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Indice

Il libro
L’autrice
Frontespizio
Calendar Girl
Dedicato a…
OTTOBRE
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
NOVEMBRE
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
DICEMBRE
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
EPILOGO
Ringraziamenti
Copyright
Il libro

“N .A
possibilità, e tu i quelli intorno a me mi tendevano la mano,
pronti a ge armi un salvagente se la corrente della vita avesse
rischiato di travolgermi.”
Mancano tre mesi alla fine del viaggio di Mia. Wes è tornato,
ma è un’anima persa, ciò che ha visto gli ha lasciato ferite
profonde, ricordi mostruosi che tormentano le sue no i. Solo Mia
può aiutarlo a rime ere insieme i pezzi e trovare il modo di uscire
da quella oscurità che l’ha inghio ito per poter finalmente
affrontare insieme il futuro. Ma ora Mia non è più sola, ha una
nuova famiglia, persone pronte a stringersi intorno a lei ogni volta
che la vita le porrà davanti nuove difficoltà. E all’orizzonte di
nuvole nere ce ne sono ancora tante: la madre, scomparsa quando
era bambina, che improvvisamente sembra fare di nuovo capolino
nella sua vita, e il padre che ancora giace in un le o d’ospedale.
Ma ci sono anche tante giornate di sole che Mia vuole poter
vivere insieme al suo Wes. Con lui desidera arrivare alla fine di
questo viaggio lungo un anno per iniziarne uno nuovo. Uno tu o
loro…
L’autrice

Audrey Carlan è un’autrice bestseller. Con


Calendar girl ha venduto milioni di copie e
conquistato le classifiche americane. Vive con
il marito e due figli nella California Valley e
ogni giorno si innamora dell’amore.
www.calendargirlitalia.com
facebook.com/AudreyCarlan
#trus hejourney
Audrey Carlan
CALENDAR GIRL
O obre - Novembre - Dicembre

Traduzione di Eloisa Banfi e Bianca Noris


Calendar Girl
Dedicato a:
O obre
DRUE HOFFMAN

È stato un lungo viaggio,


e quando è cominciato mi hai offerto aiuto
e guida nel momento in cui ne avevo più bisogno.
Grazie per aver condiviso con me la tua competenza
e per avermi dato amicizia e sostegno.
Spero che questo volume ti sia piaciuto,
e anche Drew Hoffman, un personaggio decisamente speciale.
Novembre
EKATARINA SAYANOVA

Correggere il testo di qualcun altro


è come criticare un figlio di fronte a sua madre.
Non è facile farlo senza urtare la sensibilità dell’altro.
In qualche modo tu, con me, ci riesci sempre.
I tuoi interventi sono pieni di grazia, partecipazione e rispe o.
Sono straordinariamente grata di averti conosciuta.
So o la tua guida, un libro dopo l’altro,
sento che sto diventando una scri rice migliore.
Grazie.
Dicembre
LA VERA MIA SAUNDERS

Non sei ancora nata, eppure ti amo già.


Spero che un giorno, quando sarai adulta,
la mia cara amica Sarah ti racconterà questa storia.
Ti auguro amore, una vita piena,e di avere la pazienza per capireche quel
che conta è il viaggio, trust the journey, sempre…
OTTOBRE
1

Silenzio. Fu il silenzio ad accogliermi quando entrai nella casa di


Wes a Malibu. “La mia casa.” Non sapevo che cosa aspe armi. Forse
ebbi la fantasia che l’universo si sarebbe capovolto e avrei trovato il
paradiso sulla Terra, e cioè il mio uomo sano e salvo, qui in America,
nella quiete della nostra casa. Perché, di fa o, era nostra a tu i gli
effe i. Wes era stato molto chiaro sul mio modo di considerare
quella che Gin chiamava la tenuta di Malibu. L’alternativa, diceva,
era cercare insieme una nuova casa, ma io non volevo perché
preferivo di gran lunga immergermi completamente in qualcosa che
fosse come lui: integro, unico, discreto, splendido.
Wes aveva sempre lavorato sodo ed era riuscito a me ere insieme
una piccola fortuna già in giovane età; non era però un uomo avido,
e neppure presuntuoso. L’arredamento lineare e i mobili semplici e
funzionali rifle evano perfe amente il suo cara ere. Mentre
percorrevo le stanze buie e vuote riprendevo conta o con le sue
cose, ma era cambiato tu o. Mi guardai a orno analizzando le
piccole differenze rispe o all’ultima volta che ero stata lì, circa due
mesi prima.
Sulla mensola del camino c’era una statue a di circa trenta
centimetri: una ballerina con la gamba distesa verso l’alto, con la
mano che impugnava la caviglia al di sopra della testa e restava in
equilibrio sulla punta del piede. Apparteneva a mia madre, che era
solita alzarsi sulle punte e inarcarsi all’indietro, per mostrarmi come
faceva una ballerina a me ersi in quella posizione. Mia madre aveva
fa o la soubre e a Las Vegas ma in precedenza era stata una
ballerina di danza classica e contemporanea. Mi piaceva guardarla
mentre si muoveva. Quando faceva le pulizie piroe ava in giro per
la casa seguendo una musica che sentiva solo lei. Aveva i capelli neri
g p
lunghi fino alla vita che le ricadevano sulla schiena come un
mantello scuro. Quando avevo cinque anni, pensavo che mia madre
fosse la donna più bella del mondo e la amavo più di chiunque altro.
Era un amore fondato sul nulla, ma quella statue a no: era al posto
d’onore su quel camino, e per quanto mi venisse voglia di fracassarla
per terra, l’avevo lasciata lì; se non avessi voluto tenerla, l’avrei
regalata a qualcuno molto tempo prima. A volte i ricordi fanno male,
anche i più belli.
Mi voltai a osservare il salone. Sopra un tavolino c’era una
fotografia familiare, quella di Maddy. Era stata sca ata il giorno
prima che cominciasse il college, io l’avevo seguita per tu o l’edificio
come un cagnolino. Mads, dal canto suo, non sme eva di saltellare
tenendomi per mano, facendo dondolare le nostre braccia.
Passavamo da un’aula all’altra e lei mi raccontava dei suoi corsi e mi
spiegava che cosa avrebbe imparato in ciascuno di essi. La sua
felicità era contagiosa e io ero davvero contenta per la mia sorellina:
sapevo che da quel momento avrebbe cominciato a fare grandi cose.
Aveva già iniziato, in realtà, e io ero più che orgogliosa di lei:
sarebbe arrivata in alto, e nulla sarebbe riuscito a fermarla.
Continuai il mio giro e arrivai in cucina, dove trovai un collage di
fotografie a accate al frigorifero con delle calamite. C’erano anche
alcune foto sparse prese dal frigo del mio piccolo appartamento: foto
di Maddy, di Ginelle e di mio papà, e anche un paio di foto nuove
che non avevo stampato io, di me e Wes insieme. Una era stata
sca ata a tavola, durante il pranzo, l’altra era un selfie che ci
eravamo fa i nel le o, e si vedevano solo le nostre facce. Quelle foto
doveva averle aggiunte lui, era cominciato tu o da lì. Passai il dito
sul sorriso sornione di Wes, così sicuro di sé e così sexy mentre mi
abbracciava nel le o. Ebbi una stre a al cuore, quasi dolorosa.
Presto, sarebbe tornato a casa. Dovevo avere fede. Quel che conta è il
viaggio, trust the journey. Mai come ora dovevo credere alle parole
che mi ero fa a tatuare sul piede.
Entrai in quella che era diventata la nostra camera da le o e
rimasi di sasso, con la bocca aperta e gli occhi spalancati.
«Oh, porca pu ana!» esclamai nel vedere il volto che mi
osservava: era il mio ritra o.
Era l’ultimo ritra o che mi aveva fa o Alec, a febbraio, sulla
terrazza panoramica dello Space Needle di Sea le. I miei capelli
formavano una cascata color ebano. Quel giorno mi ero sentita come
liberata. Priva del fardello che mio padre, senza volere, mi aveva
caricato sulle spalle e dell’obbligo di essere, ogni volta, la persona
che il cliente voleva che fossi: era tu o sparito, in quell’a imo di
pace. Per un istante ero stata semplicemente Mia, una ragazza tra
tante che, per la prima volta, ammirava la bellezza del panorama che
la circondava.
Non credevo ai miei occhi: Wes aveva acquistato il più costoso dei
quadri che Alec mi aveva fa o. Alla fine, tra una conversazione e
l’altra, gli avevo parlato di lui. Be’, di certo non gli avevo riferito i
de agli più piccanti, mi ero limitata a fornirgli il contesto generale.
Ci tenevo a raccontargli del mio incontro con l’arte, di come ognuna
di quelle opere mi avesse cambiata profondamente, aiutandomi a
vedere la vita, l’amore e me stessa con più chiarezza. Eravamo a
le o, nudi e abbracciati, quando gli avevo de o che mi sentivo in
debito verso Alec per ciò che mi aveva insegnato e che mi era
sembrato sbagliato acce are i soldi da lui, per quanto non avessi
altra scelta.
Tirai fuori il telefono e, dopo aver consultato la rubrica dei
conta i, feci partire una chiamata.
«Ma jolie, a cosa devo il grandissimo piacere di sentire la tua
voce?» rispose Alec con quel suo tono morbido e sensuale che mi
faceva tornare in mente altri momenti ben più piacevoli trascorsi tra
le braccia di quel Francesino peccaminoso.
Mi girai e mi sistemai sul le o con le gambe incrociate,
continuando a fissare il quadro. «Io… ecco, non riesco a credere
che…» Invece di finire la frase sollevai il telefono e sca ai una foto,
poi gliela mandai. Sentii il rumore della notifica dall’altra parte del
telefono.
«Mia, parle moi, ti senti bene?» La sua voce tradiva una certa ansia.
Avevo la voce che tremava mentre osservavo in ogni de aglio
quella meraviglia appesa sul le o di Wes. Anzi, sul le o mio e di
Wes. «Ti ho mandato una foto.»
«Non mi interessa questo tipo di comunicazione, chérie.»
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«Guarda e basta» gli dissi con un gemito, sperando di essere
abbastanza convincente.
Sentii qualche clic e poi di nuovo la sua voce. «Ah, mais oui, stai
vedendo te stessa, non?»
Ci sono momenti in cui vorresti strangolare la persona dall’altra
parte del telefono: adesso era uno di quei momenti. «Non è questo il
punto, Alec: perché sto guardando me stessa nella camera da le o del
mio fidanzato?»
Sentii che Alec respirava a fatica. «Ma jolie, hai un copain, un
fidanzato?» Quelle parole pronunciate con il suo accento francese
stavano per farmi dimenticare che ce l’avevo con lui perché non
riusciva a capire. «Ora sei una donna impegnata… Félicitations!» Si
congratulava con me, ma non si decideva a darmi una risposta sul
perché quel quadro si trovasse lì.
Soffocai un gemito. «Alec, mi serve la tua a enzione.»
Fece un mormorio di approvazione. «Oh, chérie, ma tu hai sempre
la mia a enzione, sopra u o quando sei nuda davanti a me. Riesco
a rivivere in ogni de aglio la sensazione di stringerti tra le braccia. Ti
ricordi anche tu del mese passato con me, oui?»
«Alec, non è il momento per sfogliare l’album dei ricordi. Ho
bisogno che tu mi dia delle risposte: come mai questo quadro è finito
qui, nella mia camera da le o?»
Alec mi rispose sogghignando. «Sempre avida di informazioni,
eh? Magari doveva essere una sorpresa, compte tenu de votre amant.»
Il mio francese era parecchio arrugginito, visto che non l’avevo
mai studiato a scuola ed erano diversi mesi che non parlavo al
telefono con Alec, ma più o meno avevo capito che parlava di una
sorpresa da parte del mio amore.
«L’ha comprato Wes?»
«Non esa amente.»
Mi irrigidii e digrignai i denti così forte che teme i di romperli.
«Non è il momento di fare lo spiritoso: sputa il rospo, Francesino.»
Sentii un risolino soffocato. «Sputare è da maleducati, non fa per
me.»
Alzai gli occhi al cielo e mi lasciai andare sul le o. «Alec… ti ho
avvisato.»
«Il tuo amante non ha pagato il quadro.» Questa volta fu esplicito.
«E allora come mai è qui?»
Tirare fuori qualche informazione dal mio amico francese quando
lui evidentemente non aveva alcuna intenzione di darmene era più
difficile che impedire a un uomo di avere un orgasmo dopo una
sontuosa scopata: fo utamente impossibile.
Finalmente, sospirando, si decise: «Ma jolie, sarò sincero con te,
oui?».
Che domande, sapeva benissimo cosa volevo, ma gli risposi
ugualmente. «Oui. Merci.»
«Il tuo amante ha chiamato il mio agente: voleva comprare Addio,
amore ma io mi sono rifiutato di venderlo.»
Rimasi sorpresa: un artista che crea le sue opere d’arte con
l’obie ivo di venderle e condividerle con il resto del mondo e poi si
rifiuta di cederne una?
«Ma perché? Non ha senso.»
«Mmh, così. Ti voglio bene, e volevo essere sicuro che la tua
bellezza potesse essere apprezzata solo dalle persone giuste. Ho
delle regole per ciascuno dei miei quadri, e ce ne sono due da cui
non ho intenzione di separarmi.»
«E quali sono?»
La sua voce si trasformò nel brontolio sexy che conoscevo così
bene. «Mi piace guardarti nei nostri momenti d’amore. Il nostro amore
è appeso a una parete dello studio nella mia villa in Francia: Je ne
pouvais pas m’en séparer» disse, e io mi scervellavo nel tentativo di
dare un senso a quelle parole. Credo che intendesse dire che non
aveva intenzione di separarsene.
Scoppiai a ridere. «Ma, Alec, è una sciocchezza: l’obie ivo di una
mostra è vendere i quadri.»
«Ah, ma io voglio che solo gli occhi giusti possano vederli, un
giorno dopo l’altro. Gli altri quadri li ho venduti tu i a clienti
selezionati e con cui ho parlato di persona.»
Scossi la testa e mi passai la lingua sulle labbra secche. Ero
travolta da un’ondata di emozioni: la vista di quel quadro, la voce di
Alec, la nostalgia di Wes. Mi sembrava di essere stata dentro un
tornado. Stavo cercando di raccogliere e me ere insieme i pezzi dei
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miei pensieri e delle mie emozioni, anche se non riuscivo a farli
incastrare tra loro.
«E questo quadro? Come mai è finito qui?»
«Ho parlato al tuo Weston. Mi ha de o chi era, mi ha spiegato che
sapeva della nostra relazione. Mi aspe avo che facesse un po’ di
grabuge.»
«Gra ugia?» Cosa c’entrava?
«Merde. Non. Com’è che si dice… Cassino?»
A quel punto sbuffai. «Forse vuoi dire “casino”?» gli chiesi,
ridendo.
«Sì, casino. Ma è stato un vero signore, ha de o che ha visto il
catalogo della mostra online e voleva comprare i quadri.»
«Comprare i quadri nel senso di comprarseli tu i?»
«Oui» rispose Alec, come se non fosse una cosa insolita. Io per
parte mia trovavo molto insolito che il mio surfista dall’aria rilassata
volesse spendere qualche milione di dollari in… miei ritra i! Di
sicuro al suo ritorno avremmo dovuto parlare di come sprecava i
soldi che guadagnava. “Oddio, spero tanto che ritorni.”
Mi alzai dal le o e continuai il giro della casa, passando da una
stanza all’altra. Non vidi altre immagini di me che mi fissavano dalle
pareti.
«Be’, ma…»
«Gli ho de o di no, che poteva averne uno solo e, se avesse scelto
quello giusto, gliel’avrei venduto.»
Alec era davvero un tipo strano. Complicato, eccentrico,
espansivo, amorevole, esigente, spe acolare a le o ma in fondo
alquanto bizzarro. D’altra parte, gli artisti non sono forse tu i così? È
impossibile classificare la loro strana natura, o tentare di darne una
definizione, perché la maggior parte delle persone darebbe una
risposta diversa.
«E dunque?»
«Ha scelto bene, ha scelto te.»
Quella frase mi fece venire la pelle d’oca lungo le braccia, me le
sfregai e mi abbracciai da sola, visto che non c’era nessun altro a
farlo.
«Ma sono tu i miei ritra i, Alec.»
«Non. Gli altri rappresentano momenti diversi della tua vita, certe
esperienze che hai vissuto o anche scene che hai rappresentato per
motivi squisitamente artistici. Invece quell’immagine è il risultato di
come sei adesso, e lui ha voluto quella: dunque, ho lasciato che ti
avesse.»
L’ultima parola suonava strana sulle sue labbra. «Che cosa
significa?»
«Consideralo un regalo a te e a lui, al vostro amore.»
«Hai regalato al mio fidanzato un quadro che vale un quarto di
milione di dollari?»
«Be’, a dire il vero vale mezzo milione di dollari.»
«Oh, cazzo!»
«Mia. Je t’aime. Ti avrei comunque dato metà di ciò che ne avrei
ricavato, ma in questo modo hai qualcosa che ti ricorderà ogni
giorno chi sei. Trovo stupendo che l’abbia appeso proprio sopra il
vostro le o, non c’è posto migliore per quel quadro.»
Cominciai a singhiozzare, mentre gli occhi si riempivano di
lacrime. «Ti voglio bene anch’io, lo sai? Nel nostro modo speciale.»
Ero assolutamente sincera.
«Oui. Lo so, ma jolie» rispose ridendo, e poi chiuse la telefonata
con le stesse parole che davano il titolo al quadro: «Addio, amore».
Speravo tanto che non fosse l’ultima volta in cui sentivo il mio
Francesino a cui piaceva tanto dire oscenità. Anche se in un certo
senso stava dando la benedizione alla mia unione con Wes, volevo
comunque che avesse un posto nel mio mondo. Sarebbe sempre
stato parte di questo viaggio, e gli avrei voluto bene per tu a la vita:
è solo che ne volevo di più a Wes. Anzi, di lui ero proprio
innamorata, e desideravo tanto che tornasse a casa.

Quella sera faceva più freddo dell’ultima volta in cui ero stata in
quella casa, ma del resto erano se imane che avevo sempre freddo.
Guardavo le stelle, e mi chiedevo se anche Wes potesse vederle dal
luogo in cui si trovava. Anche se mi ero ripromessa di aspe are che
fosse lui a conta armi, tirai fuori il telefono e chiamai il suo numero.
Partì subito la segreteria telefonica, e una scarica di tensione mi fece
mancare il fiato: il fa o che non rispondesse mi mandava nel panico.
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Probabilmente stava solo dormendo, si stava riprendendo da una
ferita d’arma da fuoco al collo, per l’amor del cielo! “Rilassati, Mia,
gli hai parlato solo ieri.”
«Ehi, ciao, ehm… sono io. Volevo solo sentire la tua voce. Sono a
casa, cioè, qui a Malibu.» Il mio sguardo vagava sulle onde scure
dell’oceano in lontananza. Quando ripresi a parlare, mi tremava la
voce. «La casa è immersa nel silenzio, non so dove sia Judi.» Le onde
si frangevano sulla ba igia e il vento mi scompigliava i capelli,
facendomi sentire ancora più freddo. «Sono contenta che tu abbia
sistemato le mie cose. Magari ci ha pensato Judi, anche se mi piace
sperare che sia stato tu a mescolare così le nostre vite.» Le mie dita
giocherellavano con le cuciture dei jeans. «Oh, Wes, quanto mi
manchi. Non ho voglia di dormire nel nostro le o da sola.» Per
quanto mi sforzassi di ricacciarla indietro, qualche lacrima traditrice
mi rigava il viso. Non sapevo cos’altro dirgli per fargli capire quanto
mi mancava, quanto lo desideravo. Pensavo che non avrei mai
vissuto una vita felice senza di lui.
«Ricordati di me» mormorai prima di chiudere la telefonata. Per
noi quelle parole significavano molto, più di qualunque altra
promessa o conferma che avremmo potuto scambiarci. Guardai il
cielo ancora una volta, poi mi voltai e tornai nella mia vecchia
camera. Se non potevo avere lui, preferivo non dormire nel nostro
le o.

Mi sentivo senza peso, invasa da una sensazione di straniamento


mentre due braccia possenti mi stringevano con forza. Mi accoccolai
vicino a quel calore, ci sfregai il naso contro respirando quel
profumo maschile così familiare. Le poche no i in cui riuscii a
dormire erano tu e riempite dalla sua presenza. Invece di
comba erla, quella sera decisi di arrendermi a essa, di godermi la
gioia di sentirlo vicino, mentre si prendeva cura di me,
riscaldandomi il cuore e proteggendolo. Immaginai Wes che mi
me eva a le o, nel nostro le o. Il cuscino sapeva di lui: di sabbia, di
mare, era intriso del profumo penetrante tipico di Wes e io ci
strofinai il viso sopra. «Mi manchi…» dissi con la voce spezzata,
mentre una lacrima mi scivolava lungo il viso.
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Un sospiro leggero come una piuma mi sfiorò la guancia. “Sono
qui, vicino a te” mormorò al mio orecchio. I sogni sono straordinari,
riescono a essere allo stesso tempo crudeli e meravigliosi, a darti ciò
che più desideri per poi svanire alle prime luci dell’alba.
Aprii gli occhi sba endo le palpebre, completamente spossata, e
intravidi una forma: la sua. «Non lasciarmi, rimani qui.» Strizzai gli
occhi nel tentativo di tenerli spalancati. La finestra era aperta, e
lasciava entrare la fresca brezza dell’oceano. Mi tirai la coperta fino
al mento, a quel punto ero immersa nel calore. Sentii un braccio
a orno alla vita e mi persi nel sogno: sentivo Wes vicino a me che mi
stringeva, sentivo il suo respiro sul mio collo.
Il suo fisico imponente avvolgeva il mio corpo da dietro e mi
appoggiai a quel Wes immaginario, anche se in realtà lui non era lì.
Avrei fa o finta che ci fosse, però, e così sarei riuscita a dormire. La
sensazione che mi stringesse a sé, che mi sfiorasse i capelli, il collo, le
spalle con il naso era estremamente reale. Afferrai con le mani il
braccio stre o intorno alla mia vita e lo sistemai tra i seni, appoggiai
le labbra alle nocche inspirando il suo profumo così da avere ancora,
al risveglio, la sensazione della sua presenza accanto a me. Il suo
respiro sfiorava i capelli intorno all’orecchio e mentre chiudevo gli
occhi mi veniva da piangere: non volevo che questo miraggio
scomparisse. Infine quella sensazione di calore dietro di me, il senso
di pace che mi circondava riuscirono a scacciare il dolore e la
tristezza per quella no e.
Nel sogno lo sentivo parlare. “Dormi, tesoro, io sarò qui vicino a
te, non ti lascerò mai più.”
«Che bello» mormorai al Wes che abitava il mio sogno, e lo strinsi
ancora più forte mentre scivolavo tra le braccia di Morfeo. Sentivo
che mi abbracciava e per un a imo riaffiorò un barlume di
consapevolezza. Ogni parte del corpo di Wes riusciva a toccarmi,
proprio come avrebbe fa o se fosse stato davvero lì. Sospirai e mi
lasciai vincere dal sonno.
La voce di Wes ora era lontana, confusa. “Mi sono ricordato di te,
Mia. Mentre ero lontano, sei stata con me ogni giorno, al mio fianco,
e io mi sono nutrito del tuo ricordo.”
2

Un calore infernale lambiva la mia pelle, lungo le curve del corpo,


sempre più rovente. Il peso di quel calore mi rendeva difficile ogni
movimento. Provai a muovere gli arti inferiori, ma erano bloccati.
Una gamba pelosa era messa di traverso sulle mie cosce. Un
momento, cosa succedeva? Appena il mio cervello riprese a
funzionare, mi irrigidii completamente. Il mio cuore prese a ba ere
all’impazzata, al punto che temevo di avere un’intera ba eria nel
pe o, che suonava così forte da svegliare chi dormiva dietro di me.
La pelle di colpo era diventata appiccicosa, l’ansia faceva girare a
mille i rece ori della paura.
Con molta calma cominciai a muovere gli arti tesi per l’ansia e mi
preparai a colpire. Strinsi la mano a formare un pugno e caricai il
gomito per sferrare il colpo, piegarmi e rotolare via: una successione
di tre mosse simile a quella che mi avevano insegnato a scuola
durante le esercitazioni antincendio. Allora, però, era: fermarsi,
bu arsi a terra e rotolare via. Ripetei mentalmente la litania: sferrare
il colpo, rotolare, a terra – dove “a terra” significava di fianco al le o
– e correre via a ro a di collo.
Sentii il grugnito di un uomo dietro di me e le gambe che mi
tenevano ferma mi strinsero ancora più forte. «Riesco a sentire i tuoi
pensieri.» La sua voce era decisamente assonnata.
Proprio mentre ero sul punto di tirargli un pugno e darmela a
gambe secondo lo schema che avevo in mente, quella voce mi fece
cambiare idea all’istante. Fui pervasa da una sensazione
completamente nuova e mi venne la pelle d’oca, subito seguita da
una serie di brividi incontrollabili. Mi vennero le lacrime agli occhi e
mi girai. Quella stre a infernale si allentò e finalmente fui in grado
di muovermi: mi trovavo faccia a faccia con l’unico uomo che
desideravo più dell’aria che respiravo.
Wes.
Scoppiai a piangere, mentre lui allungava una mano per
accarezzarmi la guancia. «Ti sono mancato?» mi chiese, sorridendo,
e a quel punto persi il controllo.
Veloce come un ninja lo girai sulla schiena e mi misi a cavalcioni
su di lui. Una parte decisamente impressionante del suo corpo
moriva dalla voglia di spuntar fuori per dire ciao, ma ci avrei
pensato più tardi. La mia bocca cominciò a darsi da fare, e ricoprii di
baci ogni centimetro quadrato del suo viso: la fronte, le guance, il
mento ricoperto dalla barba, che mi faceva il solletico alle labbra.
Evitai solo il collo, dove un bendaggio proteggeva la ferita.
“Oddio, mi sembra incredibile che sia qui in carne e ossa.”
Finalmente posai le labbra sulle sue: lui aprì immediatamente la
bocca e in una frazione di secondo l’avevo fa o mio.
La sua lingua era calda e umida, erano due mesi che non sognavo
altro. Gli presi le guance tra le mani e le nostre lingue cominciarono
a danzare. Le mani di Wes correvano lungo la mia schiena e il suo
bacino che premeva contro il mio sesso mi dava sollievo e allo stesso
tempo mi accendeva di desiderio come un fiammifero.
Si staccò per un istante dal bacio solo per pronunciare poche
parole, con una specie di grugnito: «Voglio me ertelo dentro, Mia.
Prendilo dentro di te».
Senza staccare la bocca dalla sua mi sollevai sulle ginocchia per
togliermi gli slip, poi cominciai ad armeggiare con i suoi boxer,
afferrai il tessuto tra le dita e glieli calai giù per le gambe. Lui li
scalciò via e mi afferrò i fianchi. Il suo pene era lungo, grosso e duro
come il marmo, orgogliosamente ere o e in a esa di ritrovare la via
di casa.
Non c’era bisogno di preliminari, di carezze o di paroline sexy,
non era fare l’amore, e neanche scopare qualcuno che ti mancava da
tanto tempo. No, quello era un vero e proprio gesto per rivendicare
il possesso, un gesto animalesco eppure pieno di adorazione e di
desiderio carnale.
Mi sollevai di nuovo, togliendo con il dito la goccia che spuntava
sulla punta del suo membro, avevo l’acquolina in bocca, morivo
dalla voglia di prenderglielo tra le labbra ma più ancora bramavo un
altro tipo di unione, ben più intensa. Mi calai su di lui e lanciai un
grido mentre il suo grosso membro turgido entrava di colpo dentro
di me. Mi piegai in avanti appoggiando il palmo sul suo pe o,
all’altezza del cuore, e lo guardai dri o nei luminosi occhi verdi.
«Wes» dissi, accarezzandogli il pe o, «sei proprio tu.»
«E tu sei un balsamo per gli occhi.» Fece un respiro profondo, i
suoi occhi dicevano tu o quello che c’era da dire: quanto gli ero
mancata, il desiderio che provava per me e come, grazie al nostro
amore, fosse riuscito a tornare a casa. «Accidenti, sei bella da
impazzire.» La stre a delle sue mani sui miei fianchi si fece ancora
più forte, mi avrebbe di sicuro lasciato i segni.
In realtà non mi importava avere qualche livido: se me li aveva
fa i lui, voleva dire che era di nuovo a casa, e io non l’avrei mai più
lasciato andare via.
Wes allungò le mani verso la mia cano a, io me la sfilai e la bu ai
da una parte, poi mi ge ai contro di lui. Lui risucchiò l’aria tra i
denti e chiuse gli occhi.
«Non chiudere gli occhi!» gli intimai.
Wes si leccò le labbra, poi mi sollevò finché il suo pene non fu
quasi tu o fuori, poi lasciò fare alla gravità e io ripiombai giù.
Rimanemmo tu i e due senza fiato per quanto era arrivato in fondo
e quando lo strinsi dentro di me, il suo membro divenne ancora più
turgido.
«Perché mai, tesoro?» mi chiese, mentre me lo infilava ancora una
volta. Il suo membro duro come il marmo sfregava contro il punto
magico dentro di me.
Gli accarezzai il volto, sfiorando i suoi lineamenti con la punta
delle dita, come se volessi accertarmi che fosse reale. Arrivata alle
labbra, cominciò a leccarmi e a mordicchiarmi le dita, e io fui scossa
da una serie di scariche di estasi pura. Il mio sesso strinse con forza il
suo membro, ed ero talmente fradicia che lì dove i nostri corpi
entravano in conta o era tu o bagnato.
Mi muovevo avanti e indietro, su e giù e lui lasciava che fossi io a
de are il ritmo.
«Perché?» mi chiese di nuovo mentre giocherellava con i miei
capezzoli, strizzandoli e tirandoli finché non diventarono due
puntine indolenzite che imploravano le a enzioni e il calore della
sua bocca.
Con le mani appoggiate sul suo pe o, mi sollevai per poi
lasciarmi di nuovo andare giù, sfregando il clitoride contro il suo
bacino. «Oh, merda, tesoro, così mi fai venire.»
«È esa amente quello che voglio.» Oltre a cercare di distrarlo
dalla domanda che continuava a ripetere.
Wes non ci cascò e mi bloccò afferrandomi i fianchi. Era come
essere a accata al muro, ma di fa o ero bloccata da un enorme e
appetitoso chiodo di carne che pulsava dentro di me. Mi veniva da
piangere per la frustrazione, mi riempiva fino in fondo ma mi
negava il piacere di cavalcarlo fino a venire.
«Allora, dimmi.»
Ruotai la testa per allentare la tensione che si era accumulata sul
collo, una tensione che sembrava essere lì da sempre. «È che nei miei
sogni hai sempre gli occhi chiusi» gli dissi, semplicemente. Era una
risposta, anche se era vaga e nascondeva parte della verità.
«Mi hai sognato spesso?» Quella domanda mi colse di sorpresa,
arrivò dri a al cuore della paura che mi tormentava: di svegliarmi
da sola, distru a e con il cuore spezzato.
Sulle prime non risposi, finché non lo sentii dentro di me, in lenti
movimenti circolari. Sentivo pulsare il clitoride, tremavo tu a.
«Allora, l’hai fa o, tesoro?»
Annuii mordendomi il labbro, mi stavo godendo ogni piccolo
movimento dentro di me, avrei voluto che non si staccasse mai dal
mio corpo. A essere sincera, avrei voluto che non si staccasse mai da
me e basta.
«Sei venuta pensando a me?» mentre parlava un lampo a raversò
i suoi occhi verdi come una foresta e le sue pupille si dilatarono.
Feci un sospiro e, non appena mollò la stre a sui fianchi, mi
lasciai andare, alla disperata ricerca di un qualche tipo di sollievo.
Gli risposi con un filo di voce. Avrei fa o qualunque cosa per lui,
per quanto imbarazzante: era tornato a casa. «Qualche volta. Di
solito però tu sparisci, e io mi ritrovo da sola in un le o che mi è
estraneo.»
Mi strinse i fianchi e mi fece sollevare, controllando il mio ritmo
mentre mi abbassavo ancora, un centimetro dopo l’altro.
Il suo membro turgido si faceva lentamente strada tra le pieghe
più sensibili della mia carne, e scariche di brividi anticipavano il mio
imminente orgasmo.
«Non chiudere gli occhi» ripetei.
«Non vado da nessuna parte.»
Wes si sollevò, in modo da appoggiarsi con la schiena alla testiera
del le o. Spinse il suo membro ancora più in fondo, era incredibile
quanto fosse dentro di me, e mi lasciò senza fiato. Ge ai il capo
all’indietro, i capelli ricadendo sfioravano il mio sedere e le sue
cosce. Con una mano mi stringeva la vita e con l’altra mi accarezzava
la schiena, cominciò dal basso per poi risalire lungo le scapole,
quindi infilò le dita tra i capelli e iniziò a tirare… forte. Mi fece alzare
il viso finché non fummo faccia a faccia.
Mi stringeva i capelli come una morsa e il formicolio alle radici
trasformò rapidamente il dolore in piacere. Emisi un gemito e con la
bocca cercai la sua.
«Questo, tesoro, è tu o quello che abbiamo, tu e io. È ciò che mi
ha permesso di sopravvivere, ti devo la vita.» Gli occhi mi si
riempirono di lacrime mentre lui mi fissava come se potesse scrutare
fin nel profondo della mia anima.
Nel leccarmi le labbra sfiorai le sue. Vidi due lacrime che gli
solcavano le guance e rimasi a bocca aperta. «No, Wes: sono io che
vivo grazie a te. Tu mi dai la forza per credere di meritare di più, e tu
sei tu o e anche di più per me.»
Ognuno teneva il viso dell’altro tra le mani, le nostre labbra erano
incollate e impegnate a prendere, a dare, ad amare. Ciò che prima
pensavo fosse amore non era nulla in confronto a questo, e sapevo
che non avrei mai più potuto amare nessuno con tu a me stessa
come amavo Weston Channing III.
Si staccò dalle mie labbra e mi ricoprì il viso di baci, mentre il suo
membro mi penetrava ancora in profondità: era come se l’unione dei
nostri corpi, il semplice fa o di essere dentro di me, lo appagasse.
«Voglio sposarti al più presto.» Se il suo respiro contro il mio
orecchio era caldo, quelle parole lo erano di più, mi scaldavano il
cuore e tu o il resto. Lo strinsi forte tra le gambe, e lui lasciò andare
un gemito.
«Era una proposta di matrimonio?» Mossi i fianchi, per ricordargli
che eravamo ancora a accati. Il piacere di averlo dentro di me, così
duro e pieno di desiderio, era un afrodisiaco potentissimo. Con un
sospiro mi sollevai sulle ginocchia, lo feci uscire di qualche
centimetro e poi mi calai di nuovo su di lui, ria izzando il fuoco del
piacere.
Con un gemito lui ricominciò a giocare con i miei capezzoli prima
di protendersi e me ersene uno in bocca. Gli strinsi la testa contro il
seno, godendomi la sensazione di averlo di nuovo così vicino. I
capezzoli mi facevano male per l’a esa del piacere, e finalmente Wes
cominciò a succhiare la punta con forza, per poi staccarsi e farla
uscire dalla bocca. La sua saliva luccicava so o la luce del ma ino,
come una sensuale imitazione di ciò che accadeva più in basso.
«Non è una proposta, perché non hai la possibilità di rifiutare»
disse, prima di avventarsi con la lingua sull’altro seno, ancora
trascurato.
«Davvero?» sussurrai, mentre muovevo i fianchi per sentirlo
ancora più in fondo.
«Questo corpo mi appartiene» borbo ò, con la bocca piena del
mio seno. Mi succhiò la punta con ardore, scatenando un vortice di
piacere che scendeva e mi faceva bagnare oltre ogni misura. Le sue
labbra risalirono sfiorando la pelle fin là dove il mio cuore ba eva
all’impazzata. «Questo cuore mi appartiene.» Continuò a baciarmi e
a leccarmi, con le mani intrecciate dietro la mia nuca. Sfiorò le mie
labbra con le sue. «Questo amore ci appartiene.» Sigillò la frase con
un bacio appassionato e profondo, da brivido.
Weston aveva ragione, il nostro amore apparteneva a noi, e
nell’ora seguente me lo dimostrò in tu e le sue sfumature, e io mi
persi completamente.
p p
Osservai Wes respirare nel sonno dopo che avevamo fa o l’amore.
Non avrei mai creduto che il semplice a o di guardare l’uomo che
amavo mentre dormiva, respirava, se ne stava semplicemente lì mi
avrebbe donato una pace assoluta, eppure era così. Quando mi ero
svegliata con lui che mi abbracciava da dietro mi ero spaventata a
morte e mentre passavo le dita tra i suoi capelli era ancora difficile
credere che fosse a casa, sano e salvo. Un po’ sgualcito ma vivo, e
addormentato al mio fianco.
All’improvviso la porta della camera da le o si aprì ed entrò Judi.
Il suo sguardo si posò su di me e poi su Wes: senza fiato per lo
stupore, per poco non fece cadere gli asciugamani freschi di bucato
che teneva in mano. Io sorrisi. Lei avvampò, le guance di un bel rosa
vivace. Posò subito la pila di asciugamani sul comò, si girò e uscì
dalla camera.
Sgusciai lentamente fuori dal le o e mi infilai la T-shirt bianca di
Wes, lasciando che il suo odore mi avvolgesse. Uscii dalla camera in
punta di piedi e andai in cucina, dove Judi stava apparecchiando la
tavola prendendo dalla credenza il necessario per la colazione.
Mentre sistemava il preparato per i pancake, le tremavano le mani.
«Ehi, Judi…» Quando girai a orno al bancone, lei rimase
immobile, con le spalle incurvate; poi di colpo si voltò e quasi mi
stritolò in un abbraccio.
«Il mio ragazzo è tornato, grazie al cielo.» Le sue lacrime si
mescolavano alle risate di gioia mentre la stringevo a me. «Ora
possiamo davvero essere una famiglia.»
Eccola di nuovo, la parola che per me cominciava a significare più
di ogni altra cosa.
«Se Wes riesce a spuntarla, potrebbe succedere abbastanza
presto.»
Fece un passo indietro, stringendomi forte le braccia all’altezza
dei bicipiti, con la testa sollevata e l’espressione accigliata. «Allora?
Ti ha chiesto di…?» Sollevò lentamente una mano all’altezza della
bocca, con gli occhi spalancati. «Che birbante!» Il tono della sua voce
era un misto di stupore ed eccitazione.
«No, non mi ha chiesto di sposarlo.»
«Che cosa?» fece lei, un po’ preoccupata, con le mani appoggiate
sui fianchi.
Scossi la testa, guardandola negli occhi, e dissi quello che si
aspe ava di sentire. «Non me l’ha chiesto, me l’ha de o e basta.»
A quel punto la donna che aveva passato più tempo a prendersi
cura di Wes dopo sua madre fece un sorrise o. «Te l’avevo de o:
quando si me e in testa qualcosa, finisce sempre per o enerla.»
Si voltò per prendere tegame, padella e quant’altro le serviva per
cucinare.
«Che cosa stai facendo?» Guardai l’orologio: era mezzogiorno da
poco passato.
«Preparo una colazione per festeggiare il vostro ritorno a casa: la
migliore che abbiate mai mangiato.»
Non avevo dubbi, Judi se la cavava benissimo ai fornelli ed era
sempre felice quando poteva dedicarvisi con amore: avrei divorato
tu o, fino all’ultima briciola. Il mio stomaco aveva già cominciato a
brontolare al solo pensiero di un vero pasto cucinato in casa. Era un
bel po’ che non mangiavo seduta a un tavolo senza limitarmi a
piluccare di malavoglia.
Mi stavo preparando una tazza di caffè quando sentii due braccia
calde e forti stringermi la vita.
«Mmh, non c’eri quando mi sono svegliato. Non mi piace.» Dal
tono della sua voce si capiva che Wes non stava scherzando, ed era
decisamente strano sentire quelle parole sulla bocca del mio ragazzo,
che di solito era un tipo tranquillo e rilassato.
Mi appoggiai a lui ridendo e con la tempia sfiorai qualcosa di
ruvido e scabroso. «Da quando?» gli domandai, cercando di
ironizzare sul suo commento. Quell’improvviso cambio di
personalità non mi preoccupava. In passato, quando dormivamo
insieme, il primo che si svegliava si alzava e lasciava riposare l’altro.
Eravamo abituati così, ma adesso le cose erano cambiate.
«Non farmi domande se non sei sicura di voler conoscere la
risposta» disse, con un tono di voce più aspro del solito. Il Wes
rilassato di un tempo sembrava essere ancora lì nascosto da qualche
parte, sepolto so o la superficie di quella nuova personalità un po’
più opaca.
p p
Il fastidio alla tempia aveva un bordo tagliente che mi irritava.
«Ahia.» Sollevai la mano e le dita sfiorarono il tessuto grezzo.
«Cazzo!» Dalla bocca di Wes uscirono un gemito di dolore e un
sibilo, mentre le sue mani si stringevano intorno ai miei fianchi.
Mi girai per capire la causa di quel dolore. Sul suo collo c’era un
bendaggio bianco piu osto grande, l’avevo notato di sfuggita prima
di saltargli addosso come una ninfomane affamata di sesso. Al
centro una macchia rosso cremisi si allargava a vista d’occhio.
«Oddio, è dove ti hanno sparato. Oh, merda, avrei dovuto fare più
a enzione.» In quel momento mi resi conto che c’erano altre cose in
lui che non andavano. Lo osservai con un occhio più a ento, ora che
il bisogno di completare la nostra unione era stato soddisfa o.
Il pe o di Wes era pieno di segni e cicatrici. Lungo l’avambraccio
c’era una serie di bruciature, o almeno così sembravano. Gli sfiorai le
ferite con dita tremanti. «Oh, caro…» Avevo un nodo in gola, non
riuscivo quasi a parlare.
«Sto bene. Adesso siamo entrambi a casa, ci lasceremo tu o alle
spalle.» La sua voce era tesa, c’era una rabbia tagliente come un
rasoio nelle sue parole.
«Non mi pare proprio che tu stia bene.» Mi avvicinai a lui e gli
baciai le cicatrici e le ferite in via di guarigione. La più preoccupante
era quella sul collo. «Perché il punto in cui ti hanno sparato impiega
così tanto a guarire?»
«Pochi giorni dopo l’operazione la ferita si è riaperta, e hanno
dovuto ricucirla. A quanto pare, bisogna rimanere a le o tu o il
tempo per evitare di fare movimenti improvvisi e rischiare di
riaprire la ferita.» Fece una smorfia e io ammutolii al pensiero che,
mentre lui era lontano, per poco non ero andata fuori di testa. Lui
doveva essersela passata dieci volte peggio di me, e potevo solo
immaginare che tipo di paziente era stato.
Continuai a esplorare il suo corpo, memorizzando ognuna delle
sue ferite. Notai che i segni sul suo avambraccio sinistro erano ormai
delle piaghe rossastre, come piccoli crateri con una crosta nel centro.
Stavo per me ere la bocca su una ma lui mi appoggiò la mano sulla
nuca e fece segno di no con la testa.
«Non farlo, non voglio che la tua perfezione venga contaminata
da questa malvagità.» La sua mascella era serrata e gli occhi erano
due pozze nere con un orlo verde smeraldo a malapena visibile.
Senza badare alle sue parole osservai da vicino una di quelle
cicatrici. Lui chiuse gli occhi, serrando ancora di più la mascella.
«Gli occhi, tesoro» gli ricordai ancora una volta. Sapeva che ero
ancora sconvolta per il suo rapimento, e solo uniti saremmo stati in
grado di lasciarcelo alle spalle. Avremmo dovuto riaprire quelle
ferite psicologiche e fare uscire il marcio che contenevano se
volevamo guarirle.
Mentre sfioravo le cicatrici, Wes continuava a fissarmi, con le
narici dilatate. Senza staccare gli occhi dai suoi posai le labbra
proprio sopra una di quelle tremende bruciature. Se erano ciò che
pensavo, e io avevo già visto uno degli scagnozzi di Blaine infliggere
quel tipo di punizione, avevano spento delle sigare e sul braccio del
mio adorato Wes, torturato la sua splendida pelle abbronzata
lasciando una traccia inconfondibile. Volevo lavare via quei ricordi
con qualcosa di meraviglioso.
Feci così l’unica cosa che potevo fare: baciai ognuna delle cicatrici,
come per reclamarne il possesso. «Questo corpo mi appartiene»
mormorai, ripetendo le stesse parole che aveva usato lui mentre
risalivo lungo il braccio fino al pe o. Appoggiai le labbra all’altezza
del cuore, baciando e leccando quella zona proprio come aveva fa o
lui. Wes emise un gemito profondo, ma tenne gli occhi aperti.
«Questo cuore mi appartiene.» Mi leccai le labbra alzandomi sulla
punta dei piedi, gli misi le braccia a orno alle spalle facendo
a enzione a non avvicinarmi alla ferita sul collo. Con le labbra vicine
alle sue aggiunsi: «Questo amore ci appartiene». Poi lo baciai, a
lungo, con forza, con tu o l’amore che avevo dovuto tra enere
dentro di me nei due mesi appena trascorsi.
«Voi due avete intenzione di passare il resto della giornata a
sbaciucchiarvi o vi decidete a venire a mangiare le leccornie che ho
preparato?» Judi ci stava chiamando dall’altra parte della cucina,
interrompendo quella che sarebbe sicuramente stata un’altra ricca
scopata consumata proprio lì dove ci trovavamo.
Wes si mise a ridere, le labbra ancora contro le mie. Con una
mano mi stringeva la vita, così da tenere i nostri corpi appiccicati,
mentre con l’altra mi palpava il culo con una sonora strizzata alla
chiappa. Un brivido di eccitazione cominciò a serpeggiare nelle mie
viscere.
Strofinai il naso contro il suo. «Abbiamo tu o il tempo del mondo:
adesso andiamo a mangiare. Sei troppo sciupato» dissi mentre gli
passavo una mano sul pe o nudo, lungo le costole. Aveva perso un
po’ di peso, ma questo non aveva compromesso affa o la perfezione
del suo tono muscolare e neanche gli addominali scolpiti. I suoi
fianchi, sexy da impazzire, erano ancora più stre i di prima; come
una freccia che puntava dri a in direzione di ciò che tanto mi
ammaliava. Gli appoggiai una mano sul membro, già mezzo duro.
«Più tardi?» Era una promessa, più che una domanda.
Mi strinse il sedere ancora più forte, sfregandosi contro il mio
clitoride. Oddio, era in grado di centrare i miei punti sensibili senza
il minimo sforzo. «D’accordo, tesoro, ma ricordati che mi appartieni,
giorno e no e.»
Sbuffai e raccolsi i capelli in una specie di crocchia improvvisata,
tenuta insieme dall’elastico che avevo arrotolato intorno al polso.
Qualche ciocca mi incorniciava il viso, ma il suo sguardo corse lungo
le mie gambe nude, fino alle cosce esibite con generosità, e sul mio
pe o, dove i seni nudi tendevano il tessuto della maglie a. Mi stava
scopando con gli occhi e io di riflesso strinsi le gambe, nel tentativo
di trovare un po’ di sollievo.
«Sei un bruto» replicai, e gli feci l’occhiolino.
Si avvicinò e, tenendomi una mano a orno alla vita, strinse con
forza il mio pe o contro il suo. Si chinò su di me e mi bisbigliò
all’orecchio: «Oh, tesoro, non sai quanto. L’unica cosa che mi ha
tenuto in vita è stato il pensiero del tuo corpo, delle tue labbra rosa
stre e a orno al mio membro e della tua fiche a calda e stre a che
mi accoglie dentro di sé. Ti prenderò con la brutalità di un
cavernicolo». Il suo respiro mi stuzzicava il lobo dell’orecchio, le sue
parole erano seducenti ed eccitanti, mentre mi diceva: «Ti voglio, ti
desidero, ora e per sempre».
Mi stavo sciogliendo tra le sue braccia. «Non potremmo saltare la
colazione?» chiesi ad alta voce, speranzosa. Il mio sesso si era
risvegliato e non vedeva l’ora di essere preso.
«Neanche per idea, ho preparato un sacco di leccornie per
festeggiare il ritorno a casa del mio ragazzo. Venite qui, tu i e due.»
Judi ci rimproverò sbuffando, e io e Wes non riuscimmo a tra enere
una risata. Eravamo distru i per la stanchezza, felici di esserci
ritrovati, pieni di desiderio l’una per l’altro: un delirio di emozioni!
«Okay, Judi, veniamo subito» disse Wes, arrendevole.
Io feci il broncio, e riuscii a mantenerlo fino al momento in cui mi
sede i e mi ritrovai davanti un pia o fumante colmo di pance a,
uova e pancake, accompagnato da un bicchiere di succo di fru a.
Sbirciai il pia o di Wes e vidi che era come il mio, e fui invasa da
un’improvvisa felicità. Di colpo avevo una fame da lupo, per la
prima volta dopo se imane, anche se sembravano passati anni.
Vedere Wes che mugolava di piacere nell’addentare un pancake fece
crescere il mio appetito a dismisura. In men che non si dica mi ero
riempita di cibo a tal punto che sarei uscita dalla cucina rotolando.
«Judi, hai superato te stessa» disse Wes ripulendo accuratamente
il pia o. Aveva l’aria stanca, gli si chiudevano gli occhi. Nell’ultimo
mese ne aveva viste di tu i i colori, più di quante la gente normale
vede in un’intera vita.
«Che ne dici di una doccia?» gli proposi.
Spalancò gli occhi, il verde dei suoi occhi sembrò diventare più
chiaro: sapevo che voleva dire che era eccitato.
Si alzò e mi prese per mano, aiutandomi a scendere dallo sgabello.
«Certo, ti seguo.»
Feci una risatina e mi misi ad ancheggiare mentre andavo verso la
camera da le o. «Vuoi solo guardarmi il culo, lo so.»
«Esa o.»
3

Quando mi infilai so o l’acqua, il vapore aveva già invaso tu a la


cabina. Wes aveva uno di quei soffioni con effe o pioggia che, fissato
molto in alto, riempiva tu o lo spazio di rilassanti ge i d’acqua
tiepida. Altri due erogatori sui lati del box re angolare erano perfe i
per massaggiare la schiena e il pe o. L’hobby di Wes era il surf, non
mi stupiva che avesse bisogno di farsi massaggiare da quei ge i
d’acqua per alleviare la tensione di una giornata trascorsa nelle
acque gelide dell’Oceano Pacifico.
Lui entrò in bagno, si sfilò i pantaloni del pigiama e aprì la porta
di vetro. Lasciai che il mio sguardo vagasse senza alcun pudore
lungo tu o il suo corpo nudo. Si era tolto la medicazione: una linea
che partiva dalla giugulare arrivava fin dietro il collo, costellata di
piccoli punti di sutura.
Trovai il coraggio di avvicinarmi, sentendo la sua possente
erezione contro la pancia mentre tentavo di guardare da vicino le
tracce ancora fresche della ferita. Feci il gesto di allungare una mano
verso il suo collo, lui si irrigidì di colpo ma mi lasciò esaminare la
ferita libera dal bendaggio.
«Come hai fa o a sopravvivere a una cosa del genere?» gli
domandai, sapendo che la maggior parte delle persone a cui sparano
al collo muoiono quasi subito dissanguate.
«Gina» disse, come se fosse una risposta.
Mi accigliai, rendendomi conto di non avergli neanche chiesto se
era ancora viva. «Ce l’ha fa a anche lei?»
Annuì bruscamente: se prima era rigido, con quella domanda si
era trasformato in un blocco di marmo. «Tecnicamente, sì.» Fu tu o
quel che disse, e non gli chiesi ulteriori particolari. Adesso che era
tornato a casa, mi avrebbe raccontato che cosa era successo quando
q
fosse stato pronto a farlo. Non me ne intendevo molto, ma sapevo
che insistere troppo perché rivivesse subito quei momenti avrebbe
potuto anche essere pericoloso. E poi non volevo che si allontanasse
da me, anzi, e così ricorsi a una tecnica diversa: tenerlo vicino e
circondarlo con il mio amore. Era la stessa che lui aveva usato con
me quando gli avevo confessato che cosa era successo tra me e
Aaron. Avrei cercato di saperne di più in seguito.
«D’accordo.»
Deglutì e mi mise una mano sulla vita, stringendomi forte a sé.
«Quando mi hanno sparato, lei è intervenuta con grande prontezza.
Mi ha fasciato la ferita, esercitando la pressione necessaria per
evitare che perdessi troppo sangue prima dell’arrivo dei soccorsi.
Sono stato il primo a essere tirato fuori.»
Passai un dito sulla ferita. «Fa male?»
«Sì, quando mi muovo o quando deglutisco» rispose.
Volevo togliergli il pensiero del dolore e tornare all’atmosfera
gioiosa di poco prima, così cominciai a baciarlo vicino ai punti per
poi spostarmi e ritrovarmi davanti al suo pe o. «Ti va se provo a
fartelo passare?»
Wes sorrise, gli occhi gli luccicavano per il desiderio. Si leccò le
labbra, la vista della sua lingua mi fece venire una certa voglia, ma
c’era un’altra parte del suo corpo che reclamava le mie a enzioni.
Gli baciai il pe o e con la lingua scesi sempre di più, fino
all’ombelico, e a quel punto mi inginocchiai sulle fredde ma onelle
del pavimento. Wes prese l’asciugamano che avevo appeso al box e
lo ge ò a terra. L’acqua scurì il tessuto beige. Assunsi un’aria
interrogativa. Lui accennò con la testa alle mie gambe. «È per le tue
ginocchia, non voglio che ti facciano male.»
Sorridendo, sistemai l’asciugamano so o le ginocchia e afferrai i
fianchi di Wes. Mi protesi in avanti, sfiorando con la bocca aperta la
parte inferiore della sua pancia. Lui si appoggiò alla parete di
ma onelle mentre io, piena di desiderio, afferravo il suo membro
alla base e lo tenevo stre o tra le mani. Mi dondolava davanti alla
faccia, turgido, la punta gonfia che sfiorava appena il mio labbro
inferiore. Senza staccare gli occhi dai suoi, cominciai a leccare la
so ile fessura in cima.
«Oh, merda» geme e, chiudendo gli occhi.
«Tieni gli occhi aperti, Wes» gli dissi. Nelle mie parole c’era una
sfumatura di ansia e di sofferenza.
Mi passò una mano tra i capelli e ne afferrò una ciocca all’altezza
della nuca. «Mia, tesoro, sono qui. Sto aspe ando che la mia donna
appoggi le sue graziose labbra rosa sul mio membro e la sua bocca
celestiale mi faccia scordare tu o il resto.»
Quando, durante il sesso, il linguaggio di Wes diventava volgare e
lui usava quel tono di comando, io non capivo più niente. Una specie
di scossa ele rica partì dalla punta delle mie dita e mi a raversò
tu a, per scaricarsi sul clitoride, turgido e indolenzito.
Prima che potesse pronunciare un’altra parola, in un colpo solo mi
infilai in gola il suo grosso pene.
«Così, sì, così… Oh, merda… è bellissimo» disse con un ruggito,
mentre io avevo le guance scavate a forza di succhiarlo e leccarlo.
Mi piaceva da morire che parlasse quando facevamo sesso, mi
faceva sentire come una regina, in grado di trasportare il mio uomo
da una ve a di piacere all’altra, senza fine. Giocherellavo con il suo
membro, passandogli la lingua dappertu o. Mentre mi impegnavo a
dargli piacere, una litania di imprecazioni e una serie interminabile
di sospiri gli uscivano dalle labbra. Allungai una mano e gli afferrai
le palle, mentre me lo spingevo sempre più in fondo. Lui continuava
a stringermi forte i capelli, ed era una situazione nuova per me, non
l’aveva mai fa o prima. Era come se temesse che lo lasciassi in
sospeso. Oppure, forse, voleva solo esercitare più controllo.
Mentre lo spingeva sempre più in profondità nella mia bocca,
cominciai a sentire che c’era qualcosa che non andava.
Alzai lo sguardo e ciò che vidi non mi piacque affa o: Wes aveva
gli occhi aperti, ma non stava guardando me, stava fissando il muro
con un’espressione vacua. Mi tirai indietro e lui mi strinse i capelli
ancora più forte, cercando di costringermi a prenderglielo di nuovo
in bocca. Non sapevo più se era con me nella doccia oppure disperso
da qualche parte tra le colline che circondavano la tenuta di Malibu.
Feci un brusco movimento all’indietro liberando il suo pene, che gli
rimbalzò sull’addome.
«Ehi, torna qui con me» gli dissi, cercando di coprire il rumore
dell’acqua che scrosciava intorno a noi. Non rispose. «Wes!» Lo
chiamai più forte.
Si riscosse di colpo. «Cosa c’è?» Sba é le palpebre due o tre volte e
mi accarezzò il viso con grande delicatezza, sfiorandomi appena con
la punta delle dita. Così andava meglio, era di nuovo l’uomo a cui
avevo scelto di donare la mia vita.
«Tieni gli occhi su di me, voglio che tu mi guardi mentre ti regalo
tu o il mio amore.»
Mi sorrise, e io non vedevo una cosa tanto bella da una vita. In
quel sorriso c’erano le nostre passeggiate sulla spiaggia, il surf tra le
onde dell’oceano, i pranzi nei ristoranti speciali, il fare l’amore, i baci
scambiati finché le labbra non cominciavano a screpolarsi. Era il mio
uomo, stava bene ed era tu o intero, presente e concentrato su di
me.
Gli presi di nuovo il pene in bocca e ricominciai con rinnovata
energia da dove mi ero interro a. Me lo infilai dentro fino in fondo
continuando a guardarlo, senza mai staccare lo sguardo dal suo. Mi
sfiorava il viso con la punta delle dita e ansimava, gemeva,
sospirava, non sme eva di incitarmi.
«Oddio, Mia, la tua bellezza mi confonde. Senza di te non mi
sento completo» disse quando cominciai a gemere mentre glielo
succhiavo. Lo sentivo tremare so o le mie mani. «Così mi fai venire.
Adesso sme ila: voglio scoparti contro la parete della doccia.» Era
una specie di ordine, ma non gli diedi ascolto.
Invece di obbedire, gli feci segno di no con la testa: ero
fermamente intenzionata a farlo andare in orbita. Succhiavo sempre
più forte, ero quasi meglio di un aspirapolvere! Gli sfioravo
delicatamente la pelle ormai ipersensibile con i denti e lui reagiva
muovendo i fianchi con brevi affondi ritmati. Teneva una mano
appoggiata alla parete e con l’altra mi accarezzava il viso. Passò il
pollice sulle mie labbra, proprio dove erano tese e allargate intorno
al suo membro.
«Adesso mandi giù tu o, vero, amore mio?» Continuò a dare
piccoli colpe i mentre io lo incitavo, dandogli il ritmo giusto.
Annuii, sempre tenendolo in bocca, e me lo spinsi giù fino in gola.
Capii che era quasi pronto, e sapevo che sentire la stre a della mia
gola l’avrebbe condo o oltre al punto di non ritorno.
«Cazzo, cazzo, cazzo» continuava a ripetere mentre mi riempiva
del suo seme caldo. Io ingoiai tu o, un ge o dopo l’altro,
assaporando ogni goccia di quel ne are salato.
Quando il ritmo dei suoi affondi iniziò a rallentare, mi calmai,
continuando ad accarezzare con la lingua la sua erezione che si
faceva man mano più rilassata, leccando e succhiando finché non si
fermò definitivamente.
Mi prese le braccia con le mani robuste e mi aiutò ad alzarmi, poi
mi abbracciò, stringendo il mio corpo nudo al suo mentre avvicinava
le labbra alla mia bocca. Prese il controllo di quel bacio, e decise di
farlo con calma.
Continuammo a baciarci so o la doccia finché l’acqua cominciò a
farsi tiepida e il suo membro diventò di nuovo duro. La mia
eccitazione irrorò le sue dita maliziose, due delle quali erano già
riuscite a farsi strada dentro di me. Nel sentire con quanta facilità il
mio corpo gli dava libero accesso gli sfuggì un gemito. Tra le cosce
ero completamente fradicia, non solo a causa della doccia. L’a o di
portarlo lì, di inginocchiarmi davanti a lui, di so ome ermi al suo
piacere mi eccitava oltre ogni limite. Adoravo fargli i pompini, ma
sopra u o adoravo avere quel tipo di potere su un uomo tanto forte.
«Vieni con me. Devo riprendere confidenza con alcune parti del
tuo corpo.» Mi spinse fuori dalla doccia e mi avvolse in un morbido
asciugamano.
«Davvero?»
«Sì. Ora me iti sul le o, apri bene le cosce: voglio affondare la
faccia in mezzo a quelle belle gambe affusolate, vederti perdere il
controllo mentre ti faccio venire. Preparati, Mia, perché non mi
accontenterò di farti godere una volta sola.» Lasciai cadere
l’asciugamano, salii sul le o e aprii le cosce, senza che lui sme esse
di fissarmi. I suoi occhi si fecero di colpo scuri, al punto che
sembravano aver perso ogni sfumatura di verde.
Quando l’asciugamano scivolò giù dai fianchi del mio uomo, mi
venne l’acquolina in bocca, ma cercai di contenermi: avevo appena
q pp
smesso di succhiarglielo e l’avrei già voluto in bocca di nuovo. Forse
avrebbe optato per un sessantanove, così da perderci l’uno nell’altra
allo stesso tempo.
Wes appoggiò prima un ginocchio e poi l’altro sul le o prima di
avvicinarsi alle mie gambe spalancate. Aprì i petali del mio sesso con
le dita e intanto si abbassò e cominciò a leccarmi dal basso verso
l’alto.
«Mmh. Lo sai, vero, che cosa ho intenzione di farti stasera?» mi
chiese, con la voce impastata dal desiderio.
Restai in a esa, col fiato sempre più corto. Il suo pollice si
muoveva intorno al nodo del piacere in lente spirali e io sollevavo il
bacino perché ne desideravo ancora.
«Ho voglia di giocare con la tua fiche a bagnata fino a farti
perdere i sensi, e poi te lo me erò dentro e mi addormenterò con il
cazzo dentro di te e la testa vicino alle tue te e, a portata di lingua.
Ti piace l’idea, tesoro?»
«Oh, merda» sospirai, l’immagine evocata dalle sue parole era
eccitante in modo devastante.
«Bene, il programma è esa amente quello» disse, poi mi diede
una sonora pacca sul sedere prima di tuffare la testa tra le mie
gambe.

Stavo facendo forse il sogno più bello della mia vita, quando quel
momento di serenità fu improvvisamente interro o da una serie di
urla da far gelare il sangue. Nel sogno, io e Wes eravamo su un’isola
tropicale, senza nient’altro da fare che godere l’uno dell’altra, giorno
e no e. Era un sogno sexy, sporco, e con le sembianze quasi di una
luna di miele. Questo almeno finché le urla dell’uomo sdraiato
accanto a me irruppero in quell’angolo di paradiso e mi trascinarono
di colpo nel mezzo di un inferno.
Wes era avvolto nelle lenzuola e scuoteva la testa da una parte
all’altra, si inarcava, non sme eva di gridare. Era tu o sudato e io
cercai di toccarlo, ma appena appoggiai il braccio su di lui, lo scacciò
via con forza.
«Non toccarmi! Stai lontano da lei!» gridò con tu o il fiato che
aveva in corpo.
p
Che cazzo stava succedendo? Saltai giù dal le o e accesi la luce,
me lui non smise di dimenarsi. Le spire maligne del suo incubo non
volevano lasciarlo andare. Da qualche parte avevo le o che se
qualcuno si agita nel sonno non bisogna toccarlo, perché si rischia di
essere colpiti. Non sapendo cos’altro fare, presi il bicchiere che
tenevo sul comodino, elevai una preghiera al grande capo su in cielo
e rovesciai l’acqua addosso al mio uomo.
Lui spalancò gli occhi e si tirò su a sedere agitando le braccia, con
i pugni serrati e pronti a colpire. Be’, ero davvero contenta di aver
le o quell’articolo sui terrori no urni, altrimenti mi sarei ritrovata a
terra con un occhio nero.
«Mia! Mia!» continuava a gridare Wes, guardandosi intorno con lo
sguardo vacuo e senza me ere a fuoco. Mi avvicinai abbastanza
perché mi potesse vedere. «Oh, grazie al cielo stai bene.» Mi prese
per la vita e mi sba é sul materasso, poi fu sopra di me in due
secondi. Lenzuola e coperte erano già state scalciate giù dal le o e
lui si fece strada a forza di baci sul mio collo, le spalle e poi giù fino
ai seni. Non perse tempo a levarmi la cano iera, si limitò ad
abbassare le spalline e a liberare le te e. Cominciò a succhiarmele,
fece scivolare una mano nelle mutandine e mi infilò due dita nel
sesso bollente. Ero più stre a del solito, ma lui non sembrava
curarsene: era perso nel suo mondo, e solo io potevo curarlo.
Mi sfilò gli slip senza tanti complimenti, non era passato neanche
un minuto da quando l’avevo svegliato e già mi ritrovavo inchiodata
al materasso, con il suo membro duro che cercava la via di casa. Era
una macchina, continuava a sba ermi senza sosta, senza alcuna
delicatezza. Sembrava che il suo unico desiderio fosse liberarsi dalla
stre a di quegli artigli che tormentavano il suo fragile subconscio.
«Ti amo, ti amo, ti amo» cantilenava, mentre affondava dentro di
me, un colpo dopo l’altro. «Non andartene.» Lo strinsi a me ancora
più forte, sentivo il suo bacino sfregare contro il mio clitoride e
questo scatenava ondate di eccitazione sempre più travolgenti,
nonostante il dolore provocato dal suo ritmo forsennato. Ero schiava
di quel corpo così virile, e lui era il mio signore e padrone.
Mentre mi scopava senza pietà, Wes teneva gli occhi chiusi e si
mordeva il labbro inferiore. Mi stringeva i fianchi con le sue mani
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forti, facendo sba ere i nostri corpi l’uno contro l’altro. Mi
martellava senza sosta e intanto mormorava parole prive di senso,
una serie di preghiere commoventi, pronunciate come se io non fossi
lì ad ascoltarlo.
«Ti voglio.» Bam.
«Ho bisogno di te.» Bam.
«Resta con me.» Bam.
«Non lasciarmi.» Bam.
«Ti amo.» Bam.
«Sei mia.» Bam.
Con le braccia e le gambe avvolte a orno a lui lo stringevo più
che potevo, come se cercassi di proteggere l’uomo che amavo.
Lui rallentò il ritmo forsennato dei fianchi e aprì gli occhi. «Mia,
sei qui. Mi appartieni.» C’era una sorta di stupore reverenziale in
quelle parole, come se temesse che io potessi scomparire da un
momento all’altro.
«Sì, sono qui, sono vicino a te.» Mi strinsi ancora di più a lui,
volevo che sentisse il calore del mio corpo, la forza della mia intimità
stre a intorno a lui.
I suoi occhi erano lucidi e segnati. «Devo riuscire a liberarmene, a
ogni costo.» Sembrava disperato, e io avrei fa o qualunque cosa per
scacciare quei fantasmi e circondarlo con la luce del nostro amore,
che era la nostra vita.
«Puoi fare di me ciò che vuoi» gli sussurrai e intanto gli baciavo i
capelli, la fronte, ovunque potessi arrivare finché l’intensità con cui
mi prendeva non mi impedì di fare qualunque altra cosa che non
fosse stringerlo a me.
Wes fece scivolare le braccia so o la mia schiena e mi afferrò per
le spalle. In questo modo riusciva a esercitare una forza senza senso
e cominciò ad aumentare a poco a poco il ritmo, facendomi tremare e
ba ere i denti so o i colpi del suo membro duro come l’acciaio e
liscio come il velluto. Non potevo fare altro che resistere e lasciarmi
trasportare, e Dio solo sapeva quanto fosse devastante. Verso la fine,
quando il filo so ile che lo teneva ancorato alla realtà era sul punto
di spezzarsi, infilò una mano tra i nostri due corpi e mi massaggiò il
clitoride finché non raggiunsi il piacere. Quel gesto di cortesia, il
gg p g
bisogno tipico di Wes di dare piacere, mi ricordò che l’uomo che
amavo era, per il momento, un’anima persa, ma con il mio aiuto
avrebbe trovato il modo di uscire da quel tunnel oscuro e tornare
alla luce.

Nei giorni successivi lo schema fu più o meno sempre quello: di


giorno, quando in qualche modo riusciva a essere se stesso, Wes
faceva l’amore con me; di no e, mi sba eva selvaggiamente, si
serviva del mio corpo per cercare di scacciare gli incubi e ritrovare la
strada di casa.
La quarta no e dopo il suo ritorno, esausta per la forza con cui mi
aveva scopata, mi girai appoggiandomi sul suo pe o. L’ansia e la
paura che avevano preso il sopravvento dal momento in cui l’avevo
svegliato durante l’incubo e poi durante l’incessante fuoco di fila
delle scopate successive lo abbandonarono, finalmente, nel momento
in cui si svuotò dentro di me. Mi coccolò a lungo riempiendomi di
teneri baci e mormorandomi parole piene di pentimento e amore.
Pentimento per avermi usata per motivi egoistici e amore perché
sapeva che l’avrei fa o ancora e poi ancora, finché non si fosse
liberato del fantasma malvagio che abitava i suoi ricordi. Le parole
senza senso pronunciate mentre facevamo l’amore indicavano che
doveva essere passato a raverso un’ordalia terrificante. Gli serviva
un aiuto ben più consistente del temporaneo sollievo che gli
procurava il corpo della donna che amava. Il mostro che si aggirava
nella sua mente doveva essere eliminato, così come io avevo
eliminato il mio dopo essere stata assalita da Aaron.
Decisi dunque che era il momento di affrontare l’elefante nella
stanza, almeno quel tanto che perme esse a Wes di fare il primo
passo sulla strada che l’avrebbe condo o alla guarigione.
«Tesoro, devi farti vedere da qualcuno per questi incubi, e anche
per il modo in cui reagisci.» Chinai il mento e lo baciai all’altezza del
cuore.
Lo sentii irrigidirsi. «Sei arrabbiata perché uso il tuo corpo? Non
lo faccio apposta. Cazzo, Mia, davvero non so…» Si passò una mano
tra i capelli. «L’unica cosa che lo fa sme ere sei tu.»
«Wes, va benissimo così, sono felice di darti ciò che ti fa stare
meglio. Ma cos’è esa amente che riesco a far sme ere?» Era la prima
volta che glielo chiedevo da quando era tornato a casa.
Posò i suoi occhi sui miei. «I ricordi. Spuntano fuori quando
dormo, e io non riesco a scacciarli.»
«Vuoi dire finché il tuo corpo e la tua mente non hanno
qualcos’altro su cui concentrarsi?» gli chiesi con un sorriso ironico,
nel tentativo di alleggerire un po’ la conversazione.
Ora nel suo sguardo c’era una nota di timidezza. «Sì, più o meno»
mi rispose con un sospiro, mentre mi accarezzava la schiena nuda.
Dopo aver usato il mio corpo per il suo piacere, sentiva l’esigenza di
entrare in conta o con me a un livello più emotivo. Passava lunghi
momenti ad accarezzarmi, e credo che fosse il suo modo per
accertarsi che io stessi bene.
«Ti va di raccontarmi uno dei tuoi ricordi?» Tra enni il fiato,
cercando di apparire forte, abbastanza da poter ascoltare qualunque
cosa mi avesse raccontato.
Wes scosse la testa e serrò la mascella. «È meglio che quella
schifezza non ti entri nella testa.»
«Io però ti ho raccontato di Aaron.» Wes stava per aprire la bocca
e so olineare la differenza tra le due situazioni, ma io non mollai la
presa e continuai. «Lo so anch’io che non è la stessa cosa, ma per me
è stato un evento traumatico. Quella storia mi ha fa a andare fuori
di testa, e i tuoi ricordi ti procurano ancora tanta sofferenza. Se
vogliamo fare squadra, essere uniti su tu i i fronti, dobbiamo saper
accogliere l’una il dolore dell’altro, levarcelo di dosso così da non
essere più schiacciati da quel peso. In fondo, se siamo in due a
sopportarlo, diventa più leggero. Fai un passo alla volta, comincia a
raccontarmi di quando ti hanno sparato.»
Wes chiuse gli occhi e deglutì. Ci mise così tanto a riaprirli che
pensai che si fosse addormentato, o quasi, finché non iniziò a
parlare. «Ci tenevano incatenati al muro, con le braccia legate sopra
la testa. Non ho mai provato una sensazione così terrificante come
quella causata dall’impossibilità di muovere le braccia. Ci
prendevano continuamente a calci, o ci tiravano delle cose addosso,
oppure ci sputavano in faccia. Pensa alla cosa più tremenda che ti
pp p p
viene in mente, e probabilmente noi l’abbiamo vissuta. Quel giorno
avevo capito che stava per succedere qualcosa. Quei tipi avevano
smesso di scherzare e di trastullarsi con i loro gioca oli: i gioca oli
eravamo noi, naturalmente. Si comportavano in modo strano,
avevano sempre la voce tesa e incazzata. Sembravano spaventati,
forse sapevano che cosa stava per succedere. Poi, all’improvviso, c’è
stata una sparatoria e si è sentito il rombo degli elico eri. Io non
sapevo che cosa pensare.»
Fece un respiro profondo e io gli tolsi una ciocca ribelle dalla
fronte. Smise di parlare per un po’, e io teme i che non avrebbe
ripreso. «E poi cos’è successo?» Non volevo fargli pressione, ma
sapevo che aveva bisogno di togliersi quel peso dal cuore.
Quando aprì gli occhi, aveva un’espressione decisamente tetra.
«Due di loro si sono bu ati in ginocchio e hanno iniziato a pregare,
come avrebbe fa o chiunque in preda alla paura. Hanno pregato.
Subito dopo, quando il rumore della sparatoria si è fa o più forte e
si sentiva il suono di stivali che percuotevano il suolo e di voci che
impartivano ordini in inglese, uno dei due ha sollevato la pistola e si
è fa o esplodere la testa. L’altro mi ha guardato con un’aria piena di
disgusto e ha cominciato a sparare all’impazzata. Gina ha lanciato
un urlo, e le sue braccia sono cadute verso il basso. Una pallo ola
l’aveva colpita a una gamba mentre un’altra aveva reciso di ne o le
corde che la tenevano legata, di fa o liberandole le braccia.»
Il respiro di Wes diventava sempre più affannoso, così mi chinai
su di lui per baciargli il pe o, il collo, la fronte, il naso. «Va tu o
bene, tesoro, sono qui con te. Continua, raccontami il resto.»
Mi cinse la nuca con la mano, ma non voleva baciarmi, solo
tenermi ferma, mentre mi guardava negli occhi. «Poi l’uomo mi si è
avvicinato gridando qualcosa di incomprensibile e mi ha puntato la
pistola alla testa. Al momento dello sparo, la porta della baracca è
stata scardinata o, meglio, è andata le eralmente in fumo. Quando
l’uomo si è girato in quella direzione c’è stato un altro sparo e l’ho
visto crollare a terra con il foro di un proie ile in mezzo agli occhi.»
Mi strinsi ancora di più a lui, lo sentivo tremare mentre ascoltavo
con a enzione ogni singola parola.
«Gina si era liberata e teneva premuto sul mio collo uno straccio
che aveva trovato per terra, mentre una squadra di soldati americani
me eva la stanza in sicurezza. Li sentivo impartire ordini dentro un
walkie-talkie o qualcosa del genere, non sono sicuro. Poi ricordo che
uno di loro mi trasportava di corsa verso un elico ero. Non mi
dimenticherò mai il frastuono di quel momento, era davvero
terrificante. Esplosioni, spari, grida, gente che piangeva.» Scosse la
testa e si passò una mano sulla faccia. «Sai, Mia, io scrivo film con
scene di quel tipo, ma non hanno nulla a che vedere con la realtà.»
«Nulla è paragonabile alla paura agghiacciante che ti a anaglia
quando ti tengono prigioniero in quel modo. Anche quando sono
stato liberato dai soldati, ero ancora convinto che sarei morto, che
non avrei potuto sopravvivere dopo quello che era successo. E
Gina… Oh, merda…» Cominciò a piangere, le lacrime gli rigavano le
guance. «Oddio, tesoro, che cosa non le hanno fa o» disse
singhiozzando. «Non si riprenderà mai più.»
Mentre lo abbracciavo sentivo le sue lacrime bagnarmi la pelle.
Adesso eravamo sistemati in modo che mi trovavo in braccio a lui,
con le gambe intorno ai suoi fianchi. Mi teneva addosso come una
coperta rassicurante, io continuavo ad abbracciarlo anche quando
sentivo le sue lacrime cadermi sulle spalle e scorrermi lungo la
schiena. Gli ripetevo in continuazione quanto fosse coraggioso, che
era tu o finito, che l’avremmo superato insieme, ma lui non
sme eva di piangere. Era sul punto di andare completamente in
pezzi ma io ero con lui, e l’avrei rimesso in sesto un po’ alla volta.
Alla fine, Wes cadde in un sonno agitato, continuando a tenermi
abbracciata, senza mai allentare la stre a. Ero la sua salvezza, e in
fondo mi andava bene così.
4

«Piantala!» intimai a Wes con una risatina quando mi toccò il sedere.


Sentirlo ridere era un balsamo per la mia anima. Canticchiava a
bocca chiusa e intanto si prendeva un altro assaggio del mio culo.
«Non ce la faccio.» Mi strofinò il naso sul collo e poi cominciò a
mordicchiarmi. «Stai bene con questa gonna, molto di classe. Merda,
avrei dovuto portarti a qualche riunione nel mese che abbiamo
passato insieme. Hai un’aria da bibliotecaria perversa che ti si addice
alla perfezione.» Mi appoggiò il membro contro la schiena, sentivo
che gli stava già diventando duro.
Avevo optato per una semplice gonna a tubo nera e una camice a
di seta blu. Judi mi aveva assicurato che era molto professionale e
sarebbe stata perfe a per l’incontro con i dirigenti del programma
televisivo del do or Hoffman alla Century Productions. L’unica
raccomandazione che mi avevano fa o era di non indossare nulla di
verde: molti degli sfondi, infa i, sarebbero stati verdi, il che
significava che, se avessi indossato anch’io lo stesso colore, sarei
scomparsa tra le immagini che la regia avrebbe inserito intorno a me.
Venne fuori che il programma non aveva pagato la tariffa per i
miei servizi da escort, come mi ero immaginata. Una società di
produzione famosa non avrebbe mai potuto firmare un assegno a
un’azienda che si chiamava Exquisite Escorts, e così Millie aveva
preparato un contra o a parte in cui lei risultava la mia agente. Il
compenso per la mia partecipazione era sempre di centomila dollari,
il che mi avrebbe garantito il denaro necessario per ripagare Blaine.
Denaro che, in realtà, ora avrei restituito a mio fratello. Max mi
aveva guardata come se fossi pazza quando gli avevo proposto delle
rate mensili, ma in ogni caso i soldi gli sarebbero stati restituiti,
punto e basta.
p
Per il lavoro di un anno con la Exquisite Escort, circa nove mesi
prima avevo dovuto lasciare l’altro agente che mi seguiva. Il fa o che
Millie avesse la capacità manageriale necessaria per gestire anche
questo nuovo tipo di accordo mi stuzzicava da morire, l’agente di
prima non mi aveva procurato nulla di redditizio o di utile per la
mia carriera, così quando l’avevo mollato non c’erano stati patimenti
particolari da nessuna delle due parti.
Stringendo la mano di Wes mi concessi qualche momento di
abbandono totale prima di fare una piroe a, stampargli un casto
bacio sulle labbra e ingranare la retromarcia. E lui, con gli occhi pieni
di gioia, allungò un braccio per ca urarmi, stringendomi a sé con le
sue braccia muscolose.
«Ehi, così non vale» protestai mentre gli davo dei pugni sul pe o.
«Sei troppo forte per me» continuai, con aria imbronciata.
«È meglio che ti abitui, perché niente riuscirà a impedirmi di stare
con te. Non l’avevi ancora capito?» Fece una smorfia e cominciò a
coprirmi di baci la clavicola, poi il collo e infine l’orecchio. «Mmh» lo
sentii mormorare, e quel suono fu sufficiente perché fossi trafi a da
una scarica di incontenibile desiderio.
«Oh, Wes» geme i, rovesciando la testa all’indietro per facilitargli
il compito. Con quella bocca riusciva a farmi cose che mi
rincretinivano all’istante. Ogni volta che mi toccava mi trasformavo
in una specie di oca senza cervello. «Tesoro, devo andare, è il mio
primo giorno di lavoro.»
Mi leccò delicatamente l’orecchio, mentre mi palpava il culo.
«Okay, okay, so che devi andare.»
Gli diedi un altro bacio sulle labbra. «E tu che programmi hai per
oggi?» gli chiesi con una certa trepidazione, che tentai di dissimulare
dietro un timido sorriso.
Lui alzò le spalle e allargò le mani, che poi lasciò cadere sulle
cosce. «Credo che farò un po’ di surf, magari vado un po’ in palestra,
qui a casa.» Si passò le mani sul pe o. «Devo darmi da fare per
tornare in forma.»
Allungai una mano e gli sistemai un ciuffo ribelle. «Devi tagliarti i
capelli» gli dissi, arrotolandomi una ciocca intorno all’indice.
«Allora andrò a tagliarmi i capelli» riba é, con un tono
vagamente seccato.
«Ehi.» Lo abbracciai forte e appoggiai la guancia sul suo pe o.
«Era solo un’idea.» Lo guardai negli occhi, sempre con il mento sul
suo pe o. Erano del loro normale verde brillante, ma segnati dalla
stanchezza.
Mi accarezzò la schiena e circondandomi la nuca con una mano
mi a irò a sé finché le nostre labbra non si sfiorarono. «Non devi
preoccuparti di me, piu osto stai a enta al tuo Do or Amore.»
Alzai gli occhi al cielo. «Ma quel tipo è sposato con una top
model.»
«Già, una top model giovane e magra come un grissino. Dai re a
a me.» Spinse in avanti il bacino, poi mi accarezzò i fianchi e mi coprì
i seni con le mani. «Non appena vedrà questo ben di Dio, di sicuro
rimpiangerà di essersi preso un misero sorbe o, quando poteva
avere una torta farcita.»
Gli sbuffai sul collo. «Sbaglio o mi hai appena paragonata a un
dessert?»
Rise e borbo ò: «Sei più gustosa di qualunque prelibatezza. Per te
non è difficile, tesoro».
Mi staccai da lui e presi la borsa. «Fai il bravo oggi, sentirò la tua
mancanza.» Mi girai e gli mandai un bacio da lontano.
«Piccola, mi mancherai più di quanto tu possa immaginare.» Mi
salutò con un cenno della mano e io uscii in quella soleggiata
ma ina californiana.
La limousine mi stava aspe ando. Di solito avrei preferito guidare
Suzi, visto che ultimamente me l’ero goduta poco, ma Wes aveva
insistito. E poi avevo una gonna a tubo molto sexy, che però rendeva
impossibile stare in sella a una moto.
Appena mi fui sistemata sui morbidi sedili di pelle nera dell’auto
feci un profondo sospiro, mi sembrava di aver tra enuto il fiato per
mesi. Le parole con cui Wes mi aveva salutato mi erano rimaste
appiccicate addosso, come quei profumi dozzinali che ti avvolgono
quando passi davanti alle profumerie dei centri commerciali.
“Piccola, mi mancherai più di quanto tu possa immaginare.”
Una parte di me sarebbe voluta restare a casa con lui, ad annusare
il suo profumo no e e giorno. Solo che questo non ci avrebbe fa o
fare nessun passo avanti verso la guarigione. Se Wes stava male,
anch’io avevo i miei problemi da affrontare.
Quando era perseguitato dai terrori no urni si consolava con il
mio corpo, poi si girava dall’altra parte e si addormentava. Era allora
che cominciava la mia sofferenza. Restavo sveglia il più a lungo
possibile a guardarlo dormire, mi consolava il fa o che fosse di
nuovo a casa, sano e salvo, e di nuovo mio. Però non era del tu o
vero: Wes era vivo, sano fisicamente, ma la sua mente stava andando
in pezzi.
Dopo una se imana trascorsa con lui, sapevo che aveva bisogno
di aiuto ed era una responsabilità mia, come sua compagna di vita,
trovare quel che gli serviva. Più tardi, nel corso della serata, mi sarei
messa a cercare un terapeuta. Forse avrei telefonato a sua sorella
Jeananna per sentire il suo parere. Wes non avrebbe voluto che
parlassi a sua madre dei terrori no urni e neanche del fa o che non
aveva più voglia di ricominciare a lavorare. Non provava alcuna
emozione quando la conversazione toccava le sue passioni più
autentiche, cioè fare film e scrivere sceneggiature. Claire si sarebbe
subito preoccupata da morire e sarebbe partita in soccorso di suo
figlio, come se fosse un bambino di cinque anni. Ma Wes di anni ne
aveva ormai trenta e non aveva affa o bisogno di quel tipo di
a enzioni quanto piu osto di ritrovare se stesso, capire su cosa
poteva contare e dire addio a ciò che aveva perduto così da poter
ricominciare a vivere la sua vita.
Pensavo che, con il tempo, avrebbe superato il trauma che aveva
subito e si sarebbe fa o una ragione anche della perdita di tanti
membri del suo team, alcuni dei quali erano stati uccisi davanti ai
suoi occhi. Non osavo pensare alle conseguenze sulla sua psiche.
Wes aveva bisogno di staccare per qualche mese: aveva tanti di quei
soldi che non sapeva cosa farsene, dunque non era un’idea
impossibile da realizzare. Forse prendersi un periodo sabbatico dopo
il trauma che aveva subito sarebbe stata la scelta più saggia.
Una bionda sui vent’anni, elegante e ovviamente magra come un
chiodo, mi guidò lungo i corridoi della Century Productions. «Dovrà
presentarsi in ufficio ogni giorno alle nove in punto.» Guardò
l’orologio e fece una smorfia di disgusto.
Ok, ero in ritardo di qualche minuto. L’uomo all’ingresso mi
aveva indicato il posto sbagliato, e così, pur essendo partita con
mezz’ora di anticipo, ero riuscita ad arrivare un po’ in ritardo.
«Certo, adesso che conosco la strada arriverò prima.»
La donna, che con una punta di orgoglio si era presentata come
“Shandi con la i”, segretaria personale del do or Hoffman, annuì
con un rapido cenno del capo e continuò di buon passo. Il ticche io
dei suoi tacchi vertiginosi sul pavimento era perfe amente
sincronizzato con il ba ito del mio cuore. Erano mesi che non mi
sentivo addosso tanta fre a, mi ero scordata che a Hollywood tu o
si muove alla velocità della luce. Per stare al passo bisognava essere
molto, molto veloci.
«Qui ci sono trucco e guardaroba.» Shandi mi indicò una stanza
con molte sedie sistemate di fronte a una serie di grandi specchi
incorniciati da lampadine a bulbo, quelle in grado di far risaltare
tu e le rughe e le imperfezioni del volto. Non ero affa o entusiasta
all’idea di sedermi su una di quelle sedie. Quando tornai a guardare
Shandi, mi accorsi che stava osservando la mia gonna e la camice a.
«L’abbigliamento può andare, è abbastanza elegante, ma bisogna
fare qualcosa per i capelli. Non è un documentario sulle tribù
dell’Amazzonia. Li tiriamo un po’ indietro, magari facciamo una
leggera messa in piega, così gli diamo un aspe o più elegante e
professionale.» Si ba é il mento con la punta del dito perfe amente
curato. «La telecamera l’adorerà. Quasi quanto Drew.» Si voltò e
riprese a camminare, ma non riuscì a nascondere un’espressione di
disappunto.
Arrivammo davanti a una porta con la scri a DREW HOFFMAN in
grandi cara eri bianchi dentro una stella. Shandi bussò.
«Entra, Shandi» disse una voce flautata.
«C’è Ms Saunders. Aveva de o di volerla incontrare prima che
parlasse con gli sceneggiatori se non sbaglio.» Shandi si trasformò
completamente davanti ai miei occhi. L’aria corrucciata era sparita,
p p
sostituita da un sorriso smagliante, e anche lo sguardo carico di
disprezzo se n’era andato. I suoi occhi adesso erano spalancati e
pieni di energia. Mentre parlava con quell’uomo che io ancora non
vedevo, le sue guance assunsero una deliziosa sfumatura rosea.
«Certo, certo, cara, falla entrare.»
Cara?
Shandi aprì le braccia e mi fece entrare nella stanza. L’uomo che
mi accolse era esa amente come l’avevo immaginato. Più vecchio di
me di almeno una quindicina d’anni, anche se dal suo aspe o non si
sarebbe de o, aveva i capelli neri appena striati di grigio sulle
tempie. Era molto più imponente di quanto apparisse in televisione,
forse perché indossava sempre il camice che nascondeva la sua
corporatura. Era alto più di un metro e o anta e portava un’elegante
camicia infilata dentro un paio di pantaloni che me evano in risalto
ogni de aglio del suo corpo. Adesso capivo perché erano tu i in
estasi per il “bel do ore”: era sexy da morire!
«Davvero straordinaria» disse dandomi la mano. Gliela strinsi e
lui mise l’altra mano sopra la mia, con una stre a di mano doppia.
Non lo faceva più nessuno!
«Lei è molto più bella di persona che in fotografia» disse con
entusiasmo.
«Neanche lei è tanto male, do ore.» Pronunciai quel complimento
con una voce soave e vellutata: il do or Drew Hoffman era un figo
pazzesco. Questo non significava che avrei voluto saltargli addosso e
scoparlo fino al giorno dopo, ma il fa o che il mio cuore e il mio
desiderio appartenessero a Wes non significava che fossi morta, e
nemmeno che fossi insensibile a un esemplare di maschio di prima
categoria.
Mi fece il baciamano. «Sono felice di conoscerla, Ms Saunders.
Non vedo l’ora di scoprire come sarà la sua striscia quotidiana. I
media hanno una vera passione per lei, sopra u o dopo che il video
del Latin Lover è diventato virale. Lei è ormai una celebrità,
apprezzata da moltissime persone.»
Sbuffai, non proprio una risposta degna di una signora. «Ehm, mi
sa che l’hanno informata male. Io non sono affa o famosa, sono
uscita con uomini famosi, questo sì, e ho anche girato un video, ma è
tu o qui.»
Lui fece schioccare la lingua e mi lasciò andare la mano, il che fu
una buona cosa perché il fa o che continuasse a stringerla stava
diventando imbarazzante. Si diresse a un tavolo e cominciò ad aprire
qualche rotocalco e alcuni ritagli di giornale. «E allora di questi che
cosa mi dice?»
Mi avvicinai e guardai ciò che mi stava indicando. Non ero
preparata per ciò che vidi. Una dozzina di riviste con le mie foto in
copertina. Una era con Tony, un’altra con Mason, la campagna
pubblicitaria con lo sca o insieme alla modella MiChelle fa o alle
Hawaii. C’era anche una doppia pagina dedicata a me e ad Alec
durante la presentazione di Amore su tela a Sea le. Sembrava che il
fotografo in quella serie di sca i avesse posto un’a enzione
particolare a ogni minimo gesto di Alec nei miei confronti, dallo
sfiorarmi senza volere a quelle che sembravano vere e proprie
avances. C’era anche una foto che sembrava suggerire che io fossi la
nuova fiamma di Anton Santiago e che al momento lo stessi
cornificando con il bellone di turno, Weston Channing.
In preda alla frustrazione spinsi le riviste lontano da me. «Non so
davvero che cosa dire.»
Drew si sede e sul divano e allargò le braccia, raramente avevo
visto qualcuno così rilassato. Quell’uomo era il padrone
incontrastato del suo territorio, re assoluto del suo castello e nessuno
si sarebbe sognato di infastidirlo in qualche modo.
«Non c’è nulla da dire, lei è la prossima “ragazza del momento”, e
ho intenzione di trarne dei vantaggi.»
Alzai le spalle e andai a sedermi di fronte a lui mentre Shandi ci
preparava qualcosa da bere al tavolino accanto alla porta. Mi mise
davanti una tazza di caffè che non avevo chiesto, ma gliene fui
davvero grata. Niente mi dava sui nervi più delle persone che
traevano conclusioni sbagliate su di me. Anche se, in realtà, un sacco
di cose erano vere e quindi era sopra u o questione di limitare i
danni.
«Grazie, Shandi, ora puoi andare.» Drew congedò la sua
segretaria dagli occhi scintillanti con un cenno della mano. Bevve un
g g
sorso di caffè e poi si rivolse di nuovo a me. «Allora, ha già deciso di
cosa parlare per la prima puntata di venerdì?»
Socchiusi gli occhi e appoggiai le mani sulle ginocchia. «In che
senso? Non ho ancora avuto il copione.»
Lui ge ò la testa all’indietro e spalancò gli occhi. «Mi sta dicendo
che il suo agente non gliel’ha spiegato?»
Sollevai d’istinto le sopracciglia. «Ehm, spiegato cosa,
esa amente?»
Fece un sorrisino dandosi una pacca sul ginocchio. «Mia cara, sarà
lei a scrivere l’intera striscia Sani e belli. È tu o centrato su di lei, su
come vede la bellezza. Abbiamo fa o qualche ricerca sulla base del
suo lavoro come modella per “La bellezza si esprime in tu e le
forme” e Amore su tela e anche sul video ed è saltato fuori che esiste
un segmento di pubblico che si ispira a lei, e ciò che a lei sembra
rilevante sul tema della bellezza avrà certamente un’eco sul nostro
pubblico.»
«Non sta scherzando, vero?»
Scosse la testa. «Mi sa di no, mia cara. A quanto pare, è meglio che
faccia una chiacchierata con il suo agente e poi si me a al lavoro.
Voglio la traccia dei suoi quindici minuti entro mercoledì. In questo
modo avremo il tempo per vederci, discuterne e quando venerdì
registreremo il programma sarò in grado di accordarmi con i temi
che tra erà lei insieme al pubblico che sarà con me in studio.»
Ecco che di punto in bianco dovevo riuscire a tirare fuori uno
speciale di quindici minuti per Sani e belli. Ma che cosa cazzo mi
aveva fa o firmare Millie? Io ero convinta di dover recitare, di dover
fare una parte, e invece la parte ero io, era la mia vita reale. Fui
a raversata da un brivido di paura ed eccitazione allo stesso tempo.
Sarei stata in grado di farcela? Era davvero possibile che riuscissi a
tirare fuori qualcosa che interessasse qualche milione di persone,
spingendole a guardarlo nell’ambito del programma del do or
Hoffman? L’avrei scoperto presto. Chissà se Wes mi avrebbe dato
una mano: poteva essere l’occasione giusta per aiutarlo a ritrovare la
sua passione.
All’improvviso non vedevo l’ora di cominciare, di ascoltare le
idee del mio uomo e di tirare fuori qualcosa in grado di sbalordire i
q g
produ ori e il do or Hoffman.
«E quindi ora che cosa devo fare?» chiesi al do ore, molto sexy e
un po’ sbruffone.
«Si me a al lavoro. Ci vediamo mercoledì per la riunione di
preproduzione. Non mi deluda. Ho chiesto personalmente di avere
lei per la trasmissione, mi aspe o grandi emozioni per i miei
spe atori.»
Mi alzai e mi diressi verso la porta. Prima di uscire mi girai e mi
ge ai i capelli dietro le spalle. «Sarà una cosa devastante, non vorrà
più lasciarmi andare.»
«Bene, me lo dimostri» riba é, facendomi l’occhiolino.
Uscii dall’ufficio senza più voltarmi. Il do or Hoffman aveva un
ego piu osto sviluppato, e tra l’altro mi guardava come un
bocconcino appetitoso, non tanto però da farmi temere che sarebbe
passato alle vie di fa o. Magari era una brava persona, intrappolata
in un involucro appariscente e sexy. I miei sensori antistronzo non
erano sca ati e dopo l’esperienza con Aaron ero sempre all’erta.

