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N dopo
Mentre l’amico di Hank Lazarus, Bryan “Bear” Barry, entrava
attraverso la porta principale, si portò dietro la prima corrente di aria
fredda della stagione. Per fortuna, portò anche una bottiglia nuova di
tequila.
«Ci sono novità, Hazardous?» chiese Bear, togliendosi le scarpe.
Si diceva che l’autunno fosse la stagione migliore per il Vermont,
ma Hank non era dell’umore giusto per apprezzarlo. Abbassò il
volume della televisione e lanciò il telecomando sul tavolino. «I
Patriot non sono in forma oggi.» E nemmeno io. Con una veloce
pressione delle braccia, mosse il culo dal divano alla sedia a rotelle
e seguì Bear per fare il giro del bar fino in cucina. Afferrò la bottiglia
dove l’aveva appoggiata l’amico. «Conmemorativo, la marca
migliore. Festeggiamo qualcosa?»
«Forse.» Bear si allungò a prendere due bicchierini.
La bottiglia era fredda al tocco e, ancora una volta, Hank
rimpianse che l’estate stesse per finire. L’inverno precedente era
trascorso in una nebbia ospedaliera e la primavera in una foschia di
appuntamenti riabilitativi. L’estate era stata sopportabile, tra la
ristrutturazione della sua casa, ora finalmente conclusa, e le visite di
sua sorella e del suo più vecchio amico, ma l’inverno era di nuovo
alle porte e, se in passato era stata la sua stagione preferita, adesso
significava solo che lo attendevano altri giorni oscuri. I suoi amici
sarebbero ritornati in montagna, a lanciarsi lungo le piste, alla ricerca
di un triplo salto mortale e lui sarebbe rimasto da solo nel suo
appartamento da storpio nuovo di zecca. A fare cosa? A guardare
sport in televisione?
Cazzo, pensò, qual era il punto?
«Hazardous, facciamolo per bene. Hai del lime?» Bear era
piegato a metà, con la testa dentro al suo frigo.
«È laggiù, amico.» Si spinse dall’altro lato del vasto piano della
cucina in ardesia del Vermont. Non aveva problemi a raggiungere il
cesto della frutta, dato che l’architetto di suo padre aveva
riarrangiato lo spazio con un piano di lavoro a terrazze, parte ad
altezza regolare e parte qualche centimetro più in basso, ad altezza
sedia a rotelle. «Sta’ a vedere.»
Quando Bear si girò, Hank lanciò il lime verso l’amico barbuto,
poi aprì un armadietto in basso e ne estrasse un tagliere. Tutto era
stato riposto nel suo raggio di portata
Bear era sul punto di tagliare direttamente sul piano da cucina in
ardesia, ma esitò. «Amico, la tua cucina è molto più civilizzata di
quanto sia abituato.» Mise il lime sul tagliere e completò il lavoro.
«Già, la cucina dello storpio è una figata,» mormorò Hank,
peccato che avrebbe preferito vivere in una casa mobile con le
gambe funzionanti, piuttosto che in un castello in una sedia a rotelle.
«Dov’è il sale? Tiralo fuori e se hai anche delle ragazze nascoste
da qualche parte potrebbero tornare utili, dato che la tequila è
migliore se bevuta da una quarta misura.»
Hank sorrise e prese il sale da un piatto girevole dell’armadietto.
Non c’erano ragazze nella sua vita e Bear lo sapeva.
Il buon vecchio Bear… Senza di lui, sarebbe stato perso negli
ultimi mesi. Era stato lui a far sì che uscisse di casa ogni tot di giorni,
preferibilmente per godersi un happy hour, ed era stato sempre Bear
a intrufolare clandestinamente mezza dozzina di bottigliette di scotch
da servizio aereo nel centro riabilitativo dell’ospedale, dove l’alcol
era proibito.
Hank ne aveva bevute due guardando Dane aggiudicarsi la
medaglia d’oro nello slalom gigante alpino e dopo si era scolato il
resto guardando uno stronzo svedese vincere l’oro nella gara
maschile di half-pipe.
Bear si sedette su uno sgabello del bar. «Adesso ti dico a cosa si
beve stasera.»
«Oh, io so bene per cosa bevo.»
Il suo amico alzò un sopracciglio, ma non abboccò. «Ho un’idea
grandiosa e la chiamerò ‘La forza di gravità non si prende mai un
giorno libero’.»
Hank scolò il suo shot e poi morse la fetta di lime. «Non mi si
accende nessuna lampadina, farai meglio a versarmene un altro.»
Bear si limitò a tendere la propria mano sul piano della cucina.
«Voglio fare un lungometraggio sullo snowboard. Ci dovrebbe
essere un po’ di tutto, qualche scena top delle montagne
dall’elicottero, un po’ di freestyle con della musica che spacca… un
po’ come ha fatto Warren Miller con lo sci, ma più estremo.»
Hank non distolse gli occhi dalla bottiglia, che non gli era ancora
arrivata tra le mani. «Non è già stato fatto?»
Bear si era dimenticato della tequila. «Sì, ma non da noi! E sarai
tu la faccia del progetto. Io posso fare un bel film, ma ho bisogno
della tua credibilità.»
Questo sì che era divertente. «Io non ho nessuna credibilità,
sono paralizzato, ho la credibilità di un paraplegico.» Si allungò sul
piano della cucina; la bottiglia era quasi vicina a sufficienza.
«Ascoltami, stronzo.» Bear allontanò la bottiglia dalla sua portata.
«Tu sarai la voce narrante e ti garantisco che ci divertiremo come
pazzi. La gente vuole sentire cosa hai da dire sulla roba fuori dal
comune che andrò a filmare e le pollastrelle tireranno le mutandine
allo schermo. Io e te faremo un paio di giretti gratis sulle cime
dell’Alaska. Come può non piacere?»
Hank appoggiò il bicchiere con un tonfo sordo. «Fammi capire
bene, vuoi che porti il culo su qualche cima da paura e poi farmi ciao
ciao dalla tua tavola? Perché mai dovrei disturbarmi a salire, se poi
scendo da solo?»
Scosse la testa. «Io filmerei, non andrei sullo snowboard e tu non
devi salire sull’elicottero, se non ti va. Anzi, puoi fare solo la post-
produzione, se preferisci, ma far festa in Alaska è meglio che in sala
montaggio.»
Fu il turno di Hank di mostrarsi diffidente.
«Hazardous, ho bisogno che tu sia con me. Voglio fare il
lungometraggio quest’inverno e la prima nevicata è prevista tra sole
sei settimane. Sarà pronto la prossima estate e lo manderò in giro
da qui a un anno. Possiamo andare nei campus dei college e farlo
concorrere al Baff Festival, sarà una figata.» Riappoggiò la bottiglia
e Hank la prese al volo.
Versò a entrambi un altro shot. «Hai letto le notizie?»
Il viso del suo amico si insospettì. «Quali notizie?»
«Dai, amico, non fare il finto tonto. Si sposa con un altro atleta,
quel canadese.»
Fece spallucce. «E allora? Nel nostro film non ce lo vogliamo, è
semplice.»
Non era quello il problema e Bear lo sapeva bene. «Lo sposa e
solo otto mesi dopo avermi scaricato.» Scolò la sua seconda tequila.
Bear allontanò da lui la bottiglia un’altra volta. «Era una stronza,
Hazardous, e lo era da prima che ti scaricasse, okay? Hai schivato
un proiettile, facciamo che non finiamo a vomitare a causa sua, non
ne vale la pena.»
Hank riprese di nuovo la bottiglia. Per quanto sospettava che
avesse ragione, sentiva l’oscurità pesargli sospesa sulla testa. «Non
farò il tuo film. Apprezzo il gesto, ma puoi offrirlo a qualcuno che sia
davvero giusto per il ruolo.»
«Non è un gesto, stronzo, voglio la tua faccia in questo film.»
«Dalla cintola in su, giusto?»
«È un cazzo di modo di dire, per quel che mi interessa puoi
anche mostrare le chiappe alla telecamera. Tutte le donne del
mondo si stanno chiedendo se il tuo culo sia tatuato; piantala di
sentirti triste per quello che ti è successo e facciamo un gran film.»
«Mi porterai tu sulla tavola? Carino.»
Bear roteò gli occhi. «Hazardous, non sei il primo a ricevere una
delusione, okay? Non ce l’abbiamo fatta entrambi. Io sono stato
tagliato fuori dalla squadra e tu sei caduto, ma adesso cosa
facciamo?»
«Non ne ho la minima idea.»
«Mio padre vuole che mi iscriva a un corso di contabilità.» Si
toccò la testa e rise a quell’idea ridicola. «Ti puoi unire a me come
scribacchino, se vuoi, ma l’idea del film è migliore.»
