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Il libro
L’autrice
Frontespizio
Calendar Girl
Dedicato a…
OTTOBRE
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NOVEMBRE
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DICEMBRE
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EPILOGO
Ringraziamenti
Copyright
Il libro
“N .A
possibilità, e tu i quelli intorno a me mi tendevano la mano,
pronti a ge armi un salvagente se la corrente della vita avesse
rischiato di travolgermi.”
Mancano tre mesi alla fine del viaggio di Mia. Wes è tornato,
ma è un’anima persa, ciò che ha visto gli ha lasciato ferite
profonde, ricordi mostruosi che tormentano le sue no i. Solo Mia
può aiutarlo a rime ere insieme i pezzi e trovare il modo di uscire
da quella oscurità che l’ha inghio ito per poter finalmente
affrontare insieme il futuro. Ma ora Mia non è più sola, ha una
nuova famiglia, persone pronte a stringersi intorno a lei ogni volta
che la vita le porrà davanti nuove difficoltà. E all’orizzonte di
nuvole nere ce ne sono ancora tante: la madre, scomparsa quando
era bambina, che improvvisamente sembra fare di nuovo capolino
nella sua vita, e il padre che ancora giace in un le o d’ospedale.
Ma ci sono anche tante giornate di sole che Mia vuole poter
vivere insieme al suo Wes. Con lui desidera arrivare alla fine di
questo viaggio lungo un anno per iniziarne uno nuovo. Uno tu o
loro…
L’autrice
Quella sera faceva più freddo dell’ultima volta in cui ero stata in
quella casa, ma del resto erano se imane che avevo sempre freddo.
Guardavo le stelle, e mi chiedevo se anche Wes potesse vederle dal
luogo in cui si trovava. Anche se mi ero ripromessa di aspe are che
fosse lui a conta armi, tirai fuori il telefono e chiamai il suo numero.
Partì subito la segreteria telefonica, e una scarica di tensione mi fece
mancare il fiato: il fa o che non rispondesse mi mandava nel panico.
p p
Probabilmente stava solo dormendo, si stava riprendendo da una
ferita d’arma da fuoco al collo, per l’amor del cielo! “Rilassati, Mia,
gli hai parlato solo ieri.”
«Ehi, ciao, ehm… sono io. Volevo solo sentire la tua voce. Sono a
casa, cioè, qui a Malibu.» Il mio sguardo vagava sulle onde scure
dell’oceano in lontananza. Quando ripresi a parlare, mi tremava la
voce. «La casa è immersa nel silenzio, non so dove sia Judi.» Le onde
si frangevano sulla ba igia e il vento mi scompigliava i capelli,
facendomi sentire ancora più freddo. «Sono contenta che tu abbia
sistemato le mie cose. Magari ci ha pensato Judi, anche se mi piace
sperare che sia stato tu a mescolare così le nostre vite.» Le mie dita
giocherellavano con le cuciture dei jeans. «Oh, Wes, quanto mi
manchi. Non ho voglia di dormire nel nostro le o da sola.» Per
quanto mi sforzassi di ricacciarla indietro, qualche lacrima traditrice
mi rigava il viso. Non sapevo cos’altro dirgli per fargli capire quanto
mi mancava, quanto lo desideravo. Pensavo che non avrei mai
vissuto una vita felice senza di lui.
«Ricordati di me» mormorai prima di chiudere la telefonata. Per
noi quelle parole significavano molto, più di qualunque altra
promessa o conferma che avremmo potuto scambiarci. Guardai il
cielo ancora una volta, poi mi voltai e tornai nella mia vecchia
camera. Se non potevo avere lui, preferivo non dormire nel nostro
le o.
Stavo facendo forse il sogno più bello della mia vita, quando quel
momento di serenità fu improvvisamente interro o da una serie di
urla da far gelare il sangue. Nel sogno, io e Wes eravamo su un’isola
tropicale, senza nient’altro da fare che godere l’uno dell’altra, giorno
e no e. Era un sogno sexy, sporco, e con le sembianze quasi di una
luna di miele. Questo almeno finché le urla dell’uomo sdraiato
accanto a me irruppero in quell’angolo di paradiso e mi trascinarono
di colpo nel mezzo di un inferno.
Wes era avvolto nelle lenzuola e scuoteva la testa da una parte
all’altra, si inarcava, non sme eva di gridare. Era tu o sudato e io
cercai di toccarlo, ma appena appoggiai il braccio su di lui, lo scacciò
via con forza.
«Non toccarmi! Stai lontano da lei!» gridò con tu o il fiato che
aveva in corpo.
p
Che cazzo stava succedendo? Saltai giù dal le o e accesi la luce,
me lui non smise di dimenarsi. Le spire maligne del suo incubo non
volevano lasciarlo andare. Da qualche parte avevo le o che se
qualcuno si agita nel sonno non bisogna toccarlo, perché si rischia di
essere colpiti. Non sapendo cos’altro fare, presi il bicchiere che
tenevo sul comodino, elevai una preghiera al grande capo su in cielo
e rovesciai l’acqua addosso al mio uomo.
Lui spalancò gli occhi e si tirò su a sedere agitando le braccia, con
i pugni serrati e pronti a colpire. Be’, ero davvero contenta di aver
le o quell’articolo sui terrori no urni, altrimenti mi sarei ritrovata a
terra con un occhio nero.
«Mia! Mia!» continuava a gridare Wes, guardandosi intorno con lo
sguardo vacuo e senza me ere a fuoco. Mi avvicinai abbastanza
perché mi potesse vedere. «Oh, grazie al cielo stai bene.» Mi prese
per la vita e mi sba é sul materasso, poi fu sopra di me in due
secondi. Lenzuola e coperte erano già state scalciate giù dal le o e
lui si fece strada a forza di baci sul mio collo, le spalle e poi giù fino
ai seni. Non perse tempo a levarmi la cano iera, si limitò ad
abbassare le spalline e a liberare le te e. Cominciò a succhiarmele,
fece scivolare una mano nelle mutandine e mi infilò due dita nel
sesso bollente. Ero più stre a del solito, ma lui non sembrava
curarsene: era perso nel suo mondo, e solo io potevo curarlo.
Mi sfilò gli slip senza tanti complimenti, non era passato neanche
un minuto da quando l’avevo svegliato e già mi ritrovavo inchiodata
al materasso, con il suo membro duro che cercava la via di casa. Era
una macchina, continuava a sba ermi senza sosta, senza alcuna
delicatezza. Sembrava che il suo unico desiderio fosse liberarsi dalla
stre a di quegli artigli che tormentavano il suo fragile subconscio.
«Ti amo, ti amo, ti amo» cantilenava, mentre affondava dentro di
me, un colpo dopo l’altro. «Non andartene.» Lo strinsi a me ancora
più forte, sentivo il suo bacino sfregare contro il mio clitoride e
questo scatenava ondate di eccitazione sempre più travolgenti,
nonostante il dolore provocato dal suo ritmo forsennato. Ero schiava
di quel corpo così virile, e lui era il mio signore e padrone.
Mentre mi scopava senza pietà, Wes teneva gli occhi chiusi e si
mordeva il labbro inferiore. Mi stringeva i fianchi con le sue mani
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forti, facendo sba ere i nostri corpi l’uno contro l’altro. Mi
martellava senza sosta e intanto mormorava parole prive di senso,
una serie di preghiere commoventi, pronunciate come se io non fossi
lì ad ascoltarlo.
«Ti voglio.» Bam.
«Ho bisogno di te.» Bam.
«Resta con me.» Bam.
«Non lasciarmi.» Bam.
«Ti amo.» Bam.
«Sei mia.» Bam.
Con le braccia e le gambe avvolte a orno a lui lo stringevo più
che potevo, come se cercassi di proteggere l’uomo che amavo.
Lui rallentò il ritmo forsennato dei fianchi e aprì gli occhi. «Mia,
sei qui. Mi appartieni.» C’era una sorta di stupore reverenziale in
quelle parole, come se temesse che io potessi scomparire da un
momento all’altro.
«Sì, sono qui, sono vicino a te.» Mi strinsi ancora di più a lui,
volevo che sentisse il calore del mio corpo, la forza della mia intimità
stre a intorno a lui.
I suoi occhi erano lucidi e segnati. «Devo riuscire a liberarmene, a
ogni costo.» Sembrava disperato, e io avrei fa o qualunque cosa per
scacciare quei fantasmi e circondarlo con la luce del nostro amore,
che era la nostra vita.
«Puoi fare di me ciò che vuoi» gli sussurrai e intanto gli baciavo i
capelli, la fronte, ovunque potessi arrivare finché l’intensità con cui
mi prendeva non mi impedì di fare qualunque altra cosa che non
fosse stringerlo a me.
Wes fece scivolare le braccia so o la mia schiena e mi afferrò per
le spalle. In questo modo riusciva a esercitare una forza senza senso
e cominciò ad aumentare a poco a poco il ritmo, facendomi tremare e
ba ere i denti so o i colpi del suo membro duro come l’acciaio e
liscio come il velluto. Non potevo fare altro che resistere e lasciarmi
trasportare, e Dio solo sapeva quanto fosse devastante. Verso la fine,
quando il filo so ile che lo teneva ancorato alla realtà era sul punto
di spezzarsi, infilò una mano tra i nostri due corpi e mi massaggiò il
clitoride finché non raggiunsi il piacere. Quel gesto di cortesia, il
gg p g
bisogno tipico di Wes di dare piacere, mi ricordò che l’uomo che
amavo era, per il momento, un’anima persa, ma con il mio aiuto
avrebbe trovato il modo di uscire da quel tunnel oscuro e tornare
alla luce.
La cosa più figa del mio nuovo lavoro? Potermi portare il fidanzato
in ufficio! Quel giorno avevo un sorriso da far impallidire quello del
ga o del Cheshire. C’era la felicità, e poi c’era questo. Estasi assoluta.
Quando arrivammo a casa di Heidi e David Ryan all’alba non stavo
più nella pelle. Wes aveva de o che se volevamo riprenderla nel suo
ambiente naturale, dovevamo cominciare all’inizio della sua
giornata.
Abitavano in una ville a a due piani color terraco a, a poca
distanza da un’altra quasi uguale ma color sabbia. Tu e le case in
quella stradina a fondo cieco erano dipinte nelle diverse tonalità del
beige. Alcune erano a due piani, altre a un piano solo ma era chiaro
che erano state costruite a schiera, secondo uno stesso proge o.
Erano perfe e per le famiglie e la vita nei sobborghi.
Ci trovavamo a Cerritos, a trenta-quaranta minuti dal centro di
Los Angeles, se il traffico lo perme eva. Mentre scendevo dall’auto
un ragazzo dei giornali su una BMX ge ò un quotidiano, che a errò
con assoluta precisione di fronte alla porta dei Ryan.
Alzai il pollice verso il ragazzo, che continuò a stupirmi con la sua
incredibile abilità. Wes si mise a ridere e mi appoggiò un braccio
intorno alle spalle. «Ma dài, ragazza di ci à.»
«Scoprirai che preferisco le ci à peccaminose e vicine al deserto.»
«Perché, a Las Vegas non consegnano i giornali a domicilio? Penso
di sì.»
Feci una smorfia e mi strinsi nelle spalle. «Non a casa mia, e
neanche a quelle dei vicini. Eravamo tu i troppo poveri. Il tuo
invece compare magicamente ogni ma ina sul tavolo. Ce l’abbiamo
anche noi un ragazzo dei giornali con la bici?» Il solo pensiero mi
fece brillare gli occhi.
g
«Mi sa di no. Dovremmo chiedere a Ms Croft, è lei che si occupa
di queste cose. A me però non sembra di avere mai visto nessun
ragazzo in bici arrampicarsi sulla collina per lanciare il giornale al di
là del cancello» disse, sbuffando.
Feci una smorfia di delusione. Aveva di nuovo ragione lui,
cominciava a essere seccante.
Mi lasciai alle spalle l’irritazione verso il mio fidanzato saputello e
bussai alla porta. Fu David Ryan ad aprirci, e appena ci vide si
accigliò. Aveva la crava a al collo ancora slegata, la camicia fuori dai
pantaloni ed era scalzo. «Ehm, avete bisogno di qualcosa?» chiese.
«Siamo qui per la trasmissione. Questa è la casa di Heidi Ryan,
giusto?» gli domandai, un po’ dubbiosa.
Wes era dietro di me e teneva una mano appoggiata alla base
della mia schiena. Ancora più indietro c’era Wayne, il cameraman.
Lo prendevo sempre in giro dicendogli che mi ricordava il
protagonista di Fusi di testa, il film cult dei primi anni Novanta.
Portava i capelli lunghi e indossava un cappellino, una camicia
scozzese e un paio di bermuda. Insomma, il suo conce o di stile
lasciava parecchio a desiderare.
Dietro un David piu osto sconcertato a un certo punto comparve
Heidi. «Ciao, Mia! Dài, accomodatevi. Pensavo che arrivaste più
tardi.»
Dave aprì un po’ di più la porta in modo da farci entrare, e Wayne
accese la telecamera.
«Non ancora, lascia che prima parli un po’ con loro: non voglio
che si sentano invasi. È pur sempre casa loro, la loro vita.»
Spiegai alla coppia il programma della giornata e lasciai che Heidi
rassicurasse il marito che era tu o a posto. Tornarono dopo pochi
minuti e lui sorrideva e aveva un’aria molto più tranquilla.
«Scusatemi per prima: Heidi mi aveva accennato qualcosa l’altra sera
ma io ero un po’ di malumore dopo una giornata faticosa in
tribunale.»
«Allora, vi andrebbe bene se cominciassimo subito? Non finirà
tu o nella trasmissione perché la puntata dura solo quindici minuti,
ma vorremmo riprendere Heidi alle prese con la sua routine
normale, se siete d’accordo.»
Dave sorrise, un sorriso che si allargò ai suoi luminosi occhi blu. I
capelli scuri e l’abito grigio li facevano risaltare tantissimo e gli
davano un’aria vagamente da Clark Kent.
Wayne accese la telecamera ed entrammo in cucina, dove
trovammo tre bambini seduti intorno a una tavola preparata per sei
persone. Heidi era impegnata a cuocere le uova e il bacon e a
imburrare le fe e di pane tostato. I bambini non sembravano per
nulla impressionati dalla presenza dei nuovi arrivati.
«Wayne, fai qualche ripresa di lei che cucina e dà da mangiare ai
figli, poi ce ne andiamo e li lasciamo fare colazione in pace, okay?»
Wes era entrato nella parte, con i suoi modi spicci e professionali.
Heidi era ancora in vestaglia e si dava un gran daffare: serviva la
colazione nei pia i di ciascuno e dava alla piccolina il biberon e
quelli che lei chiamò “bisco i per la dentizione”. I suoi movimenti
avevano un che di poetico, o sembravano l’esecuzione di una sonata
studiata a lungo. Dal nulla aveva preparato un cestino del pranzo
per il figlio che andava a scuola e uno per il marito. Di fianco al
contenitore con il cibo aveva sistemato lo zaino del bambino e le altre
cose per la scuola. Poi fu il turno di un caffè al volo per David che
lasciò il pia o sul tavolo dopo averlo svuotato in un ba er d’occhio
per correre di sopra e finire di prepararsi.
Padre e figlio uscirono insieme e Heidi pulì la cucina e alla fine
mangiò solo una fe a di pane tostato. Per il resto della famiglia
aveva preparato un banche o degno di un re ma lei aveva il tempo
solo per il pane e un sorso di caffè.
«Devo preparare Lynndy e Lisa perché oggi c’è la lezione di
ginnastica.» Indicò la più grandicella, che doveva avere circa tre
anni, mentre la piccolina avrà avuto più o meno sei mesi.
Per il resto della giornata seguimmo Heidi ovunque andasse.
Conduceva una vita estenuante. Di sicuro non mi fece venire voglia
di scodellare dei bebè e me ere in piedi una squadra di
pallacanestro. Wes, invece, era completamente conquistato da lei,
adorava la sua efficienza e il suo altruismo. Controllava le riprese –
voleva essere sicuro che avessimo ca urato i momenti migliori,
quelli più dolci tra madre e figlia, marito e moglie – con un
entusiasmo al di là delle mie più rosee aspe ative.
p p
Quando tornammo a casa, dopo essere andati a prendere suo
figlio a scuola, Heidi si mise a fare i compiti con lui. Anche solo la
matematica per un bambino di terza elementare era difficilissima,
non aveva nulla a che fare con quella che avevo studiato io. Grazie a
Dio c’era Wes che si sarebbe occupato di questo genere di cose con i
nostri futuri figli.
Un a imo… Che cosa? Avevo davvero pensato per un istante di
riprodurmi con il mio regista-surfista senza sentirmi male già solo
all’idea? Oddio, ero messa malissimo. Con gli altri uomini con cui
ero stata di bambini non si era parlato affa o, ma a giudicare dal
lampo negli occhi di Wes mentre teneva in braccio la piccola
Lynndy, i figli facevano sicuramente parte dei suoi piani per il
futuro. Se non avessi fa o a enzione, mi avrebbe sposata e messa
incinta nel giro di qualche mese.
Mentre lo guardavo giocare con la piccola, lui alzò lo sguardo su
di me. I suoi occhi erano verdi come due smeraldi: i bambini lo
rendevano davvero felice. Merda. Gli avrei dato un figlio solo perché
guardasse anche me con lo stesso amore e la stessa gioia.
Mi rimisi al lavoro: quello era un argomento da affrontare in
camera da le o, dopo un paio di intensi round e in uno di quei
momenti di coccole e romanticherie.
Finalmente, dopo che le due figlie più piccole erano salite di sopra
per un sonnellino e il più grande era andato a fare un giro in bici,
Heidi si diresse verso il giardino. Quando aprì la porta scorrevole,
rimasi di sasso. Era un giardino segreto magico e nascosto, con le
statue degli angeli e un piccolo ruscelle o, piante lussureggianti e
fiori ovunque. I fiori erano sistemati in una serie di vasi in ogni
angolo e vicino agli alberi. Ce n’erano di tu i i colori e le varietà, così
tanti che era impossibile contarli.