Mentre tornavo a casa tirai fuori il telefono e chiamai Millie.


«Exquisite Escorts buongiorno, sono Stephanie.»
«Ciao, Stephanie, sono Mia. Riesci a passarmi mia zia per favore?»
«Ehi, ciao, fanciulla! Sono contenta di sentirti. Ms Milan mi ha
de o che hai smesso con il lavoro di escort. Va tu o bene?»
Era impossibile non me ersi a ridere. Certo che avevo lasciato
quel lavoro, veramente non avevo mai voluto entrarci, e adesso che
il mio debito era stato saldato me ne potevo andare in cerca di
pascoli più verdi. Poiché Max aveva pagato Blaine, Millie aveva
annullato i miei contra i di novembre e dicembre. Per adesso, avrei
fa o alcune strisce per il programma del do or Hoffman e, se mi
avessero rinnovato il contra o, forse anche qualcuna in più.
Dipendeva tu o dal fa o che il lavoro mi piacesse o meno e che loro
apprezzassero il contributo che ero in grado di dare.
«Va tu o benissimo, grazie. Facevo quel lavoro solo per poter
pagare alcuni debiti contra i dalla mia famiglia. Ora che è tu o
sistemato ho voltato pagina e sono tornata a casa a Malibu.
Comunque, mia zia c’è?» le chiesi, tornando allo scopo della
telefonata.
«Ah, sì, certo. Riguardati, e fa i sentire ogni tanto» disse, prima di
passarmi mia zia.
«Ciao, bambolina, come te la passi nel regno del silicone e del
ritocco facile?»
«Mah, più o meno come me l’aspe avo. Senti, zia, c’è qualcosa che
ti sei dimenticata di dirmi per quanto riguarda la mia partecipazione
a Sani e belli?» le chiesi, e dal mio tono si capiva che era una
domanda retorica.
Riuscivo a sentire il ticche io della tastiera dall’altra parte della
linea. «Non saprei. Ci hanno mandato il contra o, io l’ho le o, l’ho
fa o vedere ai nostri legali ed era tu o a posto. Non girarci intorno,
però: qual è il problema?» Aveva un tono molto professionale e lo
apprezzai: voleva dire che aveva preso seriamente il suo ruolo di
agente.
«Millie, non mi hai mai de o che avrei dovuto scrivermi tu o io.»
Mormorò qualcosa senza sme ere di lavorare al computer.
Riuscivo a immaginarmela mentre leggeva le mail e faceva correre le
dita sulla tastiera per combinare incontri tra uomini soli e donne
calde come il fuoco. «Non capisco dove sia il problema. Non fare la
tonta, tesoro, arriva al punto.»
Sospirai. «Millie, devo scrivere io la sceneggiatura. Da zero, ogni
volta.»
«E allora? Sei una ragazza sveglia, meravigliosa e molto creativa.
Per te sarà una passeggiata.»
Feci un gemito e cominciai a tormentarmi una ciocca di capelli
mentre osservavo le macchine che percorrevano la superstrada so o
la mia finestra. C’erano sei corsie per ogni senso di marcia, ma le
auto erano tu e appiccicate tra di loro.
Mi passai la lingua sulle labbra. «Sarebbe stato carino sapere in
anticipo che cosa mi aspe ava.»
«Senti, dolcezza, ti ho mandato una copia del contra o, e c’era
spiegato in ogni de aglio che cosa dovevi fare. L’hai firmato, e mi
dispiace che tu non l’abbia le o. E per il futuro, sappi che non
firmerò mai più, e ripeto: mai più, un contra o senza prima
assicurarmi che tu l’abbia le o con la massima a enzione.»
Quel commento mi fece infuriare ancora di più. «Ma sei tu il mio
agente, avresti dovuto farmelo notare.»
«Stai dando la colpa a me perché non ti sei preparata
adeguatamente? Bambolina, non sai quanto mi dispiace, davvero,
ma mi prenderò la responsabilità di non averti preparata bene solo
nel caso in cui tu fossi sconvolta o turbata. E in ogni caso non avrei
mai dato il consenso a quel contra o se non avessi creduto che fosse
la mossa giusta per te. Come a rice sei brava, ma non eccezionale,
dobbiamo affrontare la realtà, e poi non sei molto portata a lavorare
con gli altri. In quel tipo di ambiente, invece, sei tu che devi
prendere le decisioni. Certo, devi fare in modo che siano questioni di
tua competenza e che i vari dirigenti, sopra u o il do or Hoffman,
le approvino, ma poi sei a posto.»
Fece una breve pausa, come per assicurarsi che avessi capito
prima di continuare. «Per ogni puntata tu prendi venticinquemila
dollari, tesoro, molto più di quello che prenderesti con dieci spot di
assorbenti o di test di gravidanza. Per la tua carriera è un’o ima
mossa. Forza, afferra il toro per le corna e vedi di tirarne fuori
qualcosa. È la tua occasione.»
Millie aveva ragione, era davvero la mia occasione. Era il
momento giusto per dimostrare che potevo fare qualcos’altro oltre a
posare come modella fingendo di essere ciò che non ero o di fare la
bella statuina al fianco di qualcun altro. Non che mi dispiacesse:
stare al fianco di Wes era tu o per me, ma era una questione
personale, privata, una cosa tra noi. Questo lavoro, questa
possibilità, invece era una cosa soltanto mia. Era arrivato il momento
per Mia Saunders di muovere il culo e farsi valere. Un treno del
genere passava una volta sola nella vita, e non avevo alcuna
intenzione di perderlo.
«Sai una cosa, zie a? Hai proprio ragione.»
Si mise a ridere. «Certo che ho ragione. Tesoro mio, io ho sempre
ragione. Ora torna al lavoro: è venerdì, e questo significa che hai solo
cinque giorni per trovare l’idea giusta. Non vedo l’ora di guardarla
in TV , penso che registrerò sempre il programma.»
p g p p g
Era bello sentire che mia zia, l’unica parente da parte di madre
che mi era rimasta, avesse tanto a cuore il mio futuro da pungolarmi
perché riuscissi ad avere successo. Mia zia Millie Colgrove poteva
anche essere una fredda donna d’affari i cui interessi si trovavano un
po’ al confine della legalità, ma di sicuro aveva un cuore, che ba eva
per me.
«Grazie per la fiducia che mi dimostri.» Pronunciai quelle parole
in un sussurro incomprensibile, mi costava fatica tirarle fuori.
Lei borbo ò. «Bambolina, è molto più che semplice fiducia la mia.
Su la testa, andrà tu o benissimo.»
Dovevo credere che avesse ragione.
Sarebbe andato tu o benissimo. Quella frase continuò a
risuonarmi nella testa finché l’autista non si fermò davanti alla
tenuta e io scesi dalla limousine. Entrai in casa pronta a raccontare a
Wes gli avvenimenti della ma ina, ansiosa di sentire il suo parere su
Sani e belli, ma la scena che mi si presentò davanti mi fece crollare il
mondo addosso.
Wes, il mio Wes, era abbracciato a una brune a, una che tra l’altro
conoscevo fin troppo bene. Lei era aggrappata alla sua schiena, con
le dita piantate nelle sue spalle. Il volto della ragazza era rivolto
verso di me, con gli occhi chiusi, mentre Wes guardava nella
direzione opposta. Ero impietrita, in silenzio, sentivo solo il ba ito
del mio cuore. A un certo punto lei sollevò la testa. Il suo viso era
inondato di lacrime.
Eccola lì, la donna che non avrei mai più voluto rivedere. Gina
DeLuca se ne stava seduta sul mio divano, nella mia nuova casa, tra
le braccia del mio uomo. Ma che diavolo!
5

Non sapendo che cos’altro fare mi schiarii la gola, sperando di farmi


sentire. In effe i ci riuscii, la coppia si sciolse dall’abbraccio e si voltò
verso di me. Wes nel vedere la mia faccia si alzò in piedi di sca o,
come se si fosse ustionato. Poi prese la mano di Gina e fece alzare
anche lei.
«Ah, Mia, ehm… Non ti aspe avo a casa così presto» disse,
passandosi una mano tra i capelli spe inati. Ovviamente, quella
frase non fu di grande aiuto per a enuare l’imbarazzo della
situazione.
Pessima mossa, amico. «Sì, lo vedo. Volete che vi lasci soli?» dissi,
a denti stre i.
Wes spalancò gli occhi, guardò Gina, poi guardò me. «Oddio, no!»
disse, alzando le mani. «Tesoro, guarda che non è come sembra.»
«Ah, no? Sai, perché sembra proprio che l’uomo che amo stia
consolando la sua ex mentre io sono al lavoro.»
Wes si allontanò da Gina scuotendo la testa. «Piccola, ti sbagli,
non è così, non farti venire strane idee.» Mi si avvicinò e allargò le
braccia, ma io feci un passo indietro. Le braccia gli ricaddero lungo i
fianchi.
«È meglio che tu mi dica che cos’è questa storia allora, prima che
io mi incazzi sul serio» lo avvisai, con le braccia conserte. Volevo
quasi me ermi a ba ere il tempo con il piede perché si sbrigasse,
prima di esplodere di rabbia.
«Senti, Mia, io e Wes non stavamo facendo nulla di male» disse
una voce che proveniva da dietro le spalle di lui. Gina si era coricata
sul divano e solo a quel punto mi accorsi che aveva una gamba
completamente ingessata, e vicino a lei era appoggiato un paio di
stampelle. Quando si mise in piedi, mi accorsi che il suo corpo non
p p p
aveva più la consueta vivacità. Era dimagrita e pallida come un
fantasma. Osservai con grande a enzione ciò che era rimasto della
vera Gina DeLuca, dalla testa, dove i capelli castani erano spenti,
senza la brillantezza e lo splendore che un tempo avrebbero fa o
invidia a uno spot della Pantene, fino ai piedi. Non era più la donna
che avevo conosciuto a gennaio, sembrava il guscio vuoto di quella
che un tempo era una bellezza straordinaria.
Sba ei le palpebre diverse volte, non sapevo cosa rispondere. Wes
ne approfi ò per venirmi vicino e appoggiarmi un braccio intorno
alle spalle. «Mia, Gina è venuta solo a trovarmi. Fa parte della sua,
ehm…» Le parole gli morirono in gola.
«Della mia terapia.» Fu Gina a completare la frase. «Mi stupisce
che tu non gliel’abbia ancora de o, Weston.» Aveva lo sguardo triste,
gli occhi spenti, scavati.
Per qualche motivo mi fece piacere che l’avesse chiamato con il
suo nome completo e non con il diminutivo che usavo io di solito.
Mi aiutò a cogliere la distanza che c’era tra loro, e in quel momento
ne avevo davvero bisogno.
«Non era una cosa che potevo dirle io» spiegò Wes, serio.
Gina si sistemò i capelli, si asciugò gli occhi e mi guardò. «Il mio
terapeuta dice che devo vedere gli altri sopravvissuti, restare in
conta o con le persone che hanno vissuto quello che ho vissuto io,
così da ricordare a me stessa che sono ancora viva. Sto tentando di
continuare a vivere: ecco perché sono venuta qui, Mia.» Le tremava
la voce. «Wes mi stava solo consolando. Ne abbiamo viste di tu i i
colori, laggiù e… sì, mi sento al sicuro vicino a lui.» Mentre parlava,
altre lacrime le rigavano le guance. «Non mi sento più al sicuro da
nessuna parte, non importa se c’è qualcuno che fa la guardia o se ci
sono catenacci a tu e le porte.» Si passò una mano sull’avambraccio.
«Sono sempre terrorizzata.» La sua voce tremava a tal punto che mi
venne voglia di andare ad abbracciarla.
Sentirla confessare le sue paure e raccontare ciò che stava
passando mi commosse. «Mi dispiace. Non avrei dovuto pensare
male. Voi due ne avete viste tante insieme. Continuate pure a
chiacchierare, non mi dà alcun fastidio, davvero. Per favore…» Feci
cenno a Wes di sedersi vicino a quella donna così fragile.
q g
«Prendetevi tu o il tempo che volete. Per un a imo è saltato fuori il
mostro dagli occhi verdi ma ho fiducia in Wes e credo nel nostro
amore. Non mi tradirebbe mai.»
«È vero, non lo farei mai» disse Wes, con gli occhi che brillavano
di una luce che non avrei saputo definire, ma che sapevo essere
reale. Gli diedi un rapido bacio sulle labbra, per fargli capire
concretamente che tra noi era di nuovo tu o a posto.
«Vado a farmi una doccia, poi chiamerò Maddy e Ginelle.»
«Ok, noi qui avremo finito prima di cena.»
Me ne stavo già andando, ma mi fermai e mi voltai indietro.
«Gina, sono davvero felice che tu ce l’abbia fa a. Wes ti vuole bene, e
so che voi due insieme ne avete viste di co e e di crude. Sentiti
dunque libera di venire a trovarci tu e le volte che vuoi, ci tengo che
stiate bene tu i e due. Nessuno dovrebbe vivere prigioniero della
paura.» Mi strinsi nelle spalle. «Insomma, quello che sto cercando di
dirti è che spero di rivederti presto, ecco.»
Dove i fare affidamento a tu e le mie forze per riuscire a
pronunciare quelle parole, e appoggiarmi alla parte di me più adulta
e matura, sopra u o perché prima che succedesse quel disastro
dall’altra parte del mondo di certo non mi sarei mai augurata di
rivedere Gina vicino a Wes, o comunque coinvolta in qualche modo
nella nostra vita. Ora, però, dovevo comportarmi come una persona
responsabile e matura. Loro due avevano condiviso un’esperienza
traumatica, di quelle che ti segnano, e se davvero volevo provare ad
aiutare Wes, forse dare una mano a Gina era la cosa giusta da fare.
Valeva sicuramente la pena fare buon viso a ca ivo gioco, se questo
avrebbe potuto far compiere anche un solo passo avanti a Wes nella
sua lo a contro i demoni che lo abitavano. Per aiutarlo a guarire,
avrei senz’altro messo a tacere il mostro dagli occhi verdi.
«Ti ringrazio, Mia, sei davvero buona» replicò Gina, la voce
debole e un po’ tremante.
Le sorrisi e annuii, non sapendo cos’altro fare.
«Ehi, tesoro?» disse Wes.
«Dimmi, amore» gli risposi, la mano appoggiata sullo stipite della
porta del corridoio che conduceva alla nostra camera.
«Ti amo ogni giorno di più.»
g g p
Non mi limitai a udire le sue parole, le sentii arrivare fin nel
profondo nel cuore, dove le avrei custodite al sicuro fino alla fine dei
tempi.

Mi sdraiai sul nostro le one gigante e chiamai Ginelle.

«Ciao, stronze a» mi rispose, ma senza il solito tono pimpante e


scherzoso.
Nell’ultimo mese la mia migliore amica era stata so oposta a
prove durissime. Il rapimento e le violenze subite da parte di Blaine
e dei suoi scagnozzi l’avevano indurita, e io non riuscivo nemmeno a
capire quanto, poiché lei nascondeva tu o so o una maschera di
spavalderia e finto buonumore.
«Che cosa stai facendo?» le chiesi, con l’idea di cominciare una
normale chiacchierata. Avevo voglia di sentirla di nuovo rilassata e
spiritosa come un tempo, di sentire i suoi coloratissimi epiteti, che
però le uscivano dal cuore. Magari era un modo un po’ strano per
esprimere affe o, ma tra noi funzionava così e io la rivolevo indietro.
Gina fece un sospiro, poi la sentii inspirare e subito espirare. Oh,
no, no poi ancora no. Conoscevo bene quel suono, l’avevo sentito al
telefono per anni.
«Stai fumando?» gridai nel telefono sedendomi di sca o sul le o.
«Non ci posso credere! Cosa diavolo combini, Gin? Sono o o mesi
che non dai nemmeno un tiro, e adesso ricominci? Sul serio?» Stavo
malissimo per lei, sapevo che in un a imo avrebbe rovinato o o
mesi di sforzi.
«Rilassati, troie a» mi rispose. «È una sigare a finta, una di quelle
ele roniche. Dentro c’è solo della schifezza alla menta e un po’ di
vapore, almeno mi ricorda le sigare e al mentolo che fumavo
prima.»
Emisi un sospiro pieno di frustrazione. «Ma perché la fumi,
scusa? Non è proprio il gesto di fumare l’abitudine da cui ti vuoi
liberare? Non è controproducente quel tipo di sigare a?»
«Senti, Mia, ho passato un periodo di merda, ok? Avevo una
fo uta voglia di fumare, e al posto delle sigare e mi sono comprata
questa schifezza finta per cercare di calmare lo sba imento. Tu non
q p
sei qui, non hai la più pallida idea di quanto sia difficile gestire
questa situazione da sola.»
Fu in quel momento che l’atmosfera della telefonata cambiò di
colpo e, mentre Ginelle continuava a parlare, si caricò di rabbia e di
frustrazione.
«Odio il mio lavoro, odio il mio appartamento e odio
malede amente vivere a Las Vegas. Tu o mi fa venire in mente lui.
Ogni volta che mi giro, mi sembra di vederlo.» La sentii
singhiozzare, una rarità per una tipa stoica e solida come una roccia.
«Anche solo quando vado a prendere l’auto, mi viene il terrore che
mi rapiscano di nuovo. Una volta ho dovuto chiedere al mio
manager, uno stronzo come pochi, di accompagnarmi perché ero
convinta che quel bastardo fosse lì ad aspe armi. Ti rendi conto di
cosa significa tu o questo?» Ovviamente era una domanda retorica.
No, non riuscivo a rendermene conto, e se avessi potuto, avrei
preso il suo posto anche subito. L’unica cosa positiva era che
finalmente riusciva a sfogarsi. Ero a pezzi, travolta dal senso di
colpa, dalla rabbia e dalla tristezza. Avrei voluto abbracciarla, dirle
che tu o si sarebbe sistemato, ma avevo le sue stesse paure. Il fa o
che fosse a Las Vegas da sola non ci avrebbe certo aiutate a risolvere
i nostri problemi. C’era però una buona notizia, e cioè che avevo
parlato a Wes delle mie preoccupazioni. Aveva stentato a credere alle
sue orecchie quando gli avevo raccontato i disastri che erano
successi durante il periodo in cui eravamo stati lontani. Era stato
allora che avevo fa o una cosa che avevo giurato di non fare mai, e
cioè avevo chiesto un favore al mio uomo, un favore di tipo
professionale. Mi ero ripromessa di non fare mai una cosa del genere
con nessuno dei miei clienti. In realtà l’avevo già fa o con Warren,
ma quella era una situazione diversa, perché lui era in debito con
me, e non di poco. Ero stata ripagata però, e il suo debito era stato
cancellato quando aveva raccolto informazioni che solo lui avrebbe
potuto trovare sui movimenti di Wes.
Tornando al presente, avevo chiesto a Wes se per caso sapeva di
qualche spe acolo a Los Angeles a cui servisse una brava ballerina, o
se c’era qualcuno a cui lo straordinario talento di Ginelle nella danza
avrebbe potuto essere utile. Wes aveva fa o qualche telefonata, tirato
p q
i fili giusti e nel giro di due se imane, se Gin avesse voluto, avrebbe
potuto far fare alla sua carriera un salto notevole.
«Ehi, tesoro, adesso cerca di calmarti e ascoltami.»
Sentii che frugava da qualche parte e poi si soffiava il naso.
«Ok, adesso sono seduta sul le o, dimmi tu o.»
«Ho una proposta per te.»
La sentii ridacchiare, e quel suono era più soave di un’intera
opera lirica cantata in italiano. «Vuoi che mi me a a lavorare per zia
Millie?» mi chiese, un po’ sogghignando e un po’ sbuffando. Era uno
dei nostri tormentoni preferiti.
Anche se Gin continuava a dire che le sarebbe piaciuto fare la
escort, in realtà non era per nulla il tipo di donna in grado di
starsene tra le braccia di qualche ricco uomo d’affari senza fare una
piega. Io avevo avuto fortuna con gli uomini a cui ero stata
assegnata, ma il mio era un caso eccezionale, e nessun’altra ragazza
avrebbe potuto avere il mio stesso tra amento speciale. Millie su
questo era stata molto chiara: qualunque altra ragazza avrebbe avuto
il tra amento standard, e le sarebbe toccato uscire con qualche
noiosa cariatide o con qualche bastardo pieno di soldi che di certo
alla fine della serata avrebbe preteso un servizio extra. Gin sparava
un mucchio di cazzate, ma non era fa a per quel tipo di vita, anche
se si facevano un sacco di soldi.
«Non proprio, non ha nulla a che vedere con le escort.» Inspirai
profondamente e cercai di fare mente locale. «Cosa ne dici di venire
a vivere a Malibu? Potresti trasferirti da noi per un po’, finché non ti
sarai sistemata.» Avevo appena cominciato a parlare, ma lei mi
interruppe subito.
«Lo farei di corsa, Mia, ma non risolverebbe i miei problemi di
lavoro. Non mi va di trasferirmi lì con l’idea che poi, forse, un giorno
troverò un lavoro. Ci potrebbero volere mesi, e voi due avete appena
ripreso a stare insieme. Lui ha già abbastanza problemi di testa per
conto suo, come me del resto. Davvero saresti disposta a farti carico
di un’altra fuori di zucca?»
«Certo che lo farei, ma non mi hai lasciata finire. Wes ha degli
amici che gestiscono un piccolo teatro da queste parti. Fanno un
genere di balle o abbastanza spinto, e hanno perso il loro
g p p
coreografo. E chi meglio di una vera artista del burlesque potrebbe
insegnare a quelle pu anelle pelle e ossa con le te e rifa e a
muovere il culo come si fa negli show di Las Vegas? Sarebbe davvero
una cosa epica!» “E divertente da morire” pensai tra me.
Ginelle rimase zi a per un bel po’ e mentre aspe avo che parlasse
avevo i sudori freddi.
Quando finalmente aprì bocca, la sua voce era piu osto bassa.
«Vuoi dire che mi hai trovato un lavoro come coreografa? In un
teatro di Los Angeles? Mio Dio» disse, con un tono a metà tra lo
stupore e l’estasi.
«Gin, per ora non conosco con precisione i termini della
questione, ma di sicuro guadagnerai più di adesso, molto di più. E
poi non dovrai pagare l’affi o. Puoi sistemarti nella piccola
dépendance vicino a casa nostra, per me puoi anche starci per
sempre.»
«Cioè, tu e Wes non solo mi avete trovato un lavoro da sogno, ma
mi offrite anche una sistemazione a costo zero e per tu o il tempo
che voglio? E l’opportunità di trasferirmi nello Stato del Sole, dove
ha già piazzato il culo la mia amica del cuore?»
Ripassai mentalmente quel che aveva de o, nel caso mi fossi
persa qualcosa. C’era altro con cui avrei potuto tentarla? Qualcosa
che l’avrebbe convinta ad acce are subito questa opportunità? «Sì,
più o meno è così.»
«Ma ti sei bevuta il cervello, per caso?»
Feci un respiro profondo e mi gra ai la fronte. «No, non mi pare,
ma posso controllare» le risposi con una risatina.
«Allora tira fuori le lenzuola, pu anella! La tua amica del cuore
sta per arrivare in California. Oh, cazzo! Farò la coreografia di uno
spe acolo di burlesque a Los Angeles. Non ci posso credere! Ma non
ho niente da me ermi!» Era passata dalla depressione più nera a
un’esaltazione incontrollata. Questa era la versione di Ginelle che
conoscevo e amavo, molto più di tu e le altre. La sua felicità era
contagiosa e riuscì a filtrare a raverso il telefono e ad avvolgere tu e
le mie preoccupazioni e la mia malinconia in un abbraccio di
gratitudine.
«Davvero?» le chiesi, per essere sicura di aver sentito bene.
p
«Diavolo, certo che sì! Comincio a preparare i fo uti bagagli già
stasera. Devo fare una montagna di cose: dare le dimissioni,
preparare le valigie, pensare alla coreografia, guidare fino in
California. Lo sai che cosa significa tu o questo per me, Mia?»
Feci un largo sorriso e avvicinai ancora di più il telefono
all’orecchio. «Forse comincio a rendermene conto!» le risposi
ridendo. Sprizzava gioia da tu i i pori e la mia sensazione di calore e
di felicità mi diceva che avevo fa o la cosa giusta, almeno stavolta.
«Significa che la mia vita cambia completamente, e in meglio! E
devo ringraziare te e il tuo Ken per tu o questo. Chiama anche lui,
voglio dargli un enorme abbraccio virtuale» disse lei, in tono
estatico.
Scossi la testa e mi coricai di nuovo sul le o prima di rispondere.
«Non può venire, in questo momento sta parlando con Gina.»
Ci fu un a imo di silenzio, in cui sentivo solo il suo respiro un po’
affannoso perché, così mi immaginavo, correva da una parte all’altra
della casa già impegnata nei preparativi. «Scusa? Che cosa ci fa
quella rubafidanzati faccia di merda a casa tua, a parlare con il tuo
uomo mentre tu non ci sei?»
«Eh, piano con tu i questi “tuo”, “tua”…»
«Già, e allora? Secondo te, ho torto? Quello è il tuo uomo, ci
mancherebbe altro.»
«Certo, ma mi fido di lui» dissi, avvolgendomi una ciocca a orno
a un dito. «Ne hanno viste di tu i i colori insieme, Gin. Lui ha
appena cominciato a fare qualche passo verso la guarigione, ma lei è
completamente a pezzi.»
«Tanto meglio!» esclamò, senza pensarci. La mia amica era un
libro aperto, prote iva nei miei confronti tanto quanto io lo ero nei
suoi, e secondo lei Gina mi aveva fa o un torto. In realtà
tecnicamente non era proprio così, perché quando Wes aveva avuto
una relazione con lei era un ba itore libero, e poi in quel momento io
mi scopavo Tai. La sua storia con Gina era servita a farmi capire con
quanta intensità desiderassi essere l’unica donna con cui lui faceva
l’amore, dormiva, si scambiava baci e tu o il resto.
Dovevo tenere so o controllo il lato vendicativo di Gin,
sopra u o se lei stava per trasferirsi qui, perché era molto probabile
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che le strade di quelle due donne si sarebbero incrociate. «No,
Ginelle, non è affa o meglio. Se avesse perso tu i quei chili perché
vomitava quello che mangiava, o si drogava, o se la paura nei suoi
occhi fosse quella di non trovare lavoro o se qualche stronzo le
avesse spezzato il cuore allora sì, ne avrei gioito. Ma il fa o è che
laggiù hanno subito dei traumi indicibili. Cose che non sono sicura
di essere in grado di ascoltare, ma che dovrò farmi raccontare per
aiutare Wes a guarire. Ha visto cose che ancora oggi gli causano
incubi. E se la guarigione di Gina lo potrà aiutare, io devo trovare la
forza per crescere ed essere più matura, capisci?»
Ginelle smise di colpo di scherzare. «Le hanno fa o delle cose
tanto orrende?» Sussurrava, come se qualcun altro potesse sentirla e
lei volesse mostrarsi rispe osa.
«Credo piu osto cose… irreparabili» risposi con sincerità, non
sapendo quali altre parole avrei potuto usare.
«Be’, sei una donna migliore di me, allora.»
Le risposi con una risatina «Oh, ci voleva tanto a capirlo?» Il tono
della conversazione cambiò di nuovo e tornò a essere più leggero, il
nostro solito tono.
«Ma che troie a che sei! Va bene, questa te la concedo, ma solo
perché mi hai trovato il lavoro che ho sempre sognato e mi perme i
di trasferirmi nella tua tenuta di Malibu. Lo sai, vero, che potrei non
andarmene mai più?»
Alzai le spalle e sorrisi. «Magari sarò io a non volerlo!» In realtà,
forse no. Maddy era a Las Vegas, dove c’era anche papà, mentre
Millie e Wes vivevano qui. Max e il suo clan stavano in Texas e le
altre persone a cui volevo bene erano sparpagliate ovunque. La
presenza di Gin vicino a me avrebbe alleggerito parecchio quel peso.
«Come sta papà?»
«Mah, i parametri vitali cominciano ad andare bene e secondo i
do ori si risveglierà. Pare che sia solo questione di tempo, gli esami
dicono che il cervello è a posto. Il virus e la reazione allergica non gli
hanno creato problemi così gravi come avevano immaginato loro, e
ne è uscito bene.»
Chiusi gli occhi e ringraziai il grande capo su in cielo. Aveva
risparmiato mio padre e si era dimostrato misericordioso, e adesso si
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tra ava solo di aspe are.
«E Maddy?»
«Ah, lei sta benone. È tornata a scuola, vive la sua storia con Ma :
insomma, è la classica ventenne che vuole o enere sempre il
massimo.»
«Bene, è proprio ciò che speravo di sentire.»
«Sai, l’ultima volta in cui l’ho vista mi ha de o che aveva parlato a
lungo con Max della Cunningham Oil & Gas e della loro divisione di
ricerca. A quanto pare sta modificando il suo piano di studi per
concentrarsi di più sulla geologia e la mineralogia. Mi ha de o che
sta pensando seriamente di andare a lavorare lì dopo la laurea, e
anche Ma ha de o che è una buona idea.»
«O imo, ma cosa ne dice la sua famiglia? Mi sembrano molto
uniti.»
«A quanto pare, non hanno sollevato nessuna obiezione, anzi i
suoi hanno annunciato che si trasferiranno in Texas. Max ha de o a
Ma che assumeranno suo padre, e anche sua madre. Ha a che fare
con il tenere unita la famiglia, o qualche altra cazzata del genere.»
La cosa non mi stupiva, Max era una specie di santo. Aveva
salvato me e mi aveva accolta insieme a Maddy e alle persone che ci
erano vicine so o la sua ala prote rice. Amavo mio fratello, ma
questo era davvero troppo. Forse era per quello che era così felice,
era l’esempio perfe o del “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fa o a
te”. Tra ava tu i con rispe o, amava la sua famiglia sopra ogni altra
cosa e desiderava la felicità di tu i. In cambio, sarebbe stato felice
per il resto dei suoi giorni, questo mi era più che chiaro. Mi chiesi
quando avrebbe cominciato a fare pressioni su di me perché mi
trasferissi in Texas a mia volta, e avevo la sensazione che sarebbe
stato abbastanza presto. A quell’uomo piaceva essere circondato
dalla famiglia, e si stava costruendo la sua base laggiù. Non sarei
rimasta sorpresa se alla fine avesse trovato l’esca giusta per
convincere me e Wes a trasferirci nello Stato della stella solitaria. Ne
sarebbe valsa la pena anche solo per la carne. Ma il caldo, l’umidità
tremenda e come mi conciava i capelli… bleah. Avrebbe dovuto
essere qualcosa di davvero straordinario per farmi affrontare un
cambiamento del genere. La presenza della mia sorellina sarebbe
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stata un punto a favore, e lui lo sapeva bene. Prenditi la sorella
piccola, e vedrai che arriverà anche quella grande.
«Sì, Max è davvero speciale.»
Ginelle sospirò con aria sognante. «Non solo, mia cara, è dolce
come un cioccolatino. E lo sai, uno tira l’altro…»
«Stai facendo il filo a mio fratello?» le chiesi, fingendomi
scandalizzata.
«Sicuro come il sole. Ma, scusa, hai presente tuo fratello? È una
specie di incrocio tra un dio greco e un cowboy, con stivali, cappello
e tu o quanto.»
«Oh, fratello!» esclamai. Max era l’ultima persona al mondo su cui
avrei voluto sentire quel tipo di apprezzamenti.
«Esa o: oh, fratello. Solo che se fossi io, starei urlando “Oh, sì,
Max; più forte, Max; dammelo tu o, Max”.» E, per rincarare la dose,
si mise a gemere e a fare tu a una serie di versi osceni, facendomi
venire voglia di vomitare.
«Sei malata» bofonchiai.
«Però mi vuoi bene.»
«Eh, mi sa che dovrò farmi vedere da uno bravo.»
«Nel fra empo, io preparo la mia roba. Sarò lì tra due se imane,
non vedo l’ora di avere davanti agli occhi la tua faccia di merda.»
Con quest’ultima raffica di parole, Ginelle a accò. Si era aggiudicata
questo round, io avrei vinto il prossimo.
6

Un urlo agghiacciante mi strappò da un sogno dolcissimo. Ormai era


diventata la norma: saltai giù dal le o, accesi la luce e guardai
l’uomo che amavo che si dimenava e si contorceva nel le o,
gridando, perso dietro ai demoni che si annidavano nei recessi della
sua mente. Vederlo così mi spezzava il cuore: con il pe o nudo
madido di sudore inarcato verso il cielo, come in un disperato
tentativo di raggiungere la salvezza. Il profilo del suo membro
tendeva il tessuto dei boxer, in una volgare esibizione della sua
virilità. Prima di svegliarlo chiusi gli occhi e inspirai a fondo,
lasciando che le sue urla mi aiutassero a entrare nello stato mentale
giusto: dovevo essere forte e risoluta, diventare uno strumento in
grado di riportarlo indietro dall’abisso di disperazione in cui era
caduto, ora e per sempre. Per lui avrei fa o questo e altro, finché alla
fine non avesse ritrovato la pace. Non esistevano alternative: Wes
avrebbe riacquistato la serenità di un tempo.
Mi sfilai la camicia da no e, la feci cadere a terra e, cercando di
controllare le mie emozioni, mi tolsi gli slip.
Raccolsi tu e le mie forze e gridai: «Wes!».
Quando spalancò gli occhi, ero in piedi vicino al le o, nuda per
lui. Aveva le pupille quasi completamente dilatate, era praticamente
impossibile riuscire a distinguere qualche traccia dell’iride. Era come
un animale, in balia delle sue paure.
Il suo sguardo intenso era fisso su di me.
«Sei mia!» ruggì con la mascella contra a, e poi si ge ò su di me.
In un a imo la sua bocca si era impadronita dei miei seni e
un’ondata di piacere si fece largo tra il dolore provocato dal suo
succhiare. Cominciò a palparmi e strizzarmi le natiche e intanto
sfregava il membro ere o contro di me.
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«Sì, sono tua, puoi prendermi… Però dimmi per quale motivo mi
ami» gli dissi mentre gli afferravo i capelli e gli tenevo ferma la testa
contro il mio seno. Stavo provando un nuovo metodo, volevo
controllare una mia teoria. Cercavo di fargli ricordare perché mi
trovavo lì e in questo modo riportarlo all’a imo presente, nella
speranza che i ricordi della prigionia che aveva sofferto svanissero
più in fre a.
«Mi piace scoparti!» Senza staccarsi da me mi fece avvicinare alla
parete finché non andai a sba ere con la schiena contro il muro.
Smise di leccarmi un seno e si dedicò all’altro. Lo strinse tra le mani e
con due dita cominciò a tirare la punta e a torcerla finché le fi e di
piacere non si irradiarono fino al clitoride.
Ansimando, aprii le gambe per sentirlo ancora più vicino. «Va
bene, ma se mi dici esa amente che cosa ti piace di più di me te lo
lascio me ere dentro fino in fondo.»
La bocca di Wes si staccò dal capezzolo, la cui punta era gonfia e
umida dopo tu e quelle a enzioni. Quella brusca interruzione mi
strappò un gemito di delusione e quando avvicinò le labbra alle mie
mi scostai di lato per evitare il suo bacio, che pure era la cosa che
volevo di più al mondo.
«Che cosa fai?» mi chiese, digrignando i denti. Per un a imo la
rabbia ebbe la meglio sul desiderio, ge ando una nube oscura sul
processo di guarigione.
Sollevai una gamba strusciando il sesso umido sulla sua coscia,
ricoprendola di umori e dimostrandogli così il mio desiderio.
Socchiuse gli occhi. «Allora, mi ami?» gli chiesi ancora una volta.
Mi rispose con voce dura, ogni singola parola era una coltellata
inferta al mio fragile cuore. «Lo. Sai. Benissimo. Adesso. Dammi.
Quello. Che. Voglio.»
Gli abbassai i boxer e lui se li tolse senza mai staccarmi gli occhi di
dosso. Mi diedi la spinta con tu a la forza che avevo nelle gambe e le
incrociai intorno alla sua vita. Mi sollevò tenendomi per il sedere
come se fossi priva di peso, poi inspirò a fondo e mi preme e contro
il muro mentre il suo membro cercava di infilarmisi tra le cosce: così
vicino, eppure ancora così lontano. Non mi avrebbe mai presa senza
il mio consenso, perlomeno non durante uno di questi a acchi di
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terrore. C’era qualcosa dentro di lui che gli impediva di superare
quel punto, e io gliene ero grata.
Gli afferrai i capelli, stringendoli forte. «Prima dammi quello che
voglio io, e farò lo stesso per te.» Gli passai la lingua sul collo, il
delizioso sapore salato della sua pelle mescolato a quello dell’oceano
mi diede un brivido. Wes si lasciò sfuggire un gemito, la sua
erezione dura come l’acciaio premeva contro il clitoride, si sfregava,
cercava senza pace ciò che io gli negavo. Avvicinai il viso al suo
tenendolo stre o, naso contro naso. Le sue pupille si stavano
rimpicciolendo e lasciavano spazio al bel colore verde dei suoi occhi.
Con un sorriso gli sfiorai le labbra con le mie, un tocco leggero, una
carezza appena accennata, giusto per ricordargli dove si trovava.
Con un sospiro accolse il mio bacio. «Dimmi perché mi ami» ripetei.
Wes staccò una mano dal sedere e me la infilò tra i capelli,
stringendomi delicatamente tra la nuca e il collo e tenendo il pollice
appoggiato sulla guancia, in un gesto pieno di tenerezza e di amore.
Io ero contro il muro, schiacciata dal suo corpo possente, senza
alcuna possibilità di scivolare via: sembrava non voler lasciare
neanche un piccolo spiraglio tra noi. In quel momento eravamo
connessi a livello fisico, mentale e, sopra u o, emotivo.
«Amarti per me è naturale come respirare. Per vivere ho bisogno
di te: tu sei la mia ragione di vita, Mia.»
Mentre appoggiavo la fronte su di lui gli occhi mi si riempirono di
lacrime. «Vieni dentro di me, tesoro. Prendi ciò che vuoi.» Era il
segnale che tanto aspe ava.
«Ti amo» disse mentre con un colpo di reni secco e deciso mi
penetrava fino in fondo. «Amo ogni singolo centimetro di te, più di
ogni altra cosa al mondo» aggiunse, mentre un affondo più forte
degli altri mi toglieva il fiato facendomi ba ere la testa contro il
muro. «Adoro unirmi a te, entrare dentro la donna di cui non posso
fare a meno.»
«Ti amo ogni giorno di più» dissi io, ripetendo le parole che aveva
pronunciato poco prima.
Mi accarezzò la guancia con il pollice, senza mai sme ere di
affondare dentro di me, un colpo dopo l’altro. «Grazie, grazie per
avermi riportato indietro ancora una volta.» Il movimento dei suoi
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fianchi era frenetico, sembrava un martello pneumatico, e quella
serie ininterro a di affondi mi mandava sempre più in estasi.
Quando faceva l’amore con me mi sembrava di volare, avevo la
sensazione di poter toccare il cielo con un dito.
Il mio corpo era scosso da brividi di piacere, di dolore e di amore.
Ce l’avevo fa a, l’avevo riportato indietro. Ero riuscita a ribaltare
completamente quelle maratone di sesso legate ai terrori no urni e a
trasformarle in qualcosa di meraviglioso. Le pareti del mio sesso si
strinsero intorno a lui mentre insisteva con inesauribile vigore a
tormentare quel magico punto dentro di me che mi faceva gridare di
piacere. Premevo contro di lui sempre più forte, mi inarcavo contro
il suo pe o mentre il nostro sudore si mescolava, i nostri corpi si
univano e i nostri cuori danzavano. Vidi una serie di lampi di luce e
sentivo sulla pelle la fresca brezza dell’oceano che entrava dalla
finestra aperta. Wes si svuotò dentro di me con un grugnito,
mordendomi tra le spalle e il collo; allora, travolta da un orgasmo
devastante, mi avvinghiai a lui con le braccia e con le gambe, per
tenerlo ancora stre o dentro di me. Non avrei più voluto lasciarlo
andare.
«Grazie» mormorò Wes, ancora ansimante. «Grazie, amore mio.»
Era aggrappato a me come un disperato, mi stringeva così forte che
riuscivo appena a respirare, ma non mi importava: per lui il mio
amore era la vita e il semplice fa o di amarlo era l’unico nutrimento
che mi serviva.

Quando mi alzai il ma ino successivo, Wes non c’era. Mi ero


abituata a svegliarmi sentendo vicino a me il calore e il peso del suo
corpo, ormai così familiari. Ero un po’ preoccupata da come gli
eventi della no e precedente sarebbero apparsi al ma ino, di come
lui avrebbe potuto reagire, alla luce del giorno, alle verità che erano
emerse. Diedi una rapida occhiata all’orologio e mi accorsi che era
prestissimo, il sole era appena sorto. Uscii ancora svestita sul
terrazzo, senza preoccuparmi della mia nudità.
Mentre il sole continuava la sua lenta ascesa, vidi una figura
solitaria che si stagliava in lontananza. Avrei tanto voluto
condividere con lui l’alba del nuovo giorno, godermi con lui lo
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splendore del nostro amore e la vi oria della no e prima contro
l’oscurità. Ma Wes era andato in cerca del conforto dell’oceano,
aveva preferito la calma bellezza dei doni di Madre Natura al calore
del mio corpo e alla mia vicinanza.
Turbata e un po’ ra ristata, tirai fuori il bikini bianco. Era fa o più
per ispirare desiderio che per essere comodo, ma era in cima alla
biancheria che Judi aveva lavato e così presi quello. Dopo averci
pensato un a imo, afferrai la maglie a bianca che Wes indossava il
giorno precedente e me la infilai sopra il costume, tanto per avere un
aspe o più presentabile. Volevo parlare con lui per capire dove fosse
con la testa, e non volevo rovinare tu o stuzzicandolo. Arrancai
sulla sabbia a piedi nudi e dopo qualche decina di metri raggiunsi la
riva del mare. Wes era sulla ba igia, con i piedi immersi nella sabbia
e le onde che gli lambivano le caviglie. Indossava solo un paio di
larghi pantaloni di lino, che aveva arrotolato all’altezza del
ginocchio. Rimasi diversi minuti a guardarlo, incantata più dalla sua
bellezza che da quella dell’oceano. La brezza scompigliava i suoi
lunghi capelli biondi e il suo pe o nudo emanava riflessi dorati so o
i primi raggi di sole. Capii subito dalle spalle rigide e dalla sua
postura che non era affa o sereno.
Mi avvicinai lentamente, cercando di fare un po’ di rumore
perché potesse sentire i miei passi sulla sabbia. Quando fui più
vicina, si voltò verso di me. Lo sguardo perso che aveva fino a poco
prima sparì di colpo, ora il suo viso era luminoso e pieno d’amore.
Mi osservò con a enzione, dalla punta dei piedi ai capelli
scarmigliati in balia della brezza, e mi regalò ciò che più desideravo
da quando era tornato a casa: un sorriso smagliante e radioso.
Rimasi senza fiato e, prima di rendermene conto, stavo già correndo
verso di lui sollevando schizzi di sabbia a ogni passo. All’ultimo
secondo gli saltai in braccio, lui mi afferrò al volo e mi fece
volteggiare in aria. Chiusi gli occhi nel tentativo di fissare
quell’istante nella memoria, di tenermelo stre o nel cuore così da
poterlo ritrovare ogni volta che fossi stata triste, preoccupata o
frustrata per qualche motivo. Ecco il mio Wes, l’uomo di cui mi ero
innamorata: una parte di lui era tornata.
Sporsi le labbra e lo baciai. Senza aspe are che contraccambiasse,
presi l’iniziativa e gli infilai la lingua in bocca, leccando con
incontenibile passione la sua. Ci misi tanto entusiasmo che lui perse
l’equilibrio e cadde per terra. Io a errai proprio sopra di lui, a
cavalcioni. Per nulla scoraggiata, cominciai a mordicchiargli il labbro
inferiore finché non sentii il grugnito rivelatore che faceva sempre
quando lo baciavo. Mi pizzicò il labbro superiore e io rimasi per un
a imo senza fiato. Restammo lì per un’eternità, seduti sulla sabbia a
baciarci come due adolescenti.
Wes sapeva di menta e di brezza marina. La sua pelle era fresca
contro le mie guance, ma la parte del suo pe o che premeva contro
di me era scaldata dai raggi del sole. Lo abbracciai, gli risucchiai la
lingua gemendo a conta o con la sua bocca.
Alla fine si staccò e tu i e due riprendemmo fiato. «Accidenti,
questa ma ina sei proprio ispirata, eh? Forse non avrei dovuto
lasciarti a le o da sola.»
Strofinai il naso contro il suo continuando a mordicchiargli le
labbra tra un respiro e l’altro. Non ce la facevo a stare lontana dalla
sua bocca. «E allora perché l’hai fa o?» La risposta, probabilmente,
avrebbe avuto più importanza per me che per lui.
Mi fece il solletico alle cosce e io mi misi a ridere. «Dormivi così
bene che non ho voluto svegliarti.»
Feci un respiro profondo, nel tentativo di rallentare il ba ito del
mio cuore. «Era l’unica ragione?»
Mi prese il volto tra le mani. «L’altra no e è stata molto intensa.
Forse mi serviva un po’ di tempo da solo per ripensarci.»
Lo adoravo più che mai per averlo ammesso.
Annuii e gli misi le braccia intorno alle spalle. «E sei arrivato a
qualche conclusione interessante?» Cominciai a tormentarmi il
labbro inferiore con i denti. Lui sollevò una mano e dopo averlo
liberato con il pollice si chinò in avanti e cominciò a baciarlo e a
colpirlo leggermente con la lingua.
Mi passò le mani tra i capelli, sembrava studiare ogni particolare
del mio volto. «Penso che mi faccia bene stare con te.»
Soffocai una risata. «Be’, lo spero proprio» gli dissi, dandogli un
colpe o scherzoso sul pe o.
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Scosse la testa. «No, tesoro. L’altra no e mi ha aperto gli occhi. Mi
hai trascinato fuori dall’inferno come al solito, ma questa volta io
avevo il controllo della situazione in un modo diverso. Non stavo
semplicemente ordinando al tuo corpo di fare quel che gli dicevo, o
di lasciare che mi perdessi dentro di te. Questa volta mi hai liberato
dall’incubo e mi hai aiutato a ricordare per quale motivo ho resistito
e sono rimasto vivo. Quando mi hai chiesto perché ti amavo, nella
mia testa si sono accavallate un milione di ragioni diverse. Queste
hanno scacciato ogni pensiero negativo sostituendolo con qualcosa
di meraviglioso, di reale, di vivo, di integro: il mio amore per te.»
Sentii le lacrime spuntare all’angolo degli occhi. «Be’, ha l’aria di
essere una cosa buona.»
Wes sorrise e mi sfiorò una guancia con il naso freddo. Gli
appoggiai una mano sul collo per tenerlo lì, vicino a me. «Una cosa
molto buona. E poi, dopo ieri, la storia di Gina…» Scosse la testa, le
parole gli morirono in gola.
«Raccontami tu o, posso farcela. Ricordati che sono abbastanza
forte da reggere questo peso insieme a te: lo renderà più leggero.»
Fece un sospiro e avvicinò le labbra al mio orecchio. «Tesoro,
gliene hanno fa e di tu i i colori. Mi hanno legato e costre o a
guardare mentre la violentavano. Si me evano in fila, una specie di
crudele coda malvagia. A volte la stupravano in gruppo: in quel caso
erano in tanti e la violentavano tu i insieme.» Cercò di ricacciare
indietro le lacrime, ma sentivo che mi bagnavano la parte posteriore
della maglie a. Mi strinsi a lui ancora di più.
«La costringevano a stare in piedi, legata a un gancio sul soffi o e
poi la prendevano in due alla volta. Gridava tanto forte che le
tappavano la bocca con del nastro adesivo e così lacrime e muco si
mescolavano e le rigavano le guance di sporco. Ogni tanto perdeva i
sensi per il dolore, e io ringraziavo Dio per quei momenti di tregua,
quando non era più cosciente per rendersi conto di quello che le
stavano facendo…» Wes tossiva e singhiozzava con il viso a conta o
del mio collo, cercava disperatamente di tirare fuori le parole ma le
lacrime e l’emozione rendevano tu o molto difficile.
«Santo cielo, Mia… La lasciavano lì appesa perché potessimo
vederla, con il sangue che le colava giù dalle gambe e si raccoglieva
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in una pozza ai suoi piedi. In certi momenti ho sperato che la
uccidessero, così non sarebbe stata costre a a rivivere quei momenti
in continuazione. La stupravano ogni giorno, ogni dannato giorno
vedevo un pezzo di lei morire so o i colpi di quei pazzi. Era
l’inferno peggiore che ci si possa immaginare, eppure è
sopravvissuta.» Mi aveva affondato le dita tra le costole,
perseguitato da quel ricordo; io lo abbracciai stre o per dargli un po’
di forza e alleviare il dolore.
Lacrime che non avrei mai pensato di poter versare mi solcavano
le guance. Io e Wes eravamo seduti sulla spiaggia, abbracciati e
cercavamo di liberarci di quella sensazione di devastazione, di
paura, di sofferenza che ci perseguitava da quando era tornato.
A un certo punto mi sentii le eralmente svuotata, non avevo più
lacrime. Wes si era appoggiato a me, ma non ero sicura che fosse
ancora sveglio. Sentivo il suo respiro lento e regolare contro il mio
pe o. Avevo alcune dita completamente intorpidite, altre mi
facevano male per averlo stre o con troppa energia. Ero anche sicura
di avere un po’ di lividi tra le costole, dove mi aveva afferrata con
tanta forza: li avrei portati con orgoglio.
Liberai le braccia e cominciai ad accarezzare i capelli di Wes.
Dopo un paio di minuti lo sentii gemere e mugolare, e quei suoni
risvegliarono il mio desiderio in una frazione di secondo. «Te la senti
di alzarti?» gli chiesi.
Sbuffò contro il mio collo. «Preferirei starti addosso così per tu a
la vita.»
Ridacchiando, gli baciai le sopracciglia. «Puoi farlo, ma non qui
mentre siamo seduti sulla sabbia. Che ne dici di trasferirci in
camera?»
La sua pancia cominciò a borbo are, sabotando il mio proge o di
saltargli addosso. «E se andassimo in cucina, invece? Sono sicuro che
a quest’ora Judi starà preparando qualcosa di spe acolare.»
Il pensiero di una delle colazioni speciali di Judi mi fece venire
l’acquolina in bocca. Un po’ di malavoglia mi alzai e porsi la mano al
mio uomo. Lui la guardò, poi guardò me e si decise a prenderla tra
le sue, infine si alzò a sua volta e mi a irò a sé abbracciandomi.
«Mi sbalordisci.»
Sbuffai. «In che modo?»
«Se ti dico qualcosa di ignobile, magari per via della cosa che mi
consuma dentro, tu in qualche modo riesci ad accoglierlo con grazia
e anche con forza. Davvero non so come fai.»
«È facile: posso sempre contare su di te. Credo che faccia parte del
nostro modo di stare insieme. Le cose belle e le cose bru e, anche
quelle molto bru e, alla fine si possono trasformare in qualcosa di
meraviglioso se le affrontiamo insieme. Divisi, non abbiamo
speranza; uniti, possiamo superare qualunque cosa.»
Wes mi prese per mano e cominciò a camminare in direzione di
casa nostra. «Credo che tu abbia ragione.» Sollevò entrambe le mani
e mi baciò la parte superiore del palmo. «Con te, Mia, tu o diventa
possibile.»

«Vediamo se ho capito bene: entro venerdì devi tirare fuori un’idea,


scrivere la sceneggiatura e finire le riprese, giusto?» mi chiese Wes
con la bocca piena di waffle.
«Mmh, Judi, sei una dea. Questi waffle sono una bomba» dissi ad
alta voce mentre mi leccavo le dita, poi mi girai verso Wes, che stava
sorridendo. «Sì, esa o. Una follia, vero?»
Si passò una mano tra i capelli e si appoggiò allo schienale
sorseggiando il caffè. «Sì, abbastanza, ma non è impossibile. Hai già
un’idea di massima su cosa vorresti fare per questa prima puntata?»
Presi un’altra porzione di quel dolce paradisiaco, ne masticai un
pezzo e lo mandai giù, e solo allora risposi: «Be’, visto che non ho
molto tempo, pensavo di dedicare il primo episodio alle mamme a
tempo pieno».
Wes aggro ò le sopracciglia. «Spiegati.»
Mi sporsi in avanti cominciando a tracciare delle linee sul tavolo
col dito. «Non so ancora bene, ma pensavo a quelle madri che in
sostanza rinunciano a ogni cosa per allevare i loro figli: carriera,
hobby, tu o quanto. In sé, è una cosa meravigliosa. Molte di loro
fanno volontariato nelle scuole, nelle associazioni genitori-
insegnanti, negli scout, oppure fanno da autiste e accompagnano i
figli alle loro a ività sportive. Non so, è come se fosse un lavoro per
cui non vengono apprezzate, tantomeno ringraziate. Cioè, è ovvio
g pp g
che i figli lo apprezzano molto, e immagino anche i mariti, ma se dici
che fai la mamma a tempo pieno, oppure la casalinga, in un certo
senso vieni marchiata.» Bevvi un sorso di caffè e appoggiai la tazza
sul tavolo. Avevo tu e le rotelle in moto.
«Come ti è venuta quest’idea?» Wes intanto stava versando sul
waffle una quantità spropositata di sciroppo d’acero. “Ehi, perché
non me i un po’ di waffle nel tuo sciroppo?” pensai, ma non dissi
nulla e mi morsi il labbro. Stava facendo il possibile per recuperare
un po’ di peso, e se una megadose di sciroppo poteva servire allo
scopo, tanto meglio.
Alzai le spalle e continuai a mangiare. «Sai, quando ero al ranch
con Max e Cyndi mi sono resa conto di quanto lavoro facesse lei.
Cucinava i pasti, andava a fare la spesa, puliva la casa, si prendeva
cura di Isabel e tu o questo mentre era incinta. In più, era
bravissima nel fai da te. Non era certo il tipo da piazzare la figlia
davanti alla televisione per tu o il giorno. Certo, le lasciava guardare
i suoi programmi preferiti e giocare con i videogiochi, ma trovava
anche il tempo per stare un po’ con lei a creare fasce e fiocchi per i
capelli.»
«Fasce e fiocchi? Per cosa?»
Alzai gli occhi al cielo. «Dici sul serio? Sei proprio un maschio!»
Wes ridacchiò e indicò il pe o scolpito. «Be’, direi di sì.»
«D’accordo, non hai tu i i torti in effe i.» Mi leccai le labbra
mentre, senza alcun imbarazzo, mi mangiavo con gli occhi il mio
uomo seminudo. Gnam!
«Se continui a guardarmi in quel modo non finirai né la tua
colazione né il tuo proge o. Vai avanti.»
Feci una risatina e ripresi da dove mi ero fermata. «A ogni modo,
lei creava fiocchi, fasce e nastri vari, tu e cose per cui le bambine
dell’età di Isabel vanno ma e. Quando Isabel, un paio di volte alla
se imana, andava al prescuola, Cyndi ne dava qualcuno agli altri
genitori, come fossero regalini da parte della figlia. Era una cosa
molto carina. Realizzava tu i quegli ogge i insieme alla sua piccola
e poi li regalava, facendo felice qualche altra bimba. Un giorno che
sono andato con lei a prendere Isabel, metà delle bambine
indossavano uno dei regali di Cyndi.»
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«Molto carino, ma come fai a renderlo abbastanza interessante
perché alla gente venga voglia di vederlo?»
«Be’, in effe i pensavo che su questa parte avresti potuto aiutarmi
tu.»
Si mise comodo e guardò fuori dalla finestra, mordendosi le
labbra. Accidenti, quant’era carino. So che a un uomo non piace
essere definito “carino”, ma Wes lo era davvero. Certo, era anche
bello, sensuale, sexy da morire e sopra u o strafigo. Credo che
l’amore ti faccia lo scherzo di farti vedere tu o quello che riguarda il
tuo innamorato a raverso occhiali dalle lenti rosa.
«E se tu seguissi con la videocamera una mamma mentre se ne va
in giro?»
«Come in un reality?»
Annuì, e a quel punto mise davvero in moto le rotelle.
«Cerca una mamma che conosci e che fa qualcosa che a te sembra
straordinario. Falle un’intervista. Riprendila durante la sua giornata
tipo, fai vedere quante cose fa per gli altri e mostra la bellezza che
hai scoperto in questo modo al resto del mondo. Il pubblico del
do or Hoffman lo adorerà. È probabile che la maggior parte degli
spe atori siano mamme a tempo pieno e casalinghe. Scomme o che
ai produ ori l’idea piacerà parecchio.»
«Ti andrebbe di lavorarci con me?» Sba ei le sopracciglia e
tra enni il respiro. Questa era la seconda fase del mio tentativo di
farlo tornare a lavorare. D’accordo, non era proprio come girare un
film e non era neanche una vera sceneggiatura ma di sicuro era
qualcosa che gli assomigliava abbastanza.
Wes sorrise e mise una mano sulla mia. «Se ti fa piacere,
volentieri.»
«Mi farebbe davvero molto piacere, è fantastico!» Mi alzai e
cominciai a ballare per la cucina.
«Sei un po’ ma a: lo sai, vero?» mi disse, ridendo. Continuai a
saltellare per un po’ e alla fine a errai su di lei.
«Be’, però sono il tipo di ma a che ti piace.»
«Questo è vero, e non vorrei niente di diverso.»
7

Wes ci aveva azzeccato in pieno: Drew Hoffman e il suo team si


bevvero la mia proposta fino all’ultima goccia. Dissero addiri ura
che era un’idea davvero originale. E per fortuna, perché avevo già
trovato una mamma disponibile e organizzato le riprese per quello
stesso giorno. Per quanto strano, questa era stata la parte più
difficile. A Los Angeles non conoscevo nessuno esclusi Wes, la sua
famiglia, il mio vecchio agente e mia zia Millie. Non avevo la più
pallida idea di come fare a trovare una mamma a tempo pieno che
andasse bene per la trasmissione. Non avevo bambini, quindi nessun
conta o con eventuali compagni di gioco e non vivevo neanche
vicino a Cyndi, la mia nuova cognata, che avrebbe potuto darmi una
mano.
Sentendomi un po’ depressa, avevo fa o un salto al supermercato
con l’idea di concedermi un cupcake, o magari anche una mezza
dozzina, ed ero andata le eralmente a sba ere contro il carrello di
una donna. Aveva una bambina nel marsupio e una seconda, più
grandicella, in piedi nel carrello che piangeva a più non posso. Mi
profusi in mille scuse, ma cominciai a seguirla dappertu o, neanche
fossi una stalker. Non era una ragazzina, avrà avuto circa trent’anni.
Portava i capelli castani raccolti in una semplice coda di cavallo,
pantaloni da yoga un po’ troppo aderenti e infradito piu osto
bizzarre. Era una di quelle donne che amano decorarsi i piedi con
ogni tipo di fronzolo. Finti diamanti luccicavano, mentre lei si
dirigeva verso il reparto giardinaggio, e a ogni passo il retro dei suoi
sandali sba eva contro i talloni.
Esaminò a entamente piante e fiori, controllò il terriccio e poi fece
una cosa che mi sorprese. Tirò fuori una bo iglie a d’acqua
dall’enorme borsa, che magari conteneva anche pannolini, e la vuotò
g p
nei vasi. Poi staccò alcune foglie gialle da qualche vaso, andò alla
fontanella, riempì la bo iglia e ripeté l’operazione altre due o tre
volte.
«Mi scusi, che cosa sta facendo?» le chiesi mentre fingevo di
annusare delle margherite. D’accordo, non hanno profumo, ma
questo non m’impedì di usarle come copertura.
«Avevano bisogno di acqua, rischiavano di morire. E queste, se
non si tolgono le foglie morte, possono creare problemi di crescita
alla pianta.»
«E come fa a sapere tu e queste cose? Fa la giardiniera, o qualcosa
del genere?» le chiesi.
Lei arrossì e scosse la testa. «No no, sono solo una mamma a
tempo pieno.»
“Ping! Abbiamo la vincitrice!”
Aveva appena pronunciato le parole magiche. Mi rianimai di
colpo. «Ah… e dunque ha il pollice verde?» Vista la confidenza che
mi stavo prendendo, mi aspe avo che si sentisse in imbarazzo e che
finisse con l’ignorarmi, ma lei sembrava contenta di poter
chiacchierare di qualcosa che le interessava davvero.
Alla mia domanda arrossì di nuovo, prima il collo e poi le guance.
«Be’, mi hanno de o che il mio giardino rivaleggia con quello di
Martha Stewart.» Nella sua voce c’era orgoglio, ma nessuno
snobismo: una cosa davvero rara a Los Angeles.
«Sul serio? Mi piacerebbe vederlo.» A quel punto tentai il colpo, e
trascorsi i trenta minuti successivi a spiegare a quella donna su che
cosa stavo lavorando. Le dissi che la produzione del programma
l’avrebbe ricompensata con qualche migliaio di dollari se mi avesse
permesso di andare in giro con lei munita di telecamera per
riprenderla. Il do or Hoffman mi aveva scri o in una mail qual era il
budget. Pensavo di essere io quel budget, e invece avevo circa
diecimila dollari a disposizione per pagare costumi, materiale
scenico o altro di cui avrei potuto avere bisogno.
La cosa più curiosa fu che quando le offrii del denaro, mi diede
una risposta che mi stupì. «Oh, non c’è bisogno che mi paghi. Se può
aiutare altre mamme a capire quanto sia importante allevare i figli ed
essere il centro e il cuore della propria casa, sono più che felice di
darle una mano.»
Non ne dubitavo, ma sapevo che il programma del do or
Hoffman faceva un sacco di soldi e, dopo essere stata a casa della
donna, capii che un po’ di denaro le avrebbe fa o comodo. Mi sarei
accertata personalmente che ricevesse il versamento subito dopo la
fine delle riprese.

La cosa più figa del mio nuovo lavoro? Potermi portare il fidanzato
in ufficio! Quel giorno avevo un sorriso da far impallidire quello del
ga o del Cheshire. C’era la felicità, e poi c’era questo. Estasi assoluta.
Quando arrivammo a casa di Heidi e David Ryan all’alba non stavo
più nella pelle. Wes aveva de o che se volevamo riprenderla nel suo
ambiente naturale, dovevamo cominciare all’inizio della sua
giornata.
Abitavano in una ville a a due piani color terraco a, a poca
distanza da un’altra quasi uguale ma color sabbia. Tu e le case in
quella stradina a fondo cieco erano dipinte nelle diverse tonalità del
beige. Alcune erano a due piani, altre a un piano solo ma era chiaro
che erano state costruite a schiera, secondo uno stesso proge o.
Erano perfe e per le famiglie e la vita nei sobborghi.
Ci trovavamo a Cerritos, a trenta-quaranta minuti dal centro di
Los Angeles, se il traffico lo perme eva. Mentre scendevo dall’auto
un ragazzo dei giornali su una BMX ge ò un quotidiano, che a errò
con assoluta precisione di fronte alla porta dei Ryan.
Alzai il pollice verso il ragazzo, che continuò a stupirmi con la sua
incredibile abilità. Wes si mise a ridere e mi appoggiò un braccio
intorno alle spalle. «Ma dài, ragazza di ci à.»
«Scoprirai che preferisco le ci à peccaminose e vicine al deserto.»
«Perché, a Las Vegas non consegnano i giornali a domicilio? Penso
di sì.»
Feci una smorfia e mi strinsi nelle spalle. «Non a casa mia, e
neanche a quelle dei vicini. Eravamo tu i troppo poveri. Il tuo
invece compare magicamente ogni ma ina sul tavolo. Ce l’abbiamo
anche noi un ragazzo dei giornali con la bici?» Il solo pensiero mi
fece brillare gli occhi.
g
«Mi sa di no. Dovremmo chiedere a Ms Croft, è lei che si occupa
di queste cose. A me però non sembra di avere mai visto nessun
ragazzo in bici arrampicarsi sulla collina per lanciare il giornale al di
là del cancello» disse, sbuffando.
Feci una smorfia di delusione. Aveva di nuovo ragione lui,
cominciava a essere seccante.
Mi lasciai alle spalle l’irritazione verso il mio fidanzato saputello e
bussai alla porta. Fu David Ryan ad aprirci, e appena ci vide si
accigliò. Aveva la crava a al collo ancora slegata, la camicia fuori dai
pantaloni ed era scalzo. «Ehm, avete bisogno di qualcosa?» chiese.
«Siamo qui per la trasmissione. Questa è la casa di Heidi Ryan,
giusto?» gli domandai, un po’ dubbiosa.
Wes era dietro di me e teneva una mano appoggiata alla base
della mia schiena. Ancora più indietro c’era Wayne, il cameraman.
Lo prendevo sempre in giro dicendogli che mi ricordava il
protagonista di Fusi di testa, il film cult dei primi anni Novanta.
Portava i capelli lunghi e indossava un cappellino, una camicia
scozzese e un paio di bermuda. Insomma, il suo conce o di stile
lasciava parecchio a desiderare.
Dietro un David piu osto sconcertato a un certo punto comparve
Heidi. «Ciao, Mia! Dài, accomodatevi. Pensavo che arrivaste più
tardi.»
Dave aprì un po’ di più la porta in modo da farci entrare, e Wayne
accese la telecamera.
«Non ancora, lascia che prima parli un po’ con loro: non voglio
che si sentano invasi. È pur sempre casa loro, la loro vita.»
Spiegai alla coppia il programma della giornata e lasciai che Heidi
rassicurasse il marito che era tu o a posto. Tornarono dopo pochi
minuti e lui sorrideva e aveva un’aria molto più tranquilla.
«Scusatemi per prima: Heidi mi aveva accennato qualcosa l’altra sera
ma io ero un po’ di malumore dopo una giornata faticosa in
tribunale.»
«Allora, vi andrebbe bene se cominciassimo subito? Non finirà
tu o nella trasmissione perché la puntata dura solo quindici minuti,
ma vorremmo riprendere Heidi alle prese con la sua routine
normale, se siete d’accordo.»
Dave sorrise, un sorriso che si allargò ai suoi luminosi occhi blu. I
capelli scuri e l’abito grigio li facevano risaltare tantissimo e gli
davano un’aria vagamente da Clark Kent.
Wayne accese la telecamera ed entrammo in cucina, dove
trovammo tre bambini seduti intorno a una tavola preparata per sei
persone. Heidi era impegnata a cuocere le uova e il bacon e a
imburrare le fe e di pane tostato. I bambini non sembravano per
nulla impressionati dalla presenza dei nuovi arrivati.
«Wayne, fai qualche ripresa di lei che cucina e dà da mangiare ai
figli, poi ce ne andiamo e li lasciamo fare colazione in pace, okay?»
Wes era entrato nella parte, con i suoi modi spicci e professionali.
Heidi era ancora in vestaglia e si dava un gran daffare: serviva la
colazione nei pia i di ciascuno e dava alla piccolina il biberon e
quelli che lei chiamò “bisco i per la dentizione”. I suoi movimenti
avevano un che di poetico, o sembravano l’esecuzione di una sonata
studiata a lungo. Dal nulla aveva preparato un cestino del pranzo
per il figlio che andava a scuola e uno per il marito. Di fianco al
contenitore con il cibo aveva sistemato lo zaino del bambino e le altre
cose per la scuola. Poi fu il turno di un caffè al volo per David che
lasciò il pia o sul tavolo dopo averlo svuotato in un ba er d’occhio
per correre di sopra e finire di prepararsi.
Padre e figlio uscirono insieme e Heidi pulì la cucina e alla fine
mangiò solo una fe a di pane tostato. Per il resto della famiglia
aveva preparato un banche o degno di un re ma lei aveva il tempo
solo per il pane e un sorso di caffè.
«Devo preparare Lynndy e Lisa perché oggi c’è la lezione di
ginnastica.» Indicò la più grandicella, che doveva avere circa tre
anni, mentre la piccolina avrà avuto più o meno sei mesi.
Per il resto della giornata seguimmo Heidi ovunque andasse.
Conduceva una vita estenuante. Di sicuro non mi fece venire voglia
di scodellare dei bebè e me ere in piedi una squadra di
pallacanestro. Wes, invece, era completamente conquistato da lei,
adorava la sua efficienza e il suo altruismo. Controllava le riprese –
voleva essere sicuro che avessimo ca urato i momenti migliori,
quelli più dolci tra madre e figlia, marito e moglie – con un
entusiasmo al di là delle mie più rosee aspe ative.
p p
Quando tornammo a casa, dopo essere andati a prendere suo
figlio a scuola, Heidi si mise a fare i compiti con lui. Anche solo la
matematica per un bambino di terza elementare era difficilissima,
non aveva nulla a che fare con quella che avevo studiato io. Grazie a
Dio c’era Wes che si sarebbe occupato di questo genere di cose con i
nostri futuri figli.
Un a imo… Che cosa? Avevo davvero pensato per un istante di
riprodurmi con il mio regista-surfista senza sentirmi male già solo
all’idea? Oddio, ero messa malissimo. Con gli altri uomini con cui
ero stata di bambini non si era parlato affa o, ma a giudicare dal
lampo negli occhi di Wes mentre teneva in braccio la piccola
Lynndy, i figli facevano sicuramente parte dei suoi piani per il
futuro. Se non avessi fa o a enzione, mi avrebbe sposata e messa
incinta nel giro di qualche mese.
Mentre lo guardavo giocare con la piccola, lui alzò lo sguardo su
di me. I suoi occhi erano verdi come due smeraldi: i bambini lo
rendevano davvero felice. Merda. Gli avrei dato un figlio solo perché
guardasse anche me con lo stesso amore e la stessa gioia.
Mi rimisi al lavoro: quello era un argomento da affrontare in
camera da le o, dopo un paio di intensi round e in uno di quei
momenti di coccole e romanticherie.
Finalmente, dopo che le due figlie più piccole erano salite di sopra
per un sonnellino e il più grande era andato a fare un giro in bici,
Heidi si diresse verso il giardino. Quando aprì la porta scorrevole,
rimasi di sasso. Era un giardino segreto magico e nascosto, con le
statue degli angeli e un piccolo ruscelle o, piante lussureggianti e
fiori ovunque. I fiori erano sistemati in una serie di vasi in ogni
angolo e vicino agli alberi. Ce n’erano di tu i i colori e le varietà, così
tanti che era impossibile contarli.
«Wow, ma è incredibile» disse Wes con un sospiro.
Heidi lo sentì, era raggiante per la felicità. «Grazie. Venite, vi
faccio fare il giro. È ovale, per poterci camminare intorno. Non è
niente di speciale e non è neanche molto grande, ma è quello che ci
possiamo perme ere, e io lo adoro.»
Wayne continuava a riprendere mentre io camminavo al suo
fianco e le chiedevo quali tecniche usava e perché aveva scelto una
q p
determinata pianta, così da evitare che la puntata risultasse troppo
noiosa. Heidi prese un cesto che conteneva dei guanti e un paio di
cesoie. C’era anche un secondo paio di guanti, che porse a me. Me li
infilai subito. Continuammo a camminare tu ’intorno all’anello e
arrivammo a una zona piena di rose di ogni colore.
«Heidi, è meraviglioso» dissi annusando il profumo inebriante dei
fiori.
Mi fece vedere quali rose dovevano essere tagliate e in quale
punto, e in breve avevamo raccolto un paio di dozzine di esemplari a
gambo lungo. Poi andammo in un’altra zona e raccogliemmo altri
fiori, più piccoli, e lei mi disse che la loro fioritura era annuale. Uno
in particolare era di un viola intensissimo, e si chiamava Cleome
spinosa.
«È un nome minaccioso per un fiore così bello.»
«L’apparenza inganna.»
A un certo punto il baby monitor che Heidi teneva appeso alla
cintura emise un suono. Lei si fermò e se lo portò all’orecchio.
Restammo ferme entrambe e io tra enni il respiro: non so bene
perché, ma mi sembrava la cosa giusta da fare. Visto che non ci
furono altri suoni, riappese l’apparecchio alla cintura e riprendemmo
a camminare.
«Questo fiore si chiama Campanella d’Irlanda» disse, mentre ne
coglieva qua ro esemplari alti più o meno sessanta centimetri.
«Nota il tipico colore verde pallido.»
Annuii.
«Starà benissimo con le rose gialle e quelle rosa. Com’è il
profumo?» Mi porse i fiori perché li annusassi.
L’aroma era delizioso. «Buono, sa di menta.»
Finito il giro, avevamo i cesti pieni di quella che a me sembrava
una tonnellata di piante e fiori. Lei dispose tu o sul bancone della
cucina e spiegò a me e al pubblico come togliere le spine e in quale
punto recidere il gambo per mantenere i fiori vivi più a lungo. Poi
continuò parlando dell’importanza di cambiare l’acqua con
regolarità e di cosa aggiungere eventualmente nei vasi. Fu però quel
che fece subito dopo che mi diede la certezza che quella puntata
avrebbe avuto un grande successo.
g
Tirò fuori da un casse o qualche foglio di carta colorata con cui
incartò i fiori, tenendoli fermi con degli elastici; poi, siccome gli
elastici erano bru i da vedere, li coprì con un nastro.
«Che cosa vuoi farne?» le chiesi, pensando già di portare
qualcuno di quegli splendidi mazzi a Ms Croft, che li avrebbe
apprezzati tantissimo.
«Be’, ogni se imana porto qualche mazzo di fiori fa o da me
all’ospedale che si trova più avanti, in questa stessa via. Ci sono
diversi pazienti che non hanno molti parenti, e un po’ di fiori in
camera possono rendere le giornate più allegre.»
Durante l’ultimo anno avevo conosciuto molte persone
meravigliose, ma nessuna come Heidi Ryan.
Alla fine della giornata ero con lei davanti alla loro casa. Il marito,
appena rientrato dal lavoro, l’abbracciò per darle un bacio sulla
guancia. Era evidente che la amava tantissimo. Si misero in posa per
qualche foto e poi lui le chiese che cosa c’era per cena, al che lei
rispose: «Quello che hai voglia di preparare!».
Mi voltai ridendo verso la telecamera che Wayne teneva puntata
su di me, pochi passi più in là. «Vorrei ringraziare Heidi Ryan per
averci aperto le porte della sua casa e avere condiviso con noi la
tipica giornata di una mamma a tempo pieno. Grazie anche per
averci accompagnato a visitare il tuo meraviglioso giardino. Secondo
me, sei davvero una donna straordinaria, Heidi. Il tuo impegno in
casa per la tua famiglia e anche quello nei confronti della comunità
sono un esempio per tu i, e tu i noi del programma del do or
Hoffman ti facciamo un applauso. Un saluto da Mia Saunders. Ci
vediamo la se imana prossima per un altro appuntamento con Sani e
belli.»

Trascorsi il giorno successivo con Wes in sala di montaggio a


esaminare gli spezzoni di girato finché non trovai quelli giusti per i
quindici minuti che mi servivano.
Wes indicava un’area dello schermo e mostrava al montaggista
come sistemare l’inquadratura per me ere in evidenza i de agli più
interessanti. Le manine della piccola Lynndy protese verso la
mamma, o gli sguardi che David lanciava alla moglie mentre serviva
g g g
la colazione, come se in quella cucina non ci fosse nessun altro
all’infuori di lei, o il modo in cui Heidi osservava piena d’orgoglio la
piccola Lisa durante la lezione di ginnastica.
Sicuro e paziente, Wes mi spiegava perché quei momenti fossero
autentiche perle in grado di fare la differenza. Quando rivedemmo il
materiale montato, mi resi conto che non aveva torto. E comunque,
non mi sarei sognata di contraddirlo: film e sceneggiature erano il
suo lavoro. Per un uomo con il suo talento e la sua esperienza un
segmento di un quarto d’ora all’interno di un programma televisivo
pomeridiano era una passeggiata, eppure si impegnò nel mio
proge o come se si tra asse di un film con un budget di duecento
milioni di dollari. Lo ammirai per questo, e mi innamorai di lui
ancora di più.
Il rumore di una porta che sba eva dietro di noi ci fece perdere la
concentrazione. Drew Hoffman entrò in quello stanzino nel quartier
generale della Century Productions facendo una gran cagnara, senza
preoccuparsi minimamente delle tre persone che erano intente a
controllare il materiale video.
Appiccicata a lui come una specie di vestito dozzinale c’era una
bionda magra come un chiodo con due te e gigantesche. Dovevano
essere davvero enormi, perché sembravano sul punto di esplodere
dalla minuscola camice a che le conteneva a fatica. Se lei si fosse
mossa con troppa foga o avesse inarcato la schiena, i capezzoli
sarebbero sbucati fuori subito.
«Buongiorno, do or Hoffman, stiamo finendo di preparare il
video, così il suo team questa sera potrà visionarlo in tempo per la
puntata di domani.»
«È per questo che sono qui, cara.» Il tono di Drew era piu osto
lascivo, e lo stecchino sempre a accata al suo pe o gli passò una
mano tra i capelli.
«Oooh, mi piace la tua nuova ragazza, è sexy! Con tu e quelle
curve, scomme o che è dolce come il miele. Possiamo giocare un po’
con lei, do ore? Eh, possiamo? Possiamo, vero?» La bionda parlava
chiocciando come una gallina e scuoteva il pe o di fronte alla faccia
di Drew con movimenti che sicuramente appartenevano a un
repertorio studiato accuratamente e che con ogni probabilità
p g p
avevano già dato buoni fru i. Infa i, vidi lo sguardo di Drew
perdersi in mezzo alla sua scollatura infinita.
In quel preciso momento Wes girò la sedia e si alzò in piedi.
«Scusate, ci conosciamo?»
Drew spalancò gli occhi: aveva senza dubbio riconosciuto Wes.
«Weston Channing III se non sbaglio, il famoso sceneggiatore…»
disse in tono ammirato. «Che cosa la porta nel nostro umile
orticello? Siamo un po’ ai margini dell’industria cinematografica…»
Wes fece un cenno nella mia direzione e poi mi mise un braccio
a orno alla vita. «Be’, avete ingaggiato la mia fidanzata» spiegò,
come se stesse rispondendo a una domanda di Trivial Pursuit.
“Uhm… fidanzata?” Guardai il mio anulare, ancora sguarnito.
Wes se ne accorse ed ebbe un piccolo fremito, ma non disse nulla.
«La sua fidanzata? Mia…» Aprì e richiuse la bocca, come se stesse
cercando le parole.
La biondina lo ba é sul tempo. «Stupendo! Oh, mio Dio, io adoro
i suoi film, e lei è così figo!» La bambolina, sempre a accata al bel
do ore, cominciò ad ancheggiare sui trampoli, ma l’unica cosa che si
muoveva erano le protesi di silicone, visto che nel resto del corpo
non aveva neanche un grammo di grasso. Se l’avessimo scossa con
sufficiente forza probabilmente avremmo sentito le ossa
sbatacchiare, proprio come il cervello grande quanto una noce
all’interno del suo cranio. Poi gli porse la mano. «Io sono Brandy,
comunque, ma scri o normale: B-R-A-N-D-Y.»
Scri o normale? E in quale altro modo vuoi che si scriva Brandy?
Sospirai e mi strinsi più forte a Wes, che soffocò una risata fingendo
un colpo di tosse. Mi conosceva troppo bene. Feci un sorrise o, ma
rimasi in silenzio.
«Oh, mio Dio, dobbiamo assolutamente uscire qualche volta tu i
e qua ro! Sarebbe davvero una cosa… tipo…» Si arrotolò intorno al
dito una ciocca di capelli, che però a un esame più accurato si
rivelarono delle extension. Alzai gli occhi al cielo e aspe ai che il suo
unico neurone si riprendesse dallo sforzo, in modo da consentirle di
terminare la frase. «… tipo non so, il paio di scarpe più bello del
mondo.»
Sospirai ma se ne accorse solo Wes, poiché Brandy e il do or
Hoffman erano ancora troppo occupati a studiare il mio uomo. Non
potevo biasimarli, io stessa avrei potuto passare giornate intere a
osservare il suo corpo. Era un autentico, godurioso piacere per gli
occhi. «Bene, ragazzi, mi dispiace davvero, ma se volete il materiale
entro stasera dobbiamo continuare a lavorarci per il resto della
giornata. Wes mi sta dando una mano perché aveva un po’ di tempo
libero» dissi.
Il do or Hoffman aprì la bocca e qualcosa in lui si irrigidì. «Sì,
capisco, ho le o i giornali… Quello che è successo a lei e a quella
bellissima a rice è davvero orribile.» Scosse la testa e a me venne
subito la pelle d’oca. «Lei è stato tenuto prigioniero con Gina DeLuca
per un mese, giusto? E metà del suo team è stato fa o fuori dai
terroristi. Bastardi figli di pu ana.» Sembrava sincero, ma io sentivo
che accanto a me si era alzata una cortina impenetrabile.
No, no, no, no… Stava andando tu o così bene. Wes si irrigidì.
«Ehm, sì, sono contento di essere tornato a casa. Do or Hoffman,
Brandy… È stato un piacere conoscervi.» Strinse la mano a entrambi,
da vero professionista. «Purtroppo però adesso dobbiamo rime erci
al lavoro.» Con questa frase si congedò e tornò a sedersi. Il
montaggista gli passò un paio di cuffie, e Wes si concentrò sullo
schermo che aveva davanti.
La conversazione si chiuse lì, io feci un cenno di saluto, mi sede i
e ripetei gli stessi movimenti di Wes. Alla fine il do or Hoffman
disse ancora qualcosa e poi la porta si richiuse e noi tornammo nel
nostro mondo fa o di mammine, bellezza e salute. Misi una mano
sulla schiena rigida di Wes. Potevo quasi percepire la tensione che
scorreva dentro di lui come un animale che cercava di nascondersi
so o la superficie. Appena lo toccai lui ebbe uno sca o, ma mentre
gli accarezzavo la schiena facendogli domande sul significato di
quello che vedevo sullo schermo, cominciò a rilassarsi sempre di più.
Quando consegnammo il video i produ ori lo apprezzarono subito.
Tornammo alla sala di montaggio, raccogliemmo le nostre cose,
ringraziammo il montaggista e ci dirigemmo verso l’uscita di quella
catacomba che erano gli uffici della Century Productions.
Ero convinta che ci fossimo tolti un pensiero, ma sfortunatamente
mi sbagliavo, e anche di molto.
8

Eravamo riusciti a evitare ogni conta o con i giornalisti per tu a la


se imana. L’unica volta in cui Wes era uscito di casa era stato
quando mi aveva accompagnata a fare le riprese a casa dei Ryan, che
era davvero un posto alla fine del mondo per gli standard dei media
hollywoodiani. Purtroppo sembrava che qualcuno della Century
Productions – il do ore, qualcuno del suo team di produzione, o
forse anche Brandy-scri o-normale – avesse fa o la spia. Magari
avevano pensato che non sarebbe stato un male se Wes fosse stato
avvistato mentre usciva dai loro uffici insieme a una persona
collegata al medico delle star. Aveva dunque senso il fa o che il
do or Hoffman e la moglie top model si trovassero appena fuori
dall’ingresso degli uffici nel momento in cui noi stavamo uscendo:
appena varcata la soglia, fummo accolti dal fuoco di fila dei flash.
Avevo già avuto qualche incontro ravvicinato con la notorietà e i
paparazzi quando stavo con Anton a Miami, ma qui eravamo ben al
di là di una manciata di macchine fotografiche nelle mani di viscidi
panzoni che sca avano un milione di foto al secondo alla ricerca
dell’immagine peggiore da pubblicare sulle riviste spazzatura. Qui
c’era un branco famelico di giornalisti, pronti a banche are con le
loro prede.
«Weston, com’è stato essere tenuto prigioniero dai terroristi?»
gridò uno.
«Ha ucciso qualcuno mentre era lì?»
«Dove l’hanno ferita?»
«Che cosa ha provato nel vedere Trevor morire di fronte ai suoi
occhi?»
«Hanno ferito la sua fidanzata Gina?»
«In che rapporti siete lei e Mia Saunders?»
pp
Il do or Hoffman si avvicinò al gruppo con la moglie. Nel giro di
mezzo secondo lei si era trasformata: non era più la stupida oca ma
la top model strapagata e la moglie trofeo da sfoggiare in pubblico
appesa al braccio del marito.
Noi eravamo subito dietro di loro, disperatamente in cerca di una
via d’uscita.
«Va bene, va bene, silenzio, per favore. Il nostro caro amico Mr
Channing e la sua fidanzata Ms Saunders meritano un po’ di privacy
dopo ciò che hanno passato, non vi pare? Su, abbiate un po’ di
decenza.»
Fidanzata? Quella parola rimbalzò da una parte all’altra del
branco di giornalisti: sussurrata, pronunciata, gridata a voce
insopportabilmente alta. Non pensavo che avrebbero scoperto in
questo modo che avrei sposato Wes. E non avevo neanche l’anello.
«Do or Hoffman, Mr Channing sarà suo ospite insieme a Ms
Saunders per parlare della sua prigionia?» gridò uno dei reporter.
Il do ore fece un ampio sorriso. Che pezzo di merda, che stronzo!
Era felicissimo di tu a quell’a enzione da parte dei media e
sicuramente aveva organizzato la messinscena.
«Calma, calma. Ms Saunders collabora con me al programma. È
decisamente brillante, sopra u o perché il suo fidanzato l’ha
aiutata.»
«È vero, Mr Channing?» Sembravano squali impazziti. «È già al
lavoro, dopo che alcuni dei suoi uomini sono stati uccisi?»
Decisi che bastava. Afferrai Wes per una mano, ci facemmo largo
tra la folla e scappammo via. Ci corsero dietro tanti di quei fotografi
che non fu facile arrivare al parcheggio dove avevo lasciato Suzi, la
mia moto.
Ci saltai sopra e avviai il motore mentre Wes si me eva il casco e
mi stringeva un braccio a orno alla vita.
«Non andare a casa, guida e basta, piccola» mi gridò in un
orecchio. «Guida e basta.»
Oh, sì, avrei sposato quest’uomo. Punto.

