacinta, dialogo del Nacimiento (commedie).
Al blocco di destra:
una contemplación, una exclamación, al bierro
de la lanza, a la Veronica, retracto, romances,
canciones, sonetos (testi poetici come anche la
prima colonna, tutti in versi).

Altro frontespizio. La data qui risale al 1573,


ossia la data in cui risale la prima edizione delle
opere di Cristobal de Castillejo, di cui abbiamo
detto che era una edizione espurgata da parte di
Juan Lopez de Velasco. In quell’anno, 1573,
Velasco lavorò su tre opere: Lazarillo de
Tormes, la Propalladia e le opere di Castillejo.
Il titolo è stato modificato in Propaladia con una
I.
La propaladia e il lazarillo videro la luce in uno
stesso volume, poi ci fu altro volume per le
opere di Castillejo, il censore fu sempre lo
stesso.
Todo corregido y emendado, por mandado de
consejo de la Santa y General Inquisition.
Questo è il frontespizio dell’edizione
espurgata. Madrid, 1573.
Preliminari legali di questo testo.

Yo, Juan Gallo de Andrada, secretario de


consejo…
Doy fe que visto por los señores del consejo de su
Majestad, cierto auto proido… por la qual alcaron
la pohibicion.

Rimossero il divieto che era posto (non si


potevano leggere propalladia, lazarillo e opere di
castillejo).
Divieto cancellato perché è stata realizzata questa
opera espurgata. Cita poi: A privilegio de Juan
Lopes de Velasco, e poi tutte le prescrizioni del
caso.
Testo al lettore che scrive Lopez de Velasco:
Questa breve lettera da l’occasione di lodare i testi che lui è andato ad espurgare
dicendo che sono testi eccellenti sul piano linguistico, conservarono, rispettarono la
proprietà e purezza della lingua castillana questi autori (l’anonimo autore del Lazarillo,
Bartolome de Torres Naharro come anche Cristobal de Castillejo). Le loro opere
meritano di essere apprezzate e di fatto le persone dotte hanno un alta opinione di questi
testi.
QUESTA È LA PREMESSA.
Le opere di Castillejo non erano mai state stampate (solo qualche piccolo breve testo
aveva visto la luce nelle officine tipografiche spagnole, ma il grosso era inedito),
queste opere rischiavano di perdersi o semmai si fossero date alla luce di proibirsi per
parte del loro contenuto (versi osceni, nei confronti chiesa ecc.). Il suo caso diverso
dagli altri due.
L’opera di Castillejo non vede mai luce, la Propalladia si che era stata stampata, dalla
prima edizione ne erano seguite altre perché aveva avuto un grande successo, un
grande successo che si interruppe nel 1559. In quell’anno viene stampato in Spagna
l’Indice di libri Proibiti, un elenco di testi di cui si vieta la lettura e la stampa in
possesso. Gli stampatori non erano autorizzati a stampare il testo, né i librai potevano
vendere e i lettori non potevano leggerli. Finiscono all’indice la Propalladia, il
Lazarillo de Tormes nel 1559, questo determina uno stop alle ristampe. I testi di
Castillejo circolavano in mani corrotte, che se mai si fossero date alle stampe
sarebbero state messe all’indice. Gli altri due già messi alle stampe, il Lazarillo venne
ristampato anche dopo essere finito nell’indice. Si sviava questo problema con le
edizioni “pirata”.

Il Colophon deve contenere data, luogo di stampa, indirizzo dello stampatore e si


capiva così chi violava un divieto del genere. Per aggirare l’ostacolo o non si metteva
il Colophon o si metteva false coordinate tipografiche (es. si inventavano città).
Lopez de Velasco osserva che nonostante la proibizione il testo si stampava in regni
stranieri: prese piede la pratica di pubblicare testi più scomodi per il governo
spagnolo nelle Fiandre, dove era più difficile esercitare un controllo stringente su
quegli stampatori. E allora lui si arrende davanti all’evidenza, sono stati proibiti
eppure si continuano a stampare e allora considerato che sono capolavori e che c’è
modo di aggirare la censura, ho deciso che tanto vale stamparli anche in Spagna però
in versione espurgata.
I lettori li cercano? Glieli diamo, ma ripuliti (limpiados).
Per fare in modo che gli abitanti della nostra patria spagnola non siano privati della
lettura piacevole di queste opere, e allora si sono riformate e ripulite, castigate.
Lui fa operazione di recupero e di “pulizia” dei testi, è lui che usa il verbo limpiar; la
portata dell’intervento è variabile (frasi, parole, interi capitoli…).

Io preferisco dare questi testi ai lettori seppur castigati, così avranno l’opportunità di
leggere questi capolavori dal punto di vista linguistico e non si correrà più il rischio e
incorrano in divieti. Considera di aver reso un servizio pubblico.
Negli indici dei libri proibiti successivi, perché quello di Valdez fu il primo indice
propriamente spagnolo che si pubblicò, dopo quello ricordiamo ancora nel 500, gli
indici di Quiroga (sempre ricordati con il nome dell’inquisitore generale), promosse
questo nuovo indice che, fu in realtà un doppio indice, a differenza di Valdez con
solo la lista dei libri proibiti, quello di Quiroga era doppio perché aveva una lista di
libri totalmente proibiti e una lista di libri da espurgare, dove si diceva questo testo si
può leggere ma sopprimendo qualcosa.
Nell’indice di Quiroga vengono messi il Lazarillo e la Propalladia, dicendo che si
possono leggere, ma solo le edizioni a partire da quella del 1573 e le loro ristampe, si
proibiscono tutte le edizioni anteriori al 1573 e questa proibizione rimane negli anni.
Se andiamo a confrontare l’edizione principe del ’17 con il testo del ’73 di Velasco
non coincidono perché ci sono intere parti di testo rifatte (più semplice nella prosa,
ma nella poesia bisogna rispettare regole metriche quindi molto più complicato).
Lopez de Velasco in tutti i casi in cui interviene riscrive parte della strofa perché deve
completare.
LA VIDA DE BARTOLOME DE TORRES NAHARRO
De nacion fu español, nado en tierra Extremeña (Bada joz, città dell’Estremadura).
Piccola descrizione sull’uomo (hombre calaldo, considerado, muy dado a la virtud).
Navigando fu rapito dai mori e quindi fu prigioniero (i viaggi per mare erano pericolosi
nel Mediterraneo). Venne rapito, fu chiesto un riscatto e recuperò la libertà. Riscattato
venne a Roma, ai tempi di Leone X, il papa, compose molte cose belle. Nella Roma
papale ha creato molte delle sue opere. Era uomo dotto, conosceva bene il latino,
eppure preferì comporre in castillano.
Scelse di scriverli in castillano e creò dei capolavori che ancora oggi, sono da
considerare modelli linguistici, e in nome di quella perfezione linguistica Lopez de
Velasco riscatta questo testo.
Non sappiamo esattamente quando nacque, si ipotizza intorno al 1485, non sappiamo
bene la data di morte, si ipotizza 1530 è molto probabile che gli ultimi anni della sua
vita li trascorse in Spagna, ma gli anni più produttivi sul piano letterario sono anni
trascorsi in Italia tra Roma e Napoli.
Non è del tutto vero che compose la Propalladia a Napoli, è vero il contrario, è
probabile che la compose a Roma, scelse però di darla alle stampe a Napoli. Lo fece
nel marzo 1517.
SUMMARIZE.
Abbiamo visto come il blocco centrale, che consiste il grosso, la parte essenziale
della Propalladia, sono commedie. Ad esempio alcuni autori decidono di pubblicare
solo queste opere della colonna centrale. Ma ci sono anche edizioni integrali, si sta
lavorando anche ad una nuova edizione.
La propalladia contiene di generi diversi: abbiamo genere poetico e genere teatrale.
Nell’ambito del genere poetico abbiamo vari tipi di componimenti come epistole,
sonetti (alcuni di questi in italiano perché Naharro visse abbastanza in Italia da
dominare la lingua; è molto probabile sia vissuto anche a Valencia prima di trasferirsi
in Italia; se c’è una cosa che caratterizza questi suoi testi è il plurilinguismo, aveva
varie competenze linguistiche).
Noi definiamo la Propalladia un’opera miscellania, ossia insieme di testi di generi
diversi. E’ tutta in versi tranne il testo preliminare che è scritto in prosa.
Questo testo preliminare non è altro che il proemio dell’opera. In questo proemio
troviamo le prime nozioni di precettistica teatrale a livello europeo, stiamo parlando
del primo testo europeo di precettistica teatrale, sono poche indicazioni ma comunque
importantissime.
La Propalladia NON è un opera di precettistica teatrale, MA è una miscellania che
contiene diversi genere, insieme ad un proemio in prosa che contiene le prime
indicazioni di precettistica teatrale (poche).
Il testo di Lope, arte nuevo de hacer comedias, che risale a un secolo dopo la
Propalladia, quello si che è un intero testo di precettistica teatrale, dall’inizio alla
fine, come il titolo indica.
Da indicazioni su come comporre una commedia ai tempi di Lope, nel ‘600.
Nel frontespizio del 1517 contiamo 6 commedie, a queste nelle ristampe, si
aggiunsero altre due La Calamida e la Achillania, arrivando ad 8. Poi sarebbe
sopraggiunta la morte, alcune ristampe ancora successive alla morte e poi divieto nel
1559, fino alla stampa dell’edizione castigata. In totale Naharro compose e pubblicò
8 commedie.

Nel proemio presenta questa sua opera miscellania e la presenta con una interessante
metafora, quella del povero contadino che lavora la terra. Lui si presenta come un
povero contadinello, che sin da piccolo, si cimenta con il duro lavoro di coltivare la
terra, è un lavoro ingrato, esposto ad intemperie, che possono cancellare lavoro di
mesi e mesi. Questo povero contadinello, presenta le primizie del suo lavoro, le
presenta con grande gioia e buona volontà a amici e vicini, con umile intenzione.
Come un contadinello, che ha faticato tanto, si è rovinato le mani nel coltivare terra,
ma poi raccoglie soddisfatto i primi frutti, così Naharro presente ai lettori questa
povera opera, questa rustica opera.
Non lasciamoci ingannare dal topos della falsa modestia, non è né povera, né rustica,
tutt’altro e il fatto che non lo sia lo si capisce da citazioni classiche, in latino e le
massime autorità (Tullio, Cicerone, Orazio) che inserisce nel corso del suo proemio.
PROHEMIO DE LA PROPALLADIA.
El pobre labradorcillo, por su fatal estrella encaminado desde los pueriles años para el litigio y
largo contraste de la dura tierra y por el asiduo uso aplicando y convertiendo la dureza d'ella en
sus delgados cueros -empero si yo no me engaño- con tenerísima voluntad a los amigos y
convecinos presenta y hace liberal parte de la primera fruta de sus fatigas y arborcillos le nace,
cuya primera y humilde intención no es menos de agradecer que las soberbias mercedes de los
altos príncipes. No sé agora yo si quanta voluntad puede haber en una sana intención como es la
mía será bastante a hacer grata y aceptable a los discretos lectores esta mi pobre y rústica
composición, como sea esta obra de mis manos, toda mi vida siervo, ordinariamente pobre, y, lo
que peor es, ipse semipaganus etc.

Il contadinello presenta ai suoi amici e vicini le primizie del campo, i primi frutti queste
sue fatiche e li presenta con tenerisima voluntad, quindi con le migliori intenzioni ,
animo gentile, perché gli piace condividere il frutto del suo lavoro, quindi ha una umile
intenzione che nasce un desiderio sincero di condivisione. Naharro si sente come quel
povero contadinello che si è molto affaticato per vedere nascere e crescere i primi frutti
del suo ingegno e parla di una sana intención (humilde è quella del contadinello)
nell’offrire a los discretos lectores la sua povera e rustica opera. Vedremo poi (nel
secondo romanzo picaresco che studieremo) come l’autore fittizio o no (distinzione da
fare) offre il suo testo a due categorie di lettori: da un lato il volgo, e da un lato i
discretos lectores (da approfondire).
Nella prima parte di questo proemio in realtà Torres Naharro fa sfoggio del topos della
falsa modestia, perché è tutto fuorché rustica la composizione, lui la offre con queste
parole, la mette sullo stesso piano dei frutti della terra che il povero contadinello
presenta ad amici e vicini.
In risalto con grassetto tutti i termini che ci rimandano a questo topos di falsa modestia.

Yo, pues, soy perdido en este mi temerario viaje, si vuestra cortesía piadosamente no adoba lo que
mi ignorantia presuntuosamente gasta. En todo caso converná, como húmilmente os lo suplico,
[que] del bajo presente de mis primeras vigilias no hagáis caso y recibáis -como de los virtuosos
s'espera- la tierna y pura voluntad, pues que

Sempre per il topos di falsa modestia ci parla de su ignorantia, dell’umile dono dei
primi frutti (vigilias: si intende che ha dovuto passare più di una notte insonne per
comporre quei testi), io spero che questo mio dono, frutto di ignorantia sia arricchito
dalla vostra cortesia, voi discreti lettori che lo riceverete accoglietelo con cortesia.
hec facit ut veniat pauper quoque gratus ad aram et placeat ceso non minus agna bove.

Menos mal me ha parecido haceros yo por mis manos este presente de cosa conocidamente no
buena que esperar que por sus pies incorrecta y viciosamente a vuestra noticia veniese.
Mayormente que las másd'estas obrillas andaban fuera de mi obediencia y voluntad. Intitulelas
Propalladia, a prothon, quod est primum et pallade, id est, prime res palladis, a diferencia de las
que secundariamente y con más maduro estudio podrían suceder.
Insiste ancora sulla pochezza del suo regalo, parlando di cosa conocidamente no buena,
perché è evidente a tutti che non è un regalo eccelso questo suo dopo. Parlerà poi di
obrillas, operette, il diminutivo sminuisce l’opera. Non è un’affermazione inusuale per
quanto riguarda i prologhi, ovvero ad un certo punto gli autori preferiscono prendere
l’iniziativa e dare loro alle stampe un testo che rischia di circolare in versioni
manoscritte non conformi alla volontà dell’autore perché c’è grande interesse da parte
del pubblico per quel testo e si cerca di darne diffusione anche se in modo non
autorizzato, e allora ci dice Naharro ‘ho preferito anticiparmi, dare io alle stampe queste
mie operette, piuttosto che vederle arrivare in modo scorretto (vicioso), deformato, non
quello che io avrei autorizzato, mi anticipo a queste persone e li do io alle stampe’.
Lo specifica ancora dopo: soprattutto perché la maggior parte di queste operette erano
già in circolazione al di fuori della mia supervisione, senza il mio controllo e obbedire
a quella che era la mia volontà.
Poteva accadere, soprattutto per le commedie, quelle di Naharro venivano
rappresentate ed erano di grande successo e non era difficile realizzare una trascrizione
fatta anche in più riprese delle battute, il testonon poteva essere trascritto perfettamente
in linea, ma poteva circolare e si poteva anche dare alle stampe in edizioni non
autorizzate, abbiamo molti casi di questi genere, anche per la prosa (amici che si fanno
dare una copia e poi lo danno alle stampe senza che l’autore ne sia a conoscenza).

QUESTIONE DEL TITOLO


Unica parte latina da vedere e leggere*
Le ho intitolate Propalladia (le al plurale perché si riferisce alle obrillas), prothon,
parola greca (prototipo di una macchina è il primo modello di una macchina) e significa
primum, ossia prima.
Questa è la prima parte del titolo PRO da PROTHON (in latino equivale a primum),
poi c’è la seconda parte
del nome che è PALLADIA da PALLADE (come era chiamata Atena: la Pallade
Atena, dea della scienza e delle arti e cioè (id est) le prime cose di Pallade (res vuol
dire cosa in latino), ovvero, riprendendo la metafora del contadinello, i primi frutti del
mio ingegno. Questi sono i primi frutti del mio ingegno io voglio quindi distinguerli
da quelli che potranno venire più in là, quelli che comporrò con uno studio più maturo.
Appunto perché si usa la parola maturo, le primizie di solito sono di solito frutti acerbi,
poi quando io maturerò potrò offrire cose di più alto livello. In realtà la Propalladia è
il suo capolavoro e poco aggiungerà alla sua produzione, nelle stampe successive si
aggiungono due commedie, ma di fatto la quasi totalità della produzione di Naharro è
qui. È una pura esibizione di falsa modestia.
La orden del libro, pues que ha de ser pasto espiritual, me pareció que se debía ordenar a la usanza
de los corporales pastos, conviene a saber, dandoos por antepasto algunas cosillas breves como son
los capítulos, epístolas, etc. y por principal cibo las cosas de mayor subjecto como son las Comedias,
y por pospasto ansí mesmo algunas cosillas como veréis.

La disposizione del contenuto (l’ordine) e qua ci dice che questo testo deve essere come
un pasto, del cibo per lo spirito, cibo per la mente. E’ quello che offre e ritorna sempre
metafora iniziale (se sono i primi frutti, si rimanda a qualcosa di commestibile ma
commestibile per lo spirito, per la mente). Visto che deve essere pasto per lo spirito, io
ho pensato a una disposizione del testo come se fosse un vero e proprio menù. Vale a
dire, abbiamo un antepasto ossia l’antipasto, il piatto principale e il pospasto ossia il
dessert. Nella metaforal’antipasto sono cosillas breves, testi poetici brevi come i
capitoli, le epistole etc., piatto principale le cose di maggiore sostanza ovvero le
commedie e infine il dessert, altre cosillas, altri brevi testi poetici.
Il contenuto della Propalladia è appunto distribuito su tre colonne: il menù di un pasto
spirituale; ANTIPASTO nella colonna di sinistra, PRINCIPALE nella colonna centrale
e POSPASTO nella colonna di destra.

Cuanto a lo principal que son las Comedias pienso que debo daros cuenta de lo que cerca d'ellas me
parece no con presunción de maestro, mas solamente para serviros con mi parecer tanto que venga
otro mejor.

Visto che il piatto forte solo le commedie, Torres Naharro si sente in dovere di dare
qualche informazione appunto su cosa sono le commedie e come vanno scritte e dice
lui ‘non con presunzione di maestro, non ho la pretesa di indottrinare nessuno però
vorrei offrirvi il mio punto di vista’.
Il fatto che l’intero proemio è improntato ad un evidente falsa modestia (se ci mancava
ancora qualche prova) a dimostrazione che non è un rustico ingenio quello di Naharro,
nel paragrafo di dice una serie di citazioni dotte (non entriamo nel dettaglio). Quando
parla di Tullio, si riferisce a Cicerone. Passa in rassegna i classici, questo discorso lo
riprenderemo a proposito de El arte nuevo de hacer comedias, perché lo stesso Lope
de Vega, farà riferimento ai classici dicendoci però anche che per compiacere il
pubblico i precetti classici vanno presi, messi dentro un cassetto e buttare poi la chiave,
perché se si vuole comporre una commedia che rispetti in tutto e per tutto le volontà
aristoteliche è probabile che il pubblico si annoierà tremendamente il commediografo
vive del successo decretato dagli applausi del pubblico pagante.
Lo dirà lo stesso Lope de Vega che lui stesso conosce i classici, ce ne da prova, ma ‘me
li devo dimenticare e devo scrivere ciò che so che piace al pubblico’.
Ricorrerà una rima ‘justo/gusto’. Lo stesso Naharro li conosce bene i precetti classici
ma preferisce fornire la sua idea di commedia.
Comedia según los antiguos es “cevilis privatesque fortune sine periculo vite conprehensio” a
diferentia de tragedia que es “heroice fortune in adversis comprehensio”; y según Tulio comedia es
immitatio vite, speculum consuetudinis, imago veritatis; y según Acrón, poeta, ay seis géneros de
comedias, scilicet, stataria, pretexta, tabernaria, palliata, togata, motoria, y cuatro partes, scilicet,
prothesis, catastrophe,prologus, epithasis; y como Oratio quiere cinco actos, y, sobre todo, que sea
muy guardo el decoro, etc.
Todo lo cual me parece más largo de contar que necesario de oír.

Ed è da qui, che dopo aver preso in rassegna i classici voglio dire ora la mia opinione:

Quiero ora decir yo mi parecer pues el de los otros he dicho y digo ansí que comedia no es otra cosa
sino un artificio ingenioso de notables y finalmente alegres acontecimientos por personas disputado.
La división d'ella en cinco actos no solamente me parece buena pero mucho necesaria, aunque yo
les llamo “jornadas” porque más me parecen descansaderos que otra cosa, de donde la comedia
queda mejor entendida y recitada.
El número de las personas que se han de introducir es mi voto que no deben ser tan pocas que
parezca la fiesta sorda, ni tantas que engendren confusión, aunque en nuestra comedia Tinelaria se
introdujeron pasadas XX personas porque el subjecto d'ella no quiso menos, el honesto número me
parece que sea de VI hasta a XII personas. El decoro en las comedias es como el governalle en la
nao, el cual buen cómico siempre debe traer ante los ojos, es decoro una justa y decente continuación
de la materia, conviene a saber, dando a cada uno lo suyo, evitar cosas impropias, usar de todas las
legítimas de manera qu'el siervo no diga ni haga actos del señor et e converso; y el lugar triste
entristecello, y el alegre alegrallo con toda la advertentia, diligentia y modo posibles etc.
De dónde sea dicha comedia y por qué son tantas ìopiniones que es una confusión. Cuanto a los
géneros de comedias a mí parece que bastarían dos para en
nuestra lengua castellana: «comedia a noticia» y «comedia a fantasía». «A noticia» se entiende de
cosa nota y vista en realidad de verdad, como son Soldadesca y Tinellaria; «a fantasía», de cosa
fantástiga o fingida que tenga color de verdad aunque no lo sea, como son, Serafina, Himenea etc.
Partes de comedia ansí mesmo bastarían dos, scilicet, introito y argumento, y si más os pareciere
que deban ser ansí de lo uno como de lo otro, licentia se tienen para quitar y poner los discretos.

De converso=al contrario, viceversa.

Questa è la sua definizione di commedia: un artificio ingenioso. Gli acontencimientos sono gli
avvenimenti che avvengono che devono essere notables, che valga la pena da raccontare e
rappresentare e finalmente alegres. Nella commedia si possono anche trattare casi complessi,
ingarbugliati con toni all’apparenza drammatici ma c’è una cosa che deve contraddistinguere tutte
le commedie ovvero il lieto finale, devono finire bene le commedie. Sono fatti, eventi, situazioni
messe in scena da personaggi che devono interagire su un palcoscenico.
Come va architettata la trama? Innanzitutto Naharro ci parla di una suddivisione in 5 atti, non
solo buene ma molto necessaria, per lui necessaria; Lope de Vega proporrà una suddivisione in 3
atti. Piuttosto che chiamarli atti Naharro suggerisce di utilizzare un altro termine jornadas
(giornate), come se si trattasse di un viaggio in 5 tappe. Questa è una prima indicazione sul piano
teorico. La commedia deve avere un finale felice, per quanto possa complicarsi la trama, el
desenlace deve essere lieto. DESENLASE: troviamo la radice della parola laso (nodo),
scioglimento. Gli eventi vari che sono rappresentati all’interno di una commedia si intrecciano
tra di loro, creano un groviglio di nodi che bisogna scioglierli alla fine della commedia e
scioglierli felicemente. Il desenlace appunto la confusione, è lo scioglimento di tutti i nodi nella
trama che si sono presentati nel corso delle 5 giornate proposte da Torres Naharro.
PERSONAGGI.
Suggerisce di trovare un giusto mezzo: non devono essere tanto pochi (che si metta in scena una
festa spenta) e allo stesso tempo non devono nemmeno essere troppi o si genera caos, il pubblico
deve poter seguire la storia e si può perdere. Serve un giusto mezzo, anche se (fa subito ammenda)
lui è stato il primo a violare questa regola, ma aveva i suoi motivi. Lui ne ha messi tanti di
personaggi, perché si rappresenta un pasto in un vinello, e ci sono una gran quantità di servi che
mangiano e quindi c’è un via vai di molti servitori e entrano per vari motivi. Quindi visto il
contesto, ci sta come eccezione la sua. Di norma il numero onesto di personaggi deve oscillare
tra 6 e 12.

EL DECORO.
Punto essenziale che ritroveremo in Lope de Vega. Il decoro delle commedie è come il timone di
una nave, il timone va sempre tenuto d’occhio, così come il decoro. Il bravo commediografo non
lo può trascurare mai questo principio del decoro.
CHE COS’E’?
Ci dice che è evitare cose improprie, improprie del contesto e del profilo di ogni personaggio. Un
servo non può parlare, agire, vestire (è anche una questione di abbigliamento, un servo deve
vestire, parlare, agire, pensare come un servo) come invece un signore. Il servo faccia il servo, il
signore come un signore. Questa è la justa continuación de la materia, bisogna essere coerente
nella creazione dei personaggi e nel modo in cui agiscono sul palcoscenico. È un principio
fondamentale. Lope lo riprenderà, aggiungendo qualcosa per quanto riguarda i personaggi
femminili.

TIPI DI COMMEDIE.
Se vogliamo poi parlare di che tipi di commedie si possono immaginare, Naharro ne individua
due categorie:
1. COMEDIA A NOTICIA: sono basate su fatti reali (cosa nota y vista) e due esempi sono
le commedie Soldadesca e Tinellaria che parlano del mondo militare, perché si arruolano
soldati in vista di una campagna militare nella Soldadesca e c’è più di una sfilata di soldati
di provenienza geografica diversa e qui Naharro fa sfoggio delle sue molteplici
competenze linguistiche (il soldato italiano parla in italiano, quello valenciano parla in
valenciano e così via). Dunque fatti reali.
2. COMEDIA A FANTASIA: sono quelle commedie basate su fatti inventati (cosa
fantasticas) ma que tenga color de verdad, ossia che siano lo stesso verosimili. Devono
avere un aspetto di verità, anche se non si basano su fatti reali, devono essere verosibili
come ad esempio la Seraphina e Himenea.
Subito dopo distingue due parti della commedia:
1. INTROITO: il ‘prologo’, è una forzatura, non è proprio la parola ideale, ma nella
teorizzazione di Naharro sarebbe così. Tradizionalmente è affidato ad un pastore, ad un
contadino che dopo aver fatto accenno a qualche episodio della sua vita, spesso e volentieri
alla sua vita amorosa o addirittura alla sua vita sessuale, le sue imprese erotiche (non la a
caso gli introiti delle commedie sono tra i testi più colpiti dalla censura del nostro Lopez
de Velasco, che taglia molte espressioni colorite, perché sempre in virtù del principio del
decoro un contadino parla con termini grossolani e Velasco si sentirà in dovere di castigare
alcune di queste espressioni), passa poi a presentare la trama della commedia e quindi si
arriva al corpo e lo sviluppo della commedia stessa.
2. ARGUMENTO: sarebbe il ‘corpo’ della commedia (non definizioni più appropriate, ma
sono quelle che offre in questo proemio.
Ansí mesmo, hallarán en parte de la obra algunos vocablos italianos especialmente en las comedias,
de los cuales convino usar habiendo respecto al lugar y a las personas a quien se recitaron, algunos
d'ellos he quitado, otros he dejado andar, que no son para menoscabar nuestra lengua castellana
antes la hacen más copiosa.

Si sente in dovere di avvisare che nei testi, i discretos lectores troveranno alcuni termini e vocaboli
in italiano, a parte anche interi sonetti, lui si focalizza soprattutto sulle commedie e spiega perché
ha usato quelle parole italiane. Fu opportuno usarle queste parole italiane, quelle commedie prima
di essere date alle stampe furono rappresentare (addirittura davanti alla corte papale, davanti a
Leone X), quindi visto ilcontesto, visto che erano appunto rappresentate in Italia, davanti ad un
pubblico italiano, come omaggio in qualche modo a gli spettatori alla quale era offerto quello
spettacolo, Naharro ha inserito alcuni termini italiani, molti dei quali (come la Soldadesca) si
spiegavano per questioni di decoro (se si mette in scena un soldato italiano, in italiano dovrà
parlare per dare credibilità).
Dal momento del passaggio dalla rappresentazione scenica al testo stampato, Naharro ha avuto
qualche remora e ci racconta che alcuni di quei termini lo ha eliminato, altri però li ha lasciato,
considerando che per lui arricchiscono la lingua castillana e quindi non vanno giudicati
negativamente, non danneggiano il castillano.

Como quiera que sea, os suplico de lo que no he sabido usar me perdonéis, y de lo que a vuestro
propósito estoviere deis las gratias a Dios pues que:

Est Deus in nobis sunt et comercia coeli


sedibus aetheris spiritus ille venit

Citazione dotta finale a riprova del fatto che tutt’altro che rustico è l’ingegno del nostro Torres
Naharro.

FINE NAHARRO
FORME DELLA PROSA NARRATIVA CINQUECENTESCA.
GARCI RODRÍGUEZ DE MONTALVO, AMADÍS DE GAULA, ZARAGOZA,
JORGE COCI, 1508.

Frontespizio del capostipite del genere cavalleresco: los quatros


libros de virtuoso caballero Amadis de Gaula.

Trascrizione del capitolo I e XXXV e poi c’è un breve elenco con la


bibliografia dei libri cavallereschi e l’elenco dei libri stampati per
cronologia come prima edizione (prinches).
Garci Rodríguez de Montalvo, Medina del Campo (Valladolid),1450-1505.
Regidor de Medina del Campo y escribano de la tierra de los pueblos de su
entorno.

Garci Rodríguez de Montalvo fue refundidor del Amadís, ya que reelaboró las versiones anteriores
de esta obra y le añadió un cuarto libro. Además, es autor de las Sergas de Esplandián, que constituye
el quinto libro de la saga y que narra las aventuras de Esplandián, hijo primogénito de Amadís y de
la princesa Oriana.
El Amadís fue una de las más importantes novelas de caballería, que tuvo entre sus más ilustres
lectores a Carlos V, santa Teresa de Jesús, san Ignacio de Loyola, Lope de Vega o Miguel de
Cervantes, que la salvó de la quema de libros en el “donoso y grande escrutinio” del Quijote.

Refundidor: possiamo tradurlo in italiano come rimaneggiatore. Garci Rodríguez de Montalvo fu


il rimaneggiatore di Amadis perché eleborò le versioni anteriori di questa opera e ci aggiunse un
quarto libro, rimaneggiò i primi tre libri, che non erano farina del suo sacco, furono composti da
altri, e poi aggiunse un quarto. *non vanno definiti novelas de caballeria, bensì LIBROS DE
CABALLERIAS.
Amadis ebbe tra i suoi lettori Carlo V, ma anche Santa Teresa de Jesus, ci sono pagine della sua
autobiografia in cui parla della biblioteca di famiglia in cui ci sono questi libri, parla della madre
che era un’appassionata lettrice di quei testi e che coinvolse in queste letture anche i figli; San
Ignacio de Loyola, durante una sua convalescenza prese gusto a leggere questi testi; Lope de
Vega, Miguel de Cervantes, che la salvò, perché è uno dei pochi testi cavallereschi che si salva
da questo rogo in cui vengono bruciati buona parte dei preziosi testi che costituiscono la biblioteca
del Don Quijote e che a detta degli amici e parenti di Don Quijote lo hanno portato alla follia,
assistiamo ad una disamina di tutti o quasi tutti i testi che compongono quella libreria che vengono
collocati tra quelli da salvare e quelli da bruciare.
En su importante prólogo al Amadís, Montalvo diferencia tres modalidades de escritores: a) los
que se basaron en algún cimiento de verdad pero contaron algunos hechos inventados para causar
admiración, como sucede en las historias de griegos y troyanos y de Godofredo de Bouillon; b) los
historiadores de mayor crédito, como Tito Livio, que trataron de ensalzar el «ardimiento y esfuerzo
del corazón» contando algunos sucesos extraños pero creíbles porque pueden corroborarse con las
experiencias presentes; c) los autores de historias fingidas, inventadas, que no sólo no se basan en
ningún cimiento de verdad, sino que cuentan hechos admirables, fuera de la «orden de natura»,
relatos que deben ser contados por patrañas.

I moralisti dell’epoca considerarono l’Amadís de Gaula il capostipite di una setta pericolosa


(come Boscán e Garcilaso) che era quella dei romanzi cavallereschi.
Nel suo prologo dell’Amadis, Montalvo differenzia tre modalità di scrittori: a)
1. quelli che si basarono su alcune fondamenta di verità però raccontarono fatti inventati per
suscitare la meraviglia, lo stupore dei lettori (una base veritiera a cui si sono mescolati
elementi fantasiosi); questo è lo scopo di trattenere l’attenzione e farli andare avanti nella
lettura, per esempio come nelle storie dei greci e troiani e di Godofredo de Bouillon (le
crociate);
2. storici di maggior credito come Tito Livio, che hanno cercato di esaltare le azioni valorose,
di coraggio, raccontando anche episodi singolari, ma comunque credibili perché si
possono corroborare con esperienze contemporanee e presenti, sono verosimili;
3. gli autori di historia fingidas (termine usato dallo stesso Montalvo), sono totalmente privi
di fondamenta storiche e reali, fatti assolutamente straordinari e inverosimili (con eventi
anche sovrannaturali, eventi fantastici, interventi portentosi..).