«Wow, ma è incredibile» disse Wes con un sospiro.
Heidi lo sentì, era raggiante per la felicità. «Grazie. Venite, vi
faccio fare il giro. È ovale, per poterci camminare intorno. Non è
niente di speciale e non è neanche molto grande, ma è quello che ci
possiamo perme ere, e io lo adoro.»
Wayne continuava a riprendere mentre io camminavo al suo
fianco e le chiedevo quali tecniche usava e perché aveva scelto una
q p
determinata pianta, così da evitare che la puntata risultasse troppo
noiosa. Heidi prese un cesto che conteneva dei guanti e un paio di
cesoie. C’era anche un secondo paio di guanti, che porse a me. Me li
infilai subito. Continuammo a camminare tu ’intorno all’anello e
arrivammo a una zona piena di rose di ogni colore.
«Heidi, è meraviglioso» dissi annusando il profumo inebriante dei
fiori.
Mi fece vedere quali rose dovevano essere tagliate e in quale
punto, e in breve avevamo raccolto un paio di dozzine di esemplari a
gambo lungo. Poi andammo in un’altra zona e raccogliemmo altri
fiori, più piccoli, e lei mi disse che la loro fioritura era annuale. Uno
in particolare era di un viola intensissimo, e si chiamava Cleome
spinosa.
«È un nome minaccioso per un fiore così bello.»
«L’apparenza inganna.»
A un certo punto il baby monitor che Heidi teneva appeso alla
cintura emise un suono. Lei si fermò e se lo portò all’orecchio.
Restammo ferme entrambe e io tra enni il respiro: non so bene
perché, ma mi sembrava la cosa giusta da fare. Visto che non ci
furono altri suoni, riappese l’apparecchio alla cintura e riprendemmo
a camminare.
«Questo fiore si chiama Campanella d’Irlanda» disse, mentre ne
coglieva qua ro esemplari alti più o meno sessanta centimetri.
«Nota il tipico colore verde pallido.»
Annuii.
«Starà benissimo con le rose gialle e quelle rosa. Com’è il
profumo?» Mi porse i fiori perché li annusassi.
L’aroma era delizioso. «Buono, sa di menta.»
Finito il giro, avevamo i cesti pieni di quella che a me sembrava
una tonnellata di piante e fiori. Lei dispose tu o sul bancone della
cucina e spiegò a me e al pubblico come togliere le spine e in quale
punto recidere il gambo per mantenere i fiori vivi più a lungo. Poi
continuò parlando dell’importanza di cambiare l’acqua con
regolarità e di cosa aggiungere eventualmente nei vasi. Fu però quel
che fece subito dopo che mi diede la certezza che quella puntata
avrebbe avuto un grande successo.
g
Tirò fuori da un casse o qualche foglio di carta colorata con cui
incartò i fiori, tenendoli fermi con degli elastici; poi, siccome gli
elastici erano bru i da vedere, li coprì con un nastro.
«Che cosa vuoi farne?» le chiesi, pensando già di portare
qualcuno di quegli splendidi mazzi a Ms Croft, che li avrebbe
apprezzati tantissimo.
«Be’, ogni se imana porto qualche mazzo di fiori fa o da me
all’ospedale che si trova più avanti, in questa stessa via. Ci sono
diversi pazienti che non hanno molti parenti, e un po’ di fiori in
camera possono rendere le giornate più allegre.»
Durante l’ultimo anno avevo conosciuto molte persone
meravigliose, ma nessuna come Heidi Ryan.
Alla fine della giornata ero con lei davanti alla loro casa. Il marito,
appena rientrato dal lavoro, l’abbracciò per darle un bacio sulla
guancia. Era evidente che la amava tantissimo. Si misero in posa per
qualche foto e poi lui le chiese che cosa c’era per cena, al che lei
rispose: «Quello che hai voglia di preparare!».
Mi voltai ridendo verso la telecamera che Wayne teneva puntata
su di me, pochi passi più in là. «Vorrei ringraziare Heidi Ryan per
averci aperto le porte della sua casa e avere condiviso con noi la
tipica giornata di una mamma a tempo pieno. Grazie anche per
averci accompagnato a visitare il tuo meraviglioso giardino. Secondo
me, sei davvero una donna straordinaria, Heidi. Il tuo impegno in
casa per la tua famiglia e anche quello nei confronti della comunità
sono un esempio per tu i, e tu i noi del programma del do or
Hoffman ti facciamo un applauso. Un saluto da Mia Saunders. Ci
vediamo la se imana prossima per un altro appuntamento con Sani e
belli.»
Diedi un colpo secco con la mano vicino alla faccia e mi rigirai per
immergermi nel tepore di Wes.
Verso la fine di o obre, Wes ormai andava dalla Shofner tre volte
alla se imana. Era stata una sua scelta. Lei gli aveva de o che aveva
bisogno di fare molta terapia per fare qualche passo verso la
guarigione, e il mio uomo aveva acce ato senza riserve. L’altra
aggiunta alla nostra vita quotidiana erano state le pillole bianche per
dormire che adesso prendeva ogni sera prima di me ersi a le o.
Probabilmente Wes aveva chiesto alla do oressa di dargli qualcosa
in grado di me erlo KO .
Anche se il sesso selvaggio nel bel mezzo della no e un po’ mi
mancava, di sicuro non mi mancava la ragione che c’era dietro. C’era
anche un altro vantaggio, e cioè le sei o se e ore di sonno
ininterro o. Dopo una sola se imana di riposo adeguato e con il mio
uomo che non temeva più di aggredirmi nel sonno, eravamo come
nuovi, e la vita finalmente tornava a sorriderci.
Wes e io ci alzavamo piu osto presto, facevamo l’amore (un altro
vantaggio della nuova situazione) e andavamo a fare surf. Poi io mi
dedicavo al lavoro, fuori o nell’ex camera degli ospiti che adesso era
g p
adibita a mio ufficio, mentre Wes faceva un po’ di palestra, oppure se
ne stava in spiaggia o cazzeggiava nel suo studio. Ancora non faceva
parola del film che prima stava per completare e neanche se aveva
intenzione di rime ersi a scrivere. Non che avesse bisogno di soldi,
la casa e le automobili erano state pagate e aveva fa o o imi
investimenti in passato. Secondo Wes, nessuno di noi due aveva
bisogno di preoccuparsi dei soldi, ne avevamo abbastanza per
condurre una vita agiata fino alla fine dei nostri giorni. Per me, però,
non era abbastanza: a preoccuparmi non erano tanto i soldi quanto
Wes, la sua energia, l’ambizione, il lavoro. Prima o poi lui e la
do oressa avrebbero dovuto affrontare anche questo capitolo, ma
per ora guarire dal trauma era la cosa più importante di tu e.
Uno degli effe i collaterali spiacevoli del fa o che Wes fosse a
casa e stesse affrontando una terapia per il trauma subito era il fa o
che molto spesso tornavo a casa e lo trovavo con Gina a ridere sul
divano o nel patio. In quelle occasioni appena entravo in casa Judi
mi me eva il broncio, come se gli stessi perme endo di rovinare
tu o. Ciò che lei non capiva era che nulla si sarebbe potuto insinuare
tra Wes e me, ormai era troppo tardi: eravamo ciascuno la bussola
dell’altro. Ero contenta di vedere Gina DeLuca, la donna che si era
scopato allegramente per qualche mese? No, non lo ero. La
do oressa mi aveva de o che i loro incontri facevano parte del
processo di guarigione di Wes, e non solo di quello di Gina? Sì, me
l’aveva de o più volte. E così, sfortunatamente, dovevo fare buon
viso a ca ivo gioco. Del resto avrei sopportato qualunque cosa
finché Wes era sulla strada per ritrovare la felicità perduta.
Eravamo ormai alla fine del mese, e mi a endevano novità
entusiasmanti. Ebbene sì, avrei avuto un ruolo da coprotagonista nel
programma del do or Hoffman due volte alla se imana, in aggiunta
al mio spazio di quindici minuti del venerdì. Ma sopra u o quello
era il giorno in cui sarebbe arrivata Ginelle e io non stavo più nella
pelle. Il fa o che la mia migliore amica venisse ad abitare a pochi
metri da me nella dépendance mi avrebbe calmata e resa molto più
stabile.
Quando udii il rumore di una macchina sulla ghiaia del viale o
saltai giù dalla poltrona del patio e mi misi a correre a perdifiato.
g p p p
Sentii Wes che spiegava a Gina il perché della mia bizzarra reazione
mentre lei sorseggiava un bicchiere di Chardonnay.
«La sua migliore amica si sta trasferendo qui da noi da Las Vegas,
si sistemerà nella dépendance» lo udii raccontare, mentre io con le
mie calze natalizie pa inavo sulle ma onelle dell’atrio.
Spalancai la porta ed eccola lì, con la mano a pugno pronta a
bussare. «Che diavolo ci fai qui, pu anella?!» Aprii le braccia e lei
corse ad abbracciarmi.
«Mamma quanto puzzi» disse annusandomi i capelli e dandomi
una strizzata. «Ma te la fai una doccia ogni tanto?» Si scostò e mi
sorrise, continuando a tenermi le mani sulle guance. «Non sei tanto
male per essere una troie a. Accidenti, quanto mi mancava il tuo
culo. Hai presente quant’è difficile farsi notare dal tipo giusto se non
hai un bel sedere a mandolino che si intoni con tu o questo ben di
dio?» disse con le lacrime agli occhi mentre si passava le mani lungo
il corpo. Era piccolina ma aveva due belle te e.
«Peggio per te! E non me erti a piagnucolare.» Feci una smorfia e
la strinsi in un altro abbraccio. Era davvero minuscola in confronto a
me, e io ho una corporatura nella media.
Sentimmo Wes che si schiariva la gola, e questo ci impedì di
continuare con i nostri lazzi. Mi girai, feci un ampio sorriso e gli
presentai Gin. «Wes, tesoro, lei è Ginelle, la mia migliore amica. Gin,
ti presento Weston Channing III.»
Wes mi fece l’occhiolino. «Piacere di conoscerti» disse, porgendole
la mano.
Ginelle non disse nulla, era rimasta a bocca aperta. «Porca
pu ana, mi sono bagnata le mutande. Ah, già, non le ho… Mi sono
bagnata le mie mutande invisibili.»
Chiusi gli occhi e anche se ribollivo di rabbia rimasi in silenzio.
Wes si stava sbellicando dalle risate. Afferrò Ginelle e la strinse tra le
braccia e lei sfregò il suo corpo minuto contro quello del mio uomo.
Se fosse stata chiunque altra a cercare di dargli una palpatina, sarei
stata furiosa, ma poiché sapevo che Gin lo stava facendo più che
altro per provocarmi, feci finta di ignorarlo.
«Ok, va bene così. Basta con gli abbracci, direi.» Wes staccò,
le eralmente, Ginelle da lui, ma lei fece in modo di afferrargli il
g
bordo della maglie a cercando di tenerlo vicino ancora un po’. Era
peggio dell’edera.
Le diedi qualche colpe o sulle mani. «Molla l’osso» le intimai,
fingendo di essere arrabbiata, e lei mi fece una smorfia.
«Ma che razza di amica sei? Esci con il Ken di Malibu che fa i film,
e non mi fai giocare neanche un po’ con il tuo bambolo o?»
bofonchiò mentre incrociava le braccia.
Ovviamente Gina entrò in scena proprio in quel momento, con la
borsa stre a tra le mani. Ginelle osservò il suo corpo perfe o,
l’acconciatura impeccabile, i denti, i vestiti e il trucco e la indicò con
il pollice, chiedendo: «E questa chi è, la Barbie bruna?».
Scoppiai a ridere ma mi morsi la lingua vedendo che Gina si era
adombrata. In fondo ne aveva viste abbastanza. «Ginelle, ti presento
Gina DeLuca, l’amica di Wes.»
Di colpo Ginelle collegò ogni cosa, e capii che non sarebbe andato
tu o liscio. Socchiuse gli occhi e si irrigidì. «Vuoi dire che questa è la
str…?»
Le misi una mano sulla bocca per zi irla, ma lei continuò a
proferire volgarità, tentando di liberarsi. Probabilmente pensava, in
quel modo, di difendere il mio onore. Ma io ero più grossa e più alta
e tenerla a freno dopo tanti anni era diventata la mia specialità.
«Ehm, sono contenta di vedervi, ragazzi. Gin è stanca, ha fa o un
lungo viaggio. Ora le mostro la sua sistemazione.» Praticamente la
trascinai via a forza, con i tacchi che strisciavano sul pavimento. Una
volta fuori, mi diede uno spintone.
«Ma che cazzo ti è venuto in mente? Quella stronze a fa tanto
l’amica ma lui glielo me eva dentro appena qualche mese fa! Non
capisco come tu possa perme erle di venire a casa tua. Sei fuori?»
Sospirando, la feci accomodare nella dépendance. «No, non sono
fuori. Ma per questa discussione ci serve qualcosa da bere.» Mi
diressi verso l’armadie o dei liquori che avevo chiesto a Judi di
riempire. Gli occhi di Gin si illuminarono come un albero di Natale.
Io sbuffai. «Allora, ti piace la tua nuova residenza?»
Gin osservò il luogo con a enzione. Era un bilocale, e dunque
c’erano un cucinino, una zona soggiorno, una camera da le o
separata e un bagno. Era il posto ideale per una giovane donna che
ricominciava una nuova vita.
«È più grande di dove stavo a Las Vegas. Sei proprio sicura di
volermi qui? Quello che è appena successo là dentro, be’, potrebbe
succedere di nuovo, in qualunque momento.» Non si stava
scusando, non era nel suo stile: raramente si scusava per essere
com’era.
Le misi un braccio a orno alle spalle e avvicinai la mia testa alla
sua. «Lo so, e mi piaci così come sei. Ma dobbiamo parlarne con
calma, in modo che tu sappia come comportarti in certe situazioni.»
Le passai un bicchiere di vodka e succo di mirtillo, ci sedemmo
sul divano e le raccontai tu a la storia. Alla fine sbadigliavamo per la
stanchezza e ci eravamo anche fa e un paio di pianti a diro o.
Raccontare tu a la vicenda a qualcuno che mi conosceva bene era
stato quasi catartico: qualcuno che sapeva la storia della mia vita e
non mi avrebbe giudicata né vista so o una ca iva luce. Gin era
sempre presente per me e adesso sarei stata io al suo fianco, ad
aiutarla a guarire dalle ferite provocate dalla sua recente esperienza.
Forse avrei potuto mandare anche lei dalla do oressa Anita Shofner,
che era una terapeuta straordinaria. Avrei affrontato
quell’argomento in seguito. Adesso volevo che Gin si sistemasse e si
ambientasse.
«Dunque pensi che starai bene qui?» le chiesi incrociando le dita:
speravo davvero che ce l’avrebbe fa a.
«Mia, avevo bisogno di questo cambiamento, era arrivato il
momento di lasciarmi tu o alle spalle: quel lavoro sfigato, la
sensazione di inutilità, la nostalgia di te e vivere nello stesso buco
no e e giorno. Era giunto il momento di una nuova avventura, e non
vedo l’ora di scoprire dove mi porterà la mia vita qui in California.»
«Ti dirò: se c’è una cosa che ho imparato quest’anno è che quel che
conta è il viaggio. Trust the journey» le dissi indicando il mio piede.
Lei sogghignò nel vedere il tatuaggio che ormai per me era una
specie di ritornello.
«C’è un posto in cui fanno i tatuaggi da queste parti?» mi chiese,
impulsiva come sempre.
Annuii e allargai le braccia, in a esa del suo abbraccio. L’idea di
lei che si faceva tatuare aveva mandato all’aria i miei piani di
andarmene a dormire. «Sì, mi pare che ce ne sia uno.»
Ginelle fece un meraviglioso sorriso. Era sempre stata dolcissima
con me e adesso era qui al mio fianco, pronta a ricominciare daccapo
e questa volta c’ero io con lei.
«Fammi strada» disse, indicandomi la porta e fui colta da una
sensazione molto intensa.
«Sì, questa volta farò strada io» e parlavo sul serio. Dopo dieci
mesi in cui avevo sempre dovuto fare quello che mi veniva de o, ora
di qua, ora di là, ingaggiata per essere qualcos’altro, per salvare
qualcun altro, mi ero stancata di fare quella che seguiva: da quel
momento sarei stata io a decidere del mio destino.
NOVEMBRE
1
Bussai alla porta dell’a ico di Anton. Wes era al mio fianco e mi
teneva un braccio intorno alla vita. La porta si aprì proprio quando
stavo per bussare di nuovo. A dir la verità ero stupita di aver dovuto
bussare, visto che il portiere aveva avvisato del nostro arrivo.
«Eccovi qui!» disse Heather alzandosi sulla punta dei piedi. Già
alta di suo, portava un paio di sandali con il tacco a spillo che le
conferivano una statura maestosa. La capigliatura bionda la faceva
assomigliare a una rockstar, come quando eravamo a Miami, solo
che adesso i suoi capelli erano striati da ciocche rosa all’ultimissimo
grido. Indossava una maglie a aderente rosa acceso a maniche
lunghe con una scri a che diceva IL ROSA È IL NUOVO NERO in le ere
bianche. La maglie a era svasata e infilata nei jeans stre i chiusi da
una cintura con le borchie che dava un tocco aggressivo al suo look.
Dovevo uscire di più con le ragazze, sul serio. Ginelle mi aveva
tormentata per due se imane perché andassi a fare shopping con lei
a Los Angeles. Avrei dovuto farlo, una volta tornata.
Heather mi strappò dalle braccia di Wes e mi strinse forte,
facendomi oscillare da una parte all’altra, poi si scostò e mi diede
una bella occhiata. «Ragazza, non ti avevo comprato dei vestiti a
Miami? Perché non li me i?» Arricciò il naso in un gesto che non
voleva essere critico, solo sincero.