Quella no e Wes si svegliò urlando. Questa volta fece persino


tremare il materasso e ci svegliammo tu i e due molto spaventati.
g p
Quando saltai giù dal le o e accesi la luce, stava ansimando forte, e
io non sapevo bene che cosa mi sarei trovata di fronte, o se sarei stata
più al sicuro prendendo un po’ le distanze. Aveva gli occhi neri
come la pece e le narici tremanti, le labbra piegate in un ghigno
orrendo. Mi guardava come se non mangiasse da giorni e io fossi il
suo prossimo pasto.
«Wes…» Mi sfilai la camicia da no e lasciandola cadere a terra.
Da quando erano cominciati gli incubi gli slip non li indossavo più:
lui me li strappava sempre, e a volte mi ritrovavo con dei segni
all’altezza dei fianchi.
In quel momento l’uomo che amavo non era in sé. Stava
migliorando, erano già due giorni che non aveva incubi. Sapevo che
sarebbero tornati, ma speravo in una tregua più lunga.
«Ti voglio» ruggì.
«Perché?» Mi accarezzai le punte dei seni, a beneficio più suo che
mio, anche se non era certo un sacrificio. Portavo i capelli sciolti sulle
spalle, come piaceva a lui.
Digrignò i denti, ed ero anche sicura di aver sentito un rauco
borbo io gu urale. «Perché sei mia» disse con voce stridula.
«No, non basta. Di’ che mi ami.»
«Ti amo» aggiunse sbrigativamente, con un tono che non faceva
certo pensare a fiori, cuori e romantiche passeggiate sulla spiaggia.
Wes mi aveva de o parole d’amore in mille modi diversi: con
dolcezza, tenerezza, passione; a volte anche con disperazione, però
mai con quel tono. Non potevo acce arlo. Quel demonio rabbioso
non era l’uomo che amavo, era la caricatura di qualcun altro, ma non
era lui. La sua mente era andata perduta nel capanno di un
accampamento raso al suolo dai soldati americani.
«No. Perché mi ami?» riprovai, e girai intorno al le o per
avvicinarmi un po’.
Wes mi seguiva con lo sguardo. «Perché me lo fai passare?»
La sua voce disperata mi fece sciogliere, riusciva a fare leva sul
mio lato più romantico.
Comunque stavamo facendo qualche progresso. La sua pelle era
madida di sudore, alcune gocce stavano scendendo lungo il suo
addome scolpito.
p
«E in che modo te lo faccio passare?» Lo provocai mostrandogli il
fianco nudo, e lui seguì di nuovo il movimento con lo sguardo.
«Perché nessuno ti può fare del male, giusto? Non qui nel nostro
le o.»
Sussultò, ma rimase in silenzio.
«Wes?»
Un altro sussulto.
«Ti sembro ferita in qualche modo?»
Doveva capire la verità, affrontare la realtà ancora una volta.
Fece scorrere lo sguardo pieno di desiderio sul mio corpo nudo
ma ora si scorgeva una traccia di familiarità, di unione emotiva:
stava ritornando. Lentamente, ma stava ritornando. Avevo fa o la
mia parte: se non altro, riuscivo sempre a riportarlo a me.
«No, sembri pronta per essere scopata.» Quelle parole così volgari
fecero centro e riuscirono ad ammorbidirmi abbastanza perché mi
preparassi per lui. Però dovevo essere forte, arrivare alla fine prima
di saltargli addosso come lui voleva fare con me.
«E perché vuoi scoparmi?» continuai.
«Perché sei la cosa più bella e più buona sulla Terra. Vicino a te io
riesco a respirare.» La sua voce era indomita e audace, una voce da
maschio vero.
Mi si spezzò il cuore. Ero sul punto di me ermi a piangere ma
mantenni il controllo: per lui, per me, per noi.
«E perché vicino a me riesci a respirare? Perché sei al sicuro a casa
tua, nel tuo le o?»
Le mie parole sembrarono trovare un’eco nei recessi della sua
mente, perché Wes sba é le palpebre diverse volte e le tenebre
iniziarono a dileguarsi. Il verde riaffiorò nei suoi occhi, inghio endo
l’oscurità. «Mia, tesoro, vieni qui.» Adesso mi parlava con il tono che
adoravo, e avrei fa o di tu o per poterlo sentire tu i i santi giorni.
Cominciai ad ancheggiare, accentuando ogni movimento per
renderlo ancora più sensuale. Una volta a le o, mi misi a cavalcioni
su di lui. Sentivo il suo membro duro come il marmo contro la mia
coscia. «È per me?» gli chiesi, mentre glielo prendevo in mano e
cominciavo a stringerlo alla base.
«Lo sai» rispose, facendomi l’occhiolino. Dai terrori no urni
eravamo passati all’occhiolino?
“Pat, pat. Grazie mille. O imo lavoro, Mia.”
«E che cosa dovrei farmene?» gli chiesi affe ando una certa
timidezza mentre mi leccavo le labbra, incerta tra la bocca e il calore
che pulsava tra le cosce.
Mi aspe avo una ba utaccia in risposta, ma lui mi infilò le dita
tra i capelli, prendendomi il viso tra le mani, e accarezzandomi le
guance mi guardò fisso negli occhi. «Mi amerai, nel modo in cui
vorrai, per il tempo che vorrai, finché non se ne sarà andato
completamente. Perché in questo sei maestra. Tu sei tu o per me,
Mia. Fai sparire quegli orrendi ricordi e li rimpiazzi con questi
nuovi.»
Spuntarono le lacrime, ma riuscii a tra enerle: era il momento per
amarsi e ritrovarsi, non per abba ersi o ra ristarsi.
«Fai l’amore con me» lo pregai a bassa voce.
«Pensavo che non me l’avresti mai chiesto.»
Ridacchiai mentre lui prendeva la mia bocca; la risata si trasformò
in un gemito e il gemito in un pianto di gioia che risuonò a lungo
nella no e.

Bzzz. Bzzz. Bzzz.

Diedi un colpo secco con la mano vicino alla faccia e mi rigirai per
immergermi nel tepore di Wes.

Bzzz. Bzzz. Bzzz.

Oh, merda. Aprii lentamente gli occhi stanchi e annebbiati e


guardai l’ora. Le cinque del ma ino. Ma stiamo scherzando? Io e
Wes avevamo finito la nostra maratona di sesso più o meno verso le
tre.
Cercai di tornare nel mondo dei sogni, pensando che prima o poi
il telefono avrebbe smesso. Mi sbagliavo.

Bzzz. Bzzz. Bzzz.


Le persone normali impostano la modalità “Non disturbare” sul
telefono oppure me ono l’apparecchio in carica in un’altra stanza. Io,
invece, come una stupida, dovevo per forza tenermi quell’affare
rumoroso di fianco alla testa. Il rumore della vibrazione sul legno del
comodino sembrava quello di uno sciame di api inferocite. Mi
distesi, allungai un braccio e con una mossa degna di una ginnasta
olimpica afferrai il telefono e lo infilai so o le coperte.
Wes mi teneva bloccata, come sempre dopo un incubo. Era come
se volesse usare il suo corpo a mo’ di scudo. Se lo spingevo o anche
se tentavo di sfilarmi da so o, o enevo solo che mi stringesse con
più forza, come avevo imparato a mie spese. Visto che volevo
dormire nello stesso le o con il mio amore, dovevo venire a pa i con
il peso, il calore e tu o il resto, e alla fine mi ci ero abituata. Mille
volte meglio essere schiacciata dal suo peso che saperlo morto in
qualche paese del Terzo mondo.
«Pronto?» bofonchiai nel telefono.
«Mia, zuccherino, è nato!» Era la voce di Max, evidentemente in
preda all’estasi. «È davvero grande, un piccolo gigante, il mio
bambino. Guarda il telefono cara, ti ho mandato una foto.»
Lanciai l’applicazione dei messaggi e aprii il primo dei dodici
messaggi che mio fratello mi aveva spedito.
Il peso che mi teneva schiacciata contro il materasso cambiò. Wes
si girò, scostò le coperte che tenevano nascosto il telefono e si
appoggiò al mio collo per riuscire a vedere anche lui. Il velo di barba
cresciuto durante la no e mi gra ava piacevolmente il collo.
«È Max?» mi chiese.
Mentre guardavo le foto del piccolo Jackson mi venne un groppo
in gola per l’emozione. Ma non fu il piccolo cherubino gigante ad
a irare la mia a enzione. Be’, lì per lì l’a irò eccome. In una delle
immagini era nella culla in plastica trasparente dell’ospedale. Sopra
la sua testa c’era una targhe a su cui era scri o a grandi le ere
MASCHIO . Non fu quello però a farmi scendere le lacrime lungo le
guance. Fu il nome.
Quel giorno Maxwell e Cyndi avevano fa o un regalo a me e a
Maddy, e sapevo che quel regalo ci avrebbe uniti per tu a la vita.
Sopra la testa di quell’adorabile neonato c’era scri o il suo nome e la
targhe a, in una grafia impeccabile, recitava:
Nome: Jackson
Secondo nome: Saunders
Cognome: Cunningham
Peso: 4730 grammi
Altezza: 57 centimetri
«Oh, Max…» Cercai di pronunciare il suo nome, ma venne fuori
una specie di singhiozzo ingarbugliato.
Wes lesse il nome sullo schermo e poi mi diede un bacio sulla
guancia.
«È un tipo in gamba» mi sussurrò mentre io continuavo a fissare il
mio nipotino, che portava il mio stesso nome.
«Il migliore» gli risposi con voce roca e subito dopo riportai il
telefono all’orecchio.
«L’hai visto? Hai visto la tua sorpresa?» mi chiese Max, con tanto
orgoglio e altre anto amore nella voce. Il mio cuore era sul punto di
scoppiare.
Mi pulii il naso che colava sulle lenzuola: meno male che Ms Croft
le cambiava spesso, anche se probabilmente lo faceva pensando a
tu o il sesso che facevamo su quel le o.
«Max, non so cosa dire…» Ed era vero, mai nessuno mi aveva
fa o un regalo tanto grande.
«Oh, sorellina, non devi dire proprio niente, a parte che è un
bambino meraviglioso.»
Osservai il faccino di Jackson, i ciuffe i biondi intorno alla testa
sembravano formare un’aureola. «Lo è davvero, è perfe o. E poi il
nome… Grazie, Max.»
Sentivo il respiro pesante di mio fratello. «Mia, ora che tu e
Maddy siete parte della nostra vita, non ho parole per dirti quanto
sia importante per me. Ero disperato dopo che mio padre…» La sua
voce si abbassò. «Scoprire che tu e Maddy siete mie sorelle. Porca
miseria, zuccherino, è solo un modo per me e Cyndi di dimostrarti
che ci saremo per tu a la vita. Hai capito? Tu a la vita. Voi siete le
mie sorelle, e il nome Saunders è parte di voi. Non voglio che ci sia
nulla che ci tenga separati. È il mio modo per dirti che non ci sarà
mai più nulla a dividerci.»
«Ti voglio bene, Max, sei davvero il fratello maggiore ideale. E
Jackson Saunders Cunningham è un nome perfe o. E lui è bello e
forte come il suo papà. Non vedo l’ora di vederlo.»
Max soffocò una risatina. «Ora che me lo dici, Cyndi e io
pensavamo che potreste venire tu i quanti qui al ranch per il
Ringraziamento. Se non stai, ehm, lavorando, si capisce.»
Il Ringraziamento, le vacanze: tu e cose a cui non avevo pensato
fino a quel momento. Erano scadenze ormai vicine, chissà se mi
avrebbero chiesto di fare qualcosa per il programma. Se mi avessero
confermata anche per novembre, ed era un “se” bello grosso, avrei
comunque potuto me ermi so o per realizzare uno speciale nel giro
di pochi giorni e riuscire ad andare in Texas per le vacanze.
Un vero pranzo del Ringraziamento in famiglia. D’altra parte,
magari a Wes avrebbe fa o piacere che lo trascorressimo con la sua
famiglia. Merda, non ne avevo idea. Quelle erano cose che di solito si
organizzavano in due.
«Ehm, mi sembra una grande idea, ma non ti prome o niente, ok?
Devo parlarne con Wes e capire che cosa succede con il programma.
Per te va bene se mi prendo un po’ di tempo per capire dove
andremo?»
Max scoppiò a ridere. Non una di quelle risatine chiocce, ma una
risata fragorosa, che passò a raverso il telefono e mi risuonò nel
pe o. «Ma certo, zuccherino, devi me erti d’accordo prima con il tuo
bello e con Maddy. Suppongo che anche lei ne dovrà parlare con
Ma e la sua famiglia. Sono brave persone, quasi quasi potrei
invitare anche loro.»
«Da i una calmata, campione. Avete appena avuto un bambino,
magari Cyndi non è entusiasta all’idea di avere la casa piena di gente
un mese dopo la nascita di suo figlio.» Mi sembrava importante
ricordarglielo. Non che io fossi una grande esperta di bambini, ma
tu i i film e i programmi televisivi che avevo guardato sembravano
suggerire che i primi mesi fossero devastanti.
«Ma guarda che è un’idea di Cyndi!» riba é.
«Mah, sono cose che si dicono durante la gravidanza, secondo me.
Ehi, goditi il piccolo Jack, e continua a mandarmi le foto: voglio
avere la casella di posta piena di immagini del più bel bambino del
mondo.»
«Agli ordini!» disse Max, tu o contento. Dalla voce si capiva che
provava una gioia infinita, e io avrei voluto essere lì e abbracciarlo e
dirgli quanto fossi felice per lui. Il fa o di vivere a così tanti
chilometri di distanza era orribile.
«Salutami Cyndi, dille che le voglio bene e falle le mie
congratulazioni. Quel bambino è davvero un gigante: più di qua ro
chili e mezzo… Però!»
«È di famiglia. Secondo mio padre, anch’io pesavo più di qua ro
chili. Mi sa che tu e il tuo bello dovete prepararvi» disse ridendo.
Avrei voluto dargli un pizzico o a raverso il telefono!
«Ca ivone. Ritiro tu o quello che ho de o» sbuffai.
«Sei la solita guastafeste! Sono contento che la sorpresa ti sia
piaciuta. Ti voglio bene, sorellina.»
Ecco che si riaprivano le catera e. Mi sembrava che la mia vita
fosse diventata una serie di cartoline, per cui appena ne prendevo
una cominciavo a piangere come una fontana. «Ti voglio bene
anch’io, Maximus. Stammi bene.»
«Ok. E tu torna a le o: cosa ci fai al telefono a quest’ora?»
Prima che potessi rispondergli con una ba utaccia aveva già
a accato. Maledizione, avevo già perso uno scontro telefonico con
Ginelle e adesso ne avevo appena perso uno con Max. Ero fuori
allenamento.
Sospirai e in quel momento sentii due braccia che mi
circondavano. «Ehi.» Mi rifugiai in quel calore come un ga ino e
trovai la posizione ideale. Wes mi accarezzò i capelli.
«La tua famiglia sta bene?»
Annuii. «Sì, Cyndi sta bene, il bambino ha un nome fantastico e io
sono zia due volte, adesso.»
«E come ti senti?» mormorò Wes, ma sembrava distante. La
stanchezza era davvero tanta: anche se era una notizia meravigliosa
e avrei voluto salire sul te o per urlarla ai qua ro venti, in realtà non
riuscivo a tenere gli occhi aperti.
g p
«Mi sembra tu o… perfe o.»
9

Una segretaria mi fece entrare nell’ufficio del produ ore esecutivo


del programma. Leona Markham sembrava più giovane della sua
età, ma tenni l’osservazione per me. Per ricoprire quel ruolo
probabilmente aveva più di quarant’anni, ma sembrava che ne
avesse al massimo trenta. Una massa enorme di riccioli castani le
ricadeva sulle spalle e si intonava benissimo con gli occhi color
caramello. Indossava un immacolato vestito bianco e ai piedi calzava
un paio di décolleté di pelle nera con un tacco vertiginoso e una
punta da far paura. La gonna era così aderente che si modellava sul
suo fisico scolpito come una seconda pelle. Si capiva subito che
quella donna aveva dedicato un bel po’ di tempo per diventare così
tonica, e il risultato era davvero notevole: era sexy da morire. Io
potevo solo sperare di avere un aspe o simile a quell’età.
Mentre mi sedevo, diede un’occhiata a come ero vestita:
indossavo una gonna a trapezio essenziale, una camice a di seta e
un paio di sandali con la zeppa. Quel giorno non erano previste
riprese, così avevo lasciato a casa la tenuta da corsa. Di fa o, Wes e
io avevamo appena finito la terza sessione di montaggio per la
nuova puntata di Sani e belli. Questa volta parlavamo di una caserma
dei pompieri di East Los Angeles che aveva ado ato dei cuccioli di
cane e li aveva addestrati per fare da supporto ai militari feriti e a
quelli con handicap fisici o mentali. I pompieri a turno addestravano
i cani a raccogliere ogge i, aprire le porte, chiedere aiuto, segnalare
ostacoli pericolosi e, sopra u o, dare amore. In un paio di giorni
scarsi mi avevano fa o vedere in quale misura gli animali addestrati
da loro erano riusciti a cambiare in meglio la vita delle persone a cui
li avevano donati. In quel caso, tu i avevano vinto.
«Dunque, Ms Saunders…» cominciò, ma io la interruppi
all’istante.
«Mi chiami Mia» le dissi. Poi feci un sorriso, mi misi a sedere e
intrecciai le mani sul grembo.
«Grazie, Mia. Tu chiamami Leona.»
Annuii, in a esa di sapere perché mi trovavo lì. Prima che lei
potesse dire qualcosa la porta si aprì di colpo ed entrarono il do or
Hoffman e Shandi, la sua segretaria in perenne adorazione.
«Scusate il ritardo. Io e Shandi stavamo leggendo le note
introdu ive al pezzo sui cani dei pompieri che Mia ha montato con il
suo fidanzato, Mr Channing.»
La spudoratezza con cui pronunciò il nome di Wes mi fece alzare
gli occhi al cielo. Ovviamente Leona stava tenendo d’occhio la mia
reazione, non quella del bel do ore. Fece una smorfia di disappunto,
mentre io ridacchiavo tra me e me.
«Mia, il pezzo è magnifico.» Pronunciò quelle parole portandosi le
dita alla bocca per baciarle, come avrebbe potuto fare una mamma
italiana appena arrivata dalla Sicilia. «È brillante. Sapevo che avresti
dato un grande contributo al programma. Mi sbagliavo, Leona?»
Leona, seduta dietro la sua gigantesca scrivania, piazzò i gomiti
sopra l’agenda e appoggiò il mento sulle mani. «No, non ti sbagliavi.
E oggi è proprio di questo che vorremmo discutere con te, Mia.»
Prima di proseguire preme e un paio di pulsanti sul telefono. «Ms
Milan, è in linea?»
La voce di mia zia risuonò forte e chiara a raverso l’altoparlante
del telefono. «Ci sono. Grazie per avermi invitata. A che cosa devo il
piacere?»
A quel punto dove i abbassare lo sguardo per tra enere una
fragorosa risata. Millie usava quel tono un po’ supponente quando
voleva o enere qualcosa o cercava di impressionare l’interlocutore.
Più la seconda, pensai.
«Vi abbiamo convocate entrambe insieme al do or Hoffman
perché abbiamo delle novità per voi, e anche una nuova proposta
che vorremmo che esaminaste.»
Wes mi aveva de o che sarebbe potuto accadere. Tra enni il fiato,
non volevo sperare troppo. O meglio, avevo paura di sperare.
p pp g p p
Raddrizzai la schiena e a esi, ero davvero sulle spine.
«Nel caso in cui non l’aveste notato, il programma sta avendo un
grande successo. Dopo il primo speciale di Mia, la nostra audience è
salita del venticinque per cento. Pensavamo che l’accoglienza fosse
stata così favorevole non solo per il contenuto, ma anche perché
recentemente la cronaca si è molto occupata di te, Mia, e di Mr
Channing. I resoconti della sua prigionia e le supposizioni sul
destino incerto del film ci sembravano i veri motivi del successo.
Tu avia, il secondo ci ha fa o guadagnare un altro dieci per cento di
spe atori. Il giorno in cui è andato in onda abbiamo avuto cinque
milioni di spe atori in più.»
Mi accigliai. «E questo cosa significa, in parole povere?» chiesi.
Non intendevo sembrare stupida, ma potevano essere moltissimi o
poteva significare che non riuscivo a guadagnare un numero
sufficiente di nuovi spe atori. Onestamente, non avevo la più pallida
idea di cosa volesse dire. Negli Stati Uniti vivono oltre trecento
milioni di persone, e non avevo nessuno strumento per capire se
cinque milioni di spe atori in più erano sufficienti oppure no.
Leona spalancò gli occhi e si appoggiò sullo schienale. «Significa
che quando ci sei tu ci guardano quindici milioni di spe atori,
mentre il programma del do or Hoffman ha una media di nove o
dieci milioni di spe atori ogni giorno.»
«Wow!» Fu tu o quello che riuscii a dire. Dunque, significava che
stavo davvero andando alla grande.
Il do or Hoffman fece un ampio sorriso e venne a sedersi vicino a
me. Schioccò le dita indicando un mobile bar pieno di bo iglie e
Shandi si allontanò di sca o dal muro a cui era appoggiata per
obbedire al suo ordine silenzioso.
Senza rifle ere, mi lasciai sfuggire un verso di disgusto.
«Prego?» Mi guardava con indifferenza.
Mi rabbuiai all’istante. «Sul serio? Hai schioccato le dita alla tua
segretaria? Che maleducato!» Poi guardai Leona. «Scusami, sono
stata inopportuna.»
Lei fece una risatina. «No, hai ragione. L’inopportuno è stato lui.
Purtroppo fa parte del suo fascino: sai, il tipico bastardo
indifferente.» Lo disse in modo da farlo sembrare un complimento,
ma era esa amente l’opposto.
Drew sbuffò e strizzò l’occhio, mentre Shandi gli porgeva un
bicchiere. Immaginai che fosse rum & cola, perché la bo iglia di
Malibu era ancora fuori e accanto c’era una la ina di Coca-Cola
aperta. «Grazie, carissima» disse in tono mellifluo a Shandi che
irradiava felicità come un ga ino che deposita ai piedi del padrone il
corpo dell’uccellino appena ca urato.
Volevo tornare in sala montaggio dove c’era un uomo che non
solo era molto più a raente, ma mi stava insegnando tu o su come
creare una storia avvincente e aspe are con pazienza. Richiamai
l’a enzione di tu i ba endo le mani sulle cosce. «C’è altro?»
«Hai fre a?» mi chiese Leona, sempre seduta comodamente sulla
poltrona di pelle bianca. Era come una regina sul trono, e lo studio il
suo castello.
Avrei potuto mentire, ma era una cosa su cui stavo lavorando.
Wes mi stava insegnando che l’onestà è sempre la scelta migliore, in
ogni situazione. «Sì, un po’. Wes mi sta aspe ando in sala
montaggio: stiamo finendo lo speciale intitolato Un favore speciale per
la puntata di venerdì.»
Leona annuì. «Sono sicura che sarà un altro successo. È ancora in
linea, Ms Milan?» chiese, di punto in bianco.
Si udì di nuovo la voce di mia zia. «Sì, ma non per molto. È
fortunata che devo occuparmi di un po’ di scartoffie mentre voi tre lì
ve la raccontate. Possiamo arrivare al punto? Ho un impegno tra un
quarto d’ora.» Parlava in modo molto dire o, una delle qualità di
mia zia che apprezzavo di più. Quando era in modalità business non
diceva mai una parola di troppo e faceva in modo di non perdere
tempo.
Leona sorrise e cominciò a picchie are sulla scrivania. «Bene,
venendo al punto, i tuoi indici di ascolto, Mia, e quelli del
programma stanno crescendo in maniera esponenziale, e noi,
ovviamente, vorremmo capitalizzare la cosa. Pertanto, il do or
Hoffman e la Century Productions sono d’accordo che ci piacerebbe
offrirti una presenza regolare nel programma. Continuerai Sani e belli
ma, a partire da novembre, vorremmo aumentare considerevolmente
la tua presenza.»
«In che misura?» chiese Millie.
«Be’, all’inizio pensavamo di far partecipare Mia al programma
con maggiore regolarità al fianco del do or Hoffman. Ha l’aspe o e
il fascino perfe i per conquistare un pubblico giovane.» Lanciò
un’occhiata a Drew. «Non che tu sia vecchio, ma hai comunque
vent’anni di più. L’ingresso di una ragazza di venticinque anni che si
occupa di certe cose, tipo intervistare gli artisti e le celebrità più
giovani, potrebbe davvero dare nuova linfa al programma.»
Mi voltai verso Drew. «Do ore, per te va bene? Cioè, se è vero
quello che sta dicendo Leona dovrai stare in onda insieme a me
come non hai mai fa o finora. Sei sicuro che sia ciò che vuoi?»
Anche se morivo dalla voglia di me ermi a saltellare per la stanza
gridando “Sì, sì, prendetemi, prendetemi”, dovevo me ere in conto
anche il fa o che avrei dovuto lavorare con un uomo che era stato
un lupo solitario per molto tempo, e magari non era completamente
d’accordo con questo cambiamento. E se lui non era d’accordo, non
avrebbe mai funzionato. Se lui ce l’avesse avuta con me, e io avessi
dovuto affrontare le ripicche tipiche di questo ambiente, non
avrebbe mai funzionato.
Drew si protese verso di me e mi prese la mano tra le sue. Un
gesto inappropriato? Assolutamente sì. Tipico di Drew, il bastardo
indifferente come l’aveva chiamato Leona? Al cento per cento.
«Carissima, l’idea è stata mia.»
Lanciai un’occhiata a Leona e lei annuì, arricciando le labbra.
«Perché?» gli chiesi, abbassando la voce.
Si ritrasse, dopo avermi dato due leggere pacche sulla mano. «Io
sicuramente non diventerò più giovane. Non sono un vecchio
bacucco, ma ci sono alcune cose che vorrei ancora fare. Come
passare del tempo con mia moglie, per esempio.» Sogghignò e
sollevò il sopracciglio. «L’hai vista, no?»
Annuii, con una risatina.
«E poi sono stato lontano dalla professione medica troppo a
lungo, se escludiamo la clientela fa a di celebrità che mi impongo di
visitare se c’è qualche necessità. Mi sto arrugginendo. Se nel giro di
q gg g
sei mesi o un anno arriviamo al punto in cui tu sarai in grado di
prenderti carico di metà del lavoro, io potrò dedicarmi ad altre cose:
fare consulti su casi particolari, espandere la mia clientela e così via.
Sul serio, sarebbe una situazione vantaggiosa per entrambi. E poiché
tu sei una stella nascente, il tuo unico limite è il cielo, cara.»
Dio, quanto detestavo quando mi chiamava “cara”: lo trovavo
vagamente viscido, anche se per lui era solo una cortesia.
«Se Mia è interessata alla vostra proposta, e non è affa o de o che
lo sia, ci servono un po’ di numeri: una stima delle ore di lavoro,
spostamenti, il de aglio dei compensi. Manca poco alla fine del
mese.» In so ofondo si sentiva il ticche are delle unghie di Millie
sulla tastiera. «Sto organizzando gli impegni di Mia per novembre e
dicembre, dunque se volete che prenda in considerazione la vostra
proposta, ho bisogno di riceverla entro domani pomeriggio.»
Accigliata, osservai il telefono, come se così potessi fare chiarezza
sul cumulo di cazzate che la zie a aveva appena finito di sparare.
Sapevo con certezza che non stava affa o organizzando i miei
impegni di novembre e dicembre, perché le avevo de o chiaro e
tondo che con questo mese io avevo chiuso e non avrei assunto altri
incarichi. Avrei rimborsato Max e poi avrei deciso che cosa fare,
anche se questa era l’offerta dei miei sogni. Una presenza fissa in un
programma televisivo? Un lavoro regolare e che adoravo fare?
Stringevo i pugni so o il tavolo e intanto pregavo che mia zia
sapesse quel che stava facendo e non mandasse all’aria questa
opportunità. Dovevo avere fiducia in Millie: era lei che mi aveva
fa o arrivare fin lì e non c’era motivo di pensare che non avrebbe
tenuto in considerazione i miei interessi anche per il futuro.
Leona piegò la testa di lato, come se stesse valutando la scadenza
che le aveva imposto Millie. «Va bene, chiederò al mio team di
cominciare a lavorarci da subito. La riceverà domani, verso la fine
della giornata.»
«O imo. Se non c’è altro, io mi congederei. Mia, bambolina, noi ci
sentiamo più tardi: ti chiamo stasera.»
«Grazie, zi… ehm, Ms Milan.» Riuscii a correggermi appena in
tempo. Non c’era bisogno che sapessero il nostro piccolo segreto,
sopra u o perché non li riguardava.
p p g
La comunicazione si chiuse e io mi alzai. «Bene, ora posso tornare
al lavoro?»
Leona si alzò a sua volta e mi porse la mano. «Spero di potermi
presto congratulare con te per il tuo ingresso nella grande famiglia
della Century Productions.»
Le feci un sorriso d’intesa e mi diressi verso la porta. Avevo già la
mano sulla maniglia quando mi girai e vidi tre paia di occhi puntati
su di me, in a esa che dicessi qualcosa. «Sapete, questo è stato l’anno
più strano e sorprendente di tu a la mia vita, ma mai come in questo
momento mi sono sentita, dal punto di vista professionale, nel posto
giusto, a fare ciò che dovrei fare. Devo ringraziarvi per avermi fa o
capire che tipo di carriera voglio davvero intraprendere.»
Leona si sistemò una ciocca di capelli e inarcò un sopracciglio. «A
questo punto la domanda è: pensi che dopo quest’anno tu sia finita
qui per un motivo? E sopra u o, ciò significa che il tuo posto è qui
con noi, a lavorare al programma?» Dalla mascella contra a e dalla
postura generale compresi che la mia risposta avrebbe significato
molto per lei.
Senza pensarci un solo istante, le dissi: «Per ora, e per quello che
posso ragionevolmente prevedere, sì, assolutamente. Non vedo l’ora
di me ermi al lavoro». Dopodiché aprii la porta, uscii
chiudendomela alle spalle e mi diressi verso l’ascensore che mi
avrebbe riportata da Wes e da quello a cui stavamo lavorando.
Quando gli diedi la bella notizia, andò su di giri. Sarei rimasta a
Malibu, avevo ricevuto un’offerta di lavoro e a un certo punto avrei
sposato l’uomo dei miei sogni. Dieci mesi prima non avevo nulla, e
ora tu o questo: davvero incredibile!

Wes era felicissimo per me. Festeggiammo esagerando un po’ con lo


champagne, poi facemmo l’amore sulla spiaggia dove al ma ino
facevamo sempre surf e infine ci infilammo nel le o tu i sporchi di
sabbia e di sale. Anche quella no e Wes fece uno dei suoi sogni
malati, ma la sua reazione fu molto diversa dal solito.
Lo sentii svegliarsi di colpo, ma stavolta non ci furono urla. Ormai
avevo imparato la routine, dunque mi preparai a saltare giù dal le o,
parlare al mio uomo per farlo allontanare dal precipizio e poi amarlo
p p p p p
con ogni atomo del mio corpo, finché nella sua testa fosse rimasto
solo l’amore che ci legava. Lui però mi bloccò stringendomi la vita
con un braccio. Sentivo la sua erezione contro il sedere, ce l’aveva
duro come il marmo. Senza pensarci due volte, sollevai i fianchi e mi
sfregai contro di lui.
«Tesoro, sto bene» mi disse, con un sibilo. Il suo tono era aspro,
ma il fa o che avesse usato un vezzeggiativo era un buon segno.
«Mi ami?» gli chiesi, subito. Aveva funzionato tu e le altre volte,
ma stano e qualcosa era cambiato, come se il copione fosse stato
riscri o.
La mano di Wes scese in basso e mi ricoprì il sesso. Non appena
infilò due dita dentro di me, se le ritrovò completamente bagnate.
Mi sfuggì un gemito rauco, profondo. «Baby… mi ami?» gli chiesi
ancora.
Mi diede un morso sulla spalla, dopo averla denudata. «Sì, amo
ogni fo uto centimetro di te, amo fo erti e ti amo fo utamente»
disse con una specie di ruggito mentre mi infilava dentro un altro
dito, penetrandomi con tre dita, sempre più a fondo. Le sue
a enzioni mi fecero inarcare e allungai un braccio per me erglielo
a orno al collo.
«Dove sei, baby?» gli chiesi con la mente annebbiata dal piacere e
dal desiderio, muovendo su e giù i fianchi in risposta ai suoi affondi
sempre più imperiosi.
«Dentro di te» mi rispose, leccandomi il collo e prendendomi il
mento con l’altra mano.
Veloce come un ninja, si girò e mi preme e la faccia contro il
materasso, le sue dita magiche però se n’erano andate e io manifestai
la mia delusione con un grugnito.
Rispondeva a ogni domanda che gli ponevo, ma il tono e
l’a eggiamento in generale erano sbagliati. Con una precisione
incredibile mi tirò su per i fianchi, così che potessi reggermi sulle
ginocchia mentre lui mi esplorava. Io mi lamentai, o meglio urlai:
anche se si era dato un po’ da fare con le dita, ero ben lontana
dall’essere pronta ad accogliere il palo d’acciaio che teneva tra le
gambe. Il suo pene era duro come il marmo, quando me lo sba é
dentro senza tanti complimenti.
p
«Adesso ti scopo e poi ti scopo ancora, tesoro, ne ho proprio
voglia. Ho voglia della tua fiche a morbida, di sentirti tu a bagnata.
Qui è tu o secco, asciu o, non riesco a respirare!» Continuava a
sba ermi, chino sopra di me. «Non c’è umidità, e tu sei la mia oasi in
questo buco infernale» mormorò, mentre mi mordeva la pelle del
fondoschiena con tanta foga che strillai. Per tu a risposta, lui mi
morse ancora più forte.
Bruciava da morire ma al tempo stesso il suo membro arrivava a
toccare quel punto dentro di me che mi dava tanto piacere. Wes
affrontava e comba eva i suoi demoni, ancora e ancora, con ciascuno
degli affondi brutali con cui mi faceva salire in alto, sempre più in
alto.
«Tirami fuori di qui, tesoro, portami via» mi supplicò.
Era troppo: la pressione, il bruciore, la precisione dei colpi dentro
di me. Non riuscii più a tra enere la reazione del mio corpo.
Raggiunsi l’orgasmo e il mio sesso continuava a stringerlo
fortissimo, ma lui non si lasciò andare. Continuò a pomparmi finché
non mi portò di nuovo oltre il limite, una, due, tre volte… Era
instancabile nella ricerca del mio piacere, ma lui non venne.
Alla fine, dopo aver toccato il cielo con un dito per la quarta volta,
collassai sul materasso. Lui mantenne la presa sui miei fianchi. «No!
Ho bisogno di te. Ho bisogno che tu lo faccia andare via» disse tra i
singhiozzi.
Con un’energia che non sapevo di avere mi spinsi all’indietro
facendo forza sulle ginocchia e impalandomi sul suo membro. Lui
cercò di spingermi giù, ma io gli andai contro. Alla fine uscì da me e
cadde a sedere sul le o. Io mi girai e mi misi a cavalcioni, con le
ginocchia che gli stringevano i fianchi e le mani sui suoi bicipiti. Era
come un inse o infilzato dentro una vetrine a. Avevo infilzato il mio
uomo. E lui era talmente stanco che non oppose resistenza, grazie a
Dio.
Scuoteva la testa da una parte e dall’altra e aveva il volto rigato
dalle lacrime.
Ero vicinissima alla sua faccia. «Guardami!» esclamai a voce
abbastanza alta da sovrastare i suoi singhiozzi. Lui spalancò gli occhi
di colpo. Aveva le pupille completamente dilatate. Come sospe avo,
era di nuovo prigioniero dei suoi flashback.
«Wes!» gridai. «Torna. Da. Me.» Gli baciai le labbra, ogni bacio un
modo per fargli sentire amore, stabilità e la sicurezza della sua casa.
Sentivo che cominciava a partecipare di più finché, alla fine, mi infilò
le dita tra i capelli per tenermi ferma la testa. Le nostre bocche si
sfioravano. «Mia… sei il paradiso» mormorò mentre mi leccava le
labbra.
«Wes…» Lo baciai con tu o l’amore che avevo, le labbra avide, la
lingua che esplorava ogni meandro, le nostre anime avvinte, finché
non pronunciai le parole che sigillavano quel bacio: «Ricordati di
me, Wes. Ricordati di noi, baby» gli bisbigliai e lui spalancò gli occhi,
finalmente tornati del loro bellissimo verde.
«Per nulla al mondo potrò mai dimenticarti, Mia, o dimenticarmi
di noi. Sei la donna della mia vita, l’unica ragione per cui vale la
pena comba ere contro tu o ciò. Tu sei il mio paradiso personale.»
«Oh, baby, ti amo tanto» dissi, la voce ro a dall’emozione.
«Oddio, Mia, dire che ti amo non rende neanche lontanamente
l’idea.»
E cominciò a dirmi con le labbra ciò che non poteva esprimere con
le parole.
“Grazie.” Mi baciò la fronte.
“Grazie.” Mi baciò le guance.
“Grazie.” Mi baciò il collo.
“Grazie.” Mi baciò le labbra.
Ripeté la serie da capo finché ogni cosa scomparve e noi fummo
trasportati in un’isola prote a e riparata dal nostro amore. Nulla
avrebbe potuto distruggere quel paradiso.
10

L’edificio era molto alto e all’interno regnava una ricchezza ostentata


in modo quasi gro esco. Era pieno di uomini e donne d’affari che
indossavano abiti eleganti che probabilmente costavano più della
mia moto. Wes mi strinse la mano con tanta forza che continuai a
cercare di sfilarla finché non allentò la presa. Mentre a raversavamo
l’enorme atrio in direzione degli ascensori avevamo i palmi delle
mani sudati e appiccicosi. Esaminai l’elenco dei piani e preme i il
pulsante del se imo. Se e, numero fortunato: bisognava essere
o imisti.
«Ma perché siamo venuti fin qui?» sospirò Wes appoggiandosi
alla parete di fondo dell’ascensore.
Sbuffai e gli andai vicino. «Lo sai benissimo perché. È arrivato il
momento.»
«Ma sto benissimo» disse, seccato.
Lo guardai negli occhi con aria di sfida. «Ah, davvero? Dobbiamo
parlarne ancora? Perché penso che la no e scorsa non fossi tu quello
che la teneva stre a, mentre l’uomo che lei ama si prendeva la sua
fiche a.»
Wes dilatò le narici e digrignò i denti al punto che riuscii a
percepirne il rumore. «Lo sai che non ti farei mai del male.»
Mi avvicinai premendo il pe o contro il suo, gli accarezzai il viso
costringendolo a girarsi verso di me. «No, apposta no. Ma non
sempre sei lo stesso uomo con cui mi sveglio abitualmente: a volte
sei l’uomo che comba e per la propria vita, l’uomo che ha visto una
donna a cui voleva bene brutalizzata ogni giorno per un mese intero.
L’uomo, infine, che usa il sesso per me ere un cero o sopra il buco
nero nel suo cuore. Baby…»
Wes mi abbracciò. «Lo faccio per te, perché non posso tollerare
l’idea di farti del male. Non voglio che succeda mai più come l’altra
no e, ho davvero toccato il fondo. Non so neanche come tu faccia a
guardarmi negli occhi, tantomeno stare al mio fianco. Sono un
malede o egoista, ma farò tu o quello che posso perché tu rimanga
con me. Ti prego, Mia, non lasciarmi…»
Feci un respiro profondo e gli diedi un bacio sul collo. «Non ti
lascerò mai.»
Un trillo, e le porte dell’ascensore si aprirono. Uscimmo mano
nella mano, uniti ma feriti: quella no e per me era stata la goccia che
aveva fa o traboccare il vaso.
Raggiungemmo la porta di vetro smerigliato con la scri a
DOTTORESSA ANITA SHOFNER – PSICOLOGO in grandi le ere nere. La
aprii ed entrammo nella sala d’aspe o. In un angolo c’era la scrivania
della segretaria, che sembrava la sosia di Angela Lansbury. Quando
varcammo la soglia, alzò lo sguardo su di noi e il suo viso si illuminò
con un sorriso.
«Abbiamo un appuntamento con la do oressa Shofner.»
Lei mi consegnò un foglio. «Intanto compili questo. La do oressa
sarà da lei entro…» – guardò l’orologio: mancavano quindici minuti
alle qua ro – «quindici minuti. Di solito le sue sedute finiscono alle
meno cinque.»
Annuii e accompagnai Wes verso una fila di poltrone dall’aria
solida. Lo aiutai a compilare il questionario, anche se era
perfe amente in grado di farlo da solo. Era teso come una corda di
violino, continuava a muovere le ginocchia mentre io gli accarezzavo
il braccio. Il fa o che fosse così ansioso era una novità, l’avevo visto
in contesti molto diversi ma mai così a disagio. Sembrava
preoccupato, quasi diffidente.
Intrecciai le dita alle sue e mi portai la sua mano alle labbra per
baciarla. «Ehi, andrà tu o bene. Entro anch’io con te e se dopo una
quindicina di minuti ti senti ancora a disagio, ce ne andiamo, okay?»
Fece un respiro profondo. «Okay, va bene. È solo che… non mi do
pace per quello che è successo e continuare a parlarne mi fa temere
che capiterà ancora, e anche peggio.»
Gli sorrisi. «Sì, è possibile, ma alla fine ti dovrebbe aiutare a
chiudere la faccenda, a guarire definitivamente e a lasciarti tu o alle
spalle.» Stavo dicendo una serie di enormi cazzate. Non avevo la più
pallida idea se una strizzacervelli specializzata in disturbo da stress
post-traumatico sarebbe stata in grado di aiutare Wes oppure no, ma
le persone con cui avevo parlato ne erano più che sicure. Tu i
dicevano che doveva farsi aiutare e affrontare il problema. Io
pensavo di fare una cosa utile ricordandogli le cose belle che aveva e
amandolo in maniera così aperta, ma forse alla fine parte del
problema era proprio lì. L’unica certezza che avevo era che la no e
precedente era stata proprio bru a. Davvero bru a, e io non volevo
mai più affrontare un’esperienza del genere, e nemmeno avere paura
di condividere il le o con l’uomo che amavo.
La porta si aprì e con mia grande sorpresa ne uscì Gina DeLuca.
Non si era ancora accorta di noi, ma quando Wes la vide mi strinse le
dita con una forza tale che mi si bloccò la circolazione. Gina stava
parlando so ovoce, asciugandosi gli occhi con un fazzole o di carta.
La donna vicino a lei le accarezzava il braccio e a un certo punto
l’abbracciò. Sì, la do oressa la consolava e l’abbracciava. Non avevo
bisogno di vedere altro per sapere che eravamo nel posto giusto: era
una che lavorava con amore e compassione, esa amente ciò di cui
aveva bisogno il mio uomo.
Gina si voltò e rimase di sasso. Gli occhi bagnati di lacrime si
illuminarono di colpo e sfoderò un largo sorriso. «Weston, sei
venuto» disse, allargando le braccia. Lui d’istinto le andò incontro e
la strinse in un caloroso abbraccio. Il fa o che la toccasse mi provocò
una punta d’irritazione e dove i stringere i pugni per ricacciare
indietro quella ridicola gelosia che spuntava ogni volta che la
vedevo. Era una cosa insensata, e lo sapevo, ma non potevo farci
niente.
Wes arretrò di un passo e Gina mi rivolse un cenno di saluto.
«Vedo che finalmente ti sei deciso a seguire il mio consiglio e
prendere un appuntamento con la do oressa Shofner. È davvero una
splendida notizia. Lei per me è stata come un dono del cielo.
Chiamami in se imana, se vuoi che parliamo un po’ di… be’,
insomma…» Le spalle le si afflosciarono e in un istante l’espressione
p p
di gioia si trasformò in una di sconfi a. «… qualunque cosa su cui lei
ti inviterà a lavorare. Non che tu abbia bisogno di aiuto ma, ehm…»
Scosse le mani come se fossero bagnate e le strinse a pugno, poi fece
un respiro profondo. «Comunque, ti auguro buona fortuna. Spero
che la do oressa possa aiutare te quanto ha aiutato me.»
Andò via di corsa, uscendo dalla porta come se le bruciasse il
terreno so o i piedi. Già, la mia gelosia era decisamente malriposta:
quella donna era completamente a pezzi, e aveva bisogno di un volto
amico come quello di Wes. Ormai tra loro non c’era più nulla tranne
quel trauma condiviso.
Wes si girò a guardarmi, gli occhi pieni di tristezza e rimorso. Gli
strinsi forte la mano. «Non c’è nulla che tu possa fare. Andiamo a
conoscere la do oressa, eh?»
Chiuse le palpebre e annuì. Ci voltammo e la do oressa ci fece
entrare, tenendoci la porta aperta. «Voi dovete essere Weston
Channing e Mia Saunders. Prego, entrate.»
Una volta dentro fui colpita da un penetrante aroma di vaniglia:
in un angolo bruciava una candela color panna che spandeva
nell’aria un piacevole profumo. Sulla sinistra, un’intera parete era
occupata da una libreria piena di libri dal pavimento al soffi o.
C’erano testi di medicina accuratamente allineati e qualche scaffale
di narrativa, e riconobbi alcuni titoli. Un altro scaffale era occupato
da collane di classici.
Durante il mese trascorso con Warren avevo le o un sacco, e
anche con Alec. Erano entrambi amanti di le eratura, e scoprii
presto una vera passione per i grandi classici. Alcuni libri che non mi
ero preoccupata di leggere al liceo, come Grandi speranze di Dickens
o Romeo e Giulie a di Shakespeare, mi perme evano di evadere in
un’altra epoca, dove le cose avrebbero dovuto essere più semplici ma
non lo erano. Anche lì la vita era piena di gente, relazioni, amore e
paura. Indipendentemente dal periodo storico, nella vita tu o ruota
intorno a un semplice a o d’amore, o al timore dell’ignoto.
La scrivania della do oressa era un enorme tavolo di ciliegio con
le gambe affusolate e i bordi smussati ed era sistemata vicino alla
parete di fondo. Aveva un’aria decisamente massiccia, e se la
do oressa avesse voluto fare qualche esperimento di feng shui
q p g
probabilmente ci sarebbero voluti almeno due uomini per spostarla.
Vicino alla parete di destra c’era una zona salo o con un tavolino da
caffè, un lungo divano a righe nei colori del bianco e dell’oro e, di
fronte, due sedie con lo schienale alto che creavano una piacevole
armonia.
«Prego, accomodatevi» disse la do oressa indicando il salo ino.
Wes mi condusse verso il divano e, dopo che mi fui seduta, si
sistemò accanto a me. Quando dico “accanto a me”, intendo che ce
l’avevo praticamente in braccio. Mi afferrò la mano e se la portò in
grembo, dove la coprì con l’altra mano. La do oressa vide il gesto
ma non fece commenti. Wes era evidentemente un po’ sfasato: non
capita tu i i giorni di vedere un uomo così sicuro di sé stare
aggrappato a una donna in quel modo.
La do oressa si sistemò su una delle poltrone bordeaux, incrociò
le gambe e appoggiò il mento sulle dita intrecciate. Portava i capelli
castano chiaro raccolti in un elegante chignon e occhiali con la
montatura di tartaruga e indossava un paio di pantaloni blu scuro e
una camice a scollata beige. Aveva un’aria professionale e al tempo
stesso cordiale. Al bracciale o d’oro intorno al suo polso pallido era
appeso un unico ciondolo a forma di cuore. Immaginai che glielo
avesse regalato qualcuno che le voleva bene, il marito per esempio, o
un figlio. Esaminai la stanza e dal punto in cui ero seduta riuscii a
scorgere una foto di famiglia di fronte alla sua poltrona. Un altro
punto a favore della do oressa: era una donna legata alla famiglia.
La sua reputazione, l’aiuto che stava offrendo a Gina e il fa o che
avesse una famiglia mi portavano a credere che avesse tu e le
possibilità per aiutare anche il mio uomo a superare il trauma di ciò
che era accaduto in Sri Lanka e in Indonesia. E sopra u o con un
approccio amorevole e affe ivo.
Anita Shofner guardò prima me e poi Wes. «Da quanto ho capito,
siete qui perché lei soffre di problemi legati alle tragiche esperienze
che ha vissuto.»
Annuii, mentre Wes non mosse un muscolo e rimase zi o.
«Questo trauma ha ricadute sulla vostra relazione?» chiese la
do oressa, cominciando a saggiare con cautela la ragione molto
personale per cui ci trovavamo nel suo studio.
p p
«Sì» risposi io con decisione.
Quando Wes parlò, si strinse nelle spalle. «L’altra no e ho quasi
preso Mia con la forza. Ero come prigioniero nel bel mezzo di un
sogno» disse, con voce pia a. «Non voglio mai più fare una cosa del
genere o rischiare di farle del male. Vogliamo sposarci. Lei può
risolvere questo problema?» Fece quella domanda così in fre a che
mi limitai a fissare la do oressa in a esa della risposta.
Lei si passò la lingua sulle labbra e la fece schioccare. «Ok, be’,
spero di aiutare a…»
La interruppi: «Non mi ha costre a a fare nulla e di certo non mi
ha fa o del male. Più che altro, mi sono sorpresa e spaventata perché
la routine abituale dei terrori no urni è cambiata, e adesso non so
più con certezza come fare a riportarlo indietro».
La do oressa sollevò entrambe le mani. «Alt, alt. Terrori no urni.
Routine. Aggressione. Matrimonio. Andiamo con calma, una cosa
alla volta. Mr Channing… Weston… Posso chiamarla Weston?»
Wes annuì.
«Ok, Weston. So chi è lei. Ho le o i giornali e ho un’idea di
massima di quello che ha dovuto passare.»
Ovvio, dato che avevamo appena visto Gina uscire dal suo studio.
Di sicuro lei le aveva de o che cosa era successo.
La do oressa intrecciò le mani di fronte a sé e si protese in avanti.
«Lei ha subito cose che nessun essere umano dovrebbe mai subire.
La prigionia è qualcosa a cui lei è sopravvissuto. Non definisce in
alcun modo chi è lei.» Si appoggiò allo schienale ed emise un lungo
sospiro. «Ora, quello che faremo sarà parlare di questa sua
esperienza, ripercorrere tu i gli eventi e discuterne, a prescindere da
quanto siano crudeli o scioccanti. Possiamo farlo io e lei da soli o con
la presenza di Mia: deve decidere lei.»
Wes mi guardò, poi distolse lo sguardo. «Per ora rimane, ma
magari la prossima seduta, quando, ehm…» – si schiarì la voce –
«quando parleremo dei de agli, possiamo farlo da soli. Va bene?» La
domanda era rivolta alla do oressa, ma lui stava guardando nella
mia direzione. In tu o questo cercava comunque la mia
approvazione, non si rendeva conto che io volevo solo che lui stesse
meglio, che tornasse quello che era prima: che ritrovasse la pace. Gli
feci un ampio sorriso e gli strinsi la mano.
«Ok, allora visto che in questa seduta c’è Mia con noi, perché non
parliamo della violenza a cui ha accennato prima?»
Alzai gli occhi al cielo e, di nuovo, feci per negare tu o quando
Wes mi appoggiò un dito sulle labbra. «Tesoro, quel che è successo è
inacce abile, ora ho persino paura di dormire con te. È per questo
che ho acce ato di venire qui: se potrà essere d’aiuto, farò tu o ciò
che è necessario.»
Mi picchie ai il mento con le dita e osservai il mio uomo tanto
forte, l’amore della mia vita, raccontare a una sconosciuta le nostre
no i tribolate.
«Ho spesso episodi di terrori no urni. Mia ha trovato un modo
per riportarmi indietro» disse Wes.
«E quale sarebbe?» chiese la do oressa, disponendosi a prendere
qualche appunto.
Wes arrossì, aprì e chiuse la bocca senza dire nulla. Questa parte
da timido era davvero adorabile, mi fece venire voglia di cominciare
a baciarlo finché non avessi preso anch’io quel bel colorito rosato.
Sollevò una mano e si gra ò la nuca.
«Facciamo l’amore» risposi io a voce bassa, nel tentativo di
evitargli qualunque imbarazzo.
La do oressa sorrise. «E in che modo lo riporta indietro?» La
domanda era rivolta a me.
«Non saprei, di preciso. All’inizio è davvero furioso, madido di
sudore, gli occhi dilatati. Di solito si sveglia urlando, o piangendo,
oppure devo svegliarlo io accendendo la luce perché lui si dimena
come un ossesso.» La do oressa prese qualche appunto e aspe ò che
continuassi. Controllai che Wes non volesse proseguire al mio posto,
ma lui mi fece un cenno d’assenso, incoraggiandomi ad andare
avanti. «A volte ho la sensazione che lui sia ancora là.»
«Là dove?» chiese la do oressa, inarcando un sopracciglio.
Mi avvolsi una ciocca di capelli a orno al dito mentre pensavo a
che cosa rispondere quando intervenne Wes.
«Nel sogno, nell’accampamento, in quel capanno; incatenato al
muro, seduto nella mia merda.»
Mi appoggiai allo schienale, sperando che prendesse lui le redini.
«Poi è come se sentissi Mia che mi rivolge delle domande ma io
sono immerso nella nebbia, o forse lei è molto lontana.» Si accigliò e
abbassò lo sguardo, fissando i mocassini che aveva abbinato a un
paio di jeans scuri.
«Quali domande?» volle sapere la do oressa.
Lui si strinse nelle spalle, senza alzare lo sguardo. Sembrava che
le sue scarpe fossero la cosa più importante del mondo. «Mi chiede
se la amo, dove sono… Cose così. Di solito mi aiuta a tornare
indietro. Ma poi mi… ehm, ecco, le mie parti basse… e così,
insomma, mi diventa…» Non riusciva a proseguire, anche se
continuava a indicare quella parte del suo corpo che mi faceva venire
le gambe molli appena ci pensavo. Doveva essere molto orgoglioso
di quel pendaglio: le cose che mi faceva erano davvero egregie, e
andava tenuto nella massima considerazione.
«Duro? Pronto per la copula?» gli suggerì la do oressa in tono
ase ico. Avrei voluto farle un applauso per la sua professionalità,
ma appena si faceva cenno al suo grosso pene, io mi distraevo
sempre.
«Sì!» rispose lui a voce un po’ troppo alta, poi chiuse gli occhi.
«Voglio dire, certo… Oh, Cristo, che imbarazzo!»
Gli massaggiai le spalle, avvicinandomi un po’. «Niente affa o.»
«No davvero, Weston. È una risposta assolutamente naturale alla
paura e a causa di ciò che ha passato e che l’ha spaventata a morte, è
sensato che si rivolga alla sua compagna in cerca di consolazione e di
amore. Non ci vedo nessun problema. Però qualcosa dev’essere
cambiato, altrimenti lei non sarebbe venuto qui.»
Wes annuì e strinse le labbra tanto forte da farsele sbiancare. Mi
lasciò andare la mano, si alzò in piedi e cominciò a camminare avanti
e indietro alle spalle del divano, guardando fuori dalla finestra di
tanto in tanto. «Avrei potuto ucciderla: le ho messo una mano
intorno al collo.» Pronunciò quelle parole con un disgusto infinito.
«E poi ho cercato di aprirle le gambe. Loro l’hanno fa o! Loro
l’hanno fa o a Gina.» Si prese la testa tra le mani, scuotendola con
violenza inaudita. «E tu e queste cose ho tentato di farle a Mia. Mio
Dio! Cos’ho che non va?» disse, piangendo.
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La do oressa si era già alzata per andargli vicino prima che io
avessi anche solo capito ciò che aveva de o. Gli mormorò qualcosa e
lo fece sedere di nuovo. «Senta, Weston, talvolta, quando si è
inchiodati dal terrore, la nostra mente può ricreare un evento
straordinario per riscriverlo in qualche maniera. Questa esperienza
può essere stata un modo per la sua mente di riuscire a reggere ciò
che lei ha visto. Mia, lei crede che Weston stesse per farle del male?»
Scossi la testa con decisione. «No, assolutamente no. Quando
gridavo il suo nome, era come se sca asse un interru ore, ma temo
che quello dell’altra no e sia stato un grande passo indietro, e
speravamo che lei lo potesse aiutare a elaborare alcuni di questi
temi.» Mentre parlavo, mi avvicinai a Weston. Aveva l’aria molto
abba uta, se ne stava rannicchiato in un angolo dall’altra parte del
divano. Non appena gli fui vicina mi mise un braccio a orno alle
spalle e nascose il viso nell’incavo del mio collo.
«Sono così contento di avere te, Mia, tesoro…»
Gli accarezzai una guancia e fissai la do oressa Shofner. «Lo so.
Ce la faremo. Insieme.»

Verso la fine di o obre, Wes ormai andava dalla Shofner tre volte
alla se imana. Era stata una sua scelta. Lei gli aveva de o che aveva
bisogno di fare molta terapia per fare qualche passo verso la
guarigione, e il mio uomo aveva acce ato senza riserve. L’altra
aggiunta alla nostra vita quotidiana erano state le pillole bianche per
dormire che adesso prendeva ogni sera prima di me ersi a le o.
Probabilmente Wes aveva chiesto alla do oressa di dargli qualcosa
in grado di me erlo KO .
Anche se il sesso selvaggio nel bel mezzo della no e un po’ mi
mancava, di sicuro non mi mancava la ragione che c’era dietro. C’era
anche un altro vantaggio, e cioè le sei o se e ore di sonno
ininterro o. Dopo una sola se imana di riposo adeguato e con il mio
uomo che non temeva più di aggredirmi nel sonno, eravamo come
nuovi, e la vita finalmente tornava a sorriderci.
Wes e io ci alzavamo piu osto presto, facevamo l’amore (un altro
vantaggio della nuova situazione) e andavamo a fare surf. Poi io mi
dedicavo al lavoro, fuori o nell’ex camera degli ospiti che adesso era
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adibita a mio ufficio, mentre Wes faceva un po’ di palestra, oppure se
ne stava in spiaggia o cazzeggiava nel suo studio. Ancora non faceva
parola del film che prima stava per completare e neanche se aveva
intenzione di rime ersi a scrivere. Non che avesse bisogno di soldi,
la casa e le automobili erano state pagate e aveva fa o o imi
investimenti in passato. Secondo Wes, nessuno di noi due aveva
bisogno di preoccuparsi dei soldi, ne avevamo abbastanza per
condurre una vita agiata fino alla fine dei nostri giorni. Per me, però,
non era abbastanza: a preoccuparmi non erano tanto i soldi quanto
Wes, la sua energia, l’ambizione, il lavoro. Prima o poi lui e la
do oressa avrebbero dovuto affrontare anche questo capitolo, ma
per ora guarire dal trauma era la cosa più importante di tu e.
Uno degli effe i collaterali spiacevoli del fa o che Wes fosse a
casa e stesse affrontando una terapia per il trauma subito era il fa o
che molto spesso tornavo a casa e lo trovavo con Gina a ridere sul
divano o nel patio. In quelle occasioni appena entravo in casa Judi
mi me eva il broncio, come se gli stessi perme endo di rovinare
tu o. Ciò che lei non capiva era che nulla si sarebbe potuto insinuare
tra Wes e me, ormai era troppo tardi: eravamo ciascuno la bussola
dell’altro. Ero contenta di vedere Gina DeLuca, la donna che si era
scopato allegramente per qualche mese? No, non lo ero. La
do oressa mi aveva de o che i loro incontri facevano parte del
processo di guarigione di Wes, e non solo di quello di Gina? Sì, me
l’aveva de o più volte. E così, sfortunatamente, dovevo fare buon
viso a ca ivo gioco. Del resto avrei sopportato qualunque cosa
finché Wes era sulla strada per ritrovare la felicità perduta.
Eravamo ormai alla fine del mese, e mi a endevano novità
entusiasmanti. Ebbene sì, avrei avuto un ruolo da coprotagonista nel
programma del do or Hoffman due volte alla se imana, in aggiunta
al mio spazio di quindici minuti del venerdì. Ma sopra u o quello
era il giorno in cui sarebbe arrivata Ginelle e io non stavo più nella
pelle. Il fa o che la mia migliore amica venisse ad abitare a pochi
metri da me nella dépendance mi avrebbe calmata e resa molto più
stabile.
Quando udii il rumore di una macchina sulla ghiaia del viale o
saltai giù dalla poltrona del patio e mi misi a correre a perdifiato.
g p p p
Sentii Wes che spiegava a Gina il perché della mia bizzarra reazione
mentre lei sorseggiava un bicchiere di Chardonnay.
«La sua migliore amica si sta trasferendo qui da noi da Las Vegas,
si sistemerà nella dépendance» lo udii raccontare, mentre io con le
mie calze natalizie pa inavo sulle ma onelle dell’atrio.
Spalancai la porta ed eccola lì, con la mano a pugno pronta a
bussare. «Che diavolo ci fai qui, pu anella?!» Aprii le braccia e lei
corse ad abbracciarmi.
«Mamma quanto puzzi» disse annusandomi i capelli e dandomi
una strizzata. «Ma te la fai una doccia ogni tanto?» Si scostò e mi
sorrise, continuando a tenermi le mani sulle guance. «Non sei tanto
male per essere una troie a. Accidenti, quanto mi mancava il tuo
culo. Hai presente quant’è difficile farsi notare dal tipo giusto se non
hai un bel sedere a mandolino che si intoni con tu o questo ben di
dio?» disse con le lacrime agli occhi mentre si passava le mani lungo
il corpo. Era piccolina ma aveva due belle te e.
«Peggio per te! E non me erti a piagnucolare.» Feci una smorfia e
la strinsi in un altro abbraccio. Era davvero minuscola in confronto a
me, e io ho una corporatura nella media.
Sentimmo Wes che si schiariva la gola, e questo ci impedì di
continuare con i nostri lazzi. Mi girai, feci un ampio sorriso e gli
presentai Gin. «Wes, tesoro, lei è Ginelle, la mia migliore amica. Gin,
ti presento Weston Channing III.»
Wes mi fece l’occhiolino. «Piacere di conoscerti» disse, porgendole
la mano.
Ginelle non disse nulla, era rimasta a bocca aperta. «Porca
pu ana, mi sono bagnata le mutande. Ah, già, non le ho… Mi sono
bagnata le mie mutande invisibili.»
Chiusi gli occhi e anche se ribollivo di rabbia rimasi in silenzio.
Wes si stava sbellicando dalle risate. Afferrò Ginelle e la strinse tra le
braccia e lei sfregò il suo corpo minuto contro quello del mio uomo.
Se fosse stata chiunque altra a cercare di dargli una palpatina, sarei
stata furiosa, ma poiché sapevo che Gin lo stava facendo più che
altro per provocarmi, feci finta di ignorarlo.
«Ok, va bene così. Basta con gli abbracci, direi.» Wes staccò,
le eralmente, Ginelle da lui, ma lei fece in modo di afferrargli il
g
bordo della maglie a cercando di tenerlo vicino ancora un po’. Era
peggio dell’edera.
Le diedi qualche colpe o sulle mani. «Molla l’osso» le intimai,
fingendo di essere arrabbiata, e lei mi fece una smorfia.
«Ma che razza di amica sei? Esci con il Ken di Malibu che fa i film,
e non mi fai giocare neanche un po’ con il tuo bambolo o?»
bofonchiò mentre incrociava le braccia.
Ovviamente Gina entrò in scena proprio in quel momento, con la
borsa stre a tra le mani. Ginelle osservò il suo corpo perfe o,
l’acconciatura impeccabile, i denti, i vestiti e il trucco e la indicò con
il pollice, chiedendo: «E questa chi è, la Barbie bruna?».
Scoppiai a ridere ma mi morsi la lingua vedendo che Gina si era
adombrata. In fondo ne aveva viste abbastanza. «Ginelle, ti presento
Gina DeLuca, l’amica di Wes.»
Di colpo Ginelle collegò ogni cosa, e capii che non sarebbe andato
tu o liscio. Socchiuse gli occhi e si irrigidì. «Vuoi dire che questa è la
str…?»
Le misi una mano sulla bocca per zi irla, ma lei continuò a
proferire volgarità, tentando di liberarsi. Probabilmente pensava, in
quel modo, di difendere il mio onore. Ma io ero più grossa e più alta
e tenerla a freno dopo tanti anni era diventata la mia specialità.
«Ehm, sono contenta di vedervi, ragazzi. Gin è stanca, ha fa o un
lungo viaggio. Ora le mostro la sua sistemazione.» Praticamente la
trascinai via a forza, con i tacchi che strisciavano sul pavimento. Una
volta fuori, mi diede uno spintone.
«Ma che cazzo ti è venuto in mente? Quella stronze a fa tanto
l’amica ma lui glielo me eva dentro appena qualche mese fa! Non
capisco come tu possa perme erle di venire a casa tua. Sei fuori?»
Sospirando, la feci accomodare nella dépendance. «No, non sono
fuori. Ma per questa discussione ci serve qualcosa da bere.» Mi
diressi verso l’armadie o dei liquori che avevo chiesto a Judi di
riempire. Gli occhi di Gin si illuminarono come un albero di Natale.
Io sbuffai. «Allora, ti piace la tua nuova residenza?»
Gin osservò il luogo con a enzione. Era un bilocale, e dunque
c’erano un cucinino, una zona soggiorno, una camera da le o
separata e un bagno. Era il posto ideale per una giovane donna che
ricominciava una nuova vita.
«È più grande di dove stavo a Las Vegas. Sei proprio sicura di
volermi qui? Quello che è appena successo là dentro, be’, potrebbe
succedere di nuovo, in qualunque momento.» Non si stava
scusando, non era nel suo stile: raramente si scusava per essere
com’era.
Le misi un braccio a orno alle spalle e avvicinai la mia testa alla
sua. «Lo so, e mi piaci così come sei. Ma dobbiamo parlarne con
calma, in modo che tu sappia come comportarti in certe situazioni.»
Le passai un bicchiere di vodka e succo di mirtillo, ci sedemmo
sul divano e le raccontai tu a la storia. Alla fine sbadigliavamo per la
stanchezza e ci eravamo anche fa e un paio di pianti a diro o.
Raccontare tu a la vicenda a qualcuno che mi conosceva bene era
stato quasi catartico: qualcuno che sapeva la storia della mia vita e
non mi avrebbe giudicata né vista so o una ca iva luce. Gin era
sempre presente per me e adesso sarei stata io al suo fianco, ad
aiutarla a guarire dalle ferite provocate dalla sua recente esperienza.
Forse avrei potuto mandare anche lei dalla do oressa Anita Shofner,
che era una terapeuta straordinaria. Avrei affrontato
quell’argomento in seguito. Adesso volevo che Gin si sistemasse e si
ambientasse.
«Dunque pensi che starai bene qui?» le chiesi incrociando le dita:
speravo davvero che ce l’avrebbe fa a.
«Mia, avevo bisogno di questo cambiamento, era arrivato il
momento di lasciarmi tu o alle spalle: quel lavoro sfigato, la
sensazione di inutilità, la nostalgia di te e vivere nello stesso buco
no e e giorno. Era giunto il momento di una nuova avventura, e non
vedo l’ora di scoprire dove mi porterà la mia vita qui in California.»
«Ti dirò: se c’è una cosa che ho imparato quest’anno è che quel che
conta è il viaggio. Trust the journey» le dissi indicando il mio piede.
Lei sogghignò nel vedere il tatuaggio che ormai per me era una
specie di ritornello.
«C’è un posto in cui fanno i tatuaggi da queste parti?» mi chiese,
impulsiva come sempre.
Annuii e allargai le braccia, in a esa del suo abbraccio. L’idea di
lei che si faceva tatuare aveva mandato all’aria i miei piani di
andarmene a dormire. «Sì, mi pare che ce ne sia uno.»
Ginelle fece un meraviglioso sorriso. Era sempre stata dolcissima
con me e adesso era qui al mio fianco, pronta a ricominciare daccapo
e questa volta c’ero io con lei.
«Fammi strada» disse, indicandomi la porta e fui colta da una
sensazione molto intensa.
«Sì, questa volta farò strada io» e parlavo sul serio. Dopo dieci
mesi in cui avevo sempre dovuto fare quello che mi veniva de o, ora
di qua, ora di là, ingaggiata per essere qualcos’altro, per salvare
qualcun altro, mi ero stancata di fare quella che seguiva: da quel
momento sarei stata io a decidere del mio destino.
NOVEMBRE
1

Fiocchi di neve. Unici, effimeri, diversi l’uno dall’altro.


Assolutamente affascinanti. Ne presi in bocca uno mentre cadevano
dal cielo. Si sciolse all’istante non appena mi toccò la lingua. La
nevicata mi avvinse con la sua magia mentre i fiocchi mi si
appiccicavano alle ciglia, distorcendo la visione. Sba ei le palpebre e
bu ai fuori il fiato, una nuvole a che mi fece venire in mente una
voluta di fumo. Allargai le braccia e girai lentamente su me stessa,
mentre la neve mi cadeva sul viso e sui palmi delle mani aperte.
«Se hai finito di giocare, possiamo entrare in albergo?» disse Wes
con una risata. «Sto gelando!» Mi appoggiò il naso ghiacciato sul
collo abbracciandomi da dietro e stringendomi a sé. Gli coprii le
braccia con le mie.
«Ma è così bello! A Las Vegas nevica di rado e a Los Angeles non
nevica proprio.» Guardai estasiata quel fenomeno così raro per me.
Mi preme e la faccia sul collo, dandomi una serie di baci sulla
nuca. «Bello, sì… peccato che io abbia le palle gelate e il cazzo simile
a un ghiacciolo.»
«Be’, i ghiaccioli mi sono sempre piaciuti.» Feci una risatina e mi
girai verso di lui. «Grazie di avermi accompagnata. A essere sincera,
non ero pronta a separarmi da te.»
Wes sorrise in quel modo che mi faceva venir voglia di saltargli
addosso. Accidenti se era sexy, anche tu o infago ato so o il
berre o di lana!
«Chi direbbe di no a due se imane a New York con una bella
signora?» Mi si avvicinò, sfregò il naso contro il mio e mi diede un
bacio veloce sulle labbra.
Bugiardo. Quando quelli della produzione mi avevano de o che
sarei dovuta andare a New York un paio di se imane a filmare le
p
celebrità per lo speciale del do or Hoffman intitolato Grazie di… e
per il mio appuntamento di Sani e belli, non era sembrato
minimamente interessato. Aveva de o che d’inverno evitava come la
peste la East Coast. Immagino che l’Oceano Atlantico non fosse
abbastanza caldo o le onde non fossero abbastanza alle anti per un
surfista irriducibile… e comunque le temperature, paragonate a
quelle della Gold Coast californiana, erano decisamente rigide.
Mi ero rassegnata al fa o che saremmo stati lontani due
se imane, cosa che secondo me era prematura, troppo a ridosso del
rapimento. La sola idea di stare separata da lui anche per pochissimo
tempo mi dava l’orticaria, ma avevo fa o di tu o per sembrare
impassibile. Wes era ancora convalescente e la terapia stava andando
benissimo; fargli pensare che non credevo fosse in grado di
sbrigarsela da solo per due se imane senza la sorveglianza della
fidanzata iperprote iva era l’ultima cosa che volevo.
Era stato solo quando mi ero messa a organizzare le interviste al
mio amico Mason Murphy, il famoso lanciatore dei Red Sox, e ad
Anton Santiago, il Latin Lover, che aveva cambiato idea. Una sera
della se imana precedente Wes mi aveva confessato di aver passato
un’intera seduta con la sua terapeuta, Anita Shofner, a parlare degli
uomini con cui ero ancora in conta o. Sapeva che mi sentivo
regolarmente con Mason, Tai, Anton, Alec, Hector e Max.
Ovviamente Max, il fratello a lungo perduto, non era un problema;
né lo era Hector, visto che era gay e aveva una relazione seria con
Tony. Però aveva ammesso di essere un po’ geloso degli altri qua ro.
Aveva conosciuto Anton e apprezzato il fa o che mi avesse dato una
mano in un momento difficile, ma non si fidava davvero di lui vista
la sua reputazione di donnaiolo. Persino Mason, innamorato co o
della sua adde a alle pubbliche relazioni, Rachel, lo innervosiva.
Ma avevo aperto bocca sulla faccenda? Neanche per idea. No, se
questo significava che lui sarebbe venuto a New York con me.
Sapevo di essermi comportata da stronza, ma quando mi aveva
chiesto cos’avrei fa o con loro dopo averli intervistati, mi ero
limitata a stringermi nelle spalle e gli avevo risposto che avrei fa o
qualunque cosa mi avessero chiesto. Cinque minuti dopo stava
preparando la valigia.
p p g
«Quando incontriamo i tuoi amici?» mi chiese con una sfumatura di
irritazione nella voce. La sua reazione alla prospe iva di rivedere
Anton e di conoscere Mason era strana: il mio ragazzo era uno con i
piedi per terra e a proprio agio nella sua pelle; solo che, dopo
l’esperienza in Indonesia, non era ancora tornato a essere la persona
rilassata che conoscevo. La sua psicologa mi aveva de o che ci
sarebbe voluto tempo, consigliandomi di continuare a dargli
qualcosa di positivo su cui concentrarsi, ovvero noi due e il nostro
rapporto che stava sbocciando.
«Questa sera vediamo Anton e Heather. Ha organizzato una cena
da lui. Mace e Rach arriveranno solo tra qualche giorno.» Quello che
non gli dissi era che Anton ci aveva offerto di stare nel suo a ico di
Manha an. Quando eravamo a Miami, Anton gli era piaciuto
abbastanza, ma all’epoca avevamo appena iniziato a riconoscere che
ci amavamo ed eravamo troppo occupati a cercare di capire cosa
pensava l’altro per accorgerci di quello che ci stava a orno.
Disfacemmo le valigie, me endo le cose nei casse i della stanza
d’albergo, e facemmo l’amore. Sentii la tensione abbandonare Wes
quando venne dentro di me pronunciando parole d’affe o.
Mentre ero sdraiata sopra di lui e cercavo di riprendere fiato, mi
prese la mano sinistra, se la portò alle labbra e baciò ogni singolo
dito. Poi il subdolo bastardo mi infilò qualcosa di pesante al medio.
«Quando ci sposiamo?» mi chiese all’improvviso. Eravamo nudi,
avevamo appena fa o un sesso grandioso, assonnati dopo il lungo
volo, e io ero abbandonata sul suo pe o. Lo avevo scopato al meglio
delle mie possibilità e probabilmente avevo sui fianchi il segno delle
sue dita a mo’ di prova.
Sba ei le palpebre e mi scostai i capelli dalla faccia, poi gli posai
le mani una sopra l’altra all’altezza del cuore. Mi piaceva sentirne il
ba ito, sapendo che mi apparteneva.
«Cos’è, una proposta?»
Socchiuse gli occhi e indicò la mia mano con un cenno del mento.
Abbassai lo sguardo sulla fasce a di diamanti che mandava bagliori.
«Ne abbiamo già parlato» disse, poi aggiunse: «Sai che non te lo
chiederò. Non hai la possibilità di rifiutare». Parole decise, che non
lasciavano spazio al compromesso.
p p
Mi misi seduta sopra di lui e concentrai l’a enzione sull’anello più
bello che avessi mai visto, che adesso scintillava al mio dito. Non era
vistoso come la maggior parte degli anelli di fidanzamento; no, era
semplice eppure magnifico. Si tra ava di una fasce a d’oro con
incastonato un numero assurdo di diamanti; non c’era pericolo che le
pietre si impigliassero in qualcosa: potevo ancora guidare Suzi senza
preoccuparmi dei guanti da motociclista. Era semplicemente
perfe o.
Mi si riempirono gli occhi di lacrime. «Davvero non hai
intenzione di chiedermelo?» Soffocai un singhiozzo fissando quello
che, a quanto pareva, era un anello di fidanzamento.
Si tirò su a sedere, mi mise un braccio dietro la schiena e facendo
leva coi talloni si spostò indietro appoggiandosi alla testiera del le o,
con me seduta a cavalcioni sopra di lui.
Mi infilò le mani tra i capelli e mi costrinse a guardarlo in faccia.
«Hai davvero bisogno che te lo chieda?» disse guardandomi con i
suoi magnifici occhi verdi.
«Bisogno? No. Desiderio? Qualcosa del genere» ammisi con le
lacrime che mi rigavano le guance.
Wes sospirò e sfregò la fronte contro la mia. «Non farmelo
rimpiangere» sussurrò, la voce scossa da quella che era
probabilmente ansia – paura, persino – per come avrei risposto.
«Mia, amore mio, vita mia, vuoi sposarmi?»
Lo fissai e nel suo sguardo vidi l’incertezza, come se avessi potuto
dire di no. Non se ne parlava proprio che rifiutassi di legare a me
quest’uomo per sempre. «Invece di un altro anello, posso avere
un’altra moto?»
Wes sba é le palpebre, ge ò indietro la testa e rise.
Gli baciai il pe o mentre rideva, stuzzicandolo e mordicchiandolo
sul collo e vicino all’orecchio. «Sì, baby. Voglio sposarti.» Dissi le
parole che sapevo voleva sentire.
Mi strinse tra le braccia. «Ti renderò molto felice.»
Lo fissai senza ba er ciglio. «Vuol dire che mi compri una moto
nuova?» chiesi speranzosa.
Scosse la testa e mi baciò tanto a lungo e con tale passione da
rendermi le labbra insensibili.
«Quando?» mi sussurrò roco nell’orecchio mentre si faceva strada
verso i miei seni. A quanto pareva mancavano due secondi e mezzo
all’inizio del secondo round.
«Mmh… l’anno prossimo?» dissi, stringendomi la sua testa al
pe o mentre lui mi prendeva in bocca il capezzolo ere o.
«Okay, il primo gennaio» borbo ò succhiandomi il seno. Mi
strinse l’altro capezzolo tra le dita e succhiò forte quello che aveva in
bocca.
«Oh, sì» geme i. «Aspe a… cosa?»

Bussai alla porta dell’a ico di Anton. Wes era al mio fianco e mi
teneva un braccio intorno alla vita. La porta si aprì proprio quando
stavo per bussare di nuovo. A dir la verità ero stupita di aver dovuto
bussare, visto che il portiere aveva avvisato del nostro arrivo.
«Eccovi qui!» disse Heather alzandosi sulla punta dei piedi. Già
alta di suo, portava un paio di sandali con il tacco a spillo che le
conferivano una statura maestosa. La capigliatura bionda la faceva
assomigliare a una rockstar, come quando eravamo a Miami, solo
che adesso i suoi capelli erano striati da ciocche rosa all’ultimissimo
grido. Indossava una maglie a aderente rosa acceso a maniche
lunghe con una scri a che diceva IL ROSA È IL NUOVO NERO in le ere
bianche. La maglie a era svasata e infilata nei jeans stre i chiusi da
una cintura con le borchie che dava un tocco aggressivo al suo look.
Dovevo uscire di più con le ragazze, sul serio. Ginelle mi aveva
tormentata per due se imane perché andassi a fare shopping con lei
a Los Angeles. Avrei dovuto farlo, una volta tornata.
Heather mi strappò dalle braccia di Wes e mi strinse forte,
facendomi oscillare da una parte all’altra, poi si scostò e mi diede
una bella occhiata. «Ragazza, non ti avevo comprato dei vestiti a
Miami? Perché non li me i?» Arricciò il naso in un gesto che non
voleva essere critico, solo sincero.
Mi lasciai sfuggire un sospiro e scossi la testa. «Così sto comoda»
dissi, tirando l’orlo della T-shirt a maniche lunghe del concerto di
Lorde dove ero stata con Maddy l’anno prima. Quella pollastrella
aveva fa o venire giù lo stadio e la maglie a era fighissima. L’avevo
messa sopra un paio di jeans stre i sbiaditi, completi di strappi sulle
p p j p pp
cosce, e stivali da cowboy con il tacco da cinque centimetri… quelli
che Max chiamava “stivali da spalamerda”, anche se non avevo mai
spalato merda con quelli ed erano relativamente nuovi. Cyndi ne
aveva mandati un paio a Maddy e uno a me per ricordarci che cosa
ci aspe ava in Texas. Anche quelli erano da urlo. Pelle nera, una
decorazione sulla punta squadrata. La cosa migliore? La fibbia
superstupenda all’altezza della caviglia.
Heather mi guardò i piedi. «Mmh, gli stivali sono carini.»
Wes si schiarì la gola.
«Oh, giusto. Heather, ti ricordi il mio ragazzo, Wes?» Lo indicai
con un gesto.
«Mmh, volevi dire fidanzato, dolcezza» mi corresse Wes con un
sorrisino, strizzandomi l’occhio.
Heather spalancò gli occhi come se avesse preso la scossa. «Per la
miseriaccia, amica mia! Vi sposate! Ma è magnifico!» Ci strinse in un
abbraccio colle ivo, me endoci le mani sulle spalle. «Cacchio, ma
dài. Anton impazzirà. I matrimoni sono la sua specialità!»
Feci una risata nasale. «Com’è possibile? Visto che non si è mai
sposato.»
«Sì, ma è stato fidanzato un mucchio di volte!» disse scherzando.
Ci guidò a raverso il grande a ico fino in cucina, dove trovammo
Anton che muoveva le anche davanti al fornello a sei fuochi
seguendo una musica che solo lui udiva. Sentii un aroma di qualcosa
che friggeva che mi fece venire in mente il cibo messicano.
«Chi è che si sposa?» Anton si girò, con in mano una spatola di
legno. «Lucita! Tu? Dimmi che non è vero.» Incrociò le mani sul
cuore e si appoggiò contro il bancone.
Io risi, Wes no. Mi mise un braccio a orno alle spalle. «Sì, invece.
Fagli vedere l’anello. Ci sposiamo il primo gennaio» disse in tono
pieno di orgoglio maschile.
Sollevai la mano e guardai Wes, perplessa.
Anton fece tanto d’occhi. «Così presto. Wow. Come direbbe mia
nonna, non perdete tempo.» Fece un gran sorriso e ci strizzò l’occhio.
«Non abbiamo ancora stabilito una data» riba ei, girando la testa
verso Wes.
Lui inarcò le sopracciglia. «Credevo l’avessimo fa o prima di
venire qui. Ricordi?»
«Le cose di cui si parla nell’estasi del coito non contano. Questa è
coercizione!» Sporsi in fuori il labbro inferiore.
Wes mi rivolse un gran sorriso e scrollò la testa. «Peccato. Hai
de o di sì. Adesso l’unica cosa che rimane da decidere è dove.»
Infilò le mani tra i miei capelli, alla base del collo, sciogliendo il nodo
di tensione dovuto a una giornata intera di viaggio, per non parlare
dello stress di fidanzarsi. Non avevo neanche chiamato Maddy e
Gin. Si sarebbero incavolate di bru o se la cosa si fosse venuta a
sapere senza che fossi stata io a informarle.
«Ne parliamo dopo, va bene?» Mi allungai verso di lui e gli diedi
un bacio, poi già che c’ero gliene diedi un altro, così non avrebbe
pensato che mi stavo so raendo.
Mi mise una mano sulla guancia. Io mi girai e gli baciai il palmo.
Aveva un’espressione diffidente, ma mi resi conto che probabilmente
era dovuta alla situazione, al posto e alle persone con cui eravamo.
«Okay, dolcezza. Dopo, cioè domani» disse in tono fermo, quasi
autoritario.
Un compromesso è un compromesso. «Affare fa o. Dimmi,
Anton, che fai di bello? A proposito, il tuo ultimo album era
fortissimo!»
«Oh, Lucita, quell’album era il massimo. Ti è piaciuto il pezzo
dove cantavo sopra una voce femminile?»
«Certo! E, Heather, come sta andando il lavoro da manager?»
L’ultima volta che li avevo visti, era appena stata promossa. Anton
non si era reso conto di quanto fosse preziosa la sua migliore amica
nonché assistente personale; e quando era stato sul punto di
perderla, le aveva fa o un’offerta per farla rimanere. Per quanto ne
sapevo, le cose andavano alla grande.
Anton si intromise prima che lei potesse parlare, come al solito.
Gli piaceva essere al centro dell’a enzione, il che si ada ava
perfe amente alla sua carriera di star del rap. «H è asombrosa…
Come dite voi? Straordinaria! Lo spe acolo che sta ideando, i
costumi. Fantástico! La miglior decisione che io abbia mai preso,
quella di promuoverla. Sono proprio contento di averci pensato.»
q p p p p
«Tu?!» Heather e io urlammo all’unisono, poi scoppiammo a
ridere.
«E va bene, forse l’idea non è stata mia. Però ho raccolto il
suggerimento.»
Alzai gli occhi al cielo. Heather fece un sorrisino e incrociò le
braccia.
«Vabbè, Anton. Cosa ci stai preparando?» chiesi avvicinandomi al
bancone e dandogli un colpe o sul fianco.
Lui non si mosse, continuando a mescolare la salsa che guardava
con occhio di falco. «Oh, un pia o base per me e la mia familia. Arroz
con pollo.»
«“Pollo” l’ho capito, ma cos’è il resto?»
Ridacchiò. «Sostanzialmente riso e pollo.»
«Non ti sei risparmiato, a quanto vedo» dissi serissima.
Anton mi scostò i capelli dalla spalla e mi accarezzò una guancia
con il pollice. «Cosa non farei per te, Lucita.» Parlò in tono serio, ma
la scintilla maliziosa nei suoi occhi tradiva la verità.
Sbuffai. «Pollo e riso?»
Aggro ò la fronte. «Ehi, non scherzare. Tu i adorano pollo e riso,
no?»
«Come no, Anton. Wes, vuoi qualcosa da bere?» Mi girai verso
Weston. Fissava la schiena di Anton con occhi di fuoco, e io non
avevo la minima idea del perché. «Wes?» ripetei finché non riportò
su di me lo sguardo. «Qualcosa da bere?»
Heather si diresse verso il frigorifero e lo aprì. «Ho messo in
fresco del Cristal e penso che dovremmo stapparlo adesso, al posto
dei Martini che avevo intenzione di preparare. Di sicuro abbiamo un
motivo per festeggiare, dato che state per sposarvi! Oh, mio Dio!
Non morite dalla voglia?» chiese aprendo una credenza per tirar
fuori qua ro calici da champagne.
Feci un respiro profondo e rilassai la tensione delle spalle mentre
sollevavo la mano per guardare l’anello. «Morire non direi. Più felice
di quanto pensavo che sarei stata in questo momento della mia vita?
Assolutamente sì!» Guardai Wes, che sembrò rilassarsi visibilmente
nell’udire le mie parole. La postura rigida scomparve e le spalle
contra e si distesero mentre lui appoggiava la testa alla mano, il
gomito sul bancone della cucina.
«Quale donna non sarebbe emozionatissima?» Mi sporsi verso di
lui dall’altra parte del bancone e allungai la mano. Lui la prese, la
sollevò e mi baciò il palmo. Sentii i brividi lungo la schiena e li seguii
con il pensiero mentre si diffondevano dappertu o. I brividi si
trasformarono in ondate di eccitazione quando lui mi sfregò il palmo
della mano con il pollice. Avrei giurato che ci fosse un collegamento
dire o con il mio clitoride. Quando mi percorse il palmo con
l’unghia dove i reprimere un gemito. Non erano certo il momento
né il luogo ada o per lasciarsi andare al piacere. Ci toccava far
passare diverse ore prima di poterci abbandonare alla gloria del
nostro amore. Ma l’avremmo fa o, poco ma sicuro.
In quel momento decisi che prima della fine della serata lo avrei
eccitato al punto che avrebbe perso la testa prima ancora di
riportarmi in albergo.
Ste i al gioco, sollevandogli la mano e accarezzandogli l’interno
dell’avambraccio con le dita. Scesi fino al polso, tracciando degli o o
sulla pelle sensibile. Nei suoi occhi passò un lampo e lui mi scoccò
un sorriso, una visione accecante di denti bianchi e regolari
incorniciati da labbra meravigliose che non mi sarei mai stancata di
baciare. Per un a imo teme i che il mio piano segreto per sedurlo e
farlo impazzire avrebbe potuto ritorcersi contro di me. Capiva le
cose al volo, il mio uomo. Il gioco valeva la candela. Girai a orno al
bancone e mi misi al suo fianco. Lui non si fece pregare e mi strinse
contro di sé.
Heather versò lo champagne assurdamente caro. «Vieni qui,
Anton. Abbassa il fuoco e unisciti a noi» lo incalzò.
Anton armeggiò con le manopole della cucina a gas, girò sui
tacchi come se fosse in un videoclip di Michael Jackson, ge ò
indietro le spalle, mise i piedi avanti e avanzò a passo di danza.
«Quanto te la tiri» commentai acida.
Questa volta Wes scoppiò a ridere. Finalmente il mio uomo si
stava rilassando, ma ho idea che la cosa fosse dovuta al fa o che:
uno, io portavo il suo anello; due, ero appiccicata a lui; tre, Anton era
uno stupido. Uno stupido sexy da morire, d’accordo, ma pur sempre
p p y p p
uno stupido. Non avrei mai ammesso neppure so o tortura che
fosse sexy, perché Wes sarebbe andato fuori di testa. E poi, se le fan
di Anton avessero scoperto quanto era stucchevole avrebbero
continuato a adorarlo perché quel che contava era la sua musica e
poi lui era diabolicamente bello, ma il fa ore stupidità avrebbe
scoraggiato la maggior parte delle ragazze con un po’ di sale in
zucca. Non gli rimaneva che sperare nella buona sorte.
Anton levò il bicchiere e noi lo imitammo. «A Lucita e al suo
hombre, che possiate brillare come il sole e avere una vita piena di
amor. Salud.»
Io sorrisi e per la prima volta Wes rivolse un vero sorriso ad
Anton e annuì. Anton guardò Wes, poi me, ge ò indietro la testa e si
scolò lo champagne. Poi disse con calore: «Segunda ronda».
Wes mi strinse la spalla e io lo guardai. «Sono contento che siamo
qui» ammise.
Chiusi gli occhi, feci un gran respiro e gli appoggiai la fronte sul
collo. «Anch’io. Sono buoni amici e vogliono solo il meglio per me. E
il meglio… sei… tu» gli dissi contro la pelle.
Wes mi fece alzare il viso e mi sfiorò le labbra con un bacio. «Lo
so. Ho la testa ancora… lo sai… incasinata.» Parlò a voce così bassa
che solo io riuscii a sentirlo. Non aveva importanza, perché dopo il
brindisi Anton era tornato ai fornelli e Heather aveva riempito di
nuovo i bicchieri e adesso stava me endo un po’ di musica.
«No» riba ei accarezzandogli la tempia. «Solo timori infondati.
Non ci sarà mai un altro. Te lo giuro.»
Lui annuì e mi venne vicinissimo. Sentivo il suo respiro sulle
labbra e l’odore dello champagne. «E io mi assicurerò che sia così»
sussurrò, poi mi diede un bacio molto più appassionato di quanto
fosse appropriato alle circostanze.
Ci staccammo al rumore di un applauso e di grida esultanti
provenienti dalla piccionaia dall’altra parte del bancone. Sarebbe
stata una lunga serata.
2

«No! Non toccarla. Gina! Gina!»


