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La storia delle donne è anche la storia di una progressiva, inarrestabile

rivelazione. È stata, e continua ad essere, una vicenda multipla,


complessa, stratificata, che intravede da sempre nelle forme del dialogo
e della narrazione la possibilità di porsi in relazione ad altro,
di esplorare nuovi territori e nuovi mondi, reali e concreti non meno
che immaginari, simbolici, metaforici.
Ecco così emergere, con questa iniziativa editoriale, un’attenzione
privilegiata per la scrittura e per le scritture femminili, per i momenti
successivi di questa rivelazione, per le pratiche e per i moduli espressivi
che hanno costruito nel corso dei secoli una soggettività di per sé narrativa
e dialogica: ritratti di donne che hanno lasciato una profonda impronta
nella letteratura, nella filosofia, nell’arte, ma anche nella scienza,
nella religione, nella politica, nella storia del costume.
Un simile approccio non implica semplicemente un cambiamento
di oggetto o di metodo, ma esige, soprattutto, uno sguardo differente
sulle cose e sulla realtà, la capacità di porsi in ascolto, di rimettere
in discussione modelli, chiavi di lettura, prospettive solo apparentemente
consolidate, per procedere oltre i rigidi confini di materie e discipline
“canoniche”. I ritratti e le storie “rivelate”, più che tracciare una galleria
in qualche modo definitiva di personaggi e di momenti, vogliono allora
evidenziare il carattere irriducibilmente rizomatico, carsico, non lineare,
di ogni percorso di libertà e di emancipazione.
L’immagine da utilizzare potrebbe essere verosimilmente quella
di un vasto arcipelago, in cui sia possibile muoversi e navigare,
sulla base dell’ispirazione del momento, senza dover fare affidamento
su un percorso preordinato, su una rotta già stabilita in partenza.
Ogni singolo frammento può infatti ricollegarsi a ciò che sta prima
come a ciò che lo segue: l’identità femminile si è costruita nel tempo
“sedimentando” eredità di vario tipo, facendo leva proprio sulla ricchezza
di tutte le esperienze di vita disponibili. In modo del tutto analogo,
la storia delle donne potrà così assumere i caratteri di un cantiere aperto,
mobile e modificabile, sempre pronto all’acquisizione di dati e conoscenze.
L’identità è una storia in cammino.
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ILPOLIGRAFO
Edizione originale
Corporeal Bonds.
The Daughter-Mother Relationship
in Twentieth-Century Italian Women’s Writing
Toronto-Buffalo-London, University of Toronto Press, 

copyright © dicembre 


Il Poligrafo casa editrice srl
 Padova
piazza Eremitani - via Cassan, 
tel.   - fax  
e-mail: casaeditrice@poligrafo.it
www.poligrafo.it
ISBN     
INDICE

 Introduzione

 I. GLI ASPETTI PSICOANALITICI DELLA POLITICA DELLA DIFFERENZA:


LUCE IRIGARAY E IL FEMMINISMO ITALIANO

 Il rifiuto della madre


 La figura della madre e il materno
 Irigaray: la soggettività e il legame madre-figlia
come legame corporeo
 Da madri a figlie: la situazione italiana
 Diotima e Luisa Muraro
 Adriana Cavarero

 II. MENZOGNA E SORTILEGIO DI ELSA MORANTE:


IL LEGAME INCORPOREO

 Menzogna e sortilegio e i critici


 La maternità e la relazione madre-figlia: Cesira e Anna
 L’amore materno: Rosaria e Alessandra
 Elisa

 III. MADRE E FIGLIA DI FRANCESCA SANVITALE:


CORPI DI SOFFERENZA E IMMAGINAZIONE

 Il corpo come oggetto di desiderio


 L’eroe
 L’attacco al corpo da parte dell’istituzione medica
 Critica e re-immaginazione
 Scrittura, immaginazione e linguaggio
 Narratrice, personaggio e autrice in cerca di identità

 IV. PASSAGGIO IN OMBRA DI MARIATERESA DI LASCIA:


IL MATERNO COME ESPRESSIONE DI DESIDERIO E CORPOREITÀ

 Il desiderio
 Chiara
 La figlia all’interno dell’economia eterosessuale
 Corpo e conoscenza

 V. L’AMORE MOLESTO DI ELENA FERRANTE:


LA RINEGOZIAZIONE DEL CORPO DELLA MADRE

 Delia: amore e odio di un soggetto senza un sé


 La ricostruzione del passato
 Il linguaggio dei vestiti

 VI. BENZINA DI ELENA STANCANELLI: IL RAPPORTO SURREALE


TRA MADRE E FIGLIA E NUOVE POSSIBILITÀ

 Elena Stancanelli e la scena letteraria, -


 Benzina
 Madre e figlia: corpi differenti e differenti personalità
 Una relazione di fusione e indipendenza
 Corpi oppressi nella casa di famiglia
 Guardare e guardarsi l’un l’altra

 CONCLUSIONI

 Bibliografia

 Indice analitico


CORPI E LINGUAGGI
INTRODUZIONE

Da decenni la relazione tra madre e figlia genera un vasto interesse.


È stata analizzata in narrativa, nelle autobiografie, in poesia e in molte
discipline come la psicoanalisi, la filosofia e la sociologia. La consa-
pevolezza dell’importanza di questo argomento è diffusa in diversi
paesi e culture, come pure lo è la varietà di approcci alla sua analisi,
dimostrando che la relazione tra madre e figlia rappresenta un legame
fondamentale che le donne hanno bisogno di affrontare e negoziare.
Lo sviluppo degli studi sul rapporto madre-figlia è consequenziale
alla rivalutazione del ruolo della madre, che divenne importante sia in
contesto anglo-americano sia europeo dalla fine degli anni Settanta.
Nel contesto anglo-americano la pubblicazione di Nato di donna ()
di Adrienne Rich rappresentò una svolta decisiva nella formulazione
degli approcci teorici al concetto del materno. Rich denunciò la ma-
ternità come un’istituzione oppressiva, ma enfatizzò anche il valore
della sua esperienza e argomentò la necessità della figlia di riscoprire
una relazione positiva con la madre. Questo approccio era condiviso
dalla scrittrice americana Alice Walker, che nel suo celebre In Search
of Our Mothers’ Gardens sostenne la necessità di una “genealogia”
tra madre e figlia. Per Walker, l’abilità di passare alla figlia il dono
della creatività doveva essere rintracciata nelle attività quotidiane ma
straordinarie della madre, una delle quali, nel suo caso specifico, era il
giardinaggio. In tal modo si creava una genealogia tra madre e figlia.

 A. WALKER, In Search of Our Mothers’ Gardens: Womanist Prose, Londra, Women’s


Press, , pp. -.


INTRODUZIONE

Nel decennio successivo, alcune femministe prestarono attenzione


non solo alla figura della madre e al suo corpo, ma anche ai valori
materni come fonte positiva per un cambiamento di prospettiva ri-
guardante i principi etici. Per Sara Ruddick () il pensiero materno
era un modo non dogmatico di pensare, radicato nella cura, nella
flessibilità e nell’attenzione ai dettagli. Un simile punto di vista sui
valori etici delle donne nella società fu espresso da Carol Gilligan
nel suo Con voce di donna (), che fu la base per quella branca del
pensiero femminista denominato “etica della cura”, la quale mirava
a rivalutare i valori morali femminili trascurati dalla società.
Tuttavia la rivalutazione della madre, la relazione con la figlia e
i valori materni non devono essere considerati come una direzione
univoca del pensiero femminista dell’epoca. L’odio per la madre e la
separazione da lei erano stati considerati da Sigmund Freud tappe
necessarie nello sviluppo della figlia, e in quanto tali avevano carat-
terizzato saggi come Mia madre, me stessa () di Nancy Friday.
Allo stesso tempo, in seno al femminismo, il corpo materno veniva
anche rappresentato con ambivalenza. Mentre femministe quali Su-
san Griffith nel  e alcuni seguaci dell’ecofemminismo negli anni
Ottanta e Novanta celebravano la vicinanza tra biologia femminile e
natura, altri consideravano il corpo riproduttivo come una delle cause
dell’oppressione delle donne nella società patriarcale. Sin dai tempi di
Platone, la dicotomia tra mente e corpo – e il corollario gerarchico ad
essa associata del superiore maschile pensante e dell’inferiore femmi-
nile corporeo – è radicata nella cultura occidentale. Il femminismo ha
cercato di sradicare l’associazione patriarcale tra il corporeo femminile
e la mancanza di capacità intellettive. La logica conseguenza di tali
tentativi è stata, inevitabilmente, la rinnovata svalutazione del corpo
sessuato di donna, questa volta da parte dello stesso pensiero fem-
minista. La “somatophobia” (termine coniato da Elizabeth Spelman
per indicare l’ostilità verso il corpo) è stata una caratteristica di certo
femminismo americano degli anni Settanta, e per alcuni anche una
tappa necessaria verso la liberazione della donna. Femministe come
Shulamith Firestone (), ad esempio, guardavano con favore ad

 S. RUDDICK, Maternal Thinking, Boston, Beacon Press, , p. .


INTRODUZIONE

un’epoca tecnologica che avrebbe liberato le donne dal fardello della


procreazione.
Nel contesto anglo-americano, alla relazione madre-figlia è sta-
ta data anche un’interpretazione socio-culturale. Nel suo influente
La funzione materna. Psicoanalisi e sociologia del ruolo materno (),
Nancy Chodorow, elaborando ulteriormente la rivisitazione di Freud
fatta da Melanie Klein, ha sostenuto che il più duraturo attaccamento
della ragazza alla madre durante la fase pre-edipica produce un’acuita
abilità alle relazioni e alla cura. Secondo Chodorow tale attitudine
viene interiorizzata dalla figlia e riprodotta ugualmente quando lei
stessa diventa madre. Altri teorici, quali Dorothy Dinnerstein ()
e Jane Flax (), hanno seguito la stessa tendenza articolando un
concetto di simbiosi tra madre e figlia con conseguente difficoltà
della figlia a separarsi da lei. Pur rispettando l’importanza della re-
lazione tra madre e figlia, Jessica Benjamin () si oppone all’idea
di una relazione simbiotica, teorizzando uno spazio intersoggettivo
che permetta un mutuo riconoscimento.
Nel contesto europeo, una maggiore enfasi sulla relazione ma-
dre e figlia e sul collegamento interdipendente con la soggettività
e il corpo femminile viene fornita da Luce Irigaray, il cui lavoro ha
ampliamente influenzato il femminismo italiano, e in particolare le
teoriche che ruotano attorno al gruppo di Verona. Sia Irigaray che le
filosofe femministe italiane criticano il patriarcato come un sistema
che previene l’esistenza di un soggetto donna incarnato e trovano
modi alternativi per esprimere la soggettività della donna, anche at-
traverso la relazione tra madre e figlia.
Dagli anni Ottanta, in particolare in ambito anglo-americano,
l’analisi del rapporto madre-figlia in letteratura ha iniziato a suscitare
interesse. Gli studi di Cathy Davidson e Esther Broner, di Brenda
Daly e Maureen Reddy, e di Mickey Pearlman, hanno trattato que-
sto tema nella letteratura inglese, americana, anglo-canadese, come
pure nella letteratura francese. Ma è il volume di Marianna Hirsch,

 B. DALY, M. REDDY (a cura di), Narrating Mothers, Knoxville, University of Ten-


nessee Press, ; C. DAVIDSON, E. BRONER (a cura di), The Lost Tradition, New York,
Frederick Ungar, ; M. PEARLMAN (a cura di), Mother Puzzles: Daughters and Mothers
in Contemporary American Literature, New York, Greenwood Press, .


INTRODUZIONE

The Mother-Daughter Plot () a rappresentare un’analisi critica di


romanzi a tema madre-figlia molto più influente e completa. Hirsch
prende in considerazione la narrativa di diversi paesi e secoli, rive-
lando, in differenti contesti storico-sociali, le dinamiche di questa
spesso trascurata relazione.
Per quanto concerne la letteratura italiana, lo studio di Laura Bene-
detti sulla maternità nella letteratura del ventesimo secolo rappresenta
un importante contributo alla discussione. Il suo Tigress in the Snow
() mette in luce la centralità del tema della maternità nella cultura
italiana come pure la rilevanza della letteratura nella creazione di model-
li sociali. Nel campo specifico dei romanzi a tema madre-figlia, il volume
a cura di Adalgisa Giorgio, Writing Mothers and Daughters (), offre
per la prima volta un approccio critico sulla relazione madre e figlia
nella letteratura italiana, analizzata assieme alla letteratura di altri paesi
europei, con lo scopo di sviluppare un discorso parallelo alla più vasta
e conosciuta analisi nella letteratura anglo-americana.
L’interesse critico per la relazione madre-figlia nella letteratura
italiana è testimonianza della prolifica produzione narrativa su que-
sto tema che si è sviluppata dagli anni Ottanta. Francesca Sanvitale
(), Fabrizia Ramondino (), Lella Ravasi Bellocchio (),
Edith Bruck (), Carla Cerati (), Elena Ferrante (), Ma-
riateresa Di Lascia (), Laura De Luca (), Elana Stancanelli
(), Marlisa Trombetta (), Annalisa Bruni, Saveria Chemotti,
Antonella Cilento (), Elisabetta Rasy () sono alcune delle
scrittrici che hanno trattato, in modi diversi, questa difficile relazione.
Allo stesso tempo è nato, intorno al lavoro di filosofe e intellettuali
femministe come il gruppo Diotima e Adriana Cavarero, un discor-
so femminista che pone l’accento sul materno e sul suo significato
socio-simbolico. La coincidenza della pubblicazione di un corpus
di narrativa sul tema madre-figlia e lo sviluppo di una teorizzazione
femminista sul materno non implicano necessariamente una relazio-
ne di causa ed effetto tra teorie femministe e scrittura di donne.
Piuttosto testimonia una più generale sensibilità culturale a favore
della rivalutazione di questa precedentemente ignorata relazione.
È particolarmente significativo che questa rivalutazione abbia luogo
in un paese come l’Italia dove la maternità è carica di particolari valori


INTRODUZIONE

culturali. Secondo la storica Luisa Accati, la comune abitudine sociale


che privilegia il figlio sulla madre in una relazione prevaricante è stata
accentuata dalla profonda influenza cattolica sulla cultura e società.
Secondo Accati le molte pitture di Madonna con bambino, tipiche
delle rappresentazioni iconografiche della Madonna, rappresentano
un figlio che ha potere sulla Madonna e acquisisce centrale importanza
in seno alle relazioni di potere familiari.
In questo quadro storico-sociale la figura della figlia appare tra-
scurata. Invece, in letteratura, emerge al centro della narrazione. Sia
nei molti romanzi italiani centrati sul tema madre-figlia che in quel-
li di diversi altri paesi, la narrazione della figlia si concentra sulla
ricerca del proprio senso di identità. Tutti i romanzi analizzati in
questo libro sono narrative di figlie – eccetto Benzina di Stancanelli,
che presenta un’alternanza di punti di vista tra madre e figlie. Poi-
ché è la figlia-narratrice – o il punto di vista della figlia – a portare
avanti la narrazione sulla propria vita come su quella della madre, è
più appropriato definire i romanzi qui discussi di tema figlia-madre.
Nei romanzi selezionati sono stata colpita dalla ricorrenza di imma-
gini che potevano essere ricondotte al corpo femminile e a forme
alternative di comunicazione tra madre e figlia. Di conseguenza ho
concentrato la mia analisi sulla relazione tra l’espressione del senso
di identità della figlia e lo sviluppo di un discorso di corporeità, che
emerge nel re-immaginare la relazione con la madre. Per corporeità
intendo un sistema di immagini linguistiche e letterarie, che investi-
gano il corpo sia nella sua rappresentazione nella cultura patriarcale,
sia nelle opportunità che il corpo offre per una comunicazione non-
linguistica, esterna al Simbolico. Questo sistema, sostengo, funziona
nella narrazione della figlia sia come mezzo per resistere al discorso
fallogocentrico, sia come forma di comunicazione tra madre e figlia.
La mia analisi dei romanzi di Elsa Morante, Francesca Sanvitale,
Mariateresa Di Lascia, Elena Ferrante ed Elena Stancanelli mette

 L. ACCATI, Explicit Meanings: Catholicism, Matriarchy, and the Distinctive Problems


of Italian Feminism, «Gender and History», , , pp. -.
 A. GIORGIO (a cura di), Writing Mothers and Daughters, New York, Berghahn
Books, , p. .


INTRODUZIONE

in luce il bisogno della figlia di stabilire di nuovo un legame con la


madre, evocando o ri-elaborando un immaginario corporeo. Questo
particolare legame sembra riferirsi alla simbolizzazione di un rap-
porto madre-figlia che, come sostiene Irigaray, permette l’identità
della donna come donna, al di fuori della posizione materna, perché
è solo «quando la madre viene vista come donna [che] la figlia può
porre le basi della sua identità di donna». L’enfasi di Irigaray sulla
riarticolazione del rapporto come mezzo per creare nuove possibilità
per l’espressione del soggetto donna, e la sua ricerca di nuove forme
di conoscenza che «parlano di corpo», mi hanno spinto a prendere
in considerazione il suo lavoro per la mia analisi del rapporto figlia-
madre. Le teorie italiane della politica della differenza, ispirate al
pensiero di Irigaray sono anche valide in questo contesto.
Nei romanzi selezionati ho tracciato un percorso che ritrae i tenta-
tivi della figlia-narratrice di definire un’identità femminile esterna alle
costrizioni della società patriarcale. Tale ricostruzione implica l’uso di
strategie narrative che costantemente cercano di esprimere elementi
diversi da quelli dell’ordine simbolico dominante. Attraverso questi
metodi, la figlia-narratrice re-immagina la relazione con la madre.
La re-immaginazione e rappresentazione della madre e della relazione
con lei ha luogo solo a livello di letteratura, sogni e fantasia. Mira a
creare (o immaginare) un simbolico delle donne con cui articolare
un’identità, come argomenta Irigaray, che è altrimenti perduta ed
espressa solo come un doppio maschile.
Adalgisa Giorgio () ha sostenuto che l’amore della figlia per
la madre è un elemento comune nei romanzi italiani di tema madre-
figlia. Considerando i romanzi selezionati attraverso l’analisi post-
lacaniana di Irigaray e il pensiero femminista italiano, ho individuato
una tendenza comune nel modo in cui tali romanzi trattano questo
rapporto nel loro fare uso di forme alternative di comunicazione
tra madre e figlia che sono al di fuori del Simbolico. La mia analisi
dunque contribuisce a chiarire e strutturare la vasta produzione let-

 E. GROSZ, Sexual Subversions, Sydney, Allen &Unwin, , p. , trad. mia.
 L. IRIGARAY, Il corpo a corpo con la madre, in EAD., Sessi e genalogie, Milano,
Baldini Castoldi Dalai, , p. .


INTRODUZIONE

teraria intorno al tema madre-figlia e mette in luce corrispondenze


tra la teorizzazione del pensiero femminista sviluppato in Italia e la
letteratura selezionata.
Il primo capitolo presenta un quadro degli elementi filosofici del
pensiero di Irigaray connessi al concetto di politica della differenza
e simbolico, e mette in luce lo sviluppo di tali concetti in seno al
femminismo italiano. La politica della differenza, l’analisi di Adriana
Cavarero e i suoi studi riguardo la rappresentazione del corpo – il suo
concetto di nascita come pure quello dello sguardo tra madre e figlia –
sono tutti elementi validi ai fini del presente studio.
Ho scelto di iniziare la discussione dei romanzi, nel secondo
capitolo, con Menzogna e sortilegio di Elsa Morante, che incornicia
il discorso sull’importanza di un rapporto d’affetto con la madre e
allo stesso tempo sulla difficoltà di ottenerlo a causa delle costrizioni
patriarcali. Nel romanzo di Morante, lo sviluppo del senso di identità
della figlia viene problematizzato da un legame carente in elementi di
comunicazione esterni al sistema patriarcale. Questo rende la madre
un idolo intoccabile e la figlia rimane una creatura indefinita e in
qualche modo asessuata. Il passaggio dalla problematica espressione
del senso di sé della figlia, evidente in Elisa di Menzogna e sortilegio,
alla più aperta affermazione della identità di genere, rintracciabile in
Madre e figlia di Francesca Sanvitale, mette in luce il modo in cui la
rinegoziazione del rapporto con la madre è resa possibile attraverso
il recupero di un legame basato sulla corporeità. Nel terzo capitolo
sottolineo come nel libro di Sanvitale il rapporto figlia-madre viene
principalmente stabilito attraverso la sofferenza fisica e psicologica, di
cui le due donne fanno esperienza. La raffigurazione e l’evocazione di
immagini del corpo della donna permettono la prospettiva di forme
alternative di espressione e identità, ma solo appena accennate.
L’analisi del romanzo di Mariateresa Di Lascia, Passaggio in om-
bra, nel quarto capitolo, consente una più profonda comprensione
della funzione acquisita dalla corporeità nello sviluppo di forme al-
ternative di conoscenza. Vengono esplorate forme di comunicazione
e significato diverse da quelle autorizzate dal Simbolico patriarcale.
Il concetto di nascita, discusso grazie alla professione di ostetrica della
madre, e la rappresentazione dell’abilità della madre di essere soggetto


INTRODUZIONE

di desiderio, collocano la ricerca di identità della figlia in una posizione


più aperta, se paragonata a quella di Elisa di Menzogna e sortilegio,
con la quale, peraltro, il romanzo condivide diverse affinità.
L’amore molesto di Elena Ferrante, analizzato nel quinto capitolo,
mette in luce la scoperta della figlia di un’esperienza di oppressione
patriarcale in comune con la madre e mostra anche la costruzione
di una genealogia. Un sistema di comunicazione tra madre e figlia
viene rappresentato dagli abiti che la madre lascia in regalo alla figlia.
Questo mezzo di comunicazione è la chiave per la ricostruzione della
storia sia della madre che della figlia, e, cosa più importante, del loro
passato inconsciamente rimosso.
La necessità di stabilire un legame al di fuori di costrizioni patriar-
cali è più evidente in Benzina di Elena Stancanelli, analizzato nel sesto
capitolo. In questo romanzo, il lesbismo della figlia e la dimensione
surreale in cui la madre è presente come spirito, contribuiscono ad una
elaborata re-immaginazione di una relazione collaborativa tra madre
e figlia che permette la ri-definizione della loro identità. Il senso di
identità per la figlia e la madre emergono non in relazione al soggetto
e ai valori maschili, ma attraverso la re-immaginazione del rapporto
madre-figlia e, in maniera interdipendente, alla re-immaginazione
della percezione dei loro corpi.
Ripensare la relazione madre-figlia in questi romanzi rivela sia la
critica del patriarcato, sia l’impiego di strutture e immagini intorno
a cui diventano visibili l’affetto della figlia per la madre e il suo senso
di corporeità. Il concetto negativo di corporeità legato alla passività e
oggettificazione in seno al patriarcato viene trasformato in un mezzo
di comunicazione tra madre e figlia. Nella narrativa selezionata, la ri-
negoziazione del rapporto con la madre che la figlia intesse, evidenzia
il significato di quel legame, sottolineando l’importanza di un modo
di espressione libero da forme patriarcali.


I
GLI ASPETTI PSICOANALITICI
DELLA POLITICA DELLA DIFFERENZA:
LUCE IRIGARAY E IL FEMMINISMO ITALIANO

Il rifiuto della madre


La relazione padre-figlio è stata trasformata da Freud in una
chiave privilegiata per l’interpretazione dello sviluppo del soggetto e
della sua relazione con il mondo. Nonostante le rapide trasformazioni
che hanno avuto luogo nel Ventesimo secolo in tutti gli aspetti della
vita sociale, politica e culturale, la teoria freudiana del complesso di
Edipo è rimasta struttura fondante nella tradizione psicoanalitica
come nella cultura occidentale, ed è uno strumento centrale di analisi
in molte discipline.
Non sorprende che, sia in ambiente anglo-americano che europeo,
si sia sviluppato un discorso psicoanalitico femminista di rivaluta-
zione della madre e del rapporto madre-figlia. Studiosi e studiose
di psicoanalisi femminista e filosofi e filosofe si sono dedicati con
rinnovato interesse al ruolo della madre, alla specificità del corpo
della donna, e alla relazione madre e figlia, vistosamente eclissata
nella psicoanalisi tradizionale di Freud e Jacques Lacan. Le teorie di
Freud e la rivisitazione di Lacan forniscono, indirettamente, le basi
per una riconsiderazione non solo a causa delle critiche suscitate in
campo femminista, ma anche perché i loro modelli psicoanalitici sono
stati utilizzati dalla stessa critica femminista. Per poter analizzare gli
approcci femministi alla formazione del soggetto, considererò dap-
prima gli specifici elementi delle teorie di Freud e Lacan, diventati
fondamentali per la critica femminista in relazione alla mancanza di
valore della figura della madre.
Molti sono i punti delle teorie freudiane che si sono rivelati influen-
ti in studi successivi, ma l’aspetto rivoluzionario del suo nuovo con-


CAPITOLO PRIMO

cetto dell’identità sta nell’introduzione del livello dell’inconscio nella


struttura della psiche. L’inconscio è rappresentato dalle esperienze ed
emozioni che sono state represse sin dall’infanzia e che la psicoanalisi
fa riaffiorare. La figura della madre in questa struttura è emotivamente
significativa per lo sviluppo dell’identità del bambino e della bambina,
ma non ha rilevanza nell’effettiva formazione del soggetto.
Cosa di grande importanza è che con Freud, per la prima volta,
viene esteso il concetto di sessualità. Nella sua teoria, la sessualità è
legata al corpo, ma non all’anatomia genitale, piuttosto ad una serie
di pulsioni al piacere di cui il bambino fa esperienza fin dai primi
mesi di vita e che, più avanti, ne determineranno l’identità di genere.
Le pulsioni sessuali sono divise in fasi, ognuna delle quali è associa-
ta con una particolare area del corpo: la fase orale, anale e fallica.
Il legame emotivo con la madre entra in gioco già nella prima fase,
quella orale, ma è durante la fase fallica che il bambino o la bambina
si innamorano della madre. Il bambino immagina la madre con il
pene, e sarà solo con la crisi edipica che il bambino e la bambina
percepiranno la mancanza del pene nella madre.
Il bambino e la bambina, entrando nella fase edipica acquisiscono
l’identità di genere in modo diverso. Tuttavia per entrambi, lo svi-
luppo psicologico e sessuale ha luogo attraverso l’invidia del pene e
la paura della castrazione – percezioni che sono associate non solo
alla biologia ma anche all’influenza della società patriarcale e perciò
al valore che la persona con il pene riveste in essa. Di conseguenza il
padre assume nella formazione dell’identità del bambino un’impor-
tanza determinante e positiva.
Durante la fase edipica la bambina percepisce che la madre manca
del pene e perciò trasferisce la sua attenzione al padre, sperando che le
sarà attribuito il pene. L’impossibilità di ottenerlo dal padre fa entrare
la bambina nello schema patriarcale dell’eterosessualità, perché è a
questo punto che la bambina focalizza il suo desiderio su un altro
uomo. La sua invidia del pene e il desiderio di averne uno, come il

 Nella fase orale il bambino riceve piacere dalle labbra e perciò dal contatto con il
seno della madre; nella seconda fase, la fase anale, il piacere deriva dal senso di controllo
esercitato sulle feci; e infine nella fase fallica il piacere è legato al pene o al clitoride.
R. MINSKY, Psychoanalysis and Gender, Londra, Routledge, , pp. -.