Hank prese la bottiglia. «Scelgo l’opzione C, nessuna delle due,
e opzione D, ubriacarmi davvero, davvero tanto.»
Bear lo fulminò con lo sguardo. «E allora dammi uno di quei
lime.»
TRE
C N , il suo ex-ragazzo,
che in quel momento stava descrivendo un caso. «È stato trovato
privo di conoscenza alle prime luci dell’alba, il suo amico ha dovuto
chiamare un’ambulanza, gli hanno fatto una lavanda gastrica al
pronto soccorso e l’ho ricoverato io.» Mentre Nathan parlava, scosse
il polso, facendo roteare il proprio orologio. Quel tic le era familiare,
lo faceva quando beveva il caffè in cucina, dopo che avevano fatto
l’amore.
Il mese precedente, la studentessa di infermeria bionda
ossigenata che stava con Nathan, aveva ottenuto il diploma da
infermiera e anche uno scintillante anello di diamanti all’anulare. Da
quel momento, aveva iniziato a lasciare copie di Spose e Matrimoni
in Vermont sparse per tutta la sala relax.
Era passato un anno e nove mesi da quando si erano lasciati,
non che stesse tenendo il conto, ed eccola lì, ancora sola.
Praticamente era finita in un tunnel di cui non riusciva a vedere la
fine.
«Adesso devo proprio scappare,» disse Nathan. «Non devi fare
altro che dimetterlo, okay?» Le porse la cartella medica.
«Dimetterlo,» gli fece eco Callie. Lo guardò allontanarsi, il camice
bianco che svolazzava dietro di lui. Non che fosse ancora
disperatamente innamorata di lui. Se fosse stata sincera con se
stessa, avrebbe ammesso che i loro anni insieme non erano mai
stati troppo appassionati, ma era affascinante e, anche se un po’
nerd, era un dottore di successo, con un bel sorriso e, cosa più
importante di tutte, era suo.
Ma aveva fallito nel tenerlo con sé e lui aveva fatto la proposta di
matrimonio a una ragazza dalle gambe lunghe e i capelli ossigenati
e quel tradimento le faceva ancora male, era pungente come il
profumo che usava l’altra donna.
Tamburellò con le dita sulla cartella mentre rifletteva, ancora una
volta, che doveva andarsene da quel posto. Amava il Vermont, ma
non era un luogo in cui era semplice essere single. Aveva passato la
notte precedente ad analizzare meticolosamente il sito web delle
offerte di lavoro alla ricerca di posizioni mediche adatte a lei nel nord
della California, vicino ai suoi genitori. Lì avrebbe potuto ricominciare
da capo e incontrare un po’ di gente della sua età. Poteva davvero
funzionare.
Per il momento, fissò lo sguardo sul file del paziente che teneva
tra le mani. Maschio, caucasico, trentun anni. Avvelenamento da
alcol. Poi lesse il nome. Henry (Hank) Lazarus. Una delle infermiere
aveva scarabocchiato a margine Hazardous!
Quindici minuti dopo, Callie trovò Hank che l’aspettava nella stanza
terapica. «Quel tipo fa morire dal ridere,» disse per salutarla,
indicando col pollice la porta dalla quale era appena uscito Tiny.
«Lo puoi ben dire,» convenne. «Siamo fortunati ad averlo, un
bravo terapista e un cabarettista, tutto insieme in un unico pacchetto
extralarge.» Gli tese la mano e se la strinsero, ma poi Callie si
allontanò di un paio di passi e non perché lui riuscisse sempre a
farla arrossire. Nella settimana precedente aveva notato che non
stare troppo vicino a qualcuno su una sedia a rotelle faceva sentire
tutti a proprio agio, dato che i pazienti non dovevano allungare il
collo per mantenere il contatto visivo. «Come stai?» chiese Hank,
incrociando le braccia.
Callie cercò di non fissare i tatuaggi che spuntavano dalle
maniche della maglietta aderente e che serpeggiavano fino agli
avambracci muscolosi; era proprio il ragazzaccio perfetto. Non che
lei ne sapesse qualcosa, di ragazzacci. Si schiarì la gola. «Alla
grande e volevo anche cogliere l’occasione per ringraziarti per
avermi raccomandata per questo lavoro. Mi sento lusingata.»
Hank sorrise. «Ottimo, perché voglio lusingarti.»
Quei provocatori occhi scuri erano fiammeggianti e del tutto
focalizzati su di lei, e Callie non aveva la minima idea di come
comportarsi con quel tipo di attenzioni. «Ehm, ci sono un sacco di
persone che riceveranno questo trattamento, persone che non
avrebbero mai potuto farlo, se non fosse intervenuta la tua famiglia.»
Fece spallucce. «Allora ringrazia i miei genitori, io non sono così
premuroso. Ho semplicemente detto ai miei che non avrei mai
provato la S.E.F. se avessi dovuto trasferirmi a Baltimora.»
«A ogni modo, ho letto circa cinquemila pagine sulla
Stimolazione Elettrica Funzionale questo mese.»
«Cavolo, ragazza, mi dispiace.»
«È tutto okay, Hank. Devo ammettere che dopo la mia maratona
da nerd tra le riviste mediche, la S.E.F. suona davvero promettente.
Non è una cura miracolosa che ti guarisce nel giro di una notte,
naturalmente, ma i benefici a lungo termine sono davvero
interessanti.»
«Sono sicuro che non sia da buttare via, ma, in qualche modo,
ho accettato di passare sette ore a settimana in questo ospedale,
che è l’ultimo posto in cui vorrei passare del tempo. Quindi, dimmi,
dottoressa, tu come ci riesci?»
Sorrideva ancora, solo che il suo sorriso aveva abbandonato i
suoi occhi. Callie prese una sedia vicino al muro e la trascinò di
fronte a lui, sedendosi. «Prima di tutto, mi pagano per venire qui.
Questo aiuta.»
«Non posso darti torto.»
«A essere sinceri, non mi sento più come se lavorassi in un
ospedale, ultimamente. Questo è un programma di ricerca, non un
reparto con persone ammalate. In tutta onestà, è davvero divertente
parlare con gente in salute, tanto per cambiare. Sono tutti su una
sedia a rotelle come te, ma la maggior parte sta cercando di andare
avanti con la propria vita, e non li devo assillare perché prendano le
medicine, né chiamare degli specialisti.»
Hank rimase in silenzio per un minuto, il capo ripiegato di lato, un
muscolo che si muoveva nella sua mascella mascolina. Poteva
vederlo mentre cercava di decidere se condividere o meno ciò che
gli passava per la testa. Poi, il sorriso più bello gli incurvò le labbra,
raggiungendo perfino i suoi occhi. «Beh, se devo venire qui tre volte
a settimana, voglio essere certo di migliorare questo ambiente.»
Callie arrossì, doveva decisamente imparare a non farsi
sconvolgere da quell’uomo. «Vuoi dire, tipo, nuovi colori alle pareti?
E poster motivazionali?»
Gli occhi di Hank brillavano divertiti. «Già, esattamente ciò a cui
pensavo. Mi sento molto motivato.»
«Eccellente.» Abbassò gli occhi sul file che teneva tra le mani,
giusto per avere un posto neutro dove appoggiare lo sguardo.
«Allora, ci vediamo la prossima settimana. Tiny ti rimetterà in
forma.»
«Mi piace tenermi in forma da solo.»
Callie roteò gli occhi. «Ne ero sicura.»
Hank scoppiò a ridere, poi mosse una ruota della sua sedia. «Ci
si vede, dottoressa Callie.»
«Ci si vede,» gli fece eco, mentre usciva dalla porta. Non fissarlo,
si ricordò, distogliendo lo sguardo. Flirtare la faceva sentire nervosa.
Nel momento in cui quello sguardo di cioccolato si era posato su di
lei, le era quasi venuto un capogiro, ma quello era semplicemente il
modo di fare di Hank. Flirtava per togliersi dai guai e lei doveva
semplicemente imparare a controllare le proprie reazioni in sua
presenza.
SEI
Venti minuti dopo, osservò dal prato sul retro della casa la macchina
di Hank raggiungere la fine del vialetto ghiaioso della casa di Willow.
Quando aveva visto per la prima volta il coupé rosso-ciliegia nel
parcheggio dell’ospedale, aveva pensato che Hank fosse il solo al
mondo che potesse mettere comandi manuali personalizzati su una
Porsche, ma adesso che aveva imparato a conoscere alcuni dei
partecipanti alla ricerca, aveva compreso il proprio errore. C’erano
un sacco di persone al mondo interessate a guidare auto sportive
anche senza l’ausilio dei propri piedi. Gli uomini rimasti paralizzati
che entravano nel suo studio amavano parlare delle loro macchine,
esattamente come qualsiasi altro uomo al mondo. Si ritrovava ad
apprendere ripetutamente sempre la stessa lezione da quegli
uomini: a parte la loro sproporzionata forza nella parte superiore del
corpo, erano esattamente come tutti gli altri.