Mi svegliai al suono della voce di Wes. Stava chiamando Gina. Mi
sfregai gli occhi per scacciare il sonno e i troppi bicchieri di
champagne, nonché i vari Martini, e mi tirai su a sedere sul le o.
Accanto a me Wes si agitava e si rigirava. Aveva le lenzuola
a orcigliate intorno al corpo e la fronte imperlata di goccioline. Il
pe o era coperto di sudore, messo in risalto dalla luce della luna che
entrava dalle finestre. Quell’incubo doveva durare da un bel po’, più
del solito. In genere gli me evo una mano sul braccio o sul pe o e
lui si calmava, talvolta svegliandosi e talvolta no. Era da qualche
giorno che non aveva incubi, quasi una se imana. La terapia stava
andando molto bene. Da quando eravamo partiti da Malibu per
venire a New York aveva saltato l’ultima seduta della se imana
precedente.
Per un a imo mi maledissi per il mio egoismo. Avevo voluto che
venisse con me a New York quando probabilmente quello che gli
serviva era starsene tranquillo a casa per continuare il processo di
recupero. Erano passate solo cinque se imane dal rapimento, troppo
presto per allontanarsi dall’unico posto che lo faceva sentire al
sicuro. Merda!
Mentre scivolavo fuori dal le o, urlò di nuovo.
«Gina… no. No. No, oddio. Mia! Mia! Quella è mia moglie!
Toglile quelle luride mani di dosso!» Inarcò il corpo in una posa che
aveva l’aria di essere estremamente dolorosa.
Accesi le luci e lo chiamai. «Wes! Torna da me, per favore!» Non
mi azzardavo a toccarlo. L’unica volta che l’avevo fa o mi aveva
dato una gomitata nelle costole, lasciandomi un bru o livido che lo
aveva fa o sentire peggio di quanto mi sentissi io.
p gg q
«Se tocchi Mia… ti uccido. Ti uccido! Lei è mia!» ruggì.
Presi la bo iglia che tenevo sul comodino, svitai il tappo, rivolsi
una preghiera al capo su in cielo e gli versai un po’ d’acqua sul pe o.
Fu scosso da un tremito e allargò di colpo le braccia in fuori. Ero
preparata e mi limitai a spostarmi in tempo per evitare di essere
colpita dalla sua reazione istintiva.
«Mia!» Aveva le pupille completamente dilatate, i denti scoperti.
«Stai bene?» chiese con voce roca. Non capivo se ce l’avesse con me,
ancora prigioniero dell’incubo, o se volesse saperlo davvero.
Mi passai la lingua sulle labbra e mi scostai i capelli dalla faccia.
«Sto bene. Mi ami?» Gli ponevo la stessa domanda tu e le volte che
faceva uno di quei sogni.
«Più di ogni altra cosa al mondo» rispose senza esitare.
Fece per alzarsi, ma sollevai una mano per fermarlo. Non sapevo
ancora chi fosse in quel momento: il mio Wes, il Wes prigioniero, il
Wes vi ima, il Wes arrabbiato e pericoloso.
«Chi sono io?» gli chiesi, cercando di accertarmi che non fosse
ancora in preda all’incubo.
«Sei Mia Saunders, che presto diventerà Mia Channing.» Le
parole erano dolci anche se la voce era tesa, come se pronunciarle
fosse doloroso.
Mi concessi un sorriso sentendo il mio nome accanto al suo
cognome. «E che porta un anello davvero carino per dimostrarlo.»
«Poco ma sicuro. Vieni qui.» I suoi occhi stavano ritornando del
verde luminoso di cui mi ero innamorata mesi prima, ma non
abbassai ancora la guardia.
«Perché mi ami?»
Sorrise, si sfregò la mascella e lasciò ricadere la mano sul le o.
«Perché non sono me stesso senza di te. E non voglio essere un me
senza di te.»
Chiusi gli occhi, salii sul le o e mi sede i in grembo a lui. «Baby»
gli dissi me endogli una mano sulla guancia «raccontami che cosa è
successo.»
«Dopo» sussurrò, circondandomi la schiena con un braccio e
prendendo in bocca un capezzolo a raverso la seta della camicia da
no e.
Wes adorava vedermi addosso la biancheria, il che era piu osto
sorprendente; sembrava un uomo che preferiva la nudità, dato che in
genere mi levava i vestiti di dosso quasi tanto velocemente quanto io
me li me evo. Anche se diceva di adorarmi vestita. Mi inarcai
offrendomi al suo bacio appassionato, godendomi la sensazione
della seta sul capezzolo che Wes mi stava succhiando. Divina.
Non ebbe bisogno di essere incoraggiato per trovare l’orlo della
camicia da no e che mi era risalita lungo i fianchi e sfilarmela per
avere accesso ai miei seni nudi. Erano gonfi e doloranti per il
desiderio che lui continuò a far crescere leccando e succhiando i
capezzoli ere i. Me li leccò fino a quando non diventarono grossi e
arrossati.
«Adoro i tuoi seni» disse, baciandone uno.
«E loro adorano te» ansimai, volendo di più, molto di più.
Mossi i fianchi sfregandomi contro la sua erezione che mi
spuntava tra le cosce. Wes era nudo e magnifico. Quando avevamo
finito di fare l’amore dopo essere tornati dalla cena con Anton e
Heather, non si era preso la briga di rime ersi i boxer. Si era limitato
a girarsi verso di me dopo che mi ero infilata la camicia da no e –
senza niente so o – ed ero tornata a le o. Aveva intrecciato una
gamba alla mia e si era addormentato quasi subito.
«Prendimi, dolcezza. Voglio sentirti a orno a me.»
Mai ascoltate parole migliori.
«Con piacere» sussurrai contro la sua bocca, succhiandogli il
labbro inferiore. Mi sollevai, afferrai il suo grosso membro e ne
posizionai la punta tra le grandi labbra.
Chiusi gli occhi e lo presi lentamente, assaporando ogni
centimetro della sua erezione che si faceva strada dentro di me
riempiendomi tu a e sfregando contro i tessuti ipersensibili.
Quando mi ebbe penetrata fino in fondo, entrambi ci lasciammo
sfuggire un sospiro, mentre il mondo a orno a noi si allontanava e
spariva. La vita, gli incubi, tu o quello che dovevamo fare il giorno
dopo… ogni cosa cancellata, spazzata via nel momento stesso in cui i
nostri corpi si erano fusi in uno solo. Pura beatitudine.
Mi prese per i fianchi e io lasciai che mi guidasse al suo ritmo.
Con Wes, ogni volta era straordinaria. Non c’era nulla che
g
assomigliasse al piacere puro e semplice di averlo dentro di me. Non
me ne sarei mai stancata. Sapevo che indipendentemente da ciò che
il futuro avesse in serbo, sarei morta desiderando di rimanere con
quest’uomo per il resto della mia vita.
Assecondandolo, presi a muovermi un po’ più in fre a. Mi
sollevavo lentamente e poi mi abbassavo di colpo con un gemito,
finché lui cominciò a venirmi incontro con le sue spinte. Ogni volta
era come se il suo membro mi arrivasse dri o all’anima.
«Sei così in fondo…» geme i e lo baciai con passione.
Sospirò contro la mia bocca mentre i nostri corpi si fondevano
sempre più intimamente.
«Ho bisogno di scoparti forte, Mia. Di scacciare i demoni…»
Chiuse gli occhi e mi affondò le dita nella carne dei fianchi.
«Scacciamoli, baby.» Mi sollevai e contrassi i muscoli della vagina,
non lasciandogli altra scelta se non prestare a enzione alla donna
nuda che lo scopava seduta sopra di lui.
«Dio santo! È troppo bello» disse, risalendo con le mani lungo la
mia schiena e prendendomi per le spalle.
Oh, merda. Tu e le volte che faceva così significava che aveva
intenzione di me ermelo dentro fin dove poteva. Il giorno dopo
avrei avuto difficoltà a camminare, ma l’orgasmo che mi aspe ava
era da sballo. Proprio come sospe avo, non appena mi sollevai, lui
mi preme e con forza sulle spalle, affondandomi dentro. Gridai, con
la sensazione di essere aperta in due dal suo pene che mi arrivava
fino in fondo. Continuò a scoparmi in quel modo, prendendosi
quello che gli serviva per scacciare i demoni che lo perseguitavano, e
io ero lì con lui, al suo fianco. Ogni spinta e ogni respiro ansimante
che usciva dalla nostra bocca riportavano indietro il mio uomo, al
qui e ora, al luogo dove regnava l’amore e i demoni potevano
tornarsene nel loro buco a crepare.
Mi inarcai e mi contrassi quando gli affondi di Wes si fecero più
insistenti. Aveva i denti serrati e teneva gli occhi chiusi. Non avrei
permesso che scivolasse nel baratro senza di me.
«Wes…» dissi in tono di avvertimento.
Continuò a pomparmi senza fermarsi, cercando lo sfogo. Mi
sentivo viva fin nella più piccola fibra del mio essere, tesa fino allo
p p
spasimo e pronta a lasciarmi andare, ma avevo bisogno che lui fosse
con me. Sempre con me.
«Wes» dissi debolmente, in preda alla vertigine del desiderio.
Stavo cavalcando l’onda di un piacere così potente che avrebbe
potuto inghio irmi, ma volevo che anche lui fosse con me.
«Wes.» Soffocai un singhiozzo mentre la sensazione del suo
membro che mi apriva stava per sopraffare la mia capacità di
tra enere l’orgasmo.
Finalmente spalancò gli occhi, due pozze verdi di lussuria che mi
guardavano dri o in faccia, e disse una sola parola: «Vieni».
Per la primissima volta, quell’unica parola sprigionò il suo potere.
Iniziai a godere avvinghiata al suo corpo mentre lui dava gli affondi
finali e insieme toccavamo il culmine del piacere.
Le sue grida si mescolarono alle mie, e io ebbi la certezza che
sarebbe andato tu o bene. Finché riuscivamo a tirarci fuori
dall’inferno a vicenda, avremmo sempre avuto questo.

Ci alzammo per lavarci e tornando in camera mi lasciai cadere sul


le o esausta, con una sola cosa in mente: volevo sapere che cos’era
successo. La terapeuta aveva de o che Wes doveva affrontare questi
problemi, altrimenti si sarebbero aggravati, peggiorando gli incubi.
Mi sdraiai sopra di lui e appoggiai il mento sulle mani, all’altezza
del suo cuore. «Allora, che cosa succedeva nel sogno?»
Lui emise un sospiro e si passò la mano tra i capelli arruffati. Il
look appena sveglio gli stava alla grande. Se la mia vagina non fosse
stata reduce dal triplo giro della morte, mi sarei volentieri lanciata
un’altra volta sull’o ovolante. Ma purtroppo ciò che sentivo in
mezzo alle gambe diceva senza mezzi termini che mi serviva una
tregua.
«Non vuoi saperlo davvero, Mia. Vorrei non doverci pensare io, a
quella merda, figuriamoci se voglio che debba preoccupartene tu.»
«Era un flashback?» Sapevo che succedeva abbastanza
regolarmente.
Scosse la testa e rimase in silenzio, mordendosi il labbro mentre
rifle eva. «Qualcosa del genere, credo. Le cose erano diverse.
All’inizio, avevano preso Gina come nella realtà.»
p
Rabbrividii, sapendo esa amente che cosa quegli estremisti
avevano infli o alla sua ex. Gli stupri ripetuti non avevano fa o del
male solo a lei; Wes era stato costre o a guardare mentre lo
facevano, un giorno dopo l’altro. «E cos’era cambiato?» chiesi con
delicatezza, non volendo che si chiudesse a riccio.
Inspirò, sba é le palpebre diverse volte e mi mise una mano tra i
capelli che mi spiovevano sul viso. Giocherellò con le ciocche per
qualche istante.
«Era diventata te» disse alla fine.
«E come?»
Aggro ò le sopracciglia, continuando a giocherellare con i miei
capelli. Mi guardava come se stesse passando in rassegna ogni mio
lineamento, con un’intensità nuova.
«All’inizio i capelli erano diversi. Erano i capelli scuri di Gina, ma
non neri e setosi come i tuoi.» Si interruppe. «Poi è successo alle
labbra.» Mi passò un dito sulla bocca e io glielo baciai. «Il naso si è
allungato davanti ai miei occhi» aggiunse, percorrendolo con un dito
dalla radice alla punta. «Ma ancora non credevo…» Aveva la voce
rauca, come se avesse inghio ito una manciata di sabbia.
«Non credevi cosa?»
«Ho continuato a pensare che fosse lei finché i suoi occhi azzurri
sono diventati verde chiarissimo. Occhi che ho incontrato una volta
sola nella mia vita… i tuoi.»
«Oh, Wes, accidenti…» Deglutii per allentare il nodo che mi
chiudeva la gola. «Non ero io.»
Chiuse gli occhi e si indicò il cuore. «Lo so qui, ma qui» – si indicò
la tempia – «i de agli delle volte si confondono. E questo incubo è
stato il peggiore di tu i. Un a imo prima era come una delle no i in
cui avevano preso Gina, ma poi lei è diventata te. E, Mia… non sarei
sopravvissuto se lo avessi visto succedere a te. Non riesco a tollerarlo
adesso, dopo averlo visto succedere a una persona cui tengo, ma a
te? Gesù… il solo pensiero mi uccide.»
Gli misi una mano sulla guancia. «Wes, sono qui. Non sono mai
stata là. Sei sopravvissuto a un’esperienza orribile. Hai visto
succedere le cose peggiori a una persona cui tieni. Ma non ero io.
Vorrei che ci fosse un modo per riuscire a fartelo sentire, per poterti
portare via da quel posto, per distoglierti da quei pensieri.»
Wes mi passò un braccio a orno alla schiena nuda. «Ci riesci.
Quello che fai, il modo in cui mi stai vicina quando dormo. Va
meglio, te lo giuro.»
Mi si riempirono gli occhi di lacrime. «Allora averti trascinato qui
non sta peggiorando le cose?»
Sorrise, fle é gli addominali e mi a irò vicina a sé, naso contro
naso. Mi mise una mano sulla nuca e mi baciò a lungo, lentamente,
un bacio profondo a cui non potei fare a meno di arrendermi.
Mi mordicchiò un labbro, poi si scostò per guardarmi in faccia.
«Sei l’unica cosa che mi mantiene sano di mente. Senza di te, senza il
tuo amore, sarei perduto. Mia, tu mi dai una ragione per andare
avanti, la speranza per il futuro. Stare con te mi dà la carica. Non
sarei venuto se avessi pensato che stare lontano fosse una buona
idea.»
Gli strofinai il naso sul pe o e lo baciai proprio sopra il cuore. «E
se non fossi venuto con me, non avrei al dito questo anello favoloso.»
Agitai la mano sinistra per mostrarglielo e vidi i diamanti scintillare
alla luce della luna. Era magnifico e restavo senza fiato ogni volta
che guardavo il suo design essenziale. Era perfe o per me e
dimostrava che il mio uomo mi conosceva davvero bene.
Sbuffò. «Non pensare neanche per un a imo che non avessi
intenzione di chiedertelo alla prima occasione. Ho comprato
quell’anello subito dopo essere partito da Miami.»
«Miami? Ma è stato mesi fa!»
Fece una risatina. «È vero, ma se ricordi abbiamo avuto
pochissimo tempo prima della tua partenza per il Texas, e in quel
momento io stavo lavorando… prima di finire dri o all’inferno.»
Feci una smorfia.
«E poi ho avuto bisogno di riprendermi. Non volevo che pensassi
te lo stessi chiedendo in conseguenza dello stress che sto affrontando
in questo periodo, o che stessi cercando di rime ere insieme i pezzi
della mia vita in fre a e furia. Volevo che sapessi che ero pronto,
seriamente pronto, a impegnarmi con te per il futuro.»
«Ti amo, Weston Charles Channing III» dissi e sorrisi.
g
«Terzo» so olineò per sfo ermi.
E così per farlo star zi o lo baciai.

Rispose al terzo squillo, senza fiato: «Pronto».


«Gin, che succede? Perché hai il fiatone?» Lanciai un’occhiata
all’orologio: erano le undici del ma ino, le o o per lei.
Wes e io quel giorno saremmo rimasti in albergo a riposare,
guardare film e usare il servizio in camera. Avevamo un
appuntamento per una cosa goduriosa come un massaggio di coppia
di lì a un’ora, ma avevo immaginato che quello fosse un momento
buono come un altro per dare la notizia alle ragazze. Avevo già
chiamato Maddy, che aveva accolto la novità con entusiasmo al
punto da me ersi a blaterare di un doppio matrimonio quando si
fosse laureata. Tu e le volte che mia sorella era in quello stato di
sovreccitazione l’unica cosa da fare era assecondarla, anche se avevo
tralasciato di specificare che Wes era convinto di sposarmi il primo
dell’anno. Quello volevo dirglielo di persona, davanti a un drink, o
magari più di uno.
«Mmh, per nessuna ragione in particolare. Ohhh, uh… mmh.
Basta» disse al telefono, ma dubitavo che stesse parlando con me.
«Oh, pu anella che non sei altro. Sei con un uomo!» Ridacchiai,
facendo un verso di finta disapprovazione. A parti invertite mi
avrebbe dato il tormento senza pietà.
«Eh? No. Niente uomini. Chi, io? Puah» riba é calcando i toni.
«Sì… così.» La voce mi arrivava come se tenesse il telefono lontano
dalla bocca, ma non servì perché la sentii lo stesso.
«Ti sta scopando?» Oddio. Ci sono delle cose che non vuoi sapere
della tua migliore amica, e questa era una di quelle.
«Mia, piccola, è un bru o momento. Davvero… pessimo» disse,
poi scese il silenzio.
«Sul serio? Okay, va bene, volevo solo avvisarti che Wes mi ha
chiesto di sposarlo. Mi sposo il primo gennaio, luogo da decidere.
Goditi la festicciola.»
Chiusi la telefonata e iniziai il conto alla rovescia.
Cinque.
Qua ro.
Tre.
Due.
Il telefono si mise a suonare. “Mice a in calore” lessi sul display.
Aspe ai qua ro squilli prima di rispondere, giusto per farla friggere
un po’.
«Già finito di scopare il tizio che fingevi di non scopare? Non
dev’essere un granché, a quanto pare» dissi, rendendole pan per
focaccia.
Aveva il fiatone e dai rumori di so ofondo mi resi conto che si
stava muovendo per la casa. «Sei stata tu a chiamarmi, ricordi? Alle
o o del fo utissimo ma ino, mentre mi facevo leccare la passera per
la prima volta da mesi, tu mi sganci una bomba del genere? Sei una
merda, lo sai, Mia?» riba é parecchio irritata. «Se sapessi quanto sei
stronza… diresti… Per la miseria, la stronza sono io!»
«Hai finito di blaterare?»
Ginelle geme e. «E vabbè, visto che l’orgasmo da paura se n’è
andato a farsi friggere per colpa di una ba ona che sgancia bombe
sul mio palazzo del piacere, diciamo che sì, ho finito. Adesso, ome i
anche un solo de aglio e sostituirò il tuo shampoo con una crema
depilatoria. Vedrai quanto sarà contento Wes di una sposa calva.»
Mi misi a ridere e le raccontai come me lo aveva chiesto. Avevo
risparmiato a Maddy il particolare che avevamo appena finito di fare
sesso strepitoso, ma con Gin non era il caso: la mia migliore amica ci
viveva, di queste cose.
«Wow. È uno da non lasciarsi sfuggire, poco ma sicuro. Allora,
hai davvero intenzione di sposarlo il giorno di Capodanno?»
Mi strinsi nelle spalle, anche se non poteva vedermi. «Non lo so.
Lui sembra piu osto deciso. Immagino che il quando non
m’interessi poi molto, mentre Wes è determinato a iniziare il nuovo
anno come Mr e Mrs Channing. Il che è davvero strano, visto che
quando ci siamo conosciuti a gennaio la pensava in modo
esa amente opposto.»
«Anche tu, però» precisò lei.
«Non hai tu i i torti. Sembrano passati anni, e invece sono solo
dieci mesi. Credi che sia pazza a bu armi in questa cosa con lui?»
«Aspe a un a imo.» La udii muoversi per la piccola dépendance
annessa alla casa di Malibu; sentii una porta aprirsi e richiudersi, e il
rumore delle onde in lontananza: probabilmente era sul patio che si
affacciava sul Pacifico.
Ero lontana solo da due giorni, e già avevo nostalgia; era
sorprendente quanto poco ci fosse voluto perché considerassi casa
mia la villa di Wes.
«Sul serio, Mia, sai che non sono un’esperta di amore, però ti
conosco bene. Sei stata con degli uomini parecchio stronzi in
passato.»
«Per favore, non ricordarmelo.»
«E invece devo, perché hanno contribuito a fare di te la persona
che sei oggi. A parte quel pezzo di merda di Blaine, prima di lui ti sei
innamorata di qualcuno, e tu i ti hanno spezzato il cuore.»
«Vero» concordai, mordicchiandomi un’unghia.
«Ma nessuno di loro ti ha spezzata davvero. Parliamo invece di
quando Wes è scomparso in Indonesia: quella cosa ti ha distru a.»
Ginelle inspirò lentamente e teme i che stesse fumando, ma in
quel momento non ebbi il coraggio di sollevare l’argomento. «E
quindi riesci a pensare di stare senza di lui? O meglio ancora, riesci a
pensare di stare con chiunque altro?»
«Assolutamente no» dissi senza esitare. De o da una donna che
amava l’amore, anche dopo essere rimasta sco ata più di una volta
in passato. Sopra u o, mi piaceva il sesso senza impegno come a
chiunque, ma niente avrebbe mai potuto prendere il posto di Wes
per me. «Lui è il migliore, Gin.»
«Penso che tu abbia la risposta.»
«Tu sei con me?» Aspe ai tra enendo il fiato. Non mi serviva
l’approvazione di Ginelle, ma come aveva de o mi conosceva bene.
E non si sarebbe fa a problemi a dirmi che stavo per comme ere un
errore madornale, se era quello che pensava.
«Piccola, sono con te qualunque cosa fai. Forse non sempre mi
piace, ma ti sarò vicina. Però, nel caso di Wes… lui è il migliore per
te. Lo vedo in te e, cosa ancora più importante, lo vedo nei suoi occhi
tu e le volte che ti guarda pensando che nessuno se ne accorga.
Altro che follemente innamorato… per lui tu sei il sole, la luna, le
stelle, tu o quanto.»
«Grazie, Gin. Significa molto.»
«Lo sai cosa significa molto?» Ecco rispuntare la tigre.
«Cosa?»
«Un orgasmo rimandato. A Tao tocca ricominciare tu o daccapo,
anche se quel pezzo di samoano ha gioco facile.» Udii un rumore
come se si stesse leccando i baffi.
«Porca miseria! Ti scopi Tao, il fratello di Tai? Come? Quando?»
Fece una risatina. «Siamo rimasti in conta o da maggio. Sapeva
che stavi partendo. Si è preso del tempo libero e passerà con me due
se imane, a godersi il sole e la sabbia della terraferma. Anche se
immagino che dovremo uscire dalla camera da le o, se vogliamo
prendere un po’ di sole.»
«Pu anella che non sei altro!»
«Lo so! Sono così eccitata. Ragazzi… mi sta facendo vedere gli dèi
del fuoco hawaiani tu e le volte che…»
«Basta così!» Scossi la testa. «Risparmiami i de agli, ti prego.»
«Buu. Guastafeste!»
«Torna dal tuo uomo. Goditi quel pezzo di samoano.» Mi guardai
a orno nella stanza, tendendo l’orecchio; l’acqua della doccia stava
ancora scorrendo. Bene. «Lo so per esperienza. Ti farà perdere la
testa, altroché.»
«Mi sa che dovrei tenermela sulle spalle, cosa che non è, ma ti ho
sentita, sai? Ti ho sentita, ragazza» disse calcando sulle parole.
«Touché! Divertiti!» dissi con una risatina e mi misi a ballare per
la stanza, gasatissima che la mia migliore amica se la stesse
spassando con un bravo ragazzo che aveva una famiglia
meravigliosa.
«Oh, lo farò. Lo farò, sorella. Adoro il tuo bru o muso.» E com’era
nel suo stile, Ginelle riagganciò prima che potessi riba ere a tono.
Maledizione! Aveva vinto un’altra volta.
3

Wes e io uscimmo dall’ascensore per andare a pranzare con Mason e


Rachel. Nel momento stesso in cui oltrepassai l’alto pilastro di
marmo entrando nel grande spazio dell’atrio vidi la figura atletica
del mio amico che teneva con noncuranza un braccio a orno a una
donna.
Si girò e i nostri sguardi si incontrarono. Feci un gran sorriso, con
il cuore che ba eva forte; l’ultima volta che ci eravamo visti era stato
subito dopo che ero stata aggredita dal senatore della California.
Mi bloccai, ma Mason praticamente sca ò verso di me sulle sue
lunghe gambe, mi prese fra le braccia e mi sollevò da terra
facendomi volteggiare. Mi irrigidii, temendo che avremmo finito per
andare a sba ere addosso a qualcuno. Poi si fermò, mi mise giù, mi
circondò il viso con le mani e mi baciò sulla fronte.
«Accidenti, hai un’aria magnifica, dolcezza. Fa i dare
un’occhiata» disse con quell’accento di Boston che faceva morire le
ragazze. Mi squadrò da capo a piedi. Come al solito, non ero vestita
come una fissata della moda, però mi ero impegnata per indossare
qualcosa che mi stesse bene. Sopra u o per il mio uomo. Portavo un
paio di jeans scuri, un maglione aderente di lana verde, un paio di
stivale i marroni con il tacco alto, una sciarpa ad anello con un
motivo coloratissimo e un giaccone di pelle marrone lungo fino al
ginocchio. «Proprio così, sei sexy da morire!»
Gli diedi uno spintone scherzoso. Fummo raggiunti da Rach.
«Mia, che bello vederti. È tu a la se imana che questo qui non fa che
parlarmi di quanto ci tenga a incontrare te e il tuo ragazzo.» Fece
una risata dolce e io la abbracciai.
«Rach, è così bello vedervi, sopra u o in questo momento.» La
lasciai andare e le scostai i capelli dorati dalla spalla. «Hai un aspe o
p p p
magnifico. L’amore ti dona.»
Fece un gran sorriso mentre Mace le me eva un braccio a orno
alle spalle e la baciava sulla tempia. «Sì, sì, è vero» concordò.
Wes non aveva interro o i saluti, ma percepivo il suo calore alle
mie spalle, vicinissimo. Mi inclinai all’indietro senza preoccuparmi
di perdere l’equilibrio e, proprio come pensavo, lui era lì a
sostenermi. Sfoderai un sorriso e alzai lo sguardo, me endogli un
braccio a orno alla vita. Fece un sorrisino e mi strizzò l’occhio. Dio
santo, quanto mi piaceva quando mi faceva l’occhiolino: era come un
linguaggio speciale solo nostro. Quella strizzata d’occhio diceva: “Sì,
sai che sei mia, e che lo sarai per sempre”.
«Mason Murphy, Rachel Denton, questo è il mio ragazzo, Weston
Channing.»
Wes strinse la mano prima a Mason e poi a Rachel. «Mia, non
vorrei ripetermi, ma intendevi dire fidanzato, giusto?» Inclinò la
testa e mi sfregò il naso contro la tempia, poi la sfiorò con le labbra.
Rachel spalancò gli occhi come due fari nella no e. «Vi sposate?»
chiese con voce stridula.
Mi strinsi nelle spalle. «A quanto pare…»
Si mise a saltellare su e giù, si sfilò il guanto e mi mostrò la mano
sinistra. «Anch’io!»
Stavo per dire qualcosa, ma ero così sopraffa a dall’emozione e
dalla gioia che mi misi a saltellare su e giù come avrebbero fa o dei
bambini di cinque anni all’annuncio di un viaggio a Disneyland. Ci
abbracciammo e lanciammo gridolini fino a rimanere senza fiato.
«Fammi vedere l’anello!» disse praticamente urlando.
Tesi la mano verso di lei.
«Stupendo.» Mi fece girare la mano per guardarlo bene. «Sobrio e
non appariscente come qualcuno che conosco» disse alzando gli
occhi al cielo e poi guardando Mason.
Mason tirò in fuori il pe o e fece un sorrisino.
«Fammi vedere il tuo.»
«Non puoi non notarlo» disse asciu a, tra enendo un sorriso
entusiasta. Mi tese la mano sinistra e per poco non ci restai secca alla
vista dell’anello enorme che portava al dito.
«Per la miseria, ma quanti carati è?» chiesi in tono ammirato
osservando il gigantesco diamante a taglio quadrato grosso quanto il
suo dito.
«Qua ro carati la tavola, due il padiglione, in tu o sei» rispose in
tono presuntuoso Mason, facendomi venire in mente la primissima
volta che ci eravamo visti, quando si era comportato come un
perfe o cafone.
Strinsi le labbra, mi misi una mano sul fianco e gli lanciai
un’occhiata in tralice.
«Be’? Cosa posso dire? Il baseball mi piace, ma non tanto quanto
la mia ragazza.» Strinse Rachel al suo fianco. «Ti meriti di più.»
«Io volevo te e basta» borbo ò lei, ma sapevo che non gliene
importava. Non era il tipo di donna che si preoccupava di cose del
genere. È vero, si vestiva incredibilmente bene, era perfe a per
tenere in riga Mace e poteva frequentare i ricconi senza problemi, ma
in fondo voleva soltanto il suo uomo.
Wes mi mise un braccio intorno alle spalle e avvicinò la bocca al
mio orecchio. Il solletico del suo respiro bastò a farmi provare una
scossa di desiderio lungo la schiena. Mi aveva appena presa e stavo
già scalpitando per averne ancora. Le cose sarebbero sempre state
così? Di sicuro lo speravo ardentemente.
«Mia, se vuoi una grossa pietra, sarei più che felice di
accontentarti. È solo che non pensavo che tu…»
Lo interruppi girandomi, prendendogli la testa fra le mani e
stampandogli un bacio sulle labbra.
Aprì la bocca per la sorpresa e io ne approfi ai per infilargli
dentro la lingua. Lo stuzzicai per qualche istante, poi mi tirai
indietro e lo guardai. «Adoro quell’anello più di ogni altra cosa che
possiedo. Persino più di Suzi… cioè, fino a quando non mi
comprerai una Ducati, o magari una MV Agusta F4CC , ma quella
costa centoquarantamila dollari, che sono una follia, anche se la
Ducati ne costa quarantamila, che sono comunque un mucchio di
soldi…»
Wes mi mise due dita sulle labbra e mi fece un sorriso da
maniaco. «La mia ragazza ha l’occasione di aggiudicarsi un anello da
mezzo milione di dollari ma preferisce un missile a due ruote. Sei la
donna perfe a.»
«Perfe a per te!» Lo baciai sulle labbra, assaporando il gusto di
menta del suo dentifricio. Mmh.
«Okay, piccioncini» disse Mace con una risatina interrompendoci.
«Io e la mia ragazza stiamo morendo di fame. Qualche idea su dove
andare a pranzare? Possibilmente in giornata?»
Lo guardai torva, socchiudendo gli occhi. «Scusa tanto, sto
baciando il mio fidanzato. Ti crea problemi, per caso?»
Mace sollevò le mani in un gesto di finta esasperazione. «Mi
arrendo. Andiamo, Rach. Procuriamoci del cibo!»

Non appena Wes e Mace iniziarono a parlare di sport, mi accorsi che


il mio fidanzato si stava rilassando: interessante… Mentre ci stavamo
preparando a uscire per incontrarlo, mi aveva chiesto se avevo avuto
rapporti con Mason. Gli avevo de o di no e lui era parso sollevato,
ma rimaneva comunque diffidente. Questo lato geloso di cui non
conoscevo l’esistenza mi dava un po’ fastidio; avrei dovuto parlarne
con Anita quando fossimo tornati a Malibu. Il mio futuro marito
aveva un sacco di qualità meravigliose, ma questa nuova gelosia non
l’avrei proprio annoverata tra le cose che mi piacevano di lui.
Magari era perché adesso era “ufficiale” e lui pensava di avere dei
diri i su di me. Bah, non lo sapevo. L’unica cosa che sapevo era che
a ogni gesto di intimità di Mace nei confronti di Rachel il mio uomo
si rilassava un po’ di più, come se ogni loro sfiorarsi fosse una
garanzia che non aveva nulla di cui preoccuparsi. Nondimeno,
l’unica cosa che avrebbe dovuto contare sul serio era che non aveva
niente da temere perché mi ero impegnata con lui: doveva fidarsi di
me.
Quel pensiero mi spinse a chiedermi perché volesse che ci
sposassimo così presto. A cosa era dovuta tu a quella fre a? Se era
la gelosia a motivarlo, dovevo intervenire subito.
«Allora, quando avete in mente di sposarvi?» chiesi a Rachel.
Le si illuminarono gli occhi, e si sporse sul bancone del bar.
Avevamo trovato un pub raggiungibile a piedi dall’albergo che
aveva un’atmosfera accogliente, serviva sidro alcolico e una
g
selezione di birre straniere alla spina, cosa che aveva subito destato
l’interesse dei ragazzi, e offriva un menu passabile.
«Pensavamo verso la fine dell’anno prossimo. La stagione del
baseball va avanti fino a o obre, perciò probabilmente subito dopo.
La terza o la quarta se imana di o obre, giusto, tesoro?» disse
Rachel dando un colpe o sulla spalla a Mace.
Lui addentò un enorme anello di cipolla fri a. «Sì. Va bene
qualunque cosa tu decida. Io ci sarò, con indosso qualunque cosa tu
abbia scelto.»
Lasciate fare all’uomo, il cui unico obie ivo è non organizzare
nulla del suo matrimonio. Organizzare. Bleah. Era l’ultima cosa al
mondo che avevo voglia di fare.
Rachel alzò gli occhi al cielo. «Sarà una cosa in grande stile. Fra
tu i e due abbiamo così tanti parenti e poi naturalmente ci sono i
giocatori della squadra e una quantità di membri di altre squadre di
cui è amico. L’ultima volta che li ho contati erano
qua rocentocinquanta.»
«Qua rocentocinquanta cosa?»
«Invitati.»
«Caspita! Credo di non aver conosciuto tanta gente in tu a la mia
vita.»
Rachel si strinse nelle spalle. «Fa parte del gioco. Più siamo più ci
divertiamo, dico io. Sarà straordinario. Sto organizzando tu o da
sola. A proposito, fammi dare un’occhiata al calendario.» Armeggiò
con un dispositivo ele ronico che teneva nella borsa. Non era un
telefono, però era più piccolo di un portatile. Pensai che fosse un
iPad. «Okay, a che data stavate pensando? Speriamo tu i che lui non
debba giocare, ma sfortunatamente non possiamo garantire niente.»
Strinse le labbra con un’espressione sinceramente dispiaciuta.
«Oh, be’, non abbiamo ancora deciso esa amente» bu ai lì, ma
Wes non aveva intenzione di darmi corda.
«Rachel, volevi sapere la data del nostro matrimonio?»
Lei lo guardò: «Sì».
«Primo gennaio, Capodanno» disse con sicurezza.
Mace fischiò. «Accidenti, è prestissimo. Hai tu o pronto,
dolcezza?»
Nell’udire quell’appellativo Wes lanciò un’occhiataccia a Mason.
Sospirai. «Wes vuole farlo il giorno di Capodanno, ma io non sono
d’accordo.»
Lui scosse la testa. «Non è vero. Concordavi in pieno.»
«C’è bisogno di ricordarti che le risposte date nel bel mezzo di un
orgasmo non dovrebbero essere usate contro di me?»
Mason ba é la mano aperta sul tavolo, ridendo come un ma o.
Persino Rachel ridacchiò, coprendosi la bocca con la mano.
Wes fece un gran sorriso. «Dolcezza, lo sai che vincerò questa
ba aglia, eppure stai ancora tentando di vincerla tu. Probabilmente
dovremmo cominciare a organizzare la cosa. Mia madre ci si bu erà
anima e corpo, e se e se imane non sono molte.»
«Se e se imane?» dissi con un sussulto, rendendomi conto solo in
quel momento quanto la data fosse vicina. «Anima e corpo?»
aggiunsi scuotendo la testa. Non era per niente quello che volevo.
Non se ne parlava proprio.
«Oh, no. Sembra che Mia stia per sentirsi male. Tu o a posto,
dolcezza?» chiese Mace, ma i campanelli d’allarme nella mia testa
continuavano a strepitare: “Pericolo… Pericolo… Pericolo”.
Di colpo sentii un improvviso calore e stra onai la sciarpa che
portavo al collo. «Che caldo. Si muore, qui dentro, vero?» chiesi agli
altri cercando di imme ere aria nei polmoni. Il cuore mi ba eva così
forte che mi sfregai il pe o. Avevo la sensazione di stare so o un
camion che stava per frantumarmi le costole e mi impediva di
respirare. Non riuscivo a prendere aria, come se stessi respirando
a raverso una cannuccia.
«Calmati, Mia. Guardami, tesoro. Stai avendo un a acco di
panico. Guardami!» La voce di Wes penetrò lo stordimento che mi
aveva assalita, e riuscii a fissarlo negli occhi. Aveva un’espressione
spaventata. «Respira insieme a me. Inspira… adesso espira
lentamente.»
Feci come mi diceva finché l’oppressione al pe o si alleviò,
consentendomi finalmente di respirare a fondo.
«Okay, ecco. Tieni, bevi un po’ d’acqua» disse porgendomi un
bicchiere.
Sorseggiai il liquido freddo, godendomi la sensazione
tranquillizzante di sentirlo scendere nello stomaco.
«Che cosa è successo, Mia?»
Mason era alle mie spalle e mi accarezzava la schiena. «Devi darti
una calmata, dolcezza. Questa faccenda del matrimonio può essere
davvero stressante, ma in fondo la cosa riguarda solo te e il mio
nuovo amico Wes, qui. Tu o il resto sono de agli.»
Chiusi gli occhi e sentii Wes che mi prendeva il viso tra le mani.
«Tesoro, non vuoi un matrimonio in grande stile?»
Feci di no con la testa. «Mai voluto» risposi piano, riprendendo il
controllo di me stessa. Per un a imo avevo pensato che sarei
svenuta.
«Va bene, allora. Faremo una cosa più intima. Potremmo anche
fuggire insieme, se preferisci.»
Scossi di nuovo la testa. «No, tua madre ci rimarrebbe malissimo.
Non voglio escluderla da una cosa del genere.»
«Va bene, che ne dite di una cosa ristre a, più personale? In un
posto significativo per voi due?» chiese Rachel con ta o mentre io
continuavo a tenere lo sguardo fisso nei bellissimi occhi di Wes.
Sorridemmo, e dicemmo la stessa identica cosa nello stesso
momento: «La spiaggia».
Rachel ba é le mani. «Che idea magnifica! Wow!»
Mason si lasciò sfuggire un gemito. «Matrimonio sulla spiaggia.
Andateci piano, ragazzi. Come sarebbe in gennaio? Non fa freddo?»
Wes scosse la testa. «No, anzi, in gennaio a Malibu il tempo in
genere è magnifico. Ventun gradi, persino ventisei talvolta. Anche se
la temperatura può scendere a quindici gradi, rimane comunque
assolutamente fa ibile.»
La nostra spiaggia. Sposare l’uomo che amavo a pochi passi da
dove avevamo fa o surf, camminato, dove ci eravamo scambiati
tenerezze e guardato il tramonto con le onde e il sole sullo sfondo.
«È perfe o, Wes. Sposiamoci sulla nostra spiaggia.»
«E come facciamo per il ricevimento?» chiese.
E qui probabilmente mi sarei guadagnata parecchi punti con la
mia futura suocera: «Che ne dici della villa dei tuoi?».
Gli si illuminarono gli occhi e mi scoccò un gran sorriso. «A mia
madre piacerebbe moltissimo. Potremmo sposarci sulla spiaggia e
dare il ricevimento nella casa della mia infanzia.» Mi mise le mani
sulle guance: «Dio santo, ti amo sempre di più ogni giorno che
passa».
«Fantastico» sussurrai mentre lui scoppiava a ridere e mi baciava
teneramente. Un bacio diversissimo dai soliti affondi appassionati, e
nondimeno indimenticabile.
«Bene, allora è deciso. Ora, so che sarà una cerimonia ristre a, ma
potremmo venire? A gennaio Mason potrà muoversi e ci piacerebbe
moltissimo vedere Malibu.»
«Naturalmente. Più siamo e più ci divertiamo» risposi ripetendo
le sue parole.
«Sul serio?» fece Wes con un’espressione scioccata che rivelava
come non avesse notato il sarcasmo nelle mie parole.
Scossi la testa. «No, non dicevo sul serio. Ho in mente una lista di
una ventina di persone che inviterei. Pensi di riuscire a stare entro
questo numero?»
Inspirò tra i denti. «Non lo so. Comunque ne parleremo. Stasera
farò una lista.»
“Stasera.” Aveva intenzione di fare un elenco delle persone da
invitare al nostro matrimonio quella sera stessa. Era decisissimo a
sposarsi entro se e se imane. Adesso dovevo solo scoprire il perché.

Il pranzo con Mason e Rachel si prolungò, trasformandosi in una


cena. Avevamo un sacco di cose da raccontarci e così rimanemmo al
pub a bere e mangiare stuzzichini parlando un po’ di tu o, dai loro
piani per il matrimonio alla casa che stavano comprando. Parlammo
anche della famiglia di Mason, di quella di Rach, della mia
esperienza con Max e di tu o il resto. Avevo già avvertito Mason di
non tirar fuori la faccenda del rapimento di Wes e di non menzionare
il fa o che nell’ultimo mese lo avevo chiamato regolarmente per
sfogarmi riguardo a cose successe tra me e Wes. Era bravissimo a
offrirmi uno spassionato punto di vista maschile e non era il tipo da
rinfacciarlo a Wes o da parlargliene. Nel mese trascorso insieme tra
noi si era creato un legame, che si era rafforzato quando lui era
g q
venuto in mio soccorso l’ultima volta che ero stata a New York. Il
mio rapporto con lui assomigliava molto a quello che avevo con mio
fratello Maxwell, un’altra persona che dovevo chiamare per
informarla del matrimonio.

«Mi piacciono molto Mason e Rachel, sai. Sono una bellissima


coppia. E anche un’o ima squadra» disse Wes, sfilandosi la
maglie a.
Per un a imo persi il filo dei pensieri. Avevo davanti agli occhi il
pe o nudo e muscoloso di Weston, cosa che meritava un momento
di silenziosa ammirazione. Mi ricordava uno di quei famosi dipinti
di Monet o Van Gogh: esposti con la luce giusta, inducevano una
trance nell’osservatore, proprio come faceva il corpo sexy del mio
uomo.
Wes mi scoccò un sorriso. «Il ga o ti ha mangiato la lingua?»
Probabilmente aveva visto la bava colarmi dall’angolo della bocca.
Scossi la testa. “No. Niente da fare. Non lasciarti distrarre. Ti
servono delle risposte.”
«Wes, posso chiederti una cosa?» dissi proprio mentre si toglieva i
jeans rimanendo in boxer.
“Sii forte, Mia. Resisti! Puoi farcela. Non perme ere al bastardo
sexy di farti perdere il filo. È una cosa importante.”
Mi passai la lingua sulle labbra assaporando quella delizia per gli
occhi che era il mio fidanzato. Avrebbe potuto fare l’indossatore,
solo più muscoloso. Le ore passate a cavalcare le onde con il surf
avevano fa o miracoli per la sua forma fisica.
«Naturalmente, dolcezza.» Mi si sede e di fianco, mi prese una
caviglia e fece risalire la mano sul polpaccio. Non era una carezza
sensuale, ma il mio corpo non capiva la differenza. Nel momento
stesso in cui mi toccò, avvertii un’ondata di calore trasme ersi dal
suo palmo lungo tu a la mia persona.
“Pensa, Mia.” Okay. Chiusi gli occhi e cercai di ricordare cosa
volevo dire.
«Mi stai spaventando, tesoro. Cosa c’è?» disse Wes con una punta
di ansia nella voce. Mi prese il mento con le dita, senza farmi male,
ma riportandomi con i piedi per terra.
p p p
«Perché insisti tanto per sposarci così presto?» Le parole mi
uscirono di bocca troppo in fre a.
Wes curvò le spalle, puntò i gomiti sulle ginocchia e si prese la
testa fra le mani.
«Wes, amore, cosa c’è?» Gli misi una mano sulla schiena per
accarezzarlo.
«Non è che non possiamo aspe are. So che potremmo
organizzarci meglio, però Mia, dopo il periodo in cui sono stato
prigioniero… l’unica cosa che mi ha dato speranza era pensare a te.
Eri il mio punto fermo. Dovevo sopravvivere. Dovevo perché volevo
starti accanto più di ogni altra cosa.»
«Wes…» Mi si spezzò la voce mentre gli appoggiavo la fronte
sulla schiena, abbracciandolo da dietro. «Sono così felice che tu sia
qui con me e che abbiamo l’occasione per pianificare il nostro
futuro.»
«Perciò capisci, non c’è bisogno di fare le cose in fre a, solo che
non voglio sprecare un minuto in più della mia vita senza averti
tu a per me. Sposarti, me erti quell’anello al dito era l’unico
pensiero che riuscivo a formulare quando le cose si sono messe
veramente male. Ho immaginato centinaia di modi per chiedertelo,
centinaia di risposte possibili; ma alla fine a le o eravamo solo io e
te, lontani dai medici, dallo stress del mio lavoro, della mia famiglia,
e ho capito che era il momento giusto.»
Gli diedi un bacio sulla schiena, prendendomi il tempo per
assorbire le sue parole. Non voleva stare un altro minuto senza di
me; non aveva a che fare con la gelosia né con la fre a, ma con
l’impegno: stare insieme, io e lui, essere una cosa sola, una famiglia.
«Okay. È deciso. Ci sposeremo sulla nostra spiaggia a Malibu e
andremo a casa dei tuoi per il ricevimento. Vuoi fare la lista degli
invitati?»
Lui si girò di sca o, mi fece sdraiare sulla schiena e si piazzò tra le
mie cosce in un a imo. Il talento era una delle molte cose che amavo
di Wes.
«La lista può aspe are.»
Inarcai le sopracciglia. «Aspe are cosa?» chiesi timidamente.
«Che mi sia scopato per bene la mia fidanzata.»
p p
Quelle parole mi riecheggiarono nel pe o e mi fecero provare un
fremito in mezzo alle gambe. «Credo che sia fa ibile» concordai con
un sorriso, poi mi sollevai per baciarlo sulla bocca.
«No, Mia, tu sei fa ibile» riba é, succhiandomi il labbro inferiore.
Geme i e gli misi le gambe a orno alla vita, tirandomelo vicino.
«E allora fammi» dissi ansimando.
«Con piacere» rispose roco.
«Il piacere di chi? Mio o tuo?» chiesi ridacchiando, intrigata da
questo lato spensierato della nostra passione.
Mi regalò un gran sorriso. «Il nostro, dolcezza. Sempre e solo il
nostro.»
4

Una se imana dopo la troupe dello studio si presentò all’a ico di


Anton all’alba. Anton dormiva ancora; a quanto pareva, lui e
Heather avevano folleggiato in compagnia di altri tizi dell’industria
musicale. Però mi lasciava usare casa sua per riprendere la puntata e
intervistare lui e Mason. Heather era in piedi, ovviamente, tirata a
lucido come una rockstar, anche se notai l’ombra violacea so o i
bellissimi occhi azzurri. Il trucco era impeccabile e gli abiti perfe i
come al solito.
Io indossavo una gonna a matita in gessato nero che consideravo
molto sexy, un paio di stivali neri al ginocchio e una camice a bianca
di seta con il collo a sciarpa. Il tu o completato da un bracciale o e
una collana rossi piu osto vistosi. L’effe o doveva essere sensuale,
dato che quella ma ina in albergo, prima di uscire, Wes mi era
praticamente saltato addosso. L’erezione era un segnale
inequivocabile della sua eccitazione, per non parlare del modo in cui
mi aveva stre a a sé, piazzandomi le mani sul sedere come un
maniaco arrapato. Mi ci era voluto tu o il mio autocontrollo per non
cedere e perme ergli di scoparmi in piedi contro la parete della
nostra suite. Ero decisissima a finire le riprese il più in fre a
possibile, passare del tempo con i miei amici e tornarmene dal mio
personal trainer sessuale. Vi giuro che il modo in cui Wes mi
guardava la maggior parte del tempo era sufficiente a me ermi il
fuoco nelle vene.
Scacciai qualunque immagine di Wes nudo e pronto nella nostra
stanza d’albergo, feci un respiro profondo, chiusi gli occhi e contai
fino a dieci. Quando li riaprii, mi sentii più concentrata sul lavoro e
sullo scopo per cui mi trovavo lì.
La troupe si era data da fare, montando il set nel lussuoso salo o,
arredato in uno stile portoricano che mi faceva subito venire in
mente Anton. Si era dedicato parecchio a quell’ambiente e io l’avevo
scelto per la puntata con lui perché rifle eva molto bene l’uomo che
pensavo fosse, il suo lato personale, non l’immagine pubblica.
Quella stanza parlava della ricchezza e della pi oresca diversità
della cultura portoricana, una cosa a cui sapevo che Anton teneva
molto.
Sulle pareti erano appese opere di artisti locali che vivevano a
Portorico e statue di legno realizzate da intagliatori della sua ci à
natale. Le coperte tessute a mano da sua madre erano stese con cura
sui divani di pelle bordeaux. L’arredamento suggeriva che un ospite
avrebbe potuto accomodarsi e tra enersi per un po’. Tipico di
Anton. Agli amici e ai familiari era sempre pronto a dare una mano,
e immancabilmente preparava un luogo confortevole per coloro che
amava, ovunque decidesse di stare.
Mi si avvicinò Kathy, l’assistente di produzione per questo
proge o. Aveva i capelli lunghi fino al sedere, nerissimi, anche se
non glieli avevo mai visti sciolti: li portava sempre raccolti in una
lunga treccia alla francese. Mi piaceva molto. Gli occhiali alla Woody
Allen continuavano a scivolarle sulla punta del naso. Quando si
fermava davanti a qualcuno, se li sistemava con una delle dita dalle
unghie smaltate di rosa. Tu e. Le. Dannate. Volte.
Mi spingeva a chiedermi se gli occhiali le servissero davvero o
non fossero piu osto un accessorio necessario allo stile hipster. In
ogni caso, avevo deciso di non indagare perché era straordinaria, e
lavorare con lei era un sogno. Da quello che mi aveva de o Wes, gli
assistenti di produzione che non fossero seccanti o ansiosi di fare le
primedonne erano rari. Pensava anche che Kathy fosse un’anima
vecchia nel corpo di una giovane donna. Dovevo ancora capire quali
fossero i suoi proge i per il futuro, ma per il momento speravo di
piacerle abbastanza da convincerla a rimanere con me fino alla
conclusione dello speciale del do or Hoffman.
«Ms Saunders…»
Alzai gli occhi al cielo. Avevo ripetuto a Kathy almeno cento volte
di chiamarmi Mia, ma lei continuava a rifiutarsi di farlo: lo trovava
poco rispe oso.
«Mr Murphy è qui, con Ms Denton. Li ho portati al trucco, cosa
che ha stupito non poco Ms Denton.» Kathy si sistemò gli occhiali
sul naso, anche se non ce n’era bisogno.
Feci un gran sorriso. «Lo so. Non diciamole niente. Non sa che
Mason ha in mente di presentarla come la sua fidanzata ufficiale
durante la trasmissione. A quanto pare, era un segreto. L’ho appena
scoperto anch’io, ma lui vuole far sapere che non è più sul mercato e
che non può più essere ritenuto uno scapolo impenitente.»
Negli occhi di Kathy si accese una breve scintilla. «Fantastico. Il
do or Hoffman andrà in estasi e Leona» – scosse la testa alla
menzione del boss a capo di tu o il programma – «potrebbe baciarle
i piedi!» Ridacchiò, si coprì la bocca con la mano e si guardò a orno,
come se temesse che qualcuno avesse udito il suo commento meno
che professionale.
Le misi una mano sul braccio. «Kathy, ci siamo solo io e te. E hai
ragione. Leona riderà come una pazza quando scoprirà che
l’annuncio viene dato durante la puntata. Delle volte non è male
avere amici altolocati, giusto?» Le diedi un colpe o sulla spalla e lei
arrossì, annuendo.
«Allora, la sala è quasi pronta? Con Anton fuori comba imento
per almeno altre due ore, vorrei portarmi avanti con Mason.»
Mi fece un cenno d’assenso, passò il dito sul suo dispositivo
ele ronico e strinse le labbra. «Me ne accerto. Dovrebbe essere
pronta per quando usciranno dal trucco.»
Camminai per la casa controllando i diversi angoli che avevamo
scelto per filmare la puntata. Wes e io avevamo deciso di lavorare
insieme e di ricavare il più possibile da questa trasferta perché ci
serviva un mese di contenuti; così avrei avuto la fine di novembre e
la maggior parte di dicembre per stare con la mia famiglia.
Max aveva chiarito che se le sue sorelle non fossero andate al
ranch in Texas per il Ringraziamento ci sarebbe rimasto male.
Naturalmente era troppo uomo per dire una cosa del genere, ma
aveva fa o capire senza possibilità di dubbio che gli avrebbe fa o
molto piacere se fossimo potute andare. In piena tempesta ormonale
post partum, Cyndi aveva spiegato che se Maddy e io non fossimo
p p y p g y
riuscite ad andare il marito non ce l’avrebbe perdonata. E io non
vedevo l’ora di conoscere Jackson, il mio primo nipote maschio.
Me eteci che in se embre mio fratello aveva pagato qualche
centinaio di migliaia di dollari del debito di mio padre per salvare il
culo a me e alla mia migliore amica… e capirete perché andare in
Texas per il Ringraziamento fosse il minimo che potevo fare.
Trovai Mace e Rachel in uno dei grandi bagni per gli ospiti. La
stanza era gigantesca! Che Anton avesse una casa di quelle
dimensioni in ci à solo per lui e Heather mi faceva girare la testa.
Rachel e Mason erano seduti davanti al grosso specchio sopra i
lavandini gemelli.
«Ehi, ragazzi, vi stanno facendo belli per la telecamera?»
Rachel socchiuse gli occhi. «Sì, ma perché truccano anche me?»
Feci la finta tonta e scrollai le spalle con nonchalance. «Giusto nel
caso in cui ci serva una panoramica, o magari farti un paio di
domande.»
Non volevo rovinarle la sorpresa, così mi rivolsi a Mace. «Sei uno
schianto, fratello» gli dissi, tirandogli un pugno sul braccio con tu a
la forza che avevo.
«Ahia!» Reagì con una smorfia e si massaggiò il bicipite. «Ti
voglio bene, Mia. Hai visto come mi tra a, Rach? Nessun rispe o.
Dovrei raccontare ai giornali qualcosa di sgradevole sul mese
passato con lei, qualcosa tipo…» Si gra ò il mento, fingendo di
pensarci su, poi schioccò le dita e indicò il mio riflesso nello
specchio. «Tipo che si me eva le dita nel naso e appiccicava le
caccole sui muri di casa mia» disse con un sorriso folle.
Per poco non mi schizzarono gli occhi fuori dalle orbite. «Ma che
schifo! Non lo faresti!»
Mi guardò di so ecchi. «Oh, sì, invece. Non provocarmi, manesca
che non sei altro.» Si sfregò di nuovo il braccio, anche se era
impossibile che gli facesse tanto male. Avevo visto Junior, il suo
migliore amico, colpirlo molto più forte in più di un’occasione.
«Femminuccia!» riba ei, incurante delle conseguenze.
«Sme etela, voi due. È ora di passare alle cose serie» si intromise
Rachel. Le sue parole sarebbero state molto più decise se non fosse
che aveva una smorfia da pesce mentre il truccatore le applicava il
rosse o. «Hai pronte le domande, Mia? Vorrei darci un’occhiata.»
Oh, merda. Questo non andava bene per niente. Cercare di
nascondere qualcosa alla propria PR non era esa amente una
passeggiata. Lanciai un’occhiata a Mason, che inarcò un sopracciglio.
«Mmh, sì, però… ecco…» Tentai di farmi venire in mente
qualcosa per me erla fuori strada ed evitare che si impuntasse a
voler leggere le domande che avevo deciso di fare a Mason.
«Rach, piccola, le ho già approvate io.»
Lei gli lanciò uno sguardo assassino. «Tu cosa? È il mio lavoro,
quello, non posso credere che tu abbia fa o una cosa del genere.»
«Piccola…» Guardandola dolcemente, si allungò a prenderle la
mano. «È Mia. Non chiederà nulla di inappropriato e tu eri
impegnata con quello stronzo delle bevande PowerStrong, ricordi?»
«Oh, quel tipo è un idiota da non credere. Lo sai che voleva che gli
facessi da testimonial per la seconda linea di prodo i gratis? E non
era neanche per beneficenza.» Scosse la testa, le guance accese per
l’irritazione. «Pensavano di essere abbastanza importanti per non
dover pagare ogni pubblicità. Schifosi» disse so ovoce.
Okay, ecco l’appiglio che mi serviva. «Ci vediamo nella sala di
registrazione. Quanto ci vuole ancora, ragazzi?»
«Cinque minuti» disse uno dei truccatori sistemando i capelli di
Mason in un’acconciatura alla moda e al tempo stesso sobria.
«Vale anche per me» gli fece eco l’altro. Teneva in mano un grosso
pennello e stava dando gli ultimi tocchi di fard a Rachel.
«Tu o a posto, me iamo i microfoni.» Kathy accennò con la mano
in direzione della sala dove avevo previsto di iniziare le riprese.

«Salve, e benvenuti a una puntata molto speciale di Sani e belli


intitolata Grazie di… L’ospite di oggi è niente meno che il giocatore
di baseball professionista Mason Murphy.» Mi girai verso Mason,
seduto sul divane o di pelle bianca di fronte a me con a eggiamento
impassibile. «Mason, grazie per essere qui con noi oggi.»
«Qualunque cosa per te, dolcezza. Lo sai» disse e mi strizzò
l’occhio.
Feci un gran sorriso e mi appoggiai allo schienale. «Non cambi
mai, a quanto vedo.»
«Solo per te. Perché mi hai spezzato il cuore.»
Questa non me l’aspe avo, anche se, per quanto ne sapeva il
pubblico, tecnicamente ero uscita con Mason Murphy per un mese,
in aprile. «Non è così. Sei terribile.»
Lui fece un sorrise o. «No, siamo solo buoni amici.»
«Questo è vero. E visto che siamo amici, mi piacerebbe rivelare un
lato di Mason Murphy che i tuoi fan e i fan del programma del
do or Hoffman non conoscono. Sei della partita?» lo stuzzicai.
«Spara.» Si appoggiò all’indietro, allargando le braccia sopra lo
schienale del divano e accavallando le gambe in un a eggiamento
rilassato e informale. Proprio quello che volevo mostrare al pubblico.
La parte che sapevo Rachel avrebbe approvato.
«Okay, ecco la mia prima domanda: quali sono i tuoi piani per la
festa del Ringraziamento?»
Si passò una mano sul mento e sorrise. «La trascorrerò con la mia
famiglia. I miei fratelli e mio padre sono imba ibili in queste
occasioni, e facciamo il possibile per stare insieme tu e le volte che
possiamo.»
«Che cosa carina.»
«Infa i, ma la parte migliore è che porterò la mia fidanzata.»
Sapevo che mi si era illuminato lo sguardo, esa amente come a
Mason, che si girò verso Rachel. Lei teneva la testa bassa.
«Stai dicendo che siete fidanzati?» chiesi, sporgendomi in avanti
come se stessi ascoltando un segreto che mi veniva rivelato per la
prima volta.
Mason annuì. «Sì, signora. Be’, dovresti saperlo. Sei stata tu a
me erci insieme!» Ridacchiò.
«È vero, però siete stati molto riservati sulla vostra relazione da
quando uscivamo insieme in aprile. Il pubblico probabilmente è
piu osto sorpreso da questa informazione. Posso quasi sentire il
rumore dei cuori che si spezzano in tu o lo Stato mentre noi
parliamo.»
Lui si diede una pacca sul ginocchio e tossicchiò coprendosi la
bocca con il pugno. «Credo che sia venuto il momento di far sapere a
p g p
tu i che sono impegnato.» Le sue parole erano convinte e spavalde,
come al solito.
«Be’, signori, l’avete sentito per la prima volta a questo
programma. E come ulteriore anteprima, Mason Murphy presenterà
al pubblico la sua fidanzata dopo la pausa pubblicitaria. Rimanete
con noi!»
«Stop» disse il regista.
Saltai in piedi esultante. «È fantastico!» strillai cercando Rachel in
mezzo alla troupe per vedere come reagiva alla dichiarazione di
Mason.
«Rachel, vieni qui. Vieni a sederti.»
Rachel stava in piedi in disparte, con l’aria nervosa. Capii che non
aveva gradito l’esordio della trasmissione, percependo la tensione
che emanava da lei persino da quella distanza. Ma Mace e io
eravamo d’accordo che era ora di rivelare che la nostra era stata una
storia di poco conto, per non parlare del fa o che era stufo di tenere
nascosta la loro relazione. Certo, erano girate delle voci, ma non
erano mai state confermate. I tabloid avevano pubblicato qualche
foto di loro due insieme, ma non c’era stata una dichiarazione
ufficiale fino a quel momento. Era stato facile spiegare il fa o che si
facevano vedere insieme, visto che lei era la sua PR .
«Che stai facendo?» Prese la mano che Mason le tendeva per farla
sedere accanto a lui sul divano.
«Sono stanco di fingere. L’anno prossimo diventerai mia moglie.
Voglio che il mondo lo sappia. Basta nascondersi. Basta negare. Ne
ho abbastanza. Sta per arrivare il nuovo anno e voglio che la
prossima stagione tu e le donne sappiano che sono tuo. Meglio
ancora, voglio che tu i gli uomini sappiano che questa» – le passò
una mano sulla schiena con un gesto intimo eppure non del tu o
inappropriato – «è mia.»
Lei scosse la testa. «Non so se è una buona idea» disse
mordendosi il labbro inferiore, chiaramente preoccupata di come i
fan avrebbero accolto questa informazione riguardante la vita
privata di Mason.
Lui sorrise e le mise un braccio a orno alla vita, se la tirò vicina e
la baciò su una guancia. «Be’, io sì. Facciamolo, Mia.»
g
«Giusto, Mace.»
Le telecamere si riaccesero e l’adde o alle riprese stese una mano,
contando… cinque, qua ro, tre, due, uno.
«Bentornati al nostro speciale del Do or Hoffman intitolato Grazie
di… Sono qui con Mason Murphy, recentemente definito il miglior
lanciatore della storia del baseball, che ha qualcosa da dire al
pubblico. Mason, puoi presentarci la bellissima donna seduta al tuo
fianco?» suggerii.
Il cameraman si spostò e il rifle ore illuminò i miei amici.
«Naturalmente. Questa è la mia fidanzata, Rachel Denton. Si occupa
di tu e le mie PR e lavora per la mia agenzia pubblicitaria. Intuisco
che in questo momento è probabilmente piu osto arrabbiata con te e
con me per aver tramato alle sue spalle facendo un annuncio del
genere proprio adesso, ma non me ne importa.»
Mi misi a ridere. «Non essere arrabbiata, Rachel. Mason voleva
farti una sorpresa.»
Rachel sorrise e arrossì, mentre Mason le stringeva la spalla.
«Allora, Mason, la nazione sa che sei stato single per un po’.
Come ti senti ad aver trovato la donna fortunata che siede al tuo
fianco?»
«Sai, Mia, mi sento grato. Rachel è la mia metà perfe a, e non
vedo l’ora che diventi mia moglie.»
Mi passai la lingua sulle labbra e osservai Mason che corteggiava
il pubblico e la sua donna in un’intervista che sarebbe stata
trasmessa alla televisione nazionale.
«Okay, Mason, adesso che hai sganciato una bomba tale da far
piangere sconsolate tu e le donne del pianeta, torniamo
all’argomento della nostra conversazione. Stiamo scoprendo per cosa
sono riconoscenti i nostri amici famosi. Hai già menzionato la tua
fidanzata, e io sono assolutamente d’accordo. Rachel è qualcosa per
cui essere grati! Ma che altro?»
Mason si appoggiò allo schienale e strinse le labbra. «Buoni amici,
i miei fan, la squadra, lo sport in generale. Non sarei arrivato dove
sono oggi se non avessi amato il baseball. Ma sono grato sopra u o
alla mia famiglia… mio padre, i miei fratelli, mia nipote. A parte
Rachel, loro sono il mio mondo.»
«Grazie, Mason, per aver condiviso la notizia delle tue nozze
imminenti con gli appassionati del programma. Auguro a te e a
Rachel un matrimonio lungo e felice.»
«E che mi dici di te?» aggiunse lui, e la telecamera continuò a
riprendere.
Mi guardai a orno, poi riportai gli occhi su Mason, che sfoggiava
un sorrisone da stronzo. Lo stesso che gli avrei volentieri tolto dalla
faccia con un pugno. «Mmh, prego?»
Rachel inalberò un sorrise o irriverente. Già, questi erano fa i
l’uno per l’altra, non c’era dubbio. La spavalderia sposa il sarcasmo.
«Correggimi se sbaglio, ma mi sembra di vedere un anello molto
particolare al tuo dito» disse Rachel, dolce come il miele e altre anto
zuccherosa.
«Sì, Mia, condividi la tua notizia con il pubblico!» intervenne
Mason.
“Ommioddio. Che bastardo. Mi hanno fregata al mio stesso
gioco!”
Iniziai a sudare so o le ascelle e percepii le goccioline che si
formavano all’a accatura dei capelli mentre le luci forti mi davano la
sensazione di stare in una stanza per gli interrogatori del
dipartimento di polizia di Oakland.
«Ehm…» Sorrisi, mi guardai l’anello e non riuscii a trovare un
motivo per smentire la cosa più bella che mi fosse mai capitata.
Proprio mentre stavo pensando a cosa rispondere, tenere so o
controllo il panico e, come minimo, far fermare la telecamera e
filmare di nuovo la conclusione, alzai lo sguardo come se un filo
invisibile mi avesse fa o sollevare il mento. L’atmosfera nella stanza
si caricò di tale ele ricità che ebbi la certezza che sarei rimasta
fulminata se avessi toccato qualunque superficie. I miei occhi
incontrarono quelli che avevo in mente di guardare per il resto della
mia vita.
Quasi glielo avessero suggerito, Wes entrò nell’inquadratura e mi
tese le mani. Lo imitai e lui mi fece alzare. Prima che potessi reagire
o dire una parola, mi mise una mano sul viso e mi baciò con forza, a
lungo e appassionatamente. Non era un bacio con la lingua, ma
quello che gli mancava in sensualità era compensato da ondate
d’amore. Tu o mentre la telecamera continuava a riprendere.
«Ciao, dolcezza» disse Wes, gli occhi verdi pieni di umorismo.
Indossava i pantaloni di un abito e una camicia bianca immacolata
con sopra una giacca di velluto a coste. Davvero smaccheramelloso,
come avrebbe de o il Grande Gigante Gentile.
«Uh, gente» – presi un respiro e guardai in macchina, un po’
sorpresa – «lui è Weston Channing, il mio fidanzato.» Feci un sorriso
stranito.
Wes incurvò le labbra, intrecciò le dita alle mie e salutò in
direzione della telecamera con l’altra mano. Che gesto di classe.
Fu in quel momento che persi ogni controllo sul mio show.
«La cosa si fa interessante» disse Mace. «Dicci, Mia, per cosa sei
grata quest’anno?»
Non sarei riuscita a togliere gli occhi di dosso al mio uomo
neanche se mi avessero dato fuoco. «Wes.» Sospirai. «Ci sono tante
cose di cui sono grata. Mia sorella, mio fratello, mio padre, la mia
migliore amica e tu i gli amici che mi sono fa a e che mi fanno
sentire amata, ovunque sia. Sul serio, penso sia di questo che sono
grata. Dell’amore. In tu e le sue forme.»
«Ti amo, Mia Saunders, e non vedo l’ora di sposarti» disse Wes
chiaramente, davanti a una telecamera grande quanto un frigorifero.
Tu i i paparazzi accampati fuori dalla nostra casa di Malibu, gli
uffici della Century Productions che si affannavano per me ere le
mani su qualunque informazione riguardante Wes e la prigionia, i
milioni investiti nel film che stavano girando, Gina DeLuca e tu o
quel che c’era in mezzo sarebbero rimasti spiacevolmente sorpresi di
questa notizia strombazzata nel mio show e non sui loro tabloid.
Ciliegina sulla torta, la puntata sarebbe andata in onda venerdì, il
che significava che la notizia l’avrebbero saputa, oltre agli altri, anche
i genitori di Wes. Avremmo fa o meglio a informarli delle nozze
imminenti subito dopo aver terminato le riprese.
Wes mi fece girare verso le telecamere. Io reagii, riportata
bruscamente alla realtà nel bel mezzo dello show. Pronunciai con
voce ansimante le ba ute finali nel tentativo di non dover filmare
daccapo tu o quanto. Era impensabile passare una seconda volta per
un’esperienza del genere.
«Grazie di nuovo al nostro ospite, Mason Murphy, e alla sua
fidanzata, Rachel, per aver condiviso con noi la notizia che li
riguarda. Sono certa di poter parlare a nome del do or Hoffman
dicendo che siete i benvenuti nel nostro programma tu e le volte che
volete fare un annuncio.» Guardai in macchina e feci un gran sorriso.
«E be’, gente, siate grati per i doni della vita, perché sono tanti. Di
sicuro i miei lo sono.» A quelle parole, circondai con le braccia
l’uomo dei miei sogni, appoggiai la fronte alla sua e udii il regista
dire stop appena prima che Wes mi baciasse.
Il mio uomo mi aveva reclamata alla TV nazionale. Come si poteva
professare il proprio amore dopo una cosa del genere?
5

«Che cosa ci fai qui, e cosa diamine pensavi di fare prima?»


rimproverai Wes standogli incollata addosso. Anche se ero
arrabbiata, non potevo evitare di cercare il conta o fisico con il suo
corpo muscoloso e sexy. Gnam.
Ridacchiò sfiorandomi il collo con il naso e mi diede un bacio
tenero. «Mia, rilassati. Mason mi ha de o di voler annunciare al
mondo che stava per sposare l’amore della sua vita e io ho pensato:
“Cavoli, voglio seguire la moda anch’io”. Non aveva senso che
restasse un segreto.»
Mi tormentai le labbra e lo fissai nei meravigliosi occhi verdi.
«Ma… ma che mi dici di quelle sanguisughe dei paparazzi? Ti
stanno addosso da se imane. Questa cosa non gli offrirà ulteriori
armi per colpirti?» Aggro ai le sopracciglia, innervosita dal fa o che
Wes avesse commesso un errore madornale. Avrei potuto evitarlo,
non mandando in onda la parte finale delle riprese, anche se avrebbe
fa o impennare gli indici di ascolto. La salute e il benessere di Wes
non valevano un milione in più di spe atori.
Wes scosse la testa. «Succederà il contrario, Mia. Darà in pasto ai
paparazzi qualcosa di meglio di tu i quei morti e della tempesta di
merda che si è scatenata intorno a quello che è successo all’estero.
Gina è appesa a un filo. E sai perché?»
La semplice menzione di Gina DeLuca mi suscitò un brivido di
terrore e mi fece venire la pelle d’oca. Strinsi i denti e cercai di
fingere che non m’importasse. «No. Perché?»
Mi mise una mano sulla guancia. «Perché non ha qualcosa di bello
a cui aggrapparsi tu e le no i. Io sì, e voglio che il mondo lo sappia.
Diamo a quegli avvoltoi qualcosa di più appetibile su cui ge arsi.
Non ho nessun problema a parlare tu o il giorno di quanto ti amo e
di come abbia in mente di sposarti.»
Sospirai. Che differenza rispe o a gennaio. Dieci mesi prima era
concentrato esclusivamente sul lavoro e sul film. Adesso, aveva occhi
solo per me. «Se credi che ti aiuterà a star meglio, sono con te, pronta
a mostrare la mano sinistra a tu i quanti.»
Mi rivolse un sorriso radioso. «O imo, perché abbiamo in
programma un’intervista con “People”.»
Spalancai gli occhi.
«Non ho intenzione di parlare solo di noi.» Inarcò un sopracciglio
cercando di alleviare i miei timori. Mi conosceva troppo bene. «Ho in
mente di dirgli qualcosa di quello che è successo, di come mi sto
facendo aiutare, e forse questo servirà a ricordare a coloro che
lo ano contro il disturbo da stress post-traumatico che non sono soli
e che quello che hanno passato non è ciò che sono. È solo qualcosa
che gli è capitato.»
Aveva una ciocca di capelli sugli occhi, così gliela sistemai. Mi si
riaffacciarono immagini indistinte del periodo passato senza di lui,
portando con sé un fiume di ricordi orribili. Non sapevo cosa avrei
fa o se Wes non fosse tornato indietro. Di sicuro non sarei stata
dov’ero oggi con lui. Non sarei stata così felice. Continuavo a
stupirmi di quanto amassi la vita che avevo e di quanto la mia
fortuna fosse cambiata da quando avevo iniziato quel viaggio, quasi
un anno prima.
Mi sporsi verso di lui e posai le labbra sulle sue, intenzionata a
me erci tu a me stessa, in quel bacio. L’orgoglio per ogni passo
verso la guarigione, per la magia che pensavo ci fosse nella nostra
relazione e, sopra u o, l’amore che provavo per lui. A volte era così
forte che non sapevo cosa farne. Ma in quel momento, davanti alla
troupe, a Mason e Rachel, e a chiunque altro, baciai il mio uomo per
tu o quello che aveva di bello. Wes geme e e mi fece inclinare
all’indietro. Nella stanza esplose un applauso fragoroso.
«Maledizione, Lucita, sono arrivato tardi alla festa! C’è una fila
dove posso me ermi? Distribuisci besos? Allora io sono il prossimo!»
Il vocione di Anton mi fece sobbalzare e interruppi il bacio,
scoppiando a ridere contro la bocca di Wes, il quale fece una smorfia
pp q
e poi sorrise, lasciandomi intendere che stava superando
l’a eggiamento incorreggibile di Anton verso tu e le donne.
«Sei in ritardo di, tipo, due ore esa e. Che cos’hai fa o ieri no e?»
Mi scoccò quel suo sorriso sexy bagnamutandine. «Credo che la
domanda corre a sia: “Che cosa non hai fa o ieri no e?”.» Fece
schioccare la lingua e inarcò le sopracciglia.
Scossi la testa con un sospiro. «Avanti. Fa i me ere il microfono
da Kathy, così possiamo iniziare la prima parte.»
«Nessun beso, allora?» Mise un broncio languido.
Alzai gli occhi al cielo e lanciai un’occhiata a Wes.
«Nessun beso del cazzo. Se vuoi mantenere inta e le labbra,
amico, faresti meglio a tenerti per te i tuoi commenti» ringhiò lui
rivolto ad Anton.
Anton si immobilizzò, incrociò le braccia, ge ò indietro la testa e
scoppiò in una risata. La perfe a imitazione di una iena proprio
davanti ai nostri occhi. «Scusa, amigo, senza offesa. Mi piace come sei
prote ivo nei confronti della nostra Mia.»
Wes si irrigidì. «Intendi dire mia, Anton. Cammini sul ghiaccio
so ile con me. Finora sono stato impassibile, ma parlo sul serio, devi
tenere so o controllo la tua merda se non vuoi rischiare grosso.»
Aveva parlato in tono tagliente e ruvido. Non aveva nessuna ragione
di essere così duro.
«Wes… davvero. Anton sta solo cazzeggiando. Rilassati.» Mi
avvicinai e lui mi strinse a sé. Continuavo a dimenticarmi che dopo
il rapimento aveva sviluppato un tra o geloso a cui non ero abituata
e che non mi piaceva in modo particolare. Mi infastidiva da morire il
fa o che sospe asse trame per sedurmi da parte di qualunque Tom,
Dick e Harry nelle vicinanze, cosa che non era vera, neanche un po’.
La sera prima se l’era presa addiri ura con il cameriere perché, a
sentir lui, mi aveva sbirciato il seno. Sai che novità. Ho delle te e
enormi. La maggior parte degli uomini me le guardano. Ci sono così
abituata che mi accorgo di più se un uomo non mi fissa il seno la
prima volta che ci incontriamo.
Anton si avvicinò. «Weston, amigo, sono felice per te e Mia. Mi
riempie il cuore di gioia sapere che ha trovato l’amore della sua vita.
Vedo che anche tu sei molto preso. Come lo sono io, ma solo nel
p
senso di amiga. Niente di più, niente di meno. Dico queste cose, come
dite voi, con il piloto automático? Mia è una mujer hermosa.»
Mi venne in mente che Heather mi aveva spiegato il significato di
mujer hermosa: voleva dire “bella donna”.
«La tua fidanzata tira fuori il lato stupido degli uomini. Capisci?
Sí?»
Wes espirò piano e rilassò visibilmente le spalle. Chiuse gli occhi e
abbassò la testa in a eggiamento di scuse. «Mi dispiace, Anton. Non
so cosa mi sta succedendo. Persino i suoi amici mi fanno infuriare.
Perdonami, ti prego, okay?» Le sue parole erano sincere e sapevo che
con Anton sarebbe stato perdonato subito. Non era il tipo da serbare
rancore per banalità del genere.
«Ah, nessun problemo. Allora, muñeca, dove mi vuoi per questa
intervista?»
«Mmh, iniziamo dalla stanza con l’arte portoricana.»
Anton mi scoccò un sorriso. «Ci vediamo lì.»
Aspe ai che si allontanasse, poi afferrai Wes per la mano e lo
condussi lungo il corridoio che portava sul retro dell’a ico, dove
c’era lo studio di Anton. Non appena ci arrivammo, tenni la porta
aperta perché mi precedesse.
Ero in preda a mille emozioni e conoscevo solo un modo per
superarle in fre a. Tra lui che dichiarava il suo amore per me in TV e
l’a eggiamento da cavernicolo che ringhiava minacce, ero
formicolante di eccitazione, felicità, rabbia, paura, angoscia, e tu a la
gamma di sensazioni intermedie.
Entrai, chiusi la porta, mi girai e mi ge ai tra le sue braccia. Prima
che Wes potesse aprire bocca, lo baciai con passione. Grazie. Dio. Era
come avere sulla lingua una manciata di caramelline frizzanti.
Geme i quando lui mi mise le mani sul sedere. Gli succhiai il labbro
inferiore e gli preme i le mani sul pe o spingendolo su una panca
imbo ita, usata per sedersi davanti al camine o o come poggiapiedi,
non ne avevo idea. Però sapevo perfe amente per cosa l’avrei usata
in quel momento, e se conoscevo bene Anton come pensavo mi
avrebbe ba uto il cinque per quel numero.
«Ehi, dolcezza, che succede? Credevo che mi avresti dato una
strigliata per essermi comportato da stronzo con il tuo amico.
g p p
Sinceramente, non so cosa mi ha preso.»
Non me ne importava molto. A dirla fuori dai denti, ero tu a
concentrata a slacciargli la cintura dei pantaloni.
Mi tirai su la gonna. Wes non riusciva a decidere se aprire la bocca
o stare zi o, e mi teneva gli occhi incollati addosso. Indossavo
autoreggenti nere e un perizoma di pizzo nero.
«Stammi a sentire, non abbiamo molto tempo, ma ho bisogno di
te. Adesso. Qui. Perciò tiralo fuori.»
Mi guardò come se fossi una ciambella al cioccolato posata
accanto alla sua tazza di caffè. «Cristo, sto per sposare la cazzo di
donna perfe a.»
Si alzò con un movimento fluido, si slacciò la cintura e tirò fuori il
membro semiere o. Se lo accarezzò finché non fu completamente
duro e sulla punta comparve una goccia di liquido pre-eiaculatorio.
Mi inginocchiai sulla panca e lo leccai, assaporando il seme prima di
prenderlo in bocca.
«Cazzo, sì.» Prima che potessi me ermi in una posizione migliore,
un colpo bruciante mi si abba é sulle natiche una volta, due, tre.
«Non azzardarti a farmi venire succhiandomelo» ringhiò e mi tirò
indietro la testa prendendomi per i capelli. Il parrucchiere si sarebbe
incazzato non poco.
Wes si sede e e io mi lasciai sfuggire un mugolio alla vista del suo
pene così duro e pronto. Lui si inclinò all’indietro, appoggiando le
mani sui bordi imbo iti della panca per sostenersi. «Me iti a
cavalcioni su di me. Prendimi fino in fondo. Tu o quanto.»
Feci come aveva de o, spostando di lato il perizoma e
posizionando la punta del suo pene all’ingresso della mia vagina,
poi mi abbassai lentamente. Un centimetro delizioso dopo l’altro, il
suo membro mi allargò e mi riempì. Quando lo ebbi preso fino in
fondo, con le natiche premute contro i testicoli e la cerniera ruvida
dei suoi pantaloni slacciati, mi inclinai all’indietro.
«Voglio guardarti mentre ti prendi quello di cui hai bisogno,
dolcezza. Muoviti, adesso.» Parlò in tono basso e roco, eccitandomi
ancora di più.
Gli misi le mani sulle ginocchia e feci leva sulle braccia e sui piedi
appoggiati al pavimento per muovermi su e giù. Vedere il suo pene
pp gg p p g p
stillante entrare e uscire da me era un afrodisiaco potentissimo. Più
guardavo e più mi bagnavo, e più lo prendevo con forza. A ogni
movimento Wes grugniva, finché non ci fu più niente se non lui e la
sua erezione poderosa che mi portavano all’estasi. Ero interamente
concentrata sulla compenetrazione dei nostri corpi. Essere riempita
da Wes era una cosa che non riuscivo a spiegare. Ogni volta che mi
abbassavo su di lui era il paradiso. Tu e le volte che mi alzavo era
l’inferno puro e semplice. Piacere e dolore mescolati.
«Guarda che meraviglia. Guardarti mentre te lo fai scivolare
dentro e fuori me lo fa venire durissimo. Non vedo l’ora di venirti
dentro così a fondo da lasciarti il segno per giorni.» La voce era rude,
come la presa delle mani che mi artigliavano la carne dei fianchi.
Quelle parole mi strapparono un gemito, facendomi piombare in
una frenesia di desiderio. Qualcosa dentro di me prese il
sopravvento, e iniziai a eme ere versi animaleschi, come quelli di un
ga o in amore.
«Oh, sì, ci sei quasi. Me ne accorgo.» Wes si morse il labbro e
abbassò gli occhi in mezzo alle mie cosce. «Adoro quel bo oncino
rosso che implora di essere toccato. Se potessi essere in due posti
simultaneamente, succhierei quel clitoride così forte che le tue urla si
sentirebbero in tu a la casa.» Mi mise il pollice sulle labbra.
«Leccalo.»
Obbedii, succhiando il dito salato e accarezzandolo con la lingua
finché non potei tra enermi dal morderlo. Wes fece un gran sorriso e
fu quello a farmi perdere la testa. Mi sollevai di sca o e mi abbassai
con violenza, prendendolo il più in fondo possibile, persa nel
perseguimento di quello che volevo, aprendomi completamente al
suo membro. Wes inspirò bruscamente tra i denti. Era come se fosse
arrivato al centro esa o del mio corpo. Era meraviglioso.
«Vuoi che ti faccia venire? Che ti faccia urlare?» Sul volto aveva
un’espressione di pura lussuria. Quegli occhi splendidi che mi
tenevano in pugno erano rido i a due fessure e cupi. Aveva la bocca
semiaperta, il labbro inferiore tumido per i baci.
Scossi la testa. Urlare era la cosa che volevo più di ogni altra al
mondo, ma non quando una stanza piena di gente avrebbe potuto
sentirci. Anche se dovevano aver capito cosa stavamo combinando, e
p
quel pensiero non faceva che rendere i miei sensi più acuti e il
piacere più intenso.
«Va bene, dolcezza. So cosa ti serve.» Mi mise il pollice sul
clitoride, mi tappò la bocca con la sua e cominciò a massaggiarmi
con movimenti regolari.
Strinsi le gambe e mi contrassi come un pugno a orno al suo
membro mentre venivo travolta da un orgasmo pazzesco. Gridai, ma
lui soffocò ogni suono con la sua bocca, inghio endo il mio piacere
come se fosse un suo diri o, e lo era.
Subito dopo avermi fa o godere tirò fuori il pene e mi fece girare,
me endomi a qua ro zampe, mi sfilò il perizoma, mi allargò le
natiche e mi penetrò da dietro.
«Wes!» gridai quando lui mi aprì con violenza. Su quella panca
striminzita, avevo le ginocchia vicine e perciò ero molto più stre a, e
lui ce l’aveva parecchio grosso.
Si sporse sopra di me e mi sussurrò all’orecchio: «Se non vuoi che
tu i sappiano cosa succede in questa stanza, ti suggerisco di stare
zi a».
«Ma non ci riesco» protestai debolmente e oscillai i fianchi,
costringendolo a muoversi dentro di me. Ero già venuta, ma quella
nuova sensazione di essere piena fino all’orlo era impossibile da
ignorare. Lo volevo di nuovo. Volevo sempre di più.
Mi mordicchiò il collo e la spalla. «Okay, va bene.» Udii dei fruscii
e un rumore metallico, poi Wes mi porse la sua cintura piegata in
due. «Mordi» disse, me endomela davanti alla bocca. Quando
obbedii, lui si ritrasse, lasciandomi dentro solo la grossa punta del
membro. «Adesso ti scopo forte, Mia.»
Quando diceva così, parlava sul serio. Feci appena in tempo ad
affondare i denti sul cuoio della cintura e ad afferrare i bordi della
panca prima di essere scagliata in avanti dal suo affondo. Geme i
forte, ma non gridai. Mi montò con foga continuando a dirmi
porcherie su com’era ficcarmelo dentro.
«Oh, sì, eccoti qualcosa che apprezzerai.» Mi mise le mani sul
sedere e mi sculacciò finché fui così bagnata che l’umore mi colava
tra le cosce. Mi bruciavano le natiche, ma i colpi non fecero altro che
accrescere la vertigine di lussuria che Wes mi me eva sempre
g p
addosso. Senza dire altro, mi piazzò una mano sul fianco e una sulla
spalla destra, e cominciò a fo ermi a un ritmo frenetico.
La mia mente annebbiata registrò un rumore di colpi alla porta,
ma non me ne curai, e neanche Wes, anche se mi parve di sentirlo
borbo are. Non ne ero sicura. L’unica cosa di cui ero certa era che il
mio uomo era duro come il marmo e che il suo pene sfregava contro
quel punto dentro di me che mi faceva vedere gli angeli.
Affondai i denti nella cintura mentre venivo travolta dalla
sensazione di piacere. Quando era vicino a godere, allungò una
mano, mi mise due dita sul clitoride e iniziò a muoverle. Fu
sufficiente per mandarmi in orbita di nuovo. Mi contrassi a orno a
lui negli spasmi dell’orgasmo e lui mi prese per le spalle per tenermi
ferma. Affondato dentro di me, si mosse appena, riempiendomi del
suo seme con ge i potenti. Bellissimo, cazzo.
Mentre cercavo di riprendere fiato, mi resi conto che avevo la
fronte appoggiata all’imbo itura della panca. Wes era curvo sopra di
me, intento ad accarezzarmi piano. Era una cosa che aspe avo con
ansia quando facevamo l’amore. Gli piaceva riportarmi indietro
dall’abisso del piacere con tocchi lievissimi su tu o il corpo.
«Devo amme erlo, è stata un’idea malede amente buona, ma
qualcuno è venuto a bussare alla porta due volte. Poi ho sentito
Anton aprirla e sbirciare dentro prima di richiuderla con un colpo
secco, dicendo che avevamo ancora venti minuti.» Ridacchiò contro
il mio collo bagnato.
“Merda, chissà se dovrò cambiarmi la camice a.” Probabilmente
era spiegazzata e fradicia di sudore.
«Mi fai impazzire» dissi quando ripresi a respirare normalmente.
«Sme ila con quei gesti sexy e a eggiamenti da maschio alfa geloso
che mi fanno venir voglia di saltarti addosso. Bisogna che uno di noi
due si comporti da adulto.» Aggro ai la fronte e mi spinsi indietro,
cercando di farlo uscire, anche se inginocchiata sulla panca con il
culo in aria e il corpo di Wes appoggiato addosso stavo da dio.
Sfortunatamente, avevo un lavoro da fare, per non parlare di
scusarmi con gli altri.
Wes fece una risatina, si ritrasse e mi ordinò di non muovermi.
Prima che riuscissi a capire cosa stava facendo, sentii che mi passava
p p
un panno umido tra le cosce per pulirmi. «Okay, adesso sei a posto.»
Mi alzai, mi rimisi il perizoma e mi tirai giù la gonna. Percepivo di
avere i capelli gonfi e arruffati sulla nuca, dove Wes me li aveva
tirati. Avevo il sedere in fiamme per la sculacciata e la vagina gonfia,
dolorante e sensibile.
«Merda. Sono appena stata scopata per bene e devo andare a
filmare una puntata. Ci sono venti persone là fuori che mi stanno
aspe ando. Che cazzo mi è saltato in mente?» Mi passai una mano
tra i capelli, tentando di sistemare il groviglio che erano diventati.
Wes mi rivolse un gran sorriso, si rimise l’uccello nei pantaloni e
prese la cintura. Passò un dito sui segni lasciati dai miei denti sulla
pelle lucida. «La cosa più fo utamente erotica del mondo. La porterò
sempre» annunciò.
Io invece fumavo di rabbia. «Non avresti dovuto scoparmi fino a
farmi perdere la testa, e proprio qui, poi. Accidenti. Potrei perdere il
lavoro.»
«Mia, sei stata tu a cominciare, e non perderai il lavoro» disse,
mentre infilava la cintura nei passanti. «Gli stai facendo guadagnare
troppi soldi e inoltre hai o enuto qualcosa che tu e le altre puntate
non hanno.»
Mi misi le mani sui fianchi, sporsi in fuori un’anca, inclinai la testa
e gli lanciai uno sguardo di fuoco. «Che sarebbe?»
«Me.» Fece un largo sorriso con quella sicurezza di sé che
adoravo. Da quando era tornato, quei sorrisi stavano cominciando
ad apparire più spesso, ed ero convinta che ognuno di essi
significasse un passo avanti nella guarigione che si compiva so o i
miei occhi.
«E questo come dovrebbe aiutare?» Sapevo già la risposta.
Mi guardò male. «Pronto? Hai qui un regista che ha vinto dei
premi. Ricordati, monto le tue puntate insieme a te.»
Finsi di pensarci su qualche istante, come se stessi valutando se
era di aiuto o meno. Oh, sapevo senza ombra di dubbio che il suo
talento mi stava rendendo molto popolare in TV e con il programma
del do or Hoffman. Al punto che mi ronzavano a orno altri
programmi televisivi e società di produzione. Una aveva persino
parlato di offrirmi uno show quotidiano sul tipo di quello di Oprah
p q p q p
o Ellen… in sostanza, tu o ciò che avrei potuto desiderare su un
pia o d’argento. Wes e io stavamo considerando insieme le nostre
opzioni come una nuova famiglia, discutendo che cosa avrebbe
funzionato o meno nel nostro stile di vita. La risposta non era ancora
arrivata, ma avevo tempo. Ero impegnata con il do or Hoffman
almeno per il resto dell’anno e i primi mesi del successivo.
«Pronto, egocentrico? Sono Mia.» Gli diedi una risposta piccata
per farlo incazzare.
Lui scrollò la testa. «Oh, vedrai che ci arrivi!»
«Promesso?»
«Oh, sì. E quando meno te lo aspe i.»
«Mmh, mi sa che è appena successo.»
Si mise a ridere, mi strinse al pe o e mi baciò appassionatamente.
«È stato incredibile e ne è valsa assolutamente la pena, qualunque
cosa succeda.»
«Non hai torto» dissi con un sorriso.
«Su, andiamo a calmare la troupe. Pensavo a un giro di birra e
pizza dopo le riprese.»
«Dovrebbe funzionare!»
Stavo iniziando a conoscere i ragazzi e sembravano un manipolo
di amanti dello sport e bevitori di birra, gente alla mano che adorava
mangiare la pizza e farsi vedere in giro con le celebrità.