GLI ASPETTI PSICOANALITICI DELLA POLITICA DELLA DIFFERENZA

fratello, viene ora trasformato nel desiderio di avere un bambino da


un altro uomo. A questo punto, secondo Freud, la bambina ha con
successo iniziato il suo viaggio verso l’eterosessualità.
Anche il bambino deve disconnettersi dall’attaccamento primor-
diale della fase pre-edipica con la madre. Per lui, il possesso del pene
è un elemento che determina lo spostamento della sua attenzione
dalla madre al padre. Quando il bambino percepisce la mancanza del
pene nella madre, è colto dalla paura della castrazione; ha paura che
il desiderio della madre lo porterà alla perdita del pene. Tale ansia è
aggravata anche dal senso di rivalità di cui il bambino fa esperienza in
relazione al padre. Per superare la paura della castrazione, il bambino
si arrende all’accettazione della superiorità del padre, che è infatti
l’oggetto del desiderio della madre, e, di conseguenza, fa esperienza
della castrazione simbolica. Il bambino si allontana dalla madre come
oggetto d’amore e inizia una nuova forma di identificazione con il
padre, di cui riconosce la superiorità e che lo porterà a diventare un
uomo. Il bambino entra in questo modo nel processo di sviluppo
della mascolinità, perché si allontana dall’attaccamento emotivo con
la madre e associa se stesso al potere del padre e a quello che può
rappresentare culturalmente.
È evidente che nella teoria freudiania dello sviluppo dell’identità,
il ruolo della madre è caratterizzato da due aspetti negativi: l’immagine
della mancanza e l’assenza di valore sociale e culturale. Eppure il ruolo
della donna viene ancora ulteriormente compromesso con la revisitazione
delle teorie di Freud da parte di Lacan. Con Lacan il concetto di forma-
zione dell’identità acquisisce una più ampia dimensione filosofica che
attribuisce al soggetto maschile un ruolo cognitivo e linguistico, mentre
la posizione femminile diviene funzione del soggetto maschile. Ambigua-
mente, il corpo maschile, come vedremo, viene anche privilegiato.
Fondamentali allo sviluppo della rivisitazione femminista del ruo-
lo della madre e del rapporto madre-figlia sono i concetti di Immagina-

 Ivi, p. .
 Le teorie di Freud non avevano avuto immediato successo in Francia, l’opera di
Lacan fu perciò innovativa nel suo paese. Inoltre, come Rosi Braidotti sottolinea, Lacan non
seguì le interpretazioni dell’Associazione Internazionale di Psicoanalisi, diretta in Francia
da Marie Bonaparte. R. BRAIDOTTI, Patterns of Dissonance, Oxford, Blackwell, , p. .


CAPITOLO PRIMO

rio e Simbolico sviluppati da Lacan. Come strutturalista influenzato


dalle teorie linguistiche di Ferdinand de Saussure e da quelle antro-
pologiche di Claude Lévi-Strauss, Lacan sviluppò una teoria della
soggettività che prevede il raggiungimento della posizione di soggetto
attraverso tre strutture: il Reale, l’Immaginario e il Simbolico. Nella
teoria lacaniana, il soggetto, in fasi successive, attraversa i tre diversi
stadi e raggiunge il Simbolico, momento della soggettività acquisita
per mezzo della lingua e della cultura, reprimendo i precedenti stadi,
e in particolare l’Immaginario. Questo determina la supremazia della
soggettività maschile nella formazione del soggetto parlante, dato che
il Simbolico è il regno del Padre.
Il primo stadio, il Reale, è il regno della totale pienezza, la prima
fase dove il bambino nasce, e l’ordine che precede l’organizzazione
dell’ego. Questo stadio non deve essere confuso con la realtà, è
piuttosto la dimensione dell’essere indifferenziato e dell’assenza della
simbolizzazione, della pienezza del Desiderio, dal quale il soggetto
è destinato ad essere eternamente alienato. Lo stadio del Reale sarà
sempre dunque irrangiungibile. Lo sviluppo della soggettività e la
perdita di valore del ruolo della madre entrano in sincronia a partire
dalla discussione sull’Immaginario.
Per Lacan, l’Immaginario è lo stadio della formazione dell’ego
che offre al soggetto la possibilità di avere un senso di sé, sebbene
illusorio. L’Immaginario è la fase dell’identificazione, esemplificata
dallo stadio dello specchio, il momento in cui il bambino riconosce
la sua immagine. L’Immaginario produce la prima impressione di
identità del bambino. Questo stadio è crucialmente caratterizzato
dall’identificazione con la madre, principale responsabile dell’accu-
dimento del bambino. Il suo ruolo viene negato perché per Lacan,
la repressione di quello stadio è necessaria per accedere all’ordine

 Per evitare confusioni è meglio qui notare che i termini “Simbolico” e “Immagi-
nario” vengono indicati da Lacan sempre con la maiuscola, mentre Luce Irigaray indicherà
tali termini sempre con la minuscola.
 M. GATENS, Feminism and Philosophy, Cambridge, Polity, , p. .
 E. GROSZ, Jacques Lacan: A Feminist Introduction, Londra, Routledge, , p. .
 C.W. BONNER, The Status of Significance of the Body, in The Body, a cura di
D. WELTON, Oxford, Blackwell, , pp. -: .


GLI ASPETTI PSICOANALITICI DELLA POLITICA DELLA DIFFERENZA

Simbolico, il regno della lingua e della cultura, dominato da quello che


lui chiama il fallo. Al contrario, le filosofe femministe post-lacaniane,
per poter redimere il corpo femminile dal concetto di mancanza a cui
è associato nelle teorie di Freud e Lacan, hanno rivalutato lo stadio
dell’Immaginario e il rapporto madre-figlia come fondamentali per
la soggettività femminile.
La supremazia del soggetto maschile e la nullificazione della
donna derivano dal concetto lacaniano del fallo. In Lacan, il fal-
lo, da distinguere dal pene, è inteso come una rappresentazione del
significato e della mancanza e non ha alcun riferimento biologico.
È questo elemento che dà significato alla differenzazione nel linguag-
gio e nel genere; in questo senso il fallo è un significante. Tuttavia, la
sua funzione appare eccessiva e priva della qualità relazionale inerente
al concetto di significante. Come sostiene David Macey, nell’uso che
ne fa Saussurre, il termine significante indica qualcosa che ha signi-
ficato in quanto diverso da un altro significante, mentre la funzione
del fallo è ben lungi dal mettersi in relazione con altri elementi dello
stesso valore:
Se la funzione del fallo è quella di porre un limite all’altrimenti eterno scivolare
del significante, e perciò fornire un minimo di stabilità di significato, può solo
essere, come ha sostenuto Derrida (), un elemento trascendentale, l’ele-
mento non determinante che determina altri elementi nel sistema, o persino
un costrutto metafisico.

Il fallo è interpretato da Lacan come una forma di potere che in


sé è vuota e funziona come un simbolo. Poiché il fallo come simbolo
di potere non è ottenibile, allora anche dalla posizione maschile il
potere rimane irraggiungibile. Il fallo segnala la mancanza – ciò che
al soggetto manca per essere completo – e allo stesso tempo definisce
la sessualità del soggetto. Il rapporto di uomini e donne con il fallo è
diverso, e di conseguenza anche la loro entrata nell’ordine Simbolico
è differente. Gli uomini entrano nel Simbolico come individui che
possiedono il fallo, e le donne come individui che ne sono prive.
La donna, in tale situazione, può entrare nel Simbolico cercando

 D. MACEY, Phallus: Definition, in Feminism and Psychoanalysis: A Critical Dic-


tionary, a cura di E. WRIGHT, Oxford, Blackwell, , pp. -:  trad. mia.


CAPITOLO PRIMO

di essere il fallo di qualcun altro – cioè, manifestando un desiderio


eterosessuale e perciò accettando il fallo. La posizione femminile
perciò diventa subordinata alla funzione del soggetto maschile, adatto
a rinforzare il suo potere, come Butler finemente riassume:
‘Essere’ il Fallo e ‘avere’ il Fallo denotano posizioni sessuali divergenti o non-
posizioni (posizioni impossibili in realtà) all’interno della lingua [...]. Per le
donne ‘essere’ il Fallo equivale allora a riflettere il potere del Fallo, a signifi-
care quel potere, a ‘incarnare’ il Fallo [...] e a significare il Fallo ‘essendo’ il
suo Altro [...]. ‘Essere’ il Fallo è dunque sempre un ‘essere per’ un soggetto
maschile che cerca di riconfermare e accrescere la propria identità attraverso
il riconoscimento di quell’ ‘essere per’.

Allo stesso tempo il fallo anche mostra al soggetto la necessità


della separazione dalla madre, dato che né il bambino né la bambina
potranno ottenere quello che la madre desidera.
Nella teoria di Lacan è palese la netta diseguaglianza tra i soggetti
sessuati. Difficile negare che il corpo maschile ed il soggetto maschi-
le non assumano una posizione di privilegio. La coincidenza della
funzione del fallo come significante del linguaggio e della differenza
sessuale, e la sua associazione con il Nome del Padre ha suscitato nu-
merose critiche. La funzione privilegiata del fallo in quanto elemento
di unione del logos e del desiderio rende problematica l’affermazione
lacaniana di una funzione puramente teorica del fallo, cioè la sua to-
tale estranietà da ogni riferimento all’anatomia maschile. Il seguente
estratto da Scritti lo dimostra:
Si può dire che questo significante è scelto come ciò che di più saliente si possa
cogliere nel reale della copulazione sessuale, così come di più simbolico nel
senso letterale (tipografico) di questo termine, perché equivale alla copula
(logica). Si può anche dire che questa turgidità è l’immagine del flusso vitale
in quanto passa nella generazione.

Tra pene e fallo c’è una connessione che è difficile ignorare e che
rende visiva la rappresentazione della differenza sessuale, come afferma
Teresa Brennan. Brennan ha persuasivamente sostenuto che la teoria

 J. BUTLER, Scambi di genere. Identità sesso e desiderio, Milano, Sansoni, ,


pp. -.
 J. LACAN, Scritti, a cura di G. Contri, Torino, Einaudi, , p. .
 T. BRENNAN, Between Feminism and Psychoanalysis, Londra, Routledge, , p. .


GLI ASPETTI PSICOANALITICI DELLA POLITICA DELLA DIFFERENZA

lacaniana del fallo fornisce al soggetto l’acquisizione del linguaggio, la


logica, e la dimensione psichica della fantasia degli eventi. Il Simbolico
lacaniano è di conseguenza una struttura patriarcale associata ad una
rappresentazione dell’anatomia maschile, con implicazioni sia per la
facoltà del linguaggio che per quella del pensiero.
Come sottolinea Diana Fuss, la costruzione della soggettività
appare basata su posizioni essenzialiste perché il corpo maschile ri-
sulta fondamentale sia per la soggettività femminile che per quella
maschile. Infatti, la teoria lacaniana dà per scontato che la bambina
entri nel Simbolico sempre in quanto femmina, e mai con l’illusoria
convinzione di possedere il fallo.
Nella teoria lacaniana la negazione della donna e della madre è
più acuta e pervasiva che in Freud. In quanto persona da reprimere e
rifiutare nella fase edipica per poter raggiungere un corretto sviluppo
dell’individuo, la madre viene privata di valore per la sua mancanza di
funzione cognitiva e linguistica; il suo corpo diventa insignificante se
paragonato al “neutrale” fallo, reminiscente, come già affermato, del
corpo maschile. Di contro, la teoria femminista di ispirazione freudiana
e lacaniana si è focalizzata in particolare sul ruolo primario della madre
nello sviluppo dell’identità e sulle forme di espressione collegate al
materno e al corpo femminile. Il rapporto madre-figlia acquisisce un
ruolo determinante nella realizzazione di tali elementi.

La figura della madre e il materno


Al tempo di Freud, le filosofe femministe cercarono di rivalutare
la figura della madre in modo da trasformare la negatività del comples-
so edipico, e tuttavia continuarono ad adottare la struttura freudiana
delle teorie dello sviluppo. È il caso di Karen Horney, che cercò di
sminuire l’imporantanza dell’invidia del pene e più tardi sviluppò il
concetto dell’invidia maschile della procreazione.
Un ruolo importante nella rivalutazione della figura della madre
è da attribuire a Melanie Klein. Klein ha spostato l’attenzione dalla

 D. FUSS, Essentially Speaking, Londra, Routledge, , pp. -.


CAPITOLO PRIMO

fase edipica alla fase pre-edipica e si è concentrata sulle phantasie


sviluppate dal bambino nei primi anni di vita. La madre è al centro
del mondo esterno percepito istintivamente dal bambino; in questo
scenario il seno della madre diventa un elemento chiave della vita
psichica del bambino. La madre è l’oggetto visto dal bambino e la
relazione istintiva con lei può definire gli schemi di sviluppo psichico
(che Klein chiama posizione schizo-paranoide e posizione depressi-
va). Benché Klein usi concetti freudiani come la pulsione di morte,
essenziale nella posizione depressiva, tuttavia il suo campo di analisi
si sposta completamente al di fuori del complesso edipico freudiano.
Nonostante la rivalutazione del ruolo della madre, e nonostante la
sua posizione centrale nello sviluppo del bambino, la madre kleiniana
effettivamente non è mai presente come soggetto. Infatti è, come
Doane e Hodges commentano, completamente nella phantasia del
bambino e non dotata di soggettività. L’interpretazione di Klein,
tuttavia, è stata importante per salvare la figura della madre dalla
perdita di valore che subisce nelle teorie freudiane.
Una critica più acuta delle teorie di Freud, e alternative più chiare
al complesso edipico, sono apparse in tempi più recenti. La passività
femminile e il ruolo materno obbligatorio, caratteristiche della donna
teorizzata da Freud, sono chiaramente incompatibili con la realtà
vissuta dalle donne oggi, ed è perciò comprensibile che la critica al
concetto di femminilità freudiano sia stato più aspro nelle ultime
decadi di quanto lo fosse stato ai tempi di Freud.
Christiane Olivier, nel suo Jocasta’s Children (), immagina
un’interpretazione del complesso edipico che permetta la possibilità
del desiderio femminile, piuttosto che la guerra tra i sessi, e il supe-
ramento delle difficoltà del soggetto donna in un linguaggio creato
dall’uomo; difficoltà che sono diretto risultato del rifiuto della madre

 Il termine psicoanalitico “phantasia” va distinto dal più commune “fantasia”.


 J. DOANE, D. HODGES, From Klein to Kristeva: Psychoanalytic Feminism and the
Search for the ‘Good Enough’ Mother, Ann Arbor, University of Michigan Press, , p. .
 Va comunque notato che, negli anni Settanta, Juliet Mitchell sostenne le teorie

freudiane in nome del femminismo. Nel suo Psychoanalysis and Feminism, Mitchell spiega
che la rappresentazine della femminilità fatta da Freud e il complesso di Edipo permettono
di capire a fondo l’operato del patriarcato. Quindi, argomenta Mitchell, la conoscenza di
questi meccanismi è necessaria per una rivoluzione femminista.


GLI ASPETTI PSICOANALITICI DELLA POLITICA DELLA DIFFERENZA

nella fase edipica. In On Matricide (), Amber Jacob critica le


limitazioni del complesso edipico e offre un’innovativa lettura di miti
conosciuti e meno conosciuti dell’Orestea, per rivalutare la soggettività
materna e il rapporto madre-figlia.
Anche Jessica Benjamin pone l’accento sul modo in cui il complesso
edipico di Freud mira a stabilire una disparità tra i sessi e una perdita di
valore del ruolo materno. Benjamin presenta interpretazioni di soggetti-
vità che evitano la frattura creata dalla fase edipica, e propone invece una
teoria dello spazio intersoggettivo capace di far convergere gli elementi
interiori ignorati a causa del rifiuto della madre e gli elementi esterni
privilegiati attraverso l’idealizzazione del padre. In Soggetti d’amore.
Genere, identificazione, sviluppo erotico (), Benjamin suggerisce che
l’identificazione (con il padre come simile a sé) e l’amore oggettuale
(per la madre) non devono necessariamente escludersi l’un l’altro, anzi,
l’amore identificatorio dovrebbere essere la base dell’amore oggettuale.
Il fatto che la persona con cui il bambino si identifica sia diversa da sua
madre non dovrebbe necessariamente portare al rifiuto della madre,
piuttosto potrebbe essere il primo passo verso l’amore dell’altro come
oggetto al di fuori di sé e perciò verso il reciproco riconoscimento.
È chiaro che i teorici a favore di una rivalutazione della figura
materna e del suo ruolo si trovavano nella necessità di elaborare il
superamento della passività femminile all’interno della struttura edi-
pica; tuttavia è altrettanto evidente che la struttura stessa è stata utile
per la loro teorizzazione. Il pensiero lacaniano ha condotto studiose
femministe a lavorare sulla rivalutazione della soggettività femminile,
focalizzandosi non tanto sul ruolo della madre nello sviluppo del
bambino, ma sul corpo come forma significativa di espressione del
femminile e del suo potere cognitivo, in modo da contrastare l’im-
mutatible struttura del Simbolico lacaniano.

 K. OLIVIER, French Feminism Reader, Lanham, Rowman and Littlefield, ,


p. .
 A. JACOBS, On Matricide: Myth, Psychoanalysis, and the Law of the Mother,

New York, Columbia University Press, .


 J. BENJAMIN, Like Subject, Like Objects, New Haven, Yale University Press, ,

p.  trad. it. Soggetti d’amore. Genere, identificazione, sviluppo erotico, Milano, Raffaello
Cortina, 


CAPITOLO PRIMO

Hélène Cixous ha posto l’accento sia sul materno che sull’espres-


sione. Cixous fu esponente di quello che viene comunemente chia-
mato écriture feminine, una forma di scrittura sviluppatasi in Francia
intorno alla metà degli anni Settanta, e che ha proposto una rottura
con le limitazioni patriarcali del linguaggio in modo da poter espri-
mere la specificità del corpo femminile. Cixous è particolarmente
interessata alla rivalutazione del corpo materno, represso nel patriar-
cato. La madre ha un collegamento speciale con l’unione pre-edipica
e per questa ragione il legame con lei, come fonte di espressione, deve
essere mantenuto. Per Cixous, il testo e il materno sono intimamente
interconnessi; Cixous usa anche la metafora dell’“inchiosto bianco”,
il latte materno, come forma di comunicazione che va oltre il patriar-
cato. Scrivendo, una donna può esprimere la sua sessualità repressa
e il suo essere; in tal modo può finalmente mostrare che la donna
non è lo spaventoso oscuro continente associato, sempre nella tradi-
zione patriarcale, a quello che Cixous definisce i miti della Medusa
e dell’abisso, che è una terrorizzante rappresentazione dell’ignoto.
Sebbene la teoria di Cixous sia più poetica che sistematica e possa
essere facilmente criticata per il suo latente essenzialismo, mostra un
interesse nel mettere in luce forme di espressione adatte ad un soggetto
femminile. Anche Julia Kristeva attribuisce importanza al materno.
Kristeva offre una sofisticata formulazione della maternità, stretta-
mente interconnessa con la sua teoria linguistica, la sua analisi del
ruolo dell’intellettuale e del dissidente, e la sua visione della posizione
della donna all’interno della struttura linguistica e più ampiamente
all’interno della società occidentale. Kristeva teorizza per la prima
volta i concetti di simbolico e semiotico in La rivoluzione del linguaggio
poetico, in cui analizza il lavoro di Mallarmé e Lautréamont.

 H. CIXOUS, The Laugh of the Medusa, French Feminist Reader, a cura di K. Oliver,

Lanham, Rowman and Littlefield, , p. .


 La rivoluzione del linguaggio poetico è la massiccia tesi di dottorato difesa da Kristeva

a Parigi nel , un’occasione trattata dai mass media come un importante evento culturale.
L’interesse di Kristeva per i poeti dell’avanguardia è fortemente sostenuto dalla sua critica
della società capitalistica, responsabile di reprimere il processo attraverso cui emerge il signi-
ficato. I poeti dell’avanguardia hanno il privilegio di esprimere nella loro poesia i meccanismi
dell’inconscio. Il linguaggio poetico è, secondo Kristeva, il processo logico di significazione
che rivela le pulsioni inconsce del soggetto, o piuttosto, mostra il soggetto fluttuante tra


GLI ASPETTI PSICOANALITICI DELLA POLITICA DELLA DIFFERENZA

Per Kristeva il materno è una fonte di significato la cui più chiara


elaborazione viene espressa nelle opere di artisti uomini quali Bellini,
Leonardo e Pergolesi. Infatti è il soggetto creativo maschile ad essere
al centro della teorizzazione kristeviana del linguaggio e del potere
materno. La studiosa individua una relazione tra gli artisti uomini e
l’amore materno, tanto da definire l’arte moderna «l’implementazione
dell’amore materno [...]. Una celebrazione sublimata dell’incesto».
La sua analisi dei dipinti di Bellini e Leonardo predilige i modi in cui
gli artisti uomini comunicano la loro relazione con il materno.
L’unica forma di espressione possibile per la donna, è, come Kri-
steva afferma in Stabat Mater, il dare alla luce un figlio, che rappresenta
«una strana forma di simbolizzazione scissa (limite del linguaggio e della
pulsione istintiva, del simbolico e del semiotico)». Tuttavia, nonostante
ciò, la madre rimane un non-soggetto, una “illusione”. La madre e il
materno sono dunque due concetti completamente differenti, quasi in
opposizione. Mentre il materno viene inteso come completa ricchezza di
significato (ma privo di alcuna espressione), la madre rimane nient’altro
che uno schema, una struttura, cioè il mezzo attraverso cui la divisione
tra natura e cultura viene riconosciuta. Il corpo e il potere materni
acquisiscono la funzione di suscitare paura, minaccia e orrore, il che
appare come una rivisitazione del complesso della castrazione. Infatti,
Kristeva sostiene che l’opera più tarda di Bellini mostra il senso della
minaccia che il soggetto maschile «sente originare tanto dal possessivo
corpo materno quanto dalla separazione da esso».
La teoria di Kristeva non dà spazio ad una elaborazione della
soggettività e del desiderio femminile. Infatti, la sua vasta opera sul
materno e sulla maternità appare più una metafora che un’analisi della

semiotico e simbolico. Per Kristeva il semiotico è la pulsione primaria, o impulso istintivo,


mentre il simbolico ha la funzione di dare struttura o significato. Il processo della significa-
zione viene prodotto dalla complessa azione reciproca tra il semiotico e il simbolico durante
quello che Kristeva definisce con il termine momento tetico.
 J. KRISTEVA, Stabat Mater, in The Kristeva Reader, a cura di T. Moi, Oxford, Basil

Blackwell, , p.  trad. mia.


 J. KRISTEVA, Motherhood According to Giovanni Bellini, in Desire in Language,

Oxford, Basil Blackwell, p.  trad. mia; corsivi nell’originale.


 J. KRISTEVA, Stabat Mater, cit., p. .
 J. KRISTEVA, Motherhood According to Giovanni Bellini, cit., p. , trad. mia.


CAPITOLO PRIMO

condizione della donna. La sua attenzione sembra circoscritta alla


rilevanza che il materno ha nella creazione artistica maschile, senza
focalizzarsi sulla donna come soggetto. Kristeva non considera nep-
pure la possibilità di una relazione tra donne; solo durante la maternità
una tale relazione risulta, secondo lei, possibile. In questa situazione
la donna incinta si sente vicino alla propria madre. Kristeva sembra
così modificare il rapporto madre-figlia in un rapporto madre-madre,
ignorando lo sviluppo della soggettività della figlia.
Sia Cixous che Kristeva elaborano strategie per una rivalutazione
del femminile che a volte sono state considerate utili, in particolare
per l’analisi letteraria, mentre altre volte sono state criticate per l’ap-
parente sostituzione del potere associato con il padre e con il fallo con
il potere della madre e del materno. Un approccio diverso è invece
quello di Luce Irigaray, che amplia il discorso sul materno evitando
le limitazioni che possono essere attribuite a Cixous e Kristeva. Come
sostiene Michelle Boulous Walker
c’è bisogno di una definizione del materno che abbia almeno due obiettivi: che
si riferisca veramente alle donne come madri (al contrario di Kristeva) e che
teorizzi il corpo della madre in termini meno riduttivi (al contrario di Cixous).
C’è bisogno di fare una rimappatura del materno come terreno del corpo e
della parola. Senza dubbio Irigaray risponde ad entrambi gli obiettivi.

 È significativo che in Stabat Mater Kristeva scelga di discutere la maternità at-

traverso l’immagine della Vergine. Scrivendone afferma che la Vergine è sia madre che
figlia del Figlio. Tale confusione di ruoli crea un ostacolo allo sviluppo di una genealogia
di donne.
 Kristeva ha sempre mantenuto una posizione critica verso il femminismo. Anche

l’utilità delle sue teorie per una politica femminista è ambivalente. Se, da una parte, elabora
la teoria di un processo di significazione esterno al Simbolico, dall’altra attrae critiche
per aver creato «nuove autorità per rimpiazzare tradizioni perdute», cfr. A.R. JONES,
Julia Kristeva and Feminity: the Limits of a Semiotic Politics, «Feminist Review», , ,
pp. -: , trad. mia.
 M. BOULOUS WALKER, Philosophy and the Maternal Body, Londra, Routledge,

, p.  trad. mia.