La portiera si aprì, ma ad Hank ci vollero un paio di minuti per
sistemare la propria sedia a rotelle e Callie dovette sopprimere il
desiderio di correre sul prato a salutarlo. Non aveva mai assemblato
una sedia a rotelle e non sarebbe stata di nessun aiuto e, al tempo
stesso, Hank non era proprio il tipo che voleva essere aiutato.
Attese fino a quando lui non iniziò ad avvicinarsi, poi scese dalla
scala a tre gradini che aveva trovato nella rimessa. Sfregò sui jeans
una delle mele che aveva raccolto e la morse; era così acida che le
raggrinzì le labbra.
«È buona?» chiese Hank con un grande sorriso stampato in
volto.
«Penso che siano mele da torta,» rispose.
Lui tese una mano, svelando una giungla di tatuaggi sulla parte
interna del suo braccio che andava dal polso fino all’interno della
manica della maglietta. «Fammi assaggiare.»
Gli porse la mela morsa e lui ne prese un boccone, e roteò gli
occhi per il piacere. «Wow, sono ottime.» Guardò tra i rami
dell’albero. «E la tua amica si è presa una buona cura di questo
posto. Guarda quelle potature come sono perfette.»
Callie si rese conto che era venuto il momento di menzionare la
loro amica in comune. «Hank, sei mai stato qui prima? Questa è la
casa di Willow, penso che tu la conosca.»
Alzò di scatto la testa. «Intendi Danger e Willow?»
Annuì. «È la mia migliore amica, questa è la sua fattoria. Stanno
cercando di venderla fin dallo scorso inverno.»
Il suo sguardo viaggiò verso le assi bianche della casa e poi di
nuovo su di lei. «Mi sembra di ricordare qualcosa del genere.» Diede
un altro morso alla mela e aggrottò la fronte.
Non rispose, sperando di non aver risvegliato nessun ricordo del
giorno dell’incidente. «Pare che ci sia qualcuno interessato
all’acquisto, quindi mi ha chiesto di passare a dare una rinfrescata.»
Hank scoppiò a ridere. «Cosa? Dane non poteva staccare un
pezzettino di una delle sue medaglie d’oro per pagare qualcuno per
fare i lavori di casa?»
«Mi fa piacere aiutarli.»
I suoi occhi scuri la guardarono intensamente. «Sto scherzando,
per alcune cose hai bisogno dell’aiuto di un amico, giusto?»
Non rispose subito, perché si era del tutto persa nell’incantesimo
dei suoi occhi di cioccolata. «Giusto,» rispose infine schiarendosi la
voce.
«…In più hai in cambio le mele. Quante ne hai prese?»
Ne mostrò circa una dozzina nel cestino.
«È un bel bottino, il che mi ricorda che dovrei davvero togliere
questo burro da sotto il sole.» Diede un colpetto allo zaino che
teneva in grembo.
«Burro?»
«Per la torta.»
Scoppiò a ridere. «Non si scherza con te, vero?»
«Callie,» disse con un sorriso, «puoi sempre scherzare con me.»
Il sorriso sexy sulle sue labbra carnose fu così affascinante che
Callie dovette sforzarsi di non cadergli in grembo. Aveva
mentalmente rivissuto il loro bacio così tante volte che le sue labbra
sembravano avere una forza magnetica su di lei. Sperava solo non
si fosse accorto che lo stava fissando.
In quel preciso momento, una mela cadde ai piedi di Callie con
un tonfo sordo, distraendola, e si piegò per raccoglierla. «Oddio,
guarda!» esclamò, girandola per mostrarla ad Hank. C’erano morsi
freschi e la polpa bianca della mela ancora luccicava.
Hank alzò gli occhi sull’albero e poi indicò uno scoiattolo grigio
seduto su un ramo direttamente sopra alle loro teste e, mentre Callie
lo fissava, cominciò a squittire in segno di protesta.
Scoppiò a ridere. «Penso che abbia appena detto, “Ehi, stronza,
quella è mia!”» Ripose la mela sull’erba e poi tornò a guardare lo
scoiattolo. «È tutta tua, ce ne stiamo andando.»
Callie gli fece strada fino alla cucina, ma gli ci vollero diversi tentativi
per salire il portico in pietra e la soglia di casa in legno. Le venne in
mente che, fino a quel momento, aveva osservato i partecipanti della
sua ricerca solo dai piani alti e strutturalmente accessibili
dell’ospedale; non si era mai soffermata a pensare che il resto del
Vermont non lo fosse altrettanto. Vivevano nella terra dei vecchi
stipiti e dei pavimenti scricchiolanti.
Hank le aveva raccontato che suo padre aveva fatto risistemare
la sua casa dopo l’incidente, ma, di certo, molti degli altri partecipanti
non erano stati altrettanto fortunati.
«Bel posto,» commentò, dando un’occhiata agli armadietti
bianchi della cucina e ai mobili imbottiti dall’altra parte della stanza.
«Vero? Ci siamo divertite così tanto in questa cucina. Willow,
ovviamente, cucinava, mentre il mio compito era quello di versare il
vino.»
«Qualcuno lo deve pur fare,» disse, poi indicò una mensola sul
vecchio camino. «Cos’è?»
«È un violino particolare. È carino, ma è davvero in pessimo
stato.»
«Posso vederlo?»
«Beh, certo.» Si avvicinò al camino e si mise in punta di piedi. La
vecchia scatola di pelle era coperta di polvere, così prese lo straccio
ancora umido che aveva usato prima e la ripulì. «Era già qui, quando
Willow è venuta ad abitarci e non aveva idea di che cosa poterci
fare.»
Gli porse la custodia e lui se l’appoggiò in grembo, poi, con
attenzione, fece scattare la serratura e aprì il coperchio: su una
sagoma di cartone era appoggiato un violino. Spostando del tutto il
coperchio, rimosse il vecchio strumento dalla scatola. «Accidenti, è
un violino di Hardanger. Guarda tutto questo lavoro d’intarsio.»
Passò un dito sui disegni incisi nel legno e, prendendo lo strumento,
lo avvicinò al viso, inclinandolo avanti e indietro, sbirciando nelle
effe, ed emise un grugnito. Pizzicò le corde una dopo l’altra con
l’unghia del pollice e, con l’attenzione di qualcuno che stava
disinnescando una bomba, iniziò a girare i perni d’accordo, sfiorando
ogni tanto le corde per provare se funzionassero. «L’archetto è
distrutto, che peccato.»
Hank appoggiò il violino sotto al mento e iniziò a suonare un
motivetto e le ci vollero un paio di secondi per identificare cosa
fosse. Stava suonando “Oh! Susanna”, non sentiva quella canzone
da quando era una bambina, quando era suo nonno a suonarla. Well
it rained all night, the day I left… (Ha piovuto tutta la notte, il giorno
che ti ho lasciato…)
Suonò solo per un paio di minuti, e quando smise, Callie lo stava
guardando a bocca aperta. «Wow, suoni il violino?»
«Tempo fa.» Fece spallucce e rimise a posto lo strumento.
«Pensi che Willow se la prenderebbe se lo portassi da un liutaio a
Montpelier perché gli dia un’occhiata? Penso sia antico.» Accarezzò
col pollice la cucitura della custodia in pelle.
«Prendilo pure, non se la prenderà di certo.»
Ripose il violino nella sacca sullo schienale della sedia a rotelle.
«Beh,» disse. «Dovremmo riscaldare il forno.» Si spinse verso il
forno della cucina e si mise a trafficare con il display digitale.
E così, dopo averla impressionata con le sue nascoste qualità
musicali, Hank si mise a cucinare dolci.
«Non abbiamo neanche un ingrediente,» obiettò subito.
«Ho portato farina, zucchero e burro,» rispose lui, estraendoli dal
suo zainetto. «Ma se ci fosse un po’ di sale e di cannella in
dispensa, il sapore ne guadagnerà.» Si mise al lato del lavello,
aprendo il rubinetto. «E avremmo bisogno di un po’ d’acqua fredda.
Riesci a rimediarmi una terrina da qualche parte?»
Callie aprì la dispensa e iniziò a controllare le spezie. «Frena,
frena, sto ancora cercando la cannella… trovata!» Sorrise tra sé e
sé, era da tempo che non passava un weekend così imprevedibile
come quello e anche se di lì a poco il fatto che sapeva a malapena
far bollire l’acqua non sarebbe stato più un segreto, era molto più
divertente che restare seduta sul divano nel suo appartamento con
una pila di articoli di ricerca medica in grembo.