Mi lasciai sfuggire un sospiro e scossi la testa. «Così sto comoda»
dissi, tirando l’orlo della T-shirt a maniche lunghe del concerto di
Lorde dove ero stata con Maddy l’anno prima. Quella pollastrella
aveva fa o venire giù lo stadio e la maglie a era fighissima. L’avevo
messa sopra un paio di jeans stre i sbiaditi, completi di strappi sulle
p p j p pp
cosce, e stivali da cowboy con il tacco da cinque centimetri… quelli
che Max chiamava “stivali da spalamerda”, anche se non avevo mai
spalato merda con quelli ed erano relativamente nuovi. Cyndi ne
aveva mandati un paio a Maddy e uno a me per ricordarci che cosa
ci aspe ava in Texas. Anche quelli erano da urlo. Pelle nera, una
decorazione sulla punta squadrata. La cosa migliore? La fibbia
superstupenda all’altezza della caviglia.
Heather mi guardò i piedi. «Mmh, gli stivali sono carini.»
Wes si schiarì la gola.
«Oh, giusto. Heather, ti ricordi il mio ragazzo, Wes?» Lo indicai
con un gesto.
«Mmh, volevi dire fidanzato, dolcezza» mi corresse Wes con un
sorrisino, strizzandomi l’occhio.
Heather spalancò gli occhi come se avesse preso la scossa. «Per la
miseriaccia, amica mia! Vi sposate! Ma è magnifico!» Ci strinse in un
abbraccio colle ivo, me endoci le mani sulle spalle. «Cacchio, ma
dài. Anton impazzirà. I matrimoni sono la sua specialità!»
Feci una risata nasale. «Com’è possibile? Visto che non si è mai
sposato.»
«Sì, ma è stato fidanzato un mucchio di volte!» disse scherzando.
Ci guidò a raverso il grande a ico fino in cucina, dove trovammo
Anton che muoveva le anche davanti al fornello a sei fuochi
seguendo una musica che solo lui udiva. Sentii un aroma di qualcosa
che friggeva che mi fece venire in mente il cibo messicano.
«Chi è che si sposa?» Anton si girò, con in mano una spatola di
legno. «Lucita! Tu? Dimmi che non è vero.» Incrociò le mani sul
cuore e si appoggiò contro il bancone.
Io risi, Wes no. Mi mise un braccio a orno alle spalle. «Sì, invece.
Fagli vedere l’anello. Ci sposiamo il primo gennaio» disse in tono
pieno di orgoglio maschile.
Sollevai la mano e guardai Wes, perplessa.
Anton fece tanto d’occhi. «Così presto. Wow. Come direbbe mia
nonna, non perdete tempo.» Fece un gran sorriso e ci strizzò l’occhio.
«Non abbiamo ancora stabilito una data» riba ei, girando la testa
verso Wes.
Lui inarcò le sopracciglia. «Credevo l’avessimo fa o prima di
venire qui. Ricordi?»
«Le cose di cui si parla nell’estasi del coito non contano. Questa è
coercizione!» Sporsi in fuori il labbro inferiore.
Wes mi rivolse un gran sorriso e scrollò la testa. «Peccato. Hai
de o di sì. Adesso l’unica cosa che rimane da decidere è dove.»
Infilò le mani tra i miei capelli, alla base del collo, sciogliendo il nodo
di tensione dovuto a una giornata intera di viaggio, per non parlare
dello stress di fidanzarsi. Non avevo neanche chiamato Maddy e
Gin. Si sarebbero incavolate di bru o se la cosa si fosse venuta a
sapere senza che fossi stata io a informarle.
«Ne parliamo dopo, va bene?» Mi allungai verso di lui e gli diedi
un bacio, poi già che c’ero gliene diedi un altro, così non avrebbe
pensato che mi stavo so raendo.
Mi mise una mano sulla guancia. Io mi girai e gli baciai il palmo.
Aveva un’espressione diffidente, ma mi resi conto che probabilmente
era dovuta alla situazione, al posto e alle persone con cui eravamo.
«Okay, dolcezza. Dopo, cioè domani» disse in tono fermo, quasi
autoritario.
Un compromesso è un compromesso. «Affare fa o. Dimmi,
Anton, che fai di bello? A proposito, il tuo ultimo album era
fortissimo!»
«Oh, Lucita, quell’album era il massimo. Ti è piaciuto il pezzo
dove cantavo sopra una voce femminile?»
«Certo! E, Heather, come sta andando il lavoro da manager?»
L’ultima volta che li avevo visti, era appena stata promossa. Anton
non si era reso conto di quanto fosse preziosa la sua migliore amica
nonché assistente personale; e quando era stato sul punto di
perderla, le aveva fa o un’offerta per farla rimanere. Per quanto ne
sapevo, le cose andavano alla grande.
Anton si intromise prima che lei potesse parlare, come al solito.
Gli piaceva essere al centro dell’a enzione, il che si ada ava
perfe amente alla sua carriera di star del rap. «H è asombrosa…
Come dite voi? Straordinaria! Lo spe acolo che sta ideando, i
costumi. Fantástico! La miglior decisione che io abbia mai preso,
quella di promuoverla. Sono proprio contento di averci pensato.»
q p p p p
«Tu?!» Heather e io urlammo all’unisono, poi scoppiammo a
ridere.
«E va bene, forse l’idea non è stata mia. Però ho raccolto il
suggerimento.»
Alzai gli occhi al cielo. Heather fece un sorrisino e incrociò le
braccia.
«Vabbè, Anton. Cosa ci stai preparando?» chiesi avvicinandomi al
bancone e dandogli un colpe o sul fianco.
Lui non si mosse, continuando a mescolare la salsa che guardava
con occhio di falco. «Oh, un pia o base per me e la mia familia. Arroz
con pollo.»
«“Pollo” l’ho capito, ma cos’è il resto?»
Ridacchiò. «Sostanzialmente riso e pollo.»
«Non ti sei risparmiato, a quanto vedo» dissi serissima.
Anton mi scostò i capelli dalla spalla e mi accarezzò una guancia
con il pollice. «Cosa non farei per te, Lucita.» Parlò in tono serio, ma
la scintilla maliziosa nei suoi occhi tradiva la verità.
Sbuffai. «Pollo e riso?»
Aggro ò la fronte. «Ehi, non scherzare. Tu i adorano pollo e riso,
no?»
«Come no, Anton. Wes, vuoi qualcosa da bere?» Mi girai verso
Weston. Fissava la schiena di Anton con occhi di fuoco, e io non
avevo la minima idea del perché. «Wes?» ripetei finché non riportò
su di me lo sguardo. «Qualcosa da bere?»
Heather si diresse verso il frigorifero e lo aprì. «Ho messo in
fresco del Cristal e penso che dovremmo stapparlo adesso, al posto
dei Martini che avevo intenzione di preparare. Di sicuro abbiamo un
motivo per festeggiare, dato che state per sposarvi! Oh, mio Dio!
Non morite dalla voglia?» chiese aprendo una credenza per tirar
fuori qua ro calici da champagne.
Feci un respiro profondo e rilassai la tensione delle spalle mentre
sollevavo la mano per guardare l’anello. «Morire non direi. Più felice
di quanto pensavo che sarei stata in questo momento della mia vita?
Assolutamente sì!» Guardai Wes, che sembrò rilassarsi visibilmente
nell’udire le mie parole. La postura rigida scomparve e le spalle
contra e si distesero mentre lui appoggiava la testa alla mano, il
gomito sul bancone della cucina.
«Quale donna non sarebbe emozionatissima?» Mi sporsi verso di
lui dall’altra parte del bancone e allungai la mano. Lui la prese, la
sollevò e mi baciò il palmo. Sentii i brividi lungo la schiena e li seguii
con il pensiero mentre si diffondevano dappertu o. I brividi si
trasformarono in ondate di eccitazione quando lui mi sfregò il palmo
della mano con il pollice. Avrei giurato che ci fosse un collegamento
dire o con il mio clitoride. Quando mi percorse il palmo con
l’unghia dove i reprimere un gemito. Non erano certo il momento
né il luogo ada o per lasciarsi andare al piacere. Ci toccava far
passare diverse ore prima di poterci abbandonare alla gloria del
nostro amore. Ma l’avremmo fa o, poco ma sicuro.
In quel momento decisi che prima della fine della serata lo avrei
eccitato al punto che avrebbe perso la testa prima ancora di
riportarmi in albergo.
Ste i al gioco, sollevandogli la mano e accarezzandogli l’interno
dell’avambraccio con le dita. Scesi fino al polso, tracciando degli o o
sulla pelle sensibile. Nei suoi occhi passò un lampo e lui mi scoccò
un sorriso, una visione accecante di denti bianchi e regolari
incorniciati da labbra meravigliose che non mi sarei mai stancata di
baciare. Per un a imo teme i che il mio piano segreto per sedurlo e
farlo impazzire avrebbe potuto ritorcersi contro di me. Capiva le
cose al volo, il mio uomo. Il gioco valeva la candela. Girai a orno al
bancone e mi misi al suo fianco. Lui non si fece pregare e mi strinse
contro di sé.
Heather versò lo champagne assurdamente caro. «Vieni qui,
Anton. Abbassa il fuoco e unisciti a noi» lo incalzò.
Anton armeggiò con le manopole della cucina a gas, girò sui
tacchi come se fosse in un videoclip di Michael Jackson, ge ò
indietro le spalle, mise i piedi avanti e avanzò a passo di danza.
«Quanto te la tiri» commentai acida.
Questa volta Wes scoppiò a ridere. Finalmente il mio uomo si
stava rilassando, ma ho idea che la cosa fosse dovuta al fa o che:
uno, io portavo il suo anello; due, ero appiccicata a lui; tre, Anton era
uno stupido. Uno stupido sexy da morire, d’accordo, ma pur sempre
p p y p p
uno stupido. Non avrei mai ammesso neppure so o tortura che
fosse sexy, perché Wes sarebbe andato fuori di testa. E poi, se le fan
di Anton avessero scoperto quanto era stucchevole avrebbero
continuato a adorarlo perché quel che contava era la sua musica e
poi lui era diabolicamente bello, ma il fa ore stupidità avrebbe
scoraggiato la maggior parte delle ragazze con un po’ di sale in
zucca. Non gli rimaneva che sperare nella buona sorte.
Anton levò il bicchiere e noi lo imitammo. «A Lucita e al suo
hombre, che possiate brillare come il sole e avere una vita piena di
amor. Salud.»
Io sorrisi e per la prima volta Wes rivolse un vero sorriso ad
Anton e annuì. Anton guardò Wes, poi me, ge ò indietro la testa e si
scolò lo champagne. Poi disse con calore: «Segunda ronda».
Wes mi strinse la spalla e io lo guardai. «Sono contento che siamo
qui» ammise.
Chiusi gli occhi, feci un gran respiro e gli appoggiai la fronte sul
collo. «Anch’io. Sono buoni amici e vogliono solo il meglio per me. E
il meglio… sei… tu» gli dissi contro la pelle.
Wes mi fece alzare il viso e mi sfiorò le labbra con un bacio. «Lo
so. Ho la testa ancora… lo sai… incasinata.» Parlò a voce così bassa
che solo io riuscii a sentirlo. Non aveva importanza, perché dopo il
brindisi Anton era tornato ai fornelli e Heather aveva riempito di
nuovo i bicchieri e adesso stava me endo un po’ di musica.
«No» riba ei accarezzandogli la tempia. «Solo timori infondati.
Non ci sarà mai un altro. Te lo giuro.»
Lui annuì e mi venne vicinissimo. Sentivo il suo respiro sulle
labbra e l’odore dello champagne. «E io mi assicurerò che sia così»
sussurrò, poi mi diede un bacio molto più appassionato di quanto
fosse appropriato alle circostanze.
Ci staccammo al rumore di un applauso e di grida esultanti
provenienti dalla piccionaia dall’altra parte del bancone. Sarebbe
stata una lunga serata.
2
Era ufficiale. Non c’era niente di più dolce che tenere in braccio un
bambino di poche se imane. La parte migliore della faccenda era
che, a quanto pareva, Jack aveva gli occhi verdi, proprio come me,
Maddy e Max. In cima alla testa che profumava di borotalco gli
spuntavano ciuffe i di capelli castani.
«Ho idea che sarà bruno» dissi rivolta a nessuno in particolare.
Cyndi si lasciò cadere sul divano accanto a me. «Davvero?» Passò
una mano sulla testa del neonato. Non appena Jack percepì la
presenza della madre, protese le labbra e iniziò a succhiare. Poi girò
la testa. «Oh, qualcuno ha fame» tubò lei.
Invece di uscire dalla stanza, prese la coperta appoggiata allo
schienale del divano, se la mise su una spalla e sul braccio, armeggiò
un po’ e dopo qualche secondo sentii Jack che ciucciava dal
capezzolo. Vita di una supermamma.
«Fa male?» chiesi, guardandola alla are il piccolo.
«Non voglio raccontarti storie, Mia. I primi giorni fa un male cane,
e i capezzoli possono piagarsi e sanguinare, ma il legame che senti
con il tuo bambino, il nutrimento che prende dal la e materno ti
fanno superare quei primi momenti di tortura.»
«Tortura?» Deglutii a fatica.
Lei mi sorrise. «Ti assicuro che ne vale la pena. A proposito, devo
farti le mie congratulazioni, a quanto vedo» disse lanciando
un’occhiata alla mia mano sinistra.
Aggro ai la fronte. «Max non te l’ha de o?»
Cyndi scosse la testa. «Ma certo. Stai scherzando? Ha resistito tipo
due secondi prima di spia ellarlo. In sostanza, il tempo di me ere
giù il telefono e già mi chiamava per tu a la casa per dirmi che
entrambe le sue sorelle stavano per sposarsi. Ha svegliato Jack e
Isabel dal sonnellino.»
Mi guardai a orno, per accertarmi che non ci fosse nessuno nei
paraggi. «Se mio papà non si sveglia, ho intenzione di chiedere a
Max di accompagnarmi all’altare.»
A Cyndi si riempirono gli occhi di lacrime, e tirò su con il naso.
«Non sai quanto significherebbe per lui.» Le scivolò una lacrima
lungo una guancia, e se la asciugò con la mano.
«Non piangere» dissi spaventata, pensando che forse non avrei
dovuto dire niente.
«Sono gli ormoni, tesoro. Piango per qualunque cosa. Accidenti,
ieri stavo guardando la TV e hanno passato la pubblicità di un
antiacido. C’era una donna incinta che si premeva una mano sul
cuore. Be’, mi ha fa o piangere. Mi è venuto in mente il bruciore di
stomaco che avevo quando aspe avo Jack, e giù a frignare. Sul serio,
va tu o bene.» Si mise a ridere.
Wow. La gravidanza tira su le donne. Un sacco.
Come avrei gestito una cosa del genere? Avrei mai desiderato
farlo? Pensai a Weston che teneva in braccio nostro figlio e decisi che,
sì, avrei affrontato praticamente qualunque cosa per avere un
bambino con gli occhi di Wes che mi guardavano.
«Adesso basta bambini?» le chiesi mentre lei sollevava un Jack
insonnolito, si sistemava la camicia e rime eva la coperta sullo
schienale del divano come se nulla fosse. Proprio così, supermamma.
p p
«No. Credo che ne avremo altri due.»
Sgranai gli occhi. «Qua ro figli!»
Lei mi fece un sorriso radioso. «Max ne vuole sei! Ho negoziato
qua ro. Lui vuole una grande famiglia sempre intorno. Dice che è
per quello che vale la pena sgobbare, e adora rientrare dopo una
giornata di lavoro e sentire le voci dei bambini. Ha in mente di
chiamarne uno con il tuo nome e quello di Maddy. E io sono
d’accordo.»
Strinsi gli occhi. «Cyndi, l’hai già fa o dando a Jack il secondo
nome Saunders. Non devi. Assolutamente. Davvero.»
Scosse la testa. «Vogliamo che i nostri figli conoscano le zie e
crescano vedendole spesso. Che sappiano che i nomi che abbiamo
scelto per loro sono quelli di brave persone che li amano. Chi meglio
delle zie?»
Mmh, mi venivano in mente un centinaio di persone, ma sarebbe
stato come parlare al muro. Avevo scoperto a mie spese che quando
Max e Cyndi prendevano una decisione, erano irremovibili e non
avrebbero ceduto. Erano il tipo di persone che chiunque vorrebbe
nella sua famiglia. Gente sempre disposta a darti una mano, ad
amarti incondizionatamente e a me erti al primo posto. Un’altra
ragione per essere riconoscente.
Il rumore di pneumatici che scricchiolavano sulla ghiaia e i
piedini di Isabel che scendevano le scale a ro a di collo
annunciarono che Maddy e Ma erano appena arrivati.
Dopo esserci sistemati meglio che potevamo, Wes mi prese per mano
e mi riportò verso casa di Max.
«Ho intenzione di comprare questa proprietà da tuo fratello.
Vedremo la casa, la ristru ureremo o la faremo demolire e al suo
posto costruiremo qualunque cosa tu preferisca, nuova di zecca»
disse Wes del tu o fuori tema.
Non pensavo neppure lontanamente ad acquistare terre e a
ristru urare case. Ero ancora in un mondo beato, appoggiata a un
tronco a farmi scopare dall’uomo che amavo.
Quando alla fine le parole raggiunsero la parte razionale del mio
cervello, mi fermai di bo o. Mancava ancora un po’ alla cena del
Ringraziamento. «Mi dispiace. Scusami se non ti seguo dopo che mi
hai scopata contro un albero neanche dieci minuti fa. Dicevi?»
Wes si leccò le labbra come se stesse ancora assaporandomi il
sesso. Probabilmente era proprio così. Dopo avermi fa a godere con
la bocca, mi aveva scopata fino a farmi perdere i sensi contro l’albero,
e avevo i segni del tronco a dimostrarlo. Quando muovevo le spalle
sentivo la stoffa gra are contro la pelle irritata. Forse sarei stata
fortunata e non avrei avuto escoriazioni, solo l’indolenzimento a
ricordarmi le nostre acrobazie silvestri.
«Ho intenzione di parlare a Max della possibilità di comprare
questa parte di terreno confinante con la sua. Ha centinaia di e ari e
ha de o che questa e un’altra più avanti una volta erano aziende
agricole. Dice che sono entrambe libere.»
Cercai di afferrare bene quello che stava proponendo. «Non
abbiamo nemmeno visto la casa. Conosciamo appena la proprietà.
