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SARINA BOWEN

CADUTO DAL CIELO


Traduzione di
BRUNA MARTINELLI PER “QUIXOTE TRANSLATIONS”
Edizione italiana a cura di
ALESSANDRA MAGAGNATO
Tuxbury Publishing LLC
Falling From the Sky / “Caduto dal Cielo”
Copyright © 2014 and 2018 by Sarina Bowen
All rights reserved. Tutti i diritti riservati.
Traduzione: Bruna Martinelli

Edizione italiana a cura di: Alessandra Magagnato


Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il
prodotto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in modo fittizio e ogni
somiglianza con persone reali, vive o morte, imprese commerciali, eventi o
località è puramente casuale.
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INDICE

Cosa dicono di Sarina Bowen


Grazie
1. Uno
2. Due
3. Tre
4. Quattro
5. Cinque
6. Sei
7. Sette
8. Otto
9. Nove
10. Dieci
11. Undici
12. Dodici
13. Tredici
14. Quattordici
15. Quindici
16. Sedici
17. Diciassette
18. Diciotto
19. Diciannove
Epilogo
Già in italiano della stessa autrice
COSA DICONO DI SARINA BOWEN

Sarina Bowen è un’esperta nel trascinarti all’interno del romanzo fin


dalla prima pagina, lasciandoti con il bisogno di leggere ancora e
ancora.
Elle Kennedy, New York Times Bestselling author

Questo libro si legge tutto d’un fiato e i lettori si ritroveranno


impazienti ad aspettare il prossimo libro di Sarina Bowen.
Publishers Weekly

Sarina Bowen ci dà una visuale profonda, emozionale e


incredibilmente sexy su due persone con dei difetti, oneste, che non
vedono l’ora di sacrificare tutto per avere la possibilità di amare
ancora.
The Washington Post
GRAZIE

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Già in italiano della stessa autrice:


Venuto Dal Freddo
UNO

I sul pendio nevoso sotto al sole di dicembre, Callie Anders


si ritrovò a vibrare al ritmo di una insolita linea di basso. Il ritmo
pesante che graffiava dai giganteschi altoparlanti era il suono di
gruppi che non riusciva a riconoscere, suonato in club in cui non era
mai stata.
E non era solo la musica: niente della festa che si teneva sul
versante della pista artificiale aveva qualcosa a che fare con la sua
vita quotidiana. L’atmosfera sembrava molto più adatta a un locale
aperto fino a tardi, piuttosto che a un evento sportivo: birre alla
mano, gli spettatori osservavano l’ultimo che stava gareggiando
abbassare il proprio snowboard sul bordo della pista superpipe per
lasciarsi andare in una curva ripida. La forza di gravità agì per conto
dell’atleta, facendo aumentare la sua velocità mentre la tavola
raggiungeva la valle della pista e poi su, verso il lato opposto. Di
nuovo in cima, il ragazzo si spinse in avanti, afferrò la tavola con una
mano e poi fece girare il proprio corpo nell’aria, invertendo la rotta
per atterrare con precisione di nuovo sulla neve. E poi via,
sfrecciando lungo la pista con soli pochi secondi per prepararsi al
trick successivo.
Callie aveva visto gare di snowboard in televisione, ma di
persona erano ancora più impressionanti. Dopo che il ragazzo si fu
lanciato nel suo secondo trick – una specie di piroetta da capogiro,
aveva ormai perso il numero delle rotazioni – sembrava aver fuso la
propria tavola sulla superficie, le spalle rilassate, mentre ricadeva
nuovamente sulla parte in pendenza. Mentre prendeva velocità,
Callie vide addirittura le sue labbra muoversi, a formare i versi della
canzone che stavano suonando sopra la sua testa.
Dopo altri due trick turbinanti, la gara terminò tra gli applausi del
pubblico. Le teste coperte di lana degli spettatori si girarono verso il
megaschermo, in attesa dei suoi punteggi.
«Non male per un branco di cerebrolesi,» mormorò Dane al suo
fianco.
«Io lo adoro,» si sentì dire. Era felice che Dane e Willow
l’avessero trascinata alla gara di snowboard. «È… a metà tra una
competizione atletica e una performance da circo.»
In risposta, Dane si limitò a sbuffare e la cosa fece sorridere
Willow, la sua migliore amica.
«È più forte di lui, Callie. Uno sciatore non può avere niente di
gentile da dire a uno snowboarder: non è nel suo DNA.»
Dane le fece un occhiolino. «Tra due mesi, vedrai con i tuoi occhi
cos’è un vero evento di montagna.»
«Non vedo l’ora,» convenne. Fino a quel momento aveva visto
Dane solo nelle gare trasmesse alla televisione, ma aveva già
comprato il biglietto aereo che l’avrebbe portata in Europa per le
Olimpiadi, dove Dane avrebbe gareggiato per ben quattro medaglie.
Neanche a farlo apposta, la musica era cambiata nell’eloquente
melodia dell’inno delle Olimpiadi. Gli occhi di Callie si erano spostati
verso il megaschermo in cima alla pista, che annunciò a caratteri
cubitali che, di lì a poco, sarebbe iniziata l’esibizione d’élite. Dopo
l’ultimo squillo di tromba, la musica ritornò di nuovo al ritmo pesante
di prima e Callie vide il pubblico iniziare a muoversi a tempo. Mentre
i berretti di lana e i piumini iniziavano ad agitarsi al suono della
musica, a Callie sembrò di essere stata trasportata in una soleggiata
terra nevosa popolata da hipster, un posto che desiderava aver
visitato già da molto tempo.
In verità, desiderava un sacco di cose.
Aver passato nove anni della propria vita a diventare un medico
le aveva fatto lasciare indietro molte cose. Per la maggior parte di
quegli anni il sacrificio non le era pesato, ma gli ultimi mesi erano
stati duri e si era sentita sola da morire.
Era passato un anno esatto da quando aveva sorpreso Nathan, il
suo fidanzato dottore, a tradirla in uno degli ambulatori con una
giovane studentessa di infermeria dalle gambe lunghe. Ovviamente,
lo aveva buttato fuori di casa, eppure, dodici mesi dopo, Nathan e
l’infermiera erano ancora insieme, felici e contenti, mentre lei era
ancora tutta sola.
A peggiorare le cose, Willow e Dane avevano lasciato il Vermont
per trasferirsi in Utah la primavera precedente, lasciandola
doppiamente abbandonata.
Quel weekend sarebbe stato una felice eccezione: i suoi amici
erano in città per prendersi cura di alcuni affari e avevano portato
con loro la nuova persona preferita di Callie, la loro bambina di tre
mesi. La piccola Finley stava affrontando l’evento di snowboard
addormentata dentro la giacca da neve di Dane, e se Callie avesse
appoggiato una mano sulla spalla dell’uomo e si fosse messa in
punta di piedi, sarebbe riuscita a intravedere le ciglia di seta della
bambina.
Callie non vedeva i suoi amici da dieci settimane, da quando cioè
era volata a Salt Lake City subito dopo la nascita della bambina, in
settembre. Nel frattempo, Willow e Dane erano stati impegnati a
sistemarsi nella loro nuova casa, a prendersi cura della figlia e a
sopravvivere al turbinio di preparativi per i giochi olimpici. Tempo due
mesi e li avrebbe rivisti di nuovo, dall’altra parte dell’oceano. Lei e
Willow si sarebbero rintanate insieme in hotel, a prendersi cura di
Finley e a tifare per Dane durante i giochi.
Era tutto molto eccitante, ma si sentiva ancora vuota dentro.
Mentre restava impalata tra i suoi amici felici, si ritrovò a combattere
una poco familiare sensazione di invidia. Willow si era assunta un
bel rischio con un uomo dal passato difficile e ora era la terza
componente di quella che Sports Illustrated aveva di recente
descritto come “la famiglia più carina degli sport invernali”.
E Callie, di cosa esattamente faceva parte?
«E così non mi hai più detto niente,» disse Willow, scrollandosi la
neve dagli scarponi. «Sei andata a bere qualcosa con quel radiologo
carino?»
«Penso che si stia già vedendo con qualcuno,» rispose senza
guardarla.
«Sì, ma glielo hai chiesto?» la stuzzicò.
«Ne sono abbastanza sicura.»
Willow scosse la testa e sbuffò rumorosamente. «Sai cosa non
mi spiego di te?»
«No, ma me lo dirai sia che io voglia saperlo o meno, giusto?»
«Non riesco a capire,» riprese senza farsi scoraggiare, «come tu
possa avere il fegato di far letteralmente ripartire il cuore di qualcuno
con scariche elettriche da migliaia di volt, ma non ti prendi il rischio
di chiedere a un ragazzo di uscire a bere qualcosa.»
«A dire la verità, non c’è più bisogno di scariche da migliaia di
volt: i nuovi defibrillatori funzionano già a trecento.»
«Sei senza speranza.»
Questo era probabilmente vero.
«Ehi, c’è Hazardous!» disse, alzando la mano per salutare
qualcuno.
Seguì lo sguardo dell’amica verso la zona transennata alla base
dell’half-pipe, dove c’era un ragazzo molto attraente, in tenuta da
neve, con il casco sotto al braccio. La posa le ricordò subito le
vecchie foto di un astronauta dell’Apollo e quando il ragazzo notò
Willow, un pigro sorriso gli comparve sulla bocca grande, poi alzò
una mano in cenno di saluto.
«Andiamo a salutarlo,» suggerì, incuneandosi tra la folla nella
sua direzione.
«Dopo di te,» disse Dane a Callie che così seguì l’amica verso le
transenne basse.
«Devi assolutamente conoscere Hank Lazarus,» disse Willow da
sopra la propria spalla. «È un festaiolo molto più di quanto possiamo
esserlo noi di questi tempi, ma è davvero divertente.»
Più si avvicinavano, più non riusciva a smettere di fissarlo.
L’amico di Willow poteva essere super-divertente, ma era anche
dannatamente sexy. La sua testa era rasata in uno stile militare che
di solito non trovava attraente, ma era controbilanciato da grandi
occhi castani e labbra carnose e sensuali. Era piazzato in modo da
sembrare quasi più un difensore che uno snowboarder, e la sua
mascella decisa e la fossetta che aveva sul mento erano coperte da
una barba di un paio di giorni.
Mentre si avvicinavano, lo sguardo color cioccolata dell’uomo li
scannerizzò con attenzione. Alzò un sopracciglio e Callie vide che
era attraversato da un piercing a forma di bilanciere. «Ehi, ciao,»
disse con una voce bassa e roca. «Che ci fate voi ragazzi qui in
Vermont?»
Gesù bambino, perfino la sua voce era sexy.
Willow lo abbracciò velocemente. «Siamo qui per mettere in
vendita la mia vecchia fattoria e, Hank, lei è la mia migliore amica
Callie. È del posto.»
Hank tese una mano e lei l’afferrò e, mentre la sua mano
l’avvolgeva, si sentì arrossire: il suo viso era come il sole, troppo
radioso per guardarlo direttamente. Le diede una veloce occhiata da
capo a piedi, senza nemmeno preoccuparsi di non farsi notare. Era
quel tipo di ragazzo che esisteva in un universo alternativo, ben
lontano da dispositivi medici che suonavano ritmicamente e camici
verdi da ospedali.
Fu quasi sollevata quando le lasciò la mano e ritornò a fissare
Dane. «Beviamo qualcosa dopo?»
Dane esitò, guardando la compagna. «Che piani hai per dopo?»
Subito, il sorriso dello snowboarder si strinse. «Porca puttana,
Danger,» ringhiò. «Fai sul serio? Sei così al guinzaglio che non puoi
neanche dirmi di sì per una birra stasera? Aspetta che ti riformulo la
domanda: dove beviamo più tardi?»
Dane sghignazzò, scuotendo la testa. «Calmati, stronzo,
dobbiamo accertarci che la casa che non vediamo da sei mesi sia
ancora in piedi. Escludendo la distruzione totale, penso che una
fermata da Rupert si possa fare.»
Quasi a volere un diritto di voto sull’argomento, la piccola Finley
scelse quel momento per lanciare un gridolino. Dane piegò le
ginocchia facendola sobbalzare dolcemente, passando una mano
rassicurante sotto al rigonfiamento della sua giacca.
Hank Lazarus fissò l’amico con un’espressione divertita in viso.
«Okay, a meno che tu non sia stato messo in minoranza dalla tua
famigliola, e Rupert sia.»
«Va bene,» rispose Willow. «La prima gita al bar della piccola.»
Lo snowboarder lanciò un’occhiata verso il pendio, in direzione
della cima della pista. «Sarà meglio che mi dia una mossa, Dane,
signore,» li salutò con un cenno del mento. «Ci vediamo più tardi.»
La semplice idea fece rabbrividire Callie, ma, naturalmente, con
ogni probabilità non ci sarebbe neppure andata. Era reperibile quel
giorno e di norma cose del genere non finivano mai bene. Anche nel
caso in cui non fosse stata richiamata all’ospedale, non avrebbe
nemmeno potuto bere un goccio come una qualsiasi donna adulta,
almeno fino alla fine del turno.
La sua vita era così affascinante.
Ma anche no.
Almeno il suo cerca-persone non aveva ancora squillato.
L’evento principale, l’esibizione d’élite, stava per cominciare. Il livello
della musica si alzò di un decibel o due e gli snowboarder vincitori
iniziarono ad allinearsi in cima alla pista. Le fotografie degli atleti più
importanti iniziarono a scorrere sul megaschermo al di sopra di loro,
cambiando ogni manciata di secondi a ritmo della musica. Gli scatti
mostravano ogni uomo in abiti casual, insieme alle relative
statistiche e al soprannome. In paragone ai damerini sciatori che
Callie aveva conosciuto grazie a Dane, questi erano i ragazzacci
degli sport invernali. C’erano più pizzetti, code di cavallo, tatuaggi e
piercing di quanti se ne sarebbero potuti vedere in un bar per
motociclisti; non che Callie avesse mai avuto a che fare con dei
motociclisti, a parte quando finivano all’ospedale.
Quando la fotografia di Hank “Hazardous” Lazarus comparve
sullo schermo, Callie riuscì solo a fissarla: nell’immagine era a petto
nudo e del tutto appetibile, tutto muscoli ricoperti di tatuaggi.
“Medaglia olimpica d’argento,” recitava lo schermo.
«Dicono che questa volta si porterà a casa l’oro,» affermò Willow
alle sue spalle, ma Callie non era interessata alle sue statistiche, era
ancora in piena ammirazione di quell’uomo. Era sesso su uno
snowboard e così fuori dalla sua portata che era quasi ridicolo.
Anche nel caso in cui si fosse presentata al bar per un paio di drink,
se mai avesse provato a parlarle, probabilmente si sarebbe ingoiata
la lingua.
Lo schermo ritornò a riprendere il primo uomo che si sarebbe
esibito e fu allora che il pubblico emise un boato. Callie osservò uno
dei compagni di squadra di Hank scendere in pista e… wow. Le
prodezze aeree erano di livello completamente differente dai
gareggianti che aveva visto prima, le rotazioni più veloci, i trick più
complicati e, non appena finì, un altro snowboarder scese in pista.
Dato che non c’era nessun bisogno di fermare l’azione per emettere
un giudizio, l’esibizione era continua. Lei rimase a fissare come in
trance mentre corpi colorati salivano fino alle stelle e si contorcevano
davanti ai suoi occhi.
Poi riapparve la foto di Hank Lazarus e lui comparve sul bordo
della pista, con addosso il suo casco argentato e gli occhiali da
neve. Callie si mise in piedi più dritta, mentre lui si chinava per
mettersi in posizione, col corpo rilassato e sicuro di sé. Sulla cima
opposta, salì più in alto del bordo di quanto sembrasse possibile.
Con quel grande corpo fermamente rannicchiato, roteò in avanti con
una tale delicatezza che Callie trattenne il fiato. Riuscì nel trick
senza sbavature, le spalle che si muovevano con una scrollata
sfacciata.
«Quindi, è così che si dovrebbe fare,» mormorò Dane. Il
paragone con Danger e tutti gli altri era stridente.
Si lanciò attraverso la pista un’altra volta e per il trick successivo
salì così in alto e con una tale turbinosa semplicità che il tempo,
mentre lui era in aria, sembrò fermarsi, quasi le leggi della fisica non
gli appartenessero. Il pubblicò applaudì quando atterrò, scivolando
alla massima velocità attraverso il canale della pista.
Callie trattenne il fiato, chiedendosi quale miracolo avrebbe fatto
dopo. Si lanciò di nuovo, afferrando la tavola con una mano e
girando nell’aria una, due e poi una terza volta. La scena sembrò
cambiare e le ci volle mezzo secondo per rendersi conto che il sole
era scomparso dietro a una nuvola e, proprio mentre capiva ciò che
era successo, accadde qualcos’altro. Lo snowboard colpì il bordo
della pista, invece della neve del pendio al di sotto e, data l’altezza,
la forza dell’impatto piegò la tavola, sbalzando il corpo per aria.
Impotente, fissò Hank mentre lo schianto lo scagliava lontano,
spingendolo di testa e alla massima velocità verso la curva di
ghiaccio sotto di lui.
E poi il suo casco colpì fortissimo la superficie ghiacciata.
Callie sussultò quando vide che il corpo dello snowboarder, dopo
un paio di rimbalzi, scivolò giù per il ghiaccio al centro della pista.
«Gesù Cristo,» mormorò Dane.
Alcune persone presero a correre sulla neve e una dozzina di
loro lo circondarono.
Dane mosse un passo in avanti, come se volesse correre anche
lui attraverso la folla per aiutarlo, ma Willow pose una mano sul suo
braccio. «C’è già un sacco di gente laggiù,» disse dolcemente.
Si limitò a scuotere la testa. «Andiamo, alzati, amico.»
Ma Hazardous rimaneva disteso e immobile.
Callie non riusciva a distogliere lo sguardo, nella sua testa
rimbombavano martellanti le procedure di emergenza: controllo dei
segnali vitali, immobilizzazione di collo e schiena. Solo che questa
volta non era il suo lavoro: c’erano almeno tre persone sulla scena
che indossavano divise mediche e perfino in quel preciso momento
riusciva a sentire l’avvicinarsi delle sirene dell’ambulanza. Durante
gli affollati fine settimana invernali, c’era sempre un veicolo
parcheggiato alla fine della strada d’accesso agli impianti sciistici.
«Quando ti sei rotto la gamba,» disse Willow a Dane, «sono
sicura che sembrava altrettanto brutto dagli spalti.»
Dane scosse ancora la testa. «Cristo, le Olimpiadi.»
Dall’interno della sua giacca, la bambina emise un segnale di
protesta, Dane distolse lo sguardo dallo sciame medico e si chinò
per baciarla. Guardandolo, Callie sentì il cuore stringersi per una
sensazione di struggimento che non aveva un nome.
«Probabilmente ha fame,» disse Willow. «La porto dentro e le do
da mangiare.»
Dane osservò un’ambulanza dirigersi verso il gruppo di persone
sul ghiaccio, un’espressione di disagio ancora stampata in viso.
«Penso che verrò anche io con te,» disse.
Seguendoli, Callie sfiorò con la punta delle dita il cerca-persone
che teneva in tasca: le probabilità che suonasse quel giorno erano
aumentate in maniera esponenziale. Estrasse il telefono e controllò,
poi chiamò il pronto soccorso.
«Sei impegnata?» chiese all’infermiera dell’accettazione che
rispondeva alla linea dei dottori. «Se fossi in te, recupererei l’ordine
del giorno per orto e neuro. C’è stato un brutto incidente durante
l’evento di snowboard qui all’impianto sciistico. Dovrebbero arrivare
in quindici minuti.»
«Ti richiameranno in ospedale?» le domandò Willow dopo che
ebbe terminato la conversazione e l’ambulanza stava già
percorrendo la strada statale a sirene spiegate.
«Non sono la loro prima chiamata,» rispose. «Ma lascia che
passi un’ora o due.» Era un’addetta all’accettazione e, in pratica,
teneva le fila dei bisogni medici dei pazienti ammessi al pronto
soccorso.
«Okay,» rispose, gli occhi fissi sull’ambulanza che si allontanava.
«Vorrà dire che io e Dane andremo adesso alla fattoria per
sistemare le nostre cose, poi passeremo all’ospedale per cercare di
capire come è messo. Non lo conosciamo benissimo, ma…»
Deglutì. «Era molto brutta, vero?»
«Già,» ammise. La forza con cui aveva colpito la pista era stata
spaventosa. «Ma il corpo umano può essere più forte di quanto non
si pensi.»
Willow rabbrividì. «Posso chiamarti tra un paio di ore? Non
importa come, ma voglio vederti stasera, o domani, prima che ce ne
andiamo.»
«Assolutamente, devo coccolare ancora un po’ la tua bambina.»
E davvero non desiderava altro, dato lo spaventoso incidente a cui
aveva appena assistito.
Dio, la vita era così breve. In fondo, considerato tutto, Callie
pensò che non se la cavava poi così male.

Come previsto, a Callie non fu affidata la cartella di Hank Lazarus


fino al giorno successivo e, anche se aveva avuto ventiquattro ore
per processare ciò che aveva visto, la prima volta che lo vide nel
letto d’ospedale ne rimase sconvolta.
Pallido e gonfio, con la flebo al braccio, giaceva perfettamente
immobile. Dall’ultima volta in cui l’aveva visto, era stato sottoposto a
un intervento spinale durato otto ore, e adesso, al posto della visiera
e del tessuto tecnico, indossava un nuovo tipo di abbigliamento fatto
di tubi e cannule che serpeggiavano fuori dal suo corpo in ogni
direzione.
Seppur sedato, Callie si ritrovò a trattenere il respiro mentre
controllava l’etichetta sulla sacca della sua flebo. Guardando il petto
che si alzava e si abbassava, si rese conto di quanto limitata fosse di
solito la sua visione dei pazienti. Mai, prima di quel momento, era
stata sottoposta a una dimostrazione così scioccante del “prima” e
del “dopo”. Aveva incontrato i pazienti ore o giorni dopo che le cose
per loro erano precipitate, ma l’uomo a pezzi, dal colorito cinereo,
nella camera diciannove era così spaventosamente in contrasto con
quello che aveva visto scendere nell’half-pipe, che le faceva male
guardarlo.
Rimase lì a indugiare ancora un po’, riflettendo che, anche se si
vergognava ad ammetterlo, c’erano volte in cui si ritrovava a
giudicare le persone sdraiate su quei letti. Capitava che si chiedesse
perché quel dato paziente avesse pensato che fosse una buona idea
andare su quella teleferica così vicino agli alberi, o guidare così in
fretta sotto la pioggia battente. Callie era sempre stata prudente e
quando vedeva i risultati di un incidente che sarebbe stato possibile
evitare, non poteva fare a meno di emettere una sorta di giudizio, ma
il ricordo di Hank Lazarus, che roteava su se stesso senza alcuno
sforzo contro il cielo blu, era indelebile e, malgrado la pericolosità,
così crudelmente dimostrata da quella figura addormentata sul letto,
non doveva chiedersi perché lui avesse scelto di prendersi un tale
rischio, perché ne aveva visto la bellezza e la forza con i propri
occhi.
Sotto al lenzuolo, l’uomo continuava a respirare. Dentro, fuori. In
quel momento, non aveva nessun bisogno di lei e non c’era nulla
che Callie potesse fare per lui.
Dane e Willow cercarono di vedere Hank prima di tornare nello Utah,
ma la prima volta in cui si erano fermati in ospedale lui era sotto i
ferri e la seconda stava dormendo. Con le Olimpiadi di lì a una
settimana, Dane doveva ritornare ad allenarsi. «Mi prometti che gli
farai i nostri migliori auguri?» chiese Willow, scossa, in sala d’attesa.
«Ma certamente,» rispose Callie, determinata a farlo sul serio.
Accadde invece che non lo fece mai.
Per prima cosa, quando finalmente lo trovò in sé, non sembrava
ricordare assolutamente il suo volto e la cosa non era poi così
sorprendente. Si erano incontrati per alcuni secondi prima
dell’incidente e la mente spesso dimenticava parte degli eventi
accaduti poco prima di un trauma.
Inoltre, Hank riceveva ogni giorno una marea di visite che le
impedivano di parlargli, anche per pochi minuti. Come scoprì ben
presto, i suoi genitori erano una delle famiglie più ricche del
Vermont, in parte proprietari degli impianti sciistici, e il padre di Hank
aveva costruito metà degli appartamenti della contea. Aveva anche
una sorella, anche lei atleta.
Aveva raccolto la maggior parte di quelle informazioni dal
giornale locale, che aveva dedicato la prima pagina alla storia di
Hank e del suo incidente. All’età di diciotto anni, il ragazzo aveva
lasciato il Vermont per le Rocky Mountains, dove aveva fatto il
lavapiatti per pagarsi i biglietti della seggiovia. Era famoso sia per
essere un playboy che per le sue vittorie nelle gare.
Informarsi su di lui in quel modo faceva sentire Callie come una
stalker, ma era lì, nero su bianco, sul tavolo della sala relax.
Dalla sua sedia accanto al letto di Hank, sua madre era una forza
della natura dai capelli grigi, che abbaiava ordini a ogni infermiera
che osasse entrare nella stanza di suo figlio e ogni volta che Callie
intravedeva il signor Lazarus nei corridoi dell’ospedale, era sempre
impegnato in una conversazione al cellulare.
«Stanno facendo venire qui con un aereo privato tre dei migliori
specialisti,» la informò l’infermiera Trina. In effetti, anche la
postazione delle infermiere era un’altra ottima fonte di informazioni.
«Mettono in campo l’artiglieria pesante,» rispose Callie.
«La famiglia Lazarus se lo può permettere, hanno donato
parecchi soldi all’ospedale,» disse, facendo scoppiare il proprio
chewing-gum. «Hai presente l’ala pediatrica costruita dieci anni fa?
Tutto merito loro.»
«Wow, davvero? Mi sarei aspettata che fosse dedicata a loro.»
Trina fece spallucce. «Non amano le cose luccicanti. Mamma
Lazarus ha quelle belle scarpine che nessuno sano di mente
indosserebbe in Vermont, hai visto? E poi le perle, ma niente roba
volgare che luccica.»
Lo aveva notato anche Callie, in effetti. Anche durante quel
momento di crisi, la madre di Hank faceva avanti e indietro dalla sua
camera con un’inappuntabile eleganza, indossando scarpe di pelle
scamosciata color cammello. Erano costose, ma non vistose.
«La figlia è sopravvissuta a non so quale cancro infantile,»
continuò Trina. «Dopo, per ringraziare l’equipe e l’ospedale, fecero
una cospicua donazione.»
«È una cosa generosa.»
«Certo, ma sono anche esigenti. Quella donna mi è stata
appiccicata addosso più di un adesivo su un paraurti mentre facevo
un prelievo a suo figlio, come se non ne avessi mai fatto uno negli
ultimi trent’anni.»
«È perché sembri così giovane, Trina. Probabilmente pensava
che fosse il tuo primo giorno di lavoro,» scherzò Callie, facendole
l’occhiolino.
La donna roteò gli occhi e Callie passò al paziente successivo.

Al terzo giorno di degenza, arrivò per Hank un nuovo visitatore. Fuori


dalla sua camera, seduta su una sedia di plastica, una ragazza
molto carina piangeva sommessamente, e Callie pensò che fosse
sua sorella. Ma, ancora una volta, le infermiere conoscevano tutti i
pettegolezzi. La bionda statuaria era la sua ragazza, nonché una
sciatrice di slalom, nonché una modella, e aveva anche un nome
ammaliante: Alexis. Il suo unico difetto era temporaneo: aveva
pianto fino a farsi colare il trucco.
In qualità di coordinatrice dei medici che si stavano prendendo
cura di Hank, Callie entrava e usciva dalla stanza di Hank per
accertarsi che i farmaci prescritti dai vari specialisti venissero
somministrati nella giusta dose e che non avessero delle interazioni
negative. Teneva d’occhio i suoi parametri vitali e si assicurava che
non ci fossero segni di infezione. Era solo una delle tante facce del
mare di persone che si prendeva cura di lui.
Fu solo al quinto giorno di ricovero che ebbero una vera
conversazione.
Nel corridoio, i genitori di Hank erano impegnati in una accesa
conversazione con uno specialista spinale che avevano trascinato
fin lì da Cleveland. Callie era passata loro accanto, entrando nella
stanza, trovando Hank tutto intento a fissare fuori dalla finestra.
Quando lui si era voltato a guardarla, Callie si era resa conto che la
nebbia post-operatoria indotta dai farmaci si era sollevata. Il suo
sguardo era vigile, ma capiva anche che l’uomo era in preda a
terribili dolori. Era il suo lavoro capire se quel dolore fosse qualcosa
di fisico a cui poteva rimediare, o piuttosto se era causato
dall’angoscia di risvegliarsi per scoprire che non riusciva a muovere
le gambe.
«Salve,» disse dolcemente. «Sono la dottoressa Anders. O
Callie, se preferisce.»
«Callie,» si schiarì la voce. «Hai un’aria familiare.»
Questo non era esattamente ciò che si aspettava che le dicesse
e sarebbe stato il momento giusto per dirgli che si erano conosciuti
appena dieci minuti prima del suo incidente, ma non riuscì a farlo.
Chi avrebbe voluto che gli venisse ricordato un evento tanto
traumatico? «Sono stata qui tutta la settimana,» disse invece. «Ma
non ci aspettiamo che si ricordi di tutte le dozzine di persone che la
punzecchiano tutto il giorno.»
«E la notte,» aggiunse.
Si sedette su uno sgabello accanto al suo letto. «È colpa mia,
devo accertarmi che controllino i suoi parametri ogni tre ore, aiuta
me a dormire.» Gli fece l’occhiolino e fu ricompensata da un mezzo
sorriso. «Allora, prima che la stanza venga nuovamente invasa dalle
assistenti infermiere, come va col dolore? C’è qualcosa di cui ha
bisogno?»
Hank si portò una mano al viso e lei fu felice di vedere quel
gesto, compiuto con naturalezza. Se la sua ferita fosse stata di poco
più sopra nella sua spina dorsale, non sarebbe stato in grado di
compierlo. Col palmo della mano, Hank si massaggiò una barba di
diversi giorni, che serviva solo ad aumentare il suo fascino, dandogli
un qualcosa di rude, mentre considerava la sua domanda.
«Vediamo… un piatto di costine di Curtis’ BBQ, con salsa speziata e
patate al forno. E voglio uscire da questo ospedale.»
Annuì con accondiscendenza, anche se non poteva assecondare
nessuna delle sue richieste, ma che parlasse di cibo e di uscire da lì
era un buon segno. «La trasferiranno presto in un centro di
riabilitazione.»
«Già,» sospirò. Il suo sguardo vagò di nuovo, gli occhi verso la
finestra.
«Il centro di riabilitazione la lascerà dormire per tutta la notte,»
disse, tenendo il tono leggero. «E potrà avere i suoi vestiti. Ho anche
sentito dire che il cibo sia migliore.»
«Non potrebbe mai essere peggiore di questo,» rispose,
tornando a guardarla. Quando i suoi occhi si posarono su di lei, le
sembrò che quel momento si dilatasse nel tempo, prendendo il
sopravvento. Non disse altro e non ve ne fu assolutamente alcun
bisogno perché, in silenzio, sapevano di stare facendo lo stesso
pensiero: non importava se il cibo fosse migliore, perché per Hank
Lazarus iniziava un bel periodo di merda, davvero il periodo più di
merda di tutta la sua vita. Quegli ultimi cinque giorni avevano
segnato l’inizio della discesa dal paradiso all’inferno e non c’era
niente che nessuno dei due potesse fare.
«Tieni duro,» mormorò Callie. «Questa è la parte peggiore.»
Hank non distolse lo sguardo. «Me lo prometti?» chiese con voce
roca, morbida come puro whiskey.
Callie non ebbe il tempo di rispondere, perché i genitori di lui
entrarono come una furia nella camera, entrambi parlando
contemporaneamente. «Un quaranta percento di possibilità che
ritorni a camminare da uno e un quindici dall’altro?» si stava
lamentando sua madre. «E questi si fanno chiamare scienziati?»
«Mandalo dove ti pare e sentirai sempre la stessa storia,»
borbottò il padre.
Callie vide il volto di Hank diventare impassibile mentre i suoi
genitori si avvicinavano a lui.
«È ridicolo,» borbottò suo padre, prendendo fiato per dare inizio
all’invettiva successiva e la mascella di Hank prese a tremare.
Callie si mise in piedi. «So perché siete frustrati,» cominciò,
incrociando le braccia sul petto; i genitori di Hank la guardarono.
Sapeva cosa stavano vedendo in quel momento: una giovane
dottoressa di un valido ospedale, ma pur sempre di provincia e non
era nemmeno una specialista. Ma aveva qualcosa di importante da
dire e non avrebbe permesso loro di fermarla. «Volete delle risposte
e le volete adesso, non ve ne faccio assolutamente una colpa.» La
madre di Hank fece per aprire bocca, ma lei fu più veloce.
«Sfortunatamente, la spina dorsale non funziona così, a lei non
interessa che abbiate un disperato bisogno di sapere se camminerà
di nuovo oppure no. Ci sono gonfiori ed ematomi e il corpo di vostro
figlio è ancora sotto shock. Non è colpa degli specialisti se non
riescono a darvi le risposte di cui avete bisogno, ma posso dirvi
questo: più farete pressioni per avere risposte, meno accurate
queste saranno, okay? Hank ha bisogno di tempo e noi abbiamo
bisogno di tutta la vostra pazienza. Non avrete risposte per ora,
probabilmente non prima di un anno e nessun specialista e nessuna
cifra potrà mai cambiare lo stato delle cose.»
Si fermò per riprendere fiato. Dio, non avrebbe dovuto dire
davvero l’ultima frase, mai menzionare il denaro ai ricchi. Era sicura
che l’avrebbero presa a male parole, ma non lo fecero, sua madre si
limitò a sbattere le palpebre con occhi tristi e suo marito le circondò
le spalle quasi a proteggerla.
«Chiedo scusa,» sussurrò nel silenzio. «Con il vostro permesso.»
Mosse qualche passo verso la porta e, mentre usciva, lanciò
un’ultima occhiata a Hank che, con sua grande sorpresa, le fece
l’occhiolino.
Uscì dalla stanza e passò le ore successive a chiedersi se
avrebbe ricevuto un richiamo formale per aver alzato la voce con la
famiglia Lazarus. Ma quel richiamo non arrivò mai.
DUE

N dopo
Mentre l’amico di Hank Lazarus, Bryan “Bear” Barry, entrava
attraverso la porta principale, si portò dietro la prima corrente di aria
fredda della stagione. Per fortuna, portò anche una bottiglia nuova di
tequila.
«Ci sono novità, Hazardous?» chiese Bear, togliendosi le scarpe.
Si diceva che l’autunno fosse la stagione migliore per il Vermont,
ma Hank non era dell’umore giusto per apprezzarlo. Abbassò il
volume della televisione e lanciò il telecomando sul tavolino. «I
Patriot non sono in forma oggi.» E nemmeno io. Con una veloce
pressione delle braccia, mosse il culo dal divano alla sedia a rotelle
e seguì Bear per fare il giro del bar fino in cucina. Afferrò la bottiglia
dove l’aveva appoggiata l’amico. «Conmemorativo, la marca
migliore. Festeggiamo qualcosa?»
«Forse.» Bear si allungò a prendere due bicchierini.
La bottiglia era fredda al tocco e, ancora una volta, Hank
rimpianse che l’estate stesse per finire. L’inverno precedente era
trascorso in una nebbia ospedaliera e la primavera in una foschia di
appuntamenti riabilitativi. L’estate era stata sopportabile, tra la
ristrutturazione della sua casa, ora finalmente conclusa, e le visite di
sua sorella e del suo più vecchio amico, ma l’inverno era di nuovo
alle porte e, se in passato era stata la sua stagione preferita, adesso
significava solo che lo attendevano altri giorni oscuri. I suoi amici
sarebbero ritornati in montagna, a lanciarsi lungo le piste, alla ricerca
di un triplo salto mortale e lui sarebbe rimasto da solo nel suo
appartamento da storpio nuovo di zecca. A fare cosa? A guardare
sport in televisione?
Cazzo, pensò, qual era il punto?
«Hazardous, facciamolo per bene. Hai del lime?» Bear era
piegato a metà, con la testa dentro al suo frigo.
«È laggiù, amico.» Si spinse dall’altro lato del vasto piano della
cucina in ardesia del Vermont. Non aveva problemi a raggiungere il
cesto della frutta, dato che l’architetto di suo padre aveva
riarrangiato lo spazio con un piano di lavoro a terrazze, parte ad
altezza regolare e parte qualche centimetro più in basso, ad altezza
sedia a rotelle. «Sta’ a vedere.»
Quando Bear si girò, Hank lanciò il lime verso l’amico barbuto,
poi aprì un armadietto in basso e ne estrasse un tagliere. Tutto era
stato riposto nel suo raggio di portata
Bear era sul punto di tagliare direttamente sul piano da cucina in
ardesia, ma esitò. «Amico, la tua cucina è molto più civilizzata di
quanto sia abituato.» Mise il lime sul tagliere e completò il lavoro.
«Già, la cucina dello storpio è una figata,» mormorò Hank,
peccato che avrebbe preferito vivere in una casa mobile con le
gambe funzionanti, piuttosto che in un castello in una sedia a rotelle.
«Dov’è il sale? Tiralo fuori e se hai anche delle ragazze nascoste
da qualche parte potrebbero tornare utili, dato che la tequila è
migliore se bevuta da una quarta misura.»
Hank sorrise e prese il sale da un piatto girevole dell’armadietto.
Non c’erano ragazze nella sua vita e Bear lo sapeva.
Il buon vecchio Bear… Senza di lui, sarebbe stato perso negli
ultimi mesi. Era stato lui a far sì che uscisse di casa ogni tot di giorni,
preferibilmente per godersi un happy hour, ed era stato sempre Bear
a intrufolare clandestinamente mezza dozzina di bottigliette di scotch
da servizio aereo nel centro riabilitativo dell’ospedale, dove l’alcol
era proibito.
Hank ne aveva bevute due guardando Dane aggiudicarsi la
medaglia d’oro nello slalom gigante alpino e dopo si era scolato il
resto guardando uno stronzo svedese vincere l’oro nella gara
maschile di half-pipe.
Bear si sedette su uno sgabello del bar. «Adesso ti dico a cosa si
beve stasera.»
«Oh, io so bene per cosa bevo.»
Il suo amico alzò un sopracciglio, ma non abboccò. «Ho un’idea
grandiosa e la chiamerò ‘La forza di gravità non si prende mai un
giorno libero’.»
Hank scolò il suo shot e poi morse la fetta di lime. «Non mi si
accende nessuna lampadina, farai meglio a versarmene un altro.»
Bear si limitò a tendere la propria mano sul piano della cucina.
«Voglio fare un lungometraggio sullo snowboard. Ci dovrebbe
essere un po’ di tutto, qualche scena top delle montagne
dall’elicottero, un po’ di freestyle con della musica che spacca… un
po’ come ha fatto Warren Miller con lo sci, ma più estremo.»
Hank non distolse gli occhi dalla bottiglia, che non gli era ancora
arrivata tra le mani. «Non è già stato fatto?»
Bear si era dimenticato della tequila. «Sì, ma non da noi! E sarai
tu la faccia del progetto. Io posso fare un bel film, ma ho bisogno
della tua credibilità.»
Questo sì che era divertente. «Io non ho nessuna credibilità,
sono paralizzato, ho la credibilità di un paraplegico.» Si allungò sul
piano della cucina; la bottiglia era quasi vicina a sufficienza.
«Ascoltami, stronzo.» Bear allontanò la bottiglia dalla sua portata.
«Tu sarai la voce narrante e ti garantisco che ci divertiremo come
pazzi. La gente vuole sentire cosa hai da dire sulla roba fuori dal
comune che andrò a filmare e le pollastrelle tireranno le mutandine
allo schermo. Io e te faremo un paio di giretti gratis sulle cime
dell’Alaska. Come può non piacere?»
Hank appoggiò il bicchiere con un tonfo sordo. «Fammi capire
bene, vuoi che porti il culo su qualche cima da paura e poi farmi ciao
ciao dalla tua tavola? Perché mai dovrei disturbarmi a salire, se poi
scendo da solo?»
Scosse la testa. «Io filmerei, non andrei sullo snowboard e tu non
devi salire sull’elicottero, se non ti va. Anzi, puoi fare solo la post-
produzione, se preferisci, ma far festa in Alaska è meglio che in sala
montaggio.»
Fu il turno di Hank di mostrarsi diffidente.
«Hazardous, ho bisogno che tu sia con me. Voglio fare il
lungometraggio quest’inverno e la prima nevicata è prevista tra sole
sei settimane. Sarà pronto la prossima estate e lo manderò in giro
da qui a un anno. Possiamo andare nei campus dei college e farlo
concorrere al Baff Festival, sarà una figata.» Riappoggiò la bottiglia
e Hank la prese al volo.
Versò a entrambi un altro shot. «Hai letto le notizie?»
Il viso del suo amico si insospettì. «Quali notizie?»
«Dai, amico, non fare il finto tonto. Si sposa con un altro atleta,
quel canadese.»
Fece spallucce. «E allora? Nel nostro film non ce lo vogliamo, è
semplice.»
Non era quello il problema e Bear lo sapeva bene. «Lo sposa e
solo otto mesi dopo avermi scaricato.» Scolò la sua seconda tequila.
Bear allontanò da lui la bottiglia un’altra volta. «Era una stronza,
Hazardous, e lo era da prima che ti scaricasse, okay? Hai schivato
un proiettile, facciamo che non finiamo a vomitare a causa sua, non
ne vale la pena.»
Hank riprese di nuovo la bottiglia. Per quanto sospettava che
avesse ragione, sentiva l’oscurità pesargli sospesa sulla testa. «Non
farò il tuo film. Apprezzo il gesto, ma puoi offrirlo a qualcuno che sia
davvero giusto per il ruolo.»
«Non è un gesto, stronzo, voglio la tua faccia in questo film.»
«Dalla cintola in su, giusto?»
«È un cazzo di modo di dire, per quel che mi interessa puoi
anche mostrare le chiappe alla telecamera. Tutte le donne del
mondo si stanno chiedendo se il tuo culo sia tatuato; piantala di
sentirti triste per quello che ti è successo e facciamo un gran film.»
«Mi porterai tu sulla tavola? Carino.»
Bear roteò gli occhi. «Hazardous, non sei il primo a ricevere una
delusione, okay? Non ce l’abbiamo fatta entrambi. Io sono stato
tagliato fuori dalla squadra e tu sei caduto, ma adesso cosa
facciamo?»
«Non ne ho la minima idea.»
«Mio padre vuole che mi iscriva a un corso di contabilità.» Si
toccò la testa e rise a quell’idea ridicola. «Ti puoi unire a me come
scribacchino, se vuoi, ma l’idea del film è migliore.»
Hank prese la bottiglia. «Scelgo l’opzione C, nessuna delle due,
e opzione D, ubriacarmi davvero, davvero tanto.»
Bear lo fulminò con lo sguardo. «E allora dammi uno di quei
lime.»
TRE

C N , il suo ex-ragazzo,
che in quel momento stava descrivendo un caso. «È stato trovato
privo di conoscenza alle prime luci dell’alba, il suo amico ha dovuto
chiamare un’ambulanza, gli hanno fatto una lavanda gastrica al
pronto soccorso e l’ho ricoverato io.» Mentre Nathan parlava, scosse
il polso, facendo roteare il proprio orologio. Quel tic le era familiare,
lo faceva quando beveva il caffè in cucina, dopo che avevano fatto
l’amore.
Il mese precedente, la studentessa di infermeria bionda
ossigenata che stava con Nathan, aveva ottenuto il diploma da
infermiera e anche uno scintillante anello di diamanti all’anulare. Da
quel momento, aveva iniziato a lasciare copie di Spose e Matrimoni
in Vermont sparse per tutta la sala relax.
Era passato un anno e nove mesi da quando si erano lasciati,
non che stesse tenendo il conto, ed eccola lì, ancora sola.
Praticamente era finita in un tunnel di cui non riusciva a vedere la
fine.
«Adesso devo proprio scappare,» disse Nathan. «Non devi fare
altro che dimetterlo, okay?» Le porse la cartella medica.
«Dimetterlo,» gli fece eco Callie. Lo guardò allontanarsi, il camice
bianco che svolazzava dietro di lui. Non che fosse ancora
disperatamente innamorata di lui. Se fosse stata sincera con se
stessa, avrebbe ammesso che i loro anni insieme non erano mai
stati troppo appassionati, ma era affascinante e, anche se un po’
nerd, era un dottore di successo, con un bel sorriso e, cosa più
importante di tutte, era suo.
Ma aveva fallito nel tenerlo con sé e lui aveva fatto la proposta di
matrimonio a una ragazza dalle gambe lunghe e i capelli ossigenati
e quel tradimento le faceva ancora male, era pungente come il
profumo che usava l’altra donna.
Tamburellò con le dita sulla cartella mentre rifletteva, ancora una
volta, che doveva andarsene da quel posto. Amava il Vermont, ma
non era un luogo in cui era semplice essere single. Aveva passato la
notte precedente ad analizzare meticolosamente il sito web delle
offerte di lavoro alla ricerca di posizioni mediche adatte a lei nel nord
della California, vicino ai suoi genitori. Lì avrebbe potuto ricominciare
da capo e incontrare un po’ di gente della sua età. Poteva davvero
funzionare.
Per il momento, fissò lo sguardo sul file del paziente che teneva
tra le mani. Maschio, caucasico, trentun anni. Avvelenamento da
alcol. Poi lesse il nome. Henry (Hank) Lazarus. Una delle infermiere
aveva scarabocchiato a margine Hazardous!

Hank non voleva una porzione del misterioso polpettone che


servivano in ospedale, voleva solo ritornare a casa.
«No, grazie,» disse per la seconda volta alla donna coi denti
sporgenti, che aveva portato il vassoio con il pranzo nella sua
camera. Finire lì la notte precedente era stata veramente una mossa
da idioti, come se non ne avesse avuto già abbastanza di quel
posto; tre volte a settimana guidava fino a lì per le sessioni di
fisioterapia.
E per cosa? Il suo corpo semplicemente non sembrava aver
voglia di re-imparare a camminare e non importava quante ore
passasse a fissarsi i piedi, in attesa che si muovessero.
Prima dell’incidente, l’idea di Hank di paralisi era quella che
veniva dai film di Hollywood. Pensava inoltre che un uomo
paralizzato non potesse più sentirsi le gambe, e per alcuni pazienti
questo poteva anche essere vero, ma lui aveva un po’ di sensibilità. I
test con gli spilli che avevano eseguito su di lui erano stati parecchio
sgradevoli, grazie tante e ‘fanculo. Poteva anche sentirsi i muscoli al
settantacinque percento di come se li sentiva prima, solo che non
riusciva più a controllarli.
Nel frattempo, incombeva l’anniversario del suo incidente: l’anno
precedente aveva sentito la frase “ci potrebbe volere fino a un anno”
appiccicata, praticamente, quasi a ogni frase che i dottori gli
avevano detto. Ci sarebbe potuto volere fino a un anno per capire
quanta forza muscolare avrebbe riavuto, ci sarebbe potuto volere
fino a un anno per riacquisire mobilità.
Ora che nove di quei dodici mesi erano trascorsi ed Hank ancora
non camminava, non dicevano più cose come quelle. Ora iniziavano
ogni frase con “ogni ferita è diversa”, come mammolette del cazzo.
Sentiva quella frase un sacco di volte in quei giorni.
Bere fino a stordirsi era stata un’idea da idioti, ma non è che non
ne avesse un motivo, o dieci.
«Vuoi sprecare quel cibo?» chiese nuovamente l’inserviente,
distraendolo dai suoi pensieri.
«Lo può mangiare qualcun altro,» rispose. Ad esempio qualcuno
senza papille gustative, qualcuno che non avesse la bocca foderata
di carta di giornale bagnata e un mal di testa martellante.
«Okay, se sei proprio sicuro.» La donna ripose il vassoio sul
carrello e si voltò per andarsene.
«Beh, come dice qui…» esordì una dolce voce dalla porta, «… il
signor Lazarus mangerà solo un piatto di costine di Curtis’ BBQ.»
Alzò il viso per vedere una donna molto carina sulla soglia della
camera, la pelle color miele era messa in risalto dal camice bianco, i
capelli di uno splendente caramello coprivano il cartellino
identificativo sul risvolto, ma si rese conto di averla già vista prima.
Era stata presente durante la peggior settimana della sua vita e, per
quanto fossero stati giorni confusi e terribili, non poteva dimenticare
la combinazione di labbra di un rosa così perfetto con quel paio di
intelligenti occhi blu.
«La tua cartella prescrive anche salsa piccante e patate al
forno,» aggiunse, entrando in camera.
«Sul serio? Cazzo!» Scoppiò a ridere. «Non può essere sulla mia
cartella.»
«Mi ricordo di te, tutto qui.» Gli fece l’occhiolino. «Pensavo fosse
una cosa perfettamente normale da desiderare.» Chiuse la cartella e
si sedette su un’orrida seggiola vicino al letto. «Sono la dottoressa
Callie Anders.» Gli tese la mano.
«Un secondo,» rispose. Trascinò la sua sedia a rotelle più vicino
al letto, si protese verso il bracciolo più lontano e, appoggiandosi su
di esso, spostò il proprio corpo dal letto alla sedia in un unico
movimento. Ecco, adesso poteva starle di fronte nel modo giusto,
anzi, ancora meglio, adesso sembrava qualcuno pronto a lasciare
l’ospedale: già vestito in jeans e felpa, gli restava solo di spingersi
fuori dalla porta.
Poi le strinse la mano, chiedendosi come fosse possibile che
qualcuno riuscisse a essere attraente anche sotto quelle oscene luci
fluorescenti, eppure la brava dottoressa ci riusciva. Aveva folti capelli
ondulati che gli fecero desiderare di scoprire come sarebbe stato
sentirli contro il suo petto nudo.
Certo, come no, continua a sognare. Le sorrise. «Sai, dottoressa
Callie, si dà il caso che anche io mi ricordo di te. Sei stata l’unica a
dire alla mia famiglia di darsi una cazzo di calmata.»
Sorrise, rivelando una fossetta all’angolo della bocca. «Beh, lo
hanno fatto?»
«Per un po’ sì, ma adesso mi stanno di nuovo addosso.» Merda,
non avrebbe dovuto dirle niente del genere. Doveva semplicemente
convincerla che non avrebbe ripetuto l’esperienza di scolarsi
un’intera bottiglia di tequila, così lei avrebbe firmato la sua carta di
dimissioni e lui avrebbe potuto andarsene a ‘fanculo.
Lo studiò in silenzio, gli occhi blu fissi su di lui. «Cosa vuole la tua
famiglia da te? Hanno bisogno di un altro discorsetto?»
«No,» scosse la testa. «Vogliono che provi qualcosa che si
chiama Stimolazione Elettrica Funzionale.»
«Sembra una pratica perversa.»
Preso in contropiede, scoppiò a ridere. Tutti gli altri dottori
sembravano aver rimosso chirurgicamente il proprio senso
dell’umorismo. «Se fosse perversa, non avrei obiezioni. Pare sia un
modo per cercare di riattivare quei muscoli che non si riesce a usare,
in pratica una pia illusione tecnologica.»
«Quindi non credi che la S.E.F. potrà funzionare per te?» chiese,
mentre il suo sguardo diventava serio.
Lui scosse la testa. «Dopo nove mesi, ancora non cammino e la
mia famiglia non sembra accettarlo.»
Sfogliò la documentazione che teneva in grembo. «La tua cartella
dice che hai fatto moltissimi progressi, hai riacquisito molta
sensibilità. Inoltre vivi da solo. Sei fortunato.»
Fortunato. Hank odiava quella parola. Da quando si era svegliato
nella camera d’ospedale, incapace di muovere le gambe, la gente
continuava a ripetergli quanto fosse fortunato a essere ancora vivo,
ma lui, per la maggior parte dei giorni, si sentiva tutto tranne che
fortunato. «Certo, ma la mia famiglia vuole una cura miracolosa o
qualcosa del genere. Stanno ancora aspettando la mia esibizione da
medaglia d’oro.»
Alzò lo sguardo dalla pagina che stava leggendo. «Deve essere
abbastanza deprimente.»
«Non sempre.» Si schiarì la voce. «Dottoressa Callie, so che è
suo compito autorizzare la mia dimissione. Potrebbe farlo, se
prometto di non ritornare mai più?» Fu ben attento a guardarla dritto
negli occhi. «Io, ehm…» Decise di dirle la verità, malgrado fosse
imbarazzante. Se voleva uscire da lì, doveva convincerla che non
stava cercando di ammazzarsi. «Ieri ho scoperto che la mia ex
ragazza si è fidanzata con un altro uomo, così ho bevuto troppa
tequila. È stata una cosa stupida, lo ammetto, ma non diventerà
un’abitudine.»
La dottoressa Callie fece addirittura una smorfia. «Ahia,» disse,
mentre il suo volto si addolciva.
La sincerità era sempre la politica migliore.
«Comunque…» La dottoressa esitò per un attimo. «La stessa
cosa è successa a me il mese scorso e non mi sono scolata una
bottiglia di tequila.»
Cazzo. «Sei seria?»
Annuì lentamente.
«E che droga hai scelto?» chiese, anche se quello che davvero
voleva sapere era: che razza di coglione poteva scaricare una
dottoressa così carina? Gran cervello e grandi tette in un unico
pacchetto con l’aggiunta di un sorriso dolce. Era pronto a
scommettere qualsiasi cifra che il Signor Scemo era semplicemente
intimidito da una come lei.
«L’ho superata guardando un sacco di tv spazzatura e
ingurgitando una quantità imbarazzante di gelato. Ho preso cinque
chili e perso cinque punti di quoziente intellettivo, ma nessuno mi ha
dovuto fare una lavanda gastrica.»
Hank scoppiò a ridere ed era probabilmente la prima volta in
settimane che faceva qualcosa del genere. Per lui era sempre stata
una cosa normale avere una conversazione sciolta con una donna,
ma qualcosa del genere non succedeva più e non solo perché
passava molto tempo da solo. In realtà, in pochi riuscivano a vedere
oltre la sedia a rotelle, ma Callie lo aveva già visto in condizioni ben
peggiori di quelle, in più non era una tipa che diceva stronzate e,
anche adesso, i suoi occhioni azzurri lo stavano studiando con
un’intensità che avrebbe dovuto metterlo a disagio, ma, per qualche
motivo, non aveva intenzione di distogliere lo sguardo.
«Guarda,» esordì lei, ma lui la stava già guardando. Anche con
quel camice che la ricopriva, era evidente che fosse formosa e
riusciva a intravedere uno scorcio dell’incavo tra i suoi seni. «Non c’è
nessun motivo clinico per cui ti debba tenere qui, so che lo sai, ma
aiutami a farmi sentire meglio, così che non debba chiamare
qualcuno dalla psichiatria. Che intenzioni avevi?»
«Vedere la fine della bottiglia?» Alzò il mento. «È una domanda
trabocchetto?»
«Hank, hai pensieri suicidi?»
Deglutì. «No.»
«Ti sei preso una pausa molto lunga per rispondermi.»
Roteò gli occhi. «Non era così lunga. Non mi ammazzerò, non è
proprio il mio stile, ero solo sbronzo, dottoressa. Se internasse ogni
ubriacone del Vermont, non rimarrebbe nessuno a fare sciroppo
d’acero o ad azionare le seggiovie.»
Osservò mentre le sue belle labbra si curvavano in una smorfia e
le ciglia sbattevano pensierosamente. «Sono preoccupata per te.
C’è qualcuno con cui parli di tutto ciò che ti è successo nell’ultimo
anno?»
«Grazie, ma non vedrò uno strizzacervelli. Ma se sei così
preoccupata per me, vieni a trovarmi.»
«Cosa?»
Non aveva programmato di chiederglielo, perché non sembrava
proprio il tipo da dire di sì. Quello e anche perché lui non era proprio
in cerca di compagnia femminile, ma le vecchie abitudini erano dure
a morire, così continuò. «Fammi una visita a domicilio, allontanati
per un paio d’ore dalla puzza di candeggina. Ti preparerò la cena.»
I suoi occhi si ingrandirono per la sorpresa. «Ma…» Un lampo di
timidezza attraversò il suo sguardo. «Sai che non posso, sarebbe
poco professionale.»
«Sicura? Nel momento in cui sarò fuori da qui, non sarò più un
tuo paziente… Allora, che mi dici?»
Si leccò nervosamente le labbra. «Dico che… se tu desiderassi
distrarre un dottore dalla sua linea di domande, invitarla a cena
funzionerebbe la maggior parte delle volte.»
Scoppiò in una fragorosa risata. «Non tutte le volte, però,
giusto?» Abbassò la testa con un sorriso sconfitto. Seriamente,
doveva abituarsi ai rifiuti delle donne. E poi, perché mai un dottore
avrebbe voluto avere qualcosa a che fare con lui? Quella donna
aveva passato gli ultimi dieci anni a cercare la cura per il cancro o
roba simile, mentre lui li aveva passati a sbronzarsi e a sfidare la
gravità fino al limite estremo.
E poi aveva perso.
Quel pensiero triste gli fece ribaltare lo stomaco, ma poi alzò lo
sguardo per vederla ancora tutta intenta a fissarlo e, a meno che
non si stesse sbagliando, una calda curiosità le bruciava negli occhi.
Interessante. All’apparenza, alla brava dottoressa piaceva qualcosa
di ciò che vedeva, a meno che il suo istinto non lo stesse tradendo e
probabilmente era così, dato che ogni altra cosa nel suo dannato
corpo lo aveva fatto.
Davvero, non importava cosa Callie pensasse di lui, perché Hank
non aveva molto da offrirle: era solo come un cane e sarebbe
rimasto così, probabilmente per sempre. Deglutì di nuovo e tornò a
concentrarsi sul problema principale. «Firma le mie dimissioni,
dottoressa. Prometto che farò il bravo.»
Tamburellò due volte con la penna sulla cartelletta e poi la fece
cliccare e firmò la pagina. «Fammi un favore… stai lontano da qui,
okay?»
«Promesso,» rispose.
Fece scivolare le dimissioni nel suo file e poi lo guardò un’ultima
volta e, in qualche modo, quel momento si protrasse, allungandosi
tra di loro. Hank non sapeva quanto fosse durato, probabilmente
solo un paio di secondi, ma mentre si fissavano negli occhi, percepì
un’energia che non sentiva da tempo e che non si aspettava
avrebbe sentito di nuovo.
Riprendendosi, fece ciò che era necessario e cioè distolse lo
sguardo.
«E adesso, con il tuo permesso, filo via.» Mise le mani sulle ruote
della sedia a rotelle e si spinse verso la porta.
Sentì i suoi occhi sulla schiena mentre si allontanava.
QUATTRO