Non appena ebbe trovato una ciotola e un coltello, Hank versò
una montagnola di farina e, subito dopo, iniziò a tagliarci dentro dei
pezzetti di burro.
«Non l’hai pesato,» gli fece notare Callie.
«È circa una tazza e mezza.»
«Okay…» Era di fronte a qualcosa di incredibile, un uomo
affascinante che sapeva cucinare una torta dal nulla? «Aspetta un
secondo, e la teglia?»
Fece spallucce. «Se non la troviamo, un foglio di carta forno
imburrato andrà più che bene. Questa sarà una torta di mele rustica.
Oh, e abbiamo anche bisogno di spianare l’impasto, se non abbiamo
un matterello, userò una bottiglia.»
Callie scoppiò a ridere. «Non sapevo che MacGyver preparasse
dolci.»
Hank si arrotolò le maniche e iniziò a impastare il burro con la
farina, mentre lei pelava e faceva a pezzi le mele, senza smettere di
adocchiare i suoi avambracci muscolosi mentre lavorava. Sentiva
caldo solo guardandolo, quindi distolse lo sguardo, concentrandosi
sulle mele che avrebbe dovuto pelare.
Non appena l’impasto fu pronto, Hank lo appiattì in un disco, poi
sparse della farina sul tavolo da lavoro di legno e con un matterello,
e circa dieci secondi di sforzi, ottenne una frolla di un bel giallo
burroso, che trasferì su un pezzo di carta forno. «Spargiamo un po’
di cannella e zucchero su quelle mele…» disse, prendendo la ciotola
dalle sue mani. «Ne hai pelate un sacco.» Con un’altra abbondante
spruzzata di ingredienti, dispose le mele aromatizzate al centro della
frolla, poi piegò i bordi formando un cordone di pasta.
«Wow,» mormorò Callie impressionata. «Che bella.» Scosse la
testa. «Sei come Willow, anche lei è una di quei ninja super-
competenti in tutto e il bello è che non fa altro che minimizzare le
sue capacità. ‘Oh, non so fare niente, ma aspetta che ti servo il pane
che ho cucinato con il grano che ho appena mietuto.’»
Hank sbuffò. «E io che mi sentivo un buono a nulla perché non
riesco a raggiungere il timer del forno.» Indicò un vecchio timer su
uno scaffale sopra al lavandino. «Puoi puntarlo a quarantacinque
minuti?»
Anche se si erano allontanati dal forno, Callie continuava a sentire
caldo. Si sedettero sul divano, dove era fin troppo consapevole della
loro vicinanza. Si schiarì la gola. «Mi piace il tuo poster
motivazionale,» disse. Il giorno precedente Callie aveva trovato una
foto della torre pendente di Pisa sulla porta del suo ufficio e la
didascalia recitava: “OBIETTIVO: È possibile che la tua vita debba
essere d’esempio per mettere in guardia quella degli altri.”
Hank le fece l’occhiolino e poi indicò il telecomando della
televisione. «Non credo tu sia una fan dei Patriot,» disse.
«Ammetto di non aver mai guardato una partita di mia spontanea
volontà,» ammise.
«Non c’è problema,» fece una smorfia allo schermo,
«ultimamente neanche i Patriot sono dei grandi esperti di football,
passiamo.» Cambiò canale. «Ehi, dato che è ottobre, per tutto il
mese trasmettono film dell’orrore. Danno Il Silenzio degli Innocenti,
un classico.»
Oh, merda. Callie non era una fan dei film dell’orrore e sullo
schermo Jodie Foster stava facendo un’espressione
spaventosamente intensa. «Non sono molto coraggiosa…» Lo
avvertì, cosa che lo fece solo ridere di più.
«Puoi tenerti stretta a me,» concesse Hank.
E la cosa non suonava poi così male.
Callie appoggiò i piedi sul tavolino da caffè e guardò Hannibal
Lecter camminare dentro alla gabbia che lo teneva prigioniero.
Aveva dimenticato questa parte, la spaventosa scena della fuga.
Alzò gli occhi verso la finestra della cucina e notò che il crepuscolo
sarebbe presto arrivato. La colonna sonora del film si alzò d’intensità
e, all’improvviso, Callie sviluppò l’esigenza di spegnere la
televisione. «Dico sul serio, non posso vedere questa roba. Willow
potrebbe non avere una torcia.»
«Per cosa?» chiese Hank, divertito.
«Più tardi, quando sarà buio, dovrò tornare alla mia macchina per
controllare i sedili dietro.»
La bocca di Hank si curvò in un grande sorriso sexy. «E cosa
faresti se fosse nascosto sotto alla tua macchina? Devi stare attenta
alle tue caviglie.»
«Hank!»
Lui reclinò la testa all’indietro e scoppiò a ridere, una delle sue
grandi mani sbucò dal nulla a coprire le sue, e Callie chiuse gli occhi
per apprezzarne il calore, mentre il pollice dell’uomo le accarezzava
il palmo.
Era molto meglio concentrarsi sulle dita di Hank che sul film.
Adesso le guardie di Hannibal stavano dando di matto e la
telecamera continuava a sostare sulle porte dell’ascensore. Callie
fece una smorfia, perché sapeva quello che sarebbe successo
dopo… quell’orrenda scena dell’ambulanza… «Okay, pausa!»
esclamò, afferrando il telecomando. Mise il film in pausa e gettò il
telecomando su una delle sedie.
«Fai troppo ridere,» disse Hank.
«Non dovremmo dare un’occhiata alla torta?»
Hank si grattò la testa. «Certo, fra circa venticinque minuti.»
«Scusa, ma i film dell’orrore non sono proprio il mio genere,»
disse, esalando un sospiro tremante.
Quando si voltò a guardarlo, i suoi occhi erano caldi e pieni di
divertimento.
«Aspetta… tu sei un dottore e non riesci a sopportare un po’ di
sangue sullo schermo?»
Callie si mise una mano davanti agli occhi. «Ma non c’è musica
inquietante in sottofondo al pronto soccorso.»
Pensava che l’avrebbe presa ancora in giro, ma Hank la sorprese
prendendola per un braccio e attirandola a sé. Colta alla sprovvista,
Callie si appoggiò al suo corpo con la mano libera, per paura di
cadergli addosso; si sentì esalare un’imbarazzante esclamazione di
sorpresa.
Lui si limitò a sorridere. «Ti faccio paura anche io?»
«Un po’,» ammise in un sussurro ed era vero. Anche in quel
momento l’intensità del suo sguardo di cioccolata la faceva sentire
accaldata e un po’ fuori controllo.
Hank abbassò la testa, sfiorando con le labbra il suo zigomo.
«Eppure sono così amichevole,» disse, il suo fiato caldo sul viso.
Subito dopo, quelle labbra carnose premettero un bacio umido
proprio sopra alla sua mascella e Callie prese a tremare. Scesero
poi lungo il collo, risalendo verso l’orecchio, lasciando una scia di
fuoco sulla pelle sensibile. «Baciami,» mormorò Hank con voce roca.
Le alzò il viso con una delle sue mani grandi e, finalmente, le loro
labbra si incontrarono. Le diede un paio di baci dolci, mentre col
pollice le accarezzava una guancia, poi, con un ruggito sensuale, la
sua lingua le invase la bocca, prendendo il controllo sul bacio.
Sì, ti prego.
Callie fece scorrere le proprie braccia intorno al corpo solido
dell’uomo, stringendolo come se ne andasse della propria vita. I baci
di Hank erano affamati, come se stesse morendo di fame e lei fosse
stata l’ultima fetta di torta di mele a disposizione; mentre con la
lingua sfiorava la sua, sentì il nervosismo irradiarle dal corpo e fare
pensieri razionali divenne difficile, con le loro bocche che facevano
appassionatamente l’amore.
Hank la strinse con fermezza, mentre i palmi delle sue mani le
bruciavano sulla schiena. Ancora una volta, le labbra dell’uomo
tracciarono una scia di fuoco dall’angolo della sua bocca fino al
collo, facendola sentire come se il suo intero corpo stesse andando
in fiamme. Sentì le dita di Hank scivolare sotto l’orlo della sua
maglietta, i suoi pollici che scatenavano brividi sul suo stomaco, il
tutto senza smettere di baciarla ovunque, le labbra a solleticarle il
viso, fin giù alla clavicola.
Prendendo coraggio, anche Callie fece scivolare le mani sotto
alla maglietta di Hank. Aveva desiderato toccare quel petto tatuato
fin dalla prima volta in cui l’aveva visto, ma quando le sue mani gli
raggiunsero la vita, lo sentì irrigidirsi e le sue labbra si fermarono
all’altezza del collo.