Come fai a sapere di volerla davvero?»
Wes si girò verso il folto bosco che avevamo appena lasciato, al
limitare della seconda porzione di terreno aperto davanti al ranch di
Max. Si strinse nelle spalle. «Non importa com’è. Possiamo costruirci
quello che vogliamo se non ci piace quello che c’è. Il punto è che
avremmo una casa di famiglia. Lontana dal clamore e dall’atmosfera
modaiola della California meridionale.»
Alzai i palmi delle mani. «Aspe a un a imo. Stai dicendo che
vuoi andartene da Malibu?» Ero totalmente confusa… e non solo per
lo stordimento del sesso da urlo che avevo appena fa o. «Tu adori la
spiaggia. Io adoro la spiaggia» dissi indicando me stessa, il cuore
pesante al pensiero di lasciare la nostra casa di Malibu.
«Vero. Ma abbiamo denaro. Molto. Più di quanto ce ne servirà. E
con la tua carriera avviata com’è adesso, vorrai un posto in cui
rifugiarti quando la California diventerà insopportabile. E poi sei
stata tu a dire che Madison vuole venire qui quando avrà terminato
gli studi.»
«A dire la verità, ha accennato all’intenzione di trasferirsi da
queste parti dopo la laurea triennale. Max vuole che continui a
studiare qui per il master e il do orato in modo che nel fra empo
possa iniziare a lavorare per la Cunningham Oil. Verranno anche
Ma e la sua famiglia.»
Wes si illuminò. A quanto pareva, più ci pensava, più si
entusiasmava all’idea. «È perfe o. Possono stare su quell’altro lato.
Ma ha de o che lui e la sua famiglia lavorano nel se ore agricolo.
Possono coltivare sia la nostra terra sia la loro. Ovviamente saremo
soci e avremo una casa in più. Possiamo venirci una volta al mese.
Così non ti perderai l’infanzia di Isabel e Jackson, e potrai vedere
spesso tuo fratello e tua sorella. È una cosa vantaggiosa per tu i.»
Ciò che mi stava offrendo era più di quanto avrei mai potuto
sperare. L’amore che provavo per quell’uomo era infinito. «Faresti
questo per me?» chiesi, con la voce soffocata dalla commozione e
dalla felicità.
Lui scosse la testa. «No, lo farei per noi. Tu non vuoi stare lontana
da tua sorella e io non voglio stare lontano dalla mia famiglia.
Avremo una casa in entrambi i posti. Ho in mente di venirci almeno
una volta al mese. Sarà un appuntamento regolare, così ogni mese
pp g g
trascorreremo qualche giorno nella nostra casa in Texas. E quando
non siamo impegnati nelle riprese, ci fermeremo qualche se imana.
Sul serio, tu e le volte che vogliamo. Sono sicuro che possiamo
affidare a Cyndi l’incarico di darle un’occhiata e aprirla di tanto in
tanto.»
Non mi vide arrivare, ma mi prese al volo quando gli saltai in
braccio, allacciandogli le gambe intorno alla vita e baciandolo con
passione. «Ti amo.» Lo baciai sulle guance. «Ti amo.» Lo baciai in
fronte. «Ti amo.» Lo baciai sul mento. «Ti amo.» Lo baciai sugli
occhi. «Ti amo così tanto che non vedo l’ora di sposarti!» urlai prima
di posargli la bocca sulle labbra.
Va de o a suo credito che Wes apprezzò l’esplosione di frenesia
folle e rise per tu o il tempo, finché non dove e sme ere perché era
troppo occupato a ricambiare il bacio.
«Sì! Non sto scherzando. No, mamma, no. Vogliamo una cerimonia
ristre a sulla spiaggia della nostra casa di Malibu e poi il
ricevimento a casa vostra.» Wes rise e si passò una mano tra i capelli.
Aveva un sorriso stampato in faccia da quando aveva telefonato a
sua madre non solo per annunciarle che ci saremmo sposati, ma
anche che l’avremmo fa o di lì a breve.
«Lo so che mancano solo sei se imane. Assumerò una wedding
planner che si occupi di tu o. No, mamma, tu non… Mamma, non ti
abbiamo chiamata perché fossi tu a addossarti questo compito.»
“Parla per te.” Era escluso che mi me essi a organizzare un
matrimonio. Fosse stato per me, avremmo pronunciato le nostre
promesse sulla spiaggia e scopato come conigli subito dopo. Non mi
servivano una torta e tu o l’ambaradan. Solo Wes. Era l’unica cosa di
cui avevo bisogno.
Wes si girò a guardarmi. Ero seduta sul le o a gambe incrociate,
con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e le mani so o il mento.
Osservavo il mio uomo che camminava avanti e indietro, sempre con
quel sorrisone stampato in faccia.
«Lo so che è folle, mamma, ma io sono follemente innamorato.
No, non è troppo. Sto bene. Anzi, questa cosa mi farà stare meglio di
quanto sia mai stato. Sposare la donna con cui voglio passare la vita
contribuirà ancora di più al processo di guarigione.»
Wes era convinto che fossi io la ragione per cui se la stava
cavando così bene dopo la sua bru a avventura. Io ero convinta che
fosse la strizzacervelli, ma rimanevano degli aspe i su cui doveva
ancora lavorare. La gelosia spuntata dal nulla, tanto per cominciare,
e poi questa smania di proge are il suo futuro tu o in una volta. La
buona notizia era che non aveva incubi da più di una se imana.
Anzi, qui in Texas dormiva senza problemi; a casa si svegliava di
soprassalto, andava a camminare sulla spiaggia e ascoltava l’oceano
finché non era abbastanza stanco da tornarsene a le o. L’avevo
trovato a vagare in riva al mare fin troppe volte, invece di stare
abbracciato a me che dormivo. Non in Texas. Qui, nella casa di mio
fratello, con tu o il clan riunito so o lo stesso te o, dormiva un
sonno di piombo. Forse c’entrava qualcosa l’essere lontani dalla vita
frenetica. Wes sembrava trovare conforto nel silenzio delle no i in
Texas.
Smise di camminare su e giù. «Sul serio? Ti occuperai del
ricevimento?» Mi guardò. «Mia sta benissimo in verde» disse
lanciandomi un’occhiata lasciva. «So che non vorrà indossarlo.
Lascia che glielo chieda.»
«Mia, che colori vuoi per il matrimonio?»
Aggro ai la fronte. «Non lo so. Dev’esserci un colore particolare?»
Eh? Non mi era mai passato per la testa di preoccuparmi di cose del
genere. Voglio dire, avevo visto i matrimoni nei film dove c’erano
stuoli di damigelle. Io volevo Maddy e Gin, e basta.
«Mamma dice che devi scegliere due colori in modo che lei sappia
che genere di decorazioni acquistare.»
«Va bene qualunque cosa voglia lei» risposi, senza interesse.
«Mamma, no. Solo che Mia non è quel tipo di ragazza. Voglio
dire…» Mi accarezzò con gli occhi. «È assolutamente femminile, ma
non ha la fissa di queste cose. No, davvero… sul serio, puoi scegliere
quello che vuoi. No, non le interessa. Mamma…» Ricominciò a
camminare avanti e indietro.
Sentendolo discutere con la madre di una cosa che chiaramente
spe ava a me, urlai: «Verde chiaro e crema!».
p
Wes si bloccò. «Rimani in linea. Che colori, amore?»
Mi tormentai le dita imbarazzata. «Credo che verde chiaro e
crema potrebbero essere carini.»
Wes mi rivolse un sorriso radioso. Dio, se era facile da
accontentare. «Mia ha de o verde chiaro e crema. Oh, sì. Fiori
semplici. Quelli che preferisci. Sì, quelli che vuoi.» Alzò gli occhi al
cielo, indicò il telefono e strabuzzò gli occhi in una smorfia di
esasperazione. «Mia e io ci occuperemo della cerimonia. Sì, ci
procureremo le sedie, un tendone e tu o il resto. Concentrati sul
ricevimento, mamma. Quanti invitati?»
Feci un rapido calcolo delle persone che volevo invitare: Maddy,
Ma , Maxwell, Cyndi, i bambini, Ginelle, Tai e Amy, Anthony e
Hector, Mason e Rachel, Warren e Kathleen, Alec, Anton e Heather,
zia Millie, mio padre se si svegliava, e forse pochi altri. «Venticinque
per me.»
«Venticinque. Aspe a, mamma.» Si appoggiò il cellulare al pe o.
«Basta? Per la cerimonia, giusto?»
Scossi la testa. «No, in tu o.»
Wes sba é le palpebre. «Mamma, sarà un matrimonio intimo. Mia
inviterà solo venticinque persone al massimo. Perciò alla cerimonia
sulla spiaggia ci sarà solo la famiglia. Sì, parlo sul serio.»
Geme i in silenzio. Non avevo nemmeno guardato gli abiti da
sposa e il fa o che la mia famiglia fosse rido a all’osso mi faceva
sembrare una povere a agli occhi della mia futura suocera.
«Che cosa intendi con chi? Jeananna e la sua famiglia, la mia
famiglia più vicina, mamma. Di questo riparleremo. Per la cerimonia
mantieni gli invitati sulla trentina. Invita chi accidenti vuoi al
ricevimento, ma lo vogliamo semplice. Mia e io non vogliamo cose
elaborate. Buon cibo, da bere, un po’ di musica per ballare saranno
più che sufficienti. Giusto, Mia?»
Gli scoccai un gran sorriso. Mi conosceva bene. «Hai afferrato!»
Gli soffiai un bacio e lui inarcò le sopracciglia.
«Okay, devo andare. Buon Ringraziamento a te, a papà e alla
famiglia. Di’ a tu i che gli voglio bene e che sarò a casa presto. Sì,
per Natale. Ti voglio bene anch’io.»
Wes terminò la telefonata e lanciò il cellulare sul le o, poi mi si
bu ò addosso. «Sei fortunata che ti amo così tanto. È stato barbaro.»
«Parlare con tua madre, dici?» lo presi in giro.
«No. Parlare con mia madre dell’organizzazione di un
matrimonio di cui a nessuno di noi due importa un fico secco, tranne
la parte delle promesse. Sei in debito con me.» Mi sfregò contro il
bacino, e io lo circondai con le gambe, tirandomelo vicino.
«Mmh. E come dovrei ripagarti?» Mi avvolsi intorno al dito una
ciocca dei suoi capelli.
«Sii la mia schiava sessuale per il tempo che ti resta da vivere»
rispose prontamente.
Feci un altro gran sorriso. «Sporcaccione. Penso che possiamo
arrivare a un compromesso.»
«No. Ti voglio per sempre.»
Gli misi le mani tra i capelli e lo baciai. «Penso che sia fa ibile.»
«No, tu sei fa ibile.»
Scoppiai a ridere. «Ancora quella ba uta!»
Lui ridacchiò e mi diede una serie di baci sul collo. «Un vecchio
successo.»
«Vuoi dire come un lavore o di mano?»
Alzò la testa. «Un’analogia perfe a. Anche una sega è un vecchio
successo. Posso averne una adesso?»
Allungai la mano verso il basso. Avevo appena iniziato ad
armeggiare con il bo one dei suoi jeans quando bussarono alla
porta. Ci separammo come se qualcuno ci avesse bu ato addosso un
secchio di acqua gelata.
«Cyndi dice che è ora della pappa! Venite giù» disse Max dietro la
porta. Perlomeno aveva avuto la delicatezza di non entrare. Non mi
ricordavo se avevo chiuso a chiave oppure no.
Poi lo sentimmo percorrere il corridoio e bussare ad altre porte
ripetendo che la cena era pronta.
Wes mi aiutò ad alzarmi. «Ah, e la mamma ha de o che l’anno
prossimo il Ringraziamento è da loro» disse risucchiando l’aria tra i
denti.
Feci di no con la testa. «Allora lo dici tu a Max. Preferibilmente
quando non sono nei paraggi.»
q p gg
«Fifona!» Sorrise, intrecciò le dita alle mie e mi condusse lungo il
corridoio per il nostro primo Ringraziamento insieme. La prima vera
festa del Ringraziamento che potessi ricordare.
L’unico problema era che mi mancava papà. Gli sarebbe piaciuto
tantissimo prendere posto a un lungo tavolo pieno di familiari. Non
ci eravamo abituate, anche se lui aveva fa o dei tentativi, a modo
suo. Ricordavo diverse occasioni in cui aveva cucinato il pollo fri o o
l’aveva preso da Kentucky Fried Chicken, quando non era
completamente ubriaco e si scordava del tu o della ricorrenza.
Eppure mi mancava.
«Com’è che ogni volta che riesco a farti venire in Texas ti tocca
precipitarti a Las Vegas?» scherzò Max mentre io bu avo in valigia i
vestiti a casaccio, senza nemmeno piegarli. Avrei dovuto sedermici
sopra per chiudere il bagaglio, ma non me ne importava: l’unica cosa
che contava era arrivare all’aeroporto il più in fre a possibile.
«Sei riuscito ad avere l’aereo?» chiesi con le mani che tremavano a
tal punto da spingere Wes a prendermele per stringersele al pe o. Il
suo calore mi penetrò nelle ossa gelide arrivando dri o al cuore.
«Andrà tu o bene. Tuo padre è sveglio e chiede di te. Questa è
una buona notizia. Okay?» Mi fissò negli occhi dandomi qualcosa a
cui aggrapparmi quando avevo la sensazione che mi stesse crollando
tu o addosso. Dovevo solo arrivare a Las Vegas e vedere papà, poi
mi sarei calmata.
Max mi mise una mano sulla schiena. «L’aereo della Cunningham
Oil ha fa o rifornimento ed è pronto a decollare non appena arrivi.
Sei proprio sicura che non vuoi che venga con te?» mi chiese mio
fratello con la voce soffocata dall’emozione.
Mi girai e lo abbracciai, stringendo il suo grande corpo più che
potevo. Volevo che sentisse quanto avesse significato per me quel
giorno. «No, grazie. Grazie per tu o. Per il più bel Ringraziamento
che io abbia mai passato. Per essere il fratello migliore che avrei
potuto sognare. E per essere qui.» Mi tremò la voce. Ero sul punto di
crollare. «Ma dobbiamo farlo Maddy e io, e ci sono Wes e Ma .»
Sporse in fuori il pe o. «Ma io sono tuo fratello. Voglio prendermi
cura di te.» Era proprio un uomo straordinario.
Wes mi fece scivolare un braccio a orno alle spalle. «Max, mi
prenderò io cura di lei e mi accerterò che Ma faccia lo stesso con
Madison, anche se non credo che il ragazzo abbia bisogno di
g g
incoraggiamento. Va bene così. Sul serio. Ti terrò informato.
D’accordo?» Gli porse la mano.
Max annuì e gliela strinse, poi gli mise una delle sue manone sulla
spalla. «Sono contento che tu stia per sposare mia sorella. So di
essere prote ivo e un po’ esagerato quando si tra a di queste due
ragazze, ma devi ricordare, socio, che le ho appena ritrovate e non
posso rischiare di perderle.»
Wes gli diede una pacca sulle spalle. «Capito. E dopo il
matrimonio voglio parlare ancora della mia idea di comprare la tua
terra.»
«È tua» riba é subito Max. «Darei qualunque cosa per avere qui
mia sorella. Il fa o che abiti alla porta accanto per una parte
dell’anno sarebbe un sogno che si avvera. Parlerò a Ma dell’altro
terreno. È un uomo orgoglioso che proviene da una famiglia
orgogliosa. Vogliono comprare la terra loro stessi. Penso che riuscirò
a trovare un accordo perché coltivino la loro, la mia e la tua.»
Wes strinse le labbra e stese di nuovo la mano. «Ha tu a l’aria di
un piano. C’è altro?»
Max sfoderò un gran sorriso. «Sempre, socio.»
Uscendo dalla nostra stanza incontrammo Ma e Maddy. «Mi
dispiace, Max, ma si tra a di papà.» Le si spezzò la voce e rabbrividì.
«Vai, tesoro. È il momento di vedere tuo padre.»
Sulle scale abbracciammo Max, Cyndi, Isabel e il piccolo Jackson.
Era triste ma necessario. «Ci vediamo presto» dissi.
«Il prima possibile, zuccherino. È una promessa.» Max ci salutò
con la mano mentre salivamo in macchina e partivamo per
l’aeroporto.
“Stiamo arrivando, papà. Tieni duro.”
Quando arrivai la ma ina dopo, papà era seduto nel le o. Wes, che
Dio lo benedica, era rimasto in albergo a montare le riprese che
avevamo girato per alcune puntate di dicembre dello speciale
natalizio del do or Hoffman. Mi ero portata avanti con il lavoro ed
era una fortuna, visto che adesso dovevo occuparmi di mio padre.
«Ehi, r-ragazzina, vieni a s-sederti qui.» Mosse le dita sul le o, i
movimenti e la voce ancora incerti. Secondo il medico, ci sarebbe
voluto un bel po’ prima che recuperasse appieno la mobilità e la
parola.
Mi avvicinai e mi sede i, gli presi la mano e me la portai alle
labbra. La pelle era so ile come carta, ma più luminosa di quando
era pieno d’alcol. «Ho parlato con il do ore stama ina. Mi ha de o
che sai di essere stato in coma per undici mesi.»
Lui annuì solennemente. Non riuscivo a immaginare cosa dovesse
provare a sapere che si era perso quasi un anno della sua vita.
«Che cosa è successo, papà? Perché le cose si sono messe così male
con Blaine?»
Chiuse gli occhi e mi strinse la mano. «Mia, sono s-stato m-molto
egoista.»
Ero d’accordo, ma non capivo cosa c’entrasse con la domanda che
gli avevo fa o. «In che senso?»
Si strinse nelle spalle. «N-non me ne importava p-più niente. Della
m-mia vita, del m-mio d-debito, di n-niente tranne il senso di v-
vuoto.» Pronunciò ogni parola in tono sinistro, come se mi stesse
preparando a una verità sgradevole.
Inclinai la testa e lo guardai negli occhi. «Papà, l’hai fa o apposta
a chiedere tu i quei soldi in prestito e a perderli al gioco?» Ripensai
alla conversazione con Ginelle, quando aveva ipotizzato che avesse
q p
tentato di suicidarsi continuando a farsi prestare denaro da uno
strozzino psicotico.