«Diamo il benvenuto ad Anton Santiago, meglio noto al pubblico


come il Latin Lover. Ho avuto una delle mie grandi occasioni nel
mondo dello spe acolo dopo essere comparsa nel tuo video di una
canzone che è andata molto bene, a quanto capisco.»
«Sì, è vero. Le donne la adorano, ma gli uomini hanno perso la
testa per te nel ruolo di sedu rice.» Invece di cogliere il
suggerimento per parlare di sé, Anton aveva rigirato il discorso
parlando di me.
Mi sentii avvampare. «Grazie. Il mio fidanzato di sicuro l’ha
apprezzato.» Strizzai l’occhio a Wes per fargli capire che anch’io
stavo facendo uno sforzo per rendere pubblico il nostro legame.
Anton rise.
«So che te l’hanno già chiesto e che ti sei rifiutato di rispondere,
ma perché Latin Lover? Dico sul serio, Anton, andiamo! Siamo tra
amici. Dacci qualche pe egolezzo!»
Lui guardò in macchina, mise su un broncio perfe o che avrebbe
fa o venir voglia al mio pubblico femminile di leccare lo schermo
della TV e rispose: «Amo le donne. Tu e le donne. Forma e taglia non
importano. Ovviamente, sono di origini latine. Me i insieme le due
cose e, perfecto, Latin Lover».
Anton si appoggiò allo schienale come se fosse il re del suo
castello, il che gli si addiceva. Indossava una maglia bianca a
maniche lunghe quasi tu a slacciata per me ere in mostra il pe o
muscoloso, un paio di pantaloni morbidi in lino bianco e semplici
mocassini marroni. Al collo portava una catena d’oro che scintillava
so o la luce dei rifle ori. La carnagione color caffè unita ai capelli
scuri e agli occhi verdi avrebbe spinto una donna, qualunque donna,
a cadergli ai piedi adorante. Anton era tu o quello e altro ancora.
Stranamente, per quanto fosse incredibilmente affascinante,
l’unica cosa che riuscivo a sperare era che un giorno trovasse il vero
amore.
«Adesso che hai o enuto fama e ricchezza, per cosa diresti di
essere grato?»
Anton inclinò indietro la testa e guardò in alto. «Grazie per il te o
sopra la testa, il cibo nello stomaco, l’amicizia della mia manager,
Heather Renee, l’amore di mi mama e dei miei hermanos. E
ovviamente per tu i i miei amigos e i fan della mia musica, ma sai,
quest’anno voglio ringraziare te, Mia. Per aver evitato che perdessi
qualcosa di molto caro. Sono riconoscente a te e grato per la tua
amicizia.»
Mi si riempirono gli occhi di lacrime. Naturalmente, quello
sarebbe stato il momento in cui la telecamera mi avrebbe fa o un
primissimo piano, invadendo il mio spazio personale. Impreparata a
questo, guardai in macchina mentre le lacrime mi rigavano le
guance. «Ed ecco a voi Anton Santiago, il Latin Lover, mio amico e
vostro. Grazie per essere venuto oggi, Anton. È stato magnifico
averti ospite in questa puntata speciale sulla gratitudine. Ti auguro
ulteriore successo nell’industria musicale e in tu e le tue imprese
future.
«Buona la prima con Anton, gente» dissi con un gran sorriso.
Un’altra ripresa, poi Wes e io ci saremmo dire i in Texas per
trascorrere il Ringraziamento con mio fratello, sua moglie e i suoi
bambini, mia sorella e il suo fidanzato.
6

«Senti, ma cosa ci facciamo tu i infago ati a congelarci le chiappe


per il centro di Manha an con una troupe a rimorchio?» Wes faceva
oscillare le braccia mentre camminavamo. Il semplice gesto di
tenerlo per mano e averlo accanto mi ricordava che andava tu o
bene. Avevo un mucchio di cose per cui essere grata, e in cima alla
lista c’era l’uomo che stavo per sposare, Weston Channing.
Eravamo immersi negli scorci e nei rumori di New York.
Nevischiava e i fiocchi si scioglievano non appena toccavano terra.
Vivendo a Las Vegas, non vedevamo molta neve, e comunque mai
come questa. Un paese invernale incantato.
Mi strinsi nelle spalle in modo vago. «Mi è venuta un’idea che
voglio testare. Fidati di me. Sarà divertente.»
Wes mi mise un braccio a orno alle spalle e mi strinse al suo
fianco. Percepivo il calore del suo corpo mentre proseguivamo lungo
la strada verso una destinazione sconosciuta. «Dolcezza, sei l’unica
persona di cui mi fido.»
Ricacciai indietro a fatica le emozioni che minacciavano di
sopraffarmi. Tenni duro e mi appoggiai a lui per godermi la
passeggiata. La ci à era magnifica. Incurante del tempo, la gente
camminava per la strada, muovendosi in fre a, salendo e scendendo
dai taxi gialli più velocemente di quanto una persona ci me esse ad
alzare un braccio. Le ve ure comparivano dal nulla nell’istante
stesso in cui qualcuno si avvicinava al marciapiede della via di
Manha an gremita di persone. L’aria era permeata dai mille odori
provenienti dalle bancarelle che vendevano di tu o, dagli hot dog ai
churros alla pizza.
Quando arrivammo al Rockefeller Center, nel centro di
Manha an, mi fermai davanti alla pista di pa inaggio sul ghiaccio.
p p gg g
«Qui è perfe o.» Sorrisi e Wes si limitò a guardarmi scrollando la
testa.
I cameramen prepararono l’a rezzatura mentre io ispezionavo la
zona. A lato della pista vidi un uomo aiutare una bambina, che era
chiaramente sua figlia, ad allacciarsi i pa ini. Mi diressi verso di loro
con naturalezza.
«Salve, mi scusi, signore. Sono Mia Saunders e sto intervistando le
persone per una puntata del Do or Hoffman sulla gratitudine.»
L’uomo si alzò e si mise davanti alla bambina, la mossa
probabilmente istintiva di un padre che voleva proteggere la figlia.
«Sì, e allora?» disse con una voce profonda venata di diffidenza,
mentre mi squadrava da capo a piedi.
Indicai alle mie spalle in direzione dei cameramen e di Wes in
piedi fuori dalla pista. «Be’, mi chiedevo se fosse disposto a farsi
intervistare. Solo un paio di domande. Sto cercando di dare un’idea
della vita quotidiana degli americani per condividerla con il
pubblico. Quando sarà più grande, a sua figlia farà piacere sapere di
essere stata in TV .» Sorrisi alla piccola con i capelli castani e gli occhi
dello stesso colore. Portava un berre o di lana rosso da cui
spuntavano i lunghi capelli. Aveva le guance arrossate per il freddo,
di un rosa perfe o, come una gomma da masticare.
L’uomo, anche lui castano, si chinò verso la bambina. «Ti
piacerebbe andare in TV , Anna?» Mise una mano so o il mento della
piccola e le fece alzare la testa in modo che lo guardasse in faccia.
«Certo, papà.»
Ba ei le mani. «Grandioso! Le spiacerebbe venire dove abbiamo
montato la telecamera? Sarebbe fantastico.»
Dato che la bambina indossava già i pa ini, il padre la prese in
braccio senza sforzo. Non poteva avere più di cinque o sei anni, e lui
era grande e grosso.
«Allora Mr…»
«Pickering. Shaun Pickering.»
Presi un appunto mentale dei loro nomi per non fare casino
davanti alla macchina da presa. Non volevo tra enerli troppo a
lungo e sopra u o desideravo che il filmato fosse realistico. Se
avessi pasticciato… be’, la vita è piena di piccoli errori e neppure la
p p p pp
gente della televisione è perfe a, per quanto il pubblico possa
pensarla altrimenti.
«Okay, ragazzi, pronti a riprendere?»
Il tecnico del suono mi allungò un microfono e un auricolare. Me
li misi, mi sistemai i capelli ai lati della testa in modo che mi
proteggessero dal freddo e – secondo Wes – mi facessero sembrare
carinissima con il berre o pied-de-poule. Il cameraman commentò
che il cappo o verde pisello formava un bel contrasto con i capelli
neri e gli occhi verdi.
«Pronti?» chiesi a Shaun.
Lui annuì e spostò la figlia appoggiandosela su un fianco.
«Quando volete.»
Il cameraman fece il conto alla rovescia… cinque, qua ro, tre,
due, uno.
«Sono con Shaun Pickering e sua figlia Anna nel cuore di
Manha an, il Rockefeller Center, dove stavano per me ersi a
pa inare, uno dei passatempi preferiti dei numerosi abitanti di New
York. Grazie, Shaun, per avermi concesso di interromperti per
qualche minuto.»
Shaun sorrise. «Ma figurati, nessun problema.»
«Ecco quello che vorrei sapere, Shaun: con il Ringraziamento alle
porte, per cosa sei riconoscente?»
Lui guardò in macchina e strinse forte la bambina. «Sono
riconoscente per la mia Anna. L’unica cosa che mi è rimasta di sua
madre, la mia defunta moglie.»
Non sapevo cosa dire. Cosa si può rispondere di fronte a una cosa
tanto grave? “Sono spiacente per la tua perdita”? Probabilmente lui
non voleva sentirsi dire nulla del genere.
La telecamera continuava a riprendere e, visto che non dicevo
niente, Shaun aggiunse: «È dura essere un padre single, ma questa
piccole a» – sfregò il naso contro quello di Anna – «ha reso degno di
essere vissuto ogni giorno degli ultimi cinque anni».
Anna ridacchiò e mise le mani sulle guance del padre. «Che
freddo, papà!» Rise e fece uno di quei sorrisi capaci di illuminare la
giornata di chiunque.
Mi schiarii la gola. «E tu, miss Anna, per che cosa dici grazie
quest’anno?»
Lei rivolse i grandi occhi castani alla telecamera. Vidi il
cameraman avvicinarsi un po’. Anna sba é le palpebre e sorrise.
«Grazie per il mio papà. È il papà supermigliore del mondo. E mi fa
pa inare sul ghiaccio e mi prende un hot dog e una bibita che la
nonna dice mi fanno malissimo!» Ridacchiò di nuovo e io avrei
voluto abbracciarla e stamparle un bacio su quelle guance rosse.
«Sembra un papà super.»
«Il supermigliore.» Arricciò il nasino minuscolo.
«Bene, ecco qui, gente. Ringraziamo Shaun Pickering e sua figlia
Anna per averci svelato quello per cui sono riconoscenti.»
Mi fermai, sorrisi alla telecamera e a esi il segnale. Il cameraman
alzò il pollice.
«Siete straordinari. Grazie. E sono così contenta che abbiate deciso
di parlare con noi.» Stesi la mano verso il cameraman. «Le hai
portate?» chiesi. Lui mi diede due carte regalo Visa prepagate da
cento dollari. «Il nostro omaggio per voi. Che possiate trovare
qualcosa di meraviglioso con queste.»
L’uomo prese le carte. «Non l’abbiamo fa o per i soldi.»
«Lo so. Ma vi sono grata del contributo. Godetevele!» dissi con un
sorriso. Un paio di braccia mi circondarono da dietro. Mi appoggiai
a quel corpo familiare, apprezzando il calore che emanava.
Un naso gelido si strofinò dietro il mio orecchio. Mi ritrassi con
uno strillo, ma Wes mi tenne stre a. «Splendida l’idea che hai avuto.
E l’omaggio è stato un tocco carino.»
«Be’, è carino avere una sorpresa di tanto in tanto. E inoltre non
abbiamo dovuto pagare per intervistare Anton o Mason. Ho deciso
di usare parte del budget per acquistare qualche migliaio di dollari
in carte regalo. Ne daremo una a tu i quelli che intervisteremo,
sperando di fare una cosa gradita.»
Wes mi fece girare, stringendomi tra le braccia. «Amo questo, Mia,
e amo te.»
Ragazzi, Wes sembrava considerare importante dirmi più spesso
che mi amava. E io non mi stancavo mai di sentirlo. «Grazie. Adesso
andiamo alla destinazione successiva. Sto pensando che l’Empire
State Building sarà divertente!»
Wes fece una risatina. «Ho capito cosa stai facendo.»
Inarcai le sopracciglia e sorrisi. «Vedere le cose che ci sono da
vedere e al tempo stesso fare il mio lavoro. Due al prezzo di uno!»
Wes mi strinse di nuovo a sé e mi diede un bacio. Un bacio vero,
profondo, totalizzante.

Mano nella mano, Wes e io salimmo con la troupe in cima all’Empire


State Building dove trovai una coppia di anziani sull’o antina.
Acce arono senza problemi di lasciarsi intervistare. Quando fu tu o
pronto, con la coppia in piedi contro lo skyline di New York, le
telecamere iniziarono a riprendere.
«Sono qui con Xavier e Maria Figueroa in cima all’Empire State
Building. Ci troviamo in uno dei luoghi più rappresentativi del
mondo e io vorrei chiedervi per cosa siete grati.»
L’uomo si portò alle labbra la mano della moglie e la baciò. «Sono
riconoscente per mia moglie Maria. Siamo sposati da sessant’anni.
Mi ha dato qua ro figli di cui essere orgogliosi, si è occupata della
casa mentre io comba evo nella guerra del Vietnam, ed è rimasta al
mio fianco nella buona e nella ca iva sorte.»
Si girò verso di lei e le mise una mano tremante sulla guancia. «Sei
il mio unico amore.» La baciò con tenerezza mentre le lacrime
scorrevano sul viso rugoso di lei. I capelli bianchi erano raccolti in
uno chignon impeccabile e brillavano contro il cielo di New York,
che si era rasserenato.
Quando tornarono a guardare verso la telecamera, lui le porse un
fazzole o di stoffa che probabilmente lei gli aveva stirato. La donna
si tamponò gli occhi e sorrise.
«Dunque, Maria, sono sicura che sia difficile dire qualcosa dopo
queste parole, ma potresti spiegarmi perché oggi siete in cima
all’Empire State Building, in questa giornata di neve e di sole?»
La donna si lisciò i capelli e guardò l’orizzonte. «Veniamo qui tu i
gli anni, sempre lo stesso giorno.»
«E che significato ha?» la incoraggiai.
«È qui che Xavier mi ha proposto di sposarlo sessant’anni fa.
Abitiamo appena fuori ci à e una volta all’anno, ogni novembre in
questa data esa a, veniamo qui per dire grazie: l’uno all’altra e alla
ci à per averci offerto un posto tanto bello dove vivere. Non
abbiamo molto, ma quello che ci manca in comodità, lo
compensiamo con l’amore. Giusto, caro?» Si strinse al marito che la
cingeva con un braccio.
«Giustissimo, amore mio.»

«Allora, il Rockefeller Center e l’Empire State Building li abbiamo


visti. Dove andiamo adesso?» chiese Wes mentre salivamo sul
furgone a noleggio.
Feci un gran sorriso e appoggiai le mani sul sedile davanti a me,
incapace di stare ferma per l’eccitazione. «La Statua della Libertà ed
Ellis Island, ovviamente!»
Wes alzò gli occhi al cielo. «Che roba da turisti!» Mi prese la mano
e se la portò alla bocca baciandola come aveva fa o l’uomo in cima
all’Empire State Building con la moglie.
«Verissimo! E non me ne vergogno. Sono stata qui una volta in
passato, ma le circostanze non erano felicissime.»
Il ricordo delle mani rapaci di Aaron che mi spingevano contro la
parete in cemento della biblioteca vicino a Grant Park mi fece
rabbrividire per il disgusto. Wes si accorse del cambiamento di
umore, almeno a giudicare dalla mascella contra a e dalla smorfia
sulle labbra.
Scosse la testa. «Mai più. Ti proteggerò a costo della vita»
borbo ò a denti stre i.
Gli accarezzai la mano e gliela strinsi per rassicurarlo. «Lo so, lo
so. Non preoccuparti. Questa volta è tu o straordinario. Mi sono
fidanzata con l’uomo dei miei sogni…» Gli diedi un colpe o con la
spalla, cercando di alleggerire l’atmosfera di irritazione dovuta
all’accenno al tentato stupro. «Siamo usciti con alcuni dei miei
migliori amici. E sono qui con te, a chiedere alle persone di cosa sono
riconoscenti mentre visito tu e le più belle a razioni turistiche di
New York. Cosa potrei chiedere di meglio?»
Espirò lentamente. «Hai ragione. È splendido. Sono contento di
essere venuto con te.»
Mi accoccolai al suo fianco, lasciando che il suo calore mi
riscaldasse l’anima. «Anch’io.»

Il furgone si fermò al parcheggio del traghe o per Liberty Island.


Pagammo i biglie i e passammo per gli scrupolosi controlli di
sicurezza che richiesero molto più tempo di quanto avessi previsto.
Ciò significava che avremmo dovuto fare alcune delle interviste il
giorno successivo. Saremmo rimasti in ci à solo altri due giorni e
avrei voluto passarne uno con Wes, ma a questo punto non
sembrava probabile. Erano già le tre del pomeriggio e presto avrebbe
fa o buio, una situazione non ideale per le riprese e per gli scenari in
cui volevo filmare le interviste. Lo scopo era di rendere la puntata
stimolante anche dal punto di vista visivo. Offrire al pubblico un
tour di New York che altrimenti avrebbe potuto non fare mai. Finora
aveva funzionato a meraviglia.
Sul traghe o decisi di prendere due piccioni con una fava e
intervistare qualcuno che viaggiava solo. Capii di aver trovato quello
che cercavo quando vidi una bionda infago ata con dei meravigliosi
occhi azzurri appoggiata al parape o. Il vento le faceva svolazzare i
capelli mentre se ne stava in silenzio, guardando l’isola che si
avvicinava. La interruppi e le chiesi se fosse disposta a partecipare al
programma, e lei rispose con entusiasmo. Il suo accento scozzese mi
stupì. Scoprii che era una scri rice che partecipava a un congresso
negli Stati Uniti e che quello era un giorno libero. Così aveva deciso
di approfi arne per vedere lo skyline di New York in tu o il suo
splendore.
Afferrai il microfono e mi avvicinai al parape o del traghe o che
solcava le acque della Upper Bay.
«Amici, sto facendo il primo viaggio in traghe o della mia vita,
dire a a Liberty Island, e ho incontrato questa donna adorabile.
Janine Marr viene dalla Scozia ed è in visita nel nostro grande paese
per lavoro. Cosa ne pensi del tuo primo viaggio negli Stati Uniti?» le
chiesi.
«È bellissimo. Travolgente, ma sopra u o direi memorabile.
Adoro gli americani. Vanno tu i sempre di fre a come se la persona
che devono incontrare fosse l’essere più affascinante del mondo e
loro dovessero arrivare il prima possibile.» L’accento scozzese era
marcato e nondimeno molto piacevole.
Sorrisi alla telecamera, non condividendo il suo entusiasmo per la
gente che correva qua e là, ma comunque apprezzando il suo
a eggiamento positivo. «È una maniera di vedere le cose. So che
tornerai in Scozia domani e che da voi non si festeggia il
Ringraziamento, ma mi chiedevo: per cosa sei riconoscente?»
Janine si guardò a orno, fissò la statua, lo skyline di New York e
infine la baia. «Il mondo. Il nostro pianeta. Guarda. Non importa
dove sei, a New York o nelle verdi distese della mia patria scozzese,
ovunque c’è sempre della bellezza da scoprire.»
Quando finii con Janine, presi il suo biglie o da visita per poter
dare un’occhiata ai romanzi erotici che aveva scri o e le diedi una
carta regalo. Era ora di scendere dal traghe o. Prima che gli altri
turisti sciamassero verso la gigantesca e affascinante Statua della
Libertà, fermai i Martin, una famiglia canadese che visitava il
monumento per la prima volta.
«Grazie, Jacob e Amanda Lee Martin, per avermi concesso di
intervistare voi e i vostri figli prima dell’appuntamento con la bella
signora. Prima di tu o, iniziamo dicendo al nostro pubblico da dove
venite.»
Amanda portava in braccio l’unica femmina, una bambina
piccola, mentre il marito teneva accanto a sé i due maschi più grandi,
gemelli. «Veniamo da O awa, in Canada» disse orgogliosamente.
«E finora il viaggio vi è piaciuto?»
«Sì. Solo che tenere d’occhio due ragazzini di sei anni e la nostra
bambina in una ci à di queste dimensioni non è facile» disse Jacob
con una risata.
«Ci scomme o. Bene, so che avete molte cose da vedere, e questi
due ome i sono impazienti di dare un’occhiata alla nostra bellissima
statua, non è vero, ragazzi?» Alzai la voce mentre loro portavano lo
sguardo su di me.
Due pugne i si alzarono in aria mentre loro urlavano all’unisono:
«Sì!».
«Benissimo, allora. Dunque, Amanda, dimmi, per cosa sei grata?»
I suoi begli occhi castano chiaro si inumidirono. «Per la mia
famiglia. È tu o quello di cui ho bisogno a questo mondo.»
Sorrisi e spostai il microfono verso il marito. «E tu, Jacob?»
«Lo stesso.» Si strinse nelle spalle. «Non esiste nient’altro per cui
sono così riconoscente che mia moglie, i nostri due ragazzi e la
piccola.»
Sapendo che il pubblico avrebbe apprezzato, mi accucciai e la
telecamera mi seguì. Indicai il primo dei gemelli. «Per cosa dici
grazie?»
Lui strinse le labbra e spalancò gli occhi. «Caramelle!» Parlò a
voce molto più alta di quanto mi aspe assi.
Mi misi a ridere. «Bella risposta. E tu?» Avvicinai il microfono al
fratello.
«La mia bici. Adoro la mia bici. È favolosa e ha un fulmine
superbello sul davanti» rispose in tono pratico. Tu i gli adulti
ridacchiarono.
Mi rialzai e avvicinai il microfono vicino alla bimba con le
guancio e: poteva avere due anni e mezzo, tre al massimo. «E tu,
piccolina? Ti piacerebbe dire all’America per cosa dici grazie?»
Per tu a risposta, mi piazzò davanti al naso un logoro elefante
rosa. «Per l’elefante?» Lei fece di sì con la testa, poi nascose la faccia
nel collo della madre.
«Grazie, clan dei Martin, per aver condiviso con noi quello di cui
siete grati.»
I Martin furono molto più che riconoscenti per le carte regalo del
valore di cinquecento dollari. Dissero che quel viaggio l’avevano
sempre sognato e che aveva intaccato parecchio i loro risparmi. Quei
soldi avrebbero contribuito alle loro finanze, consentendo di me ere
da parte il denaro per la prossima avventura.
Decisi che l’ultima intervista l’avrei fa a nella Great Hall di Ellis
Island. Trovai un uomo anziano in piedi accanto ad altri due, uno
dei quali teneva per mano un bambino che non poteva avere più di
o o o nove anni. Gli uomini avevano l’età che avrebbero avuto il mio
bisnonno, mio nonno e mio padre.
«Scusate, vi dispiacerebbe se vi intervistassi per lo speciale di un
programma televisivo incentrato sul tema della gratitudine?»
Uno degli uomini si rivolse in tedesco al più vecchio, che annuì.
«Certamente, lei può fare le domande e io le tradurrò al mio Opa.»
Sapevo che Opa significava “nonno” in tedesco.
Mi presi qualche minuto per conoscere i tre uomini e il bambino.
Erano qua ro generazioni di Kappmeier. Robert Kappmeier aveva
più di novant’anni e un aspe o splendido per la sua età, come pure il
figlio, Richard, che stava per compierne se anta; poi c’erano Eric,
quasi quarantenne, e suo figlio, Nolan, che ne aveva o o.
Quando scoprii perché erano lì non riuscii a tra enere le lacrime.
Wes cercò di calmarmi mentre riprendevo il controllo di me stessa e
facevo del mio meglio per sistemarmi il make-up senza un
truccatore professionista. Quando mi fui ricomposta, le telecamere
iniziarono a filmare.
«Sono davanti a Ellis Island con qua ro generazioni di
Kappmeier. Grazie a tu i voi per esservi fermati a chiacchierare con
me.»
Mi rivolsi prima a Robert, il più anziano. «Mr Kappmeier, voglio
ringraziarla per aver acce ato di parlare con me e tradurre le sue
parole.» Mi rivolse un cenno della testa. A quanto pareva, dopo
essere andato in pensione aveva deciso di parlare quasi solo nella
sua lingua madre, ma sapeva molto bene l’inglese. «Da quello che mi
hanno de o suo figlio e suo nipote, lei è passato per Ellis Island nel
1949, qualche anno prima che chiudesse, nel 1954.»
«Vero. Il giorno più bello della mia vita.»
«E perché?» chiesi, sinceramente interessata.
«Perché ero libero. La Germania aveva appena assistito alla
disfa a dei nazisti e il paese si era spaccato in due. All’epoca molti
dei miei familiari erano prigionieri di guerra. Promisi a mia madre,
che aveva perso il marito in guerra, che avrei trovato il modo di
essere libero. Così lasciai la Germania, la mia patria, e trovai una
nuova patria. Un paese dove avrei potuto sentirmi al sicuro e dove
avrei potuto vivere, lavorare, amare e avere una famiglia mia.»
p g
«E direbbe di essere grato all’America per l’opportunità che le ha
offerto?» chiesi senza pensarci.
Lui annuì seccamente e si avvicinò al nipote più giovane, Nolan,
che stringeva nervosamente la mano al padre. Il bisnonno gli fece
sollevare il mento.
«Sono grato per la mia libertà e per la libertà di mio figlio,
Richard, di mio nipote, Eric, e del mio bisnipote, Nolan Kappmeier.
Vede, in quanto americani, saranno sempre liberi.»
Ringraziai quegli uomini per aver condiviso la loro storia e gli
diedi le carte regalo, che – dissero – avrebbero dato in beneficenza.
Guardando in macchina con gli occhi pieni di lacrime e Wes al
mio fianco, decisi che quella sarebbe stata la conclusione della
puntata. Non c’era bisogno di altro.
«Oggi avete sentito persone di New York. Famiglie, papà single,
visitatori da altri paesi e generazioni di americani. Abbiamo scoperto
che le persone sono riconoscenti per le loro mogli, i loro mariti,
bambini, genitori, per il mondo e, sopra u o, per la libertà che
questa nazione ci concede. Vorrei spendere un momento per
ringraziare tu i i veterani della nostra grande nazione per averci
garantito un nuovo giorno di cui essere riconoscenti, perché
comba ono per la nostra libertà. Vorrei invitare tu i voi a guardare
questo show per ringraziare qualcuno a cui siete riconoscenti.
Diffondete la gioia e l’amore che diamo per scontati ogni giorno, e
riceveteli in cambio. Ma sopra u o… siate grati per ciò che avete e
gioitene. Grazie a tu i per averci seguiti. Arrivederci al prossimo
appuntamento, vivete una vita bella.»
Nel momento stesso in cui il cameraman alzò il pollice, Wes mi
prese per la vita e mi abbracciò. «Sono così fiero di te, dolcezza.
Questa puntata toccherà il cuore a tante persone.»
Mi rifugiai nel suo calore, imprimendomi nella mente quel
momento per poter richiamare la sensazione di unione, amore e
compassione negli anni a venire. Ero orgogliosa di me stessa. Avevo
preso un’idea e l’avevo realizzata, e sapevo che sarebbe risuonata nel
cuore di migliaia di spe atori quando fosse andata in onda.
«Festeggiamo!» disse Wes, baciandomi il collo fino all’orecchio,
leccandomi il lobo e poi mordicchiandolo. Fui percorsa da un
p p
brivido di eccitazione che si riverberò dri o in mezzo alle cosce.
«Che cosa hai in mente?» dissi, inarcando un sopracciglio e
abbozzando un sorrise o.
«Tu e io, una bo iglia di champagne, un cesto di fragole, panna
montata e il le o morbido di un albergo.»
Gli scoccai il mio sorriso più luminoso. «Mi hai conquistata a “tu e
io”.»
7

Non appena l’auto a noleggio si fermò davanti alla grande casa in


stile ranch, una bambina bionda con i capelli arruffati corse giù dai
gradini sba endo le braccia, seguita dal padre.
«Isabel, lascia almeno che la zia scenda dalla macchina, tesoro!»
urlò mio fratello Max dalla veranda mentre si avvicinava.
Eccitatissima anch’io, saltai giù dall’auto e afferrai al volo il
demonie o che si agitava frenetico. «Zia Mia!» strillò. Sentendola
chiamarmi ufficialmente “zia”, sapere che avevamo lo stesso sangue,
fu uno dei momenti più commoventi che avessi vissuto da anni.
Presi in braccio mia nipote, lasciando che si abbarbicasse a me come
una scimmie a. Mi mise le mani sulle guance. «Sono la regina!» mi
urlò nelle orecchie. Scoppiai a ridere e la strinsi a me.
«Certo, amore. Io farò la principessa. Ehi, sei pronta a conoscere lo
zio Wes?»
Sgranò gli occhi. «Ho uno zio Wes?» disse con una voce a stupita
che ben si ada ava ai suoi qua ro, anzi quasi cinque anni.
Me la spostai su un fianco. «Proprio così.»
Wes si avvicinò e le prese una mano. «Ciao, Isabel, io sono
Weston.»
«Che nome stupido» le scappò de o, poi fece un sorriso sbilenco.
«Bell!» la rimproverò Max, ma io scossi la testa e gli lanciai
un’occhiata di ammonimento. Era una bambina innocente, priva di
malizia.
Wes ridacchiò in segno di approvazione. «Sai cosa c’è di ancora
più stupido?» replicò, avvicinandosi al suo vise o.
Lei sporse le labbra e guardò in alto, rifle endo. «Gli hot dog?»
A quell’uscita Wes e io scoppiammo a ridere. Max se ne stava lì in
piedi con una mano sulla bocca, cercando di non ridere anche lui per
p p
non incoraggiarla.
«E allora?» La piccola fece una faccia indignata. «È roba da
mangiare, non un cane caldo. Stupido.» Dove i riconoscerglielo, la
logica non faceva una piega.
«Vero. Ma quello che intendevo con “ancora più stupido” è che il
mio nome ha dentro un numero!»
Isabel fece una faccia stupita e spalancò gli occhi. «Ma va’!»
«Come no. Il mio nome è Weston Charles Channing III.» Sollevò
tre dita, e lei le guardò come se fossero sul punto di schizzar via
come tre petardi so o i suoi occhi.
«Wow. Che forte! Papà, posso avere un numero nel mio nome? Mi
piacerebbe cinque.»
Questa volta Max si mise a ridere. «Hai già un nome, tesoro, e no,
non puoi avere un numero. Ma in aprile sarai cinque. Puoi aspe are
fino ad allora?»
«No, papà, non posso proprio. È fra mille anni.» Mise il broncio e
io la baciai su una guancia. Sapeva di sciroppo d’acero e pastelli a
cera.
«Vai dentro, Bell, e di’ alla mamma che la zia e lo zio sono arrivati.
Okay?»
Agitò i piedi, così la misi giù, e lei partì a razzo. Ragazzi, quanto
si muovono veloci i bambini. Vanno dappertu o correndo a
perdifiato, anche se si tra a di percorrere solo cinque metri.
Mi avvicinai a mio fratello e gli appoggiai la testa al pe o. Lo
circondai con le braccia e lo strinsi più forte che potevo. Odorava di
cuoio e detersivo per la lavatrice. Familiare e confortante.
«È così bello vederti, zuccherino. Averti qui per il Ringraziamento
significa… be’, lo sai…» Si interruppe, la voce più roca del normale.
E sapevo cosa significavo per lui. Maxwell Cunningham era
sopra u o un uomo da famiglia. Ricco come Creso, avrebbe de o
che era l’amore della sua famiglia a renderlo tale, non i milioni nel
conto in banca.
«Maxwell Cunningham, voglio presentarti il mio fidanzato,
Weston Channing.»
Max fece un gran sorriso e gli tese la mano, e non appena Wes la
prese lo strinse in uno di quegli abbracci da uomini a base di pacche
p q g p
sulle spalle. «È bello conoscerti, socio. Mia è stata malissimo quando
sei scomparso. Scomme o che sei felice di essere tornato e di stare
con la nostra ragazza.»
Non ci avrei creduto se non l’avessi visto coi miei occhi, ma
Weston arrossì. Scosse la testa, strascinò i piedi e annuì. Notai anche
che non se la prese con Max per aver de o “la nostra ragazza” come
invece aveva fa o con Anton quando aveva parlato di “nostra Mia”.
Interessante.
«È magnifico essere tornato. Pensavo solo a questa bellissima
donna e a come farla mia.» Mi mise un braccio a orno alla vita e mi
strinse al suo fianco.
Lo sguardo di Max si intenerì e gli si formarono delle piccole
rughe agli angoli degli occhi. «Talvolta un uomo deve passare per
l’inferno prima di capire quello che ha davvero valore. Ritengo che
tu l’abbia imparato a tue spese, e mi dispiace moltissimo, ma sono
felice che sia tornato nella terra dei liberi e nella patria dei
coraggiosi. Benvenuto al mio ranch.» Che discorso da cowboy!
Provai un impeto d’affe o per mio fratello.
Wes inclinò la testa e rinsaldò la stre a su di me. Guardò la terra
che ci circondava con quei suoi occhi di un verde straordinario. «Che
bello qui. Sono tuoi tu i quegli e ari?» chiese indicando oltre gli
alberi.
Maxwell fece un cenno nella direzione in cui voleva che
guardassimo. «Non quanti ne possiede la Cunningham Oil, ma ho
un bel pezzo di terra. Vedi il fienile laggiù con la J scri a sopra?
Quella è la casa dei Jensen. Conosci Aspen.»
Wes si schermò gli occhi con la mano per osservare il fienile. «Per
la miseria, l’avevo completamente dimenticato. Sono stato qui al
matrimonio di Aspen e Hank un paio d’anni fa.» Poi guardò Max:
«Ci siamo già visti, io e te».
Max si mise a ridere e confermò con un cenno della testa. «Già, al
matrimonio, brevemente. Entrate. Voglio presentarti mia moglie,
Cyndi.» Fece per salire i gradini ma Wes lo fermò.
«E la terra laggiù?» chiese indicando un’ampia distesa di erba alta
fi a di alberi.
«Mia anche quella. La terra sul lato della fa oria dei Jensen l’ho
venduta ad Aspen e Hank quando si sono sposati. Si sono impegnati
a non cederla agli speculatori. Possiedo anche gli e ari che
circondano la mia proprietà. Ci sono un paio di case coloniche vuote
che non so se dare via o tenere in famiglia.»
Wes increspò le labbra e prese Max per una spalla. «Penso che
dovresti tenerle in famiglia» disse con una pessima imitazione
dell’accento strascicato del Sud di mio fratello.
«Penso che tu abbia ragione» concordò Max, mentre qualcosa di
non de o passava tra lui e Wes. «Le case hanno bisogno di qualche
lavoro. Un bel po’ di olio di gomito, a dire la verità» bu o lì
casualmente.
Iniziava a sfuggirmi il filo del discorso e mi allontanai da quei due
che parlavano di terreni e case. Che noia.
«Sono abituato al lavoro duro» fu l’ultima cosa che udii, de a da
Wes. Probabilmente avrei dovuto preoccuparmi, ma francamente
avevo troppa voglia di vedere mio nipote per curarmi di ranch e
terre.
«Andiamo, ragazzi. Voglio conoscere il piccolo Jack!»

Era ufficiale. Non c’era niente di più dolce che tenere in braccio un
bambino di poche se imane. La parte migliore della faccenda era
che, a quanto pareva, Jack aveva gli occhi verdi, proprio come me,
Maddy e Max. In cima alla testa che profumava di borotalco gli
spuntavano ciuffe i di capelli castani.
«Ho idea che sarà bruno» dissi rivolta a nessuno in particolare.
Cyndi si lasciò cadere sul divano accanto a me. «Davvero?» Passò
una mano sulla testa del neonato. Non appena Jack percepì la
presenza della madre, protese le labbra e iniziò a succhiare. Poi girò
la testa. «Oh, qualcuno ha fame» tubò lei.
Invece di uscire dalla stanza, prese la coperta appoggiata allo
schienale del divano, se la mise su una spalla e sul braccio, armeggiò
un po’ e dopo qualche secondo sentii Jack che ciucciava dal
capezzolo. Vita di una supermamma.
«Fa male?» chiesi, guardandola alla are il piccolo.
«Non voglio raccontarti storie, Mia. I primi giorni fa un male cane,
e i capezzoli possono piagarsi e sanguinare, ma il legame che senti
con il tuo bambino, il nutrimento che prende dal la e materno ti
fanno superare quei primi momenti di tortura.»
«Tortura?» Deglutii a fatica.
Lei mi sorrise. «Ti assicuro che ne vale la pena. A proposito, devo
farti le mie congratulazioni, a quanto vedo» disse lanciando
un’occhiata alla mia mano sinistra.
Aggro ai la fronte. «Max non te l’ha de o?»
Cyndi scosse la testa. «Ma certo. Stai scherzando? Ha resistito tipo
due secondi prima di spia ellarlo. In sostanza, il tempo di me ere
giù il telefono e già mi chiamava per tu a la casa per dirmi che
entrambe le sue sorelle stavano per sposarsi. Ha svegliato Jack e
Isabel dal sonnellino.»
Mi guardai a orno, per accertarmi che non ci fosse nessuno nei
paraggi. «Se mio papà non si sveglia, ho intenzione di chiedere a
Max di accompagnarmi all’altare.»
A Cyndi si riempirono gli occhi di lacrime, e tirò su con il naso.
«Non sai quanto significherebbe per lui.» Le scivolò una lacrima
lungo una guancia, e se la asciugò con la mano.
«Non piangere» dissi spaventata, pensando che forse non avrei
dovuto dire niente.
«Sono gli ormoni, tesoro. Piango per qualunque cosa. Accidenti,
ieri stavo guardando la TV e hanno passato la pubblicità di un
antiacido. C’era una donna incinta che si premeva una mano sul
cuore. Be’, mi ha fa o piangere. Mi è venuto in mente il bruciore di
stomaco che avevo quando aspe avo Jack, e giù a frignare. Sul serio,
va tu o bene.» Si mise a ridere.
Wow. La gravidanza tira su le donne. Un sacco.
Come avrei gestito una cosa del genere? Avrei mai desiderato
farlo? Pensai a Weston che teneva in braccio nostro figlio e decisi che,
sì, avrei affrontato praticamente qualunque cosa per avere un
bambino con gli occhi di Wes che mi guardavano.
«Adesso basta bambini?» le chiesi mentre lei sollevava un Jack
insonnolito, si sistemava la camicia e rime eva la coperta sullo
schienale del divano come se nulla fosse. Proprio così, supermamma.
p p
«No. Credo che ne avremo altri due.»
Sgranai gli occhi. «Qua ro figli!»
Lei mi fece un sorriso radioso. «Max ne vuole sei! Ho negoziato
qua ro. Lui vuole una grande famiglia sempre intorno. Dice che è
per quello che vale la pena sgobbare, e adora rientrare dopo una
giornata di lavoro e sentire le voci dei bambini. Ha in mente di
chiamarne uno con il tuo nome e quello di Maddy. E io sono
d’accordo.»
Strinsi gli occhi. «Cyndi, l’hai già fa o dando a Jack il secondo
nome Saunders. Non devi. Assolutamente. Davvero.»
Scosse la testa. «Vogliamo che i nostri figli conoscano le zie e
crescano vedendole spesso. Che sappiano che i nomi che abbiamo
scelto per loro sono quelli di brave persone che li amano. Chi meglio
delle zie?»
Mmh, mi venivano in mente un centinaio di persone, ma sarebbe
stato come parlare al muro. Avevo scoperto a mie spese che quando
Max e Cyndi prendevano una decisione, erano irremovibili e non
avrebbero ceduto. Erano il tipo di persone che chiunque vorrebbe
nella sua famiglia. Gente sempre disposta a darti una mano, ad
amarti incondizionatamente e a me erti al primo posto. Un’altra
ragione per essere riconoscente.
Il rumore di pneumatici che scricchiolavano sulla ghiaia e i
piedini di Isabel che scendevano le scale a ro a di collo
annunciarono che Maddy e Ma erano appena arrivati.

Io e Wes camminavamo mano nella mano tra gli alberi della


proprietà di mio fratello.
«Max è un tipo a posto» disse Wes, girando a orno a un tronco
gigantesco.
Sorrisi e gli strinsi la mano. «Vero. Il migliore.»
«E tua sorella, wow. È come trovarsi davanti il tuo esa o
contrario, eppure non del tu o.» Le linee sulla fronte si accentuarono
quando strinse le labbra.
Feci una risatina. «Maddy è amore. Lo emana da ogni poro. È uno
spirito libero, in quel senso. Solo che invece di avere la natura hippy
tipica degli spiriti liberi, è il tipo intelligente sempre con il naso nei
p g p p g p
libri che non si lascia fermare da niente. Penso che sia questo ad
a irare Ma . Lui è più riservato, cauto, ma la sua famiglia è molto
gentile e sostiene senza riserve la loro decisione di vivere insieme.»
Wes annuì. «Questo è un bene. Probabilmente è un sollievo sapere
che non devi più prenderti cura di lei da sola.»
Mi strinsi nelle spalle. «Non lo so. Si potrebbe pensarlo, ma io ho
passato tu a la vita a occuparmi di lei. Ad assicurarmi che tu o
andasse nel modo migliore. Era il mio scopo. A scuola va benissimo,
sta per laurearsi. Max ha già anticipato le spese universitarie per il
futuro, in modo che possa prendere la specializzazione e il do orato.
I Rains pagano l’appartamento in cui stanno lei e Ma , così non
devono lavorare e possono concentrarsi sugli studi. E adesso che ha
anche del denaro, sempre grazie a Max, non ha più bisogno di me.»
Ci fermammo in mezzo a una radura. Ci eravamo allontanati
parecchio dalla casa di mio fratello. La distinguevo a malapena in
lontananza, a raverso gli alberi.
«Ti fa sentire inutile?» Wes inclinò la testa in a esa della mia
risposta.
Rifle ei sulla parola “inutile”, cercando di capire se descriveva
bene la situazione. «Non esa amente. Direi più “non necessaria”.
Non sono abituata a non essere necessaria a mia sorella.»
Lui fece un’espressione ironica. «Non mi spingerei a dire che non
sei necessaria per tua sorella. Appena è arrivata, ho capito subito che
sei il suo punto di riferimento. Anche se conosceva tu i tranne me, è
venuta immediatamente da te, si è seduta di fianco a te a cena e ha
continuato a starti intorno. Mia, credo che tu sia molto più che sua
sorella. Sei il centro del suo mondo. Proprio come sei il centro del
mio.»
Ragazzi, quanto lo amavo. Sapeva esa amente la cosa giusta da
dire per farmi sentire meglio. «So che sta crescendo e che la
situazione sta cambiando. Solo che è difficile. Sono stata responsabile
di lei da quando aveva cinque anni.»
Wes contrasse la mascella e vidi un muscolo guizzargli sulla
guancia. «Non era compito tuo essere responsabile di tua sorella.
Tua madre e tuo padre hanno fa o scelte sbagliate, e anche se le cose
per te e Madison alla fine sono andate per il verso giusto, non avresti
p p g
dovuto essere costre a a rinunciare alla tua infanzia. Non è così che
cresceremo i nostri figli» disse in tono tagliente.
Momento perfe o per sollevare l’argomento di cui non avevamo
ancora discusso seriamente. «Allora tu vuoi dei bambini?» chiesi,
cercando di sembrare disinvolta. Per quanto mi potesse piacere
l’idea di avere un paio di bambini, non avevo la fissa di me ere al
mondo un figlio dopo l’altro come certe persone che conoscevo,
quella sfornamarmocchi di Cyndi, per dirne una.
Wes alzò la testa di sca o. «Certo che li voglio. Tu no?»
Un respiro che non mi ero accorta di tra enere mentre aspe avo
la sua risposta mi uscì dai polmoni, formando una nuvole a nel
cielo del Texas. «Con te, sì.»
Mi si avvicinò e mi appoggiò le mani sui fianchi. Ne fui felice.
Una conversazione del genere andava fa a stando connessi anche
fisicamente.
«Non ci avevo mai pensato seriamente prima di incontrare te, il
che a mio parere dice molte cose sul nostro rapporto.»
Mi scoccò uno di quei sorrisi mozzafiato che mi facevano venire
voglia di saltargli addosso e farmelo sui due piedi, lì in mezzo ai
campi.
«Per me è lo stesso. Be’, non proprio. Quando ho rifle uto sulla
mia vita mentre ero prigioniero, continuavo a immaginarti incinta di
mio figlio, che tenevi per mano nostra figlia in un futuro non troppo
lontano. Mi dava speranza. Qualcosa da desiderare e da sognare in
un momento buio.» Wes si schiarì la gola. «A volte avevo gli occhi
bene aperti, ma l’unica cosa che vedevo erano te e un futuro che
temevo non avremmo avuto. Ecco perché non voglio aspe are a
sposarti. Voglio che viviamo ogni giorno appieno e acce iamo tu o
ciò che capiterà sul nostro cammino insieme.»
Gli passai le dita tra i capelli. «L’idea mi piace parecchio.» Mi
sollevai sulla punta dei piedi e gli diedi un bacio sulla bocca.
Eravamo lì in mezzo a un campo a baciarci come se fosse l’ultima
volta. Appassionati. Selvaggi. Sfrenati.
Il bacio si fece rovente e non c’erano niente e nessuno intorno a
noi per spegnere il fuoco che divampava. Wes si fece frenetico,
accarezzandomi la schiena e palpandomi il sedere. Mi sollevò senza
p p
sforzo e io gli allacciai le gambe intorno alla vita, poi approfondii il
bacio. Prima che mi rendessi conto di quello che stava succedendo,
lui stava camminando a lunghi passi.
In pochi metri eravamo tra gli alberi e io avevo la schiena
appoggiata a una pianta enorme. I rami si protendevano altissimi nel
cielo e il tronco era più largo dei nostri corpi. Wes mi mise giù, poi
mi slacciò velocemente i pantaloni.
«Qui?» Mi guardai a orno frenetica, per accertarmi che non ci
fosse nessuno.
Wes si inginocchiò sul terreno. Mi tolse le scarpe da tennis, poi mi
calò i jeans e le mutandine, lasciandomi con indosso solo il maglione
e il cappo o. Avvicinò la faccia al centro bagnato del mio corpo e
inspirò. «Cristo, quanto amo il tuo odore quando sei eccitata.» Alzò
gli occhi su di me mentre iniziava a leccarmi il clitoride. Geme i e lo
presi per i capelli.
«Sei pazzo» mormorai.
«E tu hai un buon sapore. Adesso rilassati e goditelo.» Mi allargò
le grandi labbra usando entrambi i pollici, leccandomi tu a dalla
base al bo oncino del piacere.
Gli ci volle esa amente un minuto prima che io gli spingessi la
testa contro il centro del mio corpo, sfregandomi senza vergogna
contro le sue labbra, alla ricerca disperata del punto che mi avrebbe
mandata in orbita. Mi afferrò le cosce, me le sollevò e se le mise sulle
spalle, per avermi alla sua mercé.
«Dio santo, Wes. Sto per venire.»
La sua lingua si muoveva in affondi lunghi e appassionati,
spingendosi dentro di me per quanto lo consentiva la posizione. Ero
percorsa dai brividi, vicinissima all’orgasmo.
«Baby» lo avvertii di nuovo, nel caso volesse fermarsi e
me ermelo dentro.
Wes grugnì, mi allargò ancora di più e succhiò forte il clitoride. Fu
sufficiente. Ogni singola cellula del mio corpo urlava e fremeva
mentre venivo squassata da una meravigliosa ondata di piacere. Gli
scopai la faccia come un fantino monta un cavallo da corsa sulla
diri ura d’arrivo.
L’orgasmo continuò fino a quando Wes non staccò le labbra,
lasciandomi a metà. Urlai. Non ne avevo ancora abbastanza. «No!»
E poi tu o andò a posto quando non so come Wes riuscì a
sbo onarsi i pantaloni, tirò fuori il grosso membro e me lo infilò
dentro con un solo affondo deciso. Mi fece spostare con destrezza e
io gli allacciai le gambe intorno alla vita, per sentirlo più vicino.
Colpii il tronco con la schiena e lui mi mise una mano sulla nuca per
evitare che sba essi la testa contro l’albero a ogni colpo.
«Adesso ti scopo finché non vieni di nuovo. Voglio bere il tuo
orgasmo da queste labbra» disse contro la mia bocca, poi intrecciò la
lingua alla mia. Aveva il sapore della mia eccitazione, salata e dolce
al tempo stesso.
Geme i e inclinai indietro la testa mentre lui mi mordicchiava il
collo. «Ti amo, Wes. Dio santo, ti amo così tanto che talvolta è quasi
doloroso.»
Mi preme e contro l’albero con la destrezza di un taglialegna,
inchiodandomi al tronco con il suo membro nello stesso modo in cui
immaginavo che un’ascia colpisse il legno. Con violenza.
Implacabile. Spietato.
«Vieni» disse tra i denti aumentando il ritmo degli affondi.
«Tesoro, devi spostarti» lo implorai.
Fece un movimento circolare con il bacino e io geme i. Quando
ansimai, segno che aveva trovato il punto giusto, fece un sorriso
perverso. Poi ritrasse il pene lasciando dentro solo la grossa punta e
me lo sba é dentro, colpendo quel punto speciale che mi faceva
sempre vedere gli angeli.
«Oh, sì, stai venendo di nuovo per me.» Continuò a fo ermi senza
fermarsi. Gli si imperlò la fronte di sudore e iniziò a respirare
affannosamente.
Si muoveva così in fre a che non riuscivo a stargli dietro. Il suo
pene continuò a sfregare contro il mio punto G finché sentii il mio
corpo liquefarsi e urlai di piacere.
Lui venne subito dopo, ge i caldi di seme a ogni affondo. Sfiniti e
sazi, restammo ancora un po’ con i corpi allacciati contro un albero
gigantesco nei boschi del Texas.
8

Dopo esserci sistemati meglio che potevamo, Wes mi prese per mano
e mi riportò verso casa di Max.
«Ho intenzione di comprare questa proprietà da tuo fratello.
Vedremo la casa, la ristru ureremo o la faremo demolire e al suo
posto costruiremo qualunque cosa tu preferisca, nuova di zecca»
disse Wes del tu o fuori tema.
Non pensavo neppure lontanamente ad acquistare terre e a
ristru urare case. Ero ancora in un mondo beato, appoggiata a un
tronco a farmi scopare dall’uomo che amavo.
Quando alla fine le parole raggiunsero la parte razionale del mio
cervello, mi fermai di bo o. Mancava ancora un po’ alla cena del
Ringraziamento. «Mi dispiace. Scusami se non ti seguo dopo che mi
hai scopata contro un albero neanche dieci minuti fa. Dicevi?»
Wes si leccò le labbra come se stesse ancora assaporandomi il
sesso. Probabilmente era proprio così. Dopo avermi fa a godere con
la bocca, mi aveva scopata fino a farmi perdere i sensi contro l’albero,
e avevo i segni del tronco a dimostrarlo. Quando muovevo le spalle
sentivo la stoffa gra are contro la pelle irritata. Forse sarei stata
fortunata e non avrei avuto escoriazioni, solo l’indolenzimento a
ricordarmi le nostre acrobazie silvestri.
«Ho intenzione di parlare a Max della possibilità di comprare
questa parte di terreno confinante con la sua. Ha centinaia di e ari e
ha de o che questa e un’altra più avanti una volta erano aziende
agricole. Dice che sono entrambe libere.»
Cercai di afferrare bene quello che stava proponendo. «Non
abbiamo nemmeno visto la casa. Conosciamo appena la proprietà.
Come fai a sapere di volerla davvero?»
Wes si girò verso il folto bosco che avevamo appena lasciato, al
limitare della seconda porzione di terreno aperto davanti al ranch di
Max. Si strinse nelle spalle. «Non importa com’è. Possiamo costruirci
quello che vogliamo se non ci piace quello che c’è. Il punto è che
avremmo una casa di famiglia. Lontana dal clamore e dall’atmosfera
modaiola della California meridionale.»
Alzai i palmi delle mani. «Aspe a un a imo. Stai dicendo che
vuoi andartene da Malibu?» Ero totalmente confusa… e non solo per
lo stordimento del sesso da urlo che avevo appena fa o. «Tu adori la
spiaggia. Io adoro la spiaggia» dissi indicando me stessa, il cuore
pesante al pensiero di lasciare la nostra casa di Malibu.
«Vero. Ma abbiamo denaro. Molto. Più di quanto ce ne servirà. E
con la tua carriera avviata com’è adesso, vorrai un posto in cui
rifugiarti quando la California diventerà insopportabile. E poi sei
stata tu a dire che Madison vuole venire qui quando avrà terminato
gli studi.»
«A dire la verità, ha accennato all’intenzione di trasferirsi da
queste parti dopo la laurea triennale. Max vuole che continui a
studiare qui per il master e il do orato in modo che nel fra empo
possa iniziare a lavorare per la Cunningham Oil. Verranno anche
Ma e la sua famiglia.»
Wes si illuminò. A quanto pareva, più ci pensava, più si
entusiasmava all’idea. «È perfe o. Possono stare su quell’altro lato.
Ma ha de o che lui e la sua famiglia lavorano nel se ore agricolo.
Possono coltivare sia la nostra terra sia la loro. Ovviamente saremo
soci e avremo una casa in più. Possiamo venirci una volta al mese.
Così non ti perderai l’infanzia di Isabel e Jackson, e potrai vedere
spesso tuo fratello e tua sorella. È una cosa vantaggiosa per tu i.»
Ciò che mi stava offrendo era più di quanto avrei mai potuto
sperare. L’amore che provavo per quell’uomo era infinito. «Faresti
questo per me?» chiesi, con la voce soffocata dalla commozione e
dalla felicità.
Lui scosse la testa. «No, lo farei per noi. Tu non vuoi stare lontana
da tua sorella e io non voglio stare lontano dalla mia famiglia.
Avremo una casa in entrambi i posti. Ho in mente di venirci almeno
una volta al mese. Sarà un appuntamento regolare, così ogni mese
pp g g
trascorreremo qualche giorno nella nostra casa in Texas. E quando
non siamo impegnati nelle riprese, ci fermeremo qualche se imana.
Sul serio, tu e le volte che vogliamo. Sono sicuro che possiamo
affidare a Cyndi l’incarico di darle un’occhiata e aprirla di tanto in
tanto.»
Non mi vide arrivare, ma mi prese al volo quando gli saltai in
braccio, allacciandogli le gambe intorno alla vita e baciandolo con
passione. «Ti amo.» Lo baciai sulle guance. «Ti amo.» Lo baciai in
fronte. «Ti amo.» Lo baciai sul mento. «Ti amo.» Lo baciai sugli
occhi. «Ti amo così tanto che non vedo l’ora di sposarti!» urlai prima
di posargli la bocca sulle labbra.
Va de o a suo credito che Wes apprezzò l’esplosione di frenesia
folle e rise per tu o il tempo, finché non dove e sme ere perché era
troppo occupato a ricambiare il bacio.

«Sì! Non sto scherzando. No, mamma, no. Vogliamo una cerimonia
ristre a sulla spiaggia della nostra casa di Malibu e poi il
ricevimento a casa vostra.» Wes rise e si passò una mano tra i capelli.
Aveva un sorriso stampato in faccia da quando aveva telefonato a
sua madre non solo per annunciarle che ci saremmo sposati, ma
anche che l’avremmo fa o di lì a breve.
«Lo so che mancano solo sei se imane. Assumerò una wedding
planner che si occupi di tu o. No, mamma, tu non… Mamma, non ti
abbiamo chiamata perché fossi tu a addossarti questo compito.»
“Parla per te.” Era escluso che mi me essi a organizzare un
matrimonio. Fosse stato per me, avremmo pronunciato le nostre
promesse sulla spiaggia e scopato come conigli subito dopo. Non mi
servivano una torta e tu o l’ambaradan. Solo Wes. Era l’unica cosa di
cui avevo bisogno.
Wes si girò a guardarmi. Ero seduta sul le o a gambe incrociate,
con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e le mani so o il mento.
Osservavo il mio uomo che camminava avanti e indietro, sempre con
quel sorrisone stampato in faccia.
«Lo so che è folle, mamma, ma io sono follemente innamorato.
No, non è troppo. Sto bene. Anzi, questa cosa mi farà stare meglio di
quanto sia mai stato. Sposare la donna con cui voglio passare la vita
contribuirà ancora di più al processo di guarigione.»
Wes era convinto che fossi io la ragione per cui se la stava
cavando così bene dopo la sua bru a avventura. Io ero convinta che
fosse la strizzacervelli, ma rimanevano degli aspe i su cui doveva
ancora lavorare. La gelosia spuntata dal nulla, tanto per cominciare,
e poi questa smania di proge are il suo futuro tu o in una volta. La
buona notizia era che non aveva incubi da più di una se imana.
Anzi, qui in Texas dormiva senza problemi; a casa si svegliava di
soprassalto, andava a camminare sulla spiaggia e ascoltava l’oceano
finché non era abbastanza stanco da tornarsene a le o. L’avevo
trovato a vagare in riva al mare fin troppe volte, invece di stare
abbracciato a me che dormivo. Non in Texas. Qui, nella casa di mio
fratello, con tu o il clan riunito so o lo stesso te o, dormiva un
sonno di piombo. Forse c’entrava qualcosa l’essere lontani dalla vita
frenetica. Wes sembrava trovare conforto nel silenzio delle no i in
Texas.
Smise di camminare su e giù. «Sul serio? Ti occuperai del
ricevimento?» Mi guardò. «Mia sta benissimo in verde» disse
lanciandomi un’occhiata lasciva. «So che non vorrà indossarlo.
Lascia che glielo chieda.»
«Mia, che colori vuoi per il matrimonio?»
Aggro ai la fronte. «Non lo so. Dev’esserci un colore particolare?»
Eh? Non mi era mai passato per la testa di preoccuparmi di cose del
genere. Voglio dire, avevo visto i matrimoni nei film dove c’erano
stuoli di damigelle. Io volevo Maddy e Gin, e basta.
«Mamma dice che devi scegliere due colori in modo che lei sappia
che genere di decorazioni acquistare.»
«Va bene qualunque cosa voglia lei» risposi, senza interesse.
«Mamma, no. Solo che Mia non è quel tipo di ragazza. Voglio
dire…» Mi accarezzò con gli occhi. «È assolutamente femminile, ma
non ha la fissa di queste cose. No, davvero… sul serio, puoi scegliere
quello che vuoi. No, non le interessa. Mamma…» Ricominciò a
camminare avanti e indietro.
Sentendolo discutere con la madre di una cosa che chiaramente
spe ava a me, urlai: «Verde chiaro e crema!».
p
Wes si bloccò. «Rimani in linea. Che colori, amore?»
Mi tormentai le dita imbarazzata. «Credo che verde chiaro e
crema potrebbero essere carini.»
Wes mi rivolse un sorriso radioso. Dio, se era facile da
accontentare. «Mia ha de o verde chiaro e crema. Oh, sì. Fiori
semplici. Quelli che preferisci. Sì, quelli che vuoi.» Alzò gli occhi al
cielo, indicò il telefono e strabuzzò gli occhi in una smorfia di
esasperazione. «Mia e io ci occuperemo della cerimonia. Sì, ci
procureremo le sedie, un tendone e tu o il resto. Concentrati sul
ricevimento, mamma. Quanti invitati?»
Feci un rapido calcolo delle persone che volevo invitare: Maddy,
Ma , Maxwell, Cyndi, i bambini, Ginelle, Tai e Amy, Anthony e
Hector, Mason e Rachel, Warren e Kathleen, Alec, Anton e Heather,
zia Millie, mio padre se si svegliava, e forse pochi altri. «Venticinque
per me.»
«Venticinque. Aspe a, mamma.» Si appoggiò il cellulare al pe o.
«Basta? Per la cerimonia, giusto?»
Scossi la testa. «No, in tu o.»
Wes sba é le palpebre. «Mamma, sarà un matrimonio intimo. Mia
inviterà solo venticinque persone al massimo. Perciò alla cerimonia
sulla spiaggia ci sarà solo la famiglia. Sì, parlo sul serio.»
Geme i in silenzio. Non avevo nemmeno guardato gli abiti da
sposa e il fa o che la mia famiglia fosse rido a all’osso mi faceva
sembrare una povere a agli occhi della mia futura suocera.
«Che cosa intendi con chi? Jeananna e la sua famiglia, la mia
famiglia più vicina, mamma. Di questo riparleremo. Per la cerimonia
mantieni gli invitati sulla trentina. Invita chi accidenti vuoi al
ricevimento, ma lo vogliamo semplice. Mia e io non vogliamo cose
elaborate. Buon cibo, da bere, un po’ di musica per ballare saranno
più che sufficienti. Giusto, Mia?»
Gli scoccai un gran sorriso. Mi conosceva bene. «Hai afferrato!»
Gli soffiai un bacio e lui inarcò le sopracciglia.
«Okay, devo andare. Buon Ringraziamento a te, a papà e alla
famiglia. Di’ a tu i che gli voglio bene e che sarò a casa presto. Sì,
per Natale. Ti voglio bene anch’io.»
Wes terminò la telefonata e lanciò il cellulare sul le o, poi mi si
bu ò addosso. «Sei fortunata che ti amo così tanto. È stato barbaro.»
«Parlare con tua madre, dici?» lo presi in giro.
«No. Parlare con mia madre dell’organizzazione di un
matrimonio di cui a nessuno di noi due importa un fico secco, tranne
la parte delle promesse. Sei in debito con me.» Mi sfregò contro il
bacino, e io lo circondai con le gambe, tirandomelo vicino.
«Mmh. E come dovrei ripagarti?» Mi avvolsi intorno al dito una
ciocca dei suoi capelli.
«Sii la mia schiava sessuale per il tempo che ti resta da vivere»
rispose prontamente.
Feci un altro gran sorriso. «Sporcaccione. Penso che possiamo
arrivare a un compromesso.»
«No. Ti voglio per sempre.»
Gli misi le mani tra i capelli e lo baciai. «Penso che sia fa ibile.»
«No, tu sei fa ibile.»
Scoppiai a ridere. «Ancora quella ba uta!»
Lui ridacchiò e mi diede una serie di baci sul collo. «Un vecchio
successo.»
«Vuoi dire come un lavore o di mano?»
Alzò la testa. «Un’analogia perfe a. Anche una sega è un vecchio
successo. Posso averne una adesso?»
Allungai la mano verso il basso. Avevo appena iniziato ad
armeggiare con il bo one dei suoi jeans quando bussarono alla
porta. Ci separammo come se qualcuno ci avesse bu ato addosso un
secchio di acqua gelata.
«Cyndi dice che è ora della pappa! Venite giù» disse Max dietro la
porta. Perlomeno aveva avuto la delicatezza di non entrare. Non mi
ricordavo se avevo chiuso a chiave oppure no.
Poi lo sentimmo percorrere il corridoio e bussare ad altre porte
ripetendo che la cena era pronta.
Wes mi aiutò ad alzarmi. «Ah, e la mamma ha de o che l’anno
prossimo il Ringraziamento è da loro» disse risucchiando l’aria tra i
denti.
Feci di no con la testa. «Allora lo dici tu a Max. Preferibilmente
quando non sono nei paraggi.»
q p gg
«Fifona!» Sorrise, intrecciò le dita alle mie e mi condusse lungo il
corridoio per il nostro primo Ringraziamento insieme. La prima vera
festa del Ringraziamento che potessi ricordare.
L’unico problema era che mi mancava papà. Gli sarebbe piaciuto
tantissimo prendere posto a un lungo tavolo pieno di familiari. Non
ci eravamo abituate, anche se lui aveva fa o dei tentativi, a modo
suo. Ricordavo diverse occasioni in cui aveva cucinato il pollo fri o o
l’aveva preso da Kentucky Fried Chicken, quando non era
completamente ubriaco e si scordava del tu o della ricorrenza.
Eppure mi mancava.

Cyndi e Max si erano superati. Per essere una coppia con un


neonato, avevano organizzato una cena con i fiocchi. In una grande
stanza accanto alla cucina un tavolo da sedici persone era stato
apparecchiato per sei adulti e un bambino. Jackson dormiva beato in
una culla lì accanto. In so ofondo c’era della musica discreta… un
pezzo di Chopin. Lo conoscevo solo perché era uno dei miei
preferiti, anche se Wes mi stava introducendo ai classici. Gli piaceva
ascoltare musica classica quando eravamo in macchina o seduti in
veranda a guardare l’oceano.
Al centro del tavolo c’era una guida dorata. I posti erano
apparecchiati a una delle estremità, in modo che ci fosse spazio per
appoggiare i pia i da portata. Max e Cyndi avevano preparato un
banche o e anche di più. I pia i, la cristalleria e le posate
scintillavano alla luce delle candele. L’effe o era bellissimo. Non mi
ero mai seduta a una tavola del genere. Non avevo mai neppure
sognato di poterlo fare.
Arrivarono tu i e si misero dietro le sedie. Max allargò le mani.
«Diciamo una breve preghiera di ringraziamento.»
Mio fratello ci guidò e alla fine ci fu un momento di silenzio
perché potessimo ringraziare coloro che quel giorno non erano con
noi. Ripensai di nuovo a mio padre in coma in un ospedale di Las
Vegas. Solo. Il giorno del Ringraziamento. Anche se spesso non
celebravamo la ricorrenza per una ragione alcolica o per l’altra,
eravamo comunque insieme. Chi c’era con lui adesso? Nessuno.
Avvertii un senso di oppressione al pe o, e mi passai una mano sul
cuore.
«Stai bene?» sussurrò Wes, scostandomi la sedia perché mi
accomodassi. Sempre un gentiluomo.
In realtà, ogni uomo presente fece quel gesto. Max scostò la sedia
per Isabel prima di sedersi.
«Sì. Sono solo triste che mio padre non sia qui con noi. Credo che
gli piacerebbe.»
«È così.» Maddy fece un lieve sorriso e prese posto.
Quando fummo tu i a tavola, iniziammo a passarci il cibo.
C’erano tacchino, ripieno fa o in casa, purè di patate, mais, salsa,
timballo di fagiolini, salsa di mirtilli, involtini appena fa i e altro
ancora. A essere sinceri, non c’era abbastanza spazio dove me ere
tu o.
«È sempre così il giorno del Ringraziamento?» chiesi,
contemplando il mio pia o stracolmo.
«Già!» disse Maddy con una smorfia, sollevando il suo pia o per
mostrarcelo. «Non riesco nemmeno a farci stare tu o!» Si mise a
ridere.
Max, Cyndi, Ma e Wes si girarono a guardarci. «Be’?» obie ai.
«Voglio dire, è un sacco di cibo per una cena sola.»
Wes contrasse la mascella e Max si portò la mano alla bocca.
«Quand’è stata l’ultima volta che tu e Maddy avete fa o una cena
del Ringraziamento, con tacchino e quant’altro?»
Guardai quella quantità pazzesca di cibo. Era impossibile che
riuscissimo a mangiare tu o. Anche se a giudicare dall’acquolina che
mi era venuta solo a sentire il profumo, avrei fa o uno sforzo
sincero.
«Be’, non so… Mads?» le chiesi.
Lei scosse la testa. «Mai mangiato tacchino fino a stasera. Cioè,
c’era il tacchino al casinò, e ho mangiato pe o di tacchino, ma niente
del genere. Mi fa venire in mente i buffet del Caesars. Sai, facevano il
Ringraziamento. Ricordo la volta in cui ci imbucammo!» Ridacchiò e
io feci un sorrise o, riandando con la mente alla sera in cui avevamo
deciso che avremmo avuto una cena del Ringraziamento a ogni
costo. Così eravamo uscite di casa, ci eravamo fa e più di tre
p
chilometri a piedi fino allo Strip e ci eravamo intrufolate al Caesars
Palace.
C’era così tanta gente che nessuno si era accorto delle due
ragazzine che si riempivano i pia i e poi se ne andavano. O forse
non gliene importava niente, a pa o che mangiassimo. Dava
l’impressione di una di quelle cose tristi da TV per i ragazzi, ma era
stato uno sballo.
Scoppiai a ridere. «La miglior cena del Ringraziamento di
sempre… Be’, finora» dissi e mi misi in bocca una forche ata di
tacchino intinto nella salsa. «Oh, ragazzi, è squisito.»
Max incrociò le braccia. «Mi stai dicendo che non avete mai fa o
un Ringraziamento sedute a tavola fino a oggi? Alla vostra età?»
Ci pensai su. Onestamente non ci era mai venuto in mente che ci
stessimo perdendo qualcosa. Non poteva mancarti una cosa che non
avevi mai avuto. Invece di rispondere, mi limitai a scuotere la testa e
assaggiai il ripieno. «Buonissimo, Cyndi!» mi complimentai.
Si illuminò, felice di quell’apprezzamento. «Grazie. Aspe a di
provare il timballo di fagiolini di Max. Non cucina molto, ma riesce a
fare un pia o fantastico!» esclamò, poi rise.
Ero contenta che mi avesse aiutata a spostare il discorso dal
passato. Quando alzò lo sguardo, la ringraziai articolando le parole
in silenzio. Lei annuì e continuò a mangiare.
Sulla tavola scese il silenzio e l’atmosfera si incupì. Dovevo
intervenire. Era il nostro primo Ringraziamento e volevo che tu i
fossimo felici. «Oh! Wes e io abbiamo un annuncio da fare.»
Maddy spalancò gli occhi. «Sei incinta!»
Finsi un’espressione schifata. «Mio Dio, no! Accidenti, Maddy.»
Wes si mise a ridere e mi prese per la vita mentre io mi alzavo in
piedi accanto alla sua sedia. «Non preoccuparti. Stiamo pensando a
un paio di mini-Channing in futuro, ma prima vorremmo sposarci.»
Scrollai la testa. «Già, Mads. Quello che volevo dire è che abbiamo
deciso la data.» Rimasero tu i in silenzio, in a esa che proseguissi.
«Primo gennaio, Capodanno.»
«Quest’anno?» disse Maddy con un sussulto.
Feci un sorriso a trentadue denti. Non riuscii a tra enermi. Mi
sarei sposata tra… «Cinque se imane!»
p q
«Oddio. È tra pochissimo. Sei sicura di non essere incinta?» Lei e
Ma aggro arono le sopracciglia, ma per ragioni diversissime.
Maddy perché credeva impossibile che fossi abbastanza innamorata
di qualcuno da volerlo sposare, per non parlare di farlo di lì a poco
più di un mese. Ma perché gli avevo de o di aspe are due anni
prima di portare all’altare mia sorella. Potevo immaginare che
l’annuncio non lo rendesse molto felice, ma si sforzò ugualmente di
sorridere. Bravo ragazzo.
«Be’, che mi venga un colpo! Dove?» chiese Max con gli occhi
illuminati di gioia. Per lui matrimonio significava famiglia. E la
famiglia veniva prima di tu o.
«Questa è la parte migliore. Faremo una cerimonia intima sulla
spiaggia davanti alla nostra casa di Malibu e poi un ricevimento
nella tenuta dei genitori di Wes. Loro stanno organizzando la festa e
noi ci occuperemo della cerimonia. Molto semplice, i familiari e gli
amici più stre i. Probabilmente una cinquantina di persone sulla
spiaggia, e al ricevimento chiunque altro il clan Channing desideri
invitare. Potete venire?»
«Come se volessi perdermelo! Sono la damigella d’onore, giusto?»
Maddy era raggiante e gli occhi verdi risplendevano.
«Esa o. E mi piacerebbe moltissimo che la nostra Isabel facesse la
damigella dei fiori. Ti andrebbe, tesoro?» le chiesi. Lei era impegnata
a ingozzarsi di patate.
«Che cos’è una damigella dei fiori?» chiese con la bocca piena.
«Vuol dire che indosserai un bel vestito e una corona e spargerai
petali sulla spiaggia in modo che la zia Mia possa camminarci
sopra.»
«Avrò una corona?»
Sapevo che parlare della corona sarebbe stata una buona idea.
«Una tiara, probabilmente.»
«È come una corona con i diamanti?» chiese serissima.
«Sì, amore.»
Fece un gran respiro, sgranò gli occhi e diventò tu a rossa. «Sarò
la damigella dei fiori! Su una spiaggia! Mamma! Mamma! Mamma!»
si mise a strillare prima che Cyndi potesse aprire bocca.
Al baccano della sorella Jackson si svegliò e iniziò a piangere. Max
lo prese tra le braccia e il bimbo smise subito. Gli mise in bocca un
ciuccio e il bimbo lo prese, si mise comodo e richiuse gli occhi. Essere
bambini era dura. Mangia, dormi, fai pupù. Daccapo.
«Sì, Isabel, sarai la damigella dei fiori. Adesso, puoi parlare a
bassa voce e cercare di non svegliare di nuovo tuo fratello?» disse
Cyndi con quel tono materno che speravo avrei avuto anch’io
quando fosse venuto il momento.
«È semplicemente fantastico. Facciamo un brindisi» disse Max, e
levò il bicchiere. Lo imitammo tu i. «Che le mie sorelle possano
essere felici nel loro matrimonio come lo sono stato io nel mio in tu i
questi anni…»
«E all’ultimo arrivato in famiglia!» dissi spostando il bicchiere in
direzione di Jack.
«E alla mia famiglia riunita a orno a me proprio dove l’avevo
sempre voluta. Alla mia tavola, a spezzare il pane e a costruire
ricordi.»
«Salud. Cin cin.» Le voci si levarono in tu a la stanza e furono
interro e da un trillo proveniente dalla tasca posteriore dei miei
pantaloni.
Merda. Mi ero dimenticata di spegnere il cellulare. Lo tirai fuori e
lanciai un’occhiata allo schermo intenzionata a rifiutare la chiamata
quando riconobbi un numero di Las Vegas.
«Scusate, ragazzi» dissi in fre a e risposi. Mi tappai l’orecchio
opposto e mi diressi in cucina. Sentii il sangue defluirmi dalle
guance e le gambe molli mentre ascoltavo l’infermiera che mi
aggiornava sulle condizioni di mio padre. Conclusi la chiamata e
tornai a tavola me endo le mani sullo schienale della sedia, più per
reggermi che altro.
Maddy si alzò di sca o. «Che succede? Era papà?»
Incontrai il suo sguardo preoccupato. Non sapevo cosa dire.
Avevo la bocca asciu a e la lingua si rifiutava di muoversi.
«Oddio, si tra a di papà. È…?» Non finì la frase, tanto tu i
sapevano che cosa voleva chiedere.
Wes si alzò e mi mise un braccio a orno alle spalle. Mi appoggiai
a lui e scossi la testa come per schiarirmi le idee. Finalmente mi
p
passai la lingua sulle labbra e parlai.
«È sveglio. Papà si è svegliato e chiede di noi.»
9

«Com’è che ogni volta che riesco a farti venire in Texas ti tocca
precipitarti a Las Vegas?» scherzò Max mentre io bu avo in valigia i
vestiti a casaccio, senza nemmeno piegarli. Avrei dovuto sedermici
sopra per chiudere il bagaglio, ma non me ne importava: l’unica cosa
che contava era arrivare all’aeroporto il più in fre a possibile.
«Sei riuscito ad avere l’aereo?» chiesi con le mani che tremavano a
tal punto da spingere Wes a prendermele per stringersele al pe o. Il
suo calore mi penetrò nelle ossa gelide arrivando dri o al cuore.
«Andrà tu o bene. Tuo padre è sveglio e chiede di te. Questa è
una buona notizia. Okay?» Mi fissò negli occhi dandomi qualcosa a
cui aggrapparmi quando avevo la sensazione che mi stesse crollando
tu o addosso. Dovevo solo arrivare a Las Vegas e vedere papà, poi
mi sarei calmata.
Max mi mise una mano sulla schiena. «L’aereo della Cunningham
Oil ha fa o rifornimento ed è pronto a decollare non appena arrivi.
Sei proprio sicura che non vuoi che venga con te?» mi chiese mio
fratello con la voce soffocata dall’emozione.
Mi girai e lo abbracciai, stringendo il suo grande corpo più che
potevo. Volevo che sentisse quanto avesse significato per me quel
giorno. «No, grazie. Grazie per tu o. Per il più bel Ringraziamento
che io abbia mai passato. Per essere il fratello migliore che avrei
potuto sognare. E per essere qui.» Mi tremò la voce. Ero sul punto di
crollare. «Ma dobbiamo farlo Maddy e io, e ci sono Wes e Ma .»
Sporse in fuori il pe o. «Ma io sono tuo fratello. Voglio prendermi
cura di te.» Era proprio un uomo straordinario.
Wes mi fece scivolare un braccio a orno alle spalle. «Max, mi
prenderò io cura di lei e mi accerterò che Ma faccia lo stesso con
Madison, anche se non credo che il ragazzo abbia bisogno di
g g
incoraggiamento. Va bene così. Sul serio. Ti terrò informato.
D’accordo?» Gli porse la mano.
Max annuì e gliela strinse, poi gli mise una delle sue manone sulla
spalla. «Sono contento che tu stia per sposare mia sorella. So di
essere prote ivo e un po’ esagerato quando si tra a di queste due
ragazze, ma devi ricordare, socio, che le ho appena ritrovate e non
posso rischiare di perderle.»
Wes gli diede una pacca sulle spalle. «Capito. E dopo il
matrimonio voglio parlare ancora della mia idea di comprare la tua
terra.»
«È tua» riba é subito Max. «Darei qualunque cosa per avere qui
mia sorella. Il fa o che abiti alla porta accanto per una parte
dell’anno sarebbe un sogno che si avvera. Parlerò a Ma dell’altro
terreno. È un uomo orgoglioso che proviene da una famiglia
orgogliosa. Vogliono comprare la terra loro stessi. Penso che riuscirò
a trovare un accordo perché coltivino la loro, la mia e la tua.»
Wes strinse le labbra e stese di nuovo la mano. «Ha tu a l’aria di
un piano. C’è altro?»
Max sfoderò un gran sorriso. «Sempre, socio.»
Uscendo dalla nostra stanza incontrammo Ma e Maddy. «Mi
dispiace, Max, ma si tra a di papà.» Le si spezzò la voce e rabbrividì.
«Vai, tesoro. È il momento di vedere tuo padre.»
Sulle scale abbracciammo Max, Cyndi, Isabel e il piccolo Jackson.
Era triste ma necessario. «Ci vediamo presto» dissi.
«Il prima possibile, zuccherino. È una promessa.» Max ci salutò
con la mano mentre salivamo in macchina e partivamo per
l’aeroporto.
“Stiamo arrivando, papà. Tieni duro.”

Maddy e io percorremmo il lungo corridoio bianco tenendoci per


mano. C’eravamo già state decine di volte, ma quel giorno sembrava
diverso, nuovo in un certo senso. Le diedi una stre a e lei fece
altre anto.
«Saremo sempre tu e io, sorellina» dissi, ripetendo quello che le
dicevo quando eravamo piccole. Tu e le volte che eravamo
spaventate o senza cibo, quando ci tagliavano l’ele ricità in quella
p q g q
catapecchia di casa o nostro padre era svenuto sul divano mentre noi
dovevamo andare a scuola, le dicevo quella frase.
«Per sempre» rispose lei, come aveva immancabilmente fa o.
Sorrisi. Il fa o che io avrei sposato Wes e lei Ma non cambiava il
nostro rapporto. Nulla avrebbe potuto farlo. Non solo era un legame
di sangue, ma si era forgiato in anni di difficoltà, quando avevamo
soltanto l’altra cui appoggiarci e l’affe o reciproco su cui contare.
Certo, sapevamo che papà ci voleva bene, ma non abbastanza da
stare lontano dalla bo iglia per mostrarci quale poteva essere
un’esistenza sana. L’avevamo dovuto scoprire da sole, e adesso… lo
sapevamo.
Ci avvicinammo alla porta aperta. Anche da una certa distanza
sentivamo il vociare di un condu ore televisivo. Maddy e io
entrammo insieme. Anziché essere sdraiato, nostro padre era seduto
sul le o. I capelli brizzolati erano lisci e pe inati all’indietro, come se
si fosse fa o la doccia da poco, anche se probabilmente l’avevano
solo lavato con una spugna. Il mento era nascosto da una folta barba
striata di grigio. Gli occhi castani si fissarono su di noi e mentre
eravamo lì in piedi, le lacrime cominciarono a scorrergli sulle
guance.
«Le mie b-bambine.» Aprì le mani a fatica, probabilmente non
ancora in grado di usare i muscoli delle braccia. «Date un abbraccio
al vostro vecchio» disse, la voce arrochita dal lungo silenzio.
«Papà!» urlò Maddy e corse accanto al le o.
«Papà» dissi solennemente guardandolo abbracciare mia sorella.
Avevo desiderato che si svegliasse ogni giorno degli ultimi undici
mesi e finalmente, grazie a Dio, era tornato. Vivo. Sveglio.
«Mia, v-vieni q-qui» gracchiò e mosse leggermente le dita lungo il
fianco per invitarmi a sedere accanto a lui. Maddy era già sdraiata
sul le o, rannicchiata contro il suo papà. Solo che non era il suo vero
padre. Provai una fi a dolorosa come una coltellata. Non era il
momento di riaprire quelle ferite.
Mi avvicinai a mio padre, mi sede i e sollevai una mano vicino al
suo viso. Gli sfiorai la fronte con un dito, scesi lungo la tempia e gli
percorsi la mascella ispida di barba. La pelle aveva un colorito sano
che non vedevo da più anni di quanti potessi ricordarne e mi resi
p q p
conto che era mio padre, assolutamente sobrio. Ed era magnifico.
«Hai un bell’aspe o, papà.»
Sollevò una mano tremante, me la mise sulla nuca e ce la lasciò,
appoggiandosi pesantemente a me. Nascosi la faccia contro il suo
pe o e sfogai tu o. I mesi di preoccupazione, la paura che non ce la
facesse, la convinzione che avrei potuto non rivedere mai più l’unico
genitore che avevo. Ogni cosa. Piangemmo disperatamente tu i e
tre. Ci stringemmo e singhiozzammo. Maddy e io facemmo a turno
ad abbracciare nostro padre, posandogli la testa sul pe o. Presi la
mano di Maddy e la posai sul cuore di papà.
«Dio, quanto vi amo r-ragazze. P-p-iù di ogni c-cosa. Ve lo d-
dimostrerò. S-sarò un b-b-bravo p-padre. L-lo giuro.» Gli si spezzò la
voce e le sue lacrime ci colavano addosso, ma non ce ne importava.
Non aveva mai promesso di essere migliore prima d’ora. In
passato, si riprendeva da una sbornia, si scusava, diceva che non
poteva farci niente, e questo era quanto. Una volta aveva ammesso
che beveva per scacciare la tristezza, e giocava per sfogare la rabbia
nei confronti di nostra madre.
Chiusi gli occhi e pregai che questa volta dicesse sul serio, perché
era l’ultima possibilità che aveva di rime ere a posto le cose con noi.
Restammo lì abbracciate a nostro padre per un pezzo, finché non
esaurimmo le lacrime.
«Oh, s-salve?» disse papà, rompendo il silenzio.
Girai la testa e vidi Wes in piedi sulla porta. Feci un gran sorriso.
Vederlo era come guardare un cielo pieno di stelle in una no e
serena sulla nostra spiaggia di Malibu.
Papà borbo ò: «Per te, Mia».
Il mio sorriso si allargò. «Oh, sì, assolutamente. Tu o e solo per
me.» Saltai giù dal le o, mi asciugai la faccia con le mani e abbracciai
il mio uomo.
Wes baciò il sorriso che avevo stampato in faccia. «Adoro vederti
sorridere così, dolcezza.» Mi mise le mani intorno al viso e asciugò le
ultime lacrime con i pollici.
«Vieni qui. Voglio farti conoscere il mio papà» dissi con una
sensazione di vertigine.
Presi Wes per mano e mi avvicinai al le o. «Weston Channing, ti
presento mio padre, Michael Saunders. Papà, questo è il mio
fidanzato, Wes» dissi con un moto d’orgoglio.
Papà socchiuse gli occhi. «Fidanzato?»
Proprio mentre stavo per rispondere, nella stanza entrò Ma .
Maddy saltò su e corse da lui. Lui la prese al volo e la fece
volteggiare, e mia sorella gli diede un bacio appassionato e tu avia
innocente. «Tesoro! Papà si è svegliato!» Si mise in punta di piedi e
lui la strinse a sé.
«Tesoro?» Papà tossì. «La mia b-bambina ha un r-ragazzo?» Oh, S-
Signore.»
«Ehm, papà, sono successe un sacco di cose da quando sei rimasto
ferito.» Non sapevo quanto potessi dire.
«Ferito? Degli s-stronzi m-mi hanno aggredito.» Si lasciò ricadere
sui cuscini e chiuse gli occhi. Il monitor cardiaco iniziò a suonare
come impazzito. Immagino che avesse avuto uno sbalzo di
pressione, ma non sapevo granché di medicina.
Un’infermiera entrò di corsa nella stanza ed esaminò papà
aggro ando la fronte. «Devo chiedervi di uscire.»
«Ma…» Tesi una mano verso mio padre. «È stato incosciente così
a lungo.»
L’infermiera scosse la testa, preme e alcuni bo oni sui
macchinari intorno al le o e mi lanciò un’occhiataccia. «Parleremo
fuori. Uscite tu i. Potete tornare doma ina, dopo che avrà riposato.»
Incurvai le spalle. Sprezzante, superai l’infermiera Ratched, mi
avvicinai a mio padre e lo baciai sulla fronte. «Riposa. Abbiamo un
sacco di cose di cui parlare. Torniamo domani ma ina.»
Maddy lo salutò e aspe ammo l’infermiera fuori dalla stanza. Lei
ci informò che non gli avevano de o quanto era stato in coma. I
medici volevano fare altri esami sulle sue capacità mentali e fargli
iniziare subito la fisioterapia. Ci ricordò che la guarigione avrebbe
richiesto molto tempo e che dovevamo avere pazienza.
Ce ne andammo con la promessa che avremmo potuto parlare con
il medico l’indomani ma ina. Wes e io avevamo preso una stanza
nell’albergo di fronte all’ospedale, e Maddy e Ma tornarono al loro
appartamento.
pp
«Ehi, faccia da stronza, come va? Come sta papà?» mi chiese Ginelle
quando risposi al telefono.
Mi ero rifiutata di parlare con chiunque tranne Gin. Wes aveva
aggiornato Max. Sapevo che impazziva per la preoccupazione, ma
noi stavamo bene. Non c’era niente che potessi dirgli in quel
momento, e non volevo parlare con mio fratello di ciò che provavo.
Ci conosceva, ma non sapeva come io affrontavo le cose. Non era al
corrente di tu i i particolari della nostra infanzia e io non ero nello
stato mentale ada o per parlargliene. Sapevo che odiava nostra
madre almeno quanto me, ma non sapeva niente di papà, a parte che
gli volevamo bene.
Tu e le altre chiamate che avevo ricevuto erano di amici che
volevano farmi gli auguri per il Ringraziamento. Un’esperienza
nuova anche questa.
Inspirai e mi rannicchiai tra le coperte. «Bene, per quanto ne so.
Ne sapremo di più doma ina quando vedremo il do ore.
L’infermiera ci ha de o che lui non sa per quanto tempo è stato in
coma. Quando abbiamo cercato di presentargli Wes e Ma , la
pressione è salita alle stelle e l’infermiera ci ha bu ati fuori.»
«E tu come stai?»
Mi lasciai sfuggire un gemito. «È strano. Prima di vederlo sveglio,
ero arrabbiata con lui. Molto più di quanto fossi mai stata. E, sai,
credo che quella rabbia fosse giustificata. Ma poi, quando ha
allargato le braccia, è stato come ritornare piccola, una bambina che
desidera l’amore del padre più di ogni altra cosa.»
Mi scese una lacrima che cadde sul cuscino. Iniziò a colarmi il
naso, ma mi limitai ad asciugarmelo con la manica.
«Mi pare piu osto normale, piccola. Voglio dire, sarà sempre tuo
padre. Magari non è stato il migliore dei padri, ma almeno non se n’è
andato» disse cercando di tirarmi su di morale.
«Tu dici? Tu e le volte che si a accava alla bo iglia, spariva. Ogni
sorso di Jack Daniels lo trasformava in un’altra persona. Un estraneo
che dimenticava di avere due figlie da nutrire, vestire e portare a
scuola. E quest’ultima impresa? Un milione di dollari? È come se
stesse chiedendo di morire.»
Ginelle fece un lungo sospiro. «Forse l’ha fa o apposta.»
g p pp
Quel pensiero mi colpì come un fulmine, dandomi una scarica
ele rica in ogni singola fibra del corpo. «Porca miseria. Potresti aver
ragione. Sarà anche stato ingenuo in fa o di gioco d’azzardo, ma non
sarebbe mai stato tanto stupido da indebitarsi per un milione con un
uomo come Blaine Pintero.»
«A volte, quando vuoi lasciarti alle spalle la vita che fai, prendi la
strada più facile. Tuo padre doveva sapere che Blaine sarebbe andato
a cercarlo.»
«Sì, è così.» Scossi la testa, totalmente scioccata da quella
rivelazione.
«Com’è l’oceano?» chiese Ginelle saltando di palo in frasca, ma
non sembrava che la domanda fosse rivolta a me.
«Mmh, lacrime salate degli dèi, Ku’u lei» disse una profonda voce
maschile così vicina al telefono che la udii anch’io. Conoscevo
quell’espressione: significava “amore mio” in hawaiano. Avevo
sentito il padre di Tai dirlo alla moglie. E Tao l’aveva appena de o
alla mia migliore amica. La trama si infi iva.
Ansiosa di cambiare argomento, mi ge ai a pesce su questo
nuovo sviluppo. «E allora, come hai passato il Ringraziamento? Ti
sei ingozzata di tacchino?» chiesi in tono allusivo.
Ginelle fece un gemito di gola. «Ragazza, ti dico solo che l’unico
uccello che ho mandato giù era una porzione gigantesca di grosso
cazzo samoano.»
Scoppiai a ridere. Solo Ginelle poteva fare la sporcacciona con la
festa del Ringraziamento.
«Sul serio, Mia, non so cosa accidenti farò quando lui se ne andrà.
Dovrò fare scorta di ba erie tripla A, poco ma sicuro. Mi sta
rovinando di sesso.» Sospirò. «Adesso capisco perché hai passato un
mese a scopare suo fratello. I Niko… Dio santo, la mia passera non
sarà mai più la stessa.» Emise un lungo gemito. «Mi guarda con
quegli occhi scuri e ti giuro che le mie gambe si aprono come il Mar
Rosso davanti a Mosè.»
Ridacchiai. «Sei proprio perversa.»
«E sazia. Tipo tu o il tempo. Proprio quando penso che ne abbia
abbastanza, pronto a me er via la bestia che ha in mezzo alle gambe,
lo ritira fuori e io sono di nuovo lì a sbavare.»
«Basta! Risparmiami i de agli.»
«Come quando usa la mano per…»
«La-la-laaaaa, la la laaaa, la la laaa la laaa» Continuai a cantare Jingle
Bells finché lei non smise di parlare.
«È solo invidia.»
«Neanche un po’.» Ripensai a quando Wes mi aveva presa contro
l’albero qualche giorno prima, e sentii una fi a in mezzo alle cosce.
Ginelle sbuffò. «Oh, giusto, tu hai il regista incasinato in tu a
quella merda. Come sta Wes, a proposito?» Abbassò la voce a un
sussurro. «Va meglio, con gli incubi?»
«Sì. È più di una se imana che non ne fa. È un enorme passo
avanti. Adesso si è messo in testa l’idea di comprare della terra da
mio fratello Max e di costruire una casa accanto al suo ranch. Di
avere un posto lontano da quel genere di cose.»
«Mitico! Spasso da cowboy. Wow.»
Mi spostai e mi seppellii so o le coperte. «Sarebbe magnifico
poter stare con Max e Cyndi, e veder crescere i miei nipoti, questo è
certo.»
«Ehi, hai sempre voluto me ere radici da qualche parte. Adesso
puoi farlo.»
«Ma… e papà?»
«Lui? Deve trovare la sua strada. Non puoi prendere decisioni al
posto suo. Sei una donna adulta in procinto di sposare l’uomo dei
tuoi sogni. Maddy pure. Voi due siete sistemate. Lui deve capire
cosa vuole nella vita e lavorarci. Speriamo solo che abbia imparato la
lezione da questo viaggio nella terra del coma e che la usi per
rimanere sobrio. Per se stesso. Non soltanto per te e Maddy. Anche
se ho le mie opinioni al riguardo.»
Mi rabbuiai. «Lo so, lo so. Dice che sistemerà le cose con noi. Che
sarà un uomo migliore.»
Sbuffò. «Ci credo quando lo vedo. Nel fra empo, spero per il
meglio, e penso che anche tu debba ado are questo a eggiamento.»
«Hai ragione, sai. È un uomo adulto che per una volta deve
prendersi cura di sé. Da questo momento in poi non posso far
ruotare la mia vita a orno a lui, né a nessun altro.»
«Brava ragazza. Era quello che volevo sentirti dire. Adesso quello
che voglio sentire io è un grosso samoano tatuato che invoca gli dèi
hawaiani mentre glielo succhio, così poi potrò dormire un po’.
Maledizione, continuo a ripetergli che ho bisogno di un po’ di sonno
ristoratore. Mi sta a sentire? Macché.»
Feci una risatina. «Okay, mice a in calore, ti lascio alle tue
porcherie. Di’ aloha a Tao da parte mia.»
«Lo farò. Ti voglio bene. Ci sentiamo poi, depravata.»
«Ti voglio bene anch’io, Zoccole a von Zoccolis.»
10

Quando arrivai la ma ina dopo, papà era seduto nel le o. Wes, che
Dio lo benedica, era rimasto in albergo a montare le riprese che
avevamo girato per alcune puntate di dicembre dello speciale
natalizio del do or Hoffman. Mi ero portata avanti con il lavoro ed
era una fortuna, visto che adesso dovevo occuparmi di mio padre.
«Ehi, r-ragazzina, vieni a s-sederti qui.» Mosse le dita sul le o, i
movimenti e la voce ancora incerti. Secondo il medico, ci sarebbe
voluto un bel po’ prima che recuperasse appieno la mobilità e la
parola.
Mi avvicinai e mi sede i, gli presi la mano e me la portai alle
labbra. La pelle era so ile come carta, ma più luminosa di quando
era pieno d’alcol. «Ho parlato con il do ore stama ina. Mi ha de o
che sai di essere stato in coma per undici mesi.»
Lui annuì solennemente. Non riuscivo a immaginare cosa dovesse
provare a sapere che si era perso quasi un anno della sua vita.
«Che cosa è successo, papà? Perché le cose si sono messe così male
con Blaine?»
Chiuse gli occhi e mi strinse la mano. «Mia, sono s-stato m-molto
egoista.»
Ero d’accordo, ma non capivo cosa c’entrasse con la domanda che
gli avevo fa o. «In che senso?»
Si strinse nelle spalle. «N-non me ne importava p-più niente. Della
m-mia vita, del m-mio d-debito, di n-niente tranne il senso di v-
vuoto.» Pronunciò ogni parola in tono sinistro, come se mi stesse
preparando a una verità sgradevole.
Inclinai la testa e lo guardai negli occhi. «Papà, l’hai fa o apposta
a chiedere tu i quei soldi in prestito e a perderli al gioco?» Ripensai
alla conversazione con Ginelle, quando aveva ipotizzato che avesse
q p
tentato di suicidarsi continuando a farsi prestare denaro da uno
strozzino psicotico.
Scosse la testa. «Non e-esa amente. Forse. Non l-lo so. Ero c-così
s-stanco. Stufo di c-chiedermi p-perché lei se ne fosse andata. Stufo
d-di essere un u-ubriacone. Stufo di e-essere la c-cosa p-peggiore per
voi r-ragazze. Stufo e b-basta. Perciò non me ne importava di d-
dovere tu i quei s-soldi a Blaine e di n-non avere modo di r-
restituirglieli. Sapevo che me l’avrebbe f-fa a p-pagare.
L’assicurazione v-vi avrebbe coperte.» Chiuse gli occhi e inspirò
lentamente. «P-più di quando avrei p-potuto f-fare da v-vivo.»
Ricacciai indietro un singhiozzo e arretrai verso il muro. «Stai
dicendo che volevi morire?»
Mi guardò e io vidi la verità scri a a chiare le ere nei suoi occhi
scuri. «Non v-volevo più v-vivere come s-stavo vivendo.» Era la
confessione più esplicita che, a quanto pareva, sarei riuscita a
o enere.
«Gesù, papà. Non riesco neanche…» Presi fiato, mi piegai in
avanti e cercai di calmarmi controllando il respiro. «Tu non hai idea
di cosa mi è toccato fare in tu i questi mesi per ripagare il tuo
debito!»
Inarcò le sopracciglia per lo stupore. «Cosa? Il debito è stato p-
pagato?»
Chiusi gli occhi e appoggiai la schiena al muro. «Blaine e i suoi
scagnozzi ti avrebbero ammazzato e poi sarebbero venuti a prendere
me e Maddy per reclamare quello che hanno chiamato “il debito del
sopravvissuto”. Credevi forse che si sarebbe accontentato di
ucciderti senza trovare un modo per riavere i suoi soldi?»
Papà sgranò gli occhi nella faccia scavata e mi ritrovai a fissare
due pozze scure, infossate. «No.» Scosse la testa. «Non hanno mai
de o q-questo. Io… io…»
«Tu cosa?» mi arrabbiai. «Pensavi che offrendo te stesso tu o
sarebbe stato perdonato?»
Girò la testa nella mia direzione. Avevo iniziato a camminare
avanti e indietro. «Sì, esa amente.»
«Incredibile.» Tremai da capo a piedi e mi tirai i capelli, tentando
disperatamente di alleviare la tensione. Avrei voluto me ermi a
p
urlare come un’ossessa. «Sono andata a lavorare per Millie come
escort per restituire il tuo debito!» Parole feroci, piene di veleno.
Mio padre impallidì, diventando livido come un fantasma. «T-ti
sei p-prostituita p-per m-me?» Una lacrima gli scivolò lungo una
guancia e il suo corpo sembrò ra rappirsi mentre veniva scosso dai
singhiozzi. «Dio, no. No. Non la mia b-bambina.» Si coprì la faccia
con le mani.
Mi precipitai da lui. «Le cose non stanno così, papà. Non dovevo
andarci a le o. Dovevo solo recitare un ruolo per un mese.
Guadagnavo centomila dollari al mese e ho pagato Blaine a rate.»
Avrei voluto dirgli che cosa era successo con Blaine in se embre e
come Max mi aveva salvato il culo, ma non pensavo che fosse in
grado di affrontare tu a la verità.
Mio padre era scosso dai tremiti e io lo strinsi. «Mi d-dispiace c-
così tanto. Dio, mi d-dispiace tanto per un s-sacco di cose. Non potrò
mai sistemare tu o con t-te e t-tua sorella. Mai.»
Gli accarezzai la schiena. Era così magro che sentivo le ossa della
spina dorsale. «Puoi cominciare restando vivo. Tornando a essere
nostro padre. Rimanendo sobrio» aggiunsi, sperando che non desse
in escandescenze come faceva di solito quando tiravo fuori
l’argomento.
Mi tenne stre a a lungo, sussurrando parole di scuse tra i miei
capelli, dicendomi quanto fosse orgoglioso di me, quanto mi volesse
bene. Alla fine, era quello che avevo sempre voluto da mio padre:
che mi amasse, che mi approvasse e fosse fiero di me. In quel
momento mi resi conto che avevo o enuto ciò che desideravo. È
vero, aveva pisciato fuori dal vaso alla grande quando eravamo
piccole, ma avevamo davanti ancora tanti anni e io volevo passarli a
costruirmi dei bei ricordi, a vivere appieno ogni cosa.
Sentii suonare il cellulare nella tasca posteriore. Lo ignorai e
rimasi abbracciata a mio papà. Continuò a squillare, subito dopo che
la segreteria rispose. A quanto pareva, qualcuno cercava di me ersi
in conta o con me a ogni costo.
«Scusa, papà.» Mi scostai da lui e tirai fuori il telefono. Sullo
schermo c’era scri o “Maximus”.
Sorrisi e mi portai il cellulare all’orecchio. «Ciao, fratellone» dissi
in tono scherzoso.
«Si presumeva che oggi avresti dovuto chiamarmi.» Sembrava un
grosso orso incazzato.
«Non hai tua moglie e i miei nipoti per giocare al cowboy alfa
tu o dedito alla famiglia?» dissi con una risata e guardai mio padre.
Aveva un’espressione scioccata.
«Quante volte devo ripeterti che mi prendo cura di ciò che è
mio?»
Alzai gli occhi al cielo. «Vabbè. Io sto bene. Puoi rilassarti. Tornare
dal piccolo Jack e dare un bacio a Isabel da parte mia.»
«Tu o okay?»
Lanciai un’altra occhiata a mio padre. «Più che okay. Mio papà è
sulla via della guarigione, io sto per sposare l’uomo dei miei sogni e
la vita è meravigliosa.»
Max mi ridacchiò nell’orecchio. «D’accordo, zuccherino. Abbi cura
di te, ti richiamo tra un paio di giorni.» Un paio di giorni per lui
voleva dire che mi avrebbe telefonato l’indomani ma ina presto.
Ridacchiai tra me, entusiasta di avere un fratello, e per di più
follemente prote ivo e assurdamente dispotico verso le sorelle
adulte. «Ti voglio bene, sorellina.»
«Ti voglio bene anch’io, Max.»
Conclusi la chiamata e mi girai.
«Chi era?» chiese papà.
«Mio fratello Max» risposi senza pensarci, dimenticando
completamente che mio padre era stato in coma per quasi tu o
l’anno appena trascorso. Non sapeva niente di Maxwell
Cunningham né di Maddy e del suo vero padre. «Merda» mormorai,
fissando la sua espressione sconcertata.
«Quale fratello?»
Chiusi gli occhi e mi sede i sul le o. «Papà, è una storia lunga e
complicata che ha avuto un lieto fine, ma forse non è il momento
ada o per raccontartela, visto che ti sei appena svegliato da un
sonno di undici mesi.» Mi lasciai sfuggire un sospiro, irritata per
essermi lasciata scappare un’informazione del genere, prima che lui
avesse il tempo di fare i conti con quello che aveva passato.
p q p
«S-signorina, adesso me i qui le chiappe e r-racconti a t-tuo padre
di questo fratello e di come hai scoperto della sua esistenza. Hai s-
sentito tua m-madre?»
«No, papà.» Solo a udir pronunciare il nome di mia madre fui
percorsa da un brivido.
Maddy arrivò poco dopo che avevo iniziato a raccontare la storia
di come avevo conosciuto Maxwell Cunningham; mi aveva
ingaggiata per fingere di essere la sorella a lungo perduta, anche se
sapeva già che eravamo imparentati. Poi aveva scoperto l’esistenza
di Madison e ci eravamo so oposti a degli esami i quali avevano
confermato che era davvero nostro fratello.
«E allora? V-vostra m-madre aveva una r-relazione p-prima di c-
conoscere me, ha avuto un bambino e l’ha abbandonato. T-tu o
qui?»
Maddy si morsicò un labbro e guardò fuori dalla finestra, gli occhi
lucidi di lacrime.
«Che cosa non mi state d-dicendo?» chiese aggro ando la fronte.
Sospirai. «Credo che per oggi sia abbastanza, papà. Ne hai passate
tante. Noi anche. Forse dovremmo prenderci una pausa.»
Papà scosse energicamente la testa. «No. Sveliamo t-tu i i s-
segreti, qui e ora.» Ba é un dito ossuto sul coprile o a nido d’ape
dell’ospedale.
Mi accasciai e le guance di Maddy si rigarono di lacrime.
“Via il dente via il dolore, Mia. Fallo e basta, così ti libererai di
questo peso.”
«Mia… Maddy…» disse papà in tono di avvertimento.
Madison sembrava sul punto di accartocciarsi su se stessa. Mi
avvicinai a lei e la abbracciai da dietro. Lei mi si appoggiò contro, si
nascose la faccia tra le mani e pianse.
«Buon Dio, cosa c’è che non va?»
«Papà, quando abbiamo fa o i test, si è scoperto che Maxwell
Cunningham e Maddy hanno la stessa madre e lo stesso padre.»
Lui chiuse gli occhi e si sfregò la fronte. «Quindi è vero. Dal punto
di vista genetico, io n-non sono t-tuo padre.»
Maddy si mise a piangere forte, scuotendo la testa.
«Oh, tesoro, vieni qui.» Allargò le braccia e Maddy ci si rifugiò,
piangendo contro il suo pe o.
«M-ma, m-ma, tu sei il mio papà!» si lamentò come se provasse un
dolore fisico. Avrei fa o qualunque cosa perché sme esse di soffrire,
ma ero impotente.
Lui le accarezzò i capelli. «Sì. E lo s-sarò s-sempre. Nessun t-test
può portarmi v-via le mie b-bambine.»
«Io non c’entro, papà. Il test di paternità ha confermato che ho in
comune con Maxwell e Maddy solo la madre.»
Mio padre scosse la testa e continuò a passare le dita tra i capelli
color miele di Maddy, i capelli che aveva preso dal vero padre. «Ho
sempre sospe ato che vostra madre mi t-tradisse. Talvolta pensavo
di averla vista troppo vicina a q-quel t-tizio alto e biondo con
l’aspe o del c-cowboy. Non ricordo come s-si c-chiama.»
«Jackson Cunningham. Veniva a Las Vegas quando ero piccola.
Lei vedeva suo figlio e io incontravo il fratello che non ho mai saputo
di avere. Finché non è rimasta incinta di Maddy. A quel punto le
visite sono cessate» spiegai prima che potesse chiedermelo.
Papà si passò la lingua sulle labbra e baciò Maddy sulla testa. «Sì,
dopo la nascita di Maddy iniziò a comportarsi in modo s-strano.»
Fece un sorriso triste. «Più s-strano del n-normale, cioè. Era c-come
se non r-riuscisse a star ferma in u-un p-posto molto a lungo. C-
continuava a c-cambiare lavoro negli s-show, passava da un casinò
all’altro, l-lamentandosi che q-questo o q-quello avevano q-qualche
p-problema. E poi un g-giorno il p-problema è diventato Las Vegas,
e alla f-fine il p-problema ero io. Il resto, come si dice, è storia.»
Poi lei se ne andò. Quella parte la ricordavo molto chiaramente.