GLI ASPETTI PSICOANALITICI DELLA POLITICA DELLA DIFFERENZA

Irigaray: la soggettività e il legame madre-figlia


come legame corporeo
La teoria di Irigaray risponde a una serie di domande sul soggetto
femminile che emergono dall’approccio psicanalitico. Irigaray rivaluta
il corpo della donna e la possibilità di creare una posizione valida
per il soggetto femminile – cioè una posizione che non sia di rifiuto
e negazione in funzione del soggetto maschile. Nel suo pensiero il
rapporto madre-figlia è determinante per uno sviluppo di un nuovo e
positivo senso di soggettività. Le teorie di Irigaray offrono il vantaggio
di prendere in considerazione non solo il ruolo della madre (come
nella teoria di Klein) e il potere materno (come nella teoria di Kristeva)
ma l’importanza che il corpo e l’amore della madre assumono per la
figlia. È solamante attraverso la riaffermazione della vitale relazione di
una donna verso la madre, negata da Freud e Lacan, che l’articolazione
della donna come soggetto può aver luogo. La relazione madre-figlia
non si presenta dunque come una rielaborazione sulla maternità.
Spostando l’attenzione sia verso la donna che la madre – e non solo
verso la madre – Irigaray fornisce un’analisi che ha rilevanza per la
teorizzazione della soggettività femminile ed è fermamente ancorata a
un legame che è corporeo. Le sue teorie sono perciò particolarmente
adatte all’analisi di romanzi che danno rilievo al senso di identità della
figlia in relazione a un riscoperto legame con la madre; una riscoperta
che prende forma attraverso immagini e storie connesse all’evocazio-
ne del corpo femminile. La corporeità come sistema di conoscenza
alimentato da un legame materno che è disconnesso dalla funzio-
ne riproduttiva è centrale nei romanzi analizzati in questo volume.
I concetti irigariani di differenza sessuale, morfologia, e di rapporto
madre-figlia sono cruciali per chiarire la teorizzazione di un legame
corporale nella soggettività delle donne.
L’approccio di Irigaray è multidisciplinare, dato che psicoanalisi,
analisi linguistica e filosofia sono integrate nei suoi scritti. I punti

 Dopo avere ricevuto una laurea specialistica in filosofia e letteratura in Belgio,

Irigaray ne ha conseguita un’altra in psicologia e un diploma in psicopatologia all’Uni-


versità di Parigi. Successivamente ha ottenuto due dottorati di ricerca, uno in linguistica
all’Università di Parigi X, Nanterre, con la tesi Le Langage des Déments, e l’altro in filosofia


CAPITOLO PRIMO

centrali della sua analisi sono lo studio del linguaggio come sistema
che non dà spazio ad un soggetto femminile; la critica del Simbolico
maschile, che è anche una critica della psicoanalisi; l’affermazione
della politica della differenza, portata avanti attraverso una critica
della filosofia occidentale; e la prospettiva di una ristrutturazione
dell’immaginario femminile. Risultato di questo eclettico approccio è
l’intrecciarsi di vari aspetti della sua analisi e della sua esperienza: la te-
oria della differenza sessuale ha origine dalla sua analisi del linguaggio
dei malati di demenza, e l’ha portata in seguito al suo coinvolgimento
politico con le donne del Partito Comunista Italiano.
In Le Langage des Démentes, studiando l’uso inappropriato del
linguaggio e gli errori grammaticali nei pazienti affetti da demenza,
Irigaray pone particolare attenzione alle risposte dei pazienti uomini
e donne. La differenza nelle risposte non è da lei attribuita a un mero
fenomeno biologico, ma piuttosto, come sottolinea Margaret Whitford,
a una questione «di identità assunta nel linguaggio all’interno di un
particolare sistema simbolico conosciuto come patriarcato [...] in cui
l’unica posizione di soggetto è quella maschile». Lo studio sull’uso
patologico del linguaggio ha di seguito portato Irigaray all’analisi del
diverso accesso al linguaggio da parte dei due sessi, studio ulteriormente
sviluppato nel suo libro Parlare non è mai neutro. Questa è una raccolta
di saggi sulla demenza, la soggettività, il linguaggio come sistema pa-
triarcale creato dall’uomo, e le limitazioni della psicoanalisi. La gamma
degli argomenti sottolinea chiaramente la sottile interconnessione nel
pensiero di Irigaray tra l’interesse nell’uso del linguaggio, la critica alla
psicoanalisi e lo sviluppo della politica della differenza sessuale.
Irigaray si oppone alla presupposta neutralità del linguaggio e
sostiene che il soggetto deve essere considerato incarnato. Forma e
sesso, dice Irigaray, non possono essere disgiunti. La loro intercon-

e psicoanalisi con la tesi Speculum de l’autre femme. Aveva precedentemente lavorato


come assistente di ricerca in un team interdisciplinare presso il Centre national de la
recherche scientifique, rivestendo per molti anni il ruolo di direttore della ricerca per la
Commissione di Filosofia. Cfr. J. HANSEN, There are Two Sexes, Not One / Luce Irigaray,
in French Feminist Reader, cit., p. .
 L. IRIGARAY, The Irigaray Reader, a cura di M. Whitford, Oxford, Basil Blackwell,

, p.  trad. mia.


GLI ASPETTI PSICOANALITICI DELLA POLITICA DELLA DIFFERENZA

nessione rappresenta la storia dei soggetti, cioè la loro comprensione


del mondo mediata attraverso il corpo; come afferma Whitford, espri-
me la codificazione culturale dell’esperienza corporea. Il concetto
di soggettività incarnata emerge chiaramente nell’analisi di Irigaray
quando afferma:
Il soggetto deve prendere in considerazione la sua forma e il suo sesso. Non può
affermare la sua universalità in assenza di forma. Ha, ed è una forma incarnata.
Crea una morfologia che è unica. La relazione tra forma e sesso è la sua storia,
con i suoi progetti, le sue generazioni, i suoi cicli, e le sue ripetizioni.

Il problema con il femminile è che rimane definito «all’interno di


una matrice materna amorfa» e manca di un suo proprio linguaggio
– cioè un sistema in cui può assumere la posizione di soggetto senza
essere definito come Altro del soggetto maschile. Quello che Irigaray
ritiene necessario è l’affermazione della differenza sessuale perché le
donne possano essere liberate dall’opposizione binaria entro cui sono
iscritte all’interno della società patriarcale.
In Speculum, Irigaray porta avanti un’accurata decostruzione della
filosofia occidentale, seguendo in gran parte la teoria delle opposi-
zioni di Derrida. All’interno di questa critica Irigaray afferma che il
concetto “donna” rappresenta la morte, il complesso di castrazione,
la mancanza, l’Altro che deve essere negato, e la forma negativa dell’uo-
mo. A causa del concetto di donna in quanto Altro, richiesto dal pa-
triarcato per giustificare la soggettività maschile, la donna viene definita
non secondo il suo diverso modo di significazione, ma secondo quello
maschile. Per questa ragione, Irigaray sostiene che nel Simbolico la don-
na è ridotta non tanto all’Altro in quanto diversa dal soggetto maschile,

 Ibid.
 Ibid., trad. mia.
 Ivi, p. , trad. scientifica.
 La critica di Irigaray dell’opposizione binaria come fondante della filosofia oc-

cidentale è ovviamente influenzata da Derrida, anche se questo non viene apertamente


riconosciuto da lei. Derrida sostiene che la filosofia occidentale è strutturata su opposizioni
binarie che sempre finiscono con il privilegiare un termine sull’altro. Una decostruzione
delle opposizioni è per Derrida necessaria per dare una posizione diversa e non subordinata
al termine più debole. Criticando Lacan, Derrida sottolinea la fusione tra razionalità e
fallo in quanto significante superiore.


CAPITOLO PRIMO

ma all’Altro del Medesimo, perché la differenza della donna non può


essere visibile in un sistema che non la riconosce.
Se da una parte l’analisi del linguaggio porta Irigaray ad affermare
una politica della differenza sessuale e della soggettività incarnate,
dall’altra la filosofa francese critica aspramente la psiconalisi per aver
imposto come universali un linguaggio e regole maschili. L’analisi
psiconalitica dell’inconscio, come Irigaray afferma in La povertà della
psicoanalisi, è priva di approccio storico e non prende in considera-
zione i diversi effetti del sistema culturale sulle donne e sugli uomini;
infatti sussume i due sessi ad un unico, il maschile.
Irigaray sostiene che nella psicoanalisi il desiderio viene privato di
specificità sessuate. La psicoanalisi prende in considerazione solo un
immaginario che può essere espresso attraverso un unico linguaggio,
lasciando le donne in esilio da ogni possibile proprio spazio, vagando
in un immaginario che non è il loro. Infatti per Irigaray esiste una
distinzione tra la posizione degli uomini e delle donne nell’immagi-
nario, come anche nel simbolico.
È evidente che una delle preoccupazioni principali per Irigaray
è la mancanza di appropriato valore attribuito ai corpi sessuati nella
società occidentale, fondata, come lei sostiene, sul matricidio. Tale
esclusione ha implicazioni per il concetto di identità e desiderio in
psicoanalisi. Il complesso di Edipo, infatti, non considera il modo in
cui i diversi corpi (del ragazzino e della ragazzina) si relazionano allo
stesso oggetto di desiderio, il corpo della madre. Di conseguenza,
madre e figlia non riescono ad articolare la loro relazione, relegate
come sono in un immaginario maschile che non appartiene loro.
Il desiderio delle donne non trova formulazione perché il linguaggio
del simbolico permette solo l’espressione del desiderio maschile, an-
che se questo viene pensato come neutro.
L’errata posizione delle donne nell’immaginario maschile è un
fondamentale problema per Irigaray, per cui il suo interesse princi-

L. IRIGARAY, Questo sesso che non è un sesso, Milano, Feltrinelli, , p. .
L. IRIGARAY, The Poversty of Psychoanalysis, in To Speak is Never Neutral, Londra,
Continuum, , p. .
 Ivi, pp. -.
 Ivi, p. .


GLI ASPETTI PSICOANALITICI DELLA POLITICA DELLA DIFFERENZA

pale è la rivalutazione dell’immaginario femminile che viene negato


nella psicoanalisi e nel patriarcato. Ciò tuttavia non è inteso a creare
un’immagine del femminile positivamente forte per sé, ma piuttosto a
permettere un’interrelazione funzionale tra i sessi, tra la donna soggetto
e l’uomo soggetto, basata sulle loro distinte differenze. Inoltre per
Irigaray le dimensioni del simbolico e dell’immaginario sono intreccia-
te, di conseguenza, un cambiamento nell’immaginario porterà ad una
modificazione nel simbolico, producendo nuove possibilità.
La critica di Irigaray al patriarcato sostiene che il simbolico ma-
schile, limitando il ruolo della donna alla sua funzione materna, non
lascia adeguato spazio alle donne, e le oggettifica deprivandole di
ogni possibilità di divenire soggetto. Nella struttura edipica, la madre
viene utilizzata dal soggetto maschile per acquisire la propria iden-
tità. Al contrario, le donne non possono raggiungere l’identità nello
stesso modo, senza essere ridotte a oggetto. L’obiettivo principale di
Irigaray nella decostruzione della cultura occidentale è di liberare
la posizione della madre dal ruolo riproduttivo nel quale la cultura
patriarcale l’ha confinata. È necessario che la donna possa esprimere
la sua identità nella relazione con la madre come punto di origine: «La
prima relazione di una donna verso l’altro [...] deve essere rivolta ad
un’altra donna, ma perché questo sia possibile la madre e la donna
devono essere simbolicamente differenziate».
L’immagine della madre è essenziale, in quanto la sua cancel-
lazione, dettata dalla cultura patriarcale, ha alterato l’ordine sim-
bolico. Secondo Irigaray, la madre, priva nel sistema patriarcale sia
del linguaggio che di identità, è tuttavia il sostrato su cui il sistema
patriarcale si basa – anche se è proprio questo sistema a toglierle il

 Nel , quattordici anni dopo la pubblicazione del suo controverso Speculum,

Irigaray ha affermato che mentre nel primo libro aveva argomentato la necessità di una
dialettica dualistica – una relativa al soggetto maschile e una al soggetto femminile – in
questa nuova fase della carriera, il suo pensiero l’aveva condotta a teorizzare la necessità
di una terza dialettica, che tiene in considerazione la relazione tra i sessi (L. IRIGARAY,
Thinking the Difference, Londra, Athlone Press, p. ). Lo stesso interesse nella relazione
tra i due sessi, e quindi non esclusivamente nella differenza e soggettività delle donne, si
manifesta in Amo a te, scritto in italiano e pubblicato nel .
 M. WHITFORD, Luce Irigaray: Philosophy in the Feminine, Londra, Routledge,

, p.  trad. mia.


CAPITOLO PRIMO

potere, come il mito di Clitemnestra dimostra. Irigaray si riferisce


all’uccisione di Clitemnestra nell’Orestea per affermare che la civiliz-
zazione occidentale è basata sul matricidio, contrariamente a quanto
affermato da Freud, per il quale, in Totem e Tabù, i gruppi primitivi si
basano sull’uccisione del padre. L’uccisione, ispirata dall’oracolo di
Apollo, viene interpretata da Irigaray come il bisogno del Dio-Padre
di appropriarsi dei poteri della Madre Terra. Come osserva Luisa
Muraro, per Irigaray il mito mette in evidenza che «una società ma-
triarcale esisteva» prima del patriarcato e che il mito di Clitemnestra
è emblematico della volontà di sopprimere il potere femminile.
Le capacità riproduttive con cui la madre viene rappresentata
nel patriarcato le conferiscono attributi diversi da quelli riservati al
soggetto donna. La madre è uno «spazio pieno», non è il «nulla» rap-
presentato dalla donna. Nel patriarcato una madre è visibile come
«un volume», perciò un contenitore, in cui avviene la riproduzione
dell’Uno e Medesimo. Come precedentemente osservato, in assenza
di un ordine etico della differenza sessuale non esiste diversità tra i
sessi, ma solo l’affermazione del maschile. La madre, di conseguenza,
permette la riproduzione dello stesso soggetto. Diversamente dalla
madre, la donna, nel patriarcato, rappresenta il vuoto, la mancanza
assoluta, ma con un valore che, come dice Irigaray, è il valore di
mercato della riproduzione.

 L. IRIGARAY, The Irigaray Reader, cit., p. .


 Ivi, p. .
 Il concetto di matricidio come fondante della cultura occidentale negli anni viene,

tuttavia, come commenta Muraro, leggermente modificato da Irigaray. In tempi più recenti
Irigaray ha affermato che la cultura patriarcale ha «involontariamente o per ignoranza»
eliminato i resti di una civilizzazione più antica (L. MURARO, Female Genealogies in En-
gaging with Irigaray, a cura di C. Burke, M. Whitford e N. Shor, New York, Columbia
University Press, p. ). Ovviamente l’affermazione di una inconsapevole eliminazione di
un’antica civiltà femminile è in contraddizione con il concetto di matricidio come origine
della cultura occidentale. Muraro spiega questa posizione di Irigaray facendo riferimento
alla sua presupposta percezione di una buona relazione tra madre e figlio, che mitiga la
sua posizione femminista. Tuttavia è possibile che la rappresentazione più clemente del
patriarcato come origine della civiltà sia dovuta al successivo sviluppo del pensiero di
Irigaray, che l’ha portata sempre più a interessarsi alla relazione tra i due sessi.
 L. MURARO, Female Genealogies, cit., p. .
 L. IRIGARAY, The Irigaray Reader, cit., p. .


GLI ASPETTI PSICOANALITICI DELLA POLITICA DELLA DIFFERENZA

Il rapporto madre-figlia acquisisce un rilievo determinante nel


pensiero di Irigaray perché viene interpretato come il luogo della
rivalutazione della donna come soggetto. Viene visto come il modo
per progredire verso la creazione di un immaginario e simbolico
femminile; è il mezzo che stimola una relazione corpo-a-corpo tra
donne e perciò una rivalutazione della corporeità e della donna. Come
riassume Whitford:
A meno che non si accetti il bisogno delle donne di poter rappresentare, in
modo a loro specifico, la relazione con la madre, e perciò con il punto di
origine, cioè non secondo un modello maschile, allora le donne si troveranno
sempre mancanti di valore.

Quello che Irigaray propone è un nuovo immaginario del corpo


femminile, che permetterà alle donne di modificare il modo in cui perce-
piscono il loro corpo e la loro soggettività. Il corpo acquisisce significati
che vanno oltre il biologismo, sia per il concetto di morfologia, che
supera la distinzione di natura e costruzione, di sesso e genere, a favore
di un soggetto incarnato, sia per l’enfasi sulla molteplicità dei corpi e
delle esperienze, che sottolinea una storia personale e culturale.
Secondo Irigaray, il fatto che il rapporto madre-figlia non sia
simbolizzato nel simbolico porta le donne a non avere un’identità in
quanto donne, ma piuttosto a identificare il femminile con il materno
e di conseguenza a competere per ottenere il posto della madre, unica
posizione disponibile. La simbolizzazione di questa relazione – cioè
il riconoscimento della relazione tra madre e figlia in quanto donne –
è, secondo Irigaray, l’elemento principale nella ridefinizione del sog-
getto femminile. È vitale creare una genealogia femminile – cioè la
possibilità per le donne di trovare identità riferendosi ad altre donne –
per rendere possibile un simbolico femminile che permetta loro di
esprimere la propria differenza.
Irigaray non mira a costruire una genealogia di madri ma piuttosto
una relazione basata sia su un legame orizzontale che verticale. Per lei,
una pacifica relazione di sorellanza tra uguali deve essere completata
con una relazione verticale matrilineare in modo da determinare un
agire positivo ed efficace, e in modo da abbandonare il ruolo delle

 M. WHITFORD, Luce Irigaray: Philosophy in the Feminine, cit., p.  trad. mia.


CAPITOLO PRIMO

donne come mediatrici nel mondo maschile. Significativamente Iriga-


ray crede che le donne debbano manifestare la loro differenza, dato
che «non sembra abbiano mai prodotto la singolarità del loro corpo
e del loro mondo».
L’idea di differenza associata alla corporeità ha sollevato accuse di
essenzialismo, specialmente alla pubblicazione delle prime traduzioni
dei volumi di Irigaray. Molti critici, successivamente, hanno sollevato
la filosofa francese da tali accuse, che comunque erano state rispar-
miate a Lacan nonostante il già menzionato latente essenzialismo della
sua teoria. L’uso metaforico delle immagini delle labbra vaginali e del
mucoso è stato uno degli aspetti più criticati. Con la prima immagine
Irigaray intende rappresentare una donna senza confini delimitanti,
dato che le labbra vaginali rendono la donna aperta al mondo esterno
e quindi senza limiti. L’immagine vuole anche riferirisi all’idea di un
molteplice piacere sessuale che intende rimuovere la rappresentazione
patriarcale del soggetto femminile come mancanza. Perciò alla univoca
rappresentazione del fallo, Irigaray propone il concetto di un soggetto
femminile che non può essere limitato da una definizione.
La metafora del mucoso invece viene utilizzata per indicare una so-
miglianza tra donne, non relativa alle comparazioni del mondo esterno,
perché diversa dal senso di identità del Medesimo espressa nel mondo
patriarcale. Secondo Irigaray le donne dovrebbero relazionarsi alla loro
specificità, di conseguenza l’immagine del mucoso è per lei adatta ad
esprimere la somiglianza tra donne come qualcosa di cui si può fare
esperienza dall’interno, quindi dalla loro specificità. Di nuovo anche
questa è un’immagine di difficile interpretazione. Intende suggerire
l’indefinibile che Irigaray collega al soggetto donna e che è caratteristico
del suo progetto, un’idea utopica del simbolico femminile. Proponendo

 L. IRIGARAY, An Ethics of Sexual Difference, Londra, Athlone press, , p. 

trad. mia.
 Irigaray fa uso di questa immagine quando descrive donna e madre in Volume

without Contours (in The Irigaray Reader) e quando scrive sul desiderio femminile in
Questo sesso che non è un sesso. Critici quali Grosz, Gallop, Fuss, Gatens e Whitford
hanno fornito interpretazioni dell’immagine delle labbra atte ad allontanarne l’accusa di
essenzialismo. Sia Gallop che Fuss hanno interpretato le labbra come una metafora, una
costruzione. Infatti Fuss si chiede persino se sia possibile interpretare tale immagine in
modo altro da una metafora.


GLI ASPETTI PSICOANALITICI DELLA POLITICA DELLA DIFFERENZA

questa nuova dimensione di significati per le donne, Irigaray svilup-


pa una teoria che è radicata sia in un progetto futuro di interazione
socio-simbolica tra donne, sia nell’uso di immagini che si riferiscono
all’identità corporea femminile. Entrambi gli elementi appartengono a
una dimensione immaginaria che include una connotazione corporea
ma che ha anche a che fare con l’aspetto culturale.
La stessa prominenza della corporeità che emerge da queste im-
magini nella costruzione di un simbolico femminile arricchisce la
critica della psicoanalisi elaborata da Irigaray. Per lei, uno dei difetti
della teoria lacaniana è da attribuire all’enfasi sulla vista e la visibilità.
Infatti l’entrata nell’ordine Simbolico lacaniano è determinata dallo
stadio dello specchio che, ovviamente, predilige la percezione visiva,
di conseguenza il senso della presenza, o della mancanza, del pene.
In Speculum, Irigaray contraddice questa rappresentazione sostenen-
do che il concetto di femminile come mancanza può essere rimosso
cambiando la metafora di Lacan – cioè sostituendo lo specchio piatto,
che ovviamente mette in evidenza la visibilità del pene, con lo specu-
lum, lo specchio curvo usato in ginecologia.
Il femminile come mancanza è un prerequisito della logica del
Medesimo che ha privato la donna di riferimenti al corpo, in modo da
poter iscrivere le donne in un linguaggio che è separato e trascendente
rispetto al corpo. Come riassume Grosz, l’idea criticata da Irigaray
di un modello mono-sessuale della società patrarcale, viene rinfor-
zato dal fatto che la mascolinità è distaccata dalla specificità e dalla
connotazione socio-politica del corpo maschile; perciò «il maschile
può guardare a se stesso dall’esterno, assumere se stesso a oggetto
mantenendo allo stesso tempo la posizione di soggetto».
Irigaray contrappone alla preminenza della vista e della visibilità
l’importanza del tatto e della prossimità tra madre e figlia. La loro
relazione è portatrice di un insieme di significati che parlano di un
immaginario corporeo che è altresì costituito di elementi sociali e
culturali. Il rapporto madre-figlia per Irigaray deve ancora essere creato
dalla trasformazione della relazione esistente nel patriarcato, il quale
ha alla sua base e prescrive una relazione di opposizione. Irigaray

 E. GROSZ, Jacques Lacan, cit., p.  trad. mia.


CAPITOLO PRIMO

analizza la relazione madre-figlia in due saggi E l’una non sogna senza


l’altra e Quando le nostre labbra si parlano che nella loro divergenza
testimoniano la complessità di questo rapporto.
In E l’una non sogna senza l’altra Irigaray evoca una relazione di
fusione e dipendenza da una madre dotata di tutti i poteri. La voce
narrante della figlia tocca diversi stadi nella relazione con la madre,
dalla paura a un senso malato di fusione fino alla speranza di una
reciproca individuazione. Il latte di quella che appare essere una
madre fallica viene descritto con effetto paralizzante sulla figlia che
nel berlo si sente ghiacciare l’intestino. Questa paura lascia spazio
alla richiesta della figlia per un’esperienza di unione più vivibile con
la madre cosicchè «l’una non scompare nell’altra, o l’altra nell’una».
Tale desiderio della figlia rappresenta il punto chiave del saggio che
sembra prendere in considerazione il senso di oppressione della figlia
nei confronti della madre fallica e poi si sposta alla descrizione di una
fusione che non è soddisfacente né per la madre né per la figlia.
La poco bilanciata e timorosa relazione autoritaria descritta nella
prima parte del saggio lascia spazio nella conclusione alla speranza di
una relazione orizzontale tra donne. La figlia spera infatti in un futuro
in cui madre e figlia non siano agli estremi di una sequenza temporale,
quando la venuta al mondo di una coincide con il declino dell’altra.
In Quando le nostre labbra si parlano, Irigaray inscena un dialogo
tra madre e figlia, dando voce alla madre che nel precedente saggio
rimaneva silente. Come in E l’una non sogna senza l’altra la scrittura è
poetica e ricca di immagini, ma l’analisi dipinge una relazione distante
dal senso di sconforto e dall’interazione di emozioni e desiderio descritti
nel precedente saggio. Madre e figlia sembrano avere già acquisito una
consapevolezza individuale della loro dimensione e del ruolo dell’una
nella relazione con l’altra. Infatti in questo saggio emerge una reciproca
vicinanza tra madre e figlia come donne, che si allontana dall’indiffe-
renziata e oppressiva unione espressa in E l’una non sogna senza l’altra
dall’immagine della paralisi provocata dal gelido latte materno.

 L. IRIGARAY, And the One Doesn’t Stir without the Other [E l’una non sogna senza

l’altra], «Signs», , , pp. -:  trad. mia.