PATRAÑAS: pastraña, dal latino volgare pastoranea; conseja. Si distinguerà tra un pubblico colto
e un pubblico semplice; il pubblico semplice si accontenta de la consejas, ossia il fatterello, la
storiella del romanzo, piacevole da leggere; il pubblico invece di discretos lectores andà al
consejo. Si gioca con due parole molto simili, ma la vocale finale segna la differenza. Le persone
semplici si fermano in superficie, quindi leggono e si compiacciono dolo della trama avventurosa,
i discreti lettori, quelli intelligenti e preparati che sanno andare aldilà della superficie apprezzano
il consejo/s. Da questi vogliono trarne un insegnamento morale e se ne trovano tanti in Montalvo.
LA CONSEJA E EL CONSEJO (il consiglio, l’insegnamento che vuole dare un’opera o un
autore)
Patraña effettivamente vuol dire menzogna, un imbroglio architettato allo scopo di ingannare
qualcuno oppure relato breve de caracter novelesco.
I racconti di questa terza categoria di scrittori, di historias fingidas, finte, inventate, hanno creato
dei grandi testi che non hanno alcuna base reale, né storica, né addirittura verosimile. Ci sono
descrizioni inverosimili: l’eroe di turno lotta da solo contro 5000 soldati e non ha graffi oppure
se si ferisce, guarisce in secondi con erbe magiche, si salva in situazioni inverosimili, anche
quando lotta con esseri sovrannaturali (ci sono mostri, maghi ecc..), lui si salva sempre, salva
puntualmente la principessa in pericolo finita nelle grinfie del nemico e il finale è sempre lieto,
come in tutte le fiabe; hanno molti elementi fiabeschi questi tipi di romanzi cavallereschi.
È evidente l’elemento inverosimile.
LOS CUATRO LIBROS DEL INVENCIBLE CABALLERO AMADÍS DE
GAULA QUE SE TRATAN SUS MUY ALTOS HECHOS DE ARMAS Y
APACIBLES CABALLERÍAS.
PRÓLOGO
[…]
Otros hubo de más baja suerte que escribieron, que no solamente no edificaron sus obras sobre algún
cimiento de verdad mas ni sobre el rastro de ella. Estos son los que compusieron las historias fingidas en
que se hallan las cosas admirables fuera de la orden de natura, que más por nombre de patrañas que de
crónicas, con mucha razón deben ser tenidas y llamadas. Pues vemos ahora si las afrentas de las armas
que acaecen son semejantes a aquéllas que casi cada día vemos y pasamos y aún por la mayor parte
desviadas de la virtud y buena conciencia y aquéllas que muy extrañas y graves nos parecen sepamos ser
compuestas y fingidas, ¿qué tomaremos de las unas y otras que algún fruto provechoso nos acarreen?
Por cierto, a mi ver, otra cosa no, salvo los buenos ejemplos y doctrinas que más a la salvación nuestra
se allegaren, porque siendo permitido de ser imprimida en nuestros corazones la gracia del muy alto
Señor para a ella nos allegar, tomemos por alas con que nuestras ánimas suban a la alteza de la gloria
para donde fueron criadas.
Y yo esto considerando, deseando que de mí alguna sombra de memoria quedase, no me atreviendo a
poner el mi flaco ingenio en aquello que los más cuerdos sabios se ocuparon, quísele juntar con estos
postrimeros que las cosas más livianas y de menor sustancia escribieron por ser a él según su flaqueza
más conformes, corrigiendo estos tres libros del Amadís que por falta de los malos escritores o
componedores muy corruptos o viciosos se leían y trasladando y enmendando el libro cuarto con las
Sergas de Esplandián, su hijo, que hasta aquí no es memoria de ninguno ser visto que por gran dicha
pareció en una tumba de piedra que debajo de la tierra en una ermita cerca de Constantinopla fue hallada
y traído por un húngaro mercader a estas partes de España, en la letra y pergamino tan antiguo que con
mucho trabajo se pudo leer por aquéllos que la lengua sabían, en los cuales cinco libros, comoquiera
que hasta aquí más por patrañas que por crónicas eran tenidos, son con tales enmiendas acompañados
de tales ejemplos y doctrinas que con justa causa se podrán comparar a los livianos y febles saleros de
corcho que con tiras de oro y de plata son encarcelados y guarnecidos, porque así los caballeros
mancebos como los más ancianos hallen en ellos lo que a cada uno conviene. Y si por ventura en esta
mal ordenada obra algún yerro pareciere de aquéllos que en lo divino y humano son prohibidos, demando
humildemente de ello perdón, pues que teniendo, y creyendo yo firmemente, todo lo que la Santa Madre
Iglesia tiene y manda, más simple discreción que la obra fue de ello causa.

Andiamo a leggere la parte dedicata ai terzi tipi di autore: quelli che composero historias fingidas.
Più che cronache, potrebbero essere considerate fandonie. A partire da un certo periodo, quando
si intensificano le critiche contro questo genere che comincia a suscitare l’interesse dei lettori
fino a diventare un genere di successo straordinario, trionfa come best-seller, proprio per
difendersi dalle critiche, molti autori scelgono di intitolare i loro testi: historia de/cronica de..
facendo un richiamo a quelle categorie di autori più ‘seri’non a quelle storie inventate, ma
piuttosto al genere più nobile, quello storico. Questo suscitò ulteriori critiche perché si chiedevano
‘osate battezzarle come storie, come cronache? Usurpate il sacro nome di storia, perché la storia
per eccellenza è la Bibbia e quindi ‘come osate utilizzare questa parola così preziosa per i vostri
titoli per opere sconclusionate, prive di qualunque fondamento di verità?’.
Uno dei motori della sua scrittura: il desiderio di fama, desiderando che destasse di me una
qualche ombra di memoria, non vuole finire i giorni sulla terra senza lasciare un ricordo attraverso
scrittura. Però il nostro Garci, è consapevole di quanto siano limitate le sue risorse intellettuali,
ritorna il topos della falsa modestia (come nel proemio della Propalladia), anche qui abbiamo
manifestazioni di questa falsa modestia, lui definisce il suo ingegno debole, non ha le forze
necessarie per comporre quel tipo di testo che nella rassegna fatta poco fa erano in cima cioè le
vere storie e cronache, lui non è all’altezza e allora invece il suo ingegno è all’altezza de los
postrimeros, ossia gli ultimi nell’elenco, ossia la terza categoria, quelli che hanno composto
historias fingidas, cose più leggere, di minor sostanza perché sono alla portata del suo flaco
ingenio. Ci dice che si è limitato a correggere, ovvero rimaneggiare i primi tre libri dell’Amadis,
un testo quindi preesistente che è anteriore a lui, un testo che gli è arrivato in una forma linguistica
arcaica ed è il motivo per cui deve metter mano, per renderlo comprensibile ai lettori, gli è arrivato
anche disseminato di errori, il testo si è corrotto nella trasmissione manoscritta, ci sono punti poco
chiari. Questi sono gli interventi che ha fatto sul testo, i primi tre libri di Amadis, nonostante ne
fosse composto di 4. Per i tre libri è stato un semplice rimaneggiatore, refundidor, invece il quarto
e quinto libro di Amadis, lui dice che li ha tradotti, il che non è vero, ma con questo stratagemma
Garci inaugura un vero e proprio Topos che avrà una fortuna enorme tra tutti gli autori di romanzi
cavallereschi e sarà ripreso da Miguel de Cervantes nel Don Quijote, ossia il topos del falso
ritrovamento di un manoscritto.
Gli autori cavallereschi seguiranno la falsa linea di Montalvo e quindi declineranno ogni
responsabilità come autori del testo, dicendo di essere stati meri traduttori, o mediatori, per
consentire anche al pubblico spagnolo di accedere.
È Montalvo che inizia questo topos dicendoci che lui ha rimaneggiato i primi tre mentre ha
tradotto il quarto libro che è propriamente il 4 di Amadis de Gaula e poi il quinto che però ha un
titolo diverso, perché il quinto libro si chiama La Sergas de Esplandián, chè è il figlio di Amadis
(in ogni serie che si rispetti ad un certo punto sono i figli o i discendenti a subentrare all’illustre
padre per continuare imprese). Lui dice di aver tradotto e corretto il libro 4 di Amadis, insieme a
la Sergas de Esplandián, che si considera il 5 libro.

Comincia a prendere corpo il topos del manoscritto ritrovato: per


grande fortuna apparì in una tomba, sottoterra, in un elmo vicino
a Costantinopoli, terre lontane in cui sarebbe stato ritrovato il
manoscritto. L’avventura ha un sapore ancora più affascinante per
i lettori in questo modo. Lo ha trovato in circostante straordinarie
un mercante ungherese e lo ha portato nelle nostre terre spagnole
dopo essere stato a Costantinopoli, non si sa esattamente come.
<- frontespizio de la Sergas de Esplandián. Ramo per la
discendenza. Segras: le prodezze. Il maestro Elisabad, presunto
autore di questo testo lo compose in greco e Garci lo ha tradotto
dal greco, non ha caso una lingua nobile, tutto contribuisce a
nobilitare il contenuto del testo di
questo antico manoscritto.

Tornando al prologo: la lingua era greca, era incomprensibile e il supporto di questo testo era
una pergamena antica e deteriorata. 4 libri dell’Amadis: 3 di un antico autore (questo è reale) e
4 e 5 non opere di Garci che si è limitato a tradurre e correggere, in totale 5 libri.
Sono testi che sono stati considerati più patrañas che cronicas, un insieme di storielle fantasiose
che cronache e tuttavia, grazie alla comprensione di Montalvo, nello stato in cui lui li presenta
adesso, sono adornati da esempi e doctrinas. Gli autori dei romanzi cavallereschi, soprattutto nei
loro prologhi, insistono moltissimo su questo punto: per rispondere alle critiche che dicevano
che erano testi inutili, se non addirittura dannosi per una certa categoria di lettori vulnerabili
(costituita donne e ragazzi giovani, perché sono più facilmente suggestionabili, credono che
sono vere le cose che leggono), sono fragili, si lasciano manipolare e le donne in quei romanzi,
a detta di moralisti, non trovavano modelli di comportamento edificanti, da seguire. Tuttavia gli
autori affermano che però ci sono consejos, doctrinas y ejemplos che sono invece edificanti,
loro insistono sui modelli di condotta cavalleresca: i giovani troveranno esempi di coraggio,
difesa, di
valori, di rispetto, perché i nostri cavalieri lottano per far trionfare il bene, per difendere
donzelle.
Quindi certo che ci sono esempi edificanti, sono testi che vale la pena leggere, sono come, a
detta di Montalvo: saliere di sughero (quindi materiale povero) ma adornate da striscioline di
argento e d’oro che sarebbero gli esempi e le dottrine.
Alla fine conclude dicendo che se poi si dovesse trovare qualche errore, chiede scusa fin da
subito, si appella alla chiesa e che questi errori non siano mal interpretati ecc.

CAPÍTULO 1.
[…] Como esta doncella muy sesuda (inteligente) fuese, y por la merced de Dios guiada, quiso antes de la
prisa tener el remedio. Y fue así de esta guisa: que ella hubo cuatro tablas tan grandes, que así como arca una
criatura con sus paños encerrar pudiese y tan larga como una espada e hizo traer ciertas cosas para un
betumen con que las pudiese juntar, sin que en ella ningún agua entrase, y guardólo todo debajo de su cama
sin que Elisena lo sintiese, hasta que por su mano juntó las tablas con aquel recio betumen y la hizo tan igual
y tan bien formada, como si la hiciera un maestro. Entonces la mostró a Elisena y díjole: —¿Para qué os
parece que fue esto hecho? —No sé —dijo ella. —Saberlo habéis —dijo la doncella— cuando menester será.
Y ella dijo: —Poco daría por saber cosa que se hace ni dice, que cerca estoy de perder mi bien y alegría. La
doncella hubo gran duelo de así la ver y viniéndole las lágrimas a los ojos se le tiró delante, porque no la
viese llorar. Pues no tardó mucho que a Elisena le vino el tiempo de parir de que los dolores sintiendo como
cosa tan nueva y tan extraña para ella, en gran amargura su corazón era puesto, como aquélla que le convenía
no poder gemir ni quejar, que su angustia con ello se doblaba. Mas en cabo de una pieza, quiso el Señor
poderoso que sin peligro suyo un hijo pariese, y tomándole la doncella en sus manos, vio que era hermoso si
ventura hubiese, mas no tardó de poner en ejecución lo que convenía, según de antes lo pensara, y envolvióle
en muy ricos paños y púsole cerca de su madre y trajo allí el arca que ya oísteis, y díjole Elisena: —¿Qué
queréis 4 hacer? —Ponerlo aquí y lanzarlo al río —dijo ella— y por ventura guarecer podrá. La madre lo
tenía en sus brazos, llorando fieramente y diciendo: —Mi hijo pequeño, cuán grave es a mí la vuestra cuita.
La doncella tomó tinta y pergamino e hizo una carta que decía: —Este es Amadís Sin Tiempo, hijo del rey.
Y sin tiempo decía ella porque creía que luego sería muerto. Y este nombre era allí muy preciado, porque así
se llamaba un santo a quien la doncella le encomendó. Esta carta cubrió toda de cera, y puesta en una cuerda
se la puso al cuello del niño. Elisena tenía el anillo que el rey Perión le diera cuando de ella se partió y
metiólo en la misma cuerda de la cera, y asimismo poniendo el niño dentro, en el arca, le pusieron la espada
del rey Perión, que la primera noche que ella con él durmiera la echó de la mano en el suelo como ya oísteis,
y por la doncella fue guardada, y aunque el rey la halló menos, nunca osó por ella preguntar, porque el rey
Garinter no hubiese enojo con aquéllos que en la cámara entraban. Esto así hecho puso la tabla encima tan
junta y bien calafateada que agua ni otra cosa podía entrar y tomándola en sus brazos y abriendo la puerta la
puso en el río y dejóla ir y como el agua era grande y recia presto la pasó a la mar, que más de media legua
de allí no estaba. A esta sazón el alba aparecía y acaeció una hermosa maravilla de aquéllas que el Señor
muy alto, cuando a Él place suele hacer, que en la mar iba una barca en que un caballero de Escocia iba con
su mujer, que de la pequeña Bretaña llevaba parida de un hijo que se llamaba Gandalín, y el caballero había
nombre Gandales, y yendo a más andar su vía contra Escocia, siendo ya mañana clara vieron el arca que por
el agua nadando iba, y llamando cuatro marineros les mandó que presto echasen un batel y aquello le
trajesen, lo cual prestamente se hizo, comoquiera que ya el arca muy lejos de la barca pasado había. El
caballero tomó el arca y tiró la cobertura y vio el doncel que en sus brazos tomó y dijo: —Éste de algún buen
lugar es, y esto decía él por los ricos paños y el anillo y la espada que muy hermosa le pareció y comenzó a
maldecir la mujer que por miedo tal criatura tan cruelmente desamparado había, y guardando aquellas cosas
rogó a su mujer que lo hiciese criar, la cual hizo dar teta de aquella ama que a Gandalín, su hijo, criaba, y
tomóla con gran gana de mamar, de que el caballero y la dueña mucho alegres fueron. Pues así caminaron
por la mar con buen tiempo enderezado, hasta que aportados fueron una villa de Escocia que Antalia había
nombre, y de allí partiendo, llegaron a un castillo suyo, de los buenos de aquella tierra, donde hizo criar al
doncel, como si su hijo propio fuese, y así lo creían todos que lo fuese, que de los marineros no se pudo saber
su hacienda, porque en la barca, que era suya, a otras partes navegaron.
CAPÍTULO XXXV
[…] Amadís, que movía en pos de él, oyó dar voces a su señora y tornando presto vio a Arcaláus que ya
cabalgara y que tomando a Oriana por el brazo la pusiera ante sí y se iba con ella cuanto más podía. Amadís
fue en pos de él, sin 5 detenencia ninguna, alcanzólo por aquel gran campo y alzando la espada por lo herir
sufrióse de le dar gran golpe, que la espada era tal que cuidó que mataría a él y a su señora y diole por cima
de las espaldas, que no fue de toda su fuerza, pero derribóle un pedazo de la loriga y una pieza del cuero de
las espaldas. Entonces, dejó Arcaláus caer en tierra a Oriana por se ir más aína, que se temía de muerte, y
Amadís le dijo: —¡Ay, Arcaláus!, torna y verás si soy muerto como dijiste, mas él no le quiso creer, antes
echó el escudo del cuello y Amadís lo alcanzó antes y diole un golpe de lueñe por la cinta de la espada y
cortó la loriga y en los lomos y la punta de la espada alcanzó al caballo en la ijada y cortóle ya cuanto, así
que el caballo con el temor comenzó de correr de tal forma que en poca de hora se alongó gran pieza.
Amadís, comoquiera que lo mucho desamase y desease matar, no fue más adelante por no perder a su señora
y tornóse donde ella estaba y descendiendo de su caballo, se le fue hincar de hinojos delante y le besó las
manos diciendo: —Ahora, haga Dios de mí lo que quisiere, que nunca señor os cuidé ver. Ella estaba tan
espantada que no le podía hablar y abrazóse con él, que gran miedo había de los caballeros muertos que cabe
ella estaban. La doncella de Dinamarca fue a tomar el caballo de Amadís y vio la espada de Arcaláus en el
suelo y tomándola la trajo a Amadís y dijo: —Ved, señor, qué hermosa espada. Él la cató y vio ser aquélla
con que le echaran en la mar y se la tomó Arcaláus cuando lo encantó, y así estando como oís, sentado
Amadís cabe su señora, que no tenía esfuerzo para se levantar, llegó Gandalín, que toda la noche anduviera y
había dejado el caballero muerto en una ermita, con que gran placer hubieron. Mas tan grande le hubo él en
ver así parado el pleito. Entonces mandó Amadís que pusiese a la doncella de Dinamarca en un caballo de
los que estaban sueltos, y él puso a Oriana en el palafrén de la doncella y movieron de allí tan alegres que
más ser no podía. Amadís llevaba a su señora por la rienda y ella le iba diciendo cuán espantada iba de
aquellos caballeros muertos que no podía en sí tornar, mas él le dijo: —Muy más espantosa y cruel es aquella
muerte que yo por vos padezco, y señora, doleos de mí y acordaos de lo que me tenéis prometido, que si
hasta aquí me sostuve no es por al, sino creyendo' que no era más en vuestra mano, ni poder de me dar más
de lo que me daba, mas si de aquí adelante viéndoos, señora, en tanta libertad no me acorrieseis, ya no me
bastaría ninguna cosa que la vida sostener me pudiese, antes sería fenecida con la más rabiosa desesperanza
que nunca persona murió. Oriana le dijo: —Por buena fe, amigo, nunca si yo puedo, por mi causa vos seréis
en ese peligro, yo haré lo que queréis y vos haced como, aunque aquí yerro y pecado parezca, no lo sea ante
Dios. Así anduvieron tres leguas hasta entrar en un bosque muy espeso de árboles, que cabe una villa cuanto
una legua estaba. A Oriana prendió gran sueño, como quien no había dormido ninguna cosa la noche pasada
y dijo: —Amigo, tan gran sueño me viene, que me no puedo sufrir. —Señora —dijo él—, vamos a aquel
valle y dormiréis, y desviando de la carrera se fueron al valle, donde hallaron un 6 pequeño arroyo de agua y
hierba verde muy fresca. Allí descendió Amadís a su señora y dijo: —Señora, la siesta entra muy caliente,
aquí dormiréis hasta que venga la fría. Y, en tanto, enviaré a Gandalín a aquella villa y traernos ha con que
refresquemos. —Vaya —dijo Oriana—, ¿mas quién se lo dará?. Dijo Amadís: —Dárselo han sobre aquel
caballo y venirse ha a pie. —No será así —dijo Oriana—, mas lleve este mi anillo, que ya nunca nos tanto
como ahora valdrá, y sacándole del dedo lo dio a Gandalín. Y cuando él se iba dijo paso contra Amadís: —
Señor, quien en buen tiempo tiene y lo pierde, tarde lo cobra, y esto dicho, luego se fue y Amadís entendió
bien porque lo él decía. Oriana se acostó en el manto de la doncella en tanto que Amadís se desarmaba,
que bien menester lo había y como desarmado fue la doncella se entró a dormir en unas matas espesas,
y Amadís tornó a su señora y cuando así la vio tan hermosa y en su poder, habiéndole ella otorgado su
voluntad, fue tan turbado de placer y de empacho, que sólo mirar no la osaba, así que se puede bien
decir que en aquella verde hierba, encima de aquel manto, mas por la gracia y comedimiento de
Oriana, que por la desenvoltura ni osadía de Amadís, fue hecha dueña la más hermosa doncella del
mundo. Y creyendo con ello las sus encendidas llamas resfriar, aumentándose en muy mayor cantidad
más ardientes y con más fuerza quedaron, así como en los sanos y verdaderos amores acaecer suele.
Así estuvieron de consuno con aquellos autos amorosos cuales pesar y sentir puede aquél y aquélla que de
semejante saeta sus corazones heridos son, hasta que el empacho de la venida de Gandalín hizo a Amadís
levantar y llamando la doncella dieron buena orden de aderezar cómo comiesen, que bien les hacía menester,
donde aunque los muchos servidores y las grandes vajillas de oro y de plata allí faltaron, no quitaron aquel
dulce y gran placer que en la comida sobre la hierba hubieron. Pues así como oís estaban estos dos amantes
en aquella floresta con tal vida cual nunca a placer del uno y del otro dejaba fuera si la pudieran sin empacho
y gran vergüenza sostener.
ANALISI CAPITOLO 1 E ASPETTI DEL 35 CAPITOLO.
Ci troviamo in un momento molto delicato, proprio all’inizio, ci sono delle parentesi quadre con
i puntini che ci dicono che prima è venuto altro. Il testo prima contiene il primo incontro amoroso
tra Elisena, la principessa Elisena e il re Perión de Gaula, perché Amadis de Gaula è figlio di un
re ed una principessa, quindi nobili origini. Il problema è che questo incontro amoroso tra i due
avviene in modo clandestino e al di fuori del matrimonio, è vero che il re promette solennemente
sulla sua spada che sposerà Elisena, i due si scambiano promesse matrimoniale (questo veniva
considerato assimilabile ad un vero e proprio matrimonio) ma il matrimonio non si è celebrato in
chiesa, i genitori dell’uno e dell’altra non sono al corrente e dunque quando Elisena rimane incinta
si pone un problema importante perché non può dirlo ai suoi genitori e il re era di passaggio alla
corte, quindi Elisena si trova a fronteggiare una situazione del tutto inaspettata per lei da sola e
capisce rapidamente che si deve disfare di quel bambino.
Mantiene segreta la gravidanza ma nel momento del parto, pur con il cuore straziato, capisce che
non può tenere quel bambino, non può occultare la sua presenza.
Avrà un’unica aiutante e confidente in tutta questa vicenda, ovvero la sua dama di compagnia,
che la assisterà nel parto e la aiuterà a disfarsi di questo bambino.
E siamo proprio ai momenti delicati del parto: bisogna agire in tempo, preparare tutto prima del
parto e la dama di compagnia costruisce con 4 tablas de madera una cassa, tan larga como una
espada (non è un dettaglio insignificante, perché dovrà contenere non una spada qualunque ma
proprio la spada del padre del bimbo, quel re, che su quella spada ha giurato di sposare Elisena e
lei gliel’ha sottratta con l’inganno, perché sarà poi un elemento che permetterà il riconoscimento
delle nobili origini di Amadís). Usa della pece per tenere insieme queste assi e impedire che entri
dentro l’acqua. Prepara tutto e lo nasconde sotto il letto e lo mostrò ad Elisena.
Quando ci sarà bisogno lo saprete: menester. Se ne andò per non farsi vedere piangere per il
momento drammatico. Elisena è colta dalle doglie del parto, una situazione totalmente nuova per
lei che si sente sopraffatta ma sa che non può nemmeno gridare (o verrebbe scoperta), soffre in
silenzio e soffre tanto prima di dare alla luce suo figlio. Grazie al signore riesce a partorire senza
pericolo questo figlio. È uscito sano, ma non c’è tempo, bisogna attuare il piano che la dama di
compagnia ha già architettato. La dama avvolge il bambino in panni suntuosi e ricchi delle origini
nobili di questo bimbo.
OISTEIS: OIR; non dice che avete già letto, dice sentito, che è un elemento che indica la lettura
a voce alta di questo tipo di testo.
L’intenzione di affidare il bambino nella cassa di legno all’acqua del fiume, con un po’ di fortuna
si potrà salvare. La madre lo prende in braccio e piange e si dispera, ma non osa ribellarsi perché
sa che è l’unica via d’uscita. Abbandona questo bambino ma il bimbo viaggerà con degli elementi
importanti che lo accompagneranno, tra cui questa lettera scritta dalla donzella su pergamena con
inchiostro che dice: questo è Amadis, sin tiempo, il figlio del re (sin tiempo si definivano con
espressione giuridica i bambini che non erano ancora stati battezzati), è la dama di compagnia
che sceglie il nome del bimbo e gli da il nome di un santo a cui era molto devota. È intelligente
la ragazza (sesuda). Mette la spada del padre nella cassa, questa spada nella notte d’amore è stata
sottratta. Sigilla bene tutte le fessure con bitume, in modo che non possa entrare acqua e la cassa
possa galleggiare.
La cassa è affidata alle acque del fiume, perché la stanza di Elisena affaccia direttamente sul
fiume e vedono come la cassa si allontana e il fiume presto confluisce nel mare, straziando il
cuore della mamma che appena aveva dato vita al bimbo dovette rinunciare a lui.
Ma Amadís de Gaula è nato sotto una buona stella, si capisce fin dall’inizio. Il caso vuole che
proprio mentre questa cassa galleggia passa di qui una dama e un cavaliere della Scozia, caso
vuole che siano un cavaliere scozzese e sua moglie, che ha appena dato alla luce un bambino di
nome Gandalin, vedono questa cassa, chiedono di portarla a bordo e vedono il contenuto. Il
cavaliere prende questo bimbo in mano e dice: deve aver avuto nobili natali. Quella spada e
quell’anello saranno poi lo strumento per riconoscere i nobili natali di Amadis. Molto tempo dopo
lui potrà scoprire chi sono i suoi genitori. Le famiglie nobili avevano una balia che allattava i
bimbi, quindi con loro c’era una balia che allattava Gandalin, e la stessa balia sfama anche il
piccolo bimbo abbandonato. Così navigando fino alla Scozia, nella città di Antalia, dalla quale
raggiungono il loro castello, dove allevano il bimbo come se fosse figlio loro e la cosa è
perfettamente credibile perché la moglie aveva dato alla luce un figlio, quindi se magari ne fosse
uscito un altro nessuno si sarebbe allarmato. E tutti credettero che fosse figlio loro, gli unici che
avrebbero potuto smentire la versione data, sarebbero stati i marinai, ma i marinai una volta
lasciati a riva il cavaliere scozzese e sua moglie, ripartono verso altre terre. Gli unici testimoni
non vivono in quei luoghi, non hanno
motivo per raccontare come sono andate le cose e quindi Amadis cresce credendo di essere il
fratello di Gandalin.
Naturalmente crescendo subito da prova del suo valore, delle sue virtù, è il classico eroe, cavaliere
da sposare. Il re non era a conoscenza della gravidanza di Elisena, ma poi lo scoprirà.
Il comportamento di Elisena, dal punto di vista dei moralisti, non era stato proprio dei migliori,
perché bisogna aspettare che le nozze siano celebrate in chiesa. Amadis riprende le imprese
paterne e dunque nel capitolo 35, dopo aver salvato la bella Oriana, rimane solo con lei e vanno
a letto insieme (scena in grassetto), mentre gli altri sono andati, Oriana si accostò a lui e i due si
confessano il loro amore. Divenne donna la fanciulla più bella del mondo, ricadiamo in un
esempio sbagliato per le fanciulle che leggono questa storia che cercano di essere Oriana. Le
persone dell’epoca pensano appunto che non possono offrire questi modelli di comportamento,
si invocò la Santa Inquisizione, ci furono richieste formali perché i romanzi cavallereschi fossero
includi nell’indice dei libri proibiti ma questo non avvenne mai.

C’è un solo testo cavalleresco finito nell’indice, ma è un caso totalmente a sé stante perché si
tratta di un romanzo cavalleresco divino in cui tutte le vicende sono declinate su un piano
religioso, sono imprese che vorrebbero portare all’esaltazione di Dio e devi valori cristiani,
proprio questo tipo finisce all’indice, perché i ben pensanti dell’epoca considerarono che questa
combinazione tra sacro e profano fosse da censurare. Ma le varie altre sagre, Amadici ecc. non ci
finirono mai. Gli iniziatori della vera e propria crociata contro i romanzi cavallereschi non ebbero
fortuna perché i romanzi cavallereschi si salvarono da ogni tentativo di censura. Questo
moltiplicarsi di Amadici, e l’interesse per questi romanzi si esaurì naturalmente, dopo un secolo
di moltiplicarsi di queste avventure che dopo un po’ diventano ripetitive, il genere morì di morte
naturale finché non venne riscattato dal nostro Miguel de Cervantes ma per farne una parodia.
Se non capiamo i tratti essenziali di questo genere non possiamo nemmeno capire la parodia, a
partire da quel topos del falso manoscritto ritrovato, perché nel prologo del Don Quijote, il nostro
Miguel de Cervantes declinerà ogni responsabilità e si definirà non padre, bensì patrigno
dell’opera.
Ediciones del Amadís de Gaula:
[1] antes de 1508
[2] Zaragoza, Jorge Coci, 1508
[3] Sevilla, 1511 [perdida]
[4] [Roma], Antonio [Martínez] de Salamanca, 1519 (19 de abril)
[5] Zaragoza, Jorge Coci, 1521 (30 de julio)
[6] Toledo, 1524
[7] Sevilla, Jacobo y Juan Cromberger, 1526 (20 de abril)
[8] Sevilla, Juan Cromberger, 1531 (22 de junio)
[9] Venecia, Juan Antonio de Nicolini Sabio, 1533 (7 de septiembre). Edición "corregida" por
Francisco
Delicado.
[10] Sevilla, Juan Cromberger, 1535 (22 de junio)
[11] Sevilla, Juan Cromberger, 1539 (8 de mayo)
[12] Medina del Campo, Juan de Villaquirán y Pedro de Castro, 1545 (1 de diciembre)
[13] Sevilla, Jacome Cromberger, 1547
[14] Lovaina, Servazio Sasseno (a costa de la viuda de Arnold Birckman), 1551 (20 de octubre)
[15] Sevilla, Jácome Cromberger, 1552
[16] Burgos, Pedro de Santularia, 1563 (9 de febrero)
[17] Salamanca, Pedro Lasso, a costa de Lucas de Junta, 1575
[18] Sevilla, Alonso de la Barrera, 1575 (28 de mayo) (a costa de Francisco de Cisneros, mercader
de libros)
[19] Alcalá de Henares, Querino Gerardo (a costa de Juan Gutiérrez), 1580
[20] Sevilla, Fernando Díaz (a costa de Alonso de Mata), 1586 (diciembre)

Libros de caballerías impresos: cronología de primeras ediciones


¿1496? Amadís de Gaula La lista è lunghissima, parte con Amadis de Gaula nel 1496 tra
1496, hacia. Sergas de Esplandián (Amadís, 5) punti interrogativi perché in realtà quella data della prima edizione
1510. Florisando (Amadís, 6) la possiamo solo ipotizzare ma non ne abbiamo esemplari, quindi
1511. Palmerín de Olivia ipotizziamo che sia stato pubblicato nel ’96. Parte questa serie di
1512. Primaleón romanzi cavallereschi nel ’96.
1514. Lisuarte de Grecia (Amadís, 7)
1516. Floriseo (Libros I-II) 1518. Clarián de Landanís (I parte, I libro)
1518-1524, entre. Floramante de Colonia (Clarián de Landanís, II parte)
1519. Claribalte
1521. Lepolemo Sono solo le prime edizioni di romanzi
1522. Clarián de Landanís (I parte, II libro) cavallereschi, dopo l’Amadis de Gaula che si
1524. Caballero de la Triste Figura (Clarián de Landanís, III libro) compone di 4 libri, abbiamo i cosiddetti
1524. Reimundo de Grecia (Floriseo, III libro) ‘sequel’ (sequelas) con Esplandian che è il
figlio di Amadici, perché ovviamente come in
1526. Lisuarte de Grecia (Amadís, 8)
ogni sagra, quando muore l’eroe ci sono
1526. Polindo i discendenti che continuano le imprese
1528. Lidamán de Ganail (Clarián de Landanís, IV parte) del primo eroe della serie. Questo spiega
1530. Amadís de Grecia (Amadís, 9) perché abbiamo indicati questi nomi
1530. Florindo (5,6,7..) perché se il primo Amadici è in 4
1531. Félix Magno libri poi abbiamo gli altri continui. Quindi
1532. Florambel de Lucea (Partes I-II) abbiamo la serie degli Amadici (Amadices).
1532. Florisel de Niquea (Amadís, 10)
1533. Platir
1534. Lidamor de Escocia
1534. Lucidante de Tracia
1534. Tristán el Joven
Queste continuazioni hanno autori diversi
(per questo ci sono due 11) perché poi
scrivono i loro sequel indipendentemente
l’uno dall’altro e quindi si creano anche delle
1535 Rogel de Grecia(III parte de Florisel de Niquea)(Amadís, 11) sovrapposizioni. Da un lato c’è la casa de los
1540. Valerián de Hungría Amadices ma ci sono anche, per esempio, los
1542. Filesbián de Candaria Palmerines, un’altra microsaga e altre,
1545. Belianís de Grecia (Partes I-II) abbiamo anche romanzi cavallereschi che non
1545. Cirongilio de Tracia hanno continuazioni, è il caso Cristalián de
1545. Cristalián de España España (1545) che è e rimane l’unico
romanzo cavalleresco che sia stato composto
1545. Florando de Inglaterra
da una donna, caso più unico che raro nella
1546. Silves de la Selva (Amadís, 12) Spagna secolare, da Beatriz Bernal. (non
1547. Roselao de Grecia (Espejo de caballerías, III libro) serve imparare tutte le date) ma ricordare los
1551. Florisel de Niquea (IV parte) (Amadís, 11) Amadices, saga importante. Dal 1496 (data
1555. Espejo de príncipes y caballeros (I parte) ipotizzata) fino al 1602 assistiamo al vero e
1556. Felixmarte de Hircania proprio trionfo editoriale di un genere, perché
1564. Olivante de Laura queste sono le prime edizioni, ma se fossero
1576. Febo el Troyano state inserite anche le ristampe (una ristampa
1579. Belianís de Grecia (Partes III-IV) all’anno) sarebbe un elenco lunghissimo. I
1580. Espejo de príncipes y caballeros (II parte) romanzi cavallereschi nella Spagna del ‘500
1586. Rosián de Castilla furono non soltanto un best seller, ma anche
un long seller, si continuarono a ristampare e
1587. Espejo de príncipes y caballeros (III parte)
rileggere. Erano acquistati, posseduti in
1602. Policisne de Boecia biblioteche private, messi anche nei
1879. Clarisel de las Flores testamenti (modo per capire i gusti
1992. Adramón 1997. Flor de caballerías dell’epoca) altro modo le aste (finita una
discendenza si mettevano in vendita i beni).