Wes e io passammo il resto di novembre con mio padre. Fisicamente


stava andando bene. Mentalmente non tanto. In due se imane lo
avevo aggiornato il più possibile su quello che ci era capitato, gli
avevo spiegato che cosa avevo fa o ogni mese e alla fine gli avevo
confessato che cos’era successo quando aveva preso un virus e
un’allergia che per poco non lo avevano ucciso. Disse che non
ricordava assolutamente niente. Il giorno prima aveva chiuso gli
occhi sull’asfalto so o i colpi dei suoi aggressori, desiderando la
p gg
morte, e il giorno successivo li aveva riaperti nella stanza di un
ospedale; non rammentava nulla di quello che era successo nel
fra empo.
Lo psicologo disse che era normale e che in seguito avrebbe
potuto ricordare che gli avevamo parlato o delle voci nei sogni, ma
per il resto mente e corpo erano sani. Adesso doveva solo
impegnarsi nella fisioterapia, andare ad alcuni incontri per parlare
delle sue dipendenze ed entrare a far parte del gruppo locale degli
Alcolisti anonimi. Per il momento, il terapeuta aveva prescri o una
seduta e due telefonate alla se imana, fino a quando mio padre non
si fosse sentito pronto a essere più indipendente.
Wes assunse due infermiere che si prendessero cura di lui con
turni di dodici ore, lo portassero agli appuntamenti e gli tenessero
compagnia. Maddy rinunciò a uno dei corsi facoltativi per avere più
tempo e andare a trovare papà tu i i giorni. Anche se mi sentivo in
colpa a non rimanere, ricordai a me stessa che negli ultimi undici
mesi avevo rinunciato alla mia vita per lui. Era ora di tornare a casa,
a Malibu, dove Wes e io avremmo potuto organizzare il matrimonio
e gioire di tu e le cose di cui eravamo grati.

Seduta sulla veranda posteriore a guardare l’oceano, immaginai il


giorno del nostro matrimonio. Sapevo dove avremmo messo le sedie
per gli ospiti, dove sarebbe stata la navata e lo sfondo sul quale avrei
de o “sì” all’uomo che amavo.
Sorseggiai lo Chardonnay freddo e incrociai le gambe so o la
coperta che Ms Croft mi aveva dato. Non faceva mai davvero freddo
a Malibu, anche se era già l’inizio di dicembre.
Il mio telefono suonò e io sobbalzai. Avrei dovuto seppellire il
dannato aggeggio so o la sabbia, così mi sarei potuta godere in pace
la mia casa. Wes era fuori a fare surf. Vedevo la sua figura solitaria
cavalcare un’onda in lontananza. Il modo in cui dominava quella
tavola era sexy come nient’altro. Ero proprio una donna fortunata.
Risposi senza neppure guardare lo schermo, troppo concentrata
sul mio uomo che fendeva le onde. «Pronto?»
«Ms Saunders, sono Shandi, l’assistente del do or Hoffman.»
Faceva sempre così. Precisava di essere l’assistente del do or
Hoffman, come se ormai non lo sapessi, visto che lavoravo con lui da
un po’.
«Sì, Shandi. Salve. Cosa posso fare per lei?»
«Il do or Hoffman ha il suo prossimo incarico.»
Strinsi gli occhi. «Oh? In genere sono io a scegliere l’argomento.»
La sua voce assunse un tono presuntuoso, arrogante. «Non questa
volta. Vuole che vada ad Aspen, in Colorado, per intervistare e
riprendere gli artisti locali. Un uomo ha conta ato la rete televisiva e
ha offerto un mucchio di denaro per una puntata su sua moglie.»
«Chi è sua moglie?»
«Una montanara che dipinge insulsi quadre i di alberi e
montagne. Non ne ho idea. La sua assistente le darà i de agli. Il
do or Hoffman pensava che già che ci siete, mentre raccogliete fondi
per lo show la se imana prossima, potreste fare la puntata sulle belle
arti.»
«La se imana prossima? Vuole che vada là la se imana prossima?
Sta scherzando. Sono appena tornata a casa.»
Shandi geme e in modo irritante. «Non è un nostro problema se
lei ha perso tempo con la sua famiglia durante le vacanze. Adesso
bisogna assolutamente me ersi al lavoro. Non vorrei essere costre a
a dire a Drew che lei ha un problema con questo incarico, perché
sono sicura che conosce un mucchio di brune formose che si
precipiterebbero a un suo cenno…» mi minacciò.
«No! No. Va bene. Lo farò. Posso avere la stessa troupe di New
York?»
«Vuole la tipa dark, Kathy?»
La tipa dark. Aveva capelli neri, portava occhiali dalla montatura
nera ed era stata automaticamente bollata come “dark”. A volte
detestavo Hollywood. Sopra u o, detestavo cordialmente
l’assistente di Drew.
Sospirai. «Sì, vorrei Kathy Rowlinski, per favore. A proposito, è
possibile che la Century la nomini ufficialmente mia assistente di
produzione?»
«Di questo deve parlare con Drew o con Leona.»
«Bene. Grazie per aver chiamato, Shandi. A endo di ricevere i
de agli della puntata.»
Geme i, spensi il telefono e lo lanciai verso la spiaggia.
Il braccio di Wes sbucò dal nulla e prese il cellulare al volo. «Hai
perso qualcosa, dolcezza?» Si mise a ridere e camminò sulla collina
di sabbia verso i gradini della veranda. Il costume bagnato gli
pendeva mollemente dai fianchi, sul pe o gli scendevano rivole i
d’acqua. Si girò verso il rubine o in cima ai gradini e si risciacquò i
piedi sporchi di sabbia.
Senza neppure pensarci, vestita di tu o punto, mi avvicinai a lui e
gli leccai uno dei rivole i d’acqua dalla meravigliosa muscolatura
del basso ventre risalendo agli addominali duri come marmo per
passare ai pe orali scolpiti e finire con la sua bocca, dove gli diedi
un bacio infuocato. Mi strinsi a lui, infradiciandomi gli abiti
dell’acqua gelida dell’oceano. Non me ne importava. In quel
momento avevo bisogno di stare con lui e perdermi nell’uomo che
amavo, dimenticando per un po’ il fa o che sarei dovuta partire nel
giro di una se imana.
Mi sollevò e mi mise le mani sul sedere, poi entrò in casa e mi
portò in camera da le o, dove procede e a darmi il benvenuto nel
migliore dei modi possibili.

Wes giocherellava con i miei capelli mentre io ero sdraiata sul suo
pe o senza fiato. «Ha de o di quanto denaro si sta parlando? Per
quale ragione un montanaro dovrebbe pagare lo show perché si
vada a fare le riprese laggiù? Sarebbero un mucchio di soldi.»
Sollevai la testa e appoggiai il mento alle mani premute sopra il
suo cuore. «È strano, ma ho sentito dire che Aspen è un posto
bellissimo. Non ci sono mai stata. E tu?»
Mi sorrise. «Aspen? Vediamo: un ragazzo allevato da gente ricca
dell’alta società di Hollywood sarà mai stato ad Aspen? Mmh…»
«Cosa?» Scossi la testa, senza capire dove volesse andare a parare
con quella ba uta.
Gli si accese una scintilla negli occhi. «Mia, Aspen è tipo il paese
delle meraviglie invernale delle persone ricche e famose. I miei
hanno uno chalet lì. Uno chalet grande.»
g
«Davvero?» Sba ei le palpebre; non riuscivo mai a rendermi
conto fino in fondo di quanto Wes fosse ricco.
Scoppiò a ridere. «Sì, davvero. Può ospitare qua ordici o sedici
persone ma ha anche diversi divani le o. Non che i miei li abbiano
mai usati.»
«Wow. Perché è così grande?» Sapevo che c’erano solo la sorella, il
marito di lei e i suoi genitori.
Wes sfregò il naso contro il mio. «La mamma dice che è in
previsione dei nipoti e delle loro famiglie. L’hanno comprato
all’inizio del loro matrimonio a un buon prezzo, durante l’anno lo
affi ano e c’è un custode. Di solito ci andiamo una se imana tu i gli
anni. Sci, aria di montagna, gente da vedere.»
«Oh. Pensi che potremmo stare lì? Con la troupe?»
«Certo. In dicembre mia madre non lo affi a, nel caso in cui
qualcuno della famiglia volesse andarci.»
«Fantastico. Chiediamo a Maddy e Ma di venire. Sarà la loro
pausa invernale. Oooh… chissà se Max verrebbe?»
«Per te?» La sua voce assunse una sfumatura sardonica.
Gli pizzicai un capezzolo scherzosamente, senza fargli male. «E
con questo cosa vorresti dire?»
Wes fece un gran sorriso. «Mia, Max stravede per te come
stravede per la moglie, per i figli e per tua sorella. È un uomo
assolutamente dedito alla famiglia. Tu dici che vuoi qualcosa, e lui
andrà a prenderti la luna. È fa o così. Scomme o che suo padre era
identico.»
«Anche Maddy» dissi. Quel pensiero mi fece venire in mente
com’era stata dura per mio padre scoprire che quello che aveva
sospe ato era vero: Maddy non era sua figlia biologica.
«Sì, è una cosa che hanno in comune.»
Annuii e gli appoggiai la testa al pe o. «Pensi che la tua famiglia
prenderebbe in considerazione l’idea di venire in Colorado qualche
giorno per Natale? Potremmo chiedere di venire a Jeananna e a suo
marito Peter, a Max e ai suoi, a Maddy, Max e i suoi genitori, e a
Ginelle?»
«Dolcezza, non l’hai ancora capito? Proprio come tuo fratello,
chiedimi una cosa e farò tu o quello che è in mio potere per
q p p
dartela.» Non c’era traccia di ironia nella sua voce. Aveva affermato
un semplice dato di fa o. Mi sentii sciogliere.
Lo baciai lentamente e con abbastanza passione da guadagnarmi
un altro benvenuto a casa.
Quando mi scostai, aveva gli occhi vitrei e semichiusi.
«Mi sa che sto sognando un bianco Natale» dissi con un sorriso e
gli leccai un capezzolo.
Veloce come il fulmine, mi girò e mi si mise tra le cosce. «Here
comes Santa Claus, here comes Santa Claus, right down Santa Claus
lane…» cantò, sfregandomi il mento ispido contro il collo finché non
mi misi a ridere.
«Sembra che Natale arriverà prima quest’anno» geme i quando
mi mise le labbra su un capezzolo e iniziò a succhiarlo. Fui percorsa
da una scossa di piacere.
Wes si sollevò e mi guardò mentre scendeva con la testa,
rimanendo sospeso proprio sopra il centro pulsante del mio corpo.
«Mia, tu sei un regalo donato ogni giorno.»
Avrei voluto riba ere con qualcosa di perverso, un’osservazione
che l’avrebbe fa o ansimare per il desiderio, ma era troppo tardi. La
sua bocca tra le mie cosce e il movimento delle dita sul mio sesso
ebbero la meglio su ogni facoltà oratoria.
Il mio ultimo pensiero prima di scivolare nelle acque scure della
nostra passione fu che ogni anno, ogni vacanza, ogni dannato giorno
della mia vita sarebbe sempre stato così bello, almeno finché l’avessi
condiviso con Wes.
Fa i so o, mondo.
Finalmente avevo tu o. Felicità. Famiglia. Amici. Mia sorella al
sicuro. Un fratello. Mio padre in via di guarigione e un uomo che mi
adorava e voleva passare il resto della vita a dimostrarmelo. Avevo
in mente di passare il resto della mia vita a dimostrarglielo a mia
volta.
DICEMBRE
1

Tirarsi fuori da un le o sepolta da una montagna di coperte, cui


andava aggiunto il peso del braccio del mio uomo stre o a orno alla
vita come una morsa, era più difficile di quanto si sarebbe pensato.
Avevamo preso il volo no urno per Aspen, in Colorado, ed eravamo
arrivati prima dell’alba il giorno dopo. Wes mi aveva condo o nello
chalet della sua famiglia, e uso questo termine come un eufemismo.
Il poco che avevo visto era già più grande della nostra casa di
Malibu. Arrivammo alla sua stanza e crollammo a le o in un
groviglio di braccia e gambe. Giurerei che eravamo addormentati
ancora prima di aver toccato il cuscino.
In quel momento, però, ero sveglissima e dalla luce che filtrava
dalle tende avrei de o che fosse mezzogiorno. Mi spostai con
cautela, centimetro dopo centimetro, sfilandomi dall’abbraccio di
Wes più piano che potevo, nel tentativo di non svegliarlo. Scesi dal
le o e mi congelai all’istante. Tipo che in top e mutandine non ce la
potevo fare. La stanza era una ghiacciaia. Mi avvicinai in punta di
piedi al termostato e alzai la temperatura a ventitré gradi. “Vediamo
come se la cava la caldaia!”
Girovagai, trovai il bagno e feci le mie cose silenziosa come un
topolino prima di localizzare la valigia. Trovai un paio di pantaloni
da yoga, una delle felpe di Wes e le mie ciaba e superimbo ite.
Prima di partire Ms Croft mi aveva de o che ne avrei avuto bisogno,
e aveva ragione. Dovevo ricordarmi di ringraziarla per la sua
previdenza.
Riscaldata e vestita, uscii dalla camera e scesi le scale. Arrivata a
metà, mi fermai. Dalla parte opposta rispe o a dove mi trovavo c’era
una parete vetrata da cui si vedeva un mare sconfinato di montagne.
Bianco invernale punteggiato di verde e nero dove alberi e rocce
p gg
affioravano dallo spesso manto di neve che ricopriva i pendii.
Mozzafiato. Non c’era un’altra parola per descriverlo. Come uno
zombie, mi avvicinai alla portafinestra e la aprii, lasciandomi
investire da una folata di aria gelida. Subito il fiato iniziò a
condensarsi in nuvole e mentre io fissavo rapita quella che era
certamente opera di Dio.
Quando guardavo la spiaggia e l’Oceano Pacifico dalla casa di
Malibu, mi sentivo ancorata e in pace. Ammirare l’ampia catena
montuosa trasme eva tu o tranne che serenità. Era maestosa,
irreale, come se stessi osservando una fotografia e non il panorama
dal vero.
Bum!
Da capogiro.
Come spuntate dal nulla, due braccia mi circondarono da dietro,
a irandomi verso il calore.
Wes mi sfregò il naso sul collo e sulla spalla. «Bello, vero?»
Espirai lentamente. «Molto più che bello.»
Mi diede un bacio sul collo, trasme endomi il calore della sua
pelle. «Sono contento che ti piaccia, dato che staremo qui per le
prossime due se imane e mezza.» La sua voce si riverberò sulla mia
schiena, risuonando in ogni cellula del mio corpo.
«Non ho intenzione di lamentarmi» risposi, ancora in preda allo
stupore davanti alla bellezza di Madre Natura.
Fece una risatina. «Lo dici adesso. Ricordiamoci di quanto ti
piaceva la neve tra qualche giorno, quando staremo cercando di
ricordare dov’è sepolta l’auto.»
Sporsi in fuori le labbra e arricciai il naso. Wes adorava quando lo
facevo. Anche in quel momento mi guardò, sorrise e mi baciò sulla
guancia.
«Che ne dici di fare colazione?» chiese.
Alla parola “colazione”, sentii lo stomaco brontolare. «Non dirò
di no» risposi.
Mi scoccò un sorriso e mi lasciò ad ammirare il panorama. «Non
star fuori troppo. Ti gelerai le chiappe.»
«Solo la ciccia, spero!» Mi girai e gli diedi una pacca sul sedere
proprio mentre stava rientrando in casa.
p p
Wes aveva ragione: nel giro di qualche minuto mi ero quasi
congelata, così rientrai per dargli una mano con la colazione.
In salo o vidi una stola di ciniglia sullo schienale di una delle
sedie imbo ite e me la avvolsi intorno alle spalle.
Wes era indaffarato al bancone, alle prese con le padelle per
friggere il bacon. Disse che aveva avvisato il custode del nostro
arrivo, chiedendogli di comprare le cose essenziali. Saremmo dovuti
andare a fare la spesa, ma avevamo generi di prima necessità come
uova, bacon, la e, burro e caffè, cosa – quest’ultima – per cui ero
estremamente riconoscente.
Mi misi a preparare il caffè mentre Wes si occupava del bacon e
faceva scaldare la padella per le uova.
«Allora, cosa vuoi fare oggi?» mi chiese inarcando un sopracciglio
con aria allusiva.
Alzai gli occhi al cielo. «Non quello.»
Fece un’espressione stupita.
«Okay, sì, quello, ma non adesso. Sono impaziente di dare
un’occhiata al posto. Visitare la ci à, comprare qualcosa da
mangiare e scoprire dove i bifolchi locali espongono le loro opere.
Mi servirà per capire come presentare la puntata. Inoltre la troupe
arriverà tra un paio di giorni, perciò bisognerà essere preparati ad
averli qui una se imana.»
Wes annuì e continuò a preparare la colazione. Dopo aver
mangiato, facemmo una doccia, dove mi fu ricordato che voleva
assolutamente un po’ di quello. Alla fine salimmo sulla macchina a
noleggio e ci dirigemmo verso il centro.

Non ero preparata allo spe acolo meraviglioso che mi accolse


quando arrivammo nel cuore di Aspen. Eccitata, scesi dall’auto e
girai lentamente su me stessa. La grandiosità delle montagne mi
tolse il fiato; era come se il centro della ci adina sorgesse all’interno
di un bacino nascosto esa amente al centro della Terra. La gente
entrava e usciva dai negozi vestita di colori brillanti che risaltavano
sullo sfondo immacolato delle montagne in lontananza.
«Adesso ho capito» mormorai, fissando a occhi spalancati il
magnifico panorama.
g p
«Hai capito cosa?» chiese Wes, prendendomi la mano guantata.
Nonostante gli strati di pelle e lana, percepii il suo calore penetrarmi
nel palmo.
«Perché questo posto è così ambito. È straordinario. Sono stata al
lago Tahoe e avevo già visto montagne innevate, ho anche sciato, ma
niente regge il confronto.» Espirai lentamente, cercando di assorbire
tu o, consapevole che non ci sarei riuscita. C’erano troppe cose da
guardare. Forse nei giorni successivi la maestosità di quel luogo si
sarebbe impressa nella mia memoria profonda e io avrei potuto
richiamarla quando morivo di caldo nella California meridionale.
Wes lanciò un’occhiata alle montagne altissime. «Ti capisco. Io
sono stato qui molto spesso, ma sarà bellissimo vedere le cose con i
tuoi occhi, dal punto di vista di qualcuno che viene qui per la prima
volta.»
Gli sorrisi e gli diedi una stre a alla mano.
«Da dove cominciamo?» chiesi, sperando che mi facesse da guida.
Mi strinse a sé e mi mise un braccio sulle spalle. «Beviamo
qualcosa di caldo lì» – indicò il Colorado Coffee – «poi
cammineremo un po’. Ti va?»
Mi appoggiai a lui. «Mi va qualunque cosa con te. Grazie di essere
venuto, a proposito.» Gli sfregai il mento sul collo.
Wes fece un sorriso così radioso che avrei giurato fosse illuminato
dall’interno. I denti bianchi risplendevano e la gioia che lessi nei suoi
occhi verdi mi fece sciogliere. Vederlo a proprio agio nella sua pelle e
in pace con il mondo sarebbe bastato a rendermi felice per cento
anni.
C’era qualcosa in lui che arrivava dri o al mio cuore, me endo a
nudo l’essenza di ciò che ero. Una cosa che mi rendeva
immensamente felice e al tempo stesso mi terrorizzava, anche se la
gioia superava la paura, e intuivo che sarebbe stato sempre più così a
mano a mano che si avvicinava la data in cui ci saremmo scambiati le
promesse.
Era difficile credere che di lì a tre se imane sarei diventata Mrs
Channing. Non riuscivo ancora a rendermene conto davvero.
Mentre camminavamo Wes mi indicò diversi posti alla moda per
cenare e locali dove bere qualche cocktail o un drink se te ne veniva
q
la voglia. Passeggiammo fino a Main Street dove vidi un pi oresco
edificio rosa che sorgeva proprio sull’angolo. Si chiamava
semplicemente Main Street Bakery & Café.
Lo indicai a Wes. «Sei mai stato in quel posto graziosissimo
laggiù?»
Mentre lui rispondeva, dal locale uscì una donna alta più o meno
come me. Era snella e indossava uno strepitoso giaccone di pelle
lungo fin so o il ginocchio, stre o in vita da una cintura. Al collo
portava un foulard rosa acceso che a irava lo sguardo. I capelli
nerissimi le ricadevano in onde morbide sulle spalle. Strizzai gli
occhi, cercando disperatamente di vederla in faccia, ma lei aveva la
testa china e rovistava nella borsa.
«E fanno le migliori uova alla Benedict…» Le parole di Wes mi
giungevano a tra i, ma tu a la mia a enzione era concentrata sulla
donna dall’altra parte della strada. Fui assalita da una strana
sensazione, che mi lasciò interde a.
La figura, i capelli e la stru ura ossea di quella donna mi
ricordavano tantissimo una persona che conoscevo. Una potente
sensazione di familiarità mi tormentava i recessi più nascosti della
mente, così feci qualche passo in direzione della pane eria. La
donna tirò fuori un paio di occhiali da sole e, un a imo prima di
infilarseli, i nostri sguardi si incontrarono. Sussultai e feci un balzo
all’indietro, finendo addosso a Wes, completamente scioccata da
quello che avevo appena visto.
«Non può essere…» dissi con voce strozzata, incapace di dire
altro per la violenza delle emozioni che mi avevano assalita.
Rabbia.
Frustrazione.
Disperazione.
Impotenza.
Desolazione… e tu a la gamma di sentimenti intermedi mi
investirono come un treno merci lanciato a tu a velocità.
«Cosa c’è, Mia? Qual è il problema? Sei pallida come un cencio,
dolcezza.»
Sba ei ripetutamente le palpebre e guardai Wes in piedi di fronte
a me che mi teneva per le braccia. «Io, io… non può essere lei.»
p p
Scossi la testa e mi guardai intorno, ma la donna non c’era più.
Svanita come se non ci fosse mai stata.
«M-m-ma era proprio lì!» Guardai gli altri negozi e lungo il
marciapiede. Niente. Scomparsa.
«Chi? Chi pensi di aver visto?» mi chiese Wes in tono
preoccupato.
Deglutii il nodo che avevo in gola e alzai gli occhi pieni di lacrime
sull’uomo che voleva legare la propria vita alla mia. Lui non mi
avrebbe mai abbandonata. Rassicurata da questa consapevolezza,
inspirai una boccata di aria fredda e dissi il suo nome.
«Meryl Colgrove.»
Wes aggro ò la fronte. «Non ti seguo, piccola. Chi è Meryl
Colgrove?»
«Mia madre.»

Wes e io guardammo dappertu o per dieci minuti buoni, passando


al setaccio le vetrine dei negozi e sbirciando all’interno. Niente da
fare. La donna non c’era più.
Tornammo all’auto a noleggio e rientrammo allo chalet dei suoi.
Non spiccicai parola per tu o il viaggio, troppo sconvolta per dire
qualunque cosa.
Non poteva essere lei. Era come se fosse comparsa dal nulla. Il
destino non poteva essere tanto crudele. Le probabilità che Meryl
Colgrove si trovasse nella ci adina in cui ero venuta per girare una
puntata di Sani e belli e passare le vacanze di Natale era una su un
miliardo.
“E se abitasse qui?”
Impossibile. Dovevo avere avuto le allucinazioni. E poi non
vedevo mia madre da più di quindici anni. Le probabilità che la
incontrassi ad Aspen, in Colorado, erano inesistenti. Era solo una
donna che le assomigliava moltissimo, o che assomigliava a come me
la ricordavo.
I pensieri si rincorrevano impazziti nella mia mente, spazzandola
come un tornado, imprevedibili e devastanti.
Quando arrivammo allo chalet, mi ero convinta che non poteva
tra arsi di mia madre. Avevo visto una persona che le assomigliava
p g
in modo incredibile, punto e basta. Fine della storia. Nulla di cui
preoccuparsi. Ma il mio uomo non era giunto alla stessa conclusione.
Quando entrammo in casa, si diresse subito alla zona bar, tirò
fuori due bicchieri e versò in ciascuno due dita di un liquido color
ambra da una caraffa di cristallo.
«Un drink?» Erano le prime parole che diceva da quando gli
avevo riferito che pensavo di avere visto mia madre.
«Certo.» Mi sede i su uno dei lussuosi sgabelli da bar girevoli con
tanto di braccioli. Non c’entravano niente con quella roba da qua ro
soldi che puoi trovare nei grandi magazzini di arredamento. Feci
scorrere le dita sulle borchie di metallo che sembravano martellate in
un elegante stile rustico.
Wes bevve una sorsata di whiskey. Il suo pomo d’Adamo si
mosse in modo seducente, facendo appello alla mia femminilità.
Si protese in avanti con i gomiti sul bancone. «Cosa pensi? Era
lei?» mi chiese con calma.
La tensione che emanava e l’incertezza nello sguardo mi fecero
capire che non sapeva quale fosse il modo migliore per iniziare una
conversazione su una cosa di cui gli avevo parlato di rado. E la mia
reazione probabilmente costituiva un o imo indizio su ciò che
provavo verso la donna che mi aveva partorito.
«Non ne sono sicura.» Mi strinsi nelle spalle. «La somiglianza era
sorprendente.»
Wes annuì. «Perché siamo qui, Mia?»
Incassai la testa fra le spalle, iniziando a innervosirmi. «Non lo so,
baby. È strano. Shandi, l’assistente del do or Hoffman, mi ha de o
di venire. Ha organizzato tu o lei e mi ha comunicato l’incarico.»
«Quando dovremmo incontrare questo tizio? Quello che ha fa o
una “generosa donazione”» – Wes fece il gesto delle virgole e con le
dita – «allo show per conto degli artigiani locali, uno dei quali è sua
moglie?»
Non potevo negare che la faccenda fosse strana. Ma ero abituata
alle stranezze, alle situazioni insolite. Tu o l’ultimo anno era stato
costellato da una catena di eventi casuali che mi avevano condo a
dove avevano bisogno di me. Fino a quel momento aveva
funzionato. Avevo conosciuto l’uomo che stavo per sposare. Mi ero
p p
fa a un mucchio di amici veri. Avevo trovato mio fratello, Maxwell.
Avevo salvato mio padre. E iniziato una nuova carriera che adoravo.
C’erano stati ostacoli di non poco conto sul percorso, ma alla fine
tu o si era risolto a mio vantaggio. Non intendevo farmi troppe
domande.
Scivolai giù dallo sgabello, girai intorno al bancone e misi le
braccia a orno alla vita di Wes. «Si chiama Kent Banks. Che tu ci
creda o no, anch’io pensavo che fosse un po’ strano. Così ho
chiamato Max, gli ho raccontato tu o e sai che cosa è successo?» Feci
un gran sorriso.
Mio fratello era assurdamente prote ivo nei confronti miei e di
Maddy. Quando aveva saputo che un tizio qualunque proveniente
dalle montagne aveva chiesto – e a quanto pare sganciato una bella
somma per o enerlo – che realizzassi una puntata su qualcosa di
tanto banale come degli artisti locali, la faccenda gli aveva fa o
sca are tu i i campanelli d’allarme del maschio alfa.
Wes sorrise e mi strinse al pe o. «Ha sguinzagliato i cani?»
«Se per “cani” intendi il suo investigatore privato, sì. Max è
peggio che paranoico, questo lo sai.»
Mi strinse più forte. «Ti ho de o quanto mi piace tuo fratello? È
proprio un bravo ragazzo.» Fece uno sguardo sognante da gui o.
Ridacchiai e gli strofinai il naso sul pe o. Sentire il profumo del
dopobarba e l’odore dell’inverno addosso a lui mi suscitarono un
fremito di eccitazione che mi fece pulsare il sesso alla sola idea di
fare di nuovo l’amore con lui.
«Sì, lo è.»
«Che cosa ha scoperto?» Mi preme e le mani sulla schiena,
massaggiandomi per alleviare la tensione di una giornata di viaggio
e della camminata in centro ad Aspen.
Geme i quando toccò un punto particolarmente indolenzito.
«Mmh, dice che il tizio è un veterano in pensione. Laureato in
proge azione archite onica. Ha fa o parecchi soldi creando case di
montagna in giro per il mondo. Tu o a posto, a quanto pare.
Avrebbe approfondito le ricerche, ma non sembrava granché
preoccupato. Sopra u o quando gli ho de o che saresti venuto con
me.»
Le mani di Wes risalirono lungo la schiena fino alla nuca. Mi fece
girare la testa per guardarmi negli occhi. «Non perme erò che ti
succeda niente. Sei la mia vita. Sei tu o per me. Non voglio vivere in
un mondo dove tu non ci sei.»
«Vale anche per me» sussurrai.
Si chinò in avanti e posò le labbra sulle mie, un gesto lieve come
una piuma. Quando riprese a parlare, fu come se si rivolgesse
dire amente al mio cuore.
«Ti proteggerò sempre. Da chiunque e da qualunque cosa.» Sfregò
il naso contro il mio e si scostò leggermente. «Che si tra i di cose di
lavoro, della tua famiglia o di fantasmi che spuntano dal nulla. D’ora
in avanti, Mia, affronteremo tu o insieme.»
Annuii. «Okay, baby. Lo affronteremo insieme» dissi e appoggiai
la fronte alla sua. Quel semplice conta o fece svanire ogni
preoccupazione, qualunque dubbio o timore avessi riguardo alla
possibilità di avere visto mia madre o a come avrei dovuto sentirmi.
«Posso baciarti adesso?» chiese con la voce bassa e roca, quella di
un uomo che sta per perdere il controllo. Volevo proprio quello. Ne
avevo bisogno.
Sorrisi. «Ti prego, baciami adesso.»
2

Secondo il sito web la Zane’s Tavern era il locale dove la gente del
posto andava per vedere gli amici, rilassarsi, farsi una birra e
qualche ale a di pollo fri o. Wes concordava con la descrizione.
Quando frequentava l’università, lui e i suoi amici della confraternita
si ritrovavano al pub dopo una giornata passata sulle piste e
abbordavano qualche coniglie a delle nevi in a esa di uno studente
sexy e ricco che le facesse girare la testa e la portasse nello chalet di
famiglia. All’epoca Wes ci andava solo per divertirsi. Adesso mi
stava facendo scendere i gradini che portavano a una serie di porte
con il telaio verde scuro. Una grande insegna re angolare sopra
l’ingresso sbandierava orgogliosamente ZANE’S TAVERN in grandi
le ere dorate a rilievo su sfondo nero.
Mi sembrava illogico che i clienti dovessero scendere dei gradini
per entrare nel locale, visto che in questa zona del paese nevicava
parecchio. Avrebbe avuto più senso doverli salire, così l’ingresso non
sarebbe rimasto bloccato dalla neve. Ma forse era un modo per
indurre le persone a rimanere nel locale a spendere soldi senza
sembrare squallidi.
Wes mi tenne la porta aperta. Il posto era accogliente e mi fece
venire in mente il Declan’s di Chicago dove ero stata con Hector e
Tony in occasione di San Patrizio. Quel giorno era una delle molte
ragioni per cui Wes e io stavamo insieme. Era sbucato dal nulla e mi
aveva fa o passare una no e indimenticabile, poi se n’era andato
lasciandosi dietro nient’altro che un profumo maschile e l’odore del
sesso. Sapevo che c’era di più già allora, anche se avevo fa o di tu o
per negarlo, al punto da concedermi una no e di sesso con Alec in
aprile. Quando avevo scoperto che Wes si scopava Gina DeLuca, la
protagonista del suo film, mi ero imposta di prendere le distanze.
p g p p
Per la miseria, avevo passato un mese a godermi il corpo di Tao nel
tentativo di dimenticare il surfista sexy. Non aveva funzionato.
Semmai mi aveva fa o capire cosa volevo in una storia a lungo
termine.
La mano di Wes era calda sulla schiena mentre mi guidava nel
locale seminterrato. C’erano diversi schermi TV pia i disseminati qua
e là che trasme evano una partita di baseball. Da quella distanza
non capivo chi giocasse, ma a giudicare dai clienti con indosso
maglie di diversi colori e gli occhi incollati agli schermi era chiaro
che si tra ava di un evento importante.
Wes mi guidò verso il bancone e mi aiutò a togliermi il piumino,
sistemandolo sullo schienale della mia sedia.
«Allora, quando arriva questo tizio?» Wes guardò l’orologio
mentre sistemava la sua sedia e si sporgeva sul bancone. In un’epoca
in cui gli uomini guardavano il cellulare per sapere l’ora, vedere un
uomo con un orologio da polso rivelava qualcosa. Wes era più
tradizionalista e vecchio stampo di quanto gli piacesse amme ere.
«Credo alle se e.»
Lui annuì. «Prendiamoci una birra. Sono le sei e un quarto, quindi
abbiamo un po’ di tempo.»
«Un drink mi farebbe bene, poco ma sicuro.» Feci un sospiro e
appoggiai il gomito sul ripiano lucido.
Wes mi mise una mano sulla spalla e la strinse. «Dolcezza, non
succederà niente finché ci sono io. Sei al sicuro con me. Se questo
tizio è un viscido, me erò le cose in chiaro. Fine della storia. Tu non
preoccuparti di niente se non di goderti un drink con il tuo uomo.
Intesi?»
«Sì, grazie.» Misi una mano sulla sua e mi abbassai per baciargli il
polso lasciato scoperto dalla maglia pesante.
«Che cosa ti andrebbe?»
Strinsi le labbra e guardai la scelta di birre alla spina. «In realtà
prenderei un sidro, se ce l’hanno.»
Si avvicinò il barista. «Ehi, Weston Channing! Che accidenti ci fai
qui, fratello?» lo apostrofò l’uomo, che aveva una folta barba rossa e
la bocca a eggiata a un gran sorriso. Aveva denti perfe i e gli occhi
quasi dello stesso colore dei capelli, un castano rossiccio. Indossava
q p
una camicia a quadri neri e rossi aperta su una semplice T-shirt
bianca. I jeans che avevano visto giorni migliori finivano su un paio
di scarponcini di sicurezza tu i impolverati. Non era certo il genere
di persona che sta seduta dietro una scrivania. No, probabilmente la
scrivania l’aveva costruita con il legno dell’albero che aveva tagliato
lui. Era un uomo grande e grosso che portava con stile gli abiti da
taglialegna.
Wes strinse la manona che gli era stata offerta. Ora, il mio ragazzo
era più alto della media e muscoloso. Ma quel tizio aveva l’aria di
uno che poteva spezzare in due senza sforzo una tavola di legno a
mani nude. Dava del filo da torcere a mio fratello Max in fa o di
uomini massicci e ben piazzati.
«Alex Corvin! Come stai, amico?» esclamò Wes, stringendo la
mano dell’uomo e prendendogli l’altra. Mi piaceva un sacco quando
i ragazzi facevano così. Secondo me, era indice del fa o che ci
tenevano l’uno all’altro.
Il tipo scosse la testa, facendo oscillare la lunga barba: che strano
effe o! Non conoscevo nessuno che portasse la barba a quel modo,
ma questo ragazzo lo faceva con stile. Dovevo amme ere che era
sexy. Apprezzavo il look da tagliaboschi; be’, scomme o che lo
avrebbe apprezzato la maggior parte delle donne. Quel pensiero mi
strappò un sorriso. Dovevo fargli una foto e mandarla a Gin. Si
sarebbe scatenata con le sue buffonate divertenti e, tesa com’ero, mi
avrebbe fa o bene ridere un po’ con lei.
Wes mi circondò con un braccio. «Alex, questa è la mia fidanzata,
Mia Saunders. Mia, lui è Alex. Andavamo a scuola insieme.»
Gli porsi la mano, che sparì nella sua zampaccia enorme. Che
roba.
«Piacere, Mia. Dannazione, Wes.» Alex sorrise e si morse il labbro.
«Scomme o che ti me e il pepe al culo. Non è così?»
«Anziché il bromuro nel caffè?» dissi io, incapace di tra enermi.
Wes e Alex ge arono indietro la testa e scoppiarono a ridere.
Alex si accarezzò la barba facendomi venire in mente quei Babbo
Natale dei centri commerciali che fingono di rifle ere se un bambino
è stato buono o ca ivo.
Wes sorrise e mi baciò la tempia. «Oh, è la donna perfe a per
me.»
Alex appoggiò i gomiti al bancone e mi guardò con aria da
cospiratore. Accennò con la testa in direzione di Wes. «Se questo
ragazzo non ti tra a come si deve, e ti serve un vero uomo, sai a chi
rivolgerti, eh?» disse in tono seducente.
Wes lo spinse via me endogli una mano sulla fronte. «Levati dai
piedi!»
Si misero a ridacchiare. «Allora, Alex, l’ultima volta che ti ho visto
lavoravi a Wall Street. Non avevi quest’aria da montanaro pazzo. E
adesso sei qui a servire birre e hamburger?» gli chiese Wes,
preoccupato.
Alex pulì il bancone davanti a noi. «Lascia che vi porti qualcosa
da bere, poi torno e ti spiego.»
Ordinammo i drink. Portò un sidro di pere a me e una Guinness a
Wes, poi servì un altro paio di clienti prima di riavvicinarsi a noi.
«Allora, ecco com’è andata.» Incrociò le braccia massicce e
giocherellò con la barba prima di riprendere a parlare. «Ho fa o un
mucchio di soldi a Wall Street, giusto?»
Wes annuì e sorseggiò la birra scura. Sul labbro superiore gli
rimase un baffo di schiuma e io lo fissai come se contenesse le
risposte a tu e le domande dell’universo. Incapace di resistere, mi
sporsi verso di lui, lo pulii con il pollice e mi leccai il dito. Wes inarcò
le sopracciglia e mi guardò con gli occhi pieni di desiderio.
«Non cominciare» mi avvertì, capendo perfe amente cosa mi
passava per la testa.
Mi ricomposi e rivolsi l’a enzione ad Alex, che aveva smesso di
parlare.
«Vai avanti» lo incoraggiò Wes con un cenno della testa.
«Sicuro? Sembra su di giri. Ho una bella scrivania sul retro che
potete usare se proprio non riuscite a resistere» disse con un ghigno.
Mi sentii avvampare, di sicuro ero diventata rossa come un
peperone.
«Tranquillo, amico. Va tu o bene. Lei avrà quel che si merita
quando torniamo a casa» disse e mi strizzò l’occhio. Capito? Il
bastardo me l’avrebbe pagata. Far sembrare che l’arrapata fossi solo
io.
Mi appoggiai il bicchiere freddo alla guancia, godendomi la
sensazione di refrigerio, mentre Alex riprendeva a parlare.
«Ho scoperto che odiavo lavorare con i numeri a meno che non
fossero collegati con individui reali. Mi piace interagire con gli altri,
conoscere nuove persone, offrire un posto dove la gente può venire a
rilassarsi. Lo stress, la tensione mi stavano uccidendo, amico. Così ho
mollato.»
Wes si strozzò con la birra. «Hai mollato? Ma non stavi facendo
un mucchio di soldi?»
«Già. Abbastanza per comprare il locale dal tizio che lo
possedeva, investire un po’ di denaro per una casa quassù e adesso
godermi l’aria pura senza smog. Ogni. Dannato. Giorno. Amo la mia
vita.»
«E che mi dici di una donna?» chiese Wes.
A quella domanda Alex incurvò le spalle, come se gli avessero
caricato sulla schiena un sacco di cemento. «Un giorno o l’altro»
rispose, con un tono che mi spinse a credere che sarebbe successo
perché era aperto alla possibilità.
Wes posò una mano sul braccio dell’amico con un gesto
affe uoso. «Sono felice per te.»
Alex mi guardò, fece un sorrise o e mi rivolse un cenno di
approvazione maschile. «E io sono molto felice per te.»
«Nessuna lamentela al riguardo» disse Wes e mi circondò con un
braccio, a irandomi a sé.

Quando finimmo i drink, Wes ne ordinò un altro giro. Subito dopo


sentii qualcuno ba ermi sulla spalla.
«Ehm, lei è Mia Saunders?» chiese una voce profonda dietro di
me.
Feci girare lo sgabello e alzai lo sguardo, poi dove i alzarlo
ancora per incontrare finalmente il viso dai tra i marcati di un uomo
con una massa di folti capelli scuri che gli ricadevano sugli occhi. La
mascella squadrata era rasata di fresco e sul mento aveva una di
quelle fosse e che ti fanno venir voglia di appoggiarci un pollice per
q g pp gg p p
tenerlo fermo quando lo baci. Be’, lo avrei baciato se avessi avuto
trent’anni di più e fossi stata alla ricerca di un gentiluomo aitante.
Indossava una maglia termica a nido d’ape con sopra una camicia a
scacchi sbo onata. Doveva essere quello che si chiamava stile da
tagliaboschi, visto che Alex era vestito nello stesso modo ed era
almeno venticinque anni più giovane.
«Ma certo che lei è Mia» aggiunse passando in rassegna i miei
lineamenti. Capelli, faccia, fisico, ma con un’occhiata sbrigativa.
Osservò più a lungo i miei occhi, e io sentii un brivido lungo la
schiena.
Wes si alzò in piedi e mi si mise davanti, prote ivo come al solito.
Solo che questa volta mi fece piacere, perché quest’uomo mi
guardava come se mi conoscesse, il che era sconcertante.
«Lei è Kent?» chiese Wes.
Kent stese la mano. «Kent Banks. Sono la ragione per cui siete
qui» rispose.
Wes gli strinse la mano e si presentò. Io feci lo stesso.
Kent indicò un séparé su un lato del locale. «Vi dispiace se ci
sediamo un momento?»
«No, certo. Grazie» risposi, prendendo in mano il sidro. Wes mi
imitò e afferrò la Guinness ancora quasi inta a.
Kent scelse un séparé un po’ defilato dove c’era meno baccano.
Con la partita al terzo quarto il locale si era fa o chiassoso. La gente
non sembrava avere preferenze per una squadra in particolare.
Quasi ogni azione veniva accolta da grida di esultanza, ba ere di
mani e commenti a voce alta. Ci ero abituata, visto che ero cresciuta
a Las Vegas e avevo lavorato spesso nei bar. Il rumore non mi dava
fastidio e riuscivo a escluderlo senza problemi.
Ci sedemmo e io andai dri o al punto. «Allora, Mr Banks, le
dispiacerebbe dirci perché ha sborsato del denaro per farmi venire
qui a realizzare una puntata sugli artisti locali, uno dei quali è sua
moglie?»
Kent aggro ò la fronte. «Non ho tirato fuori un centesimo per
farla venire qui» disse con espressione contrariata, incrociando le
braccia.
Lanciai un’occhiata a Wes. Era sconcertato quanto me.
«L’assistente del mio capo ha de o che lei ha donato del denaro per
farmi venire qui di persona a realizzare una puntata su sua moglie,
un’artista locale.»
L’uomo scosse la testa. «Non è vero.»
«Ehm, allora credo ci sia un malinteso. Non ha chiesto di me?»
chiesi, esitante. Se le cose non stavano così, perché mi trovavo lì e
perché era venuto in quel pub per parlare di lavoro prima
dell’intervista?
«Ho chiesto di lei, sì, ma non nel modo che mi sta dicendo.»
Wes mi bloccò con un gesto della mano quando feci per riba ere.
Non aveva senso, e lui non parlava chiaro. Detestavo quando le
persone si comportavano così. Mi faceva sentire un’idiota.
«Mr Banks, quello che la mia fidanzata e io stiamo cercando di
capire è perché ha chiesto che Mia venisse qui. Lei nello specifico.»
Kent giocherellò con il so obicchiere di cartone che c’era sul
tavolo. «Pensavo che sarebbe stata la vetrina giusta per mia moglie.
Il suo lavoro è veramente buono, e lei realizza cose sulle persone che
creano bellezza. Probabilmente perché è così bella lei per prima. Le
riesce facile. Mia moglie, ehm, ha visto lo show e si è…
entusiasmata.» Si guardò intorno nel locale. C’era qualcosa che non
diceva. A Las Vegas imparavi a leggere le espressioni facciali della
gente, o i segnali del corpo, come dicevano nell’ambiente del gioco
d’azzardo. Kent Banks non stava raccontando tu a la verità.
«Entusiasmata?» dissi.
«Sì. Non è il tipo di donna che si fa convincere facilmente.
Quando l’ha vista in TV , io… be’… sapevo che avrei dovuto farla
venire qui.»
Scossi la testa. «Perché io?»
Di nuovo il suo sguardo parve passare in rassegna ogni mio
lineamento. Era inquietante. Mi faceva sentire insicura, spingendomi
a chiedermi se quello che vedeva non gli piaceva. Non che me ne
importasse. In genere ero sicura di me, ma gli occhi indagatori di
quel montanaro mi facevano sentire… piccola.
«Non era necessario che fosse lei. Avrebbe potuto essere
chiunque.»
q
Stava cercando di sembrare noncurante, ma quella stronzata non
me la bevevo. In passato uomini come mio padre, Blaine e altri mi
avevano rifilato un sacco di balle; questo tizio era volutamente
evasivo e io non capivo perché.
«Mi racconti qualcosa di sé.» Avevo bisogno di saperne di più
sulla persona che mi aveva trascinata in quel posto prima di
chiamare Shandi e farle il culo.
Avevo la sensazione sempre più forte che la stronza mi avesse
messo nei guai. Probabilmente mi voleva fuori dai piedi per un po’
in modo da avere il do or Hoffman tu o per sé. Che strana ragazza.
Lui era follemente innamorato della moglie, una starlet di
Hollywood, eppure la sua assistente stava facendo di tu o per
tenermi lontana da lui. Sapeva che io avevo perso la testa per Wes,
ma insisteva a fare in modo che non fossi in studio.
E poi c’era questo montanaro con la sua storia. Non aveva senso.
Quando le cose non avevano senso, mio padre diceva sempre:
“Scava più a fondo”. Dal momento che Kent mi aveva fa a andare
fin lì, doveva esserci qualcos’altro. Qualcosa che mi sfuggiva.
Kent fece un cenno alla cameriera e ordinò una Coors. Quando la
ragazza si allontanò, fece un sospiro e disse: «Sono un veterano in
pensione. Ho fa o qua ro periodi di servizio come militare. Mi sono
laureato in archite ura tardi e ho usato i miei conta i nel governo
per assicurarmi qualche grossa commessa. Lo faccio da quindici anni
e ho la vita che volevo: una brava donna, denaro in banca, una bella
casa e della terra. Il sogno americano. Tu o quello che ho sempre
desiderato».
«Figli?» chiesi.
Socchiuse gli occhi. «No. Li avrei sempre voluti. Ma non ne ho
avuti.»
«Perché no?»
«Non era mai il momento giusto. Ho fa o il militare fino a
trentacinque anni e ho conosciuto la mia donna a quaranta. Lei non
voleva figli.»
Bevvi un lungo sorso di sidro. «Sua moglie fa l’artista qui?»
Fece di sì con la testa. «Ha una galleria sulla Main che si chiama
Qua ro Emme.»
«Qua ro Emme. Il numero e la le era?» chiesi in modo da sapere
dove andare il giorno dopo.
«Sì.»
«Che cosa significano? Il qua ro e la emme, voglio dire.»
Lui scosse la testa e sul viso gli comparve un’espressione cupa.
«Non lo so con esa ezza. Ha de o che tempo fa rappresentavano
qualcosa di importante che si è lasciata alle spalle.»
Wes finì la Guinness e rimise il boccale sul tavolo. «Be’, la cosa
non è esa amente divertente. Senta, Mr Banks, sono sicuro che lei è
una brava persona, ne ha tu a l’aria. Però Mia non dovrebbe essere
qui in circostanze poco chiare.»
«E questo cosa significa?» riba é Kent in tono ruvido, quasi aspro.
«Significa che non ho intenzione di perme ere che la mia futura
moglie venga presa in giro da una sciacque a di assistente male
informata. Mia, tesoro, sono sicuro che se chiami il do or Hoffman
possiamo chiarire la faccenda e tornarcene a Malibu prima di
Natale.»
«Malibu. È da lì che viene?» Sembrava sorpreso, come se credesse
che abitassi da un’altra parte.
«Sì» risposi, pensando all’occasione mancata di un Natale con la
neve. Non volevo andarmene.
«Be’, si è sobbarcata un bel viaggio e sarebbe un peccato non fare
quello per cui è venuta. Mia moglie ha talento e sono sicuro che se
visita la sua galleria e quella degli altri artisti del posto potrebbe
trovare qualcosa che cerca da tempo. Un pezzo di sé» disse con aria
misteriosa. «L’arte è capace di fare questo. Di aprire l’anima,
lasciando entrare la luce dove prima c’era solo oscurità.»
Tirai indietro la testa di sca o. «Sta dicendo che ho un’anima
oscura?»
Sba é le palpebre lentamente. «Assolutamente no. Perché è giunta
a questa conclusione?» riba é, ritorcendomi contro le mie parole.
«A questo punto penso che dovremmo salutarci. Grazie per essere
venuto, Mr Banks. Tu a questa faccenda è… Sembra… non so» –
scossi la testa e mi ge ai i capelli dietro le spalle – «sbagliata, in un
certo senso.»
Si alzò, mise le mani in tasca e mi guardò fisso. Mi esaminò di
nuovo, anche se questa volta non mi diede i brividi. Era come se
guardasse qualcuno che assomigliava tantissimo a una persona che
conosceva, un sosia. Una volta Maddy mi aveva de o che ognuno di
noi ha un sosia, un doppio, da qualche parte.
«Spero che decida di rimanere, Mia. Ho il presentimento che
troverà qualcosa che non si aspe ava di trovare.»
Mi misi a ridere. «È un indovino o cosa?»
Fece un sorrise o. «No. Solo un vecchio saggio.»
«Vecchio? Ma se non avrà più di cinquant’anni.»
«Cinquantacinque.»
«Be’, non è vecchio. Giovane nel cuore.»
«Credo che tu e le persone siano guidate dal cuore, in un modo o
nell’altro.» Se ne uscì con altre osservazioni senza senso che, a dirla
tu a, era proprio bizzarro sentire dalla bocca di un
veterano/archite o. «Spero che decida di rimanere. Considererei una
benedizione impartita a me personalmente se lei volesse visitare le
gallerie.»
“Una benedizione. Be’, una scelta di parole a dir poco originale.”
Wes mi aiutò a infilarmi il piumino. «Ci vediamo.»
«Sì. Sono convinto che nei prossimi giorni si apriranno parecchi
occhi.»
Strinsi le labbra. «O-kay.»
Wes mi prese so obraccio. Io mi girai e salutai con la mano
l’omone.
Lui rispose muovendo piano le dita, come se fosse rilu ante a
dirmi addio.
Wes mi portò in fre a all’auto e mi aiutò a salire. Dopo essersi
messo al volante, si girò a guardarmi. «Non so cosa pensare di quel
tizio.»
«Era inoffensivo. Ho intenzione di dirne qua ro a quella Shandi
per averci fa o fare un viaggio inutile. Non è carino.»
«No, infa i. Ma tu cosa vuoi fare? La troupe arriva domani sera.
La famiglia ci raggiungerà alla fine della se imana per passare
insieme il Natale. Vuoi annullare tu o e tornare a casa? Natale sulla
spiaggia?» Inarcò le sopracciglia in modo evocativo.
p gg p g
Misi il broncio e lo guardai, sba endo lentamente le palpebre.
Scrollò le spalle. «Bianco Natale?»
Feci un gran sorriso. «Bianco Natale.»
«E va bene, piccola. Che bianco Natale sia! Vuoi realizzare la
puntata?» chiese.
Ci pensai su, cercando di capire come avrei potuto rifiutare. Di
solito sceglievo io l’argomento, ma intervistare gli artisti locali non
era una bru a idea. I fan avrebbero apprezzato, sopra u o in quel
periodo dell’anno, quando alla gente piace dedicarsi ai lavore i
manuali.
«Penso che dovremmo» rifle é Wes. «Sarebbe abbastanza facile.
Visiti le gallerie, parli con gli artisti e mostri l’arte locale dove viene
realizzata. Si addice alla stagione.»
«È vero. E poi adesso sono curiosa di conoscere la moglie di
quest’uomo. Tu no?»
Wes fece un cenno di diniego. «Non proprio. Ho la sensazione che
ci arriverà una bru a bo a.»
Sbuffai. «Una bru a bo a?»
«Sì. Hai presente, tipo» – colpì con una mano il crusco o dell’auto
– «una bru a bo a!» urlò.
«Sei fuori di testa!» ridacchiai.
«Questo lo dico io.»
«Non più. Ti sei appena aggiudicato il trofeo.»
Allargò le mani come se reggesse un trofeo dorato. «Dedico
questo premio alla mia bellissima moglie, Mia, la cui pazzia non
conosce limiti, che è brava a tra are con i ma i, adora averci a che
fare… li a ira come mosche sul miele…»
Abbassai la mano di colpo sul trofeo immaginario che fingeva di
reggere. «Ridammi il mio premio!»
Passammo il resto del tragi o sbellicandoci dalle risate e parlando
di ma i. Ogni genere di ma oidi. Quando arrivammo allo chalet,
eravamo entrambi un po’ suonati.
3

Il corpo accanto al mio si agitava irrequieto. Wes muoveva le gambe


senza posa e borbo ava qualcosa che non capivo. Allungai una
mano e gli misi il palmo sul pe o. Si calmò all’istante, dopo un solo
tocco, l’ennesima prova di quanto fosse profonda la nostra
connessione.
«Mia, amore» sospirò.
Poi riprese a mormorare frasi senza senso. Dalla finestra vidi che
il sole iniziava appena a spuntare sopra l’orizzonte. Avevo lasciato le
tende scostate e così la prima cosa che vedevo aprendo gli occhi era
la parete di montagne bianche immacolate. Era un panorama
completamente diverso dallo Strip di Las Vegas o dalla distesa
dell’oceano di Malibu. Mi piaceva moltissimo; apprezzavo il fa o
che Dio ci avesse donato quella varietà di paesaggi. Questo era
particolarmente bello. Mi chiesi come sarebbe stato in primavera.
Tu o verde e lussureggiante, mi avrebbe fa o venir voglia di
a raversarlo in bici e di percorrerlo a piedi. Avrei chiesto a Wes di
portarmici in stagioni più calde.
«Ti prego, Mia… solo… ti prego.»
La sua voce era soltanto un sussurro ma questa volta avevo udito
ogni parola.
“Ti prego” cosa? Mi tirai su a sedere e lo guardai. Aveva il pe o
nudo, percorso da muscoli tonici e scolpiti. Aveva ripreso parte dei
chili persi durante la prigionia. Aveva usato la palestra di casa e
l’oceano per definire i muscoli e adesso il suo corpo era perfe o.
Guardandolo fui a raversata da un’ondata di desiderio e mi bagnai
in mezzo alle cosce. Incapace di resistere, gli sfiorai il pe o con la
punta di un dito.
Wes geme e e girò la testa di lato come se cercasse di avvicinarsi
a me nonostante fosse immerso nel sonno. Tirai indietro le coperte e
gli vidi il membro semiere o. Mi venne l’acquolina in bocca. Era
mio, solo mio. Nessun’altra donna avrebbe potuto toccarlo,
succhiarlo o fo erlo tranne me. Apparteneva a me. E io a mia volta
appartenevo a Wes, io e tu o quello che mi riguardava. Era uno
scambio appena equo. Non ero un trofeo, ma in quel momento avrei
potuto fare tu o quello che volevo al mio uomo, e lui si sarebbe
arreso. Senza riserve, completamente, lascivamente.
Sapere che avevo potere sui desideri di un altro, che potevo
dispensare piacere a volontà mi diede alla testa.
Scostai del tu o le coperte, mi misi a cavalcioni di Wes e scivolai
verso il basso. Avvicinai la faccia al suo pene e inalai. Il suo odore
muschiato da maschio mi inebriò i sensi, facendomi stringere i
pugni. Wes. C’era solo un uomo con quell’odore e avrei giurato che il
mio corpo lo conoscesse. A un livello viscerale, primitivo, sapeva
qual era il suo compagno.
Usando solo la lingua, gli sfiorai la punta del membro. Il sapore
salato e forte mi solleticò le papille, risvegliandomi tu o il corpo. Mi
sollevai, con il sesso pulsante, pensando solo a prendere quel grosso
pene fino in fondo… ma non subito.
Rimasi con la bocca vicina al suo membro, il respiro rovente di
desiderio. Il cazzo si mosse appena e Wes si lasciò sfuggire un
gemito mentre l’erezione si ingrossava so o i miei occhi. Era
magnifico guardare la magia della sessualità maschile, osservare
l’eccitazione montare al centro del corpo con una potenza che non
aveva uguali. Fissai affascinata Wes diventare duro. Non avevo mai
pensato che un pene fosse bello, ma quello di Wes lo era. A riposo
era di dimensioni notevoli e spuntava da una massa ordinata di peli.
Ma ere o era da perderci la testa. Ero convinta che avesse le
dimensioni perfe e per darmi piacere. Lungo, grosso e duro come il
marmo al solo accenno di scoparmi. Era la cosa che mi piaceva di
più. A volte gli uomini ci me evano un po’ a eccitarsi. Wes no.
Bastava una parola e lui era pronto a sba ermelo dentro fo endomi
in piedi contro la parete più vicina. Il suo desiderio sessuale era in
sintonia con il mio. Le due metà perfe amente combacianti di un
intero.
Gli leccai il pene dalla base alla punta. Wes si inarcò, gli
addominali si gonfiarono e le sue mani mi presero la testa. Non mi
fermai. Sveglio o meno, il mio uomo amava la mia bocca, e io lo
volevo più della mia stessa vita.
Succhiandogli la punta, alzai lo sguardo. Lui mi fissava con gli
occhi assonnati, sba endo lentamente le palpebre. Gli accarezzai la
punta con la lingua, godendomi la goccia di liquido pre-eiaculatorio.
Geme i quando il suo sapore salato mi solleticò le papille gustative.
«Sei una dea. Non rinuncerò mai a un amore come il nostro» disse
a denti stre i mentre gli davo piacere.
Mormorai qualcosa con il suo membro in bocca e poi lo presi più
in fondo che potevo, stringendo con la mano la base. Lasciò ricadere
indietro la testa, tenendomi per i capelli. Sapevo che avrebbe voluto
muoversi ma si stava tra enendo e lo amai ancora di più per quello
sforzo eroico. A parti invertite, mi sarei sfregata contro di lui dopo
mezzo secondo… e sapevo che questa cosa gli piaceva.
Sdraiata sopra le sue gambe, strofinai contro la sua coscia il mio
sesso pulsante. Quando percepì quanto ero bagnata, inspirò
bruscamente. «Piccola, girati e me imi la fiche a davanti alla faccia.
Adesso.»
Scossi la testa e lo succhiai da cima a fondo.
«Per te. Non per me.»
Rinsaldò la presa sui capelli e mi costrinse a sollevare la testa. «Se
è il mio piacere che vuoi, girati e dammela. Voglio sentire il tuo
sapore dolce quando vengo. Adesso. Girati» mi intimò rauco.
Troppo eccitata per riba ere, feci come mi aveva de o, me endo
le ginocchia sul cuscino. Wes mi passò le dita in mezzo alle cosce.
«Dio santo. Sei già venuta?»
Feci di no con la testa, incapace di parlare mentre mi toccava in
quel modo.
«Mia, sei fradicia. Quando mi vuoi così, devi prenderti quello che
ti serve. Adesso dimmi: di cosa hai bisogno?» mi chiese, la bocca a
pochi centimetri dal mio sesso bagnato.
Respirai forte. «Di venire» ammisi spudoratamente.
p p
«Allora godi.» Mi appoggiò una mano sulla schiena e risalì fino
alla nuca. «Con il mio cazzo in gola.»
Appoggiai le labbra alla base del suo membro senza aspe are un
secondo, e risalii fino alla punta, da cui colava abbondante il liquido
pre-eiaculatorio. Quando gli presi in bocca la grossa cappella,
ansimai, perché proprio in quel momento Wes mi succhiò con forza
il clitoride. Poi mi fece abbassare la testa, spingendomi il pene in
fondo alla gola e inarcandosi contro la mia bocca mentre mi
penetrava con le dita.
Iniziai a godere, contraendomi e pulsando mentre l’orgasmo mi
squassava il corpo. Ero alla sua mercé: le sue labbra sul clitoride, le
dita dentro che mi tenevano sollevata e il membro ficcato in gola.
Capendo che avevo bisogno d’aria, Wes mi fece sollevare la testa
tirandomi per i capelli. Nonostante fossi appena venuta, il dolore
dello stra one, unito al piacere che mi stava dando con le dita e con
la bocca, mi fece eccitare di nuovo.
«La bocca, Mia. Usala per farmi venire e poi ti faccio godere di
nuovo.»
Mi riscossi come se mi svegliassi da un sogno e mi misi al lavoro.
Ogni volta che gli passavo la lingua sul membro, lui mi leccava la
fiche a, e quando lo succhiavo lui mi stringeva il clitoride tra le
labbra. Lo presi in fondo, muovendomi su e giù, e lui fece lo stesso
scopandomi con la lingua. A un certo punto mi mise le mani sulle
natiche, allargandole. Mi stuzzicò la rose a dell’ano con la punta
della lingua e poi scese di nuovo verso il sesso. Mi spinsi all’indietro
contro di lui, cercando il piacere, e lui non si fece pregare…
Gli strinsi forte la base del pene, bloccandogli l’orgasmo.
«Ma che cazzo…» ruggì mentre io mi spostavo velocemente.
Prima che potesse reagire, mi posizionai sopra di lui dandogli la
schiena e lo presi dentro fino in fondo. Urlammo tu i e due. Mi mise
le mani sui fianchi e mi tenne stre a mentre io lo montavo al
contrario. Quella posizione era dolorosa; a ogni affondo mi
sembrava di essere impalata nel peggiore dei modi, ma la sensazione
era anche di immenso piacere. Mi piegai in avanti appoggiandogli le
mani sugli stinchi per sostenermi.
«Dio santo» ansimò.
Mi conficcò le dita nella carne dei fianchi. Piegata in avanti a quel
modo, avevo il suo pene così in fondo che riuscivo a malapena a
respirare.
«Cazzo» disse tra i denti.
Rimasi ferma per qualche istante, lasciando che il mio corpo si
abituasse all’intrusione. Ero totalmente impreparata alla sensazione
che mi dava prenderlo in quella posizione. Pensai che se mi fossi
raddrizzata l’avrei sentito arrivare in gola. Mi sollevai sulle ginocchia
e iniziai a muovermi, sperimentando quella nuova sensazione. Era
come se tu e le mie terminazioni nervose fossero percorse dalla
corrente ele rica mentre lui mi penetrava aprendomi come mai
prima e sfregando l’erezione enorme contro il mio punto G.
«Wes» dissi con voce strozzata, aumentando il ritmo. Volevo
sentire di più.
«Brava, piccola, prendimi fino in fondo. Più forte. Puoi farlo»
disse gemendo e inarcandosi verso di me.
Quando finalmente mi ero abituata a sentirlo in quel modo, mosse
una delle mani che mi tenevano per i fianchi e percepii una
sensazione umida intorno all’ano. Wes massaggiava l’entrata proibita
con movimenti circolari. Persa nell’assaporare quel nuovo piacere,
ruotai il bacino. Quando mi sollevai, lui mi infilò dentro il pollice; e
quando mi riabbassai, lo spinse più a fondo.
«Oddio. Non so se ce la faccio…» Cercai di so rarmi, ma Wes me
lo impedì.
«Tu prendi tu o quello che ti do, Mia.» Wes continuò a
penetrarmi con il pollice mentre io lo montavo furiosamente, persa
nel piacere travolgente della doppia penetrazione.
«Un giorno avrò tu o. Tu o quello che hai da dare, e lo custodirò
con cura. Lo proteggerò con tu o me stesso.» Aveva parlato con la
voce piena di emozione, o lussuria, o forse entrambe le cose. Non lo
sapevo. L’unica cosa di cui ero consapevole era lui che mi riempiva,
mi completava, e mi stravolgeva la vita.
«Dio, quanto ti amo» dissi sollevandomi, abbassandomi, ge ando
indietro la testa e godendo con lui dentro fino in fondo. Continuò a
scoparmi il culo con il pollice, portando l’orgasmo a una tale
intensità da lasciarmi senza fiato.
«Oh, senti come mi stringe la tua fiche a meravigliosa»
commentò, poi sfilò il pollice, mi prese per la vita e iniziò a muoversi
cercando lo sfogo. Affondò nel mio corpo e gode e dentro di me con
un lungo gemito di piacere. Era troppo. Troppe sensazioni. Troppo
amore. Troppo… tu o. Vidi nero.

Mi svegliai con le dita di Wes tra i capelli, la testa appoggiata al suo


pe o nudo. Provai a fle ere le dita dei piedi e sentii
l’indolenzimento nei muscoli della pancia, della schiena e della parte
inferiore del corpo. A dirla tu a, mi sentivo come se avessi montato
un cavallo imbizzarrito e fossi caduta malamente. Però sapevo di
aver vinto il rodeo.
«Oh, ecco la mia ragazza. Per un a imo ti avevo persa.»
«Quanto tempo sono rimasta svenuta?» biascicai con la bocca
contro la sua pelle, non volendo muovere neanche un muscolo.
Fece una risatina. «Abbastanza a lungo per consentirmi di uscire
da te, girarti e me erti qui al mio fianco. Non posso credere che tu
abbia perso i sensi.»
«Sì, be’, è stato piu osto intenso» risposi, dandogli un bacio sul
pe o.
Wes continuò ad accarezzarmi i capelli e la schiena. «Vero. Che
cosa ti ha spinta a scegliere quella posizione?»
Alzai le spalle. «Non so. Non avevo mai provato e quando mi hai
fa a impazzire, volevo solo averti dentro. Era più veloce che
girarmi.»
Wes canticchiò a mezza voce. «Questo è vero. Ha funzionato,
devo dire. Mi piace guardare il tuo culo che si muove su e giù sopra
di me. E poi mi offre una visione magnifica del mio pene che ti
sprofonda dentro. Mi piace proprio, piccola.»
«Sporcaccione!» lo rimproverai e sorrisi, poi gli mordicchiai i
pe orali.
«Ehi, continua così e mi assicurerò che tu non riesca a camminare,
dopo» mi avvertì.
Alzai la testa e lui inarcò un sopracciglio. «Sul serio?» borbo ai e
ripresi a baciarlo. Gli passai le mani sul pe o, accarezzandolo come
avrei fa o con un amico peloso, solo che Wes era liscio, ecce o una
leggera spruzzata di peli biondi che arrivavano fino al pube.
«Pensi che sarà sempre così bello?» chiesi, sapendo che non avevo
mai fa o sesso migliore.
Ripensandoci, non ero mai stata con un uomo che mi aveva reso
pazza di desiderio. Con Wes volevo farlo di continuo. Giorno e no e.
Sudato dopo una seduta in palestra, ricoperto di sabbia, sporco di
salsedine dell’oceano, l’avevo preso in tu i i modi. Non sembrava
normale.
Wes mi fece alzare il mento perché lo guardassi negli occhi.
«Penso che quando si è innamorati sarà sempre bello. I nostri corpi
diventano l’espressione fisica dell’impegno reciproco. Quando è
sincero e reale, il risultato non importa. È lo stare insieme, la
connessione fisica e mentale che ci dice che siamo una cosa sola,
quello che conta.»
Sorrisi, mi tirai su e lo baciai lentamente e a fondo. «Voglio avere
questa cosa con te per sempre» dissi in tono solenne, convinta che
avrei fa o di tu o perché quello che c’era tra noi durasse.
Wes mi mise le mani fra i capelli. «Avremo sempre l’amore,
piccola. Tra un anno, dieci, quindici. Riconosco la mia metà quando
la vedo. Nulla mi impedirà di farti mia per sempre. Tra un paio di
se imane, sarai mia ufficialmente, ma questo non cambia il fa o che
lo sei già qui» disse indicandosi il cuore.
Mi commossi sentendolo dichiarare tranquillamente il suo amore
e la fiducia nel nostro futuro insieme.
«No, è vero. Sono tua. Per sempre.» Mi accoccolai contro il suo
pe o e pensai al futuro. Non avevamo parlato molto oltre che del
fa o di stare insieme, del mio trasferimento nella sua casa di Malibu
e del lavoro con il do or Hoffman. «Che cosa vedi nel nostro futuro,
Wes?» gli chiesi, eccitata e un filo nervosa.
Discutere dei proge i per l’avvenire era una cosa che la maggior
parte delle coppie faceva molto prima di sposarsi. E noi, tra due
se imane soltanto, non saremmo più potuti tornare indietro. Non
che avessi dei ripensamenti, niente del genere. Sapevo che la mia
vita era al suo fianco, ma in quale ruolo? Moglie, ovviamente.
Amica, di sicuro, ma cos’altro vedeva lui all’orizzonte?
Wes mormorò tra sé. «Mi stai chiedendo dove ci vedo tra cinque
anni? Come quando fai previsioni di lì a cinque anni dopo esserti
laureato?»
Aggro ai la fronte. «Non sono mai andata all’università, però sì,
una cosa del genere. Che cosa vuoi dal futuro e come mi vedi?»
Mi strinse più forte, a irandomi a sé e avvolgendomi nel suo
calore. Macché Disneyland: il suo pe o era il posto più felice della
Terra.
«Be’, direi che l’anno prossimo o errai molta più popolarità di
quanto tu sappia cosa fartene con Do or Hoffman.» Alzai la testa e
vidi che parlava sul serio. «Non sto scherzando. Penso che il
pubblico ti apprezzi davvero e che i dirigenti della Century stiano
iniziando a capire quanto tu sia preziosa. Non ti lasceranno andare
tanto facilmente, né saranno disposti a perderti se ti verranno offerte
altre opportunità. Perciò dovremo affrontare questa cosa.»
Riappoggiai la testa al suo pe o, felice di ascoltarlo parlare.
«Non vedo l’ora di fare le cose che fanno le coppie sposate.
Barbecue d’estate, cucinare insieme, fare surf…» Sorrise quando gli
sfiorai i muscoli del pe o con le labbra. «Tu lavorerai e io… be’, non
so cosa farò» concluse con un sospiro.
Senza guardarlo, gli feci la domanda da un milione di dollari – o
dovrei dire da parecchi milioni – che era rimasta sospesa tra noi fin
da quando era tornato dall’Indonesia. «E il film?»
Mi affondò le dita nella carne, ma senza farmi male. Capii che
quella questione gli pesava molto.
Lo sentii muoversi e udii il rumore della testa che si spostava sul
cuscino. «È difficile. Non so bene quale sia la cosa giusta da fare. Da
una parte, dovremmo andare avanti con il proge o senza curarci
delle vite perse? Dall’altra, delle persone sono morte per realizzare
questa cosa. Sarebbe una mancanza di rispe o non farlo uscire? Il
denaro che si potrebbe ricavare dal film sistemerebbe le loro famiglie
per un bel pezzo. So che molti di loro avevano figli. Certo,
probabilmente avevano buone polizze assicurative e la compagnia
che copre il film prevedeva clausole di indennizzo nell’improbabile
eventualità che qualcuno morisse sul lavoro, ma nulla può sostituire
la perdita di una persona amata.» Wes respirò bruscamente e
p p p
quando ricominciò a parlare gli si spezzò la voce: «Non possiamo
dimenticarli. Io non li dimenticherò mai».
Alzai lo sguardo proprio mentre gli scendeva una lacrima sulla
guancia. Spostai il peso, mi misi a cavalcioni su di lui e gli presi la
testa fra le mani, per bere le sue lacrime. Gliele asciugai con i baci e
le inghio ii, nella speranza di poterlo aiutare a portare quell’enorme
peso.
«Vuoi il mio parere?» chiesi. Una delle cose di cui uomini come
Wes non avevano bisogno erano consigli non richiesti. Se voleva il
mio, gliel’avrei dato, ma non gli avrei ge ato addosso un peso
ulteriore.
Si schiarì la gola. «Sì.»
«Finisci il film, se puoi. Dai in beneficenza il ricavato alle famiglie,
compreso il tuo compenso, oppure istituisci una fondazione che aiuti
le persone. Credo che parte del problema sia che non vuoi trarre
vantaggio da una cosa che ha avuto un ruolo nella loro morte,
giusto?»
Wes chiuse gli occhi, e agli angoli spuntarono altre lacrime. Annuì
in fre a.
«Okay, allora fai in modo che la loro morte non sia stata inutile.»
Iniziò a respirare affannosamente, con il pe o che si alzava e si
abbassava veloce. Capivo che stava passando un bru o momento.
Eppure il fa o che non mi avesse respinta, scopandomi in fre a e
con furia per sfogare la tensione, ma stesse cercando di vivere il
dolore e le emozioni era un buon segno. Dimostrava che aveva
compiuto un altro passo avanti sulla strada del recupero.
«L’idea mi piace. Istituire una fondazione o devolvere i soldi in
beneficenza, una cosa significativa per ogni vita perduta. Parlerò con
il regista e i finanziatori. Vediamo cosa ne pensano. Stanno tu i
aspe ando che dica qualcosa e francamente non sapevo nemmeno
da che parte cominciare.»
Gli sorrisi e gli sfiorai le labbra con i polpastrelli. «Tirarsi indietro
per cercare di affrontare la cosa non è sbagliato. Ma nascondersi per
sempre, senza riconoscere ciò che si è perduto, è un errore, invece.
Penso che tu sappia cosa fare.»
Wes annuì e mi mise una mano su una guancia. «Sei il mio faro in
un’esperienza davvero terribile. Lo sai, vero?»
Gli accarezzai la mano che mi teneva sul viso. «Ti illuminerò la
ro a ogni giorno, tu i i giorni.»
«Quella luce mi porta a te, Mia» disse in tono tenero e rivelatore.
«E sarà sempre così. Ora dimmi: che cosa hai intenzione di fare
dopo aver affrontato la faccenda di questo film? Tornerai al tuo
lavoro?»
Scosse in fre a la testa. «No. Non subito, almeno. Ho intenzione
di tornare a ciò che conosco, che mi fa stare bene.»
«La scri ura?» chiesi in tono pieno di speranza.
I suoi occhi erano di un verde luminoso nella luce del ma ino.
«La scri ura. Ho qualche idea. Lontanissima dalla guerra e dalla
violenza.»
Mi riappoggiai a lui, me endo la testa nell’incavo del collo.
«Davvero? Tipo?»
«La storia parla di una ragazza.» Mi strinse a sé, me endomi le
mani alla base della schiena.
«Che genere di ragazza?»
«Una ragazza bellissima. Con un corpo da sogno. E un cuore
d’oro.»
«Mmh… e?» lo incalzai.
Wes mi sfiorò la schiena con le dita, come se mi stesse disegnando
qualcosa sulla pelle. «Acce a un lavoro come escort.»
Feci un gran sorriso. «Oh, e poi cosa succede?»
«Esce con un po’ di uomini» disse in tono brusco, chiaramente
irritato da questa parte della vicenda.
Mi misi a ridere. «Esce?»
«Mmh-mmh. Ma ce n’è uno solo di cui si innamora. È amore a
prima vista, capisci.»
«Dici? Con una escort, direi piu osto libidine a prima vista»
obie ai, ma lui non abboccò.
Mi mise le mani sul sedere e lo strizzò. Lo sentii diventare duro.
«No no. Era una donna speciale, sai. Non solo era bellissima, con un
corpo da schianto e un cuore d’oro, ma aveva anche un dono.»
«Che tipo di dono?» chiesi, incuriosita.
p
«Be’, non si tra a di una cosa concreta. È il dono del suo amore.
Se a uno degli uomini con cui esce viene offerto questo dono, sarà
felice per il resto dei suoi giorni.»
Alzai la testa per baciargli la mascella, poi domandai: «E a chi
offre il suo dono?».
«Non l’hai capito?»
Aveva passato a me la palla e ci misi un a imo a reagire.
«Credevo di sì.»
Scoppiò a ridere e mi diede un bacio sulla tempia, poi continuò:
«Dà un pezze o del suo dono a tu i quelli cui tiene, e loro si
innamorano un po’ di lei».
Sbuffai. «E che mi dici del suo unico vero amore? Come fa ad
amare a prima vista se dà via parti di sé a destra e a manca?»
«Perché c’è un solo uomo che le offre il dono del proprio amore
completamente. Lui si accontenta di averla quasi tu a per sé, una
volta che lei ha donato un pezze o del suo amore agli altri. Alla fin
fine, questo rende migliore la loro vita perché quelle persone
custodiscono una parte di lei. Diffondono amore e gioia, rendendo il
mondo un posto più bello in cui vivere.»
La sua visione suonava irrevocabile, e un po’ triste. Volevo bene a
tante persone – di sicuro erano di più rispe o a quando avevo
iniziato il mio viaggio quasi un anno prima –, ma non ero d’accordo
che il dono di quell’amore fa o a più individui diminuisse l’amore
che potevo donare a un altro.
«È una storia bellissima» commentai con una nota di sconforto
nella voce.
«Cosa? Non pensi che sia vera?»
Scossi la testa. «In una certa misura, sì. L’idea che ognuno di noi
abbia una quantità finita di amore da offrire è affascinante, ma io
non credo che funzioni così. Penso invece che l’amore cresca e
continui a farlo con ogni persona a cui lo dai. È come piantare un
seme. Più lo annaffi e lo concimi, più è probabile che diventerà una
pianta bellissima. Quell’albero avrà dei rami e le foglie cadranno, ma
al mutare delle stagioni spunteranno nuove foglie e cresceranno
nuovi rami. Proprio come l’amore.»
«Allora forse potrei intitolare questa storia L’albero dell’amore.»
p q
Sorrisi e gli feci girare la faccia per poterlo baciare. «Adesso è una
storia che posso condividere.»
4

Wes fermò l’auto davanti a un edificio in ma oni scuri di due piani.