Ops! Si rese immediatamente conto dell’errore che aveva
commesso. Aveva appoggiato le mani proprio all’altezza della fascia
di giunzione, quella complicata zona dove la ferita di Hank aveva
creato un casino nelle sue terminazioni nervose. Chiunque avesse
subito una paralisi aveva un punto di ipersensibilità e lei, tra tutti,
avrebbe dovuto saperlo.
«Scusa,» disse in fretta, togliendo le mani e, cercando di
rimediare, gliele appoggiò sulla sua testa, passandole tra i suoi
capelli corti.
Lui gemette in approvazione, rilassando le braccia che la
stringevano e, con le mani, accarezzò la pelle nuda della sua
schiena.
Lo baciò ancora e quel piccolo incidente sembrò dimenticato.
Poi, con la sottile grazia di chi ha fatto molta pratica, Hank le
slacciò il reggiseno e, infilando una mano sotto alla seta soffice, con
il pollice le accarezzò un capezzolo gonfio. Fu allora che Callie si
sentì come una brace nel camino. Quelle dita erano come fiammiferi,
bastava che la sfiorassero perché si sentisse andare a fuoco. Poi
Hank le accarezzò il seno con entrambe le mani, continuando a
disseminare baci sul suo viso. Callie si rese conto che i bassi gemiti
che sentiva provenivano da lei. Era così persa nel momento e presa
dai baci di Hank, da non riconoscersi più.
Hank la fece distendere sul divano e appoggiò su di lei il peso del
suo corpo. Quanto tempo era passato da quando qualcuno l’aveva
sfiorata? Dio, un tempo ridicolmente lungo. In pratica, l’ultimo era
stato Nathan, eppure eccola lì, sdraiata su un divano, con l’uomo più
sexy che avesse mai conosciuto disteso su di lei.
Hank interruppe il bacio solo per farle passare la maglietta sopra
alla testa e per toglierle il reggiseno, gettando poi tutto sul
pavimento. Le prese poi il seno tra le mani e incominciò a baciarlo,
leccarlo e a succhiare i suoi capezzoli duri, fino a che non incominciò
a muovere il bacino senza nemmeno accorgersene.
Willow, indovina cosa ho fatto sul tuo divano? Callie riuscì a
trattenere la risata, ma non l’enorme sorriso che le spuntò in faccia.
«Fammi spazio, dolcezza,» disse lui con voce roca. Le circondò
la schiena con le braccia e con attenzione rotolarono entrambi di
lato, fino a trovarsi faccia a faccia. Era intrappolata contro lo
schienale del divano e non poteva immaginare posto migliore per
essere messa alle strette. Lui si fece più vicino, tracciando con due
dita un percorso dall’orecchio alla mascella. Poi la baciò ancora, con
labbra gonfie e umide, e Callie si lasciò andare contro quel solido
muro di muscoli, i vestiti che profumavano ancora di aria fresca ed
essenza di mela.
Con la mano libera, Hank accarezzò il suo torso nudo,
scendendo attraverso l’incavo dei suoi seni, fino allo stomaco. Callie
rabbrividì mentre le sfiorava l’ombelico e si avvicinava alla cintura
dei suoi jeans. Gemette, senza vergognarsi del segnale che stava
mandando. Le mani di Hank erano perfette su di lei e non c’era
motivo per fingere che non fosse così.
Lui la osservò con attenzione mentre armeggiava con il bottone
dei jeans, fino a quando quest’ultimo non si arrese, così da
permettergli di abbassare la zip. Callie sussultò quando lui le infilò
una mano nelle mutandine, lasciandosi dietro brividi al passaggio,
mentre le stuzzicava la pelle sotto all’ombelico con la punta delle
dita.
Callie voleva toccarlo, ma non sapeva come fare. La maglietta
che Hank stava ancora indossando era una sorta di barriera e lei
non aveva il coraggio di infilarci di nuovo le mani sotto, anche se
farlo avrebbe significato arrivare a quel petto magnifico. Abbassò il
viso, baciandolo sul collo, fin dove glielo permetteva lo scollo della
maglietta.
«Questi non ci servono,» ruggì Hank, togliendole i jeans.
Callie alzò i fianchi giusto in tempo per sentire il tessuto che
scivolava via. E così era rimasta nuda. La mano di Hank scese ad
accarezzarla tra le gambe, mentre lei cercava di respirare con la
lingua dell’uomo che le invadeva la bocca e le dita di lui premute
esattamente dove voleva che fossero. Col pollice Hank le accarezzò
il clitoride e lei quasi fece un salto sul divano. Non si era più sentita
così eccitata e fuori controllo da tantissimo tempo.
La dottoressa Callie non faceva queste cose, la dottoressa Callie
teneva addosso il camice e faceva i turni doppi e dove l’aveva
portata tutto quello? A un’infinita sequela di mesi passati in un letto
vuoto e a notti solitarie trascorse a criticare le inesattezze mediche
nelle repliche di Breaking Bad.
Mentre continuava a baciarla, Hank la penetrò con due dita.
Stava andando a fuoco, ma era così felice di abbandonarsi al volere
dell’uomo accanto a lei. Le dita di Hank si muovevano dentro e fuori
dal suo corpo, felice di essere risvegliato dopo mesi di solitudine. Si
strinse ancora di più a lui, desiderando di più, desiderando tutto, ma
Hank aveva ancora addosso troppi vestiti. Callie abbassò le mani e
gli slacciò il bottone dei jeans.
Se l’era immaginato o lui aveva avuto un attimo di esitazione?
Era vero che si stavano muovendo tremendamente in fretta, ma
ormai lei era già nuda e di certo lui non si sarebbe tirato indietro a
quel punto, giusto? Lo baciò più forte, in cerca di una risposta e
ricevette in cambio un gemito sensuale che fu la conferma di cui
aveva bisogno. Quel giorno non sarebbe stata la timida dottoressa
che aveva paura di fare la prima mossa. Appoggiò le labbra al suo
orecchio, perché anche la sua versione più coraggiosa non sarebbe
mai riuscita a dire quello che stava per dire ad alta voce,
guardandolo negli occhi. «Scopami, Hank,» mormorò, poi, con le
dita sulla linguetta della zip, e gli abbassò la cerniera.
E fu allora che tutto si fermò.
Prima Hank le bloccò la mano con la sua, poi si lasciò andare in
un lungo sospiro frustrato, infine si sedette. «No… no, non posso
farlo.»
«Cosa?» chiese esterrefatta. Era nuda come un verme, sdraiata
sul divano della sua amica, ansimante di desiderio e ora lui si stava
allontanando, prendendosi la testa tra le mani.
«Mi dispiace,» disse Hank guardando davanti a sé. «Mi dispiace
così tanto, non volevo che finisse così.»
Callie balbettò qualcosa, alla ricerca di parole. Che diavolo
voleva da lei? «Come siamo finiti con me nuda, se non volevi andare
fino in fondo?» La sua voce suonava stridula perfino alle sue
orecchie.
Con il viso ancora nascosto, Hank rimase in silenzio per un lungo
momento. «Le vecchie abitudini sono dure a morire,» mormorò
infine.
«Quindi…» Le girava la testa. «Non sono…» Non aveva
nemmeno una spiegazione. «Hai guardato la merce e hai deciso di
rimetterla sullo scaffale?»
«No. No, non è così.» La sua voce era dura, eppure continuava a
non guardarla ed era quasi una benedizione, perché sarebbe stato
difficile immaginare una scena più mortificante di quella che adesso
vedeva con i propri occhi. «Callie, mi dispiace.»
«Vattene,» disse, cercando i propri vestiti. Solo i suoi jeans erano
a portata di mano, con le mutande ancora incastrate e, con mani
tremanti, se li infilò a fatica.
Con la testa bassa, Hank si spostò sulla propria sedia, si chinò in
avanti per infilarsi le scarpe, poi si spinse verso l’uscita e, mentre lei
era alla ricerca del reggiseno, lui oltrepassò la vecchia porta della
fattoria dalla soglia irregolare. Riuscì a sentire un tonfo e
un’imprecazione, ma non c’era verso che uscisse con le tette al
vento per aiutarlo e, di certo, lui non avrebbe voluto il suo aiuto in
ogni caso.
Finalmente la porta si chiuse dietro di lui e, un momento dopo,
sentì il motore della macchina accendersi.