GLI ASPETTI PSICOANALITICI DELLA POLITICA DELLA DIFFERENZA

Il corpo femminile viene presentato qui come l’elemento prin-


cipale di vicinanza tra le due donne. È nel dialogo tra madre e figlia
che il corpo femminile viene evocato come una roccaforte contro la
nullificazione del soggetto femminile operata dal patriarcato. Nella
società patriarcale la forza dell’unione è stata distrutta; la vicinanza
corporea rappresentata dall’immagine di un abbraccio tra madre e
figlia, come pure la vicinanza della donna a se stessa, sono state
spezzate. Uno stato di “esilio” inteso come dislocamento e senso di
perdita della donna da se stessa è stato causato dalla separazione e
rivalità tra madri e figlie generate nel patriarcato.
È chiaro che la relazione madre-figlia prospettata da Irigaray
non concerne la maternità ma la soggettività, e perciò la creazione di
un sistema di significato in cui la donna possa essere valutata come
soggetto. Così come il Simbolico lacaniano fornisce una teoria di
formazione del soggetto che è sia linguistica che psichica, per Iriga-
ray le donne, e madri e figlie in quanto donne, devono costruire un
nuovo linguaggio corporeo che rifletta l’espressione dei sentimenti
comuni di cui hanno avuto esperienza. La vicinanza di questa rela-
zione deve trovare un nuovo linguaggio attraverso «parole che non
escludano il corpo, ma che parlino di corpo». Questa forma cor-
porea di espressione e comprensione, che si contrappone all’idea di
un’unificata conoscenza di impronta patriarcale, fa trovare a madre
e figlia le loro similarità come pure le loro differenze. Il corpo, la sua
morfologia più che la sua anatomia, e la memoria e la conoscenza
di questa morfologia, assicurano l’unione tra madre e figlia nonché
quella tra donne. Questa unione non è mai una fusione di identità,
perché la madre può dire alla figlia di non essere né la sua controparte
né la sua copia. Il corpo, portatore della memoria dell’individuo e
della differenza sessuale agisce da sostrato per il nuovo linguaggio
corporeo che sfugge costrizioni e definizioni, così come il femminile
viene definito senza limiti:

 L. IRIGARAY, This Sex which is not One [Questo sesso che non è un sesso], Ithaca,

Cornell University Press, p. .


 L. IRIGARAY, Il corpo a corpo con la madre, in EAD., Sessi e genalogie, cit., p. .
 L. IRIGARAY, This Sex which is not One, cit., p. .


CAPITOLO PRIMO

Il tuo corpo ricorda. Non c’è bisogno che tu ricordi [...]. Il corpo si esprime
ieri in quello che vuole oggi [...]. Sii quello che stai diventando, senza legarti
a quello che saresti potuto essere [...]. Lasciamo il definitivo per l’indeciso;
non ne avremo bisogno. Il nostro corpo, ora e adesso, ci dà una certezza molto
differente. La verità è necessaria per quelli che sono così lontani dal loro corpo
da averlo dimenticato.

Una lingua corporea non implica un accesso non mediato al corpo,


come Irigaray spiega nell’intervista con Lucienne Serrano e Elaine Hof-
fman Baruch e nella sezione Domande di Questo sesso che non è un
sesso. Una sintassi femminile è presente in quello che Irigaray definisce «il
codice gesturale del corpo delle donne», e poiché le donne nella società
patriarcale sono limitate dal codice maschile, gesti corporei possono
essere forme di resistenza. Irigaray elenca esempi di queste diverse forme
di espressione, come il ridere o il non detto confessato in conversazione
con altre donne. Irigaray stessa mette in pratica una sovversione delle
strutture comunicative nel suo primo libro Amante marina di Friedrich
Nietzsche, tuttavia nei libri successivi e pubblicati negli anni Novanta,
sembra abbandonare questa pratica. Secondo lei, compito delle scrittrici
è «di creare un “genere”, un linguaggio che non aderisca a categorie
esistenti, che rifiuti di sottomettersi all’ordine costituito».
In conclusione la creazione del simbolico femminile richiede una
relazione intersoggettiva tra madre e figlia, come anche forme di sov-
versione del sistema strutturato di espressione. Entrambi gli elementi
si basano sul tentativo di dare espressione alla conoscenza corporea
che comprende morfologia e memoria culturale e sociale. La filosofia
di Irigaray non è mai dedita all’elaborazione di un materno che at-
tribuisce alla madre qualità fisse o superiori, in una sua semplicistica
sostituzione alla legge del Padre. La madre è piuttosto, come Michelle
Boulous Walker riassume, «uno spazio, certamente femminile, in cui
le donne possono esplorare la miriade di contraddizioni dei loro corpi,

 Ibid., trad. mia.


 L. IRIGARAY, Luce Irigaray interviewed by Lucienne Serrano and Elaine Hoff-
man Baruch, in Women Writers Talking, a cura di J. Todd, Londra, Holmes and Maeier,
pp. -.
 L. IRIGARAY, This Sex, cit., p.  trad. mia.
 L. IRIGARAY, Luce Irigaray interviewed by Lucienne Serrano and Elaine Hoffman

Baruch, in Women Writers Talking, cit., p.  trad. mia.


GLI ASPETTI PSICOANALITICI DELLA POLITICA DELLA DIFFERENZA

linguaggi e pensieri». La relazione con la figlia, che racchiude sia


la dimensione orizzontale che verticale, ha la capacità di mettere in
atto questa esplorazione nella conoscenza e nel linguaggio, usando
mezzi che necessariamente implicano la corporeità.
Le complesse teorie di Irigaray sulla differenza sessuale sono state
molto influenti nel discorso femminista che si è sviluppato intorno
all’idea del corpo. La sua concezione del corpo, senza confini e mul-
tiplo, ha influenzato la teorizzazione di intellettuali femministe quali
Grosz e Gatens, che hanno derivato da Irigaray l’importanza dell’in-
terazione tra soggettività e corporeità. Questa interazione, centrale
nella mia analisi, è anche l’elemento chiave della filosofia femminista
che è emersa in Italia sul finire del Ventesimo secolo. Analizzerò
adesso i modi in cui la relazione madre-figlia in Italia è alla base della
teorizzazione della soggettività della donna.

Da madri a figlie: la situazione italiana


Le teorie del materno e della rilevanza della relazione con la
madre, sviluppatesi dalla fine degli anni Settanta, rappresentano il
culmine di un secolo di cambiamenti nella storia delle donne in Italia
e hanno portato a una trasformazione del valore della figura della
madre. Come spiega Laura Benedetti in The Tigress in the Snow, entro
la fine del , nella famiglia di classe medio-superiore, la maternità
si era trasformata da responsabilità frammentata, in cui diverse per-
sone adempivano alle funzioni della procreazione, allattamento ed
educazione, a un ruolo onnicomprensivo di totale dedizione ai figli
all’interno dell’ambiente domestico. Le donne della classe operaia, al
contrario, non erano in grado di riconciliare con dignità le estenuanti,
lunghe e mal pagate ore lavorative con l’impossibile ruolo di madri.
Da questo ruolo eccessivamente impegnativo, isolato in una società
patriarcale che non considerava la madre come donna, nel corso del
Ventesimo secolo la figura della madre si è trasformata in un’immagine

 M. BOULOUS WALKER, Philosophy and the Maternal Body, cit., pp. - trad. mia.
 L. BENEDETTI, The Tigress in the Snow, Toronto, University of Toronto Press,
, p. .


CAPITOLO PRIMO

filosofica, determinante per la creazione di un diverso simbolico e


per la soggettività della figlia.
Nella seconda parte del  i ruoli di madre e figlia erano pret-
tamente funzionali al benessere della famiglia e, in particolare, del
figlio. Durante il Risorgimento, almeno in ambiente patriottico, era
abbastanza diffusa l’idea che il miglioramento sociale della nazione
dipendesse dalla famiglia, come ambiente ideale in cui apprendere i
concetti di libertà e sacrificio per la nazione. In questo contesto il
ruolo materno era considerato cruciale per la traformazione politica
e sociale della nazione. Maria Drago, madre di Giuseppe Mazzini, e
Adelaide Cairoli sono ottimi esempi di madri che vennero glorificate
come modelli di comportamento nella cultura italiana del periodo.
Gli ideali di abnegazione materna e principi patriottici elaborati
durante il Risorgimento erano esclusivamente diretti verso i figli.
Le figlie nelle meglio conosciute famiglie patriottiche italiane, come
la famiglia Mazzini e la famiglia Cairoli, erano di gran lunga ignorate
ed erano dirette dalle eroiche madri a sostenere i fratelli. Forse in
maniera sorprendente, nel Sud, che rimaneva più prevalentemente
patriarcale, con la figura del padre centrale nel modello familiare e
le madri che non seguivano gli esempi delle donne patriottiche del
Nord, le figlie non erano così pesantemente subordinate ai bisogni
dei figli maschi.
Specialmente nel Nord, molte donne sostenevano Mazzini e le
sue politiche emancipazioniste, che, in una dimensione protettiva e
limitata, mettevano in luce le qualità di premura e cura delle donne.

 M. D’AMELIA, La mamma, Bologna, il Mulino, , p. .


 Un estratto delle lettere di Maria Drago al figlio chiarisce il suo solido sotegno:
«Va là Pippo, non crucciarti delle ubbie del babbo; prosegui animoso la tua vita. Dio
t’assiste e la mamma è al tuo fianco: la vittoria e l’avvenire ci arrideranno», M. D’AMELIA,
La mamma, cit., p. .
 Ivi, p. .
 Ibid.
 Questo era il caso di Sarah Nathan, che era stata ideologicamente vicina a Mazzini

dagli anni Cinquanta dell’Ottocento e la cui casa a Londra era aperta ai più famosi intellettuali
italiani in esilio nella capitale britannica. Nathan organizzò e finanziò le scuole femminili
“Giuseppe Mazzini” nel popolare distretto di Trastevere a Roma, con il fine di diffondere
l’istruzione gratuita tra le ragazze della classe operaia. Ersilia Mayno è un altro esempio di
donna filantropa di quel periodo. Mayno creò un’istituzione per prendersi cura delle donne
giovani e bisognose e partecipò a varie iniziative per istruire e aiutare le donne.


GLI ASPETTI PSICOANALITICI DELLA POLITICA DELLA DIFFERENZA

Il ruolo protettivo materno e le iniziative educative erano la strada


all’emancipazione riservata però alle classi più agiate del Nord, tut-
tavia risultati concreti in termini di diritti delle donne erano di là da
venire. Allo stesso tempo la scena politica si arricchiva di donne
che lavoravano come attiviste, teoriche, fondatrici di giornali, disse-
minatrici di nuove filosofie. Anna Kuliscioff e Anna Maria Mozzoni
lavorarono incessantemente per l’emancipazionismo e il diritto di
voto, sebbene su posizioni diverse.
Le prime fasi del femminismo dopo l’unificazione e fino al 
furono ferventi. Tuttavia, nel panorama letterario dell’inizio del Ven-
tesimo secolo, immagini di devote madri dedite al sacrificio erano
dominanti, mentre la critica al concetto patriarcale di maternità fat-
ta da Sibilla Aleramo rimaneva una voce isolata e rivoluzionaria.
La Prima Guerra mondiale accelerò il processo emacipazionista,
ma di lì a poco il fascismo rallentò l’acquisizione dei diritti civili.
Dopo un’iniziale apertura alle politiche emancipazioniste, a metà
degli anni Venti, Mussolini fece della funzione materna della donna
il perno centrale del suo progamma di normalizzazione della figura
femminile. Nel  con il sostegno cattolico, Mussolini creò l’Opera

 L’unico segno di progresso in termini di diritti civili consisté nel limitare la patria

potestà a non oltre i ventuno anni, sia per gli uomini che per le donne, abbasdandola dai
precedenti trenta o quarant’anni per le donne. Dopo il matrimonio le donne erano sotto
la potestà del marito, un ruolo giuridicamente di totale sudditanza; non era permesso loro
di occuparsi di affari legali, inclusa l’amministrazione dei propri beni immobili.
 Anna Kuliscioff, cittadina russa che visse in Italia gli ultimi quaranta anni della

sua vita, fu una delle fondatrici del Partito Socialista. Seguendo il suo credo marxista,
Kuliscioff riteneva che la condizione femminile potesse migliorare come conseguenza
dell’emancipazione della classe operaia. Anna Maria Mozzoni, al contrario, considerava la
questione femminile un problema autonomo che non doveva essere analizzato all’interno
del contesto della rivoluzione di classe. Mozzoni non ottenne mai una posizione dirigenziale
nel partito socialista proprio a causa del suo dare priorità alla questione femminile. Mozzoni
fondò varie associazioni, ispirò la nascista di riviste quali «La donna» (fondata nel 
da Gualberta Beccari), tradusse On the Subjection of Women di John Stuart Mill e scrisse
La donna e i suoi rapporti sociali (). Nella lotta per i diritti, Mozzoni richiedeva non
solo il diritto all’istruzione, ma anche il diritto al lavoro, alla parità salariale e al voto.
 L. BENEDETTI, The Tigress in the Snow, cit., pp. -.
 Alla fine della guerra, nel , fu garantita l’abolizione della potestà maritale.

Nello stesso anno la Camera dei Deputati approvò il voto amministrativo e politico per le
donne. Tuttavia, la legislatura finì prima che la legge potesse essere discussa in Senato.


CAPITOLO PRIMO

nazionale per la protezione della maternità e dell’infanzia (ONMI).


Nel discorso dell’ascensione, il  maggio , Mussolini rese chiaro
che al centro dei suoi obiettivi politici c’era l’incremento del tasso
di nascita che promosse attraverso regolamenti, discorsi e premi per
madri prolifiche.
L’idea di donna-madre stava sostituendo gli elementi di eman-
cipazionismo che erano emersi nei decenni precedenti. Tuttavia, le
condizioni di vita e l’esperienza del fascismo non erano affatto iden-
tiche per tutte le donne. Alcune, attiviste fasciste vicino al governo,
vedevano nel regime la possibilità di progresso e adottarono un atteg-
giamento trasgressivo e violento tipico del fascismo. La stessa figlia
di Mussolini, Edda, da lui amata e rispettata, rappresentava questa
nuova donna fascista. Tuttavia, come afferma Victoria De Grazia,
il diverso approccio e le diverse esperienze delle donne durante il
fascismo non devono essere ignorate; infatti reazioni ai tentativi del
governo di prendere potere sulle donne furono espresse sia da gruppi
cattolici, che di sinistra e da organizzazioni giovanili.
All’inizio della Seconda Guerra mondiale, nel , le donne, che
fino ad allora erano state considerate inadeguate alla maggior parte
dei lavori, furono improvvisamente chiamate a rimpiazzare gli uomini
partiti per il fronte. Di conseguenza i ruoli di uomini e donne cambia-
rono in parte durante la guerra, e le donne ottennero l’indipendenza
che in precedenza era stata loro negata.
Il decennio successivo segnò un chiaro incremento della visibilità
delle donne grazie alla loro numerosa presenza nelle fabbriche, e ai
cambiamenti di stile di vita derivanti dalla disponibilità della pro-
duzione di massa. Gli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta
furono un periodo in cui valori tradizionali e progresso sui diritti

 V. DE GRAZIA, How Fascism Ruled Women, Berkeley, University of Caifornia

Press, , p. .


 Un maggior numero di donne era presente nel campo del lavoro. Ci furono donne

che si unirono ai Gruppi di Azione Patriottica (GAP), alle Squadre di Azione Patriottica
(SAP), o al Gruppo di Difesa Donna (GDD), e altre che entrarono a far parte della Repub-
blica di Salò. L’evidente ruolo attivo delle donne durante la guerra portò come conseguenza
l’ambìto riconoscimento dello stato giuridico, con l’accesso al voto nel .


GLI ASPETTI PSICOANALITICI DELLA POLITICA DELLA DIFFERENZA

lavorativi coesistevano. Solo alla fine degli anni Sessanta e negli anni
Settanta la discussione sul ruolo delle donne nella società si spostò
verso punti di vista filosofici che stabilirono un passaggio dal concetto
di emancipazione a quello di differenza sessuale. In questo nuovo
contesto l’idea di soggettività interconnessa al rapporto madre-figlia
iniziò ad essere sviluppata.
Dopo la Seconda Guerra mondiale l’UDI (Unione donne italiane),
organizzazione affiliata al Partito Comunista riuscì a centralizzare l’in-
teresse di un vasto e socialmente eterogeneo gruppo di donne. L’orga-
nizzazione era formata da donne che erano appartenute al Gruppo di
Difesa (partigiane durante la guerra) e includeva cattoliche e casalinghe,
con l’obiettivo di promuovere emancipazione e uguali diritti. Dopo la
nascita dell’UDI fu costituito anche il CIF (Centro italiano femminile),
un’organizzazione affiliata alla Democrazia Cristiana.
All’inizio degli anni Sessanta, i centri UDI mostravano un chiaro
segno di declino, con un decremento nel numero delle iscritte da
un milione del decennio precedente a circa duecento. Contempo-
raneamente si assisteva alla nascita di gruppi di donne interessati
principalmente alla politica della differenza sessuale. Il gruppo Demau
(acronimo per “Demistificazione dell’autoritarismo”) e il pionieristico
lavoro della sua esponente più conosciuta, Carla Lonzi, non solo se-
gnò un cambiamento nell’approccio al femminismo, ma gettò anche
le basi per lo sviluppo filosofico femminista degli anni successivi.
Nel loro manifesto, pubblicato nel , il gruppo Demau dichia-
rava il rifiuto di ogni tipo di “emancipazione” intesa a integrare le
donne nella società patriarcale, e di ogni forma di autoritarismo.

 La massiccia presenza delle donne nel campo del lavoro e specialmente nell’indu-

stria non rispecchiava un’accresciuta presenza femminile sulla scena politica, che rimaneva
invece molto marginale a confronto con il periodo dei primi anni della Repubblica, come
afferma LUISA PASSERINI in Storie di donne e femministe (Torino, Rosenberg e Sellier, ,
p. ). Nel  un significativo successo politico fu l’apertura alla carriera di magistrato
fino ad allora preclusa alle donne.
 Tuttavia l’UDI mantenne sempre una posizione subordinata rispetto al Partito

Comunista, tanto che persino i ruoli dirigenziali all’interno dell’UDI erano considerati
«una forma di esilio dal lavoro importante del partito». Cfr. J. HELLMAN, Journeys among
Women, Cambridge, Polity, , p. , trad. mia.
 L. PASSERINI, Storie di donne e femministe, cit., p. .


CAPITOLO PRIMO

Con motivazioni simili a quelle antesignane di Anna Maria Mozzoni,


il gruppo si opponeva a politiche lavorative protettive in favore delle
donne. Per la prima volta nella lotta verso l’emancipazione, il punto fo-
cale della questione femminile del secolo precedente veniva considerato
inadeguato e rifiutato in favore della politica della differenza sessuale.
Le donne del gruppo Demau rifiutavano di essere integrate in un
mondo dominato dall’uomo dove “donna” era ancora una categoria
intepretata secondo una prospettiva maschile. Autonomia e indipen-
denza, al contrario, erano viste quali fattori chiave che avrebbero
permesso alle donne di produrre nuovi valori in una società rinnovata.
Secondo il gruppo Demau, la mancanza di autonomia e indipenden-
za nel movimento delle donne avrebbe portato a due conseguenze
negative: il capovolgimento delle posizioni, con il dominio da parte
delle donne sugli uomini (matriarcato), o l’acquisizione da parte delle
donne di valori maschili (mascolinizzazione delle donne). Il mani-
festo auspicava l’emancipazione degli uomini, perché nella società
contemporanea agli uomini veniva negato il diritto di raggiungere
la maturità. Di conseguenza non era permesso loro di ottenere una
reale capacità di intendere le donne senza acquisire quelle qualità che
venivano disprezzate come femminili .
Il concetto di autonomia femminile come rifiuto dell’uguaglianza e
dell’emancipazione viene ripetuto nell’influente pamphlet di Carla Lon-
zi Sputiamo su Hegel, pubblicato nel . Lonzi definisce l’uguaglianza
come un inganno nascosto, o piuttosto come un concetto paternalista.
Infatti «l’uguaglianza è quanto si offre ai colonizzati sul piano delle
leggi e dei diritti. È quanto si impone loro sul piano della cultura».
Per l’autrice, l’uguaglianza enfatizza la subordinazione delle donne agli
uomini. Lonzi critica il movimento delle donne per aver dato priorità alla
discussione sull’oppressione, non mostrando interesse per la partecipa-
zione delle donne al potere. Lonzi accetta la necessità politica e giuridica
dell’uguaglianza, ma sottolinea che tale pratica sarebbe insufficiente
per le donne, perché rappresenta il rimedio del sistema patriarcale per

 GRUPPO DEMAU, Manifesto programmatico, in I movimenti femministi in Italia,

a cura di R. Spagnoletti, Roma, Savelli, , pp. -.


 C. LONZI, Sputiamo su Hegel, Milano, Rivolta femminile, , p. .


GLI ASPETTI PSICOANALITICI DELLA POLITICA DELLA DIFFERENZA

prevenire che le donne raggiungano il potere. Anticipando il pensiero


di Irigaray, Lonzi vedeva nella politica della differenza la base per la
costruzione di un mondo senza oppressioni. Giudica sfavorevolmente
il marxismo per non avere anteposto la critica della subordinazione
sessuale a quella classista. Il pensiero di Hegel corre un simile rischio.
Hegel rappresenta la relazione tra i due sessi come una dialettica tra lo
spirito femminile (essenziale nella famiglia) e lo spirito maschile (ne-
cessario nella comunità). Nella dialettica delle opposizioni è prevista
una risoluzione che permette di superare gli elementi oppressivi per
arrivare alla condivisione del potere. Invece, secondo Lonzi la dialettica
tra uomini e donne non può essere basata sull’opposizione schiavo-
padrone che Hegel anche analizzava, perché i sessi non sono formati per
contrasto ma sono strutturati su «un muoversi su un altro piano». La
differenza sessuale rende la struttura di Hegel inapplicabile alla famiglia
e alle relazioni tra i sessi, e le donne non potranno mai partecipare al
potere seguendo una dialettica delle opposizioni.
La stessa enfasi sulla differenza sessuale si trova nel manifesto
del gruppo Rivolta Femminile, fondato anche da Lonzi. Il manifesto
auspica il rifiuto di tutti i pensieri filosofici e le attività politiche che,
focalizzandosi sul «genere umano», e perciò sottomettendo la donna
all’essere umano, hanno contribuito all’oppressione delle donne.
Di conseguenza Rivolta Femminile stabilisce il bisogno dell’«autentici-
tà del gesto di rivolta». Carla Lonzi discute il concetto di “nulla” come
rifiuto di ogni pensiero autoritario precostituito e, di conseguenza,
come valido punto di partenza per le donne.
La critica all’autoritarismo portata avanti da Demau e da Rivolta
Femminile era tipica anche del movimento studentesco del , con
cui il movomento femminista interagì ampiamente. In quell’atmosfera
culturale, la critica della famiglia rappresentava un elemento cruciale
nel processo di sovversione della cultura dominante. All’interno del
movimento femminista la figura della madre veniva criticata per essere
conforme con il sistema autoritario; era vista come un elemento della
struttura patriarcale che il femminismo contestava.

 Ivi, p. .
 M.L. BOCCIA, L’io in rivolta, Milano, La Tartaruga, , p. .


CAPITOLO PRIMO

All’inizio degli anni Settanta questo atteggiamento nei confronti


della figura della madre fu sottoposta a un radicale cambiamento con
la diffusione della pratica dell’autocoscienza o presa di coscienza.
L’autocoscienza era stata importata grazie ad alcune femministe ita-
liane dall’America, dove aveva avuto origine durante gli anni Sessanta.
Era caratterizzata da piccoli gruppi, a volte di solo due persone, in cui
le donne parlavano delle loro esperienze e dei loro desideri, ricono-
scendo in questo l’importanza di esprimere se stesse all’interno di un
gruppo di donne. Rappresentava, come affermano gli autori di Non
credere di avere dei diritti, «una ricerca assoluta di sé nelle proprie
simili». Tale ricerca di identità veniva intesa come una ricerca del
proprio io-donna che era stato oppresso e manipolato dal patriarcato.
Il femminismo aspirava a far emergere questa specificità femminile.
Nei gruppi di autocoscienza la non risolta relazione con la madre spes-
so emergeva come un problema nella storia personale delle donne.
Si era assistito dunque a un cambiamento nell’approccio alla rela-
zione con la madre: dal rifiuto alla fine degli anni Sessanta, quando la
madre veniva vista come parte del sistema autoritario, alla figura della
madre come donna, vittima dell’oppressione come appariva nei gruppi
femministi dei primi anni Settanta. Nel femminismo italiano, gli anni
tra il  e il  segnarono uno spostamento di interesse verso la
psicoanalisi che anche determinò una rivalutazione della figura della
madre. Questo importante cambiamento segna lo spostamento da
una influenza americana evidente nella pratica dell’autocoscienza,
dove l’obiettivo della relazione tra donne era ottenere conoscenza
di sé e condividere esperienze, all’influenza dei gruppi femministi
e delle filosofe francesi, dove la base della relazione tra donne era

 In molte città italiane, all’inizio degli anni Settanta si formarono gruppi femmi-

nisti. Le città di Torino, Milano, Firenze, Trento e Roma erano tra le più attive. I gruppi
femministi in quel periodo erano piuttosto eterogenei; erano principalmente costituiti da
donne, ma era possibile una presenza, minore, di uomini. La composizione di tali gruppi
comprendeva persone di diverso indirizzo professionale interessate alla politica, gay e
lesbiche che contemplavano la necessità di separatismo. Caratteristica comune di tutti i
gruppi femministi del tempo era l’insistenza su un’attività politica specifica ai gruppi di
donne e quindi l’interesse al separatismo.
 LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, Torino, Rosen-

berg e Sellier, , p. .