Dei gradini portavano alla galleria Aspen Grove Fine Arts. Kathy,
Wes e io scendemmo dalla macchina. La troupe parcheggiò il
furgone a noleggio accanto a noi e iniziò a scaricare l’a rezzatura.
«Questa è la prima di qua ro tappe. Ho confermato
l’appuntamento con una scultrice locale e con il dire ore della
galleria. Erano entusiasti di rilasciare l’intervista qui» disse Kathy
mentre salivamo i gradini.
Fummo accolti da un uomo in giacca e crava a che si presentò
come Brice. Ci fece fare il giro della galleria, spiegando diversi pezzi
realizzati dagli artisti del posto finché non arrivò una donna tu a
trafelata. Era alta e so ile, con una massa di capelli rosso acceso che
le spuntavano dal berre o verde scuro in grossi boccoli. Aveva gli
occhi azzurri, luminosi come il cielo della California in una giornata
senza nuvole. Indossava un pesante maglione a trecce color crema,
una grossa sciarpa multicolore, leggings a motivo cachemire e un
paio di stivali eccentrici che le arrivavano al ginocchio.
Quando mi porse la mano, i numerosi bracciale i che portava al
polso pallido tintinnarono piacevolmente. «Salve, io sono Esmeralda
McKinney, la scultrice. Grazie per essere venuti oggi» disse con un
ampio sorriso. Era così solare che avrebbe potuto rischiarare la
giornata più tetra.
«Sono contenta di essere qui. Che ne dici se iniziamo con te che ci
mostri i tuoi pezzi? Dirò ai ragazzi di riprendere e ti farò delle
domande. Che ne pensi?» le proposi.
Esmeralda si illuminò tu a, come se fosse stata raggiunta da un
raggio di sole. «Naturalmente!»
Mi guidò verso un piedistallo trasparente su cui era appoggiato
un busto femminile realizzato interamente di so ili strisce di
metallo. Era tanto unico quanto interessante.
«Questa è una delle mie opere. Si intitola Spazzato via.» Esmeralda
toccò le estremità delle strisce di metallo che si aprirono come se il
vento stesse soffiando tra i capelli della figura.
Le telecamere stavano riprendendo, ma era difficile non farsi
assorbire dall’opera. Gli occhi, le labbra e il naso della figura erano
sorprendentemente accurati per essere fa i di semplici strisce
metalliche. «È incredibile quanto sia complessa. Come inizi un’opera
del genere?» le chiesi.
«Prendo dei fogli di metallo e li taglio in una miriade di pezzi più
piccoli. Parte del divertimento consiste nel prendere frammenti di
materia apparentemente casuali e nell’assemblarli in qualcosa di
compiuto. Mentre riscaldo e muovo i pezzi, cominciano a prendere
forma.»
Misi un dito sul bordo del piedistallo, non osando toccare l’opera.
«Vuoi dire che quando inizi un proge o non sai che cosa diventerà?»
Scosse la testa. «No. Immagino di essere come uno scri ore
seduto davanti alla pagina bianca in a esa che arrivi la storia: lascio
che i pezzi mi dicano cosa creare. Via via che aggiungo nuove strisce
di metallo, si materializza una forma e io seguo la corrente.» Giunse
le mani davanti a sé. «È come se fosse destinato a essere qualunque
cosa sarà alla fine. Come la vita. Non puoi programmare la bellezza.
Talvolta il bello prende forma davanti ai tuoi occhi.»
Esmeralda aveva assolutamente ragione. Avevo imparato che la
bellezza si presentava in modi del tu o imprevisti, impossibili da
immaginare.

La tappa successiva era la Baldwin Gallery, posseduta e gestita da


Jonalyn Baldwin, una fotografa locale. Dentro, la galleria era un
lungo re angolo bianco inserito in un edificio in ma oni. Uno spazio
del tu o insolito.
C’erano fotografie di varie dimensioni esposte su pareti mobili al
centro di un open space. I visitatori dovevano girarvi a orno per
guardare le immagini appese da entrambi i lati.
g g pp
Una donna asiatica minuta con lunghi e lucenti capelli neri
raccolti in una coda di cavallo e occhi scurissimi ci accolse
all’ingresso.
«Salve, tu devi essere Mia Saunders. Io sono Jonalyn Baldwin.
Benvenuti nella mia galleria.»
Aveva una carnagione piacevolmente scura e una spruzzata di
lentiggini sul naso e sulle guance. Portava un rosse o rosa chiaro
che, unito ai toni caldi degli abiti, le conferiva un incarnato
luminoso. Indossava una tunica bordeaux e leggings in tinta. Al
collo aveva una pesante catena d’oro che rifle eva la luce dei fare i
appesi al soffi o. Semplice ed elegante.
«Grazie per averci ricevuti, Jonalyn. Siamo impazienti di vedere le
tue opere.»
«Allora prego, da questa parte.»
Jonalyn ci condusse davanti a un’enorme fotografia che ritraeva la
metà inferiore del volto di una donna, con le mani sulle guance. Solo
che l’immagine era distorta, come se la foto fosse stata sca ata
a raverso un vetro ro o.
«Puoi parlarmi di questo pezzo?» chiesi, affascinata dai de agli
dell’immagine.
Jonalyn indicò una sezione della fotografia. «Vedi queste linee? È
qui che ho messo a fuoco l’obie ivo.»
Concentrai lo sguardo e osservai le crepe sull’immagine.
«Dall’altra parte del vetro c’era una donna bellissima vestita in
modo elegante. Le ho chiesto di allungarsi sopra un bancone e di
guardare a raverso una vetrine a. Poi ho inserito un pezzo di vetro
ro o davanti all’obie ivo e ho ca urato la sua bellezza in una
percezione alterata. Come puoi vedere chiaramente, la donna è
molto bella, anche se non sappiamo chi sia o quale sia la sua storia.
Forse la bellezza che tu vedi è una maschera.» Jonalyn aveva
interpretato ciò che vedeva e mi interrogai sul perché avesse deciso
di ca urare l’immagine in quel modo.
Osservai di nuovo la foto, cercando di vedere quello che aveva
visto lei. Inclinai la testa e guardai l’immagine da un’angolazione
diversa. Quando misi a fuoco, notai che la donna aveva labbra rosse
perfe e in tinta con lo smalto delle unghie, e una pelle meravigliosa.
p g p g
Ma a raverso il vetro ro o mi accorsi di imperfezioni che altrimenti
non avrei notato.
«L’ho intitolato Bellezza scoperta» disse Jonalyn, chiaramente
orgogliosa del proprio lavoro.
Affascinata, la seguii a raverso la galleria. La maniera in cui
ca urava le immagini e le trasformava in qualcos’altro era geniale.
Due fotografie mi colpirono in modo particolare. Chiesi al
cameraman di fare un primo piano delle due immagini appese
vicine. Una ritraeva una barbona appoggiata con la schiena a un
edificio. Aveva una gamba piegata e il piede appoggiato contro il
muro dietro di lei. Accanto c’era un sacco della spazzatura bianco,
probabilmente tu i i suoi averi. I capelli lunghi erano sporchi e
arruffati, era evidente che non se li lavava da secoli. La donna
guardava di lato. Il viso era segnato dalle rughe e negli occhi si
leggeva una tristezza impossibile da scacciare. Chiaramente era
povera e forse anche disperata.
La foto vicina era stata sca ata a raverso un pezzo di vetro
deformato e pieno di bolle. Il sogge o era lo stesso, ma l’immagine
era completamente alterata. I lineamenti erano ammorbiditi e i
capelli non parevano più sporchi bensì scuri e mossi. Il sacco accanto
a lei, un globo di luce bianca, sembrava rischiarare la figura,
conferendole un fulgore luminoso e sano.
«Quando sfumi l’asprezza del reale, ciò che trovi al di so o è…
speciale» spiegò Jonalyn, incrociando le braccia e osservando il suo
lavoro soddisfa a. Aveva ragione di esserlo.
Alzai una mano verso l’immagine, spinta istintivamente ad
avvicinarmi. «È incredibile il modo in cui vedi le cose.»
Sorrise con dolcezza. «È il modo in cui dovremmo vedere tu o.
Una donna bellissima può sembrare perfe a, ma quando guardi con
occhi nuovi, trovi delle imperfezioni. Tu i hanno delle imperfezioni.
E poi qui» – indicò la donna triste – «puoi prendere una barbona,
sporca e indurita dalla vita, eppure scoprire ancora il lato luminoso.
La vita e le esperienze cambiano il modo in cui appariamo al mondo
esterno, ma mai ciò che siamo dentro, almeno non del tu o.»
Rimasi a parlare con Jonalyn molto più tempo di quanto avrei
dovuto. Wes ci raggiunse da dietro mentre eravamo sedute a
gg
chiacchierare su dei divane i in un angolo appartato. Mi mise una
mano sulla spalla, poi si sporse verso di me.
«Mia, se vuoi finire tu e e qua ro le gallerie oggi, dobbiamo
andare. Sta cominciando a nevicare.»
Alzai lo sguardo e sorrisi. Lui mi baciò sulla fronte. Il rumore
secco di uno sca o interruppe il momento. Jonalyn spostò la
macchina fotografica che teneva davanti al viso e arrossì lievemente.
L’avevo vista posata sul tavolino davanti a noi, ma non pensavo che
l’avrebbe usata.
«Scusate, è un impulso automatico, quasi una seconda natura,
quando vedo qualcosa che merita.»
Le sorrisi, per nulla disturbata dal suo comportamento. «Ma non
ha nessun vetro distorto.»
Jonalyn fece un sorrisino. «Non era necessario. In qualunque
modo avessi deciso di fotografare quel momento sarebbe stato
sincero. Ti manderò la foto per mail e te ne renderai conto tu stessa.»
Wes mi prese la mano e mi aiutò ad alzarmi. «Mi farebbe molto
piacere. È stato davvero straordinario parlare con te, guardare la tua
arte e il modo in cui la vedi. Prome o di darti uno spazio degno
nella puntata.»
«Non dubito che mi farai un grande onore. Grazie, Mia.» Mi
strinse le mani tra le sue.
Pura classe.

Invece di andare dri i alla galleria successiva, Wes ci portò a pranzo


allo storico Red Onion. «Il locale è stato aperto nel 1892 e fa la
miglior zuppa di cipolle e le migliori polpe e di granchio del
mondo!» esclamò praticamente saltellando per l’eccitazione mentre
mi guidava verso l’ingresso. L’edificio aveva i muri dipinti di un
rosso acceso e l’aria di uno di quei posti dove è piacevole restare per
un po’.
All’interno il ristorante era brulicante di persone. Mi sentii subito
a casa. L’ambiente era riscaldato da grandi aerotermi che fecero
miracoli per il mio naso congelato.
Wes aveva chiamato e prenotato un tavolo per sei. Un team di tre
persone, tecnico delle luci, tecnico del suono e cameraman, costituiva
p
una troupe rido a all’osso, ma avevo già avuto modo di lavorare
con loro a New York. Le riprese che avevamo fa o erano buone ed
erano state apprezzate dai dirigenti della Century Productions. Una
delle cose che dovevo chiedere era un’assistente di produzione
personale, e volevo Kathy.
Dopo esserci seduti e aver ordinato le polpe e di granchio,
pasticcio di carciofi e spinaci con pita tostata e le portate principali,
presi il coraggio a due mani e affrontai l’argomento con la mia
a uale assistente.
«Allora, Kathy, che ne pensi di come stanno andando le cose?»
chiesi in modo un po’ criptico, giocherellando con la cannuccia della
mia bibita.
Kathy si spinse sul naso gli occhiali alla Woody Allen. «Molto
bene. È chiaro che le è piaciuta parecchio l’arte di Ms Baldwin. Si
vedrà bene sul piccolo schermo. Il suo entusiasmo, intendo.»
Abbassò lo sguardo e arrossì.
Annuii. «Concordo. La sua arte è unica e rivela un lato importante
della bellezza in una maniera che credo verrà apprezzata dal nostro
pubblico più ampio, ma non mi stavo riferendo all’arte di Jonalyn
quanto ti ho chiesto come pensi che stiano andando le cose.»
Kathy aggro ò la fronte, perplessa. «Non sono sicura di seguirla,
Ms Saunders.»
«Mrs Channing tra due se imane!» intervenne Wes, circondando
la mia sedia con le braccia e afferrandomi possessivamente per le
spalle.
Questa volta Kathy si lasciò andare a un gran sorriso,
illuminandosi. «Vi sposate?»
Annuii, felice. «Già. Quando rientriamo, andremo a Malibu a dire
di sì ufficialmente. Il giorno di Capodanno.»
Lei unì le mani all’altezza del cuore e disse con un sospiro: «Ma è
meraviglioso. Voi due sembrate perfe i insieme».
Wes si gode e il complimento. Mi strinse le spalle ancora più
forte e sfregò il naso sul mio collo. «Non potrei essere più d’accordo,
Kathy» disse, baciandomi teneramente la guancia e l’orecchio.
Ridacchiai e lo spinsi via, volendo tornare al discorso che avevo
iniziato prima che lui si me esse in mezzo con tu a la sua stazza.
p
«Kathy, ti ho de o del mio matrimonio perché sia io sia tu
abbiamo pochissimo tempo per prendere una decisione.»
Negli occhi le passò un lampo di preoccupazione. «Okay,
l’ascolto.»
«Voglio che diventi la mia assistente» dissi d’impulso.
Lei distolse lo sguardo, poi lo riportò su di me. «Credevo di
esserlo già.»
Sospirai, presi il bicchiere di tè freddo e ne bevvi un lungo sorso,
annuendo. «Lo sei. Ma intendevo d’ora in poi.» Si illuminò tu a e
sulle labbra le comparve un sorriso timido. «Voglio dire, finché
lavoro al Do or Hoffman, mi piacerebbe che tu fossi la mia assistente
di produzione. Darmi una mano con le puntate, idearle insieme a me
e così via. Tu conosci tu i i segreti, mentre io so solo cosa voglio e
come esprimerlo davanti alla telecamera. Mi serve qualcuno di cui
mi fido per tirar fuori il massimo da queste puntate, assicurandoci di
raccontare al pubblico la storia giusta.»
Kathy aveva iniziato ad annuire ancora prima che finissi di
parlare. «Oh, che opportunità straordinaria.» Poi aggro ò la fronte e
aggiunse: «Però io abito a New York».
«Sì, capisco. All’inizio potremmo fare parte del lavoro a distanza,
come stiamo facendo adesso, ma non per molto. Lo show ti pagherà
il lavoro fuori sede. Potresti venire all’inizio di gennaio a cercare una
casa, ma entro la fine del mese devi essere in California.»
Kathy scrollò la testa. «Non capisco. Perché proprio io? Non sono
nessuno.»
La guardai con aria di rimprovero. «Nessuno? Hai fa o
funzionare tu o alla perfezione. Hai capito me, quello che sto
cercando di fare. Hai facilità a immedesimarti nelle persone e a
sintonizzarti con chi vogliamo intervistare. A mio parere, sei la
candidata ideale.»
«Ma l’assistente del do or Hoffman mi odia…»
La interruppi. «A Shandi penso io, e comunque non è lei che
decide. Lo fanno il suo boss e Leona. L’ho già chiarito con loro. Mi
hanno dato carta bianca per scegliere chiunque volessi, e io ho scelto
te. Ora, capisco che ti serva del tempo per pensarci…»
«Non mi serve. Voglio il lavoro» rispose in tono convinto.
g p
Sorrisi. «Anche se devi trasferirti?»
«Gli inverni a New York sono terribili e la mia famiglia è sparsa
dappertu o. Inoltre, questa è la mia occasione per lavorare a un
programma regolare, prendere decisioni ad alto livello e collaborare
con qualcuno che mi piace davvero. Detesto essere sba uta qua e là.
Voglio trovare un posto dove stare e costruirmi una vita. Lavorare
con lei e Mr Channing è stata la cosa migliore che mi sia capitata
finora» disse entusiasta. Probabilmente era la prima volta che la
vedevo così animata.
Mi schiarii la voce proprio quando arrivò il cameriere con gli
antipasti. Wes prese una polpe a di granchio e se la mise in bocca
così velocemente che per un a imo teme i che si sarebbe strozzato.
«Be’?» fece, con la bocca piena.
Scoppiai a ridere. «Comunque, c’è un’unica condizione» dissi
inarcando le sopracciglia.
Kathy raddrizzò le spalle, alzò il mento e mi guardò dri a negli
occhi. Era difficile non me ersi a ridere, ma sostenni il suo sguardo e
spiegai la mia condizione.
«Devi chiamarmi Mia e darmi del tu. Questa storia di Ms
Saunders comincia a stufarmi» dissi rimanendo impassibile finché ci
riuscii, per poi me ermi a ridacchiare.
Quando finimmo di parlare, erano tu i esultanti. Avevo
informato gli altri membri della troupe che volevo assicurarmi anche
i loro servizi e mi parevano felici alla prospe iva di lavorare di più
insieme in futuro.

Dopo pranzo andammo alla terza galleria e incontrammo l’uomo


che si faceva chiamare Bob il Taglialegna. Intagliava il legno seduto
su una sedia a dondolo che aveva costruito lui. La galleria aveva
messo la sedia in un angolo, vicina a una finestra. Bob aveva
se ant’anni e gli piaceva stare in mezzo alle opere d’arte e conoscere
nuove persone.
La galleria a irava moltissimi turisti e da quando davano a Bob
uno spazio per lavorare il legno avevano aumentato le vendite del
trenta per cento. Lui stava seduto lì a intagliare piccoli pezzi unici
che la gente poteva comprare; la galleria ospitava anche altre opere
in legno, unitamente a sculture e dipinti.
Intervistando Bob scoprii che era stato due volte in Vietnam, la
prima nel 1965. Nelle lunghe ore morte prima di un’azione prendeva
pezzi di legno e intagliava piccoli totem o figurine usando un
coltellino. Poi li regalava ai suoi commilitoni che li spedivano a casa
per ricordare ai loro cari che li pensavano. Era stato congedato
all’inizio degli anni Se anta per via di tre ferite in servizio: gli
avevano sparato due volte a una gamba e una nel fianco. La gamba
non era andata a posto come i medici avevano sperato.
Seduto comodamente su una sedia a dondolo, Bob il Taglialegna
aveva fa o del suo hobby un lavoro a tempo pieno. Felicissimo di
stare insieme alla famiglia, agli amici e al pubblico, e con difficoltà di
movimento che gli impedivano un lavoro a tempo pieno, aveva
trovato qualcosa che andava bene per lui, una cosa che amava, e ne
aveva fa o il suo mestiere.
La sua storia era ispiratrice, sopra u o in un momento in cui il
mondo era devastato dalle guerre e non desiderava altro che pace.
La vicenda di quell’uomo rappresentava una speranza per i veterani
feriti del nostro paese che – lo sapevo – avevano bisogno di un
pizzico di o imismo. La storia di Bob non era facile, d’altra parte.
Era rimasto ferito per proteggere la libertà e, seduto vicino alla
finestra di una galleria d’arte del Colorado, non rimpiangeva un solo
giorno del Vietnam.
Un eroe bellissimo che creava opere d’arte era straordinario, ma
non era la storia a renderlo tale. Era la parte della sua esperienza che
tu i coloro che lo conoscevano portavano via con sé.
Mentre chiacchieravamo, intagliò un cuore circondato dalle onde
dell’oceano. «Regalo di nozze» mi disse porgendomi la piccola
scultura. Misurava dieci centimetri per dieci. La base era pia a, per
poterla far stare in piedi.
«Come faceva a saperlo?» gli chiesi, sorpresa.
Bob fece un gesto con la mano. «Un vecchio come me riconosce
una donna innamorata. E poi lo scintillio di quei diamanti per poco
non mi accecava!» disse con una risatina.
Ci me emmo a ridere e il proprietario della galleria mi incartò la
statue a e la porse a Wes in un sacche o.
Prima di andarmene abbracciai l’uomo. «Grazie per aver
condiviso la sua storia con me. So che tu i quelli che guarderanno la
puntata non la dimenticheranno mai.»
«Per persone come lei, mia cara, vale la pena correre il rischio»
disse con un sorriso e mi salutò con la mano mentre Wes mi
prendeva so obraccio per uscire al freddo.

“Vale la pena correre il rischio.”


Dopo esserci congedati da Bob, ci dirigemmo alla galleria 4M. Io
ero ancora su di giri. Bob aveva de o che ne valeva la pena, per me.
Sapevo che intendeva: di comba ere una guerra. I soldati
comba evano e si sacrificavano in modi che i civili non avrebbero
mai potuto capire. Bisognava essere una persona speciale per
rischiare la propria vita ogni giorno per oltre trecento milioni di
persone che non conoscevi nemmeno. Orgoglio. Spirito di servizio.
Per Bob queste cose, e la vita di ciascuno, valevano il rischio.
Le sue parole mi indussero a rifle ere che qualunque cosa valesse
la pena di avere nella vita, valeva anche il rischio. Ma non tu i erano
disposti a correre rischi per o enere ciò che volevano. Quel pensiero
mi mise addosso una gran tristezza.
Entrando nella galleria 4M fui assalita da un aroma di limone,
menta e gelsomino. Mi bloccai e inspirai quell’odore familiare; non
lo sentivo da anni. Quindici, per essere precisi.
Il cuore prese a martellarmi nel pe o e sentii la bocca secca.
All’altro capo della stanza c’era una donna alta con i capelli neri
mossi che le arrivavano alle spalle. Vestiva completamente di nero e
stava sistemando una tela sulla parete. Non riuscivo a muovermi. Mi
dava le spalle, ma la forma del corpo, il movimento fluido delle
braccia – come quello di una ballerina – erano inconfondibili e mi
colpirono come un pugno nello stomaco: avevo l’impressione di
vedere un fantasma.
La donna si girò, unì le mani e si diresse verso di me. Strizzò gli
occhi verde chiaro e toccò un paio di occhiali con la montatura
metallica che portava appesi al collo con un cordino. Se li mise e si
p pp
bloccò, come se fosse incollata al pavimento. Nemmeno io muovevo
un muscolo, lo sguardo fisso su colei che mi stava davanti. Era
cambiata parecchio negli ultimi quindici anni, ma non tanto da
impedirmi di riconoscerla all’istante.
«Mia» disse con voce strozzata.
Wes mi prese una mano nella sua. L’unico movimento che riuscii
a fare fu stringerla con tu a la forza che avevo.
«Salve, Ms…» Fu Wes a rompere il silenzio.
«Banks» disse lei.
Feci una smorfia, e strinsi di nuovo la mano a Wes.
Lui continuò a tenermi la mano, cosa di cui gli fui immensamente
grata. Se non avessi avuto quella connessione con qualcosa di
concreto, probabilmente sarei svenuta o sarei corsa via urlando.
«Ms Banks, sono Weston Channing, e siamo qui per parlare con
lei della sua arte e della galleria. Sembra che lei e Mia vi conosciate
già. Come può vedere, è stata colta di sorpresa, perciò le sarei grato
se potesse spiegarmi cosa sta succedendo.»
Il mio Wes. Il negoziatore. Ciò che non sapeva era che niente
avrebbe potuto sistemare quel casino. Quindici anni di solitudine e
di abbandono non sarebbero stati cancellati da una semplice
spiegazione. Lo sapevo. Per troppo tempo avevo cercato di risolvere
il mistero del perché quella donna mi avesse messa al mondo per poi
distruggermi la vita quando avevo dieci anni.
«Mia, ti avrei riconosciuta ovunque» disse con voce tremante. Mi
sembrò diversa, più calma. Si passò la lingua sulle labbra e io la
guardai con orrore affascinato. La donna che pensavo di aver
perduto per sempre se ne stava di fronte a me, con l’aspe o migliore
che avesse mai avuto. Migliore di quello a cui aveva diri o.
«Tesoro, quanto tempo è passato.» Le sue parole erano come una
lama avvelenata che mirava alle parti più vulnerabili di me.
L’emozione tra enuta era evidente ed era anche più sincera di
quanto ricordavo avesse mai manifestato, ma non aveva neppure
scalfito la corazza che mi ero costruita tanti anni prima per
difendermi da lei e dal suo ricordo.
Non sapendo che altro fare, dissi le uniche parole che riuscii a
me ere insieme.
«Ciao, mamma.»
5

Wes mi strinse la mano così forte da farmi male. Io mi liberai


bruscamente dalla stre a e vacillai finché lui non mi abbracciò
tirandomi al suo fianco.
Finalmente arrivò Kathy, spolverandosi la giacca a vento dalla
neve e tendendo la mano a mia madre. «Salve, io sono Kathy e questi
sono Mia Saunders e il suo fidanzato Weston Channing. Grazie per
averci ricevuti. Mi scusi se siamo un po’ in ritardo…»
«Fidanzato?» sussultò mia madre rivolgendo lo sguardo verso il
mio futuro marito. «Mmh, congratulazioni.» Il suo sforzo educato di
far sembrare tu o normale e le false felicitazioni non mi fecero né
caldo né freddo.
«Quante probabilità c’erano che io entrassi in questa galleria per
intervistare la donna che mi ha distru o la vita quindici anni fa?»
chiesi in tono tagliente. Avrei voluto che le mie parole fossero una
pugnalata a quel cuore malvagio.
Lei e Kathy sobbalzarono, respirando forte. Sulla stanza scese il
silenzio.
Kathy spostò il peso da un piede all’altro, guardando prima me,
poi mia madre e finalmente Wes: «Ehm… immagino che abbiamo
finito per oggi».
«Kathy torna allo chalet con il resto del team. Penso che abbiamo
riprese sufficienti per la puntata con i tre artisti che abbiamo già
incontrato. Preparatevi la cena. Mia e io vi raggiungiamo tra poco»
intervenne Wes, salvando la situazione come al solito.
Kathy mi si avvicinò e mi prese una mano, stringendomela in un
gesto di conforto. «Se hai bisogno di un’amica, Mia, stasera sai dove
trovarmi.» Almeno aveva lasciato perdere il lei. Era ora.
Le sue parole significavano più di quanto si rendesse conto, ma
riuscii soltanto a rivolgerle un breve cenno del capo mentre dava
istruzioni agli altri e lasciava la galleria insieme a loro.
Eravamo rimasti solo noi tre. Mia madre si passò di nuovo la
lingua sulle labbra e si guardò intorno… forse sperando che entrasse
qualcun altro a salvarla da quell’incubo. Perché era esa amente di
quello che si tra ava. Un incubo di proporzioni epiche. Mi ero
rassegnata a non rivedere mai più questa donna, a non sapere perché
– o come – aveva potuto abbandonare le figlie a quel modo.
«Ehm, che ne dite se ci sediamo lì a parlare?» disse con voce ro a,
puntando una mano tremante verso alcuni divane i lungo una delle
pareti.
Io le andai vicina e la guardai in faccia, vedendo i suoi occhi
riempirsi di lacrime. In un momento di assoluta debolezza, alzai una
mano e le diedi uno schiaffo con tu a la forza che avevo. Sentii
lacrime che non sapevo di avere rigarmi le guance. Lei urlò e si toccò
nel punto in cui l’avevo colpita. Le sue lacrime erano menzogne a cui
non crede i neanche per un a imo.
«I-immagino di essermelo meritato» disse.
«Ti meriti ben di peggio. Molto peggio» riba ei a denti stre i.
Lei si schiarì la voce e si tirò indietro i capelli. «Ti prego, Mia,
vorrei spiegarti.»
Le lanciai un’occhiata di fuoco. «Spiegare? Vorresti spiegare.»
Ebbi la sensazione di aver alzato la voce di parecchi decibel, ma
probabilmente quello che mi uscì era un urlo sussurrato. «Spiegare
cosa… mamma?!» sibilai. «Perché hai abbandonato la tua bambina di
dieci anni? O magari, perché hai abbandonato la tua bambina di
cinque? No, aspe a…» Feci un passo verso di lei. Mentre stavo per
colpire di nuovo quella vigliacca, Wes mi prese per il braccio, mi
a irò contro il suo pe o e arretrò di qualche passo.
La faccia di mia madre si sgretolò. «Tu non capisci!» gridò. «Non
volevo andarmene.»
Feci un verso sprezzante. «Non hai idea dell’inferno che abbiamo
passato Maddy e io. Dopo che te ne sei andata, papà è diventato un
alcolizzato violento. Avevo dieci anni e mi sono dovuta prendere
cura di lui e della mia sorellina!»
Spalancò gli occhi.
«Oh, sì. Ci scomme o che non l’avevi previsto. A causa del tuo
abbandono, mio padre ha toccato il fondo. La metà del tempo non
sapeva neanche di avere delle figlie. Maddy e io siamo rimaste senza
mangiare per giorni. Giorni!» Wes strinse le dita a orno al mio
braccio. Non sapevo se volesse dimostrarmi sostegno oppure se
volesse impedirmi di cavarle gli occhi. In ogni caso, mi servì a
tenermi ancorata alla realtà.
«Ho dovuto rubare nei casinò e frugare nell’immondizia per non
morire di fame!» sbraitai. «Tu non hai idea del danno che hai fa o.»
Mia madre gridò e cadde in ginocchio, portandosi le mani al
pe o. «Mia, santo Dio. Mi dispiace, bambina. Mi dispiace così tanto.
Pensavo di fare la cosa giusta. Non lo sapevo!» Il suo corpo era
squassato dai singhiozzi. L’atmosfera era satura di senso di colpa,
ma non era il mio.
«Ti dispiace?» Scossi la testa. «Ti dispiace di essertene andata o di
non averlo fa o prima?» Le mie parole erano piene di veleno e
corrosive.
«No, non avrei mai voluto andarmene. Ho dovuto farlo. Era la
cosa migliore. Per tenervi al sicuro!» Si coprì la faccia con le mani,
continuando a piangere.
«Al sicuro?» riba ei. «Al sicuro avrebbe voluto dire avere una
madre che si preoccupava che le sue bambine avessero da mangiare,
acqua calda per lavarsi e vestiti puliti da me ersi.» Parlavo con la
voce strozzata dall’emozione, ma non me ne importava.
«Oddio! Non pensavo che l’avrebbe presa così male. Amavo
Michael. Volevo che…»
Feci una risata ca iva e mi scagliai di nuovo contro quella donna
china sul pavimento. Wes mi tra enne.
«Dolcezza…» mi disse in tono fermo ma gentile. «Capisco che tu
sia furiosa, ma la violenza fisica non serve. Dille quello che devi dirle
e poi ce ne andiamo.» I suoi occhi verdi ribollivano della rabbia che
provava al posto mio.
Annuii e mi accucciai davanti a lei. «Eri tu o per mio padre. Il
sole, la luna, il terreno su cui camminava. Noi eravamo pallide
imitazioni.»
Lei scrollò la testa e ripeté: «No, no, no, no. Non doveva andare
così». Il suo corpo fu scosso da una nuova ondata di singhiozzi.
«Sì, be’, che cosa ti aspe avi? Che reagisse come aveva fa o
Jackson Cunningham?»
Alzò la testa di sca o. «Hai trovato Jackson?» chiese senza fiato.
«Jackson è morto» risposi impassibile.
Ebbe un sussulto come se le avessero sparato nel pe o. «Cosa?»
«È morto qualche anno fa. Ma non prima di lasciare una traccia.
Una traccia in denaro, con il mio nome nel testamento. Immagina il
mio stupore quando mio fratello, Maxwell Cunningham, è venuto a
cercarmi.»
«Max…» sussurrò lei, sul volto una smorfia di sincero dolore.
Confermai con un cenno della testa. «Proprio così, so di
Maxwell… mio fratello. E so anche che Maddy è di Jackson.»
Aggro ò la fronte e riba é: «Non è vero!».
«Pensi che non abbiamo verificato? Madison non è la figlia
biologica di Michael Saunders. È figlia di Jackson. Abbiamo i test di
paternità a dimostrarlo.» Strinsi i denti. «Pensi forse che creda di
averti stupita con questa informazione? Hai tradito mio padre più di
una volta. Ricordo perfe amente di aver visto Maxwell quando ero
bambina.»
Lei scosse la testa e si preme e le mani sulle tempie. «No, no, no,
no. Non capisco. Non ricordo niente di tu o questo» gridò.
«Stronzate!» urlai così forte da indurla a ritrarsi.
Wes mi prese so o le braccia e mi fece alzare.
Udimmo un colpo secco alle spalle, come di una porta sba uta.
Kent Banks arrivò come una furia. Vedendo mia madre per terra, si
inginocchiò e la prese tra le braccia. «Che diamine succede qui?»
disse con un grugnito.
«Dimmelo tu. Sei stato tu a farci venire qui! Dovevi sapere che era
mia madre!»
Alzò la testa di sca o per guardarmi. Aveva le narici dilatate e
una smorfia gli deformava la bocca. «Sì, sapevo che eri sua figlia. Me
lo ha confessato lei, quando ti ha vista in TV . Mi ha raccontato di te,
di tua sorella e di tuo fratello. Credevo di fare la cosa giusta. Riunire
la famiglia…»
g
Feci un verso di rabbia. «Sei pazzo? Questa donna ha
abbandonato me e i miei fratelli. Mia sorella e io non sapevamo
nemmeno di avere un fratello fino a pochi mesi fa, accidenti! Sarebbe
stato carino venirlo a sapere da nostra madre!» dissi in tono di
scherno.
«Fuori di qui!» ruggì Kent.
Sentendo quel tono, Wes mi si mise davanti. «Non sono sicuro che
la mia fidanzata abbia finito di parlare con sua madre.»
Mia madre stava borbo ando qualcosa so ovoce vicino a Kent,
che la prese in braccio.
«Credo che abbiate già parlato abbastanza. Ci sono un sacco di
cose che chiaramente non sai. Ti chiamo più tardi.»
Sbuffai. «Non prenderti il disturbo. Non ho più niente da dire a
questo patetico esemplare di essere umano.»
Mi girai e uscii a grandi passi dalla galleria, seguita da Wes.
Mi incamminai per la strada, spinta dalla rabbia che mi ribolliva
nel sangue. Il mio respiro affannoso si condensava nell’aria gelida.
Quando rallentai e poi mi fermai, non sapevo dove fossi né cosa
stessi facendo. Sapevo solo che avevo freddo ed ero sola. Ricacciai
indietro un singhiozzo ed ebbi la sensazione di aver perso
l’equilibrio quando un paio di braccia robuste mi sollevarono e mi
tennero stre a.
«Sono qui, dolcezza. Sono qui. Andiamo a casa.»
«Non sono in grado di affrontare nessuno» dissi e mi misi a
piangere contro il suo pe o. Il dolore che provavo si acuì e diventò
insopportabile… come se qualcuno mi stesse stritolando il cuore.
«Non devi farlo. Me ne occupo io. Lascia che mi prenda cura di
te» mi sussurrò e mi condusse alla macchina.
Il tempo sembrò passare in una caligine finché qualcuno mi portò
su dalle scale, mi tolse i vestiti e mi avvolse in una nuvola calda. Il
calore sulla schiena mi riscosse e mi lasciai penetrare dalla
sensazione che avrei riconosciuto ovunque. Mi strinsi contro Wes
Channing. Mi aggrappai a lui, alla nostra vita e a tu e le cose che mi
facevano sentire al sicuro. La sua presa era salda. Tra le sue braccia,
circondata dal suo amore, chiusi gli occhi.
Mi svegliai il giorno dopo ancora abbracciata a Wes. Mi aveva tenuta
fra le braccia tu a la no e, senza mai lasciarmi. Sba ei le palpebre e
poi vidi la faccia di lui accanto a me. Il suo respiro mi accarezzava la
pelle. Mossi una mano e gli percorsi il naso con la punta del dito.
Wes si mosse e aprì pigramente gli occhi. Avevano un colore unico:
verde brillante, come l’erba appena tagliata. Mi fece un sorriso
tenero, mi si avvicinò e mi diede un bacio sul naso.
«Come stai?» disse con quella voce profonda che riverberava in
tu o il mio corpo.
Avrei potuto mentire e dirgli che stavo bene, ma lui capiva
quando non dicevo la verità. E lui a me l’avrebbe de a, ecco che
genere di uomo era. Comunque non ne potevo più di nascondere le
mie ferite, di erigere muri intorno al mio cuore. L’unica persona che
si meritava quel tra amento era quella perdente di mia madre,
anche se avrei disperatamente voluto che le cose fossero diverse.
Crescendo, una ragazza ha bisogno della madre. Qualcuno pronto
a medicarle le ferite, a consolarla quando un uomo le spezza il cuore,
a insegnarle a essere una donna di cui il mondo possa andare fiero e
sopra u o una madre, a dimostrarle come prendersi cura di un’altra
anima più che della propria.
«Non sto bene, Wes» ammisi. Mi ci volle un grosso sforzo per
me ermi a nudo, ma ero disposta a farlo per lui, l’unica persona al
mondo che mi amasse più di quanto amasse se stesso. Lo sapevo nel
profondo del cuore.
«Già, lo immaginavo. Cosa succede qui dentro?» mi chiese,
indicando la mia fronte.
Chiusi gli occhi, godendomi il suo tocco. Era più di un gesto, era
una connessione, qualcosa di tangibile a cui potevo aggrapparmi e
tenermi stre a mentre tu o quello che mi circondava stava andando
in pezzi.
«Vederla in quella galleria. Bellissima, in salute…» Scrollai la testa
e gli presi una mano portandomela alla bocca.
«Fa male che abbia voltato pagina. Che abbia vissuto una bella
vita mentre tu e i tuoi fratelli avete dovuto soffrire per la sua perdita.
Sopra u o tu e Madison. Lo capisco, piccola» Parlò a voce bassa e
comprensiva.
p
Gli baciai le nocche della mano, a una a una.
«Perché fa così male?» Mi si riempirono gli occhi di lacrime, che
presero a scorrermi sulle guance.
«Perché indipendentemente da quello che ha fa o, da quanto ti ha
ferita, è sempre tua madre. Le vuoi bene.»
Respirai forte. «Non si può voler bene a un fantasma.»
«Oh, piccola, ma tu le vuoi bene. Te lo leggo in faccia, e sai una
cosa?»
«Cosa?» dissi tirando su con il naso. Non volevo versare
nessun’altra lacrima per quella donna.
«Volerle bene è okay. Anche se ti ha ferita in maniera tanto
orribile.»
Piansi più forte. Non riuscivo a tra enermi, non riuscivo a essere
la roccia che ero per tu i gli altri. «Sicuro? Una donna che mi ha
lasciata a prendermi cura di me stessa e di mia sorella quando avevo
dieci anni?»
«Ha avuto un ruolo anche tuo padre, dolcezza. Se stai cercando
dei colpevoli, lo è pure lui.»
Sbuffai. «Lei l’ha distru o» dissi scuotendo la testa. «Avresti
dovuto vederlo prima che se ne andasse. Padre amorevole, marito
fedele. Baciava il terreno su cui quella donna camminava. E per
cosa? Per essere ge ato in un angolo come spazzatura. Lei ha
distru o la nostra famiglia. E non solo… ha distru o anche quella di
Max.» Soffocai un singhiozzo.
Wes abbassò la testa. «Non credo che sia vero. Max è uno degli
uomini più affe uosi che conosca. E lo è senza imbarazzo. Ha preso
te e Maddy e vi ha accolte nella sua famiglia pochi minuti dopo aver
scoperto che eravate sue sorelle. Questo la dice lunga sul tipo di
uomo che era Jackson Cunningham. Ha dato a suo figlio tu o quello
che ha potuto anche se non aveva la madre. Lo ha amato. Gli ha
insegnato ad amare. Max ha imparato bene la lezione. Ama sua
moglie, i suoi bambini e le sue sorelle. Può anche essergli mancata
una madre, ma la sua vita è ben lontana dall’essere stata distru a.»
Rifle ei sulle parole di Wes. Aveva ragione, ovviamente. Jackson
Cunningham poteva anche avere amato moltissimo mia madre ed
essere rimasto ferito quando lei lo aveva lasciato, ma era andato
q
avanti. Si era preso cura di suo figlio, gli aveva insegnato a essere un
uomo. Un uomo buono. Il migliore. Gli aveva mostrato l’importanza
della famiglia.
«Devo parlare con Max e Maddy.»
Wes si spostò e mi fece rannicchiare contro il suo pe o. «Saranno
qui tra due giorni. Vuoi davvero chiamarli e farli preoccupare?»
«Max si incazzerà di bru o se non lo faccio» dissi.
Wes sorrise. «Be’, questo è vero. È piu osto sensibile quando si
tra a di te e Maddy. Che cosa hai intenzione di dirgli?»
Mi strinsi nelle spalle e mi rifugiai tra le sue braccia. «Non lo so.
La verità. È il minimo che possa fare. Poi deciderà lui come
affrontare la cosa.»
«E con tua madre?»
Feci una smorfia. «Mia madre cosa?»
«Hai intenzione di parlarle ancora? Ieri sera c’era qualcosa che
non andava. È sembrata stupita di vederti, dispiaciuta, e ha
continuato a dire che non conoscevi tu a la storia.»
«Probabilmente perché non le piace dover affrontare quello che ha
fa o.»
Wes sospirò. «Forse. Non lo so. Si è accasciata sul pavimento
quasi subito, come se qualcosa in lei si fosse spezzato. In genere le
persone non reagiscono così, neanche quando si trovano ad
affrontare situazioni difficili.»
«Chi lo sa? Probabilmente sta cercando di convincersi che aveva
una buona ragione per abbandonarci. Tu i quanti. Te lo dico: con me
non a acca. Niente di quello che può dire riuscirà mai a indurmi a
perdonarla per quello che ci ha fa o passare. Niente.»

Il telefono squillò qua ro volte, il che era strano, tra andosi di Max.
Era una di quelle persone che tenevano il cellulare nella tasca
posteriore dei pantaloni, e sapevo che non stava lavorando.
Finalmente, al quinto squillo, rispose. In so ofondo si sentiva un
neonato urlante.
«Stai in linea, aspe a… tuo nipote sta svegliando tu o il vicinato.
Si è sporcato di cacca tu a la schiena. La schiena, sorellina. Fino
all’a accatura dei capelli. Ma come accidenti avrà fa o?» urlò Max
nel telefono.
Capii che era in vivavoce e aspe ai finché non passò il
marmocchio a Cyndi. Una mossa da vero stronzo. Sorrisi per la
prima volta da quando avevo visto mia madre il giorno prima.
«Si è sporcato di cacca tu a la schiena!» ripeté.
«E io cosa vuoi che ci faccia? Pulisci tuo figlio!» riba é Cyndi.
Scoppiai a ridere.
«Cyndi, amore della mia vita, ti pagherò un milione di dollari se
pulisci nostro figlio» la implorò Max.
«I tuoi soldi sono anche miei, o l’hai dimenticato?» riba é lei
piu osto irritata.
La situazione stava degenerando in una lite domestica a cui non
volevo assolutamente assistere. «Ragazzi, che ne dite di richiamarmi
dopo?»
«Mia, tesoro, sei tu?» disse Cyndi.
«Sì, ciao! Scusate l’interruzione. Volevo parlare a Max di una
cosa… ecco, piu osto importante, ma può richiamarmi dopo aver
finito con il piccolo Jack.»
La udii sospirare. «No, no. Va bene. Io mi occupo di tuo figlio
adesso, ma tu sarai di corvée pannolini per due giorni interi!»
esclamò con foga.
Sentii dei rumori gracchianti e poi solo la voce di Max. Doveva
aver disinserito il vivavoce. «Zuccherino, sarà meglio che sia una
cosa importante. La corvée pannolini con uno come Jackson è
terrificante. È come se avesse mangiato topi morti tu e le volte che
mi tocca cambiarlo. Puah.»
Non volevo fargli perdere tempo e inoltre avevo i nervi a fior di
pelle, così gli spia ellai tu o quanto senza preamboli. «Ho trovato
nostra madre.»
Scese il silenzio per un lunghissimo minuto. «Le hai parlato?»
«Se per parlare intendi urlare, inveirle contro e tirarle un ceffone,
sì, mi sentirei di dire che ho parlato con nostra madre.»
«Dove l’hai trovata?» chiese.
Risi per il nervosismo, non perché fosse divertente. «Senti questa:
è una degli artisti locali che sono stata mandata a intervistare in
g
Colorado.»
«Vive in Colorado?»
«Proprio qui ad Aspen, sì.»
«Cristo santo» mormorò.
«L’hai de o.» Espirai.
«Tu stai bene?» chiese in tono sinceramente preoccupato e io
provai un moto d’affe o nei suoi confronti.
Ebbi la tentazione di mentire, dicendogli che stavo bene, proprio
come avevo pensato di fare con Wes quella ma ina, ma non potevo.
Si meritava più di questo. Si meritava che fossi sincera con lui. «No,
proprio per niente. Non so come affrontare questa cosa. Sono passati
quindici anni.»
«Di’ pure trenta, nel mio caso» disse cupo.
«Oh, Max, mi dispiace. Dobbiamo gestire insieme la situazione.
Quando arrivi questo fine se imana ne parliamo e cerchiamo di
capire come comportarci.»
«Pensi che ti lascerò da sola a vedertela con questo ciclone? Sarò lì
al più tardi domani. Prendo su la famiglia e vengo qualche giorno
prima.»
«Max, sul serio, posso aspe are» dissi cercando di razionalizzare,
anche se lo volevo accanto a me più di ogni altra cosa.
«Stai male?» mi chiese.
Sospirai. «Max, lo sai che è così. È stato un bru o colpo.»
«Allora vengo lì. Chiuso l’argomento. Adesso lasciami parlare con
mia moglie. Dobbiamo fare i bagagli. Le nostre stanze sono pronte o
dobbiamo andare in albergo?»
Sentii un’ondata di sollievo. «Ti voglio bene, Max. Ti voglio
veramente bene.»
«Tesoro, lo sai che ti voglio bene anch’io. È una questione di
famiglia e se uno di noi sta passando un bru o momento, gli altri
devono prendere in mano la situazione. Allora, le camere sono
pronte o devo prenotare un hotel, zuccherino?»
Deglutii il nodo di tensione che mi serrava la gola. «È tu o pronto
per te e la tua famiglia. Wes ha persino ordinato una culla per Jack.
L’ha fa a me ere nella vostra stanza dal custode. E c’è un divano
le o per Isabel.»
p
«Fantastico. Mia, sme ila di preoccuparti. Domani sarò lì. Le
questioni di famiglia le affrontiamo insieme, okay, sorellina?»
«Le questioni di famiglia le affrontiamo insieme. Chiaro come il
sole, Maximus» ripetei, credendo a ogni parola.
Fece una risatina. «Okay. Chiama Maddy e fa i dire se vuole
partire prima. In quel caso, organizzerò le cose in modo che l’aereo
faccia scalo a Las Vegas prima di venire in Colorado.»
Era ovvio che Max sarebbe stato la voce della ragione in tu o
questo. Seguendo le sue istruzioni alla le era, telefonai a Maddy e le
raccontai che cosa stava succedendo. Era scioccata quanto me. Lei e
Ma acce arono di partire un paio di giorni prima, visto che
comunque all’università le lezioni erano sospese per le vacanze di
Natale. Le dissi di chiamare Max e confermargli data e ora in cui si
sarebbero fa i trovare all’aeroporto.
A quel punto andai a cercare la mia salute mentale… so o forma
di un surfista che girava film trasformatosi temporaneamente in
uomo da chalet di montagna. Lo trovai in cucina che preparava la
colazione.
«Che cosa vuoi fare oggi?» mi chiese Wes mentre me eva dei
pancake su un pia o.
«Andiamo a sciare» suggerii. Avevo bisogno dell’aria tra i capelli,
del freddo sulla faccia e della velocità della discesa per sentirmi viva.
Per sapere che sarebbe passato anche questo.
La mia famiglia stava arrivando e insieme avremmo affrontato la
donna che aveva ferito ciascuno di noi in un modo che non avrebbe
mai potuto essere riparato né dimenticato.
6

«Hai intenzione di dirmi perché stiamo arrancando in mezzo alla


neve nei boschi intorno allo chalet?» dissi, calcandomi il berre o
sulle orecchie. Avevo i capelli legati sulla nuca in una coda laterale;
in caso contrario, avrei già perso il berre o. Capelli come i miei non
si facevano domare tanto facilmente.
Wes mi rivolse un gran sorriso e mi prese per una mano,
facendomi avanzare nella neve che scricchiolava so o i nostri piedi.
Con l’altra mano si tirava dietro una sli a con sopra un borsone
marrone chiuso da una cerniera. «A che ora hai de o che arrivano
Max e Madison?» chiese, evitando la domanda.
Lo seguii scavalcando il tronco di un albero caduto da tempo.
«Questa sera intorno alle sei. Perché?»
«Be’, se vengono per festeggiare il Natale, non credi che
dovremmo avere un albero di Natale come si deve?» Aveva il respiro
affannoso. Lasciò andare la mia mano e la corda della sli a e salì di
corsa una colline a.
Un albero. Un vero albero di Natale. Non avevo mai avuto una
cosa del genere da quando ero in grado di ricordare. Non sapevo se
l’avesse mai avuto neanche Maddy. Non è esa amente la prima cosa
di cui una famiglia al verde si preoccupa. Date le circostanze, non ci
eravamo mai prese la briga di sollevare la questione. Eravamo più
interessate alla cena che all’albero. Figuriamoci che avevo dovuto
dire a Maddy che Babbo Natale era un trucco quando aveva solo
cinque anni. Non ci sarebbero stati regali so o il nostro inesistente
albero portati da un allegro grassone magico. Maddy e io ci
scambiavamo regali fa i in casa. Quando fummo più grandi, ci
compravamo a vicenda un paio di cose, niente di speciale.
«Perché mi guardi in quel modo?» chiese Wes, con la testa
inclinata e un’espressione interrogativa.
Mi strinsi nelle spalle. «Non ho mai avuto un albero di Natale.»
«Non hai mai avuto un albero di Natale?» Rimase a bocca aperta
per lo stupore, con il respiro che gli formava nuvole e bianche
intorno al viso. Fece un cenno brusco e aggiunse in tono esasperato:
«Ricordami di tirare un pugno in faccia a tuo padre quando si sarà
alzato dal le o».
Poi scese velocemente dalla collina, mi prese la mano e indicò un
punto a qualche distanza. «Li vedi quelli? Sarebbero perfe i come
alberi di Natale.»
Oltre la radura c’era un gruppo di piccoli pini, come se la sua
famiglia avesse un vivaio privato di alberi di Natale. «E come
pensavi di sradicarlo dal terreno?»
Wes si mise a ridere. «Lo tagliamo, dolcezza. Vieni.» Raccolse la
corda della sli a e ci incamminammo verso gli alberi per dare
un’occhiata. Erano alti almeno due metri e mi sembravano enormi.
«Non so. Uccidere un albero per capriccio non mi sembra giusto.
Non potremmo comprarne uno finto?»
Wes sbuffò. «Non se ne parla. È il nostro primo Natale insieme, e
anche il primo con tuo fratello e la mia famiglia. Lo renderemo
un’occasione speciale. E per farlo, ci serve un albero ada o. Perciò
scegline uno.» Stese le braccia.
Wes non aveva tu i i torti. Stavamo creando ricordi e tradizioni
come una coppia, insieme alla nostra famiglia allargata.
L’entusiasmo si fece strada dentro di me, spazzando via qualunque
preoccupazione ambientale relativa alla perdita di un albero in una
foresta che ne contava migliaia.
Osservai da vicino ciascun esemplare, me endoci un sacco di
tempo. Dopo averne scartati una decina, trovai quello perfe o. Era
grosso, verde e odorava di terra. I rami erano simmetrici, perfe i per
le decorazioni. Fissai il pino immaginandolo carico di palline
colorate, luci e addobbi natalizi.
Wes mi si avvicinò e mi mise un braccio a orno alle spalle.
«Questo?»
Gli sorrisi e annuii. «Questo.»
Lui si chinò per baciarmi sulla guancia. Prima che potesse
scostarsi, gli presi la testa e lo baciai appassionatamente sulla bocca.
Fu un bacio lungo, profondo e umido, un intreccio di lingue che
prendevano e davano. Quel bacio fece rinascere un desiderio che si
era smorzato dopo aver visto mia madre. Adesso era tornato con
tu a la sua forza, e solo grazie all’amore di quest’uomo.
«Ti amo» gli dissi, la bocca sulla sua.
Sentii le sue labbra aprirsi in un sorriso e sfiorarmi mentre diceva:
«Io ti amo di più. Adesso tagliamo quest’albero, va bene?».
«E come?» Lanciai un’occhiata alla sli a.
Wes si avvicinò al borsone, lo aprì e tirò fuori un’acce a. Tolse la
protezione di plastica dalla lama e la ge ò nella borsa.
«Hai intenzione di farlo sul serio.»
Aggro ò la fronte. «Eh? Pensi che non ne sia capace?»
«Oh, sono sicura che sei capacissimo. È solo che mi sembra un
sacco di lavoro.»
«Mia, amore, qualunque cosa che vale la pena avere vale anche la
fatica necessaria per averla.»
Brandì l’acce a e vibrò un colpo alla base del tronco. L’albero
tremò, spargendo intorno neve e aghi di pino.
Mentre Wes tagliava il nostro albero di Natale, tirai fuori il
cellulare e gli feci una foto. Poi la mandai a Ginelle.

A: Micetta in calore
Da: Mia Saunders
Quanta legna potrebbe tagliare un taglialegna?

Qualche secondo dopo arrivò la risposta.

A: Mia Saunders
Da: Micetta in calore
Se un taglialegna potesse tagliare legna? Be’, non saprei
esattamente. Legno samoano, propenderei per 20.

A: Micetta in calore
Da: Mia Saunders
20 cosa?
A: Mia Saunders
Da: Micetta in calore
Centimetri, cretina. La neve ti ha congelato i neuroni?

A: Micetta in calore
Da: Mia Saunders
Sei una troia disgustosa.

A: Mia Saunders
Da: Micetta in calore
Ci vuole una troia per riconoscerne un’altra. E poi sei tu quella che
mi ha mandato la foto di un uomo che taglia la legna. ;-)

Feci una risata sbuffante. Dannata Ginelle. Scossi la testa,


ridacchiando. Che tipo. Mi venne in mente che non le avevo ancora
de o di mia madre. Si sarebbe giustamente incazzata e avrebbe
snocciolato una litania di commenti sprezzanti. Ecco perché non
l’avevo chiamata. L’avrei fa o. Dopo. Dopo cosa? Non lo sapevo.
Immaginai che la risposta l’avrei trovata strada facendo. Avrebbe
potuto incazzarsi con me più tardi. Ma Gin, anche se la facevo
incazzare, mi perdonava, capiva e mi voleva bene lo stesso. Era così
che si comportavano le migliori amiche. Sapeva tu e le cose bru e,
quelle belle e quelle così così, e mi voleva bene lo stesso. Come io ne
volevo a lei.
«Per cosa ridi?» mi chiese Wes.
Aveva il respiro affannoso, la fronte ricoperta di sudore che gli
colava lungo le tempie. Un uomo impegnato in un lavoro pesante.
Per me. Nel tentativo di rendere memorabile quel Natale.
Scrollai la testa. «Niente. Era Gin.»
«Come se la passa?»
Feci un gran sorriso, sapendo esa amente cosa, o dovrei dire chi,
si stava “passando” alla grande. Mi chiesi cosa sarebbe successo
quando Tao fosse rientrato alle Hawaii. Sarebbe andata con lui?
Conoscendo Ginelle, non avrebbe lasciato Malibu subito dopo aver
trovato un lavoro e un posto dove stare, ma ciò non significava che
non lo avrebbe desiderato. Uno degli argomenti che dovevo
affrontare con lei… tra gli altri.
«Benone. È con Tao, ricordi?»
Aggro ò la fronte. «Chi è Tao?»
«Il fratello del mio amico Tai. L’ha conosciuto alle Hawaii.»
Wes impugnò di nuovo l’acce a e vibrò un colpo deciso nel punto
in cui aveva già creato una grossa fenditura nel tronco. «Intendi il
cliente numero cinque» disse in tono pia o.
Mi si rizzarono i peli sulla nuca. «Sì. Tai Niko. Il mio amico» dissi,
so olineando la parola “amico”, anche se lui sapeva la verità su
quello che c’era stato tra noi.
«Quello che ti sei scopata per un mese mentre io mi struggevo per
te?» Vibrò un altro colpo con l’acce a, facendo schizzar via schegge
di legno.
Sussultai. «Non è giusto, e lo sai. Tu stavi con Gina all’epoca, se
ricordo bene.»
Fece di sì con la testa. «Già. La decisione peggiore della mia vita»
disse, e colpì di nuovo l’albero.
Non avevo intenzione di dichiararmi d’accordo con lui. Gina era
stata un punto dolente, ma avevo superato la cosa. Okay… bugia.
Avevo acce ato quello che adesso erano l’uno per l’altra, e Wes
avrebbe fa o meglio ad acce are quello che era successo con Tai,
perché il gigante samoano era uno dei miei migliori amici.
«Lo dici adesso. Comunque, sono venuta a pa i con Gina, e tu
devi fare lo stesso con Tai. Verrà al nostro matrimonio.»
Vibrò un altro colpo e alzò la testa di sca o. «Cosa? Non me
l’avevi de o.» Strinse il manico dell’acce a fino a farsi sbiancare le
nocche.
«Lui e la sua fidanzata, Amy, sono due dei miei venticinque
invitati. E andremo al loro matrimonio quest’estate alle Hawaii.»
«È quello che si sposa quest’estate?»
Sospirai. «Sì, Wes. È lui. Il mio amico Tai. Lo stesso che in giugno
ha preso un aereo per venire da me e starmi vicino dopo che ero
stata aggredita. Insieme a Mason.»
«Avrei dovuto essere io!» Si girò e vibrò un colpo così violento che
il tronco finalmente cede e e l’albero cadde, facendo tremare il
terreno e l’aria intorno a noi.
«Hai finito?» chiesi con le mani sui fianchi e un’espressione
esasperata. Ormai conosceva bene il significato di quel gesto.
Incurvò le spalle. «Non mi piace che altri uomini si siano presi
cura di te. Okay?»
«Lo so. Ho capito. Non mi piace che tu sia stato con Gina. Ma
appartiene al passato. E non cambia il fa o che questi uomini
significhino qualcosa per me, anche se su un piano diverso, come sai
bene.»
«Hai de o che viene anche la sua fidanzata?» chiese Wes in tono
sommesso.
Mi avvicinai e gli misi una mano sulla spalla mentre lui fissava
l’albero caduto. «Sì, baby, la sua fidanzata, Amy, è adorabile. Sa della
nostra storia e non ce la rinfaccia. Tai e io siamo stati qualcosa l’uno
per l’altra per un mese soltanto. Non c’è stato più niente da quando
sono salita sull’aereo alla fine di maggio. Ti sposo tra due se imane.
Lei lo sposa tra sei mesi. Siamo amici. Ci teniamo l’uno all’altra.
Questo è quanto.» Feci del mio meglio per esprimere sinceramente
quello che provavo per Tai. L’ultima cosa di cui avevo bisogno era
che Wes fosse geloso di un altro degli uomini della mia vita. Ne
avevo abbastanza di quella storia.
«Scusami. È solo che… il pensiero di te con un altro mi fa vedere
rosso. Non è giusto, ma hai ragione. Entrambi abbiamo un passato e
tu sei stata magnifica quando ho cercato di aiutare Gina a superare il
trauma. Mi dispiace. Mi perdoni?» Si girò e mi mise le braccia
a orno alla vita.
«Ti perdonerò sempre. E te lo dimostrerò dopo che avremo
portato quest’albero allo chalet e ci saremo scongelati so o una
doccia bollente.» Ammiccai con espressione maliziosa. «Che te ne
pare?»
Si mosse veloce come un lampo e prima che potessi rendermene
conto mi aveva sollevata da terra e mi stava baciando. Proprio quello
che volevo. Mi diede un ultimo bacio sonoro e mi rimise giù. «Stai
suggerendo di usare il sesso per fare pace?»
«Mmh, perché no!» dissi con una risatina, e lui mi diede un altro
bacio.
«Acce o! Adesso tieni ferma la sli a mentre io ci carico sopra il
nostro primo albero di Natale di famiglia.»

Wes e io ci me emmo almeno un’ora a trascinare l’albero fino allo


chalet, a portarlo su dalle scale della veranda e a scuoterlo tu o per
un tempo che mi parve infinito. A quanto pareva, era necessario
scrollare l’albero per liberarlo da eventuali animale i, aghi staccati e
neve. Poi – non sto scherzando – Wes tirò fuori il soffiatore per le
foglie, lo mise al minimo e asciugò l’albero. Esa amente come un
phon per i capelli. Ero affascinata.
Poi passammo un’altra ora nella doccia, a fare pace. Molto più
divertente della caccia all’albero, ma non l’avrei mai ammesso.
Adesso ero seduta sul divano a tirar fuori decorazioni, luci e altri
ornamenti natalizi da ben qua ro grossi scatoloni. Per essere una
famiglia che non veniva spesso in quello chalet, di sicuro l’aveva
riempito di ogge i ada i a creare un ambiente intimo, domestico.
Avevo già decorato il camino, dove Wes aveva acceso il fuoco. I
candelieri d’argento – lui mi aveva de o che erano un regalo di
nozze dei nonni ai suoi genitori – erano ornati da tralci verdi con
stelle di Natale finte. Li avevo messi bene in vista e vi avevo inserito
delle alte candele rosse per creare un’atmosfera calda e accogliente.
Insieme Wes e io decorammo l’albero con luci e palline. Oltre agli
addobbi comprati nei negozi c’era una scatola piena di ornamenti
artigianali con dietro i nomi di Wes e Jeananna.
Wes sorrise quando presi una piccola mano di gesso. Ogni dito
era dipinto di un colore diverso e sopra erano stati spruzzati dei
brillantini dorati. Dietro c’erano il nome di Wes e l’età – cinque anni
–, scri i nell’accurata grafia di sua madre.
«Quando eravamo piccoli, la mamma perme eva a me e a
Jeananna di passare il tempo qui a realizzare decorazioni di Natale.
Poi le lasciava in questa casa in previsione di un altro Natale ad
Aspen. Era una tradizione magnifica.» Sollevò la manina e sorrise.
«Potremmo farlo con Isabel. Chiederle di realizzare una
decorazione e aggiungerla alla scatola.»
Wes si lasciò cadere sul divano accanto a me. «E un giorno lo
faranno anche i nostri bambini.»
Bambini. Ne avevamo parlato un po’, nient’altro che un accenno
en passant al fa o che ci sarebbe piaciuto averli, un giorno o l’altro.
«Quando vuoi iniziare a me er su famiglia, Wes?» gli chiesi,
innervosita dalla possibile risposta.
Lui mi prese la mano e baciò teneramente ogni nocca. Era un
gesto speciale, solo nostro. «Dipende da quando vuoi iniziare a
prenderti una pausa. Se fosse per me, comincerei subito. L’anno
prossimo compirò trentun anni. Ma tu ne hai solo venticinque e hai
tu a la carriera davanti. Non che tu abbia bisogno di lavorare» mi
ricordò.
«Che ne dici di prenderci un anno e poi riparlare della cosa tra
dodici mesi esa i, in questa stessa data?»
«Ha l’aria di un appuntamento, dolcezza» disse Wes senza
obie are. Era davvero un uomo meraviglioso.
«Be’, questa è stata facile» lo presi in giro.
«E perché non avrebbe dovuto? Matrimonio non vuol mica dire
o enere tu o quello che si vuole. I miei genitori è una vita che fanno
compromessi. Penso che sia la chiave. E poi la sincerità. Se mi
prendesse un desiderio irrefrenabile di avere dei bambini, ne
parleremmo, accertandoci di essere entrambi pronti a fare questo
passo. Credo che sia il modo migliore di gestire qualunque cosa
succeda. No?»
Ci rifle ei giocherellando con una decorazione. «Sì, penso che tu
abbia ragione. Se siamo sinceri, e disposti al compromesso,
dovremmo andare d’amore e d’accordo.»
Mi fece un ampio sorriso e mi diede un bacio sulla guancia.
«Andremo più che d’amore e d’accordo. Finché sono sposato con te,
la donna dei miei sogni, non esiste nulla che non possiamo risolvere
insieme.»
Sentii un’ondata di felicità riempirmi il cuore. Mi girai verso Wes
e lo baciai. Poi ci dedicammo a noi due, lasciando l’albero da finire.
Proprio quando Wes mi aveva fa a me ere a cavalcioni su di lui e
stava per sfilarmi il maglione, nella stanza riecheggiò il trillo del
campanello.
«Cos’è stato?» chiesi bloccandomi con le mani so o la sua felpa.
Mi diede un bacio tenero sul collo. «Campanello. È arrivata la tua
famiglia.»
«È arrivata la mia famiglia» ripetei, ancora un po’ stordita. Poi le
parole raggiunsero la parte razionale del cervello. “È arrivata la mia
famiglia.” «Yuu-uuu!» urlai, saltando in piedi. «È arrivata la mia
famiglia. Sono qui!» esultai, correndo verso l’ingresso con ai piedi le
calze di Babbo Natale.
Spalancai la porta e fui accolta dalla faccia imbronciata di Max.
«Santo cielo, zuccherino. Si gela! Dovevi proprio scegliere un posto
con la neve per il nostro primo Natale, eh? Dovevi proprio!» mi
rimbro ò, e io gli saltai al collo e lo baciai su una guancia. «Va bene,
immagino che tu sia perdonata.» Arrossì mentre li facevo entrare.
«Mads» mormorai, felice di vedere la mia ragazza.
«Mia!» Mi strinse tra le braccia così forte che non riuscivo a
respirare. «Mi sei mancata tanto!» esclamò con la voce carica di
emozione. «Non posso credere che siamo in Colorado! Che figata.»
«Sì, una figata gelata» commentò Ma , circondandomi con un
braccio. «Grazie di averci invitati, Mia.»
«Grazie di essere venuti, Ma .»
Max tornò fuori e salì le scale con il seggiolino dell’auto avvolto in
una coperta azzurra. Mi allungò il gusce o, che pesava una
tonnellata. Che accidenti davano da mangiare a mio nipote? La
copertina si mosse e io sbirciai so o. Jackson sorrideva ciucciandosi
una manina. Portai il piccolo nel salo o riscaldato e lo misi sul
pavimento accanto all’albero. Tolsi la coperta perché potesse
guardare le luci e poi andai a dare una mano con i bagagli.
Quando ci fummo sistemati e furono servite bevande calde a tu i,
la mia famiglia aiutò Wes e me a finire l’albero. Come pensavo,
Maddy era entusiasta e fissava l’albero decorato con gli occhi
sgranati. Le misi un braccio a orno alla vita e le appoggiai la testa
alla spalla. «Bello, vero?»
«Sì, Mia. Bellissimo. Grazie. Per questo, per averci riuniti qui. È…
non so… molto.»
«Lo è, e ce lo godremo insieme» le promisi.
Max si avvicinò e si mise in mezzo a noi due, abbracciandoci.
Proprio come gli piaceva: essere circondato dalla famiglia. Ci strinse
p g p g
a sé.
«Domani parliamo di lei» dissi a entrambi. «Ma oggi no. Oggi
festeggiamo di essere una famiglia, mangiamo insieme e
condividiamo un periodo magico.»
«D’accordo» disse Maddy con la voce roca.
«Qualunque cosa vogliano le mie ragazze. La famiglia si prende
cura della famiglia.» Max ci strinse di nuovo contro il suo grande
corpo.
Sospirai e guardai felice il primo albero di Natale che avessi mai
condiviso con mia sorella e mio fratello. Anche con la faccenda di
nostra madre che incombeva su di noi, avevamo sempre questo. La
famiglia. Indipendentemente da tu o il resto. Eravamo diventati più
forti per via di quello che avevamo passato. La nostra storia ci faceva
apprezzare ancora di più quello che avevamo. Giornate come questa
erano ricordi nuovi e bellissimi che avrei portato con me per sempre.
7

Avevamo fa o colazione e Wes e Cyndi erano in cucina a sistemare.


Ma giocava con Isabel, che aveva già preso a chiamarlo “zio”, una
cosa che – stando a Maddy – a lui faceva molto piacere. Ma era
figlio unico, perciò evidentemente apprezzava di avere una nipote e
un nipote. Un punto a suo favore, secondo me: voleva dire che
conosceva il valore della famiglia. Comunque avrebbe fa o meglio a
scordarsi di me ere incinta mia sorella prima di quando avevamo
stabilito.
Max, Maddy e io eravamo seduti sul divano ad angolo davanti al
camino. Maddy aveva le gambe raccolte so o di sé, io invece ero a
gambe incrociate. Max aveva una postura serissima: gambe stese
davanti a sé, gomiti sulle cosce e mani giunte.
«Okay, ragazze, dobbiamo decidere come affrontare nostra
madre. Lasciamo perdere l’idea di andarci con i piedi di piombo.
Mia, raccontaci cosa è successo alla galleria.»
Riferii tu o quello che mi ricordavo, compreso il ceffone, cosa di
cui non ero per niente orgogliosa, e il suo patetico tentativo di
sostenere che non sapeva che Maddy fosse figlia di Jackson. Di come
aveva de o di non ricordare niente, neanche le volte che mi aveva
portata con sé al casinò per continuare la sua relazione con il padre
di Max. Riferii anche che aveva de o di averlo fa o per proteggerci e
che noi non conoscevamo tu a la storia, come se sapesse qualcosa
che avrebbe reso acce abile quello che ci aveva infli o. Mai nella
vita.
Max si mise il pugno sulla bocca. «Io vorrei rivederla. Dirle come
la penso. Credo che sarebbe un bene se ci andassimo tu i e tre
insieme. Sentire quello che ha da dirci e accertarci che ascolti quello
che abbiamo da dirle noi. Suggerimenti?»
gg
Non riuscii a tra enere una smorfia di irritazione. «Pensi che
gliene freghi qualcosa?»
Max si strinse nelle spalle. «Non lo so e non me ne importa. Non
si tra a solo di lei. Si tra a di noi, di quello che abbiamo vissuto, e
abbiamo il diri o di dirle in faccia come ci sentiamo. Maddy?»
Lei allungò la mano e io gliela presi, intrecciando le dita alle sue
per farle sentire il mio sostegno. Solidarietà fra sorelle. Era sempre
stato così tra noi. Adesso avevamo un fratello e dovevamo
spalancare quella porta per accogliere anche lui. Non eravamo più
solo io e lei: adesso c’erano Max, la sua famiglia, Wes, Ma …
Avevano tu i un ruolo in questa faccenda perché riguardava le
persone che loro amavano di più… cioè noi.
Maddy fece un gran sospiro. «Sono spaventata. Non so nemmeno
cosa dire a una persona che non mi ricordo.» La sua voce era un
sussurro a malapena udibile.
«Giusto» annuì Max. «Mia, pensi di averle de o tu o quello che
avevi da dirle?»
Sbo ai in una risata amara. «Non lo so.»
«Va bene, che ne dite se facciamo così? Voi due venite con me e mi
date il vostro sostegno in modo che io possa dire quello che devo
dire a nostra madre» spiegò in tono pratico, ma nella sua voce si
percepiva la tensione.
A Max non piaceva chiedere aiuto. In circostanze normali
probabilmente non l’avrebbe fa o. La sua richiesta mi fece lo stesso
effe o di essere investita da un camion. «Max…» L’emozione mi
strozzò le parole in gola.
Lui scosse la testa. «Sentite, so che voi due siete state
abbandonate, e che lei vi ha ferite profondamente. Ha fa o lo stesso
con me. Non è rimasta nemmeno per vedermi spuntare il primo
dente. Per la miseria, si era volatilizzata prima ancora che imparassi
a ga onare. Mi piacerebbe vederla. Associare un viso a quella che
finora è stata solo la parola “madre”. Le mie sorelle mi sarebbero di
grande aiuto in questa cosa, potrebbero sostenermi.»
Mi alzai e andai a sedermi accanto a lui, circondandolo con le
braccia. «Mi dispiace. Mi stavo comportando da egoista. Non si
tra a solo di me. Riguarda tu i noi. Anche voi siete rimasti feriti. E
g
hai ragione: dobbiamo andare là uniti. Perché è questo che siamo,
adesso: una famiglia. Giusto?»
«Giustissimo!» esclamò Max in un tono tagliente come una lama.
Maddy si avvicinò e si accoccolò accanto a nostro fratello. «Voglio
venire per essere insieme a te. Ci sosterremo a vicenda, okay?»
Aveva gli occhi lucidi e tristi, ma in quelle pozze verde chiaro
brillava il fuoco.
«Allora è deciso. Chiamo Kent Banks e vediamo cosa si può fare»
dissi.
Max fece un cenno di assenso e rimanemmo seduti in silenzio,
ognuno perso nei propri pensieri, a fissare il fuoco.

Kent Banks era impaziente di vederci. Disse che c’erano delle cose
che dovevamo sapere prima che acce asse di organizzare un
incontro di persona con nostra madre. E così finimmo per ritrovarci
un’altra volta in un séparé della Zane’s Tavern. Wes e Ma erano
seduti al bancone del bar a cazzeggiare con Alex. Abbastanza vicini
da tenerci d’occhio se le cose si fossero messe male, ma lontani quel
tanto da darci l’illusione della privacy. Avevo già conosciuto Kent, e
mi era sembrato bizzarro ma innocuo, benché estremamente
prote ivo nei confronti della moglie. Tecnicamente non era neppure
sposato con lei. Mi domandai se lo sapesse. Io lo sapevo perché non
si era mai presa la briga di divorziare da mio padre in tu i questi
anni.
Mio padre. Mi sfuggì un sospiro. Un’altra delusione. Non
rispondeva alle mie telefonate da quando ero partita da Las Vegas
dopo averlo sistemato a casa con un paio di infermiere. Loro mi
avevano de o che reagiva bene alle cure ma che dal punto di vista
psicologico stava ricadendo nella sua vecchia abitudine di
autocommiserarsi. Avevo creduto che avrebbe tenuto duro,
spezzando la spirale senza fine di odio per se stesso, ma forse era
una speranza eccessiva. In quella fase, dovevo solo pregare che
stesse lontano dalla bo iglia e continuasse la terapia. Nell’ultimo
anno avevo fa o più di quanto avrei dovuto, e di sicuro più di
quanto si meritasse. Adesso toccava a lui.
Avevo imparato una lezione preziosissima da tu a quella
faccenda. L’amore non era sempre gentile. Poteva essere spietato,
sanguinario e debole, ma ciò non significava che scomparisse. Stavo
affrontando questa cosa, e Wes mi stava aiutando a gestire la ferita
emotiva che mi era stata inferta quando mia madre mi aveva
abbandonata.
Sentii una ventata di aria gelida quando Kent entrò nel locale. Ci
individuò immediatamente. Si sede e nel posto vuoto all’estremità
del séparé. Nessuno di noi voleva stargli troppo vicino, perciò io e
Maddy ci eravamo sedute da un lato e Max aveva occupato tu o
l’altro con la sua mole da gigante. Se Kent aveva notato la ta ica, non
disse una parola.
Si sfregò le mani per riscaldarle. «Grazie di essere venuti.»
Max, il maschio alfa del tavolo nonché quello che aveva il
desiderio più forte di vedere nostra madre, parlò per primo. Tese
una mano ed esordì: «Io sono Maxwell Cunningham. Ha già
conosciuto mia sorella, Mia Saunders. Questa è la piccola, Madison
Saunders».
Maddy e io ci stampammo in faccia un piccolo sorriso, ma non gli
tendemmo la mano.
«Di sicuro siete impazienti che io vada dri o al punto. Per farlo,
devo cominciare dall’inizio» disse Kent a voce bassa e in tono fermo.
Max annuì e gli fece cenno di continuare. Maddy e io rimanemmo
in silenzio.
Kent inspirò lentamente. «Quando ho conosciuto Meryl, era
smarrita e girava con un veicolo che stava tirando le cuoia. Era
sporca, non si faceva una doccia da giorni, forse se imane. In seguito
ho scoperto che aveva solo un paio di cambi di vestiti e possedeva
pochissimo. Ho immaginato che stesse fuggendo da un uomo
violento e all’epoca lei non mi ha smentito, lasciandomi credere il
peggio.»
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo. Kent mi lanciò un’occhiata ma
proseguì.
«L’ho conosciuta alla biblioteca locale. Ci ero andato a prendere
un libro che mi serviva per l’università. Lei era lì per scaldarsi.»
Maddy mi strinse la mano so o il tavolo. Sentire che un’altra
persona era stata male come era successo a noi doveva aver colpito
l’animo sensibile di mia sorella più del mio. Solo che quella cosa non
aveva alcun fondamento. Nostra madre aveva una casa a cui tornare.
Era stata lei a scegliere di andarsene. Non provavo alcuna
compassione.
«Ho iniziato a vederla regolarmente in biblioteca. Dopo una
se imana, mi sono reso conto che non si era cambiata i vestiti, aveva
i capelli luridi e, a dirla fuori dei denti, puzzava. Ma c’era qualcosa
nei suoi occhi. Una scintilla quando mi guardava che mi affascinava.
Un giorno le ho chiesto di venire a casa mia, offrendomi di aiutarla a
tirarsi fuori dal casino da cui stava scappando, qualunque fosse. Di
nuovo, non ha smentito le mie ipotesi e così le ho dato modo di darsi
una ripulita, l’ho nutrita e le ho messo un te o sopra la testa. I giorni
sono diventati se imane, e a me piaceva averla intorno. Mi aiutava a
studiare, teneva pulita la casa, cucinava e aveva un talento per
l’arte.»
«Dove vuole andare a parare, Mr Banks? Ci sta dicendo solo che
le ha mentito esa amente come ha mentito a noi. Non era senza casa
per via di circostanze avverse; lo era per scelta. Suo marito, mio
padre, non l’ha mai toccata nemmeno con un dito. Mai. Mia madre
l’ha distru o, e distruggerà anche lei» dissi con ca iveria.
Kent scosse la testa con fare drammatico. «No, per favore.
Ascoltate e basta. Ci sono cose che non sapete.»
Max si sporse in avanti e riba é in tono tagliente: «Venga al
punto».
Kent alzò le mani in un gesto implorante. «Dopo un paio di mesi
mi sono accorto che aveva iniziato a fare cose strane. Irrazionali.
Tornavo a casa e trovavo il pavimento della cucina ricoperto di
farina, e lei che ci danzava sopra come una ballerina. La gente
normale non fa cose del genere, ma Meryl le faceva regolarmente.
Un’altra volta aveva versato del sapone liquido sul parquet e lo
usava per scivolarci sopra.»
«Sì, tipico di nostra madre. Faceva cose del genere in
continuazione. Ci dava il gelato per cena. Ci portava fuori al freddo
per ballare so o la pioggia durante i temporali. All’epoca papà
p p gg p p p p
lavorava molto, perché lei avesse tu o quello che voleva, perciò non
se ne accorgeva granché. Quando tornava a casa, spesso lei era già
uscita per andare a esibirsi in uno spe acolo al casinò. Per molti anni
sono stati come due navi che si sfiorano nella no e.»
Kent annuì. «Perciò ha capito. Il comportamento strano. Più che
strano, proprio maniacale. Come se all’improvviso le desse di volta il
cervello. Aveva momenti di euforia tali che temevo prendesse
droghe, oppure era profondamente depressa e ci voleva un miracolo
per farla alzare dal le o.»
«Per usare un eufemismo, Mr Banks.» Ricordavo un milione di
volte in cui mia madre si era comportata da folle anziché come una
persona responsabile di due bambine. Ma non ci importava, perché
le volevamo bene.
«Che cosa c’entra questo con lei adesso?» lo interruppe Max.
«Tu o. Non è stato facile, ma alla fine l’ho convinta a farsi vedere
da qualcuno. Lo sapevate che vostra madre soffre di una grave
forma di disturbo bipolare?» chiese Kent. C’era un silenzio tale che
potevo sentire il nostro respiro.
«Bipolare. Come la depressione?» disse Max.
Kent scosse la testa con un gesto solenne. «Soffre di depressione, è
vero, ma è più di questo. Ha sbalzi d’umore. Il suo stato d’animo
oscilla così rapidamente e in maniera così drammatica che deve
prendere pesanti farmaci per tenerlo so o controllo. Con le medicine
sta bene. Riesce a tenersi un lavoro. Mentre affrontavamo questa
cosa abbiamo scoperto che è una pi rice di talento ed è in grado di
vivere un’esistenza felice e tranquilla. Qui ad Aspen con me. Ha
ancora alterazioni dell’umore, soffre di fasi depressive e di fasi
maniacali, ma con i farmaci i cicli sono meno gravi e si verificano
meno spesso. Le medicine riescono a tenerli abbastanza so o
controllo.» Kent inspirò a fondo, intento a riordinare le idee,
probabilmente consapevole che quanto avrebbe de o non sarebbe
stato piacevole per noi.
«Non so che cosa possa aver fa o prima. La donna che ho
conosciuto allora non sarebbe mai stata in grado di crescere un
bambino senza farmaci. Stava molto male e chiaramente non era
stata curata – e non è possibile curarsi da soli – per la maggior parte
della sua vita. Non sono stupito delle cose che ha fa o.»
Lo guardai socchiudendo gli occhi.
Alzò le mani in un gesto conciliante. «Non sto dicendo che quello
che vi ha fa o sia giusto. Sto dicendo che non curata, in fase
maniacale, avrebbe potuto pensare che fosse assolutamente logico
portare fuori i suoi bambini al freddo a ballare so o la pioggia.
L’umore maniacale si crea una propria logica, una giustificazione del
perché qualcosa è necessario.
«Nel corso di quegli anni, anche se nella fase maniacale poteva
sentirsi totalmente giustificata in quello che faceva, quando entrava
nella fase depressiva ciò di cui si sarebbe resa conto era che i suoi
bambini avevano avuto freddo e fame e che, nella migliore delle
ipotesi, lei era una madre snaturata e, nella peggiore, un pericolo per
i suoi figli. Porta la croce dei suoi errori ogni giorno della sua vita.»
Quando nessuno di noi disse una parola, scosse la testa.
Io non avevo idea di cosa dire. Ero in preda a una ridda di
pensieri, sentimenti ed emozioni che mi rendevano incapace di
giudicare. Mi serviva tempo per pensare, per elaborare quello che ci
aveva raccontato.
«Adesso, anche se l’incontro dell’altro giorno l’ha prostrata, vuole
vedervi lo stesso. Non sa che siete tu i qui, ma immagino che voglia
incontrare tu i e tre. Spiegare. Scusarsi. Però voi siete degli adulti
con una visione adulta delle cose. Potrete non perdonarla per quello
che è successo in passato, ma forse riuscirete a capire. Lei è prima di
tu o mia moglie. Lo è da quasi quindici anni…»
Lo interruppi. «Lei si rende conto che non siete sposati
legalmente, vero? Non ha mai divorziato da mio padre» dissi a bassa
voce ma in tono tagliente.
Kent annuì. «Capisco che il nostro matrimonio non è legale, ma i
cavilli non contano granché. Ho prote o questa donna per tanti anni,
e continuerò a farlo finché avrò respiro. Perciò, se l’unica cosa che
volete è farla a pezzi, credo che sia meglio lasciar perdere e andare
ognuno per la sua strada.» Appoggiò le mani sul tavolo segnalando
che il discorso era finito.
Max si alzò con la mano tesa. «Mi lasci parlare con le mie sorelle.
Discuteremo della cosa e la conta erò questa sera.»
Si alzò anche Kent, strinse la mano a Max e si chiuse il giaccone.
«Aspe erò con impazienza la vostra telefonata. So che soffrite e che
ciò che ho de o oggi è stato uno shock. Lo è stato anche per me, ma
talvolta la vita ti assesta questi colpi. È il modo in cui si gestiscono le
ferite che definisce il cara ere delle persone» disse a mo’ di
conclusione. Poi si girò e se ne andò senza più voltarsi.
Max si rimise a sedere con un gran sospiro. «Allora, cosa ne
pensate?»
Inarcai le sopracciglia. «Wes, baby, un giro di tequila, per favore!»
dissi a voce alta.
«Capito» mi rispose, facendo l’ordinazione. Mi aveva conquistata:
armi, bagagli e anello di fidanzamento al dito.
Maddy fece un sorrisino. «L’ultima volta che hai bevuto troppa
tequila sei finita a fare un festino a base di sesso nella stanza accanto
senza renderti conto che ero lì» osservò, ricordandomi la no e
ubriaca con Tai alle Hawaii. Festino. Solo la mia sorellina se ne
sarebbe uscita con una parola del genere per descrivere una no e di
sesso sporco e pornografico.
Le diedi un colpo sul braccio. «Non ripeterlo quando c’è Wes nei
paraggi» le sussurrai tra i capelli che profumavano di vaniglia.
Max sorrise e chiuse gli occhi. «Non è esa amente l’immagine a
cui voglio pensare adesso. Apprezzo la distrazione, ma qual è la
vostra opinione su quello che il tizio ci ha de o di nostra madre?»
Sospirai e strinsi Maddy, desiderando il suo sostegno e ritenendo
che a lei avrebbe fa o piacere il mio. «Sinceramente, non lo so. Ha
senso. Tu o quello che ha de o sui suoi strani comportamenti è
vero. I momenti alti con la mamma erano come stare sulle stelle, e i
momenti bassi… be’, erano duri da affrontare e altre anto frequenti.
Non sapevamo mai cosa sarebbe successo con lei. In media, quando
non era in quella che lui ha chiamato una fase maniacale o uno stato
di grave depressione, cambiava lavoro, si indebitava, dimenticava
cose come venire a prenderci a scuola, oppure bruciava la cena
perché non si ricordava di avere messo qualcosa nel forno. Il
comportamento che ricordo si ada a alla sua descrizione.»
p
«E questo cambia ciò che pensi di lei?» Ecco la domanda da un
milione di dollari.
Mi strinsi nelle spalle. «Forse. Un po’. Di sicuro mi aiuta a capire
perché si comportava in quel modo. Non spiega perché ha preso su e
se n’è andata. Perché non ha parlato con un medico dei suoi
problemi. Non ha cercato aiuto. Quando ci ha lasciate, aveva ben più
di trent’anni. Com’è possibile che una mala ia del genere sia passata
inosservata per così tanto tempo? Detesto dirlo, ma sembra
estremamente comodo.»
In quel momento intervenne Maddy. «Se non era in sé, Mia,
magari è per quello che se n’è andata. Forse credeva di salvarci.
Sapeva che in lei c’era qualcosa che non funzionava.»
Max contrasse la mascella. «Questo non spiega perché mi ha
abbandonato quando ero piccolo mentre è rimasta con vostro padre
per dieci anni.»
«No, non lo spiega. A meno che tuo padre non abbia capito
qualcosa di cui il mio non si è reso conto. Ha insistito perché cercasse
aiuto e lei si è so ra a.»
«Immagino che non lo sapremo finché non parliamo con lei.
Dovrei chiamare Kent e organizzare un incontro? Mi piacerebbe
farlo prima di Natale, prima che arrivi il resto della famiglia. Che mi
dici dei genitori di Ma ? Vengono?» chiese Max a Maddy.
Lei fece di no con la testa. «No. Dato che Ma è con noi, sono
andati a fare una crociera che desideravano tantissimo. Non
avrebbero mai lasciato Ma da solo, ma questa volta ci hanno
chiesto se ci dispiaceva che andassero. Gli ho de o di godersi la
vacanza, che quest’anno avremmo passato il Natale con voi visto che
è il primo. Ma l’anno prossimo vorremmo farlo tu i insieme.»
Abbassò la testa e guardò me e Max.
Sorrisi e la presi per il mento costringendola a guardarmi. «Ehi, la
tua famiglia con Ma è altre anto importante delle nostre con Wes e
Cyndi. Okay? Faremo del nostro meglio per passare insieme le
vacanze e renderlo il più facile possibile. Cavolo, c’è un sacco di
spazio qui. E con i proge i di Wes e Max per i ranch, ci sarà un sacco
di spazio anche in Texas.»
Sgranò gli occhi. «Quali proge i?»
g g p g
Max fece un ampio sorriso e appoggiò il mento alle mani. «Wes
vuole comprare una delle fa orie e la terra vicino a casa nostra.»
«Vi trasferite in Texas?» Maddy iniziò ad agitarsi sulla panca
come se avesse le formiche nelle mutande.
«Be’… No. Sì. Tipo. Max, accidenti a te!» Gli puntai contro un dito
accusatore. Lui si limitò a fare un sorrise o. «Wes vuole una seconda
casa. Quale posto migliore di quello dove stanno Max e la sua
famiglia? E dato che tu e Ma pensavate di trasferirvi in Texas entro
un paio d’anni, eccoti servita.»
«Oh, mio Dio! Ma è fantastico! Avrò mio fratello e mia sorella
nello stesso posto.» Fece un sorriso da illuminare il pub.
Wes si avvicinò con un vassoio carico di bicchierini di tequila.
Non tre. Un vassoio. Pieno. Lo appoggiò sul tavolo, prese una sedia
e si accomodò. Ma si infilò nel séparé accanto a Max. «Ho sentito
che qualcuno ha bisogno di un bicchiere. Possiamo?» disse Wes
sorridendo. Adoravo quel sorriso. Mi parlava di un futuro di
spensieratezza, corpi nudi nel le o e domeniche di ozio. Giorni
innumerevoli di amore ricambiato. Ecco come sarebbe stata la mia
vita da sposata. Non vedevo l’ora.
Prendemmo tu i un bicchierino. «Al futuro» dissi.
«Alle infinite possibilità» disse Maddy raggiante.
«Alla famiglia» concluse Max.
Bevemmo e ci ingozzammo di stuzzichini finché Ma si offrì
volontario per sme ere di bere e guidare la macchina per riportarci a
casa. Noi continuammo a gozzovigliare perché ci eravamo appena
presi un bru o colpo con nostra madre. Cosa rimaneva da fare se
non vivere l’a imo? E così facemmo. Tu a la no e.

Kent organizzò l’incontro con nostra madre due giorni prima di


Natale. Avevamo tu i il cuore pesante mentre Max guidava l’auto
lungo il viale o di ghiaia verso una grande casa di tronchi che
assomigliava molto allo chalet della famiglia di Wes. Non era
neppure tanto lontano. Ci erano voluti cinque minuti di macchina
per arrivare alla casa di Kent e Meryl Banks, il cognome con cui
adesso lei si faceva chiamare.
Venne ad aprirci Kent e ci condusse in un enorme salo o con
finestre che incorniciavano il panorama, anche se non c’era un’intera
parete di vetro come nello chalet dei Channing. Le finestre erano
rotonde, come gli oblò di una nave, ma molto più grandi; avevano
una circonferenza di almeno un metro e mezzo, se non di più. Più in
là, accanto alla cucina, si apriva una serie di portefinestre che
sembravano dare sulla veranda esterna. In cucina c’erano lampadari
di vetro blu appesi al soffi o, l’unica nota di colore in un ambiente
interamente bianco, fa a eccezione per le ceramiche sui piani di
lavoro in granito. Era tu o ultramoderno, ma nondimeno
accogliente. Nel salo o note colorate di tessuto interrompevano qua
e là il bianco che regnava ovunque.
La cosa più straordinaria, nonché il punto focale della stanza, era
un dipinto appeso sopra il camine o gigantesco. Era un’immagine a
grandezza naturale del paesaggio che si vedeva dalla casa, solo che
era stato eseguito in primavera ed era dominato dal verde e dai
colori. L’artista che l’aveva dipinto aveva molto talento e un occhio
incredibile per i de agli.
Sull’estremità più lontana del divano ad angolo era seduta nostra
madre. Indossava leggings neri e un pesante maglione bianco che
faceva sembrare i suoi capelli ancora più neri; da lontano
sembravano quasi avere una sfumatura blu.
«Venite, accomodatevi» disse Kent.
Passammo dietro al divano e andammo a sederci tu i e tre
davanti a Meryl. Kent si sistemò accanto a lei. Lei gli prese la mano
non appena lui si fu seduto. Vidi le dita sbiancare mentre lo
stringeva, come se fosse il suo ancoraggio alla salute mentale. E forse
lo era, adesso che sapevo quanto il suo equilibrio fosse fragile.
«Mia, grazie di essere venuta. Maxwell… Madison…» Le si
spezzò la voce e le lacrime le rigarono le guance. «È così bello
vedervi. Non pensavo che sarebbe mai successo…» Si interruppe e
ricacciò indietro un singhiozzo.
Kent le porse un fazzole o, che lei usò per tamponarsi gli occhi e
il naso.
«Siete così… Dio, siete tu i bellissimi» disse in tono sbigo ito.
Lanciai un’occhiata a Maddy per vedere come stava. Aveva le
guance chiazzate di rosso e le colava il naso. Se lo asciugò con la
manica. Quanto a me, non avevo più lacrime. Avevo passato anni a
piangere per questa donna e, più di recente, giorni. Mi sentivo
prosciugata… svuotata.
«È bello incontrare finalmente di persona colei che ci ha messi al
mondo» disse Max, me endo un braccio a orno a Maddy. «Per me e
Maddy è come se fosse la prima volta.»
Nostra madre annuì, il viso inondato di lacrime. Si schiarì la voce.
«So che niente di ciò che posso dire rimedierà al dolore che ho
causato…»
Strinsi i denti perché quella cosa non riguardava solo me. Ci
aveva abbandonati tu i e tre.
«Ma adesso sto meglio e posso capire il danno che ho fa o. Mia,
so che tu sei molto arrabbiata con me e se avessi saputo che
andarmene sarebbe stato peggio che rimanere, non l’avrei mai fa o.»
«Perché te ne sei andata?» feci l’unica domanda che mi
tormentava da quindici anni.
Si passò la lingua sulle labbra e raddrizzò la schiena. «All’epoca
non riuscivo a pensare. Molto spesso mi ritrovavo in piedi in cucina
senza sapere cosa stavo facendo. Mi arrivavano telefonate dalla
scuola perché non ero venuta a prendervi. Mi assentavo dal lavoro
senza rendermene conto. Un giorno ho aperto gli occhi e mi sono
ritrovata in mezzo all’autostrada, in camicia da no e, a camminare a
piedi scalzi verso il deserto. Vostro padre all’epoca lavorava di no e
al casinò, e io ero in una pausa tra un lavoro e l’altro. Voi bambine
eravate a casa da sole. Non avevo idea di dove fossi.»
«Sembra orribile» intervenne Maddy, sempre pronta a cercare di
alleviare le sofferenze del mondo.
Meryl annuì. «Lo era. E quelle assenze, i vuoti di memoria
finivano tu i in situazioni pericolose, e io non sapevo come farli
sme ere. La goccia che ha fa o traboccare il vaso è stata quando ero
così depressa che ho bevuto un’intera bo iglia del whiskey di vostro
padre. Ero convinta che mi tradisse.»
Le lanciai un’occhiataccia. Lei alzò gli occhi e arrossì.
«Lo so che ero io quella che lo tradiva. Be’, non lo sapevo davvero.
La maggior parte delle volte non sapevo bene dove fossi né che
giorno fosse. Ma comunque… quella no e ho bevuto il whiskey, poi
ho fa o salire voi bambine in macchina e mi sono messa al volante.»
Max contrasse la mascella e io ebbi l’impressione di sentire il
rumore dei denti digrignati.
«Non so come, sono uscita dall’autostrada e mi sono inoltrata nel
deserto. Una brava persona ha visto la mia macchina sbandare, ha
chiamato la polizia e mi ha seguita. Alla fine, l’automobile si è
fermata. Ero svenuta al volante. Sono arrivati i polizio i, hanno
preso voi bambine e mi hanno rinchiusa nella cella riservata agli
ubriachi. Vostro padre ha pagato la cauzione e io avrei dovuto
rispondere dell’accusa di condo a pericolosa verso i figli e forse
passare qualche tempo in prigione. Solo che…»
«Te ne sei andata» finii io, girando il coltello nella piaga
intenzionalmente e con ca iveria.
«Non sapevo di essere malata. Nessuno lo sapeva.»
8

«E quanto a me? Cos’hai da dire al riguardo?» chiese Max.