Callie ricadde sul divano e sospirò profondamente. Il suo battito
era ancora irregolare, ma cercò di mantenere la calma, fino a
quando non sentì il timer squillare, diversi minuti dopo. Il rumore
delle ruote della sua macchina sul vialetto era già cessato, quindi
alzarsi e andare a controllare il forno era un’azione sicura. Quando
aprì lo sportello, il profumo delle mele speziate e del burro arrivò alle
sue narici. Mise i guanti da forno ed estrasse la teglia,
appoggiandola sulla stufa perché si raffreddasse.
La torta era cotta alla perfezione, calda e bollente, e la vista di ciò
che avevano creato insieme le fece pizzicare gli occhi.
Con le dita che stringevano così forte il volante che le nocche gli
erano diventate bianche, Hank alzò il volume dello stereo, ma
nemmeno la musica dei Citizen Cope riusciva ad attutire il rumore
che aveva in testa. Era stato uno stupido e ora i suoi errori gli
stavano dilaniando lo stomaco. Avrebbe dovuto saperlo, solo che lei
gli piaceva così tanto e questa cosa gli aveva dato una speranza. E
la speranza era una stronza malvagia, la speranza lo aveva condotto
per quella strada e gli aveva sussurrato solo menzogne all’orecchio.
La bugia era semplice. In un certo senso, era vero che poteva
ancora far godere una donna, perché in un universo alternativo,
aveva immaginato le cosce di Callie spalancate davanti a lui e la sua
lingua che lambiva il suo clitoride fino a farle gridare il suo nome e,
con un po’ di fortuna, avrebbe potuto andare così davvero. Almeno
quel giorno.
Con Callie, aveva sempre voluto prendere le cose con calma e
per niente al mondo avrebbe dovuto spogliarla. Era stata proprio la
cosa più sbagliata da fare, ma cazzo, lei era stata così arrendevole,
con quel corpo liscio che si tendeva verso di lui, che si apriva a lui.
Se solo avesse preso le cose con calma, avrebbe potuto essere
ancora lì con lei, a farsi torturare la bocca da quella lingua dolce e da
quelle labbra affamate.
Ma non era andata così ed era stato uno stupido a pensare che
lei lo volesse tanto quanto lui voleva lei. Gli aveva chiesto l’unica
cosa che non poteva darle facilmente e nel momento in cui aveva
parlato, facendo quella richiesta di due sole parole, che nella sua
vita precedente aveva accettato un’infinità di volte, aveva saputo con
certezza che la festa era finita.
E poi era andato in panico. La realizzazione che lei stesse per
appoggiare la mano sul suo corpo inutile… Lo sconforto di quella
situazione lo aveva colpito duramente, perché, chi voleva prendere
in giro? Prima o poi i nodi sarebbero venuti al pettine.
O, forse, non sarebbero venuti, che in realtà era il nocciolo del
problema. Anche se non fosse andato troppo oltre con lei sul divano,
avrebbe solo rimandato quell’imbarazzante conversazione e
l’inevitabile delusione.
No, per quanto doloroso, quello era stato comunque meglio. Se
avesse preso le cose con calma, avrebbe passato più tempo in sua
compagnia, fingendo di avere ancora una vita felice e avrebbe
evitato di metterla in imbarazzo. Ma sarebbe pur sempre stata una
finzione. Le parole che le erano uscite di bocca vibravano ancora
nell’aria, da quando l’aveva abbandonata. Lei era apparsa inorridita
e umiliata e l’espressione del suo viso lo avrebbe perseguitato per
molto tempo.
Hank abbassò i comandi manuali, conducendo l’auto lungo una
serie di curve sulla vecchia strada, ma il ricordo del suo viso, la
delusione e il dolore, non volevano scomparire. Hank rallentò la
velocità e ammise con se stesso la verità: baciarla era stato un
enorme errore.
Non poteva essere l’uomo che lei desiderava. Quel ragazzo si
era spezzato la schiena sull’half-pipe ed era sparito, e tutto ciò che
ne era rimasto era un uomo distrutto, che voleva ancora una donna,
ma che non sarebbe riuscito a rispettare la propria parte dell’accordo
sotto le lenzuola. E qual era la conclusione? Che non gli rimaneva
altro che restare da solo a giocare ai videogame e a bere birra, nel
suo decadente appartamento da scapolo. E la cosa più assurda era
che non gli mancavano solo il sesso o scopare qualcuna a caso, ma
anche la possibilità di trovare qualcuna che fosse veramente
speciale.
Premette sull’acceleratore. Guidare veloce spesso era una
consolazione, ma quel giorno non sembrava funzionare. Merda.
Anche la cazzo di strada stava diventando sfocata, quindi si fermò
sul ciglio della strada. Abbassò il finestrino, sperando che l’aria
fresca di ottobre e la bellezza del cielo che si stava scurendo lo
avrebbero aiutato a calmarsi. Tre mucche dall’altra parte della strada
guardarono nella sua direzione, per poi ritornare a ruminare.
Hank spense il motore e il silenzio fu totale. Perfino i grilli
avevano smesso di cantare per quell’anno e, a parte il suo respiro
solitario, la quiete gli echeggiava nelle orecchie. Avrebbe fatto
meglio ad abituarsi a quell’unico rumore.
La sola cosa che poteva alleviare un po’ di quel bruciore,
sarebbe stata una bottiglia di whiskey Macallan, invecchiato diciotto
anni, ma anche quello comportava dei rischi. Se fosse finito di nuovo
in ospedale, sarebbe riuscito a rendersi ridicolo davanti a Callie due
volte nello stesso giorno.
Dannazione, era tutto così sbagliato e niente al mondo sarebbe
mai riuscito a sistemare di nuovo le cose.
OTTO
Quindici minuti dopo, Callie appoggiò i gomiti sul legno liscio del
bancone del bar, mentre il suo amico Travis Rupert le spillava una
birra. «Come va il lavoro?» chiese, passandole un sottobicchiere.
«Alla grande,» disse, prendendo il bicchiere. «Dopotutto, quello
non è mai un problema, giusto?»
Travis allargò le braccia, indicando l’elegante interno della sua
attività. «Già, lavorare è fantastico, è il resto della mia vita che lascia
un po’ a desiderare.» Travis era un altro membro del club dei cuori
solitari. Si era preso una bella cotta per Willow, l’anno precedente,
ma lei alla fine aveva scelto Dane.
«Questa è la stagione più intensa, vero?» gli chiese.
«Una delle tante, c’è una piccola pausa dopo la stagione della
caduta delle foglie, il momento in cui inizio a pregare che nevichi,
perché più nevica, più assetati sono gli sciatori.» Pulì il bancone.
«Ma veniamo a noi: il dottor Facciadimerda è già stato mollato?»
Travis aveva questa teoria che il karma avrebbe punito il suo ex, ma,
mese dopo mese, la sua predizione sembrava sempre un po’ più
ridicola.
«Assolutamente no!» rispose allegramente. «Ma, almeno, non
sono più obbligata a vederlo mentre le tocca il sedere in sala relax,
perché adesso ho un ufficio dove nascondermi.»
«Stai facendo carriera, Callie.»
Gli sorrise da sopra il bordo della sua pinta; sfortunatamente,
iniziava a sentirsi come se il suo lavoro stesse trattenendo il resto
della sua vita. Certo, aveva avuto senso mettere la propria carriera
davanti a tutto, negli anni passati, dato che doveva rifondere dei
cospicui prestiti studenteschi, e la cosa le faceva paura, ma la sua
vita personale ne aveva sofferto. Se avesse accettato quel lavoro in
California, avrebbe dovuto rinunciare al suo comodo lavoro di
ricerca, ma, di lì a un anno, lo studio sarebbe comunque finito e il
piccolo ospedale del Vermont dove lavorava non ne avrebbe avviato
un altro simile.
E come sarebbe finita lei? Sola, sempre nello stesso posto, con
lo stesso lavoro di prima, con Nathan e la sua infermiera che prima o
poi le avrebbero chiesto di coprire un turno, così da poter andare dal
ginecologo a entusiasmarsi per le immagini dell’ecografia del loro
primogenito.
No, grazie. Callie doveva scuotere la propria vita prima di arrivare
a quel punto.
Fu distratta da quel brutto sogno a occhi aperti da
un’imprecazione sussurrata alle proprie spalle. Callie si voltò e vide
Stella Lazarus con un barattolo di ciliegie in una mano e un vassoio
nell’altra, dal quale alcuni lime rotolarono fino a cadere per terra.
Tendendo una mano, la aiutò con il barattolo di ciliegie e,
appoggiandolo sul bancone, scese dallo sgabello per aiutare la
ragazza a raccogliere i lime che rotolavano sul pavimento come
tante biglie.
«Grazie,» sbuffò Stella, raccogliendo i lime nel grembiule.