Questo testo quando è stato dato alle stampe, nel 2000, ha rivoluzionato il panorama degli studi
su questo genere, quello del romanzo cavalleresco e che è stato considerato per moltissimo tempo
un genere minore.
Proprio nei primissimi anni 2000 c’è stata una vera riscoperta di questi testi che si è tradotta in
una effervescenza editoriale che ha propiziato la nascita di prestigiose collane in cui sono state
ripubblicati i testi che non vedevano più la luce da secoli in alcuni casi, in altri casi non l’avevano
mai vista, perché sono state date in stampa anche testi che erano rimasti manoscritti.
Una collana ad esempio è los libros de Rosinante (cavallo di don Quijote); una collana ancora
attiva di testi, già dati alle stampe parecchi e ne mancano ancora tanti, testi di romanzi
cavallereschi.
La collana prevede due tipi di pubblicazioni: la ristampa (o stampa per la prima volta nel caso di
testi rimasti manoscritti) e anche la guias di lecturas (guide di lettura) con la presentazione
dell’autore, della trama del testo.
Da tutta questa serie di studi sui romanzi cavallereschi è emerso che questi romanzi erano lettura
in voga presso tutti le classe sociali, furono un genere di grande successo, e un successo
trasversale, li leggeva l’imperatore Carlo V, ma li leggeva anche, o se li faceva leggere, l’uomo
della plebe. Abbiamo testimonianze anche di letture pubbliche a voce anta di questi romanzi, il
tasso dell’analfabetismo all’epoca era alto soprattutto tra le classi basse. Per conoscere le
avventure di Amadis si organizzavano anche letture a voce alta, le persone in grado di leggere si
prestavano a queste letture per un pubblico che non aveva accesso al libro.
Altro elemento che emerge è che fossero amatissimi dalle donne; si sono fatti studi di recente
sulle biblioteche femminili e sappiamo che erano un genere amato dal pubblico femminile e
questa predilezione del pubblico femminile fu mal vista dalla chiesa. I moralisti dell’epoca
affermavano a loro giudizio che offrivano al pubblico, soprattutto femminile, modelli di
comportamento poco edificanti perché tutte le fanciulle sognavano di essere l’eroina di turno che
poi finiva tra le braccia del cavaliere errante al qual concedeva con eccessiva facilità i suoi favori
e dunque non era ben visto il fatto che queste fanciulle sognassero di diventare come Oriana
(nome della principessa amata da Amadis de Gaula).
Il ‘500: genere del trionfo del genere cavalleresco, le edizioni finiscono con l’ultima nel 1602
(edizione tardiva); l’onda del genere cavalleresco si esaurisce a fine ‘500 negli ultimi anni. Dopo
c’è un vuoto di quasi tre secoli, dobbiamo aspettare fino al 1879 per vedere stampato un nuovo
romanzo cavalleresco e poi ecco anche nel 1992 e 1997, appunto poi nei primi anni 2000 c’è stata
una vera a propria riscoperta del genere cavalleresco, la riprova è stato da questa ultime
pubblicazioni che erano testi cavallereschi rimasti inediti, prima erano manoscritti. A partire da
queste ultime pubblicazioni poi c’è stato un cambio di tendenza, si è creato los libro de Rosinante,
perché nonostante il successo clamoroso che ebbero all’epoca, alcuni di questi testi sono diventati
rarissimi, ne sono rimasti pochi esemplari e quindi un lettore avrebbe avuto poche possibilità di
leggerli e quindi si è promossa questa iniziativa de los libros de Rosinante che ha messo di nuovo
disponibilità per le letture di questi testi.
Questo topos non era nuovo ma fu riformulato da Montalvo. Si ricorda quanto abbiamo già
analizzato su, si passano in rassegna una serie di romanzi cavallereschi in cui gli autori recuperano
questo topos, il livello di complicazione aumenta man mano che passa il tempo perché ognuno di
loro si vuole distinguere per un elemento nuovo, accattivante per il lettore. La lingua di partenza
varia, le più nobili sono il latino e greco, ma poi ci sono autori che si inventano che il manoscritto
arriva addirittura dalla biblioteca di Petrarca, oppure che la lingua iniziale era A, poi è stato
tradotto nella lingua B e poi è arrivato nella lingua C, quindi si complicano anche i passaggi che
hanno permesso l’approdo al castillano. Ci sono alcuni autori che incorporano l’avventura del
ritrovamento del manoscritto all’interno dello stesso romanzo, sono gli stessi autori del romanzo
cavalleresco (a loro detta traduttori o rimaneggiatori) che vivono una speciale avventura
cavalleresca che raccontano, che ha propiziato quel ritrovamento e poi c’è il caso di Beatriz
Bernal, che essendo l’unica donna autrice di un romanzo cavalleresco, recupera il topos in un
contesto che deve fare i conti con la cultura dell’epoca, lei non si può immaginare come eroina
che va per il mondo e lotta, quindi le sue circostanze di ritrovamento sono durante una via crucis,
perché gli spazi consoni alle donne dell’epoca erano spazi domestici, la casa, o religiosi, le donne
per bene dell’epoca uscivano di casa per andare a messa e possibilmente accompagnate, mai da
sole, quindi nel corso di una via crucis ritrova il suo manoscritto Cristalián de España, che non è
in una lingua complicata, remota e incomprensibile, è una donna, non avrebbe potuto tradurla, è
semplicemente scritto in un castillano arcaico, quindi quello che fa è rinfrescare la lingua per
metterlo poi alle stampe.
JOAN TIMONEDA.
Joan Timoneda nació en el seno de una familia de artesanos, trabajó un tiempo como curtidor de pieles y pasó
a ser luego librero y editor, al amparo del gran auge que cobró el mercado del libro en la Valencia
renacentista. Allí ejerció una intensa labor de impresor y editor de obras en lengua castellana dirigidas a
formar el gusto de las clases medias y populares. […]
En cuanto a la lírica, recopiló y divulgó numerosas colecciones poéticas en forma de cancioneros, como el
Sarao de amor (1561), la Flor de enamorados (1562) o el Guisadillo de amor (1573), en los que
principalmente reunía composiciones diversas, en castellano y algunas en valenciano, que él añadía y
adaptaba para sus lectores. Tarea semejante llevó a cabo en el caso de los romances, que asimismo recopiló
en una gran colección, titulada Rosa de romances (1573), dividida en cuatro partes (Rosa de amores, Rosa
española, Rosa gentil y Rosa real), donde publicó un gran número de romances ajenos, pero también muchos
propios, de tema pastoril, morisco, legendario o de historia contemporánea. Muy notable es su labor
prosística como autor y recopilador de anécdotas y relatos breves, en libros como el titulado Sobremesa y
alivio de caminantes (1563) o el Buen aviso y portacuentos (1564), donde recogía decenas de pequeños
relatos, elaborados a partir de breves cuentos familiares o apotegmas, que le han llegado a través de diversas
fuentes orales o escritas, entre éstas, especialmente los Apophthegmata de Erasmo, traducidos al castellano
por Francisco Támara (1549). Como cuentista y fabulador, su obra más importante es El Patrañuelo (1567),
donde se muestra hábil narrador de historias ejemplares, provechosas y divertidas, a imitación de los
novellieri italianos, como Boccaccio o Bandello, cuyos relatos vierte en este nuevo molde de patraña. En el
ámbito del teatro, también fue grande la importancia de Timoneda. Por un lado, fue el editor de la obra
dramática de autores como Alonso de la Vega y, sobre todo, Lope de Rueda, cuyo texto no sólo dio a conocer,
sino que seguramente retocó en alguna medida. Por otro, fue un notable escritor de piezas dramáticas […].

Un altro poeta che studiamo è Joan Timoneda (valenciano) fu autore di una ricchissima
produzione, autore ma anche editore di testi, ma lo ricordiamo come autore del PATRAÑUELO
(viene da patraña).
Nasce in una famiglia di partigiani, lavorò come curtidor di pelli, lavorò innanzitutto alle legature
dei libri. Fu attivo in tutti gli ambiti letterari. Raccolse collezioni poetiche in forma di cancioneros
e li dà alle stampe (testi altrui) poi aggiunse anche dei suoi contenuti ma la maggior parte era
frutto del lavoro altrui. Fu anche promotore della pubblicazione di varie raccolte di romances (la
rosa de romances), scritti da altri. Fu attivo nel campo poetico, della prosa ma anche nel campo
teatrale. Si mosse a 360 gradi. Si occupò del Patrañuelo, la sua opera più importante. Sono
favolette, molto divertenti alcune, di lunghezza irregolare, si va da poche righe a racconti lunghi.
Una storia legata alla Bocca della Verità è pubblicata. Joan Timoneda fu addirittura autore, lo
sappiamo tramite piccoli inserti autobiografici.
EL PATRAÑUELO
Epístola al amantísimo lector
Como la presente obra sea para no más de algún pasatiempo y recreo humano, discreto lector, no te
des a entender que lo que en el presente libro se contiene sea todo verdad, que lo más es fingido y
compuesto de nuestro pobre saber y bajo entendimiento; y, por más aviso, el nombre de él te
manifiesta clara y distintamente lo que puede ser, porque Patrañuelo deriva de patraña, y patraña
no es otra cosa sino una fingida traza, tan lindamente amplificada y compuesta, que parece que trae
alguna apariencia de verdad. Y así, semejantes marañas las intitula mi lengua natural valenciana
rondalles, y la toscana novelas, que quiere decir: «Tú, trabajador, pues no velas, yo te desvelaré con
algunos graciosos y asesados cuentos, con tal que los sepas contar como aquí van relatados, para
que no pierdan aquel asiento ilustre y gracia con que fueron compuestos.» Vale.

Visto che quest’opera non ha la pretesa di servire se non a qualche passatempo, non credere che tutto ciò che
contiene sia vero, perché la maggior parte è finzione, frutto del nostro misero sapere e intelletto e a riprova di
ciò, il titolo dichiara esplicitamente cosa può essere. In quanto Favolario, deriva da favola e favola, altro non
è che una trama immaginaria, composta con tanta maestria che sembra abbia una parvenza di verità. Racconti
del genere nella mia lingua naturale il valenciano si chiamano rondalles e nella Toscana novelle.
quattro versetti iniziali -> sono racconti in prosa ma sono introdotti da questa
Patraña catorcena strofetta iniziale, si chiama redondilla, una strofa di 4 versi ottosillabi con una
A un muy honrado abad rima ABBA. Introduce il testo e ci riassume il contenuto della storiella che ha
sin doblez, sabio, sincero, per protagonisti un abate e un cuoco che riesce a salvare questo abate da una
le sacó su cocinero grande necessità
de una gran necesidad.
USARE FILE TOPICO FALSA TRADUCCION.
Questi libri cavallereschi hanno come lingue di partenza sono latino e greco, per nobilitare l’opera,
ma non è sempre così. Nel testo abbiamo esempi diversi, come troviamo anche delle situazioni del
ritrovamento diverse presentate nei prologhi.
Il caso del mercante ungherese che nella tomba dell’elmo non è il più eclatante, c’è chi trova ad
esempio nella biblioteca di Petrarca, Juan Diaz lo recupera tra i beni appartenuti all’ordine di San
Juan, nell’isola di Rodi. Un altro dice di averlo trovato nel regno dei tartari ed è registrato anche il
caso di Beatriz Bernal, che lo ritrova durante la via crucis. Il ritrovamento del testo è come una sorta
di avventura indipendente alla storia o incorporata della storia (parte integrante della storia). Si mette
in rilevo il caso di Torquemada e di Corvera, i più estremi, perché vengono in possesso dei loro testi
durante una vera e propria avventura cavalleresca di cui sono loro stessi protagonisti; quindi
addirittura l’autore che si spaccia per patrigno dell’opera diventa protagonista di un’avventura
cavalleresca e conquista di fatto il testo in questione poi dato alle stampe.
Pag. 545 del saggio abbiamo diversi esempi delle lingue di partenza. Non è necessario imparare i
titoli di tutti i romanzi cavallereschi, ma almeno farne qualche esempio all’esame.
La lingua di partenza può essere inglese, tedesco ecc. abbiamo anche notazioni sul sistema di
traduzione adottato. Le riflessioni che alcuni autori inseriscono nell’ambito della traduzione sono
interessanti, ci possono essere piccoli compendi di teorie traduttologiche (chi sostiene un metodo, chi
ne difende un altro), per esempio abbiamo nella pag. 547 il caso di un autore che sostiene di aver fatto
una traduzione ad verbum, ovvero parola per parola e dice anche che traduce dal toscano. Ci sono
anche patrigni che dicono di essersi la briga di essersi procurati il testo originale, magari in latino o
greco, laddove la lingue intermedia presentava dei passaggi dubbi, sono andati alla fonte diretta per
verificare se ci fosse un problema alla radice, quindi hanno fatto un lavoro filologico di verifica.
Poi c’è chi ha tradotto ad sentenziam, più a senso che a termine per termine, per questo viene segnalato
il caso dell’autore del Clarivante che dice che con l’aiuto di un interprete tartaro (vediamo quanto sia
esotico il contesto di ritrovamento). Anche l’autore del Florindo dice di non aver fatto una traduzione
letterale, viene preso piuttosto il senso della storia. Stiamo sempre parlando di fonti fittizie.
C’è chi dice addirittura che si, si tratta di una traduzione ma ha anche i tratti del rimaneggiamento,
perché la cronaca, seguita dall’autore, presentava dei passaggi prolissi e la ha alleggerita per i lettori
per renderla una lettura gradevole.
Nell’ambito cavalleresco l’iniziatore di questo topos è Garci Rodríguez de Montalvo, e sulla sua falsa
riga e sui suoi preliminari dell’Amadis ed Esplandian, una larga parte degli autori cavallereschi
adottano questo topos e lo reinventano a modo loro, modificando varie cose ciascuno. Ma sono
variazioni sul tema, che ha le sue radici dal prologo di Amadis.
Miguel de Cervantes reinventa quel topos, fu uno degli appassionati lettori dei romanzi cavallereschi.
Nel momento in cui compone il Don Quijote e ne fa di fatto una parodia, in un epoca in cui è già
iniziato il declino del genere cavalleresco, che fino a pochi decenni prima era stato tra i generi più
letti e apprezzati dal pubblico. Ma che quando alla fine del ‘500 Cervantes redige la prima parte del
Quijote (ha due parti) è in chiara decadenza. Ha ancora più motivo di delinearne una parodia con la
figura del nostro Alonso Quijano che perde il senno per le troppe letture di romanzi cavallereschi che
gli seccano il cervello, portandolo a confondersi con uno di questi cavalieri andanti e tentare di vivere
il sogno di essere anche lui protagonista di quelle imprese, di essere anche lui un cavaliere,
accompagnato dallo scudiero di turno e deciso a dedicare tutte le sue imprese ad una donna amata.
Perché non c’è cavaliere che si rispetti senza una bella donzella a cui offrire la gloria conquistata sul
campo.
La celestina è la mezzana, colei che intercede in relazioni amorose; non è solo alcahueta. La
celestina ha mille mestieri, alcuni sono copertura per l’impiego principale ed è anche una ecisera,
ovvero una fattucchiera. C’è un celebre episodio, l’invocazione a Plutone i re degli inferi, quando
si appresta a fare visita a Melibea per la prima volta e invoca l’aiuto delle divinità infernali
affinché l’assistano in questa impresa in cui sa di giocarsi addirittura la vita.
Il titolo originale era Prima comedia, poi Tragi-comedia, perché ha un finale tragico di Calisto e
Melibea che è la coppia di giovani innamorati, che poi diventano amanti, mantenendo clandestina
la loro relazione e della mezzana che fa da mediatrice tra i due perché le fanciulle di buona
famiglia di casa non uscivano se non per andare a messa e accompagnate; quindi un giovane come
Calisto ha poche possibilità aveva di entrare in contatto con la fanciulla, si rendeva necessario
l’intervento di una mezzana, una figura femminile, vista senza sospetto dalla famiglia della
fanciulla, che potesse dunque trasmettere messaggi, biglietti o addirittura concordare incontri
clandestini, come quelli che avvengono tra Calisto e Melibea nel giardino della casa di Melibea.
C’è una storia parallela che riguarda i servi di Calisto, Pármeno e Sempronio, il primo fedele e
devoto che cerca di mettere in guardia il padrone che la perso la testa ed è disposto a qualunque
cosa pur di avere Melibea e l’altro invece, Sempronio, avido, che comprende rapidamente che
questo innamoramento di Calisto può essere motivo di guadagno per tutti. Sempronio si allea a
Celestina, che ha dei trascorsi non proprio limpidi, Pármeno la conosce bene perché da piccolo
ha vissuto addirittura con lei, sua madre era amica intima della Celestina ed erano tutte e due
maestre dell’arte delle pozioni. Dopo una serie di eventi, anche l’onesto e ingenuo Parmeno si
unirà a questo patto tra Sempronio e Celestina e i tre cospireranno ai danni di Calisto, a
conclusione della vicenda assistiamo a una serie di morti accidentali e non: Calisto morirà in una
forma che ha delle sfumature anche di ridicolo perché scivola da una scala, dopo l’ennesima visita
all’amata Melibea e muore per la caduta; Celestina, che è di fatto l’anima della storia perché è lei
che fa da mediatrice, è lei che campeggia con questa figura originale e potente sulla scena, muore
più o meno a metà della storia, muore assassinata da quei due servi che erano stati suoi complici
e che la uccidono per pura cupidigia, perché Celestina ha trattenuto parte dei guadagni ottenuti
da Calisto, che secondo il patto iniziale avrebbe dovuto spartire.
Viene uccisa in casa di notte e gli assassini, Parmeno e Sempronio, saranno poi giustiziati, quindi
sarà necessaria la sostituzione dei servi che accompagnano Calisto con altri. Quando Calisto dopo
l’ennesimo appuntamento notturno, cade e muore, segna di fatto anche il destino di Melibea.
Lei ha perso il bene più pregiato, la sua virtù, e quando sente i genitori che parlano tra di loro
della necessità di trovare un marito per questa figlia che ormai è in età di matrimonio, capisce che
il suo destino è un destino di morte, dovrà accompagnare il suo amato Calisto in questa sorte, ma
è lei che decide di togliersi la vita perché sa che non potrebbe aspirare ad un matrimonio, non
essendo più vergine, e confessa dopo essere salita sulla torre della casa, confessa al padre tutto
ciò che è successo un attimo prima di lanciarsi nel vuoto.
La Celestina termina con il lamento di Pleberio, che ha perso la sua unica figlia, che avrebbe
dovuto essere il bastone della sua vecchiaia e assistiamo a un lungo compianto in questa valle di
lacrime. Così termina.
La domanda spontanea sarebbe: ma se è morta Celestina, e sono morti tutti gli altri, che
continuazione ci potrà mai essere?

Ci può essere, con qualche accorgimento perché assistiamo addirittura alla pubblicazione di tre
continuazioni nel corso del ‘500:
1. Feliciano de Silva, Segunda Celestina, 1534 (l’autore è stato anche un autore cavalleresco,
uno di quelli più ammirati dal Don Quijote)
2. Gaspar Gómez de Toledo, Tercera parte de la tragicomedia de Celestina, 1536 (due anni
dopo)
3. Sancho de Muñón, Tragicomedia de Lisandro y Roselia, llamada Elicia y por otro nombre
cuarta obra y tercera Celestina, 1542.
Come si può giustificare una continuazione? In un modo molto semplice, c’è il classico vecchio
trucchetto di far resuscitare alcuni dei personaggi ed è esattamente quello che fa Feliciano de
Silva (la sua è una commedia non una tragicommedia), la sua protagonista appare soltanto quando
la storia è iniziata già da un po’, nella settima scena appare viva e vegeta e appare per raccontare
come sono andate in realtà le cose in quella tragica notte in cui si supponeva che fosse stata
assassinata e diche che non è andata così, che lei in realtà ha finto di essere morta e grazie alle
sue arti da fattucchiera ha potuto farlo credere a tutti, il realtà il suo reale proposito era vendicarsi
di Parmeno e Sempronio e ci riesce perché effettivamente davanti al presunto cadavere di
Celestina, la giustizia non può che intervenire e dopo una verifica abbastanza sommaria
(l’esecuzione dei due avviene subito), riesce nel suo intento di vendicarsi e si nasconde a casa del
signor Arcidiano Viejo, che era un suo vecchio amante in gioventù. Si nasconde finchè non decide
di riapparire in città e lo fa con un’entrata trionfale ma che getta nel panico i suoi concittadini che
credono di vedere un fantasma perché tutti l’avevano data per morta.
La Celestina riappare, perché dice che è arrivato il momento di tornare alla vita reale e si inventa
che finge di essere resuscitata e di essere tornata tra i vivi ma con uno spirito nuovo, si è
profondamente pentita della vita che ha condotto prima e adesso vuole essere portatrice di nuovi
e più sani valori. Assistiamo dunque a questa apparizione fantastica, c’è un addirittura un
personaggio che si chiama Puelo, che si sorprende, si spaventa e si scandalizza.
La Celestina va da le sue fanciulle (gestiva una casa d’appuntamenti: bordello), e tutti le chiedono
come è stata nell’aldilà e di spiegare e lei dice che non vuole parlare dell’aldilà, non viene a
svelare segreti dell’aldilà, viene a correggere i vizi dei peccatori qui sulla terra.
In queste nuove vesti però non rinuncia a un aspetto di uno dei suoi vecchi mestieri della Celestina
originaria: anche qui c’è una coppia di innamorati che si trova in una situazione analoga a quella
di Calisto e Melibea e che avrebbe bisogno di un intermediario per dialogare e la nostra Celestina
va da loro trasformandosi in una vera e propria sensale, casamentera, ossia non propizia relazioni
clandestine, bensì il matrimonio e in questa nuova veste castigata, è l’obbiettivo finale a cui aspira
la coppia di innamorati.
Ecco possibile una continuazione, con il pretesto che la vera Celestina non è mai morta, si è
semplicemente nascosta dopo aver finto la sua morte grazie alle sue arti magiche.
Gaspar Gómez de Toledo poco dopo continua la narrazione di Feliciano de Silva e non a caso
si dice tercera parte. La sua Celestina è quella stessa Celestina di Feliciano de Silva che, alla fine
della vicenda narrata, che ripropone uno schema noto: ottiene appunto di stipulare le nozze della
coppia di innamorati di turno ma proprio nelle scene finali mentre si rallegra dei soldi che
riscuoterà come compenso per il suo incarico, scivola in malo modo, cade, batte la testa e muore.
Ed ecco qui la nostra tragicomedia.
Allora sorge un’altra domanda spontanea: come è possibile che nel ’42 si pubblichi la quarta
opera della Celestina? Non è resuscitata di nuovo.
Sancho de Muñón fa un’operazione ancora più interessante. Con lui Lisandro e Roselia è la
coppia di innamorati di turno che ha bisogno di una mezzana e allora tra i due si chiedono da chi
vogliono andare e propongono Celestina e si comincia a discutere di chi sia Celestina. Discutendo
scopriamo che Sancho de Muñón scredita totalmente l’operato di Feliciano de Silva e Gaspar
Gómez de Toledo dicendo che non era possibile una Celestina resuscitata lei è morta, la vera
Celestina è morta e ci sono prove schiaccianti della sua morte e le passa in rassegna citando
frammenti della vera Celestina, quella di Fernando de Rojas. Si parla di tutti i testimoni che hanno
visto il cadavere, si parla delle ferite, si parla del fatto che c’è una tomba della madre Celestina e
che Parmeno e Sempronio sono stati giustiziati proprio per quel cadavere che tutti hanno potuto
vedere e toccare e che quindi è impensabile una presunta seconda vita della Celestina.

E allora come si spiega che sia circolata questa voce? Semplicemente si dice che una vecchia
conoscente della vera Celestina si è spacciata per lei per approfittare della sua fama ed è il motivo
per cui si è fatta chiamare come la madre Celestina. Quindi si scredita la versione data dai due
suoi predecessori.
C’è una lunga spiegazione di quanto è successo in realtà. Lei non era la barbuda, questa è la pura
verità tutto il resto sono invenzioni.
Allora chi è la Celestina della Tragicomedia di Lisandro e Roselia composta da lui? Non è
neanche
lei la Celestina di Rojas bensì è Elicia, la sua discepola più dotata, quella a cui la vera Celestina
ha lasciato in eredità tutto il suo armamentario da fattucchiera, oltre ad averle trasmesso tutte le
sue competenze in termine di arte della restituzio-verginità, che era uno dei mestieri della madre
Celestina, ossia restituire in modo fittizio ovviamente, a base di ago e filo, la verginità alle
fanciulle che l’avevano persa. Elicia ha imparato l’arte e ora è lei che si fa chiamare così.
È più verosimile la versione di Sancho de Muñón, di un passaggio di testimone, dalla vera barbuda
a una sua allieva prediletta, che è una pista in qualche modo già tracciata dallo stesso Rojas nei
dialoghi della prima Celestina. Perché ce ne sono vari tra Celestina ed Elicia in cui si intravede
questa possibilità che Elicia diventi l’erede.
Ma come recita il titolo, ossia Tragicomedia, il modello della Celestina di Rojas è presente anche
nello sviluppo degli eventi, perché anche qui avremo un finale assolutamente tragico, con un vero
e proprio bagno di sangue e questa volta per mano del fratello di Roselia, che sospetta che si stia
tramando qualcosa di illecito alle sue spalle, sorprende la coppia di innamorati in uno dei suoi
appuntamenti notturni e fa una strage perché neanche l’ombra del sospetto può gravare su una
casa di nome illustre come la sua e quindi considerando che la sorella ha macchiato l’onore di
casa, compie una carneficina nelle pagine finali.
Se abbiamo assistito al trionfo del genere cavalleresco, assistiamo anche al fiorire di un vero e
proprio genere celestinesco, che lascerà la sua impronta non soltanto nella produzione in prosa
ma anche nel teatro, perché si moltiplicano anche le opere teatrali di genere celestinesco che
quindi seguono la falsa riga della trama o adottano alcuni dei personaggi, li fanno propri e danno
proprio vita ad alcuni dei personaggi di Rojas. La Celestina Rojas e dell’antiguo autor (nel caso
della Celestina il fatto di riprendere un altro testo è reale non solo un topos, lo stesso Rojas
racconta nel testo che lui aveva trovato poche pagine di quest’opera che aveva poi deciso di
completare). C’è stato un primo autore a cui si è tentato di dare un nome ma senza prove
schiaccianti che ci consentano di mettere un nome e cognome sul frontespizio. Lo stesso Fernando
de Rojas è un continuatore di un opera primigenia anche se non completa e lui e l’antico autore
lasciano una traccia ben profonda nella letteratura spagnola del ‘500 dando vita a un vero e
proprio genere con imitazioni, continuazioni, rimaneggiamenti.
Il successo della Celestina di fine ‘400 e inizio 500 sia stato poi anch’esso duraturo nella Spagna
secolare.
Il modello chiaro di Sancho de Muñón è il testo originale della Celestina e lo si evidenzia anche
nel
paratesto, perché così come Rojas aveva fatto ricorso a diversi acrostici per rivelare la sua identità
(ci sono una serie di versi la cui prima lettera da il nome dell’autore che all’inizio non compare
sul frontespizio, si legge solo il titolo), questo stratagemma dei versi acrostici lo recupera Sancho
de Muñón che rivelerà la sua identità proprio tramite quei versi.

Sancho de Muñón è un religioso, un teologo e proprio per questo motivo non ha voluto
rivelare la sua identità, la rivela con questo stratagemma. Il modello è un modello in tutti e
per tutto, addirittura anche nei testi preliminari e da le stesse motivazioni di Rojas e nel paratesto
della Celestina dice che lui in realtà è un uomo di legge, studia legge (sappiamo molto di Fernando
de Rojas, anche delle sue letture perché è stato ritrovato l’inventario della sua biblioteca) e che
per questo motivo preferisce conservare l’anonimato perché dice che non vorrebbe che lo
giudicassero male, in fondo quest’opera l’ha portata avanti e completata dopo aver trovato l’inizio
durante delle vacanze, è stato un passatempo che gli ha occupato pochi giorni, non vorrebbe che
si pensasse che lui è dedito a queste letture amene di opere di passatempo.
Abbiamo visto quale fosse l’opinione dei ben pensanti: non erano letture adatte a un giurista
affermato, meno che mai la composizione di un’opera di questo tipo; per questo Rojas all’inizio
cerca di occultare la sua identità che poi emergerà e Sancho de Muñón fa esattamente lo stesso e
nel suo caso la situazione è ancora più delicata essendo un teologo, per quanto comunque si sforzi
di dare riflessioni filosofiche all’opera, sulla vita, i veri valori della vita (c’è un personaggio che
si fa portavoce di queste riflessioni).
Se i romanzi cavallereschi furono oggetto delle critiche dei moralisti, lo fu anche la Celestina,
della Celestina pure si invocò la censura. Nel caso della Celestina è evidente il motivo della
censura: come finiscono le ragazze che si fanno abbindolare dal Calisto di turno, si fanno sedurre,
cedono alle loro voglie e poi sono costrette al suicidio, vogliamo dare questi esempi alle nostre
figlie?
Ci sarà un movimento di pensiero di molti di questi moralisti che invocheranno l’inclusione del
libro della Celestina nell’indice dei libri proibiti e la Celestina si, ci finirà, ma non quella di Rojas,
bensì quella di Feliciano de Silva, perché giocare sulla resurrezione era visto come qualcosa di
assolutamente sacrilego. È quella di Silva che finisce all’indice, anche quella di Rojas ci finirà
ma molto tardi e anche in un modo casuale quasi perché della Celestina nel ‘600 si castigheranno
poche frasi, ma non l’opera intera (come la famosa frase di Calisto: yo no soy cristiano, yo
melibeo soy, facendo una professione di fede per il suo amore per Melibea; questa sarà una delle
frasi che faranno accapponare la pelle ai moralisti), si cancelleranno poche parole e frasi, ma
arriverà un momento in cui, molto tardi, quando non siamo più nel siglo de oro, entrerà nell’indice
dei libri proibiti, quando oramai il pubblico aveva pure perso interesse per l’opera che quasi non
si stampava più. Ma per tutto il ‘500 si moltiplicano le riedizioni della Celestina di Rojas.
LAZARILLO DE TORMES. Da leggere
Storia controversa molto segnata dalla censura, Lazarillo è una di quelle parola,
esattamente come Celestina, che da nome proprio è diventato anche nome comune
nello spagnolo ed è utilizzato. Lazzaro è persona che aiuta in senso metaforico,
quindi lo utilizziamo come un sostantivo, esattamente come Celestina, per intendere
che ho propiziato un incontro, ho favorito che si conoscessero.
Entrambi i nomi comuni sono ispirati a nomi propri di protagonisti di opere letterarie,
abbiamo un caso che tutti conosciamo ossia Don Giovanni, che si può dire di una
persona, tutto nasce de un altro personaggio.
EDIZIONI DEL LAZARILLO.
Nel libro vediamo la storia editoriale di quest’opera
perche vediamo un frontespizio datato 1554 con un
titolo: la vida de Lazarillo de Tormes y de sus
fortunas y advecidades. Manca però qualunque
riferimento all’autore.

L’edizione invece di Alcalà de Nares con data


sempre del 1554 ha come frontespizio il ciego e il
lazaro con un titolo più esplicito cioè La vida de
Lazarillo de Tormes y de sus fortunas y
advercidades, nuevamente imprisa, corregida y de
nuevo añadida en esta seguenda impresión.
Si fa riferimento a una ristampa con delle aggiunte
sempre nel 1554.
La prima edizione venne stampata a Burgos e la
seconda ad Alcalà il 26 febbraio, data che
conosciamo grazie al Colophon.
Altra edizioneà la vida de Lazarillo de Tormes y
de sus fortunas y advecidades stampata in Anvers,
si trova nelle Fiandre (che facevano parte dei
possedimenti della corona spagnola) e quindi come
abbiamo visto che a Napoli si stampavano testi
spagnoli, perché nel regno spagnolo era fiorente la
produzione di testi spagnoli, essendo parte anche
Napoli della corona spagnola, lo stesso avveniva
nelle Fiandre. Porta sempre l’anno 1554 e lo
Stampatore.