C al suo incontro con Hank per il resto del suo turno e


ogni singolo giorno della settimana successiva. Era sexy,
esattamente come se lo ricordava, e anche con i postumi della
sbornia irradiava testosterone e un magnetismo che le faceva
desiderare di più. Certo, c’era tristezza in quei suoi occhi scuri, era
inevitabile, eppure eccolo lì, un ragazzo che aveva perso la sua
intera carriera in un’esibizione di tre minuti sull’half-pipe e che
riusciva ancora a flirtare, a ridere e a farla sentire tutta emozionata
dentro.
Lei, d’altro canto, godeva di una salute eccellente e di una
carriera promettente, eppure si barcamenava ogni giorno sentendosi
impacciata e infelice.
Che diavolo c’era, che non andava in lei?
Mentre rimuginava su quella domanda per l’ennesima volta, alla
fine di un lungo pomeriggio, l’infermiera Trina la salutò da sopra il
banco accettazione. «Callie? La dottoressa Fennigan vuole vederti
nel suo studio al piano di sopra. Non mi ha detto di cosa si tratta.» Il
suo volto irradiava curiosità senza freni e Callie non poté biasimarla.
La dottoressa Elisa Fennigan era la direttrice dell’ospedale e
Callie non era mai stata richiesta prima. Afferrò con due dita il
foglietto con il messaggio e cercò di indovinare di cosa poteva
trattarsi. Forse uno dei suoi pazienti stava per fare causa
all’ospedale? Il rischio c’era sempre, ogni dottore, prima o poi,
rimaneva coinvolto in una causa e spesso non si poteva nemmeno
prevederlo.
Merda.
Si infilò il pezzo di carta in tasca, facendosi strada verso gli
ascensori, e quando la porta si aprì al settimo piano, una receptionist
alzò lo sguardo per fissarla. «Dottoressa Anders?»
Callie annuì.
«Mi lasci avvisare la dottoressa Fennigan prima che prenda
un’altra telefonata.» Premette un bottone sul suo telefono. «Callie
Anders è qui.»
«Mandamela dentro,» rispose una voce piacevole.
La receptionist indicò una porta aperta alle sue spalle e Callie
entrò nell’ufficio della direttrice.
La dottoressa Elisa Fennigan si alzò da dietro la sua scrivania e
tese la propria mano nella sua direzione.
«Callie, benvenuta, chiamami pure Elisa. Sono certa che ti stai
chiedendo perché sei qui e lasciami dire che è solo per una buona
notizia.»
Quello fu un sollievo e Callie si permise di rilassarsi, mentre le
stringeva la mano.
«È un piacere conoscerla.»
La dottoressa Fennigan, Elisa, si sedette sulla sua morbida
poltrona in pelle. «Siediti pure, ti ricordi di un paziente di nome Hank
Lazarus? Lo hai visto due volte…»
Callie annuì. «Naturalmente, lesione alla spina dorsale riportata
su uno snowboard. È stato ricoverato la scorsa settimana per
avvelenamento da alcol.»
La direttrice annuì. «L’ospedale ha un’insolita opportunità che
riguarda questo paziente: i suoi genitori sono interessati a un
trattamento che si chiama S.E.F. Stimolazione Elettrica Funzionale.»
«Me ne ha parlato,» disse. «Non mi sembrava tanto convinto.»
«Giusto,» convenne. «Ma è una terapia promettente. I suoi
genitori si sono offerti di finanziare uno studio di un anno
sull’argomento, qui nel nostro ospedale. Con il loro supporto,
potremo aprire una clinica terapica per pazienti con lesioni alla spina
dorsale, con tecnologia S.E.F. e faremo una sperimentazione per
misurare gli effetti della S.E.F. come parte di un programma di
riabilitazione tradizionale.»
La mente di Callie lavorava a ritmo serrato. «Quindi… alla fine
dell’anno, verifichereste se i pazienti che hanno seguito la S.E.F.
hanno fatto più passi in avanti rispetto agli altri? Ma dove potremmo
prendere tutti quei pazienti?» Il confine tra il Vermont e il New
Hampshire non era il posto più popolato del mondo ed era
esattamente per quel motivo che il loro ospedale non era certo un
fulcro dell’attività di ricerca.
«Ci sono molte più lesioni alla spina dorsale qui di quanto tu
possa credere,» disse la dottoressa Fennigan. «L’ospedale dei
veterani a White River Junction ne vede la maggior parte. Tra i loro
pazienti ci sono soldati feriti in Iraq e in Afghanistan, ma la
fisioterapia intensiva è costosa e i pazienti saranno ben più che lieti
di guidare qualche decina di miglia in più, se verranno inseriti in un
programma gratuito.»
«Capisco,» disse. «E qui di spazio ne abbiamo…»
Elisa annuì, il viso solenne. L’ospedale aveva un po’
ridimensionato la propria struttura interna negli ultimi anni, dato che i
pazienti paganti diventavano via via sempre meno. «Abbiamo lo
spazio e l’attrezzatura, e abbiamo anche una piscina terapica che
per ora è poco utilizzata. Le strutture non sono un problema.»
«È per i soldi, giusto?» chiese.
Ancora una volta, la dottoressa annuì. «La famiglia Lazarus è
pronta a spendere più di un milione di dollari prima che il progetto sia
finito, vale a dire per stipendi, trattamenti e attrezzature, e potremmo
ottenere la concessione di finanziamenti per lo studio. È una boccata
d’ossigeno di cui l’ospedale ha tremendamente bisogno.»
«Sembra tutto perfetto,» l’assecondò Callie. «Ma non ho ancora
capito cosa c’entro io.»
«Beh, questa è la parte un po’ insolita: Hank Lazarus non muore
dalla voglia di partecipare, ma ha detto che lo farà se sarai tu a capo
del programma.»
Callie sbatté le palpebre, cercando di trattenere la propria
sorpresa. «Ma io non sono una specialista in riabilitazione.»
Elisa sorrise. «A quanto pare, non gli interessa e nemmeno a me,
in tutta onestà, perché il tuo lavoro sarebbe di coordinare il
programma ed effettuare gli studi. Metterei il nostro direttore terapico
a capo del lavoro con i pazienti.»
Per un po’, Callie non seppe cosa dire. Era un’opportunità
meravigliosa per lavorare fianco a fianco con il direttore
dell’ospedale, ma anche così, il suo primo impulso fu quello di
rifiutare. Prendersi carico di qualcosa così fuori dal suo campo
d’esperienza era un’idea terrificante. «Non ho mai effettuato uno
studio,» disse infine.
«Callie,» la incalzò. «Scommetto che tu abbia letto i punti più
delicati di diverse centinaia di studi medici.»
«Naturalmente.» Se avesse cucito insieme tutti gli articoli di
giornale che aveva letto negli ultimi dieci anni, le pagine avrebbero
fatto il giro del mondo.
«Potresti scrivere questo articolo mentre dormi e io ho bisogno
che tu lo faccia.»
«Mentre dormo?» scherzò e la direttrice scoppiò a ridere.
«Sarebbe meglio da sveglia.» Il suo volto si fece di nuovo serio.
«C’è una cosa che devo assolutamente chiederti. Hai un’idea del
perché Lazarus abbia scelto te?»
La domanda la fece arrossire. «No,» rispose in fretta. Il fatto che
trovasse Hank l’uomo più attraente che avesse mai incontrato non
aveva niente a che fare con questa cosa. «Non lo conosco, a parte
per le sue due visite all’ospedale. Quando è stato ricoverato la prima
volta, ho effettivamente detto ai suoi genitori di… “darsi una calmata”
detto con parole sue.»
La dottoressa Fennigan fece una smorfia. «È stata una
scenata?»
Scosse la testa. «No, affatto. È stato solo uno di quei momenti in
cui lui aveva bisogno di qualcuno che stesse dalla sua parte e, a
quanto pareva, ero io quella persona.»
La direttrice rimase in silenzio per un secondo. «Beh, questo
complica un po’ le cose. Pensi che i suoi genitori ce l’abbiano con
te?»
«Non credo proprio. In tutta onestà, sarei sorpresa se si
ricordassero di me.»
La dottoressa giunse le mani sul registro. «Okay, e questa è stata
la tua unica interazione con il signor Lazarus?»
Arrossì ancora di più. «L’ho dimesso due giorni fa e mi ha invitato
a cena, ma ho rifiutato.»
«E perché?»
«Perché era un mio paziente!» balbettò.
«Non dopo la dimissione.» Sembrava pensierosa.
Sbalordita, scosse la testa. «È lo stesso, non sarebbe stato
giusto.»
«Quindi le sue motivazioni sono potenzialmente complicate.»
Tamburellò le dita sul registro, corrugando la fronte. «Callie, ti sto
mettendo in una posizione difficile, nel caso accettassi questo
lavoro? Se ti importunasse, non sarebbe una buona cosa per
nessuno, non per te, non per l’ospedale…»
«Non penso…» Sospirò. «Non mi sembra un tipo che possa
importunare qualcuno, anzi, è stato molto gentile e sarei sorpresa se
ritornasse sull’argomento di nuovo.»
Ci fu un lungo silenzio mentre la direttrice rifletteva a fondo sulla
cosa. «Beh, Callie,» disse infine. «Andiamo avanti, allora, ma voglio
che tu ti senta libera di venire da me al minimo problema, va bene?
Se vuoi parlarmi di qualcosa, la mia porta è sempre aperta.»
«Grazie,» disse.
«Questo significa che avrai una promozione, la tua paga
aumenterà e sono sicura che sarai felice di sapere che ti sospenderò
dalla rotazione ospedaliera per tre mesi, mentre inizi a far funzionare
le cose.»
«Sul serio? Non dovrò più essere reperibile?»
Scosse la testa. «No, a meno che tu non decida di fare degli
straordinari. Per dodici settimane, lo studio sarà il tuo lavoro a tempo
pieno.» Poi si alzò in piedi. «È stato un vero piacere conoscerti,
Callie. Ora, prendi questi fascicoli e studiateli, avremo la nostra
prima riunione con un rappresentante della Fondazione della
famiglia Lazarus lunedì prossimo.» Si strinsero la mano e la
direttrice aggiunse un biglietto da visita alla pila tra le braccia di
Callie. «C’è scritto il mio telefono privato. Dicevo davvero quando ti
ho detto di chiamarmi quando vuoi. Se dovessero esserci dei
problemi, non facciamo in modo che peggiorino.»
«Lo apprezzo molto,» disse, poi le strinse la mano di nuovo
prima di ritornare all’ascensore. Quando le porte si aprirono
nuovamente al primo piano, la prima persona che vide fu Nathan.
«Ehi, Callie,» disse, spingendo un file verso di lei. «Puoi
prendere questo paziente per me? Io e Shelli abbiamo un tavolo
riservato.»
Di solito quel tipo di cose le avrebbe rovinato la giornata, ma
questa volta prese la cartella e gli sorrise di cuore.
«Che c’è?» chiese, scettico davanti alla sua gioia.
Callie si era appena resa conto di quale fosse il massimo della
sua promozione inaspettata: per tre mesi non avrebbe dovuto
lavorare insieme a Nathan. Grazie mille, Hank Lazarus. «Posso
essere felice anche io, giusto?» lo stuzzicò. «Vai, allora, buona
cena.» Gli sorrise di nuovo e se ne andò.
CINQUE

I fu lungo abbastanza da farla diventare


estremamente nervosa. Lo studio era una grande opportunità per lei,
quindi aveva passato il sabato e la domenica a leggere ogni articolo
accademico che aveva trovato sulla S.E.F. e la domenica notte si era
ritrovata nel bel mezzo di una vera e propria crisi: aveva provato
ogni tipo di vestito che possedeva; due volte.
In piedi al centro della sala relax, il lunedì mattina, Callie iniziò a
farsi prendere dal panico.
C’erano tre cose di cui aveva paura nella vita: i debiti, il fallimento
e i film dell’orrore e questo incontro con la Fondazione Lazarus
toccava due su tre di queste paure. Condurre una sperimentazione
clinica su una materia così lontana dal suo campo di esperienza la
portava ben al di fuori della sua comfort zone e con una consistente
pila di debiti studenteschi da risarcire, non poteva fare pasticci
durante quell’incontro o con quell’opportunità in genere.
Un Natale, Willow le aveva regalato uno scialle e quel giorno
l’aveva indossato come portafortuna, anche perché si intonava col
suo tailleur grigio tortora, ma mentre stava ferma lì, nella sala relax,
torturando il tessuto delicato con le mani sudate, non era più così
sicura che fosse intonato. Si tolse la pashmina, ne unì gli angoli
un’altra volta, drappeggiando la seta su una spalla, prima di
riallacciarne gli estremi.
I suoi tacchi picchiettavano lungo il corridoio mentre andava in
bagno per un’ultima rassicurante occhiata allo specchio, ma era
evidente che la persona riflessa dava l’idea di una che stesse
cercando di apparire come in realtà non era. Callie era ancora una
povera ragazzina proveniente dalla parte sbagliata di Sacramento,
che aveva studiato medicina con un grande aiuto finanziario, a cui
mancava poco per incasinare tutto e finire in bancarotta. La sciarpa,
per quanto elegante, non le si addiceva e l’elegante famiglia di Hank
non si sarebbe mai lasciata prendere in giro da un pezzo di seta
color corallo.
Si passò lo scialle sopra la testa e lo ripose nel proprio
armadietto. Davvero, era una cosa ridicola, poteva eseguire un
perfetto nodo chirurgico con un ago da sutura e pinzette, ma non
riusciva a sistemarsi uno scialle. Non c’era più tempo per chiedersi
perché. Era ora di andare in scena.
Portando con sé una mezza dozzina di copie della presentazione
che aveva preparato, prese l’ascensore fino al piano dei dirigenti.
«Dottoressa Anders?» Ancora una volta, la receptionist la salutò, ma
questa volta era per darle brutte notizie. «La dottoressa Fennigan mi
ha chiesto di informarla che il suo volo dalle Bermuda è stato
cancellato. È terribilmente dispiaciuta, ma dovrà incontrare la
famiglia Lazarus senza di lei. Le ho preparato la sala conferenze,
che troverà alla sua sinistra.»
Cercò di non lasciar trasparire il panico sul proprio viso.
«Grazie,» mormorò.
Dopo aver preso un respiro per tranquillizzarsi, entrò nella sala
conferenze, dove c’era una sola persona e Callie si chiese se fosse
entrata nella stanza sbagliata. La ragazza seduta al tavolo
indossava jeans stretti, scarponi da trekking e un giubbotto di lana
sopra a una maglietta, la classica tenuta del Vermont. Nulla a che
vedere con la stanza piena di completi eleganti che si era aspettata.
«Sono Stella Lazarus,» disse la ragazza, alzandosi per tenderle
la mano. «La sorella di Hank.»
«Ah, ma certo,» rispose, presentandosi. I caldi occhi castani di
Stella erano simili a quelli del fratello. Era una ragazza alta, sui
venticinque anni, con luminosi capelli scuri. Evidentemente la
famiglia Lazarus produceva solo discendenti bellissimi.
Callie avanzò nervosamente mettendosi a sedere a capotavola e
chiedendosi subito se avesse fatto la cosa giusta. Non aveva
nessuna esperienza con la pomposità e le situazioni ufficiali e, ora
che erano in silenzio, si rendeva conto che doveva riempirlo con un
po’ di chiacchiericcio mentre aspettavano gli altri. «Fa bel tempo,
fuori,» disse. Complimenti, Callie, si rimproverò. Il tempo, che
originalità. Sentì una goccia di sudore scivolarle lungo la schiena.
«Sì, è carino,» rispose Stella guardando la finestra. «Infatti,
speravo di andare a correre prima di pranzo.»
«Di solito quanto corri?» chiese, anche se non era uno sport che
lei praticasse, quindi anche quella conversazione sarebbe finita su
un binario morto. Sbirciò in modo che sperava fosse discreto
l’orologio al di sopra della spalla di Stella.
«Solo sette miglia,» rispose, con un’occhiata meno discreta al
proprio orologio. «Ma mi ci vuole un’ora, quindi…» Guardò Callie, in
attesa.
Il momento si allungò nel silenzio, dando a Callie abbastanza
tempo per preoccuparsi se avesse dovuto includere anche i dati
scandinavi nella sua presentazione o se sarebbe stato un
accanimento…
Stella si schiarì la voce. «La segretaria mi ha detto che la
dottoressa Fennigan non sarà presente oggi, quindi, non dovremmo
iniziare?»
Callie sbatté le palpebre, senza muovere un muscolo. «Pensavo
stessimo aspettando…» Non finì la frase, rendendosi conto all’ultimo
momento che Stella avesse sottinteso che nessun altro della
fondazione sarebbe stato presente.
«Frena,» disse la ragazza alzando un palmo della mano.
«Aspettavi qualcun altro? Non credi che possa sedermi al tavolo dei
grandi?» Le sue sopracciglia scure si aggrottarono. «Mi dispiace, ti
becchi solo me. Non preoccuparti, non ti ritorneranno indietro gli
assegni, anche se è la pecora nera della famiglia che li firma.»
Callie fece per aprire la bocca, per poi richiuderla di nuovo.
«Io…» Deglutì rumorosamente; che imbarazzo. «Credevo solo che
ci fossero altre persone che volessero conoscere il programma
S.E.F., so che è nell’interesse di sua madre…» Scartabellò tra le
proprie carte per estrarre una presentazione dalla pila davanti a lei e
la fece scivolare lungo il tavolo delle conferenze fin verso Stella.
Adesso, stare seduta all’estremità del tavolo era davvero ridicolo.
Con la faccia in fiamme si alzò in piedi e si spostò a sedere accanto
alla signorina Lazarus. «Forse, dovremmo ricominciare da capo, mi
può chiamare Callie e mi hanno chiesto di condurre un programma
terapico che testi l’efficacia del S.E.F.» Tese nuovamente la mano
nella sua direzione.
Stella la strinse, ma poi incrociò le braccia al petto. «Mio fratello
ha scelto te per condurre questo studio, giusto?»
«Io, beh…» A questa giovane donna erano bastati solo cinque
minuti per farla diventare un disastro balbettante. «Mi ha
raccomandata,» terminò.
Stella sorrise. «È comprensibile, Hank si circonda sempre di belle
donne.» Infilò la mano dentro a un’ampia borsa che teneva in
grembo e ne estrasse quello che sembrava un libretto degli assegni
molto grande. «Facciamola finita, quanto ti devo per i costi di
avvio?» Fece scattare la penna e colse lo sguardo confuso sul viso
di Callie. «Sono qui per questo, giusto? Il mio papino non crede che
sappia gestire la mia vita, ma fino a quando lavoro per la sua società
e sto vicino a casa, mi fanno girare col libretto degli assegni.»
A quel punto, Callie sapeva di aver perso il controllo sia
dell’incontro che della conversazione. «Okay, Stella, posso essere
sincera?»
«Non vedo perché no,» rispose, incrociando le braccia sul petto.
«Io lo sono sempre.»
«Bene, perché non sono mai stata nella stessa stanza con un
assegno che vale più del pagamento del mio mutuo. Non volevo
insultarti, è solo che ho dato per scontato che elargire una
significativa cifra di denaro richiedesse un comitato, o qualcosa del
genere, avvocati, contabili, magari una dispensa papale. Giuro che
so come funziona la medicina, ma non ho nessuna idea sui
finanziamenti.»
Per un secondo, Stella non mosse un muscolo, ma poi un sorriso
iniziò a curvarle lentamente l’angolo della bocca e, quando l’ebbe
completato, i suoi occhi brillarono. «Okay, credo, anche perché io
non so nulla di medicina.»
Callie esalò un respiro. «Allora assecondami per un paio di
minuti, okay?» Era arrivata fin lì quel giorno per fare un lavoro
professionale e spiegare il suo studio e l’avrebbe fatto a ogni costo;
accarezzò la presentazione sul tavolo. «Avevo pensato di dirti tutto
sul progetto, perché penso che sia davvero una grande tecnologia e
la trovo eccitante, me lo permetti?»
Stella scorse il documento col pollice. «Più che un progetto,
sembra un fermaporte, mi puoi fornire solo i punti salienti?»
Cercando di limitare le perdite, aprì il suo lavoro alla terza
pagina, dove c’era un diagramma di una bicicletta S.E.F. e poi la
spiegò al meglio delle sue possibilità in sessanta secondi netti.
«E così,» disse infine Stella, picchiettando il dito sulla pagina. «I
muscoli del paziente pedalano su una cyclette senza il permesso del
cervello? Sembra così… fantascienza.»
«So che lo sembra,» convenne. «Ma funziona e la speranza è
che il cervello ascolti, che possa ricordare ai neuroni come riattivarsi
intenzionalmente.»
«Che figata,» rispose annuendo. «Riesco a capire come sia un
buon allenamento, sia che il cervello si adegui o meno.»
«Esattamente, ma quanto buono? Voglio darti qualche numero e
poi voglio provare alle case assicurative che lo inseriranno nella loro
polizza, perché i pazienti che andranno a coprire avranno, a lungo
termine, costi minori.»
Vide una luce dietro agli occhi di Stella. «Ah.»
«Appunto.»
Stella fece scattare nuovamente la sua penna. «Okay, allora
andiamo a fare un po’ di beneficienza nel mondo. Potrò anche
detestare il mio lavoro, ma non sono una stronza totale. Quanto
dovrebbe coprire il primo assegno?»
Callie estrasse la situazione contabile che le aveva mandato la
dottoressa Fennigan e la fece scivolare lungo il tavolo. Mentre Stella
compilava l’assegno, le sue spalle si rilassarono per il sollievo.
Tre settimane dopo, il contributo della fondazione aveva già
trasformato una parte dell’ospedale.
Callie raggiunse il suo nuovo ufficio, lasciando cadere una
scheda di ammissione per il paziente numero trentotto nella sua
casella di posta già straripante. Il suo nuovo lavoro comportava il
lusso di avere un vero ufficio, con una vera porta, quindi che
importava che fosse grande come una cabina armadio, con una
finestra che guardava solamente sul corridoio? Era tutto suo e lo
diceva la scritta a lettere dorate sulla placca fuori dalla porta.
L’ospedale aveva messo insieme una nuova serie di camere
terapiche a tempo record, utilizzando lo spazio dove un tempo
c’erano gli ambulatori diurni. Callie era stata certa che le modifiche
agli ambienti sarebbero durate settimane, ma i ragazzi del
cartongesso e gli imbianchini si erano gettati nella mischia con la
velocità di una truppa di paracadutisti.
Era solo l’ennesima prova dell’importanza del progetto per
l’ospedale. Terrorizzata dal deludere la dottoressa Fennigan, Callie
aveva lavorato giorno e notte per far sì che la ricerca iniziasse senza
problemi.
Fortunatamente, quando aveva fatto richiesta negli ospedali vicini
del Vermont e del New Hampshire di partecipanti alla ricerca, era
stata sommersa di domande. Compilare una lista di cinquanta
partecipanti paralizzati in salute non era di certo stato un problema e
fare loro il colloquio si era dimostrato molto più divertente di quanto
si fosse mai potuta immaginare. In qualità di medico ospedaliero, era
abituata a lavorare con la gente malata, ma le persone che avevano
fatto domanda per entrare a far parte del suo progetto erano perlopiù
persone in salute e attive. La maggior parte delle lesioni alla spina
dorsale erano accadute a persone tra i sedici e i trent’anni e, tre
volte su quattro, si trattava di maschi. In parole povere, Callie aveva
passato la settimana a prendere misure di riferimento a muscoli di
uomini, tutto sommato, in salute. Certo, avevano ogni tipo di
corporatura e la loro situazione andava dalla paralisi degli arti
inferiori fino alla quadriplegia, ma dato che la maggior parte dei
pazienti era ancora in grado di muovere la parte superiore del
proprio corpo, una sorprendente percentuale di questi ragazzi aveva
addominali scolpiti e corpi in forma. Una buona parte di loro erano
veterani e questo significava che Callie aveva passato la settimana
tentando disperatamente di non arrossire mentre avvolgeva il metro
intorno a bicipiti e tricipiti scolpiti. Più di una volta aveva
mentalmente preso in considerazione l’idea di creare un calendario
con i suoi preferiti, l’avrebbe chiamato Fusti su ruote.
Quando aveva intravisto Nathan nel parcheggio, il giorno
precedente dopo il lavoro, le era sembrato un topo denutrito. Pensa
un po’.
«Ehi, bellezza!»
Callie alzò la testa e si trovò di fronte al suo nuovo collega che
appoggiava la propria gigantesca figura contro la porta del suo
ufficio. “Tiny” Jones era una creatura formidabile: alto un metro e
novanta con circa centottanta chili di solidi muscoli color cioccolato,
era bello proprio come i candidati. In più, oltre a quel fisico, era
anche dotato di una personalità vivace. Le porse il file di un
paziente, che Callie lasciò cadere nella propria cassetta di posta in
entrata. «Un altro da tenere?»
Annuì e batté col dito sulla cartelletta che teneva sotto al braccio.
«E altri due ci stanno aspettando. A quale di questi due bellocci vuoi
che prenda le misure?»
Callie prese la cartelletta e lesse Lazarus Henry (Hank).
«Questo,» rispose, restituendo il file di Hank a Tiny. Era certa che
non sarebbe mai riuscita a prendergli le misure senza prendere
fuoco. «Puoi farmi un favore? Di’ a Hank di non andare via prima
che possa salutarlo. Sai chi è, vero?»
«Da quel che so, i suoi genitori ci pagano lo stipendio.»
«Più o meno.»
«Quindi, mi stai dicendo che non ci devo provare?» chiese
facendole l’occhiolino.
«Non subito almeno,» lo prese in giro. «Adesso pussa via, se
andiamo avanti di questo passo, non andremo mai a pranzo.»
«Ricevuto, se ti fermi un attimo con lui, passo io dalla
caffetteria… un panino con tacchino, bacon, insalata e pomodori e
un caffè leggero, giusto?»
«Che Dio ti benedica, lasciami solo…» Rovistò nella sua borsa.
«Lo metto sul tuo conto.» Tiny se ne andò prima che potesse
prendere il portafoglio. Quell’uomo era un vero dono di Dio.

Quindici minuti dopo, Callie trovò Hank che l’aspettava nella stanza
terapica. «Quel tipo fa morire dal ridere,» disse per salutarla,
indicando col pollice la porta dalla quale era appena uscito Tiny.
«Lo puoi ben dire,» convenne. «Siamo fortunati ad averlo, un
bravo terapista e un cabarettista, tutto insieme in un unico pacchetto
extralarge.» Gli tese la mano e se la strinsero, ma poi Callie si
allontanò di un paio di passi e non perché lui riuscisse sempre a
farla arrossire. Nella settimana precedente aveva notato che non
stare troppo vicino a qualcuno su una sedia a rotelle faceva sentire
tutti a proprio agio, dato che i pazienti non dovevano allungare il
collo per mantenere il contatto visivo. «Come stai?» chiese Hank,
incrociando le braccia.
Callie cercò di non fissare i tatuaggi che spuntavano dalle
maniche della maglietta aderente e che serpeggiavano fino agli
avambracci muscolosi; era proprio il ragazzaccio perfetto. Non che
lei ne sapesse qualcosa, di ragazzacci. Si schiarì la gola. «Alla
grande e volevo anche cogliere l’occasione per ringraziarti per
avermi raccomandata per questo lavoro. Mi sento lusingata.»
Hank sorrise. «Ottimo, perché voglio lusingarti.»
Quei provocatori occhi scuri erano fiammeggianti e del tutto
focalizzati su di lei, e Callie non aveva la minima idea di come
comportarsi con quel tipo di attenzioni. «Ehm, ci sono un sacco di
persone che riceveranno questo trattamento, persone che non
avrebbero mai potuto farlo, se non fosse intervenuta la tua famiglia.»
Fece spallucce. «Allora ringrazia i miei genitori, io non sono così
premuroso. Ho semplicemente detto ai miei che non avrei mai
provato la S.E.F. se avessi dovuto trasferirmi a Baltimora.»
«A ogni modo, ho letto circa cinquemila pagine sulla
Stimolazione Elettrica Funzionale questo mese.»
«Cavolo, ragazza, mi dispiace.»
«È tutto okay, Hank. Devo ammettere che dopo la mia maratona
da nerd tra le riviste mediche, la S.E.F. suona davvero promettente.
Non è una cura miracolosa che ti guarisce nel giro di una notte,
naturalmente, ma i benefici a lungo termine sono davvero
interessanti.»
«Sono sicuro che non sia da buttare via, ma, in qualche modo,
ho accettato di passare sette ore a settimana in questo ospedale,
che è l’ultimo posto in cui vorrei passare del tempo. Quindi, dimmi,
dottoressa, tu come ci riesci?»
Sorrideva ancora, solo che il suo sorriso aveva abbandonato i
suoi occhi. Callie prese una sedia vicino al muro e la trascinò di
fronte a lui, sedendosi. «Prima di tutto, mi pagano per venire qui.
Questo aiuta.»
«Non posso darti torto.»
«A essere sinceri, non mi sento più come se lavorassi in un
ospedale, ultimamente. Questo è un programma di ricerca, non un
reparto con persone ammalate. In tutta onestà, è davvero divertente
parlare con gente in salute, tanto per cambiare. Sono tutti su una
sedia a rotelle come te, ma la maggior parte sta cercando di andare
avanti con la propria vita, e non li devo assillare perché prendano le
medicine, né chiamare degli specialisti.»
Hank rimase in silenzio per un minuto, il capo ripiegato di lato, un
muscolo che si muoveva nella sua mascella mascolina. Poteva
vederlo mentre cercava di decidere se condividere o meno ciò che
gli passava per la testa. Poi, il sorriso più bello gli incurvò le labbra,
raggiungendo perfino i suoi occhi. «Beh, se devo venire qui tre volte
a settimana, voglio essere certo di migliorare questo ambiente.»
Callie arrossì, doveva decisamente imparare a non farsi
sconvolgere da quell’uomo. «Vuoi dire, tipo, nuovi colori alle pareti?
E poster motivazionali?»
Gli occhi di Hank brillavano divertiti. «Già, esattamente ciò a cui
pensavo. Mi sento molto motivato.»
«Eccellente.» Abbassò gli occhi sul file che teneva tra le mani,
giusto per avere un posto neutro dove appoggiare lo sguardo.
«Allora, ci vediamo la prossima settimana. Tiny ti rimetterà in
forma.»
«Mi piace tenermi in forma da solo.»
Callie roteò gli occhi. «Ne ero sicura.»
Hank scoppiò a ridere, poi mosse una ruota della sua sedia. «Ci
si vede, dottoressa Callie.»
«Ci si vede,» gli fece eco, mentre usciva dalla porta. Non fissarlo,
si ricordò, distogliendo lo sguardo. Flirtare la faceva sentire nervosa.
Nel momento in cui quello sguardo di cioccolato si era posato su di
lei, le era quasi venuto un capogiro, ma quello era semplicemente il
modo di fare di Hank. Flirtava per togliersi dai guai e lei doveva
semplicemente imparare a controllare le proprie reazioni in sua
presenza.
SEI

I , Hank aveva le sue prime due sessioni di


terapia. Prima dovette fare un po’ di lavoro nella stanza S.E.F., dove
venne messo su una cyclette e collegato a degli elettrodi che
dovevano istruire le sue gambe a pedalare. Era stato inquietante e
sgradevole. Si era infilato gli auricolari nelle orecchie, alzando il
volume dei Red Hot Chili Peppers e abbassando ogni irrazionale
sentimento di speranza.
Dopo la S.E.F., ebbe una mezz’ora di pausa, si comprò del succo
di frutta al distributore fuori dagli spogliatoi e si cambiò, mettendosi
un costume da bagno. Di tutte le terapie a disposizione, l’acqua-
terapia sembrava quella più complicata e meno divertente.
Sfortunatamente, incontrare l’istruttore non gli fece cambiare
idea.
«Perfetto! Oggi lavoreremo sulla mobilità dell’anca.» L’istruttore
batté il pugno sul palmo della mano e gli fece cenno di entrare in
acqua.
Perfetto? Hank non ci trovava niente di perfetto. «Forza, dentro!»
Era un tizio scheletrico con capelli biondi e flosci, e indossava un
costume rosso. Sembrava quasi un bagnino sovreccitato, con una
voce così entusiasta che le orecchie di Hank gli facevano male solo
a sentirla.
Hank bevve un altro po’ di succo. «Metti che non lo facciamo, ma
diciamo a tutti che l’abbiamo fatto?» Non aveva voglia di nuotare, né
di essere appeso come un salame a un tapis roulant subacqueo.
Non pensava nemmeno che sarebbe riuscito a farsi venire la voglia
di muoversi.
Il tizio di Baywatch sospirò. «Se sprechi quest’ora di terapia,
dovrai poi fissare un altro appuntamento.»
Chi cazzo aveva dato il proprio consenso a questa stronzata?
Ah, già, lui stesso. Aveva permesso a sua madre di bullizzarlo fino a
che non aveva acconsentito. Tutti erano convinti che la famiglia
Lazarus fosse molto generosa, ma Hank vedeva le azioni dei propri
genitori per quello che erano in realtà. Erano dei manipolatori, dato
che il trattamento di altre quarantanove persone dipendeva dal fatto
che Hank entrasse in quella piscina o meno.
Dannazione, le sue gambe potevano essere fuori uso, ma questo
non significava che trovasse divertente donare il proprio corpo alla
scienza.
«Buongiorno.»
Hank si voltò automaticamente verso la voce allegra che
risuonava attraverso l’ingresso della piscina e, quando lo fece, fu
ricompensato dalla vista dell’adorabile dottoressa Callie. Quel giorno
indossava un paio di pantaloncini da corsa rosa shocking e un top
da ginnastica aderente e, cosa interessante, la sua faccia era tutta
arrossata, esattamente come pensava sarebbe stata dopo averla…
Digrignò i denti. Dunque quello era il giorno dedicato all’infliggersi
del male?
«Buongiorno,» rispose l’istruttore al suo capo. «Sei qui per
lavorare con noi?»
«No, ma sono appena stata stimolata elettronicamente,»
annunciò.
«Gesù,» mormorò Hank e si sentì già meglio, come succedeva
sempre quando lei era nei paraggi.
Callie si avvicinò e gli diede una scherzosa pacca sulla parte
superiore del braccio. «Tira la testa fuori dalla sabbia, Hazardous.»
Sorrise. «Hai permesso che ti attaccassero alla macchina di
Frankenstein?»
«Beh, ovvio. Non scriverò una relazione scientifica su una terapia
che non ho intenzione di provare. E poi non mi ha fatto male… è
stato solo inquietante guardare le mie gambe che spingevano sui
pedali della bicicletta senza che fossi io a dirglielo.»
«Benvenuta nel mio mondo,» disse finendo il succo. Ed era
davvero inquietante, ma doveva ammettere che la cyclette S.E.F. era
stata un allenamento cardio non male. «Non dovreste essere
entrambi in piscina, a quest’ora?» chiese Callie, guardando
l’istruttore.
«Niente mi renderebbe più felice,» rispose il signor Entusiasmo.
Hank grugnì. «Merda, non perdere tempo a sputtanarmi, eh?»
«Già, perché questa situazione è decisamente colpa mia,»
rispose lo stronzetto.
«Ragazzi, c’è qualche problema?» chiese lei, guardando prima
l’uno e poi l’altro.
Hank scosse la testa. «È solo che non mi piace che mi si forzi la
mano, tutto qui.»
«Aspetta un secondo,» Callie incrociò le braccia sul seno, cosa
che servì solamente a migliorare la visuale sulla sua scollatura. «Chi
pensi che ti stia forzando la mano, Hank? Sei qui per tua scelta.»
Come no? «Giusto, quindi me ne andrò di mia scelta.» Quelle
frasi scontrose non smettevano di uscirgli dalla bocca.
«E questo non ci lascia affatto nei pasticci.» Callie inclinò la testa
verso l’allenatore. «Jerry, puoi lasciarci un secondo?»
Dopo che il signor Entusiasmo se ne fu andato, Hank guardò
verso Callie, sentendosi intimidito.
«Che c’è?»
«Dimmelo tu.»
«È solo che oggi non me la sento, queste stronzate non mi
cambieranno.»
«Come puoi esserne sicuro?»
«Perché è così, okay? L’acqua-terapia non mi farà camminare.»
«Potresti avere ragione, ma perché dare per scontato che non ci
sia alcun beneficio?»
Non c’era modo per farglielo capire e litigare lo faceva sentire
come un piagnucolone. «La vita mi sta sballottando troppo, Callie, e
oggi non è proprio giornata.»
«Io non ti sto sballottando. Ora ascoltami bene, tu ti farai dei
muscoli e ridurrai gli spasmi. Sei un atleta, Hank, tra tutte le persone
qui presenti dovresti essere il primo a capire il valore di un
cambiamento, anche marginale. È la differenza tra il podio e il
quindicesimo posto.»
Dio, era intelligente, anche troppo. Tutto quello che diceva aveva
senso, tranne che per una parola: era, avrebbe voluto correggerla,
lui era stato un atleta, tempo passato.
Pensare a tutte quelle stronzate lo aveva solo fatto stancare.
«Nel frattempo, mentre aspettiamo il miracolo, vuoi che metta su una
bella faccia contenta e che mi esibisca come un criceto nella ruota.
Ho visto tutte quelle foto appese al muro in sala d’attesa, quelle con
gli slogan sulla forza di volontà e sulla determinazione.»
Callie sorrise lentamente. «Sono abbastanza terribili, non è vero?
La mia preferita è quella con il bambino che cammina: Un viaggio
lungo miglia inizia sempre dal primo passo.»
Hank sbuffò. «Perché quella con l’aquila? Hai le ali per spiccare il
volo?»
«Nessuno si aspetta che voli da una parte all’altra del Gran
Canyon, Hank, ma ho bisogno che tu scenda in quella dannata
piscina. Se sei così contrario a partecipare, perché mi hai
coinvolta?»
Bella domanda. Hank capì che aveva solo due scelte: poteva
continuare a discutere con Callie, cosa che l’avrebbe fatto sentire
solo peggio, o poteva arrendersi.
Era una scelta facile.
Si tolse di scatto la maglietta, tirandola oltre la testa e la buttò
nello zaino appeso allo schienale della sedia e, quando si voltò,
Callie lo stava guardando a occhi sgranati. A meno che non stesse
prendendo una clamorosa cantonata, una certa dottoressa carina
aveva un po’ di difficoltà a distogliere lo sguardo dal suo petto
tatuato.
Era un pensiero felice; non era ancora morto.
Hank spinse il proprio corpo giù dalla sedia, ruotò il torso e si
abbassò sul bordo della piscina con maggior grazia possibile. «Vuoi
sapere perché ti ho coinvolta in questa ricerca? Dai, siediti qui.»
Callie si tolse scarpe e calzini. «Sia chiaro, sono felice di avere
avuto la promozione, non fraintendermi.» Provò il bordo della piscina
per verificare che fosse asciutto, poi si sedette accanto a lui, con i
piedi nell’acqua.
«Penserai che sono una gran rottura di scatole,» disse Callie,
reclinandosi all’indietro sulle mani. Hank vide gli occhi della
dottoressa sfrecciare sui suoi addominali e poi di nuovo su e, mentre
la guardava, lei prese un cauto respiro e focalizzò il proprio sguardo
sulla sua faccia.
Trattenne un sorriso. «La mia famiglia mi ha convinto che questa
sperimentazione fosse una buona idea, ma alcuni giorni non mi va di
essere trattato come un topo da laboratorio.» Inclinò il viso per
guardarla. «Ma tu non mi fai mai sentire così, Callie. Tu parli a me,
non alla mia sedia a rotelle. L’ho notato la prima volta che sei entrata
nella mia camera d’ospedale.» Era tutto vero, ma doveva chiudere il
becco, quello era poco, ma sicuro.
Hank si chinò in avanti e saggiò l’acqua con la mano, anche se i
suoi piedi erano già immersi; ma loro non erano d’aiuto come un
tempo. «È calda, non è vero?» Poi, senza aspettare una risposta,
alzò il mento e si buttò in avanti, cadendo in acqua di faccia.
Quando riemerse, Callie stava scuotendo la testa, con un sorriso
stampato in volto. «I cartelli dicono che non ci si può tuffare,»
sottolineò.
Hank ruotò sulla schiena. «Non sono uno che segue le regole.»
«Sai perché mettono dei cartelli in cui si impediscono i tuffi,
vero?» Si abbassò in avanti, mise la punta delle dita nell’acqua e lo
schizzò.
Lui sghignazzò. «Non volete che qualcuno possa rompersi la
schiena.» A quel tentativo di humor nero, Callie poté solo allargare il
proprio sorriso. Dio, aveva proprio un sorriso bellissimo e i suoi occhi
danzavano ogni volta che lo prendeva in giro.
Hank ruotò su se stesso e iniziò a galleggiare. Era un movimento
difficile, senza l’aiuto delle gambe, ma che fosse dannato se avrebbe
indossato una di quelle cinture galleggianti che gli avevano chiesto
di mettere. Quelle erano per femminucce e, con qualcosa di molto
simile a una bracciata, nuotò in avanti, verso il bordo della piscina.
«Callie?»
«Sì?»
Invece di rispondere, si tese a prenderle le mani e la tirò giù. Con
un grido di sorpresa, Callie sprofondò nell’acqua calda vicino a lui.
Ne riemerse sputacchiando. «Che stronzo!» fu la prima cosa che
disse.
Lui scoppiò a ridere, galleggiandole davanti. «Non è un
linguaggio molto professionale.»
«Beh, cazzo.» Lo schizzò di nuovo, poi appoggiò i piedi sul
pavimento della piscina, l’acqua che le arrivava fino al collo.
Hank stava ancora galleggiando e Callie tese le mani verso di lui.
Forse era solo un gesto di riflesso da parte sua, ma si sarebbe
accontentato. Quando Callie afferrò gentilmente i suoi avambracci,
lasciò che il naturale galleggiamento facesse il resto del lavoro.
«Non era giusto che io dovessi entrare in piscina e tu no.»
«Prima di tutto, tu hai un costume.» La sua voce si affievolì e
sgranò gli occhi, come se all’improvviso fosse diventata consapevole
di quanto fossero vicini in quel momento.
«Questo è solo un dettaglio,» mormorò Hank, mentre gli occhi di
Callie gli ricordavano un gattino vivace e lui non voleva spaventarla.
«Grazie a Dio ho dei vestiti di ricambio nel mio ufficio,» disse,
leccandosi nervosamente le labbra.
«Grazie a Dio,» le fece eco lui e poi la tentazione fu troppo forte
per poter resistere ancora. Piegò i gomiti, facendo sì che il proprio
corpo fluttuasse verso di lei e, chiudendo la distanza tra di loro,
appoggiò le labbra sulle sue, in un solo, lentissimo, bacio. Lei
trattenne il fiato per la sorpresa, ma le sue labbra erano umide e
dolci.
Per una frazione di secondo, esitò, attendendo una sua reazione,
ma poi… che cazzo. Quanti mesi erano passati dall’ultima volta che
aveva baciato una bella ragazza? E quando era stata l’ultima volta
che aveva conosciuto qualcuno di incredibile come Callie? Forse
non aveva mai incontrato nessuno come lei, quindi presunse di non
aver letto male i segnali e, nel caso lei lo avesse rifiutato, ci avrebbe
fatto i conti a tempo debito.
Mormorò contro la sua bocca e la baciò di nuovo, indugiando un
po’ di più questa volta, le labbra una lenta carezza contro le sue e
proprio quando si era ormai convinto che non avrebbe risposto, sentì
la sua bocca rilassarsi e il suo viso inclinarsi per stargli più vicino.
Con un piccolo gemito impercettibile Callie si aprì a lui ed Hank la
strinse contro di sé, approfondendo il bacio. Tutte le frustrazioni di
quella mattina erano svanite, lasciando spazio al leggero scivolare
delle loro lingue e all’acqua calda che accarezzava i loro corpi. Era il
Paradiso.
Sfortunatamente, il cervello di Callie ritornò in funzione prima che
fosse pronto a lasciarla andare, perché la sentì irrigidirsi
leggermente e iniziò a staccarsi. Mordicchiò il suo labbro inferiore
prima che potesse scappare e ricevette un piccolo gemito in
risposta.
Eppure, terminò il bacio. «Qualcuno potrebbe vederci,» mormorò.
«Scusa,» rispose Hank in un soffio. «Ma tu mi piaci davvero.» Si
avvicinò fino a sfiorarle l’orecchio con le labbra. «Mi dispiace di
averti fatta bagnare, anche se vorrei farti bagnare ancora di più.»
Ne ebbe in risposta il rossore più profondo che avesse mai visto
dipingersi sul volto di una ragazza. «Dio, mi farai licenziare.» Lo
spinse indietro fino a una distanza di sicurezza.
Lui non aveva nessun rimorso, però. Baciarla era stato
bellissimo, anche se aveva dovuto lasciarla andare, dato che lei
l’aveva chiesto, così Hank nuotò fino al lato della piscina e si issò sul
bordo. Girando il torso, riuscì ad appoggiare il sedere sul bordo della
piscina. «Lascia che ti prenda un asciugamano,» disse, «è il minimo
che possa fare.» Si mosse indietro sulla propria sedia a rotelle,
sistemandosi fino a quando il suo sedere non fu a posto, poi
raggiunse gli asciugamani impilati nell’angolo, afferrandone tre.
Callie ne accettò volentieri due. «La porta del mio ufficio è a soli
quindici passi da qui, mi chiedo quanti colleghi incontrerò sulla mia
strada.» Uscì dalla piscina e si avvolse un asciugamano intorno al
corpo.
«La mia vita in una buona giornata,» disse Hank.
«Che vuoi dire?» Si strizzò via l’acqua dalla punta dei capelli ed
Hank cercò di non fissare il modo in cui il tessuto sottile dei suoi
pantaloncini da corsa le si era incollato al corpo.
Non avrebbe dovuto dirlo, perché ora doveva rispondere alla
domanda. «Ovunque vada, io sono quello sbagliato. Ruote al posto
dei piedi…»
Callie aggrottò la fronte ed Hank poteva vederla mentre cercava
di mettere insieme qualche sorta di argomentazione contro quella
logica, ma non voleva che la loro conversazione andasse in quella
direzione.
«Ascolta, se me lo permetti, vorrei vederti ancora.»
Quello la mise a tacere. Fu subito ricompensato da un sorriso,
che iniziò quasi subito a offuscarsi. «Non so se posso farlo, il codice
etico è un casino.»
«Tu non sei la mia dottoressa.»
«Vero, ma…» In quel momento le porte si aprirono e lei sussultò,
anche se non erano nemmeno vicini. Quella ragazza sarebbe stata
decisamente un osso duro; aveva un bel lavoraccio davanti a sé.
«Cos’è successo?» chiese l’istruttore. Merda. Hank era riuscito a
dimenticarsi della sua esistenza per dieci minuti buoni.
«È caduta,» disse.
La risata di Callie fu come musica. «Sono caduta quando tu mi
hai tirata dentro.»
L’allenatore rise un po’ troppo sguaiatamente, ma almeno lei non
era più imbarazzata.
«Amico, puoi prendere i suoi vestiti?» chiese Hank per liberarsi di
lui. «Sono nel suo ufficio.»
«La borsa è sulla mia sedia,» aggiunse lei in fretta. «Ti devo un
favore.»
«Nessun problema,» rispose l’istruttore, correndo fuori dalla sala
nelle sue scarpe da ginnastica di un bianco immacolato.
«Dico davvero,» continuò Hank mentre la porta si chiudeva.
«Lascia che ti prepari una cena.»
Si guardò al di sopra della spalla per controllare la porta, con
ancora quello sguardo da gattino smarrito. «Ne parliamo un’altra
volta,» disse.
«Certo,» concordò, anche se il fatto che avesse declinato così in
fretta non era il migliore dei segni, ma avrebbe escogitato qualcosa,
un modo per prenderla contropiede. Se fosse riuscito a trovare un
modo per passare del tempo con lei fuori dall’ospedale, sarebbe
stato ancora meglio.
Almeno adesso aveva qualcosa di divertente a cui pensare,
mentre nuotava con il signor Entusiasmo.

Il giorno successivo, dopo una sessione terapica, Hank si diresse


verso il proprio armadietto, dove trovò un foglio di carta appiccicato
con lo scotch. Sembrava essere uno di quegli svenevoli poster
motivazionali, aveva lo stesso bordo nero e lo stesso testo
drammatico. “MOTIVAZIONE”, si leggeva, sotto alla foto di un
arrampicatore sul picco di una montagna, il sole che sorgeva
luminoso dietro di lui. Sotto, in lettere più piccole, lesse: “Se una
fotografia e un motto allegro sono tutto ciò che ti serve per renderti
felice, allora forse hai un lavoro facile. Del tipo di quelli appaltati in
India.”
Hank staccò la fotografia dall’armadietto e sorrise a se stesso:
Callie stava flirtando con lui.
Il gioco era iniziato.
SETTE

N , Callie non riuscì a smettere di pensare al


bacio di Hank.
Camminava nella nebbia, semplicemente ricordando quei pochi
minuti di pura felicità. Se non fosse stato per l’acqua della piscina,
avrebbe potuto prendere fuoco tra le sue braccia. Non era mai stata
baciata da nessuno sexy la metà di quanto fosse Hank Lazarus,
dalle labbra peccaminosamente carnose, dalle ciglia scure e folte,
che avrebbero dovuto essere illegali in un uomo. In pratica
trasudava testosterone e sembrava avere quel perenne alone di
barba a dimostrarlo. E come baciava… non c’erano basi di
paragone.
In un momento di debolezza, gli aveva lasciato quel poster
satirico e, in tutta onestà, era sollevata che lui da allora non ne
avesse fatto parola; d’altronde, desiderarlo era sciocco. Prima di
tutto, non era uno che sembrava attratto da una dottoressa un po’
nerd come lei, secondo, era un paziente nel suo studio di ricerca, e
non riusciva a pensare a un bersaglio meno appropriato per il suo
desiderio.
Ma quelle spalle ampie e tatuate…
Merda, sarebbe finita con l’impazzire e la semplice possibilità che
lui fosse anche solo un po’ attratto da lei significava che non sarebbe
stata in grado di mettere da parte i suoi sentimenti, anche se sapeva
che avrebbe dovuto farlo.