GLI ASPETTI PSICOANALITICI DELLA POLITICA DELLA DIFFERENZA

una maggiore enfasi sulla differenza sessuale, concepita in termini


di psicoanalisi.
L’influenza francese in quel periodo era rappresentata dal gruppo
Psychanalyse et Politique. Dopo avere partecipato ad alcune riunioni
del gruppo francese, alcune femministe di Torino e Milano invitarono
le femministe francesi in Italia. L’atmosfera, la struttura e gli obiettivi
creati da Psychanalyse et Politique erano molto diversi da qualsiasi
esperienza dei gruppi femministi italiani. Come ricostruisce Maria
Schiavo in Movimento a più voci, le donne del numeroso Psycha-
nalyse et Politique trascorrevano gran parte del loro tempo assieme,
continuamente analizzando se stesse e le altre. Il punto focale di tale
approccio erano le contraddizioni vissute dalle donne stesse, e non
si teneva conto affatto della relazione con gli uomini. Il separatismo
era, in questo contesto, una forza vitale. Psychanalyse et Politique
metteva anche l’accento su un rapporto gioioso tra le donne come
fonte di energia positiva; il ballo, come linguaggio del corpo, era una
parte significativa delle loro riunioni.
Psychanalyse et Politique non aveva alcun interesse nell’autoco-
scienza o in una paritaria sorellanza tra donne. Le relazioni del gruppo
francese erano strutturate su una relazione verticale con il capo del
gruppo, invece di una relazione orizzontale tra uguali. Antoinette
Fouque era il leader riconosciuto e rispettato. Fouque aveva una po-
sizione autorevole nel gruppo sebbene spesso, durante le riunione, lei
non si mettesse affatto in luce. Era intensamente coinvolta all’interno
della psicoanalisi francese del periodo, in tal senso è sufficiente dire
che era in analisi sia da Lacan che da Irigaray.
La struttura relazionale verticale del gruppo era affine al modello
della relazione con la madre come donna di maggiore esperienza. La
madre non era più considerata una vittima del patriarcato, una donna
con la quale condividere le miserie femminili; al contrario era investita
di valori, conoscenza, esperienza e ricchezza psicologica. Nei suoi fre-
quenti riferimenti alla madre, Antoinette Fouque asseriva che le donne
hanno bisogno di stabilire una relazione primaria con la madre prima
che con il padre e dovevano relazionarsi alla donna che la madre era

 M. SCHIAVO, Movimento a più voci, Milano, Franco Angeli, , pp. -.


CAPITOLO PRIMO

stata prima dell’incontro con il padre. La madre, vista come donna,


era in tal modo liberata dai grovigli edipici della famiglia.
L’enfasi sulla psicoanalisi introduce un più marcato interesse ri-
guardo la sessualità e il corpo. La figura della madre era eroticizzata,
e la definizione di soggettività era arricchita dalla rilevanza del corpo
e della sessualità. Nel tentativo di riscoprire la madre, Psychanalyse
et Politique metteva in evidenza la relazione da loro denominata di
«omosessualità originale», interpretata come rapporto della figlia con la
madre in quanto relazione dello stesso sesso. Con l’intento di creare un
legame che evitasse costrizioni patriarcali dei ruoli, Antoinette Fouque
rifiutava sia il lesbismo che l’emancipazione. Il primo veniva criticato
per essere strutturato sulla base della relazione fallica tra uomini e donne
e per non riflettere la più positiva relazione tra donne rappresentata
dal gruppo Psychanalyse et Politique. La seconda veniva criticata per il
fatto di negare il corpo femminile, la sua capacità riproduttiva e la sua
specificità in modo da renderlo omologo alla cultura fallica.
L’approccio psicoanalitico si sviluppò anche in Italia e vi trovò
il suo ambiente più fertile, grazie all’enfasi del “partire da sé” e alla
valorizzazione dell’esperienza personale di ciascuna donna che aveva
caratterizzato il femminismo italiano. Ispirate dal gruppo france-
se, le femministe italiane valorizzarono la figura della madre come
centrale nel loro pensiero. In generale la pratica dell’autocoscienza
iniziò ad essere criticata poiché faceva emergere solo l’aggressivi-
tà maschile verso le donne e non considerava quella femminile, la
sua origine e la sua espressione. Tale cambiamento di interesse dette
origine al lavoro collettivo sull’inconscio, che ebbe luogo a Milano,
nel Collettivo di via Cherubini. Questa fase fu chiamata “pratica
dell’inconscio” e il suo manifesto pubblicato nella rivista «L’Erba
Voglio» nel . Luisa Muraro, il cui lavoro successivo sul Simbolico
della madre divenne determinante nel pensiero femminista degli anni

 Ivi, p. .
 Ivi, p. .
 Città come Milano furono più ricettive alla pratica psicoanalitica, mentre città

quali Torino, che vantava una lunga storia industriale, erano più legate alle attività dei
sindacati e ad un femminismo liberale, e non assorbirono lo spostamento verso le pratiche
psicoanalitiche.


GLI ASPETTI PSICOANALITICI DELLA POLITICA DELLA DIFFERENZA

Novanta, era tra gli autori del manifesto e una dei primi promotori
di tale pratica. Nella pratica dell’inconscio, come il gruppo milanese
affermava, la figura della madre e la relazione tra donne formavano
non solo una confortevole oasi di tranquillità, ma anche una metafora
per esprimere desiderio e sessualità. L’aggressività veniva vista come
desiderio inespresso. Seguendo l’esempio di Psychanalyse et Politique,
le femministe italiane dettero valore alla donna-madre: «pensare la
donna-madre a prescindere dal rapporto di filiazione». L’affinità di
approccio con il pensiero di Irigaray, con il suo concetto di madre
come donna, viene alla luce già in queste affermazioni.
All’interno della pratica dell’inconscio, i sentimenti di odio verso
la madre che si erano manifestati nelle discussioni di fine anni Ses-
santa, e le tensioni tra donne, palesi nei gruppi femministi, vennero
rifocalizzati sulla relazione primaria con la madre. La psicoanalisi
era vista come lo strumento per liberare le donne dalle costrizioni
imposte dal patriarcato; in questo quadro, la figura della madre era
il sito di un conflitto tra il suo rifiuto e la realizzazione della perdita
rappresentata da tale rifiuto.
Le donne che scelsero di prendere parte alla pratica dell’inconscio
stabilirono un rapporto privilegiato con un’altra donna del gruppo per
regolari incontri psicoanalitici a due. Secondo Lia Cigarini, una delle
fondatrici della Libreria delle donne di Milano e che ha successiva-
mente contribuito alla teorizzazione della pratica dell’affidamento e
del Simbolico della madre, questo rapporto privilegiato rappresentava
la prima forma embrionica della pratica dell’affidamento, sviluppatasi
agli inizi degli anni Novanta.
L’approccio psicoanalitico al rapporto con la madre segna l’inizio
della teorizzazione femminista sulla relazione madre-figlia che dove-
va divenire cruciale nei decenni successivi. Tuttavia, in quel periodo,
l’attenzione al rapporto madre-figlia non ricevette consenso unanime.
Carla Lonzi riconosceva l’importanza della relazione, ma era molto
critica della sua rilevanza nella pratica femminista. Per lei il rapporto

 FEMMINISTE MILANESI, Pratica dell’inconscio e movimento delle donne, «L’Erba

Voglio», -, -, p. .


 M. SCHIAVO, Movimento a più voci, cit., p. .


CAPITOLO PRIMO

madre-figlia rappresentava un falso rifugio cercato anche incosciamente


dalle femministe per sfuggire alla solitudine causata dalla frantumazione
del rapporto di dipendenza dall’uomo. Il gruppo Demau raggiunse
la crisi proprio sul tema della psicoanalisi e si disciolse. Tuttavia è ap-
propriato dire che la psicoanalisi ha aiutato le donne a ripensare la loro
soggettività, a partire dal proprio io incarnato. Come afferma Maria
Schiavo «[l]a psicoanalisi ci aveva aiutate a sottolineare la differenza
del nostro corpo, a trovare in esso anche il segno materiale della nostra
autonomia, anche di quella politica». Il corpo viene valorizzato come
base di un progetto politico in cui la differenza sessuale è la base per
l’aquisizione di una soggettività rigenerata.
Come dimostrano sia la pratica dell’autocoscienza che i gruppi
psicoanalitici, l’interesse del femminismo italiano si concentra sulla
pratica, cioè sull’analisi dell’esperienza delle donne. Il separatismo era
un modus operandi nel movimento femminista e stabiliva la relazione
tra donne come pratica necessaria per definire la soggettività delle
donne fuori dal patriarcato.
Nonostante le differenze, i gruppi femministi in Italia erano carat-
terizzati dall’attenzione alla pratica delle relazioni tra donne. Questo
rappresenta l’elemento chiave della teorizzazione all’interno del femmi-
nismo italiano dagli anni Settanta ai giorni nostri. Conseguenza diretta
di tale approccio è la preferenza per l’esplorazione delle esperienze di
ogni individuo, piuttosto che l’analisi delle donne come gruppo. Come
affermano Cavarero e Restaino, l’accento non è posto su una innata
somiglianza tra donne, ma sulla specificità di ogni donna e di ogni
relazione. Il senso di soggettività di ogni donna «si radica nella pratica
della relazione piuttosto che nella categoria della somiglianza».
Nella seconda parte degli anni Settanta, la legge sull’aborto () ha
rappresentato il momento di più alta tensione tra il femminismo politico e
il femminismo radicale, quest’ultimo comprendente femministe coinvolte
nella politica della differenza sessuale e in gruppi psiconalitici quali il

 M.L. BOCCIA, L’io in rivolta, cit., pp. -.


 M. SCHIAVO, Movimento a più voci, cit., p. .
 A. CAVARERO, F. RESTAINO, Le filosofie femministe, Torino, Paravia, , p. .


GLI ASPETTI PSICOANALITICI DELLA POLITICA DELLA DIFFERENZA

gruppo Col di Lana a Milano. La frizione e la mancanza di intese su tali


punti contribuì alla dissoluzione del movimento femminista.
Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, i grup-
pi femministi spostarono il loro interesse dall’attivismo ad attività
culturali e intellettuali. Furono creati centri culturali e biblioteche
specializzate in argomenti femministi, quali il Centro culturale “Vir-
ginia Woolf” a Roma, la Libreria delle donne di Torino, e la Libreria
delle donne di Milano.
All’inizio degli anni Ottanta uno sviluppo cruciale nell’elaborazione
del concetto del simbolico femminile e del simbolico della madre fu
rappresentato dal volume intitolato La madri di tutte noi – ma comune-
mente denominato Catalogo giallo dal colore della sua copertina –, pub-
blicato dalla Libreria delle donne di Milano e dalla Bilioteca di Parma.
Questo volume aveva la sua origine dal bisogno di cercare un linguaggio
che potesse significare ed esprimere la differenza sessuale che, a partire
dagli scritti di Carla Lonzi, aveva posto le basi della teorizzazione del
femminismo italiano. Il Catalogo giallo cercava di raggiungere questo
obiettivo analizzando le opere di alcune scrittrici riconosciute come
preferite dalle autrici del volume.
Il considerare il lavoro di scrittrici del passato valido e illuminan-
te per le donne del presente aveva un significato politico: le donne
stavano trovando un punto di riferimento in altre donne per dare
espressione alla loro esperienza. Indirettamente questo implicava che
le donne stavano riconoscendo le differenze tra loro, in quanto pote-

 Le donne di Col di Lana sostenevano la decriminalizzazione dell’aborto invece

che la sua legalizzazione perché ritenevano che il diritto all’aborto non fosse una vittoria
dal punto di vista femminista. Col di Lana sottolineava che il diritto della donna a decidere
sulla propria maternità potrebbe essere letto come il diritto delle donne a decidere sulla
loro “produzione” e obbligarle a porre la maternità come obiettivo di massa (LIBRERIA
DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, cit., p. ). Di conseguenza,
secondo Col di Lana, la legalizzazione dell’aborto semplicemente iscriveva di nuovo le
donne all’interno del ruolo riproduttivo.
 Durante quegli anni il terrorismo divenne una drammatica realtà in Italia e rag-

giunse il suo punto più intenso e tragico nel  con il rapimento e l’uccisione del leader
della DC Aldo Moro. Come ricorda LUISA PASSERINI in Storie di donne e femministe, alcune
donne furono coinvolte in atti terroristici, e altre passarono da gruppi femministi a gruppi
terroristici (pp. -). In questo caotico periodo della storia del paese, il coinvolgimento
entusiastico delle donne nei collettivi semplicemente scemò.


CAPITOLO PRIMO

vano affidarsi ad un’altra donna, più saggia, per mediare l’espressione


del loro essere:
La nostra ricerca di linguaggio era ricerca di mediazione sessuata. Ma questa
non si costituisce se la singola donna non ammette in pratica che un’altra sua
simile può possedere qualcosa che lei cerca per sé, e pretende invece di stare
alla pari con tutte.

Nel prendere a modello le scrittrici come figure autorevoli, le autrici


del Catalogo giallo sentirono il bisogno di riferirsi a loro con l’appellativo
di madri come nel titolo del volume. Tale riferimento, quasi istintivo, alla
madre come origine simbolica costituiva un punto di svolta nella storia
del femminismo italiano. La nozione della differenza sessuale veniva
ampliata grazie al concetto di madre come figura capace di possedere
una ricchezza a cui altre donne aspiravano. La valorizzazione della figura
della madre, che era stata promossa dal gruppo francese Psychanalyse
et Politique e che era stata assorbita in parte dalla pratica dell’inconscio,
acquisiva un valore simbolico come mezzo di significazione nel processo
di ricerca della soggettività delle donne.

Diotima e Luisa Muraro


La più conosciuta teorizzazione femminista della madre e della
differenza sessuale ha origine con il gruppo filosofico Diotima, for-
mato a Verona nel . Tra le sue fondatrici Luisa Muraro, Chiara
Zamboni e Adriana Cavarero (che successivamente, nel , si è
separata dal gruppo). Nei loro scritti emersero elementi che aveva-
no caratterizzato il gruppo francese Psychoanalyse et Politique e la
pratica dell’inconscio e che avevano trovato un esplicito esempio
letterario nel Catalogo giallo. Gli interessi teorici del gruppo sono la
valorizzazione della differenza sessuale e il primato dato alla relazione
tra donne, definita da Muraro come «omosessualità simbolica», in
cui l’interlocutore per la donna è sempre un’altra donna. Così come
Irigaray aveva criticato l’impossibile posizione delle donne nel pa-
triarcato come «altro del Medesimo», anche Diotima si riferisce al
concetto di “altro” nella teorizzazione della soggettività. In partico-

 LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, cit., p. .


GLI ASPETTI PSICOANALITICI DELLA POLITICA DELLA DIFFERENZA

lare Cavarero e Muraro esplorano questo aspetto. Cavarero prende


in considerazione la funzione del soggetto neutro nel discorso, per
condannare la subordinazione di un sesso all’altro. L’essere maschile,
dice Cavarero, può facilmente identificarsi con la parola “uomo” in
quanto generalizzazione di umanità, ma lo stesso processo diventa
inacessibile a una donna. Di conseguenza l’uomo può riconoscersi
nel soggetto neutro «proprio in grazia di quella mostruosità che fa
convivere nell’universale uomo un neutro e un maschio». Tale pro-
cesso lascia le donne prive della soggettività, perché un soggetto non
può definirsi in relazione ad un altro che si presenta «non già come
l’altro, ma come il tutto».
Per Muraro la ricerca della soggettività femminile può avere luogo
solo fra donne in quanto avere un punto di riferimento nella figura
maschile porterebbe le donne a perdere il proprio senso di sé. Muraro
segue la traiettoia di pensiero delineata nella pratica dell’inconscio,
e afferma:
M’importa qui soffermarmi su un altro punto [...] ed è il primato del rife-
rimento all’altra donna. Più precisamente: all’altro-donna, per dire che per
una donna, nella struttura di alterità costitutiva della soggettività, il posto
dell’Altro va assegnato solo secondariamente all’altro-uomo, pena lo smar-
rimento di sé.

La critica del soggetto neutro e la conseguente necessità di creare


un percorso per la soggettività femminile ha portato il gruppo Diotima
alla rivalutazione della figura della madre. Per definire il soggetto-
donna non sottomesso all’onnicomprensivo soggetto neutro maschile,
viene dato valore alla madre in quanto donna in posizione privilegiata.
L’opera di Diotima non ha come obiettivo la decostruzione della figura
della madre e della sua posizione nella società patriarcale, piuttosto,
mira all’enfatizzazione di prospettive che permettono nuovi signifi-
cati. È attraverso la madre che le donne possono raggiungere la loro
soggettività. Come le donne della Librearia di Milano scrivono in
Non credere di avere dei diritti, «[a]vendo liberato la nostra mente

 DIOTIMA, Il pensiero della differenza sessuale, Milano, La Tartaruga, , p. .


 Ibid.
 L. MURARO, in Mettere al mondo il mondo, Milano, La Tartaruga, , p. .


CAPITOLO PRIMO

dalla soggezione a un simbolico neutro, avevamo liberato la potenza


simbolica della figura materna. Non a caso le disparità fra noi erano
state nominate in rapporto alla madre».
Il cambiamento di approccio teorico alla soggettività coinvolgeva
una discussione della relazione con la figlia, che diventava centrale
nella teorizzazione della soggettività della donna. Negli anni Ottanta
e Novanta, il rapporto madre-figlia arrivò ad essere un argomento
di interesse generale. In varie parti d’Italia gruppi culturali quali il
Centro culturale “Virginia Woolf” di Roma e altri gruppi indipendenti
organizzarono conferenze e laboratori sulla discussione della relazione
figlia-madre. Allo stesso tempo l’argomento si è dimostrato un cataliz-
zatore nel far emergere il racconto delle donne attraverso la narrazione
autobiografica. Tale interesse è testimonianza del fatto che l’analisi
della relazione madre-figlia era di vitale interesse non solo per un
gruppo selezionato di studiose ma anche per molte donne in Italia.
Diotima ha tenuto viva la discussione sul simbolico della madre
anche in pubblicazioni successive, tuttavia il lavoro più cospicuo sulla
teorizzazione del rapporto madre-figlia in Italia si focalizza attorno
a Muraro e Cavarero. Muraro è meglio conosciuta per la sua teoria
dell’affidamento, pratica sviluppata all’interno del gruppo Diotima
e che l’ha condotta a una specifica analisi del materno in L’ordine
simbolico della madre (). La teoria dell’affidamento e del simbolico
della madre prendono in considerazione l’insieme degli elementi che
hanno caratterizzato il femminismo italiano: il simbolico, la lingua,

 LIBREARIA DELLE DONNE DI MILANO, Non credere di avere dei diritti, cit., p. .
 La racolta di interventi in seminari sul rapporto madre-figlia, quali quelli di Siena
() e Cagliari (), intitolati Madri e figlie: primo quaderno del seminario sul rapporto
madre e figlia (Siena, Centro Culturale Mara Meoni, ) e I luoghi dell’esperienza dell’im-
maginario e del simbolico nella relazione madre-figlia (Cagliari, La Tarantola Edizioni, )
testimoniano l’attivo contributo delle donne alla discussione della relazione madre-figlia
come il cuore dell’analisi femminista della soggettività delle donne.
 Il materno è stato esplorato in psicoanalisi da Silvia Vegetti Finzi. Il suo Il bambino

della notte è imperniato sulla relazione tra materno e creatività. Vegetti Finzi tuttavia non
analizza il rapporto madre-figlia. Nella sua interpretazione del mito di Demetra e Core,
ad esempio, preferisce soffermarsi sulla figura secondaria di Baubò, «la donna pancia»,
che lei interpreta come simbolo della creatività femminile (Il Mito di Demetra e Kore in
Dee fuori dal tempio, a cura di L. Ravasi Bellocchio, T. Villani e S. Vegetti Finzi, Milano,
Melusine, , pp. -).


GLI ASPETTI PSICOANALITICI DELLA POLITICA DELLA DIFFERENZA

la pratica e la teoria. Ida Dominijanni sintetizza magnificamente que-


sta interconnessione nell’introduzione al libro di Muraro Maglia o
uncinetto, uno studio sulla metafora e la metonimia:
Tutt’altro che pura decostruzione del posto delle donne [...] nell’ordine pa-
triarcale, come l’analisi del simbolico viene intesa in molta teoria femminista
angloamericana, la politica del simbolico si configura così nel femminismo
italiano della differenza come continua scommessa sul regime della dicibilità
e sul senso, in un gioco di rilancio che non ha limiti come non ha limiti la
creatività della lingua: o meglio della lingua materna, cioè di quella lingua che
non si arrende all’ordine mortifero del primato metaforico e mantiene vivo il
rapporto tra significato ed esperienza.

Dominijanni fa un paragone con il femminismo anglo-americano


e cita il modo in cui la soggettività delle donne viene interpretata
– cioè come decostruzione delle imposizioni e costrizioni a cui le don-
ne sono soggette in una società patriarcale. Il progetto del femminismo
italiano è, al contrario, più creativo, essendo basato sulla possibilità di
sviluppare un nuovo simbolico. Il linguaggio ha un ruolo importante
in questa creazione, non quando è usato per riferirsi ad un altro siste-
ma di significati, come è il caso della metafora, ma quando dà senso
alle esperienze, quando stabilisce un legame tra l’esperienza e il signi-
ficato, tra pratica e teoria. Questo sistema di significato che può essere
trovato nella metonimia, come sostiene Muraro, riflette i punti princi-
pali del femminismo italiano – vale a dire la rilevanza dell’esperienza
delle donne e il rifiuto della teoria come elemento trascendentale.
In Maglia o uncinetto infatti, Muraro critica il modo in cui la metafora,
con il riferirsi ad un altro sistema di immagini, perde il contatto con
l’immanenza, con l’esperienza e la pratica. La metafora viene perciò
interpretata come uno strumento del sistema patriarcale, in quanto,
come il patriarcato, dà preferenza al trascendentale maschile e svaluta
l’immanenza femminile.
Muraro, in questo modo, stabilisce un sofisticato discorso di
linguistica e filosofia che può essere ritrovato nel suo L’ordine sim-
bolico della madre. Il suo lavoro sul simbolico della madre e sull’af-
fidamento, sebbene offra prospettive socio-simboliche, è in verità

 I. DOMINIJANNI, La parola del contatto, in L. MURARO, Maglia o uncinetto, Roma,

Manifestolibri, , p. .


CAPITOLO PRIMO

basato sull’analisi del linguaggio. In un’intervista con Muraro, Ida


Dominijanni obietta alla critica spesso fatta al simbolico della madre
– ovvero di sostituire la madre al padre. Al contrario, afferma Domi-
nijanni, il simbolico della madre mette in luce la contiguità, e perciò
la relazione metonimica, tra lingua e corpo, esperienza e abilità di
linguaggio, perché è infatti una teoria socio-simbolica che elabora un
nuovo simbolico attraverso la relazione tra donne.
Ne L’ordine simbolico della madre, Muraro afferma che la madre
è la persona da cui impariamo a parlare e per questo motivo «l’au-
torità della lingua [è] inseparabile da quella della madre». Come
lei stessa riconosce, Muraro è infuenzata dalla teoria del linguaggio
di Kristeva. Per Kristeva la potenza del materno è contenuta nel-
la chora, definita come «nutriente e materna». Il concetto della
chora come potenza materna è alla base della teoria di Muraro del
simbolico della madre, dato che per Muraro la madre è l’origine del
linguaggio. Muraro mira a riconoscere i valori di cui la madre è stata
privata. Infatti a suo avviso, sia il femminismo che il patriarcato hanno
causato una svalutazione della figura della madre, il secondo in ma-
niera diretta e il primo denunciando «le miserie delle nostre madri».
Per controbilanciare tale mancanza di riconoscimento, Muraro ela-
bora una struttura, l’affidamento, che permette alle donne di ricon-
quistare l’ordine simbolico della madre.
Una volta che una donna ha riconosciuto l’importanza del simbolico
femminile deve scegliere una donna di cui ha fiducia. Quella donna può
essere la sua propria madre, ma anche un’altra donna, o diverse donne.
La donna scelta sarà la madre simbolica, e il processo di affidamento
inizia. In questa relazione la figlia è l’agente, perché è la figlia che, sce-
gliendo l’altra donna, le conferisce l’autorità che altrimenti non avrebbe.
L’autorità non è da confondere con il potere, ed è relativa alla fiducia
che le altre conferiscono ad una donna per la capacità di essere una
guida grazie alla sua maturità di giudizio o alla sua maggiore esperienza.

 I. DOMINIJANNI, La madre dopo il patriarcato, «Il manifesto»,  ottobre , p. .


 L. MURARO, L’ordine simbolico della madre, Roma, Editori Riuniti, , p. .
 J. KRISTEVA, Revolution in Poetic Language, New York, Columbia University Press,
p. .


GLI ASPETTI PSICOANALITICI DELLA POLITICA DELLA DIFFERENZA

Il rapporto di affidamento arricchirà la donna con minore esperienza o


più debole, e la condurrà a definire la propria soggettività.
L’affidamento rafforza la rilevanza della pratica delle relazioni
tra donne, che è sempre stata l’interesse principale del femminismo
italiano. La pratica delle relazioni tra donne è venuta a rappresentare
un mezzo per destabilizzare il patriarcato, perché ristabilisce un rap-
porto di arricchimento che enfatizza la base relazionale della politica
che ogni donna può contribuire a creare con le sue esperienze. Come
affermano Cavarero e Restaino, l’affidamento denota, oltre alla teoria
della soggettività, una più ampia critica del patriarcato:
La questione del soggetto e della sua costruzione, sia collettiva che individuale,
viene qui soppiantata dalla questione della relazione in quanto pratica capace,
allo stesso tempo, di destrutturare l’ordine simbolico patriarcale e di struttu-
rare un ordine simbolico femminile nel quale la significazione della singola si
genera nel rapporto con l’altra.

Nonostante le intenzioni di presentare l’affidamento come mo-


dello di disparità nella sua opposizione a ogni senso di identificazio-
ne e di una indifferenziata relazione tra donne, la sua struttura ha
generato critiche sia nel panorama femminista italiano che al di fuori
dell’Italia. Al cuore della critica c’è il rapporto gerarchico che pone
la madre simbolica all’apice della relazione, producendo in questo
modo l’impressione che la madre sia la sostituta del Padre lacaniano,
senza una critica oggettiva della struttura stessa. Lucia Re evidenzia
il rischio di autoritarismo inerente alla pratica dell’affidamento, e
critica in particolare la distinzione tra autorità e autoritarismo deri-
vante dall’analisi di Diotima. Il discorso costruito da Diotima sembra
attribuire alle donne un senso di autorità che dà accesso alla cono-
scenza e al linguaggio materno, mentre gli uomini sono associati al
potere. Anche opinabile è la posizione di autorità conferita dal

 La relazione di affidamento somiglia alle relazioni tra donne tipiche della pratica

dell’inconscio degli anni Settanta. La stessa Muraro era tra le femministe che promossero
quella pratica in Italia, e particolarmente a Milano.
 A. CAVARERO, F. RESTAINO, Le filosofie femministe, Torino, Paravia, p. .
 L. RE, Diotima’s Dilemmas: Authorship, Authority, Authoritarianism, Italian

Feminist Theory and Practice, a cura di G. Parati, R. West, Madison Teaneck, Fairleigh
Dickinson University Press, , p. .