Scosse la testa. «Non e-esa amente. Forse. Non l-lo so. Ero c-così
s-stanco. Stufo di c-chiedermi p-perché lei se ne fosse andata. Stufo
d-di essere un u-ubriacone. Stufo di e-essere la c-cosa p-peggiore per
voi r-ragazze. Stufo e b-basta. Perciò non me ne importava di d-
dovere tu i quei s-soldi a Blaine e di n-non avere modo di r-
restituirglieli. Sapevo che me l’avrebbe f-fa a p-pagare.
L’assicurazione v-vi avrebbe coperte.» Chiuse gli occhi e inspirò
lentamente. «P-più di quando avrei p-potuto f-fare da v-vivo.»
Ricacciai indietro un singhiozzo e arretrai verso il muro. «Stai
dicendo che volevi morire?»
Mi guardò e io vidi la verità scri a a chiare le ere nei suoi occhi
scuri. «Non v-volevo più v-vivere come s-stavo vivendo.» Era la
confessione più esplicita che, a quanto pareva, sarei riuscita a
o enere.
«Gesù, papà. Non riesco neanche…» Presi fiato, mi piegai in
avanti e cercai di calmarmi controllando il respiro. «Tu non hai idea
di cosa mi è toccato fare in tu i questi mesi per ripagare il tuo
debito!»
Inarcò le sopracciglia per lo stupore. «Cosa? Il debito è stato p-
pagato?»
Chiusi gli occhi e appoggiai la schiena al muro. «Blaine e i suoi
scagnozzi ti avrebbero ammazzato e poi sarebbero venuti a prendere
me e Maddy per reclamare quello che hanno chiamato “il debito del
sopravvissuto”. Credevi forse che si sarebbe accontentato di
ucciderti senza trovare un modo per riavere i suoi soldi?»
Papà sgranò gli occhi nella faccia scavata e mi ritrovai a fissare
due pozze scure, infossate. «No.» Scosse la testa. «Non hanno mai
de o q-questo. Io… io…»
«Tu cosa?» mi arrabbiai. «Pensavi che offrendo te stesso tu o
sarebbe stato perdonato?»
Girò la testa nella mia direzione. Avevo iniziato a camminare
avanti e indietro. «Sì, esa amente.»
«Incredibile.» Tremai da capo a piedi e mi tirai i capelli, tentando
disperatamente di alleviare la tensione. Avrei voluto me ermi a
p
urlare come un’ossessa. «Sono andata a lavorare per Millie come
escort per restituire il tuo debito!» Parole feroci, piene di veleno.
Mio padre impallidì, diventando livido come un fantasma. «T-ti
sei p-prostituita p-per m-me?» Una lacrima gli scivolò lungo una
guancia e il suo corpo sembrò ra rappirsi mentre veniva scosso dai
singhiozzi. «Dio, no. No. Non la mia b-bambina.» Si coprì la faccia
con le mani.
Mi precipitai da lui. «Le cose non stanno così, papà. Non dovevo
andarci a le o. Dovevo solo recitare un ruolo per un mese.
Guadagnavo centomila dollari al mese e ho pagato Blaine a rate.»
Avrei voluto dirgli che cosa era successo con Blaine in se embre e
come Max mi aveva salvato il culo, ma non pensavo che fosse in
grado di affrontare tu a la verità.
Mio padre era scosso dai tremiti e io lo strinsi. «Mi d-dispiace c-
così tanto. Dio, mi d-dispiace tanto per un s-sacco di cose. Non potrò
mai sistemare tu o con t-te e t-tua sorella. Mai.»
Gli accarezzai la schiena. Era così magro che sentivo le ossa della
spina dorsale. «Puoi cominciare restando vivo. Tornando a essere
nostro padre. Rimanendo sobrio» aggiunsi, sperando che non desse
in escandescenze come faceva di solito quando tiravo fuori
l’argomento.
Mi tenne stre a a lungo, sussurrando parole di scuse tra i miei
capelli, dicendomi quanto fosse orgoglioso di me, quanto mi volesse
bene. Alla fine, era quello che avevo sempre voluto da mio padre:
che mi amasse, che mi approvasse e fosse fiero di me. In quel
momento mi resi conto che avevo o enuto ciò che desideravo. È
vero, aveva pisciato fuori dal vaso alla grande quando eravamo
piccole, ma avevamo davanti ancora tanti anni e io volevo passarli a
costruirmi dei bei ricordi, a vivere appieno ogni cosa.
Sentii suonare il cellulare nella tasca posteriore. Lo ignorai e
rimasi abbracciata a mio papà. Continuò a squillare, subito dopo che
la segreteria rispose. A quanto pareva, qualcuno cercava di me ersi
in conta o con me a ogni costo.
«Scusa, papà.» Mi scostai da lui e tirai fuori il telefono. Sullo
schermo c’era scri o “Maximus”.
Sorrisi e mi portai il cellulare all’orecchio. «Ciao, fratellone» dissi
in tono scherzoso.
«Si presumeva che oggi avresti dovuto chiamarmi.» Sembrava un
grosso orso incazzato.
«Non hai tua moglie e i miei nipoti per giocare al cowboy alfa
tu o dedito alla famiglia?» dissi con una risata e guardai mio padre.
Aveva un’espressione scioccata.
«Quante volte devo ripeterti che mi prendo cura di ciò che è
mio?»
Alzai gli occhi al cielo. «Vabbè. Io sto bene. Puoi rilassarti. Tornare
dal piccolo Jack e dare un bacio a Isabel da parte mia.»
«Tu o okay?»
Lanciai un’altra occhiata a mio padre. «Più che okay. Mio papà è
sulla via della guarigione, io sto per sposare l’uomo dei miei sogni e
la vita è meravigliosa.»
Max mi ridacchiò nell’orecchio. «D’accordo, zuccherino. Abbi cura
di te, ti richiamo tra un paio di giorni.» Un paio di giorni per lui
voleva dire che mi avrebbe telefonato l’indomani ma ina presto.
Ridacchiai tra me, entusiasta di avere un fratello, e per di più
follemente prote ivo e assurdamente dispotico verso le sorelle
adulte. «Ti voglio bene, sorellina.»
«Ti voglio bene anch’io, Max.»
Conclusi la chiamata e mi girai.
«Chi era?» chiese papà.
«Mio fratello Max» risposi senza pensarci, dimenticando
completamente che mio padre era stato in coma per quasi tu o
l’anno appena trascorso. Non sapeva niente di Maxwell
Cunningham né di Maddy e del suo vero padre. «Merda» mormorai,
fissando la sua espressione sconcertata.
«Quale fratello?»
Chiusi gli occhi e mi sede i sul le o. «Papà, è una storia lunga e
complicata che ha avuto un lieto fine, ma forse non è il momento
ada o per raccontartela, visto che ti sei appena svegliato da un
sonno di undici mesi.» Mi lasciai sfuggire un sospiro, irritata per
essermi lasciata scappare un’informazione del genere, prima che lui
avesse il tempo di fare i conti con quello che aveva passato.
p q p
«S-signorina, adesso me i qui le chiappe e r-racconti a t-tuo padre
di questo fratello e di come hai scoperto della sua esistenza. Hai s-
sentito tua m-madre?»
«No, papà.» Solo a udir pronunciare il nome di mia madre fui
percorsa da un brivido.
Maddy arrivò poco dopo che avevo iniziato a raccontare la storia
di come avevo conosciuto Maxwell Cunningham; mi aveva
ingaggiata per fingere di essere la sorella a lungo perduta, anche se
sapeva già che eravamo imparentati. Poi aveva scoperto l’esistenza
di Madison e ci eravamo so oposti a degli esami i quali avevano
confermato che era davvero nostro fratello.
«E allora? V-vostra m-madre aveva una r-relazione p-prima di c-
conoscere me, ha avuto un bambino e l’ha abbandonato. T-tu o
qui?»
Maddy si morsicò un labbro e guardò fuori dalla finestra, gli occhi
lucidi di lacrime.
«Che cosa non mi state d-dicendo?» chiese aggro ando la fronte.
Sospirai. «Credo che per oggi sia abbastanza, papà. Ne hai passate
tante. Noi anche. Forse dovremmo prenderci una pausa.»
Papà scosse energicamente la testa. «No. Sveliamo t-tu i i s-
segreti, qui e ora.» Ba é un dito ossuto sul coprile o a nido d’ape
dell’ospedale.
Mi accasciai e le guance di Maddy si rigarono di lacrime.
“Via il dente via il dolore, Mia. Fallo e basta, così ti libererai di
questo peso.”
«Mia… Maddy…» disse papà in tono di avvertimento.
Madison sembrava sul punto di accartocciarsi su se stessa. Mi
avvicinai a lei e la abbracciai da dietro. Lei mi si appoggiò contro, si
nascose la faccia tra le mani e pianse.
«Buon Dio, cosa c’è che non va?»
«Papà, quando abbiamo fa o i test, si è scoperto che Maxwell
Cunningham e Maddy hanno la stessa madre e lo stesso padre.»
Lui chiuse gli occhi e si sfregò la fronte. «Quindi è vero. Dal punto
di vista genetico, io n-non sono t-tuo padre.»
Maddy si mise a piangere forte, scuotendo la testa.
«Oh, tesoro, vieni qui.» Allargò le braccia e Maddy ci si rifugiò,
piangendo contro il suo pe o.
«M-ma, m-ma, tu sei il mio papà!» si lamentò come se provasse un
dolore fisico. Avrei fa o qualunque cosa perché sme esse di soffrire,
ma ero impotente.
Lui le accarezzò i capelli. «Sì. E lo s-sarò s-sempre. Nessun t-test
può portarmi v-via le mie b-bambine.»
«Io non c’entro, papà. Il test di paternità ha confermato che ho in
comune con Maxwell e Maddy solo la madre.»
Mio padre scosse la testa e continuò a passare le dita tra i capelli
color miele di Maddy, i capelli che aveva preso dal vero padre. «Ho
sempre sospe ato che vostra madre mi t-tradisse. Talvolta pensavo
di averla vista troppo vicina a q-quel t-tizio alto e biondo con
l’aspe o del c-cowboy. Non ricordo come s-si c-chiama.»
«Jackson Cunningham. Veniva a Las Vegas quando ero piccola.
Lei vedeva suo figlio e io incontravo il fratello che non ho mai saputo
di avere. Finché non è rimasta incinta di Maddy. A quel punto le
visite sono cessate» spiegai prima che potesse chiedermelo.
Papà si passò la lingua sulle labbra e baciò Maddy sulla testa. «Sì,
dopo la nascita di Maddy iniziò a comportarsi in modo s-strano.»
Fece un sorriso triste. «Più s-strano del n-normale, cioè. Era c-come
se non r-riuscisse a star ferma in u-un p-posto molto a lungo. C-
continuava a c-cambiare lavoro negli s-show, passava da un casinò
all’altro, l-lamentandosi che q-questo o q-quello avevano q-qualche
p-problema. E poi un g-giorno il p-problema è diventato Las Vegas,
e alla f-fine il p-problema ero io. Il resto, come si dice, è storia.»
Poi lei se ne andò. Quella parte la ricordavo molto chiaramente.
Wes giocherellava con i miei capelli mentre io ero sdraiata sul suo
pe o senza fiato. «Ha de o di quanto denaro si sta parlando? Per
quale ragione un montanaro dovrebbe pagare lo show perché si
vada a fare le riprese laggiù? Sarebbero un mucchio di soldi.»
Sollevai la testa e appoggiai il mento alle mani premute sopra il
suo cuore. «È strano, ma ho sentito dire che Aspen è un posto
bellissimo. Non ci sono mai stata. E tu?»
Mi sorrise. «Aspen? Vediamo: un ragazzo allevato da gente ricca
dell’alta società di Hollywood sarà mai stato ad Aspen? Mmh…»
«Cosa?» Scossi la testa, senza capire dove volesse andare a parare
con quella ba uta.
Gli si accese una scintilla negli occhi. «Mia, Aspen è tipo il paese
delle meraviglie invernale delle persone ricche e famose. I miei
hanno uno chalet lì. Uno chalet grande.»
g
«Davvero?» Sba ei le palpebre; non riuscivo mai a rendermi
conto fino in fondo di quanto Wes fosse ricco.
Scoppiò a ridere. «Sì, davvero. Può ospitare qua ordici o sedici
persone ma ha anche diversi divani le o. Non che i miei li abbiano
mai usati.»
«Wow. Perché è così grande?» Sapevo che c’erano solo la sorella, il
marito di lei e i suoi genitori.
Wes sfregò il naso contro il mio. «La mamma dice che è in
previsione dei nipoti e delle loro famiglie. L’hanno comprato
all’inizio del loro matrimonio a un buon prezzo, durante l’anno lo
affi ano e c’è un custode. Di solito ci andiamo una se imana tu i gli
anni. Sci, aria di montagna, gente da vedere.»
«Oh. Pensi che potremmo stare lì? Con la troupe?»
«Certo. In dicembre mia madre non lo affi a, nel caso in cui
qualcuno della famiglia volesse andarci.»
«Fantastico. Chiediamo a Maddy e Ma di venire. Sarà la loro
pausa invernale. Oooh… chissà se Max verrebbe?»
«Per te?» La sua voce assunse una sfumatura sardonica.
Gli pizzicai un capezzolo scherzosamente, senza fargli male. «E
con questo cosa vorresti dire?»
Wes fece un gran sorriso. «Mia, Max stravede per te come
stravede per la moglie, per i figli e per tua sorella. È un uomo
assolutamente dedito alla famiglia. Tu dici che vuoi qualcosa, e lui
andrà a prenderti la luna. È fa o così. Scomme o che suo padre era
identico.»
«Anche Maddy» dissi. Quel pensiero mi fece venire in mente
com’era stata dura per mio padre scoprire che quello che aveva
sospe ato era vero: Maddy non era sua figlia biologica.
«Sì, è una cosa che hanno in comune.»
Annuii e gli appoggiai la testa al pe o. «Pensi che la tua famiglia
prenderebbe in considerazione l’idea di venire in Colorado qualche
giorno per Natale? Potremmo chiedere di venire a Jeananna e a suo
marito Peter, a Max e ai suoi, a Maddy, Max e i suoi genitori, e a
Ginelle?»
«Dolcezza, non l’hai ancora capito? Proprio come tuo fratello,
chiedimi una cosa e farò tu o quello che è in mio potere per
q p p
dartela.» Non c’era traccia di ironia nella sua voce. Aveva affermato
un semplice dato di fa o. Mi sentii sciogliere.
Lo baciai lentamente e con abbastanza passione da guadagnarmi
un altro benvenuto a casa.
Quando mi scostai, aveva gli occhi vitrei e semichiusi.
«Mi sa che sto sognando un bianco Natale» dissi con un sorriso e
gli leccai un capezzolo.
Veloce come il fulmine, mi girò e mi si mise tra le cosce. «Here
comes Santa Claus, here comes Santa Claus, right down Santa Claus
lane…» cantò, sfregandomi il mento ispido contro il collo finché non
mi misi a ridere.
«Sembra che Natale arriverà prima quest’anno» geme i quando
mi mise le labbra su un capezzolo e iniziò a succhiarlo. Fui percorsa
da una scossa di piacere.
Wes si sollevò e mi guardò mentre scendeva con la testa,
rimanendo sospeso proprio sopra il centro pulsante del mio corpo.
«Mia, tu sei un regalo donato ogni giorno.»
Avrei voluto riba ere con qualcosa di perverso, un’osservazione
che l’avrebbe fa o ansimare per il desiderio, ma era troppo tardi. La
sua bocca tra le mie cosce e il movimento delle dita sul mio sesso
ebbero la meglio su ogni facoltà oratoria.
Il mio ultimo pensiero prima di scivolare nelle acque scure della
nostra passione fu che ogni anno, ogni vacanza, ogni dannato giorno
della mia vita sarebbe sempre stato così bello, almeno finché l’avessi
condiviso con Wes.
Fa i so o, mondo.
Finalmente avevo tu o. Felicità. Famiglia. Amici. Mia sorella al
sicuro. Un fratello. Mio padre in via di guarigione e un uomo che mi
adorava e voleva passare il resto della vita a dimostrarmelo. Avevo
in mente di passare il resto della mia vita a dimostrarglielo a mia
volta.
DICEMBRE
1
Secondo il sito web la Zane’s Tavern era il locale dove la gente del
posto andava per vedere gli amici, rilassarsi, farsi una birra e
qualche ale a di pollo fri o. Wes concordava con la descrizione.
Quando frequentava l’università, lui e i suoi amici della confraternita
si ritrovavano al pub dopo una giornata passata sulle piste e
abbordavano qualche coniglie a delle nevi in a esa di uno studente
sexy e ricco che le facesse girare la testa e la portasse nello chalet di
famiglia. All’epoca Wes ci andava solo per divertirsi. Adesso mi
stava facendo scendere i gradini che portavano a una serie di porte
con il telaio verde scuro. Una grande insegna re angolare sopra
l’ingresso sbandierava orgogliosamente ZANE’S TAVERN in grandi
le ere dorate a rilievo su sfondo nero.
Mi sembrava illogico che i clienti dovessero scendere dei gradini
per entrare nel locale, visto che in questa zona del paese nevicava
parecchio. Avrebbe avuto più senso doverli salire, così l’ingresso non
sarebbe rimasto bloccato dalla neve. Ma forse era un modo per
indurre le persone a rimanere nel locale a spendere soldi senza
sembrare squallidi.
Wes mi tenne la porta aperta. Il posto era accogliente e mi fece
venire in mente il Declan’s di Chicago dove ero stata con Hector e
Tony in occasione di San Patrizio. Quel giorno era una delle molte
ragioni per cui Wes e io stavamo insieme. Era sbucato dal nulla e mi
aveva fa o passare una no e indimenticabile, poi se n’era andato
lasciandosi dietro nient’altro che un profumo maschile e l’odore del
sesso. Sapevo che c’era di più già allora, anche se avevo fa o di tu o
per negarlo, al punto da concedermi una no e di sesso con Alec in
aprile. Quando avevo scoperto che Wes si scopava Gina DeLuca, la
protagonista del suo film, mi ero imposta di prendere le distanze.
p g p p
Per la miseria, avevo passato un mese a godermi il corpo di Tao nel
tentativo di dimenticare il surfista sexy. Non aveva funzionato.