Quando arrivò nuovamente la domenica, Callie era sola, come al


solito, ma almeno non stava lavorando. Aveva però una
commissione da sbrigare per conto di Willow, quindi si diresse verso
la fattoria dell’amica. Mentre percorreva il lungo vialetto, superò il
cartello IN VENDITA sul prato del giardino. Spense il motore davanti
al garage e uscì dalla macchina.
Prima, quando Willow ancora abitava lì, l’allegro chiocciare di un
paio di dozzine di galline l’aveva sempre salutata al suo arrivo, ma
erano state vendute ad altre fattorie quando la sua amica aveva
lasciato il Vermont e ora tutto era silenzioso in modo deprimente.
Si era offerta di passare per assicurarsi che niente di brutto fosse
accaduto da quando Willow e Dane erano stati lì l’ultima volta.
L’esterno sembrava a posto, così estrasse le chiavi dalla tasca ed
entrò in casa.
Dato che era una bella giornata di ottobre, lasciò la porta della
cucina aperta mentre lavorava; quella vecchia fattoria sembrava
avere bisogno di un ricambio d’aria fresca. La cucina era polverosa,
così Callie bagnò uno straccio e prese a strofinare le superfici.
Doveva ammettere che vedere quel posto così desolato la
rendeva triste. Lei e la sua amica avevano consumato infiniti pasti su
quel vecchio tavolo di legno, bevendo vino e lamentandosi della
mancanza di uomini disponibili nel Vermont. Adesso Willow se n’era
andata con il suo uomo e lei era ancora sola. Stava riponendo lo
straccio umido sulla maniglia del forno, quando dalla sua borsetta
uscì il bip del cerca-persone.
Nonostante non fosse più di turno, lo portava ancora con sé, dato
che il servizio di telefonia mobile poteva essere inaffidabile in quelle
zone. Il numero sul display era sconosciuto, il che significava che
probabilmente qualcuno la stava chiamando per errore, ma, lo
stesso, prese il telefono di casa e chiamò il numero, giusto per
essere sicuri. Quando rispose una voce maschile, disse: «Sono la
dottoressa Anders, chi mi ha cercata?»
«Dottoressa Anders, dove sei?»
Il suono caldo e ruvido della sua voce le fece saltare il cuore in
gola. «Hank?»
«Sissignora.»
«Oh,» rise. «Mia mamma è una “signora”, come hai avuto il
numero del mio cercapersone?»
«Piaccio molto alle infermiere dell’ospedale.»
Ma è naturale.
«Signorina,» riprovò di nuovo, «posso chiederti i tuoi programmi
per questo bel pomeriggio?»
Il battito del suo cuore raddoppiò all’idea che Hank volesse
vederla. «Beh… stavo solo controllando la vecchia casa di una mia
amica e stavo uscendo per raccogliere qualche mela.»
«Quindi dov’è questo Paradiso?»
«Sulla North Hill, perché? Vieni ad aiutarmi?»
«Adesso non posso fare a meno di pensare alla torta di mele.»
«Non sono un granché come pasticciera.»
«Non fa niente, dove devo venire?»
Prima che potesse trovare una scusa, Callie gli diede l’indirizzo.

Venti minuti dopo, osservò dal prato sul retro della casa la macchina
di Hank raggiungere la fine del vialetto ghiaioso della casa di Willow.
Quando aveva visto per la prima volta il coupé rosso-ciliegia nel
parcheggio dell’ospedale, aveva pensato che Hank fosse il solo al
mondo che potesse mettere comandi manuali personalizzati su una
Porsche, ma adesso che aveva imparato a conoscere alcuni dei
partecipanti alla ricerca, aveva compreso il proprio errore. C’erano
un sacco di persone al mondo interessate a guidare auto sportive
anche senza l’ausilio dei propri piedi. Gli uomini rimasti paralizzati
che entravano nel suo studio amavano parlare delle loro macchine,
esattamente come qualsiasi altro uomo al mondo. Si ritrovava ad
apprendere ripetutamente sempre la stessa lezione da quegli
uomini: a parte la loro sproporzionata forza nella parte superiore del
corpo, erano esattamente come tutti gli altri.
La portiera si aprì, ma ad Hank ci vollero un paio di minuti per
sistemare la propria sedia a rotelle e Callie dovette sopprimere il
desiderio di correre sul prato a salutarlo. Non aveva mai assemblato
una sedia a rotelle e non sarebbe stata di nessun aiuto e, al tempo
stesso, Hank non era proprio il tipo che voleva essere aiutato.
Attese fino a quando lui non iniziò ad avvicinarsi, poi scese dalla
scala a tre gradini che aveva trovato nella rimessa. Sfregò sui jeans
una delle mele che aveva raccolto e la morse; era così acida che le
raggrinzì le labbra.
«È buona?» chiese Hank con un grande sorriso stampato in
volto.
«Penso che siano mele da torta,» rispose.
Lui tese una mano, svelando una giungla di tatuaggi sulla parte
interna del suo braccio che andava dal polso fino all’interno della
manica della maglietta. «Fammi assaggiare.»
Gli porse la mela morsa e lui ne prese un boccone, e roteò gli
occhi per il piacere. «Wow, sono ottime.» Guardò tra i rami
dell’albero. «E la tua amica si è presa una buona cura di questo
posto. Guarda quelle potature come sono perfette.»
Callie si rese conto che era venuto il momento di menzionare la
loro amica in comune. «Hank, sei mai stato qui prima? Questa è la
casa di Willow, penso che tu la conosca.»
Alzò di scatto la testa. «Intendi Danger e Willow?»
Annuì. «È la mia migliore amica, questa è la sua fattoria. Stanno
cercando di venderla fin dallo scorso inverno.»
Il suo sguardo viaggiò verso le assi bianche della casa e poi di
nuovo su di lei. «Mi sembra di ricordare qualcosa del genere.» Diede
un altro morso alla mela e aggrottò la fronte.
Non rispose, sperando di non aver risvegliato nessun ricordo del
giorno dell’incidente. «Pare che ci sia qualcuno interessato
all’acquisto, quindi mi ha chiesto di passare a dare una rinfrescata.»
Hank scoppiò a ridere. «Cosa? Dane non poteva staccare un
pezzettino di una delle sue medaglie d’oro per pagare qualcuno per
fare i lavori di casa?»
«Mi fa piacere aiutarli.»
I suoi occhi scuri la guardarono intensamente. «Sto scherzando,
per alcune cose hai bisogno dell’aiuto di un amico, giusto?»
Non rispose subito, perché si era del tutto persa nell’incantesimo
dei suoi occhi di cioccolata. «Giusto,» rispose infine schiarendosi la
voce.
«…In più hai in cambio le mele. Quante ne hai prese?»
Ne mostrò circa una dozzina nel cestino.
«È un bel bottino, il che mi ricorda che dovrei davvero togliere
questo burro da sotto il sole.» Diede un colpetto allo zaino che
teneva in grembo.
«Burro?»
«Per la torta.»
Scoppiò a ridere. «Non si scherza con te, vero?»
«Callie,» disse con un sorriso, «puoi sempre scherzare con me.»
Il sorriso sexy sulle sue labbra carnose fu così affascinante che
Callie dovette sforzarsi di non cadergli in grembo. Aveva
mentalmente rivissuto il loro bacio così tante volte che le sue labbra
sembravano avere una forza magnetica su di lei. Sperava solo non
si fosse accorto che lo stava fissando.
In quel preciso momento, una mela cadde ai piedi di Callie con
un tonfo sordo, distraendola, e si piegò per raccoglierla. «Oddio,
guarda!» esclamò, girandola per mostrarla ad Hank. C’erano morsi
freschi e la polpa bianca della mela ancora luccicava.
Hank alzò gli occhi sull’albero e poi indicò uno scoiattolo grigio
seduto su un ramo direttamente sopra alle loro teste e, mentre Callie
lo fissava, cominciò a squittire in segno di protesta.
Scoppiò a ridere. «Penso che abbia appena detto, “Ehi, stronza,
quella è mia!”» Ripose la mela sull’erba e poi tornò a guardare lo
scoiattolo. «È tutta tua, ce ne stiamo andando.»
Callie gli fece strada fino alla cucina, ma gli ci vollero diversi tentativi
per salire il portico in pietra e la soglia di casa in legno. Le venne in
mente che, fino a quel momento, aveva osservato i partecipanti della
sua ricerca solo dai piani alti e strutturalmente accessibili
dell’ospedale; non si era mai soffermata a pensare che il resto del
Vermont non lo fosse altrettanto. Vivevano nella terra dei vecchi
stipiti e dei pavimenti scricchiolanti.
Hank le aveva raccontato che suo padre aveva fatto risistemare
la sua casa dopo l’incidente, ma, di certo, molti degli altri partecipanti
non erano stati altrettanto fortunati.
«Bel posto,» commentò, dando un’occhiata agli armadietti
bianchi della cucina e ai mobili imbottiti dall’altra parte della stanza.
«Vero? Ci siamo divertite così tanto in questa cucina. Willow,
ovviamente, cucinava, mentre il mio compito era quello di versare il
vino.»
«Qualcuno lo deve pur fare,» disse, poi indicò una mensola sul
vecchio camino. «Cos’è?»
«È un violino particolare. È carino, ma è davvero in pessimo
stato.»
«Posso vederlo?»
«Beh, certo.» Si avvicinò al camino e si mise in punta di piedi. La
vecchia scatola di pelle era coperta di polvere, così prese lo straccio
ancora umido che aveva usato prima e la ripulì. «Era già qui, quando
Willow è venuta ad abitarci e non aveva idea di che cosa poterci
fare.»
Gli porse la custodia e lui se l’appoggiò in grembo, poi, con
attenzione, fece scattare la serratura e aprì il coperchio: su una
sagoma di cartone era appoggiato un violino. Spostando del tutto il
coperchio, rimosse il vecchio strumento dalla scatola. «Accidenti, è
un violino di Hardanger. Guarda tutto questo lavoro d’intarsio.»
Passò un dito sui disegni incisi nel legno e, prendendo lo strumento,
lo avvicinò al viso, inclinandolo avanti e indietro, sbirciando nelle
effe, ed emise un grugnito. Pizzicò le corde una dopo l’altra con
l’unghia del pollice e, con l’attenzione di qualcuno che stava
disinnescando una bomba, iniziò a girare i perni d’accordo, sfiorando
ogni tanto le corde per provare se funzionassero. «L’archetto è
distrutto, che peccato.»
Hank appoggiò il violino sotto al mento e iniziò a suonare un
motivetto e le ci vollero un paio di secondi per identificare cosa
fosse. Stava suonando “Oh! Susanna”, non sentiva quella canzone
da quando era una bambina, quando era suo nonno a suonarla. Well
it rained all night, the day I left… (Ha piovuto tutta la notte, il giorno
che ti ho lasciato…)
Suonò solo per un paio di minuti, e quando smise, Callie lo stava
guardando a bocca aperta. «Wow, suoni il violino?»
«Tempo fa.» Fece spallucce e rimise a posto lo strumento.
«Pensi che Willow se la prenderebbe se lo portassi da un liutaio a
Montpelier perché gli dia un’occhiata? Penso sia antico.» Accarezzò
col pollice la cucitura della custodia in pelle.
«Prendilo pure, non se la prenderà di certo.»
Ripose il violino nella sacca sullo schienale della sedia a rotelle.
«Beh,» disse. «Dovremmo riscaldare il forno.» Si spinse verso il
forno della cucina e si mise a trafficare con il display digitale.
E così, dopo averla impressionata con le sue nascoste qualità
musicali, Hank si mise a cucinare dolci.
«Non abbiamo neanche un ingrediente,» obiettò subito.
«Ho portato farina, zucchero e burro,» rispose lui, estraendoli dal
suo zainetto. «Ma se ci fosse un po’ di sale e di cannella in
dispensa, il sapore ne guadagnerà.» Si mise al lato del lavello,
aprendo il rubinetto. «E avremmo bisogno di un po’ d’acqua fredda.
Riesci a rimediarmi una terrina da qualche parte?»
Callie aprì la dispensa e iniziò a controllare le spezie. «Frena,
frena, sto ancora cercando la cannella… trovata!» Sorrise tra sé e
sé, era da tempo che non passava un weekend così imprevedibile
come quello e anche se di lì a poco il fatto che sapeva a malapena
far bollire l’acqua non sarebbe stato più un segreto, era molto più
divertente che restare seduta sul divano nel suo appartamento con
una pila di articoli di ricerca medica in grembo.
Non appena ebbe trovato una ciotola e un coltello, Hank versò
una montagnola di farina e, subito dopo, iniziò a tagliarci dentro dei
pezzetti di burro.
«Non l’hai pesato,» gli fece notare Callie.
«È circa una tazza e mezza.»
«Okay…» Era di fronte a qualcosa di incredibile, un uomo
affascinante che sapeva cucinare una torta dal nulla? «Aspetta un
secondo, e la teglia?»
Fece spallucce. «Se non la troviamo, un foglio di carta forno
imburrato andrà più che bene. Questa sarà una torta di mele rustica.
Oh, e abbiamo anche bisogno di spianare l’impasto, se non abbiamo
un matterello, userò una bottiglia.»
Callie scoppiò a ridere. «Non sapevo che MacGyver preparasse
dolci.»
Hank si arrotolò le maniche e iniziò a impastare il burro con la
farina, mentre lei pelava e faceva a pezzi le mele, senza smettere di
adocchiare i suoi avambracci muscolosi mentre lavorava. Sentiva
caldo solo guardandolo, quindi distolse lo sguardo, concentrandosi
sulle mele che avrebbe dovuto pelare.
Non appena l’impasto fu pronto, Hank lo appiattì in un disco, poi
sparse della farina sul tavolo da lavoro di legno e con un matterello,
e circa dieci secondi di sforzi, ottenne una frolla di un bel giallo
burroso, che trasferì su un pezzo di carta forno. «Spargiamo un po’
di cannella e zucchero su quelle mele…» disse, prendendo la ciotola
dalle sue mani. «Ne hai pelate un sacco.» Con un’altra abbondante
spruzzata di ingredienti, dispose le mele aromatizzate al centro della
frolla, poi piegò i bordi formando un cordone di pasta.
«Wow,» mormorò Callie impressionata. «Che bella.» Scosse la
testa. «Sei come Willow, anche lei è una di quei ninja super-
competenti in tutto e il bello è che non fa altro che minimizzare le
sue capacità. ‘Oh, non so fare niente, ma aspetta che ti servo il pane
che ho cucinato con il grano che ho appena mietuto.’»
Hank sbuffò. «E io che mi sentivo un buono a nulla perché non
riesco a raggiungere il timer del forno.» Indicò un vecchio timer su
uno scaffale sopra al lavandino. «Puoi puntarlo a quarantacinque
minuti?»
Anche se si erano allontanati dal forno, Callie continuava a sentire
caldo. Si sedettero sul divano, dove era fin troppo consapevole della
loro vicinanza. Si schiarì la gola. «Mi piace il tuo poster
motivazionale,» disse. Il giorno precedente Callie aveva trovato una
foto della torre pendente di Pisa sulla porta del suo ufficio e la
didascalia recitava: “OBIETTIVO: È possibile che la tua vita debba
essere d’esempio per mettere in guardia quella degli altri.”
Hank le fece l’occhiolino e poi indicò il telecomando della
televisione. «Non credo tu sia una fan dei Patriot,» disse.
«Ammetto di non aver mai guardato una partita di mia spontanea
volontà,» ammise.
«Non c’è problema,» fece una smorfia allo schermo,
«ultimamente neanche i Patriot sono dei grandi esperti di football,
passiamo.» Cambiò canale. «Ehi, dato che è ottobre, per tutto il
mese trasmettono film dell’orrore. Danno Il Silenzio degli Innocenti,
un classico.»
Oh, merda. Callie non era una fan dei film dell’orrore e sullo
schermo Jodie Foster stava facendo un’espressione
spaventosamente intensa. «Non sono molto coraggiosa…» Lo
avvertì, cosa che lo fece solo ridere di più.
«Puoi tenerti stretta a me,» concesse Hank.
E la cosa non suonava poi così male.
Callie appoggiò i piedi sul tavolino da caffè e guardò Hannibal
Lecter camminare dentro alla gabbia che lo teneva prigioniero.
Aveva dimenticato questa parte, la spaventosa scena della fuga.
Alzò gli occhi verso la finestra della cucina e notò che il crepuscolo
sarebbe presto arrivato. La colonna sonora del film si alzò d’intensità
e, all’improvviso, Callie sviluppò l’esigenza di spegnere la
televisione. «Dico sul serio, non posso vedere questa roba. Willow
potrebbe non avere una torcia.»
«Per cosa?» chiese Hank, divertito.
«Più tardi, quando sarà buio, dovrò tornare alla mia macchina per
controllare i sedili dietro.»
La bocca di Hank si curvò in un grande sorriso sexy. «E cosa
faresti se fosse nascosto sotto alla tua macchina? Devi stare attenta
alle tue caviglie.»
«Hank!»
Lui reclinò la testa all’indietro e scoppiò a ridere, una delle sue
grandi mani sbucò dal nulla a coprire le sue, e Callie chiuse gli occhi
per apprezzarne il calore, mentre il pollice dell’uomo le accarezzava
il palmo.
Era molto meglio concentrarsi sulle dita di Hank che sul film.
Adesso le guardie di Hannibal stavano dando di matto e la
telecamera continuava a sostare sulle porte dell’ascensore. Callie
fece una smorfia, perché sapeva quello che sarebbe successo
dopo… quell’orrenda scena dell’ambulanza… «Okay, pausa!»
esclamò, afferrando il telecomando. Mise il film in pausa e gettò il
telecomando su una delle sedie.
«Fai troppo ridere,» disse Hank.
«Non dovremmo dare un’occhiata alla torta?»
Hank si grattò la testa. «Certo, fra circa venticinque minuti.»
«Scusa, ma i film dell’orrore non sono proprio il mio genere,»
disse, esalando un sospiro tremante.
Quando si voltò a guardarlo, i suoi occhi erano caldi e pieni di
divertimento.
«Aspetta… tu sei un dottore e non riesci a sopportare un po’ di
sangue sullo schermo?»
Callie si mise una mano davanti agli occhi. «Ma non c’è musica
inquietante in sottofondo al pronto soccorso.»
Pensava che l’avrebbe presa ancora in giro, ma Hank la sorprese
prendendola per un braccio e attirandola a sé. Colta alla sprovvista,
Callie si appoggiò al suo corpo con la mano libera, per paura di
cadergli addosso; si sentì esalare un’imbarazzante esclamazione di
sorpresa.
Lui si limitò a sorridere. «Ti faccio paura anche io?»
«Un po’,» ammise in un sussurro ed era vero. Anche in quel
momento l’intensità del suo sguardo di cioccolata la faceva sentire
accaldata e un po’ fuori controllo.
Hank abbassò la testa, sfiorando con le labbra il suo zigomo.
«Eppure sono così amichevole,» disse, il suo fiato caldo sul viso.
Subito dopo, quelle labbra carnose premettero un bacio umido
proprio sopra alla sua mascella e Callie prese a tremare. Scesero
poi lungo il collo, risalendo verso l’orecchio, lasciando una scia di
fuoco sulla pelle sensibile. «Baciami,» mormorò Hank con voce roca.
Le alzò il viso con una delle sue mani grandi e, finalmente, le loro
labbra si incontrarono. Le diede un paio di baci dolci, mentre col
pollice le accarezzava una guancia, poi, con un ruggito sensuale, la
sua lingua le invase la bocca, prendendo il controllo sul bacio.
Sì, ti prego.
Callie fece scorrere le proprie braccia intorno al corpo solido
dell’uomo, stringendolo come se ne andasse della propria vita. I baci
di Hank erano affamati, come se stesse morendo di fame e lei fosse
stata l’ultima fetta di torta di mele a disposizione; mentre con la
lingua sfiorava la sua, sentì il nervosismo irradiarle dal corpo e fare
pensieri razionali divenne difficile, con le loro bocche che facevano
appassionatamente l’amore.
Hank la strinse con fermezza, mentre i palmi delle sue mani le
bruciavano sulla schiena. Ancora una volta, le labbra dell’uomo
tracciarono una scia di fuoco dall’angolo della sua bocca fino al
collo, facendola sentire come se il suo intero corpo stesse andando
in fiamme. Sentì le dita di Hank scivolare sotto l’orlo della sua
maglietta, i suoi pollici che scatenavano brividi sul suo stomaco, il
tutto senza smettere di baciarla ovunque, le labbra a solleticarle il
viso, fin giù alla clavicola.
Prendendo coraggio, anche Callie fece scivolare le mani sotto
alla maglietta di Hank. Aveva desiderato toccare quel petto tatuato
fin dalla prima volta in cui l’aveva visto, ma quando le sue mani gli
raggiunsero la vita, lo sentì irrigidirsi e le sue labbra si fermarono
all’altezza del collo.
Ops! Si rese immediatamente conto dell’errore che aveva
commesso. Aveva appoggiato le mani proprio all’altezza della fascia
di giunzione, quella complicata zona dove la ferita di Hank aveva
creato un casino nelle sue terminazioni nervose. Chiunque avesse
subito una paralisi aveva un punto di ipersensibilità e lei, tra tutti,
avrebbe dovuto saperlo.
«Scusa,» disse in fretta, togliendo le mani e, cercando di
rimediare, gliele appoggiò sulla sua testa, passandole tra i suoi
capelli corti.
Lui gemette in approvazione, rilassando le braccia che la
stringevano e, con le mani, accarezzò la pelle nuda della sua
schiena.
Lo baciò ancora e quel piccolo incidente sembrò dimenticato.
Poi, con la sottile grazia di chi ha fatto molta pratica, Hank le
slacciò il reggiseno e, infilando una mano sotto alla seta soffice, con
il pollice le accarezzò un capezzolo gonfio. Fu allora che Callie si
sentì come una brace nel camino. Quelle dita erano come fiammiferi,
bastava che la sfiorassero perché si sentisse andare a fuoco. Poi
Hank le accarezzò il seno con entrambe le mani, continuando a
disseminare baci sul suo viso. Callie si rese conto che i bassi gemiti
che sentiva provenivano da lei. Era così persa nel momento e presa
dai baci di Hank, da non riconoscersi più.
Hank la fece distendere sul divano e appoggiò su di lei il peso del
suo corpo. Quanto tempo era passato da quando qualcuno l’aveva
sfiorata? Dio, un tempo ridicolmente lungo. In pratica, l’ultimo era
stato Nathan, eppure eccola lì, sdraiata su un divano, con l’uomo più
sexy che avesse mai conosciuto disteso su di lei.
Hank interruppe il bacio solo per farle passare la maglietta sopra
alla testa e per toglierle il reggiseno, gettando poi tutto sul
pavimento. Le prese poi il seno tra le mani e incominciò a baciarlo,
leccarlo e a succhiare i suoi capezzoli duri, fino a che non incominciò
a muovere il bacino senza nemmeno accorgersene.
Willow, indovina cosa ho fatto sul tuo divano? Callie riuscì a
trattenere la risata, ma non l’enorme sorriso che le spuntò in faccia.
«Fammi spazio, dolcezza,» disse lui con voce roca. Le circondò
la schiena con le braccia e con attenzione rotolarono entrambi di
lato, fino a trovarsi faccia a faccia. Era intrappolata contro lo
schienale del divano e non poteva immaginare posto migliore per
essere messa alle strette. Lui si fece più vicino, tracciando con due
dita un percorso dall’orecchio alla mascella. Poi la baciò ancora, con
labbra gonfie e umide, e Callie si lasciò andare contro quel solido
muro di muscoli, i vestiti che profumavano ancora di aria fresca ed
essenza di mela.
Con la mano libera, Hank accarezzò il suo torso nudo,
scendendo attraverso l’incavo dei suoi seni, fino allo stomaco. Callie
rabbrividì mentre le sfiorava l’ombelico e si avvicinava alla cintura
dei suoi jeans. Gemette, senza vergognarsi del segnale che stava
mandando. Le mani di Hank erano perfette su di lei e non c’era
motivo per fingere che non fosse così.
Lui la osservò con attenzione mentre armeggiava con il bottone
dei jeans, fino a quando quest’ultimo non si arrese, così da
permettergli di abbassare la zip. Callie sussultò quando lui le infilò
una mano nelle mutandine, lasciandosi dietro brividi al passaggio,
mentre le stuzzicava la pelle sotto all’ombelico con la punta delle
dita.
Callie voleva toccarlo, ma non sapeva come fare. La maglietta
che Hank stava ancora indossando era una sorta di barriera e lei
non aveva il coraggio di infilarci di nuovo le mani sotto, anche se
farlo avrebbe significato arrivare a quel petto magnifico. Abbassò il
viso, baciandolo sul collo, fin dove glielo permetteva lo scollo della
maglietta.
«Questi non ci servono,» ruggì Hank, togliendole i jeans.
Callie alzò i fianchi giusto in tempo per sentire il tessuto che
scivolava via. E così era rimasta nuda. La mano di Hank scese ad
accarezzarla tra le gambe, mentre lei cercava di respirare con la
lingua dell’uomo che le invadeva la bocca e le dita di lui premute
esattamente dove voleva che fossero. Col pollice Hank le accarezzò
il clitoride e lei quasi fece un salto sul divano. Non si era più sentita
così eccitata e fuori controllo da tantissimo tempo.
La dottoressa Callie non faceva queste cose, la dottoressa Callie
teneva addosso il camice e faceva i turni doppi e dove l’aveva
portata tutto quello? A un’infinita sequela di mesi passati in un letto
vuoto e a notti solitarie trascorse a criticare le inesattezze mediche
nelle repliche di Breaking Bad.
Mentre continuava a baciarla, Hank la penetrò con due dita.
Stava andando a fuoco, ma era così felice di abbandonarsi al volere
dell’uomo accanto a lei. Le dita di Hank si muovevano dentro e fuori
dal suo corpo, felice di essere risvegliato dopo mesi di solitudine. Si
strinse ancora di più a lui, desiderando di più, desiderando tutto, ma
Hank aveva ancora addosso troppi vestiti. Callie abbassò le mani e
gli slacciò il bottone dei jeans.
Se l’era immaginato o lui aveva avuto un attimo di esitazione?
Era vero che si stavano muovendo tremendamente in fretta, ma
ormai lei era già nuda e di certo lui non si sarebbe tirato indietro a
quel punto, giusto? Lo baciò più forte, in cerca di una risposta e
ricevette in cambio un gemito sensuale che fu la conferma di cui
aveva bisogno. Quel giorno non sarebbe stata la timida dottoressa
che aveva paura di fare la prima mossa. Appoggiò le labbra al suo
orecchio, perché anche la sua versione più coraggiosa non sarebbe
mai riuscita a dire quello che stava per dire ad alta voce,
guardandolo negli occhi. «Scopami, Hank,» mormorò, poi, con le
dita sulla linguetta della zip, e gli abbassò la cerniera.
E fu allora che tutto si fermò.
Prima Hank le bloccò la mano con la sua, poi si lasciò andare in
un lungo sospiro frustrato, infine si sedette. «No… no, non posso
farlo.»
«Cosa?» chiese esterrefatta. Era nuda come un verme, sdraiata
sul divano della sua amica, ansimante di desiderio e ora lui si stava
allontanando, prendendosi la testa tra le mani.
«Mi dispiace,» disse Hank guardando davanti a sé. «Mi dispiace
così tanto, non volevo che finisse così.»
Callie balbettò qualcosa, alla ricerca di parole. Che diavolo
voleva da lei? «Come siamo finiti con me nuda, se non volevi andare
fino in fondo?» La sua voce suonava stridula perfino alle sue
orecchie.
Con il viso ancora nascosto, Hank rimase in silenzio per un lungo
momento. «Le vecchie abitudini sono dure a morire,» mormorò
infine.
«Quindi…» Le girava la testa. «Non sono…» Non aveva
nemmeno una spiegazione. «Hai guardato la merce e hai deciso di
rimetterla sullo scaffale?»
«No. No, non è così.» La sua voce era dura, eppure continuava a
non guardarla ed era quasi una benedizione, perché sarebbe stato
difficile immaginare una scena più mortificante di quella che adesso
vedeva con i propri occhi. «Callie, mi dispiace.»
«Vattene,» disse, cercando i propri vestiti. Solo i suoi jeans erano
a portata di mano, con le mutande ancora incastrate e, con mani
tremanti, se li infilò a fatica.
Con la testa bassa, Hank si spostò sulla propria sedia, si chinò in
avanti per infilarsi le scarpe, poi si spinse verso l’uscita e, mentre lei
era alla ricerca del reggiseno, lui oltrepassò la vecchia porta della
fattoria dalla soglia irregolare. Riuscì a sentire un tonfo e
un’imprecazione, ma non c’era verso che uscisse con le tette al
vento per aiutarlo e, di certo, lui non avrebbe voluto il suo aiuto in
ogni caso.
Finalmente la porta si chiuse dietro di lui e, un momento dopo,
sentì il motore della macchina accendersi.
Callie ricadde sul divano e sospirò profondamente. Il suo battito
era ancora irregolare, ma cercò di mantenere la calma, fino a
quando non sentì il timer squillare, diversi minuti dopo. Il rumore
delle ruote della sua macchina sul vialetto era già cessato, quindi
alzarsi e andare a controllare il forno era un’azione sicura. Quando
aprì lo sportello, il profumo delle mele speziate e del burro arrivò alle
sue narici. Mise i guanti da forno ed estrasse la teglia,
appoggiandola sulla stufa perché si raffreddasse.
La torta era cotta alla perfezione, calda e bollente, e la vista di ciò
che avevano creato insieme le fece pizzicare gli occhi.

Con le dita che stringevano così forte il volante che le nocche gli
erano diventate bianche, Hank alzò il volume dello stereo, ma
nemmeno la musica dei Citizen Cope riusciva ad attutire il rumore
che aveva in testa. Era stato uno stupido e ora i suoi errori gli
stavano dilaniando lo stomaco. Avrebbe dovuto saperlo, solo che lei
gli piaceva così tanto e questa cosa gli aveva dato una speranza. E
la speranza era una stronza malvagia, la speranza lo aveva condotto
per quella strada e gli aveva sussurrato solo menzogne all’orecchio.
La bugia era semplice. In un certo senso, era vero che poteva
ancora far godere una donna, perché in un universo alternativo,
aveva immaginato le cosce di Callie spalancate davanti a lui e la sua
lingua che lambiva il suo clitoride fino a farle gridare il suo nome e,
con un po’ di fortuna, avrebbe potuto andare così davvero. Almeno
quel giorno.
Con Callie, aveva sempre voluto prendere le cose con calma e
per niente al mondo avrebbe dovuto spogliarla. Era stata proprio la
cosa più sbagliata da fare, ma cazzo, lei era stata così arrendevole,
con quel corpo liscio che si tendeva verso di lui, che si apriva a lui.
Se solo avesse preso le cose con calma, avrebbe potuto essere
ancora lì con lei, a farsi torturare la bocca da quella lingua dolce e da
quelle labbra affamate.
Ma non era andata così ed era stato uno stupido a pensare che
lei lo volesse tanto quanto lui voleva lei. Gli aveva chiesto l’unica
cosa che non poteva darle facilmente e nel momento in cui aveva
parlato, facendo quella richiesta di due sole parole, che nella sua
vita precedente aveva accettato un’infinità di volte, aveva saputo con
certezza che la festa era finita.
E poi era andato in panico. La realizzazione che lei stesse per
appoggiare la mano sul suo corpo inutile… Lo sconforto di quella
situazione lo aveva colpito duramente, perché, chi voleva prendere
in giro? Prima o poi i nodi sarebbero venuti al pettine.
O, forse, non sarebbero venuti, che in realtà era il nocciolo del
problema. Anche se non fosse andato troppo oltre con lei sul divano,
avrebbe solo rimandato quell’imbarazzante conversazione e
l’inevitabile delusione.
No, per quanto doloroso, quello era stato comunque meglio. Se
avesse preso le cose con calma, avrebbe passato più tempo in sua
compagnia, fingendo di avere ancora una vita felice e avrebbe
evitato di metterla in imbarazzo. Ma sarebbe pur sempre stata una
finzione. Le parole che le erano uscite di bocca vibravano ancora
nell’aria, da quando l’aveva abbandonata. Lei era apparsa inorridita
e umiliata e l’espressione del suo viso lo avrebbe perseguitato per
molto tempo.
Hank abbassò i comandi manuali, conducendo l’auto lungo una
serie di curve sulla vecchia strada, ma il ricordo del suo viso, la
delusione e il dolore, non volevano scomparire. Hank rallentò la
velocità e ammise con se stesso la verità: baciarla era stato un
enorme errore.
Non poteva essere l’uomo che lei desiderava. Quel ragazzo si
era spezzato la schiena sull’half-pipe ed era sparito, e tutto ciò che
ne era rimasto era un uomo distrutto, che voleva ancora una donna,
ma che non sarebbe riuscito a rispettare la propria parte dell’accordo
sotto le lenzuola. E qual era la conclusione? Che non gli rimaneva
altro che restare da solo a giocare ai videogame e a bere birra, nel
suo decadente appartamento da scapolo. E la cosa più assurda era
che non gli mancavano solo il sesso o scopare qualcuna a caso, ma
anche la possibilità di trovare qualcuna che fosse veramente
speciale.
Premette sull’acceleratore. Guidare veloce spesso era una
consolazione, ma quel giorno non sembrava funzionare. Merda.
Anche la cazzo di strada stava diventando sfocata, quindi si fermò
sul ciglio della strada. Abbassò il finestrino, sperando che l’aria
fresca di ottobre e la bellezza del cielo che si stava scurendo lo
avrebbero aiutato a calmarsi. Tre mucche dall’altra parte della strada
guardarono nella sua direzione, per poi ritornare a ruminare.
Hank spense il motore e il silenzio fu totale. Perfino i grilli
avevano smesso di cantare per quell’anno e, a parte il suo respiro
solitario, la quiete gli echeggiava nelle orecchie. Avrebbe fatto
meglio ad abituarsi a quell’unico rumore.
La sola cosa che poteva alleviare un po’ di quel bruciore,
sarebbe stata una bottiglia di whiskey Macallan, invecchiato diciotto
anni, ma anche quello comportava dei rischi. Se fosse finito di nuovo
in ospedale, sarebbe riuscito a rendersi ridicolo davanti a Callie due
volte nello stesso giorno.
Dannazione, era tutto così sbagliato e niente al mondo sarebbe
mai riuscito a sistemare di nuovo le cose.
OTTO

I successivo era lunedì e Callie doveva per forza


presentarsi al lavoro, ma la sua mortificazione non era ancora
svanita. Un’intera confezione di gelato non era bastata a cancellare
l’umiliazione inferta da Hank. Era rimasta sdraiata per metà della
notte, rivivendo quello che era accaduto, cercando di immaginare
l’orrore di incontrarlo all’ospedale quella settimana.
A migliorare le cose, aveva passato un’ora o due a prendersi a
calci per aver (quasi) fatto sesso con uno dei partecipanti alla sua
ricerca. In termini strettamente tecnici, non avevano una relazione
dottore/paziente, eppure ci doveva essere una regola contro cose
del genere in qualche manuale; da qualche parte.
Quando inevitabilmente arrivarono le nove, Callie fece ciò che
avrebbe fatto qualsiasi donna con un briciolo di dignità: si nascose
da lui nel proprio ufficio. Certo, prima o poi avrebbe dovuto
affrontarlo. Un giorno avrebbe dovuto farsi forza e offrirgli un sorriso
nel corridoio dell’ospedale o fargli un cenno con la mano nel
parcheggio, ma il suo rifiuto era ancora troppo doloroso e fresco
nella sua mente, quindi, dopo aver controllato la scheda delle terapie
come una stalker, si trincerò dietro la propria scrivania alle nove e
quaranta, così che, anche se lui fosse arrivato con venti minuti
d’anticipo rispetto alla sua sessione delle dieci, non si sarebbero
incontrati.
Si loggò al computer, mettendosi al lavoro inserendo dati dello
studio in un foglio di calcolo. Pochi minuti dopo le dieci iniziò a
rilassarsi, ma poi qualcuno bussò alla porta e cercò di darsi un tono.
«Avanti.»
Le porte si aprirono ed Hank si spinse dentro.
Accidenti.
Lui oltrepassò la porta e si girò verso la sua scrivania con
un’espressione illeggibile.
Callie cercò di prendere tempo, fissando per un po’ la cartelletta
sulla scrivania, ma poi si obbligò ad alzare gli occhi verso i suoi e
tutto il calore che aveva provato il giorno precedente minacciò di
riaffiorare. Era passato troppo poco tempo da quando aveva avvolto
le proprie braccia intorno a quelle ampie spalle, da quando quelle
meravigliose labbra avevano venerato il suo collo e le sue spalle.
Ringraziò Dio per la scrivania che fungeva da barriera tra loro due,
poiché tutto ciò che provava per lui era ancora troppo vivido per un
incontro troppo ravvicinato.
Hank prese un respiro che sembrò quasi fargli male. «Sono
venuto a dirti che mi dispiace di essere stato uno stronzo. Spero che
possiamo ancora essere amici.»
Doveva dargli credito per il coraggio, non doveva essere stato
semplice bussare alla porta del suo ufficio quella mattina. Ma…
amici? Quale donna non temeva quella parola? Non riusciva a
pensare letteralmente a nulla e c’era solo una minima possibilità che
fosse riuscita a non far trasparire la delusione dal suo viso. Nelle
ultime sedici ore si era torturata, chiedendosi cosa avesse fatto di
sbagliato. Hank l’aveva baciata disperatamente e poi si era
praticamente catapultato fuori dalla stanza.
La cosa peggiore era che aveva davvero detto “Scopami, Hank”.
Quelle parole le erano uscite dalla bocca per la prima volta nella sua
vita. Aveva completamente abbassato le difese e quello era stato il
momento in cui tutto era andato a rotoli. Ogni volta che ricordava
quelle parole, si sentiva la nausea salire come se avesse dovuto
vomitare da un momento all’altro.
«Callie.»
Alzò il viso per guardarlo e un silenzio imbarazzante calò nella
piccola stanza. Era il suo turno di dire qualcosa e si ritrovò a non
sapere che dire.
Una scarpa scricchiolò sulla soglia, cogliendola di sorpresa.
Indirizzò lo sguardo verso la porta aperta, che in quel momento
incorniciava la figura di Nathan.
Maledizione, maledizione, maledizione! Quanto ancora poteva
peggiorare la sua mattina, più che trovarsi entrambi i suoi disastri
romantici nel suo ufficio?
Senza rendersi conto del suo disagio, Nathan entrò reggendo in
mano un piattino di carta. «Buongiorno, Callie, questa torta è uno
spettacolo, l’hai fatta tu?»
E ora era del tutto mortificata.
Si schiarì la voce. «Sai perfettamente che non so cucinare,
Nathan, e sono anche piuttosto occupata al momento…»
Ne mangiò un altro pezzo. «Speravo potessi coprirmi domani
sera.»
«Domani?» Esitò, l’unica cosa positiva dell’intrusione di Nathan
era che la stava aiutando a prendere tempo, perché non aveva
ancora la minima idea di ciò che avrebbe detto ad Hank. «È la terza
volta questa settimana che mi chiedi di coprirti.»
Fece spallucce. «Il tuo nuovo super-lavoro ci lascia tutti nei
pasticci, inoltre è martedì sera, non ti sto chiedendo di coprirmi la
notte di Capodanno, dolcezza.»
La sua pressione salì alle stelle, le implicazioni di quella battuta
erano ovvie. Cosa se ne faceva lei delle serate libere? «Dimmi che
devi fare.»
«In che senso, cosa devo fare?»
«Dimmi almeno che non ti copro solo perché tu possa guardare
qualche stupido programma in TV.» Conosceva tutti i suoi scheletri
nell’armadio e non aveva nessun rimorso nel farglieli presenti, se era
necessario.
A quelle parole, Hank sghignazzò e Nathan si voltò, abbassando
lo sguardo verso la porta mezza aperta, vedendolo per la prima
volta. «Oh, scusa,» disse, infilzando un altro pezzo di torta. «Non ti
avevo visto laggiù.»
Le scuse di Nathan non potevano suonare più sdegnose e Callie
se ne vergognò. Negli ultimi tempi era diventata molto suscettibile
alle cose stupide che la gente spesso diceva ai pazienti su sedia a
rotelle. Questa era la sua vita, adesso. Una serie di imbarazzanti
momenti infilati tra lunghi turni in camice da laboratorio.
Nathan continuò, menefreghista come sempre. «Dato che me
l’hai chiesto, io e Shelli andremo al Somerset Inn ad assaggiare
antipasti per il ricevimento di nozze.»
Naturalmente. Nathan non le avrebbe dato quell’informazione, se
non fosse stata lei a chiederlo. Ben fatto, Callie. Cercò di ingoiare il
nodo alla gola.
«Allora? Mi copri?» insistette.
L’infelicità la rese coraggiosa. «Farò il tuo turno se mi monti le
gomme da neve sulla macchina.» Sapevano entrambi quanto
odiasse andare dal gommista; i meccanici erano lenti e la trattavano
sempre come se fosse una stupida donnetta.
Nathan la guardò incredulo. «Mi prendi in giro?»
«Prendere o lasciare.»
Mangiò l’ultimo boccone di torta di mele. «Va bene,» disse
masticando. «Altre due ore della mia vita che non riavrò indietro.»
«Anche il mio tempo conta, per la cronaca.»
«Sì, ma tu avrai gli straordinari…» Aggrottò la fronte. «Lascia
perdere, hai vinto.» Fece per andarsene. «Posso avere un’altra fetta
di torta?»
«Serviti pure,» sbottò. Finalmente Nathan levò il disturbo e Callie
abbassò la testa, sconfitta. «Mi dispiace che tu abbia dovuto sentire
tutto questo,» disse dopo un secondo.
Hank chiuse la porta. «Hai appena convinto quel dottore a
cambiarti le gomme?»
Si premette la fronte sulla mano. «Non lo farà esattamente con le
sue mani, la sua manicure è salva.» La pignoleria di Nathan era
sempre stata a un passo dall’essere un’ossessione.
«Quindi la torta di mele era buona, eh?»
Buona era dire poco. Da sola, nella cucina di Willow, ne aveva
mangiato una fetta mentre il dolce era ancora caldo ed era stato un
momento di felicità… la crosta friabile, le mele acide e speziate.
Quella mattina aveva portato ciò che restava della torta nella stanza
relax dell’ospedale, perché guardarla le faceva venire voglia di
piangere. Callie prese un respiro lento e profondo. «Non ci riesco…
perché vuoi parlare di questo?»
«Me ne sono dimenticato, okay?» La sua voce era ruvida come
ghiaia. «Per un paio d’ore, mi sono dimenticato che sono uno
stronzo a pezzi. Non dovevo spingermi a tanto, non mi sarei
neanche dovuto avvicinare, anzi, avrei dovuto dirti: “scappa, finché
sei in tempo”.»
La durezza delle sue parole aveva in qualche modo bloccato
l’infinito circolo di delusione che le girava in testa e, nel silenzio che
era calato tra di loro, alzò lo sguardo per studiare il suo volto
addolorato. Durante la sua abbuffata di gelato, la notte precedente,
si era chiesta se Hank fosse scappato da lei per ansia da
prestazione e, anche se lui ora lo aveva accennato, lei non ne era
ancora del tutto sicura, perché si era già convinta che,
semplicemente, un uomo del suo calibro non volesse una come lei.
«Hank,» disse sommessamente, «tu non sei a pezzi.»
Rise amaramente. «Hai ragione, come al solito, perché “a pezzi”
lascia pensare che la parte del corpo in questione possa essere
ingessata e risistemata, ma per come stanno le cose…» Si schiarì
nuovamente la gola. «Non stanno. Non ho niente da offrire, né a te
né a nessun’altra donna.»
A quelle parole Callie sentì una stretta allo stomaco. Nelle
molteplici ricerche che aveva raccolto in merito alla paralisi, un paio
di articoli riguardavano anche la vita sessuale del paziente dopo una
lesione alla spina dorsale. Non li aveva ancora letti, ma la sua
assoluta mancanza di vita sociale le lasciava pensare che lo
avrebbe fatto presto. «Hank, tu… scommetto che… le cose non
sono così negative come le fai sembrare. Magari sei solo un po’
troppo ansioso.»
Lui la guardò malissimo. «Sono solo realistico. Non posso essere
il tuo ragazzo, o quello di nessun’altra. Non c’è da meravigliarsi che
a volte io finisca dalla parte sbagliata di una bottiglia di tequila.»
Lo sguardo sul suo viso era così cauto, così vulnerabile, che
avrebbe dovuto stare molto attenta alle parole che avrebbe
pronunciato. Quegli occhi scuri non volevano incontrare i suoi in
nessun modo.
«Hank, ascoltami, te lo dico da amica e in qualità di medico
professionista abbastanza ben informato. Per la tua sanità mentale,
devi farti visitare da un urologo, perché un giorno o l’altro incontrerai
qualcuno che ti farà venir voglia di averlo fatto.»
«Incontrare qualcuno? Ma tu… io…» Si massaggiò le tempie,
come se fossero doloranti. «Non ha senso. Perché partecipare a una
gara, sapendo di non poter tagliare il traguardo?»
Rimase sbalordita da quella risposta. Poteva essere davvero così
che gli uomini pensavano al sesso? «Perché non è una gara, Hank.»
E adesso era tutto un casino senza speranza. Le aveva appena
rivelato di essere preoccupato per motivi medici, eppure, a causa di
quello che era successo sul divano di Willow, lei era decisamente la
persona meno adatta per dargli un consiglio.
Callie afferrò l’elenco dell’ospedale dalla scrivania, lo aprì alla
pagina del dipartimento di urologia e la spinse verso di lui. «Okay, se
vuoi non parleremo mai più di ieri sera, ma per il tuo bene chiama
questa gente. Ti diranno che chiunque, con una ferita alla spina
dorsale, può avere un’appagante vita amorosa e sessuale, solo un
po’ diversa da quella che avevi prima.»
«Gesù.» Hank le strappò l’elenco dalle mani e lo gettò
nuovamente sulla sua scrivania. «Callie, tu non mi stai ascoltando. E
ti stai sentendo? Ci sono un’infinità di variabili al discorso “modifica
le tue aspettative”, non è così?» Sbottò con il viso in fiamme e gli
occhi lampeggianti. «Sono stufo di gente che tenta di vendermi la
mia nuova vita di merda, che mi dice quanto in realtà sia fantastica.
È la mia vita e se mi va, posso odiarla.»
Callie sentì uno sgradito pizzicore agli occhi. «Allora fallo. Quella
è la porta!»
Impallidì. «Non sono venuto qui per gridarti in faccia, sono venuto
per chiederti scusa per averti messa in una posizione difficile.»
Si sentì la gola chiusa. «Bene, lo hai fatto. Adesso vai, sei in
ritardo di venti minuti con la tua sessione.»
Lanciandole un ultimo sguardo triste, aprì la porta dell’ufficio e si
spinse fuori.
In una scala dove zero era un pessimo risultato e dieci la
perfezione, lo stato d’animo di Callie, nei dieci giorni successivi
raggiungeva approssimativamente il meno trecento.
Quando non era all’ospedale, riempiva il proprio tempo libero con
programmi scadenti alla televisione, gelato e articoli medici. Si
sorprese nello scoprire che era stata fatta pochissima ricerca
riguardante il sesso su pazienti con una ferita spinale e nelle pagine
dove le riviste accademiche si erano degnate di affrontare
l’argomento, il centro del problema era principalmente la fertilità. Le
minime informazioni che aveva trovato suggerivano che i pazienti
avessero risultati tanto vari quanto le loro ferite, e a fronte di alcune
storie tristi, ce n’erano altre in cui quadriplegici avevano generato
figli nella vecchia maniera.
Il risultato più deprimente delle sue elucubrazioni fu rendersi
conto che non c’era un modo etico per aiutare Hank. Lui aveva
bisogno di un aiuto, ma il fatto di aver lasciato che lui la spogliasse
significava che era l’unica nello staff dell’ospedale che non poteva
offrirgli un consiglio.
Aveva combinato un gran casino e adesso si sarebbero evitati
nei corridoi dell’ospedale, come una coppia di adolescenti arrabbiati.
Era tutto così triste, e il ricordo del dolore negli occhi di Hank pesava
su di lei come un macigno. Non poteva fare a meno di ripensare alla
prima volta in cui l’aveva visto. Sesso su uno snowboard, aveva
pensato all’epoca. Ora lui era in guerra con se stesso e sembrava
non ci fosse niente che potesse fare per aiutarlo.
Si chiese quale fosse la cosa peggiore: essersi sentiti sexy per
poi perdere tutto o non essersi sentiti sexy, mai nemmeno una volta?
NOVE

I pomeriggio di metà ottobre, Hank aveva fatto una


sessione sulla bicicletta S.E.F., seguita da un’ora con Tiny nell’aula
di fisioterapia. Quel gigante dal nome sbagliato aveva lavorato su di
lui come un cavallo da tiro, mettendolo in un’imbracatura attaccata
alle barre parallele e forzandolo a far ciondolare la parte inferiore del
proprio corpo in una strana parodia del camminare. Prima che la
sessione finisse, le sue braccia e le sue spalle stavano tremando.
«Bravo così, ragazzo,» diceva Tiny ogni volta che Hank
guadagnava qualche centimetro sul tappeto, ma lui non sentiva più
la colonna sonora di Rocky in testa. Sapeva che avrebbe dovuto
essere entusiasta di stare in piedi e di riuscire a muovere il proprio
corpo, ma i suoi progressi si erano stabilizzati. Adesso la fisioterapia
era il suo lavoro a tempo pieno e tutto ciò che otteneva era un
movimento spastico di circa due metri, imbragato e sostenuto per
tutto il tempo come una trave d’acciaio che penzolava da una gru.
Alla fine della sessione, mentre spingeva il suo corpo esausto
nello spogliatoio maschile, Hank sentì delle voci dietro la porta
chiusa che portava alla piscina. Erano da poco passate le sei e le
sessioni del giorno erano terminate, ma sentì delle risate e si ritrovò
a spingere la sedia a rotelle verso la porta per vedere chi ci fosse in
piscina. Aprì la porta e le risate si spensero, mentre tre teste si
girarono per guardarlo dalla grande vasca calda nell’angolo.
«Tranquilli, ragazzi, non sono le autorità,» disse uno dei tre
uomini, che si era presentato come Big Mike. «Entra, Lazarus e
chiudi la porta.»
Hank si avvicinò al bordo della piscina. «È qui la festa?» Dato
che di solito lasciava l’ospedale dopo la fine delle sue sedute, non
conosceva molto bene quei ragazzi, ma era abbastanza sicuro che
fossero tutti veterani della guerra in Iraq.
«Ci troviamo qui qualche volta al venerdì,» disse un altro tizio,
che a Hank pareva di ricordare si chiamasse Dave. «Salta dentro.»
Hank si fissò i pantaloni da ginnastica. «Sembra divertente, ma
non ho un costume. Non avevo la sessione in piscina oggi.» E anche
se avesse avuto un costume, ci avrebbe messo circa un anno a
cambiarsi; era così stanco di tutti gli sforzi extra che quella
situazione richiedeva.
Big Mike fece spallucce. «Chi se ne frega del costume;
promettiamo di non sbirciare il tuo culo peloso.»
«Faccio spazio,» aggiunse Dave, spostandosi lungo la panchina
per cedergli il posto. «Mi piace fare piedino a Evan.»
«Fai pure,» rispose il terzo ragazzo. «Tanto non me ne
accorgerei nemmeno.» La battuta fece ridere i suoi amici e Big Mike
gli batté il cinque.
Hank rimase fermo ad ascoltare il rilassante gorgoglio e lo
sciabordio dell’acqua, e gli sembrava che il vapore lo stesse
chiamando. In fin dei conti, nella sua vita precedente aveva fatto il
bagno nudo praticamente in ogni resort sciistico degli Stati Uniti
dell’ovest. Spogliarsi non era mai stato qualcosa che lo metteva in
difficoltà. Cosa era cambiato, dunque?
Beh, praticamente tutto.
«Va bene, cazzo,» si sentì dire.
Il terzo ragazzo, Evan, prese un asciugamano che aveva piegato
dietro alla nuca e lo gettò ad Hank. «Grazie, amico,» gli rispose
questi, mettendoselo in grembo, mentre strisciava fuori dai suoi
pantaloni. Con l’asciugamano che gli copriva l’inguine, si trasferì a
lato della vasca, poi immerse una gamba dopo l’altra nell’acqua
calda. L’ultima cosa che fece fu sollevarsi, lasciando entrare il
proprio corpo nell’acqua che gorgogliava.
«Ah, sì,» sospirò, mentre il caldo lo avviluppava.
«Esatto,» disse Big Mike. «Ecco perché ci intrufoliamo qui prima
dell’happy hour, non spifferarlo in giro.»
Hank piegò la testa all’indietro e sospirò. «Io stesso non seguo
molto le regole.»
«Non sembri il tipo,» rise qualcuno.
«Senti, te lo devo chiedere,» disse Big Mike, ed Hank non aveva
la minima idea di quale domanda gli stesse per fare. «Quali comandi
manuali hai messo su quella Panamera Turbo?»
Oh, beh, quella era una domanda semplice. «Abbiamo scelto il
comando Menox, ne sono molto soddisfatto.»
«Quella macchina è un gioiellino, amico.»
Hank sorrise. «Ho sempre guidato un vecchio SUV a quattro
ruote motrici, ma i miei me l’hanno comprata dopo… sapete, no?» Si
schiarì la voce. «Dopo la mia crisi di mezz’età.»
Big Mike sgranò gli occhi. «Accidenti, ne è valsa quasi la pena.»
Hank scoppiò a ridere per la prima volta dopo giorni. «Se lo dici
tu, amico.»
Poi Big Mike iniziò a discutere dei pro e i contro dei differenti
sistemi di controllo manuale ed Hank sentì come se la tensione della
settimana precedente abbandonasse il suo corpo. Non era
propriamente alla ricerca di nuovi amici, ma starsene seduto lì era
molto meno deprimente che tornarsene in una casa vuota a
mangiare cibo riscaldato davanti alla televisione.
Si passò dell’acqua calda sul collo sudato e lasciò scorrere la
discussione, esattamente come scorreva l’acqua della vasca.
«Mi hanno detto che dovrei pensare a farmi mettere la pompa,»
disse Dave.
«Ah, Cristo,» rispose l’amico.
Ci fu un breve silenzio, rotto da Hank, che chiese: «Cos’è una
pompa?»
Big Mike lo guardò. «Se non lo sai, sei dannatamente fortunato.»
Fortunato, ecco ancora quella parola, che però nella bocca di
quei ragazzi non suonava così male.
«È un meccanismo inserito sottopelle,» spiegò Dave, roteando il
collo. «Dovrebbe fermare gli spasmi.»
Big Mike si limitò a scuotere la testa. «Le mie gambe dovrebbero
ballare la Macarena per tutta la notte, per farmi anche solo pensare
di mettermi quella roba. Kowalsky se l’è messa e adesso non riesce
più a farselo rizzare.»
«È quello che ha detto anche a me,» disse Dave cupamente.
«Ma quando io e Jenny ci diamo da fare, per la metà delle volte
sono troppo agitato per finire.»
«Almeno hai sempre l’altra metà delle volte,» gli suggerì l’amico.
«Se ti fai mettere la pompa, potresti non avere nemmeno quelle.»
Hank si sciacquò il viso con una mano piena d’acqua per
nascondere la propria sorpresa, e cercò di ricordare se avesse mai
sentito un ragazzo ammettere di avere un problema con il sesso,
prima. «Adesso abbiamo davvero bisogno di una bella birra,» disse.
«Allora spostiamo questa festa,» convenne Big Mike. «Che ne
dite dello Skunk Hollow?»
«E perché non Rupert?» ribatté Hank.
«È un po’ costoso,» intervenne qualcuno.
Quella frase lo fece sentire un vero stronzo, perché il ragazzo
aveva ragione. A Hamilton, vicino alla collina sciistica, praticavano
dei prezzi per turisti e il denaro per lui non era affatto un problema.
«Volevo vedere se era vero che ci lavora mia sorella, che ne dite se
vi offro un paio di giri?» Poi si sentì aggiungere qualcos’altro
all’equazione. «Basta che mi diate il nome del vostro urologo di
fiducia.»
«Affare fatto!» esclamarono tutti insieme, mentre Big Mike
scoppiò a ridere.
«Vuoi dire che non hai ancora incontrato il Dottor Cazzo?»
«Non posso dire di averne avuto il piacere.» Hank si abbassò
nella piscina ancora un po’, iniziando a rimpiangere di aver toccato
l’argomento.
«È uno strano vecchio hippie che gode del fatto che lo paghino
per parlare di cazzi dalla mattina alla sera.»
«Probabilmente ci sono lavori peggiori,» sottolineò Hank.
«Vero,» convenne Big Mike. «Ti daremo il suo numero, ma a una
condizione.»
«Quale?»
«Devi promettere di andarci.»
Hank fece spallucce. «Ma certo.»
«Adesso dici così,» disse, sistemandosi l’asciugamano sotto la
testa. «Ma nessuno vuole guardare in faccia un dottore e dire ad alta
voce che il suo serpente non si alza più a dovere. Loro cercano di
rendercela più facile, c’è una specie di questionario da compilare in
sala d’attesa, ma fa schifo comunque. Nessuno alla nostra età vuole
barrare la casella “disfunzione erettile”.»
Ci fu un imbarazzante silenzio, fino a quando Evan non disse:
«Gliela stai vendendo davvero alla grande, amico.»
«Comunque ho ragione,» disse Mike. «Bisogna farlo, prendiamo
tutti la vitamina V, è la cosa migliore che l’uomo abbia mai
inventato.»
Anche se Hank aveva l’impressione che gli fosse stata appena
stata impartita una lezione importante, il nodo che gli comprimeva lo
stomaco gli rendeva difficile apprezzarla. «Adesso possiamo andare
a bere un fiume di birra?» chiese.
«Certo che sì, cazzo,» convenne Dave.