Queste erano le 3 edizioni più antiche del Lazarillo


de Tormes che si conoscevano fino al 1992. Nel
1992 in modo assolutamente casuale è stata fatta una scoperta importantissima: la
scoperta della biblioteca de Barcarrota; è il nome di un paesino in Extremadura dove
in una casa con una lunga storia, si fanno dei lavori di ristrutturazione, nel corso di
questi lavori, abbattendo un tramezzo, si scopre che dietro questo tramezzo si celava
una piccola biblioteca con delle caratteristiche molto precise.
Era una biblioteca che fu
murata e non a caso. La
scoperta fu fatta nel ’92,
ma fu resa nota più di tre
anni dopo perché nel
frattempo si era scatenata
una piccola guerra per
capire chi metteva le mani
su questa biblioteca,
perché era emersa subito
l’importanza su questa
piccola collezione di libri.
Tra quei 10 testi a stampa
c’era anche un Lazarillo
de Tormes, stampato
anch’esso nel 1554, ma si
trattava di una edizione
ignota fino a
quel momento agli
studiosi.

Se si nascondevano quei libri era perché si trattava di libri proibiti o di contenuto sospetto e lo
stesso Lazarillo finì nei libri proibiti. Nel 1559, c’è il primo indice di libri proibiti di Valdez, che
di fatto proibisce l’opera che era stata pubblicata anonima, quindi non rispondeva ai requisiti
indispensabili della stampa perché c’era bisogno di pubblicare nome dell’autore e tutte le
coordinate del tipografo che stampava l’opera. Il Lazarillo finisce nell’indice e ci rimarrà fin
quando Juan Lopez de Velasco non ci rimette mano, dando vita a un Lazarillo castigato. Tutti i
dieci testi, più il manoscritto, scoperto a Barcarrota hanno in comune il carattere eterodosso. Ci
sono anche altri testi insieme al Lazarillo. proprio il fatto che finirono murati per
paura di una persecuzione, li ha salvati e ce li ha trasmessi, ci sono arrivati in eccellenti condizioni
secoli dopo. Nel 2022è stata fatta una nuova mostra a 30 anni dalla scoperta eccezionale della
biblioteca de Barcarrota e quindi sono stati nuovamente esposti questi 11 gioielli. La prima
edizione facsimile è del ’96. Il suo Colofón recita che fu stampata a Medina del Campo (si somma
agli altri posti), il 1 di Marzo del 1554. Di tutta la collezione di Barcarrota sono stati pubblicati
dei facsimili. Questo è il Lazarillo de Barcarrota.
Il 23 aprile non è una data casuale è la giornata del libro e la lettura, scelto perché morirono lo
stesso giorno Miguel de Cervantes e William Shakespeare in date diverse.
E un 23 d’aprile del 2002 fu inaugurata ufficialmente la biblioteca de Extremadura en Badajoz
dove venne trovato anche un amuleto.
INTRODUZIONE.
Ma a quando risale la prima edizione? Ci muoviamo solo con ipotesi, basate su elementi interni
del testo ma non sono mai risolutive. Alla questione della datazione, se ne unisce un’altra: quella
del nome dell’autore. A tutt’oggi rimane anonimo.
Rosa Navarro in anni recenti, si è fatta portavoce di una teoria che non è del tutto originale, lei ha
ripreso questa ipotesi con maggiore forza e con una serie di pubblicazioni ha creduto (non accolta
totalmente favorevolmente) che l’autore del Lazarillo fosse Alfonso de Valdez, segretario di
Carlo V, curava l’epistolario in latino, letterato e ha pubblicato due dialoghi: Mercurio y Tarón e
il dialogo de las cosas acadidas en Roma, che riprende e racconta a modo suo in difesa di Carlo
V) gli eventi del tragico sacco di Roma nel 1527. Lei ha difeso questa sua teoria e l’ha considerata
talmente ben dimostrata da giustificare la pubblicazione a cura sua di una serie di edizioni del
Lazarillo sotto il nome di Valdez. Tutte le edizioni di Navarro portano sul frontespizio il nome di
Alfonso de Valdez. Teoria che però ha dei punti deboli.

Il lazarillo parla di sé stesso in prima persona, un’autobiografia, una lunga lettera e il destinatario
è VUESTRA MERCED: Perché Lazaro scrive una lettera a Vuestra Merced, in risposta ad
un’altra lettera, lo si può capire in un passo del prologo a pagina 10/11.:

Y pues Vuestra Merced escribe y le escriba y relate el caso muy por extenso, parescióme no
tomalle por el medio, sino del principio, poque se tenga entera noticia de mi persona;y también
porque consideren los que heredaron nobles estados cuán poco se les debe, pues Fortuna con
ellos parcial, y cuánto más hicieron los que, siendoles contraria, con fuerza y maña remando
salieron a buen puerto.

Questo passaggio è chiave per la comprensione dell’intera opera.


È un romanzo in forma epistolare ed è autobiografico, è la storia della vita di Lazaro. Una Vuestra
Merced non chiaramente identificata a precedentemente scritto a Lazaro, la lettera mandata da
Vuestra Merced a Lazaro aveva una finalità molto chiara, era interessata al caso, ed apposta caso
è con l’articolo EL. Sanno perfettamente di cosa si stanno parlando; Vuestra Merced è venuta/o
a sapere del caso e poiché Lazaro è co-protagonista di questo caso, vuole sapere come sono andate
le cose da un alto punto di vista, dunque è stata Vuestra Merced a scrivere la prima lettera. Lazaro
risponde a questa ma prende una decisione. Vuestra Merced è interessata/o unicamente al caso,
ma Lazaro comincia a raccontare la storia dall’inizio, ovvero fin dalla sua nascita, perché Vuestra
Merced possa capire fino in fondo come sono andate le cose e il perché di determinate decisioni
di Lazaro.
Non comincia in Medias res, bensì dall’inizio della storia, vuole dare un resoconto completo e fa
capire anche quanto sia stata difficile la sua vita per tanti motivi in primis per il ceto sociale della
sua famiglia, per le origini di Lazaro e per la storia dei suoi genitori.
Perché capiscano, chi è nato con origini nobili, quanto poco hanno dovuto lottare nella vita per
ottenere una certa posizione sociale, lui non ha nobili origini, la fortuna con lui non è stata
generosa, lui è nella seconda categoria di queste due mostrate nel prologo. Lui appartiene a una
categoria di persone che hanno dovuto combattere per ottenere un certo posto di qualche rispetto
nella società, ha dovuto sudare, ha patito. Ma è anche tra quelli che con fuerza y maña remando
salieron a buen puerto.
L’immagine di Fray Luis de León è della vita come un viaggio in un mare in tempesta e questa
stessa immagine ce la offre Lazaro dicendo che lui ha dovuto remare con forza, con abilità e
destrezza per poter approdare a un buon porto. Ho dovuto lottare contro mille avversità, non
avevo il vento favorevole, al contrario.
Questo prologo è di fondamentale importanza per capire:
1) cosa andiamo a leggere dalla pagina 12 del testo, ossia un autobiografia che ha un inizio molto
chiaro, proprio la nascita di Lazaro e
2) una conclusione, altrettanto chiara, la conclusione è il racconto del caso che occupa quasi
totalmente il settimo trattato.
In sette trattati e divisa l’opera, tra la nascita di Lazaro e i fatti che costituiscono il caso c’è una
serie di peripezie che probabilmente a cui non sarebbe interessata Vuestra Merced, ma che
possono far capire chi è Lazaro, come è diventato quello di ora, come si è forgiato, come è
approdato nel buen puerto che altro non è che l’oficio real.

El caso occupa il settimo trattato, la cui epigrafe, come buona parte degli epigrafi che con ogni
probabilità non sono frutto della penna dell’autore, bensì per intervento degli editori, stessa cosa
come ipotesi di Rico (autore nostra edizione), il titolo dell’opera è stato deciso da coloro che
pubblicarono l’opera. Titolo che va interpretato perché “La vida de Lazaro de Tormes” è chiaro,
ma “y de sus fortunas y Adversidades” non può legarsi alla vita perché non si spiega un “la vita
delle sue disgrazie e avversità”.
Quindi sia il titolo che l’epigrafe (i titoletti che troviamo all’inizio dei sette trattati) e anche la
stessa
suddivisione in trattati (è un ipotesi di molti) probabilmente sono frutto di un intervento esterno,
quello di coloro che stampavano e la prova è che questi titoli non sempre rendono giustizia al
contenuto del trattato stesso.

Nel primo trattato “cuenta Lazaro su vida y cuyo hijo fue” ad esempio, che significa “Lazaro
racconta la sua vita e di chi fu figlio”, ma è davvero questo il contenuto del tratado primero? Non
c’è alcun riferimento al primo e fondamentale padrone di Lazaro che influisce alla sua
formazione, come pure “cuenta su vida” è molto generico, potrebbe essere applicato a tutto il
Lazarillo, non è specifico e non si ferma al racconto di chi furono i suoi genitori. Bensì introduce
questo personaggio di grande importanza, il cieco, a cui la madre affida Lazaro, non potendolo
più mantenere.

Lo stesso dicasi per il settimo trattato “cómo Lazaro se asentó con un alguacil, y de lo que
acaesció con él”, neanche questo titolo risponde di fatto al contenuto perché l’esperienza al
servizio di questo alguacil, che era un funzionario di giustizia, mestiere pericoloso, ma lo
racconta in pochissime righe, a partire da “con esto renegué del trato” inizia il racconto del caso;
perché Lazaro spiega come dopo aver cambiato una lunga serie di padroni (alguacil è solo
l’ultimo padrone di Lazaro), infatti detto anche mozo de muchos amos (servo di molti padroni),
Lazaro prende una decisione: ha già risparmiato abbastanza soldi con altri lavori che ha fatto
precedentemente per abbandonare i panni dello straccione, può aspirare a quello che è l’oficio
real, ovvero un mestiere al servizio del re e questo mestiere lo spiega all’inizio del settimo trattato.
MEDRE viene da MEDRAR, è un verbo essenziale per comprendere il Lazarillo de Tormes.
Questo oficio real, tanto sospirato, perché gli presenta tanti vantaggi, è un posto fisso al servizio
del re, quindi non dipende più dalla generosità di un padrone, dalla generosità di coloro che fanno
l’elemosina, ha uno stipendio ed è il posto che occupa quando scrive questa lettera di contenuto
autobiografico e ce lo spiega perché dice “en el cual yo el dia de hoy vivo y resido a servicio de
Dios y de Vuestra Merced”, quindi ha tutt’ora questo posto e ci spiega in cosa consiste il suo
mestiere: “y es que tengo cargo de pregonar los vinos que en esta ciudad se vende, y en
almonedas, y cosas perdidas, acompañar los que padecen persecuciones por justicia y declarar
a voces sus delictos: pregonero, hablando en buen romance”.
Pregonero, pregonar: banditore.
Lui annuncia la vendita dei vini che si bevono en esta ciudad, è necessaria anche la presenza di
un venditore nelle aste che presenta la merce in vendita (non solo vino); non solo, il pregonero fa
anche bandi pubblici per annunciare gli oggetti smarriti, altro incarico è accompagnare coloro
che avevano commesso dei delitti che ricevevano il giusto castigo, sfilavano per le strade della
città per essere da non esempio a tutta la popolazione e il pregonero annunciava delitti e castighi,
si annunciava pubblicamente.
Le cose gli sono andate molto bene come spiega dopo. Si è fatto un nome in questa città, la città
di Toledo, perché la nostra storia comincia nei pressi della città di Salamanca e si conclude a
Toledo. Lazaro si muoverà nell’ambito di questa geografia, province o della Salamanca o di
Toledo, come ad esempio il Clerigo di Maqueda, che è nella provincia di Toledo.
Alla fine della vicenda, quando avviene el caso, Lazaro fa il banditore a Toledo e le cose gli vanno
così bene che in città non si vende nulla se non passa per le sue mani, tutti vogliono che lui
intervenga nelle vendite.
Tutti quelli che vogliono vendere qualcosa si rivolgono a lui perché altrimenti non credono che
trarranno il massimo profitto dalla vendita.
Piano piano ci avviciniamo al caso, di cui protagonisti conosciamo nelle righe successive.
Proprio nell’esercizio del suo incarico di banditore, Lazaro de Tormes conosce l’arciprete di San
Salvador, i cui vini annunciava e vendeva Lazaro, questo è il passaggio che ci consente di capire
come si sono conosciuti i due.
Lazaro dice che tutto ciò che era in vendita a Toledo passava per le sue mani, anche i vini prodotti
dall’arciprete di Don Salvador, che scopriamo anche è servidor e amigo di Vuestra Merced.
Ecco il legame tra Vuestra Merced e l’arciprete di Don Salvador, ma c’è un altro co-protagonista
del caso e lo scopriamo nelle righe finali. L’arciprete diventa amico di Lazaro, entra in affari con
lui e gli propone in matrimonio una sua serva, “una criada suya”, che effettivamente diventerà la
moglie di Lazaro.
Lui accettò quella proposta e lui ritenne all’epoca che potevo solo trarre benefici dal matrimonio
e dal frequentare la casa dell’arciprete. Finora non si è pentito di questo matrimonio, perché ho
trovato una donna e grazie a questo matrimonio può contare sull’appoggio e il sostegno
dell’arciprete, che ci favorisce in mille modi. È molto generoso con la coppia di sposini e manda
loro grano, carne, pane, vestiti dismessi, li invita a pranzo i giorni di festa e per averli più vicini,
li ha fatti affittare una casetta vicino alla sua. È tanto generoso che invita Lazaro e sua moglie a
pranzare con lui le domeniche e i giorni di festa.

Fin qui tutto bene, la scelta di Lazaro sembra essere stata opportuna ma le male lingue che hanno
sempre da dire non ci lasciano vivere: evidentemente in tutta Toledo circolano dei pettegolezzi,
vanno dicendo afferma Lazaro un “no sé que y sí sé que”= un non so che (abbiamo anche noi
questa espressione), ma Lazaro la rettifica aggiungendo ‘si che so’, perché lui sa di cosa parlano
queste male lingue.
Le male lingue hanno da ridire sul fatto che la moglie di Lazaro entra ed esce dalla casa
dell’arciprete di San Salvador a qualunque ora, del giorno e della notte. Ma è una sua serva, è
normale che vada a rifargli il letto e a cucinargli in fondo.
Naturalmente queste voci sono arrivate alle orecchie dell’arciprete e lui un bel giorno si chiama
Lazaro e gli ha fatto un discorso davanti alla moglie e gli ha detto “Lazaro de Tormes, io so che
si parla di noi, so che circolano delle voci, ma chi bada alle male lingue nunca medrarà (non
migliorerà), lo dico perché non mi stupirebbe se qualcuno avesse da ridire sul fatto che tua moglie
entra ed esce di qua, ma se lei lo fa è nel rispetto della tua reputazione e della sua, non fa nulla di
male e soprattutto bada a quello che più ti interessa vale a dire tu provecho (il tuo beneficio)”
.
“Arrimarme a los buenos para ser uno de ellos” gli risponde lui. È stato anche il motto della madre
di Lazaro, vuol dire frequentare i buoni, accompagnarsi ai buoni, mettersi sotto l’ala protettrice
dei buoni.

Ma cosa sono i buenos? Non si tratta di buoni in senso morale (da quanto capito dall’arciprete
che va a letto con sua moglie non proprio), ma si tratta di una persona potente. Chi si accompagna
ai potenti ne trae sempre beneficio.
Gli dice che è vero che qualche suo amico gli ha detto di questo e i pettegolezzi si sono anche
spinti oltre perché gli hanno anche detto che prima di sposarsi con lui sua moglie aveva partorito
tre volte.
Aleggia il sospetto di chi siano questi figli, quindi non solo parla di una tresca con l’arciprete, ma
si parla addirittura di figli illegittimi avuti prima del matrimonio. Poiché tutto questo discorso
viene fatto in presenza della moglie di Lazaro, la ragazza, che immaginiamo sia molto giovane,
(lo stesso Lazaro si deduce sia molto giovane dalla cronologia del racconto), scoppia in lacrime,
si dispera, protesta la sua innocenza, addirittura lancia maledizioni, pentendosi di essersi sposata
con Lazaro e allora da un lato Lazaro e da un lato l’arciprete la tranquillizzano ma a patto di fare
una certa cosa.

La moglie di Lazaro si calma solo quando il marito le promette che a partire da quel giorno stesso
non le avrebbe mai più menzionato nulla dei pettegolezzi che circolavano, di queste dicerie sul
fatto che avesse partorito tre volte prima del matrimonio, mai più e le promette anche che non
avrà nulla da ridire sul fatto che frequenti la casa dell’arciprete, poteva entrare ed uscire a
qualunque ora, del giorno e della notta, perché era assolutamente certo del fatto che non facesse
nulla di male in quella casa.
E così, dopo questa sorta di “chiarimento”, i tre stringono un tacito accordo, un patto di silenzio,
non avrebbero mai più menzionato quelle voci maligne che circolavano sul loro conto e nessuno
avrebbe mai avuto nulla da ridire su questo.
“Fino al giorno d’oggi nessuno ci ha sentito parlare del caso” dice. Ecco tornare di nuovo il caso.
Ed ecco perché si usa quell’articolo determinativo ed ecco cos’è il caso, che sarebbe questo
menage a troi, perché tutti sospettano che la moglie di Lazaro sia l’amante dell’arciprete e
probabilmente lo era già da prima e all’arciprete faceva comodo un marito ufficiale per questa
sua serva.
Nessuno li ha sentiti parlare del caso perché hanno stretto questo patto di silenzio i tre interessati.
Anzi se qualche amico di Lazaro cerca di tirar fuori l’argomento e metterlo in guardia, lui lo
blocca subito e gli dice “Mirà (mirad) se siete mio amico non mi dite cose che mi possano
dispiacere, non voglio sapere nulla, soprattutto se le cose che volete dirmi sappiamo entrambi che
potrebbero dispiacermi hanno a che fare con mia moglie che è una persona che io amo, adoro,
stimo e apprezzo, sono felicissimo di essermi sposato con lei quindi non la mettete in mezzo, io
sono pronto a mettere la mano sul fuoco per lei, se qualcuno osa sostenere il contrario io sono
disposto a sfidarlo e rischiare la vita per difendere il buon nome di mia moglie”. In questo modo
non gli dicono niente e lui ha pace in casa, vivo d’amore e d’accordo con mia moglie e c’è serenità
in casa.

Chiusa finale = Cumbre de buena fortuna, che sarebbe la cima della sua fortuna, Lazaro considera
di averlo raggiunto con il matrimonio con questa serva dell’arciprete di Don Salvador. Abbiamo
a che fare con una lettera e sappiamo che ogni lettera deve luogo e datazione: la lettera è stata
redatta a Toledo, ma quando?
Qua si apre un tema spinoso perché il nostro vittorioso imperatore Carlo V per due volte tenne le
Cortes nella città di Toledo, una prima volta nel 1525 e poi nel 1538/39, a quale delle due
circostanze si riferisce Lazaro? Difficile stabilirlo. Questo è uno dei passaggi testuali che
potrebbero aiutarci a definire una cronologia della storia e della datazione del Lazarilo de Tormes
che noi definiamo picaresco col senno di poi per le altre creazioni venute dopo, ma il termine
picaresco non è presenta all’interno dell’opera.
Altri riferimenti storici possono aiutarci a datare quest’opera:
1. Quando la madre di Lazaro parla della morte del padre nella spedizione di Gerba, nonostante
ce ne siano due: una nel 1510 e una nel 1520 ma altri indizi ci portano a capire che si tratti
di quella del 1510;
2. A un certo punto quando Lazaro vive di elemosine si fa 2riferimento a un editto che
proibisce l’elemosina e decreta l’esilio per tutti i vagabondi mendicanti e tutto questo
sembra portarci agli anni ’40 del ‘500, perché la città di Toledo fu una delle ultime che
promulgavano editti in tal senso.
La datazione è un elemento che si lega a doppio filo con quello della paternità dell’opera. Rosa
Navarro afferma la teoria che l’autore sia Alfonso de Valdez che lei mette nelle sue edizioni
l’autore indiscusso del Lazarillo de Tormes, ma chi non volesse arrendersi a questa teoria deve
arrendersi al fatto che tutt’oggi mancano prove schiaccianti di un autore. Ci sono molti candidati
che potrebbero essere stati gli autori e sono elencati nell’introduzione di Rico, si va dalla
confraternita di Picaros, a un gruppo di vescovi non identificato, fino a Mendoza e addirittura il
fratello di Valdez.
Se diamo peso a questo riferimento ai delitti contro il vagabondaggio, contro il prosperare di
mendicanti, e lo consideriamo un riflesso di eventi storici, una collocazione intorno agli anni ’40
inoltrati ci fa scartare l’ipotesi di Valdez perché questo morì nel 1532. Se vogliamo credere che
le Cortes di Toledo a cui fa riferimento Lazaro nella chiusa, sono quelle del 38/39 e i riferimenti
sull’editto dei mendicanti sono degli anni ’40, era impossibile che l’autore sia Valdez, perché era
già morto e sepolto quando questo avvenne. La discussione sulla datazione per questo va legata
alla questione della paternità.
In realtà questa prima edizione che tutt’oggi non abbiamo, tutte le edizioni superstiti sono del ’54
e nessuna di queste è la prima, la teoria di Rico è che la prima edizione dovesse essere prossima
a queste ristampe ma per una questione di politica editoriale: ci sono state quattro ristampe nel
’54 di un testo che secondo la Navarro potrebbe essere degli anni ’30, come si spiega? Le ristampe
di solito si fanno sulla scia del successo editoriale di un’opera e quindi immediatamente dopo
l’apparizione della prima edizione.
Nel 1555, appare una prima continuazione anonima del Lazarillo de Tormes, anche qui le
continuazioni (se pensiamo anche ai romanzi cavallereschi) anch’essi si scrivono sull’onda del
successo editoriale dell’originale, non è pensabile vent’anni dopo o quindici si decida di scrivere
una continuazione. Questa continuazione lascia insoddisfatti molti autori perché l’anonimo autore
di questa seconda parte si inventò delle avventure fantastiche, tramutando ad un certo punto
Lazaro in un tonno cadendo in mare, dopodiché nell’abisso sposa una signora tonna e hanno tanti
figli. Anni dopo un altro autore, Juan de Luna scrisse un prologo carico di toni indignati dicendo
dove si fosse vista mai una continuazione del genere e che avrebbe scritto lui una continuazione
come si deve e riprende da dove l’anonimo autore del primo Lazarillo aveva interrotto il racconto.
Questa continuazione invece risale al 1620, ma la primissima la ricordiamo, quella del regno dei
tonni, per l’anno, ossia il 1555, la conclusione di Rico è che con ogni probabilità, questa prima
edizione oggi persa, doveva rimontare ai primi anni ’50 del ‘500, 1552 grosso modo doveva
essere stato stampato per la prima volta il Lazarillo de Tormes.
EL CASO.
La prima menzione del caso è all’inizio e la spiegazione del caso la troviamo solo alla fine, che era
l’unica cosa che interessava a Vuestra Merced, la quale ha un rapporto d’amicizia con l’arciprete di
Don Salvador.
Rosa Navarro è arrivata ad ipotizzare due cose:
1.Che questa vostra signoria possa essere una donna, non un uomo
2. L’arciprete di Don Salvador possa essere il confessore di questra Vuestra Merced; è un’ipotesi
non è dimostrato con prove inconfutabili.
Che sia uomo o donna appare chiaro che sia incuriosita o preoccupata da questi pettegolezzi che
circolano, soprattutto per la cattiva fama dell’arciprete che è suo amico, o forse confessore, e vuole
sapere da un diretto interessato, da un co-protagonista del caso come sono andate le cose. Alla fine
di conti, Lazaro è il marito di questa presunta amante dell’arciprete, però Lazaro, che non si tira
indietro e lo racconta il caso, ma con delle reticenze. I sospetti più atroci li racconta come frutto di
pettegolezzi come i tre parti.
Il patto di silenzio è evidente, Lazaro non tornerà più a parlare del caso, probabilmente non lo farà
mai più neanche con Vuestra Merced.
Ma quello che è importante è quanto ci ha detto Lazaro all’inizio nel prologo, ovvero che lui ritiene
opportuno non iniziare in Medias res e raccontare direttamente il caso, bensì fare un resoconto
completo della mia vita per fare in modo che Vuestra Merced capisca la sua persona. Dal prologo si
annuncia il motivo di questa lettera al caso, abbiamo quello che è il racconto autobiografico di tutte
le disavventure di Lazaro vissute al servizio di vari padroni. Ma tutto ciò che lui racconta dal
prologo al trattato 7 sul caso è opportunamente selezionato e orientato alla comprensione del caso.

Perché ha deciso di stipulare questo patto di silenzio? Perché Lazaro ha accettato di essere marito
carrujo? Perché ha deciso di arrimarse a los buenos? Perché ha ceduto alla vaga minaccia
dell’arciprete? Perché sono andate così le cose?
Lo capiamo leggendo la storia della sua vita, dalla nascita fino all’approdo al cosiddetto buen
puerto. È davvero un buon porto? È davvero la vetta, la sua buona sorte questo matrimonio? La
risposta che ci daremo cambierà dopo la lettura della storia dei suoi patimenti e la sua formazione a
furia di botte ricevuta dai suoi padroni, che spesso sono stati avari, violenti, lo hanno costretto a
patire la negra hambre, a chiedere elemosina, lo fanno vivere al ghiaccio, lo hanno portato quasi alla
morte per inerzia o per le percosse subite.
Dobbiamo tenere in mente tutto questo per capire la decisione di Lazaro, quel suo accettare il patto
di silenzio.

LA VITA DI LAZARO DE TORMES.


La sua vita inizia a Salamanca, dove vivono i genitori. Il padre fa il falegname, un mugnaio, ma fa
anche qualcos’altro, ossia ruba il grano dai sacchi di coloro che glielo portano a macinare, fa dice
Lazaro “ciertas sangrias”. Quindi ruba parte del contenuto e per questo motivo ebbe conseguenze con
la giustizia. La madre, invece, Antona Perez, aiuta il marito nel suo lavoro di mugnaio all’inizio e
proprio nell’esercizio di questo mestiere da alla luce Lazaro.
Leggiamo nel trattato 1 della sua nascita.
Confronto con L’Amadis de Gaula perché c’è come riferimento il prendere il cognome dal fiume in
cui è nato, il fiume Tormes, e potrebbe essere un collegamento all’Amadis, che anch’egli nato da un
fiume. Nel caso di Amadis abbiamo assistito alla nascita di un paladino della giustizia, un eroe, un
cavaliere senza macchia e paura, figlio di re e una principessa, nobile stirpe invece il povero Lazaro,
che nasce nel fiume, avviene in un contesto diverso. Lazaro è un anti-eroe, non ha niente a che vedere
con le nobili origini di Amadis, nasce nei bassifondi della società, il padre è un mugnaio e un ladro e
in quanto ladro verrà costretto all’esilio e troverà la morte in esilio nella spedizione di Gerba. La
madre sola, con un figlio a carico, non può che prendere una decisione (pag. 15).
Vedova con un figlio piccolo a carico, Antona Perez, va a vivere in città, a Salamanca perché
morirebbe di fame nel villaggio. Si avvicina a los buenos e li inizia a frequentare, prepara pranzi per
gli studenti della famosa università di Salamanca. ‘Arrimarse a los buenos’ nel suo caso significa
cominciare a frequentare le scuderie del commendatore della Magdalena.
Si insinua che questo passaggio significhi che in realtà la madre si stava prostituendo perché establera,
secondo il termine dell’epoca, era la parola con la quale ci si riferiva alle prostitute di infimo rango
che frequentavano las caballerizas, ossia le scuderie. Deve in qualche modo guadagnarsi da vivere,
ha una bocca da sfamare, non ha nessuno che la aiuti, finchè non conosce Faide, un uomo dalla pelle
scura (hombre moreno), che lavora per il commendatore della Magdalena. I due iniziano una
relazione, frutto di questa nascerà un fratellino al buon Lazaro, anche lui con la pelle scura.
Faide per mantenere Antona Perez, Lazaro e questo figlio appena nato comincia a fare anche lui dei
furti a casa del commendador de la Magdalena, quindi non solo il padre ma anche il padrigno pur di
campare comincia a delinquere. Anche il padrigno viene scoperto, Lazaro era complice di questi furti
nonostante la tenera età e quando viene interrogato ammette candidamente il suo ruolo in tutto ciò.
Vengono così scoperti e la conseguenza è che il padrigno viene frustato e castigato duramente e alla
madre di Lazaro si fa divieto di frequentare Faide di entrare in casa del commendador. Perde anche
questa forma di sostegno e cosa fa? Lo abbandona a un ciego.
Pag 20: ritroviamo anche qui le malas lenguas, va a prestar servizio in una locanda, anche qui
dobbiamo leggere tra le righe, è facile che anche in questa locanda si prostituisse la madre. Il piccolo
Lazaro sta crescendo e le da una mano e la aiuta nel servizio della locanda come può. Fin quando non
arriva proprio in quella locanda un cieco e la madre capisce che è arrivato il momento che Lazaro
provveda a sé da solo. Lo affida al cieco per il quale sarà guida.
Tutta questa serie di espressioni: arrimarse a los buenos, malas lenguas, le ritroviamo all’inizio riferite
alla madre di Lazaro e le ritroviamo alla fine nella spiegazione del caso. Anche Lazaro come sua
madre cerca di evitare i pettegolezzi, ignorandoli nel suo caso, anche Lazaro cerca di accompagnarsi
ai ‘buoni’ perché sono dei poveri disgraziati che devono campare in qualche modo e si devono
adeguare alle circostanze. Già Lazaro rispetto alla madre ha fatto un balzo da gigante perché ha un
oficio real, quindi un posto fisso e soldi sicuri, però è tutto in pericolo quando le male lingue
cominciano a parlare di lui, della moglie e dell’arciprete che gli suggerisce di non pensarci.
La madre lo affida al cieco ancora nel primo trattato (epigrafe che rispetta poco il contenuto),
cominciano le peripezie con il cieco che è il primo di otto padroni di Lazaro e probabilmente quello
che lo segna di più, è un secondo padre per Lazaro nel bene e nel male. È colui che gli fa aprire gli
occhi su una realtà evidente, che non può fare affidamento su nessuno, è rimasto solo, la madre non
la rivedrà mai più ed è il motivo per cui il cieco gli da la primissima lezione: lo fa avvicinare a un
monumento di Salamanca, il toro di Salamanca, e gli dice che sentirà un certo rumore se si avvicinerà
a quella statua e quando Lazaro è distratto gli schiaccia la testa contro la statua facendogli male e gli
dirà “Lazaro impara questa lezione, ne devi sapere una più del diavolo, non abbassare mai la guardia”;
questa lezione gli servirà e molto.

Sono otto i padroni ma hanno una disparità di trattamento tra i primi padroni e gli ultimi, perché la
storia ad un certo punto conosce un’accelerazione vorticosa. Sul servizio prestato al cieco Lazaro si
dilunga molto, racconta moltissimi episodi (tutti selezionati opportunamente al fine di comprensione
del caso) e Rico ci dice anche all’inizio il fatto che l’edizione di Alcalà de Henares presenta delle
aggiunte, sono sei brevi aggiunte, 2000 parole circa che non solo frutto dell’autore ma significative
perché aggiungono delle profezie messe in bocca al cieco.
Queste profezie sono anche esse legate al caso. Per esempio:
- Siccome il cieco lo picchia in varie circostanze, perché Lazaro commette furtarelli di cibo e
soprattutto di vino, poiché il cieco ama il vino inizierà Lazaro con questo vizio che lo accompagnerà
tutta la vita. Inizierà una sorta di gara tra padrone e servo perché Lazaro ha un vantaggio enorme
rispetto a lui, ha il dono della vista, ma il cieco ne sa una più del diavolo e si rende conto di quanto
Lazaro gli sottrae e lo picchia. Le ferite dell’epoca si curavano con il vino e ad un certo punto si
aggiunge una profezia: ‘vedrai che un giorno il vino sarà importante per il tuo mestiere’ e così sarà
perché diventerà banditore anche di vini e in particolare dei vini dell’arciprete di Don Salvador.
- Mentre stanno per entrare in una certa locanda, avvengono due episodi. Il cieco tocca delle corna
fissate su una parete e dice: ‘ah queste corna! Tutti ne parlano ma nessuno le vorrebbe portare”, al
che Lazaro non capisce e il cieco insiste dicendo: ‘arriverà il giorno in cui per queste corna passerai
brutti momenti’. Ovviamente è un chiaro riferimento al tradimento da parte della moglie di Lazaro.
- C’è un riferimento alla corda dell’impiccato e ad un aspetto del mestiere di Lazaro che in quanto
banditore doveva anche accompagnare i condannati per delitti commessi e annunciare colpe e
pene, accompagnava anche i condannati al patibolo, quelli che venivano impiccati per i delitti.
Quindi quel riferimento alla corda dell’impiccato si riferisce sempre al suo mestiere di banditore.
Lazaro paradossalmente grazie ad un cieco aprirà gli occhi sul mondo, sui pericoli, ma anche sulle
opportunità. Un cieco gli da la vista, gli fa aprire gli occhi e rendersi conto che deve badare a sé e
deve contare sulle sue forze, sulla sua intelligenza, sulla sua furbizia e ne darà prova, subito dopo
essersi accommiatato dal cieco. Lo lascerà in una pozza di sangue dopo essersi vendicato di tutte le
violenze patite facendolo andare a schiantare contro un pilastro, col pretesto di fargli saltare una
pozzanghera.