Semmai mi aveva fa o capire cosa volevo in una storia a lungo
termine.
La mano di Wes era calda sulla schiena mentre mi guidava nel
locale seminterrato. C’erano diversi schermi TV pia i disseminati qua
e là che trasme evano una partita di baseball. Da quella distanza
non capivo chi giocasse, ma a giudicare dai clienti con indosso
maglie di diversi colori e gli occhi incollati agli schermi era chiaro
che si tra ava di un evento importante.
Wes mi guidò verso il bancone e mi aiutò a togliermi il piumino,
sistemandolo sullo schienale della mia sedia.
«Allora, quando arriva questo tizio?» Wes guardò l’orologio
mentre sistemava la sua sedia e si sporgeva sul bancone. In un’epoca
in cui gli uomini guardavano il cellulare per sapere l’ora, vedere un
uomo con un orologio da polso rivelava qualcosa. Wes era più
tradizionalista e vecchio stampo di quanto gli piacesse amme ere.
«Credo alle se e.»
Lui annuì. «Prendiamoci una birra. Sono le sei e un quarto, quindi
abbiamo un po’ di tempo.»
«Un drink mi farebbe bene, poco ma sicuro.» Feci un sospiro e
appoggiai il gomito sul ripiano lucido.
Wes mi mise una mano sulla spalla e la strinse. «Dolcezza, non
succederà niente finché ci sono io. Sei al sicuro con me. Se questo
tizio è un viscido, me erò le cose in chiaro. Fine della storia. Tu non
preoccuparti di niente se non di goderti un drink con il tuo uomo.
Intesi?»
«Sì, grazie.» Misi una mano sulla sua e mi abbassai per baciargli il
polso lasciato scoperto dalla maglia pesante.
«Che cosa ti andrebbe?»
Strinsi le labbra e guardai la scelta di birre alla spina. «In realtà
prenderei un sidro, se ce l’hanno.»
Si avvicinò il barista. «Ehi, Weston Channing! Che accidenti ci fai
qui, fratello?» lo apostrofò l’uomo, che aveva una folta barba rossa e
la bocca a eggiata a un gran sorriso. Aveva denti perfe i e gli occhi
quasi dello stesso colore dei capelli, un castano rossiccio. Indossava
q p
una camicia a quadri neri e rossi aperta su una semplice T-shirt
bianca. I jeans che avevano visto giorni migliori finivano su un paio
di scarponcini di sicurezza tu i impolverati. Non era certo il genere
di persona che sta seduta dietro una scrivania. No, probabilmente la
scrivania l’aveva costruita con il legno dell’albero che aveva tagliato
lui. Era un uomo grande e grosso che portava con stile gli abiti da
taglialegna.
Wes strinse la manona che gli era stata offerta. Ora, il mio ragazzo
era più alto della media e muscoloso. Ma quel tizio aveva l’aria di
uno che poteva spezzare in due senza sforzo una tavola di legno a
mani nude. Dava del filo da torcere a mio fratello Max in fa o di
uomini massicci e ben piazzati.
«Alex Corvin! Come stai, amico?» esclamò Wes, stringendo la
mano dell’uomo e prendendogli l’altra. Mi piaceva un sacco quando
i ragazzi facevano così. Secondo me, era indice del fa o che ci
tenevano l’uno all’altro.
Il tipo scosse la testa, facendo oscillare la lunga barba: che strano
effe o! Non conoscevo nessuno che portasse la barba a quel modo,
ma questo ragazzo lo faceva con stile. Dovevo amme ere che era
sexy. Apprezzavo il look da tagliaboschi; be’, scomme o che lo
avrebbe apprezzato la maggior parte delle donne. Quel pensiero mi
strappò un sorriso. Dovevo fargli una foto e mandarla a Gin. Si
sarebbe scatenata con le sue buffonate divertenti e, tesa com’ero, mi
avrebbe fa o bene ridere un po’ con lei.
Wes mi circondò con un braccio. «Alex, questa è la mia fidanzata,
Mia Saunders. Mia, lui è Alex. Andavamo a scuola insieme.»
Gli porsi la mano, che sparì nella sua zampaccia enorme. Che
roba.
«Piacere, Mia. Dannazione, Wes.» Alex sorrise e si morse il labbro.
«Scomme o che ti me e il pepe al culo. Non è così?»
«Anziché il bromuro nel caffè?» dissi io, incapace di tra enermi.
Wes e Alex ge arono indietro la testa e scoppiarono a ridere.
Alex si accarezzò la barba facendomi venire in mente quei Babbo
Natale dei centri commerciali che fingono di rifle ere se un bambino
è stato buono o ca ivo.
Wes sorrise e mi baciò la tempia. «Oh, è la donna perfe a per
me.»
Alex appoggiò i gomiti al bancone e mi guardò con aria da
cospiratore. Accennò con la testa in direzione di Wes. «Se questo
ragazzo non ti tra a come si deve, e ti serve un vero uomo, sai a chi
rivolgerti, eh?» disse in tono seducente.
Wes lo spinse via me endogli una mano sulla fronte. «Levati dai
piedi!»
Si misero a ridacchiare. «Allora, Alex, l’ultima volta che ti ho visto
lavoravi a Wall Street. Non avevi quest’aria da montanaro pazzo. E
adesso sei qui a servire birre e hamburger?» gli chiese Wes,
preoccupato.
Alex pulì il bancone davanti a noi. «Lascia che vi porti qualcosa
da bere, poi torno e ti spiego.»
Ordinammo i drink. Portò un sidro di pere a me e una Guinness a
Wes, poi servì un altro paio di clienti prima di riavvicinarsi a noi.
«Allora, ecco com’è andata.» Incrociò le braccia massicce e
giocherellò con la barba prima di riprendere a parlare. «Ho fa o un
mucchio di soldi a Wall Street, giusto?»
Wes annuì e sorseggiò la birra scura. Sul labbro superiore gli
rimase un baffo di schiuma e io lo fissai come se contenesse le
risposte a tu e le domande dell’universo. Incapace di resistere, mi
sporsi verso di lui, lo pulii con il pollice e mi leccai il dito. Wes inarcò
le sopracciglia e mi guardò con gli occhi pieni di desiderio.
«Non cominciare» mi avvertì, capendo perfe amente cosa mi
passava per la testa.
Mi ricomposi e rivolsi l’a enzione ad Alex, che aveva smesso di
parlare.
«Vai avanti» lo incoraggiò Wes con un cenno della testa.
«Sicuro? Sembra su di giri. Ho una bella scrivania sul retro che
potete usare se proprio non riuscite a resistere» disse con un ghigno.
Mi sentii avvampare, di sicuro ero diventata rossa come un
peperone.
«Tranquillo, amico. Va tu o bene. Lei avrà quel che si merita
quando torniamo a casa» disse e mi strizzò l’occhio. Capito? Il
bastardo me l’avrebbe pagata. Far sembrare che l’arrapata fossi solo
io.
Mi appoggiai il bicchiere freddo alla guancia, godendomi la
sensazione di refrigerio, mentre Alex riprendeva a parlare.
«Ho scoperto che odiavo lavorare con i numeri a meno che non
fossero collegati con individui reali. Mi piace interagire con gli altri,
conoscere nuove persone, offrire un posto dove la gente può venire a
rilassarsi. Lo stress, la tensione mi stavano uccidendo, amico. Così ho
mollato.»
Wes si strozzò con la birra. «Hai mollato? Ma non stavi facendo
un mucchio di soldi?»
«Già. Abbastanza per comprare il locale dal tizio che lo
possedeva, investire un po’ di denaro per una casa quassù e adesso
godermi l’aria pura senza smog. Ogni. Dannato. Giorno. Amo la mia
vita.»
«E che mi dici di una donna?» chiese Wes.
A quella domanda Alex incurvò le spalle, come se gli avessero
caricato sulla schiena un sacco di cemento. «Un giorno o l’altro»
rispose, con un tono che mi spinse a credere che sarebbe successo
perché era aperto alla possibilità.
Wes posò una mano sul braccio dell’amico con un gesto
affe uoso. «Sono felice per te.»
Alex mi guardò, fece un sorrise o e mi rivolse un cenno di
approvazione maschile. «E io sono molto felice per te.»
«Nessuna lamentela al riguardo» disse Wes e mi circondò con un
braccio, a irandomi a sé.
Il telefono squillò qua ro volte, il che era strano, tra andosi di Max.
Era una di quelle persone che tenevano il cellulare nella tasca
posteriore dei pantaloni, e sapevo che non stava lavorando.
Finalmente, al quinto squillo, rispose. In so ofondo si sentiva un
neonato urlante.
«Stai in linea, aspe a… tuo nipote sta svegliando tu o il vicinato.
Si è sporcato di cacca tu a la schiena. La schiena, sorellina. Fino
all’a accatura dei capelli. Ma come accidenti avrà fa o?» urlò Max
nel telefono.
Capii che era in vivavoce e aspe ai finché non passò il
marmocchio a Cyndi. Una mossa da vero stronzo. Sorrisi per la
prima volta da quando avevo visto mia madre il giorno prima.
«Si è sporcato di cacca tu a la schiena!» ripeté.
«E io cosa vuoi che ci faccia? Pulisci tuo figlio!» riba é Cyndi.
Scoppiai a ridere.
«Cyndi, amore della mia vita, ti pagherò un milione di dollari se
pulisci nostro figlio» la implorò Max.
«I tuoi soldi sono anche miei, o l’hai dimenticato?» riba é lei
piu osto irritata.
La situazione stava degenerando in una lite domestica a cui non
volevo assolutamente assistere. «Ragazzi, che ne dite di richiamarmi
dopo?»
«Mia, tesoro, sei tu?» disse Cyndi.
«Sì, ciao! Scusate l’interruzione. Volevo parlare a Max di una
cosa… ecco, piu osto importante, ma può richiamarmi dopo aver
finito con il piccolo Jack.»
La udii sospirare. «No, no. Va bene. Io mi occupo di tuo figlio
adesso, ma tu sarai di corvée pannolini per due giorni interi!»
esclamò con foga.
Sentii dei rumori gracchianti e poi solo la voce di Max. Doveva
aver disinserito il vivavoce. «Zuccherino, sarà meglio che sia una
cosa importante. La corvée pannolini con uno come Jackson è
terrificante. È come se avesse mangiato topi morti tu e le volte che
mi tocca cambiarlo. Puah.»
Non volevo fargli perdere tempo e inoltre avevo i nervi a fior di
pelle, così gli spia ellai tu o quanto senza preamboli. «Ho trovato
nostra madre.»
Scese il silenzio per un lunghissimo minuto. «Le hai parlato?»
«Se per parlare intendi urlare, inveirle contro e tirarle un ceffone,
sì, mi sentirei di dire che ho parlato con nostra madre.»
«Dove l’hai trovata?» chiese.
Risi per il nervosismo, non perché fosse divertente. «Senti questa:
è una degli artisti locali che sono stata mandata a intervistare in
g
Colorado.»
«Vive in Colorado?»
«Proprio qui ad Aspen, sì.»
«Cristo santo» mormorò.
«L’hai de o.» Espirai.
«Tu stai bene?» chiese in tono sinceramente preoccupato e io
provai un moto d’affe o nei suoi confronti.
Ebbi la tentazione di mentire, dicendogli che stavo bene, proprio
come avevo pensato di fare con Wes quella ma ina, ma non potevo.
Si meritava più di questo. Si meritava che fossi sincera con lui. «No,
proprio per niente. Non so come affrontare questa cosa. Sono passati
quindici anni.»
«Di’ pure trenta, nel mio caso» disse cupo.
«Oh, Max, mi dispiace. Dobbiamo gestire insieme la situazione.
Quando arrivi questo fine se imana ne parliamo e cerchiamo di
capire come comportarci.»
«Pensi che ti lascerò da sola a vedertela con questo ciclone? Sarò lì
al più tardi domani. Prendo su la famiglia e vengo qualche giorno
prima.»
«Max, sul serio, posso aspe are» dissi cercando di razionalizzare,
anche se lo volevo accanto a me più di ogni altra cosa.
«Stai male?» mi chiese.
Sospirai. «Max, lo sai che è così. È stato un bru o colpo.»
«Allora vengo lì. Chiuso l’argomento. Adesso lasciami parlare con
mia moglie. Dobbiamo fare i bagagli. Le nostre stanze sono pronte o
dobbiamo andare in albergo?»
Sentii un’ondata di sollievo. «Ti voglio bene, Max. Ti voglio
veramente bene.»
«Tesoro, lo sai che ti voglio bene anch’io. È una questione di
famiglia e se uno di noi sta passando un bru o momento, gli altri
devono prendere in mano la situazione. Allora, le camere sono
pronte o devo prenotare un hotel, zuccherino?»
Deglutii il nodo di tensione che mi serrava la gola. «È tu o pronto
per te e la tua famiglia. Wes ha persino ordinato una culla per Jack.
L’ha fa a me ere nella vostra stanza dal custode. E c’è un divano
le o per Isabel.»
p
«Fantastico. Mia, sme ila di preoccuparti. Domani sarò lì. Le
questioni di famiglia le affrontiamo insieme, okay, sorellina?»
«Le questioni di famiglia le affrontiamo insieme. Chiaro come il
sole, Maximus» ripetei, credendo a ogni parola.
Fece una risatina. «Okay. Chiama Maddy e fa i dire se vuole
partire prima. In quel caso, organizzerò le cose in modo che l’aereo
faccia scalo a Las Vegas prima di venire in Colorado.»
Era ovvio che Max sarebbe stato la voce della ragione in tu o
questo. Seguendo le sue istruzioni alla le era, telefonai a Maddy e le
raccontai che cosa stava succedendo. Era scioccata quanto me. Lei e
Ma acce arono di partire un paio di giorni prima, visto che
comunque all’università le lezioni erano sospese per le vacanze di
Natale. Le dissi di chiamare Max e confermargli data e ora in cui si
sarebbero fa i trovare all’aeroporto.
A quel punto andai a cercare la mia salute mentale… so o forma
di un surfista che girava film trasformatosi temporaneamente in
uomo da chalet di montagna. Lo trovai in cucina che preparava la
colazione.
«Che cosa vuoi fare oggi?» mi chiese Wes mentre me eva dei
pancake su un pia o.
«Andiamo a sciare» suggerii. Avevo bisogno dell’aria tra i capelli,
del freddo sulla faccia e della velocità della discesa per sentirmi viva.
Per sapere che sarebbe passato anche questo.
La mia famiglia stava arrivando e insieme avremmo affrontato la
donna che aveva ferito ciascuno di noi in un modo che non avrebbe
mai potuto essere riparato né dimenticato.
6
A: Micetta in calore
Da: Mia Saunders
Quanta legna potrebbe tagliare un taglialegna?
A: Mia Saunders
Da: Micetta in calore
Se un taglialegna potesse tagliare legna? Be’, non saprei
esattamente. Legno samoano, propenderei per 20.
A: Micetta in calore
Da: Mia Saunders
20 cosa?
A: Mia Saunders
Da: Micetta in calore
Centimetri, cretina. La neve ti ha congelato i neuroni?
A: Micetta in calore
Da: Mia Saunders
Sei una troia disgustosa.
A: Mia Saunders
Da: Micetta in calore
Ci vuole una troia per riconoscerne un’altra. E poi sei tu quella che
mi ha mandato la foto di un uomo che taglia la legna. ;-)
Kent Banks era impaziente di vederci. Disse che c’erano delle cose
che dovevamo sapere prima che acce asse di organizzare un
incontro di persona con nostra madre. E così finimmo per ritrovarci
un’altra volta in un séparé della Zane’s Tavern. Wes e Ma erano
seduti al bancone del bar a cazzeggiare con Alex. Abbastanza vicini
da tenerci d’occhio se le cose si fossero messe male, ma lontani quel
tanto da darci l’illusione della privacy. Avevo già conosciuto Kent, e
mi era sembrato bizzarro ma innocuo, benché estremamente
prote ivo nei confronti della moglie. Tecnicamente non era neppure
sposato con lei. Mi domandai se lo sapesse. Io lo sapevo perché non
si era mai presa la briga di divorziare da mio padre in tu i questi
anni.
Mio padre. Mi sfuggì un sospiro. Un’altra delusione. Non
rispondeva alle mie telefonate da quando ero partita da Las Vegas
dopo averlo sistemato a casa con un paio di infermiere. Loro mi
avevano de o che reagiva bene alle cure ma che dal punto di vista
psicologico stava ricadendo nella sua vecchia abitudine di
autocommiserarsi. Avevo creduto che avrebbe tenuto duro,
spezzando la spirale senza fine di odio per se stesso, ma forse era
una speranza eccessiva. In quella fase, dovevo solo pregare che
stesse lontano dalla bo iglia e continuasse la terapia. Nell’ultimo
anno avevo fa o più di quanto avrei dovuto, e di sicuro più di
quanto si meritasse. Adesso toccava a lui.
Avevo imparato una lezione preziosissima da tu a quella
faccenda. L’amore non era sempre gentile. Poteva essere spietato,
sanguinario e debole, ma ciò non significava che scomparisse. Stavo
affrontando questa cosa, e Wes mi stava aiutando a gestire la ferita
emotiva che mi era stata inferta quando mia madre mi aveva
abbandonata.
Sentii una ventata di aria gelida quando Kent entrò nel locale. Ci
individuò immediatamente. Si sede e nel posto vuoto all’estremità
del séparé. Nessuno di noi voleva stargli troppo vicino, perciò io e
Maddy ci eravamo sedute da un lato e Max aveva occupato tu o
l’altro con la sua mole da gigante. Se Kent aveva notato la ta ica, non
disse una parola.
Si sfregò le mani per riscaldarle. «Grazie di essere venuti.»