Callie parcheggiò sulla Main Street proprio quando il suo telefono


prese a squillare. Sapeva, ancor prima di guardare, che era Willow
che la chiamava di nuovo. Stava evitando la sua amica perché non
era pronta a raccontarle quello che era successo tra lei ed Hank.
Anche se, a dire il vero, se lei e Willow fossero state insieme da
qualche parte, insieme a una bottiglia di vino, la storia sarebbe
facilmente venuta a galla.
Le mancava terribilmente e sentirsi per telefono non era certo la
stessa cosa.
Rispose alla chiamata, perché, se non l’avesse fatto, Willow
avrebbe finito col preoccuparsi.
«Pronto?»
«Callie, non so davvero come ringraziarti.»
«Cos’ho fatto?»
«La casa! Abbiamo accettato un’offerta, dopo tutto questo tempo,
qualcuno ha finalmente deciso di comprare.»
«È fantastico, dolcezza, sono così felice per te, ma non credo
che io abbia qualcosa a che fare con tutto questo.»
«C’è di meglio,» asserì l’amica con entusiasmo. «Significa che ci
rivedremo. La firma del contratto sarà il prossimo mese, per piacere,
dimmi che non stai per partire per una lunga vacanza, perché non
vengo in Vermont se tu non ci sei.»
Sorrise al telefono. «Non ti preoccupare, dove mai potrei andare?
A parte…»
«A parte cosa?»
Callie combatté con il pensiero di dirle la sua ultima idea, se
l’avesse detta ad alta voce, da una semplice idea sarebbe diventata
un vero piano. «Ho ricevuto un’offerta di lavoro in California,» le
spiattellò. «Sto pensando di accettare.»
Willow tacque per un momento. «Gesù, Callie, come mai? I tuoi
stanno bene?»
«Stanno bene,» rispose in fretta. «Ma ho bisogno di cambiare
aria.» Aprì la portiera e uscì dalla macchina, infilando le chiavi in
borsa.
«Wow. E dov’è, questo lavoro?»

Quindici minuti dopo, Callie appoggiò i gomiti sul legno liscio del
bancone del bar, mentre il suo amico Travis Rupert le spillava una
birra. «Come va il lavoro?» chiese, passandole un sottobicchiere.
«Alla grande,» disse, prendendo il bicchiere. «Dopotutto, quello
non è mai un problema, giusto?»
Travis allargò le braccia, indicando l’elegante interno della sua
attività. «Già, lavorare è fantastico, è il resto della mia vita che lascia
un po’ a desiderare.» Travis era un altro membro del club dei cuori
solitari. Si era preso una bella cotta per Willow, l’anno precedente,
ma lei alla fine aveva scelto Dane.
«Questa è la stagione più intensa, vero?» gli chiese.
«Una delle tante, c’è una piccola pausa dopo la stagione della
caduta delle foglie, il momento in cui inizio a pregare che nevichi,
perché più nevica, più assetati sono gli sciatori.» Pulì il bancone.
«Ma veniamo a noi: il dottor Facciadimerda è già stato mollato?»
Travis aveva questa teoria che il karma avrebbe punito il suo ex, ma,
mese dopo mese, la sua predizione sembrava sempre un po’ più
ridicola.
«Assolutamente no!» rispose allegramente. «Ma, almeno, non
sono più obbligata a vederlo mentre le tocca il sedere in sala relax,
perché adesso ho un ufficio dove nascondermi.»
«Stai facendo carriera, Callie.»
Gli sorrise da sopra il bordo della sua pinta; sfortunatamente,
iniziava a sentirsi come se il suo lavoro stesse trattenendo il resto
della sua vita. Certo, aveva avuto senso mettere la propria carriera
davanti a tutto, negli anni passati, dato che doveva rifondere dei
cospicui prestiti studenteschi, e la cosa le faceva paura, ma la sua
vita personale ne aveva sofferto. Se avesse accettato quel lavoro in
California, avrebbe dovuto rinunciare al suo comodo lavoro di
ricerca, ma, di lì a un anno, lo studio sarebbe comunque finito e il
piccolo ospedale del Vermont dove lavorava non ne avrebbe avviato
un altro simile.
E come sarebbe finita lei? Sola, sempre nello stesso posto, con
lo stesso lavoro di prima, con Nathan e la sua infermiera che prima o
poi le avrebbero chiesto di coprire un turno, così da poter andare dal
ginecologo a entusiasmarsi per le immagini dell’ecografia del loro
primogenito.
No, grazie. Callie doveva scuotere la propria vita prima di arrivare
a quel punto.
Fu distratta da quel brutto sogno a occhi aperti da
un’imprecazione sussurrata alle proprie spalle. Callie si voltò e vide
Stella Lazarus con un barattolo di ciliegie in una mano e un vassoio
nell’altra, dal quale alcuni lime rotolarono fino a cadere per terra.
Tendendo una mano, la aiutò con il barattolo di ciliegie e,
appoggiandolo sul bancone, scese dallo sgabello per aiutare la
ragazza a raccogliere i lime che rotolavano sul pavimento come
tante biglie.
«Grazie,» sbuffò Stella, raccogliendo i lime nel grembiule.
«Nessun problema,» rispose Callie, prendendone uno che era
rotolato fin sotto al suo sgabello. Poco prima, quando era entrata,
era stata molto sorpresa nello scoprire chi fosse la nuova impiegata
di Travis. Non aveva idea del perché Stella passasse dal lavoro alla
fondazione al pulire i tavoli. Probabilmente c’era una storia dietro a
tutto quello, ma non conosceva Stella così bene da chiedergliela.
Era comunque ovvio che Stella non avesse una grande
esperienza come cameriera. Era il secondo disastro a cui Callie era
testimone in meno di mezz’ora, dato che, quando Stella l’aveva
salutata, aveva lasciato cadere a terra un bicchiere da Martini.
«Stai attenta.» Callie le lanciò un cestino per la frutta e, per
prenderlo, Stella quasi si lasciò sfuggire i lime che teneva nel
grembiule.
La ragazza sospirò, appoggiando il cestino pieno sul bar, e
chinandosi sotto al passaggio, si unì a Travis.
«Adesso lavali,» la sollecitò. «Dovranno finire nei drink.»
«Sempre che prima non faccia cadere anche quelli,» bofonchiò.
Portando il cestino nel lavello, iniziò a lavare la frutta.
«Sei una brava ragazza, Stella,» le disse Travis. «Tieni duro.»
Chiuse il rubinetto e scoppiò in una risata graffiante. «Preferirei
essere una brava cameriera, piuttosto che una brava ragazza, Trav.»
Callie si chiese se lei e Travis si divertissero meramente a flirtare,
oppure se si stessero frequentando. Probabilmente Stella era troppo
giovane per lui, ma Callie sperava comunque che l’amico
incontrasse qualcuno. Anche se, in una città piccola come Hamilton,
era tremendamente difficile trovare l’anima gemella.
O, almeno, così aveva bisogno di dire a se stessa, perché se la
popolazione della contea di Windsor non fosse stato un problema,
allora cosa c’era che non andava in lei? Se la sua solitudine era solo
colpa sua, allora spostarsi di diverse migliaia di miglia, dall’altra
parte del paese, non sarebbe stato d’aiuto.
Ma non poteva essere vero, di certo la California era piena di
uomini single, di uomini sexy e single, che sarebbero stati entusiasti
di frequentare una dottoressa un po’ nerd.
Prese un lungo sorso di birra e ringraziò il cielo di non essere in
servizio per quella sera. Quando appoggiò il bicchiere sul bancone,
una brezza fredda le accarezzò la guancia. La porta d’ingresso del
bar si era aperta e lei, d’istinto, si girò verso il vestibolo per vedere
se, per caso, un’affascinante straniero non fosse entrato in quel
preciso momento. La speranza era sempre l’ultima a morire.
«Ehi, è la dottoressa C!» esclamò Big Mike, mentre faceva il suo
ingresso nella sala, seguito da Dave.
«Ciao, ragazzi!» Li salutò con un cenno della mano. Non le era
mai capitato di incontrare i partecipanti alla sua ricerca da Rupert,
prima, ma vederli lì non avrebbe dovuto sorprenderla. Non c’erano
poi così tanti bar nel raggio di una cinquantina di miglia.
Big Mike e Dave si diressero verso il grande tavolo vicino alla
finestra e Stella saltò giù dal suo sgabello. «Vi sposto subito quelle
sedie,» disse.
«Molte grazie,» rispose Big Mike con un occhiolino. «Ci saranno
quattro sedie a rotelle qui stasera. Vedi, c’è una specie di convention
e di sicuro pagheremo da bere a quella ragazza laggiù.» Con le dita
mimò una pistola e sparò verso Callie.
«Ricevuto,» rispose Stella, impilando insieme quattro sedie, poi
le prese e le portò fuori dalla stanza.
Big Mike e Dave fecero spazio sul tavolo e Callie si chiese chi
altro sarebbe entrato. Nell’attimo in cui si pose quella domanda, il
viso di Hank apparve sulla soglia.
E, subito dopo, due cose successero in veloce successione: il
suo cuore inciampò su se stesso, perché lui le faceva quell’effetto, e
quella sensazione fu immediatamente seguita da sconforto. Merda.
La salutò alzando il mento e lei lo ricambiò con un debole sorriso.
Quello era il problema con le piccole città. Quando le tue imprese
da nudista finivano male, non c’era posto dove potevi nasconderti.
«Devo andarmene dal Vermont,» disse in un sussurro.
«È una brutta situazione, dolcezza?» le chiese Travis. «Hai dei
guai con la legge?» I suoi occhi brillarono.
Scosse la testa, datti un contegno, Callie. «Sto bene, lascia
perdere.» Travis sapeva tutto dei suoi problemi con Nathan, ma non
gli aveva raccontato, né a lui, né a nessun altro, cosa provava per
Hank. Faceva troppo male per farla diventare una chiacchiera da
bar.
«Stai davvero pensando di andartene?»
Anche se poteva sentire la voce profonda e sexy di Hank parlare
agli altri ragazzi, sollevò un dito e se lo pose sulle labbra, Travis si
avvicinò. «Non ne posso parlare, davvero, ma c’è un’opportunità di
lavoro nella contea di Marin. Se mi assumessero, sarei a soli
novanta minuti di strada dai miei e a un volo brevissimo da Willow e
Dane.»
Travis sorrise. «E come se la passa? L’hai sentita?»
«Non la vedo dalle Olimpiadi, ma mi ha mandato qualche
fotografia. La bambina ha fatto un anno il mese scorso, aspetta un
secondo…» Scese dallo sgabello per prendere la borsa dal gancio e
passò in rassegna la galleria del suo telefono alla ricerca delle
fotografie.
Mentre se ne stava seduta lì, Hank la sorprese avvicinandosi al
suo fianco e quando la sua bellissima faccia raggiunse il suo campo
visivo, la sua gola si strinse.
«Hazardous!» salutò Travis. «Come te la passi?»
«Alla grande,» rispose Hank, ma l’espressione sul suo viso lo
contraddisse. Sembrava a disagio, così Callie distolse lo sguardo.
Fece scivolare la carta di credito sul bancone. «Per favore, fai in
modo che il tavolo sia tutto sul mio conto.» Alzò il mento, indicando i
ragazzi del programma terapico.
«Sicuro, amico,» rispose Travis, prendendo la carta. «Ehi, Callie,
Hank… vi conoscete?»
«Certo,» rispose lei in fretta, nello stesso momento in cui Hank
disse di sì.
Ci fu una pausa imbarazzante, mentre Travis si voltava per
passare la carta di Hank nel POS, poi si voltò e tornò a guardare le
fotografie. «Ah, non pensavo di certo che avrei mai visto qualcosa
del genere.» Rise, mentre guardava una fotografia adorabile di Dane
addormentato sul divano, con Finley adagiata sul suo petto. «Il fatto
che qualcuno chiami Dane “paparino” mi fa cagare sotto.» Appoggiò
il telefono e si allontanò per prendere l’ordine di un altro cliente.
Hank prese il telefono dal bancone e guardò con attenzione la
foto. «Sembra proprio perfetta per un biglietto d’auguri,» disse. Il suo
volto si chiuse, diventando illeggibile, abbassò il telefono e, senza
aggiungere altro, ritornò dai suoi amici.
Callie lo guardò mentre batteva in ritirata e venne distratta dal
primo ricordo che aveva di lui. Si ricordò che aveva dato del filo da
torcere a Dane, giusto? Aveva detto che era “al guinzaglio” e aveva
riso all’idea che gli obblighi di famiglia potessero avere la meglio su
una serata fuori a far festa.
Non te lo dimenticare, ordinò a se stessa. Magari lei ed Hank
erano spacciati ancora prima dell’incidente sul divano e anche se lui
riusciva ancora a farle saltare il cuore in gola solo entrando in una
stanza, lei voleva una famiglia, un giorno o l’altro. Ma niente in Hank
parlava di “uomo di famiglia”. Anche se fossero mai riusciti a fare
sesso selvaggio insieme, quella verità non sarebbe cambiata.
La California, quello era il piano. Eppure, anche dandogli le
spalle, era come se riuscisse ancora a sentire l’attrazione nei suoi
confronti e quando qualcosa di divertente veniva detto al loro tavolo,
riusciva a distinguere la sua risata roca, che pareva la stesse
strattonando per un braccio.
Anche se la sua parte razionale aveva deciso che Hank fosse
una causa persa, il suo cuore non aveva ricevuto il messaggio.
«Che succede fra voi due?» sussurrò Travis, pulendo il bancone
proprio di fronte a lei. Callie scrollò le spalle, aveva dimenticato che
Travis aveva il classico sesto senso del barista nel leggere ogni
situazione. «L’ho conosciuto in ospedale, fa parte della terapia
clinica alla quale sto lavorando.»
«Interessante.» Riempì di ghiaccio lo shaker per i cocktail. «E
all’improvviso vuoi andartene lontana migliaia di miglia?»
«Lascia perdere, Trav,» lo implorò.
«D’accordo, ma solo perché sta tornando sua sorella.»
Callie alzò lo sguardo e vide Stella emergere dalla cucina con un
vassoio di candele accese, una per ogni tavolo. Raggiunse il gruppo
sulle sedie a rotelle, spingendo verso di loro un cestino di pretzel, poi
appoggiò il vassoio su un fianco ed esibì un’espressione impassibile.
«Caffè, tè o me?»
Ci fu un momento di silenzio sorpreso, mentre Callie osservava
le labbra di Hank che si piegavano in un sorriso divertito. «Ragazzi,
non rispondetele, questa è la mia sorellina, Stella. Io e lei eravamo
piuttosto uniti, prima che lei perdesse il mio numero di telefono.»
«Hank,» mormorò. «Non ho perso il tuo numero di telefono, sono
solo stata impegnata.»
La afferrò per i fianchi e se la mise sulle ginocchia. «Impegnata?
La mamma mi ha detto che lavori qui sei notti a settimana solo per
farla incazzare.»
«Per sfidarla,» lo corresse, roteando gli occhi. «Nostra madre
non usa quel linguaggio.»
«Era una parafrasi; mi spieghi che succede? Non sei
esattamente la cameriera ideale.»
«E chi lo dice?» ribatté. «Diventerò brava.»
«Ne sei sicura? Come mai allora non mi hai ancora servito la mia
birra?»
Stella si rimise in piedi e incrociò le braccia. «Che cosa desidera
da bere, signore?»
«Che cos’hai nel rubinetto, fanciulla?»
«Beh,» Stella fece un passo verso il bar e strizzò gli occhi alle
maniglie delle spillatrici. Dietro al bar, Travis scosse la testa. «Finirò
per tatuarti la lista delle birre su una mano, Stella.»
«Puoi anche tatuarmele sulle tette, perché è lì che di solito
guardano i clienti.»
«Già e io non avevo proprio bisogno di saperlo,» borbottò Hank.
Travis iniziò a toccare i rubinetti delle birre. «Abbiamo la
Switchback, la Guinness, la U.F.O., la Long Trail e la Woodchuck
Cider.»
«Una Long Trail,» ordinò Hank e, dopo che anche tutti gli altri
ebbero ordinato, Stella fece per allontanarsi, ma il fratello la prese
per mano. «Non abbiamo finito, sorellina. Dimmi perché lavori in un
bar.»
«Ho bisogno di soldi per andare in Alaska, mamma ha ritirato la
sua offerta di pagare, quindi mi sono trovata un lavoro. Non è una
storia poi così complicata.» Aveva gli occhi in fiamme, a sfidare suo
fratello a ribattere.
Hank piegò la testa. «Tu un lavoro ce l’avevi. Alla fondazione.
Avresti dovuto metterti all’opera su quel progetto di indagine sulle
specie selvatiche. Chi lo finirà, adesso?»
«Non è un mio problema,» rispose lei, una mano sul fianco.
«Quell’indagine è importante.»
«Hank, l’ambiente è una cosa che riguarda te, non me, come dar
via denaro è una cosa che riguarda mamma, e costruire resort
sciistici è una cosa che riguarda papà.»
«E questa…» Hank fece un gesto a indicare la sala. «Questa è
una cosa che riguarda te?»
Travis sbuffò dietro al registratore di cassa.
«Te lo sto solo chiedendo,» insistette Hank. «Lasciare la
fondazione è stata davvero la scelta migliore?»
Stella incrociò le braccia al petto. «Penso sia stata la mia unica
scelta. Non cambierò i miei obiettivi sono perché a mammina e
papino non piacciono.»
«Sono solo…» Hank sospirò.
«Spaventati,» terminò lei. «Uno dei loro ragazzi si è quasi ucciso
e non vogliono rivivere l’esperienza, quindi l’altra rimane incatenata
nella sua stanza, a ventisei anni.»
Hank la guardò da capo a piedi. «Io non vedo catene.»
«Una scrivania nell’impero di papà, quella è la mia catena. Ci si
aspetta che mi ci sieda fino a che non inizierò a sfornare bambini.»
Ci fu silenzio e Callie prese a giocare con il sottobicchiere,
sentendosi in colpa per trovare i drammi familiari dei Lazarus così
affascinanti.
«Stella… non dovremmo parlarne qui,» suggerì Hank, la sua
voce morbida e dolce come puro miele.
«È stata una tua idea, fratellone, sei stato tu a parlarne e ora sai
contro cosa sto lottando. Preferisco spillare birra che fare come
vogliono loro; adesso vado, con il tuo permesso.» Appoggiò il
vassoio contro il proprio fianco e si avviò verso la cucina.
«La tua sorellina è una furia,» disse Big Mike, quando Stella fu
fuori dalla portata d’ascolto.
«Lo puoi ben dire,» convenne. «Possiamo solo sperare che le
passi la rabbia abbastanza da portarci le nostre birre.»
«Ci penso io,» rispose Travis. «Un’altra birra, Callie?»
«Sissignore, sembra che la prima sia sparita.»
«Succede anche ai migliori; posso ordinarti qualcosa da
mangiare, magari un panino al bacon?»
«Sarebbe fantastico.» Non stava cercando di farle spendere di
più, ma sapeva che due birre erano più di quanto bevesse di solito.
Vivere in una piccola città, dove tutti conoscevano le manie e le
tragedie di tutti, poteva essere attraente, ma quando si era da soli,
non lo si viveva più come un grande affare.
«Stella,» chiamò Travis. «Puoi portare a Callie un panino
integrale al bacon, con maionese e pomodori a parte? E due
cetriolini.» Conosceva perfettamente il suo ordine.
Già, era ora di andare avanti.
DIECI

«S ,» lo incitò Tiny. «Di più! Ecco come si fa da


noi in Georgia!»
Hank aveva dato tutto quello che poteva per quel giorno e la
lingua lunga dell’istruttore non lo stava aiutando. Gli tremavano i
muscoli e il suo corpo decisamente non stava cooperando.
«Contrai gli addominali; puoi arrivare fino al muro,» lo incalzò
Tiny, ma Hank non riusciva ad avvicinarsi nemmeno per sbaglio al
muro. Invece di spiegare la cosa con voce calma al fisioterapista,
gridò a squarciagola un’imprecazione.
In quel preciso momento la porta della sala si aprì e il viso
stupefatto di Callie apparve nell’ingresso. «Tutto okay, qui, ragazzi?»
Il tono era casuale, ma un tremito nella voce tradiva il suo disagio.
Perfetto, proprio perfetto, cazzo.
Hank si era convinto di aver trovato tutti i modi per sembrare un
idiota agli occhi di Callie. Chi poteva immaginare che poteva
apparire ancora più idiota? Non era colpa di Tiny se non riusciva a
camminare e non c’era nessuna scusa per aver perso la pazienza in
quel modo, durante la sessione.
«È tutto a posto, Callie.» La voce di Tiny voleva essere
rassicurante.
Callie rimase immobile per un altro secondo ed Hank desiderò
sprofondare nel pavimento. Non la vedeva da qualche giorno e
odiava apparire ai suoi occhi in quel modo, con la faccia rossa, la
maglietta fradicia, indossando un’imbracatura che gli arrivava fino
alle anche, e appoggiato al più orrido deambulatore da nonna che
avesse mai visto.
«Andiamo,» disse Tiny con calma, indicando il muro, ma Hank
scosse la testa. Il tempo si dilatò e quel silenzio carico di tensione
minacciò di ingoiarli tutti. Hank si guardò le scarpe e desiderò di
essere da qualsiasi altra parte.
Alla fine, sentì il suono di lei che usciva di nuovo dalla stanza e la
porta che si chiudeva alle sue spalle.
Senza dire una parola, Tiny prese la sedia di Hank,
mettendogliela alle spalle, lui si sedette e si chinò a liberare le
ginocchia dall’imbracatura.
«Non le toccare, amico, non hai ancora finito.»
«No, ho finito, cazzo.»
«No, ho un’altra cosa per te in programma.» Lo fece girare,
posizionandolo di fronte a un pesante sacco appeso al soffitto,
raccolse i guantoni da terra e glieli porse. «Forza, andiamo.»
Senza dire una parola, Hank infilò le mani nei guantoni. Tiny
bloccò le gambe nell’imbracatura e lo aiutò ad alzarsi in piedi,
allontanando la sedia a rotelle, poi gli si mise alle spalle,
stabilizzandolo, ponendo le mani sulla sua gabbia toracica. «Dacci
dentro, fratello.»
Hank prese un profondo respiro, poi tirò indietro una delle sue
forti braccia e colpì il sacco.
«Più forte,» insistette Tiny.
Si accanì sul sacco e fu spossante, ma in qualche modo era ciò
di cui aveva bisogno, aumentando la forza con cui colpiva a ogni
pugno.
«Proprio così, butta fuori tutto.»
Hank drizzò le spalle e si scagliò contro il sacco, ancora e
ancora, poi aprì la bocca e ruggì, un suono pieno di furia e dolore.
Si sistemò i guantoni e si preparò a colpire di nuovo.
Il giorno successivo, Callie alzò lo sguardo per trovare la voluminosa
stazza di Tiny che bloccava la porta del suo ufficio. «Ehi, Callie, hai
un minuto?»
«Per te? Sempre.»
Tiny incrociò le braccia sul petto e piegò la testa. «Dottoressa
Callie, puoi fare un favore a Hank?»
«Cosa?»
«Se vuoi che segua la terapia, manda qualcun altro a controllare
i suoi progressi.»
«Okay, perché?»
Tiny si grattò il mento. «Non gli piace che tu lo guardi. Ogni volta
che infili la testa dentro la sala, tutto si ferma e penso che sia perché
tu sei carina e non vuole far vedere che fa fatica di fronte a te.»
«Ho infilato la testa per capire perché ti stesse urlando contro,
non fa parte della terapia.»
L’espressione di Tiny era pensierosa. «Di solito è vero, ma Hank
sta cercando di lavorare sulla sua rabbia ora e la palestra a volte
può essere un posto sicuro per fare una cosa del genere. Quindi…
negli ultimi tempi, le cose sono andate così tra di noi. Accetto le sue
stronzate, poi gli dico: “dato che ti sei comportato così, adesso mi fai
altri dieci piegamenti”, lui se ne sta zitto e li fa.»
«Credo di capire, ma non stiamo perdendo di vista qualcosa?» Si
sfiorò una spalla dolorante. «Non ci dovrebbe essere qualcuno
ancora più preoccupato per lui?»
«Non necessariamente. Hank si sta avvicinando al primo
anniversario del suo incidente, in effetti, è il prossimo mese. È una
cosa grossa.» Tiny andò a mettersi dietro di lei e le appoggiò le mani
sulla spalla. «Oh, oh, capo, hai un bel nodo qui.»
Spinse i pollici nel muscolo e Callie quasi svenne per il sollievo.
«Wow,» mormorò, mentre le sue mani le mostravano chi fosse il
vero capo.
«Già, è uno di quelli cattivi, anche. Chinati in avanti e abbassa la
testa.»
Si accasciò sulla sua scrivania e le mani magiche di Tiny
continuarono a scacciare lo stress dalla sua spalla. «Mi stai dicendo
che Hank pensa che non migliorerà mai? Solo perché è passato un
anno?»
«Probabilmente è questa la sua paura. Non c’è niente di magico
nel traguardo dell’anno, ma… guarda la sua vita. Ha preso la
riabilitazione come se fosse un lavoro a tempo pieno, la fa quasi tutti
i giorni e continua a non camminare. Penso che abbia iniziato a
rendersi conto che non succederà per lui.»
«Quindi…» Callie sentì la verità della cosa nel profondo dello
stomaco. «Ha fallito nel suo lavoro a tempo pieno.» Era anche la sua
peggiore paura.
«Esatto, e scommetto che non ha la minima idea di cosa fare.»
Provata, Callie prese un profondo respiro. Si stava prendendo
cura della propria delusione per come erano andate le cose con lui,
ma non era niente in confronto a ciò che stava affrontando lui. In
quel momento, tutto divenne molto più semplice da sopportare. Hank
aveva detto spero che possiamo essere amici e lei si era irritata, ma
la verità era che teneva a lui e quella era l’unica cosa che contasse.
Se Hank aveva bisogno di un amico, lei lo sarebbe stata, era
semplicissimo.
Alle sue spalle, Tiny continuò a muovere i suoi abili pollici nei
muscoli del suo collo e la frizione di quelle dita sulla sua pelle
sembrava in grado di guarire anche la sua anima. Questo è
esattamente ciò di cui ho bisogno, pensò.
Ma di cosa aveva bisogno Hank?
Prima di tutto, la tensione tra di loro doveva finire e adesso
poteva farcela. Ciò di cui aveva bisogno Hank da lei erano
compassione, perdono ed empatia. Era brutalmente semplice, ma
così vero.
Sentì l’esatto momento in cui il nodo nella sua spalla si sciolse.
«Ecco qua,» disse Tiny, tutto soddisfatto.
«Tiny? Ora è il momento perfetto per chiedermi un aumento.»
Lui sghignazzò. «Posso avere un aumento?»
«Sfortunatamente no, ma se dipendesse da me…» Lasciò
cadere la testa di qualche altro centimetro. «Non hai la minima idea
di quanto tu abbia migliorato la mia giornata.»
«Allora è il momento perfetto per chiederti un favore. Mi sono
spezzato un dente e il dentista mi può vedere domani alle quattro e
mezza, altrimenti devo aspettare tre giorni.»
«Quattro e mezza…» Cercò di fare il punto della situazione, ma
la sua mente era una pappetta felice mentre Tiny muoveva le dita
alla base del suo collo.
«Sono con Hank a quell’ora, ma dovrei andarmene a metà della
sessione. Non so cosa potrebbe creare ai tuoi dati, ma stavo
pensando di accorciare la sessione.»
«Okay, va bene, magari riesco a trovare qualcuno che ti può
coprire. Lascia che ci pensi io.»

Quando Hank si spinse nello spogliatoio, il pomeriggio successivo,


trovò un’altra parodia di un poster motivazionale attaccato allo
sportello del suo armadietto. Questo era la foto di un campo pieno di
margherite e la didascalia recitava “SBOCCIA DOVE TI PIANTANO,
perché le piante fanno così e non ne ho mai sentito nessuna che si
lamentasse”.
Rise tra sé e sé, forse Callie aveva deciso che potevano essere
di nuovo amici e quella era una cosa positiva, anche se il solo
vederla gli faceva male allo stomaco.
In sala terapia, aveva notato che Tiny stava procedendo con
calma quel giorno; il temuto deambulatore era accantonato in un
angolo e la panca per i pesi aveva preso posto al centro della
stanza. «Pensavo di fare un po’ di pettorali e dorsali,» aveva detto
l’istruttore. «Non voglio che tu mi dia la colpa se i tuoi sollevamenti
ne stanno soffrendo.»
«Ehm, ascolta Tiny, se oggi lavoreremo sul camminare, ti giuro
che non perderò la pazienza.»
«So che non lo farai, ma devo andarmene tra quindici minuti e
non so se la dottoressa C ha trovato qualcuno per sostituirmi.»
«Nessuno può sostituirti, ragazzone,» disse con voce strascicata.
«Adesso stai un po’ esagerando con i complimenti, vuoi fare la
pressa oppure ci divertiamo con qualche sollevamento?»
Hank sciolse le spalle e lo fissò. «Tu fai sollevamenti alla barra,
ragazzone?»
L’istruttore sorrise. «Sono famoso per essere uno che riesce a
raggiungerla di petto un paio di volte, perché?»
«Ti va di fare una scommessa? Chi fa la serie più lunga, vince.»
Tiny incrociò le braccia al petto e sghignazzò. «E cosa vinco,
quando ti avrò battuto?»
«Rendiamo le cose facili, perché non voglio farti troppo male:
sottraiamo i sollevamenti del perdente da quelli del vincitore e la
differenza sarà il numero di birre che spetterà al vincitore.»
«Va bene, ma fai prima tu.»
Hank si spinse fino alla barra, realizzando che non aveva idea di
come sarebbe riuscito ad appendersi, ma Tiny gli si avvicinò e si
inginocchiò davanti a lui. «Andiamo, ti prendo in spalla.»
Hank si fece avanti e avvolse le braccia intorno al collo di Tiny,
che si alzò in piedi, prendendo le sue ginocchia piegate. Un secondo
dopo, Hank era a livello della barra, la afferrò e Tiny lo lasciò andare,
spostandosi.
Senza perdere tempo, si posizionò e si alzò. «Uno,» disse,
abbassandosi.
«Due,» contò per lui Tiny. «Tre.» L’istruttore usò la punta della
scarpa da ginnastica per calciare il materassino sotto di lui.
«Quattro, cinque, sei…»
Hank cercò di fissare un ritmo che potesse sostenere. Era da un
pezzo che non faceva sollevamenti, ma aveva rafforzato parecchio i
suoi bicipiti e usava sempre la parte superiore del corpo. Era una
bella sensazione sollevare la sua carcassa in aria, come qualsiasi
altro idiota.
«Dodici, tredici… mi sa che sono nei guai,» rise Tiny.
«Ehi, ragazzi, che succede?»
Al suono della voce di Callie, Hank serrò la mascella; adesso
doveva vincere a ogni costo, era una questione di dignità.
«Sedici… oh, sta rallentando, alleluia! Diciassette… diciotto,
merda.»
A Hank tremavano le braccia per lo sforzo, l’indomani ne avrebbe
pagato le conseguenze, ma ne sarebbe valsa la pena. In quel
momento la barra era viscida del suo sudore e presto sarebbe tutto
finito.
«Diciannove… venti. Sono tante, lo sai? Ventuno…»
Non aveva più la forza di resistere, e si lasciò andare verso il
materassino, tendendo le braccia, atterrando con un rimbalzo e una
risata. «Datti da fare!»
«Che state combinando, teppisti? Tu non te ne devi andare?»
chiese Callie a Tiny.
«Non me ne vado finché non vinco questa cosa; è solo una
piccola gara amichevole, sposta il culo, Hank.»
Hank rotolò fino al bordo del materasso e si mise a sedere, e
Tiny bloccò la sedia davanti a lui, così che potesse far leva sui
braccioli e sedervisi sopra. Aveva le braccia molli.
«Fortunatamente, non ti servono le braccia per contare, a meno
che non conti ancora con le dita.» Tiny calciò il materasso fuori dai
piedi e asciugò la barra.
«Posso tenermi le scarpe?» chiese Hank. «Dato che non ne farai
più di dieci, non avrò bisogno di contare con le dita dei piedi.»
«Sapien…» rispose, afferrando la barra per il primo dei suoi
sollevamenti. «…tone,» concluse sul secondo.
Hank osservò mentre il suo allenatore faceva otto sollevamenti di
fila, si schiarì la voce e poi si produsse nella migliore imitazione di
Tiny. «Bravo, ragazzo! Molto bravo! Sapevo che potevi fare come i
grandi.»
Tiny fece una mezza risata e cercò di ignorarlo.
«Dacci dentro, splendore,» disse Hank al decimo sollevamento.
«Vogliono vedere anche quelle delle file dietro.»
Callie prese a ridere di cuore. «Gesù, Hank, sei identico a lui.»
«Non rallentare, amico!» continuò a commentare. «Spingi di più
sul gas, dai, ecco come si fa da noi in Georgia!»
Callie non riusciva a smettere di ridere. Tiny si lasciò andare in
uno sbuffo frustrato, quando le braccia gli tremarono al quindicesimo
sollevamento. Lentamente, ne fece altri tre e poi si fermò per un
secondo. Quella pausa fu la morte dei suoi sollevamenti. Mentre
Hank osservava, Tiny fece forza un’altra volta, ma non riuscì a
superare la sbarra. «Dannazione,» disse, mettendo i piedi per terra,
abbassando le mani in segno di sconfitta. «Mi dai la rivincita, la
prossima settimana?»
«Certo che sì,» accettò. «Ma io, nel frattempo, mi eserciterò.»
Quando l’istruttore uscì dalla stanza, Callie si girò a guardarlo.
«Fai davvero un’imitazione perfetta di Tiny,» disse, con un sorriso
sincero che gli fece male al cuore.
«Sono qui per farti divertire.»
«Doveva andare dal dentista e ho preferito non sostituirlo perché
ho pensato che avessi bisogno di una pausa dal giocare a Twister
con il personale.»
Hank esitò. Lo capiva bene, era sempre un po’ stronzo con gli
altri, ma in quel momento, la cosa più importante era che non
riusciva a smettere di notare lo scollo a V della blusa di Callie o il
modo in cui i bottoni tiravano dolcemente sul suo seno. Smettila di
fissarla, stronzo. Col cavolo che la rivedrai nuda. Spostò lo sguardo
fin sui suoi occhi. «Magari ieri mi sono lasciato un po’ andare, ma va
bene. Adesso sto bene.»
«Non fa niente,» disse, leccandosi le labbra, cosa che gli fece
venir voglia di baciarla. «Tutti hanno bisogno di un giorno di riposo.»
«Quindi…» Esitò. «Vado a casa prima?»
«Potresti,» disse. «Ma io ho un’idea migliore.»
Aspettò che dicesse di cosa si trattava, sperando di non
arrossire, tradendo le cose sconce che la sua frase gli aveva fatto
venire in testa.
Gli sorrise. «Ieri Tiny mi ha fatto il massaggio alle spalle più
meraviglioso di sempre e ha cambiato tutta la mia giornata.»
Hank non poté trattenersi dal ridere, ma abbassò gli occhi
comunque, perché faceva troppo male guardare quel viso così
carino; non riusciva a ricordare nessun’altra donna che gli fosse
entrata dentro in quel modo.
«Ho pensato di ricambiare, se ti va.»
Era certo di aver fatto un pessimo lavoro per nascondere la sua
sorpresa. «Perché?»
Fece spallucce, arrossendo. «Volevi che fossimo amici e sto
cercando di essere amichevole. Sdraiati sul tavolo, okay? E togliti la
maglietta.»
Dannazione. Anche se l’aveva ferita, eccola lì, a cercare di
sistemare le cose tra di loro. Lei era così forte e disponibile e gentile
che Hank si sentì un mascalzone. Avrebbe voluto dire di no, perché
sarebbe stata una tortura starle così vicino, ma un rifiuto l’avrebbe
solo offesa ancora di più.
Lei sospirò. «Oppure puoi andare a casa prima, ma avresti
qualcuno che ti farebbe un massaggio a casa?»
«No.» Si mosse a disagio sulla sedia. «Ci ho pensato, ma dovrei
trovare qualcuno che sappia come regolarsi attorno alla mia fascia di
giunzione; è fastidioso.» Callie sapeva cosa voleva dire.
Aggrottò la fronte. «Capisco, ma penso che il mio massaggio ti
farebbe molto bene e, se non sei a tuo agio con il fatto che ti tocchi
la schiena, posso sempre cercare qualcuno che abbia esperienza
con le ferite alla spina dorsale.»
Afferrò la propria maglietta con entrambe le mani e la sollevò.
«Proviamoci.»
«Non sembri tanto sicuro,» lo incalzò. «Se preferisci tornare a
casa o farti un bagno nell’idromassaggio, va bene. Non ti
preoccupare.»
Premette le mani sul tavolo e si trasferì con una rotazione del
bacino. «Beh…» Tentò di ridere. «Non è che mi punirai, giusto? Non
che non me lo meriti.»
«Penso che lo scoprirai,» disse, un tremito nelle labbra. «Perché
non fai l’adulto.» Indicò il bordo del tavolo. «Sdraiati, vediamo quanto
sei teso.»
Teso? Parecchio. Si mise in posizione, giacendo sullo stomaco e
portando le braccia sopra la testa. Prima dell’incidente aveva fatto
spesso massaggi. C’era un posto a Park City che gli piaceva in
particolare, la ragazza si chiamava Hella e, una volta capito che era
generoso con le mance, i massaggi erano anche migliorati.
Allora non sembrava una cosa così strana, solo l’ennesimo
piacere a buon mercato nella sua vita edonistica, ma ora quel
ricordo lo faceva sentire solo vuoto.
Callie iniziò appoggiando le mani sul collo, muovendo le dita sui
muscoli, mentre lui chiudeva gli occhi, cercando di non pensare ad
altro. Anche se, a dire il vero, forse lei stava aspettando che si
scusasse un’altra volta. «Callie…»
«Sshh, okay?» lo interruppe. «A meno che tu non voglia dirmi
qualcosa riguardo a ciò che sto facendo, può aspettare. Rilassati e
basta.»
Cazzo. Le sue mani erano forti e sicure mentre lo toccava e il suo
collo si stava rilassando. Sospirò, permettendo al proprio corpo di
sciogliersi sul tavolo e sentì i pollici di Callie ruotare in piccoli cerchi
sul retro del cranio. «Merda, sì.»
«Ecco fatto,» mormorò Callie.
Stava letteralmente galleggiando sotto la pressione delle mani di
lei. Centimetro dopo centimetro, lei raggiunse il suo collo, fino alle
spalle, poi ci fu una pausa mentre le sue mani lo lasciavano per un
momento e, quando ritornarono, le dita scivolavano più liberamente
sulla sua pelle. L’olio per massaggi era puro paradiso e si sentì
gemere.
«Come ti sembra adesso la tua punizione?» chiese Callie a
mezza voce.
«Puniscimi, dottoressa.»
Callie lo massaggiò lentamente lungo la schiena con colpi forti,
ed Hank tenne gli occhi chiusi, mentre il suo corpo andava alla
deriva. Immagini rilassanti si succedevano nella sua mente; pensò al
calore del sole e vide il declivio di una montagna coperta di neve,
proprio dove incontrava il cielo blu. La sua vita era sempre stata lì, in
attesa dietro alle palpebre chiuse a ricordargli tutto ciò che aveva
perso. Sospirò e cercò di non pensare a niente se non alla pressione
delle dita di Callie.
Inevitabilmente, lei si avvicinò al girovita con le mani e, più si
avvicinava a quel posto imbarazzante dove le normali sensazioni
erano alterate, diventando all’improvviso qualcosa di sconosciuto e
sgradevole, più diventava teso.
Callie si fermò, premendo con fermezza i palmi contro la sua
pelle. «Mi sto abbassando troppo?» chiese.
Hank si schiarì la voce. «Lì va bene,» disse. «Ma non più giù.»
«Ricevuto, giro a sinistra della coda del drago,» disse, riferendosi
al suo tatuaggio. «Non ti irrigidire, okay?»
Si rilassò nuovamente sul tavolo e mosse le mani verso l’alto,
quando lei si allontanò dalla sua fascia di giunzione. Il massaggio
cambiò in uno più leggero, la punta delle dita come piume lungo i
suoi fianchi. Era così bello e, quasi di conseguenza, sentì che i suoi
capezzoli iniziavano a irrigidirsi.
Hank rimase immobile; era intenzionale? Anche mentre se lo
chiedeva, Callie ritornò a un massaggio più tradizionale, con le dita
che lavoravano sui muscoli sotto pelle. Rilasciò un sospiro tremante.
Quanto tempo era passato da quando qualcuno lo aveva toccato
con amore? Più o meno undici mesi. Baciarla era stata l’unica volta
in cui le mani di qualcuno si erano appoggiate per un motivo diverso
che non fosse correggere la sua posizione o auscultargli il cuore con
un gelido stetoscopio.
Gesù, era come se stesse morendo di fame.
Quelle dita insidiose tornarono quasi danzando sul suo corpo, e
le mani gli accarezzarono di nuovo i fianchi. Rischiava davvero di
ritrovarsi a implorarla di dargli di più e forse lei lo sapeva, o forse era
solo il suo modo per farlo rilassare. A ogni modo, tutto quello lo
faceva sentire come un parafulmini durante una tempesta.
Ancora una volta le dita di Callie erano diventate leggere e
amorevoli, graffiando dolcemente la pelle sensibile dei suoi fianchi.
Hank cercò di tenere stabile il respiro e decise che Callie sapeva
perfettamente ciò che stava facendo; gli stava mostrando
esattamente tutto ciò che avrebbe potuto avere se non fosse
scappato via. L’ho capito, signorina. Era sul punto di dare voce a
quel pensiero quando scivolò con le mani a lato dei suoi pettorali e
decise di tacere. Lei era libera di mettere in chiaro le cose, così
come lui era libero di goderne.
Le dita di Callie sconfinarono di nuovo lungo il suo torso, leggere
come piume e lui se la stava godendo troppo per andare nel panico
quando si avvicinò alla sua zona di giunzione. Di colpo, passò i
pollici proprio sopra al limite di quella ingovernabile fascia di nervi e
la sensazione gli tolse il respiro, perché, invece di disagio, sentì un
brivido così profondo e così bello che non aveva paragoni con niente
che avesse mai provato prima.
Ma che cazzo…?
Prima che potesse valutare la sua reazione, le dita di Callie si
ritirarono verso un territorio più sicuro, lungo la sua spina dorsale,
premendo gentilmente i pollici su entrambi i lati, spingendosi poi di
nuovo lungo il limite. Quello era il massaggio più strano che gli
avessero mai fatto e non sapeva se Callie ci stesse giocando, ma
aveva di certo battuto una sudata sessione alle parallele con Tiny.
Hank respirò a fondo e si rilassò al suo tocco, ma, porca puttana,
eccola lì di nuovo a stuzzicare la parte bassa della sua vita,
passando le dita sulla sua zona sensibile e l’effetto era lo stesso, se
non ancora più intenso. Questa volta il massaggio interessò anche i
fianchi, finendo vicino alla sua pancia e sentì un piacere così intenso
che gli ricordò la prima volta che una ragazza aveva infilato le
proprie dita oltre l’elastico delle sue mutande, fino alla pelle delicata
del suo inguine. Quel singolo tocco delle dita di Callie ebbe lo stesso
effetto; lo shock e la meraviglia di un tocco intimo. L’immagine del
viso della sedicenne Hannah Smith gli balenò nella mente ed Hank
si morse un labbro per non ridere. «Merda…» mormorò.
Le mani di Callie si bloccarono sulla sua schiena. «Vuoi che mi
fermi?» mormorò. «Ti sto mettendo a disagio?»
«Non osare fermarti.» Le parole gli uscirono molto più duramente
di quanto avesse voluto, ma dannazione, non si sentiva così da così
tanto, troppo tempo. Il piacere per il gusto del piacere era
intossicante.
Le dita di Callie ritornarono su, fino al collo, poi il suo massaggio
si fermò e una ciocca dei suoi capelli gli sfiorò le spalle. Appoggiò le
labbra alla base del suo collo e il suo bacio fu lento, la lingua che
assaggiava il suo sapore e mentre lui tratteneva il respiro, Callie
avvicinò le labbra al suo orecchio. «Non lo farò di nuovo, ma voglio
solo che tu sappia che ci tengo a te e non ho nessun rancore nei tuoi
confronti.»
Hank chiuse gli occhi contro la marea di emozioni che lo stava
sommergendo. Amava il tocco sensuale di lei e gli dispiaceva di
averla ferita. Voleva che le cose fossero diverse tra loro e c’era solo
un modo in cui poteva dimostrarglielo. Alzò un braccio dal tavolo e,
avvolgendo una mano sulla sua nuca, la attirò a sé in un bacio
umido e aggressivo, spingendo la lingua dentro alla sua bocca,
senza lasciare nessun adito all’incomprensione.
Callie gemette sorpresa e, per un momento, ricambiò il suo
bacio, ma poi si staccò gentilmente, ritornando a concentrarsi sulla
sua spina dorsale. Hank prese un altro profondo respiro; che lo
sapesse o no, Callie lo stava distruggendo. Era depresso per ciò che
rimaneva della sua vita e per il fatto di non poterla avere. Aveva una
visione piuttosto grigia del suo futuro, ma in quel momento aveva
poca importanza, perché in quella stanza, sotto al tocco delle mani
di Callie tutto andava bene. Il suo tocco generoso era sufficiente.
Si immerse nuovamente nel buio abbassando le palpebre e gli
unici suoni che riusciva a sentire erano quello del proprio sangue
che rombava nelle orecchie e il respiro gentile di Callie mentre
lavorava. Il profumo di mele del suo shampoo lo annebbiò mentre si
chinava su di lui un’altra volta, appoggiando le labbra sul suo collo.
Con dolcezza gli baciò la schiena, con le mani che, al passaggio, lo
accarezzavano lussuriose; quando raggiunse la folle, sensuale zona
erogena, prima conosciuta come il suo girovita, Callie usò le dita per
graffiarlo leggermente e la sensazione lo fece quasi saltare sul
soffitto.
Poi lei passò le labbra su quella zona e incominciò a lasciarvi
dolci baci a bocca aperta e si lasciò sfuggire un suono che poteva
essere interpretato solo come un gemito erotico.
Aumentò un po’ il ritmo, tracciando una calda scia di baci lungo la
sua schiena e quando si avvicinò al suo viso, gli prese il lobo tra i
denti e succhiò.
«Cazzo…» mormorò Hank, mentre Callie tornava a stuzzicare la
sua vita. Il suo respiro divenne instabile e si ritrovò a ruotare i
fianchi, rendendosi conto che quel desiderio derivava dalla
pressione del suo inguine, il tipo di pressione buona.
Callie gli aveva procurato una gigantesca erezione e lo aveva
fatto solo toccandogli la schiena. Era una cosa che avrebbe dovuto
mandarlo in panico. Le dita di Callie ora erano molto più in basso
rispetto alla sua fascia di giunzione, più di quanto avrebbe pensato
fosse possibile. Ogni volta che un dottore o un’infermiera lo avevano
toccato lì, si era sentito mostruosamente a disagio, ma l’attacco a
tradimento di Callie gli aveva procurato solo un’eccitazione intensa e
fuori controllo, del tipo che aveva provato da ragazzino mentre
guardava Playboy.
Incredibile.
E poi lo fece di nuovo. La punta delle dita su quella sua parte
critica accese un fuoco e il suono che emise poteva far benissimo
parte della colonna sonora di un film porno.
Lei si chinò di nuovo vicino al suo orecchio, dandogli un altro
bacio, poi disse: «Se vuoi, puoi toccarti.»
Esitò solo quanto bastava per convincersi di avere sentito bene,
poi si girò leggermente su un fianco e infilò le mani nei boxer,
afferrando la spaventosa erezione che trovò ad attenderlo. Mentre
Callie muoveva le dita sui suoi fianchi, Hank si accarezzò con dita
tremanti, abbassò la mano per strizzarsi le palle, poi Callie gli
mordicchiò appena un fianco e lui non resistette più. Premette le
spalle sul tavolo e spinse in avanti la testa, emettendo un gemito
tremante. Tutto sembrava andare al rallentatore: i fianchi si tesero e
lui rabbrividì di piacere, poi lo sperma iniziò a colargli sulla mano, per
la prima volta dopo un anno.
Le mani di Callie si fermarono di colpo.
Dopo due battiti del cuore, collassò sul tavolo, il respiro una
raffica di vento nell’incavo del suo braccio. Ci fu silenzio per un
momento e riuscì solo a sentire il proprio respiro e il battito del
proprio cuore. «Che diavolo è appena successo?» ansimò, le parole
appena comprensibili.
Lei si schiarì la voce. «Se non lo sai tu, mi dispiace per tutte le
tue precedenti ragazze.»
Si lasciò sfuggire una mezza risata roca, ma tenne il viso
nascosto al sicuro dietro al suo gomito. Non poteva mostrare la
faccia né alcuna delle emozioni che probabilmente vi erano
stampate sopra: shock, piacere, sollievo e, in fondo, una parte
pesante di imbarazzo.
Restò in ascolto del suono della carta per asciugare le mani che
veniva strappata, dell’acqua che scorreva nel lavandino. Callie
appoggiò un asciugamano umido sull’angolo del tavolo, vicino alla
sua mano, gli accarezzò leggermente la testa in un gesto d’affetto,
dopodiché sentì i suoi passi allontanarsi, mentre lasciava la stanza
della terapia.
La porta si chiuse e lei non ritornò.
UNDICI

L’ che aveva provato Callie per aver reso Hank… ehm…


felice si dissipò sorprendentemente in fretta. Il suo appartamento era
silenzioso e solitario come sempre, quando rientrò in casa.
Inoltre, la sua vecchia amica mortificazione si era insinuata sotto
la porta.
Cosa diavolo le era preso?
Era entrata in sala terapia con l’intenzione di farlo rilassare e
sentire apprezzato. Quando il giorno precedente Tiny le aveva
massaggiato le spalle in quel modo così meraviglioso, si era resa
conto di quanto poco venisse toccata in modo amorevole ed era
stata una conclusione logica pensare che anche Hank fosse stato
sulla stessa barca. Ma poi, man mano che lo aveva sfiorato, lui
aveva iniziato a stiracchiarsi e a reagire sotto alle sue dita ed era
stato quello il momento in cui aveva permesso alla situazione di
prendere il sopravvento. Non aveva pianificato di farlo, ma era stato
gratificante ottenere una risposta dallo stesso uomo che l’aveva
delusa.
Aveva portato le cose da dolci a sexy nel giro di soli dieci minuti.
Diamine, probabilmente c’erano film porno che iniziavano nello
stesso modo in cui era iniziato il loro incontro, l’uomo inconsapevole
sdraiato sul tavolo per i massaggi e poi…
Che vergogna.
Ancora una volta si era spinta ben oltre la sua comfort zone e ora
avrebbe dovuto affrontare le inevitabili conseguenze. Si era sempre
ritenuta una persona intelligente, ma negli ultimi tempi c’era stato un
sorprendente numero di fatti che dicevano il contrario. Hank la
faceva sentire una sciocca imbranata e la cosa era stata così fin
dalla primissima volta in cui gliel’avevano presentato.
Mentre si arrovellava all’infinito sulla sua spettacolare mancanza
di giudizio, iniziò a preoccuparsi delle ripercussioni. Di certo Hank
non l’avrebbe raccontato in giro, non era proprio quel tipo di ragazzo,
ma se qualcuno l’avesse vista mentre baciava un suo paziente?
Okay, non era proprio un suo paziente, ma non era quello il tipo di
dettaglio che avrebbe pesato, se la storia fosse arrivata alle prime
pagine dei giornali locali, giusto? Dottore del luogo molesta un
paziente, le immagini alle undici.
Le immagini. L’ospedale aveva per caso delle telecamere di
sicurezza in sala terapia? La semplice idea la fece balzare in piedi
dal divano e si diresse in cucina per prendere un calice di vino.
«Sono la più colossale idiota del mondo,» disse ad alta voce e il suo
appartamento era così silenzioso che le parole quasi riecheggiarono
sulle pareti.
Fare affidamento su Hank non la tranquillizzava, lei era il dottore,
era lei che aveva degli obblighi nei suoi confronti, e non il contrario.
Fu invasa da una sorta di paura che le impedì di dormire bene
nelle notti successive. La sua coscienza si risvegliava nel cuore della
notte, facendola vergognare di se stessa, e non importava che ci
fosse una piccolissima e sottile voce a contraddirla, che sottolineava
come lo avesse fatto sentire bene e che era ciò di cui Hank aveva
avuto bisogno. Ciò che aveva fatto era sbagliato e lo sentiva come
un tamburo in testa. Sbagliato, sbagliato.
Nel frattempo, la sua routine lavorativa era estenuante e, dopo
aver passato un altro giorno impegnativo all’ospedale, ritornò a casa
una sera, trovando Hank seduto sulla panchina di fronte all’ingresso.
Cercò di restare impassibile, ma era troppo stanca per una
conversazione gentile.
«Ciao,» disse lui in fretta. «Hai un minuto?»
Non proprio. Callie sperò che non ci volesse molto, perché aveva
davvero bisogno di cadere a faccia in giù sul divano, in quel
momento. «Che succede?» chiese, sedendosi accanto a lui.
«Beh,» iniziò Hank a bassa voce. «L’ultima volta che sono venuto
a chiederti scusa non è andata bene, quindi volevo dirti un’altra volta
quanto mi dispiace di averti messa in imbarazzo. Non hai idea di
quanto alta sia la mia opinione su di te.» Rise nervosamente. «Beh,
forse dopo venerdì scorso, magari ce l’hai.»
Callie trattenne un sospiro. «Non ne dobbiamo parlare per forza.
Te l’ho detto, nessun rancore.»
Hank appoggiò la propria mano sulla sua, massaggiandola
brevemente con il palmo caldo. «So che non sei arrabbiata, ma
voglio lo stesso che tu capisca. La reazione che ho avuto l’altro
giorno… le cose di solito non mi vanno così bene, sono stato sveglio
metà della notte a cercare di convincermi che fosse successo
davvero.»
Doveva far finire quella conversazione ed entrare in casa. «Sai,
ci sono degli specialisti che hanno in continuazione a che fare con
queste cose. Scommetto che la maggior parte dei ragazzi in terapia
vedono un urologo.»
«Lo so, ho già preso un appuntamento.» Il silenzio calò tra di
loro, ma non in modo spiacevole e, dopo un paio di secondi, Hank
riprese a parlare. «Subito dopo il mio incidente, la mia ragazza mi ha
scaricato, sono passato dall’essere…» si bloccò.
«Un puttaniere?» suggerì Callie.
Lui roteò gli occhi. «Preferisco un “playboy”. Comunque, sono
passato dall’essere il ragazzo a cui tutte tiravano le mutandine, a
quello che non riusciva a farselo diventare duro. La mia ragazza mi
ha lasciato mentre avevo ancora un catetere infilato nel…» Le lanciò
un’occhiata. «Mi ha detto, “sono un’atleta e ho bisogno di un vero
uomo”, e se n’è andata.»
«Quanti anni aveva?»
«Ventiquattro.»
«E tu a ventiquattro anni eri un modello di saggezza?»
«Solo da sbronzo.»
Callie sospirò. «Quindi hai permesso a una strega di ventiquattro
anni di convincerti che non eri più in grado di fare sesso?»
«Beh, messa così…» Sospirò anche lui. «Ascolta, volevo solo
dirti ancora una volta che mi dispiace che le cose tra di noi siano
andate così male. Non ho una grande tolleranza sull’umiliazione.»
Callie sentì il bruciore delle lacrime e un nodo minacciarle la gola.
«Divertente, neanche io.»
Lui si schiarì la voce. «Lo so e mi dispiace di avertene
provocato.»
«So che sei dispiaciuto, ma non sei l’unico seduto qui che è stato
recentemente scaricato e a cui è stato detto che non eri più
abbastanza sexy.»
Hank sgranò gli occhi. «E chi mai ti avrebbe detto una cosa del
genere?»
«Il mio fidanzato, nonché convivente, era un dottore
dell’ospedale.» Distolse lo sguardo. «L’ho beccato mentre mi tradiva
con una studentessa di infermeria.»
«Aspetta… quel tizio magro con gli occhiali? Quello che ti ha
chiesto di coprirgli il turno?»
Callie fece spallucce.
«Frena, frena dottoressa. Quel pezzo di merda è stato colto in
flagrante, per questo ti ha detto che non gli bastavi. Lo ha fatto solo
per scaricarti addosso un po’ di colpa. È un codardo, Callie, e spero
che tu gliel’abbia detto.»