«Nessun problema,» rispose Callie, prendendone uno che era
rotolato fin sotto al suo sgabello. Poco prima, quando era entrata,
era stata molto sorpresa nello scoprire chi fosse la nuova impiegata
di Travis. Non aveva idea del perché Stella passasse dal lavoro alla
fondazione al pulire i tavoli. Probabilmente c’era una storia dietro a
tutto quello, ma non conosceva Stella così bene da chiedergliela.
Era comunque ovvio che Stella non avesse una grande
esperienza come cameriera. Era il secondo disastro a cui Callie era
testimone in meno di mezz’ora, dato che, quando Stella l’aveva
salutata, aveva lasciato cadere a terra un bicchiere da Martini.
«Stai attenta.» Callie le lanciò un cestino per la frutta e, per
prenderlo, Stella quasi si lasciò sfuggire i lime che teneva nel
grembiule.
La ragazza sospirò, appoggiando il cestino pieno sul bar, e
chinandosi sotto al passaggio, si unì a Travis.
«Adesso lavali,» la sollecitò. «Dovranno finire nei drink.»
«Sempre che prima non faccia cadere anche quelli,» bofonchiò.
Portando il cestino nel lavello, iniziò a lavare la frutta.
«Sei una brava ragazza, Stella,» le disse Travis. «Tieni duro.»
Chiuse il rubinetto e scoppiò in una risata graffiante. «Preferirei
essere una brava cameriera, piuttosto che una brava ragazza, Trav.»
Callie si chiese se lei e Travis si divertissero meramente a flirtare,
oppure se si stessero frequentando. Probabilmente Stella era troppo
giovane per lui, ma Callie sperava comunque che l’amico
incontrasse qualcuno. Anche se, in una città piccola come Hamilton,
era tremendamente difficile trovare l’anima gemella.
O, almeno, così aveva bisogno di dire a se stessa, perché se la
popolazione della contea di Windsor non fosse stato un problema,
allora cosa c’era che non andava in lei? Se la sua solitudine era solo
colpa sua, allora spostarsi di diverse migliaia di miglia, dall’altra
parte del paese, non sarebbe stato d’aiuto.
Ma non poteva essere vero, di certo la California era piena di
uomini single, di uomini sexy e single, che sarebbero stati entusiasti
di frequentare una dottoressa un po’ nerd.
Prese un lungo sorso di birra e ringraziò il cielo di non essere in
servizio per quella sera. Quando appoggiò il bicchiere sul bancone,
una brezza fredda le accarezzò la guancia. La porta d’ingresso del
bar si era aperta e lei, d’istinto, si girò verso il vestibolo per vedere
se, per caso, un’affascinante straniero non fosse entrato in quel
preciso momento. La speranza era sempre l’ultima a morire.
«Ehi, è la dottoressa C!» esclamò Big Mike, mentre faceva il suo
ingresso nella sala, seguito da Dave.
«Ciao, ragazzi!» Li salutò con un cenno della mano. Non le era
mai capitato di incontrare i partecipanti alla sua ricerca da Rupert,
prima, ma vederli lì non avrebbe dovuto sorprenderla. Non c’erano
poi così tanti bar nel raggio di una cinquantina di miglia.
Big Mike e Dave si diressero verso il grande tavolo vicino alla
finestra e Stella saltò giù dal suo sgabello. «Vi sposto subito quelle
sedie,» disse.
«Molte grazie,» rispose Big Mike con un occhiolino. «Ci saranno
quattro sedie a rotelle qui stasera. Vedi, c’è una specie di convention
e di sicuro pagheremo da bere a quella ragazza laggiù.» Con le dita
mimò una pistola e sparò verso Callie.
«Ricevuto,» rispose Stella, impilando insieme quattro sedie, poi
le prese e le portò fuori dalla stanza.
Big Mike e Dave fecero spazio sul tavolo e Callie si chiese chi
altro sarebbe entrato. Nell’attimo in cui si pose quella domanda, il
viso di Hank apparve sulla soglia.
E, subito dopo, due cose successero in veloce successione: il
suo cuore inciampò su se stesso, perché lui le faceva quell’effetto, e
quella sensazione fu immediatamente seguita da sconforto. Merda.
La salutò alzando il mento e lei lo ricambiò con un debole sorriso.
Quello era il problema con le piccole città. Quando le tue imprese
da nudista finivano male, non c’era posto dove potevi nasconderti.
«Devo andarmene dal Vermont,» disse in un sussurro.
«È una brutta situazione, dolcezza?» le chiese Travis. «Hai dei
guai con la legge?» I suoi occhi brillarono.
Scosse la testa, datti un contegno, Callie. «Sto bene, lascia
perdere.» Travis sapeva tutto dei suoi problemi con Nathan, ma non
gli aveva raccontato, né a lui, né a nessun altro, cosa provava per
Hank. Faceva troppo male per farla diventare una chiacchiera da
bar.
«Stai davvero pensando di andartene?»
Anche se poteva sentire la voce profonda e sexy di Hank parlare
agli altri ragazzi, sollevò un dito e se lo pose sulle labbra, Travis si
avvicinò. «Non ne posso parlare, davvero, ma c’è un’opportunità di
lavoro nella contea di Marin. Se mi assumessero, sarei a soli
novanta minuti di strada dai miei e a un volo brevissimo da Willow e
Dane.»
Travis sorrise. «E come se la passa? L’hai sentita?»
«Non la vedo dalle Olimpiadi, ma mi ha mandato qualche
fotografia. La bambina ha fatto un anno il mese scorso, aspetta un
secondo…» Scese dallo sgabello per prendere la borsa dal gancio e
passò in rassegna la galleria del suo telefono alla ricerca delle
fotografie.
Mentre se ne stava seduta lì, Hank la sorprese avvicinandosi al
suo fianco e quando la sua bellissima faccia raggiunse il suo campo
visivo, la sua gola si strinse.
«Hazardous!» salutò Travis. «Come te la passi?»
«Alla grande,» rispose Hank, ma l’espressione sul suo viso lo
contraddisse. Sembrava a disagio, così Callie distolse lo sguardo.
Fece scivolare la carta di credito sul bancone. «Per favore, fai in
modo che il tavolo sia tutto sul mio conto.» Alzò il mento, indicando i
ragazzi del programma terapico.
«Sicuro, amico,» rispose Travis, prendendo la carta. «Ehi, Callie,
Hank… vi conoscete?»
«Certo,» rispose lei in fretta, nello stesso momento in cui Hank
disse di sì.
Ci fu una pausa imbarazzante, mentre Travis si voltava per
passare la carta di Hank nel POS, poi si voltò e tornò a guardare le
fotografie. «Ah, non pensavo di certo che avrei mai visto qualcosa
del genere.» Rise, mentre guardava una fotografia adorabile di Dane
addormentato sul divano, con Finley adagiata sul suo petto. «Il fatto
che qualcuno chiami Dane “paparino” mi fa cagare sotto.» Appoggiò
il telefono e si allontanò per prendere l’ordine di un altro cliente.
Hank prese il telefono dal bancone e guardò con attenzione la
foto. «Sembra proprio perfetta per un biglietto d’auguri,» disse. Il suo
volto si chiuse, diventando illeggibile, abbassò il telefono e, senza
aggiungere altro, ritornò dai suoi amici.
Callie lo guardò mentre batteva in ritirata e venne distratta dal
primo ricordo che aveva di lui. Si ricordò che aveva dato del filo da
torcere a Dane, giusto? Aveva detto che era “al guinzaglio” e aveva
riso all’idea che gli obblighi di famiglia potessero avere la meglio su
una serata fuori a far festa.
Non te lo dimenticare, ordinò a se stessa. Magari lei ed Hank
erano spacciati ancora prima dell’incidente sul divano e anche se lui
riusciva ancora a farle saltare il cuore in gola solo entrando in una
stanza, lei voleva una famiglia, un giorno o l’altro. Ma niente in Hank
parlava di “uomo di famiglia”. Anche se fossero mai riusciti a fare
sesso selvaggio insieme, quella verità non sarebbe cambiata.
La California, quello era il piano. Eppure, anche dandogli le
spalle, era come se riuscisse ancora a sentire l’attrazione nei suoi
confronti e quando qualcosa di divertente veniva detto al loro tavolo,
riusciva a distinguere la sua risata roca, che pareva la stesse
strattonando per un braccio.
Anche se la sua parte razionale aveva deciso che Hank fosse
una causa persa, il suo cuore non aveva ricevuto il messaggio.
«Che succede fra voi due?» sussurrò Travis, pulendo il bancone
proprio di fronte a lei. Callie scrollò le spalle, aveva dimenticato che
Travis aveva il classico sesto senso del barista nel leggere ogni
situazione. «L’ho conosciuto in ospedale, fa parte della terapia
clinica alla quale sto lavorando.»