CAPITOLO PRIMO

gruppo a Luisa Muraro e, tuttavia, mette in evidenza Re, si svilup-


pa un concetto di soggettività relazionale che sfida una tradizionale
soggettività autonoma.

Adriana Cavarero
Il materno e il rapporto madre-figlia sono stati argomenti analizzati
anche da Adriana Cavarero. La critica di Cavarero al patriarcato, in
modo simile a quello di Irigaray, prende in considerazione l’atto del
matricidio con cui i filosofi hanno annichilito il potere generativo della
madre. Secondo Cavarero, infatti, gli esseri umani sono limitati e definiti
dall’idea di morte, come è dimostrato anche dalla parola “mortali”, sino-
nimo di esseri umani. Cavarero sostiene che enfatizzando il concetto di
nascita, come fa Hannah Arendt, si offre una prospettiva rivoluzionaria
che permette un rovesciamento della struttura filosofica occidentale.
Cavarero legge il mito di Demetra e Core concentrandosi sulla
rivalutazione del potere generativo materno da una parte, e sulla
visibilità della relazione madre-figlia dall’altra. Secondo Cavarero,
l’interruzione dello sviluppo della natura imposto da Demetra è una
manifestazione del potere generativo della madre distaccato dalla
mera funzione riproduttiva. Demetra è il simbolo della potenza
materna di generare e anche di non generare – o nelle parole di
Cavarero, «potenza assoluta [...] che custodisce il luogo umano del
venire al mondo ma anche il nulla come [...] la fine del continuum
materno e simbolicamente del mondo».
Nell’interpretazione di Cavarero del mito di Demetra e Core, la
negazione della nascita come potenza materna è perpetrata attraverso
l’interruzione dello sguardo reciproco tra madre e figlia. È interessante
che Cavarero interpreti l’allontanamento della figlia dalla madre non
come interruzione di una unità idillica, ma come l’interruzione dello
sguardo reciproco attraverso cui madre e figlia possono riconoscere
se stesse come donne e che è, come tale, dotato di potere materno.

 Ivi, p. .


 A. CAVARERO, Nonostante Platone, Roma, Editori Riuniti, , p. .
 Ivi, p. .


GLI ASPETTI PSICOANALITICI DELLA POLITICA DELLA DIFFERENZA

In Cavarero la «reciprocità di sguardi» mette in evidenza l’unicità di


ogni donna; di conseguenza l’essere figlia non assume il significato di
una fase imperfetta e parziale verso la maternità. La relazione tra le
due donne è determinante in virtù del fatto che ognuna prende parte
egualmente nel riconoscimento e nell’interazione con l’altra.
Nell’interpretazione di Cavarero, il generare non viene inteso
come destino della donna, ma piuttosto si enfatizza il corpo materno
come quello che dà significato all’esistenza umana. La relazione tra
madre e figlia è il mezzo che permette lo sviluppo della natura e del
mondo. Di conseguenza, il potere materno non viene inteso come
un particolare attributo onnipotente esclusivo alla figura materna;
piuttosto è sostenuto dalla relazione reciproca tra madre e figlia, in cui
il ruolo di donare non è solo della madre. Questa relazione reciproca
tra donne echeggia le parole di Irigaray:
dobbiamo dire addio all’onnipotenza materna (l’ultimo rifugio) e stabilire
una relazione di reciprocità donna-donna con le nostre madri, in cui loro si
possano anche sentire nostre figlie.

Chiaramente l’interpretazione della relazione data da Cavarero è


in contrasto con quella più univoca elaborata da Muraro nella pratica
dell’affidamento; infatti Cavarero non impone un percorso al recupero
della madre da parte della figlia. Tuttavia, entrambe le interpretazioni
sottolineano l’idea di una genealogia di donne che attraverso la mutua
relazione crea significato e, perciò, ordine simbolico. La soggettività

 Non è sorprendente dunque, che l’interpretazione che Cavarero fa della reci-

procità di sguardi di Demetra e Core, rassomigli a un’interpretazione metaforica della


relazione madre-figlia quale quella evidente nell’analisi di Dickinson fatta da Adrienne
Rich (Nato di donna). Come Demetra e Core nell’analisi di Cavarero, Rich e Dickinson
appaiono unite da un sottile e indistruttibile legame. La creatività di Rich si basa sul
forte legame che le permette di riconoscere in Dickinson la madre, la figlia, la sorella;
a Dickinson vengono conferite nuove dimensioni e nuove vite attraverso le interpretazioni
di Rich. In modo simile, Demetra manifesta il suo potere generativo attraverso il legame
con sua figlia, mentre Core può percepire in se stessa il potere generativo materno solo
mantenendo la reciprocità di sguardi con la madre. Sia nel mito di Demetra e Core che
nello studio di Dickinson fatto da Rich, la struttura della relazione madre-figlia non è mai
di possesso ma di differenza e arricchimento.
 L. IRIGARAY, The Irigaray Reader, cit., p. .


CAPITOLO PRIMO

relazionale è il tratto maggiormente distintivo sia del pensiero di


Muraro che di Cavarero, come lo è anche del gruppo Diotima.
Le teorie di Muraro e Cavarero hanno elementi simili alla filo-
sofia di Irigaray, non solo per la sua innegabile influenza sulle loro
teorizzazioni, ma anche per il modo in cui il femminismo italiano si è
sviluppato. L’enfasi sul pensiero della differenza, anticipato da Carla
Lonzi, ha portato alla ricerca della relazione tra donne come base
della ricerca di un simbolico femminile, che permetta alle donne di
essere soggetti. Sia Irigaray che il femminismo italiano si allontanano
dalla maternità per stabilire una discussione sull’essere donna dove
la madre è parte della ristrutturazione dell’immaginario femminile,
e criticano il linguaggio come sistema che previene l’esistenza del
soggetto incarnato femminile.
L’analisi letteraria che segue mostra l’interesse delle autrici di
ritrarre un legame figlia-madre che miri a ricostruire un senso di sog-
gettività per la figlia narratrice. Ne emergono i tentativi di raffigurare
il legame figlia-madre al di fuori da schemi patriarcali, in particolare
evocando immagini del corpo. L’analisi inizia con lo studio di Elsa
Morante, una scrittrice cara alle femministe italiane che lavorano sulla
politica della differenza; infatti Morante fu l’unica scrittrice italiana ad
essere inclusa in Le madri di tutte noi. Inoltre, è ancora più rilevante
che l’espressione rivoluzionaria dell’amore per la madre, manifestata
dal personaggio di Elisa in Menzogna e sortilegio sia fondamentale
per la comprensione e lo sviluppo del legame figlia-madre, diventato
cruciale sia in letteratura che nell’analisi teorica.


II
MENZOGNA E SORTILEGIO DI ELSA MORANTE:
IL LEGAME INCORPOREO

Menzogna e sortilegio e i critici


La ricezione di pubblico e critica dei romanzi di Elsa Moran-
te spesso non è stata omogenea. Le divergenze di opinioni furono
particolarmente evidenti alla pubblicazione, nel  del suo primo
romanzo, Menzogna e sortilegio. In quell’occasione alcuni critici ap-
plaudirono alle sue capacità, considerandole, come riporta Gaetana
Marrone, «“cosa rara” in una donna». Altri critici come Pampaloni e
Calvino, in tono meno misogino, apprezzarono l’abilità della scrittrice
nello sviluppare un romanzo di ampia complessità, in contrasto con
il discorso letterario dominante che preferiva il racconto breve. Altri
ancora commentarono che il Premio Viareggio conferito a Menzogna
e sortilegio riconosceva «più la pazienza che la vocazione».
Indubbiamente il romanzo presentava elementi inusuali, che lo
rendevano di difficile analisi. Natalia Ginzburg, a cui Morante aveva
mandato il manoscritto, ricorda il momento in cui ne lesse i titoli
dei capitoli:

 G. MARRONE, Elsa Morante e la problematicità della critica, «L’anello che non


tiene: Journal of Modern Italian Literature», -, , p. .
 Pampaloni scrive: «è un libro che resiste, e anzi fa un certo vuoto intorno a sé, fa
invecchiare parecchie recenti esperienze di racconto», citato in E. MORANTE. Opere, a cura
di C. Cecchi, C. Garboli, Milano, Mondadori, , p. . Calvino inizia la sua recensione
affermando: «In tempi in cui le sorti della narrativa italiana sembrano legate a quelle del
“racconto lungo” altrimenti detto “romanzo breve”, siamo contenti d’annunciare che abbia
vinto il premio Viareggio un bel romanzone italiano», E. MORANTE, Opere, cit., p. .
 G. MARRONE, Elsa Morante e la problematicità della critica, cit., p. .


CAPITOLO SECONDO

Nel ’, credo nell’inverno, mi arrivò una lettera di Elsa Morante. Mi diceva
che aveva appena finito un romanzo e mi chiedeva se me lo poteva mandare.
Io abitavo allora a Torino e lavoravo nella casa editrice Einaudi [...]. Cosí
ebbi il dattiloscritto di Menzogna e sortilegio: lo ricevetti per posta. C’erano
correzioni a mano, in inchiostro rosso. Ricordo con quanto stupore lessi i titoli
dei capitoli, perché mi parve un romanzo d’un’altra epoca.

Le prime recensioni, confluendo in «un tono di sufficienza», ingi-


gantirono la prima impressione di perplessità e sorpresa manifestata
da Natalia Ginzburg per lo stile fuori moda del romanzo.
Sin dalla sua pubblicazione, la critica al primo romanzo di Mo-
rante sembrò seguire due filoni principali. Molti critici hanno messo
in evidenza la dimensione fantastica e immaginativa di Menzogna e
sortilegio; hanno sottolineato una tensione, a livello linguistico e nella
costruzione dei personaggi, tra il reale e il non-reale, e hanno enfatiz-
zato la qualità quasi ipnotica del romanzo, o, come Cecchi e Garboli
scrivono «il fantasticare estatico e come drogato» della scrittura mo-
rantiana. Altri critici quali Barberi Squarotti e Lukács incentrarono la
loro analisi sull’aspetto sociologico del romanzo, che considerarono
una critica della classe medio-bassa dell’Italia meridionale.
Tuttavia la recezione dell’intera produzione della scrittrice fu
caratterizzata da un’equivoca posizione tra i critici, particolamente
coloro che miravano a definire la sua scrittura all’interno di filoni
letterari. Anche la risposta femminista alla produzione di Morante
è stata ambivalente. Negli anni Settanta e Ottanta la critica fem-
minista aveva manifestato disappunto per la mancanza di forti ed
esemplari personaggi femminili nella sua narrativa; ma il disappunto

 C. GARBOLI, Introduzione in E. MORANTE Menzogna e sortilegio, Einaudi, Torino,


, p. XVII.
 C. CECCHI, C. GARBOLI, in E. MORANTE, Opere, cit., p. .
 M. BOSELLI, Da storia della menzogna alla menzogna della storia, «Nuova corrente»,

, , pp. -.


 C. CECCHI, C. GARBOLI, in E. MORANTE, Opere, cit., p. .
 G. MARRONE, Elsa Morante e la problematicità della critica, cit., p. .
 S. LUCAMANTE, S. WOOD, Under Arturo’s Star: The Cultural Legacies of Elsa Mo-
rante, West Lafayette (IN), Purdue University Press, , p. .
 Ivi, pp. -.


MENZOGNA E SORTILEGIO: IL LEGAME INCORPOREO

nasceva anche per la nota posizione antifemminista della scrittrice.


Nonostante ciò, come già riportato, Morante è l’unica scrittrice ita-
liana selezionata dalle donne che, in Le madri di tutte noi (il primo
volume della Libreria delle donne di Milano sulle madri simboliche,
pubblicato nel ) stavano esplorando la loro soggettività e i modi
di esprimere la loro differenza.
In tempi più recenti, l’interesse e il favore della critica si sono
manifestati con maggiore stabilità. La narrativa di Elsa Morante è
stata studiata per la sua rilevanza in relazione alla scrittura di autri-
ci contemporanee. Adalgisa Giorgio, nella sua analisi del rapporto
madre-figlia, sostiene che, sebbene Menzogna e sortilegio non crei lo
«spazio della comunicazione intersoggettiva» tra madre e figlia che
invece è possibile individuare nei romanzi contemporanei, tuttavia
offre «una rappresentazione paradigmatica» dell’amore ossessivo per
la madre e del senso di perdita e isolamento della figlia, rintracciabile
in alcuni romanzi degli anni Novanta.
Stefania Lucamante e Sharon Wood in Under Arturo’s Star ()
hanno messo in evidenza la rilevanza che Morante ha assunto per
le ultime generazioni di scrittrici, grazie al suo rapporto non con-
venzionale e di rottura con l’establishment e la società borghese.
In A Multitude of Women (), Lucamante sviluppa ulteriormente
tale argomentazione e posiziona Morante come «madre letteraria»
di un gruppo di scrittrici contemporanee. Lucamante seleziona un
coerente gruppo di scrittrici che, nonostante le loro profonde diffe-
renze, fa riferimento alla scrittura di autrici del passato. In questo
modo Lucamante contesta il concetto di «unicità» isolata spesso at-
tribuita alle scrittrici e alle loro opere. Lucamante analizza i romanzi
di Mariateresa Di Lascia, Elena Ferrante e Simona Vinci, mettendone
in evidenza gli elementi di intertestualità. Tuttavia, come la studiosa
correttamente sottolinea, è difficile asserire che Morante mirava ad
essere «didattica, etica ed emancipazionista» dato che tutti i suoi

 In questo senso Morante condivideva le idee di un’altra ben conosciuta scrittrice

del tempo, Anna Banti, che, anche pubblicamente, aveva espresso la sua opposizione al
femminismo.
 A. GIORGIO (a cura di), Writing Mothers and Daughters, cit., p. .


CAPITOLO SECONDO

«personaggi sono oppressi», e non riescono in un aspetto o l’altro


della loro vita. Questa affermazione è valida per l’intera produzione
morantiana ed in particolare per Menzogna e sortilegio.
Non solo Morante può essere considerata una madre letteraria
per le presenti generazioni di scrittrici, ma la maternità è un tema ri-
corrente e distintivo della sua scrittura. Menzogna e sortilegio è l’unico
romanzo di Morante centrato sulla relazione figlia-madre; nei romanzi
successivi è la relazione figlio-madre ad assere il punto focale della
trama familiare. Menzogna e sortilegio offre la rappresentazione di un
mondo femminile che cattura l’immaginazione della figlia-narratrice,
Elisa. Le figure maschili, importanti nella dinamica di genere della
società patriarcale rappresentata, sono personaggi deboli; quando
Elisa li dipinge come amabili e adorati, invece, – si veda il caso
di Edoardo – sono il puro riflesso del suo amore per la madre,
l’espressione del desiderio di condividere con lei l’oggetto del suo
amore e della sua ossessione.
In questo mondo prettamente femminile, Elisa cerca di dare senso
a se stessa. È la sua una ricerca di identità che la porta a raccontare
la storia di tre generazioni e a confrontarsi con il più grande amore
della sua vita, quello per la madre, Anna. La celebrazione di Elisa per
la madre produce una piccola rivoluzione perché sovverte il dogma
patriarcale del rifiuto della madre che era stato riconfermato dalla due
generazioni di donne a lei precedenti e dal valore da loro attribuito
all’essere donna e madre.

La maternità e la relazione madre-figlia: Cesira e Anna


Dopo la scomparsa dell’amata madre biologica e successivamente
della madre adottiva, la figlia-narratrice ri ritrova sola e disorientata.
Nel suo triste isolamento Elisa inizia a ricordare gli eventi della sua
vita e la storia della sua famiglia. Tuttavia, la maggior parte della nar-
razione si riferisce a eventi che ebbero luogo prima della sua nascita,
dato che il racconto della saga familiare inizia con la descrizione

 S. LUCAMANTE, A Multitude of Women: The Challenges of the Contemporary Italian

Novel, Toronto, University of Toronto Press, , p. .


MENZOGNA E SORTILEGIO: IL LEGAME INCORPOREO

della nonna materna di Elisa, Cesira, e della sua relazione con “sua”
figlia, Anna.
Cesira è una donna amareggiata e insoddisfatta della vita così come
lo sarà sua figlia. Entrambe hanno in comune un matrimonio infelice e
l’incapacità di amare le figlie. Inoltre, Cesira ed Anna, da figlie, godono,
diversamente da Elisa, di un affettuoso e buon rapporto solo con i loro
padri, mentre disprezzano le madri da cui non sono amate.
In questo romanzo, Cesira è la prima portatrice della patologia
femminile che divide madri e figlie. Ambiziosa, e sprezzante del-
le sue umili origini, la nonna di Elisa fantastica su un suo naturale
destino nella società aristocratica. Al contrario, il suo matrimonio
con Teodoro, con il quale sogna di realizzare il sogno di benessere e
prosperità, la conduce alla povertà. Infatti, solo poco dopo le nozze,
Cesira scopre che il suo anziano sposo è profondamente indebitato.
Una volta infranto il suo ingenuo entusiasmo iniziale, che l’aveva
portata a dare per scontato che le origini aristocratiche di Teodoro
fossero sinonimo di vera ricchezza, il suo preteso amore e affetto
lasciano il posto all’amarezza e alla rabbia. Neanche la nascita di una
bella figlia, Anna, placa il suo risentimento.
Cesira è la più ostile e ingrata immagine di donna nel romanzo.
Si noti che Morante non dà alcuna enfasi al lavoro professionale di Ce-
sira e al fatto che, oltre ad Alessandra, è l’unica donna lavoratrice del
libro. Cesira è un’insegnante che ha costantemente lavorato durante
tutta la vita: prima di incontrare Teodoro; durante il matrimonio per
poter far fronte ai debiti del marito; dopo la morte di lui, per sostenere
la figlia diciottenne. Questo lato del personaggio viene piuttosto sot-
tovalutato nel testo; il suo ritratto negativo è, di conseguenza, legato
alla critica del suo ruolo di madre e moglie.
In età anziana, quando vive con la famiglia della figlia, Cesira è
una presenza spettrale. Senza sentimenti, attaccata ai pochi beni ma-
teriali, è quasi ossessionata dai dettagli della sua immagine, come ad
esempio l’attenzione che dedica ai suoi scarponcini che lucida e calza

 E. MORANTE, Menzogna e sortilegio, cit., p. . I successivi riferimenti al romanzo

sono indicati in parentesi nel testo.


CAPITOLO SECONDO

quotidianamente. È descritta come una «parassita e [...] intrusa» e


chiamata «la vecchia». Nel condominio dove viveva con suo marito
e la figlia, i vicini la chiamavano «strega» (p. ).
Nell’ultima parte della sua vita, si acuiscono incomprensione e
odio nella relazione con la figlia. Anna la esclude da qualsiasi deci-
sione familiare, e Cesira reagisce a questa situazione con la sua forma
di protesta passiva, cioè il silenzio ostinato. Il continuo scambio di
vessazioni tra madre e figlia raggiunge il punto estremo nella scena
della maledizione di Cesira:
Di solito, ella se ne stava muta per ore ed ore, e il suo viso dai tratti regolari,
dritto contro l’angolo, pareva di sfinge. Una volta mia madre, esasperata dal
suo contegno, le disse ciò che tante volte mormorava in disparte, e cioè: “Pensa
che non sei padrona di niente, neppure dell’aria che respiri, e che devi agli
altri anche il minimo boccone che porti alla bocca!” A questo mia nonna si
alzò dalla sedia e agitò convulsamente la testa, con un sorriso stregato: “Ah, ti
maledico!” disse a mia madre con voce acuta e piena di spasimo, “ricordati, è
tua madre che ti dà la maledizione. Ascolta, Dio, la maledico”. (p. )

In questa descrizione il prolungato rifiuto di parlare è paragonato a


quello della sfinge, in modo da rendere chiara la mancanza di umanità
dell’anziana donna. Questo tratto è di nuovo sottolineato attraverso il
parallelismo con la strega – «sorriso stregato» – che ha la funzione di
anticipare la maledizione, e di trasformare allo stesso tempo la madre,
appunto, in una strega in vista dell’ultima spaventosa punizione.
L’avversione tra madre e figlia cresce reciprocamente e progressi-
vamente sin dall’infanzia di Anna. Per Cesira, Anna da bambina non è
altro che un peso, un’ulteriore causa di infelicità. La mancanza di amore
materno allontana Anna da Cesira, legandola al padre. Una palese dico-
tomia emerge tra l’amabile e amato padre e l’amara e gelida madre (p. ).
La difficile relazione tra madre e figlia è anche acuita dalla rivalità basata
su stereotipici concetti patriarcali, evidenti quando Cesira paragona il
suo corpo anziano alla florida bellezza della figlia adolescente:

 Un’identica descrizione di un’anziana, ingrata donna, di aspetto fisico simile a

quello di Cesira, e anche ossessionata dai suoi scarponcini, appare in La nonna () uno
dei primi racconti di Morante.
 L’episodio della maledizione della madre non era nuovo nella narrativa moran-

tiana, infatti era già stato descritto in Il ladro di lumi, uno dei suoi primi racconti.


MENZOGNA E SORTILEGIO: IL LEGAME INCORPOREO

[A] volte nella negligenza del sonno, le sue giovani membra si scoprivano,
e la loro bellezza nascente era tale da non parere impudica, anche se nuda.
Una simile fiera bellezza, opposta alla femminea fragilità che aveva fatto un
tempo, la grazia di Cesira, ispirava a quest’ultima ammirazione e rispetto.
Spogliandosi o rivestendosi in presenza della figlia, ella, presa da una timida
vergogna, cercava di nascondere agli occhi di lei le proprie membra appassite.
Il suo corpo s’era smagrito eccessivamente [...] simile fragilità, però, non era
come prima, graziosa, bensí soltanto triste. (p. )

La bellezza del corpo di Anna viene espressa indirettamente attra-


verso il paragone con il corpo di Cesira, più che attraverso una propria
descrizione. In questo brano i corpi di Anna e Cesira sono ritratti in
opposizione, dove la «bellezza nascente» di Anna corrisponde alle
«membra appassite» di Cesira; la «fiera bellezza» di Anna ricorda
a Cesira la sua «fragilità [...] triste». La bellezza della figlia suscita
«ammirazione» e provoca «vergogna». Questa opposizione semantica
di attributi mette in evidenza il contrasto tra l’ammirata, bella, giovane
figlia e l’anziana madre piena di vergogna, e riflette allo stesso tempo
un concetto patriarcale di bellezza femminile. La relazione conflittuale
tra madre e figlia si conforma al tradizionale cliché patriarcale che
lega bellezza a giovinezza, e genera una rivalità tra donne basata sulla
bellezza. Questo viene esplicitato dalla narratrice che afferma:
E la stessa ammirazione per la bellezza di lei fu, almeno nei primi tempi,
mescolata d’invidia [...]. “Non credere,” le diceva, “perché sei bella, d’avere
in pugno il mondo. Io ero più bella di te,” mentiva con millanteria disperata,
“e vedi come sono ridotta”. (p. )

Tale dimensione antagonistica viene presentata all’interno di uno


schema eterosessuale dal quale scaturisce l’interesse di suscitare le
attenzioni di un uomo, come è il caso della relazione amorosa tra
Edoardo e Anna. Infatti, alla fine della loro relazione, quando l’or-
gogliosa Anna cerca di nascondere risentimento e tristezza per la
fine della storia, l’atteggiamento di Cesira verso di lei fa emergere
esplicitamente la sua meschina gelosia per il rapporto di Anna con il
giovane uomo. Un chiaro senso di rivalità tra donne dettato da schemi
eterosessuali diviene evidente:
Si sarebbe detto, a sentirla, che Cesira provasse una perfida gioia per la delusio-
ne di Anna [...] il tradimento di lui l’aveva amareggiata non poco, soprattutto
per la soddisfazione che ne proverebbero i vicini. A tale scottante amarezza,


CAPITOLO SECONDO

però, si mescolava il vago, maligno trionfo d’una donna che ha mancato la


propria vita sentimentale, e assiste alle sconfitte d’un’altra donna. (p. )

La distante e difficile relazione tra Cesira e Anna sottolinea un rap-


porto tra donne problematico che non è solo un conflitto di personalità.
La trasformazione del giovane corpo della figlia in antagonista della
madre è un segno della dominante visione patriarcale che colpisce le
percezioni di sé delle donne. Il concetto di Immaginario di Lacan e la
reinterpretazione di Irigaray possono chiarire questo punto.
L’Immaginario lacaniano è lo stadio in cui l’individuo percepisce il
primo senso di sé. Sebbena illusoria, questa percezione è resa possibile
grazie alla fase dello specchio, in cui il bambino vede la prima imma-
gine del suo corpo, percepita come Gestalt, un’immagine coerente e
completa, un prodotto del senso visivo. L’immagine del corpo che il
bambino vede nello specchio, la Gestalt, rappresenta per il bambino
l’ideale immaginario di sé, sebbene il fatto che questo ideale sia un
riflesso implica che il bambino percepisce l’ideale senso di sé come
alienato in un altro. Anche se lo stadio dello specchio non fornisce una
conoscenza razionalizzata o l’acquisizione di un senso di sé, che può
avvenire solo nel Simbolico, il corpo immaginario dirige il soggetto
verso il concetto di quello che sarà la perfetta soggettività.
Lo specchio viene concepito da Lacan come mero oggetto specu-
lare, ma può anche essere interpretato come una persona che riflette
al bambino la propria figura, ed è spesso associato con la madre per il
suo tradizionale ruolo di nutrice principale. Lo stadio dello specchio
è la fase dell’identificazione, quando l’identificazione con l’altro ha
come risultato la prima forma di identificazione dell’io. Il corpo, di
conseguenza, acquisisce significato sia come parte della definizione
dell’io sia per il suo significato in relazione agli altri.
Il corpo Immaginario infatti, non è un corpo meramente biologi-
co, ma un corpo investito della fantasia e dei significati degli altri, e
racchiude in questo modo l’anatomia del bambino vissuta dagli altri
individui e dalla cultura. L’immagine corporea è carica di affetto, e
l’identificazione con l’immagine è di conseguenza non cognitiva, ma
emotiva. Lacan deriva questo punto da Schilder, il quale sottolinea

 C. VASSELEU, The Face before the Mirror-Stage, «Hypatia», , , p. .


MENZOGNA E SORTILEGIO: IL LEGAME INCORPOREO

che la Gestalt non è una struttura anatomica ma piuttosto psicolo-


gica e morfologica che funziona secondo una «fantasia di pienezza
e completezza».
L’Immaginario stabilisce una struttura di desiderio e prospet-
tive fortemente influenzate dal soggetto maschile e dal patriarcato.
Lo stadio dello specchio non presenta una differenziazione di genere
dei soggetti maschili e femminili. Ciò viene complicato anche dal fatto
che l’immagine corporea è costruita attraverso quello che gli altri
riflettono all’individuo, perciò è costituita da quello che sia la madre
che la società patriarcale riflettono al bambino. È ovvio che non solo
il soggetto e l’anatomia/morfologia maschili assumono una posizione
privilegiata nella teoria lacaniana – come spiegato nel primo capitolo –
ma è anche ovvio che il soggetto femminile viene lasciato senza un
percorso specifico per il raggiungimento della soggettività. Come
argomenta Irigaray, l’Immaginario così concepito è solo il riflesso
del desiderio maschile, ed è «una prospettiva universale [che] solo
soddisfa le richieste del sesso [maschile]». Nella critica di Irigaray,
l’Immaginario lacaniano è solo un immaginario maschile che preclu-
de ogni relazione tra donne; lo sviluppo del soggetto non prende in
considerazione la differente relazione della bambina (come individuo
dello stesso sesso) con la madre (come corpo del desiderio).
Il corpo Immaginario è anche un riflesso del patriarcato, partico-
larmente in una struttura che, come sostiene Irigaray, non riconosce il
differente approccio allo sviluppo del senso di sé generato dai diversi
generi del bambino e della bambina. L’unica posizione disponibile per
il soggetto donna è quello di madre. L’intera costruzione dell’Imma-
ginario lacaniano produce una struttura che preclude le relazioni tra
donne ed effettivamente nega il soggetto femminile. Le donne sono di

 E. GROSZ, Jacques Lacan, cit., p. . Per spiegare la dimensione psicologica ed

emotiva dell’immagine del corpo, Schilder, come Lacan, si riferisce ai problemi legati
all’esperienza delle protesi degli arti. Le protesi e gli arti che sono stati amputati sono
cariche di significato per il soggetto che interagisce con esse, perché sono investite di
fattori emotivi e di phantasia che permettono al soggetto di evocare sensazioni legate al
precedente reale arto o fanno esperienza del gioco di sensazioni tra la memoria dell’arto
reale e la presente protesi. È evidente a questo punto che l’immaginario viene considerato
come il regno dell’emozione e dell’influenza delle sensazioni.
 L. IRIGARAY, The Poverty of Psychoanalysis, cit., p. , trad. mia.