«Non proprio, anzi, ho permesso che le sue parole mi girassero in


testa per non so quanto. E poi…» Deglutì. «E poi ho voluto lo stesso
provare con te e guarda come è andata a finire.»

«Io non ti ho rifiutata, Callie.»


«So che lo pensi, ma se riuscissi a metterti nei miei panni,
capiresti come mi sono sentita io.»
«Merda, scusa, okay? È solo che avevo paura.»
«Lo so e ne ho anche io ora, quindi, tante grazie.» Le venne
meno la voce mentre lo diceva e lui impallidì. «Senti, vengo da un
turno di lavoro di dodici ore, Hank, sono troppo stanca perché la
nostra conversazioni non finisca con…» fu sul punto di dire lacrime,
«io che faccio l’acida,» disse invece.
Hank le prese la mano e, portandosela alle labbra, le baciò
gentilmente il palmo. «Questa settimana hai dei giorni in cui non
lavori dodici ore? Vorrei davvero portarti fuori a cena.»
Il suo stomaco si strinse. «Non posso dirti di sì,» disse con una
voce sottile. «Non sarebbe etico da parte mia uscire con un paziente
che è nel programma di terapia. Non avrei mai dovuto…» Si schiarì
la voce. «Ciò che ho fatto l’altro giorno… è stato sbagliato.»
Hank impallidì. «Non puoi dire sul serio, quello che hai fatto l’altro
giorno mi ha dato qualcosa che non avevo più da tanto tempo e che
credevo non avrei mai più avuto. Mi hai fatto uscire dal mio guscio,
mi hai scosso ed è orribile sentire che adesso ti senti male solo a
ripensarci.»
Callie sentì un nodo in gola grande come il New England, aveva
capito che c’era ben altro sotto. Forse Hank era attratto da lei solo
perché era un dottore. D’altronde, a chi si sarebbe rivolto un uomo
paralizzato se avesse avuto bisogno di capire come funzionava il
suo corpo dopo la caduta? A un dottore, preferibilmente uno che
avesse letto praticamente tutto ciò che era stato scritto sulle paralisi.
«Devo andare,» mormorò. «Ci vediamo in ospedale.»
Si arrischiò a guardarlo in faccia e desiderò di non averlo fatto,
perché il rimpianto in quegli occhi scuri era profondo, tanto da
arrivare fino alla sua anima. «Prenditi cura di te, Callie.»
«Anche tu,» disse deglutendo a fatica, poi se ne andò.
DODICI

N , Hank non aveva mai bisogno di una sedia a rotelle.


Quando chiudeva gli occhi, muoversi di propria volontà era di nuovo
facile. Nelle ultime notti aveva sognato di camminare per i corridoi
dell’ospedale, il che non aveva nessun senso, dato che non ci era
mai stato prima di smettere di camminare. Ma con i sogni era così,
non li potevi controllare.
Si vedeva passare attraverso lo spogliatoio degli uomini e oltre,
fino alla porta della piscina, poi entrava nella stanza piena di vapore
e dal forte odore di cloro; la stanza era deserta e l’acqua della
piscina terapica era immobile come uno specchio, ma una figura
solitaria sedeva da sola nella vasca calda. Una certa dottoressa si
stava rilassando lì, con il capo reclinato e gli occhi chiusi.
L’unico suono era lo sciabordio dell’acqua, mentre Hank
camminava fino a raggiungere la vasca, e, quando metteva una
mano sul bordo per entrare, lei apriva gli occhi.
Senza dire una parola, si immergeva nell’acqua e, molto
semplicemente, la attirava a sé, iniziando a baciarla. Dato che era
un sogno, non c’era bisogno di tanti discorsi e quando lei si
accoccolava a cavalcioni su di lui, Hank si rendeva conto che
nessuno dei due indossava vestiti; c’era solo pelle accaldata e
scivolosa contro pelle eccitata. Con un gemito, si chinava verso le
curve del suo corpo, per raggiungerla, per tenerla più stretta…
Sveglio.
Sbattendo le palpebre nella propria camera da letto illuminata
dalla luce del sole, Hank fece il punto della situazione. Callie non era
lì, era passata una settimana dalla loro conversazione deprimente e i
suoi sogni erano l’unico posto dove ultimamente l’avesse vista,
quindi doveva dare merito al suo subconscio. La vasca calda era un
tocco carino, peccato che l’unico dettaglio accurato dell’intero sogno
fosse la mancanza di vestiti, dato che gli era sempre piaciuto
dormire nudo e rompersi la schiena non aveva cambiato
quell’abitudine.
Spostò le lenzuola e lanciò un’occhiata al proprio corpo. Il suo
uccello ricambiò lo sguardo, perlopiù eretto, sporgente da sopra il
suo stomaco. Lasciando cadere le lenzuola, rimase immobile per un
momento; non doveva andare da nessuna parte per quel giorno,
sarebbe stato semplice chiudere gli occhi e assopirsi per un altro
po’.
Invece, fece scorrere una mano incerta lungo il proprio corpo,
fino a toccarsi, ma fu subito assalito dai dubbi. Magari non avrebbe
funzionato e quando, nel giro di pochi minuti, si sarebbe
ammosciato, si sarebbe sentito depresso da morire. Di nuovo.
Sospirando, ritrasse la mano.
C’era dell’ironia in tutta quella storia. Prima dell’incidente,
insegnare al proprio corpo nuovi trick era praticamente tutto ciò che
doveva fare durante il giorno. Essere uno snowboarder freestyle
voleva dire essere costantemente per aria, decollando per
raggiungere quella mezza rotazione in più in quell’esercizio, prima
che la gravità prendesse il sopravvento. Quando lavorava a un
nuovo trick, cadeva almeno dodici volte, prima di eseguirlo
correttamente e non appena quel trick diventava parte del suo
repertorio, sceglieva un’altra acrobazia e ricominciava tutto da capo.
Cadere, rialzarsi, cadere, riprovare… era tutto ciò che aveva
sempre fatto da quando era salito sulla sua prima tavola da
snowboard, a sette anni, e anche nelle rare occasioni in cui era stato
assalito da dubbi non aveva mai mollato, perché stare sullo
snowboard era il suo lavoro e fermarsi non era qualcosa che
sarebbe mai stato possibile.
Per la prima volta, una prova fisica gli stava dando del filo da
torcere.
Si sedette sul letto, premette qualche pulsante sul telefono lì
accanto e fece partire una playlist dei Pearl Jam; quella sì che
sollevava il morale. Dopo essersi trasferito sulla sedia, si spostò in
bagno, ma invece di aprire l’acqua della doccia, tirò un cassetto del
mobile e prese un blister di pastiglie colorate che gli aveva dato
l’urologo due giorni prima. Ne estrasse una dalla confezione e studiò
la pillola. L’idea che qualcosa di così piccolo potesse risolvere il suo
problema era abbastanza ridicola, ma il dottore era stato
incoraggiante. «È come premere sull’acceleratore,» aveva detto.
«Sarei davvero sorpreso se non ti aiutassero.»
Si infilò la pastiglia in bocca e poi bevve un sorso d’acqua.
E adesso? La pillola aveva bisogno di mezz’ora per fare effetto,
quindi ritornò in camera da letto, dove la voce di Eddie Vedder, che
stava cantando “Black”, usciva dalle potenti casse stereo che aveva
fatto mettere durante i restauri. Gettandosi sul letto, si stiracchiò, poi
portò una mano tra le gambe e si toccò le palle. Con gli occhi chiusi,
cercò di rivivere il suo sogno di prima: l’acqua calda, il corpo nudo di
Callie.
Pensa solo a rilassarti, si ordinò. Il dottore aveva detto di non
preoccuparsi, se non avesse ottenuto la reazione desiderata al
primo tentativo.
Hank respirò a fondo e si rilassò sul letto, mettendosi a proprio
agio, poi espirò, cercando di svuotare la testa.
«Hank, sei lì dentro?»
Mentre si rendeva conto che quella era la voce di sua sorella,
qualcuno bussò alla porta della sua camera da letto.
Hank tirò su le lenzuola. «Stella? Mi sto vestendo.»
La sua voce era attenuata dalla porta chiusa. «Sono venuta a
prenderti per portarti al brunch con la mamma. Ti prego, vieni con
noi.»
«Mamma è qui?» Spense la musica, poi si trasferì sulla sedia e
iniziò a vestirsi.
«No, dobbiamo vederci al Maplewood Inn e speravo che venissi
con noi, so che avrei dovuto telefonarti.»
Chiuse la zip dei jeans, facendo attenzione; per quanto la
tempistica di sua sorella fosse terribile, non poteva negare di essere
felice di sentirla, dato che non si faceva viva da una vita e se Stella
voleva trascinarlo a un brunch, allora ci sarebbe andato.
Si portò vicino all’armadio e aprì un’anta. «Ehi, Stella? Puoi
venire qui un secondo e trovarmi una maglietta che dica
chiaramente “brunch con la mamma”?»
Aprì la porta e gli diede un’occhiata. «Jeans?»
Fece spallucce. «Voglio assorbire un po’ della disapprovazione di
nostra madre. Perché ti interessa cosa indosso? Tra le altre cose,
siamo in Vermont, qui non esiste nessun codice d’abbigliamento e
sono sicuro che non ci sia neppure al Maplewood.»
«Non serve fare tutte queste storie.» Stella fece il giro della sua
sedia a rotelle e diede un’occhiata alla pila delle magliette. «Devo
saperlo così posso cercare la cosa giusta. Ecco… mi è sempre
piaciuta questa.» Gli porse una camicia nera di un tessuto
scamosciato.
Hank le fecce un cenno d’approvazione e Stella la staccò dalla
gruccia, gettandogliela in grembo.
«Calzini?» chiese, dirigendosi verso il comò e aprendo il cassetto
più in basso.
«Li prendo io, non mi trattare come un bambino.» Anche se era
passato un po’ di tempo da quando Hank era costretto a letto e la
gente doveva vestirlo davvero, non era comunque un bel ricordo. Si
abbottonò la camicia, assicurandosi di lasciarla fuori dai pantaloni
sopra al proprio inguine, in caso la pillola che aveva preso avesse
avuto un effetto più forte di quello che si aspettava.
«Non ti sto trattando come un bambino, ti sto mettendo fretta, è
una cosa diversa.»
«Buono a sapersi.»
«Hank?» Si fermò con le mani appoggiate sulla porta della
camera. «Grazie per aver acconsentito ad accompagnarmi, anche
senza nessun preavviso. So che hai da fare e non te ne stai con le
mani in mano tutto il giorno.»
Beh, in effetti in quei giorni era più o meno quello che stava
facendo; o era all’ospedale o a casa, e non suonava un po’ patetico?
«Per tua fortuna sono libero,» disse. «E affamato.» Ma non era
davvero quello il motivo per cui aveva deciso di unirsi a Stella
quando era entrata dalla porta. La verità era che era passato tanto
tempo da quando la sua sorellina aveva cercato la sua compagnia.
Subito dopo l’incidente, Stella era stata fantastica, ma quando
aveva smesso di andare a fargli visita, Hank aveva pensato che
anche lei avesse la sua vita da gestire e lui doveva andare avanti,
quindi non l’aveva accusata di niente, né ne aveva fatto un dramma,
ma dopo la loro chiacchierata da Rupert, aveva capito che avrebbe
dovuto rendersi conto che anche lei soffriva.
«Devo accendere la macchina?» chiese. «Mamma è così fissata
con la puntualità.»
«Faccio del mio meglio, bellezza.» Appoggiò una gamba sul letto
e si infilò un calzino. «Ehi, c’è qualche retroscena di cui devo essere
a conoscenza prima che arriviamo? Stai ancora pressando la
mamma con la tua vacanza a Valdez?»
Stella scosse la testa tristemente. «Ci ho rinunciato. Davvero.
Vuole che stia qui un anno, una specie di pausa, ma è solo un
messaggio in codice. La sua speranza è che trovi qualcosa di più
meritevole da fare col mio tempo.»
Gli dispiaceva che la vita di sua sorella fosse in continuo
cambiamento come la sua; che anno di merda avevano avuto. «Hai
per caso parlato con Bear?»
In quel momento, sul viso di sua sorella passò qualcosa di
strano, un lampo di disappunto le sfiorò i lineamenti, e lui lo vide
prima che lei riuscisse a reprimerlo. Poi si schiarì la voce. «Bear? E
perché mai?»
«Vuole fare un film, ha provato a chiedermi di fare la voce
narrante, ma gli ho detto di no. Comunque, ha menzionato l’elisci,
quindi so che stava pensando a delle riprese in alta montagna.
Magari andrà dove tu non sei ancora stata.»
Passò un momento, prima che rispondesse. «Wow, okay.»
«A dir la verità, dovrei vederlo la prossima settimana, dovrebbe
darmi qualche dettaglio, glielo chiederò.»
«Grazie,» mormorò.
«Non c’è di che, dolcezza. So che la mamma ti sta soffocando e
che è tutta colpa mia.»
«No, non lo è,» disse a bassa voce. «Hank, mi spiace di non
esserti stata vicina.»
Non era sua intenzione farla sentire in colpa. «Vieni qui.» Stella
gli si avvicinò e lui l’attirò a sé per un abbraccio. «Facciamo sempre
parte della stessa squadra, non è così?»
«Sempre,» rispose in un sussurro, allacciandogli le braccia
intorno alle spalle.
Hank la strinse a sé con dolcezza; era stato così distratto dalla
propria sofferenza che non c’era stato spazio per i problemi di sua
sorella, ma era stato un po’ egoista da parte sua non vedere che il
suo incidente aveva ferito tutti, in un modo o nell’altro, e non solo lui.
«Sono felice di riaverti nella mia vita,» disse con voce roca.
«Adesso facciamoci pagare una colazione super costosa da nostra
madre. Mi prendi le chiavi della macchina dal gancio?»
«Posso guidare la tua Porsche?»
«Assolutamente no,» ribatté in fretta.
«Dannazione!»
TREDICI

L , Callie stava guidando verso l’ospedale,


oltrepassando spaventapasseri e zucche. Era una perfetta giornata
di sole del Vermont, c’erano circa quindici gradi, ma quel clima
meraviglioso la rendeva triste. Era di nuovo sulla strada verso il
lavoro, per sostituire Nathan per mezzo turno. Avrebbe dovuto dirgli
di no per principio, ma la verità era che non aveva niente di meglio
da fare. In più, c’era il discorso degli straordinari, che le tornava utile.
Il conto legato al suo prestito studentesco era florido tanto quanto la
sua vita sociale era arida, esattamente come il mais indiano
essiccato che decorava le porte in tutto il Vermont.
Il traffico rallentò in prossimità della città e Callie si rese conto del
perché quando vide dei gazebo montati nel verde cittadino. Quel
giorno si teneva l’annuale festival del raccolto. Fermò la macchina
per permettere a un’altra vettura di inserirsi nel traffico davanti a lei,
e pensò che una fetta di torta fatta in casa avrebbe potuto metterla di
buon umore. Aveva venti minuti di tempo prima di iniziare il turno,
così si infilò in un parcheggio che si era appena liberato e spense la
macchina. Se la fila non fosse stata troppo lunga, avrebbe anche
potuto ascoltare la banda per un paio di minuti, o controllare la
bancarella dei libri usati.
Il festival era un grande evento per una città piccola come
Hamilton, quindi il gazebo del cibo era super affollato. Callie pagò
per la sua fetta di torta ricoperta di croccantino, poi tentò di farsi
strada tra la folla, ma venne bloccata da un uomo che inciampò
malamente su qualcosa. Per un secondo, Callie pensò che sarebbe
finito faccia a terra sull’erba, ma questi si riprese, borbottò una scusa
affrettata a qualcuno nella folla e si allontanò.
Quando si spostò, Callie si rese conto che ciò su cui era
inciampato era una sedia a rotelle e il suo occupante, dotato di
occhiali da sole a specchio sul viso, una barbetta sexy sul mento e
tatuaggi familiari sul braccio, la stava guardando dritto in faccia.
Merda, troppo tardi per una manovra evasiva.
Sforzò un sorriso. «Ehi, ciao.»
«Ciao a te.» Hank lanciò un piatto vuoto nel bidone della
spazzatura e si spinse verso di lei. «Vieni qui spesso?»
Callie non poté fare a meno di sorridere per l’uso ironico di quella
sdolcinata frase trita e ritrita, usata per attaccare bottone. «Certo, e
tu?»
Hank alzò il mento verso l’altra parte della zona verde. «Il mio
amico Bear è là da qualche parte. Gli ho detto che ci saremmo
incontrati qui. Ti va di fare due passi con me?»
«Solo per un po’,» rispose, felice di avere una scusa per
andarsene presto, anche se si trattava di una scusa che la faceva
apparire un po’ sfigata. «Copro un servizio di quattro ore per conto di
qualcuno, ma non potevo ignorare il profumo della torta di mele
proprio sulla strada verso il lavoro.»
«Va bene, mangia la tua torta e poi ti presenterò a Bear.»
Si fermarono al lato della folla di fronte alla zona dove suonava la
banda, dove un vocalist si stava esibendo in una convinta versione
di un successo della Dave Matthews Band.
Finì la sua fetta di torta e si godette la sensazione del sole sulla
faccia; aveva accanto l’uomo più sexy del Vermont, e anche se c’era
ancora della tensione tra di loro, pensò che fosse nulla in confronto
ad altre cose ben peggiori che potevano esserci nella vita. Quando
la canzone finì, buttò il proprio piatto vuoto in un contenitore per
rifiuti. «Dovrei comunque tornare presto al lavoro, insieme agli altri
sfigati.»
«Prima ti presento il mio amico, poi puoi schiaffarti quella S dritta
in fronte.» Hank le fece l’occhiolino e scivolò via, verso la parte più
tranquilla della festa, con Callie che gli trotterellava accanto. «Bear
faceva gare con me,» le spiegò. «Ora vuole fare il regista. Lo stato
del Vermont lo ha assunto per filmare una pubblicità per la prossima
stagione delle foglie.»
«Beh, mi sembra una gran bella cosa,» rispose.
«Lo pensa anche lui. Eccolo lì, dietro a quel carretto pieno di
zucche.»
Quando ebbero girato intorno a una pittoresca carrozza con un
cavallo, Callie notò una bellissima giovane donna bionda, seduta su
una balla di fieno, mentre un’altra era chinata su di lei con un
piumino per la cipria. Quando le vide, Hank si rabbuiò e quando la
bella ragazza girò appena il viso verso di loro, Callie la riconobbe
immediatamente. Era la donna che aveva pianto fino a consumarsi
gli occhi nel corridoio dell’ospedale, tutti quei mesi prima, la stessa
che aveva scaricato Hank qualche giorno dopo l’incidente.
Hank lasciò andare le ruote della sedia, fermandosi
bruscamente, poi un uomo barbuto e muscoloso li raggiunse a
passo svelto. «Ragazzone, sono felice di vederti.» Si fermò di fronte
a lui, un sorriso sul viso e una domanda negli occhi quando vide
Callie.
«Ciao,» si fece avanti. «Sono Callie.»
«Scusa,» si intromise Hank, risvegliandosi dallo stordimento.
«Callie, lui è il mio amico Bear, Bear, Callie è una mia amica
dell’ospedale.»
Si strinsero la mano, ma il viso di Hank era ancora impassibile.
«Quindi, cosa fa…?» Con la testa indicò la bionda.
Bear fece un’espressione colpevole. «Temo di aver dimenticato
di dirti che era in città.»
«Che strano,» mormorò. «Non avevo percepito un’interferenza
nella Forza.»
Rimasero in silenzio, sopra al quale riuscirono a sentire il
gracchiante stridio della voce della ragazza. «Piantala con
quell’ombretto blu,» sbottò alla truccatrice. «Non siamo mica nel
1975.»
Eppure Callie riuscì a notare che anche con il peggior trucco, la
ragazza sarebbe risultata comunque incantevole. Come poteva
essere giusto che un’atleta al top potesse anche avere il broncio
sexy di una top model?
In confronto, Callie era decisamente scialba e rendersene conto
la fece ritornare con i piedi per terra, dato che la bionda era il tipo di
ragazza che Hank frequentava di solito. Solo il mese precedente
aveva detto di essere stufo di adattarsi alle proprie aspettative, di
accettare che tutto nella sua vita, da quel momento in avanti,
sarebbe stato di serie B.
Se Callie avesse avuto bisogno di un motivo per smettere di
desiderarlo, lo aveva davanti agli occhi. Non avrebbe mai voluto
diventare la ragazza di cui qualcuno si era semplicemente
accontentato e non aveva bisogno di essere la seconda classificata
di Hank.
La bionda si alzò, voltandosi a guardarli, e quando si accorse di
Hank, un sorriso le illuminò il volto. Prima che Callie potesse
scusarsi e darsi alla fuga, si stava dirigendo verso di loro.
«Hank!» gridò, correndogli incontro per baciarlo sulla guancia.
«Ti vedo bene, come stai?» Raddrizzandosi, gli si mise di fronte,
cosa che lo obbligò ad alzare il viso per guardarla.
«Grazie, Alexis, sto bene,» borbottò e Callie poté vederlo mentre
combatteva il bisogno di allontanarsi un po’, abbassando il livello del
suo mento e, al tempo stesso, ingigantendo il divario tra di loro.
Tra di loro calò un silenzio teso e Callie desiderò di essersene già
andata. Hank stava vivendo un doppio momento di disagio e, tra le
altre cose, quel macigno al dito della ragazza era per caso un anello
di fidanzamento?
«Callie deve prendere servizio,» disse infine. «Quindi, noi…»
Fece un cenno con il viso verso il parcheggio.
«Ma sei appena arrivato,» insistette Alexis. «Raccontami tutto,
dai. Verrai anche tu quando Bear girerà il suo film?»
«Ehm, non ne sono così sicuro.» Incontrò gli occhi di Callie e
cercò di sorriderle, senza successo.
Alexis si sistemò i capelli. «Park City quest’anno è un po’ troppo
tranquilla, tutti stanno tirando un po’ il freno dopo il calendario dello
scorso anno. La stagione olimpica è sempre così estenuante.» Il suo
sorriso era ampio, ma Callie non poté trattenersi dal chiedersi se
avesse menzionato le Olimpiadi solo per ferire Hank o,
semplicemente, perché era un’insensibile. A peggiorare le cose, la
tensione nell’aria venne intensificata da un improvviso torrente di
lacrime proveniente da una bambina proprio alle spalle di Callie.
Alexis si leccò le labbra in un gesto quasi nervoso, ma Callie decise
di darle il beneficio del dubbio. Poi però la bionda disse qualcosa
che non poteva certo definirsi tenero. «Perché quella mocciosa
piange? Dio, che qualcuno la faccia stare zitta.»
Callie si voltò a guardare l’origine del problema: c’era una
giovane famiglia poco distante da loro, la madre teneva in braccio
una bambina urlante di circa due anni, che si teneva stretto il polso
sinistro con una manina grassoccia. Le sue grida erano così acute,
che era evidente quanto stesse soffrendo.
«La stavo solo facendo dondolare,» stava dicendo il padre, con il
viso arrossato. «Sai, in cerchio, poi ha iniziato a gridare così.» Si
sporse, prendendo la bambina tra le braccia, facendola saltellare sul
suo fianco per calmarla, ma la piccola cominciò a piangere ancora di
più, sempre tenendosi il polso.
Anche con le orecchie doloranti, Callie si rese conto che, mentre
alcuni problemi al mondo erano difficili da risolvere, quello di quella
famiglia non lo era affatto. Lasciò Hank e i suoi amici per
attraversare il prato verso la bambina in lacrime. «Scusatemi.»
Sorrise nel modo più caloroso possibile a quei genitori in tensione.
«Vostra figlia si è mai slogata un polso, in passato?»
Il papà fece una smorfia quando la bambina gridò troppo vicina al
suo orecchio, poi scosse la testa e allora lei indicò il braccino. «Un
gomito slogato fa male al polso e i bambini, spesso, lo reggono in
quel modo. Sono un dottore e ho visto ferite di questo tipo al pronto
soccorso. Posso toccarla?»
Entrambi i genitori annuirono con vigore, mentre la piccola
continuava a dare dimostrazione della sua grande capacità
polmonare.
Delicatamente, Callie prese tra le mani il braccino ferito della
bambina, che aveva il viso rigato dalle lacrime. Ancora piangendo, la
bambina la osservò, ma non sembrava turbata dall’intervento. Con
un movimento fluido, ruotò il polso cicciottello della piccola così da
portarle in alto il palmo, poi piegò il braccino al gomito, portando il
palmo vicino alla spalla. Ripeté la sequenza roteando la mano e
piegando il braccio.
La bambina si zittì all’improvviso, smettendo di gridare proprio a
metà di un urlo e, un secondo dopo, entrambi i genitori si
rilassarono.
«Stringimi la mano,» disse infine alla piccola, che le porse il
braccio non ferito. «Ma no, sciocchina, quell’altro!» Indicò il braccio
precedentemente slogato e la bambina glielo porse e le strinse la
mano.
«Oh, mio Dio, grazie!» esclamò la madre, mentre il padre non
riusciva a toglierle gli occhi di dosso, con la bocca spalancata per la
sorpresa.
«Si chiama gomito della bambinaia, succede spesso,» disse
Callie in fretta. «Alcuni bambini sono più predisposti di altri.
Comunque cercate di non tirarle più il braccio per un po’… diciamo
due settimane o potrebbe accadere di nuovo.»
Il padre scosse la testa. «Non la farò mai più volare per aria, lo
prometto.»
Il senso di colpa del poveretto era palpabile. «Lo so,» rispose
facendogli l’occhiolino. «A far del bene ci si rimette sempre.»
La famigliola continuò a ringraziarla, ma se Callie non fosse
andata al lavoro in quel preciso momento, sarebbe stata in ritardo.
«È stato un piacere,» rispose, poi si voltò e la prima cosa che vide fu
Hank, che la stava guardando e poi le fece l’occhiolino.
Sarebbe dovuta andare da lui a salutarlo, ma sarebbe stato
imbarazzante, così indicò il proprio orologio e poi il parcheggio, fece
una S con le dita delle mani e se la portò in fronte.
Lui annuì con un caldo sorriso, e lei gli fece un piccolo saluto,
prima di incamminarsi. Mentre si avviava verso la macchina, vide la
giovane famiglia che aveva aiutato mettersi in fila per un frappè alla
crema d’acero.
Beh, almeno servo a qualcosa, pensò mentre prendeva le chiavi
dalla tasca.
All’ospedale, Callie trovò Nathan in sala relax, piegato su una copia
del cruciverba del Sunday. «Ehi!» disse, sorridendole. «Il bordo di un
tessuto, sei lettere.»
«Cimosa,» rispose senza esitazioni. Sovrappensiero, prese l’altra
sedia e si sedette di fronte a lui. Avevano sempre fatto i cruciverba
assieme e, Dio, le mancava così tanto avere un’altra persona nella
sua vita, quei piccoli rituali di coppia che la calmavano e la facevano
sentire utile.
«Non ci sarei mai arrivato da solo,» ammise, scrivendolo. «E che
mi dici del luogo di nascita di Pavarotti? Ho provato con Verona, ma
la V sicuramente non va bene.»
Callie chiuse gli occhi. «Modena?»
«Ah!» scrisse. «Sei un vero tesoro.»
Per mezzo secondo, quel briciolo di complimento la illuminò, ma
poi Nathan spinse indietro la sedia e si alzò in piedi. «Devo andare,
grazie per essere venuta. È stato abbastanza tranquillo finora.»
«Non osare portarmi sfiga pronunciando la parola con la T,» lo
ammonì e Nathan le fece un sorriso triste. «Scusa.»
Si riscosse dalla delusione e indossò il camice. «Se non hai
nessuna cartella da mostrarmi, puoi anche andare. Altri piani per il
matrimonio?»
Il suo sorriso svanì. «Direi proprio di no, porto mia madre a
pranzo, per dirle che il matrimonio è stato annullato.»
«Cosa?» Callie non riuscì nemmeno a nascondere la propria
sorpresa.
Nathan scosse la testa, gli occhi bassi. «Shelli mi ha scaricato
per un dottore di Hitchcock, puoi benissimo dirmi “te l’avevo detto”
fin che ti pare.»
Ma non mi dire? L’ammissione di Nathan era a dir poco
sorprendente e le ci volle una forza sovrumana, ma si trattenne dal
dirgli tutti i commenti più ovvi. «Mi dispiace per i tuoi guai, Nathan.»
«Già, sì, sono andato a cercarmeli.»
Callie si rese conto che non aveva la minima idea di cosa fare.
La situazione era imbarazzante. Poi si ricordò che il suo telefono
aveva vibrato dentro alla sua borsa diverse volte nell’ultima
mezz’ora, quindi colse quel momento per sbirciare.
Aveva un messaggio in segreteria e due sms da Willow.
Chiamami, diceva il primo e il secondo, Ho una SORPRESA! Una
sorpresa…?
«Callie?»
Alzò il viso per vedere Nathan proprio di fronte a lei e, prima che
potesse anche solo capire le sue intenzioni, lui invase il suo spazio
personale e la baciò dolcemente sulle labbra. «Scusa se sono stato
uno stronzo.» Troppo sorpresa per parlare, rimase impalata a
fissarlo.
Lui le appoggiò le mani sulle spalle, strizzandole leggermente.
«Mi dispiace,» disse di nuovo. «Ho gettato via quello che avevamo
per… un diversivo. È stata la cosa più stupida che abbia mai fatto.»
«Che cosa stai dicendo?» chiese, la voce roca per la sorpresa.
«Dovevo sapere che io e Shelli non saremmo stati insieme a
lungo termine.» La sua risata suonò nervosa. «Sai, compiere
trent’anni, pensare che niente di eccitante potesse mai più
succedermi di nuovo… mi sentivo come se avessi passato la mia
vita indossando un camice.»
Callie scrollò la testa, cercando di scuotersi dallo stupore.
«Stiamo avendo una crisi di mezz’età,» ammise in un sussurro.
Solo allora Nathan sorrise e il suo viso divenne più vulnerabile e
aperto di quanto non lo fosse mai stato. «Vuoi averla insieme a
me?» chiese.
Senza aspettare una risposta, le mise una mano sotto al mento,
obbligandola a guardarlo e il bacio che ricevette fu caldo e lento.
Callie si immobilizzò, prendendo atto di ciò che stava accadendo con
ogni cellula del suo essere. Aveva aspettato così tanto quel
momento, quello in cui Nathan avrebbe annullato l’incubo del suo
rifiuto improvviso, ma era passato così tanto tempo che Callie aveva
smesso di aspettarsi che accadesse e quello che provava in quel
momento, più che felicità era pura sorpresa.
Invece di perdersi nel bacio, venne distratta dalla
consapevolezza che la vendetta non era così sexy come avrebbe
dovuto essere. Anzi, peggio ancora. Da qualche parte profonda del
suo subconscio un paio di occhi scuri come il carbone e delle spalle
muscolose e scolpite emersero all’improvviso e, insieme a quello,
arrivò anche il crudo dolore della delusione che Nathan, un tempo,
aveva causato.
Si fece indietro, interrompendo il bacio. «No,» ansimò. «Nathan,
non posso farlo.»
«Perché?»
Non sapeva nemmeno cosa dirgli. «Sono presa da un altro
uomo, quindi questo non è giusto né per me né per te.» E quella era
la verità, anche se lei ed Hank non avevano alcun futuro insieme,
stare con Nathan in quel momento sarebbe stato doversi
accontentare di qualcosa in meno.
Lui sgranò gli occhi. «Stavamo bene insieme, l’hai detto anche
tu.»
«E tu hai deciso di farla finita,» sussurrò. «Quasi due anni fa, e io
sono andata avanti.» O, almeno, ci ho provato.
In silenzio, Nathan rimase immobile a rigirarsi l’orologio sul polso
e poi, tutto d’un tratto, afferrò la giacca e lasciò la stanza.
Callie crollò su una sedia, cercando di capire quello che era
appena successo. Stavamo bene insieme. Quando mesi prima lo
aveva detto, ci aveva creduto e magari era anche vero. Solo che
“bene” non era più convincente come lo era stato in passato e quel
minuscolo germe di un’idea, che era ancora una piccola cellula,
stava scavando una strada nella sua coscienza. L’incontro con
Nathan l’aveva sicuramente invitata alla riflessione, ma avrebbe
dovuto farlo più tardi, perché c’erano visite da fare e medicazioni da
riesaminare.
Con un confuso cenno della testa, indossò il camice e si mise al
lavoro.
Alla fine del turno si prese un minuto per sé, sedendosi davanti a
uno dei computer dell’ospedale; si loggò nella sua e-mail personale
per la prima volta in quel giorno, e quando vide “Ospedale Marin”
come oggetto di un nuovo messaggio, il suo stomaco si contrasse
nervosamente.
Gentile Dottoressa Anders, abbiamo letto con interesse la sua
lettera di presentazione, ma sfortunatamente…
Il suo stomaco si aggrovigliò ancora di più a quelle parole.
Perché ogni cosa eccitante nella sua vita arrivava sempre insieme
alla parola sfortunatamente? Ma, continuando a leggere, si rese
conto che le cose non erano così male.
Sfortunatamente, abbiamo un blocco delle assunzioni fino alla
fine dell’anno solare che, comunque, dovrebbe finire il primo di
gennaio. Se nel frattempo potesse inoltrare il suo fascicolo al dottor
Johnston, la metteremo in cima alla lista dei nostri colloqui di
gennaio.
Beh, quello era un passo avanti. Si scollegò dal computer, ben
conscia di non volere che il suo attuale datore di lavoro venisse a
sapere che stava prendendo in considerazione l’idea di cambiare
lavoro.
Ma quello sarebbe stato un problema, giusto? Se avesse
inoltrato il proprio fascicolo accademico a un ospedale della
California, lo avrebbero notato e lei non poteva aspettare troppo a
lungo per far partire la procedura, perché ci sarebbero volute
settimane per ottenere una licenza per la pratica in California, forse
addirittura mesi.
Naturalmente, la gente cambiava lavoro di continuo, solo che la
sua ricerca sulla S.E.F. sarebbe durata ancora dieci mesi e,
nonostante il modo in cui era iniziata, doveva accertarsi che il
testimone passasse con facilità e dato che Hank aveva preteso che
la sua presenza fosse una condizione obbligatoria, Callie doveva
metterlo a conoscenza della sua decisione e chiedergli di essere
benevolo sul passaggio di consegne. Dopo tutto ciò che era
successo tra di loro, era sicura che non le avrebbe messo troppo i
bastoni tra le ruote; era troppo un bravo ragazzo.
Dannazione. Doveva smetterla di fare pensieri coccolosi su di lui.
La cosa migliore da fare era parlarne subito con lui. Non sarebbe
stato semplice, ma una volta strappato quel proverbiale cerotto, si
sarebbe sentita più libera di pianificare il prossimo capitolo della
propria vita.
Alla fine del turno, Callie prese la giacca dall’armadietto e,
uscendo dall’ingresso dell’ospedale, incrociò la dottoressa Fennigan
che vi entrava. «Callie!» la chiamò la direttrice. «Come è andato il
tuo weekend?» Le fece l’occhiolino, sapendo bene che entrambe
erano rimaste tutto il fine settimana in ospedale, piuttosto che in un
altro posto più rilassante.
«Ehm, bene!» Era nervosa, come se la dottoressa Fennigan
fosse in grado di leggerle in faccia che stava pianificando di disertare
in favore della West Coast.
«Sono felice di sentirlo, poco fa ho incontrato Hank Lazarus tra la
folla del festival.»
«Sul serio?» Un rossore colpevole le tinse le guance; i suoi
trascorsi con Hank erano ben peggiori che il fatto di voler cambiare
lavoro, e se la dottoressa avesse saputo cosa era accaduto tra di
loro, avrebbe potuto essere lei stessa a incoraggiarla a fare colloqui
di lavoro altrove.
«Mi ha raccontato che hai messo a posto il polso di una povera
bambina, oggi.»
«Era solo…»
«Il gomito della bambinaia,» terminò. «Sì, immaginavo, ma il
signor Lazarus pensa che tu abbia fatto un vero miracolo. Gli viene
una strana espressione sulla faccia quando parla di te.» La donna
ora stava sorridendo e Callie sentì che stava iniziando a sudare. «È
una buona cosa che non abbiate una relazione dottore-paziente.»
Cosa?
Con il viso in fiamme, si sforzò di guardarla negli occhi. Quella
piccola frase l’aveva messa in allarme come nient’altro le avesse
mai detto prima, ma qualcosa le impediva di chiederle un
chiarimento. Dopo quello che era successo con Hank era
semplicemente troppo rischioso.
La dottoressa strizzò l’occhio. «Sarà meglio che vada, pare che
io abbia due o tre patate bollenti di cui mi dovrò occupare.»
Appoggiandole una mano sul braccio, le diede la buona notte.
Con la mente annebbiata, uscì ed era già buio; l’aria frizzante
aveva l’odore delle foglie morte. Il Vermont era un bel posto, ma
Callie non aveva tempo per godersi la serata, sapeva che era tempo
di andare. Estrasse il telefono e il cercapersone dalla borsa; aveva
parecchi messaggi di Willow a cui rispondere, ma l’avrebbe fatto una
volta terminata quella difficile discussione che l’aspettava.
Digitò invece il numero di Hank prima di perdere il coraggio; se
fosse stato a casa, gli avrebbe detto del suo dilemma riguardante la
propria carriera quella sera stessa, prima di farsela sotto.
QUATTORDICI

D l’inattesa chiamata di Callie, Hank fu


decisamente felice di aver passato il pomeriggio a pulire la casa.
Non aveva idea di cosa volesse parlargli, ma l’aveva comunque
incoraggiata ad andare a trovarlo.
Regolò il volume dello stereo in salotto e controllò la scorta di
legna. Dato che stava aspettando ospiti, aveva tentato di rendere la
casa un po’ più allegra e meno solitaria del solito; c’erano diversi tipi
di birre in frigo e una pentola di chili che sobbolliva su un fornello.
Mentre era impegnato a far risplendere l’ambiente, aveva anche
passato le ultime ore a rivivere nella testa la scena al festival della
mietitura. Dannata Alexis. Poteva esistere una persona più
superficiale? Gli faceva un male quasi fisico rendersi conto di quanti
mesi aveva passato a tormentarsi per lei, e che perdita di tempo
fosse stata. Quando uscivano, le uniche parole gentili uscite dalla
bocca di Alexis erano quelle che aveva mormorato quando gemeva
a letto, e tutto il resto del tempo lo aveva passato a lamentarsi. Fino
a quel giorno, se n’era completamente dimenticato.
Non aveva bisogno di fare nessun confronto per sapere che
Callie valeva il doppio come donna rispetto ad Alexis. Mentre
quest’ultima aveva aperto la bocca per lamentarsi della bambina che
urlava, Callie si era mossa con decisione e aveva risolto la
situazione, come una specie di eroina con un gran cervello, ma
anche con un bel paio di tette. Solo il ricordo lo faceva sorridere.
Callie era il pacchetto completo, legato con un bel fiocco.
Probabilmente Hank aveva già bruciato la sua occasione, ma ora
lei stava arrivando a casa sua, con qualcosa da dirgli e, anche se
non aveva idea di cosa si trattasse, le avrebbe preparato qualcosa
da bere e sarebbe stato ad ascoltarla. E, magari, avrebbe cercato
un’apertura.
Fischiettando, Hank si portò oltre la cucina fin dentro alla camera
da letto padronale, mentre entrava nel suo grande bagno per
disabili, il suo viso lo salutò dallo specchio e, invece di distogliere lo
sguardo, come di solito faceva, si diede un’occhiata e quello che
vide non era niente male. Tutta quella terapia fisica extra stava
iniziando a dare i suoi frutti sotto forma di muscoli aggiuntivi, inoltre il
suo colorito era migliore di quanto non fosse mai stato dopo
l’incidente.
Era strano vedere il vecchio Hank ricambiare il suo sguardo,
quando lui stesso non si sentiva più la stessa persona, ma a parte la
sedia a rotelle, sembrava esattamente lo stesso ragazzo pronto a
lanciare il proprio snowboard a bordo del suo vecchio SUV per
scappare a Breckenridge o Tahoe.
Aprì l’armadietto dei medicinali proprio quando sentì lo
scricchiolio delle gomme sul vialetto di ghiaia e il colpo alla porta
arrivò mentre stava ancora rovistando tra le medicine.
«Avanti,» gridò. «Arrivo tra un minuto.» Sentì la porta aprirsi.
«Fai con calma,» rispose una dolce voce.
Trovò finalmente la pillola che cercava, premette sul blister e la
pastiglia ricadde sul palmo della sua mano: ferma lì, il rivestimento
colorato aveva un aspetto invitante.
Se non riesci la prima volta…
Era più semplice ricorrere ai cliché, piuttosto che sconfiggere le
sue paure. Da quando in qua una sfida fisica era così intimidatoria
per Hank “Hazardous” Lazarus? Senza indugiare oltre, Hank portò la
pillola alla bocca e la ingoiò.
La verità era che quando facevi fiasco con un trick sullo
snowboard, potevi farti male sul serio e lui lo sapeva meglio di
chiunque altro, ma quando fallivi in camera da letto c’erano anche
altre persone che sarebbero rimaste ferite ed era complicato da
morire. Odiava quella situazione, eppure per lei valeva la pena
rischiare, come per tutte le cose buone.