«Interessante.» Riempì di ghiaccio lo shaker per i cocktail. «E
all’improvviso vuoi andartene lontana migliaia di miglia?»
«Lascia perdere, Trav,» lo implorò.
«D’accordo, ma solo perché sta tornando sua sorella.»
Callie alzò lo sguardo e vide Stella emergere dalla cucina con un
vassoio di candele accese, una per ogni tavolo. Raggiunse il gruppo
sulle sedie a rotelle, spingendo verso di loro un cestino di pretzel, poi
appoggiò il vassoio su un fianco ed esibì un’espressione impassibile.
«Caffè, tè o me?»
Ci fu un momento di silenzio sorpreso, mentre Callie osservava
le labbra di Hank che si piegavano in un sorriso divertito. «Ragazzi,
non rispondetele, questa è la mia sorellina, Stella. Io e lei eravamo
piuttosto uniti, prima che lei perdesse il mio numero di telefono.»
«Hank,» mormorò. «Non ho perso il tuo numero di telefono, sono
solo stata impegnata.»
La afferrò per i fianchi e se la mise sulle ginocchia. «Impegnata?
La mamma mi ha detto che lavori qui sei notti a settimana solo per
farla incazzare.»
«Per sfidarla,» lo corresse, roteando gli occhi. «Nostra madre
non usa quel linguaggio.»
«Era una parafrasi; mi spieghi che succede? Non sei
esattamente la cameriera ideale.»
«E chi lo dice?» ribatté. «Diventerò brava.»
«Ne sei sicura? Come mai allora non mi hai ancora servito la mia
birra?»
Stella si rimise in piedi e incrociò le braccia. «Che cosa desidera
da bere, signore?»
«Che cos’hai nel rubinetto, fanciulla?»
«Beh,» Stella fece un passo verso il bar e strizzò gli occhi alle
maniglie delle spillatrici. Dietro al bar, Travis scosse la testa. «Finirò
per tatuarti la lista delle birre su una mano, Stella.»
«Puoi anche tatuarmele sulle tette, perché è lì che di solito
guardano i clienti.»
«Già e io non avevo proprio bisogno di saperlo,» borbottò Hank.
Travis iniziò a toccare i rubinetti delle birre. «Abbiamo la
Switchback, la Guinness, la U.F.O., la Long Trail e la Woodchuck
Cider.»
«Una Long Trail,» ordinò Hank e, dopo che anche tutti gli altri
ebbero ordinato, Stella fece per allontanarsi, ma il fratello la prese
per mano. «Non abbiamo finito, sorellina. Dimmi perché lavori in un
bar.»
«Ho bisogno di soldi per andare in Alaska, mamma ha ritirato la
sua offerta di pagare, quindi mi sono trovata un lavoro. Non è una
storia poi così complicata.» Aveva gli occhi in fiamme, a sfidare suo
fratello a ribattere.
Hank piegò la testa. «Tu un lavoro ce l’avevi. Alla fondazione.
Avresti dovuto metterti all’opera su quel progetto di indagine sulle
specie selvatiche. Chi lo finirà, adesso?»
«Non è un mio problema,» rispose lei, una mano sul fianco.
«Quell’indagine è importante.»
«Hank, l’ambiente è una cosa che riguarda te, non me, come dar
via denaro è una cosa che riguarda mamma, e costruire resort
sciistici è una cosa che riguarda papà.»
«E questa…» Hank fece un gesto a indicare la sala. «Questa è
una cosa che riguarda te?»
Travis sbuffò dietro al registratore di cassa.
«Te lo sto solo chiedendo,» insistette Hank. «Lasciare la
fondazione è stata davvero la scelta migliore?»
Stella incrociò le braccia al petto. «Penso sia stata la mia unica
scelta. Non cambierò i miei obiettivi sono perché a mammina e
papino non piacciono.»
«Sono solo…» Hank sospirò.
«Spaventati,» terminò lei. «Uno dei loro ragazzi si è quasi ucciso
e non vogliono rivivere l’esperienza, quindi l’altra rimane incatenata
nella sua stanza, a ventisei anni.»
Hank la guardò da capo a piedi. «Io non vedo catene.»
«Una scrivania nell’impero di papà, quella è la mia catena. Ci si
aspetta che mi ci sieda fino a che non inizierò a sfornare bambini.»
Ci fu silenzio e Callie prese a giocare con il sottobicchiere,
sentendosi in colpa per trovare i drammi familiari dei Lazarus così
affascinanti.
«Stella… non dovremmo parlarne qui,» suggerì Hank, la sua
voce morbida e dolce come puro miele.
«È stata una tua idea, fratellone, sei stato tu a parlarne e ora sai
contro cosa sto lottando. Preferisco spillare birra che fare come
vogliono loro; adesso vado, con il tuo permesso.» Appoggiò il
vassoio contro il proprio fianco e si avviò verso la cucina.
«La tua sorellina è una furia,» disse Big Mike, quando Stella fu
fuori dalla portata d’ascolto.
«Lo puoi ben dire,» convenne. «Possiamo solo sperare che le
passi la rabbia abbastanza da portarci le nostre birre.»
«Ci penso io,» rispose Travis. «Un’altra birra, Callie?»
«Sissignore, sembra che la prima sia sparita.»
«Succede anche ai migliori; posso ordinarti qualcosa da
mangiare, magari un panino al bacon?»
«Sarebbe fantastico.» Non stava cercando di farle spendere di
più, ma sapeva che due birre erano più di quanto bevesse di solito.
Vivere in una piccola città, dove tutti conoscevano le manie e le
tragedie di tutti, poteva essere attraente, ma quando si era da soli,
non lo si viveva più come un grande affare.
«Stella,» chiamò Travis. «Puoi portare a Callie un panino
integrale al bacon, con maionese e pomodori a parte? E due
cetriolini.» Conosceva perfettamente il suo ordine.
Già, era ora di andare avanti.
DIECI
Quando Callie uscì dal bagno, Willow era seduta sull’angolo del
letto, qualche decina di centimetri di distanza dalla scena del
crimine. «Callie,» iniziò. «L’ultima volta che ci siamo parlate, ti ho
chiesto se avessi qualcosa in ballo e tu mi hai detto che non stava
succedendo niente. Non sei la favorita al premio di Miglior amica
dell’anno, se trascuri le cose importanti.» Sapeva che stava
trattenendo un sorriso.
«A mia difesa,» rispose Callie, lisciandosi i capelli ancora umidi
dopo la doccia, «non stava succedendo assolutamente nulla quando
ci siamo parlate l’ultima volta.»
«Questa non è una scusa,» sorrise Willow. «Almeno adesso so
perché sei troppo impegnata per rispondere ai miei messaggi e in
fondo non mi sento neanche offesa. Quindi… tu ed Hank adesso
siete una coppia… ammetto che non me l’aspettavo.»
«Non ci definirei proprio una coppia.» Si sentì arrossire. «È una
cosa casuale.»
Per un secondo, la sua amica non disse nulla. «Mi deludi se dici
così, tu non fai mai niente per caso.»
Quello non era giusto. «Magari non voglio più essere la ragazza
noiosa.»
«Ehi, non ho mai detto che sei noiosa.» Le appoggiò una mano
sul gomito. «Sei intelligente, riflessiva e leale, quindi se stai tentando
di dirmi che Hank è solo uno scopamico, farò davvero fatica a
crederci.»
Callie si lisciò la maglietta e cercò di pensare. «Hank mi piace
molto,» ammise, «ma non abbiamo ancora discusso la nostra
relazione.» E perché mai avrebbero dovuto farlo? «Sta ancora
cercando di rimettere insieme i pezzi della sua vita, non è il
momento giusto per fargli pressione perché si impegni con me e, tra
l’altro, mi hai detto tu che è un festaiolo e che non è esattamente il
tipo da relazione duratura.»
Willow fece una smorfia. «Ha avuto una relazione, giusto?»
«Per come è finita, perché mai dovrebbe cercarne un’altra?»
Alzò le mani in aria. «Non lo saprai finché non glielo chiedi.»
«Vero,» ammise. Ma fare del sesso grandioso non creava un
rapporto serio e non le sembrava neanche tanto giusto iniziare a fare
domande. «Ehi, dov’è Finley?»
«L’ho data a Dane.»
Callie appoggiò una mano sulla maniglia della porta. «Dane non
me la farà passare liscia, giusto?»
«Ho idea di no!» rispose allegramente. «Quindi tanto vale che
affronti la realtà.»
FINE
GIÀ IN ITALIANO DELLA STESSA AUTRICE
PROSSIMAMANTE IN ITALIANO
PUNTANDO ALLE STELLE
Gravity #3