CAPITOLO SECONDO

conseguenza in esilio nell’Immaginario maschile, e non possono acce-


dere né alla conoscenza di se stesse né alla comunicazione, in quanto il
linguaggio è di fatto la lingua dell’uomo, come lo definisce Irigaray
– cioè un linguaggio dominato dal Padre, il quale esclude ogni forma
di espressione tra donne. Un linguaggio universale viene imposto alla
donna, in un sistema che non fa distinzione tra donna e madre.
Nella relazione tra l’anziana Cesira e la giovane, attraente Anna è
evidente l’oppressione del sistema di conoscenza relativo all’Immagi-
nario maschile. Madre e figlia non hanno alcun modo di relazionarsi
l’una all’altra, eccetto paragonando le loro vite all’interno di uno schema
eterosessuale – cioè seguendo valori che riflettono la negazione di un
legame costruttivo tra donne a favore di una struttura che riconosce le
donne come oggetto del desiderio maschile. Il corpo della madre, primo
oggetto di desiderio nello sviluppo dell’individuo, viene deprivato di
valore. Il giovane corpo della figlia, al contrario, diventa un elemento
fondamentale del senso di sé, che le è comunque attribuito dal sistema di
valori dell’Immaginario maschile. Ciò produce in effetti l’isolamento del-
la donna in una struttura di riferimento che nega la sua soggettività.
L’esilio della madre e della figlia nell’Immaginario maschile, e
dunque la mancanza di una relazione femminile significativa, è resa
più evidente dal senso di maternità espresso, in questo caso, da Anna.
Nonostante il suo accanito rifiuto della madre, lei diventa, a sua vol-
ta, una madre poco affettuosa per sua figlia, Elisa. Proprio come
Teodoro ed Anna erano le vittime dell’amarezza e della delusione di
Cesira per non avere raggiunto il sogno di grandezza e prosperità che
perseguiva, così Francesco ed Elisa sono le vittime della delusione
di Anna per aver perduto l’amore di Edoardo. Orgoglio e disprezzo
sociale, tipiche caratteristiche di Cesira, sono anche tratti manifestati
da Anna sin da bambina e che rappresentano gli unici sentimenti «su
cui madre e figlia si trovassero d’accordo» (p. ).
Tuttavia, attraverso la distorta percezione della figlia-narratrice,
il ritratto che Morante fa di Anna è molto più positivo di quello di Ce-
sira. Anna è l’oggetto dell’amore ossessivo della figlia e della devozione
del marito. È bella e, assieme al cugino Edoardo, è la protagonista della

 Ivi, p. .


MENZOGNA E SORTILEGIO: IL LEGAME INCORPOREO

più tormentata, e a volte masochistica, relazione d’amore nel romanzo.


La posizione unica di Anna come oggetto del desiderio è inscritta
all’interno di un concetto di senso di identità che richiede la convalida
degli uomini. Nonostante nel romanzo sia l’oggetto di molto amore,
Anna è l’emblema di una costruzione passiva della femminilità.
Sin dall’infanzia, il personaggio di Anna è prigioniero dell’economia
eterosessuale che prescrive un’idea tradizionale di femminilità. L’idea
del matrimonio le viene entusiasticamente ventilata all’età di sei anni,
quando al primo incontro con suo cugino Edoardo, la piccola Anna è
incoraggiata dal padre a salutare la carrozza dei Cerentano: «Scommetto
che ne sei già innamorata. Benissimo, sarà tuo marito. Cosí riprenderai
nel mondo il posto che ti spetta per essere nata signora» (p. ). È da
notare che l’iniziale prospettiva del coinvolgimento di Anna nella cen-
trale storia d’amore del romanzo viene comunicata dalla più importante
figura maschile nella sua vita, il padre. Psicologicamente, Anna viene
quasi consegnata da una figura maschile all’altra. L’economia eteroses-
suale prende il sopravvento sui sentimenti di vendetta sociale e orgoglio
che erano anche parte della sua educazione. Infatti immediatamente
dopo, assorbita la profezia matrimoniale del padre, la bambina viene
descritta mentre ripete a se stessa, con piacere, le parole del padre:
«“sarà tuo marito,” e rideva convulsamente tra sé» (p. ).
Molti critici hanno messo in evidenza un’influenza freudiana a
vari livelli in Menzogna e sortilegio. Il personaggio di Anna, il suo
sviluppo identitario, e successivamente il suo amore per Edoardo
esemplificano chiaramente la definizione freudiana di femminilità.
Anna segue palesemente il percorso verso l’amore eterosessuale
stabilito dalla teoria freudiana. Nel timore della castrazione e presa
dall’invidia del pene, la bambina repentinamente (e senza una chiara
spiegazione da parte di Freud) sposta la sua attenzione dalla madre
al padre. Non appena percepisce l’impossibilità di ottenere il pene
dal padre, la bambina sposta la sua attenzione su un altro uomo
ed entra nello schema dell’eterosessualità patriarcale; l’invidia del
pene si trasforma nel desiderio di avere un figlio da un altro uomo.
In Menzogna e sortilegio il passaggio dall’amore del padre all’amore
per Edoardo, segnato dalla profezia matrimoniale del padre, è solo
uno degli elementi freudiani del personaggio di Anna.


CAPITOLO SECONDO

Mentre Anna è distante e poco affettuosa nei confronti di sua figlia,


la sua immagine di una maternità felice è legata alla fantasia di avere
un figlio da Edoardo a cui poter dare lo stesso nome del padre (p. ).
Il bambino funge da sostituto di Edoardo, «il solo mezzo, per lei, di
salvare non solo il ricordo, ma la sostanza stessa dell’amato nel proprio
futuro» (p. ). La predilezione per un figlio rappresenta per Freud
la possibilità inconscia della donna di riappropriarsi di un pene per se
stessa. L’invidia del pene è, per Freud, la chiave del desiderio femmi-
nile; di conseguenza al corpo femminile e al suo desiderio non viene
lasciata alcuna autonomia, e il potere di procreare viene nullificato.
Il personaggio di Anna sembra essere incapsulato in questo schema
di femminilità passiva; la sua auto-affermazione è determinata dal de-
siderio di cancellare se stessa nella devozione per l’amato cugino. Ciò
avviene o attraverso la maternità come possibilità di duplicare il suo
amato, o attraverso un amore passivo e masochista.
Verso la fine della loro relazione, quando Edoardo dilaziona la sua
partenza per le vacanze estive, tra i due giovani si sviluppa un crudele
gioco di possesso, gelosia e masochismo. Edoardo in maniera perfida
richiede un segno di eterna fedeltà prima della partenza. Questo ricor-
do deve avere la forma di uno sfiguramento della bellezza di Anna, per
prevenire che altri uomini la considerino attraente. In altre occasioni
Edoardo minaccia di deturpare il volto di Anna con un pugnale o
di tagliare i suoi sensazionali lunghi capelli. Anna si sottomette alla
volontà di Edoardo perché «[c]ome potrebbe, infatti, esserle cara una
bellezza c’egli aveva disdegnata?» (p. ). Al primo tentativo di Edo-
ardo di tagliarle i capelli, Anna si mostra spaventata ma ubbidiente.
Viene descritta come una «docile vittima»; l’episodio viene elevato a
esperienza spirituale attraverso una similitudine religiosa: «Come se
lui stesso fosse un sacerdote, e lei una suora all’atto di pronunciare i
voti santi» (p. ). In tal modo la devozione dell’amore di Anna riceve
una sorta di santificazione. Edoardo, paragonato a un sacerdote che
conferisce ad Anna gli ordini monastici, la rende effettivamente parte
di una peculiare religione, che è l’amore per lui.
Tuttavia, ad Edoardo mancherà il coraggio di portare a termine il
tentativo di tagliare i capelli di Anna per sminuirne la bellezza. Presto
il gioco di sottomissione si trasforma nel rovesciamento dei rapporti


MENZOGNA E SORTILEGIO: IL LEGAME INCORPOREO

di potere tra i due cugini: la passività della vittima si trasforma in un


desiderio masochistico di essere sacrificata all’altare del suo amore.
Anna diviene l’organizzatrice attiva dell’episodio che alla fine lascia
una piccola cicatrice sulla sua guancia. Nel momento in cui Edoardo
preme il ferro da ricci caldo vicino la bocca di Anna, «Anna fu gioiosa
e felice» (p. ).
Il tono religioso che aveva caratterizzato le richieste sacrificali
di Edoardo scompare e nel momento in cui Anna diviene l’agente
masochistico di se stessa, l’episodio viene presentato come una «bar-
bara cerimonia» (p. ). Allo stesso tempo il termine di paragone per
Anna non è più una suora, ma una donna che richiede gioielli dal suo
amato prima di essere abbandonata da lui: «ambí dal cugino traditore
sfregi e ferite, come un’altra donna sul punto d’essere abbandonata
dall’amante, esige da lui denari e oro» (p. ). Nel momento in cui
Anna diviene un soggetto desiderante, sebbene masochistico, Morante
mette in luce una dimensione secolare e profana come a suggerire che
il desiderio femminile appartiene al polo opposto dello spettro del
desiderio maschile, e non è riconosciuto dal credo religioso, come lo
era il desiderio di Edoardo di deturpare la bellezza di Anna.
La stessa difficoltà nel ritrarre Anna come soggetto desiderante
è rintracciabile nel drammatico epilogo di eventi che anni dopo con-
clude la storia d’amore tra Anna e il cugino, a quel punto defunto.
Per far piacere a Concetta, madre di Edoardo, impazzita dopo la
morte dell’amato figlio, Anna inizia a scrivere lettere apocrife che fa
finta di ricevere da Edoardo. Insieme a Concetta, Anna entra in una
dimensione fantastica in cui la realtà viene distorta dal desiderio di
immaginare Edoardo ancora vivo, da visioni di lui, e dal desiderio di
lei di mostrare a lui la sua eterna, devota passione. Perseguitata da
questo insieme di sentimenti, Anna fa finta di avere una relazione per
suscitare la gelosia del marito.
L’immagine di Anna a questo punto è quella di una donna proble-
matica. La casta madre conosciuta da Elisa lascia il posto a un’immagi-
ne erotica di donna che seduce le sue vittime, consapevole del proprio
fascino. La figlia-narratrice fatica nell’affrontare la trasformazione di
Anna dalla «bella signora in quella donna sguaiata e pazza» (p. ).
Il nuovo atteggiamento di Anna è volontariamente antitetico a quello


CAPITOLO SECONDO

del suo ruolo familiare; in questa fase viene rappresentata, mentre


si sveste con calma con «un’espressione accesa e sfrontata con cui
sembrava rinnegare il suo sposalizio e la sua maternità» (p. ). Viene
dunque replicata la tradizionale scissione tra l’immagine domestica
dell’“angelo del focolare” e l’immagine dell’amante.
Tuttavia, seguendo l’analisi filosofica di Adriana Cavarero, si può
argomentare che le due immagini sono solo in apparente contrappo-
sizione. Infatti rappresentano
due lati, per così dire complementari, [...] in quanto immagine della passione
[...] incarnano l’oggetto del desiderio maschile, ossia il fantasma dei suoi riti
di trasgressione; mentre in quanto immagine della madre oblativa, della mo-
glie costumata, ecc., sostanziano l’utile modello [...] di un ordine domestico
all’uomo altrettanto necessario.

L’immagine di Anna come donna volgare e pazza rivela di con-


seguenza una costruzione patriarcale che, eguagliando la passione
alla pazzia, mira a controllare l’Altro femminile, contrapponendolo
al concetto tradizionale di razionalità maschile – ma, soprattutto,
deprivandolo del suo ruolo di soggetto desiderante.
Come il desiderio di Anna ha la possibilità di esistere solo all’in-
terno di uno schema patriarcale, così il suo corpo viene incapsulato
in una raffigurazione filtrata attraverso lo sguardo e l’immaginario
maschili. Ciò appare evidente nella prima descrizione della madre
elaborata da Elisa quando inizia a raccontare gli eventi di cui è stata
testimone. Ci viene presentata la scena di Anna che si ammira allo
specchio mentre prova un nuovo paio di orecchini:
Mia madre si aggancia all’orecchio il fermaglio d’un orecchino, e mio padre,
davanti a lei, sorregge con le due mani uno specchio perch’ella vi si guardi
[...] la compiacenza di se stessa la incatena, si direbbe, alla sua propria par-
venza. (p. )

La figlia, da osservatrice, vede nel riflesso dello specchio sorretto


dal padre, la vanità della donna che si compiace della propria bellez-
za. Nel sorreggere lo specchio, il marito di Anna assume la funzione
di una presenza che convalida il senso di identità femminile tipica

 A. CAVARERO, La passione della differenza, in Storia delle passioni, a cura di

S. Vegetti Finzi, Roma-Bari, Laterza, , p. .


MENZOGNA E SORTILEGIO: IL LEGAME INCORPOREO

della costruzione patriarcale. È la figura maschile a permettere la


percezione di bellezza della donna. Anna è più un oggetto corporeo
che attende di essere valorizzata dall’apprezzamento maschile che il
soggetto della sua propria bellezza.
Nel romanzo, la bellezza è un elemento essenziale per meritare
amore. L’adorazione senza riserve della poco attraente Elisa verso la
bella madre non è ricambiata, come non lo è l’amore di Francesco.
Al contrario, tutti amano l’affascinante Edoardo.
L’amore di Elisa per sua madre è suscitato dalla nobile, distante e
attraente apparenza di Anna, dipinta con significative connotazioni.
Anna è paragonata a una «regina» (p. ), un «simulacro sfolgorante»
(p. ), «la bella maga» (p. ), o un «idolo» (p. ). È interessante
notare che la figlia narratrice fa uso di questi stessi attributi in riferi-
mento alla Vergine Maria. Facendo una digressione nella descrizione
delle ricchezze del palazzo Cerentano, Elisa mescola sacro e profano
ed afferma che nell’immaginazione di un bambino povero, la Vergine
Maria attiene le stesse qualità di «una maga regina» (p. ).
Come ha dimostrato Marina Warner nel suo studio sulla Vergine
Maria, il culto di Maria come regina iniziò a svilupparsi nel mondo
cristiano, dalla metà del quinto secolo, attraverso mosaici e icone.
La raffigurazione temporale di Maria si è estesa nei secoli fino al giorno
d’oggi. Nel  Papa Pio XII proclamò Maria, Regina del Cielo. War-
ner sostiene che una delle funzioni della costruzione dell’immagine
di regina della Vergine Maria sia di rinforzare l’eccezionalità del suo
ruolo e di conseguenza la sua distanza dalle altre donne. Ciò ha avuto
l’effetto di porre la femminilità di Maria su un altro livello, e perciò
«il valore dell’appartenenza al sesso femminile è stata diminuita dalla
precedenza regale su tutte le altre donne».
Una simile funzione degli attributi regali può essere rilevata in
Menzogna e sortilegio nella caratterizzazione di Anna. Infatti, così
come la Vergine viene definita dalla figlia-narratrice «maga regina»,
Anna è dipinta da tratti di splendida maestà («regina»), da associazioni

 M. WARNER, Alone of All Her Sex, Londra, Quartet Books, , p. .
 Ivi, p. .
 Ivi, p.  trad. mia.


CAPITOLO SECONDO

a dimensioni religiose o mistiche («idolo», «simulacro sfolgorante»)


e da un paragone a forze sovrannaturali («maga»). Tale metaforiz-
zazione priva la figura della madre di corporeità. La sua bellezza è
grandiosa, preziosa, quasi intoccabile. Ancora una volta, attraverso
Anna, il corpo della donna viene negato della sua specificità ed è
relegato a una dimensione disconnessa dalla corporeità.
Disincarnato nella raffigurazione di una bellezza regale e simile
alla Madonna, il personaggio di Anna non è in grado di sperimentare
positivamente la propria sessualità, polarizzata tra un’infelice vita
matrimoniale e la vita fantastica di una donna condotta alla pazzia
per amore. Nel romanzo, sia la carenza di premure materne sia l’at-
teggiamento orgoglioso e snob di Cesira e Anna sono controbilanciate
dalla caratterizzazione generosa, materna, e affettuosa di Rosaria e
Alessandra. Mentre la femminilità di Anna oscilla tra una dimensione
spirituale e demoniaca, come dimostra la storia d’amore con il cugino,
Rosaria (matrigna di Elisa) e Alessandra (nonna paterna di Elisa)
simbolizzano una femminilità più concreta e fisica.

L’amore materno: Rosaria e Alessandra


La polarizzazione evidente nella raffigurazione dei personaggi
femminili sembra essere stata un tratto caratteristico della scrittrice
e del suo approccio alla vita, come osserva in un’intervista Alberto
Moravia, suo marito per oltre vent’anni:
Elsa oscillava in senso psicologico e culturale tra una concezione creaturale,
premorale e dunque fisiologica della vita umana e un’idea di leggerezza angelica
o se si preferisce demoniaca, ma in tutti i casi non fisiologica. Questo è stato
il suo dramma secondo me e non si è mai decisa a scegliere completamente
l’una o l’altra concezione.

Il contrasto tra la madre di Elisa, Anna, chiamata “La Notte”, e


la matrigna di Elisa, Rosaria, chiamata “Il Giorno”, esemplifica chia-
ramente questa doppia raffigurazione della femminilità. Rosaria, la
gioiosa prostituta la cui vita è dedita al piacere, sembra simbolizzare
nel romanzo il desiderio sessuale carente nella raffigurazione della

 A. ELKANN, A. MORAVIA, Vita di Moravia, Milano, Bompiani, , p. .


MENZOGNA E SORTILEGIO: IL LEGAME INCORPOREO

regale Anna che è in grado di esprimerlo solo in termini eccessivi di


sconcertante pazzia. Tuttavia Rosaria è dotata di affettuose qualità
materne, in contrasto con quelle della fredda, poco materna Anna, e
offre una più complessa e complementare dimensione dell’immagine
della sensualità femminile. Come ha notato Giovanna Rosa, Rosa-
ria « incarna l’esuberanza vitale dell’eros e l’oblatività protettiva del
sentimento materno». L’esuberante e istintivo atteggiamento della
gioiosa Rosaria è reso evidente dalla prima descrizione:
[V]edemmo una signora grande e fastosa affrettarsi alla nostra volta, senza
curarsi in alcun modo di dominare, agli occhi della gente, la sua precipitosa
emozione. A motivo della sua grassezza, affannava un poco; e nella corsa risuo-
nava tutta di metalli leggeri, come una cavalla in preziosi finimenti. (p. )

La pesante corporatura della donna («grande»; «grassezza»),


la sua maestosità («fastosa»), e una certa goffagine («affannava un
poco») rendono la grandiosità della sua apparizione umana e con-
creta, piuttosto che regale e distante. Il paragone con la cavalla e, per
traslato con il mondo animale, enfatizza l’impulsività e l’esuberanza
di Rosaria e la distanzia dalla razionalità umana.
Il ritratto di Rosaria quale donna istintiva non in grado di acce-
dere alla mediazione razionalizzata della cultura viene completata
dal suo analfabetismo come anche dalle scene, quasi comiche, che
ritraggono la sua superstizione. In tale prospettiva, l’affetto materno
che Rosaria mostra verso Elisa, specialmente al tempo dei drammatici
eventi che hanno lasciato la ragazzina orfana di entrambi i genitori,
si inserisce nel ritratto delle qualità istintive di questo personaggio.
L’atteggiamento materno appare semplicemente parte della sua tipica
generosità e spontaneità.
Infatti le caratteristiche materne appaiono nella raffigurazio-
ne di Rosaria anche in contesti disgiunti dalla relazione materna.
Nella descrizione dell’inizio della sua vita da prostituta, nel suo rapporto

 G. ROSA, Cattedrali di carta, Milano, Il Saggiatore, , p. .


 Marco Bardini ha notato la ricorrenza di metafore ispirate al mondo animale ed
ha argomentato che tali scelte stilistiche formano un alternativo mezzo di comunicazione
altrimenti impossibile da articolare (M. BARDINI, Dei “fantastici doppi” ovvero la mimesi
narrativa di Elsa Morante, in Per Elisa, studi su menzogna e sortilegio, a cura di L. Lugnani
et al., Pisa, Nistri-Lischi, , p. ).


CAPITOLO SECONDO

con gli amanti, viene descritta come «materna e appassionata» (p. ).
L’associazione dell’amore materno con la passione eterosessuale co-
munica la spontaneità e la generosità del desiderio sessuale di Rosaria,
che la porta a essere affettuosa con i suoi amanti. Di conseguenza,
l’amore materno assume il significato di calore innato e istintivo che
non ha bisogno di alcun motivo per esistere.
L’idea di amore materno come passione, contrapposta a idee di
equilibro e contenimento, emerge in altri punti della narrazione. Nel-
la descrizione di Edoardo, ad esempio, la narratrice afferma che la
sua figura avrebbe potuto essere giudicata arrogante o noncurante,
specialmente se lo si guardava «con occhi non di giustizia, ma, per
così dire, di maternità» (p. ). L’amore materno altera i giudizi e
offusca le reali caratteristiche.
L’amore materno viene anche associato nel romanzo ad immagini
di calma, protezione e conforto, come nell’episodio del giovane Fran-
cesco, afflitto per il tradimento di Rosaria. Solitario e melancolico,
Francesco pensa alle persone che ama veramente e che lo sostengono
in modo da cercare consolazione alla sua disperazione:
Francesco, in sostanza, con essa [l’elegia] invocava una madre [...] la madre
che venne in suo soccorso fu una che spesso, in simili casi, consola i giovani
un poco vili e immaturi: voglio dire, l’Immaginazione [...].
Queste, o simili, furono le fantastiche ragioni che la madre consolatrice portò
a Francesco. (pp. -)

Il sogno ad occhi aperti che porta Francesco a immaginare Anna


innamorata di lui è confortante come l’amore materno. La metafora
della madre rappresenta un luogo psicologico al quale l’individuo
ritorna in un momento di sofferenza per rilassarsi e prendere coraggio.
Da queste interpretazioni metaforiche dell’amore materno, appare
palese che Morante è interessata a concetti di affetto indiscusso e
di generosità che non necessitano di essere motivati razionalmente.
Si tratta di un amore materno al di fuori della razionalità come lo
sono il sognare ad occhi aperti e il fantasticare, che Morante associa
alla figura della madre.
Tenuto conto del significato metaforico nella rappresentazione
dell’amore materno, in Menzogna e sortilegio l’immagine della figura
materna par excellence è data da Alessandra, la madre di Francesco.


MENZOGNA E SORTILEGIO: IL LEGAME INCORPOREO

Diversamente da Rosaria, Alessandra sublima il desidero sessuale


nella maternità, confermando (come commenta Rosa) che in questo
romanzo desiderio sessuale e maternità non possono coesistere nello
stesso soggetto. Alessandra rappresenta una figura di madre non
inusuale nella narrativa di Morante: ingenuità, abnegazione materna, e
nullificazione del desiderio sessuale echeggiano altri ritratti di madri,
quali quello di Nunziatella in L’isola di Arturo.
Come Rosaria, Alessandra non è istruita, ed è istintualmente gene-
rosa nel suo amore per il figlio. Trascorre la sua intera vita in un remoto
villaggio; da giovane lavora come contadina, e, dopo il matrimonio con
l’anziano Damiano – un proprietaro terriero del villaggio – continua
a lavorare ma nelle proprietà della famiglia. Alessandra è un perso-
naggio positivo, lavoratrice indefessa: dopo la morte di Damiano e il
progressivo impoverimento della famiglia riesce a sostenere se stessa
lavorando l’unico minuscolo appezzamento di terra rimasto.
Francesco non è il figlio legittimo di Damiano, ma frutto di una
relazione di Alessandra con Nicola Monaco, un amministratore ter-
riero. Timore, più che attrazione eterosessuale, è la motivazione dei
pochi incontri con Nicola. Alessandra accetta le sue avances con sot-
tomissione e con reverenza per il suo superiore stato sociale. Perciò,
nonostante la sua relazione adultera, Alessandra non può essere con-
siderata soggetto del proprio desiderio né nella relazione con Nicola
né con Damiano.
Se il desiderio sessuale rimane esterno ai sensi di Alessandra,
inaccessibili al piacere «come quelli di una vergine» (p. ), la pro-
creazione del figlio assume connotazioni religiose. Come ha notato
Anna Petrucco Becchi, la maternità è associata alla religione in molte
opere morantiane, sia durante la gestazione che nel rapporto della
madre con i suoi figli. Molte madri della narrativa morantiana, quali
Aracoeli, Nunziatella in L’isola di Arturo, o Elena in La nonna, come
Alessandra, esprimono un desiderio quasi mistico che si trasferisce
alla relazione con i figli, di conseguenza percepiti come divini.