Callie sfruttò il suo minuto da sola per lanciare occhiate invidiose


all’incredibile open space: c’era un grande camino in pietra in un
angolo, dove, dietro a una grata, bruciava lento un ciocco, un
gigantesco divano a forma di L circondava un tavolino da cocktail
basso ed eccentrico, dalla superficie in legno, con i lati arrotondati e
circondato da un bordo di ferro battuto. Ovunque guardasse, c’erano
in bella vista dettagli mascolini. Dietro al salotto c’era la zona bar, di
fronte a un’elegante cucina e, sulla destra, delle finestre alte fino al
soffitto occupavano tutta una parete.
Wow.
Da qualche parte, degli altoparlanti nascosti emettevano una
musica bassa e rilassante; vicino alla porta c’era una scarpiera e,
cogliendo l’indizio, si tolse le scarpe proprio mentre Hank emergeva
da una porta, le spalle così ampie e robuste che si chiese come
facesse a passarci attraverso e, a parte quello, indossava un
devastante e affascinante sorriso. «Ehi, ciao.»
«Ciao.» Ricambiò il suo sorriso, sentendosi in imbarazzo. «Sei…
hai compagnia?» Sentì il profumo di cibo e sperò di non essere
arrivata a interrompere qualcosa.
Esitò per un breve attimo prima di scuotere la testa. «No, stavo
solo finendo di prepararmi un cocktail; ne vuoi uno?»
Fu il turno di Callie di esitare. Non aveva previsto di farla
diventare una visita di cortesia, ma non voleva nemmeno essere
maleducata e non era prontissima a buttar fuori la sua richiesta. Per
piacere, non fare un casino per la ricerca se me ne vado in
California. Prese un profondo respiro. «Un drink sarebbe perfetto,
grazie.» Gli avrebbe chiesto questo favore da amica e non c’era
ragione perché due amici non dovessero bersi un cocktail insieme.
Hank si voltò verso la cucina, allungandosi per prendere un paio
di bicchieri dal porta-bicchieri, dove erano appesi sotto a un
armadietto a muro, che era sia accessibile che mascolino e
sembrava quasi un arredamento del bar di Rupert giù in città.
«Potremmo fare un gin e tonic, o una birra. Oppure una birra e
sidro?»
«Birra e sidro,» scelse Callie. «Li adoro.»
Hank aprì il frigo sotto al bancone e prese due bottiglie, tolse il
tappo e poi divise con attenzione la birra e il sidro alcolico tra i due
bicchieri. «Perché non prendi i due bicchieri e ti metti a sedere?»
disse. «Io arrivo in un minuto.»
Callie prese i bicchieri e lì portò fino al divano, un minuto dopo
Hank apparve con un tagliere di formaggio e dei cracker che
appoggiò sul tavolino. Poi, rapido, si spostò dalla sedia a rotelle al
divano accanto a lei, mettendosi in bocca un cracker e sorridendole.
Gli porse un bicchiere. «Cin cin.»
Fecero tintinnare i bicchieri poi Callie prese un sorso, sostenendo
il suo sguardo e di nuovo ebbe la sensazione di stare perdendo il
controllo. Quell’uomo sexy, con il suo bell’appartamento da single,
con quegli occhi scuri e penetranti, la faceva sentire come se fosse
una ragazzina delle medie; non era abituata a sedersi con i ragazzi
vincenti.
Hank la guardò da sopra il bordo del bicchiere mentre beveva un
lungo sorso. «Cos’hai in mente, ragazza?»
Callie bevve un altro po’ di birra, chiedendosi quale fosse il modo
migliore per dire ciò che doveva. «Beh, un paio di mesi fa, proprio
prima che rivoluzionassi il mio lavoro all’ospedale, stavo per
decidermi a fare un cambiamento.»
Hank appoggiò il gomito sullo schienale del divano, posando la
testa sul palmo della mano; i suoi occhi castani puntarono su di lei, e
Callie ebbe la sensazione che nessuno avrebbe mai potuto
ascoltarla più attentamente di quanto lui stesse facendo in quel
momento. Anche dopo aver lasciato il Vermont, Callie era certa che
si sarebbe ricordata del modo dolce e pieno d’affetto col quale la
stava guardando, quasi fosse stata l’unica persona al mondo ancora
viva.
Prese un profondo respiro e proseguì. «Sono una giovane
dottoressa per la quale le raccomandazioni contano un sacco.
Desideravo trasferirmi in California, ma non riuscirò a ottenere quel
lavoro se il mio fascicolo accademico non sarà immacolato.» Prese
un altro sorso della propria bibita, e il sidro e la birra insieme
crearono un delizioso aroma aspro che avrebbe per sempre
associato al Vermont. Hank la guardò in silenzio, cosa che stava
iniziando a farle saltare i nervi. «Quindi, speravo che non ti agitassi
se l’ospedale mandasse qualcun altro a gestire la ricerca, perché ho
bisogno che il mio capo mantenga i finanziamenti, nel caso in cui io
dovessi andarmene.»
Ecco, l’aveva detto.
Hank continuò a guardarla e lei ricambiò il suo sguardo,
cercando di non farsi ammaliare dalle due pozze scure che erano i
suoi occhi. Poi, lui finalmente rispose: «Sei venuta fino a qui per
dirmi che te ne vuoi andare in California?»
Annuì. «Ci penso da quasi un anno.»
Hank non disse una singola parola, invece le prese il bicchiere
dalla mano e lo appoggiò sul tavolino, poi si avvicinò e le prese il
viso tra le mani. I suoi occhi scuri diventavano sempre più grandi
man mano che si avvicinava, fino a quando non si chiusero, mentre
sfiorava le sue labbra con le proprie.
Al diavolo tutto.
Il cuore prese a batterle furiosamente nel petto, mentre Hank,
con il pollice, le sfiorava piano la mascella. Doveva davvero
staccarsi da lui, sapeva di doverlo fare, ma il suo corpo era ancora
completamente immobile e rifiutava di muoversi.
Il bacio successivo fu dolce e gentile come un sussurro d’amore;
si guardarono in silenzio per un secondo, prima che le labbra di
Hank si avvicinassero ancora, inclinandosi morbide e umide sulle
sue. La lingua di lui passò sul suo labbro inferiore e quel tocco dolce
contro la sua bocca la fece sussultare. Quando schiuse le labbra,
Hank gemette in approvazione dal profondo della gola, un misto tra
un gemito e un grugnito; qualsiasi cosa fosse stata, il suono
riverberò attraverso il corpo di Callie. Senza neanche volerlo, Callie
si chinò su di lui, il corpo che ignorava del tutto l’ordine di darsi una
calmata. Il tocco della lingua di Hank contro la sua divenne insistente
e le sue forti labbra vinsero la sua resistenza, inducendola ad
abbassare la guardia.
Accidenti, quell’uomo baciava davvero bene.
Si arrese del tutto, spingendosi verso di lui, arrendendosi a lui e
subito dopo si sentì sollevare da braccia forti, che la alzarono,
tenendola per i fianchi. Ora erano l’uno di fronte all’altro, lei quasi a
cavalcioni su di lui, ma non c’era tempo per considerare le
implicazioni, dato che la lingua di Hank non aveva smesso di
prendere possesso della sua bocca (e, a dir la verità, anche delle
sue funzioni cerebrali).
Nel frattempo, le mani di Hank erano scivolate lungo la sua
schiena, fermandosi appena sopra il sedere.
Per rimettersi in equilibrio, Callie gli appoggiò le mani sul petto,
ma quei muscoli duri sotto i suoi palmi chiedevano attenzione, così
fece scorrere la punta delle dita lungo i suoi pettorali fino ai fianchi,
facendolo gemere. «Callie,» sussurrò Hank contro le sue labbra, ma
lei non voleva stare ad ascoltare. Forse stava per suggerirle di
smetterla, o forse no. Magari era pronto ad andare oltre, ma in ogni
caso entrambe le opzioni erano preoccupanti, quindi fece l’unica
cosa ragionevole che potesse fare in quel momento: allacciò le
braccia al suo collo muscoloso e lo baciò con maggiore trasporto.
Hank sembrava non avere nulla in contrario, perché la strinse più
a sé, le braccia d’acciaio che la circondavano come una morsa. Il
suo seno gli sfiorò il petto, e quella frizione era una sensazione che
dava alla testa. Callie pensò a quanto fosse strano che Hank fosse il
secondo uomo che baciava quel giorno, anche se, a dire il vero,
Nathan non reggeva il paragone; i baci di Hank erano magici.
«Callie,» sussurrò lui contro le sue labbra. «Sto per portarti a
letto.»
A quelle parole, Callie prese un profondo respiro tremante e il
suo cervello confuso prese atto di quel piccolo annuncio, che non
era stato fatto sotto forma di domanda, ma come dato di fatto.
Qualsiasi dottore che avesse mai lavorato in un Pronto Soccorso
imparava a prendere decisioni in fretta, anche se le conseguenze
potevano essere enormi e, nella frazione di secondo che seguì,
Callie esaminò le possibili ripercussioni che ci sarebbero state se
avesse seguito Hank in camera da letto. Ripercussioni che
includevano perdita di dignità e confusione, senza dimenticare la
possibilità di un altro incidente imbarazzante per entrambi.
Ma sarebbe stata capace di rifiutare l’offerta? Certo che no e,
magari, sarebbe riuscita a toglierselo dalla testa.
Mentre la sua mente ottenebrata dal desiderio faceva del proprio
meglio per ignorare le possibili tragiche conseguenze, Hank la rimise
in piedi e, prima che lei potesse risvegliarsi da quello stato di trance,
si spostò sulla sedia a rotelle in quel suo modo atletico, come un
ginnasta cazzuto che eseguiva un passaggio da un attrezzo all’altro,
poi le prese la mano, tirandola a sedere sul suo grembo. Lei si
appoggiò al suo petto, mentre si dirigevano verso la camera da letto.
«Non ho mai avuto un passeggero prima,» le sussurrò all’orecchio,
prima di mordicchiarlo.
Lei voltò la testa per incontrare i suoi occhi, che brillavano felici, e
lui ne approfittò per rivendicare nuovamente la sua bocca,
sorprendendola quando riuscì ad arrivare di fianco al letto, senza
smettere di baciarla.
«Siamo arrivati,» mormorò Hank, poi la sollevò senza sforzo e la
lasciò cadere sul letto, che per fortuna era del tipo basso e moderno.
Con un’altra sciolta pressione delle braccia sulla sedia, Hank si unì a
lei sul materasso, poi con un braccio portò le proprie ginocchia sul
letto, dopodiché la attirò a sé, ricoprendole il collo di baci. Callie lo
attirò a sé e tutta quella quantità di muscoli sotto le sue mani la fece
sentire ben più che un po’ stordita.
«Sei meravigliosa,» disse, le labbra che sfioravano la pelle dello
scollo a V della sua camicetta. «Se prometto di non dare di matto,
posso toglierti qualche vestito?»
Lei abbassò il viso per trovare le sue labbra, e il bacio che
ricevette fu umido e insistente, ma lo interruppe per rispondergli:
«Forse è meglio se ti spogli prima tu; tanto per avere una garanzia.»
I suoi occhi castani brillarono di felicità. «Che ne dici di un pezzo
a testa?»
Callie inspirò a fondo, dandosi un’altra possibilità per ritornare in
sé, ma la cosa non successe. «Affare fatto,» rispose invece.
Con un sorriso, fece leva sugli addominali, togliendosi la
maglietta, mettendo in mostra quel torace scolpito. Per un sacco di
tempo aveva desiderato ardentemente di poterlo toccare e ora
aveva la possibilità di farlo. Lasciò vagare la punta delle dita sul
tatuaggio del sole, dipinto sui suoi pettorali, e lui chiuse gli occhi,
apprezzando il suo tocco.
Quando iniziò a tracciare una scia di baci sul suo petto, lui si
lasciò sfuggire un suono carico di desiderio dal profondo della gola.
«Adesso tocca a te,» ruggì, mentre toccava i bottoni della sua
camicetta; quando cadde a terra, portò le mani sulle spalline del suo
reggiseno.
«Aspetta,» lo rimproverò Callie. «Pensavo che avessimo stabilito
uno a testa.»
«Pignola,» rispose in un soffio. «Va bene, come vuoi.» Poi mise il
naso tra i suoi seni e leccò una linea di pelle lungo il bordo del
reggiseno. I suoi capezzoli si irrigidirono e gemette senza
rendersene conto.
Torturandola ancora, Hank appoggiò la bocca su uno dei
capezzoli coperti dalla seta, succhiandolo dolcemente; il calore della
sua lingua attraverso il tessuto umido era seducente. «Okay, toglilo,»
lo implorò.
«Le regole sono regole,» ridacchiò lui.
«Non hai mai seguito una sola regola in tutta la tua vita,» gli
rispose Callie, inarcando la schiena per cercare un contatto
maggiore con la sua bocca.
«Giusto.» E, mezzo secondo dopo, le aveva tolto il reggiseno e
aveva il suo seno premuto contro la lingua. Aprendo la bocca,
succhiò a fondo il suo capezzolo.
«Oddio, sì,» sibilò lei e il vorticare della lingua di Hank sulla sua
punta dolorante la fece vibrare di desiderio fin nel profondo.
Esattamente come era accaduto sul divano, Hank la stava portando
al massimo dell’eccitazione in un battito di ciglia e, considerato il loro
passato, pensò che avrebbe dovuto essere più cauta, ma tutto era
semplicemente troppo bello per preoccuparsene.
Con dita tremanti, gli toccò la patta dei pantaloni, fermando la
mano sul bottone. «Ora o mai più,» mormorò.
«Fallo,» rispose lui. Mani fameliche si unirono alle sue per
aiutarla, poi Hank scivolò fuori dai jeans, restando in boxer attillati,
stretti in vita. Callie ne sfiorò il bordo elastico, ma lui le trattenne la
mano. «Non ancora, okay?»
Lei lo guardò negli occhi, dubbiosa, ma venne ricambiata da uno
sguardo rassicurante. «Non me la sto facendo sotto, c’è solo un altro
passo da fare rispetto a prima.» La baciò. «Dal disastro successo a
casa di Willow, ho fatto un po’… di compiti.»
Callie sorrise, senza parole all’idea di Hank che si masturbava.
«Fidati di me, è l’unico tipo di compiti in cui sono sempre stato
bravo.» La baciò di nuovo, le sue labbra che si scioglievano al
contatto. C’era molta volontà e ambizione in quel bacio. Non si
oppose quando le tolse i jeans, unendo i propri fianchi ai suoi. Con
baci che avrebbero potuto fornire energia all’intera West Coast,
grazie alla loro intensità, Hank si mosse contro di lei, che lo sentì
diventare duro contro il proprio corpo, il desiderio che sbocciava tra
le sue gambe.
Fece scivolare le mani, passando la punta delle dita contro il
rigonfiamento nelle sue mutande, poi le allungò per massaggiargli le
palle, mentre lui si lasciava sfuggire un gemito. Il modo in cui i suoi
occhi si chiusero mentre lo toccava, indicava che tutto stava
andando per il meglio.
Era difficile smettere di pensare come un dottore, anche in una
situazione come quella, ma dopo un altro bacio appassionato, il suo
camice mentale volò via. «Voglio toccarti,» sussurrò Callie.
«Adesso sono tutto tuo,» rispose Hank. Infilando una mano
nell’elastico si liberò dei boxer, poi avvolse le dita attorno alla sua
asta. Con lentezza, cominciò ad accarezzarsi e Callie si sentì
arrossire di desiderio alla vista: era grosso e bellissimo. Gli spinse
via le mani e prese il comando.
«Cazzo, sì,» mormorò Hank, sdraiandosi sulla schiena. La
strattonò verso l’alto per baciarla, e Callie strisciò su di lui, sfiorando
il suo uccello con la seta delle mutandine.
Mosse di nuovo i fianchi, scivolando su di lui fino a farlo ruggire.
«Riesci a sentirlo?» chiese per stuzzicarlo.
«Penso di sì, ma prova a farlo di nuovo, giusto per essere proprio
sicuri,» ridacchiò Hank.
Callie scivolò di nuovo su di lui, torturando entrambi, fino a
quando Hank non la fece ruotare su un fianco, afferrò le sue
mutandine e le abbassò di colpo. Continuando a baciarla famelico,
infilò le sue mani tra le sue gambe e quando le dita la trovarono
bagnata, gemette sulle sue labbra. «Dannazione, Callie.»
Lasciandola andare, si sporse per prendere un preservativo dal
cassetto e lo lasciò cadere sul letto, ma Callie lo fermò. «Se vuoi
possiamo usarlo, ma…»
Hank la guardò, prendendo il pacchetto tra le dita. «Non ne
abbiamo bisogno?»
Scosse la testa. «Io sono pulita e protetta contro eventuali
gravidanze e tu hai fatto tutti i test medici esistenti sulla faccia della
terra, così pensavo…» Si schiarì la voce. «Diminuiscono la
sensazione.»
Ridendo, Hank gettò via il preservativo e poi la coprì col proprio
corpo, la fronte premuta contro la sua. «Callie, ho fatto qualcosa di
davvero arrogante, prima.»
«Cosa?»
«Ho preso una pillola.» Il suo sorriso storto era strepitoso.
«Immagino non sia stata un’aspirina.»
Con gli occhi che gli brillavano, la baciò. «No.»
«È qualcosa che ti ha dato l’urologo?»
Annuì piano, mentre con i denti le mordicchiava il labbro inferiore.
«E per avere risultati migliori, devo lasciar passare altri dieci minuti
perché faccia effetto. Mi chiedo se riuscirò a farmi venire in mente
qualcosa per far passare questo tempo.» Si mosse verso il basso,
strisciando sul suo corpo, venerando ancora i suoi capezzoli.
Un calore le bruciava tra le gambe e Callie sollevò il bacino verso
di lui.
«Sai,» si interruppe un attimo per abbassarsi ancora, baciandole
la pancia. «C’è una parte di me che non è mai stata coinvolta
nell’incidente.»
«Quale?» chiese, il peso del suo corpo delizioso sul proprio.
«La mia lingua.» Iniziò a baciarla oltre l’ombelico, le sue labbra si
soffermarono in prossimità dell’anca e poi scese più in basso, vicino
all’interno coscia.
«Oh, cavolo,» ansimò Callie e si irrigidì.
Hank alzò la testa. «Non ti piace?»
Callie prese una boccata d’aria e abbassò gli occhi, impietrita
dalla vista di quei meravigliosi occhi scuri tra le sue gambe che la
guardavano e quelle spalle forti e tatuate sospese tra le sue
ginocchia. Lasciò cadere la testa sul cuscino. «Io… io non so proprio
se mi piaccia o no.» Nathan non si era mai offerto di baciarla lì e
qualsiasi cosa etilica successa ai tempi del college era soltanto un
ricordo lontano.
Hank si lasciò sfuggire un gemito roco contro l’interno della sua
coscia. «Beh, allora ci penserai mentre ti assaggio e dopo, quando
avrò finito, mi darai il tuo parere.»
Callie si obbligò ad appoggiarsi contro le lenzuola. All’inizio, la
bocca di Hank si prese cura solo della tenera pelle dell’interno
coscia, così si rilassò, ma mentre succhiava gentilmente quella
zona, col pollice prese a tracciare lenti cerchi intorno al suo clitoride
sofferente. Si lasciò sfuggire un sussulto. Poi, mentre il suo pollice
tracciava un percorso umido intorno alla sua apertura, Hank spostò
le labbra verso il limite superiore del suo pube, dove lasciò un bacio
gentile che la lasciò tremante per l’attesa. Un dito la stuzzicò,
entrando dentro di lei e, proprio mentre stava realizzando che quella
sensazione la faceva sentire come se fosse appena arrivata in
Paradiso, la lingua dell’uomo passò lenta sul suo clitoride.
«Oh, mio Dio,» esclamò.
La sua risata venne coperta da quella di Hank… Cavolo.
Trattenne un’altra lunga boccata d’aria e decise che si sarebbe
sentita in imbarazzo più tardi. Hank si ritrasse per un secondo,
mentre riprendeva fiato, ma poi le sue dita curiose si curvarono a
fondo dentro di lei e abbassò di nuovo la bocca sul suo clitoride.
Dietro alle palpebre chiuse, Callie vide solo macchie luminose.
«Oh, buon Dio…» sussurrò.
«Proprio così,» disse Hank senza smettere di muovere la lingua.
Rabbrividì mentre ogni estremità nervosa del suo corpo si
metteva in allerta e i fianchi scattavano in alto; sarebbe stato
impossibile mantenerli fermi. La bocca di Hank prese a muoversi a
un ritmo delizioso, annegandola di sensazioni e, dopo nemmeno un
minuto, si sentì a un passo dall’orgasmo. Quanto era bravo? La
domanda fece vacillare il suo godimento, dopotutto il suo
soprannome parlava per lui, no? Sarebbe stato un azzardo per il suo
cuore.
Poi Hank fece qualcosa che le fece dimenticare il bruciore per
quella preoccupazione: chiuse le labbra intorno al suo clitoride e
prese a succhiare gentilmente.
Un grido le si strozzò in gola, mentre il suo corpo si contraeva
intorno alle dita di Hank. Spinse in alto il bacino, in estasi, mentre il
suo orgasmo prendeva il sopravvento, pulsando in una successione
di ondate e, quando non fu più in grado di sopportare oltre, Hank
ingentilì il tocco e con i pollici accarezzò lentamente il suo pube
umido, poi posò le labbra su di lei per un ultimo, tenero, bacio.
Esausta, Callie rimase immobile mentre lui risaliva verso l’alto,
per sdraiarsi al suo fianco, accarezzandole la guancia con il pollice
umido. «Ero in debito per quello che mi hai dato sul tavolo dei
massaggi.» Rise. «Non riesco ancora a smettere di pensare a quel
giorno.»
Callie gli sorrise, ma il suo cuore si contrasse dolorosamente. Per
Hank, tutto quello che aveva fatto era pura gratificazione, da cuore in
gola e da pelle d’oca, ma lei sapeva che non sarebbe mai più
riuscita a togliersi quella notte dalla testa, o dal cuore. Quegli
splendidi occhi scuri e quel sorriso storto da ragazzaccio sarebbero
rimasti per sempre impressi nel suo cuore, come la vista di quelle
braccia scolpite tra le sue cosce. Nessuno sarebbe mai riuscito a
reggere il confronto e nessun Nathan al mondo sarebbe mai più
stato abbastanza per lei.
Fece scorrere le mani sul petto di Hank, cercando di non
pensarci troppo.
Hank la strinse a sé, accarezzandole la schiena mentre si
riprendeva. Callie se ne stava tranquilla e tutta rossa in viso tra le
sue braccia e lui si stava godendo ogni momento. Non aveva più
fatto sesso nell’ultimo anno e ora stava per esplodere, ma che
differenza avrebbe fatto qualche minuto in più? Quella sera
finalmente avrebbe fatto l’amore e se per qualche ragione non
avesse funzionato, l’avrebbe convinta a provarci di nuovo il giorno
successivo. Non aveva più voglia di preoccuparsi.
In ogni caso, Callie era una ragazza con la quale andarci piano. I
tempi in cui si faceva una sconosciuta nel bagno di un bar erano finiti
e ci aveva messo quasi un anno per rendersi conto che la cosa non
gli importava poi molto. Tutto quel tempo trascorso senza nessuna
intimità con un’altra persona, con la paura di non esserne più in
grado, era un modo infallibile per ricordarsi cosa fosse il sesso
davvero. Fatto nel modo giusto, il sesso era un modo per stare il più
vicino possibile a una persona e ora lui era lì, nel suo letto con la
donna che, di più al mondo, voleva avere accanto. Nascose il viso
tra i suoi capelli e inspirò a fondo.
Dopo un po’, Callie cambiò posizione, abbassando la mano per
accarezzargli l’uccello che era ancora miracolosamente duro. Hank
dedicò silenziose preghiere di gratitudine a qualsiasi fosse la
compagnia farmaceutica che quella sera gli stava facendo da spalla.
Nessuna paura, si disse. Fino a un anno prima, Hank non aveva
mai avuto problemi con il coraggio, poiché conosceva bene il
fallimento, dato che prima di riuscire a fare ogni trick alla perfezione,
era caduto con la faccia nella neve almeno due dozzine di volte e la
cosa non lo aveva mai disturbato. Ogni volta che era arrivato a un
limite che il suo corpo sembrava non voler superare, era solo
diventato ancora più determinato. Questo fino a qualche tempo
prima, dato che aveva permesso allo shock e alla paura di prendere
il sopravvento e i risultati erano stati disastrosi. In più l’ansia di certo
non gli era stata di nessun aiuto, anzi, lo aveva reso un vero stronzo.
Ma era arrivato il momento di dire basta. Chiuse gli occhi e si
immerse nella sensazione del tocco di Callie. Le cose non erano
esattamente come prima dell’incidente, ma ora non si faceva più
prendere dal panico, perché, dannazione, ora stavano andando
abbastanza bene. Questa nuova versione di eccitamento era più
come un lento incendio, piuttosto che una polveriera e, in ogni caso,
lei riusciva a eccitarlo e l’anticipazione gli faceva contrarre i muscoli
dello stomaco, mentre la morbida mano di Callie l’accarezzava.
Mugolò e, prendendo il suo tocco come un invito, si rigirò,
coprendo il suo corpo con il proprio.
«È bello toccarti,» disse Callie in un sussurro.
La baciò lentamente, appoggiando i fianchi contro i suoi, l’aria tra
loro satura di anticipazione. «Ti voglio, posso averti?»
Lei annuì, avvolgendogli le mani sulla nuca.
Gli ci volle un momento per organizzare le sue gambe ribelli tra
quelle di Callie, poi si puntellò con una mano e usò l’altra per farsi
spazio dentro di lei. Quante altre volte aveva compiuto quel gesto
nella sua vita? Non ne aveva idea, ma tutto ciò che sapeva era che
non lo aveva mai apprezzato tanto come in quel momento. Chiamò il
suo nome, mentre la punta del suo uccello entrava; senza
preservativo, tutto l’umido velluto del corpo di Callie sembrò
avvolgerlo.
I suoi occhi velati sostennero il suo sguardo, mentre lui si
spingeva lentamente dentro di lei. Era così calda e stretta che
dovette chiudere gli occhi e prendere un grosso respiro; lei allargò le
gambe per accoglierlo fino in fondo, mentre lui la penetrava
immergendosi in lei fino alla base.
E poi, sopraffatto, nascose il viso nei suoi capelli.
«Ciao, splendore,» mormorò Callie, mentre con una mano gli
accarezzava la nuca. Poi fece scivolare entrambe le mani lungo la
sua schiena ed Hank sentì la punta delle sue dita arrivare alla zona
ipersensibile intorno alla sua vita, facendolo rabbrividire. Quelle
carezze così lente, ripetute ancora e ancora, sembravano una vera
tortura.
Dio, non c’era niente di meglio di quella sensazione.
Con un ruggito, alzò la testa per rivendicare le sue labbra come
proprie, assaggiandola e facendo scorrere la lingua contro la sua,
poi premette gli avambracci sul letto e usò i tricipiti per muovere il
suo corpo avanti e indietro su quello di lei, fino a quando non la sentì
gemere.
«Callie,» disse con voce roca. «Non credo che riuscirò ad
andarci piano; la prima volta sarà veloce e sudata.»
«Fallo,» sussultò.
«Fare cosa, dolcezza?» La guardò negli occhi e sorrise. Se mai
fosse riuscito a farle dire di nuovo di scoparla, sarebbe stato ben
lieto di dirle di sì, questa volta, ma lei socchiuse gli occhi, poi
abbassò una mano per sculacciargli il sedere.
Con una risatina, si abbassò per lasciarle un bacio sulle labbra
imbronciate. «Va bene, anche se non me lo chiederai, ti farò lo
stesso gridare il mio nome.» Callie sgranò leggermente gli occhi e
arrossì. Dio, era meravigliosa ed era anche bellissima; e lui era il
fortunato bastardo dentro di lei. Incredibile.
Hank stese un braccio sopra le loro teste, afferrando la sbarra
della testiera in ferro, usandola come un’àncora per spingersi ancora
più in profondità dentro di lei, accelerando il ritmo. Sotto di lui, i
respiri di Callie erano diventati gemiti, così addolcì i suoi movimenti,
rallentando. «Troppo?»
«No, non ti fermare,» ansimò, premendo il bacino contro il suo.
Non riuscì a trattenere un basso mugolio di felicità e, piegando di
nuovo il braccio, affondò in lei ancora una volta, ogni spinta più
intensa della precedente. Callie era finalmente nel suo letto, lo
teneva stretto con ogni parte del suo corpo, il suo dolce fiato sulla
sua pelle, il suo calore che penetrava fin dentro alla sua anima.
Non c’era mai stato un momento più perfetto di quello nella sua
vita. Tutte le sue frustrazioni caddero, sostituite da un potente mix di
affetto e trionfo; ogni parte di lui, perfino le cicatrici che portava nel
corpo e nel cuore, ritornava in vita per quel momento. Tutte le sue
precedenti sofferenze erano ancora lì con lui, a nutrire e fomentare il
piacere che stava provando. Fino a quel momento, non aveva capito
che rendevano quel momento molto più dolce.
Mentre si muoveva, Callie allargò le dita ai lati del suo torso e
ogni spinta del suo corpo faceva sì che i suoi polpastrelli
tracciassero linee sulla sua pelle sensibile, con l’effetto di farlo
rabbrividire. «Più forte,» chiese lei; le sue unghie sostituirono i
polpastrelli ed Hank quasi gridò per l’eccitazione.
«Dio, baciami,» mormorò Callie.
Infilò la lingua nella sua bocca, mentre lei si inarcava sul letto
gemendo, il respiro spezzato, mentre lui manteneva fede al loro
patto, pompando dentro il suo bellissimo corpo, baciandola come se
da quello dipendesse la sua stessa vita e, in un certo senso, era
davvero così. In un qualche modo, era arrivato a quel punto,
malgrado le proprie paure e la propria testardaggine. Callie gli stava
restituendo la vita e lui non se lo meritava nemmeno.
Poi Callie si aggrappò a lui, gridando a ogni spinta e il suono del
suo piacere lo fece esplodere. Sentì le palle indurirsi e i fianchi
sussultare, mentre un’eccitazione furibonda si spargeva attraverso il
bacino e, subito dopo, si riversava dentro una donna per la prima
volta da quasi un anno. «Oh, Gesù,» gemette. «Finalmente.» Si
irrigidì, continuando a venire, prima di collassare sugli avambracci,
ansimando contro il collo di Callie.
E poi tutto si fermò, gli unici suoni erano quelli dei loro respiri
affannati. Ancora dentro di lei, Hank le leccò via dal collo una goccia
di sudore. Lei si portò una mano sul viso e girò la testa, ma lui la
costrinse a girarsi e a guardarlo negli occhi. «Sei ancora con me,
dolcezza?»
Lei sorrise, ancora col fiatone. «È stato intenso.»
Hank le sfiorò le labbra con le sue. «Penso che ne avessimo
entrambi bisogno, davvero, davvero tanto bisogno.» Riluttante uscì
da lei, sdraiandosi al suo fianco, prendendo la sua ragazza tra le
braccia e tenendola stretta. «Callie. Non ci sono parole per dirti
come mi sento.»
In risposta, lei si limitò a sospirare felice.
Hank chiuse gli occhi e si sentì in pace, per la prima volta, dopo
tanto, tanto tempo.
QUINDICI

R tra le braccia di Hank, Callie si sentiva in Paradiso


mentre lui le tracciava carezze delicate sulla schiena con la punta
delle dita. Fece scivolare la sua mano oltre la vita dell’uomo, sotto al
suo ombelico, e lo sentì rabbrividire. «Proprio lì,» disse lui, con voce
roca. Con le dita, Callie tracciò una linea orizzontale lungo la sua
pancia. «È una cosa stranissima, quando mi tocchi qui, impazzisco.
È quasi imbarazzante.»
Callie intrecciò le proprie dita con le sue. «Come perversione,
aver bisogno di qualcuno che ti solletichi la vita, non è poi un
granché, quando invece ci sono persone che usano fruste e catene
o che si infilano frutta negli orifizi.»
«Frutta? Mi prendi per il culo?»
«Quando lavori porta a porta con il Pronto Soccorso per un paio
di anni, vedi di tutto.»
Hank scoppiò a ridere e lei si rannicchiò contro di lui, che prese
una ciocca dei suoi capelli e se la passò sul petto. «Mi sono sempre
chiesto come sarebbe stato sentire i tuoi capelli proprio qui,»
mormorò. «Risposta: è fantastico.»
Ma Callie si era distratta, pensando all’ospedale. «Hank,»
sussurrò. «Quel lavoro per cui ho fatto domanda in California…»
Lui si mosse in fretta e, prima che Callie potesse rendersi conto
di ciò che stava succedendo, Hank trovò le sue labbra e, dopo un
lungo bacio, disse: «Ogni volta che inizierai a parlare di questo, io ti
bacerò di nuovo.»
Lei ricambiò il bacio, accogliendo il suo suggerimento; non era il
momento di parlare di lavoro, giusto? Aveva appena fatto il miglior
sesso della sua vita, le conversazioni importanti potevano aspettare
un altro paio d’ore.
Fuori dalla finestra, il cielo si era scurito e loro erano ancora
avvolti in un meraviglioso bozzolo di calore. Adorava la sensazione
delle labbra di Hank che le sfioravano la linea delle sopracciglia,
come adorava sentire sotto le dita i muscoli duri come la roccia del
suo petto tatuato, ma all’improvviso, anche attraverso la nebbia di
felicità post-orgasmo, Callie fu certa di aver sentito dei passi
dall’altra parte della porta chiusa della camera da letto. «Ehm,
Hank…?»
Callie si spostò in fretta, sollevando il piumone per coprirli
entrambi, poi si immobilizzò, sentendo una rapida bussata, seguita
dalla voce di un uomo. «Hazardous? Ci sei?»
Hank sollevò la testa per rispondere. «Dacci un paio di minuti,
amico.»
«Cristo!» esclamò una voce stranamente familiare. «Un classico
di Hazardous.» Sentì una risata che si faceva debole man mano che
l’uomo si allontanava dalla porta.
«Ma che diavolo?» sussurrò Callie. «Aspettavi ospiti, Hank?
Perché non mi hai detto niente?»
Alzò le sopracciglia. «Perché cercavo di portarti a letto. Quale
idiota farebbe parola di eventuali ospiti?»
Non sapeva se ridere o piangere. «Sarà imbarazzante, non c’è
una porta di servizio dalla quale posso scappare?»
«Non ci provare,» rise. «Qui siamo tutti amici.»
Guardò al di sopra della sua spalla, verso la porta, ma era
chiusa. «Da cosa lo deduci?»
Hank si abbassò, toccandole la fronte con la propria. «Sai chi
era, vero?» Callie scosse la testa. «Era Dane, staranno da me.»
«Cosa?» Sgusciò via da sotto di lui, mettendosi a sedere. «C’è
anche Willow? Come facevo a non saperlo? Oh…» Si massaggiò la
fronte. «C’erano un messaggio vocale e tre SMS.»
Hank si lasciò sfuggire una risata fragorosa. «La brava
dottoressa è rimasta indietro con i suoi messaggi.»
«Sai, sono stata un po’ impegnata.»
«Con cosa?» Alzò la testa e prese uno dei suoi capezzoli in
bocca.
«Oh, mio Dio,» esclamò Callie, ricadendo sui cuscini. «Per
favore, smettila. Non riesco a pensare quando fai così.»
«Pensare è sopravvalutato.» Prestò attenzione anche all’altro
seno, prima di mettersi a sedere. «Ma forse è da maleducati se non
salutassi i nostri ospiti, anche se scommetto che Dane ha già trovato
la birra.»
Callie si nascose il viso tra le mani. «Posso usare la tua doccia
per un minuto? O, magari, per tre ore? Perché più o meno ci metterò
così tanto a darmi un contegno.»
Le circondò la vita con le braccia. «Solo se mi prometti che
stasera ti fermi da me: non sono pronto a lasciarti andare.»
Hank attese fino a quando non sentì l’acqua scrosciare, prima di
infilarsi nei jeans e, una volta vestito, si spostò in salotto. «Scusa per
prima.»
Dane gli sorrise da sopra il bordo di una lattina di Heady Topper.
«Non ti scusare, amico. Avrei dovuto sapere che non dovevo
gironzolare bussando alle porte. Per un attimo ho dimenticato con
chi avessi a che fare.»
«Puoi dirlo forte.» Hank non riuscì a fare a meno di essere un po’
spavaldo, anche se Dane avrebbe potuto vagabondare in lungo e in
largo per la sua camera da letto ogni giorno per gli undici mesi
precedenti, senza trovarci dentro nessuno a parte il suo culo
solitario. «Ehi, Dane? Vacci piano, con lei, okay? È una cosa
fresca.»
«Quando mai non ci vado piano?» Gli fece l’occhiolino.
Willow entrò dalla porta d’ingresso, tenendo in braccio la figlia
addormentata. «Non vuole saperne di svegliarsi. Ciao, Hazardous!»
Gli corse incontro, baciandolo sulla guancia, poi si guardò intorno.
«Dov’è Callie? Ho visto la sua macchina nel vialetto.»
A quell’affermazione, Dane quasi si strozzò con la birra.
«Tutto okay?» Si avvicinò al suo uomo per dargli qualche
colpetto sulla schiena, ma lui iniziò a sorridere anche mentre
sputacchiava.
«Callie?» tossì.
Hank scosse la testa. «Ti avevo chiesto di andarci piano, amico.»
Dane gettò indietro la testa e scoppiò a ridere. «Sono sempre le
acque chete…»
«Cosa c’è di così divertente?» chiese Willow. «Dov’è Callie?»
«Prova a controllare in camera da letto,» sorrise Dane, indicando
la stanza con la lattina di birra.
Willow sgranò gli occhi e, senza dire una parola, diede la
bambina al padre, che la prese tra le braccia, poi marciò verso la
camera da letto. «Callie?» chiamò, bussando un paio volte, poi aprì
la porta e vi scomparve dietro.

Quando Callie uscì dal bagno, Willow era seduta sull’angolo del
letto, qualche decina di centimetri di distanza dalla scena del
crimine. «Callie,» iniziò. «L’ultima volta che ci siamo parlate, ti ho
chiesto se avessi qualcosa in ballo e tu mi hai detto che non stava
succedendo niente. Non sei la favorita al premio di Miglior amica
dell’anno, se trascuri le cose importanti.» Sapeva che stava
trattenendo un sorriso.
«A mia difesa,» rispose Callie, lisciandosi i capelli ancora umidi
dopo la doccia, «non stava succedendo assolutamente nulla quando
ci siamo parlate l’ultima volta.»
«Questa non è una scusa,» sorrise Willow. «Almeno adesso so
perché sei troppo impegnata per rispondere ai miei messaggi e in
fondo non mi sento neanche offesa. Quindi… tu ed Hank adesso
siete una coppia… ammetto che non me l’aspettavo.»
«Non ci definirei proprio una coppia.» Si sentì arrossire. «È una
cosa casuale.»
Per un secondo, la sua amica non disse nulla. «Mi deludi se dici
così, tu non fai mai niente per caso.»
Quello non era giusto. «Magari non voglio più essere la ragazza
noiosa.»
«Ehi, non ho mai detto che sei noiosa.» Le appoggiò una mano
sul gomito. «Sei intelligente, riflessiva e leale, quindi se stai tentando
di dirmi che Hank è solo uno scopamico, farò davvero fatica a
crederci.»
Callie si lisciò la maglietta e cercò di pensare. «Hank mi piace
molto,» ammise, «ma non abbiamo ancora discusso la nostra
relazione.» E perché mai avrebbero dovuto farlo? «Sta ancora
cercando di rimettere insieme i pezzi della sua vita, non è il
momento giusto per fargli pressione perché si impegni con me e, tra
l’altro, mi hai detto tu che è un festaiolo e che non è esattamente il
tipo da relazione duratura.»
Willow fece una smorfia. «Ha avuto una relazione, giusto?»
«Per come è finita, perché mai dovrebbe cercarne un’altra?»
Alzò le mani in aria. «Non lo saprai finché non glielo chiedi.»
«Vero,» ammise. Ma fare del sesso grandioso non creava un
rapporto serio e non le sembrava neanche tanto giusto iniziare a fare
domande. «Ehi, dov’è Finley?»
«L’ho data a Dane.»
Callie appoggiò una mano sulla maniglia della porta. «Dane non
me la farà passare liscia, giusto?»
«Ho idea di no!» rispose allegramente. «Quindi tanto vale che
affronti la realtà.»

Hank aveva alimentato il fuoco nel camino e mescolato il chili, poi


aveva portato a Dane un’altra birra e si era seduto dall’altro lato del
divano. La bambina era sdraiata sulle ginocchia del padre, quasi
fosse stato una chaise longue, e beveva il suo biberon, con i grandi
occhi sognanti rivolti verso l’alto, a guardare Dane, in ascolto della
sua voce attraverso le vibrazioni del suo petto.
Il modo confortevole con cui la mano dell’amico appoggiava sulla
gambetta cicciottella della figlia era difficile da guardare; tutti i
ragazzi del circuito piangevano a lutto per quelli del gruppo che si
sposavano e si sistemavano, ma Dane sembrava più felice di quanto
Hank l’avesse mai visto.
Si distrasse per sollevarsi entrambe le gambe sul tavolino,
allungando i quadricipiti, visto che i muscoli delle gambe avevano
iniziato a contrarsi, e quel riflesso era sicuramente causato da tutto il
movimento a letto, poco prima. E ne era valsa la pena.
«Spero che Willow la convinca a uscire da là dentro,»
sghignazzò Hank, indicando con la testa la porta della camera da
letto.
Anche l’amico sorrise. «Come potrebbero poi parlare di te?»
«Giusto.» Bevve un sorso di birra e si rifiutò di preoccuparsi della
cosa.
La porta della camera da letto si aprì ed entrambe uscirono.
«Oh, mio Dio, quanto è cresciuta!» esclamò Callie, andando
verso Finley. Si sedette sul grande divano tra Hank e Dane e strinse
piano il piedino della bambina.
Dane alzò una mano. «Che bello rivederti,» disse. Dopo aver
battuto il cinque sul palmo della sua mano, aggiunse: «Con i vestiti
addosso.»
«Dane,» lo ammonì, ridendo.
Hank si piegò verso di lei, mettendo le mani sui suoi fianchi e
trascinandola sul divano, fino a quando non gli fu vicina. «Non
ascoltarlo,» disse, facendo scivolare un braccio intorno alla sua vita.
«Ci provo,» rispose a bassa voce. Hank avrebbe voluto che lei si
voltasse a guardarlo, che gli regalasse un sorriso, ma non lo fece.
«Chi ha bisogno di un altro drink?» chiese Willow.
«Per Callie una birra e sidro,» intervenne Hank. «Prima gliel’ho
portata, ma non l’ho lasciata bere.»
«Hank,» sussurrò lei.
«Scusa.» Ma non era per niente dispiaciuto. Lei aveva fatto sì
che ora fosse pronto a battersi il petto in segno di vittoria; la donna
sexy e intelligente tra le sue braccia era finalmente la sua ragazza. E
pensare che aveva quasi rovinato la loro possibilità di stare insieme.
Gentilmente, Hank le prese il mento obbligandola a voltarsi verso di
lui e, quando trovò i suoi occhi, ci lesse un tremito di incertezza.
«Ehi, tutto okay?»
«Certo,» rispose, distogliendo lo sguardo.
Prese una delle sue mani tra le sue e se la portò alle labbra,
dandole un breve bacio. Probabilmente Callie era nervosa per tutto
quello che era successo tra di loro durante quella sera, e ciò era
comprensibile. Magari avrebbe potuto parlarle a quattr’occhi più tardi
e, se ne avesse avuta l’opportunità, le avrebbe detto almeno una
dozzina di volte quanto significasse il fatto che lei fosse lì.
Willow prese una birra per Callie e una soda per sé, poi si
sedette sul lato opposto del divano a forma di L, il che significava
che quattro, a dire il vero cinque, amici stavano seduti sul gigante
sofà componibile. Era passato davvero tanto tempo dall’ultima volta
in cui la sua casa solitaria aveva racchiuso così tante facce
contente. Hank bevve ancora, sentendosi felice per la decima volta
in meno di un’ora.
Fuori, si udì il suono della ghiaia sollevata dalle gomme di una
macchina. Con la soda in mano, Willow guardò fuori dalla finestra.
«Hai un ospite, anzi, due.»
«Sarà di certo Bear,» disse Hank. «Gli ho detto che eravate qui
stasera, forse c’è anche mia sorella, le ho lasciato un messaggio
prima.»
Una veloce serie di passi rimbombò sulla rampa d’accesso. «Ehi,
ragazzi!» Bear entrò, guardando subito Hank dritto negli occhi.
«Spero che non ti dispiaccia se ho portato con me la protagonista
della mia pubblicità,» disse in fretta. «È rimasta con me.»
«Non dici sul serio,» rispose duramente.
Bear aveva proprio l’aria colpevole. «Avrei dovuto chiamarti,
prima.»
«Adesso mi sembra un po’ tardi,» borbottò di rimando.

Impotente, Callie osservò l’ex ragazza di Hank fare il suo ingresso.


Incurante della pila di scarpe accanto alla porta, Alexis sfilò lungo il
pavimento di legno nei suoi stivali dal tacco alto. «Ciao a tutti!» Si
fermò di fronte ad Hank, abbassandosi per dargli un bacio veloce.
Sulle labbra. Callie sentì un lampo di irritazione, ma poi Barbie
Sciatrice si spostò. «Dane, ma che bimba carina!» esclamò.
«Come stai Alexis?» le rispose lui. Dato che erano entrambi nella
squadra di sci degli Stati Uniti, ovviamente si conoscevano, anche
se Callie non poté non notare che il saluto di Dane mancava di
entusiasmo.
«Alla grande! Mio Dio, Hank, adoro come hai ristrutturato questo
posto.» Si avviò disinvolta in cucina. «Scommetto che possiamo
ancora farci un Margarita decente, in memoria dei vecchi tempi.»
Sembrava davvero molto a proprio agio in quella casa e Callie si
sentì via via sempre più piccola. In cucina, Alexis tagliò un lime a
metà e iniziò a spremerne il succo in uno shaker. «Hai della tequila,
giusto?» chiese, sistemandosi i capelli. «Tu hai sempre della
tequila.»
Callie sapeva che non avrebbe dovuto essere gelosa di Hank,
non ne aveva nessun diritto, ma al tempo stesso non aveva nessuna
intenzione di stare lì a osservare la sua ex che marcava il suo
(precedente) territorio. «Ehi, Willow?» chiese all’improvviso. «Non mi
avevi detto che volevi passare da Travis a salutarlo? Ti accompagno
io in città.»
«Ma stavo per servire il chili,» intervenne Hank.
«Lo farò io,» si offrì Alexis, sporgendosi verso una pila di ciotole
sul bancone.
Callie guardò la propria migliore amica, fulminandola con gli
occhi. Aiutami, implorò in silenzio.
Willow piegò la testa per studiarla, prima di rispondere. «Beh,
certo, andiamo da Rupert, e visto che ci perderemo la cena, ci
faremo preparare da Travis qualcosa da mangiare.» Alzandosi dal
divano, si chinò verso Dane e la bambina e, prima di prendere in
braccio Finley, passò le mani tra i capelli sulla nuca del compagno in
un gesto così intimo e familiare che Callie sentì una fitta al cuore.
«Andremo a mettere in mostra la bimba; ritorno tra circa un’ora.»
Dane la baciò e le diede la bambina.
«Vuota il sacco,» pretese Willow dal sedile del passeggero, una
volta che furono in macchina. «Perché morivi dalla voglia di
andartene? Voi due siete carini insieme ed Hank è così sexy.»
«Questo è vero.»
«E quella voce così affascinante… wow.» Ridacchiò. «Dai alla
tua amica sposata un solo dettaglio, non farti pregare.»
Si sentì arrossire. «Del tipo? Non è carino vantarsi delle proprie
conquiste.»
«Che ne so? Anche solo una piccola cosa, una sola…
minuscola,» la implorò.
«Va bene… decisamente non ha una piccola cosa minuscola.»
Willow rise di nuovo. «Sono così felice per voi due. Sembra una
cosa terribile da dire, ma sono felice di sapere che può ancora…» si
schiarì la voce.
«Non puoi essere neanche lontanamente felice più di quanto lo
sia lui,» ribatté, ma quello era tutto ciò che avrebbe detto
sull’argomento. Nessuno doveva sapere quanto il pensiero lo avesse
reso ansioso, o quanto entrambi ne fossero stati turbati.
«State bene insieme,» disse.
«Dici sul serio? Scommetto che ai vecchi tempi stava molto bene
anche con Barbie Sportiva.»
Willow sbuffò. «Hank non sembrava affatto contento di vederla,
anzi. Sembrava arrabbiato. Comunque, cosa ci fa lei in città? Si sta
allenando nello Utah, ma penso sia cresciuta vicino a Stowe.»
Callie scrollò le spalle, depressa. «Era qui per girare una
pubblicità per il Comitato Turistico del Vermont, o qualcosa del
genere. Ah, è qui anche perché è bionda e alla moda, non come
me.»
«Callie, piantala!»
«So che sono negativa, ma, ancora di più, so di non essere
davvero il tipo di Hank.»
«Come puoi esserne così sicura? Sembra molto preso da te;
seriamente.»
«Lui… so che era un playboy.» Un paio di settimane prima, Callie
aveva ceduto e aveva cercato le imprese di Hank su internet. Aveva
scoperto che lui e Alexis erano stati una coppia per meno di un anno
e, prima di quello, c’erano state fotografie su People magazine con
lui e una dozzina di modelle e altre atlete. «Mi sento come se ci
fosse una data di scadenza sul suo cuore e io verrò lasciata indietro.
Stavo pensando di prendere delle misure preventive.»
«Perché? Esiste un vaccino per curare i cuori spezzati?»
«Farò lo stesso domanda per quel lavoro al Marin. Comunque
non mi faranno il colloquio prima di gennaio e, tra le altre cose, mi
piace l’idea di starvi vicina. Diciamo a una distanza di un volo a
basso costo.»
«Però… aspetta un secondo… Dicevi di voler lasciare il Vermont
perché non riuscivi a incontrare un ragazzo, e adesso che hai
conosciuto qualcuno che ti piace te ne vuoi andare, per non farti
spezzare il cuore? Perché prima non gli dai un’opportunità? Se poi
dovesse finire male, potrai trasferirti ovunque vorrai.»
«Hai visto la sua ex? È un’atleta olimpica e una modella, non
potrò mai competere con qualcosa del genere.»
«Io non sono niente del genere e ne ho sposato uno.»
«Tu sei bella, sei perfetta e sai fare dolci dal nulla.»
«Callie, oddio, se non lo ami, allora vai, ma se pensi che potresti
farlo, allora resta. Saresti una fifona a scappare, ed Hank non è fuori
dalla tua portata.»
Porca miseria. La logica di Willow le stava facendo venire il mal
di testa. «Non importa, perché comunque non posso averlo.
All’ospedale lavoriamo allo stesso progetto e anche se non sono il
suo dottore la gente non mi darà mai il beneficio del dubbio. Sarebbe
davvero inappropriato, visto che è stato lui a farmi avere un ruolo
come ricercatrice dello studio.»
«Questa suona proprio come una scusa,» mugugnò Willow.
«Non lo è, giuro.» Quella sera aveva messo a rischio la propria
reputazione e tutto perché Hank l’aveva fatta sentire sexy. Lei era
più intelligente di così, eppure aveva commesso di nuovo lo stesso
errore. Forse c’era qualcosa nello stare da sola nella stessa stanza
con quell’uomo che abbassava il suo QI almeno di venti punti.
«Willow, so che non posso avere Hank se me ne vado in California,
ma non posso averlo neanche se stessi qui. Non è che sia
spaventata come un pulcino.»
«Nessuno conosce i pulcini più di me,» intervenne Willow, che, in
passato, li aveva allevati. «E adesso ne ho uno davanti.»
«Non è vero.»
«Pio, pio, pio.»
«Piantala.»
SEDICI

P , quando Alexis si alzò per andare al bagno, Hank lanciò


un’occhiataccia a Bear.
«Amico, spiegami. Perché l’hai portata qui? Ha fatto scappare la
mia ragazza.»
«Scusa, Hazardous, non avevo idea che avessi una ragazza e
pensavo che ti avrebbe fatto bene vederla di nuovo, così da capire
che non ti sei perso niente. In più mi sta mandando fuori di testa e io
ho sul serio bisogno di una pausa. Un ragazzo può sopportarla solo
fino a un certo punto.»
Hank aggrottò la fronte, guardando la sua bottiglia vuota. Bear
aveva ragione, ovviamente, ma non aveva più bisogno di un
promemoria.
«Lascio questa cartellina proprio qui.» Bear indicò il tavolino.
«Promettimi che la leggerai domani.»
«Ne deduco che riguardi il tuo film.»
«Esatto. Leggi e presta grande attenzione all’itinerario, perché ti
comprerò i biglietti dell’aereo, tipo, questo mese.»
Hank sbuffò. «Puoi comprare tutti i biglietti che vuoi, ma questo
non significa che salirò sull’aereo.»
«Certo che lo farai, e ti lascerò anche guidare il gatto delle nevi,
quando andremo nella Sun Valley, tanto qualcuno lo deve fare.»
Quell’idea lo zittì, perché Bear aveva fatto in modo che potesse
immaginarlo; il cielo prima del sorgere dell’alba, snowboarder mezzi
addormentati, in fila per salire sul pesante veicolo, lo scricchiolio
della neve sotto gli scarponi, i respiri profondi e i loro fiati che si
condensavano mentre salivano a bordo con un thermos di caffè in
mano, le provocazioni… Sentì un forte desiderio di farne di nuovo
parte.
Merda. Sbirciò di nascosto Bear, seduto con le mani intrecciate
sulla nuca, tutto soddisfatto di se stesso.
Dane portò un altro giro di birra per tutti.
«Amico,» gli disse Bear. «La tua bambina è così carina, e guarda
che a me non piacciono neppure i bambini.»
Dane sorrise. «I ragazzi continuano a chiedermi come io abbia
fatto a sopravvivere con un bambino, ma tutto quello che posso dire
è che fino a due anni fa ero lo stronzo più solo al mondo, mentre ora
ho una bella ragazza nel mio letto ogni notte e una bambina che
pensa che io cammini sulle acque.»
«Non lo dire a me,» disse Hank ad alta voce. «In questa casa si
sente l’eco.»
«Beh, Hazardous, o fai mettere la moquette o ti trovi una
ragazza,» disse Bear. «Oppure puoi fare lo splendido e fare
entrambe le cose.»
Dane appoggiò la bottiglia. «Parlando di fare lo splendido, ho
portato alcuni sigari cubani. Chi ne vuole uno?»
«Cazzo, sì,» rispose Hank. «Ma andiamo a fumarli sulla veranda,
così non rimane puzza in sala.»
«Sta diventando un vero casalingo,» commentò Bear. «Mi
aspetto che da un momento all’altro ci chieda di bere le birre nel
bicchiere.»
«Fin che c’è birra, che differenza fa? Aspettatemi, vado a
prendermi una felpa.» Si portò in camera da letto dove trovò il
preservativo in cima al cestino della biancheria sporca davanti al
comò e, dopo averlo recuperato, se lo infilò in tasca con un sorriso,
poi aprì il cassetto.
«Cosa c’è di così divertente?» chiese Alexis uscendo dal bagno,
premendo le labbra per sistemare il rossetto appena ritoccato.
«Niente.» Lasciò cadere la felpa in grembo; Alexis era l’ultima
persona davanti alla quale voleva dimostrarsi in difficoltà, anche con
qualcosa di stupido come una felpa. Hank voleva uscire dalla
stanza, ma lei si sedette sul letto, come se avesse intenzione di
iniziare una conversazione. Dannazione. «Come te la passi,
Hazardous?» Fece roteare una ciocca di capelli tra le dita.
«Bene, davvero bene.» E, diavolo se non era la verità. Adesso,
se solo Alexis se ne fosse andata a fanculo, sarebbe stato anche
meglio; non solo era riuscita a spaventare Callie, ma lo stava anche
trattenendo lontano da un sigaro cubano.
Purtroppo, invece di andarsene, Alexis gli prese il viso tra le
mani. «Sono così felice di sentirlo, di certo ti vedo molto bene.»
Rimase immobile, chiedendosi quale potesse essere la mossa
migliore per togliersi da quella conversazione.
«Abbiamo passato tanti bei momenti insieme, non è vero?»
Scivolò verso di lui e gli diede un leggero bacio sulle labbra.
«Abbiamo passato tanti momenti sexy.»
Si sistemò meglio sulla sedia, conquistandosi qualche centimetro
cruciale di distanza. «Alexis…»
Le mani della ragazza passarono dal suo viso al suo petto;
cazzo, non lo stava facendo davvero, giusto? Le dita si abbassarono
ancora e lui riuscì a fermarle mentre tentavano di avvicinarsi al suo
ombelico. Solo Alexis poteva arrischiarsi ad avvicinarsi a quella
zona.
Ed era lui che tutti chiamavano Hazardous?
«Che ne dici, di un’ultima volta, in memoria dei vecchi tempi?»
Alexis sorrise con gli occhi blu che brillavano. Un tempo quel sorriso
l’aveva fatto impazzire, mentre ora sembrava solo quello di una
pazza. «Andiamo, Hazardous, quand’è stata l’ultima volta che hai
fatto sesso?» Gli toccò la patta dei pantaloni. «Funziona ancora,
giusto?»
Senza più badare a salvaguardare i sentimenti di Alexis, si
allontanò ancora per concedersi un po’ più di spazio. «Alexis, sei
seria? Tradiresti il tuo uomo solo per concedermi una scopata per
pietà?»
Il suo sorriso vacillò. «Non c’è bisogno di essere volgari.»
«E tu non devi essere…» Una stronza così fuori di testa. Prese
un profondo respiro. «C’è qualcosa che non va, vero? Non prenderla
nel verso sbagliato, ma ti stai comportando come una pazza.»
Anche per i tuoi standard, avrebbe potuto aggiungere.
Lei abbassò gli occhi e non disse nulla.
«Hai rotto con lui, o qualcosa del genere?» No… non era quello.
Qualcosa gli scattò nella testa ed ebbe un’improvvisa illuminazione
sul perché la sua ex ragazza si stesse comportando in modo così
ridicolo. «Te la fai sotto per il matrimonio, non è così? Quand’è?
Manca un mese circa, giusto?»
Lei si scostò i capelli biondi dalla faccia. «È così ovvio?»
mormorò.
«Ah, Alexis,» ridacchiò, strizzandole un braccio. «Non puoi
usarmi per esorcizzare i tuoi demoni.» Almeno non più. «È da
maleducati.»
«Lo so,» sospirò. «Scusa.» Rimase in silenzio per un momento.
«Non so se andrò fino in fondo.»
Ahia. Hank non seppe cosa dire; era così giovane, aveva solo
venticinque anni e tutto le sembrava possibile, dato che la vita non le
aveva ancora dato nessuna reale delusione. Era sicuramente in una
posizione invidiabile, ma complicata, perché stava iniziando a capire
che alcune scelte avevano il potere di alterare il corso della tua vita.
Hank lo sapeva già, magari lo aveva imparato nella maniera più
dura, ma lo aveva comunque imparato, e quello significava che la
prossima meravigliosa scelta che sarebbe arrivata non lo avrebbe
fatto cagare sotto come stava accadendo ad Alexis.
Quindi sapeva cosa dirle. «La prossima volta che sarai da sola
con lui, chiedi al tuo cuore cosa fare e lui lo saprà.»
Alzò lo sguardo. «Lo spero.»
«Andrà tutto bene,» disse, accarezzandole la mano.
Alexis gli prese una mano tra le sue e le strinse. «Stai davvero
bene, Hank, dico sul serio.»
«Grazie,» rispose. E grazie per aver estinto anche l’ultimo
rimpianto che avessi ancora nutrito nei tuoi confronti. «Ma penso
proprio che adesso tu debba andartene.»
Gli fece un sorriso malizioso. «Peggio per te.» Poi si alzò in piedi
e gli diede le spalle, dirigendosi verso il salotto.
La seguì fuori e, mentre raggiungeva la porta d’ingresso, le disse:
«Non che sia qualcosa che ti debba interessare, ma la risposta alla
tua domande è circa un’ora, forse due, fa.»
Alexis ridacchiò uscendo. «Felice di saperlo,» disse da sopra la
spalla e poi se ne andò.
«Cos’ è successo là dentro?» chiese Dane mentre la porta si
chiudeva.
Hank si infilò la felpa. «Me ne dovevo liberare, perché potessimo
goderci il nostro sigaro in pace. Adesso, forza, prima che ritornino le
ragazze.» Si diresse verso la veranda.
Sul portico, i suoi amici si sedettero sulle sedie a dondolo, Dane
tagliò l’estremità dei sigari e Hank li accese uno dopo l’altro, le punte
arancioni l’unica luce che illuminava il portico. Hank portò il sigaro
alle labbra e prese diverse boccate per far sì che la brace
prendesse. «Dio, che tipa Alexis. Si è appena offerta.»
Bear alzò le sopracciglia, soffocandosi col fumo.
«Dobbiamo metterti le ruote da allenamento su quella cosa?»
chiese Dane.
«Non so nemmeno cosa sia peggio: che ci abbia provato o che
mi abbia chiesto, e qui sto citando, se “funziona ancora”.»
«Cristo,» si lasciò sfuggire Dane.
«Voglio dire, è una domanda legittima,» le concesse lui. «Ma solo
una persona molto scortese potrebbe chiedere qualcosa del genere.
Stavo pensando di stamparmi una t-shirt per rassicurare tutti.»
Si godette il suono delle risate dei suoi amici nel buio. «Certo che
funziona,» disse Bear. «Hazardous è una forza della natura.»
Hank non riusciva nemmeno a rispondere. Quella sera, dopo
tanto tempo, aveva realizzato a pieno quanto fosse fortunato. Non
avrebbe più dato nulla per scontato nella sua vita, c’erano ragazzi là
fuori che avevano perso molto più di lui, ragazzi esattamente come
lui. Se avesse colpito il bordo della pista più forte avrebbe potuto non
sentire più nulla al di sotto dell’ombelico. E se fosse caduto
sbattendo solo di qualche centimetro più in alto sulla sua spina
dorsale, ora ci sarebbe voluta un’infermiera a reggergli il sigaro. Non
c’era logica, non c’era giustizia, ma lui era stato comunque
risparmiato.
Era fortunato, dannazione, solo che non se ne era reso conto.
Adesso lo aveva capito e, cazzo, avrebbe fatto in modo di non
dimenticarsene mai più. Gli bruciavano gli occhi, forse per il fumo del
sigaro, o forse per tutte le emozioni che si stavano susseguendo
nella sua sdolcinata testa. Ma poi, alla fine, cosa importava davvero?
Era vivo, seduto sul portico con un buon sigaro e con degli amici
ancora migliori.
In lontananza, il cielo riluceva con la promessa di una luna
brillante che sarebbe presto sorta sulle Green Mountains. Hank
sbuffò fuori il fumo e guardò l’orizzonte, più contento di quanto non
fosse mai stato da parecchio tempo.