Mi stavo facendo la stessa dannatissima domanda.
Max chiarì: «Mi hai abbandonato cinque anni prima di conoscere
Michael Saunders».
Meryl inspirò lentamente e si soffiò il naso. «Hai ragione, l’ho
fa o. Jackson era una brava persona. Voleva prendersi cura di me,
farsi una famiglia. All’epoca pensavo ancora che sarei diventata una
ballerina famosa. Devi tenere a mente che la mia mala ia era nella
sua fase acuta, caotica. Soffrivo di fuga di idee. Ero convinta che
Jackson volesse rinchiudermi in una gabbia dorata, inchiodarmi con
i figli.»
Max fece un verso irritato. «Inchiodarti?»
«Stai fraintendendo.» Lei si mise a singhiozzare. «Sono rimasta
incinta di te subito dopo aver conosciuto Jackson. Il mio disturbo era
fuori controllo. Volevo bene a Jackson, ma non ero innamorata di lui.
Non era l’amore della mia vita. Ero sempre più confusa ogni giorno
che passava. Non capivo cosa stesse succedendo. Il mio terapeuta di
qui mi ha de o che probabilmente era una depressione post partum,
complicata dalle mie condizioni mentali. Quando i livelli ormonali di
una donna bipolare oscillano bruscamente, il risultato può essere
disastroso.»
«Già, direi che “disastroso” è il termine ada o» disse seccamente
Max.
«Ma non significa che non me ne importasse, che non ti volessi
bene, Maxwell. Te ne volevo! Moltissimo. Ma non sapevo come
prendermi cura di te. Avevo pensieri tremendi riguardo a Jackson,
fantasticavo di uccidermi, e di uccidere te. Ho fa o l’unica cosa che
potevo fare…» Aveva il viso solcato di lacrime e il naso che colava.
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«Andartene» disse Maxwell semplicemente. Quelle parole mi
trafissero e la bestia ringhiante che mi albergava nel pe o alzò la
testa e prese nota.
Lei annuì. «Sapevo che Jackson aveva potere, denaro e appoggi. Si
sarebbe occupato di te finché mi fossi rimessa in sesto. Ma non è mai
successo. E quando ho conosciuto Michael, lui era così gentile e
affe uoso. Si prendeva cura di me. Mi adorava.» Le sfuggì un
singhiozzo. «All’inizio eravamo entrambi stravaganti e diversi, e a
me questa cosa piaceva. Eravamo noi contro il mondo. E poi per un
capriccio, in uno dei miei momenti maniacali, ci siamo sposati in una
cappella di Las Vegas. Non molto dopo sono rimasta incinta di Mia.
E be’… il resto lo sai.» Tirò su con il naso e si tamponò le lacrime.
«Perché non ti sei mai messa in conta o con noi?» chiese Maddy
con una vocina triste.
«Oh, piccola, avrei voluto. Ogni giorno. Ma avevo paura. Paura di
quello che avreste de o. Paura di quello che avrebbe de o Michael.
Paura di finire in prigione. E poi ho avuto paura di perdere Kent.
L’unico uomo a essersi accorto che qualcosa non andava e che mi ha
aiutata.»
«Così tu non sapevi di noi?» chiesi a Kent.
Lui fece di no con la testa. «No. Meryl è crollata quando ti ha vista
nel programma del do or Hoffman la prima volta. E poi è venuto
fuori tu o. L’intera verità. Alla fine ho conta ato lo show. Ho de o
che ero il tuo patrigno, che sapevo dov’era tua madre che non vedevi
da anni e che volevo riunire la famiglia.»
Sospirai, bu ando fuori tu a l’aria dai polmoni. Shandi del cazzo.
Avremmo potuto sapere molto prima che sarebbe scoppiata questa
bomba. Non vedevo l’ora di me ere le mani intorno a quel suo collo
da gallina.
«E come speri di uscire da questa situazione?» chiesi
freddamente, lanciando un’occhiata di fuoco alla donna che sedeva
davanti a me. Purtroppo, la bestia che albergava dentro di me se ne
fregava del fa o che lei stesse male. Noi tre eravamo stati male per
anni mentre lei viveva in mezzo ai boschi, dipingendo allegramente
il paesaggio e trascorrendo le giornate prote a e senza
responsabilità. Ma aveva delle responsabilità. Responsabilità che
aveva evitato fin dall’inizio.
Si passò una mano lungo la coscia. «Mmh… non ci ho pensato
molto. Mi premeva sopra u o liberarmi da questo peso che portavo
sulle spalle da quindici anni. E giuro che non avevo idea della tua
paternità, Madison. Bevevo molto per a utire il dolore. Jackson
veniva in ci à per lavoro e spesso ha cercato di convincermi a
tornare in Texas, ma io ho rifiutato. Gli ho de o che avevo sposato
un altro, era nata Mia. Gli piaceva Mia.» Mi rivolse un sorriso tenero.
«Le volte che lo vedevo erano una nebbia di alti e bassi indo i
dall’alcol. Non ricordo quasi niente.»
Maddy annuì e giocherellò con l’anello di fidanzamento,
facendoselo girare a orno al dito.
«Però immagino che avrei dovuto saperlo. Vedervi insieme… è
incredibile quanto assomigli a Jackson. Sarebbe stato fierissimo di
conoscerti, Madison.»
Maddy annuì di nuovo, poi iniziò a tremare. Max la prese tra le
braccia, lei gli nascose la testa sul pe o e si mise a piangere.
Indicai con il pollice i miei fratelli. «Lo vedi?»
Meryl sgranò gli occhi spaventata.
«È quello che ti sei lasciata alle spalle. Non so come potremo
prendere le distanze da quello che è successo… a tu i noi.»
Meryl si passò la lingua sulle labbra e poi affondò i denti nel
labbro inferiore. «Lo capisco. Immagino che la mia speranza più
grande sia che possiamo ricominciare. So che non sarò mai la madre
che avreste voluto né quella che avreste meritato, ma sono vostra
madre e mi piacerebbe provare a conoscervi. Se me lo consentirete.»
Scrollai le spalle, non sapendo come replicare. L’avevo odiata per
così tanto tempo e le portavo un tale rancore per averci abbandonati
che era difficile acce are questa nuova situazione e fare tabula rasa.
Avevo capito che aveva una mala ia mentale. Ovviamente ero
consapevole del fa o che molte delle sue azioni non erano colpa sua.
Ma ciononostante avrei dovuto superare anni e anni di sofferenza
prima di poter trovare in me la compassione necessaria per avere di
nuovo un rapporto con lei.
«Per quanto mi riguarda, mi piacerebbe provare» disse Max con
voce gracchiante.
Meryl sba é le palpebre e sorrise.
C’era da aspe arselo. Max era il modello dell’uomo dedito alla
famiglia, che per lui significava tu o; inoltre perdonava agli altri con
facilità ed era sempre pronto a concedere il suo affe o. Era il suo
dono più grande, e il suo lato più vulnerabile. Avrei voluto
assomigliargli di più.
«Mia moglie Cyndi e io abbiamo due bambini. Isabel e Jackson,
che è nato da poco. Sarebbe bello se potessero conoscere la nonna.»
Meryl si portò una mano alla bocca. Ricominciò a piangere, come
se si fosse aperto un rubine o. «Nipoti. Oh, santo cielo, Kent,
abbiamo dei nipoti!» disse con entusiasmo, la voce piena di gioia.
Max raddrizzò le spalle tu o orgoglioso.
Chiusi gli occhi e aspe ai, quindi udii la voce tremante di Maddy
che diceva: «Anch’io vorrei provare. Ma sarà difficile. Praticamente
non ti conosco. E, ehm, il mio fidanzato e io abitiamo a Las Vegas.
Mia vive a Malibu e Max in Texas».
Meryl parlò con la voce piena di speranza. «Va bene. Possiamo
iniziare sentendoci al telefono e per mail. Poi magari io e Kent
potremmo venire a trovarvi. La galleria va bene. Ho dei risparmi che
potrei usare per i biglie i dell’aereo.»
Kent le massaggiò la spalla. «Se vuoi vedere i tuoi figli e i tuoi
nipoti, Meryl, non ho nessun problema a portarti da loro. Abbiamo
tu o il tempo del mondo per farci perdonare, tesoro.»
Accidenti. Avrei voluto detestarli entrambi. Kent si stava
rivelando un uomo gentile, solido e paziente. Sarebbe stato un
nonno eccellente per i figli di Max.
A quel punto gli sguardi di tu i erano puntati su di me. Chiusi gli
occhi, non volendo essere giudicata per ciò che provavo. Avevo
avuto anni per volerle bene e ancora più tempo per sentire la sua
mancanza… e alla fine per odiarla.
«Mia?» chiese nostra madre. «E tu? C’è una piccola parte di te che
sente la mia mancanza, che desidera cambiare le cose?» Le si spezzò
la voce, e riprese a singhiozzare.
Strinsi i pugni, conficcandomi le unghie nei palmi delle mani. «Ho
sentito la tua mancanza ogni giorno per anni. Tu e le volte che un
ragazzo mi feriva, sentivo la mancanza di mia madre. Ogni volta che
papà si dimenticava di farci da mangiare, sentivo la mancanza di
mia madre. Tu i quegli anni di privazioni. Ho dovuto fare da
badante a mio padre, da madre e da sorella a Maddy. A causa tua ho
rubato, ho saltato il pasto più volte di quante possa ricordare e ho
mentito a ogni consulente scolastico e a ogni medico sulla situazione
della nostra famiglia.»
Meryl rimase senza fiato. «Mi dispiace così tanto…»
«Non ne dubito. E a me dispiace di essere stata costre a a rubare
quando non ero nemmeno adolescente. Mi dispiace di aver dovuto
lavare i vestiti nel lavandino con il sapone per i pia i a dodici anni.
Mi dispiace che io e mia sorella non abbiamo mai avuto un vero
Natale né feste di compleanno in cui nostra madre viziava le sue
bambine, come tu i i nostri amici. Ma sopra u o, mamma» – sputai
quella parola a denti stre i – «mi dispiace che non fossimo una
ragione sufficiente perché tu cercassi aiuto. Che papà non sia stato
abbastanza uomo da prendere in mano la situazione e aiutarti. Non
solo per te e per lui, anche per noi. Per Maddy e me. Non riesco
neanche a descrivere quanto sia stato sconvolgente scoprire che
avevo un fratello maggiore di cinque anni. Venticinque anni,
mamma!» dissi digrignando i denti. «Venticinque anni in cui avrei
potuto avere Max. Hai idea di quanto le nostre vite sarebbero state
più ricche se avessimo saputo della sua esistenza? Adesso lui è tu o
per noi! E tu… tu ce l’hai tenuto nascosto. Mala ia mentale o no,
sapevi di avere un figlio e non ne hai fa o parola. Solo per questo,
non so se potrò mai perdonarti, né se ci sia un posto per te nel mio
cuore. Forse in futuro, ma di sicuro non adesso.»
Mi alzai in piedi. Tremavo dalla testa ai piedi. «Vi aspe o in
macchina» dissi a Max, che si era alzato anche lui, imitato da Maddy.
Probabilmente aveva intenzione di evitare che la picchiassi. Avrei
voluto farlo. Oh, quanto avrei voluto, ma non sarebbe servito ad
alleviare la sofferenza che provavo. Non avrebbe richiuso la
voragine che lei aveva aperto tanti anni prima nel mio cuore. Solo il
tempo avrebbe guarito quelle ferite.
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«Mi dispiace!» piagnucolò Meryl alle mie spalle.
Non mi voltai. Invece indurii il cuore, che si era intenerito alla
vista di mia madre, costruendogli intorno un muro robusto, poi mi
cinsi il pe o con le braccia per proteggermi. Non sarebbe riuscita a
fare breccia in quel muro. Non adesso.
Alla fin fine, indipendentemente dalla sua mala ia, avevo bisogno
che lei tenesse più a me che a se stessa. Posso immaginare che con i
problemi che aveva sarebbe stato difficile, ma nel mio mondo io
volevo persone dalla volontà ferrea, gente che avrebbe fa o di tu o
per chi amava. In quel momento non avevo risorse per rime ere
insieme i pezzi del mio passato con una donna che non aveva fa o
niente se non abbandonarmi a me stessa.

Entrai silenziosamente nello chalet e mi diressi in camera con il


corpo scosso dai brividi. Mi tolsi tu i i vestiti ecce o la cano iera e i
boxer da uomo che indossavo come biancheria intima. Tirai indietro
il pesante piumino e mi infilai a le o. Afferrai il cuscino di Wes e ci
affondai dentro la faccia, inspirando il suo odore. Prima che mi
rendessi conto di cosa stava succedendo, un corpo caldo aderì al mio
e un braccio mi circondò il pe o.
«Vuoi parlarne?» mi chiese Wes.
Gli presi una mano, me la portai alla bocca e gli baciai le nocche, a
una a una. «Non proprio.»
«Vuoi scopare?» disse in tono divertito. Il vecchio Wes rispuntava
sempre di più ogni giorno che passava. Ero più che riconoscente per
quel miracolo medico e psicologico.
Feci un sospiro. «Non proprio.»
Mi solleticò il collo con il naso caldo. «Non proprio. È la tua
risposta standard oggi?»
Mi strinsi nelle spalle. «Forse.»
«Dolcezza, devi parlarne. Dimmi cosa passa in quella bella
testolina.» Per so olineare le sue parole, mi mise una mano sulla
testa e iniziò a massaggiarmi il cuoio capelluto.
Il massaggio era divino ed era esa amente quello di cui avevo
bisogno per liberarmi di un po’ della tensione che si era accumulata
dopo aver visto Meryl.
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«Sono una bru a persona» dissi alla fine.
Smise per un a imo di massaggiarmi, poi ricominciò. «Non lo sei.
Dimmi chi ti ha messo in mente quest’idea così posso andare a
tirargli un pugno.»
Feci una risatina. Il solito prote ivo. «Be’, non dovrai andare
molto lontano, perché si tra a di me.»
Mi passò le dita su tu a la lunghezza dei capelli, allargandomeli
sulle spalle. «Okay, allora spiegami perché la donna che amo, la
donna che adoro, la donna che venero, pensa così male di se stessa.»
Dio, quanto lo amavo. Anche in momenti come quello, in cui di
norma mi sarei ritra a, sfuggendo a qualunque conta o, era l’unico
che riusciva a raggiungermi. Tornando indietro in macchina, sia
Maddy sia Max avevano provato a parlarmi, a capire cosa provavo,
ma li avevo respinti. A dire la verità ero stata piu osto brusca e gli
avevo intimato di lasciarmi in pace. Non era tra le cose di cui andavo
più orgogliosa.
Gli baciai di nuovo le nocche, appoggiando le labbra a quella pelle
familiare. «Max e Maddy sono disposti a riprendere i conta i con
Meryl.»
«E questo fa di te una bru a persona perché…» Lasciò la frase in
sospeso perché la finissi io.
«Perché io invece non voglio. Sono ancora furibonda. Provo più
rabbia di prima. Cioè, capisco che lei non sempre aveva il controllo
della propria mente, ma che mi dici delle volte in cui invece era
lucida? In grado di pensare razionalmente? Avrebbe potuto me ersi
in conta o con noi, chiamarci, vedere come stavano le figlie.
Divorziare da papà in modo che lui potesse voltare pagina. Il suo
abbandono ha lasciato un vuoto enorme nella famiglia Saunders, che
non ha mai potuto essere colmato. Peggio ancora, non so quanto
gliene importi. Ci ha lasciate a cavarcela da sole per via della
mala ia mentale, ma c’è più di questo.»
«Essere arrabbiata è okay. Cazzo, piccola, sono arrabbiato io per
te. Ma alla fine quella rabbia si placherà, e allora… chissà?»
«E vogliamo parlare del fa o che non ci ha mai de o niente di
Max? Secondo me, è imperdonabile. Se Jackson Cunningham non
avesse scri o il mio nome nel suo testamento, avremmo potuto non
p
sapere mai di Max. Non ci sarebbe stato nessun felice
ricongiungimento familiare, niente nipoti. Nessun ranch in Texas per
avere un posto in cui sentirsi come a casa.»
Wes geme e contro il mio collo, poi mi diede un bacio. «Capisco,
e hai ragione. Penso che avrebbe potuto trovare un modo per
rivelarvelo. E se prende farmaci da quando sta con Kent, significa
che è stata lucida per la maggior parte di questi quindici anni. Allora
perché non si è fa a viva?»
Raccontai a Wes l’episodio della guida in stato di ebbrezza e delle
accuse di condo a pericolosa verso i figli. Eppure… Chi sbaglia
paga. Le probabilità che lo Stato del Nevada me esse dietro le sbarre
una donna a cui era stato diagnosticato un disturbo bipolare poco
dopo quell’episodio erano pressoché nulle. Inoltre, conoscevo un
mucchio di persone beccate a guidare ubriache che non si erano mai
fa e neanche un giorno di prigione. Certo, se si aggiungono le
bambine sedute dietro e l’accusa di condo a pericolosa, magari non
avrebbe visto la famiglia per qualche tempo, ma almeno avremmo
saputo dov’era. Avremmo saputo di Max. Papà non sarebbe
diventato il fantasma alcolizzato che era. O almeno ci sarebbe stata
una possibilità che non lo diventasse.
«Ascolta, Mia, non puoi sentirti in colpa se provi questi
sentimenti. Ti è toccata la parte peggiore delle conseguenze della sua
scomparsa. Hai bisogno di tempo per assorbire la cosa in questa
testa dura.» Mi massaggiò di nuovo il cuoio capelluto e io geme i.
«Concediti una tregua, okay? Hai dovuto vedertela con un sacco di
casini. Tu i noi abbiamo avuto mesi piu osto travagliati.»
Annuii, mi girai e preme i la testa contro il suo pe o. La sua T-
shirt sapeva di colla e di cracker al formaggio. Inspirai più a fondo.
«Perché puzzi come un bambino di cinque anni che è stato tu o il
giorno all’asilo?»
Fece un gran sorriso. «Cyndi, Ma e io abbiamo fa o decorazioni
casalinghe con Isabel. Ti piacerebbe creare la tua prima decorazione
per il nostro albero?» Mi protesi verso di lui per baciargli le labbra
sorridenti. Il bacio si fece appassionato per un a imo, poi mi scostai.
«Creiamo ricordi?» chiesi inarcando un sopracciglio.
Fece segno di sì. «Faresti meglio a crederci. Tu i bellissimi.»
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«Mi faresti una cioccolata calda?» chiesi e sporsi in fuori il labbro
inferiore. Wes non era capace di resistere quando me evo il broncio.
Di recente aveva scoperto la mia passione per la cioccolata calda
con i marshmallow. Avevo trovato una confezione di quella roba
nell’armadie o mentre preparavo il caffè.
«Farò qualunque cosa per riportare il sorriso sulle tue labbra e lo
spirito del Natale nel tuo cuore.»
«Ti amo. Lo sai, vero?»
Mi scostò una ciocca di capelli.
«Non so se sarei riuscita ad affrontare tu o questo senza il tuo
sostegno. Rendi ogni cosa più facile. Posso sfidare il mondo a pa o
che tu sia al mio fianco.»
Mi baciò la punta del naso. «È come dovrebbe essere. Pensi di non
avermi salvato il culo quando sono tornato dall’Indonesia?» Gli
occhi verdi si incupirono. «Dio santo, Mia, sarei potuto essere un
groviglio di follia se non ci fossi stata tu. Le cose che ti ho fa o.
Quello che mi hai lasciato fare… mi toglie il fiato. Tu da sola mi hai
riportato in vita. Ti devo tu o.»
«Non mi devi niente. Ricorda: io do, tu dai. Finché siamo insieme,
avremo sempre quello di cui abbiamo bisogno.» Sorrisi e strofinai il
naso contro il suo. «Adesso quello di cui ho davvero bisogno è una
tazza gigantesca di cioccolata bollente, un paio di calze natalizie,
musica di Natale, la risata di un bambino e la mia famiglia. Sei
preparato a darmi tu e queste cose?» gli dissi in tono di sfida
scherzosa.
Wes si mosse fulmineo, mi sollevò e mi mise seduta sul bordo del
le o. Si avvicinò alla casse iera e tirò fuori dei pantaloni da yoga,
lanciandomeli. Poi aprì il mio casse o delle calze bizzarre e ne scelse
un paio lunghe fino al ginocchio, verdi a pois rossi e bianchi, con la
punta marrone. In alto c’erano un paio di occhi neri e sulla caviglia
una pallina rossa luccicante. Non potevi me erle con le scarpe, ma
erano buffissime. Me le aveva comprate Ginelle e mi aveva de o:
“Fa i una bella sgroppata con Rudolph la renna”.
Wes mi aiutò a infilarle e mi prestò una delle maglie termiche da
me ermi sopra la cano iera. «Ti mangerei» borbo ò.
Feci una risata, guardando che aspe o avevo così conciata. Come
potessi piacergli infago ata in quel modo era un mistero, ma
apprezzai il complimento. Mi prese per mano e andammo insieme in
salo o.
Maddy era rannicchiata sul divano con Ma , a guardare il fuoco.
Cyndi stava giocando con il neonato un po’ in disparte, facendogli le
vocine. Isabel era concentratissima a creare un’altra decorazione,
aiutata da Max. Quando entrai gli occhi di tu i si girarono verso di
me.
Era arrivato il momento. Dovevo parlare con tu e le persone che
mi volevano bene e sperare di riuscire a gestire il contraccolpo.
«D’accordo. Basta essere triste. Sono ancora infuriata con nostra
madre. Non sono pronta ad avere a che fare con lei nella mia vita
quotidiana, ma ho tanto bisogno di tu i voi. Perciò se mi perdonate
il muso e la ca iveria, dirò che mi dispiace, nella speranza che
possiate passarci sopra.»
Max sorrise. «Ehi, sorellina, vuoi fare una decorazione? Bell ne ha
preparata una apposta per la zia Maddy.»
Lanciai un’occhiata a mia sorella, e lei mi rivolse un sorriso
radioso. «La ragazza più bella del mondo» dissi, sentendo un nodo
in gola per la commozione. Lei e Max erano andati avanti come se
nulla fosse, e io provai un impeto di amore.
«Ma solo quando sorride!» strillò Isabel dal tavolo. «Lo so. Me
l’ha de o papà!»
Mi avvicinai a Isabel e mi chinai per baciarle la testolina bionda.
«Davvero?» chiesi, incrociando lo sguardo di Max.
«Già. Preso da una donna saggia che conosco» ammise lui.
Sapere che mio fratello ripeteva cose de e da me e le condivideva
con la figlia mi riscaldò il cuore; ne avevo proprio bisogno.
Poco dopo arrivò la musica natalizia e tu i cantavamo a
squarciagola le canzoni di Natale. Poi qualcuno mi mise davanti un
tazzone di cioccolata bollente. «Per la mia regina» disse Wes,
strizzandomi l’occhio.
«Oh, regine!» urlò Isabel. «Ho una corona che puoi decorare, zia.
Ecco, questa è per te, questa per Maddy e questa per la mia mamma.
Possiamo essere tu e regine e principesse a Natale!» disse mezzo
strillando e mezzo ridacchiando.
Sorrisi e presi in mano la coroncina di polistirolo. Isabel era
circondata da penne con i brillantini, colla, pietre finte e il resto.
Tu o l’occorrente perché un vero artigiano potesse realizzare una
decorazione natalizia. La bambina era nel paradiso dei piccoli artisti.
Io invece non avevo la minima idea di cosa dovessi fare. Così mi
sede i di fianco a mia nipote e lasciai che una mocciosa di pochi
anni mi insegnasse a fare una decorazione natalizia artigianale.
Nonostante la faccenda di mia madre, si stava già rivelando il
miglior Natale di sempre, che sarebbe migliorato ancora con l’arrivo
della famiglia di Wes, l’indomani, la Vigilia. Avevamo proge ato un
banche o. Cyndi avrebbe fa o il tacchino e il ripieno casalingo,
mentre io avevo in mente di vivere felice senza il disgustoso ricordo
di aver ficcato le mani in una carcassa. Anche se mi piaceva il sapore,
la sola idea mi suscitava ripugnanza. Però avrei cucinato dei dolci
insieme a Maddy. Tra me e lei, potevamo cuocere al forno
praticamente qualunque cosa.
Un talento che dovevamo aver preso da una ballerina che
danzava su un pavimento ricoperto di farina.
Probabilmente l’unico tra o che la donna che ci aveva messe al
mondo ci avesse trasmesso. Forse assomigliavo a mia madre, ma non
ero affa o come lei. Non sarei mai stata una donna su cui non si
poteva contare indipendentemente dalle circostanze.
9

Cantando a squarciagola la parodia di una canzoncina natalizia


Isabel picchiava con forza su ognuna delle porte del corridoio.
Geme i, mi girai nel le o e mi misi a sedere. «Noi non avremo
mai dei bambini.»
Wes sogghignò, mi tirò giù per la vita e mi abbracciò da dietro.
Oddio, il suo calore era delizioso e intanto mi spingeva contro il
sedere un’erezione ma utina decisamente notevole.
Con un sorrise o malizioso mi scostai e saltai giù dal le o.
«Niente da fare, non se ne parla fino a domani sera! Ho qualcosa di
speciale da me ermi, e muoio dalla voglia di indossarlo per te a
Natale.»
«E perché non posso darti una bo arella adesso?» mi chiese,
aggro ando la fronte.
Tirai fuori i vestiti che avevo in mente di indossare quel giorno:
un paio di jeans superaderenti, stivali beige e una felpa color panna
con lo scollo a V. Una mise semplice ma abbastanza decorosa per
incontrare i miei futuri suoceri e passare le vacanze con loro.
Feci un sospiro. «Perché voglio aspe are. Dài, giù dal le o adesso.
Facciamo la doccia e scendiamo a sistemare la cucina. I tuoi saranno
qui tra poche ore e voglio che la casa sia impeccabile.»
Wes scese incespicando giù dal le o. Non indossava nulla, a parte
un paio di boxer color granata e una sontuosa erezione. Gesù,
quell’uomo era davvero un dio del sesso.
Quando si accorse che lo stavo fissando si infilò una mano nelle
mutande e soppesò il suo grosso membro. Sono sicura che mi sia
sceso un filo di bava lungo il mento.
«Sveltina so o la doccia?» mi chiese, mentre mi sfilava la maglia.
Deglutii rumorosamente. «Oh, sì, sveltina so o la doccia» risposi,
cedendo.
Soffocò una risatina e mi spinse dentro la doccia.

Musica di Natale. “Okay.”


Decorazioni. “Okay.”
Tavola apparecchiata. “Okay.”
Pietanze sfornate. “Okay.”
«Come sta venendo il tacchino e tu o il resto?» chiesi a Cyndi, che
era intenta a spremere un qualche tipo di succo sopra il gigantesco
volatile dorato.
«In perfe o orario. Dovrebbe essere pronto nel giro di un paio
d’ore. Cominceremo a preparare patate, piselli e i panini quando
saremo più vicini all’ora di cena.»
Diedi un’occhiata all’albero e sistemai qualche decorazione:
volevo che tu o fosse a posto.
«Tesoro, rilassati: alla mamma piacerà tantissimo» disse Wes nel
bel mezzo del mio a acco ossessivo-compulsivo: un tra o della
personalità che in realtà non mi apparteneva affa o.
Oddio, speravo che gli altri lo pensassero davvero. Claire
Channing poteva anche essere molto ricca e parecchio mondana, ma
era una vera madre. Faceva in modo che i figli crescessero con solidi
valori morali e una robusta etica del lavoro. Sapeva anche cucinare
divinamente, ragion per cui avevo lasciato che adesso il grosso del
lavoro in cucina lo facesse Cyndi, invece di farlo io. Contavo, però,
di recuperare con i miei spe acolari dolci.
«Voglio solo che sia tu o perfe o» sussurrai.
Wes mi abbracciò da dietro e appoggiò la testa sulla mia spalla.
Rimanemmo a guardare l’albero. Ne ero orgogliosa, perché
sembrava uscito dalle pagine di una rivista di arredamento, o
almeno a me sembrava così. C’era una componente artigianale che si
mescolava benissimo con le decorazioni sfarzose che il clan dei
Channing adoperava da anni.
«Mia, è davvero perfe o. L’unica cosa che importa alla mamma è
stare con la sua famiglia il giorno di Natale. Il resto» disse, indicando
l’albero, le decorazioni, le cose che avevo disposto con grande cura
tu ’intorno «è solo un di più.»
Feci un respiro profondo. «Se lo dici tu. Voglio solo che sappia
che sono in grado di farti vivere bene, che le nostre vacanze insieme
saranno sempre all’insegna della famiglia e della bellezza.»
Wes rise e mi baciò il collo. «Sarà così: hai fa o un lavoro
straordinario.» Nell’udire il rumore della porta che si apriva e dei
passi nell’atrio lo abbracciai stringendolo forte. «Sono arrivati.» Lui
sorrise e mi depositò un altro bacio sul collo, prima di correre dietro
alla piccola monella bionda per andare a salutare la sua famiglia.
Dopo alcuni interminabili minuti, che passai a sistemare per
l’ennesima volta le decorazioni sul tavolo, finalmente entrarono in
sala.
Il primo fu Charlie, che mi accolse a braccia aperte e mi abbracciò
forte. «Mia, buon Natale! Dov’è la roba da bere? Dopo questo
a erraggio ne abbiamo bisogno. Mio Dio, il pilota deve avere preso
la licenza alla scuola dei duri a giudicare dalla manovra con cui ci ha
portati fuori dalla turbolenza. Tremendo.»
Max dall’altra parte della stanza alzò una bo iglia di vino e una di
birra. «Qui c’è quello che fa per lei, Mr Channing.»
«Vado da lui» disse, e dopo avermi dato un bacio sulle guance
andò da mio fratello. Non c’era bisogno che facessi le presentazioni,
Max ci avrebbe pensato da solo.
Poi entrò Claire, aggiustandosi una ciocca bionda. «Mia, che
piacere vederti.» Mi venne vicino e mi abbracciò. Sentii il freddo dei
suoi capelli contro il naso e riconobbi il suo profumo, un misto di
pesca, albicocca, rosa e muschio: in seguito scoprii che si chiamava
Trésor. Quando si sciolse dall’abbraccio, aveva gli occhi spalancati.
Cominciò a esplorare la sala, lentamente, passò le dita delicate su un
fiocco luccicante, accarezzò la ghirlanda sistemata sopra al camino e
si fermò di fronte all’albero, sfiorando una decorazione artigianale.
«Davvero incredibile. Sono anni che l’albero non viene così
allegro. Dove hai trovato il tempo per fare tu e queste cose?» mi
chiese.
La tensione nervosa che mi a anagliava svanì di colpo e le
raccontai di quando Wes mi aveva portata a tagliare il mio primo
q p g p
albero.
«Il tuo primo albero? Non è possibile che sia il primo.»
Mi morsi un labbro e distolsi lo sguardo, non sapendo mai come
reagire quando si tra ava del modo scia o in cui ero stata allevata.
In quel momento arrivò Maddy, che mi mise un braccio intorno alle
spalle e diede la mano a Claire. «La nostra famiglia non teneva molto
alle ricorrenze, ma noi sì. Sono Madison Saunders, la sorella di Mia.
Ho sentito tanto parlare di lei, Mrs Channing.»
“È arrivata la cavalleria a salvarmi!” Strinsi forte mia sorella
ringraziandola in cuor mio per il suo intervento. Non mi piaceva
parlare della nostra adolescenza, sopra u o con chi aveva tu o. Mi
faceva sentire piccola piccola, anche se sapevo che non ce n’era
motivo: non avevo avuto molta scelta da quel punto di vista.
Claire e Maddy scambiarono qualche parola finché Claire guardò
il camine o con più a enzione, passando le dita sui due candelieri
d’argento. «Santo cielo, ecco dov’erano!» esclamò. «Charles, te li
ricordi?» chiese, a voce abbastanza alta da farsi sentire.
Lui si avvicinò alla moglie e le mise un braccio a orno alla vita.
«Regalo di nozze dei miei. Mi chiedevo perché era un po’ che non li
vedevo più, e adesso mi è venuto in mente: li abbiamo portati qui
per celebrare il nostro primo Natale in qua ro. Te lo ricordi?»
Claire si portò la mano alla fronte. «Oh, caro, adesso sì che me lo
ricordo! Sono anni che li cerchiamo e sono sempre stati qui.»
«Li ho trovati insieme alle decorazioni in uno scatolone»
intervenni io, sorridendo.
«Be’, questo spiega tu o.» Claire alzò gli occhi al cielo e guardò il
marito. «Chi avrebbe mai immaginato che due candelieri di
inestimabile valore sarebbero potuti finire in uno scatolone?» disse
ridacchiando, e diede un bacio sulla spalla al marito, a cui
evidentemente a ribuiva la responsabilità di quella sbadataggine.
«Pensi che sia stato io?» chiese lui ridendo, con tono colpevole.
«E chi se no? I ragazzi erano piccolissimi.» Osservò di nuovo i
candelieri. «Sia come sia, siamo davvero emozionati che tu li abbia
ritrovati.»
«Io direi di lasciarli in vista tu o l’anno. Se sono così importanti
per voi, vi ricordano un’occasione importante con persone
p p p
importanti perché non fare in modo che allietino sempre la vostra
casa?» Mi strinsi nelle spalle e di colpo, rendendomi conto di quel
che avevo appena de o, avvertii un brivido lungo la schiena. Mia
Lingualunga, al vostro servizio. «Cioè, ovviamente se vi fa piacere,
ecco…»
Chiusi gli occhi e mi sentii avvampare.
«Non è una ca iva idea. Quando sarà ora di partire li porteremo
con noi e li sistemeremo sul camino di casa nostra» disse, rivolta al
marito.
«Come desideri, cara» replicò lui, dandole un bacio sulla tempia.
Fiuuu, questa volta l’avevo scampata.
Claire si girò e mi prese so obraccio. «Sei davvero una ragazza in
gamba… e chissà se questa ragazza in gamba ha voglia di andare a
prendere un bicchiere di vino per una vecchia signora? Il volo è stato
davvero un incubo» disse, corrucciata. Anche il suo broncio riusciva
a essere delizioso, forse perché era ironico e durò appena un a imo.
Wes aveva ragione. Ero preoccupata di fare una buona
impressione e l’avevo fa a, ma loro non erano lì per giudicarmi:
volevano solo conoscere la mia famiglia, come noi volevamo stabilire
un buon rapporto con la loro.

Un paio d’ore e qualche bicchiere di vino più tardi ci me emmo a


tavola. Cyndi e Max avevano superato loro stessi, ogni pia o era più
gustoso del precedente. Il tacchino era delizioso e il sugo sublime.
Ero sicura di avere mangiato l’equivalente del mio peso, fra tacchino
e ripieno.
La tavolata era allegra e rumorosa, proprio come piaceva a me.
Avevo Maddy da una parte e Wes dall’altra e tu i insieme
godevamo l’impagabile piacere dell’avere accanto le persone più
care.
«Mad, ora abbiamo una famiglia» le sussurrai.
Lei si chinò verso di me, la sua voce sembrava esile. «Non avrei
mai pensato che ci sarebbe capitato qualcosa di tanto meraviglioso.
Non lo darò mai per scontato.»
Le strinsi la mano con forza. «Neppure io.»
«Ehi, voi due, che cosa state bisbigliando?» chiese Wes, in tono
scherzoso.
«Nulla, ci stiamo solo godendo la serata.»
Wes si piegò verso di me e mi sfiorò le labbra con un bacio. Tu i i
suoi baci avevano un significato ma quello fu il migliore, perché me
l’aveva dato la sera di Natale, quando per la prima volta avevamo
unito le nostre due famiglie.
Peter, il marito di Jeananna, si schiarì la voce e si alzò in piedi con
il bicchiere di vino in mano, ba endo con delicatezza il coltello del
burro contro il vetro.
Tu i gli sguardi si girarono verso di lui. Posò il bicchiere sul
tavolo e mise un braccio sulla spalla di Jeananna. «Abbiamo un
annuncio da fare.»
Gli occhi di Claire si riempirono subito di lacrime, e Jeananna fece
un sorriso a trentadue denti. «Dài, continua» disse al marito con la
voce ro a e le guance rigate dalle lacrime.
«Aspe iamo un bambino!» esclamò Peter.
Non aveva ancora finito di pronunciare l’ultima parola che già
Wes e Claire si erano alzati ed erano schizzati dall’altra parte del
tavolo.
«Forte!» disse Maddy, sollevando il bicchiere. Feci cincin con lei e
bevemmo lo champagne d’un fiato.
«Congratulazioni, ragazzi, è fantastico» dissi.
Wes abbracciò la sorella e la sollevò da terra. «Mia e io siamo
tanto contenti per voi.»
In quel momento realizzai la portata di quel “Mia e io”. Wes e io
non eravamo solo due che stavano insieme, ormai eravamo diventati
un “noi”, una squadra unita. Una volta sposati, di lì a pochi giorni,
saremmo diventati “i Channing”. Non ero mai stata una “i
qualcosa”, prima, e dovevo amme ere, mentre osservavo Wes
abbracciare la sua famiglia e accarezzare la pancia ancora pia a della
sorella, che far parte di qualcosa di più grande, di una famiglia
affe uosa, era davvero il massimo. Adesso lo capivo.
Me ne rendevo conto in quel momento, con Max e il suo clan,
Maddy e il suo ragazzo e la famiglia di Wes. Non nuotavo più da
sola in uno stagno, allungando la mano verso un paio di persone.
g g p p
Avevo un oceano di possibilità, e tu i quelli intorno a me mi
tendevano la mano, pronti a ge armi un salvagente se la corrente
della vita avesse rischiato di travolgermi.
Ero felice. Completamente, immensamente, meravigliosamente
felice.

Eravamo tu i e dodici intorno all’albero di Natale a guardare Isabel


pazza di gioia per la montagna di regali che Babbo Natale le aveva
portato. È superfluo dire che anche io e Maddy le avevamo comprato
dei doni e così pure, si scoprì, Claire e Jeananna. Felici di andare a
fare shopping per una bambina, si erano lasciate un po’ prendere la
mano.
«Max, per fortuna che hai un jet privato» sogghignai vedendo la
piccola che scartava l’ennesimo gingillo di Barbie lanciando urle i di
felicità così come aveva fa o per tu i gli altri regali.
Max emise un lungo sospiro. «Sorellina, c’è poco da scherzare.
Riempiremo davvero la stiva con i suoi regali.»
Fummo interro i da un forte gridolino. «Papà! Ho una corona
vera, come quelle delle principesse.» Isabel arrivò di corsa per far
vedere il suo nuovo, fantastico regalo.
«Wow, è davvero stupenda, Bell.» Max strinse gli occhi. «Aspe a
un a imo, fammi un po’ vedere.» Prese la tiara: non era una vera e
propria corona, ma per una bambina della sua età non c’era
differenza. La studiò da vicino alla luce della finestra. «Chi te l’ha
regalata, tesoro?»
Scossi la testa, perché io le avevo preso rumorosi accessori per il
gruppo rock di Barbie. Maddy aveva scelto un set da viaggio di
acquerelli e cavalle o e i regali di Claire e Jeananna erano ancora da
aprire.
«Fammi vedere» dissi, e mi feci passare il regalo mentre Isabel
continuava a saltellare senza sosta nel suo pigiamino rosa.
La tiara era tempestata di cristalli. Sbirciai all’interno e vidi la
marca: Swarovski. Cavolo, era un monile di quelli che le donne
ricche indossano ai matrimoni o alle feste mondane, non uno di
quegli aggeggi finti che si trovano nel reparto dei vestiti di carnevale
per bambini nei grandi magazzini. «Che nome c’era sul pacche o,
tesoro?»
Isabel si strinse nelle spalle e si mise la tiara in testa, adagiandola
sui riccioli, poi unì le braccia sul pe o e si mise a volteggiare proprio
come una vera principessa. Se avesse indossato l’abito da ballo,
probabilmente avrei creduto anch’io a quell’illusione.
Wes si sede e sul bracciolo del divano e mi porse una tazza di
caffè. Indossava i pantaloni del pigiama di flanella e una maglie a
termica bianca: me lo sarei mangiato vivo. Se non l’avessi
praticamente divorato la no e precedente, gli avrei sbavato dietro
per tu o il tempo. La fi a tra le gambe mi ricordò quanto l’avessi
preso in fondo, ma non bloccò i miei piani per la serata. Anche se lui
era riuscito a farmi togliere il bando sul sesso che avevo cercato di
imporgli in vista di quella no e, ne sarei comunque uscita vincitrice.
«Ah, vedo che ti sei messa la mia corona. Ti sta benissimo, Bell»
disse, rivolto a nostra nipote.
Io e Max gli lanciammo un’occhiata stupita, Maddy sbuffò e
Claire sorrise con dolcezza.
«Be’?» fece lui, senza capacitarsi dello stupore suscitato da quel
regalo così ridicolmente ostentato.
«Hai comprato a una bambina così piccola una tiara di cristalli
Swarovski autentica?» gli domandai.
Si guardò intorno, ma nessuno parlava. «Ehm, sì. Lei adora essere
una principessa. E una principessa ha bisogno di una corona
adeguata. Quelle che vendono nei negozi di gioca oli sono
tremende: si vede persino la colla. Questa invece» disse, indicando
l’ornamento luccicante «non andrà in pezzi ed è stata fa a a regola
d’arte: me l’ha assicurato il gioielliere.»
«Sei senza speranza» gli dissi ridendo. Avrei scommesso che
quella corona era costata più di un biglie o aperto per girare
l’Europa.
Wes alzò le spalle, incapace di afferrare il punto. «Guardala, la
adora. Sei invidiosa perché le ho fa o un regalo più bello del tuo,
eh?»
Gli diedi un buffe o sulla coscia. «Certo, hai ragione amore, sono
proprio invidiosa» risposi, per me erlo tranquillo.
p p p p q
Wes fece un ampio sorriso, si mise in ginocchio e frugò tra i regali.
Trovò quelli che aveva comprato e cominciò a distribuirli. Pensavo
che i doni che avevo preso fossero da parte di tu i e due, ma a
quanto pareva non era così: lui si era organizzato per fare shopping
per conto suo. “Appunto mentale: discutere la questione dei regali di
Natale con tuo marito l’anno prossimo, per evitare doppioni.”
«Non essere invidiosa, ho preso anche per te qualcosa che
luccica.»
Sollevai la mano, mostrando il mio anello di fidanzamento. «Ce
l’ho già qualcosa che luccica.»
«Ma quello non era un regalo di Natale. Dài, aprilo.»
Era un piccolo pacche o avvolto nella carta rossa e dorata. Lo
scartai e trovai una scatolina da gioielli. Guardai Wes e aggro ai la
fronte: lui sapeva che non sono il tipo che si aspe a di ricevere tanti
monili né li desidera in modo particolare.
«Fidati.» Mi accarezzò la guancia con un dito, sistemandomi una
ciocca dietro l’orecchio. Uno dei suoi gesti preferiti.
Aprii la scatolina e dentro ci trovai un cuore di platino, che non
era perfe amente dri o ma inclinato rispe o alla catenina. Nel
mezzo c’era un foro, a raverso il quale si poteva vedere la pelle o il
vestito di chi lo indossava. Era davvero splendido.
«Giralo e leggi cosa c’è scri o.» Il ginocchio di Wes non sme eva
di ballare, forse per l’eccitazione o per il nervosismo. Io propendevo
per la prima ipotesi.

Il mio cuore è tuo.

La scri a era incisa lungo il bordo del cuore. Semplice, ma ricca di


significato. Deglutii, mentre il mio cuore, quello vero, ba eva
all’impazzata.
«Ti piace?» mi chiese.
Chiusi gli occhi tentando di non piangere, non volevo che il resto
della famiglia mi vedesse in lacrime. Mi alzai, gli presi il viso tra le
mani e gli diedi un bacio sulla bocca. Ci baciammo per un paio di
minuti in una stanza piena di persone. E non persone qualunque, ma
le nostre famiglie. Pensai che sarebbe stato un buon allenamento per
g p
loro perché Wes e io avremmo spesso manifestato pubblicamente il
nostro affe o. In momenti come quello, non sarei stata in grado di
tra enermi.
«Tienilo per il matrimonio!» bofonchiò Max, a voce abbastanza
alta da perme ermi di sentirlo e di ricordarmi dove mi trovavo.
Mi staccai da Wes, i suoi occhi erano di un verde brillante. «Ok, le
piace» mormorò.
Cercando di tenere so o controllo le emozioni mi feci aiutare da
Isabel a scavare in quella montagna di regali per trovare quello di
Wes.
Nel vedere il pacche o, non molto più grande di quello che lui
aveva dato a me, fece un sorriso. Strappò via la carta con la stessa
foga di Isabel poco prima, il che mi fece capire un’altra cosa di
quell’uomo: i regali gli piacevano. Presi un appunto mentale per il
futuro: se la cosa lo riempiva di tanta gioia, per il suo compleanno
l’avrei sommerso di doni.
Aprì la scatola, dentro c’era un orologio d’oro bianco con un
grosso cinturino marrone.
«Mia, è davvero incredibile, lo userò tantissimo…»
«Giralo.»
Sul retro c’era un’incisione in corsivo, su due righe.

Perché ti sei ricordato di me…


Sono tua. Mia

Deglutì così lentamente che non sapevo cosa pensare. «In tu a la


mia vita ho ricevuto un solo regalo più bello di questo.» Fece un
respiro profondo e sollevò la testa. Aveva gli occhi lucidi, colmi di
gioia. «Il dono del tuo amore.»
Sorrisi e lo baciai di nuovo.

Quella stessa sera, molto più tardi, aprii la porta del bagno con
addosso uno dei regali di Wes. I seni erano strizzati in un reggiseno
a balconcino rosso con motivi bianchi. La parte di so o era una
minuscola gonnellina con gli stessi motivi che non copriva neanche
le natiche. Le gambe erano inguainate in un paio di autoreggenti
g g p gg
rosse e ai piedi avevo un paio di scarpe nere con tacchi vertiginosi,
ada e non per camminare, ma per farsi scopare. I capelli erano una
massa di riccioli color ebano che mi scendevano lungo la schiena fin
quasi a toccare le due fosse e sopra il sedere. Per completare
l’effe o, indossavo un cappello da Babbo Natale.
Mi appoggiai allo stipite. La luce alle mie spalle si proie ava sul
le o, su cui era sdraiato Wes, completamente nudo, con il membro
già duro e bagnato sulla punta dell’enorme cappella. Accidenti,
avevo voglia di leccarglielo tu o, da cima a fondo, di prenderlo
dentro di me e fargli capire quanto fosse stata importante per me
quella giornata, e quanto lui mi aveva cambiato la vita in meglio.
Volevo fargli sentire tu o questo a ogni affondo, a ogni bacio, a ogni
carezza; volevo che sentisse che cosa provavo.
Cercando di mantenere il controllo, mi portai una mano sopra la
testa e inarcai la schiena in modo provocante. «Allora, bel bambino,
quest’anno hai fa o il bravo o il monello?» chiesi con voce
appositamente bassa, perché sentisse il desiderio in ogni parola che
pronunciavo.
Quando mi vide, Wes rimase senza fiato. «Porca pu ana.»
«Taaaanto monello, allora?» gli chiesi facendo l’occhiolino.
Tese le braccia e strinse i pugni, come se non ce la facesse più.
«Tu i e due! Adesso vieni qua e fammi scartare il mio regalo!» disse
con una specie di ringhio mentre con una mano si prendeva in mano
l’enorme membro duro. Avevo voglia di me ermi in ginocchio e
strisciare verso di lui, e feci esa amente così. Lui perse il controllo…
e anch’io.
Il mio ragazzo era decisamente un monello, ma tanto, tanto dolce.
10

Carissima Mia,
scusami se in quest’ultimo mese non ho risposto alle tue telefonate. Non
voglio che i miei problemi si ripercuotano sulla tua vita più di quanto
abbiano già fa o.
Mia, sono un uomo finito. Sapevo di avere dei problemi con l’alcol. Capivo
che la strada che avevo preso era pericolosa e che avrebbe potuto uccidermi.
L’anno scorso in questo periodo non me ne importava più niente. Avevo già
perso vostra madre. Avevo perso voi, per avervi allontanate da me. Farla
finita sarebbe stata la soluzione più semplice. Adesso mi rendo conto che era
una scappatoia vigliacca.
Tu e Madison non avreste mai dovuto ritrovarvi nella situazione in cui vi
ho messe. Il pensiero che tu abbia lavorato per Millie per salvarmi e pagare i
miei debiti mi fa accapponare la pelle. Non voglio mai più rappresentare un
fardello del genere per te e tua sorella. Quindi per adesso mi sto prendendo
il tempo necessario per capire cosa devo fare. Come cambiare, o addiri ura
se ne sono in grado.
Vi conta erò quando l’avrò capito. Vivete la vostra vita. Non preoccupatevi
per me. Vorrei chiederti di tenere d’occhio tua sorella, ma è una richiesta
stupida. Per lei sei stata un genitore migliore di quanto avremmo mai
potuto essere tua madre o io.
Mia, spero che quest’uomo e la tua vita in California ti rendano felice. È
questo che voglio per te: la felicità. Tu più di ogni altro meriti un lieto fine.
Ti voglio bene più di quanto potrai mai sapere.
Papà

Rilessi la le era che avevo ricevuto un paio di giorni prima con gli
occhi pieni di lacrime. Provavo così tanti sentimenti contrastanti,
come un rombo nelle orecchie. Come potevo voltare pagina? Dopo
anni passati a prendermi cura di lui, dovevo sme ere di farlo e
basta? Dimenticare di avere un padre?
Forse era un’idea grandiosa. In fondo, era quello che lui diceva
nella le era. Vivere la mia vita. Andare avanti senza preoccuparmi
di lui. L’ultima volta che l’avevo fa o, papà si era ritrovato con un
debito di un milione di dollari e io con il culo nell’ufficio di zia Millie
a vendere la mia compagnia al miglior offerente. Non ero più quella
persona. Non avrei mai più potuto esserlo.
L’indomani avrei sposato Weston Charles Channing III. Mia
Saunders sarebbe sparita. Al suo posto ci sarebbe stata una donna
sposata. Una donna migliore, perché avrei avuto al mio fianco la
forza dell’amore di Wes per affrontare tu o, compreso come gestire
mio padre in futuro.
Più pensavo alle sue parole, più mi incazzavo. Come osava
cancellarmi dalla sua vita! La le era di addio era piu osto comica,
ma alquanto appropriata, dato che avevo usato lo stesso identico
metodo con la maggior parte dei miei clienti. Immagino che avessi
preso quella cara eristica elusiva dal caro vecchio papà.
Eppure mi irritava. Il giorno dopo mi sarei sposata. Sapevo che
spostarsi sarebbe stato complicato, ma mi aspe avo che almeno
facesse uno sforzo. Wes gli avrebbe mandato un aereo privato,
avrebbe pagato le infermiere per accompagnarlo… e tu o solo
perché io potessi avere accanto mio padre al mio matrimonio. Era
l’unico giorno della mia vita in cui avrei avuto bisogno che ci fosse,
che me esse me al primo posto anziché se stesso. Avrei voluto che
per una sola dannata volta si sacrificasse per me, ma non era in
grado di farlo. Sapeva che mi sarei sposata il 1° gennaio. Avevamo
parlato del fa o che forse non sarebbe stato in condizione di
viaggiare così presto dopo essere stato dimesso dall’ospedale. Aveva
giurato e spergiurato che non si sarebbe perso il matrimonio di sua
figlia per nulla al mondo. E poi era arrivata la le era.
Guardai la distesa dell’oceano dalla terrazza della nostra camera
da le o. Sulla parte pianeggiante della spiaggia c’erano persone
impegnate nei preparativi per l’indomani. Erano stati montati una
pia aforma di legno rialzata e un gazebo; dato che si trovavano sulla
porzione di spiaggia privata di Wes, avevamo fa o realizzare un
viale o in pietra. Il giorno dopo il posto riservato per la nostra
piccola cerimonia sarebbe stato cosparso di fiori. In futuro avremmo
p p
fa o installare una panchina dove sederci a guardare l’oceano senza
nient’altro intorno.
«Ehi, troie a, che fai?»
Sobbalzai sulla sedia. «Gesù! Magari la prossima volta avvertimi
della tua presenza, eh?»
Ginelle si lasciò cadere sulla sedia di fronte alla mia e mise i piedi
sulla ringhiera. «Com’è che sei così nervosa?» Abbassò gli occhiali da
sole e mi lanciò un’occhiata da sopra il bordo delle lenti. «Hai la
tremarella?»
Feci un sorrise o e mi appoggiai allo schienale. «Ragazza, mai
stata così salda sui piedi. Forse perché indosso i miei anfibi.»
Ginelle fece una smorfia. «Gli anfibi sono orrendi. Non te l’ha mai
de o nessuno? Se li me ono i militari, non le ragazze con un briciolo
di gusto. Chi vorrebbe andarsene in giro con l’aria di uno in procinto
di guadare le sabbie mobili?» Si tirò indietro i capelli biondi. «Non
capisco cosa ci trovi.»
«Io, ecco chi!» Appoggiai un piede sulla ringhiera e mi guardai gli
anfibi. Erano davvero bru ini. Se non fossero stati così comodi, non
me li sarei mai messi. Ma purtroppo, non appena ci avevo infilato un
piede, avevo visto la luce e nessuno mi avrebbe convinta a
rinunciarci.
«Allora, hai intenzione di dirmi perché hai quella faccia? Quando
sono arrivata sembravi una che ha sentito puzza di merda di cane
ma non riesce a capire dov’è.»
Feci un sospiro e le allungai la le era.
Lei me la strappò di mano e la scorse. Mentre leggeva le sue
labbra si piegarono in una smorfia che le scoprì i denti. «Figlio di
pu ana egoista.» La sua voce salì di un’o ava: «Non posso credere
che ti abbia fa o una cosa del genere proprio prima del tuo
matrimonio. Dopo tu o quello che…». Scrollò la testa. «Basta. Lo
uccido con le mie mani. Non ci si comporta da stronzo con la mia
migliore amica dopo il modo in cui ti sei sacrificata per lui.» Si alzò
in piedi e si mise le mani sui fianchi. «Sai che c’è? Adesso lo chiamo e
gli dico che è un senza palle, un…»
La interruppi me endole una mano sul polso. «Non servirebbe.
Anzi, lo farebbe stare peggio e finirebbe con l’a accarsi alla bo iglia.
p gg g
Mi sa che lo sta già facendo, comunque. Il tono della sua le era non
mi lascia molto fiduciosa su come andrà a finire. Ma sai una cosa,
Gin?»
Lei sbuffò e si sede e di nuovo.
«Non me ne importa più niente. Ho chiuso. Certo, gli vorrò
sempre bene. È mio padre. Nulla potrà cambiare questo, né se si
comporterà bene né se mi farà piovere addosso altra merda. In
questo momento non ho spazio per lui nel mio cuore, così come non
ce l’ho per mia madre. Fa male? Certo, cazzo, un male boia. Ma
domani è un altro giorno.» Pensai al sorriso di Wes, al modo in cui
mi toccava, a come mi guardava adorante. «Lui rende bella ogni
cosa. Persino me. Ho intenzione di concentrarmi su questo e di
vivere la mia vita illuminata da Wes e la nostra vita insieme.»
Gin annuì. «Prima di tu o, sei sempre stata bella. Splendida.
Secondo, concordo con te. Non lo capisco, perché vorrei tirare una
ginocchiata nelle palle al vecchio, ma mi rendo conto che hai bisogno
di voltare pagina. È ora. Del resto, tu i noi stiamo voltando pagina.»
Si girò a guardare l’oceano, dove le onde si frangevano incessanti
sulla spiaggia immacolata.
Avevo quel panorama davanti agli occhi tu i i giorni. Ero
malede amente fortunata: dovevo sme erla di compatirmi e iniziare
ad apprezzare ciò che avevo. Ma in quel momento dovevo
approfondire una cosa che aveva de o Ginelle.
«Mi stai dicendo che… ti trasferisci alle Hawaii?»
Fece un sorriso triste. «No, no. Rimarrò qui per un po’. Se a voi
non dà fastidio che stia nella dépendance.»
«Per niente. Rimani quanto vuoi. Per sempre, se ti va. Ti ho già
de o che ti voglio qui. Ho bisogno di te. Se devo ritrovare il mio
equilibrio, mi serve la mia migliore amica. Però sono un po’ stupita.
Tu e Tao andate d’accordo, no?»
Lei annuì. «Sì, è tu o quello che potrei desiderare in un uomo.
Solo che non mi vuole. Cioè…» Fece un sorriso sardonico, ma gli
occhi rimasero tristi. «Vuole solo delle parti di me.»
Le diedi una bo a sul braccio. «Lascia perdere le ba ute e dimmi
cosa intendi.»
Ginelle si strinse nelle spalle e incrociò le braccia, un gesto
difensivo. «Gli piace passare del tempo con me, scherzare e ridere, e
il sesso è fenomenale…»
«Sembra tu o perfe o» la interruppi, non volendo che entrasse
nei particolari. Quando si parlava di sesso, la mia migliore amica
non si tirava certo indietro. Proprio per niente. Le piaceva raccontare
tu i i de agli, e a volte li ascoltavo volentieri, ma non la sera prima
del mio matrimonio. Doveva esserci qualcosa di sacro in quel giorno.
Inclinò indietro la testa e fissò il cielo. «Vuole una moglie e una
madre per i suoi bambini. Una donna di cui potersi prendere cura,
non una che vuole lavorare. Ho passato anni a perfezionarmi. Ho
ancora molto tempo per ballare prima di essere costre a a
rinunciare. E dopo, ho sempre sognato di aprire una scuola di danza.
E poi se volessi giocarmi la carta della maternità, potrei farlo a mia
discrezione. Potrei gestire una scuola e tenere con me i figli. La mia
insegnante di danza di tanti anni fa lo faceva. I piccoli stavano nel
box mentre lei faceva lezione. Avrebbe potuto chiedere meno per il
corso, dato che ogni tanto doveva interrompersi, ma in genere
andava tu o alla grande. Sono cresciuta con quei bambini, ho ballato
con loro anni dopo. È troppo desiderarlo anche per me?»
Socchiuse gli occhi, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese la
testa fra le mani.
«No, non è chiedere troppo. Se è il tuo sogno, devi lo are perché
diventi realtà, a meno che non si presenti un’opportunità migliore.
Hai parlato a Tao di quello che hai in mente?»
Sospirò. «Sì, e lui ha de o che la sua donna non lavorerà a meno
che non sia nello spe acolo di famiglia.»
«Be’, sono danzatori, magari potresti…»
Alzò gli occhi al cielo e mi guardò come se avessi appena de o
che c’era Brad Pi alla porta disposto a offrirsi come schiavo
sessuale.
«Giusto» dissi espirando lentamente. «Non esa amente il tuo
stile.»
Ginelle fece una smorfia. «Eh, no.»
«Ma… Tao è il tuo tipo. Non vale la pena rinunciare a un sogno
per un altro?»
p
Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. «Sono terribile se dico
di no? Perlomeno non adesso, che ho solo venticinque anni. Magari
tra un paio d’anni potrei pensarla diversamente. Ma a quel punto…»
«Lui sarà passato ad altro. No, ho capito. Allora è stata una
ro ura chiara?»
Sbuffò e raddrizzò la schiena. «Neanche un po’. Anche se spero
che capirà il messaggio.»
Mi misi a ridere. «Vuoi dire prima che risalga su un aereo e venga
a farti nero quel tuo bel cule o?»
Stese un braccio in direzione del mio naso. «Tombola! Hai fa o
centro.»
Geme i. «È la mia ultima no e da single.»
«Ehi, mica è colpa mia se gli piace così tanto da volerci me ere un
anello intorno! Arrangiati. Adesso muovi il culo e vai in cucina a
prepararmi un panino.»
Mi tirò in piedi con una forza che mi parve sovrumana.
«E sme ila di preoccuparti di questa robaccia. Le prossime
ventiqua r’ore saranno le più felici della tua vita e, in qualità di
damigella d’onore, mi accerterò che sia proprio così.» Appallo olò la
le era di mio padre e se la ge ò alle spalle, giù dalla terrazza. Non
guardai nemmeno dov’era finita.
«Lo sai che è Maddy la mia damigella d’onore, vero?» riba ei.
Gin si tappò le orecchie con le mani. «La la la la laaaaaa la la la
laaaaaaa.»
Vabbè, immaginai che Maddy avrebbe chiarito le cose.

Qualcuno spostò le lenzuola così lentamente che non me ne sarei


accorta se non avessi avvertito il peso di un ginocchio che faceva
affondare il materasso. Continuai a respirare piano, per non fargli
capire che ero sveglia. Fui avvolta dall’odore del mio uomo e dal
profumo dell’oceano, e un brivido di eccitazione e desiderio mi
percorse. Continuai a fare finta di dormire, curiosa di sapere cosa mi
riservava questo a acco a sorpresa.
Avvertii qualcosa di fresco toccarmi il collo e poi scendere lungo
la schiena in una lenta carezza. Non riuscii a impedirmi di
rabbrividire.
«So che sei sveglia, dolcezza» disse Wes e mi mordicchiò una
natica a raverso il cotone so ile delle culo es. Non mi aspe avo che
fosse lì la no e prima del nostro matrimonio, perché avevamo deciso
di dormire separati seguendo la tradizione. In genere non ero una
che teneva in gran conto le tradizioni, ma quando Claire Channing
ce l’aveva chiesto mi era sembrata una cosa tenera.
Ed ecco che Wes era venuto a infrangere le regole.
«Non siamo ancora sposati e te ne stai già infischiando della
tradizione?»
Mi infilò un dito so o l’elastico delle mutandine e me le abbassò,
facendole scivolare lungo le gambe. Rimasi a pancia in giù, in a esa
della sua mossa successiva. Se aveva intenzione di non rispe are le
regole, l’avrebbe fa o senza la mia collaborazione. Poi avrei potuto
dichiarare di essere stata una vi ima impotente e non l’istigatrice.
«Come se te ne importasse qualcosa» riba é, facendomi scivolare
la cosa fresca sul sedere e poi passandomela tra le cosce.
«Oh!» sobbalzai alla sensazione di un ogge o che mi sfiorava il
sesso per poi scomparire, lasciandomi bagnata di desiderio. Wes
respirò forte.
«Rosa mescolata al miele che hai tra le cosce. Mi fai venire
l’acquolina in bocca, piccola» disse con la voce roca.
Mi girai su un fianco: Wes stava annusando una rosa rossa. Non
appena i nostri occhi si incontrarono, sporse la lingua e leccò i petali
del fiore. Lo guardai affascinata, immaginando il sapore sulla sua
lingua.
«Delizioso, ma non mi basta» disse deglutendo, e un lampo di
desiderio gli accese gli occhi verdi.
Lo guardai mentre si me eva a cavalcioni sopra di me. Indossavo
solo una cano iera bianca a costine, dato che le mutande me le aveva
già tolte.
«Non dovresti essere qui, Wes» gli dissi senza troppa
convinzione. Sentivo il centro del mio corpo pulsare di desiderio e
l’umore colarmi lungo le cosce.
A giudicare dal modo in cui mi guardava, come se io fossi la
fontana della giovinezza e lui stesse morendo di sete, l’unico posto
dove voleva essere era affondato dentro di me con il suo grosso
g
membro abbastanza a lungo da raggiungere l’estasi. Lo sapevo io e
lo sapeva Wes. Perché accidenti avrei dovuto oppormi?
Ah, giusto. Sua madre. Il suggerimento che ci aveva dato, secondo
cui il trucco per cominciare bene un matrimonio era astenersi la
no e prima delle nozze. Non vedere la sposa finché non fosse
comparsa sulla navata. Aveva blaterato un mucchio di stupide
superstizioni che al momento erano sembrate sensate. Di fronte a un
uomo con l’espressione che Wes aveva in quel preciso istante, che
voleva fare con me quello che voleva fare, cose che mi avrebbero
strappato preghiere e mi avrebbero resa più che riconoscente nei
confronti dell’Onnipotente lassù… quelle chiacchiere avevano
sempre più l’aria del folklore inutile.
Wes torreggiò sopra di me in tu a la sua possanza, con indosso
solo i boxer e una T-shirt. Sollevò un braccio muscoloso e si sfilò la
maglie a, rivelando il pe o scolpito: che visione. Non il pe o. No,
non quello. Non potevo resistere alla visione di quei muscoli perfe i
a pochi centimetri dalla faccia. Era impossibile. Ci avevo già provato.
Era un’opera d’arte che mi toglieva il fiato. Una volta che avessi
appoggiato le labbra su quel pe o, su uno solo dei fasci di muscoli
dell’addome… addio buoni propositi.
“Hai la volontà di un guerriero” ricordai a me stessa. Avevo
sentito quella frase in uno spot pubblicitario, o in qualcosa alla TV , e
avevo continuato a ripeterla.
«E vorresti negarmi ciò che mi appartiene?» disse Wes,
afferrandomi l’orlo della cano iera con entrambe le mani. Strinse la
stoffa tra le dita e con un gesto deciso la strappò esa amente a metà.
Dio santo. “Hai la volontà di un guerriero.”
Si protese verso di me mentre io facevo di no con la testa. Le
parole non volevano saperne di uscire. Schiuse le labbra, mi prese in
bocca uno dei capezzoli e lo succhiò forte.
“Hai la volontà di un guerriero.” «Wes…» mi udii sussurrare.
«Dimmi che non lo vuoi e me ne vado.» Riprese a succhiarmi il
capezzolo e poi passò all’altro, leccando e mordicchiando. Continuò
a stuzzicarmi i seni con la bocca e con le mani finché non iniziai a
inarcarmi verso di lui al ritmo delle sue carezze, cercando lo sfogo al
desiderio parossistico che aveva fa o nascere in me.
p
«Ah. Non posso» dissi con un sospiro, me endogli le braccia
intorno al collo e offrendomi alla sua bocca.
«Ecco, adesso sì che riconosco la mia ragazza» grugnì,
continuando a leccarmi e a succhiarmi le te e. Mi inarcai contro di
lui gemendo, tenendolo stre o. Non volevo che sme esse, volevo di
più.
Mi mise un ginocchio tra le cosce e mi fece allargare le gambe,
posizionandosi in mezzo. Era un gesto a cui ero ormai abituata,
dopo i mesi in cui avevo imparato in quanti modi poteva fare
l’amore con me. Adesso voleva sentirmi vicina, il più vicina
possibile. Incollò il suo corpo al mio, pelle contro pelle.
Senza aspe are un secondo di più, mi fece sollevare i fianchi e me
lo mise dentro fino in fondo. Ansimai, contraendomi a orno a lui e
cercando di abituarmi alla sensazione di essere aperta in due.
«Oddio!» gridai quando si ritrasse per poi spingersi di nuovo dentro
di me con un affondo violento.
«Ho intenzione di amarti così per l’eternità, Mia.»
Si ritrasse e mi affondò dentro di nuovo. «Ogni giorno della mia
vita…»
Si sollevò e si abbassò con decisione. «Senza mai sme ere… sarai
amata così» disse e poi prese il ritmo.
Mi aggrappai a lui, gli sussurrai le mie promesse d’amore eterno
contro il collo, le labbra, il pe o, ovunque riuscissi ad arrivare, finché
il piacere divenne intollerabile. Ero un grumo di desiderio, ogni
terminazione nervosa stimolata al di là dell’immaginabile. Continuò
a pomparmi con il suo grosso pene fino a quando il fuoco che mi
aveva acceso nelle vene divampò, squassandomi fino alla punta dei
piedi e divorando tu o quello che incontrava sul suo cammino.
Sopra di me Wes era una macchina ben oliata di muscoli e ossa,
totalmente concentrato sul suo desiderio. I suoi affondi disperati mi
eccitarono di nuovo e il piacere crebbe, crebbe, finché non gridai
ancora, con la sua bocca sulla mia per sentire il mio bisogno di lui.
Gli morsicai il labbro quando lo sentii irrigidirsi aggrappato a me
come se ne andasse della sua vita. Furono sufficienti poche spinte
veloci e raggiunse l’orgasmo premendomi contro il clitoride e
provocandomi un ultimo fremito di piacere mentre godeva dentro di
me.
Restammo abbracciati respirando pesantemente. Ero preoccupata
dall’intensità del desiderio che provava per me. Quando sua madre
aveva suggerito che dormissimo separati, lui aveva acconsentito
senza fare troppe storie. Forse non aveva mai pensato di obbedire.
Lo costrinsi ad alzare la testa. Mi guardò negli occhi.
«Stai bene?» gli chiesi con la voce roca e sazia.
«Sono con te. Ovvio che sto bene» rispose.
“Buona risposta” pensai, poi mi protesi per baciarlo, un bacio
lungo e deciso. «C’è qualche ragione particolare che ti ha indo o a
rompere la tradizione?»
Fece una risatina e negli occhi gli passò un lampo malizioso. «A
dire la verità ho rispe ato la tradizione.»
Aggro ai la fronte. «E come?»
«Be’, esiste una tradizione secondo cui se vuoi stare con la
persona che ami nell’anno nuovo devi baciarla allo scoccare della
mezzano e.»
Lanciai un’occhiata all’orologio. Diceva 00.15. «Ma mezzano e è
già passata.»
Fece un gran sorriso. «Oh, ma io ti ho baciata a mezzano e.
Proprio in quel momento, stavi urlando per il tuo secondo orgasmo
sulla mia bocca. Ti ho baciata eccome.»
«Hai una mente perversa» dissi e gli diedi una spinta scherzosa.
Si spostò e si mise al mio fianco.
Mi passò le mani sul corpo come se stesse cercando di imprimersi
quel momento nella memoria. «Sei pronta per oggi?»
«Mai stata tanto pronta in vita mia.»
Mi rivolse un sorriso così luminoso che quasi mi fece male. «È il
vero motivo per cui sei qui? Per essere sicuro che non ti giocassi
qualche scherze o del tipo Se scappi, ti sposo?» gli chiesi
rannicchiandomi contro di lui.
«No, non ho dubbi sul nostro amore. Solo che non sentivo la
necessità di stare separato da te. Abbiamo già passato abbastanza
tempo lontani, non credi?»
Lo baciai sul pe o, all’altezza del cuore. «Hai ragione. Fin troppo.
Questa è la nostra tradizione: baciarci a mezzano e dell’ultimo
dell’anno e trascorrere la no e prima del nostro matrimonio l’uno
nelle braccia dell’altra.»
«Non vorrei essere da nessun’altra parte. Adesso dormi. Sarà una
giornata impegnativa.» Mi strizzò l’occhio e mi diede un bacio sulla
fronte.
EPILOGO

Weston
Il momento in cui guardi negli occhi la persona con cui passerai il
resto della tua vita ti rimane impresso a fuoco. Questa è l’ultima
donna che bacerai. L’ultima con cui ti rotolerai in un le o con le
lenzuola fresche. La donna che ti sarà accanto per tu i i giorni che ti
rimangono da vivere. C’è qualcosa di assolutamente definitivo in
questo. Solo che non sembra irrevocabile. Sembra una benedizione.
Come se tu avessi lavorato un milione di giorni di fila e finalmente ti
fossi reso conto di aver raggiunto il tuo obie ivo. Questo è
l’obie ivo. Questo momento è il lieto fine. Per entrambi.
Mia. Quando uscì sulla veranda al braccio del fratello, tu o parve
retrocedere sullo sfondo…
Il rumore delle onde dell’oceano… svanito.
Gli ospiti che guardavano una figura in bianco che scendeva i
gradini a piedi nudi e si avviava sul viale o di pietra… svaniti.
Mia sorella accanto a me… scomparsa.
Il celebrante… sparito.
Non c’era nulla tranne Mia. Non ci sarà mai nient’altro tranne lei.
È la mia ragione di vita. Non sarei qui oggi se non fosse stato per lei.
Avanzava a passi misurati, al ritmo di una musica che lei sola
poteva sentire. Una lunga gamba dopo l’altra. L’abito era di
un’eleganza semplice. Un po’ come lei. Aveva una scollatura a V
fa a di piccole strisce di stoffa e tempestata di cristalli lungo i bordi.
Adoravo la sua figura. Un corpo a clessidra con curve sontuose.
L’abito si allargava alla base della schiena e si gonfiava alla brezza di
gennaio. Il tempo era clemente e ci aveva regalato una temperatura
perfe a di ventiqua ro gradi per il giorno più importante della
nostra vita.
Aveva le spalle, le braccia e i piedi nudi. L’unica nota di colore
erano le onde color ebano dei capelli, il rosa delle unghie e il rosso
delle labbra piene. E poi ovviamente c’erano gli occhi.
I miei amici scherzavano dicendo che era stato il corpo di Mia a
stregarmi, ma non era così. Erano stati i suoi occhi. Verde
chiarissimo, come ametiste verdi, se avessi dovuto paragonarli a una
pietra.
Quegli occhi mi tenevano in pugno sin dal primo giorno, la
primissima volta che si era tolta il casco da motociclista e il sole
aveva illuminato quelle iridi sorprendenti. Sapevo anche allora che
sarebbe stata la mia fine. Quello che non sapevo, però, era che
sarebbe stata anche l’inizio e tu o il resto. Non volevo vivere in un
mondo senza Mia. Lei rischiarava i giorni bui, alleggeriva quelli
pesanti, rendeva magnifici quelli belli. Non c’era nulla che non avrei
fa o per la donna che camminava verso di me, pronta ad
accogliermi nella sua vita come suo marito. Potevo solo sperare che
fosse tu o quello di cui aveva bisogno. Adesso, e ogni giorno a
venire.
«Vuoi tu Weston Channing III…» Mia mimò con le labbra “terzo”
e io ridacchiai, poi finsi di tossire mentre il celebrante continuava.
«Comportati bene» sussurrai in modo che potesse sentirmi solo
lei.
Mi strizzò l’occhio mentre il pastore arrivava alla parte che
prevedeva la mia risposta.
Guardai la mia donna negli occhi ed ero sincero fino in fondo
all’anima quando risposi: «Lo voglio».
A quel punto lei mi regalò uno di quegli enormi sorrisi. Di quelli
spontanei, che vengono dal cuore. Vivevo per quei sorrisi che mi
mandavano in estasi.
«Vuoi tu, Mia Saunders…» Il celebrante formulò i voti di Mia, ma
per me era solo rumore bianco. Fino a quando lei parlò.
«Lo voglio» disse, e si morsicò il labbro inferiore.
Avrei voluto me ere fre a al sant’uomo perché arrivasse alla
parte interessante. Quella in cui la rendeva mia. Legalmente.
Come promesso, ci scambiammo delle semplici fedi di platino.
Mia non era il tipo di donna a cui piaceva essere ricoperta di
p p p
diamanti. No, la mia ragazza voleva vivere sentendo il vento sulla
faccia e guardando il tachimetro toccare cifre spaventose. Come io
ero il tipo d’uomo che dava alla sua donna ciò che desiderava, e
poiché io non desideravo altro che renderla felice, il suo regalo di
nozze era parcheggiato nel viale o.
Non avevo badato a spese con la MV Agusta F4CC a cui moriva
dietro da tempo. Sì, avevo spiato i siti che guardava su Internet. Che
strano: ti saresti aspe ato di trovare link a posti come Victoria’s
Secret e Bloomingdale, e invece no. La maggior parte delle ricerche
riguardavano destinazioni per la luna di miele e siti web di moto.
Feci un gran sorriso mentre il celebrante continuava a blaterare.
Contraevo nervosamente le dita mentre le tenevo le mani,
aspe ando il momento che avrebbe suggellato il nostro legame per
tu a la vita.
«Adesso puoi baciare la sposa.»
Non aveva neanche finito la frase che le avevo messo le mani sulle
guance e la stavo baciando appassionatamente. Sapeva di menta e
champagne. Assolutamente deliziosa. Le feci piegare indietro la testa
e le misi la lingua in bocca, intrecciandola alla sua. Si lasciò sfuggire
un lieve gemito mentre si abbandonava al bacio, aggrappandosi a
me e tenendomi stre o. Dimostrando che ogni bacio significava per
lei la stessa cosa che significava per me.
Non avrei più voluto lasciarla andare. La cosa grandiosa dello
sposare la donna che ami è che non dovrai mai farlo.
Nell’ultimo anno, accanto a Mia e per merito suo, ho imparato
anch’io che quel che conta è il viaggio, trust the journey. Solo che
quando si arrivava al nocciolo della questione, i nostri viaggi non
finivano mai davvero. Tu i i giorni potevano essere l’inizio di uno
nuovo. Di una nuova vita. Con Mia, la nostra famiglia e gli amici che
lei e io ci eravamo fa i lungo la strada… alla fin fine il nostro viaggio
era appena cominciato.

FINE

Una specie… Continuate a leggere per sapere


p gg p p
“Dove sono adesso?”
Dove sono adesso?

ALEC DUBOIS – Il Francesino, famoso artista nonché appassionato


di parole sporche, vive in Francia, dove i suoi dipinti continuano a
riscuotere enorme successo nell’ambiente artistico. A ualmente si
divide tra due femmes fatales che affermano contemporaneamente di
essere incinte di lui.
HECTOR E TONY FASANO – Se la cavano entrambi alla grande, e
vivono il sogno americano. Si sono sposati poco dopo Mia e Wes e
hanno trovato una giovane universitaria che ha acce ato di fare la
madre surrogata, donando due ovuli perché fossero fecondati con lo
sperma di entrambi, in modo che tu i e due potessero avere un figlio
biologico. Hanno mantenuto la ragazza agli studi e adesso lei lavora
per loro nella sede della società. Il marchio Fasano è arrivato nella
corsia dei surgelati e ha superato tu i i concorrenti in qualità di
leader del “cibo congelato che sa di buono”, come recita il loro
slogan. Adesso ogni membro della famiglia Fasano è
multimilionario, compresa mamma Fasano.
MASON E RACHEL MURPHY – Mason e Rachel si sono sposati come
previsto con una cerimonia principesca che “People” ha salutato
come il Matrimonio del secolo. Mia ha fa o da testimone dello sposo
indossando uno smoking come nessun altro avrebbe potuto fare.
Mace e Rachel a ualmente hanno tre bambini che tengono occupata
Rachel mentre il marito continua a stabilire record nel baseball. Ha
stabilito record sia personali sia per i Red Sox. Lui e sua moglie
proge ano di comprare una squadra in futuro.
TAI E AMY NIKO – Hanno celebrato un matrimonio sontuoso
completo di danza del fuoco, hula e cibo tradizionale samoano. Da
p
allora Amy ha sfornato un mini-Tao dietro l’altro. Dopo qua ro
maschi, ha finalmente avuto una piccola dea bionda con gli occhi
azzurri che hanno chiamato Natia, un nome samoano che trado o
le eralmente significa “tesoro nascosto”.
WARREN E KATHLEEN SHIPLEY – Stanno trascorrendo la seconda
parte della vita viaggiando per il mondo. Il proge o speciale di
Warren ha o enuto molta popolarità nel corso degli anni,
contribuendo a finanziare paesi del terzo mondo e nazioni dilaniate
dalla guerra. La Croce Rossa americana l’ha insignito
dell’Humanitarian of the Year Award per gli sforzi prodigati nel
campo della beneficenza.
AARON SHIPLEY – È stato messo in stato d’accusa dalla Camera dei
rappresentanti e condannato dal Senato non molto tempo dopo aver
aggredito Mia. Diseredato dal padre, si era appropriato
indebitamente di grosse somme provenienti dai contribuenti delle
campagne ele orali e aveva promesso favori alle grandi corporation
tramite voti del Senato. A ualmente è in prigione in un carcere
federale di minima sicurezza gestito da privati a Bakersfield, in
California.
ANTON SANTIAGO E HEATHER RENEE – Hanno passato gli ultimi
dieci anni ad arrivare in cima a tu e le classifiche hip-hop
dell’industria musicale. Adesso dirigono insieme la Lov-us
Productions, il produ ore musicale più ambito nel campo del pop e
dell’hip-hop. Trascorrono il tempo lavorando e prendendosi cura
della loro bambina che hanno chiamato, appropriatamente, Fate.
Sono e saranno sempre grandi amici, cosa che li ha portati a decidere
di fare un figlio insieme prima di diventare troppo vecchi. La
bambina è fru o della fecondazione in vitro. Sono felicissimi di
condividere la casa con la loro bambina, dandosi il cambio a uscire
con il partner del momento.
MAXWELL E CYNDI CUNNINGHAM – Vivono nel loro splendido
ranch in Texas con i cinque figli. Sfortunatamente per Max, Jackson è
l’unico maschio e Cyndi si è rifiutata di avere altri bambini. Hanno
dato come secondo nome a una delle figlie Mia, e a un’altra Madison.
La quinta l’hanno chiamata con il nome della mamma di Cyndi. Max
è impegnatissimo come sempre con la Cunningham Oil, affiancato
dalla sorella minore.
BLAINE PINTERO – Lui e il suo manipolo di sicari stanno scontando
dieci ergastoli consecutivi in una prigione di massima sicurezza del
Nevada per aver messo una bomba che ha ucciso dieci persone, tu i
spacciatori, papponi, riciclatori di denaro sporco e noti assassini con
mandati di ca ura a loro nome. Vantaggioso per tu i.
MICHAEL SAUNDERS – Non ha mai superato l’abbandono della
moglie e il divorzio, avvenuto quindici anni dopo. È rimasto a Las
Vegas e ha trovato lavoro come custode in una sala da bowling.
Anche se non gioca più d’azzardo né si fa prestare denaro a strozzo,
continua a entrare e uscire dal gruppo degli Alcolisti anonimi. Mia e
Madison hanno pochissimi conta i con lui.
DOTTOR DREW HOFFMAN – È ancora il medico delle star a
Hollywood, California. Si è sposato e ha divorziato sei volte.
KATHY ROWLINSKI – Ha fa o carriera e adesso è amministratore
delegato della Century Productions. Ha un’enorme villa a Beverly
Hills e ha sposato il suo assistente, un tizio sexy da morire.
KENT E MERYL BANKS – Vivono la loro vita come hanno sempre
fa o. Kent proge a chalet in tu o il mondo mentre sua moglie,
Meryl, dipinge e gestisce la galleria. Vanno regolarmente in Texas
per trascorrere un po’ di tempo con i nipoti.
MILLIE COLGROVE “MS MILAN” – Continua a gestire la Exquisite
Escorts. Ha una clientela d’élite e le sue ragazze sono rinomate per la
bellezza e la discrezione. Millie “si vede” con un raffinato
gentiluomo che si era rivolto a lei in cerca di una donna più matura.
Invece di una escort, ha scelto lei. Stanno insieme da diversi anni.
Millie si rifiuta di chiamarlo altro che la sua metà significativa,
perché è convinta che etiche are la loro relazione porterebbe
sfortuna.
GINELLE ALIAS “MICETTA IN CALORE” – Gestisce una scuola di
danza di prim’ordine nel centro di Los Angeles, in cui vanno le
celebrità e le aspiranti a rici che hanno bisogno di imparare a
ballare. Ha avuto una serie di relazioni, alcune buone e altre meno,
finché ha incontrato un uomo che non ha potuto respingere e da cui
non è potuta scappare né nascondersi. La sua vita sarà sempre
fluida, ma è più felice di quanto sia mai stata.
MADISON E MATT RAINS – Madison ha finito il do orato ed è a capo
della divisione scientifica della Cunningham Oil. Ma e i suoi
mandano avanti l’azienda agricola Channing, Cunningham e Rains.
Madison e suo marito hanno un figlio di nome Mitchell e sono in
a esa del secondo. Non sanno ancora come chiamarlo perché stanno
discutendo se usare o meno un altro nome con l’iniziale “M”. Maddy
vorrebbe rimanere fedele alla tradizione, mentre Ma vorrebbe
interromperla.
WES E MIA CHANNING – Il nostro eroe e la nostra eroina vivono
felici a Malibu durante l’anno scolastico e in Texas durante le
vacanze e d’estate. Hanno due figli, un maschio che si chiama
Marshall Jackson e una bambina che hanno ba ezzato Madilyn
Claire. Insieme scrivono, producono, fanno il casting e dirigono i
loro film. L’ultimo da loro scri o e prodo o, Calendar Girl, ha
sbancato il bo eghino, vendendo biglie i per trecento milioni di
dollari solo la prima se imana. Si godono le giornate facendo surf,
giocando con i bambini, lavorando a nuovi film e facendo l’amore
con la musica dell’oceano al crepuscolo. Memori del viaggio che li ha
fa i incontrare, adesso lo continuano l’uno accanto all’altra.

LA VERA FINE…
Per ora…
Ringraziamenti

A Sarah Saunders, la musa ispiratrice per il personaggio di Mia Saunders. Nel


gennaio 2017 darai alla luce la vera Mia Saunders e non so da dove cominciare
per dirti quanto la cosa onora me, la mia scri ura e questo viaggio durato un
anno. Spero che un giorno leggerà questa serie e amerà Mia quanto l’abbiamo
amata noi. Sono grata di averti nella mia vita.
A mio marito Eric, per essere sopravvissuto un anno intero mentre scrivevo
questo libro. Non c’è spalla più consolante né disponibile della tua. Sei l’unico
uomo con cui voglio passare ogni giorno della mia vita. Ti amerò sempre di
più.
Alla mia editor Ekatarina Sayanova della Red Quill Editing LCC … Avrei
voluto incontrarti all’inizio del mio viaggio nel mondo della scri ura. Anzi,
forse no, perché provare diversi tipi di editing mi ha fa o capire quello che
apprezzo e quanto tu sia speciale. Adesso non vedo l’ora di leggere ogni
revisione, mentre in precedenza ogni volta che tornava il manoscri o editato
avevo solo voglia di rannicchiarmi in posizione fetale e morire. Grazie.
(www.redquillediting.net)
Alla mia assistente personale di straordinario talento Heather White (de a
“la dea”): mi tiri su quando mi sento giù, mi sei vicina quando sono triste, ti
arrabbi al mio posto se mi sento sminuita e festeggi ogni successo, non
importa quanto piccolo. Grazie per avermi tenuta so obraccio e aver
camminato al mio fianco mentre io procedevo a tentoni. Ti voglio bene,
ragazza.
Ogni scri ore sa di non valere niente a meno che la sua storia non sia
sostenuta da le ori con i controfiocchi. Io ho il meglio!
Jeananna Goodall – Adoro il modo in cui riesci a guardare ciò che scrivo
come se i personaggi fossero esseri che vivono e respirano. Mi fa sperare che
anche altri siano coinvolti dai miei libri nel modo in cui sei coinvolta tu. Grazie
per avermi incoraggiata lungo il cammino. BESOS .
Ginelle Blanch – Stupisce un po’ che dopo tanti titoli tu continui a ritrovare
sempre gli stessi errori. Non pensi che avrei dovuto imparare, ormai? Almeno
ho o enuto che tu mi faccia fare bella figura. Ti adoro, e adoro il tuo impegno
verso il mio lavoro. Sei adorabile e lo sarai sempre.
p
Anita Shofner – Spero proprio che ti sia piaciuto il personaggio che porta il
tuo nome. Era il minimo che potessi fare dopo tu e le le ure che ti sei
sobbarcata per me. Grazie, tesoro, perché ci sei quando ho bisogno, so raendo
tempo alla tua vita per me ere al lavoro le tue conoscenze e rendere
spumeggianti le mie storie. #madlove
Christine Benoit – Il mio francese farebbe veramente pena se non fosse per
te. Finora nessuno si è mai lamentato che le frasi in francese nei miei libri
fossero scorre e, e tu o per merito tuo, ragazza! Grazie per essere salita a
bordo quando mi serviva una le rice in più. Sei grande!
Grazie alle signore di Give Me Books e a Kylie McDermo , per aver fa o
conoscere dappertu o questo libro nel mondo virtuale dei social!
Devo ringraziare la mia fantastica casa editrice, la Waterhouse Press. Grazie
per essere la casa editrice tradizionale non tradizionale!
All’Audrey Carlan Street Team di angeli assolutamente sexy, insieme
cambieremo il mondo. Un libro alla volta. Besos-4-Life, adorabili signore.
Questo ebook contiene materiale prote o da copyright e non può
essere copiato, riprodo o, trasferito, distribuito, noleggiato,
licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo
ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato
dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato
o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile.
Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo
così come l’alterazione delle informazioni ele roniche sul regime
dei diri i costituisce una violazione dei diri i dell’editore e
dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo
quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.
Questo ebook non potrà in alcun modo essere ogge o di scambio,
commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso
senza il preventivo consenso scri o dell’editore. In caso di
consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da
quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla
presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.
Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono
invenzioni dell’autrice e hanno lo scopo di conferire veridicità alla
narrazione. Qualsiasi analogia con fa i, luoghi e persone, vive o
scomparse, è assolutamente casuale.

www.librimondadori.it

Calendar girl. O obre - Novembre - Dicembre


di Audrey Carlan
Copyright © 2015 by Audrey Carlan
This edition published by arrangement between Silvia Donzelli
Agency c/o Bookcase Literary Agency and Waterhouse Press
© 2016 Mondadori Libri S.p.A., Milano
Titolo dell’opera originale: Calendar Girl - Volume Four
Ebook ISBN 9788852076190

COPERTINA || ELABORAZIONE DA FOTO © SHUTTERSTOCK


«L’AUTRICE» || FOTO © MELISSA MCKINLEY

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