Max, il maschio alfa del tavolo nonché quello che aveva il
desiderio più forte di vedere nostra madre, parlò per primo. Tese
una mano ed esordì: «Io sono Maxwell Cunningham. Ha già
conosciuto mia sorella, Mia Saunders. Questa è la piccola, Madison
Saunders».
Maddy e io ci stampammo in faccia un piccolo sorriso, ma non gli
tendemmo la mano.
«Di sicuro siete impazienti che io vada dri o al punto. Per farlo,
devo cominciare dall’inizio» disse Kent a voce bassa e in tono fermo.
Max annuì e gli fece cenno di continuare. Maddy e io rimanemmo
in silenzio.
Kent inspirò lentamente. «Quando ho conosciuto Meryl, era
smarrita e girava con un veicolo che stava tirando le cuoia. Era
sporca, non si faceva una doccia da giorni, forse se imane. In seguito
ho scoperto che aveva solo un paio di cambi di vestiti e possedeva
pochissimo. Ho immaginato che stesse fuggendo da un uomo
violento e all’epoca lei non mi ha smentito, lasciandomi credere il
peggio.»
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo. Kent mi lanciò un’occhiata ma
proseguì.
«L’ho conosciuta alla biblioteca locale. Ci ero andato a prendere
un libro che mi serviva per l’università. Lei era lì per scaldarsi.»
Maddy mi strinse la mano so o il tavolo. Sentire che un’altra
persona era stata male come era successo a noi doveva aver colpito
l’animo sensibile di mia sorella più del mio. Solo che quella cosa non
aveva alcun fondamento. Nostra madre aveva una casa a cui tornare.
Era stata lei a scegliere di andarsene. Non provavo alcuna
compassione.
«Ho iniziato a vederla regolarmente in biblioteca. Dopo una
se imana, mi sono reso conto che non si era cambiata i vestiti, aveva
i capelli luridi e, a dirla fuori dei denti, puzzava. Ma c’era qualcosa
nei suoi occhi. Una scintilla quando mi guardava che mi affascinava.
Un giorno le ho chiesto di venire a casa mia, offrendomi di aiutarla a
tirarsi fuori dal casino da cui stava scappando, qualunque fosse. Di
nuovo, non ha smentito le mie ipotesi e così le ho dato modo di darsi
una ripulita, l’ho nutrita e le ho messo un te o sopra la testa. I giorni
sono diventati se imane, e a me piaceva averla intorno. Mi aiutava a
studiare, teneva pulita la casa, cucinava e aveva un talento per
l’arte.»
«Dove vuole andare a parare, Mr Banks? Ci sta dicendo solo che
le ha mentito esa amente come ha mentito a noi. Non era senza casa
per via di circostanze avverse; lo era per scelta. Suo marito, mio
padre, non l’ha mai toccata nemmeno con un dito. Mai. Mia madre
l’ha distru o, e distruggerà anche lei» dissi con ca iveria.
Kent scosse la testa con fare drammatico. «No, per favore.
Ascoltate e basta. Ci sono cose che non sapete.»
Max si sporse in avanti e riba é in tono tagliente: «Venga al
punto».
Kent alzò le mani in un gesto implorante. «Dopo un paio di mesi
mi sono accorto che aveva iniziato a fare cose strane. Irrazionali.
Tornavo a casa e trovavo il pavimento della cucina ricoperto di
farina, e lei che ci danzava sopra come una ballerina. La gente
normale non fa cose del genere, ma Meryl le faceva regolarmente.
Un’altra volta aveva versato del sapone liquido sul parquet e lo
usava per scivolarci sopra.»
«Sì, tipico di nostra madre. Faceva cose del genere in
continuazione. Ci dava il gelato per cena. Ci portava fuori al freddo
per ballare so o la pioggia durante i temporali. All’epoca papà
p p gg p p p p
lavorava molto, perché lei avesse tu o quello che voleva, perciò non
se ne accorgeva granché. Quando tornava a casa, spesso lei era già
uscita per andare a esibirsi in uno spe acolo al casinò. Per molti anni
sono stati come due navi che si sfiorano nella no e.»
Kent annuì. «Perciò ha capito. Il comportamento strano. Più che
strano, proprio maniacale. Come se all’improvviso le desse di volta il
cervello. Aveva momenti di euforia tali che temevo prendesse
droghe, oppure era profondamente depressa e ci voleva un miracolo
per farla alzare dal le o.»
«Per usare un eufemismo, Mr Banks.» Ricordavo un milione di
volte in cui mia madre si era comportata da folle anziché come una
persona responsabile di due bambine. Ma non ci importava, perché
le volevamo bene.
«Che cosa c’entra questo con lei adesso?» lo interruppe Max.
«Tu o. Non è stato facile, ma alla fine l’ho convinta a farsi vedere
da qualcuno. Lo sapevate che vostra madre soffre di una grave
forma di disturbo bipolare?» chiese Kent. C’era un silenzio tale che
potevo sentire il nostro respiro.
«Bipolare. Come la depressione?» disse Max.
Kent scosse la testa con un gesto solenne. «Soffre di depressione, è
vero, ma è più di questo. Ha sbalzi d’umore. Il suo stato d’animo
oscilla così rapidamente e in maniera così drammatica che deve
prendere pesanti farmaci per tenerlo so o controllo. Con le medicine
sta bene. Riesce a tenersi un lavoro. Mentre affrontavamo questa
cosa abbiamo scoperto che è una pi rice di talento ed è in grado di
vivere un’esistenza felice e tranquilla. Qui ad Aspen con me. Ha
ancora alterazioni dell’umore, soffre di fasi depressive e di fasi
maniacali, ma con i farmaci i cicli sono meno gravi e si verificano
meno spesso. Le medicine riescono a tenerli abbastanza so o
controllo.» Kent inspirò a fondo, intento a riordinare le idee,
probabilmente consapevole che quanto avrebbe de o non sarebbe
stato piacevole per noi.
«Non so che cosa possa aver fa o prima. La donna che ho
conosciuto allora non sarebbe mai stata in grado di crescere un
bambino senza farmaci. Stava molto male e chiaramente non era
stata curata – e non è possibile curarsi da soli – per la maggior parte
della sua vita. Non sono stupito delle cose che ha fa o.»
Lo guardai socchiudendo gli occhi.
Alzò le mani in un gesto conciliante. «Non sto dicendo che quello
che vi ha fa o sia giusto. Sto dicendo che non curata, in fase
maniacale, avrebbe potuto pensare che fosse assolutamente logico
portare fuori i suoi bambini al freddo a ballare so o la pioggia.
L’umore maniacale si crea una propria logica, una giustificazione del
perché qualcosa è necessario.
«Nel corso di quegli anni, anche se nella fase maniacale poteva
sentirsi totalmente giustificata in quello che faceva, quando entrava
nella fase depressiva ciò di cui si sarebbe resa conto era che i suoi
bambini avevano avuto freddo e fame e che, nella migliore delle
ipotesi, lei era una madre snaturata e, nella peggiore, un pericolo per
i suoi figli. Porta la croce dei suoi errori ogni giorno della sua vita.»
Quando nessuno di noi disse una parola, scosse la testa.
Io non avevo idea di cosa dire. Ero in preda a una ridda di
pensieri, sentimenti ed emozioni che mi rendevano incapace di
giudicare. Mi serviva tempo per pensare, per elaborare quello che ci
aveva raccontato.
«Adesso, anche se l’incontro dell’altro giorno l’ha prostrata, vuole
vedervi lo stesso. Non sa che siete tu i qui, ma immagino che voglia
incontrare tu i e tre. Spiegare. Scusarsi. Però voi siete degli adulti
con una visione adulta delle cose. Potrete non perdonarla per quello
che è successo in passato, ma forse riuscirete a capire. Lei è prima di
tu o mia moglie. Lo è da quasi quindici anni…»
Lo interruppi. «Lei si rende conto che non siete sposati
legalmente, vero? Non ha mai divorziato da mio padre» dissi a bassa
voce ma in tono tagliente.
Kent annuì. «Capisco che il nostro matrimonio non è legale, ma i
cavilli non contano granché. Ho prote o questa donna per tanti anni,
e continuerò a farlo finché avrò respiro. Perciò, se l’unica cosa che
volete è farla a pezzi, credo che sia meglio lasciar perdere e andare
ognuno per la sua strada.» Appoggiò le mani sul tavolo segnalando
che il discorso era finito.
Max si alzò con la mano tesa. «Mi lasci parlare con le mie sorelle.
Discuteremo della cosa e la conta erò questa sera.»
Si alzò anche Kent, strinse la mano a Max e si chiuse il giaccone.
«Aspe erò con impazienza la vostra telefonata. So che soffrite e che
ciò che ho de o oggi è stato uno shock. Lo è stato anche per me, ma
talvolta la vita ti assesta questi colpi. È il modo in cui si gestiscono le
ferite che definisce il cara ere delle persone» disse a mo’ di
conclusione. Poi si girò e se ne andò senza più voltarsi.
Max si rimise a sedere con un gran sospiro. «Allora, cosa ne
pensate?»
Inarcai le sopracciglia. «Wes, baby, un giro di tequila, per favore!»
dissi a voce alta.
«Capito» mi rispose, facendo l’ordinazione. Mi aveva conquistata:
armi, bagagli e anello di fidanzamento al dito.
Maddy fece un sorrisino. «L’ultima volta che hai bevuto troppa
tequila sei finita a fare un festino a base di sesso nella stanza accanto
senza renderti conto che ero lì» osservò, ricordandomi la no e
ubriaca con Tai alle Hawaii. Festino. Solo la mia sorellina se ne
sarebbe uscita con una parola del genere per descrivere una no e di
sesso sporco e pornografico.
Le diedi un colpo sul braccio. «Non ripeterlo quando c’è Wes nei
paraggi» le sussurrai tra i capelli che profumavano di vaniglia.
Max sorrise e chiuse gli occhi. «Non è esa amente l’immagine a
cui voglio pensare adesso. Apprezzo la distrazione, ma qual è la
vostra opinione su quello che il tizio ci ha de o di nostra madre?»
Sospirai e strinsi Maddy, desiderando il suo sostegno e ritenendo
che a lei avrebbe fa o piacere il mio. «Sinceramente, non lo so. Ha
senso. Tu o quello che ha de o sui suoi strani comportamenti è
vero. I momenti alti con la mamma erano come stare sulle stelle, e i
momenti bassi… be’, erano duri da affrontare e altre anto frequenti.
Non sapevamo mai cosa sarebbe successo con lei. In media, quando
non era in quella che lui ha chiamato una fase maniacale o uno stato
di grave depressione, cambiava lavoro, si indebitava, dimenticava
cose come venire a prenderci a scuola, oppure bruciava la cena
perché non si ricordava di avere messo qualcosa nel forno. Il
comportamento che ricordo si ada a alla sua descrizione.»
p
«E questo cambia ciò che pensi di lei?» Ecco la domanda da un
milione di dollari.
Mi strinsi nelle spalle. «Forse. Un po’. Di sicuro mi aiuta a capire
perché si comportava in quel modo. Non spiega perché ha preso su e
se n’è andata. Perché non ha parlato con un medico dei suoi
problemi. Non ha cercato aiuto. Quando ci ha lasciate, aveva ben più
di trent’anni. Com’è possibile che una mala ia del genere sia passata
inosservata per così tanto tempo? Detesto dirlo, ma sembra
estremamente comodo.»
In quel momento intervenne Maddy. «Se non era in sé, Mia,
magari è per quello che se n’è andata. Forse credeva di salvarci.
Sapeva che in lei c’era qualcosa che non funzionava.»
Max contrasse la mascella. «Questo non spiega perché mi ha
abbandonato quando ero piccolo mentre è rimasta con vostro padre
per dieci anni.»
«No, non lo spiega. A meno che tuo padre non abbia capito
qualcosa di cui il mio non si è reso conto. Ha insistito perché cercasse
aiuto e lei si è so ra a.»
«Immagino che non lo sapremo finché non parliamo con lei.
Dovrei chiamare Kent e organizzare un incontro? Mi piacerebbe
farlo prima di Natale, prima che arrivi il resto della famiglia. Che mi
dici dei genitori di Ma ? Vengono?» chiese Max a Maddy.
Lei fece di no con la testa. «No. Dato che Ma è con noi, sono
andati a fare una crociera che desideravano tantissimo. Non
avrebbero mai lasciato Ma da solo, ma questa volta ci hanno
chiesto se ci dispiaceva che andassero. Gli ho de o di godersi la
vacanza, che quest’anno avremmo passato il Natale con voi visto che
è il primo. Ma l’anno prossimo vorremmo farlo tu i insieme.»
Abbassò la testa e guardò me e Max.
Sorrisi e la presi per il mento costringendola a guardarmi. «Ehi, la
tua famiglia con Ma è altre anto importante delle nostre con Wes e
Cyndi. Okay? Faremo del nostro meglio per passare insieme le
vacanze e renderlo il più facile possibile. Cavolo, c’è un sacco di
spazio qui. E con i proge i di Wes e Max per i ranch, ci sarà un sacco
di spazio anche in Texas.»
Sgranò gli occhi. «Quali proge i?»
g g p g
Max fece un ampio sorriso e appoggiò il mento alle mani. «Wes
vuole comprare una delle fa orie e la terra vicino a casa nostra.»
«Vi trasferite in Texas?» Maddy iniziò ad agitarsi sulla panca
come se avesse le formiche nelle mutande.
«Be’… No. Sì. Tipo. Max, accidenti a te!» Gli puntai contro un dito
accusatore. Lui si limitò a fare un sorrise o. «Wes vuole una seconda
casa. Quale posto migliore di quello dove stanno Max e la sua
famiglia? E dato che tu e Ma pensavate di trasferirvi in Texas entro
un paio d’anni, eccoti servita.»
«Oh, mio Dio! Ma è fantastico! Avrò mio fratello e mia sorella
nello stesso posto.» Fece un sorriso da illuminare il pub.
Wes si avvicinò con un vassoio carico di bicchierini di tequila.
Non tre. Un vassoio. Pieno. Lo appoggiò sul tavolo, prese una sedia
e si accomodò. Ma si infilò nel séparé accanto a Max. «Ho sentito
che qualcuno ha bisogno di un bicchiere. Possiamo?» disse Wes
sorridendo. Adoravo quel sorriso. Mi parlava di un futuro di
spensieratezza, corpi nudi nel le o e domeniche di ozio. Giorni
innumerevoli di amore ricambiato. Ecco come sarebbe stata la mia
vita da sposata. Non vedevo l’ora.
Prendemmo tu i un bicchierino. «Al futuro» dissi.
«Alle infinite possibilità» disse Maddy raggiante.
«Alla famiglia» concluse Max.
Bevemmo e ci ingozzammo di stuzzichini finché Ma si offrì
volontario per sme ere di bere e guidare la macchina per riportarci a
casa. Noi continuammo a gozzovigliare perché ci eravamo appena
presi un bru o colpo con nostra madre. Cosa rimaneva da fare se
non vivere l’a imo? E così facemmo. Tu a la no e.
Quella stessa sera, molto più tardi, aprii la porta del bagno con
addosso uno dei regali di Wes. I seni erano strizzati in un reggiseno
a balconcino rosso con motivi bianchi. La parte di so o era una
minuscola gonnellina con gli stessi motivi che non copriva neanche
le natiche. Le gambe erano inguainate in un paio di autoreggenti
g g p gg
rosse e ai piedi avevo un paio di scarpe nere con tacchi vertiginosi,
ada e non per camminare, ma per farsi scopare. I capelli erano una
massa di riccioli color ebano che mi scendevano lungo la schiena fin
quasi a toccare le due fosse e sopra il sedere. Per completare
l’effe o, indossavo un cappello da Babbo Natale.
Mi appoggiai allo stipite. La luce alle mie spalle si proie ava sul
le o, su cui era sdraiato Wes, completamente nudo, con il membro
già duro e bagnato sulla punta dell’enorme cappella. Accidenti,
avevo voglia di leccarglielo tu o, da cima a fondo, di prenderlo
dentro di me e fargli capire quanto fosse stata importante per me
quella giornata, e quanto lui mi aveva cambiato la vita in meglio.
Volevo fargli sentire tu o questo a ogni affondo, a ogni bacio, a ogni
carezza; volevo che sentisse che cosa provavo.
Cercando di mantenere il controllo, mi portai una mano sopra la
testa e inarcai la schiena in modo provocante. «Allora, bel bambino,
quest’anno hai fa o il bravo o il monello?» chiesi con voce
appositamente bassa, perché sentisse il desiderio in ogni parola che
pronunciavo.
Quando mi vide, Wes rimase senza fiato. «Porca pu ana.»
«Taaaanto monello, allora?» gli chiesi facendo l’occhiolino.
Tese le braccia e strinse i pugni, come se non ce la facesse più.
«Tu i e due! Adesso vieni qua e fammi scartare il mio regalo!» disse
con una specie di ringhio mentre con una mano si prendeva in mano
l’enorme membro duro. Avevo voglia di me ermi in ginocchio e
strisciare verso di lui, e feci esa amente così. Lui perse il controllo…
e anch’io.
Il mio ragazzo era decisamente un monello, ma tanto, tanto dolce.
10
Carissima Mia,
scusami se in quest’ultimo mese non ho risposto alle tue telefonate. Non
voglio che i miei problemi si ripercuotano sulla tua vita più di quanto
abbiano già fa o.
Mia, sono un uomo finito. Sapevo di avere dei problemi con l’alcol. Capivo
che la strada che avevo preso era pericolosa e che avrebbe potuto uccidermi.
L’anno scorso in questo periodo non me ne importava più niente. Avevo già
perso vostra madre. Avevo perso voi, per avervi allontanate da me. Farla
finita sarebbe stata la soluzione più semplice. Adesso mi rendo conto che era
una scappatoia vigliacca.
Tu e Madison non avreste mai dovuto ritrovarvi nella situazione in cui vi
ho messe. Il pensiero che tu abbia lavorato per Millie per salvarmi e pagare i
miei debiti mi fa accapponare la pelle. Non voglio mai più rappresentare un
fardello del genere per te e tua sorella. Quindi per adesso mi sto prendendo
il tempo necessario per capire cosa devo fare. Come cambiare, o addiri ura
se ne sono in grado.