Lo abbandona ma il suo prossimo padrone forse è anche peggio del primo, è un prete di Maqueda
conosciuto per la sua avarizia, mantiene Lazaro a pane ed acqua quando in realtà la dispensa è piena
ma non vuole condividere il cibo con lui. Lazaro non fa altro che desiderare che in paese muoia
qualcuno, perché le uniche volte sono le uniche volte in cui si sfama è quando qualche compaesano
muore e i parenti organizzano i classici banchetti che si tengono e si invitava il prete e solo grazie a
questi grandi pasti che Lazaro riesce a sfamarsi. A un certo punto Lazaro trova il Paradiso Panal , del
pane, tenuti nascosti e li mangia di nascosto in un modo che il prete non sospetti di lui, ovvero li
rosicchierà in modo da far intendere che siano i topi che stanno mordicchiando quei panini.

Dopodiché Lazaro passa al terzo padrone: lo scudiero. Di tutti i padroni è il più buono e generoso
anche se ha un difetto: è ossessionato dall’onore e non può ammettere di non avere neanche un soldo
in tasca, di essere povero. Ostenta lusso ma in realtà patisce la fame più di Lazaro e avviene una
situazione paradossale per cui ad un certo punto sarà Lazaro a sfamare il padrone perché capisce che
la dispensa è vuota e il padrone non ha nulla. Allora sarà lui a campare di elemosina e a sfamare
questo padrone che abbandonerà lui Lazaro e non viceversa, perché i creditori bussano alla porta e lo
scudiero scappa per non essere arrestato.

Segue un frate mercenario. Il servizio al prete è uno di quei passaggi che nel Lazarillo castigato viene
censurato. Il trattato 4 a pag. 110 viene totalmente cancellato da Velasco perché questo frate della
mercede frequenta molte donne non proprio rispettabili e lo chiamavano ‘parente’, questo modo di
rivolgersi ai religiosi fingendo relazioni di parentela di solito nascondeva situazioni scabrose. Inoltre
questo frate stava poco in convento, stava sempre in giro, dedito ai piaceri, camminava molto. Il
primo paio di scarpe (capiamo quindi che fino ad allora era andato scalzo in estate e in inverno fino
ad allora) glielo regala il frate mercenario ma ci aggiunge “per questo e per altre cosucce che non
dico abbandonai il suo servizio”. Quelle altre cose che non dice lo possiamo interpretare in mille modi
diversi e così è avvenuto, ipotizzando che addirittura abbia potuto abusare di Lazaro. Velasco taglia
questo 4 trattato, del frate non c’è più traccia nel
Lazarillo castigato.
Seguirà poi un venditore di bolle papali, di indulgenze e un maestro e l’alguacil, fino ad arrivare al
suo oficio real.
MEDRARà MIGLIORARE LA PROPRIA POSIZIONE.

Il fulcro della storia è la spiegazione del caso.


Quando arriva alla fine della sua lettera è riuscito Lazaro a medrar?
Per dirlo dobbiamo tener presente da dove è partito Lazaro, dobbiamo tener presente la genealogia di
Lazaro. Considerato che medrar viene da mejorar, allora si che le sue condizioni generali migliorano,
grazie all’oficio real risolve uno dei grandi problemi della sua vita, ovvero la medra hambre che
patisce per buona parte della sua adolescenza, ossia la fame, che lo spinge a chiedere l’elemosina e a
vivere in mezzo alla strada. Con il prete ha un tetto ma la sua situazione non è ancora migliorata, con
lo scudiero vive in una casa spoglia e vuota perché non aveva soldi (episodio divertente dove Lazaro
vede un corteo funebre), perché èuna casa in affitto, il cui fitto lo scudiero non può pagare, tanto che
ad un certo punto busseranno alla porta i creditori e tenteranno di pignorare i beni presenti ma non
c’è niente e Lazaro rischia di finirci in mezzo.
Per fortuna quelle famose mujercillas, amiche del frate mercenario, lo scagionano. Un tetto ce l’ha
con il prete, ma patisce più fame di quando stava col cieco, un tetto ce l’ha con lo scudiero ma è come
non aver nulla, il padrone non lo sfama, quasi non ha lavoro fa fare.
Poi c’è la lunga sfilza di padroni che durano quasi nulla, o molto, ma non hanno un protagonismo
nella vicenda, fino ad approdare all’episodio cruciale della storia. Sicuramente con l’oficio real,
Lazaro trova una stabilità di affetti, perché si sposa, una stabilità economica, perché ha uno stipendio
fisso e non deve più preoccuparsi di vivere alla giornata, ha una casa data dall’arciprete accanto a
dove abita lui.
Potremmo distinguere tra aspetti materiali e la honra, la reputazione, perché visto dall’esterno senza
conoscere i dettagli del caso si potrebbe dire che con le sue sole forze, perché non ha alle spalle una
famiglia che lo sostenga, ce l’abbia fatta. Ha origini umile che sconfina nella delinquenza. Sembra
che ci sia un percorso ben definito e tracciato per la vita di Lazaro che di fatto vive di espedienti,
anche nella prima fase a servizio dei vari padroni, anche lui comincia a rubacchiare, anche lui fa
sangrias per esempio alla bottiglia del vino del cieco, alla cassa che contiene quel pane bianco (el
paradiso panal), anche lui vive di furti per sfamarsi.
Sul piano materiale migliora e tanto la sua situazione ma dobbiamo chiederci a quale prezzo. Lui
accetta il patto dell’arciprete che gli sta chiedendo il silenzio, un silenzio complice, sanno tutti che le
voci stanno come dicono le male lingue ma a chi conviene avere uno scatto d’orgoglio? Non alla
moglie di Lazaro e nemmeno a Lazaro.
L’arciprete è molto chiaro con lui: chi presta ascolto ai pettegolezzi non migliorerà mai
la sua posizione. E allora Lazaro sceglie di arrimarse a los buenos con il suo silenzio.
Il solco è tracciato, ed è un solco determinato dalle origini di Lazaro, quella che si è classificata come
la cosiddetta genealogia infamante dei picari, che è un tratto distintivo dei romanzi picareschi che
seguiranno al Lazarillo de Tormes. Avere non solo umili origini, ma avere dei genitori che delinquono
o hanno dei comportamenti non concepibili sul piano morale, abbiamo visto la madre di Lazaro, dove
si gioca tutto sul detto e non detto (non la si definisce esplicitamente prostituta ma frequenta le
scuderia, alla locanda i clienti la opportunano etc), si legge tra le righe.
Lazaro, soprattutto al servizio dello scudiero, imparerà che dovrà accettare una sorta di baratto,
barattare il suo silenzio per una sicurezza economica e d’altra parte si salverà la forma/ l’aspetto
esteriore perché è pur sempre la serva dell’arciprete la moglie di Lazaro, quindi legittimata ad entrare
e ad uscire, se il marito non protesta si da a intendere che nulla di male avviene. Si salva la
forma/l’apparenza come gli aveva insegnato lo scudiero che viveva di apparenze, dietro non c’era
nulla, non c’era una ricchezza solida se non una strenua difesa della reputazione. Lo scudiero aveva
lasciato la sua terra natia per una questione di onore, perché un certo cavaliere non lo aveva salutato
per primo dopo tante volte che lui si era scappellato davanti a questo signore.

È da discutere se Lazaro sia arrivato alla cumbre de toda buena fortuna, considerando le origini e il
punto di vista dello stesso Lazaro sicuramente si, perché ha consolidato una posizione agiata, ma tutto
questo a un prezzo che lui accetta di pagare diventando marido cartujo, che diventerà anche Guzman
de Alfarache, che è il vero e proprio picaro perché invano possiamo cercare la parola picaro nel
Lazarillo de Tormes, la parola picaro che ha un’etimologia discussa e incerta diventa popolare
nell’ultimo terzo del 16 secolo. Quindi ben dopo la pubblicazione del Lazarillo de Tormes e la si
utilizza per indicare una persona de baja suerte che anda mal vestido, de poco honor.
Il picaro è uno straccione, va mal vestito, questo lo vediamo nel Lazarillo e anche nel Guzman e nel
Buscón. Guzman ha un processo inverso rispetto a quello di Lazaro: Lazaro veste di stracci all’inizio
delle sue peripezie, i suoi vestiti si distruggono per il tipo di vita che fa, per esempio dopo il servizio
al prete di Maqueda che lo riduce in fin di vita dopo la sua burla, è costretto così a chiedere elemosina
per strada perché è veramente malconcio, ferito, tant’è che ottiene l’elemosina proprio per le sue
condizioni, quando si riprende dalle botte però, quell’elemosina non gli viene più data (le persone
gliela volevano dare solo quando stava molto male).
Alla fine del suo percorso, Lazaro avrà guadagnato abbastanza soldi da per vestirsi in modo decoroso,
anche questo lo aiuterà a ottenere l’oficio real. Quindi abbandona stracci e compra degli abiti
decorosi.
Processo inverso con Guzman de Alfarache, perché esce di casa pulito, potrebbe anche restare con
sua madre, sua madre non lo caccia, ma preferisce viaggiare, conoscere il mondo, conoscere la
famiglia italiani da parte di padre, viaggia fino in Italia. Passano i giorni da quando ha lasciato casa e
pian piano il vestito che ha addosso si distrugge del tutto. Lui è un figlio accudito amato di una
famiglia che rischia di finire in rovina con la morte del padre ma ancora mantiene una facciata di
rispettabilità, rispetto a Lazaro ha una casa, ha un tetto dove dormire con pasto caldo tutti i giorni,
eppure per questa smania di conoscere il mondo parte, lascia casa e si trasforma via via in un picaro.
Questa parola è presente nel testo, sin dai preliminari del testo.
Gli costerà e molto fare il processo inverso che conoscerà cambi di rotta molteplici, perché sembrerà
redimersi in vari momenti, trovare un posto fisso, salvo poi farsi di nuovo dall’essere picaresco.
Sembrerà mettere la testa sulle spalle e tenterà anche carriera ecclesiastica, si metterà a studiare
teologia, ma poi rinuncerà agli studi per sposarsi e con queste sue molteplici peripezie alla fine finirà
in galera. La galera intesa come imbarcazione, con i galeotti (Garcilaso).
Anche Guzman a un certo punto farà la scelta di Lazaro, si sposa per la seconda volta con una donna
bellissima con la quale approda a Madrid, arriva alla corte e non avendo mezzi di sostentamento i due
fanno un tacito patto, vivranno della prostituzione in casa della moglie. Guzman si trasformerà in
marido cartujo (marito certosino), sa tutto ma tace.
Il marido cartujo esce di casa presto, passa buona parte della sua giornata fuori, in qualche
locanda, fuori, con amici, verso ora di pranzo ritorna e osserva bene se è presente o meno un cero
segno distintivo alla finestra (una scarpetta, un vaso in un certo modo), quello è il segnale che indica
il via libera e che si può rientrare perché l’amante di turno è andato via.
Si mette a tavola, imbandita grazie alle generose donazioni di qualche cliente, il marido cartujo non
fa domande, si siede e mangia, si alza e se ne va di nuovo lasciando campo libero fino alla sera e così
sopravvivono durante un lungo periodo salvo poi rendersi protagonisti involontari di un caso
disgraziato.

Ci sono due tipi di marido cartujos: quelli che sono estremamente discreti, è il caso di Guzman, e
quelli che invece sono indiscreti, che promuovono la prostituzione della moglie, con gli amici si
vantano di avere una moglie bellissima e quasi si offendono che non abbia destato l’interesse di quel
conoscente, quindi addirittura vanno a procacciare clienti alla moglie. Guzman non è di quest’ultimo
tipo, ma ciò non toglie che accetti di vivere della prostituzione della moglie. Non toccherà però il
fondo con questo ma con altro. Alla fine si riscatterà.

Il picaro dell’ultimo terzo del 16 secolo, che è quando questo termine si consolida, è un ragazzo di
solito giovane, mal vestito, poco attento all’igiene vivendo in mezzo alla strada. Il sudiciume e gli
stracci sono strettamente correlati alla mancanza di una buona reputazione. Altra cosa che
contraddistingue il picaro è l’assenza di legami fissi, infatti Lazaro è mozos de muchos amos, cambia
padrone frequentemente, non ha un’occupazione stabile, alle volte è figlio di vagabondi, o comunque
ha una provenienza sociale molto umile, vive di sotterfugi e espedienti, spesso vive di elemosine (fino
a che non escono ordinanze come quella che vietava l’elemosina come nel Lazarillo), se non può si
vede costretto a cercare lavoro ma sono lavori temporanei, spesso molto umili, la classica
occupazione del picaro è quella di sguattero in cucina oppure esportillero, ovvero facchino, perché è
il tipo di lavoro che non richiede una formazione particolare, basta essere robusti e forti e in grado di
trasportare pesi, ci si procura una esportilla, ovvero una cesta, ci si
presenta per esempio ai mercati delle città dove i gran signori vanno a fare la spesa e non possono
abbassarsi a trasportare loro stessi la spesa, quindi questi esportilleros pullulano nelle piazze dei
mercati disposti a offrire la loro forza lavoro a mille offerenti.
No son criados de nadie, scrive Joan Rujias, solo de la republica, ovvero della comunità in generale,
a tutti quelli che vogliono occuparli in mestieri umili.

GUZMAN DE ALFARACHE.
Il Guzman fu pubblicato in due parti e in due momenti diversi. La prima parte è del 1599, poi c’è un
secondo tomo pubblicato 5 anni dopo, nel 1604 a Lisboa, in Portogallo, che all’epoca apparteneva
alla corona spagnola; l’annessione risale al 1580 e durò circa 60 anni, fino al 1640, quindi quando si
pubblica la seconda parte il Portogallo è a tutti gli effetti parte della corona spagnola. Nel mezzo,
nel 1602, viene pubblicata una seconda parte apocrifa, non opera di Mateo Alemán, bensì di un
continuatore che decise che era arrivato il momento alle avventure del protagonista, ma lo fece non
preventivando la furiosa reazione del legittimo autore che aveva intenzione di continuare l’opera
come effettivamente fece due anni dopo.
Il continuatore era Juan Martìn (alias Mateo Lujàn de Sayavedra).
Nella continuazione legittima, quella del 1604, Mateo Alemán si vendica di questo incauto autore e
usurpatore della sua storia uccidendolo nella finzione, perché creerà un personaggio che porterà il
suo nome, il quale nel corso della storia prima deruba Guzman (ovviamente metafora di quello che
è avvenuto nella realtà dei fatti), poi diventa suo complice, intraprende un lungo viaggio in mare,
durante il quale impazzisce e a fura di urlare “sono io guzman de alfarache!” perde il senno, finisce
in acqua, annega e muore. È la vendetta dell’autore senza conseguenze sul piano giuridico.
Sayavedra è il nome di questo personaggio fittizio che riecheggia il nome dell’autentico autore
Mateo, il che ci fa pensare a certe falsificazioni con nomi analoghi.
La prima parte, ovvero questo primo tomo di Guzman Alfarache si divide in 3 libri, i titoli dei
primissimi capitoli per esempio del primo libro il primo capitolo è “cuenta quien fue su padre”, nel
secondo capitolo “quienes fueron su padres”, nel terzo si racconta di come Guzman “saliò de su
casa un viernes”.
Il sottotitolo del libro secondo è ‘come si trasformò in picaro e quello che vi successe quando
diventò un picaro. Il libro terzo tratta invece di come Guzman si trasforma non il un semplice
mendicante, si trasforma in un accattone di professione, che ha le sue norme come gli viene
spiegato a Roma.
Per parte di padre Guzman ha dei parenti italiani, che in realtà vivono a Genova. Quando Guzman si
mette in viaggio ha quella come meta principale, i parenti però non solo non vogliono saperne nulla
di lui, ma gli giocano degli scherzi abbastanza pesanti fino a cacciarlo poi di casa.
Lui che aveva puntato tutto su questa famiglia italiana si ritrova senza un soldo, senza niente, si
mette in viaggio per Roma e a Roma cerca di vivere di espedienti e di elemosine ma non conosce i
trucchi del mestiere e per esempio, in una caldissima giornata estiva, in piena ora di pennica
comincia a bussare alle porte chiedendo la carità e per risposta riceve una doccia di acqua sporca il
malo modo sulla sua testa e gli rimangono anche resti di verdura in testa. È un modo “gentile” per
dirgli di non disturbare.
A quel punto chi ne sa più di lui gli spiega che non era il modo di chiedere e il tempo giusto per
chiedere, ci sono delle regole, alle tre del pomeriggio la gente o non sta a casa o non vuol far vedere
che c’è. Gli verranno spiegate le norme di questa sorta di confraternita degli accattoni che sono una
vera e propria organizzazione. Gli si illustra un’altra arte nella quale diventerà un maestro: quella di
spacciarsi per invalido, come fingere delle piaghe quasi incancrenite, come fingersi zoppo e
naturalmente con questi espedienti provocare la compassione nelle persone per strada e nel caso di
Guzman di una persona molto importante che ad un certo punto deciderà di prenderlo sotto la sua
ala protettrice, curarlo e di dargli un posto fisso in casa.
Chiede l’elemosina vicino la casa di questo cardinale, che è di buon cuore, lo prende a ben volere e
decide di aiutarlo, convoca i più bravi medici della città che naturalmente si trasformeranno in
complici di Guzman perché non c’è niente da curare perché finge. E allora deve corrompere i
medici che si lasciano corrompere molto facilmente perché il cardinale di soldi ne ha e tanti e
dunque si spartiscono il bottino, i soldi che dovrebbero essere investiti in medicine se li trattengono
i medici e li dividono con Guzman, il quale arriva ad essere assunto dal cardinale come paggio una
volta che ‘guarisce’. Sembrerebbe tutto risolto, una vita finalmente stabile, un tetto ricco sotto il
quale vivere ma Guzman si lascia tentare ancora una volta dalla vita
picaresca perché la picardia favorisce una vita libera e data ai vizi, il gioco, le donne e il nostro
Guzman alla fine rinuncerà a questa vita agiata che gli propone il cardinale e ricomincerà le sue
avventure.
La prima parte finisce con questo capitolo 10, quando abbandona la casa del cardinale e va nella
casa di un ambasciatore ma neppure lì durerà.
La seconda parte inizia con Guzman che lascia Roma, ritornerà poi in Spagna, si sposerà, inizierà
studi di teologia, li abbandonerà. Una vita complessa, rispetto alle poche pagine di Lazaro, qui sono
invece due tomi (due volumi) corposi. Rimane vedovo della prima moglie, si risposa, diventa
marido carujo e il nostro Guzman arriva a delinquere commettendo tutta una serie di furti, per
questi furti verrà imprigionato e condotto in una galera.

Il Guzman de Alfarache è diviso in due parti, cosa ci spiega Mateo Alemán all’inizio della prima
parte? Declaración para el intendimiento de este libro.

SUL ROMANZO PICARESCO

GUZMÁN DE ALFARACHE di Mateo Alemán


(Primera Parte: 1599; Segunda Parte: 1604)1

Declaración para el entendimiento deste libro


Teniendo escrita esta poética historia para imprimirla en un solo volumen, en el discurso
del cual quedaban absueltas las dudas que agora, dividido, pueden ofrecerse, me pareció
sería cosa justa quitar este inconveniente, pues con muy pocas palabras quedará bien claro.
Para lo cual se presupone que Guzmán de Alfarache, nuestro pícaro, habiendo sido muy
buen estudiante, latino, retórico y griego, como diremos en esta primera parte, después
dando la vuelta de Italia en España, pasó adelante con sus estudios, con ánimo de profesar
el estado de la religión; mas por volverse a los vicios los dejó, habiendo cursado algunos
años en ellos. Él mismo escribe su vida desde las galeras, donde queda forzado al
remo por delitos que cometió, habiendo sido ladrón famosísimo, como largamente lo
verás en la segunda parte. Y no es impropiedad ni fuera de propósito si en esta
primera escribiere alguna dotrina; que antes parece muy llegado a razón darla un
hombre de claro entendimiento, ayudado de letras y castigado del tiempo, aprovechándose
del ocioso de la galera; pues aun vemos a muchos ignorantes justiciados, que habiendo de
ocuparlo en sola su salvación, divertirse della por estudiar un sermoncito para en la
escalera. Va dividido este libro en tres. En el primero se trata la salida que hizo Guzmán
de Alfarache de casa de su madre y poca consideración de los mozos en las obras que
intentan, y cómo, teniendo claros ojos, no quieren ver, precipitados de sus falsos gustos.
En el segundo, la vida de pícaro que tuvo, y resabios malos que cobró con las malas
compañías y ocioso tiempo que tuvo. En el tercero, las calamidades y pobreza en que
vino, y desatinos que hizo por no quererse reducir ni dejarse gobernar de quien podía y
deseaba honrarlo. En lo que adelante escribiere se dará fin a la fábula, Dios mediante.

L’idea iniziale era pubblicare tutta l’opera insieme. Dice che se avesse pubblicato in un unico tomo,
al lettore non sarebbero sorti dei dubbi che invece è legittimo che abbia e allora preferisce chiarire
alcune cose. Dalle primissime pagine è lo stesso Mateo de Alemán che utilizza la parola ‘picaro’,
definendo Guzman come “nuestro picaro”. È solo nella seconda parte che Guzman inizia questi
studi di teologia, che sono studi molto complessi e che giustificano il fatto che, nella seconda parte
Guzman abbia acquisito una solida formazione storica, filosofica e sia in grado di fare tutta una
serie di riflessioni molto complesse, molto articolate e molto colte, che il Guzman del primo libro
non si sarebbe potuto sognare. Ci dice che di tenere presente una cosa che fa ricordata: il Guzman
de Alfarache è una autobiografia, esattamente come il Lazarillo de Tormes, scritta alla fine del
percorso contorto del protagonista, alla fine di tutte queste peripezie che lo
portano a: scappare di case, viaggiare, diventare mendicante, falso invalido, poi tornare in Spagna,
sposarsi, rimanere vedovo, risposarsi, diventare marido cartujo, commettere una serie di furti, essere
imprigionato e finire su una galera. Su questa galera avviene qualcosa di sorprendente.
È il Guzman adulto che ha superato tutta questa serie di ostacoli, ha vissuto mille vite in una e alla
fine di questo percorso di pente di tutti i misfatti commessi, è un Guzman profondamente pentito
che sulla galera, poco prima di recuperare la libertà, decide di scrivere le sue memorie, quindi è un
lungo memoriale il Guzman de Alfarache, non è una lettera, come Lazaro, sono delle memorie.
Altra caratteristica del Guzman de Alfarache è che il racconto delle peripezie di Guzman si mescola
con una lunghissima serie di riflessioni filosofiche. Le possiamo comprendere e non ci sorprendono
visto che le elabora un Guzman más adulto, che è arrivato alla fine di queste sue peripezie e dalla
galera scrive queste sue memorie. Questo per depistare dal fatto che nella prima parte c’è ancora un
Guzman giovane, picaro che conclude le sue peripezie in Italia alla fine della prima parte. Gli studi
di teologia sono nella seconda parte, ma le memorie le scrive un Guzman adulto, quindi questo ci
spiega come possa elaborare pensieri così complessi.
Ha acquisito anche molte esperienze nella vita, approfittando dei tempi morti in galera, ha diviso
questo libro in tre parti (questi sono i preliminari della prima parte).
Nel primo tratta la salida che hizo Guzman de casa de su madre, nel secondo la vida de Picaro
(torna la parola), e nel terzo las calamidades y la pobreza (titoli da leggere nel file).
Questa è la Declaración dell’autore.

Nella prima parte troviamo, oltre a questa Declaración, anche 2 prologhi: 1 indirizzato al volgo, il
popolo, che si accontenta della favoletta, non si preoccupa dei messaggi filosofici e moraleggianti,
vuole essere distratto con letture amene e poi c’è il prologo al vero destinatario che è il discreto
lector, che è desideroso di trarre un insegnamento da questa storia. A lui si rivolge Guzman de
Alfarache.
CONSEJA/CONSEJO: la prima è la storiella, il fatterello banale, il secondo è l’insegnamento che si
può trarre da quella storia.
Proprio al discreto lector si rivolge quando scrive queste sue memorie perché il Guzman autore di
questo lungo memoriale è un Guzman adulto e pentito che sa che mille volte nella vita si è trovato
davanti ad un bivio e ha scelto sempre la strada sbagliata e vuole mettere in guardia il pubblico dei
suoi lettori perché non commettano gli stessi errori e quindi Guzman de Alfarache, così si annuncia
nei sottotitoli dell’opera ‘attalaya de la vida umana’ ovvero ‘sentinella della vita umana’ che si
propone di offrire un esempio innegativo. I lettori che lettori che leggeranno delle sue malefatte
sapranno come non devono comportarsi perché altrimenti finiranno come lui, a remare su una
galera condannati a vita al remo.
C’è un riscatto per Guzman, ma non è detto che questo riscatto possa sempre avvenire.
PRIMERA PARTE
Libro II
CAPÍTULO II Dejando al ventero, Guzmán de Alfarache se fue a Madrid y llegó
hecho pícaro
Siendo aquella para mí una vida descansada, nunca me pareció bien, y menos para mis
intentos. Porque, al fin, era mozo de ventero, que es peor que de ciego. Estaba en
camino pasajero: no quisiera ser allí hallado y en aquel oficio, por mil vidas que perdiera.
Pasaban mozuelos caminantes de mi edad y talle, más y menos, unos con dinerillos, otros
pidiendo limosna. Dije: «Pues pese a tal, ¿he de ser más cobarde o para menos que todos?
Pues no me pienso perder de pusilánime.» Hice corazón y buen rostro a los trabajos, con
que, dejada mi venta, me fui visitando las de adelante, con alguna moneda de vellón,
ganada en buena guerra y de algunos mandados que hice. Era poco y consumióse presto.
Comencé a pedir por Dios. […]
Dábase muy poca limosna y no era maravilla, que en general fue el año estéril y, si
estaba mala la Andalucía, peor cuanto más adentro del reino de Toledo, y mucha más
necesidad había de los puertos adentro. […] Como el pedir me valía tan poco y lo
compraba tan caro, tanto me acobardé, que propuse no pedirlo por estremo en que me
viese. Fuime valiendo del vestidillo que llevaba puesto. Comencélo a desencuadernar,
malogrando de una en otra prenda, unas vendidas, otras enajenadas y otras por empeño
hasta la vuelta. De manera que cuando llegué a Madrid, entré hecho un gentil galeote,
bien a la ligera, en calzas y en camisa: eso muy sucio, roto y viejo, porque para el gasto fue
todo menester. Viéndome tan despedazado, aunque procuré buscar a quien servir,
acreditándome con buenas palabras, ninguno se aseguraba de mis obras malas ni quería
meterme dentro de casa en su servicio, porque estaba muy asqueroso y desmantelado.
Creyeron ser algún pícaro ladroncillo que los había de robar y acogerme. Viéndome
perdido, comencé a tratar el oficio de la florida picardía. La vergüenza que tuve de
volverme perdíla por los caminos, que como vine a pie y pesaba tanto, no pude traerla o
quizá me la llevaron en la capilla de la capa. Y así debió de ser, pues desde entonces tuve
unos bostezos y calosfríos que pronosticaron mi enfermedad. Maldita sea la vergüenza
que me quedó ni ya tenía, porque me comencé a desenfadar y lo que tuve de vergonzoso
lo hice desenvoltura, que nunca pudieron ser amigos la hambre y la vergüenza. Vi que lo
pasado fue cortedad y tenerla entonces fuera necedad, y erraba como mozo; mas yo la
sacudí del dedo cual si fuera víbora que me hubiera picado. Juntéme con otros torzuelos
de mi tamaño, diestros en la presa. Hacía como ellos en lo que podía; mas como no sabía
los acometimientos, ayudábales a trabajar, seguía sus pasos, andaba sus estaciones, con
que allegaba mis blanquillas. […] Acomodéme a la sopa, que la tenía cierta; pero había de
andar muy concertado relojero, que faltando a la hora prescribía, quedándome a escuras.
Aprendí a ser buen huésped, esperar y no ser esperado. No dejaba de darme pena tanto
cuidado y andar holgazán: porque en este tiempo me enseñé a jugarla taba, el palmo yal
hoyuelo. De allí subí a medianos: aprendí el quince y la treinta y una, quínolas y primera.
Brevemente salí con mis estudios y pasé a mayores, volviéndolos boca arriba con topa y
hago. No trocara esta vida de pícaro por la mejor que tuvieron mis pasados. Tomé
tiento a la corte, íbaseme sotilizando el ingenio por horas, di nuevos filos al entendimiento
y, viendo a otros menores que yo hacer con caudal poco mucha hacienda y comer sin pedir
ni esperarlo de mano ajena—que es pan de dolor, pan de sangre, aunque te lo dé tu
padre—, con deseo desta gloriosa libertad y no me castigasen como a otros por
vagabundo, acomodéme a llevar los cargos que podían sufrir mis hombros. Larga es
la cofradía de los asnos, pues han querido admitir a los hombres en ella y han estado
comedidos en llevar las inmundicias con toda llaneza por aliviarles el trabajo; mas hay
hombres tan viles, que se lo quitan del serón y lo cargan sobre sí, por tener una zumbre
más de vino para beber. ¡Ved a lo que se estiende su fuerza!
Dejando esto a una parte, te confieso que a los principios anduve algo tibio, de mala
gana y sobre todo temeroso […]. Mas después que me fui saboreando con el almíbar
picaresco, de hilo me iba por ello acierra ojos. ¡Qué linda cosa era y qué regalada!, sin
dedal, hilo ni aguja, tenaza, martillo ni barrena ni otro algún instrumento más de una sola
capacha, […] tener oficio y beneficio. Era bocado sin hueso, lomo descargado, holgada
ocupación y libre de todo género de pesadumbre.