Finley si era addormentata durante il viaggio di ritorno dalla sua


prima visita al bar di Rupert.
Per un’ora, Callie aveva dimenticato i suoi problemi e si era
sentita come ai vecchi tempi, seduta accanto a Willow su uno
sgabello, a dividersi un piatto di nachos. L’unica differenza era stata
guardare Travis mentre cercava di spillare birra tenendo un bambino
sul fianco.
Ora la piccolina era al sicuro nel seggiolino della macchina. «Si
sveglierà quando la toglierai dal seggiolino?» chiese Callie.
«No,» rispose. «È una dormigliona, ma spero che Dane abbia
montato la culla portatile mentre eravamo via. Secondo te, quante
probabilità ci sono che l’abbia fatto?»
«Se è finita tutta la birra, direi un cinquanta per cento.»
Ridacchiò.
«Sembri felice, Wills, tutti e tre lo sembrate.»
«Io sono felice, anche se è un lavoraccio. La bambina impegna
quasi tutto il nostro tempo, ma sta migliorando ora che ha compiuto
un anno.»
«Pensi di averne un altro?»
«A dir la verità… sono già incinta.»
Callie fu così sorpresa che per poco non finì fuori strada.
«Cosa?»
«Già, sono solo di dieci settimane, e non lo stiamo ancora
dicendo in giro.»
«Oh, mio Dio, Willow! Avrai due bambini, congratulazioni!»
«Abbiamo deciso che sarebbe stato bello averli uno vicino
all’altra. Dane ha detto, e non sto scherzando, che sarebbe stato più
facile farli salire tutti sugli sci.»
Scoppiò a ridere rumorosamente. «Hai avuto voce in capitolo?»
«Certo che sì, ed è la scelta migliore anche per la mia carriera.
Una volta che sarò pronta ad aprire il mio studio psichiatrico, non
potrò in nessun modo prendermi un congedo di maternità.»
«Wow, non so che dire se non… wow.» Rimasero in silenzio,
mentre Callie lasciava la strada principale per immettersi in quella
tortuosa che portava alla casa di Hank. «Sai, avrei avuto bisogno di
un consulto psicologico negli ultimi tempi.»
«Davvero? Hank sta bene?»
«Per lui sono stati tempi difficili. Credo però che stia iniziando ad
andare meglio. Ma penso anche che non sia giusto da parte mia
aspettarmi delle cose da lui. Non è passato nemmeno un anno dal
suo incidente, voglio dire… anche io prima o poi vorrei avere dei figli,
e come fai a chiedere qualcosa del genere a un ragazzo che è
appena finito con il culo in terra?»
«So che è difficile, tesoro, puoi solo ascoltare il tuo cuore; se vuoi
davvero andare in California, allora vai, ma accertati di farlo per i
giusti motivi.»
Sospirò. «Sono così confusa.»
«Lo so, dolcezza, è perché vuoi qualcosa, ma hai paura di
prendertela.»
«Certo, ma ci sono delle ragioni valide per cui essere spaventati.
La prospettiva peggiore è che io perda il mio lavoro e che la cosa
con Hank non funzioni, così mi ritroverei con niente in mano. Finirei
col servire hamburger e patatine per guadagnarmi da vivere e
rimarrei da sola, con dodici gatti, ciascuno dei quali mangerebbe un
cibo diverso tra quelli che si possono comprare al Quick Mart.»
«Ehi, vacci piano, stai parlando di una montagna di sfiga,
prendiamo un problema alla volta, okay? Come fai a sapere che
l’ospedale potrebbe opporsi alla tua relazione con Hank?»
«Potrei chiedere alla direttrice,» rispose immediatamente. «Ma
dato che ho già…» Si schiarì la voce. «Il tempo per chiedere il
permesso è scaduto da un pezzo; sono già colpevole.»
«Quindi non è una conversazione semplice.»
«Direi proprio di no.»
«Ma Hank vale una conversazione difficile?»
Ahia. «Cavolo, se la metti così…»
«Lo è, o no?»
Callie inserì la freccia a destra e accostò sul ciglio della strada,
estrasse il telefono dalla tasca e lo accese.
«Posso chiederti cosa stai facendo?»
«Sto per avere una conversazione difficile con il mio direttore
sanitario.» Cercò il numero della dottoressa Fennigan, ma il telefonò
scomparve dalle sue mani. «Ehi!»
«Callie, sai che sono le undici di domenica sera?»
«Oh.» Abbassò la testa sul volante. «Sto diventando pazza.»
«Giusto un po’.»
«Lui mi fa diventare pazza. E stupida.»
«Non è sempre una cosa negativa.»
«Non sono abituata a sentirmi stupida.»
«O pazza,» aggiunse l’amica. «Ma tutte le cose migliori della vita
ti fanno sentire così. Le montagne russe, i Margarita, il sesso
bollente. Nathan ti ha mai fatto sentire così?»
«No, certo che no.»
«Ah! Un altro indizio a favore di Hank.»
«Esci dalla mia testa, Willow: troppe verità per una sola notte.»
«Sii grata per lo sconto che ti faccio come migliore amica, perché
questa è stata una seduta da almeno duecento verdoni. Adesso
rientriamo, okay?»
Con un sospiro, Callie rimise la freccia e controllò il traffico sulla
strada di campagna. Non c’era nessuno.
Accanto a lei, Willow sorrise nel buio. «So che hai paura, ma ho
una sensazione positiva riguardo a te ed Hank. Probabilmente non
lo conosco quanto te, ma è così pieno di vita… e non si può avere
l’amore senza un minimo d’azzardo, non importa di chi si tratti.»
«Questo, lo so. Per questo si fa chiamare Hazardous, e penso
abbia inventato lui quella parola.» Accelerò verso casa sua.
«Nathan sembrava una scommessa vinta in partenza e guarda
come è finita.»
«Questa è cattiva, Willow.»
«No, non lo è, sto solo cercando di farti capire quanto sia difficile
scegliere la persona per cui vale la pena assumersi dei rischi.»
«Lo so.» Ora era ufficialmente esausta e quando percorse con la
macchina il vialetto di Hank, si chiese come avrebbe fatto ad
andarsene in modo elegante. A lui non sarebbe piaciuto, ma c’erano
delle questioni che doveva risolvere con se stessa e una
conversazione che avrebbe dovuto sostenere con Hank, solo che
non voleva offuscare con le sue paure la felicità che avevano
raggiunto quella sera.
Sfortunatamente, i suoi pensieri di una veloce fuga vennero
infranti quando Willow le chiese di tenere la bambina. «Preparare la
culla portatile è un lavoro da due persone,» disse. «Io e Dane
andiamo un secondo a darci da fare, se non ti dispiace tenere la
bimba.»
Così Callie uscì dalla macchina e prese il fagottino dall’amica,
facendo appoggiare la testolina di Finley contro la sua spalla. «Vieni
qui, tesoro,» mormorò, mentre il corpicino della piccola si
appoggiava contro di lei. Willow rimosse il seggiolino dai sedili
posteriori della Sedan di Callie e insieme si avviarono lungo il
vialetto di ghiaia.
«Ehilà, chi va là?»
«È la polizia,» sbottò Willow. «Nascondete la birra e le
prostitute.»
Callie, con il suo prezioso carico tra le braccia, fece attenzione
sugli scalini al buio.
«Dane,» chiamò Willow, avvicinandosi al marito. «Lascia a Callie
il tuo posto, per favore, ho bisogno del tuo aiuto per montare la
culla.»
Dane si alzò in piedi per seguire la moglie all’interno, poi Bear
dichiarò che si era fatto tardi, raccolse alcune bottiglie e le portò in
casa.
Callie ed Hank rimasero da soli sul portico, così lei si accomodò
sulla sedia, con Finley addormentata sul suo petto.
«Cosa abbiamo qui?» chiese Hank a bassa voce.
Un angelo, fu tentata di rispondere. Quella domanda era così
carica di significati, l’attrazione che sentiva nei confronti di Hank era
intensa, ma lui non dava l’impressione di essere interessato a
mettere su famiglia e lei di certo non stava ringiovanendo. Aveva
l’impressione di tenere tra le braccia tutto ciò che il futuro avrebbe
potuto riservarle, ma solo il tempo avrebbe potuto dire se sarebbe
mai stata così fortunata da avere un bambino tutto suo, prima o poi.
«Finley si è addormentata in macchina,» disse semplicemente.
«Non ho mai ospitato un bambino, prima,» commentò.
«D’altronde, non ho mai molti ospiti.»
«Non prendono poi così tanto spazio i bambini,» disse, ma non
era vero, perché i bambini occupavano un enorme spazio nella vita
delle persone e un gigantesco pezzo dei loro cuori.
«A me lo spazio non manca di certo.» La sua voce suonò così
malinconica, in sintonia con ciò che stava provando lei, e si chiese
perché lui fosse diventato improvvisamente triste. Hank spense il
sigaro nel buio, prese un lungo sorso di birra e poi si spostò al suo
fianco.
«Spostati un po’, dolcezza,» disse e lei esitò, ma poi gli fece
spazio e lui si spostò dalla sedia a rotelle, sedendosi accanto a lei.
Hank passò le braccia attorno alle sue spalle e attirò sia lei che
Finley sul suo petto. Quello fu davvero troppo. Starsene seduta così
con lui, mentre teneva stretta a sé la bambina le provocò una fitta al
cuore, al pensiero di ciò che forse non avrebbe mai avuto nella vita.
Hank si voltò a guardarla, immergendo poi il viso tra i suoi capelli,
depositandole un tenero bacio sulla tempia. «Grazie per avermi
rimesso in sella, dolcezza,» le disse.
Quella frase fu una stilettata al cuore. Hank pensava al sesso
riconquistato, mentre lei era impantanata con questioni più
importanti, per cui qualsiasi cosa avesse risposto, le sarebbe uscita
nel modo sbagliato.
Fortunatamente, in quel momento Willow uscì dalla porta.
«Missione compiuta,» disse. «La prendo io.»
Callie si alzò in piedi ed entrò in casa, ma non si tolse le scarpe,
visto che non aveva intenzione di restare. «Buonanotte, Finley,»
sussurrò, restituendo la bambina alla madre, sentendo ancora il
calore del suo corpicino proprio dove si era appoggiata.
«Io entro,» disse l’amica, poi si girò verso Callie, fissandola con
serietà per un momento, poi si rivolse a Hank, che stava entrando
nella stanza. «Grazie di tutto.»
«È un piacere,» rispose lui. «Amo avere ospiti. Ehi, Willow,
aspetta un secondo, c’è una cosa che devo farti vedere.» Hank si
avviò verso uno scaffale e, quando si girò, Callie vide la custodia del
violino appoggiata sul suo grembo.
«Dove l’hai preso?» chiese Willow.
«A casa tua,» rispose, guardando Callie. «Diciamo che è una
lunga storia…» Callie gli fece il suo miglior sorriso indifferente.
«Quando l’ho visto, ho avuto una sensazione riguardo a questo
violino e avevo ragione.» Aprì la serratura a scatto della custodia e
alzò il coperchio. «Ti ho fatto accordare sia lo strumento che
l’archetto e ho regolato il ponte.» Appoggiò la custodia sul tavolino e
si mise il violino sotto al mento.
Poi, mentre Willow spalancava la bocca esterrefatta, lui appoggiò
l’archetto sulle corde e si mise a suonare. Callie rabbrividì mentre la
musica cresceva, quasi brillando nell’immobilità della stanza.
Variazioni di una lenta e cadenzata musica di violino si levò nella
notte; Hank suonò una melodia dolce e bassa, ma la velocità delle
sue dita e il salto sicuro dell’archetto sulle corde erano ipnotizzanti.
La musica la inondò come un incantesimo dolceamaro. Hank era
così bello e in così tanti modi diversi, che Callie sperò con tutta se
stessa che lui riuscisse a rendersene conto.
Attirato dalla musica, Dane infilò la testa fuori dalla stanza degli
ospiti e Bear emerse dal bagno. L’espressione sui loro visi era
esattamente come Callie immaginava fosse la propria, pura
meraviglia.
Quando finì, lasciò fluire l’ultima nota e poi ci fu solo silenzio.
«Accidenti,» disse Dane.
«Wow,» sussurrò Callie.
«Lo devo mettere nel mio film…» intervenne Bear.
«Questo sì che è stato bello,» esclamò Willow.
«Suona bene, non è vero?» convenne Hank, rigirandosi il violino
tra le mani. «Quando ho visto quest’opera in legno, ho avuto la
sensazione che fosse qualcosa di speciale. È stato fatto sulle Smoky
Mountain nel diciannovesimo secolo. Willow, questa cosa vale tra i
dieci e i quindicimila dollari.»
Willow si coprì la bocca con una mano. «Dio! E pensare che se
ne stava lì, in una casa vuota… e diecimila dollari poi! E pensare che
sono stata in arretrato con le bollette per così tanti mesi. Ad averlo
saputo, avrei potuto venderlo.» Hank ripose il violino nella custodia,
la chiuse e poi la allungò verso di lei, ma Willow scosse la testa.
«Adesso non mi serve a niente e di certo io non lo so suonare.»
«Potrei venderlo per conto tuo,» si offrì lui.
«Perché invece non lo tieni tu?» suggerì. «Ti dona.»
Hank passò una mano sulla custodia. «Mi è piaciuto farne la
conoscenza.»
Lei si limitò a sbadigliare. «Ora come ora, vorrei fare la
conoscenza del letto.» Poi si voltò verso Dane, che la prese tra le
braccia.
«’Notte ragazzi,» disse Bear, chiudendo la zip della propria
giacca. Passando accanto a Callie, le strinse amichevolmente il
gomito e, subito dopo, sparì, chiudendosi la porta alle spalle.
Lei ed Hank rimasero soli nella stanza. «Vieni a letto,» disse lui
lentamente, quasi sapesse che era pronta a contraddirlo.
«Non posso, mi dispiace.» Deglutì piano.
«Col cazzo che non puoi. Abbiamo avuto una grande giornata,
non puoi scappare proprio adesso.»
«È vero, abbiamo avuto… abbiamo fatto davvero del buon sesso,
il migliore della mia vita.»
«Dannazione, sento che sta per arrivare un “ma”,» sussurrò.
«Ma non so cosa succederà dopo. Ora che sai di essere ancora
capace a letto, le donne ti staranno aspettando a braccia aperte.»
Lui aggrottò le sopracciglia. «Callie, non so perché ti stai
allontanando da me. Sì, cazzo, sono contento di potere di nuovo fare
sesso, è la verità, e sono felice perché significa che posso stare con
te senza compromessi o tristezza, perché non c’è nessuna che
voglia nel mio letto, a parte te.»
Il suo cuore ebbe una stretta. Hank era un bravo ragazzo e
sapeva che era sincero, ma sapeva anche che non riusciva a vedere
a lungo termine. «Ora devo andare a casa.»
«Perché?»
«Perché restare mi confonde e basta.»
«Stai ancora parlando di andare in California.»
Lei annuì.
«Callie, non andartene stasera. Se pensi che il lavoro dei tuoi
sogni sia in California, allora capirò, ma non hai nemmeno ancora
sostenuto il colloquio, quindi non c’è nessun motivo per cui non
possiamo stare insieme adesso.»
E invece c’era. C’erano dozzine e dozzine di motivi, ma in quel
momento Callie era troppo confusa per spiegarsi in modo tale
perché lui capisse. «Con te ci sono troppo dentro fino al collo e ho
bisogno di prendermi del tempo per pensare.»
Hank non riuscì a nascondere la propria delusione. «Avevi detto
che saresti rimasta.»
Ed era vero, lo aveva detto, solo che, qualche ora prima, era
nuda e ogni volta che lui la toccava, perdeva il lume della ragione,
facendole fare e dire cose che non erano nel suo interesse.
Quando vide Hank mettere le mani sulle ruote per avvicinarsi a
lei, Callie si affrettò verso la porta, mettendo la mano sulla maniglia.
«Hank, io devo schiarirmi le idee, okay? Parleremo domani.»
La ruga sulla sua fronte era profonda. «Adesso sarebbe meglio di
domani.»
Si spinse in avanti, ma lei aprì la porta e fece un passo fuori. Era
una mossa da codardi, lo sapeva bene. Voltandosi verso la
scalinata, si concesse un ultimo sguardo al suo viso e quello fu un
grosso errore, perché la frustrazione che vide la ferì a morte. Hank
era fermo sulla soglia del portico, non c’erano rampe lì, quindi non
poteva seguirla. Lo vide stringere le mani sulle ruote, come se fosse
pronto a sconfiggere la fisica e a seguirla giù, fino al vialetto.
Ma non poteva.
Era crudele da parte sua scendere i gradini, sapendo che lui non
poteva seguirla, ma lo fece lo stesso e, subito dopo, entrò in
macchina e se ne andò.

Il problema di essere (perlopiù) una brava ragazza era che non


smettevi mai di colpevolizzarti.
Alle quattro di mattina, dopo neanche un paio di ore di sonno,
Callie si svegliò, ben consapevole che ora aveva commesso due
errori: il primo era stato fare sesso con Hank prima di aver sistemato
le varie complicazioni etiche, il secondo era stato fuggire a gambe
levate subito dopo, con la sottigliezza di Willy il Coyote.
Il fatto era che stava già rischiando davvero ogni cosa, poteva
perdere la sua unica fonte di reddito se solo qualcuno l’avesse
scoperta e avesse deciso di esporla e, a peggiorare le cose, era
scappata senza aspettare di sapere se quello che era successo
avesse significato qualcosa per Hank.
Il problema era che non era giusto chiedergli più di quello che le
aveva già dato e Tiny era stato molto chiaro nel sottolineare in quale
difficile posizione si trovasse Hank in quel momento. Era passato
meno di un anno dal suo incidente, stava ancora cercando di capire
cosa fare con la sua nuova vita e non era giusto fargli delle
pressioni, e Callie dovette ammettere di non essere del tutto sicura
di voler ascoltare quello che aveva da dire in proposito a ciò che era
successo tra di loro.
Intorno alle sei di mattina, Callie rinunciò a dormire. Andò al
lavoro presto e passò un paio d’ore a inserire dossier della ricerca
nel suo database. Finalmente, tutto il duro lavoro per avviare gli studi
sulla S.E.F. era terminato e per i successivi dieci mesi sarebbe stato
sufficiente inserire i dati dei vari pazienti, che sarebbero poi stati
analizzati alla fine del percorso. Se avesse lasciato il Vermont, un
altro dottore avrebbe potuto prendere in mano le redini del suo
progetto con relativa facilità.
Che depressione.
Quando ebbe terminato di tenersi occupata con qualsiasi cosa, i
pensieri su Hank ritornarono prepotenti a occuparle la mente e,
chiedendosi se avesse chiamato, cercò il telefono all’interno della
borsa.
Non lo trovò.
Fantastico, l’aveva lasciato a casa di Hank e, pur non avendo
ancora la benché minima idea di cosa dirgli, o cosa chiedergli,
doveva andare da lui e riprendersi il telefono.
Cosa poteva fare?
Nel campo della ricerca medica era impossibile ricercare delle
risposte prima di aver inquadrato la domanda con accuratezza, ma
in questo caso c’erano troppe domande. Hank la voleva ancora?
Forse. L’avrebbe voluta ancora tra un anno? Difficile. Avrebbe
dovuto iniziare una relazione con qualcuno che non voleva una
famiglia? Probabilmente no. Avrebbe perso il proprio lavoro se fosse
rimasta per scoprire dove quella relazione l’avrebbe portata? Non ne
aveva idea.
Molte di quelle domande spinose riguardavano lei ed Hank, ma
una poteva essere risolta da qualcun altro. Con l’ansia che saliva di
livello, chiamò l’assistente della dottoressa Fennigan per chiederle
se la direttrice avesse un paio di minuti da dedicarle.
«È fuori per una conferenza,» rispose la giovane donna. «Posso
inserirla per un colloquio la prossima settimana?»
La prossima settimana? Le si annodò lo stomaco. «Okay,
grazie.»
Dopo essersi appuntata l’orario dell’incontro, riagganciò e uscì a
cercare un caffè.
DICIASSETTE

H con il rumore dei suoi ospiti in cucina. Ascoltò per


un momento il suono soffocato della voce di Willow che parlava alla
sua bambina e si chiese come sarebbe stato svegliarsi con i suoni
della sua famiglia nella stanza accanto.
Sì, certo. Il suo letto era vuoto e l’espressione terrorizzata sul
viso di Callie, la sera precedente, era indicativa del fatto che lo
sarebbe stato ancora per molto tempo. Aprendo gli occhi, la testa gli
pulsò per la delusione, o forse era solo l’effetto del fumo del sigaro e
di troppe birre.
Si alzò, si vestì e uscì dalla camera per salutare i propri ospiti.
«Ho trovato il caffè,» disse subito Dane.
«Fantastico.» Hank si avvicinò per versarsene una tazza.
«Quando chiudete?» chiese.
«Dobbiamo incontrare l’avvocato alle due,» rispose Willow dal
tavolo da pranzo, dove era seduta con la bambina in grembo. «Ma
Dane sta cercando di far arrivare prima sia la banca che il
compratore.»
«Perché?» chiese versandosi il caffè.
«Amico, non hai sentito le previsioni? Sta per nevicare e stiamo
cercando di trovare un volo via Boston il prima possibile.»
Hank guardò fuori dalla finestra e vide il cielo grigio piombo; e
così, avrebbe nevicato presto.
«Ne aspettiamo una quarantina di centimetri, non male per la
seconda settimana di novembre. Vado a vestirmi.» Dane uscì dalla
stanza, con la tazza in mano.
Che ridere, pensò Hank. Non guardava un bollettino meteo da
mesi, mentre in passato avrebbe iniziato a guardare le previsioni con
settimane di anticipo, sperando di vedere l’icona della neve sullo
schermo, facendo scommesse con i suoi amici. Ora i fiocchi
sarebbero scesi di nuovo davanti alla sua finestra e non aveva idea
di come vivere la cosa.
C’erano due modi per superare quel problema. Il primo
riguardava Bear che voleva farlo uscire di nuovo, per aiutarlo a
realizzare un film sugli snowboarder. La cosa sarebbe stata
interessante, ma anche causa di un dolore continuo, uno di quelli
che ti distruggevano. L’altra scelta era di imparare a ignorare la
neve; se ci fosse riuscito, la neve sarebbe diventata lo stesso
fastidio per lui, come lo era per tutti coloro che non sapevano cosa
volesse dire agganciare i piedi alla tavola e volare giù per il pendio.
Quale sarebbe stata la sua scelta? I suoi occhi vennero attirati
dal fascicolo che Bear aveva lasciato sul tavolo; non gli avrebbe fatto
male dare un’occhiata.
«Callie ha intenzione di uscire dal letto, prima o poi?» chiese
Willow, spargendo sul tavolo qualche cereale davanti la bambina,
perché potesse mangiarli.
«Devi chiamarla, per chiederglielo.»
Alzò di scatto lo sguardo, sorpresa. «Davvero? Non è qui?»
Scosse la testa una sola volta.
«Che schifo,» borbottò ed Hank le diede ragione, perché
l’alternativa era pensare che, semplicemente, a Callie non
interessasse. Fu risparmiato dal continuare a rimuginare su quel
pensiero dal trillo del telefono di Willow. «Pronto?» chiese.
Hank prese il proprio telefono dalla tasca, mandando un semplice
messaggio di buongiorno a Callie, ma un paio di secondi dopo sentì
un trillo da qualche parte vicino al divano e, portandosi nelle
vicinanze per dare un’occhiata, trovò il telefono di Callie nascosto tra
due cuscini.
Dall’altra parte della stanza, la bambina aveva intrecciato le dita
tra i capelli della mamma, nel tentativo di portarle via il telefono. Lei
girò la testa il più possibile per impedirglielo. «Saremo felici di essere
lì per le undici,» disse, dribblando le dita insistenti di Finley.
Hank si avvicinò a loro e offrì alla bambina il telefono. Lei sgranò
i grandi occhi blu, tendendo le braccine verso di lui, che la prese in
braccio, sistemandosela in grembo, e le diede il telefono. Willow si
girò per ringraziarlo silenziosamente.
Finley tenne il telefono stretto tra le manine cicciottelle, mentre
Hank si spingeva verso la porta a vetri, guardando fuori. Qualche
fiocco stava già volteggiando nell’aria, ma quell’inverno la neve non
gli sarebbe servita proprio a nulla, e il suo cuore sobbalzò alla vista.
Un anno prima, quei primi fiocchi lo avrebbero spinto a cercare la
propria attrezzatura nel capanno che aveva costruito apposta per
contenerla tutta. Qualche membro particolarmente sensibile della
sua famiglia aveva rimosso tutti i suoi occhiali e i caschi dal
capanno, dopo l’incidente, ma gli erano bastati un paio di fiocchi di
neve per riportarlo indietro a fare i conti con i fantasmi dei suoi
inverni passati.
Hank si voltò e notò che Willow lo stava guardando. «Ti dona,
sai?» disse infilandosi il telefono nella tasca posteriore dei pantaloni.
«Prego?»
«La bambina, siete una coppia carina.»
Gli venne da ridere. «È perché abbiamo entrambi i capelli corti.»
Accarezzò i capelli sottili della piccola, era calda e profumava di
talco.
«Ne avremo un altro,» disse Willow, avvicinandosi.
«Dovreste davvero,» disse con voce strascicata. «Voglio dire,
prima o poi…»
«No, voglio dire, il prossimo giugno, circa.»
«Voi ragazzi siete piuttosto produttivi.»
«Facciamo del nostro meglio,» rispose lei con un sorriso ed Hank
scoppiò a ridere. «Callie sarà estasiata, so quanto adori questa qui.»
Ahia. Eccola lì, ancora una volta dentro alla sua testa.
«Era piuttosto sorpresa, quando ieri sera gliel’ho detto,» rispose
Willow. «Ma ama tantissimo i bambini.»
Hank non seppe come rispondere; c’era la concreta possibilità
che non avesse modo di sapere quale fosse l’opinione di Callie sul
diventare genitori, se avesse continuato a fuggire da lui.
«Penso si stia facendo prendere un pochino dal panico,»
continuò Willow.
Ma non mi dire.
«Pensa anche che il suo orologio biologico stia ticchettando in
fretta.»
Lui sbuffò. «Non è vero.»
«Io lo so, ma Callie ama pianificare la propria vita con circa
diciassette mosse d’anticipo. È l’unico modo che uno ha per
diventare un medico, non puoi andare dove ti porta il vento, e lei ha
dovuto per forza mantenere ben saldo il suo timone.»
«Quindi ha paura di me.»
«Direi piuttosto terrorizzata,» convenne lei. «Fortunatamente,
proprio ieri quella faccia da culo del suo ex le ha praticamente
proposto di ricominciare da dove avevano lasciato le cose.»
Qualcosa gli strizzò lo stomaco. «Cosa?»
Willow gli sorrise. «Non ti preoccupare, gli ha detto dove poteva
infilarsi quell’idea. Ecco perché so che è tanto presa da te.»
Era sempre meglio di niente.
«Mentre ero al telefono, mi ha mandato un messaggio per sapere
se avesse lasciato qui il telefono.»
Hank lo prese dalla sua tasca e glielo fece vedere.
«Vuoi che glielo porti io quando vado in centro?»
«No, glielo porto io,» rispose lui.
«Mossa intelligente.»
Hank appoggiò la mano sulla pancia della bambina e una sulla
ruota sinistra, poi fece muovere la sedia in modo da fare una
piroetta. La bambina lo ricompensò con una risata, così lo fece di
nuovo.
«Le piaci,» disse lei dolcemente.
«Io piaccio a tutte le ragazze,» scherzò lui. Tutte tranne a quella
di cui ho bisogno.
Hank mancò la sua sessione terapica per accompagnare Dane e
Willow a fare colazione. Dopo aver lasciato il paese, pensò di
fermarsi all’ospedale per vedere Callie, ma poi rifletté sul fatto che
quello non era di certo il posto migliore per parlarle, così aspettò la
sera.
Non era rientrata a casa, così Hank finì per ritornare all’ospedale,
parcheggiò la macchina, sistemò la sedia a rotelle ed entrò. La
stanza della terapia era deserta e non era in ufficio, non c’era
nemmeno Tiny e nessuna delle infermiere l’aveva vista nelle ultime
ore. Non aveva nemmeno in programma un turno di notte.
Aveva finito le opzioni.
Mentre ritornava in città, le strade stavano via via diventando un
vero disastro, eppure non sopportava l’idea di ritornare a casa, ad
altre ore di solitudine, così decise di andare da Rupert. Più si
avvicinava al bar, più gli piaceva l’idea. Se sua sorella stava
lavorando, poteva bere quanto voleva e, dopo il suo turno, avrebbe
potuto riaccompagnarlo a casa con la sua jeep.
E andiamo!
Inoltre, aveva trovato un parcheggio per disabili sulla Main Street,
quindi era decisamente un segno del destino (occupare quei
parcheggi senza sentirsi in colpa era assolutamente l’unica cosa
positiva del suo incidente).
Mentre assemblava la sua sedia a rotelle, la neve fresca era già
alta qualche centimetro e nell’aria se ne sentiva l’odore ancora forte.
La cosa divertente era che non si era mai reso conto che anche la
neve avesse un profumo. Era fredda e croccante, con giusto un
soffio di pino e fumo di legna; era esattamente così che profumava
l’inverno.
Entrò nel bar; alla televisione trasmettevano il football del lunedì
sera e una manciata di avventori erano allineati al bancone. I suoi
occhi furono attratti da uno di loro.
«Tiny!» lo chiamò.
«Hazardous!» esclamò di rimando l’omone con un sorriso, ma si
teneva il telefono all’orecchio, quindi avrebbe dovuto aspettare un
po’, prima di fare quattro chiacchiere con lui.
Lo sgabello accanto a Tiny era coperto da una giacca, ma sulla
sinistra c’era un posto libero. Non voleva sedersi da solo, così, con
una spinta e una girata, spostò il corpo sullo sgabello. Bastava non
bere troppo e non sarebbe caduto per terra.
«Non male,» disse una voce alle sue spalle. «Ma la giudice russa
ti ha tolto un punto dal tuo punteggio finale. Sai, è una tipa
scontrosa.»
Hank guardò sopra alla propria spalla verso sua sorella. «Ehi,
non sei venuta ieri sera, pensavo non dovessi lavorare.»
Stella fece spallucce. «Avevo bisogno di una serata a casa. Cosa
mi sono persa?»
Beh, sorellina, è stata la migliore sera della mia vita, fino a
quando ha smesso di esserlo. «Sai, il solito… birra e sigari. A
proposito, Willow e Dane ti salutano. Bear ha portato l’itinerario per
le scene del suo film, l’ho letto questo pomeriggio; sembra
divertente.»
«Scommetto che lo è,» borbottò. «Cosa vuoi da bere?»
«Hai imparato a memoria la lista delle birre?»
Gli lanciò un’occhiataccia.
«Sorprendimi, allora.»
Stella si allontanò sbuffando, trascinandosi dietro la sedia.
«Tua sorella mi fa morire dal ridere,» disse Tiny, infilandosi il
telefono nella tasca della giacca.
«Dici sul serio?» chiese lui, facendo il pugno, picchiandolo contro
il suo.
«Ci ha presentati Callie.»
«Callie?»
«Che c’è?» Callie comparve improvvisamente accanto al suo
gomito.
La ispezionò velocemente da capo a piedi… c’era qualcosa che
non andava, sembrava un po’ confusa e quando alzò gli occhi verso
Tiny, in cerca di risposte, l’uomo gli fece l’occhiolino.
Ah, okay, era mezza ubriaca.
«Siediti,» disse Hank, trattenendo un sorriso. Le prese
gentilmente il gomito e la indirizzò verso lo sgabello.
«Poco fa Callie mi stava dicendo che stasera sarebbe stata una
Serata Tequila,» lo informò Tiny, prendendola per l’altro gomito.
«Anche se non mi ha detto il perché.»
Callie allontanò entrambe le loro mani. «Non ho sentito nessuna
obiezione da parte tua,» intervenne, poi fece un cenno verso Travis.
«Quanto spesso Callie dichiara la Serata Tequila?» chiese Hank
a cuor leggero.
«Non spesso,» si intromise Travis, togliendo il suo bicchiere
vuoto. «È più una cliente da una birra e via.»
«Siete tutti accondiscendenti, tutti quanti,» borbottò lei.
«Posso servirti qualcosa, Hazardous?» chiese Travis, divertito.
«Ho chiesto a mia sorella di scegliere una birra per me; se le
cose vanno bene, c’è una mezza possibilità che se ne ricordi.»
«Ma è la Serata Tequila,» protestò Callie.
«Una dottoressa una volta mi ha detto di stare lontano dalla
tequila.»
L’espressione di Callie si scurì. «Ottimo consiglio, ma la tua
dottoressa ha una brutta influenza su di te, è un totale disastro.»
Okay, quindi quella non era stata la cosa giusta da dire. «Penso
che quella dottoressa sia troppo dura con se stessa e io non sono
più un suo paziente. Ehi, Trav, mi versi un sorso di Conmemorativo?
Uno solo però, credo che dovrò portare a casa qualcuno tra poco.»
«Posso farlo io,» disse allegramente Tiny. «La mia
partecipazione alla Serata Tequila è stata puramente nominale.»
«Penso che dovrei fare io gli onori.»
«Mi sembra una pessima idea,» disse Callie, guardandosi le
mani.
Con un’espressione curiosa, Tiny li studiò entrambi prima di
decidere saggiamente di non dire nulla.
Travis appoggiò lo shot davanti a Hank e un Margarita per Callie,
mentre a Tiny servì una bibita in lattina.
«Quanti ne ha bevuti?» chiese Hank, scolandosi il suo drink.
«Sono qui,» intervenne Callie esasperata. «Puoi chiederlo
direttamente a me.»
«Questo è il quarto,» rispose Travis. «Ma ogni volta cambio la
miscela. Per quest’ultimo, la tequila gliel’ho appena fatta vedere.»
«Mi annacqui le bevande?» strillò lei. «Che razza di barista sei?»
«La razza che ringrazierai domani mattina quando sarà ora di
andare al lavoro.»
«Vi odio tutti. Beh, tutti a parte Tiny, forse.»
«Forse?» chiese lui, tenendosi il cuore.
«È un peccato,» disse Hank. «Perché qui abbiamo tutti un’alta
considerazione di te.»
«Non mi fare sviolinate, porta solo guai.»
Si mise a ridere. «Avresti dovuto chiamarmi, oggi, signorina.»
Lei bevve un sorso, prima di rispondere. «Non trovo più il mio
telefono.»
«Capisco. E non c’erano altri telefoni a disposizione?»
Bevve un altro sorso ed evitò di guardarlo negli occhi, poi lui mise
una mano in tasca e ne estrasse il suo telefono, mostrandoglielo. «Ti
sembra familiare? È sbucato tra i cuscini del mio divano.»
Mentre Tiny sgranava gli occhi, Callie tentò di afferrare il proprio
telefono, ma lui lo spostò fuori dalla sua portata. «Scusa, ma lo
tengo in ostaggio.»
«Gesù,» borbottò. «Mi farai licenziare.»
«No, affatto,» disse. «Questa suona proprio come una scusa a
buon mercato per scaricarmi.»
«Non è una scusa!» esclamò con un tono che, probabilmente,
chiunque nel bar riuscì a sentire. «Hai idea del mio debito
studentesco? Duecentomila dollari!»
Tentò nuovamente di riprendere il telefono, ma Hank prese al
volo la sua mano. «Va bene,» disse con calma, «non è uno scherzo,
ma sei davvero sicura che noi due abbiamo commesso un reato
punibile?»
«No,» rispose, sopprimendo un singhiozzo. «Ma sono
abbastanza preoccupata da dichiarare questa una Serata Tequila.»
E, a essere sinceri, Callie sembrava più scossa di quanto
l’avesse mai vista.
«L’ultimo tizio si è meritato solo un’abbuffata di gelato, quindi
forse questo significa qualcosa di buono per me.» Accarezzò il
palmo della sua mano con il pollice e gli occhi di Callie si
addolcirono, tanto da sciogliere leggermente il groppo che Hank
aveva allo stomaco. Solo un pochino.
«Ci sarà anche parecchio gelato,» sussurrò lei. «La direttrice
dell’ospedale è via per una conferenza.»
«Hai cercato di vederla.»
«Come prima cosa questa mattina. Cioè, non proprio la
primissima, perché sono in piedi dalle quattro a preoccuparmi di
cosa dirà.»
Okay, a quel punto Hank pensò che fosse il caso di intervenire.
Accese il telefono di Callie e iniziò a setacciare i suoi contatti; il
numero della dottoressa Fennigan era lì, sotto la F, perché Callie era
proprio il tipo di persona organizzata.
Sfiorò lo schermo e restò a osservare mentre il telefono
effettuava il primo tentativo di chiamata.
«Cosa stai facendo?» chiese prendendogli il polso.
«Suona,» disse. «Anche se riagganci, vedrà che hai provato a
chiamarla.»
«Pronto?» chiese una voce dal telefono. Hank glielo porse e lei
gli lanciò uno sguardo così intenso che avrebbero potuto usarlo per
affilare uno snowboard, poi Callie appoggiò il telefono all’orecchio.
«Ehm… dottoressa Fennigan? Perdonami per questo orario
sconveniente.» Lo guardò di nuovo malissimo, mentre cercava di
scendere dallo sgabello e uscire dalla porta.
«Sei nei guai fino al collo,» disse Tiny, scolando la sua Coca.
«Probabilmente è vero,» ammise.
«Almeno adesso so perché era necessaria una Serata Tequila.»
Tiny si infilò la giacca. «Da qui in avanti, lascio a te la palla.»
«Amico, non te ne devi andare,» disse. «Non volevo metterti a
disagio.»
«Non l’hai fatto,» rispose, chiudendo la zip della giacca. «Ma se
mi sbrigo, riesco ancora a incontrarmi con i miei amici. Avevo
rinunciato a uscire con loro perché Callie ha passato l’intera giornata
come una granata senza sicura, tanto che, a un certo punto, ho
pensato che avrei dovuto metterla di fronte al sacco.» Gli fece un
occhiolino.
«Sei un brav’uomo, Tiny, la prossima volta non dovrai nemmeno
lasciarmi vincere la gara di flessioni.»
Lui roteò gli occhi. «Mi piacerebbe pensare di averti lasciato
vincere. Ci vediamo, Hank.»
Con il telefono incollato all’orecchio, Callie uscì in fretta dal bar
nella notte nevosa.
«C’è qualche problema?» chiese la direttrice.
«Salve, dottoressa Fennigan,» disse di nuovo Callie, morendo di
vergogna. Poi iniziò a parlare lentamente, sperando che la direttrice
non capisse che aveva passato la serata in compagnia di diversi
Margarita. «Mi spiace chiamarti nelle, ehm, ore serali, ma avevo
bisogno di chiederti un chiarimento riguardo a qualcosa che mi hai
detto un po’ di tempo fa.»
Lei rise. «Riguarda Hank Lazarus?»
«Potrebbe.» Dio, era davvero una fifona. «Sì, riguarda lui,» si
corresse. «Mi hai detto che non è un mio paziente e so che è del
tutto vero, ma questo non significa che sarebbe appropriato se io
uscissi con lui.» E “uscire” era davvero un eufemismo, a questo
punto.
Dall’altra parte della linea ci fu silenzio e Callie odiò quel
momento di stallo. «Riflettiamo sulla cosa,» disse infine la direttrice.
«Nel corso della settimana fornisci trattamento medico a qualcuno
dei partecipanti allo studio?»
«Mai, lo fa il capo del dipartimento di terapia. Il mio ruolo è solo
quello di osservare e raccogliere i dati, ma non vorrei mai che
qualcuno potesse insinuare che la nostra ricerca è stata alterata a
causa della mia relazione personale.»
«Callie, hai mai pensato di controllare questa cosa nella guida
degli impiegati?»
«No.» Deglutì forte.
«Bene, da nessuna parte si dice che, nel caso in cui un dottore
sentisse nascere un sentimento romantico nei confronti del proprio
paziente, questi verrà fucilato davanti a un plotone d’esecuzione.»
«Buono a sapersi,» disse sollevata.
«Magari, si consiglia che il dottore in questione chieda
un’indicazione da parte dei suoi superiori e che la relazione
professionale cessi.»
«Okay…?»
«In questo momento hai chiesto un’indicazione, quindi quella
parte è a posto e ora ti sollevo temporaneamente dal gestire la
ricerca, fino a quando non troveremo una soluzione a queste
domande.»
«Oh. Okay,» ripeté Callie sorpresa.
«Anche nel caso in cui decidessimo che un altro dipendente
debba prendere il tuo posto, non mi viene in mente un solo motivo
per cui tu non possa essere coautrice dei risultati il prossimo anno. A
quel punto, i partecipanti allo studio saranno solo numeri su una
pagina.»
«Grazie,» credo, pensò esalando un respiro, ancora scossa,
perché non poteva essere così semplice. «Dottoressa Fennigan…»
«Elisa.»
«Elisa, sei sicura al cento percento che io non mi stia mettendo
nei guai, uscendo con Hank? Il mio lavoro è molto importante per
me.»
La direttrice rimase in silenzio per un momento, prima di
rispondere. «Esiste sempre una possibilità, che è solo un’ipotesi. Ad
esempio, se un familiare di Hank ti prendesse in antipatia o uno dei
partecipanti allo studio si arrabbiasse nei confronti dell’ospedale per
un qualche motivo. C’è sempre una possibilità che qualcuno con un
interesse personale scateni un putiferio su qualsiasi cosa si possa
aggrappare. Potresti finire dalla parte sbagliata in un articolo di
giornale. Ma il punto è: questo potrebbe succedere anche se non
iniziassi una relazione con lui, giusto?»
«Giusto?» Le faceva male alla testa a cercare di vagliare tutte
quelle possibilità.
«C’è sempre qualcosa che può andare storto, ma è la vita. Ciò di
cui sono sicura è che, come medici, passiamo i nostri anni migliori
dentro a un ospedale e se l’uomo giusto entra attraverso quella
porta, non possiamo rifiutarlo senza pensare alle conseguenze di
quel rifiuto, perché, per quelli come noi, un bel ragazzo che guida
un’auto sportiva rossa di certo non cade dal cielo.»
Le sfuggì una risata che sperò non fosse troppo isterica a causa
della tequila.
«Direi di no, vorrei solo che non fosse così complicato.»
«Te la caverai, ne sono certa. Buonanotte, Callie.»
«Buonanotte, Elisa.»
Chiuse la conversazione e, per un momento, tutto ciò che riuscì a
fare fu di starsene lì, ferma, al freddo, lasciando che la neve
continuasse a coprirle i capelli. Adesso stava nevicando forte.
La dottoressa Fennigan non le aveva detto ciò che si aspettava
di sentire e se, da un lato, si sentiva sollevata che la direttrice non
fosse orripilata dalla sua relazione con Hank, dall’altro la situazione
non era ancora così limpida.
Alzò gli occhi, guardando una scia di fiocchi bianchi vorticanti,
illuminati dalle luci della strada. «Posso avere un piccolo segno?»
chiese alla strada deserta. «Solo un piccolo cenno da Dio che tutto
finirà bene?»
Ma, mentre guardava la neve e cercava di ascoltare il proprio
cuore, tutto ciò che ricevette in risposta fu un grosso fiocco che
atterrò direttamente nel suo occhio. Strizzandolo, aprì la porta del
bar e, scrollandosi la neve dai capelli, ritornò al tepore del locale e al
suono di risate e football in televisione. La figura massiccia di Hank
era ancora lì, gli avambracci muscolosi sul bancone del bar, la testa
piegata per sbirciare il risultato della partita sullo schermo: la vista di
lui che la stava aspettando la fece rabbrividire e le strizzò il cuore.
Non così in fretta, atri e ventricoli. Non importava quanto lo
trovasse irresistibile, era ancora arrabbiata e, raggiungendolo
dov’era seduto, gli rifilò una forte pacca sulla spalla.
«Ahia,» protestò, gli occhi ancora sulla televisione. «Perché?»
«Sai bene il perché, mi hai obbligata a dire tutto alla direttrice.»
Quando si voltò a guardarla, lo picchiò di nuovo. «Non è stato
carino.»
«Ahia,» ripeté. «Mi hai fatto male.» Eppure continuò a sfregarsi il
braccio sbagliato, con un sorriso sfacciato che gli illuminava la
faccia.
«Sai, se gli tiri un cazzotto funziona meglio,» disse Stella
Lazarus, arrivando con un vassoio vuoto e, passandogli accanto,
strinse il pugno e colpì il fratello sulla spalla, ma Hank la ignorò e, in
fretta, prese il viso di Callie tra le mani e la strinse a sé, in un bacio
aggressivo.
Impreparata e sbilanciata, non poté difendersi contro quelle
labbra morbide. Hank grugnì di piacere mentre entrava nella sua
bocca, la lingua che sfregava contro la sua senza troppi convenevoli.
Piegata sul suo petto, si ritrovò ad aggrapparsi a lui, invece di
respingerlo. La combinazione di alcol e un bacio carico di desiderio
rendeva i suoni soffocati e indistinti e, anche in quello stato, riuscì a
sentire alcuni fischi e Stella che diceva loro di prendersi una camera.
Proprio quando le sue ginocchia iniziarono a tremare, il baciò
terminò all’improvviso come era iniziato. Aggrappata alla sua giacca,
Callie si sentì più ubriaca di quanto fosse mai stata durante quella
serata.
«Adesso ti porto a casa,» disse Hank.
Quello la risvegliò dallo stato di trance in cui era caduta. «No che
non lo farai.» Non poteva ripetere ciò che era successo la notte
precedente. Quando quella sera aveva deciso di sbronzarsi, il piano
non doveva includere lui, perché alcol ed Hank insieme erano un mix
potenzialmente devastante, una combinazione così potente che il
dosaggio non poteva essere calibrato. «Dov’è Tiny? Avrebbe dovuto
darmi un passaggio.»
Hank lasciò cadere qualche biglietto sul bancone del bar. «È
uscito dal retro, mi ha detto di darti la buonanotte. Ehi, Stella, dato
che non mi hai portato nessuna birra, puoi almeno portarmi la mia
sedia?»
«Ops, scusa,» disse sua sorella. Quando Stella arrivò con la
sedia a rotelle, Hank vi si lasciò cadere sopra. «Andiamo, la mia
macchina è qui davanti.»
In auto, Callie osservò i fiocchi di neve danzare davanti ai fari.
«Riesci a guidare la Porsche con questa neve?» Quel bacio
sconvolgente le aveva lasciato il desiderio di provocarlo un po’,
come se discutere con lui l’avesse potuta aiutare a mantenere alte le
proprie difese.
«Dolcezza, la mia piccola ha quattro ruote motrici e gomme da
neve.» Sembrava un po’ arrabbiato per l’allusione che la sua
macchina potesse non essere abbastanza virile da compiere
l’impresa.
Callie si lasciò andare sul lussuoso sedile; l’auto profumava di
tappezzeria in pelle e di Hank. Era così… sexy.
Aiuto, quando c’era lui di mezzo, le sue difese vacillavano;
sempre.
Fecero il tragitto in silenzio, le luci della città che lentamente
svanivano alle loro spalle. «Avrei parlato comunque alla dottoressa
Fennigan, non dovevi forzarmi la mano.»
«So che l’avresti fatto,» rispose Hank, la voce roca e sexy. «Ho
semplicemente accelerato i tempi.»
«Già, perché una ragazza che si sbronza solo due volte all’anno,
non desidera altro che parlare al proprio capo nel bel mezzo di una
Serata Tequila.»
La sua risata fu asciutta. «Riusciresti a fare neurochirurgia da
sbronza, in più non ti avrei permesso di lasciar passare una
settimana, per parlare con lei. Sarebbe stato troppo tempo per la tua
bella testolina e saresti riuscita a pensare ad almeno una dozzina di
ragioni per cui io per te rappresento una pessima idea.»
«Non faccio neurochirurgia,» sottolineò Callie, mentre lui si
lasciava andare a una risata e la macchina iniziava a risalire lungo la
strada di montagna.
«Quando mi dirai cosa ti ha detto?» chiese Hank, con gli occhi
fissi sulla strada.
«Non lo so, non ho ancora deciso se dirtelo o meno.» Sbirciò
fuori dal finestrino, alla ricerca di segnali familiari, ma non ce
n’erano. «Questa non è la strada per casa mia.»
«Chi ha mai detto che sei annebbiata dall’alcol? Infatti è la strada
per casa mia.»
«Hank, ma che diavolo! Ferma la macchina!»
Non appena lo disse, lui svoltò in un viottolo sconosciuto,
fermandosi sul ciglio della strada, in silenzio, poi si voltò verso di lei,
un sopracciglio alzato interrogativamente.
Callie incrociò le braccia sul petto. «Sono ancora arrabbiata con
te.»
«Cos’ha detto la Fennigan?»
Ti ha definito un bel ragazzo. «Mi ha sollevata dalla ricerca.»
Hank perse di colpo la sua espressione sfacciata. «Oh, merda,
mi dispiace.»
Quell’ammissione di colpevolezza avrebbe dovuto farla sentire
meglio, ma le rese solo più difficile continuare a essere arrabbiata
con lui. «È tutto okay,» disse. «Me lo meritavo e mi aspettavo ben
peggio.»
«Non hai fatto niente di male,» le disse con voce dolce. «Quando
ero un tuo paziente, mi hai rifiutato senza esitazioni.»
«Qualche volta non importa se hai sbagliato o meno, importa
solo che la gente pensi che tu l’abbia fatto e, tra le altre cose, mi hai
sputtanato con Tiny ben prima che potessi parlarne con Elisa.»
«Già,» ammise. «Ma Tiny non ti darebbe in pasto ai lupi, non lo
farebbe mai. E sai perché? Perché la gente ti ama, quindi hai il
beneficio del dubbio e te lo meriti.»
Quella era decisamente la cosa più carina che le avessero mai
detto, ma era anche fin troppo ottimistica. «Non sono coraggiosa,»
disse.
«Lo so.» Stese la mano oltre alla leva del cambio per prendere la
sua. «Me l’hai detto durante Il silenzio degli innocenti.»
Ricambiò la stretta della sua mano, desiderando con tutta se
stessa che la vita fosse più semplice, così da non dover più lasciare
quella presa. «Io non sono coraggiosa, ma tu non sei pronto.»
«A cosa?»
«A me.»
«E cosa dovrebbe significare?»
«Hai avuto un anno così difficile e non sei pronto a…
impegnarti.» Non appena quelle parole ebbero lasciato le sue
labbra, si pentì immediatamente di averle dette; era chiedergli
troppo.
«E chi l’ha detto?»
«Senti, non negarlo, se non fosse stato per il tuo incidente, non
sarei mai stata la tua scelta. Non sono il tuo tipo, non lo sono mai
stata, e non voglio finire per essere quella che ci tiene troppo e tu
quello che si accontenta.»
Sentì la stretta della sua mano farsi più forte. «Merda, questo è
così ingiusto da parte tua! Quando le mie paure si sono messe tra di
noi, mi hai detto che erano stronzate e adesso ti giochi la stessa
carta del cazzo? Qual è il punto di fare un gioco simile? Provare a
indovinare se ci saremmo mai incontrati? Stiamo alla grande
insieme, abbiamo avuto una vera connessione sin dal primo
momento in cui sei entrata nella mia camera d’ospedale.» Inspirò a
fondo. «Non è giusto da parte tua fingere di non sentire le stesse
cose, o che non ti importi.»
La rabbia nella sua voce le fece battere più forte il cuore.
«Hank,» disse sommessamente. «Penso tu non abbia idea di cosa
vuoi, hai appena riavuto indietro la tua vita e sento che mi sei grato e
Dio solo sa quanto sono felice per te, ma tu potresti avere
chiunque.»
«La stessa cosa vale per te! Cosa c’entra con tutto il resto?
Magari ci saremmo incontrati comunque, non far finta di saperlo.»
Deglutì, sentendosi confusa. Lei lo sapeva, in realtà.
«Cosa?» sbottò Hank.
Scosse la testa.
«Callie, permettimi di capire, è il minimo che tu possa fare.»
Allontanò la mano, afferrando il volante.
«Mi dirai che ci sto vedendo troppe cose.»
«Mettimi alla prova.»
«Hank, noi ci eravamo già incontrati prima, nel peggior giorno
della tua vita, quel giorno. Poco prima del tuo incidente, Dane e
Willow ci avevano presentati.»
Le sue sopracciglia scure si alzarono di colpo. «Cazzo,
davvero?» Chiudendo gli occhi, si toccò il naso e rimase in silenzio
per un minuto. «Dannazione, è stato proprio prima della mia
esibizione.»
Callie smise di respirare.
Si voltò di scatto a fissarla. «Ho chiesto a Dane dove saremmo
potuti andare a bere, dopo l’esibizione e ho fatto una battuta sul suo
essere al guinzaglio.» Rise, ma poi i suoi occhi si velarono di dolore.
«Indossavi un berretto di lana rosa acceso.» Le sfiorò la testa con la
mano. «Ti copriva i capelli e mi ricordo di essermi chiesto di che
colore fossero. Dane teneva in braccio la bambina.» Le dita che
sfiorarono le sue labbra stavano tremando. «E io sono stato un vero
stronzo.»
«Era un momento di stress.»
«Non per quello che ho detto.» Scosse brevemente la testa. «Ero
così geloso, Callie. Quella era la montagna in cui sono nato, doveva
essere un gran giorno per me, un grande anno, ma quella stronza
della mia ragazza mi aveva appena fatto il discorso da “quando torni,
dobbiamo parlare” e poi ho visto Dane e lui aveva tutto. Aveva la sua
famiglia al suo fianco. Lui aveva già capito tutto e io stavo
semplicemente annaspando.» Prese un lungo respiro incerto.
«Quindi, se pensi di sapere come me la passavo allora… Beh,
dolcezza, non sai proprio niente.»
Callie era così sorpresa che dovette ricordarsi di respirare.
«Hank,» sussurrò, sporgendosi sulla leva del cambio,
abbracciandolo come meglio poteva. «Mi dispiace, non l’avevo
capito. Ma sul serio davi l’impressione di uno che aveva tutto ciò che
desiderava.»
«Callie, ti sto dicendo cose che non ho mai detto a nessuno
prima d’ora. Più chiaro di così non potrei essere.»
«Okay, okay,» cercò di calmarlo. «Sono stata una stupida; avevo
paura di ritrovarmi con il cuore spezzato.»
Hank la accolse tra le sue braccia. «Sai, forse non ero pronto a
incontrarti un anno fa.» Le baciò la testa. «Ma ci stavo arrivando e
l’incidente non è stato l’unico motivo. Stavo cominciando a capire
che era ora di smettere di essere stupido e di credere di essere
eternamente giovane. Non era quello che desideravo per me.»
Callie lo strinse più forte. «Lo dici come se fosse una cosa
negativa: qualche volta penso di non essere mai stata abbastanza
giovane, o stupida, e allora tento di rimediare comportandomi come
una pazza.»
«In questo, posso aiutarti, con la stupidità e la follia me la cavo
davvero bene.» La cullò dolcemente. «Ti voglio, Callie e tu vuoi me.
Nient’altro importa.»
«La California,» disse.
La strinse ancora di più. «Smettila.»
«Hai detto che se l’avessi menzionata di nuovo, avresti…»
Non riuscì a finire la frase, perché le sue labbra la zittirono e il
bacio fu lento e bruciante, una promessa di cose ancora più eccitanti
che sarebbero arrivate dopo.
Quando si staccarono per respirare, Hank rimase in silenzio per
un lungo minuto. Con le luci del cruscotto accese, il suo viso serio
prese un’espressione corrucciata.
«Il Vermont domani si sveglierà sotto la neve, mentre io speravo
di svegliarmi con te.»
«Mi piacerebbe.»
Hank rimise in moto la macchina e Callie si riadagiò sul sedile;
riprese la strada verso casa e gli ci vollero solo un paio di minuti per
parcheggiare in garage. Prima di scendere dall’auto, Hank doveva
rimettere insieme la sua sedia a rotelle, cosa che di solito gli
prendeva un paio di minuti, così porse le chiavi di casa a Callie.
«Ecco, scegli quale parte del letto vuoi occupare per dormire e scegli
bene, perché non sarà solo per questa notte.» Si voltò verso i sedili
posteriori per prendere una ruota.
Con il cuore pieno fino a scoppiare, Callie lo fece.
DICIOTTO