Vi conta erò quando l’avrò capito. Vivete la vostra vita. Non preoccupatevi
per me. Vorrei chiederti di tenere d’occhio tua sorella, ma è una richiesta
stupida. Per lei sei stata un genitore migliore di quanto avremmo mai
potuto essere tua madre o io.
Mia, spero che quest’uomo e la tua vita in California ti rendano felice. È
questo che voglio per te: la felicità. Tu più di ogni altro meriti un lieto fine.
Ti voglio bene più di quanto potrai mai sapere.
Papà
Rilessi la le era che avevo ricevuto un paio di giorni prima con gli
occhi pieni di lacrime. Provavo così tanti sentimenti contrastanti,
come un rombo nelle orecchie. Come potevo voltare pagina? Dopo
anni passati a prendermi cura di lui, dovevo sme ere di farlo e
basta? Dimenticare di avere un padre?
Forse era un’idea grandiosa. In fondo, era quello che lui diceva
nella le era. Vivere la mia vita. Andare avanti senza preoccuparmi
di lui. L’ultima volta che l’avevo fa o, papà si era ritrovato con un
debito di un milione di dollari e io con il culo nell’ufficio di zia Millie
a vendere la mia compagnia al miglior offerente. Non ero più quella
persona. Non avrei mai più potuto esserlo.
L’indomani avrei sposato Weston Charles Channing III. Mia
Saunders sarebbe sparita. Al suo posto ci sarebbe stata una donna
sposata. Una donna migliore, perché avrei avuto al mio fianco la
forza dell’amore di Wes per affrontare tu o, compreso come gestire
mio padre in futuro.
Più pensavo alle sue parole, più mi incazzavo. Come osava
cancellarmi dalla sua vita! La le era di addio era piu osto comica,
ma alquanto appropriata, dato che avevo usato lo stesso identico
metodo con la maggior parte dei miei clienti. Immagino che avessi
preso quella cara eristica elusiva dal caro vecchio papà.
Eppure mi irritava. Il giorno dopo mi sarei sposata. Sapevo che
spostarsi sarebbe stato complicato, ma mi aspe avo che almeno
facesse uno sforzo. Wes gli avrebbe mandato un aereo privato,
avrebbe pagato le infermiere per accompagnarlo… e tu o solo
perché io potessi avere accanto mio padre al mio matrimonio. Era
l’unico giorno della mia vita in cui avrei avuto bisogno che ci fosse,
che me esse me al primo posto anziché se stesso. Avrei voluto che
per una sola dannata volta si sacrificasse per me, ma non era in
grado di farlo. Sapeva che mi sarei sposata il 1° gennaio. Avevamo
parlato del fa o che forse non sarebbe stato in condizione di
viaggiare così presto dopo essere stato dimesso dall’ospedale. Aveva
giurato e spergiurato che non si sarebbe perso il matrimonio di sua
figlia per nulla al mondo. E poi era arrivata la le era.
Guardai la distesa dell’oceano dalla terrazza della nostra camera
da le o. Sulla parte pianeggiante della spiaggia c’erano persone
impegnate nei preparativi per l’indomani. Erano stati montati una
pia aforma di legno rialzata e un gazebo; dato che si trovavano sulla
porzione di spiaggia privata di Wes, avevamo fa o realizzare un
viale o in pietra. Il giorno dopo il posto riservato per la nostra
piccola cerimonia sarebbe stato cosparso di fiori. In futuro avremmo
p p
fa o installare una panchina dove sederci a guardare l’oceano senza
nient’altro intorno.
«Ehi, troie a, che fai?»
Sobbalzai sulla sedia. «Gesù! Magari la prossima volta avvertimi
della tua presenza, eh?»
Ginelle si lasciò cadere sulla sedia di fronte alla mia e mise i piedi
sulla ringhiera. «Com’è che sei così nervosa?» Abbassò gli occhiali da
sole e mi lanciò un’occhiata da sopra il bordo delle lenti. «Hai la
tremarella?»
Feci un sorrise o e mi appoggiai allo schienale. «Ragazza, mai
stata così salda sui piedi. Forse perché indosso i miei anfibi.»
Ginelle fece una smorfia. «Gli anfibi sono orrendi. Non te l’ha mai
de o nessuno? Se li me ono i militari, non le ragazze con un briciolo
di gusto. Chi vorrebbe andarsene in giro con l’aria di uno in procinto
di guadare le sabbie mobili?» Si tirò indietro i capelli biondi. «Non
capisco cosa ci trovi.»
«Io, ecco chi!» Appoggiai un piede sulla ringhiera e mi guardai gli
anfibi. Erano davvero bru ini. Se non fossero stati così comodi, non
me li sarei mai messi. Ma purtroppo, non appena ci avevo infilato un
piede, avevo visto la luce e nessuno mi avrebbe convinta a
rinunciarci.
«Allora, hai intenzione di dirmi perché hai quella faccia? Quando
sono arrivata sembravi una che ha sentito puzza di merda di cane
ma non riesce a capire dov’è.»
Feci un sospiro e le allungai la le era.
Lei me la strappò di mano e la scorse. Mentre leggeva le sue
labbra si piegarono in una smorfia che le scoprì i denti. «Figlio di
pu ana egoista.» La sua voce salì di un’o ava: «Non posso credere
che ti abbia fa o una cosa del genere proprio prima del tuo
matrimonio. Dopo tu o quello che…». Scrollò la testa. «Basta. Lo
uccido con le mie mani. Non ci si comporta da stronzo con la mia
migliore amica dopo il modo in cui ti sei sacrificata per lui.» Si alzò
in piedi e si mise le mani sui fianchi. «Sai che c’è? Adesso lo chiamo e
gli dico che è un senza palle, un…»
La interruppi me endole una mano sul polso. «Non servirebbe.
Anzi, lo farebbe stare peggio e finirebbe con l’a accarsi alla bo iglia.
p gg g
Mi sa che lo sta già facendo, comunque. Il tono della sua le era non
mi lascia molto fiduciosa su come andrà a finire. Ma sai una cosa,
Gin?»
Lei sbuffò e si sede e di nuovo.
«Non me ne importa più niente. Ho chiuso. Certo, gli vorrò
sempre bene. È mio padre. Nulla potrà cambiare questo, né se si
comporterà bene né se mi farà piovere addosso altra merda. In
questo momento non ho spazio per lui nel mio cuore, così come non
ce l’ho per mia madre. Fa male? Certo, cazzo, un male boia. Ma
domani è un altro giorno.» Pensai al sorriso di Wes, al modo in cui
mi toccava, a come mi guardava adorante. «Lui rende bella ogni
cosa. Persino me. Ho intenzione di concentrarmi su questo e di
vivere la mia vita illuminata da Wes e la nostra vita insieme.»
Gin annuì. «Prima di tu o, sei sempre stata bella. Splendida.
Secondo, concordo con te. Non lo capisco, perché vorrei tirare una
ginocchiata nelle palle al vecchio, ma mi rendo conto che hai bisogno
di voltare pagina. È ora. Del resto, tu i noi stiamo voltando pagina.»
Si girò a guardare l’oceano, dove le onde si frangevano incessanti
sulla spiaggia immacolata.
Avevo quel panorama davanti agli occhi tu i i giorni. Ero
malede amente fortunata: dovevo sme erla di compatirmi e iniziare
ad apprezzare ciò che avevo. Ma in quel momento dovevo
approfondire una cosa che aveva de o Ginelle.
«Mi stai dicendo che… ti trasferisci alle Hawaii?»
Fece un sorriso triste. «No, no. Rimarrò qui per un po’. Se a voi
non dà fastidio che stia nella dépendance.»
«Per niente. Rimani quanto vuoi. Per sempre, se ti va. Ti ho già
de o che ti voglio qui. Ho bisogno di te. Se devo ritrovare il mio
equilibrio, mi serve la mia migliore amica. Però sono un po’ stupita.
Tu e Tao andate d’accordo, no?»
Lei annuì. «Sì, è tu o quello che potrei desiderare in un uomo.
Solo che non mi vuole. Cioè…» Fece un sorriso sardonico, ma gli
occhi rimasero tristi. «Vuole solo delle parti di me.»
Le diedi una bo a sul braccio. «Lascia perdere le ba ute e dimmi
cosa intendi.»
Ginelle si strinse nelle spalle e incrociò le braccia, un gesto
difensivo. «Gli piace passare del tempo con me, scherzare e ridere, e
il sesso è fenomenale…»
«Sembra tu o perfe o» la interruppi, non volendo che entrasse
nei particolari. Quando si parlava di sesso, la mia migliore amica
non si tirava certo indietro. Proprio per niente. Le piaceva raccontare
tu i i de agli, e a volte li ascoltavo volentieri, ma non la sera prima
del mio matrimonio. Doveva esserci qualcosa di sacro in quel giorno.
Inclinò indietro la testa e fissò il cielo. «Vuole una moglie e una
madre per i suoi bambini. Una donna di cui potersi prendere cura,
non una che vuole lavorare. Ho passato anni a perfezionarmi. Ho
ancora molto tempo per ballare prima di essere costre a a
rinunciare. E dopo, ho sempre sognato di aprire una scuola di danza.
E poi se volessi giocarmi la carta della maternità, potrei farlo a mia
discrezione. Potrei gestire una scuola e tenere con me i figli. La mia
insegnante di danza di tanti anni fa lo faceva. I piccoli stavano nel
box mentre lei faceva lezione. Avrebbe potuto chiedere meno per il
corso, dato che ogni tanto doveva interrompersi, ma in genere
andava tu o alla grande. Sono cresciuta con quei bambini, ho ballato
con loro anni dopo. È troppo desiderarlo anche per me?»
Socchiuse gli occhi, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese la
testa fra le mani.
«No, non è chiedere troppo. Se è il tuo sogno, devi lo are perché
diventi realtà, a meno che non si presenti un’opportunità migliore.
Hai parlato a Tao di quello che hai in mente?»
Sospirò. «Sì, e lui ha de o che la sua donna non lavorerà a meno
che non sia nello spe acolo di famiglia.»
«Be’, sono danzatori, magari potresti…»
Alzò gli occhi al cielo e mi guardò come se avessi appena de o
che c’era Brad Pi alla porta disposto a offrirsi come schiavo
sessuale.
«Giusto» dissi espirando lentamente. «Non esa amente il tuo
stile.»
Ginelle fece una smorfia. «Eh, no.»
«Ma… Tao è il tuo tipo. Non vale la pena rinunciare a un sogno
per un altro?»
p
Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. «Sono terribile se dico
di no? Perlomeno non adesso, che ho solo venticinque anni. Magari
tra un paio d’anni potrei pensarla diversamente. Ma a quel punto…»
«Lui sarà passato ad altro. No, ho capito. Allora è stata una
ro ura chiara?»
Sbuffò e raddrizzò la schiena. «Neanche un po’. Anche se spero
che capirà il messaggio.»
Mi misi a ridere. «Vuoi dire prima che risalga su un aereo e venga
a farti nero quel tuo bel cule o?»
Stese un braccio in direzione del mio naso. «Tombola! Hai fa o
centro.»
Geme i. «È la mia ultima no e da single.»
«Ehi, mica è colpa mia se gli piace così tanto da volerci me ere un
anello intorno! Arrangiati. Adesso muovi il culo e vai in cucina a
prepararmi un panino.»
Mi tirò in piedi con una forza che mi parve sovrumana.
«E sme ila di preoccuparti di questa robaccia. Le prossime
ventiqua r’ore saranno le più felici della tua vita e, in qualità di
damigella d’onore, mi accerterò che sia proprio così.» Appallo olò la
le era di mio padre e se la ge ò alle spalle, giù dalla terrazza. Non
guardai nemmeno dov’era finita.
«Lo sai che è Maddy la mia damigella d’onore, vero?» riba ei.
Gin si tappò le orecchie con le mani. «La la la la laaaaaa la la la
laaaaaaa.»
Vabbè, immaginai che Maddy avrebbe chiarito le cose.
Weston
Il momento in cui guardi negli occhi la persona con cui passerai il
resto della tua vita ti rimane impresso a fuoco. Questa è l’ultima
donna che bacerai. L’ultima con cui ti rotolerai in un le o con le
lenzuola fresche. La donna che ti sarà accanto per tu i i giorni che ti
rimangono da vivere. C’è qualcosa di assolutamente definitivo in
questo. Solo che non sembra irrevocabile. Sembra una benedizione.
Come se tu avessi lavorato un milione di giorni di fila e finalmente ti
fossi reso conto di aver raggiunto il tuo obie ivo. Questo è
l’obie ivo. Questo momento è il lieto fine. Per entrambi.
Mia. Quando uscì sulla veranda al braccio del fratello, tu o parve
retrocedere sullo sfondo…
Il rumore delle onde dell’oceano… svanito.
Gli ospiti che guardavano una figura in bianco che scendeva i
gradini a piedi nudi e si avviava sul viale o di pietra… svaniti.
Mia sorella accanto a me… scomparsa.
Il celebrante… sparito.
Non c’era nulla tranne Mia. Non ci sarà mai nient’altro tranne lei.
È la mia ragione di vita. Non sarei qui oggi se non fosse stato per lei.
Avanzava a passi misurati, al ritmo di una musica che lei sola
poteva sentire. Una lunga gamba dopo l’altra. L’abito era di
un’eleganza semplice. Un po’ come lei. Aveva una scollatura a V
fa a di piccole strisce di stoffa e tempestata di cristalli lungo i bordi.
Adoravo la sua figura. Un corpo a clessidra con curve sontuose.
L’abito si allargava alla base della schiena e si gonfiava alla brezza di
gennaio. Il tempo era clemente e ci aveva regalato una temperatura
perfe a di ventiqua ro gradi per il giorno più importante della
nostra vita.
Aveva le spalle, le braccia e i piedi nudi. L’unica nota di colore
erano le onde color ebano dei capelli, il rosa delle unghie e il rosso
delle labbra piene. E poi ovviamente c’erano gli occhi.
I miei amici scherzavano dicendo che era stato il corpo di Mia a
stregarmi, ma non era così. Erano stati i suoi occhi. Verde
chiarissimo, come ametiste verdi, se avessi dovuto paragonarli a una
pietra.
Quegli occhi mi tenevano in pugno sin dal primo giorno, la
primissima volta che si era tolta il casco da motociclista e il sole
aveva illuminato quelle iridi sorprendenti. Sapevo anche allora che
sarebbe stata la mia fine. Quello che non sapevo, però, era che
sarebbe stata anche l’inizio e tu o il resto. Non volevo vivere in un
mondo senza Mia. Lei rischiarava i giorni bui, alleggeriva quelli
pesanti, rendeva magnifici quelli belli. Non c’era nulla che non avrei
fa o per la donna che camminava verso di me, pronta ad
accogliermi nella sua vita come suo marito. Potevo solo sperare che
fosse tu o quello di cui aveva bisogno. Adesso, e ogni giorno a
venire.
«Vuoi tu Weston Channing III…» Mia mimò con le labbra “terzo”
e io ridacchiai, poi finsi di tossire mentre il celebrante continuava.
«Comportati bene» sussurrai in modo che potesse sentirmi solo
lei.
Mi strizzò l’occhio mentre il pastore arrivava alla parte che
prevedeva la mia risposta.
Guardai la mia donna negli occhi ed ero sincero fino in fondo
all’anima quando risposi: «Lo voglio».
A quel punto lei mi regalò uno di quegli enormi sorrisi. Di quelli
spontanei, che vengono dal cuore. Vivevo per quei sorrisi che mi
mandavano in estasi.
«Vuoi tu, Mia Saunders…» Il celebrante formulò i voti di Mia, ma
per me era solo rumore bianco. Fino a quando lei parlò.
«Lo voglio» disse, e si morsicò il labbro inferiore.
Avrei voluto me ere fre a al sant’uomo perché arrivasse alla
parte interessante. Quella in cui la rendeva mia. Legalmente.
Come promesso, ci scambiammo delle semplici fedi di platino.
Mia non era il tipo di donna a cui piaceva essere ricoperta di
p p p
diamanti. No, la mia ragazza voleva vivere sentendo il vento sulla
faccia e guardando il tachimetro toccare cifre spaventose. Come io
ero il tipo d’uomo che dava alla sua donna ciò che desiderava, e
poiché io non desideravo altro che renderla felice, il suo regalo di
nozze era parcheggiato nel viale o.
Non avevo badato a spese con la MV Agusta F4CC a cui moriva
dietro da tempo. Sì, avevo spiato i siti che guardava su Internet. Che
strano: ti saresti aspe ato di trovare link a posti come Victoria’s
Secret e Bloomingdale, e invece no. La maggior parte delle ricerche
riguardavano destinazioni per la luna di miele e siti web di moto.
Feci un gran sorriso mentre il celebrante continuava a blaterare.
Contraevo nervosamente le dita mentre le tenevo le mani,
aspe ando il momento che avrebbe suggellato il nostro legame per
tu a la vita.
«Adesso puoi baciare la sposa.»
Non aveva neanche finito la frase che le avevo messo le mani sulle
guance e la stavo baciando appassionatamente. Sapeva di menta e
champagne. Assolutamente deliziosa. Le feci piegare indietro la testa
e le misi la lingua in bocca, intrecciandola alla sua. Si lasciò sfuggire
un lieve gemito mentre si abbandonava al bacio, aggrappandosi a
me e tenendomi stre o. Dimostrando che ogni bacio significava per
lei la stessa cosa che significava per me.
Non avrei più voluto lasciarla andare. La cosa grandiosa dello
sposare la donna che ami è che non dovrai mai farlo.
Nell’ultimo anno, accanto a Mia e per merito suo, ho imparato
anch’io che quel che conta è il viaggio, trust the journey. Solo che
quando si arrivava al nocciolo della questione, i nostri viaggi non
finivano mai davvero. Tu i i giorni potevano essere l’inizio di uno
nuovo. Di una nuova vita. Con Mia, la nostra famiglia e gli amici che
lei e io ci eravamo fa i lungo la strada… alla fin fine il nostro viaggio
era appena cominciato.
FINE
LA VERA FINE…
Per ora…
Ringraziamenti
www.librimondadori.it