Nel file frammento della prima parte: abbandona una locanda e non sapendo di cosa vivere comincia
a chiedere l’elemosina. Guzman è originario di Sevilla.
GENEALOGIA INFAMANTE DI GUZMAN.
Non siamo ai livelli di Lazaro, ma non sono figure degne di esser prese a modello. Il padre, di origini
italiane, genovese, era un mercante, ma le male lingue dicevano di lui che fosse un usuraio, preso
prigioniero dei mori, si era convertito all’islam, salvo poi fare marcia indietro una volta recuperata la
libertà e ritornato in patria.
Questo mercante/usuraio si innamora a prima vista di quella che poi sarà la madre di Guzman, una
donna bellissima, quando la conosce si accompagna ad un cavaliere molto più grande di lei, una
persona anziana e con acciacchi. Non sono sposati, non lo dice mai chiaramente, ma si capisce che è
l’amante di questo cavaliere. I due si conoscono, si innamorano e la madre di Guzman avvia una
relazione parallela con il mercante genovese.
La madre rimane incinata e ad ognuno dei due amanti dirà che è il padre della creatura, ad un certo
punto, si insinua un dubbio. Dice Guzman che la madre gli aveva sempre ripetuto che il padre era
quel mercante usuario di origini genovesi, ma mettere la mano sul fuoco sarebbe azzardato, c’è anche
la possibilità che fossi figlio di un terzo uomo. Tutta questa serie di annotazioni ci lasciano intendere
che non fosse proprio rispecchiata l’educazione nella madre di Guzman, per non parlare del padre.
Morto l’anziano cavaliere, che pure lo chiamava figlio, la madre sposa il mercante usuraio il quale di
vari acciacchi morirà di lì a poco. Rimane quindi orfano di padre/padri e pur avendo un tetto sotto il
quale vivere, più o meno agiatamente, anche se la famiglia è sull’orlo della bancarotta, Guzman lascia
casa.
Quando arriva a Madrid il suo vestitino lindo e pinto, pian pianino comincia a desenquadenarse:
alcuni capi li vende, o li da in pegno, altri si distruggono con l’usura, e quando lo vedono vestito di
stracci a Madrid pensano che sia algun picaro ladroncillo, perché l’andare spoglio, vestito di stracci
equivale in automatico, a questo punto della storia, nel 1599, quando si pubblica la prima parte del
Guzman, a sinonimo di picaro.Insiste che la vita del picaro è anche sinonimo di vita libera. Fin quando
non decide di qualche soldino in modo honrado e decide di accetta di diventare anche lui esportillero,
il mestiere più facile da praticare.
Entra nella confraternita degli asini, l’asino è una bestia da soma e porta pesi e anche lui accetta di
portare pesi e non gli servono strumenti particolari per il lavoro, non deve imparare un arte, basta
avere una sola cesta. A Roma impara l’arte brivigliatica, impara l’arte dunque di chiedere elemosina,
fingersi menomato, parla addirittura della facoltà dei poveri, diventa dottore in questa facoltà in cui
si impara a chiedere l’elemosina e si impara a campare della generosità altrui.
Il proto pobre di Roma, il povero più vecchio di Roma, con più anzianità di servizio, gli insegna
dunque le basi di quest’arte, seguono le regole come se portare bambini, l’animale di compagnia
perché fa pena ai passanti.
Ed ecco che arriviamo al libro terzo della seconda parte quando Guzman sta per essere trasferito sulla
galera dove si suppone che remerà a vita, la sera prima di essere trasportato lì, Guzman ha una crisi
di coscienza, passa una notte tormentata e non a che ripetersi “qui ti hanno portato i tuoi vizi (si
rivolge a se stesso) ora è il momento di svegliarsi, riscattati sei ancora in tempo per farlo”.
SEGUNDA PARTE
Libro Tercero
CAPÍTULO VIII Sacan a Guzmán de Alfarache de la cárcel de Sevilla para
llevarlo al puerto a las galeras. Cuenta lo que pasó en el camino y en ellas.
[…] Ya con las desventuras iba comenzando a ver la luz de que gozan los que siguen a la
virtud […]. De donde vine a considerar y díjeme una noche a mí mismo: "¿Ves aquí,
Guzmán, la cumbre del monte de las miserias, adonde te ha subido tu torpe
sensualidad? Ya estás arriba y para dar un salto en lo profundo de los infiernos o para con
facilidad, alzando el brazo, alcanzar el cielo. […] Acaba de recordar de aquese sueño.
Vuelve y mira que, aunque sea verdad haberte traído aquí tus culpas, pon esas penas en
lugar que te sean de fruto”. […] En este discurso y otros que nacieron dél, pasé gran rato
de la noche, no con pocas lágrimas, con que me quedé dormido y, cuando recordé,
halléme otro, no yo ni con aquel corazón viejo que antes. Di gracias al Señor y supliquéle
que me tuviese de su mano. Luego traté de confesarme a menudo, reformando mi vida,
limpiando mi conciencia, con que corrí algunos días. Mas era de carne. A cada paso
trompicaba y muchas veces caía; mas, en cuanto al proceder en mis malas costumbres,
mucho quedé renovado de allí adelante. Aunque siempre por lo de atrás mal indiciado,
no me creyeron jamás […].
CAPÍTULO IX Prosigue Guzmán lo que le sucedió en las galeras y el medio que
tuvo para salir libre della
[…] Diles buenas palabras y híceme de su parte, quedando resueltos de ponerlo en
ejecución el día de San Juan Baptista por la madrugada. Pues, como ya estábamos en la
víspera y un soldado viniese a dar a la banda […], díjele secretamente:
—Señor soldado, dígale Vuestra Merced al capitán que le va la vida y la honra en oírme
dos palabras del servicio de Su Majestad. Que me mande llevar a la popa.
Hízolo luego y, cuando allá me tuvieron, descubrióse toda la conjuración, de que
se santiguaba y casi no me daba crédito, pareciéndole que lo hacía porque me relevase de
trabajo y me hiciese merced. Mas cuando le dije dónde hallaría las armas, quién y cómo las
habían traído, dio muchas gracias a Dios, que le había librado de tal
peligro,prometiéndome todo buen galardón. Mandó a un cabo de escuadra que mirase
los
bancos que yo señalé y, buscando las armas en ellos, las hallaron. Luego se fulminó proceso
contra los culpados todos y, por ser el siguiente día de tanta solemnidad, entretuvieron el
castigo para el siguiente. […] Soto, queriéndolo confesar y pidiéndome perdón del
testimonio que me fue levantando del trincheo, declaró juntamente cómo y porqué lo
había hecho y que, aunque me había prometido amistad, era con ánimo de matarme a
puñaladas en saliendo con su levantamiento. De todo lo cual fue Nuestro Señor servido
de librarme aquel día. Condenaron a Soto y a un compañero, que fueron las cabezas
del alzamiento, a que fuesen despedazados de cuatro galeras. Ahorcaron cinco; y
a muchos otros que hallaron con culpa dejaron rematados al remo por toda la vida,
siendo primero azotados públicamente a la redonda de la armada. Cortaron las
narices y orejas a muchos moros, por que fuesen conocidos, y, exagerando el
capitán mi bondad, inocencia y fidelidad, pidiéndome perdón del mal tratamiento
pasado, me mandó desherrar y que como libre anduviese por la galera, en cuanto
venía cédula de Su Majestad, en que absolutamente lo mandase, porque así se lo
suplicaban y lo enviaron consultado. Aquí di punto y fin a estas desgracias. Rematé la
cuenta con mi mala vida. La que después gasté, todo el restante della verás en la tercera
y última parte, si el cielo me la diere antes de la eterna que todos esperamos.
LAZARILLO DE TORMES
[…] De esta manera no me dicen nada, y yo tengo paz en mi casa.
Esto fue el mismo año que nuestro victorioso Emperador en esta insigne ciudad de
Toledo entró y tuvo en ella Cortes, y se hicieron grandes regocijos, como Vuestra Merced
habrá oído. Pues en este tiempo estaba en mi prosperidad y en la cumbre de toda
buena fortuna.
De lo que de aquí adelante me sucediere, avisaré a Vuestra Merced.2
La cumbre del monte de la miseria: è un richiamo al Lazarillo, di opposto significato, Lazaro era
arrivato alla cumbre de toda buena fortuna, con il suo oficio real, Guzman tocca il fondo, è arrivato
al punto più basso, sta per diventare un ergastolano.
Si ripete che può ancora trovare un riscatto, metti a frutto le tue esperienze, anche se sono tutte
minate da errori, anche se hai sempre sbagliato strada finora, puoi ancora redimerti. Finalmente si
addormenta e quando si risveglia avviene che si ritrova come se fosse un’altra persona.
Naturalmente non può cambiare
dal giorno alla notte e ricade nel vizio e ricommette errori ma ha fatto un cambio importante dentro
di sé, è reso conto che può ancora cambiare e il destino gli offre un’opportunità d’oro per
dimostrare che si è cambiato.
Succede che sulla galera dove è costretto a remare, altri galeotti preparano una sommossa, il piano è
uccidere le guardie, prendere il controllo della galera, e naturalmente Guzman viene coinvolto in
questo piano di ammutinamento e rivolta ma per una volta nella vita decide di fare la scelta giusta
ovvero va dalle guardie, denuncia i cospiratori, impedisce questa rivolta e proprio con questo suo
comportamento che per una volta è dettato giuste considerazioni, da un comportamento esemplare,
ottiene la libertà, riceve ilperdono dal re. Questa aziona sorprendente venendo da lui che è stato un
delinquente per parte della sua vita, lo riscatta ed è dunque un Guzman pentito, che in attesa di
ricevere la lettera definitiva che sancisce la sua messa in libertà scrive le sue memorie con questo
punto di vista. È una persona pentita che vuole mettere in guardia gli altri dicendo “non finite come
me, non rischiate la galera, potreste non avere
l’occasione che ho avuto io di redimermi”.
Furono frustati pubblicamente i rivoltosi. Che gli togliessero i ceppi, le catene, facendolo circolare
sulla galera da uomo libero è quando venne scritto da un documento ufficiale di sua maestà.

Aggiunge: la vita che ho vissuto dopo di essere stato rimesso in libertà sarà vista nella terza è ultima
parte.
Questa terza e ultima parte non avrebbe mai visto la luce e diventa di fatto, l’annuncio della
continuazione, un vero e proprio topos letterario, che in realtà è presente nella edizione di Alcalà de
Henares del Lazarillo de Tormes, che si contraddistingue per una serie di aggiunte, l’ultima di
queste aggiunte la troviamo alla fine: si chiude con una continuazione che non sarebbe mai
avvenuta.
Riprende il topos Mateo Alemán, annunciando una terza parte che non pubblicherà mai e lo stesso
topos lo troveremo nel Buscón de Quevedo, che è il terzo romanzo picaresco di cui ci occupiamo:
La historia de la vida de Buscón, llamado Don Pablos.
EL BUSCÓN de Quevedo
El manuscrito «Bueno» o «B» de El Buscón , denominación que se ha utilizado en todos
los estudios y ediciones recientes, tiene el interés de ser una copia del original o, al menos,
de proceder del entorno del autor; es decir, se trata de un manuscrito apógrafo. Menéndez
Pelayo, habiéndolo examinado cuando pertenecía a Juan José Bueno, bibliotecario de la
Universidad de Sevilla, describe el manuscrito en estos términos: «El códice, de tamaño
muy pequeño, como los clásicos elzevirianos o las ediciones diamante, era un verdadero
primor, una monada. No era autógrafo de Quevedo ni tenía notas suyas. Parecía un
ejemplar de regalo, escrito de muy gallarda letra bajo la inspección de su autor». […]
Cfr. http://museolazarogaldiano.es/el-buscon-de-quevedo#.XsWidtvgpLM
Los manuscritos C y S incluyen, con ligeras variantes, la siguiente Carta dedicatoria:
«Habiendo sabido el deseo que V. Md. tiene de entender los varios discursos de mi vida,
por no dar lugar a que otro (como en ajenos casos) mienta, he querido enviarle esta
relación, que no le será pequeño alivio para los ratos tristes. Y porque pienso ser largo en
contar cuán corto he sido de ventura, dejaré de serlo ahora».

Pubblicato per la prima volta nel 1626, ma con ogni probabilità scritto a inizio del ‘600. Una
pubblicazione tardiva quella di Quevedo. In realtà Quevedo non riconobbe mai la paternità dell’opera,
non la negò neanche e di fatto non ci sono dubbi che l’opera sia sua ma per evitare problemi con la
censura preferì un prudente silenzio.Quest’opera la si conosce anche con un altro titolo, ovvero
Historia y vida de gran Tacaño. Tacaño viene ad essere un sinonimo di Buscón che si definisce chi è:
astuto, picaro, che inganna. Questa seconda riformulazione del titolo, la troviamo in un edizione
postuma del 1648. Del Buscón ci sono arrivati dei manoscritti:
1. Manoscritto B, dal cognome Bueno del bibliocario sivillano che ad un certo punto descrisse
questo codice. Presente una caratteristica interessante: perché in questo manoscritto Vuestra
Merced, destinataria di Pablos, è una donna, negli altri testi e nella versione a stampa è un
uomo. Questo è uno degli argomenti su cui si è basata Rosa Navarro nella sua proposta di
interpretazione della figura di Vuestra Merced e del legame che unisce Vuestra Merced,
Lazaro e l’arciprete. Immaginando quindi che fosse una donna, che l’arciprete fosse il suo
confessore e che l’interesse per la vita di Lazaro per il caso fosse determinato da
un’inquietudine ben comprensibile dovuta alla scarsa moralità della persona depositaria di
tutti i suoi segreti più intimi.
2. Manoscritti C e S, presentano una brevissima dedica del Buscón, che si suppone redatta dallo
stesso Buscón, Don Pablos. Questa dedica è di Pablos a una Vuestra Merced, il quale spiega
che ha voluto mandargli la sua autobiografia (si tratta sempre di autobiografie nel caso di
romanzi picareschi, che siano in forma di lettera come Lazarillo e Buscón o che siano in forma
di memorie come il caso di Guzman), racconto in prima persona. Perché ha voluto mandarlo?
Perché a quanto pare questa Vuestra Merced era curiosa di sapere i fatti della sua vita e Pablos
si è voluto anticipare ad altri che potrebbero distorcere quei fatti, raccontarli in modo non
veritiero. Inoltre Pablos confida che questo racconto a questa persona le sarà di aiuto perché
potrà distrarre vos signoria nei suoi momenti tristi, sarà un passatempo piacevole.
Francisco de Quevedo nel Buscón segue la falsa riga dei suoi predecessori e rispetta tutta una serie di
elementi che a questo punto della storia, inizio ‘600, vengono identificati dal pubblico come assi
portanti di un romanzo picaresco che si rispetti: racconto in prima persona, autobiografia, della vita
di un personaggio di umili origini, che spesso arriva a delinquere, che cerca di riscattarsi da questa
genealogia infamante, che nel caso di Buscón sarà decisiva per lui.
RELAZIONE TRA GUZMAN DE ALFARACHE E LAZARILLO DE TORMES.
Abbiamo messo in relazione il Guzman de Alfarache con il Lazarillo de Tormes, evidenziando
affinità e differenze a partire dalla forma del testo. Il Lazarillo de Tormes abbiamo visto essere
un’autobiografia in forma epistolare e il destinatario di questa lettera che è una lettera di risposta
perché è stata proprio Vuestra Merced a inviarne una prima a Lazaro per conoscere i dettagli del
‘caso’, un caso che lo inquieta e non poco. Il racconto di una vita di un orfano di padre, affidato dalla
madre ad un cieco, conosce vari padroni, vive una vita all’insegna della miseria, della precarietà, della
violenza, salvo poi approdare al sognato oficio real, un lavoro fisso, stabile, come banditore nella
città di Toledo, dove Lazaro mette su anche famiglia, abbiamo visto che si sposa con una donna di
dubbia moralità, ma alla fine accetta questo patto di silenzio fra lui, la moglie e l’arciprete di Don
Salvador perché ne potrà trarre solo benefici.
Abbiamo anche sottolineato come questo racconto si arresti proprio al momento del caso; non è un
Lazaro anziano che ripercorre gli anni di gioventù, è un Lazaro ancora molto giovane che risponde a
questa risponde a questa richiesta di Vuestra Merced.

AFFINITA’ CON IL GUZMAN


Si tratta anche qui di un testo autobiografico. È l’autobiografia di un picaro, qui possiamo usare a
pieno titolo il termine perché lo usa lo stesso autore fin dai preliminari dell’opera. Formata da due
parti con nel mezzo una continuazione apocrifa. Nel caso di Guzman non abbiamo a che fare con una
forma epistolare, piuttosto con un memoriale, con le memorie di un Guzman adulto, maturo e pentito
che poco prima di recuperare la libertà ripercorre tutta la sua vita, segnata da scelte sbagliate e segnata
anche da una genealogia infamante.
La genealogia infamante è l’altro punto di contatto con Lazaro che è figlio di un mugnaio ladro,
andato in esilio e poi morto al servizio di un cavaliere in una spedizione, una madre costretta
a lasciare il villaggio per approdare in città e “arrimarse a los buenos” sperando di diventare una di
loro, poi concubina di un modo da cui ha un altro figlio e dopo presta servizio in una locanda.

Guzman è figlio di una dama di non specchiati costumi, una donna che ci è presentata all’inizio come
amante di un cavaliere anziano, Guzman lo definirà un mezzo matrimonio: convivono, hanno una
relazione ma non si sposano mai. La madre fa credere a questo anziano cavaliere di essere lui il padre
di Guzman quando tutto lascia pensare che il vero padre sia l’amante che frequenta in contemporanea,
ovvero questo mercante di origini genovesi, caratterizzato da questa furbizia levantina. È un usuraio,
un rinnegato, neanche lui persona di rispecchiata moralità e anzi Guzman lascia intendere che non è
certo nemmeno che sia lui il padre, forse c’era addirittura un terzo.
Sia il primo che il secondo padre muoiono, Guzman rimane orfano e pur potendo contare
sull’assistenza amorevole della madre, che sta per finire in rovina ma ancora mantiene una parvenza
di vita agiata, lascia questa città e comincia le sue peripezie.
La sua carriera nel mondo della delinquenza culmina con una condanna alla galera, dopo però dopo
una notte di riflessioni e ravvedimento, decide di svelare i piani di una sommossa che si prepara e con
questa delazione si guadagna il perdono di sua maestà. In attesa di ricevere la lettera che sancirà la
messa in libertà, ecco che questo Guzman scrive le sue memorie; è un Guzman maturo, che ha vissuto
una vita piena, si è sposato due volte, è stato marido cartujo, ha intrapreso studi di teologia (non
completati per sposarsi una seconda volta), ha una preparazione di tutto rispetto, che giustifica nei
preliminari dell’opera, una serie di riflessioni moraleggianti di cui è disseminata l’opera.
Il Guzman è una sapiente mescolanza di consejas e consejos, ci sono si dei racconti delle avventure
e disavventure dei picaro che per buona parte si svolgono in Italia, ma sono misti a lunghe riflessioni,
lunghe considerazioni filosofiche, in cui è appunto il Guzman maturo che ha fatto questo percorso
complesso, di formazione intellettuale e personale e cerca alla luce di questa nuova consapevolezza
di istruire il pubblico lettore che si immagina diviso in due fasce: il volgo, che sarà annoiato dalle
riflessioni filosofiche di Guzman e salterà per leggere le storielle divertenti e poi il vero destinatario
del testo ovvero il discreto lector, che saprà trarre i giusti insegnamenti da questa vita così travagliate
e complessa, ma con un lieto fine.
La prospettiva è quella di una recuperata libertà e soprattutto di un ravvedimento interiore. Il Guzman
che sarà messo in libertà saprà fare tesoro dei propri errori.

Se questo è vero per il Lazarillo e il Guzman, dove si colloca il Buscón di Quevedo?


Il terzo testo fu redatto a inizio ‘600, vedrà la luce solo nel 1626. Si colloca sulla scia del Lazarillo
de Tormes in quanto ne imita gli aspetti formali. Anche il Buscón di Quevedo, anche noto come el
gran tacaño o semplicemente la historia de don Pablos, scrive una lettera autobiografica che contiene
dunque la storia della sua vita e la indirizza a Vuestra Merced.

Il realtà solo in due testimoni manoscritti dell’opera è presente un breve prologo, la carta dedicatoria:
«Habiendo sabido el deseo que V. Md. tiene de entender los varios discursos de mi vida,
por no dar lugar a que otro (como en ajenos casos) mienta, he querido enviarle esta
relación, que no le será pequeño alivio para los ratos tristes. Y porque pienso ser largo en
contar cuán corto he sido de ventura, dejaré de serlo ahora».
La leggiamo solo in questi due manoscritti, è assente nell’edizione a stampa e nel manoscritto B, che
abbiamo ricordato perché lì l’interlocutrice di Don Pablos, è una donna perché inizia con: ‘Yo señora,
soy de Segovia’ nel manoscritto B, mentre in tutti gli altri ha una forma maschile ‘señor’, lasciando
intendere che Vuestra Merced sia un uomo.
Il modello di Quevedo è senza dubbio il Lazarillo e ce lo dimostra la forma epistolare, l’interlocuzione
con una Vuestra Merced, però rimane senza risposta la domanda: perché Pablos scrive questa lettera
a Vuestra Merced? Una parziale risposta parrebbe esserci in questa carta dedicatoria, Don Pablos
sarebbe venuto a sapere che questa Vuestra Merced, non identificata, ha interesse nel conoscere i
dettagli della sua vita.

Quindi emerge la falsa riga del Lazarillo, ma manca un elemento essenziale. Nel Lazarillo, la Vuestra
Merced destinataria e mittente della lettera iniziale in cui chiedeva informazioni del caso, aveva un
legame stretto, indirettamente con Lazaro e direttamente con l’arciprete, è lecito quindi attendersi una
richiesta di informazioni (a prescindere dall’ipotesi di Rosa Navarro che l’arciprete sarebbe il
confessore di queste vos signoria), è legittimo che sia allarmato/a dalle dicerie che girano sul conto
dell’arciprete, MA coloro che leggono il Buscón di Quevedo, invano cercano una traccia del legame
tra la Vuestra Merced e qualche personaggio dell’opera: non c’è alcun legame.

Il Vuestra Merced del Buscón secondo questi due manoscritti, gli scriverebbe per i motivi del prologo,
altrimenti senza alcuna motivazione apparente, in quanto Vuestra Merced ricorre solo nel corso del
racconto di Pablos. Non c’è alcun legame tra vos signoria e qualche personaggio, né si spiega in modo
solido perché Pablos conosce questa persona, perché questa Vuestra Merced ha desiderio di conoscere
gli eventi della sua vita? Non è dato sapere.
Secondo la dedica dei due manoscritti C e S, Pablos si è anticipato a chi volesse scrivere al posto suo
un racconto della sua vita. Anche qui sorgono tanti dubbi: chi dovrebbe essere quest’altra persona
interessata nella vita di un picaro? Picaro è e picaro rimane perché la genealogia infamante segna in
modo indelebile l’esistenza di Pablos e quest’aspetto viene addirittura potenziato da Francisco de
Quevedo perché se negli altri casi di picari conoscevamo di fatto i di genitori dell’antieroe eponimo,
nel caso di don Pablos conosceremo anche qualche altro membro della sua famiglia, una famiglia
tutt’altro che esemplare.
Capitolo 1: (edizione di Bueno) Come negli altri
romanzi picareschi si mette in evidenza quale sia
l’origine del protagonista della storia.
Qual è questa genealogia infamante? La leggiamo
nelle prime pagine. Quevedo si diverte a creare
neologismi, giocare con la parole con un lessico
complesso.

È di Segovia, figlio Clemente Pablo, che è un barbiere


(all’epoca includeva varie altre competenze, era anche
dentista etc.) ma era contraddistinto anche da altos
pensamientos, una caratteristica che Pablos erediterà
dal padre.
Altos pensamientos sono alte aspirazioni, tant’è che
gli sembrava riduttivo e anche un po’ offensivo
definirsi semplicemente barbiere. Se corria de que le llamasen asì, ossia si vergognava
che lo chiamassero così, preferiva dicessero che lui tosava le guance ed era sarto di
barbe, sembra più nobile e altosonante.
Segue una serie di giochi linguistici e ovviamente si gioca con il significato doppio
della parola CEPA, lui si
vantava di nobili origini ma in realtà si traduceva nel fatto che era un grande bevitore
di vini, il buon ceppo.
La madre, si sospettava che avesse nelle vene sangue di discendenti arabi o ebrei, che
non fosse cristiana di vecchia data, forse nella sua famiglia c’erano ebrei conversos o
musulmani conversos, ma lei affermava che non era così. Già la parola padeció ci fa
tornare al Lazarillo.
Le pene patite dalla madre sono dovute a malas lenguas (anche qui appaiono), che
tanto segnano la vita di Antonia e suo figlio Lazaro. Queste malelingue di Segovia
dicevano che il padre metteva il due di bastoni nelle tasche dei clienti. Si gioca con le
figure delle carte per indicare che il padre era un ladro (due di bastoni come le dita
che infila per derubale, los de oros sono i soldi rubati nelle tasche), derubava i clienti
mentre si esibiva come sarto di barbe. Aveva un complice, che era il figlio più
piccolo, un fratellino di sette anni, che mentre appunto il padre distraeva i clienti
facendo la barba, derubava il cliente di turno. Questa cosa fu dimostrata.
Cominciamo con le disgrazie: questo fratellino complice dei furti, muore in carcere
per le frustate che riceve in carcere. A mio padre dispiacque molto perché il mio
fratellino aveva un carattere tale che rubava il cuore a tutti (derubava tutti).
Sdrammatizza dicendo otras niñerias per la quale è stato
preso dalla giustizia, come se fossero sciocchezzuole,
piccoli furti, reati, ma fatto sta che il padre di don Pablos
finisce in galera. Chi commetteva dei delitti era costretto
anche a sfilare per le strade della città e quindi essere
esposto al pubblico mentre il pregonero (banditore)
declamava delitti e castighi. anche al padre di Pablos toccò
questa sfilata poco onorevole per le strade di Segovia e il
padre viene anche sottoposto a tortura ma si salva
perché la madre con un intervento opportuno evita che
confessi durante queste torture.
La madre di don Pablos è una mezzana, di fatto è una
celestina perché non è solo mezzana, è anche fattucchiera,
si dedica a tutti i mestieri della celestina: reedificaba
doncellas, quindi è una maestra nell’arte di ridare la
verginità alle donzelle, ma è maestra anche di trucchi,
perfumes, esperta di profumi. Si procura gli ingredienti per
le sue pozioni magiche con metodi poco ortodossi, uno
degli ingredienti tipici erano i denti, capelli o barba degli
impiccati e allora le fattucchiere si dedicavano a spedizioni
notturne per estrarre dalla bocca degli impiccati i denti che
servivano loro per queste pozioni, oppure tagliavano una
ciocca di capelli, un po’ di barba, alle volte dissotterravano
cadaveri. A queste pratiche si dedicava la madre di Pablos.
Arriva il momento in cui i due poco illustri genitori di Pablos discutono animatamente su questo
unico figlio che gli è rimasto e ognuno dei due vorrebbe che seguisse le sue orme. Sarebbe un
bravo ladro, dice il padre, la madre vorrebbe che seguisse le sue, i due discutono ma interviene il
diretto interessato e dice che lui ha altri piani, è un bambino ma ha già le idee molto chiare:
aprender virtus resueltemente.

Vuole studiare, vuole imparare a leggere e scrivere, perché


senza questo non si va avanti nella vita. Non vuole seguire
le orme dei genitori e invece vuole studiare.
Non la prendono bene i genitori, la madre se ne va dentro
sdegnata, il padre se ne va a rapinare uno (altro gioco di
parole). Rimase solo ringraziando Dio perché lo ha fatto
figlio di genitori tanto gelosi del suo bene. I genitori a
malincuore acconsentono e dunque Pablos va a scuola e a
scuola fa un incontro molto importante che segnerà il
resto della sua vita.
In classe con lui c’è anche Don Diego Coronel, che è figlio
di un illustre cavaliere e diventano amici inseparabili e don
Pablos che fin da qui ci ha dimostrato di avere le
idee molto chiare, ebbene quando lo conosce, ha chiaro in
mente che lui vuole diventare come don Diego, vuole
essere come lui e con una certa furbizia fa di tutto per
ingraziarsi lo stesso Don Diego e guadagnarsi la sua
simpatia e i suoi favori.
Comincia poi a frequentare la casa di Don Diego Coronel.
Quando don Pablos deve rinunciare ad andare a scuola, almeno a quella scuola, anche don Diego
si ritira da quella scuola di Segovia e il padre decide di mandarli in una sorta di convitto, gestito
da un maestro molto avaro. Gli studenti malcapitati patiscono la negra hambre e più di tutti don
Pablos che va come servitore di Don Diego, che è figlio di cavalieri. Se poco mangiano i figli dei
cavalieri, meno ancora i servitori dei figli dei cavalieri. Ci sono delle descrizioni esilaranti di
queste cene e il riassunto di Francisco de Quevedo è: cenaron y cenamos todos y no cenò ninguno,
perché si descrivono queste pentole piene di questo cosiddetto brodo che non è che acqua sporca
nella quale navigano oggetti non meglio identificati, si annuncia la presenza di un singolo cecio
che galleggia. Passano talmente tanta fame che addirittura uno degli ospiti di questo convento
muore e proprio a seguito di questa disgrazia i genitori di questi ragazzi accorrono allarmatissimi,
si rendono conto di quali siano le condizioni e ritirano i figli da lì.
Don Pablos e Don Diego passano una convalescenza a casa di Diego per riprendersi, dopodiché
il padre di Don Diego lo manda a studiare ad Alcalà de Henares, naturalmente visto che si è creato
un sodalizio indissolubile, anche Pablos accompagna Diego. Proprio ad Alcalà i buoni propositi
di Don Pablos naufragano definitivamente perché lì si trasforma in un vero e proprio picaro.
Prende una cattiva strada e si cominciacon scherzi pesanti ad altri studenti, poi continua con furti
e furtarelli , addirittura truffe molto architettate che sono la prova del suo ingegno, ma un ingegno
volto al male.
Un bel giorno all’università di Alcalà arrivano due lettere: una per Diego e l’altra per Pablos, la
lettera che arriva a Don Diego la scrive suo padre dicendogli che è venuto a sapere delle ‘imprese’
di Pablos, considera che sia una pessima compagnia per suo figlio Diego e vuole che tronchi i
rapporti con lui, altrimenti finirà anche lui per delinquere a Don Diego dispiace ma deve seguire
le direttive del padre. Non ci sarà bisogno di rompere i rapporti con Pablos, perché allo stesso
tempo ha ricevuto una lettera da suo zio, altro membro della sua famiglia.

Alonso Ramplón è suo zio ed era il verdugo di


Segovia, ossia era il boia. Dice que era un águila en su
oficio, perchè è il cieco che è un águila en su oficio.
Era così bravo che mentre si vedeva nel pieno esercizio
delle sue funzioni a uno veniva voglia di farsi impiccare
da lui.
Lo zio boia gli annuncia che suo padre è morto, non è
morto di cause naturali, è morto sul patibolo e per di più
l’ha dovuto giustiziare proprio lui.
Così racconta di quanto bene sia morto suo padre e c’è
tutta la descrizione di questa norte eroica del padre che si
mette in sella al suo asino senza bisogno di staffe, pasa per
le strade della città, guarda le persone affacciate.
Si supone che sia una sfilata disonorevole per il
condannato, ma lui salutatutte le donne affacciate, manda
baci, si sistema i baffi e i confessori vorrebbero
confessarlo ma lui dice di andaré al dunque (scena
cómica) che non vuole rubare troppo tempo. Sale le scale
del patibolo e allora nota che c’è un gradino rotto e allora
richiama l’attenzione su quel gradino (le esecuzioni
vanno fatte nelle condizioni ideali).
Dopodiché si sistema bene i capelli, la barba e viene
impiccato ma cadde senza fare una smorfia, non rattrattì
le gambe, un eleganza straordinaria. Ha fatto un figurone.
Visto che i delitti commessi non erano proprio niñerías come dice Pablo, non viene solamente
impiccato ma anche squartato, si legava il cadavere a Quattro bestie che si mandavano in direzioni
contrarie.
Era diventato pasto per gli uccelli rapaci e non solo, le malelingue del secolo d’oro dicevano che i
famosi pasteles de a cuatro si facevano con le carni dei condannati squartati. Questo è il destino del
padre.

Alla madre non va molto meglio perchè ma madre sappiamo a


cosa si dedicasse, è stata presa dagli inquisitori di Toledo, perchè
si è scoperto che desenterraban los muertos
(significa anche sparlare di qualcuno), lei letteralmente
dissotterrava i morti.
Dice Don Pablos che la madre finirà al rogo, è condannata a
morte pure lei. Lo scopo della lettera è l’eredità da riscuotere. Il
sogno dello zio è che suo nipote segua le sue orme, sarebbe
un bravissimo boia. Con la mia esperienza manuale e le tue
conoscenza teoriche, venite qui a Segovia, riscuotete l’eredità e
io vi insegno il mio mestiere e vivremo felici e contenti, gli
dice lo zio.
Pablos corre da Don Diego per annunciargli quello che ha
scoperto, e quest’ultimo gli dice il contenuto della lettera di suo
padre, si preocupa per l’amico, vorrebbe trovargli un altro posto
presso un amico ma Pablos rifiuta.
Pablos annuncia che oramai è un’altra persona, punta più in alto,
racconta come sono andate le cose a Segovia e gli racconta il
suo piano di andare a Segovia ma non rimanerci, vuole solo
riscuotere l’eredità e poi cominciare una nuova vita.

Cosa fa con la lettera ricevuta dallo zio? La brucia,


non vuole lasciare tracce, non vuole che nessuno
legga di questa sua genealogía infamante. Il suo
piano è conoscere la mia familia per fuggire dai
miei parenti, vuole solo riscuotere l’eredità e poi
non avere mai più a che fare con loro ed è
esattamente quello che farà.
Assistiamo poi al viaggio che fa fino a Segovia, nel
corso di questo viaggio incrocia vari altri viandanti,
che da modo a Quevedo di fare anche una satira
degli oficios di alcuni tipi dell’epoca. Arriva poi a
Segovia, va a casa dello zio che frequenta delle
compagnie che sono poco raccomandabili, lo invitano
ad un pasto a base diquei famosi pasteles de a cuatro,
ma lui si guarda bene dal mangiarlo perchè sospetta ci
siano le carni del padre squartato dentro quei
pasticciotti. Lo zio e l’allegra brigata si ubbriacano,
vomitano, io buon Pablos prende i soldi, che non sono
i 400 annunciati prima perchè
nel frattempo suo zio ha speso soldi in vino e altro e
dopodiché se ne va diretto alla corte.
Ora que pica más alto vuole andare a Madrid e
costruirsi una nuova vita alla corte ma lascia una
lettera allo zio.
Già Dio mi ha fatto il gran regalo di togliermi dai davanti gli occhi sia mia madre che mio padre,
scrive delle parole pesanti, lui si rallegra che siano morti i genitori e stia per essere bruciata al rogo
la madre, perché quella genealogia infamante era un ostacolo alla realizzazione dei suoi progetti di
gloria. Ora che ha conosciuto lo zio ha capito che la cosa migliore da fare è perderlo di vista e
chiude la lettera con una richiesta: rinnega totalmente la sua famiglia, non mi dovete neanche
menzionare, non chiedete di me, non mi cercate, io non voglio sapere nulla della mia famiglia.
Pablos con quei soldi fa un primo grande investimento: cambio abito, perché l’apparenza è tutto, se
si vuole spacciare per nobile cavaliere deve vestire come tale. Un complemento di un nobile
cavaliere è un cavallo, ma lui non ha soldi abbastanza per comprarlo e allora, come solevano fare i
picari come lui con piani analoghi, ne affitta uno di cavalli di razza e tra il vestito elegante, il
cavallo di razza e la nuova identità perché cambia nome, non c’erano all’epoca carte d’identità,
basta annunciare che si chiama Don Felipe Tristán,non deve esibire carte. Si inventa nobili origini,
si spaccia per tale e sfoggia una ricchezza che in realtà era molto limitata, l’eredità era sostanziosa
ma non gli poteva consentire di mantenere quel tenore di vita a lungo.