L , Callie si svegliò con un muro di muscoli premuto


contro la schiena. Rimase immobile per un po’, facendo il punto della
situazione. La mano di Hank era appoggiata sul suo fianco, le dita
allargate sulla pelle sensibile della sua pancia. Indossava una delle
sue magliette, con il simbolo di un doppio diamante nero sul davanti
e con sotto la scritta Solo per esperti.
Quella era l’unica cosa che indossava, perché, la notte
precedente, avevano fatto l’amore lentamente, quasi in modo
assonnato, accoccolati più o meno come erano in quel momento. Il
solo pensiero la fece tremare.
Hazardous era un coccolone, chi l’avrebbe mai detto?
Callie alzò la testa di qualche centimetro per sbirciare l’orologio
sul comodino. Erano le otto e mezza e, per quell’ora, avrebbe dovuto
già essere all’ospedale. Al solo pensiero, una fitta di ansia le strinse
lo stomaco. Non importava quante cose belle fossero successe la
notte precedente, visto che la sua carriera era stata messa in
pericolo da una singola telefonata da sbronza alla direttrice
dell’ospedale e la cosa le faceva pulsare le tempie per la
preoccupazione.
O forse era solo il dopo-sbronza.
La mano calda che era appoggiata sulla sua pancia prese a
muoversi, strizzandole un fianco, poi scivolò dolcemente sulla sua
schiena, tracciando dei piccoli cerchi intorno alla sua vita. Con gli
occhi chiusi, lei rimase immobile; non importava quanto complicata
sarebbe stata la sua giornata, si sarebbe goduta quel momento,
apprezzando la sensazione delle dita di Hank sulla propria pelle.
Sarebbe stato molto facile abituarsi a quel tipo di risveglio. «Callie,»
la chiamò in un sussurro.
Rotolò su di lui e la prima cosa che vide fu una panoramica del
suo petto, poi lasciò scorrere lentamente lo sguardo verso l’alto, fino
alle spalle tatuate e quando raggiunse il suo viso, si aspettava di
trovare uno sguardo d’amore nei suoi occhi, ma vi trovò altro:
intensità.
«Che c’è?» chiese, accarezzandogli la barba lungo la mascella.
Hank appoggiò la testa su una mano, guardandola seriamente.
«Me ne sono appena reso conto… tu hai visto quando è successo.»
«Cosa?»
«Se ti ho incontrata alla montagna, significa che hai visto quando
mi sono spezzato la schiena: tu eri lì a guardare.» I suoi occhi erano
pozzi scuri, puntati nei suoi.
Callie allungò una mano per toccargli il petto, sentendo la dura
pressione dei muscoli sotto il proprio palmo. Era difficile capire il suo
stato d’animo in quel momento, sembrava quasi arrabbiato. «Ero lì,»
fu tutto quello che riuscì a dire ed era la verità, che gli piacesse o no.
«Non è tra i miei ricordi migliori.»
«Ma sei qui ora.»
Sbatté le palpebre, accarezzando il tatuaggio del sole. «Certo
che ci sono.»
La strinse tra le braccia. «Sei davvero incredibile.»
«Perché?» Sfregò la pelle proprio sotto al suo orecchio.
«Perché mi vuoi lo stesso,» disse, sistemandosela meglio sul
petto. «Io…» Esalò un profondo respiro. «Un sacco di miei amici mi
guardano e io vedo le rotelle del loro cervello che girano e girano,
facendo il paragone. Non importa di cosa stiamo parlando, se dei
Patriot o del tempo, il loro pensiero è quel povero storpio, guarda
come si è ridotto. Invece tu non mi hai mai guardato così e pensavo
che fosse perché non avevi un punto di riferimento di come fossi
prima, pensavo non avessi mai visto il vero me.»
Si sollevò per poterlo guardare dritto negli occhi. «No, io ho il
vero Hazardous.» Con una mano gli prese il mento. «È proprio qui,
accanto a me.»
Hank non le disse niente, ma i suoi occhi splendevano con una
tale intensità e meraviglia che il cuore per poco non le esplose nel
petto. Lasciò cadere la testa sulla sua spalla e le braccia di lui la
circondarono di nuovo, riprendendo ad accarezzarla, mentre lei
restava in ascolto del suo cuore che batteva.
«Dovremmo alzarci,» disse dopo un po’. «Devo andare in
ospedale e capire se ho ancora un lavoro.»
«Ma certo che hai ancora un lavoro, non ti hanno ancora
riassegnato ai turni, vero?»
Sapeva che quello che diceva aveva un senso, solo che la
dottoressa Callie Anders non poltriva a letto quando il suo futuro era
incerto. Era quasi un bisogno fisico quello di parcheggiare nel posto
riservato ai medici e accertarsi che il suo badge aprisse ancora tutte
le porte. Nella chiara luce del giorno, aver rinunciato alla ricerca era
qualcosa di terrificante. Lo aveva anche messo nel curriculum che
aveva mandato in California. Come avrebbe potuto spiegare che non
faceva più parte del progetto? Il familiare brusio dell’ansia che era
sempre con lei iniziò a ronzarle nelle orecchie.
«Nevica, piccola.» Hank le accarezzò di nuovo la schiena e il
calore delle sue mani iniziò a calmare gli spigoli più acuti della sua
preoccupazione. «Beviamo una tazza di caffè, poi andiamo a fare la
mia seconda cosa preferita al mondo.» Mentre parlava, intrufolò le
mani sotto alla sua maglietta e le accarezzò un seno e, quando il
suo pollice le sfiorò il capezzolo, il treno sul quale viaggiava la sua
preoccupazione si fermò bruscamente.
Porca miseria.
«Non mi chiedi qual è?» Ridacchiò. «La mia seconda cosa
preferita?»
Callie mugolò qualcosa, non realmente interessata alla risposta,
purché includesse Hank, il suono pieno della sua risata e il calore
delle sue mani.
«Andiamo in montagna, ovviamente.» Le sue mani calde si
spostarono e, rotolando sulla propria schiena, afferrò il telefono fisso
dal comodino.
Lei gli bloccò la mano prima che potesse comporre il numero.
«Fai sul serio?» Si era immaginata che quello fosse l’ultimo posto
dove volesse andare, ma lui si liberò dalla sua presa e premette uno
dei bottoni di chiamata rapida. «Ehi, Stella,» disse un minuto dopo.
«Sali in montagna?»
Dato che era praticamente sdraiata su di lui, poté sentire la
risposta di sua sorella. «Devi anche chiedermelo? Mi hanno
chiamata alle sei di questa mattina; siamo stati chiamati tutti.»
Hank fece una pausa. «Tutti tranne me, immagino.»
Stella non rispose subito. «Ti aspettavi davvero che ti
chiamassero? Chi te l’avrebbe potuto chiedere? Ma… ehi, se vuoi
sei libero di prendere il mio posto,» si offrì. «Io mi godo la giornata di
neve e tu vai a vendere i pass stagionali.»
Quando Hank rise, Callie lo sentì attraverso il suo petto. «Grazie
per l’offerta, ma preferirei fare altro. Sai dov’è tutta la mia
attrezzatura invernale? Io e Callie avremo bisogno di occhiali, caschi
e pantaloni da neve.»
«Credo di poter rovistare negli armadi di mamma, prima di
venire. Non è che vuoi già provare il tuo nuovo giocattolino, vero?»
«Ci puoi scommettere.»
«Non dirlo alla mamma,» disse. «Si preoccuperebbe.»
«Non abbiamo più dodici anni.»
«Non vorrai certo essere messo in punizione come me.»
«Sai che io sono bravo a svignarmela.»
Attraverso il telefono, Callie la sentì ridere. «Lo so, che lo sei.»
«Ci vediamo lì, sorellina.» E chiuse la chiamata.
«Cosa stai complottando?» chiese lei.
Infilò le mani sotto le coperte e le sculacciò scherzosamente il
sedere. «Vedrai, ma prima, abbiamo bisogno del caffè.»
DICIANNOVE

H in ascolto mentre Callie imprecava a bassa voce e la


seggiovia curvava per mettersi in posizione alle loro spalle. «Sei
pronta?» chiese, soffocando una risata.
«No!»
«Se la caverà,» promise Bear.
Quando il seggiolino si avvicinò, Hank fece leva con forza sulle
due racchette da sci progettate apposta per lui, alzando in aria il
monosci (e quindi anche il suo sedere) di qualche cruciale
centimetro. Sentì l’elevatore prenderlo e, subito dopo, stavano
lentamente volando verso la pista per principianti. Hank strattonò il
retro del seggiolino della seggiovia, per assicurarsi che lui e il suo
nuovo marchingegno non cadessero.
«Non ci sono neanche le cinture di sicurezza,» borbottò verso
Bear, seduto accanto a lei. «Come può essere legale?»
Hank reclinò il capo, lasciando che i raggi di sole del mattino gli
scaldassero il viso. «La vera domanda è: come fa una ragazza come
te a essere cresciuta a un paio d’ore da Lake Tahoe, senza mai aver
imparato a sciare o a usare uno snowboard.»
«Già,» gli fece eco Bear. «È così sbagliato.»
Quando erano arrivati in montagna, circa un’ora prima, Callie si
era categoricamente rifiutata di provare lo snowboard. «Non voglio
sentirmi come se avessi i piedi legati,» aveva insistito. «A dir la
verità, non voglio affatto scivolare giù dalla montagna, ma se proprio
devo farlo, allora lo faccio con gli sci.»
Poi Bear che, o era il migliore amico sulla faccia della terra o si
stava facendo in quattro perché Hank accettasse di partecipare al
suo film, ne aveva affittato un paio per lei e uno anche per sé.
«Pensavo fossi uno snowboarder,» disse lei mentre cercava di
infilare i piedi in scarponi durissimi.
«Già,» rispose con un occhiolino. «Si può dire che sono uno che
gioca in due squadre.»
E adesso tutti e tre stavano risalendo la montagna, con un cielo
incredibilmente blu alle spalle: era un martedì di novembre, il che
voleva dire che i presenti erano solo ragazzi del luogo a cui era stata
concessa una giornata di neve in anticipo e, a quanto pareva, tutti
sciavano fin dall’asilo, quindi la pista per principianti sarebbe stata
deserta.
Erano le condizioni perfette per terrorizzarla.
«Come ce la giochiamo?» chiese Bear.
«Magari potrei semplicemente tornare indietro,» suggerì lei.
Hank sorrise. «Non ci provare. Bear, dalle una spinta e vediamo
se riesci a mantenerla in piedi.»
«Potrebbe anche funzionare,» convenne lui.
Poi arrivarono in cima alla pista ed Hank si spinse in avanti,
sentendosi liberare dal sedile. Mise le sue bizzarre racchette a terra,
avevano dei piccoli sci sulla parte bassa, planò in avanti e il monosci
sotto di lui iniziò a muoversi sulla neve.
Callie gridò, così ruotò il torso per lanciarle un’occhiata e quello
gli fu fatale; il monosci si rovesciò e lui si inclinò pericolosamente,
ma gli bastò appoggiare una delle sue racchette nella neve e fare
leva, per rimettersi dritto di nuovo.
Non era andata poi così male.
Bilanciandosi, si allontanò dall’area della seggiovia e attese che
Bear rimettesse in piedi Callie, che si mosse goffamente in avanti
con un’espressione cupa in viso.
«Adesso ricordati di una cosa,» le spiegò Bear. «Gli sci paralleli ti
fanno andare in fretta, quindi curva gli alluci verso l’interno quando
vuoi rallentare. Quando insegnano questa cosa ai bambini, dicono
“patatine fritte” per vai e “pizza” per fermati.»
«Che pizza sia, allora,» borbottò. «Dove vado?»
Hank indicò l’ovvia direzione. «Giù.»
Rimase a osservarla, mentre lei, con le gambe piegate nella
posizione goffa di chi è terrorizzato, curvò i propri sci e scese
lentamente lungo la pista per principianti. Hank si portò due dita in
bocca e fischiò. «Così, piccola!»
Cadde dopo circa un secondo.
Bear le fu addosso immediatamente per aiutarla e riiniziarono da
capo.
Per un paio di minuti, Hank rimase seduto da solo sulla sommità
della piccola cima, semplicemente a guardarli, finché Bear si fermò
per alzare il viso verso di lui, controllandolo. «Sei sicuro di volerlo
fare?» gli aveva domandato quando Hank gli aveva chiesto di portar
fuori il monosci dal capanno.
«Certo,» gli aveva risposto, con voce molto più sicura di quanto
in realtà si sentisse. «Sarà una passeggiata.»
Era probabilmente la menzogna più grande che avesse mai detto
in tutta la sua vita.
Adesso osservava il suo equipaggiamento, chiedendosi cosa
diavolo gli fosse passato per la testa.
La primavera precedente, i suoi sponsor lo avevano scaricato
tutti, uno dopo l’altro; gli assegni avevano semplicemente smesso di
arrivare e, per la prima volta dopo anni, Hank non poteva più
mantenersi.
Ma il suo sponsor preferito, un produttore di caschi, gli aveva
mandato il monosci, con un biglietto: Non sappiamo se lo vorrai o
quando sarai pronto a usarlo, ma vogliamo lo stesso che tu lo abbia.
P.S. Indossa sempre il casco.
Era pronto? E chi lo sapeva. In ogni caso, era seduto su una
specie di sostegno che teneva il suo sedere a qualche decina di
centimetri dalla neve, le sue gambe erano legate insieme su un
poggiapiedi, e sotto al sedile c’era un singolo sci; per bilanciarsi e
muoversi aveva due racchette multiuso. Per trovare un equilibrio che
gli impedisse di cadere da quell’aggeggio doveva dondolare un po’
da un lato all’altro. Per curvare avrebbe dovuto spingere con i fianchi
a destra o a sinistra, piegando lo sci sulla neve. Sembrava così
ingombrante, ma alle Paralimpiadi gli atleti gareggiavano su quelle
cose, per cui quanto difficile poteva essere?
Guardò giù dalla montagna e il cuore gli balzò in gola. Quella era
la sua prima volta sulla neve da quel giorno ed era successo tutto
solo a qualche centinaio di metri da lì. Ecco perché doveva farlo
proprio quel giorno, il primo giorno di neve della stagione. Se Hank
non ci avesse provato, quel momento avrebbe solo acquistato
importanza e il tempo sarebbe passato senza che lui ci avesse
almeno tentato; avrebbe solo reso il problema più grande.
E, in quel preciso momento, a ogni minuto trascorso seduto lì a
pensarci su, stava facendo esattamente la stessa cosa.
Vaffanculo.
Senza indugiare oltre, si spinse in avanti con le racchette e scese
giù per la montagna. Lo sci sotto di lui fece il proprio lavoro, la
superficie ricoperta di sciolina schiacciò la neve, proiettandolo in
avanti, poi anche la gravità cominciò a fare la sua parte e iniziò ad
accelerare. Si piegò leggermente sulla destra, provando a curvare.
Non successe molto, a parte scendere ancora più forte, così si piegò
ancora, affondando lo sci nella neve. Si voltò di colpo e sbandò su
un dislivello, alzando una nube di polvere di neve intorno a lui.
Atterrò sugli avambracci e le racchette sbatacchiarono contro il
monosci. Poi, solo silenzio.
Beh, okay, aveva capito come cadere.
Hank prese la racchetta da sotto al proprio corpo e si puntellò,
rimettendosi dritto. Anche se il cuore gli batteva furiosamente nel
petto, non aspettò un altro secondo. Puntando il monosci verso i
piedi della montagna, fece una leggera curva verso sinistra, che
sembrò filare liscia, così ne fece un’altra verso destra, poi sinistra,
destra. Sterzò nei pressi di un ragazzo che stava piantando a terra
un cartello con scritto Adagio: area principianti.
Prese un po’ di velocità, ma non si sentiva ancora a proprio agio
così, alla curva successiva, la prese larga e rallentò. Così, piano,
facile: sinistra, destra… Si era dimenticato come ci si sentisse a
lasciarsi completamente andare all’attività fisica; aveva la mente
sgombra da tutto ciò che non fosse la neve, il cielo e le sue due
racchette. Non era permesso pensare.
Prima che fosse pronto ad arrivare, si sorprese ai piedi del
monte. Usando la spinta derivata dalla forza di gravità, compì un
cauto arco intorno all’area di carico della seggiovia, poi si fermò,
piantando entrambe le racchette nella neve per bilanciarsi, e si
rilassò. Stava respirando più velocemente di quanto si sarebbe
potuto immaginare.
Bear e Callie erano fermi a due terzi della strada. Lui stava
gesticolando, probabilmente nel tentativo di insegnarle qualche
valida pillola di saggezza sciistica.
Sembrava che ci avrebbero messo un po’, così Hank si portò
nell’area di carico e il ragazzo addetto alle manovre toccò una leva,
rallentando le sedie e dimezzando la velocità. Ecco, quello sì che
era mortificante. Nessuno aveva mai rallentato una seggiovia per lui
da quando andava all’asilo. Ma, d’altra parte, cadere dal sedile non
era nella lista di cose da fare quel giorno, così decise di non
preoccuparsene e, quando arrivò la sedia, si sollevò con attenzione
e si sedette, iniziando il tragitto di risalita.
Sopra di lui, il cielo era così blu che gli facevano quasi male gli
occhi e quando guardò giù, riuscì a vedere le curve a S che aveva
inciso nella neve e, dannazione, la cosa gli fece venire un groppo in
gola.
Aveva avuto due anni, la prima volta in cui era sceso da quella
collina sui suoi piccoli sci da bambino; da qualche parte, aveva una
foto di lui che sciava con il ciuccio in bocca. A sette anni era passato
allo snowboard. Era cresciuto in quel posto, mangiando chili e
hamburger nel rifugio, e a guardare i ragazzi più grandi provare i loro
trick sull’half-pipe.
Aveva trascorso tutta la sua vita su quelle montagne e se da
adulto aveva avuto la possibilità di fare snowboard in tutti i principali
resort del nord America, era perché tutto era iniziato proprio lì. Ecco
perché doveva farlo; non poteva aver paura di quel posto, non si
sarebbe concesso di avere paura.
Arrivato in cima, si preparò a scendere lungo la pista,
armeggiando con le racchette abbastanza in fretta da evitare di
cadere di nuovo. Fermo sulla cima, guardò Callie che sciava,
cavandosela un po’ meglio ora che il suo corpo era meno teso. La
vide curvare due volte, prima di cadere in una nuvola di neve, le
gambe divaricate. Ricadde di schiena sulla neve, in modo
drammatico, ma senza farsi male.
Sorridendo tra sé e sé, Hank puntò lo sci nella sua direzione.
Questa volta fu una discesa più tranquilla, visto che aveva preso
dimestichezza dell’arco del sedile sulle lame dello sci. Prestò
attenzione a tenere sotto controllo la propria velocità, e la raggiunse
dopo sei o sette curve. Fece un quarto di giro intorno a dove Callie
era sdraiata, usò la salita per fermarsi e poi si girò per lasciarsi
cadere accanto a lei sulla neve.
«Vieni spesso qui?» le chiese.
«Perché? Non ti pare ovvio?» rispose, rimanendo sdraiata per
terra.
Bear scoppiò a ridere. «Giuro che stai migliorando.»
Hank indicò la salita all’amico. «Puoi andare a farti un giro, Bear?
Voglio parlare con la mia ragazza.»
Con una scrollata di spalle, lui si allontanò sugli sci.
«È un insegnante molto paziente,» disse Callie. «Ma la sua
studentessa non è molto sveglia.»
«Penso che tu sia grande, invece.»
Callie si appoggiò a un gomito e i suoi occhi blu lo squadrarono.
«Stai bene?»
Hank strisciò sugli avambracci per avvicinarsi a lei. Callie capì al
volo e si piegò per ricevere un bacio che non aveva nulla di discreto.
«Sto benissimo,» disse Hank sulle sue labbra. «Grazie per avermelo
chiesto.» La baciò di nuovo, attratto dal suo sapore dolce.
«Ti ho visto, sai?» sussurrò lei tra i baci. «Non è giusto che tu
riesca a farlo su quella cosa la prima volta che ci provi.»
Ignorò le sue lamentele, baciandola con più forza, e il gemito di
apprezzamento che lei esalò gli fece venir voglia di non smettere
mai di baciarla.
«Signore, si sente bene?»
Riluttante, Hank si staccò da Callie, alzando lo sguardo: una
bambina di circa sei anni si era fermata sulla pista, guardandoli.
«Vuole che chiami i soccorsi?» chiese di nuovo.
«No, non preoccuparti,» rispose. «Puoi andare.»
«E allora perché non si alza?» continuò lei, piegando il viso di
lato come un cucciolo. «Le stava facendo la respirazione bocca a
bocca?»
«No!» esclamò Callie, il tono pieno d’orrore. «Va tutto bene,
davvero, stavamo solo, ehm, facendo una pausa.»
«Sì, ciao piccola, vai,» si intromise lui, salutandola con la mano.
La bambina diede loro un ultimo sguardo sospettoso e poi sciò
via.
Callie incontrò i suoi occhi ed entrambi scoppiarono a ridere, ma
la sua risata divenne un gemito e lei si sollevò sui gomiti. «L’ultima
caduta mi lascerà un livido, ma almeno adesso so chi mi rianimerà.»
«Sono sempre disponibile per una respirazione bocca a bocca,»
disse Hank.
«Hank, questo è il motivo per cui non ho mai imparato a sciare,»
disse, massaggiandosi con un polso l’esterno della coscia. «E non
era la paura.»
«No?» Sperava che non fosse troppo indolenzita per la lezione di
sci, anche se, nel caso in cui lo fosse stata, poteva sempre
suggerirle di soddisfare una delle sue fantasie dentro alla Jacuzzi.
Lo guardò di nuovo. «La Squaw Valley era a un solo giorno di
viaggio da Sacramento e al liceo i miei amici spesso mi invitavano
ad andare con loro, ma i biglietti della seggiovia e l’affitto
dell’equipaggiamento costavano più di cento dollari, quindi dicevo
sempre di no.»
«Capisco,» disse, ma adesso si sentiva uno stronzo. Ogni
novembre, i suoi genitori gli compravano una giacca a vento con un
pass stagionale infilato nel porta-documenti high-tech
sull’avambraccio. Il loro ripostiglio dell’attrezzatura era stipato fino
all’inverosimile di equipaggiamento da neve all’ultimo grido, che
veniva rimpiazzato ogni volta che lui e Stella crescevano di qualche
centimetro.
«Tenermi alla larga dai guai mentre lavoro in ospedale non è solo
una questione accademica, per me.» Abbassò gli occhi sulle proprie
mani. «Ho bisogno di quel lavoro. Per ora me la sono cavata, ma mi
ci vorranno ancora un po’ di anni prima di saldare il mio debito
studentesco.»
Hank si schiarì la voce. «Spero di non aver incasinato tutto ieri
sera.»
«Non credo proprio che tu l’abbia fatto,» disse immediatamente.
«Ti sto solo spiegando perché l’idea di infrangere le regole mi fa
venire i sudori freddi. Non voglio essere quella noiosa, ma non
posso permettermi di essere sconsiderata.»
«L’ultima cosa che penso è che tu sia noiosa,» disse Hank. Lei
alzò il viso di scatto e lui poté vedere, dall’espressione del suo viso,
che non gli credeva. «Sei intelligente, che è una cosa sexy. Sono
sempre stato troppo malato di adrenalina per avere il tempo di
fermarmi e apprezzare questa qualità nelle persone, ma c’è molto di
più nella vita che saltar giù dalle montagne. Tu sei l’unica donna che
abbia mai incontrato che riesce a farmi ridere ogni singolo giorno.»
Callie non poté fare a meno di arrossire e distogliere lo sguardo.
«Cosa sta facendo quel ragazzo?» chiese, indicando verso il basso.
Al centro della pista, c’era un impiegato con una pala che
spazzava neve dentro a una scatola di legno a forma di cuneo.
«Sta creando un salto,» le spiegò. «Alterano un po’ le
caratteristiche della pista per evitare che i bambini escano nel
terreno accidentato per cercare dei salti. Quando ero piccolo,
passavo ore a farlo, dovevo crearmi da solo i miei salti, mentre ora lo
fanno gli addetti.»
«Non mi farai saltare oggi, vero?»
Hank scosse la testa. «Non ti farò fare niente, sono
semplicemente felice che tu sia venuta qui con me e che ci abbia
provato almeno una volta.» Si abbassò e si staccò dal monosci,
spingendolo via per sedersi in modo più confortevole accanto a lei.
Callie posò di nuovo i suoi occhi blu su di lui. «Proverò di nuovo a
sciare, davvero. Non credo che diventerò mai brava, ma ogni tanto è
divertente fare qualcosa in modo pessimo, ti permette di dimenticare
tutto per un po’.»
«Già,» sussurrò. All’improvviso, Hank si sentì quasi soffocare
dalla gratitudine che provava nei suoi confronti. La direzione che
aveva preso la sua vita non era certo semplice, eppure c’era anche
lei lì, con lui. O almeno lo sperava.
«A volte…» iniziò Callie, l’espressione cupa. «… A volte sono io
che mi scavo da sola il mio percorso, lo traccio per bene, incidendolo
a fondo e poi ci finisco intrappolata dentro.»
Prendendole la mano, Hank le tolse uno dei guanti che Stella le
aveva prestato. «Ti porto via io, se vuoi,» disse, poi si portò il palmo
alle labbra, baciandolo, e quando alzò gli occhi la guardò
intensamente. «Me lo lascerai fare?» chiese in un sussurro.
«Mi piacerebbe davvero.»
«Quando vuoi, piccola,» rispose, avvicinandosi così da poterla
abbracciare. «Quando vuoi.»
Stettero seduti così, sul pendio, abbracciati mentre la seggiovia
sfilava a poca distanza, sedia dopo sedia, attraverso il cielo blu.
«Sai,» disse Hank, con il mento appoggiato alla spalla di Callie.
«Penso che alla fine farò il film di Bear. La California non è
compresa nell’itinerario, ma se finirai a lavorare lì, magari posso
convincerlo a filmare l’ultima parte a Tahoe.»
«Credo che non sarà necessario,» gli rispose Callie. «Se per te
va bene, penso che resterò nel Vermont ancora per un po’.»
«Ne sono felice,» disse. «Senti, non uccidermi, ma mi sono reso
conto stamattina che dovrò abbandonare la ricerca.»
«Cosa?»
«Chiamerò la Fennigan per spiegarglielo.»
«Non mollare, Hank, non adesso.»
Lui scosse la testa. «Continuerò la terapia, ma non posso essere
un partecipante allo studio se quest’inverno viaggerò per otto
settimane; il programma di Bear è decisamente intenso.»
«Accidenti, i tuoi genitori…»
«A loro andrà bene, lo studio andrà avanti senza di me, ma andrò
ancora sulla bicicletta di Frankenstein e lascerò che Tiny faccia del
suo peggio su di me ogni volta che sarò in città e, forse, questo ti
faciliterà le cose per tenerti la tua promozione.»
«Anche se me la togliessero, me la caverò, perché tu ne vali la
pena.»
Gli si chiuse la gola, così Hank la prese tra le braccia e la strinse
forte. I diversi strati di vestiti che separavano i loro corpi sembravano
inesistenti, perché riusciva a sentire il calore e il peso del suo corpo
tra le proprie braccia e il suo fiato sul collo. Erano vivi, stavano bene
ed erano sdraiati su un pendio montano sotto al sole.
Un anno prima aveva pensato che tutto gli fosse stato tolto su
quella stessa montagna, ma ora sapeva che non era così, perché
qualcosa di ancora più grande gli era stato restituito. Sentì gli occhi
bruciare, e temette di stare diventando il più grande fesso del
mondo.
«Devo scendere con gli sci, giusto?» chiese lei all’improvviso.
Scostò la testa per guardarla negli occhi. «Hai paura?»
«Un po’, girarsi è la cosa più difficile.»
«E io che pensavo che atterrare dopo un salto fosse la cosa
peggiore.»
Lo colpì su una spalla. «Esibizionista.»
«Vacci piano, tigre.» Le prese la mano e baciò il palmo. «Posso
darti una dritta?»
«Certo.»
«I bordi dei tuoi sci non possono scavare nella neve per frenare,
se vai troppo piano. Sembra un controsenso, ma devi assumerti
qualche rischio e prendere velocità, perché funzioni.»
Callie guardò verso il basso, riflettendo sulle sue parole. «Non è
sempre così?»
«Abbastanza spesso, direi.»
Si alzò dal suo grembo e prese i suoi bastoni. «Okay,
facciamolo.»
«Non vedo l’ora,» rispose.
EPILOGO

C in una piccola sala proiezioni a Park City, nello Utah


e controllò la sala: c’era posto per circa una quarantina di persone.
Non aveva idea di cosa aspettarsi, ma di certo non quelle file di
poltrone posizionate davanti al grande schermo, corredate ognuna
da un vassoio di cibo d’alta cucina. Era un’occasione elegante,
eppure gli amici di Park City di Bear ed Hank, e la squadra di
snowboarder, indossavano i loro distintivi berretti e delle magliette
trasandate.
Non c’era mai un momento noioso quando Hank era coinvolto,
Callie non sapeva mai con esattezza chi sarebbe arrivato o cosa
sarebbe successo e adorava quella cosa.
Alcune teste si girarono nella sua direzione e diverse mani si
agitarono per salutarla. «Caddie!» Strillò una vocetta e lei si voltò a
guardare la bambina di Willow che si agitava in grembo alla madre.
Accanto a loro, Dane che teneva in braccio il loro bambino di cinque
mesi, Max. Dato che erano seduti proprio dietro a Hank, Callie fece il
giro della sala, lasciandosi cadere sulla grande poltrona per due,
accanto al suo fidanzato. Gli strinse la mano, poi si girò per lanciare
un bacio a Finley, che aveva visto al brunch solo un’ora prima.
«Ehi, Dane?» chiamò. «Se si sveglia e hai bisogno di qualcuno
che lo tenga durante il film, dallo a me. Andrò a fare una passeggiata
con lui.» Per il momento, le manine grassocce del bambino erano
strette a pugno mentre dormiva e le ci volle una grande forza di
volontà per non toccare quella pelle soffice.
«No che non lo farai,» protestò Hank al suo fianco, dando delle
pacche al sedile in pelle. «Ho bisogno che tu lo veda fino alla fine.»
Callie si sedette per bene e si voltò a guardarlo. «Voglio
vederlo,» disse. «Solo che immagino che lo vedrò ancora parecchie
volte nel corso di questo anno.» Il cortometraggio sarebbe stato
trasmesso ai festival cinematografici di alcune mete interessanti e lei
non vedeva l’ora di usare le proprie ferie per andare in Francia e a
Lake Tahoe con lui.
Il suo figlioccio, d’altra parte, era un impegno limitato nella sua
vita.
Hank le prese la mano e le baciò le nocche. «Fammi felice,»
sussurrò. «Guardalo per intero.»
«D’accordo,» rispose, cogliendo un bagliore nei suoi occhi scuri.
Non aveva parlato molto al brunch, quel giorno e, stranamente, era
stato piuttosto silenzioso anche il giorno prima. Quando era andato a
prenderla all’aeroporto, l’aveva abbracciata forte, ma la serata era
stata parecchio priva della sua tipica conversazione e spavalderia.
Callie si sentì gelare, chiedendosi il perché. «Sei stato
tremendamente silenzioso questo fine settimana, va tutto bene?»
Non era da lui essere nervoso per la messa in onda, non era proprio
nel suo stile.
«Sto bene,» disse, spostando la propria attenzione sullo
schermo, che si era appena illuminato.
Le luci iniziarono ad abbassarsi e Bear prese posizione davanti
alla platea. «Amici,» iniziò. «Pazzi e irresponsabili snowboarder…»
Ci fu un boato dalla platea e Callie sorrise: erano un gruppo
affiatato e si era divertita a conoscere alcuni di loro durante l’anno
precedente.
«… Benvenuti e grazie per essere qui alla proiezione in
anteprima; io ed Hank ci siamo divertiti come matti a fare questo film
con voi. La versione che state per vedere è il film finito, con la
colonna sonora completa, più un paio di scene qua e là che
riconoscerete quando le vedrete.» Fece un occhiolino e poi si
sedette.
Lo schermo si illuminò lentamente, mostrando al rallentatore il
sole che sorgeva da dietro una montagna, mentre una varietà di
musiche si alzavano nel silenzio. Callie stette a guardare, con gli
occhi sgranati, mentre i primi snowboarder entrarono in scena,
letteralmente volando oltre le lenti della telecamera. Al ritmo di una
canzone dei Red Hot Chili Peppers i loro salti diventavano sempre
più difficili, fino a quando iniziarono a eseguire figure da
competizione mondiale davanti alla telecamera.
Era bello, ma la lasciò con un pizzicore sgradevole al cuore,
perché la sua unica volta a una competizione sull’half-pipe le faceva
venire ancora gli incubi. Si chiese se quel dolore sarebbe mai
scomparso, non solo per lei, ma anche per Hank. Lui era stato così
coraggioso durante l’ultimo anno, era uscito con i suoi amici, aveva
passato del tempo sul monosci e ancora più tempo con una
telecamera in mano, senza mai lamentarsi, ma era certa che, alcuni
momenti, fossero stati per lui una vera tortura.
Il film continuò documentando la costruzione delle piste sulla
grande montagna e, a un certo punto, sullo schermo due
snowboarder stavano discutendo della possibilità di cavalcare due
piste in Alaska che non avevano ancora visitato.
Guardare il film fu un po’ come rivivere l’ultimo anno. All’inizio, il
lavoro era stato tutto discussione e pianificazione. Spesso, al tavolo
da pranzo, Hank e Bear avevano tirato fuori le loro idee e si erano
confrontati. Di sera, dopo i suoi turni all’ospedale, si era ritrovata a
entrare in casa di Hank con la chiave che lui le aveva dato,
trovandolo ad aspettarla. I suoi occhi la guardavano sempre con un
calore affamato, che era in grado di accenderla, anche se la sua
giornata era stata lunga e faticosa.
Alcune sere erano usciti insieme e, anche se Callie aveva vissuto
in Vermont per tre anni, Hank conosceva un sacco di posti segreti.
L’aveva portata sul gatto delle nevi sotto la luna piena nella prima
notte di neve. Un’altra volta, avevano guidato per un’ora fino a
un’eccellente pizzeria che conosceva a Chester. In uno dei suoi
giorni liberi, avevano fatto un tour della fabbrica di Ben & Jerry’s,
dove lei aveva potuto guardare dall’alto le macchine che
mescolavano le ciliegie e il cioccolato, trasformandoli nel suo gelato
preferito. «Sono arrivata all’astronave madre,» aveva scherzato.
«Non che tu debba affrontare un’altra crisi da risolvere con il
gelato,» l’aveva presa in giro Hank. «Ma adesso sai dove accade la
magia.» Si erano fatti un selfie davanti alla statua della mucca di
Holstein che era su tutte le etichette del gelato e avevano provato un
nuovo gusto che era appena stato prodotto.
Uscire con Hank era la cosa più divertente che Callie avesse mai
fatto in anni.
Sul grande schermo, gli snowboarder erano arrivati in Alaska su
un elicottero. Anche se aveva già visto qualche ripresa, trattenne il
fiato quando l’elicottero si allontanò in volo, lasciando tre figure
abbandonate su un picco roccioso, e trattene un sussulto quando la
prima saltò sulla propria tavola proprio sul limite, come se riuscisse a
stare in posizione verticale sulla cima nevosa con la sola forza di
volontà. Le riprese erano da togliere il fiato per bellezza e
pericolosità. Quando la telecamera si spostò indietro, ogni
snowboarder sembrò grande come una formica contro la vasta
montagna rocciosa e il cielo grigio in tempesta.
La parte più difficile fu guardare la scena in cui una valanga iniziò
a seguire uno dei ragazzi giù per la montagna. La sua presa sul
polso di Hank divenne una morsa fino a quando lui non se la scrollò
da addosso. «Callie,» sussurrò. «Le hai appena parlato.»
«Oh, mio Dio, ma quella è Stella?» Strinse la presa di nuovo,
anche se lui stava ridendo. Callie sapeva come andava a finire, ma
era difficile guardare la sorella di Hank inseguita da una valanga, e
vederla poi sgusciare fuori dalla neve un paio di secondi dopo,
ancora sulla propria tavola.
Che razza di folli facevano cose del genere?
Ah, giusto, la gente in quella stessa stanza.
Quando Hank aveva iniziato a viaggiare per il film, Callie aveva
fatto gli straordinari in sua assenza, ma era riuscita a raggiungerlo
nell’Idaho, a febbraio, mentre la troupe era lì a girare. Durante la
giornata alla Sun Valley, quando lui era stato impegnato, Callie
aveva preso lezioni private da un istruttore molto comprensivo. Poi,
di sera, Hank aveva lasciato il gruppo e le loro losche sistemazioni
per stare con lei nella stanza di un resort che aveva prenotato per
loro. Insieme, si erano goduti cenette accanto al camino, ottime
bottiglie di vino e sesso appassionato.
Se qualcuno le avesse raccontato, solo l’inverno precedente, che
nel giro di un anno avrebbe fatto un’elegante vacanza sugli sci con il
suo sexy fidanzato atleta convertito alla cinepresa, non ci avrebbe
mai creduto. Era stato un inverno fantastico e un anno eccellente.
Sperava che lo pensasse anche lui.
Perché era così silenzioso?
Sbirciò nella sua direzione, al buio. I suoi occhi erano fissi sullo
schermo, ma si stava mordendo un labbro in un modo che non gli
apparteneva. Il film continuò, spaziando su altri luoghi esotici e atleti
dalla personalità frizzante, ma la mente di Callie stava viaggiando,
chiedendosi a cosa lui stesse pensando.
Anche l’estate che avevano appena trascorso insieme era stata
meravigliosa. Con le riprese concluse, era rimasto quasi sempre con
lei. Lui e Bear avevano passato molte ore chiusi nella sala
montaggio, mentre lei lavorava, ma c’era stato comunque parecchio
tempo per divertirsi. Avevano raccolto mirtilli e fatto un’altra torta
insieme. Lui l’aveva portata a conoscere i genitori, che l’avevano
trattata come una regina.
Una volta l’aveva anche portata a pescare e, anche se preparare
le esche non era proprio la sua attività ideale, si era divertita a
vederlo usare il mulinello. Stare con lui era come vivere in un film
d’avventura e non voleva che finisse. E non stava accadendo,
giusto?
Piantala di fare la paranoica, si rimproverò. Il film era quasi finito
e lei ne aveva perso il filo, perché era stata troppo impegnata a
preoccuparsi per guardarlo. Allungò una mano oltre al sedile di pelle,
per stringere quella di Hank.
Le sue dita si curvarono in modo rassicurante. «Amerai la
prossima parte.»
E non si sbagliava. Lo schermo si dissolse in un mondo
puramente bianco e, nel silenzio, si sentì il rumore di un motore, poi
una motoslitta entrò in scena, con a bordo una sola persona che
portava sulla schiena la custodia di un violino.
Quando lei sussultò, Hank al suo fianco rise.
Sullo schermo, Hank estrasse il violino di Willow, lo appoggiò
sotto al mento e iniziò a suonare un reel irlandese; il suono era puro
e pieno di vita. Dopo alcuni momenti, un ritmo hip-hop si udì in
sottofondo. Era un colpo da maestro e doveva ricordarsi di chiedergli
come avessero fatto. Poi la telecamera allargò la ripresa e la
panoramica mostrò gli snowboarder che volavano proprio sopra alla
testa di Hank.
La motoslitta era parcheggiata tra due strutture da neve: una era
una rampa di lancio, l’altra era per l’atterraggio. Mentre continuava a
suonare, una serie di snowboarder si lanciarono sopra di lui,
roteando ed eseguendo trick originali in fase d’atterraggio dalla parte
opposta.
«Oh, mio Dio,» sussurrò Callie. «Sembra così pericoloso.»
Accanto a lei, lui fece l’indifferente. «Nah.»
La telecamera si spostò di nuovo, rivelando un cielo pesante,
carico di nuvole e, alla fine, la parata di atleti cessò. Uno dopo l’altro
uscirono di scena, lasciando Hank tutto solo in campo.
Lui e il suo invisibile accompagnatore terminarono la canzone in
modo allegro, con la sezione ritmica che finì per prima e, solo dopo
Hank terminò la canzone, lasciando che le note finali risuonassero
nel vento. Sullo schermo, aveva appena iniziato a nevicare.
Hank si sfilò il violino da sotto il mento e alzò gli occhi verso il
cielo, ripose lo strumento nella sua custodia, che si fece scivolare
lungo la schiena, infine accese il motore della motoslitta. Con un
cenno del capo, fece girare il veicolo in tondo e, prima che Callie
potesse rendersene conto, mandò il motore su di giri, portando la
motoslitta alla base della rampa di lancio. Callie smise di respirare,
mentre lui lanciava il veicolo nell’aria, il film rallentava, seguendo alla
moviola l’arco del suo salto; l’angolo della telecamera si inclinò a
mostrarlo da sotto.
L’atterraggio venne accompagnato da un rimbalzo terrificante,
ma Hank continuò a guidare, incurante, sparendo in lontananza e,
da quel momento, la camera prese velocità, mostrando il lungo zig
zag della sua uscita di scena a doppia velocità.
Lei era troppo sorpresa per intervenire quando le persone nella
sala presero a fischiare e a battere le mani, e quasi non si accorse
che stavano scorrendo i titoli di coda, perché aveva ancora il cuore
in gola.
Hank si girò verso di lei con un sorriso. «Che ne pensi?»
Esitò. Attenta, l’avvisò una vocina dentro di lei, ma… attento era
precisamente ciò che Hank non sarebbe mai stato. «Dovevi per
forza fare quel salto?» si lasciò scappare.
Lui gettò la testa all’indietro, ridendo di cuore, poi le diede un
colpetto sul braccio. «Continua a guardare.»
Callie alzò di nuovo gli occhi verso lo schermo: i titoli di coda
erano terminati e vide una stanza vuota; Hank entrò in scena,
fermando la propria sedia a rotelle di fronte alla telecamera, poi si
portò una mano all’orecchio. «Cos’hai detto, Callie? Mi hai chiesto
perché abbia dovuto fare quel salto con la motoslitta?»
«Oh, per l’amor di Dio,» disse lei ad alta voce e tutti intorno
scoppiarono a ridere.
Sullo schermo, Hank non aveva ancora finito. «Bene, ti dirò il
perché. Perché io amo il rischio, quasi quanto amo te.»
Callie spalancò la bocca per la sorpresa e tutti intorno a lei
scoppiarono in un esagerato “Aaah”.
«…Ed è per questo motivo che posso fare ciò, davanti a tutti,»
disse Hank, in scena, poi alzò la mano e iniziò a scrivere con un dito.
«S P…» Una brillante linea blu iniziò a seguire il suo dito, tracciando
le lettere dove lui le tracciava nell’aria. «… O S A M I…»
Il suo cuore mancò un battito. Stava davvero…?
«C A L L I E,» finì Hank sullo schermo.
«Oh mio Dio!» gridò Willow dal sedile dietro di lei.
L’Hank sullo schermo smise di scrivere e incrociò le braccia sul
petto. Callie si girò, con gli occhi spalancati, per guardare il vero
Hank che aveva un sorrisetto storto stampato in faccia. E sul palmo
aveva una piccola scatolina di velluto azzurro e, dentro a quella
scatola, c’era un meraviglioso anello con un diamante incastonato.
Per diversi battiti del proprio cuore, Callie poté solo rimanere lì a
fissarlo. «Oh, Hank,» disse alla fine e, con cautela, quasi temesse
che si rivelasse non vero, Callie prese la scatola dalle sue mani. «È
per me?»
L’afferrò, mettendosela sulle ginocchia. «E per chi altri dovrebbe
essere, scema?» Le lasciò un bacio tra i capelli. «Sposami, Callie.»
Ancora in silenzio, cercò di trattenere lacrime di felicità. Wow, di
certo le parole le stavano decisamente venendo meno, così gli prese
il viso tra le mani e lo baciò. Appassionatamente.
Lo sentì sorridere contro le sue labbra. «Dolcezza, vuoi
rispondere o no alla mia domanda?»
«Sì.»
«Sì, risponderai alla domanda? O…»
«Sì, Hank, semplicemente… sì.» Lo baciò di nuovo, e ci fu un
ruggito di approvazione da parte dei presenti.
Hank ricambiò con fervore, trasformando quel bacio in un
incendio, ma poi le prese il viso tra le mani e divenne più dolce; la
tenerezza che le trasmise fu altrettanto mozzafiato. Fermò le proprie
labbra contro le sue, accarezzandole il viso. «Sono riuscito a
sorprenderti?»
Lei annuì. «Assolutamente.»
«Bene, ti piace l’anello? Se non è di tuo gusto, puoi scegliere
qualcosa di diverso.»
Stava ancora tenendo la scatolina in mano; la agitò piano e le
luci basse rifletterono sulle sfaccettature del diamante squadrato,
incastonato in un’aggraziata fascia di platino. «È bellissimo.» Con
dita tremanti, lo sollevò dalla scatolina e se lo infilò all’anulare della
mano sinistra, e quando stese il braccio per rimirarlo, fu come se il
gioiello le sorridesse, una luce affascinante che non aveva mai visto
sulla propria mano, dato che comunque non era abituata a portare
anelli. «Non… non mi sono mai soffermata a pensare a come
dovrebbe essere un anello di fidanzamento. L’hai scelto tu per me ed
è perfetto.»
Ruggì nel suo orecchio e le baciò il collo. «Come te.» L’abbracciò
di nuovo. «Ho trovato la miglior ragazza in circolazione e l’ho anche
convinta a dirmi di sì.»
Callie sorrise, guardando l’anello. «Non sapevo che volessi
sposarti, non ne hai mai parlato.» Anche dopo il bellissimo anno
insieme, di tanto in tanto il suo cuore le sussurrava dei dubbi. Sperò
solo che quella proposta non fosse un impulso di cui poi si sarebbe
pentito.
«Prima mi piace sparare e poi fare domande. Se avessi detto di
no, o che non ne eri sicura, immagino che sarebbe venuto il
momento di parlarne e avrei provato a farti cambiare idea.»
«Azzardato,» lo prese in giro lei, solleticandolo; adesso, il suo
insolito silenzio aveva un senso. «Eri nervoso. E io che pensavo che
tu fossi indomito.»
«Oh, no,» rise lui. «Tutti prima o poi sono nervosi per qualcosa, è
solo che io non permetto che ciò mi fermi.»
«Ehi.» Willow si schiarì la voce. «Posso vedere il tuo anello? Sto
morendo, qui dietro.» Callie si voltò, facendo passare la mano sopra
lo schienale del proprio sedile. «Oh, è così nel tuo stile. Di classe.»
«Okay, lei è invitata al matrimonio,» disse Hank.
La piccola Finley si arrampicò per dare un’occhiata alla causa di
tutta quella confusione. «Che carino!» esclamò, accarezzando la
scatola di velluto blu.
«Non c’è una festa a cui dovremmo partecipare?» chiese Callie,
scivolando via dal grembo di Hank.
«Se proprio dobbiamo,» rispose lui, poi abbassò la voce. «Io
preferirei una festa un po’ più privata.»
«Ma io mi sento in vena di un calice di champagne.» Recuperò la
borsa ed andò a prendere la sua sedia a rotelle.
Quando ritornò, Dane gli stava stringendo la mano, poi fece un
passo indietro e, guardando in alto, iniziò a controllare l’intera
stanza.
«Dane, che stai facendo?» chiese Willow.
«Sto cercando gli asini volanti. Non vorrei esserci sotto quando
quelli se la faranno sotto.»
«Dacci un taglio, stronzo.»
Le sue proteste vennero soffocate dalle risate, poi gli altri si
avviarono verso l’uscita, ma Callie rimase indietro, aspettando che
Hank si posizionasse sulla sua sedia. Quando furono soli, si sedette
comodamente sul suo grembo per un momento. «Che tipo di
matrimonio vuoi avere?» chiese. Lei si stava già immaginando una
vecchia locanda del Vermont, durante la stagione delle foglie.
«Sono un maschio, non mi frega niente di quella roba,» le
confessò. «Basta che coinvolga te in un vestito succinto, alcol e una
bella vacanza da qualche parte, e mi andrà bene.»
«Quindi, ti sei proprio applicato a pensarci,» rispose senza fare
una piega.
Scoppiò a ridere. «E tu?»
«Non lo so, sono ancora sorpresa e non sono l’unica a esserlo,»
disse abbracciandolo.
«Ma tu sei l’unica che conta,» sussurrò. «Dico sul serio, Callie, è
stato un anno fantastico e ti amo di più ogni giorno.»
Il cuore stava per scoppiarle nel petto. «Ti amo anche io,
Hazardous.» E si chinò a baciarlo.

FINE
GIÀ IN ITALIANO DELLA STESSA AUTRICE

Venuto Dal Freddo (Gravity #1)

PROSSIMAMANTE IN ITALIANO
PUNTANDO ALLE STELLE
Gravity #3

Per una notte, avevano avuto tutto.


La snowboarder professionista Stella Lazarus è da sempre
innamorata del migliore amico di suo fratello, ma l’unica volta in cui
ha provato a dimostrarglielo è stata rifiutata più in fretta di quanto ci
si metta a dire “concorrente squalificato”.
Fino a una felice notte a Tahoe, quando Stella riesce ad avere il
suo uomo.
Ma è davvero così? La mattina dopo, Stella e Bear si svegliano
con una notizia orribile, una di quelle che ti fanno correre a casa, in
Vermont, direttamente tra le braccia dei sensi di colpa e degli
obblighi familiari.
Per tutta la vita, Bryan “Bear” Barry si è attenuto a tre regole
fondamentali: il suo amico Hank è destinato alla gloria, la sorella di
Hank, Stella, è off-limits e lui sarebbe sempre stato in grado di
gestire i percorsi tortuosi che la vita gli avrebbe messo davanti, ma
nello spazio di due soli giorni tutte le sue convinzioni vanno in pezzi.
Bear non riesce a credere di aver commesso un simile passo
falso con Stella e anche nel caso in cui il suo migliore amico non
stesse giacendo a pezzi in un letto d’ospedale, le sue azioni
sarebbero state comunque imperdonabili. Determinato a fare di
meglio, si dedica alla guarigione del suo amico, rinunciando all’unica
persona che abbia mai amato. E l’unica di cui abbia davvero
bisogno.

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