Qual è il suo obbiettivo? Conquistare il cuore di qualche nobile donzella con un notevole
patrimonio, quindi fare un buon matrimonio e quasi ci riesce a furia di invitare a merende le
donzelle e le zie delle donzelle; in particolare una su cui mette gli occhi, che è in età da marito e sta
cercando un buon partito.
Don Felipe Tristán sembrerebbe essere il miglior partito. Purtroppo per lui, verrà fuori che questa
donzella, sua futura moglie, è la cugina di Don Diego Coronel che all’improvviso riappare nella sua
vita e gli dice che ha una “somiglianza” straordinaria con un piccolo delinquente che conosceva
(Don Pablos) che era stato al suo servizio. Pablos arrossisce e dice che era impossibile e lui era un
cavaliere ma Diego comincia ad avere sospetti.
Il giorno in cui succede un episodio poco edificante, ovvero cade da un cavallo che non è suo e che
si è procurato in modo truffaldino, i sospetti si fanno ancora maggiori e Don Diego indaga e scopre
la verità, che Don Felipe non è altri che il picaro Don Pablos. La vendetta di Don Diego sarà
terribile, perché lo fa non solo picchiare da due sgherri assoldati, ma lo fa sfregiare in volto e quello
sfregio in volto sarà un segno oramai indelebile della sua appartenenza ai bassi fondi, perché non si
è mai visto un cavaliere sfregiato.
Questa genealogia infamante di Pablos, che lo segna dall’inizio, sarà un fardello del quale non
riuscirà mai più a liberarsi perché aveva costruito una nuova identità ma basata su menzogne e
inganni.
L’incontro con Don Diego lo fa risprofondare nella miseria da cui proveniva. Solo il colpo di
fortuna dell’eredità lo aveva lasciato illudere che fosse possibile un’altra vita, così non è.
Vive altre avventure e alla fine approda a Sivilla, dove al culmine della sua carriere delinquenziale
si rende complice di un duplice omicidio di due sbirri, si rifugia in una chiesa (c’era il diritto d’asilo
nelle chiese, la giustizia non poteva entrare nella chiesa), lì conosce una prostituta che diventa la sua
amante e il Buscón si chiude con un piano di fuga che viene solo annunciato ma non esplicitato.
Per i delinquenti, i ricercati dalla giustizia di fuggiva in tre posti: 1. A Napoli 2. Nelle Fiandre
3. O nelle Indie, chi voleva proprio allontanarsi del tutto
Lui voleva scappare alle Indie con la sua amante per vedere se cose potevano andare meglio in un
posto nuovo, ma le cose gli andarono peggio, perché se si cambia solo di contesto geografico ma
non si cambia vita la situazione non migliorerà.
Si annuncia alla fine il racconto delle peripezie delle India ma che non vedrà mai la luce. Anche
quello è diventato un topos. Una delle aggiunte nell’edizione di Alcalà de Henares era la
continuazione del Lazarillo e anche il Guzman si chiude con l’annuncio della terza parte di Guzman
che mai vedrà la luce come il racconto di Don Pablos nelle Indie e si chiude così.
(Felipe II muore nel 1598, quindi qui siamo nel regno del figlio che si chiama Filippo III)

Torniamo alla carta dedicatoria per chiarire: Perché Pablos scrive questa sua autobiografia? Solo in
due manoscritti c’è questa dedica che lascia perplessi dopo aver letto l’intera opera. Perché una
Vuestra Merced che non ha nessun legame apparente né con Pablos, né con i protagonisti della
vicenda, perché dovrebbe essere interessata a conoscere la sua vita? Ma soprattutto più importante:
perché Perché Pablos dovrebbe avere interesse a mettere nero su bianco il racconto di una vita da
picaro? Lui che ha sempre voluto rinnegare le sue origini e puntare in alto, perché dovrebbe scrivere
chi sono stati i suoi genitori, la morte del fratello, l’impiego dello zio, la storia dei suoi inganni,
degli omicidi?
Non ha alcuna ragione d’essere questa biografia di un uomo che ha sempre voluto rinnegare il suo
sangue, la sua famiglia e le sue origini ed è il motivo per cui Francisco Rico nel saggio che ha
segnato un prima e un dopo nella storia degli studi sul romanzo picaresco, ovvero la novela
picaresca y el punto de vista, arrivò a definire il Buscón de Quevedo una splendida opera, molto
riuscita sul piano letterario, ma un pessimo romanzo picaresco perché rispetta solo gli aspetti
formali che è lecito attendersi ma è una forma vuota tutto sommato.

Lazaro aveva un motivo per scrivere, perché gli era stato chiesto da Vuestra Merced perché era
amico/a o conoscente dell’arciprete, e c’era una ragione per scrivere sul caso, poi era stata una sua
scelta raccontare la sua vita per far capire la sua scelta di tacere.
Se Guzman si pente e vuole indottrinare il pubblico e dire di non commettere gli stessi errori che ha
commesso lui, che vuole essere sentinella della vita umana, vuole mettere in guardia,
Don Pablo scrive per il lusso di scrivere, ma di fatto, rinnegando quello che era il suo
primo intento, ovvero dimenticare la sua famiglia.
Nella lettura di Rico, queta opera è una dimostrazione di bravura da parte di Quevedo che costruisce
un’opera divertentissima, è una lettura piacevole e amena che rispetta i canoni del romanzo
picaresco ma che non si giustifica in quanto tale perché non abbiamo alcun motivo di credere a
questa lettera di dedica, perché una Vuestra Merced dovrebbe interessarsi alla sua storia? Non c’è
ragione.
Perché Pablos dovrebbe avere interesse a mettere la sua vita per iscritto, dicendo addirittura che
vuole evitare che altri possano mentire. Ma perché dovrebbe la sua vita suscitare interesse per altri
scrittori di opere biografiche su di lui?
Risulta incomprensibile.
Inutile dire che il romanzo picaresco ha altre manifestazioni, ci sono altri testi, c’è un opera che è la
picara Justina, seguita poi da altri romanzi che ha hanno per protagonista delle picaras, come la
ingeniosa Hilenia, ovverola hija de Celestina, non a caso c’era il rimando alla Celestina di Rojas in
questo titolo ma sono piuttosto narrazioni picaras, si snatura uno degli elementi essenziali della
picaresca, si perde il racconto autobiografico, c’è un narratore esterno; nella ingeniosa Hilenia c’è
solo un capitolo del romanzo in cui la protagonista prende la parola in prima persona e racconta chi
furono i suoi genitori, tutto il resto è narrato in terza persona da un narratore onnisciente.
FINE PROSA.
INIZIO CAMPO TEATRALE.
EL ARTE NUEVO DE HACER COMEDIAD DI LOPE DE VEGA.
Risale ad un secolo dopo della Propalladia.
Si tratta di un discorso composto su commissione e pronunciato da Lope de Vega all’accademia di
Madrid, qualche anno prima della pubblicazione, fu Diego Gomez de Sandoval, membro
dell’accademia di Madrid a commissionare questo discorso a Lope de Vega, il quale poco dop lo
avrebbe dato alle stampe ma rimangono tracce di questa genesi del testo, come ad esempio
nell’incipit.
Mándanme, ingenios nobles, flor de España, Si rivolge a questi nobili ingegni dell’accademia di
(que en esta junta y academia insigne Madrid, mi è stato chiesto di scrivere una precettistica
en breve tiempo excederéis no sólo teatrale. Dobbiamo immaginare che questi versi sono
a las de Italia, que, envidiando a Grecia, strofe di endecasillabi sciolti ma che si chiudono con
ilustró Cicerón del mismo nombre, un pareado (una rima baciata), lo vediamo con la
junto al Averno lago, si no a Atenas, prima rima: escriba, reciba.
adonde en su platónico Liceo Abbiamo nel corso di questi 400 versi (essendo
se vio tan alta junta de filósofos) discordo andava detto in tempo ragionevole) abbiamo
que un arte de comedias os escriba, una rima baciata che si ripete più volte in posti
que al estilo del vulgo se reciba. strategici: gusto y justo.
Fácil parece este sujeto, y fácil

Perché Lope de Vega che non è proprio un novizio nello scrivere commedie, ma rivendica anche
una sua solida preparazione classica, lui conosce bene i precetti dei classici commediografi e tutta
via rivela anche che quando si tratta di comporre una nuova commedia, lui quei precetti se li deve
dimenticare perché il suo obbiettivo, che è l’obbiettivo di tutti, è scrivere commedie che piacciano
al pubblico perché i commediografi vivono del successo del pubblico, è il loro mestiere, vivono del
consenso del pubblico pagante e dunque devono compiacere quel pubblico. È il motivo per cui,
Lope de Vega dice:
Li mette sottochiave quei precetti classici e caccio Terenzio e
y, cuando he de escribir una comedia, Plauto dal mio studio perché non mi vengano contro. Io devo
encierro los preceptos con seis llaves; ottenere l’applauso del pubblico pagante, pagano un biglietto
saco a Terencio y Plauto de mi estudio, per venire a vedere le mie commedie quindi non possono
para que no me den voces (que suele uscire insoddisfatti perché si vive anche del passa parola e
dar gritos la verdad en libros mudos), quindi Lope, pur conoscendo bene i precetti deve cacciare
y escribo por el arte que inventaron commediografi latini per eccellenza perché altrimenti si
los que el vulgar aplauso pretendieron,
arrabbierebbero nel vedere che infrange una serie di precetti.
porque, como las paga el vulgo, es justo
hablarle en necio para darle gusto.
Segue un blocco che è una parafrasi di una famosa esplicatio, ossia spiegazione/commento di
Francesco Robortello alla poetica di Aristotele. A dimostrazione del fatto che ha una solida cultura
classica, occupa il primo blocco con questa parafrasi.
Poi inizia el arte nuevo propriamente detto, con la precettistica proposta da Lope.

Elíjase el sujeto, y no se mire


(perdonen los preceptos) si es de reyes,
aunque por esto entiendo que el prudente
Filipo, rey de España y señor nuestro,
en viendo un rey en ellos se enfadaba,17
o fuese el ver que al arte contradice,
o que la autoridad real no debe
andar fingida entre la humilde plebe.

Si scelga il tema della commedia, la prima cosa da fare (il soggetto in questo senso) e non
importa se si vogliano mettere in scena anche dei re, se volessimo seguire le norme
aristoteliche nella commedia dovrebbero agire solo persone umili, è la tragedia il luogo per
far intervenire in scena teste coronate, nobile, ma secondo Lope, in una tragedia, si possono
mescolare personaggi umili e altolocati, anche dei re, a patto di rispettare uno dei precetti
cardine per Lope (anche per Naharro), ossia il DECORO: ogni personaggio deve vestire,
parlare, agire in modo consono al suo ruolo e al suo posto nella società.
Un servo non potrà pronunciare un discorso altisonante, usare metafore e figure retoriche e
un re non potrà parlare con un registro umile, a ciascuno il suo. Se si rispetta il decoro
chiunque può intervenire in scena.
Proprio per questo lui suggerisce che si mescolino in scena los tragicos y lo comicos, Terenzio
con Seneca.
Lo trágico y lo cómico mezclado,
y Terencio con Séneca, aunque sea
como otro Minotauro de Pasife,
harán grave una parte, otra ridícula,
que aquesta variedad deleita mucho:
buen ejemplo nos da naturaleza,
que por tal variedad tiene belleza.

Terenzio come commediografo per eccellenza, Seneca come autore di tragedie, tragediografo. Si
possono mescolare. Il tragico e il comico si possono mescolare anche se potrebbe avere un aspetto
quasi mostruoso, verrà fuori un ibrido come otro Minotauro de Pasife (Pasife, personaggio della
mitologia greca, moglie del re di Creta Minosse, madre del Minotauro che era metà uomo e metà
toro). Si rende conto che qui le persone possano storcere il naso, ma lui propone delle
tragicommedie e alcune delle sue opere sono delle tragicommedie. Porta avanti questa proposta
perché una tragicommedia è specchio fedele della vita stessa. La vita stessa è fatta da una costante
mescolanza di momenti comici e tragici ed è proprio questa varietà che diverte, l’esempio ce lo da
la natura stessa, che per tanta varietà ha bellezza (questa è una citazione di un celeberrimo verso di
Serafino Aquilano: la natura è bella proprio perché è varia). Rispettiamo questa varietà anche sul
palcoscenico, portiamola in scena. A riprova del fatto che aveva ben chiari i precetti classici,
secondo pe proposte aristoteliche bisognava rispettare tre unità di azione, di tempo e luogo.
Lope mantiene l’unità d’azione dicendo che la trama non deve essere episodica, cioè la somma di
vari episodi slegati, ci deve essere un'unica azione principale, poi ci possono essere inserti ma che
rafforzino e convergano verso quell’azione in modo tale che tutto si deve tenere insieme e nessun
elemento fuori posto distrugga tutto.
Adviértase que sólo este sujeto
tenga una acción, mirando que la fábula
de ninguna manera sea episódica,
quiero decir inserta de otras cosas
que del primero intento se desvíen;
ni que de ella se pueda quitar miembro
que del contexto no derribe el todo;
Poi la proposta aristotelica dell’unità di tempo: Lope trova una soluzione di compromesso
dicendo che non è necessario avvenga tutto il 24 ore:

no hay que advertir que pase en el período


de un sol, aunque es consejo de Aristóteles,
porque ya le perdimos el respeto
cuando mezclamos la sentencia trágica Ogni volta che può inserisce un riferimento culto.
a la humildad de la bajeza cómica; Già abbiamo arrecato offesa mischiando il tragico con
pase en el menos tiempo que ser pueda, la bassezza comica, non se ne avrà male Aristotele se
si no es cuando el poeta escriba historia non rispettiamo nemmeno l’unità di tempo.
en que hayan de pasar algunos años, E dice che nemmeno di può dilatare all’infinito l’azione,
que éstos podrá poner en las distancias almeno il singolo atto deve rappresentarsi nel corso di
de los dos actos, o, si fuere fuerza, un'unica giornata, almeno si deve cercare di mantenere
hacer algún camino una figura, l’unità di azione almeno nei singoli atti. Poi se la trama rende
cosa que tanto ofende a quien lo entiende, necessario che siano trascorsi anni tra un atto e l’altro ci sono
pero no vaya a verlas quien se ofende. vari escamotage anche di battute di un personaggio.
¡Oh, cuántos de este tiempo se hacen cruces
de ver que han de pasar años en cosa
que un día artificial tuvo de término,
que aun no quisieron darle el matemático!

Porque considerando que la cólera


de un español sentado no se templa
si no le representan en dos horas
hasta el Final Juïcio desde el Génesis,
yo hallo que, si allí se ha de dar gusto,
con lo que se consigue es lo más justo.
Ritorna la rima baciata di gusto/justo.
Lope propone una suddivisione in tre atti con questa accortezza:
Dividido en dos partes el asunto,
ponga la conexión desde el principio,
hasta que vaya declinando el paso,
pero la solución no la permita
hasta que llegue a la postrera scena,
porque, en sabiendo el vulgo el fin que tiene,
vuelve el rostro a la puerta y las espaldas
al que esperó tres horas cara a cara,
que no hay más que saber que en lo que para.
L’intessitura si deve delineare fin dal principio, è il caso da trattare nella commedia, ma non deve
far capire al pubblico come va a finire la storia, anzi lo deve depistare opportunamente, fargli
credere che le cosa vadano in una certa direzione e poi sorprenderlo con un finale d’impatto
perché se il pubblico sa subito come va a finire la storia si alza e se ne va e il commediografo
vive del successo che ha presso il pubblico. Gusto/justo: bisogna fare il gusto del pubblico.
Tutte le indicazioni teoriche date da Lope de Vega vengono applicate nella concretezza della
realtà di una delle sue opere: la viuda valenciana.
Abbiamo visto anche il perché di queste indicazioni, l’attenzione di Lope è concentrata sulle
reazioni, sul livello di gradimento del pubblico pagante che deve compiacere, perché il
commediografo vive per il successo del pubblico e deve essere abile, non può lasciare
intravedere la soluzione finale, ossia el desenlace, che non si deve poter vedere fino a verso
la metà del terzo atto perché altrimenti il pubblico si alza e se ne va.
La conexión hay que ponerla desde el principio, è l’intessitura. Commedia suddivisa per Lope
in tre atti:
Nel primo atto: un bravo commediografo presenterà non solo i personaggi, ma dovrà lasciare
intravedere qual è il motore dell’azione; nel caso della viuda valenciana il titolo lo dichiara
fin da subito: la protagonista assoluta di questa commedia di Lope è una vedova molto
singolare, una vedova giovane, molto bella e anche molto ricca che tutti si aspettano si vorrà
risposare visto che ha perso il marito in giovane età eppure lei si rifiuta di farlo, tutto ciò viene
dichiarato fin dalle primissime battute di lei a una delle sue serve (criadas). Si pone già il
“caso” che muove l’azione, il fatto che sia una donna giovane, bella, ricca ha come
conseguenza che sotto casa sua passino una serie di pretendenti che aspirano ad avere la sua
mano e questi saranno in realtà delle comparse anche se avranno un ruolo importante in vista
del desenlace, ma tutto sommato sono comparse comiche che quasi involontariamente sono
presenti in tutti i momenti salienti della commedia ma senza rendersi ben conto di cosa sta
succedendo all’interno della casa di Leonarda.

La casa di Leonarda è teatro dell’azione principale perché ogni fanciulla e dama che si
rispettasse all’epoca, quindi di buona famiglia doveva fare assolutamente ritirata, le si
consentiva di uscire di casa per andare a messa e proprio in una chiesa avverrà un incontro
inaspettato e carico di conseguenze. Ma la nostra Leonarda vive in casa e aspira ad essere la
vedova perfetta che dunque non si lascia vedere nemmeno affacciata alla finestra o ad un
balcone, perché darebbe di che parlare alle famose malelingue, esce pochissimo, non accetta
pretendenti, respinge qualunque offerta, doni e attenzioni di chi sogna di diventare il secondo
marito di questa vedova apparentemente inconsolabile.
È una donna assolutamente indipendente e molto convinta del valore della propria libertà, che
già in questo mostra tratti di grande originalità. Non ha figli, non ci sono altri figuri maschile
di qualche autorità nella sua vita se non uno zio anziano che le fa visita costantemente per
consigliarle in modo pressante di sposarsi di nuovo e glielo consiglia per evitare pettegolezzi,
perché nessuno vorrà credere alla castità di una donna così giovane, lo zio è sicuro che presto
cominceranno a circolare pettegolezzi su di lei. Se non la vedranno uscire, affacciata,
chiacchierare con un bel cavaliere allora diranno che ha come amante qualche servo di casa,
comunque sparleranno di lei. Lo zio cerca di far leva su questo argomento: la honra, la
reputación, il buon nome della famiglia, da difendere a tutti i costi e quale migliore soluzione
di un nuovo matrimonio, così da mettere a tacere tutti. Leonarda è decisa a difendere a tutti i
costi la sua libertà. Ecco posta la conexión: la descrizione delle sue caratteristiche fisiche e
morali e la presentazione degli altri personaggi di rilievo della storia. La soluzione non si
intravede fino ad arrivare al terzo atto. Lope riprende il tema del decoro e aggiunge elemento:
la connessione tra elementi tragici e comici, anche se dovesse uscirne un ibrido mostruoso.
Nel testo della viuda valenciana ci sono riferimenti ad altre cose già dette. Il comportamento
della nostra Leonarda è molto audace, anche se non si mettono in scena le situazioni più
piccanti, ci sono dettagli scabrosi in questa commedia.
En el acto primero ponga el caso: la storia del motore dell’azione, perché agiscono i
personaggi? Cosa li muove? Qual è l’intento?
El caso come riferimento anche al Lazarillo de Tormes, è ciò che da il motivo ai personaggi di
agire e allo spettatore per incuriosirsi della vita di queste persone perché ci offre il
commediografo ci offre uno spaccato di queste vite? Tutte le commedie iniziano in medias res,
quindi sta all’abilità del commediografo, con pochi cenni, farci capire tutto ciò che è accaduto
prima che apparissero su un palcoscenico e Lope è bravissimo a farlo, gli bastano poche
pennellate per far capire agli spettatore perfino le ultime sfumature, le più profonde, le più
celate qualità o difetti di questi suoi personaggi che agiscono.

En el segundo enlace los sucesos (dal verbo ENLACAR = DESENLAÇAR): bisogna creare un
groviglio di situazioni, fare in modo che le vite dei vari personaggi, che sono chiamati ad
intervenire sul palcoscenico, si intreccino. Si creano dei nodi veri e propri che poi alla fine
vanno sciolti.

Hasta el medio del tercero, apenas juzgue nadie en lo que para: para qui è verbo, ossia parar, lo
abbiamo anche in italiano, andare a parare. Lo spettatore non deve sospettare dove va a parare
la storia fino alla metà del terzo atto perché bisogna mantenere vivo l’interesse.
Altra strategia che deve mettere in atto il bravo commediografo: deve depistare lo spettatore,
lasciargli intendere che le cose vanno in una certa direzione e poi scoprire uno scatto
improvviso come un colpo di scena o più colpi di scena. Si dissemina la storia di indizi che
lascino intravedere una certa evoluzione della vicenda, salvo poi continuare la vicenda in modo
totalmente diverso e imprevedibile.
Si danno poi una serie di suggerimenti e uno di questi ha a che vedere con la metrica, questa è
un’altra delle proposte di Lope de Vega, altra innovazione rivoluzionaria è quella nei versi 305-
312. Si suggerisce di adottare la polimetria= molti metri, un tipo particolare per ogni situazione.
Ogni situazione richiede un tipo particolare di metrica:
- Las redondillas (già viste nel Patrañuelo all’inizio di ogni racconto, 4 versi ottosillabi,
ABBA) solo il tipo di strofe ideali per questioni d’amore, nella viuda valenciana dominano
le redondillas.
- Le terzine dantesche che sono perfette per argomenti seri
- Le décimas, che vanno bene per i lamenti, nelle tragicommedie di Lope ogni volta che
l’amante di turno si vede disprezzato e ignorato comincia una lunga serie di décimas. Se
la redondilla è una strofa di 4 versi con uno schema di rime ABBA, la décima è composta
da due redondillas unite da 2 versi di raccordo. Lo indica la parola stessa: è una strofa di
dieci versi, sono prima redondilla, seconda redondilla e due versi di raccordo al centro.
Questi due versi propongono: il 1, l’ultimo rigo della prima redondilla, il 2, il primo rigo
della seconda redondilla.
- Il sonetto, che di solito nelle opere di Lope de Vega sono pochi, qui invece ne troviamo
tanti. Va bene per aspettare (aguardar), va bene per situazioni di sospensione della storia.
- Las relaciones sono i resoconti, quando dobbiamo raccontare qualcosa vanno bene i
romances. Se con il sonetto abbiamo 14 versi,; la redondilla ha 4 versi; la octava real ne
ha otto; il romance non ha un numero prestabilito di versi, è una serie illimitata di
ottosillabi, non è una forma stabilità. Nei romances i versi pari sono assonanti, c’è identità
vocalica. Quando i personaggi raccontano qualcosa che è successo il metro ideale è quello
del romances, anche le ottave reali sono un metro adeguato per i resoconti.
Non un’intera commedia con una sola forma metrica, bensì per ogni situazione una forma metrica
diversa con queste indicazioni di massima. Poi si suggerisce l’uso di determinate figure retoriche, si
consiglia di engañar con la verdad; è un’altra risorsa molto raccomandabile: ingannare con la verità.
Nel cavaliere de Olmedo, a un certo punto la protagonista femminile finge una devozione e dice al
padre che non vuole sposarsi ma che vuole entrare in un convento, avrà bisogno di un maestro di
latino e di una istruttrice che la prepari alla vita conventuale. Chi si spaccia per maestro di latino e
per maestra di virtù? Il servo di Don Alonso che di latino non sa nulla e la mezzana di turno, è un
modo per insinuarsi nella casa di lei e permettere al Cavaliere di Olmedo di far arrivare messaggi ad
Ines. Quando si presenta la celestina al padre dice ‘io sono una peccatrice, devo fare ammenda…’ sta
dicendo la verità, da brava celestina anche lei ha avuto un passato da prostituta quindi tutte le frasi
che dice, e lo spettatore ride perché conosce la verità dell’identità di quella presunta maestra di virtù,
sono vere ma il padre di Ines non può saperlo e quindi loda la sua umiltà, loda il fatto che ridimensioni
le sue virtù, parli di sé in quel modo, come se fosse una peccatrice, è pensa che è la persona ideale
per formare mia figlia, crede siano dimostrazione della sua modestia, della sua virtù.
Ecco un caso di inganno con la verità: il personaggio sta dicendo la verità, ma non tutti quelli che
sono sul palcoscenico conoscono la vera identità di quella presunta maestra. Allo spettatore piace il
fatto di credere di saperne più di alcuni dei personaggi sul palcoscenico, si stabilisce un rapporto di
complicità tra il commediografo e lo spettatore. Infatti dice Lope poco dopo, il parlare con doppi
sensi, viene molto apprezzato dal pubblico perché sente di essere in una posizione privilegiata, di
poter capire solo lui quello che sta avvenendo, questa cosa lo riempie di soddisfazione.
I casi di onore sono il soggetto ideale per una opera teatrale di successo perché i casi di onore
coinvolgono molto il pubblico. È vero, il Cavaliere de Olmedo fu ad esempio uno dei grandi successi
di Lope de Vega, e così molti altri. Tanto è vero che, talmente tanto coinvolgimento che se trovano
per strada l’attore che faceva la parte del cattivo lo trattano male, lo guardano con sospetto perché
non hanno percezione piena della differenza tra realtà e finzione e così chi interpreta l’eroe viene
salutato da tutti con ammirazione.
“Oso dare dei precetti e ho questo ardire perché ho un briciolo di esperienza, infondo ho scritto 500
commedie” dice Lope. Il conto sarà anche più alto a fine carriera.
Infine vediamo ancora la rima justo/gusto, bisogna compiacere il volgo, bisogna accontentare il gusto
del pubblico.
LA VIUDA VALENCIANA.
Notizia Bibliografica a pag. 71
La Princeps si pubblica nella quattordicesima parte delle commedie di Lope de Vega.
Queste partes erano raccolte di testi poetici date alle stampe, di solito una dozzina in ogni
parte. A partire dalla nona parte fu Lope de Vega a gestire questo tipo di testi a stampa che
nelle parti anteriori invece erano state pubblicate senza la sua supervisione, dando alle
stampe testi che non sempre rispecchiavano la volontà dell’autore.
Quindi ad un certo punto Lope pur di non vedere corrotti e deformati i testi delle sue opere
teatrali decise di gestire personalmente la pubblicazione di queste raccolte.
Nella 14esima, che risale al 1620, tra le varie opere si pubblica anche la viuda valenciana, la
cui creazione è anteriore ossia inizio ‘600.
Abbiamo poi nel testo un riferimento a la scelta fatta da Teresa Ferrer, a pag. 83, perché
ogni editore che si rispetti deve dire quale testo pubblica, in particolare qui abbiamo anche
un manoscritto dell’opera con anche delle varianti. Per questa edizione ha preso quello della
Princeps del 1620 e dice quale esemplare, ma ha consultato e confrontato anche la copia
manoscritta che si conserva (di cui c’è una descrizione nel corso dell’introduzione), perché
ha utilizzato alcune varianti di questo manoscritto per migliorare dei punti un po’ oscuri o
non del tutto scorrevoli del testo.
L’elenco dei personaggi si trova alla pag. 99 -> Las figuras de la comedia:
- Lucencio, viejo = è lo zio di Leonarda, è la figura maschile di riferimento della vita di
Leonarda che però ne farebbe a meno, perché questo zio non fa che ripetere che si deve
risposare.
- Leonarda, viuda moza = la viuda valenciana; mozo è sinonimo di giovane, quindi
vedova giovane.
- Julia, criada suya
- Urbán, escudero suyo, mozo = hanno un ruolo minore, sono una la serva di Leonarda e
l’altro scudiero e giovane. Il fatto che sia giovane darà inizio ad una serie di equivoci.
- Camilo, galán = diventerà nel corso della vicenda l’amante di Leonarda e poi il secondo
marito alla fine della vicenda, ma tutto inizia con una relazione clandestina. Conosce
Leonarda in un modo molto particolare in una cita aciegas, un appuntamento al buio.
Prima di incrociarsi con Leonarda, Camilo aveva una relazione con Celia.
- Floro, criado suyo = fidato servo di Camilo.
- Celia, dama = aveva una relazione burrascosa con Camilo che poi verrà troncata in modo
altrettantoburrascoso.
- Otón, galàn
- Valerio, galán = terzetto comico, corteggiatori di Leonarda senza successo. La accusano
di essere
- Lisandro, galán sorda ai loro corteggiamenti (pag. 213 cit. a Garcilaso con Sospechas)
- Rosano, cortesano = viene ferito dal trio comico.
- (un escribano)
- (un alguacil)
- (criados)
Nel testo è sempre indicato il tipo di metrica utilizzata. È molto evocato Garcilaso in questa
commedia, è citato anche nelle note a piè di pagina.
Sempre come riferimento a Garcilaso alla pag. 214: La canzone V viene rievocata con il mito di
Ifi e Anassarete, dove Ifi si impiccò per i rifiuti dell’amata.
Pag. 192: Leonarda dubita che Camilo, voglia accondiscendere ai suoi patti e Julia la criada la
incoraggia citando ancora Garcilaso con il mito di Leandro ed Ero che morì in mare.
Pag. 212: qui c’è un altro ego che sarebbe il Lazarillo de Tormes. Il mestiere del cieco nel
Lazarillo era pregare per altre persone. Il cieco era un maestro nell’arte del recitare preghiere, le
preghiere più disparate perché le persone che si rivolgevano al cieco erano le donne che erano
per esempio mal maritate, le fanciulle in cerca di marito, le donne che desideravano di rimanere
incinte ma non succedeva, per ogni situazione il cieco conosceva una preghiera specifica. Questa
era una delle grandi sue arti, e Lazaro aveva tra i vari compiti quello di avvisare il cieco quando
la persona che aveva chiesto la preghiera si allontanava.
Lazaro tirava la giubba del cieco che la persona che aveva pagato per quella preghiera (era a
pagamento) si era allontanata e il cieco interrompeva la declamazione della preghiera di turno. In
questa citazione c’è il richiamo a questo.
Pag. 270 al verso 2415: dice Urbán ad un certo punto ‘yo soy el mozo y él el ciego’, intendendo
che lui è stato il Lazarillo di Camilo.
Pag. 237 al verso 1931: troviamo il nome di Amadis, riferimento al famoso Amadis de Gaula.

È disseminato di riferimenti a personaggi, opere, miti che abbiamo ripercorso in queste lezioni.
Troviamo anche un riferimento ad una echizera barbuda che è la Celestina.

Perché si parla in più circostanze di un Lazarillo e di un ciego?

Perché la nostra vedova giovane dopo aver respinto in tutti i modi i pretendenti propostole dal
vecchio zio che vuole che si risposi e aver dichiarato che lei è decisa a vivere il resto dei suoi
giorni da vedova.
Nonostante le sfilate di ragazzi e i corteggiamenti (il trio comico si introdurrà addirittura in casa
di Leonarda travestiti da venditore ambulante di libri, l’altro venditore di altro) lei si mantiene
ferma nei suoi propositi fin quando il suo sguardo non si incrocia con quello di Camilo ed ecco
che i suoi buoni propositi crollano, si innamora immediatamente di questo giovane e
immediatamente il fuoco della passione che aveva tentato di tenere spento nel suo cuore si
riaccende. Leonarda è decisa a soddisfare il suo desiderio di avere Camilo tra le sue braccia e non
vuole rinunciare al suo disegno di libertà e indipendenza e dunque la trama prevede che i due
mantengano una relazione clandestina, ma siccome Leonarda è ossessionata almeno quanto lo zio
dalla buona reputazione della famiglia, la honra, che non si può macchiare dovrà fare in modo da
mantenere nascosta la sua identità.
Il suo piano è che il suo scudiero Urbán convinca Camilo a recarsi di notte in casa sua
incappucciato, neanche Urbán si farà riconoscere perché se si riconosce il servo si sa di chi è
servo. Agevola questo piano il fatto che siamo nei tempi del carnevale e tutti vanno mascherati e
Urbán, sarà un Lazarillo, porterà Camilo bendato e incappucciato, inconsapevole della strada che
fa per la casa di Leonarda e Urbán lo guiderà mascherato fino in casa e noi assisteremo al primo
incontro fra i due.
Camilo è molto combattuto perché teme qualche burla, tranello o addirittura ad un certo punto ha
paura che la sua vita sia in pericolo, forse ha qualche nemico che lo vuole liquidare in un modo
segreto o semplicemente è una presa in giro.
Alla fine Urbán e gli altri personaggi lo convinceranno. Tutto ciò che perderà con la vista lo
compenserà il tatto, perché la potrà toccare. Il tatto non inganna, la pelle non è rugosa, ma è liscia,
capirà che ha un visto bellissimo. La sentirà parlare, anche l’udito gli darà informazioni, la voce
è una voce giovane. All’inizio sarà titubante e quando Leonarda nel corso del primo incontro gli
offrirà qualcosa da bere e mangiare, Camilo reagirà con diffidenza pensando che lo vogliono
addirittura avvelenare ma piano piano poi la diffidenza svanirà.
Noi non assistiamo all’incontro amoroso in cui uno cade nella braccia nell’altro ma leggiamo che
alla fine questa relazione diventa una relazione di amanti perché dopo una serie di incontri, in cui
i due cominciano a conoscersi effettivamente i due finiranno a letto insieme senza conoscere
Camilo l’identità di lei.
Mai la conoscerà, nonostante mille sotterfugi che cercherà di attuare perché gli incontri
avverranno sempre al buio.
Nel frattempo fuori dalla casa di Leonarda che mantiene una facciata di rispettabilità, sarà
l’amante a visitarla di notte. All’esterno passano i famosi tre pretendenti e un po’ si fanno la
guerra tra di loro e un po’ cercano di allearsi perché sono assaliti tutti e tre dal tremendo sospetto
che Leonarda abbia un’amante. E arrivano alla conclusione che questo amante sia Urbán perché
è quello che aveva detto lo zio all’inizio: se non vedranno entrare un uomo, o ti vedranno
affacciata a parlare con uomini, sospetteranno che l’amante ce l’hai in casa e arrivano a questa
conclusione.
Non cercano conferme a questo e passano direttamente ai fatti provando ad assassinare Urbán,
ma in una prima volta assiste a questo tentativo di omicidio Camilo che senza sapere che sta
salvando la vita al suo Lazarillo, interviene e si frappone a loro e convince i tre a mettere a posto
la spada e desistono dal proposito.
Ma lo fanno quella prima volta, in una seconda occasione che hanno, notturna questa volta, le
loro spade macchieranno di sangue. Il piccolo problema è che non aggrediscono Urbán, come
loro credono, bensì un’altra persona. Questa persona è Rosano, è un cortigiano che è arrivato a
Valencia da Madrid per proporre a Lucencio e quindi tramite lui a Leonarda, un partito come
marito, un cavaliere di Madrid, lui fa una sorta di messaggero di questo cavaliere.
Arriverà il momento in cui Leonarda temendo di essere travolta dallo scandalo, accetterà le nozze.
Rosano esce dalla casa di Leonarda contento, pronto per mettersi in viaggio per Madrid e portare
la buona notizia, che Leonarda diventerà la moglie di questo suo cavaliere. Viene però scambiato
per Urbán ed è lui che finisce ferito, quasi moribondo, per i colpi inferti dai tre pretendenti, i quali
l’indomani vedono sfilare per le strade di Valencia Urbán in perfetta forma fisica e si chiedono
chi abbiano ammazzato la sera prima.
Per fortuna loro non hanno ammazzato nessuno perché Rosano si riprende, il quale sta comunque
moribondo in un letto, non può andare a Madrid a portare la notizia che Leonarda ha accettato le
nozze.
E per fortuna che non ci può andare, perché in questo modo si concretizzeranno le nozze tra
Leonarda e Camilo, ma prima la situazione sarà sul punto di precipitare perché continuano questi
incontri amorosi finchè un bel giorno succedono due cose: intanto in una rara uscita fuori casa
Leonarda vede Camilo dialogare con la sua vecchia amante Celia e viene assalita dalla gelosia e
vuole troncare la relazione; d’altro canto succede un’altra cosa, in uno degli incontri notturni,
mentre Urbán fa da Lazarillo a Camillo, succede che li ferma l’autorità, un alguacil, e chiede loro
di scoprirsi il volto per questioni di ordine pubblico deve controllare chi sta circolando per strada.

Dunque Camilo per la prima volta vede la faccia di Urbán, questo è un punto importantissimo
perché conoscere l’identità di un servo significa conoscere l’identità della persona che serve.
Quando Leonarda sa di questo spiacevole incidente, siccome è molto intelligente e furba, si
inventa un modo per distogliere i sospetti da lei.
Dice ad Urbán di non mettere piede a casa sua, ma di andare a casa di sua cugina e stare da lei
per un po’, così lo identificheranno come servo di questa sua cugina, quando Camilo cercherà di
prendere informazione su di lui ed arriverà alla conclusione errata che la donna che incontra tutte
le sere è sua cugina.
Fa tutto questo per salvare la sua reputazione. C’è un piccolo dettaglio che provoca un umiliazione
da parte di Camilo e grasse risate da parte del pubblico, ossia che la cugina di Leonarda è orribile.
Ad un certo punto Camilo, offeso, mortificato, le scrive una lettera non gentile accusandola di
averlo ingannato abilmente e annunciando che la relazione finisce lì perché non è possibile
prendersi gioco di lui così. Inutile dire che la cugina non sa nulla. La lettera non arriva in mano
alla cugina, viene intercettata prima per fortuna.
La viuda valenciana decide di avere un ultimo incontro con il buon Camilo e lo convince
dicendogli che si ricrederà.

La lettera è a pag. 288, è un sonetto, parla di una vecchia che si spaccia per giovane con
incantesimi per sedurre i poveri giovani. L’altra caratteristica di questa cugina è che ha la pelle
rugosa, i capelli bianchi etc. e per mascherare si trucca anche pesantemente. Le scrive si cerchi
un altro giovane da ingannare e presto sarete voi ad avere una caroza (cappello a cono delle
streghe).
Leonarda fa in modo che Camilo vada un’ultima volta da lui, ma questa volta Camilo non vorrà
ascoltare storia e si porterà dietro una lucina per vedere la faccia di Leonarda, che in realtà si è
già incrociata per la sua strada con Camilo, i due si son visti per strada, Leonarda sapeva che
stava parlando con il suo amante ma Camilo no e i due avevano dialogato.
Camilo si sorprende nel vedere che l’amante notturna non è la brutta donna che pensava, bensì la
viuda, subito la riconosce per l’abbigliamento come viuda e in quel momento lo zio interviene
come il terzo incomodo e lei gli dirà che si è innamorata di questo giovane e ha deciso di sposarlo.
Lo zio che voleva a tutti i costi delle seconde nozze e acconsente e faranno in parallelo le nozze
dei servi perché in tutte le commedie che si rispetto ci sono le parallele che hanno per protagonisti
i servi. Ai matrimoni dei patroni seguono sempre i matrimoni dei servi.
Questa è la storia della viuda valenciana.

Nell’atto primo (pag.101) troviamo le redondillas che sono la maggioranza delle forme metriche
utilizzate.
La prima risposta di Julia in questo pezzo si completa con il pezzo dopo. Lo schema di rime
ABBA continua per il resto del dialogo. Leonarda è anche donna colta e all’inizio di questa prima
scena ha un libro tra le mani, un Fray Luis, che è un libro di devozione per Fray Luis de Granada,
quindi sa leggere oltre che scrivere, cosa non scontata all’epoca.
Nel verso 30 dice che da quando è rimasta vedova del primo marito chiamato Camilo (esattamente
come il secondo) dice: “leo por entretenerme” e nei versi 42: castiga i suoi sentimenti, soffoca la
passione che nasce nel cuore, lo fa leggendo libri devoti.
Julia, la serva le dice che è giovane e si mentirà, le dice che non potrà essere rigorosa per molto
tempo.
Nella pag. 108 al verso 85 le chiede: ‘non ti sposerai?’ e lei risponde che gli uomini le fanno
schifo. Julia con un sotterfugio le porta uno specchio e le dice di guardarsi in questo specchio, di
contemplare la sua bellezza e capire che non potrà stare sola a lungo, scegliere un marito che le
piace e mettere a tacere le malelingue e soddisfare la passione che rinascerà nel suo cuore.
Appare poi lo zio che per l’ennesima volta le fa visita per cercare di convincerla a sposarsi, a
Leonarda dispiace che lo zio la sorprenda con uno specchio in mano perché potrebbe considerarla
vanitosa, dedita a piaceri poco onesti e quando lo zio insiste (pag. 115) e dice “da tutti i punti di
vista ti conviene sposarti” al verso 197. Ha tremila ducati come rendita, è ricca. Le dice che
l’invidia fa danni e che sparleranno di lei, ma Leonarda non è disposta a cedere e lo spiega in un
monologo bellissimo alla pag. 120 perché non vuole risposarsi.
Ha le idee chiare e dice: “io non ho i tremila ducati di rendita perché questi belli in busti si
prendano la mia dote e cominci a sprecare i soldi in vizi come il gioco o le donne, finirà con grida,
magari alzerà le mani su di me, io rivendicherò che i soldi sono miei e non ci sarà giorno in cui
non ci sarà discussione in casa, già so come andrà a finire per questo preferisco difendere la mia
libertà”.

Pag. 226: abbiamo un dialogo tra Lucencio e Rosano, arrivato con la missione di chiedere la mano
di Leonarda per conto del gentiluomo che lui rappresenta. Rosano farà le spese di un drammatico
scambio di persona perché finirà accoltellato in fin di vita dai tre pretendenti che aspirano anche
loro alla mano della vedova senza successo.
In questo dialogo abbiamo dei riferimenti alla missione di Rosano e a partire dal verso 1749
abbiamo un’ottava reale, sono endecasillabi.
Alla pag. 230 iniziano le redondillas. Le octavas reales sono strofe di otto versi endecasillabi, con
i primi 6 versi che hanno rima alternata ABABAB e gli ultimi due rima baciata, in spagnolo
pareado.
In alcuni punti il verso è spezzato in due parti perché in questo caso la battuta finisce con una
parola, ma non arriva alle undici sillabe dell’endecasillabo, si completa il verso con il resto nel
verso dopo e si arriva alle 11 sillabe.
Rosano sta raccontando perché è arrivato a Valencia, porta un messaggio, Lucencio legge la
lettera, si stanno raccontando degli antefatti del viaggio di Rosano e sappiamo che i racconti piden
los romances, ma anche le octavas reales vanno bene. E non a caso nella scena successiva, la 17,
a pag. 229, dove appare Camilo e Floro, inizia un romance.
Quando parliamo di romance dobbiamo dire qual è l’assonanza nei versi pari, in questo caso c’è
assonanza con le vocali ‘o’. in questo caso Camilo racconta di ciò che non viene messo in scena,
perché noi abbiamo parlato del primissimo incontro aciegas, ed è quello che racconta Camilo a
Floro.
Gli racconta la sua avventura amoroso-erotica e utilizza il romance per farlo, che l’incontro era
al buio con l’accortezza di Leonarda di non farsi vedere da Camilo. Camilo dice di essere disposto
a trasformarsi in uno di quegli uccelli notturni che riescono a vedere anche nelle tenebre, pur di
capire chi è questa donna che lo ha cercato, gli ha dato appuntamento in casa sua e di cui grazie
ha goduto.
Dice che può usare solo gli altri sensi dei cinque, non quello della vista, toccandola intuisce che
si tratta di una donna bellissima ma vorrebbe vederla. Pur di vederla è ricordo a vari sotterfugi
come racconta nella pagina dopo.
Dice di non credere che sia sciocco, si è inventato più di un trucco per vederla ma non è servito a
niente. Ha finto di morire sperando che facesse luce nella sala, ha anche giurato che non avrebbe
mai aperto gli occhi ma non c’è stato verso. Né gli attacchi d’ira, l’averla implorata hanno potuto
cambiare la situazione.
Questo romance finisce e poi il dialogo riprende con le redondillas, che sono perfette per
raccontare cosas de amor e infatti Camilo continua a parlare. È presente il mito di Amore e Psiche
citato, che per alcuni versi ci può ricordare quello di Orfeo e Euridice perché anche in questo mito
si pone una condizione che viene poi violata con la conseguenza irreparabile della perdita
definitiva dell’amato che in questo caso è Amore.

Pag. 160: uno dei tre pretendenti ridicoli di Leonarda per insinuarsi a casa di Leonarda si traveste
da venditore ambulante di libri. A un certo punto Leonarda chiede quali libri abbia con sé da
vendere, che sono 4. Il primo libro è el pastor de Filida.
Tutte le battute di Otón in questo dialogo finiscono con una dichiarazione d’amore a Leonarda
che gli chiede se venisse qui a vendere libri o a corteggiare.
Il secondo libro è la Galatea di Miguel de Cervantes, dove accenna all’autore che nella battaglia
di Lepanto si ferì alla mano. Leonarda è veramente interessata ai libri, infatti all’inizio appare lei
con un libro che chiede a Julia di riporre, si suppone sia un libro di devozione di Fray Luis de
Granada. Leonarda ha anche altri interessi, è interessata anche alla letteratura d’evasione, lo
vediamo anche dai libri proposti dal pretendente.
Non è un libro devoto, anzi sono libri di literatura de entretenimiento. Tra cui c’è anche un
cancionero, non meglio identificato (di raccolte poetiche all’epoca se ne stampavano tante),
alcune della sue sezioni irridevano i religiosi con versi in alcuni casi osceni e furono messi
all’indici, almeno in alcune sezioni.
Leonarda si interessa di questi testi ma non c’è dialogo possibile perché Leonarda veramente
vorrebbe soffermarsi su autori e titoli mentre Otón è lì semplicemente per corteggiarla e lo
vediamo nelle ultime battute quando dice “stampato dentro di me c’è un eterno servire, un eterno
amare, un eterno soffrire” per colpa di Leonarda che non cede al corteggiamento. E Leonarda
insiste: ‘siete qui a corteggiare o a vendere?’
Due di questi titoli li ritroviamo in uno dei capitoli più celebri della prima parte del Don Quijote.

DON QUIJOTE.
Don Quijote si pubblicò in due parti, una prima nel 1605, una seconda parte nel 1615. Come
successe a Mateo Alemán, autore del Guzman, anche nel caso del Don Quijote ci fu chi si anticipò
al vero autore dell’opera.
Nel 1614, appena un anno prima della pubblicazione di Miguel de Cervantes, fu data alle stampe
una continuazione apocrifa a firma di un tale con lo pseudonimo di Alonso Fernández de
Avellaneda. Anche Cervantes si prese una piccola rivincita sul continuatore apocrifo del Quijote.
La prima parte fu stampata a Madrid.
p
PROLOGO.
Pero yo, que, aunque parezco padre, soy padrastro de don Quijote, no quiero irme con la
corriente del uso, ni suplicarte casi con las lágrimas en los ojos, como otros hacen, lector
carísimo, que perdones o disimules las faltas que en este mi hijo vieres, que ni eres su pariente
ni su amigo, y tienes tu alma en tu cuerpo y tu libre albedrío como el más pintado, y estás en
tu casa, donde eres señor della, como el rey de sus alcabalas, y sabes lo que comúnmente se
dice, que «debajo de mi manto, al rey mato », todo lo cual te esenta y hace libre de todo
respecto y obligación, y, así , puedes decir de la historia todo aquello que te pareciere, sin
temor que te calunien por el mal ni te premien por el bien que dijeres della.
All’interno c’è una frase celeberrima, la frase in cui Cerventes si definisce patrigno dell’opera.
Per capire il Don Quijote nel suo complesso dobbiamo ricordare tutto ciò che abbiamo detto dei
romanzi cavallereschi.
In primis dobbiamo ricordare il topos del falso manoscritto, il falso ritrovamento di un testo
presuntamente antico, scritto in una lingua esotica, scoperto in modo fortunoso, nel corso di
avventure di cui sono protagonisti gli stessi autori dei romanzi e tradotto a volte col tramite in
un’altra lingua di mediazione, tradotto poi in castillano.
Tutto ciò a partire dal famoso prologo di Garci Rodriguez de Montalvo nel raccontare la sua
opera di rimaneggiamento dei primi 3 libri, aveva creato un’avventura riguardo il ritrovamento
del 4 libro e poi della sua continuazione Esplandian, che si considera il 5 libro della saga.
Nella prima data di pubblicazione del Quijote, i romanzi cavallereschi stanno finendo nel
dimenticatoio quando per tutto il ‘500 godono di un favore straordinario in tutti i ceti della
popolazione. Chiunque leggeva questi testi, ma il genere alla fine del ‘500 comincia a non
suscitare più l’interesse del pubblico; questo successo clamoroso in questo periodo inizia ad
essere in pieno declino. Quando Cervantes compone il Quijote questo declino è al picco. Tutto
ciò ci da la misura della singolarità del personaggio di Don Quijote.
Perché non padre ma bensì patrigno del Don Quijote? Miguel de Cervantes riprende quel topos,
tanto caro agli autori cavallereschi, ma lo riformula a modo suo, nella finzione letteraria
Cervantes si è limitato di cercare notizie delle imprese straordinarie di questo singolare
cavaliere della Mancha e ha trovato varie fonti che non sempre concordano.
A un certo punto della storia, siamo ancora ai primi capitoli, la sua fonte principale si
interrompe sul più bello, perché il nostro Don Quijote è in pieno duello contro un cavaliere e
l’ultima pagine del testo che è la fonte di Cervantes finisce con i cavalieri che stanno per
colpirsi ma la storia non continua.
Abbiamo quindi questo ‘fermo immagine’, si blocca il racconto e il povero Cervantes non sa
come va a finire la storia di questo duello. Cerca e ricerca, finchè un bel giorno in una strada di
mercato, nella città di Toledo, si imbatte per puro caso in uno zibaldone di appunti che
contengono la storia del nostro Don Quijote.C’è un particolare, questo scartafaccio non è in
castillano, è in un’altra lingua e qui capiamo l’operazione di Cervantes quando leggiamo nel
testo che la fonte principale della continuazione è una fonte araba, scritta da Hamete Ben-Engeli
che ha scritto le imprese di questo cavaliere de la Mancha e lui, Cervantes, curioso di come va a
finire la storia, ovviamente se lo fa tradurre quel testo.
Ecco perché qui si definisce patrigno, perché lui si è preoccupato di cercare fonti che parlassero
dell’opera e le ha fatto anche tradurre vista la lingua di partenza. Nella finzione letteraria lui
declina ogni responsabilità sulla storia in sé, lui l’ha solo fatta tradurre o nella prima parte l’ha
proposta ai lettori.

In questo prologo, oltre quest’affermazione importante, troviamo anche una serie di


osservazioni su quanto si difficile scrivere le introduzioni ai testi. Il povero Cervantes si dispera
perché sa anche che la moda dell’epoca richiede che il testo sia introdotto da tutta una serie di
poemi encomiastici composti da illustri letterati (un maestro in questo era Lope de Vega,
includeva versi encomiastici di una lunghezza infinita), ma Cervantes non ha a chi chiederli
questi versi encomiastici, si dispera, non sa fare un prologo come si deve e dice “te la vorrei
dare nuda e cruda quest’opera senza gli abbellimenti del prologo, né il catalogo di innumerevoli
versi, eppure non sa cavarsela”
Dice che ha preso molte volte la penna in mano, molte volte l’ha abbandonata, non sapeva
andare avanti.
Ecco che fa irruzione nello studio del nostro Cervantes un suo amico immaginario, il quale gli
da una serie di consigli e gli dice “non vi preoccupate, non c’è bisogno di fare le glosse
marginali citando gli autori colti che sono menzionati o allusi nella vostra opera, non ce n’è
bisogno”

“Este vuestro libro no tiene necesidad de ninguna cosa de aquellas que vos decís que le falta,
porque todo él es una invectiva contra los libros de caballerías” e poi dirà “esta vuestra
escritura no mira a más que a deshacer la autoridad y cabida que en el mundo y en el vulgo
tienen los libros de caballería”,

“llevad la mira puesta a derribar la máquina mal fundada destos caballerescos libros,
aborrecidos de tantos y alabados de muchos más; que si esto alcanzásedes, no habríades
alcanzado poco” quindi di non preoccuparsi di citazioni dotte o sonetti encomiastici visto che
lo scopo del libro è “derribar la máquina mal fundada destos caballerescos libros” odiati da
tanti ma lodati dai più.

La lista delle auctoridades è una cosa imprescindibile in un libro che si rispetti, cioè i dotti
autori citati nell’opera stessa, ma l’amico immaginario gli dice “non ce n’è bisogno perché nel
vostro caso i romanzi cavallereschi sono una novità di questo secolo, non potrete mai trovare
un’allusione in Cicerone o Aristotele, quindi vi potete risparmiare l’elenco delle auctoridades”.

Y pues esta vuestra escritura no mira a más que a deshacer la autoridad y cabida que en el
mundo y en el vulgo tienen los libros de caballerías, no hay para qué andéis mendigando
sentencias de filósofos, consejos de la Divina Escritura, fábulas de poetas, oraciones de
retóricos, milagros de santos, sino procurar que a la llana, con palabras significantes, honestas
y bien colocadas, salga vuestra oración y período sonoro y festivo, pintando en todo lo que
alcanzáredes y fuere posible vuestra intención, dando a entender vuestros conceptos sin
intricarlos y escurecerlos.
Visto che la singolarità di questa vostra opera è screditare i romanzi cavallereschi (deshacer la
autoridad…) che finora hanno goduto di massima reputazione verso tutte le fasce della
popolazione. Se questo è il vostro intento potete tranquillamente prescindere le dotte citazioni,
elenchi di autoridades, riferimenti alla geometria, filosofia etc., non importano’
Abbiamo parlato del dibattito acceso tra autori e detrattori del romanzo cavalleresco e sono libri
odiati da tanti, ma lodati da molti più lettori.
“se riuscirete in questo vostro intento non avrete ottenuto un piccolo risultato, anzi sarà un
grande risultato”.
Mette in scena un eroe eponimo (mitico,storico) dal nome inerente all’opera che per colpa dei
romanzi cavallereschi ha letteralmente perso il senno, ha perso l’uso della ragione per il troppo
leggere, il suo nome Alonso Quijano el Bueno (il cognome si scopre solo alla fine della seconda
parte).

1. CAPITOLO.
Uno degli incipit più famosi della letteratura mondiale: non molto tempo fa viveva questo hidalgo,
è un signorotto della piccolissima nobiltà. Hidalgo viene da un’espressione che significa hijo de
algo. Non ci si dice il luogo d’origine, si individua soltanto la regione, la Mancha; ci da una
descrizione della condición y ejercicio di quest’hidalgo che viene descritto come uno di quelli
che vivevano non molto tempo fa, non ha delle rendite tali da consentire una vita lussuosa, la
prova ce la da la dieta seguita dal nostro don Alonso Quijano, si, mangia anche carne, si concede
il lusso nei fine settimana ma per il resto un menù abbastanza modesto. I soldi della sua rendita
li investe in parte in vestiti semplici, ha in casa una governante e una nipote (sobrina), c’è anche
un garzone che si occupava del ronzino ma anche di coltivare la terra.
Don Alonso Quijano ha circa 50 anni e viene descritto fisicamente come allampanato,
estremamente magro, un volto scarno. Aveva il soprannome di Quijada o Quesada a seconda
dell’autore che scrive.
Cervantes rivendica il fatto di non essere il padre, bensì patrigno perché a questo punto quando
si tratta di dire il nome del protagonista manifesta i suoi dubbi, perché lui ha consultato varie fonti
e le fonti non si mettono d’accordo. In alcune fonti ha trovato Quijada in altre Quesada.

Si presenta il testo come fosse la trasposizione di cronache, cronache che presentano però lacune
o incongruenze nella versione di alcuni fatti. Cervantes, che ha semplicemente trovato queste
cronache, evidenzia i punti critici in cui è difficile ristabilire la verità dei fatti.
Da bravo hidalgo non ha molto da fare e si dedica alla lettura, ha una predilezione per un certo
tipo di libri che sono i romanzi cavallereschi. È talmente appassionato dalla lettura di questi testi
che comincia a trascurare la caccia, che era uno dei suoi passatempi preferiti, come pure trascura
l’amministrazione dei suoi beni. La passione comincia a diventare ossessione, al punto che Don
Alonso, arriva a vendere parte delle sue proprietà pur di acquistare tutti i romanzi cavallereschi
che venivano stampati e sappiamo che ne erano tanti.
Tra tutti gli autori cavallereschi ha una predilezione per uno, ossia Feliciano de Silva (la segunda
Celestina), amato oltremodo da Don Alonso Quijano. Gli piaceva tanto la sua prosa e qui abbiamo
un esempio della prosa tutt’altro che limpida e scorrevole di Feliciano de Silva (La razón…).
Seguono altri esempi:
Ci perdeva la testa per cercare di capire cosa significavano quelle frasi, non ci sarebbe riuscito
neanche Aristotele se fosse resuscitato. Ci sono accese discussioni tra Don Alonso e i suoi amici
in questo paesino de la Mancha di cui Cercantes dice non è importante ricordarsi, e i suoi amici
sono il parroco e il barbiere. Se un hidalgo può trattare questi temi sia con il barbiere che con il
parroco è perché hanno background comune di letture, tutti hanno letto questi libri, tutti li
conoscono a possono discutere di questo argomento:
Qual è il miglior cavaliere di quelli dei romanzi cavallereschi da loro letti?
Tutti sanno chi è Amadigi di Gaula e gli altri.
Il successo di questi testi è un successo trasversale. Della troppa lettura gli si secca il cervello,
perse il senno. La sua follia si traduce nell’incapacità di distinguere realtà e finzione, per cui tutte
le storie lette, per lui sono pura realtà, sono cronache vere. Molti dei romanzi cavallereschi
avevano nel titolo la parola ‘storia/cronaca’ per legittimarli, per dare un’aura di credibilità a questi
testi. Alonso Quijano el Bueno arriva a perdere il senno e non distinguere più la letteratura dalla
realtà. Il suo modello di vita diventa Amadis de Gaula; ogni volta che si troverà assalito da dubbi
su come procedere, come fare, come conquistare l’amore di Dulcinea, ricorderà cosa ha fatto
Amadis in un’occasione simile. Farà quello che faceva Amadis, è il modello da seguire in tutto e
per tutto. Dice poi che nessuno poteva superare il suo amatissimo Amadis de Gaula (come lui
cambia il proprio nome).
Le imprese cavalleresche degli eroi di queste saghe incitano all’imitazione, era uno dei motivi su
cui facevano leva gli stessi autori cavallereschi difendendo i loro testi dalle critiche dei moralisti.
C’erano degli esempi di virtù, di difesa delle povere fanciulle senza protezione. Ecco la
dimostrazione pratica che ci poteva essere chi veniva mosso dal desiderio di imitarle quelle
azioni: Don Alonso Quijano El Bueno decide di passare ai fatti. Dopo tanta teoria anche lui vuole
diventare cavaliere andante. Ma ci sono dei requisiti da soddisfare per potersi trasformare in
cavaliere andante e bisogna essere opportunamente armati per esempio. Già i modelli da seguire
sono anacronistici quando Don Alonso decide di intraprendere la carriera di cavaliere andante ma
poi tutto l’armamentario di cui si doterà è ugualmente fuori tempo, le armi di cui si dota sono
quelle dei bisnonni, armi molto precarie e che lui tenterà di adattare in modo goffo senza grandi
risultati.
Un cavaliere che si rispetti deve avere un destriero, ma lui ha un ronzino, se lo deve far andar
bene, lo nobilita con un nome che a lui pare altisonante: Rosinante (già nel nome c’è la parola
ronzino), il ronzino migliore del mondo.

Poi c’è la questione del suo nome, non si può lasciare il suo nome e ci mette otto giorni per
pensarci, sono decisioni importanti molto meditate quella della scelta dei nomi. A partire del
nome Quijada deve aver cambiato il suffisso a Quijote. Come Amadis si chiamava De Gaula,
allora lo fece anche lui, Don Quijote de la Mancha. Ogni scelta è una scelta ragionata e che ha un
motivo fondante nel modello di Amadis.
Non si può essere cavalieri andanti se non c’è una dama da servire, perché a quella dama vanno
offerte tutte le imprese. Nei romanzi cavallereschi, dopo aver sconfitto eserciti senza un graffio,
il cavaliere di turno costringe il nemico ad andare in pellegrinaggio dalla donna amata dicendo di
inginocchiarsi a lei e dichiararsi prigioniera. Sa che ha questa lacuna nel suo curriculum da
cavaliere.
Trova poi la candidata ideale: una moza labradora di cui un certo tempo lui si era innamorato ma
all’insaputa della diretta interessata che non si era neanche accorta dell’esistenza di lui. La dama
in questione si chiamava Aldonza Lorenzo (non si può certamente chiamare così la donna amata)
e la rinomina Dulcinea de Toboso. Ci saranno omaggi a lei, che non capirà nulla quando verrà
richiamata la sua attenzione utilizzando questo nome da parte di un Don Quijote de la Macha, di
cui lei non sospetta neanche l’esistenza.
Questo è il quadro generale.
Il nostro cavaliere dovrà farsi armare cavaliere (scena che la letto mille volte) e quando in una
delle sue prime sortite intravede quello che secondo lui è un castello, è in realtà è una locanda, e
vede delle dame che secondo lui sono nobili donne, in realtà sono prostitute, chiede al castellano,
ovvero il locandiere che lo armi cavaliere. Ci sono i risvolti comici di questa scena in cui Don
Quijote travisa costantemente la realtà per adattarla a quello che è il suo mondo immaginario, un
mondo popolato di fanciulle in difficoltà, cavalieri che lo sfidano secondo lui, ma magari sono
semplici passanti e si trovano coinvolti in duelli.
Nella maggioranza dei casi Don Quijote ha la peggio, una marea di botte, colpi e ferite, stupendosi
perché nei romanzi cavallereschi non c’è una goccia di sangue, l’eroe non è mai ferito e se ferito
si riprende in pochi minuti, mentre nel suo caso così non accade.
6. CAPITOLO 6.
Quando torna malconcio dalle prime sue avventure i suoi amici, il barbiere Nicolas, la
governante, il parroco e la nipote pensano di eliminare il problema alla radice. Cosa ha causato
la sua pazzia? I romanzi cavallereschi e allora bisogna fare piazza pulita della biblioteca di Don
Quijote ed ecco che nel capitolo sesto assistiamo all’incendio della libreria. Una libreria ricca
che non contiene solo romanzi cavallereschi, c’è anche altra letteratura di intrattenimento, tra
cui anche il pastore di Filide (nella viuda valenciana) che viene salvato dall’escrutinio e la
Galatea di Miguel de Cervantes. Quando si decide il destino di questi libri, alla fine verranno
salvati entrambi. Questa è la funzione dell’escrutinio, si mettono insieme tutti e decidono quali
libri vanno irrimediabilmente distrutti e quali salvati. Ce ne sono tantissimi di libri, ha speso
soldi anche per la rilegatura dei libri.
Quelli che non superano l’esame di cura, barbero e sobrina, finiscono lanciati di sotto in cortile
in un mucchio che dovrà essere bruciato, quindi assistiamo ad un vero e proprio autodafé
comico e ironico per eliminare questi pericolosi testi che hanno causato la sua follia. Comincia
questo donoso escrutinio e i protagonisti di questa scena discutono su come procedere. Arriva la
governante con dell’acqua benedetta,dopo il cura chiede di vedere i libri uno ad uno per
decidere quali bruciare e quali conservare.
La nipote non è d’accordo e lo dice, hanno tutti fatto del male allo zio e andrebbero bruciati tutti
e potrebbero fare il rogo in cortile. La governante è d’accordo con la nipote. Il parroco non è
d’accordo, almeno vediamo i titoli prima di lanciarli nel rogo. Visto che è il capostipite della
setta merita le fiamme la saga di Amadis, dice il parroco, ma il barbiere si ribella perché dice
che è vero che è il capostipite della setta ma è anche il migliore e viene graziato almeno per il
momento. Segue la Sergas de Esplandian, dicono che hanno graziato il padre ma il figlio non
merita la stessa benevolenza, con questo libro, il 5 della saga di Amadis, si da inizio al lancio
dei libri dalla finestra. Segue una disamina di tutte le continuazioni (tutti sanno di cosa stanno
parlando, sanno i personaggi, sanno tutto e possono decretare se merita oppure no la grazia).
A un certo punto che mentre stanno facendo questo, Don Quijote si sveglia perché sta
dormendo nella stanza accanto e si capisce che non si può continuare a fare questa cernita come
vorrebbero. Trovano una soluzione, quella di murare la biblioteca del Don Quijote e quando lui
si risveglia e cerca la porta d’accesso alla sua biblioteca e non la trova non vede nulla di strano
che non si trovi lì perché deve essere stato quel mago incantatore, Fristón, suo nemico giurato,
che gli ha rubato la sua biblioteca, se l’è portata via con la magia, sapendo quanto lui fosse
legato a questa.
Gli stessi amici ad un certo punto , consapevoli che l’universo di Don Quijote è regolato dalle
norme che lui ha conosciuto nei romanzi cavallereschi, si adattano a questo mondo e
conoscendo le avventure di quei romanzi gli spacciano per interventi di maghi e maghe, quelle
che sono loro azioni, convinti che Don Quijote le crederà possibili e così accade, li crede
plausibili perché vive oramai calato in un universo cavalleresco e non gli sembra strano che un
sabio encantador si sia portato via la sua biblioteca per danneggiarlo.
Nonostante la biblioteca sia murata Don Quijote continua con le sue avventure. Nel bel mezzo
dell’avventura del valoroso Discalino (?) ecco che la fonte di Cervantes si interrompe, una fonte
incompleta e il povero Cervantes non sa come va a finire quell’avventura fin quando un giorno
mette le mani su questo cartapacio in arabo, si fa tradurre qualche frasetta perché ha subito
l’intuizione, quando sente il nome di Dulcinea capisce che è una cronaca delle avventure di Don
Quijote e di fatti il titolo recita un titolo specifico per questo. Si fa tradurre questa storia per
fornire ai lettori tutta la vita di Don Quijote.
Un dubbio lo assale: gli arabi, hanno fama di essere bugiardi e sono nemici di noi spagnoli
(Reconquista) e allora il dubbio è che forse l’autore arabo non sia stato troppo fedele alla realtà
dei fatti e avvia voluto sminuire le virtù e le imprese di Don Quijote e che il suo resoconto non
sia veritiero, ma è la traduzione che ha per le mani e quella ci da. In vari punti della storia lo
citerà, mina la credibilità della sua fonte.
Quel topos del manoscritto ritrovato creato dagli autori dei romanzi cavallereschi per nobilitare
l’opera che si fingeva tradotta da lingue nobili, quelle classiche, qui si trasforma in modo
opposto, qui la fonte è araba, poco affidabile per due motivi: la cattiva reputazione degli arabi e
il fatto che siano nostri nemici, non è evidente che leggeremo cose vere e certe, è possibile che
siano state manipolate.
9 CAPITOLO.
Alla fine della storia, quando Don Quijote, sempre per intervento dei suoi amici che cercano di
salvarlo in tutti i modi perché sanno che mette a repentaglio la sua vita, viene costretto a
rinunciare alla vita di cavaliere andante con un escamotage frutto di una profonda conoscenza
dei romanzi cavallereschi, viene sconfitto da una persona che si finge un cavaliere dal nome
altisonante ed è costretto a non fare più sortite (attacchi sorpresa)come Don Quijote de la
Mancha per un lungo periodo. Torna a casa avvilito e sconsolato e si ammala e in punto di
morte quasi, Alonso Quijano recupera la ragione, si rende conto che ha vissuto una vita
all’insegna della finzione, indotta da queste letture sconsiderate, capisce che i romanzi
cavallereschi sono un cumulo di menzogne e tra le sue ultime volontà dichiara che lascerà tutti i
suoi beni a questa unica nipote ma con una
condizione: che non sposi nella maniera più assoluta qualcuno che abbia in casa, abbia letto o
abbia intenzione di leggere i romanzi cavallereschi perché altrimenti sarà direttamente
diseredata.
Dopo queste sue ultime volontà e dopo aver capito come abbia vissuto negli ultimi anni una vita
all’insegna della follia pura, muore e la storia finisce.

Potrebbero piacerti anche