 G. ROSA, Cattedrali di carta, p. .


 A. PETRUCCO BECCHI, Stabat Mater: Le madri di Elsa Morante, «Belfagor», XLVIII,
, p. .


CAPITOLO SECONDO

La religiosa adorazione del figlio sostiene una costruzione della mater-


nità di apparente tradizione cattolica, sia per l’associazione di verginità
e procreazione che per l’enfasi sulla relazione madre-figlio.
In Alessandra, la maternità sembra rappresentare il ruolo di mag-
giore valore per la donna, ruolo centrale nelle sue decisioni e nel suo
senso della vita, mentre l’adulterio può esistere in concomitanza con il
matrimonio ma non può essere riconciliato con la maternità. Anni dopo
la nascita di Francesco, al tentativo di Nicola Monaco di riprendere la
relazione, il rifiuto di Alessandra è fermo, deciso istintivamente in nome
della maternità: «Un religioso timore le dette la forza di respingere
quell’abbraccio; stavolta, sí, le sarebbe parso, cedendo, di macchiarsi
di tradimento e di colpa. Non tanto verso Damiano, quanto piuttosto
verso il piccolo Francesco» (p. ). Il figlioletto, al centro della sua
reazione, come un piccolo Dio le provoca un «religioso timore».
Conseguenza di tale religioso concetto della maternità è l’im-
portanza marginale rivestita dalla figura paterna. Le figure maschili
che circondano la gioiosa e devota madre Alessandra, sono opache
presenze. Si tratta di una rappresentazione ricorrente in molta della
narrativa morantiana, dove, come sottolinea Becchi, le figure maschili
sembrano essere «solo un mezzo per rendere effettivamente possibile
la maternità», ma che sono immediatamente allontanate e restano
estranee a «questo miracolo».
Diversamente dal sogno di maternità di Anna, in cui il figlio era
un mero mezzo di identificazione con l’amato, la maternità diviene
per Alessandra un’esperienza molto privata («apparteneva a lei sola»)
e tale da far scaturire ignote e arcane risorse di potere e gioia. In-
fatti la maternità la arricchisce di «un sentimento di arcano riposo e
trionfo» (p. ). Per il particolare rilievo dato alla donna semplice e
analfabeta come madre, Alessandra sembra epitomare una dimensione
pre-simbolica di donna, incapace di una posizione culturale. Alcuni

 Ivi, p. .
 Questa caratteristica condivisa da Alessandra e Rosaria riecheggia l’enfasi su un
positivo aspetto dell’animalità che Marco Bardini (Per Elisa, cit., p. ) aveva suggerito
nel notare la quantità di metafore riferite ad animali in Menzogna e sortilegio.


MENZOGNA E SORTILEGIO: IL LEGAME INCORPOREO

critici hanno sostenuto che in Alessandra, come in alcuni personaggi


femminili di altri romanzi, Morante riproduce una dicotomia natura/
cultura che enfatizza un concetto essenziale di donna, raffigurandola
istintiva e materna.
Donne e madri generose, analfabete, spesso provenienti da un sud
povero, come Nunziatella o Aracoeli, sono stati i personaggi preferiti
dell’autrice, come lei stessa afferma in un’intervista con Jean-Noël
Schifano:
Sì, adoro le madri. Le vere madri [...]
Le madri napoletane?
O le siciliane [...]. Ho un grande amore per la donna semplice. Non mi piaccio-
no molto le femministe, perché penso che la donna è una creatura necessaria
all’umanità, agli uomini. Mi piacciono molto le donne come Nunziatella, de
L’isola di Arturo, come Aracoeli. Non tanto le signore o le intellettuali.

Passando, nella sua risposta, da «madri [...] napoletane [...] si-


ciliane» a «donna semplice», Morante sembra fare uso della parola
“donna” some sinonimo per “madre”. Il rifiuto delle donne intel-
lettuali e delle femministe, da parte di una delle poche conosciute
intellettuali del tempo, è sconcertante. Forse la sua critica dell’esta-
blishment letterario da cui fu spesso osteggiata (come dimostrato
da alcune delle recensioni di Menzogna e sortilegio), suggerisce
una diversa interpretazione della sua relazione con il femminismo.
Morante criticò gli scrittori e le scrittrici che rendono il mondo della
letteratura il loro mondo, mentre apprezzava coloro che mostravano
interesse nella società e nella psicologia degli esseri umani. Sempre
sdegnosa di eventi pubblici e interviste, Morante non era integrata
nell’establishment letterario. Se «le femministe e le intellettuali» della
critica morantiana, sono donne che, cercando di raggiungere una
posizione di uguaglianza con gli uomini, si adattano al sistema pre-
stabilito, allora il suo disamore per le femministe può essere spiegato
come rifiuto di una politica di eguaglianza in favore di una politica

 M. JEULAND-MEYNAUD, Le identificazioni della donna nella narrativa di Elsa Mo-

rante, «Annali di Italianistica: Women’s Voices in Italian Culture», , , pp. -.
 J. SCHIFANO, T. NOTARBARTOLO, Cahiers Elsa Morante, Napoli, Edizioni Scientifiche

Italiane, , p. .
 E. MORANTE, Pro e contro la bomba atomica, in EAD., Opere, cit., p. .


CAPITOLO SECONDO

della differenza, che, a quel tempo, poteva essere interpretata solo


come rifiuto tout court del femminismo.
Nonostante tale posizione, Morante riconosceva l’importanza
delle relazioni tra donne, e in particolare della precedentemente sot-
tovalutata relazione con la madre. Diario  è una fonte preziosa per
comprendere il complesso approccio psicologico al materno dell’au-
trice. È un libro di sogni, unico materiale autobiografico dell’autrice,
pubblicato nel  dopo la sua morte. Ricorrenti elementi del diario
sono le immagini della madre, le preoccupazioni sulla propria salute,
come anche il bisogno inappagato d’amore. Elsa rivela come piccoli
episodi siano l’origine del risentimento verso la madre, e come il
risentimento si trasformi in colpa; biasima sua madre per la propria
percezione di mancanza di affetto. La madre diventa il catalizzatore
delle insoddisfazioni e delle esperienze negative accumulate dalla figlia
nel corso della vita. Allo stesso tempo l’amore per il marito e quello
per la madre emergono come elementi in opposizione, che lei stessa
aveva trascurato e sottovalutato nella vita.
In quella che appare come un’illuminante rivelazione, Morante
percepisce che non prestando attenzioni a sua madre e dedicandosi
al suo partner, Alberto Moravia, aveva formulato un giudizio errato
di quella relazione: «L’altra notte, disperata dicevo a mia madre: per
tanti anni ti ho avuta vicino e non ti ho cercata! Cercavo Alberto! ma
chi è colui? un arido, egoista avaro! E c’eri tu, c’eri tu!».
L’immagine della madre si materializza qui come una relazione
rivalutata che, nonostante l’atteggiamento di biasimo, diviene dispen-
satrice d’amore, fonte di comprensione non precedentemente apprez-
zata da Morante. La parola “materno”, comunicante in Menzogna e
sortilegio un’idea di conforto e sostegno, riveste un’identica funzione
in Diario . Nell’introduzione al diario, Alba Andreini sottolinea

 Sempre riservata per quanto riguarda la vita privata e la famiglia – «Sono tutta nei

miei libri», affermava spesso – Morante non rivelò mai molto su se stessa. Diario  e la
biografia scritta da suo fratello, Maledetta benedetta, entrambi pubblicati postumi, come
pure la narrativa autobiografica di Dario Bellezza (un giovane poeta al quale la scrittrice
si era legata sentimentalmente) hanno offerto resoconti della sua vita.
 E. MORANTE, Diario , Torino, Einaudi, , p. .
 Ivi, p. .


MENZOGNA E SORTILEGIO: IL LEGAME INCORPOREO

che il materno «ha il significato di un ritorno sereno e struggente alla


dolcezza della comprensione».
In relazione al materno, nella posizione sia di figlia che di madre af-
fiorano in Elsa sentimenti complessi, emotivamente intricati. Morante
non ebbe figli, ma il diario racconta di un’esperienza di interruzione di
gravidanza e delle sofferte emozioni che ancora la affliggevano; raccon-
ta della felicità al pensiero di essere con suo figlio («Non sarei più sola,
tu sei qui, amore mio»), giustifica la consapevolezza dell’inevitabilità
della sua scelta («Ma come potevo tenerlo?»), e del senso di colpa
(«No, dovevo. Proprio l’assurdo, strano caso della sua nascita diceva
chiaramente che Dio voleva così; chiedevo perdono a Dio»).
La rilevanza fondamentale della maternità in Menzogna e sortilegio
e in molta parte della narrativa morantiana, è innegabile. Per contra-
sto la relazione tra maternità e identità femminile è più complessa.
Se Alessandra rappresenta la maternità autosacrificale, e se l’amo-
re materno viene interpretato come un astratto concetto di affetto
istintivo e consolatorio, sembra emergere un’idea essenzialista della
donna. Persino l’aspetto trascendentale e religioso della maternità,
confermato dalla relazione madre-figlio, esemplificata da Alessandra
e Francesco, può essere interpretato come il desiderio di porre l’ac-
cento su un ruolo che, come la religione, non può essere analizzato
o razionalizzato. Tuttavia, in questa rappresentazione essenzialista
della maternità, il corpo della madre è tradotto in una dimensio-
ne incorporea che rende la madre distante, intoccabile, e simile alla
Madonna come accade per Anna, o simile alla Vergine Maria come
accade per Alessandra. La figlia Elisa cerca di definire il suo senso di
sé tra le due polarizzate espressioni di identità femminile raffigurate
da Anna da un lato, e Rosaria e Alessandra dall’altro. Tuttavia, Elisa
non si conforma alla costruzione tradizionalmente patriarcale della
femminilità, rappresentata da Anna, né alla donna istintiva palesata
da Rosaria e Alessandra. Al contrario, la figlia-narratrice Elisa, ren-

 A. ANDREINI, Prefazione, in Diario , cit., p. IX.


 E. MORANTE, Diario , cit., p. . Assieme al tema del materno, nel diario sono
presenti frequenti immagini della Vergine Maria, che oltre a testimoniare la profonda
religiosità della scrittrice, possono anche essere collegate all’associazione di religiosità e
maternità messa in luce in Menzogna e sortilegio.


CAPITOLO SECONDO

de il suo amore per la madre fondamentale alla narrazione e al suo


desiderio di venire a patti con se stessa.

Elisa
In Elisa si fondono sia la rappresentazione incorporea della fem-
minilità, che l’isolamento e (usando la terminologia di Irigaray) “l’ab-
bandono” della donna in un sistema di conoscenza e comunicazione
che privilegia il soggetto maschile, e allo stesso tempo il tentativo e il
desiderio di esprimere se stessa. Il legame della figlia con la madre,
reso cruciale nella narrazione della storia familiare, rimane inutilizzato
nelle sue potenzialità. Tuttavia il gesto della figlia-narratrice di porre
la madre al centro della storia suggerisce nuove possibilità alternative
per la soggettività della donna.
Elisa è una venticinquenne abituata a vivere in reclusione. Ha tra-
scorso gran parte della vita nella sua stanzetta. Fantasie e letture di storie
fantastiche e straordinarie sono state quasi la sua unica compagnia.
In Elisa il senso della realtà si è distorto, l’immaginazione si è mescolata
all’irrealtà. Eventi familiari drammatici e complessi l’hanno lasciata
in uno stato confusionale. Sola, nella sua casa, percepisce la presenza
dei fantasmi familiari. Tormentata dai ricordi del passato, Elisa inizia
a mettere per iscritto quello che i fantasmi le dettano: «Ecco perché
ubbidisco alle loro voci, e scrivo: chi sa che col loro aiuto io non possa,
finalmente, uscire da questa camera» (p. ).
La giovane donna cerca di riacquisire un senso di sé, ma non le è
possibile scrivere autonomamente. Infatti l’immagine corale dei fanta-
smi che la circondano, incoraggiandola a scrivere, mina l’autonomia
del suo atto scrittorio. Per il riferimento sia alla lingua che al soggetto
donna, la scena è illustrativa della teoria lacaniana. Nell’immagine
dei fantasmi familiari che le dettano la storia, si può intravvedere la
rappresentazione dell’ordine Simbolico, cioè il regno del linguaggio
e della cultura in cui viene raggiunta la soggettività. Il Simbolico
lacaniano, dominato dalla Legge del Padre, è precluso alle donne.
Infatti Elisa non è in possesso di parole se non quelle che gli altri, e
in particolare la famiglia come istituzione patriarcale, le suggeriscono.
In questo senso, nell’atto di narrare la storia della sua vita, Elisa è


MENZOGNA E SORTILEGIO: IL LEGAME INCORPOREO

privata di ogni senso di azione autonoma e appare piuttosto come


un elemento del patriarcato. La sua dipendenza dai fantasmi fami-
liari è rinforzata dal poema dedicatorio ai personaggi, che precede
la narrazione degli eventi:
io, donna sciocca e barbara,
non altro che suddita e ancella a voi sono. (p. )

Alla figlia-narratrice non viene lasciata alcuna possibilità se non


la sottomissione ai dettami dei personaggi. Il suo stato passivo è ben
inquadrato nel ritratto di disorientamento che Elisa offre di sé:
Da varie settimane, dunque, vivo rinchiusa qua dentro, senza vedere alcun
viso umano, fuor di quello della portinaia, incaricata di recarmi le spese; e del
mio, riflesso nei molti specchi della mia dimora.
Talora, mentre m’aggiro per le stanze, in ozio, il mio riflesso mi si fa incontro a
tradimento; io sussulto, al vedere una forma muoversi in queste funebri acque
solitarie, e poi, quando mi riconosco, resto immobile a fissar me stessa, come
se mirassi una medusa. (p. )

Nel primo paragrafo di questo estratto, Elisa descrive il suo volto


riflesso negli specchi. Viene usato il participio passato «riflesso», ma
nel secondo paragrafo si assiste a un lieve cambiamento della sintassi,
e «riflesso» diviene un sostantivo. Il volto di Elisa è adesso indicato
solo come un’immagine dello specchio; un processo di perdita di so-
stanza sembra aver avuto luogo in questa fase. La mancanza di azione
autonoma della giovane donna viene rappresentata in un corpo che
ha perduto la sua sostanza al punto da diventare solo «una forma».
Elisa non è veramente in contatto con la sua corporeità e mani-
festa persino rifiuto del suo aspetto fisico. L’immagine della Medusa,
suggerendo un senso di paura e stupore, evoca la Medusa mitologica
e ha la funzione di suscitare da parte di Elisa il suo ripudio del corpo,
iniziato in età infantile e apertamente affermato alla fine del paragrafo:
«l’antica avversione per la mia propria figura».
Il senso di desolazione alla morte della madre e della matrigna
viene suggerito attraverso attributi che evocano solitudine («solitarie»),
morte («funebri»), freddezza («gelida»), e oscurità («senza lumi»).
Come ha notato Giovanna Rosa, la morte di Rosaria e Anna, che in una
struttura a specchio segnano rispettivamente l’inizio e la fine della nar-
razione di Elisa, sono associate a un simbolismo dell’acqua: alla morte


CAPITOLO SECONDO

di Anna, Elisa viene «succhiata da una gelida acqua senza lumi»; e


dopo la morte di Rosaria, lo spazio in cui si muove viene descritto come
«funebri acque solitarie». Seguendo l’interpretazione delle immagini
dell’acqua come spesso associate ai personaggi femminili, Rosa sostiene
che queste immagini reminiscenti dell’acqua contribuiscono all’idea
della ricerca dell’identità femminile in relazione alla madre.
È possibile sviluppare ulteriormente questa interpretazione con-
siderando lo stadio dello specchio di Lacan. Lo specchio di fronte
al quale il bambino ha la prima esperienza di se stesso/a può essere
interpretato come un oggetto reale, ma anche come uno o più in-
dividui che rimandano al bambino la percezione della sua identità.
Nell’immagine di Elisa allo specchio, la descrizione dello spazio cir-
costante come «funebri acque solitarie» può essere considerata come
assenza di individui capaci di rifletterle il suo senso di identità e, in
particolare riferendosi all’immagine dell’acqua, come assenza della
figura della madre nella delineazione dell’identità di Elisa.
La scena della figlia-narratrice che si guarda allo specchio è strut-
turalmente differente da quella di Anna che ammira la sua bellezza
analizzata in precedenza. Il quest’ultima, la presenza del marito ha la
funzione di riconoscimento della rappresentazione patriarcale dell’im-
magine femminile. Elisa, invece, non ha stretto un’alleanza con gli
uomini. Inoltre, nell’assenza di figure materne, la ricerca di identità
di Elisa si confronta con un’identità di genere indefinita. Infatti, nel
suo autoritratto, l’identità di genere di Elisa viene messa in dubbio.
Nella sua descrizione fisica le categorie di maschile e femminile e di
giovinezza e maturità diventano indistinte. Il suo è l’autoritratto di
un personaggio senza età e senza sesso:
Il fuoco dei suoi occhi [...] ha talora la vivacità irrequieta che può ritrovarsi
negli occhi d’un ragazzo selvatico, e talora la mistica fermezza dei contemplanti.
Questa goffa creatura che ha nome Elisa può sembrare a momenti una vecchia
fanciulla, a momenti una bambina cresciuta male. (p. )

All’inizio di questa citazione Elisa si paragona prima a un ragaz-


zo e poi a un mistico. L’identità femminile che ha proclamato chie-
dendosi «Chi è questa donna?» è ora offuscata in questo paragone.

 G. ROSA, Cattedrali di carta, cit., p. .


MENZOGNA E SORTILEGIO: IL LEGAME INCORPOREO

La definizione «ragazzo selvatico», l’attributo «mistica», come anche


l’asessualità della parola «creatura», indicano tutte un dilemma nel
suo identificarsi in un soggetto donna. Allo stesso tempo l’ossimoro
«vecchia fanciulla» e la seguente espressione «una bambina cresciuta
male» sottolineano una maturità goffa.
L’Elisa senza età e senza sesso ha avuto esperienza di relazioni
d’amore che per certi aspetti sono opposte a quelle della madre.
Diversamente da Anna che mostrava inseparabile amore e affetto per
il proprio padre e un ostile rifiuto di sua madre, Elisa adora sua madre
e ha un’avversione per suo padre. Emanuela Scarano, che fornisce
una lettura degli elementi freudiani del romanzo, ha enfatizzato in
particulare il senso di ripudio presente prima in Francesco e succesi-
vamente in Elisa. Scarano ha interpretato questo diniego della famiglia
come parte dello stadio preliminare del Familienroman di Freud,
stadio in cui il bambino è assorbito dall’idea di sostituire i genitori
con qualcuno di una classe sociale superiore. Scarano sostiene che
sia Francesco che Elisa sono soggetti a un senso di ripudio del padre
legato alla costruzione del Familienroman; il primo, palesemente, fan-
tastica delle proprie origini nobili, per cui sogna che Nicola Monaco
sia suo padre, e la seconda, dopo aver dapprima condiviso la fantasia
della nobile origine di Francesco, effettivamente sostituisce l’amato
e aristocratico cugino Edoardo per Francesco.
L’avversione verso suo padre ha un effetto sulla percezione di se
stessa della figlia. Infatti il senso di ripudio del suo corpo è collegato
in parte alla somiglianza con il padre, un uomo non molto attraente,
la cui pelle del volto era stata sfigurata dal vaiolo. Per Elisa, quella so-
miglianza fisica è intollerabile perché segna la sua distanza dall’amata
madre. Adottando il punto di vista della madre, Elisa mostra al padre
la stessa freddezza e astio che sua madre nutre verso di lui (p. ).
Viceversa, suo padre la ama, esattamente perché vede in sua figlia il
concreto simbolo del suo amore per Anna.

 E. SCARANO, La fatua veste del vero, in Per Elisa: studi su Menzogna e sortilegio, a

cura di L. Lugnani, E. Scarano, M. Bardini, D. Diamanti, C. Vannocci, Pisa, Nistri-Lischi,


, pp. -: .


CAPITOLO SECONDO

Come Francesco, Elisa ha i capelli scuri. Riproducendo un ricor-


rente schema nella narrativa morantiana, nel romanzo è evidente una
dicotomia cromatica tra la bionda bellezza angelica e la bruna brut-
tezza; il bello, biondo e amato Edoardo da un lato e i poco attraenti,
non amati e bruni Francesco ed Elisa dall’altra. Incapace di eguagliare
il fascino di Anna ed Edoardo, Elisa si sente inadeguata come figlia.
La sua limitazione è resa più esplicita nel desiderio di Anna di avere
da Edoardo un figlio a lui somigliante. Come commenta Valeria Fi-
nucci, per Anna, sua figlia falliva «in tutti i modi possibili di sostituirsi
al figlio perfetto che [Anna] avrebbe voluto avere da un altro uomo [il
cugino Edoardo]». Elisa è consapevole della sua inadeguatezza: «in
luogo di quest’essere femminile, magro, amaro e nericcio, sarebbe nato
un aureo, grasso Edoardo; e certo costui avrebbe meritato da Anna
quell’amore che non toccò mai alla povera Elisa» (p. ).
Da sua madre, modello di costruzione passiva di femminilità,
Elisa percepisce la sua incapacità di inserirsi in un concetto stere-
otipico di bellezza che sembra necessario in Menzogna e sortilegio
per meritare amore. Elisa non riesce neanche a sviluppare nella vita
adulta una dimensione vivibile di sessualità femminile, per la quale
non ha avuto un modello da seguire. Diversamente da Anna, che
conferma la teoria freudiana della crisi edipale rifiutando la madre
ed entrando nello schema patriarcale, Elisa rimane in uno stato di
attaccamento irrisolto alla madre dalla quale non trae alcuna forza
per svilupparsi in un io autonomo. Elisa sembra immobile, bloccata
in uno sviluppo che può anche essere spiegato in termini freudiani
come cristallizzazione nella fase pre-edipica, in cui Anna non con-
traccambia l’amore della figlia.
Essendo una venticinquenne che manca di una specifica definizione
di genere, Elisa, per trovare una migliore definizione di se stessa, fa
affidamento sulla logica ricostruzione degli eventi passati e sulla sua
scrittura. La sua narrazione, tuttavia, come critici quali Scarano hanno

 C. JØRGENSEN, La visione esistenziale nei romanzi di Elsa Morante, Roma, L’Erma

di Bretschneider, , p. .


 V. FINUCCI, The Textualization of a Female I, «Italica», , , pp. -: 

trad. mia.


MENZOGNA E SORTILEGIO: IL LEGAME INCORPOREO

rilevato, non produce effetti benefici su di lei; alla conclusione del


romanzo la narratrice appare nella stessa situazione in cui era all’inizio
del suo racconto, senza giungere ad una migliore definizione di sé.
La scrittura è un compito portato avanti sia dalla madre che dalla
figlia; Anna scrive lettere apocrife del cugino, ed Elisa la sua storia
familiare. Il loro atteggiamento verso la scrittura è differente: come
arguito da Finucci, Anna posiziona se stessa nelle lettere come oggetto
del desiderio, perché le lettere sono apparentemente scritte da Edoardo
a lei; al contrario, attraverso la narrazione del suo essere figlia, Elisa
crea «se stessa come soggetto del suo testo». Anna scrive da donna
appassionata al limite della pazzia, facendo finta di essere l’oggetto
d’amore di un uomo morto, mentre Elisa scrive in cerca di una razio-
nalità che le permetta di dominare il caos psicologico che gli eventi
familiari hanno causato in lei. Sebbene assorbita in quello che lei chiama
un male ereditario, cioè il bisogno di mentire e fantasticare, Elisa cerca
di sfuggire all’irrazionalità che ha sopraffatto la sua vita, lasciandola
isolata, lontano da ogni contatto umano e reclusa nella sua stanza.
Il processo di scrittura della figlia-narratrice è di vitale importanza,
ma la sua ricerca di identità attraverso la scrittura è basata su un pre-
supposto falso; dall’interno del sistema di valori e riferimenti patriarcali,
per la donna non è disponibile alcuno spazio reale che permetta la riar-
ticolazione del suo senso di identità, la sua differenza. Come suggerisce
Irigaray «nessun linguaggio articolato» permette alle donne di essere
al di fuori della politica dell’uniformità maschile, di essere qualcosa di
diverso dall’altro del Medesimo. Sebbene Elisa ponga se stessa come
soggetto del suo testo, viene deprivata della propria differenza. Poiché
scrive sotto dettatura, fatica a delineare la sua differenza e perciò a
rispondere alla domanda «Chi è questa donna?». Il corpo femminile,
considerato da Irigaray come un modo di ripensare le potenzialità della
donna di esprimere la propria differenza, gioca un ruolo evanescente
nella costruzione del senso di sé della figlia.

 E. SCARANO, La fatua veste del vero, cit., p. .


 V. FINNUCCI, The Textualization of a Female I, cit., p.  trad. mia.
 L. IRIGARAY, An Ethis of Sexual Difference, cit., p. .


CAPITOLO SECONDO

Morante mostra che l’unica posizione disponibile alle donne nello


scrivere e parlare della loro identità all’interno del Simbolico maschile
riproduce tale Simbolico – nelle parole di Irigaray – ostruendo il cor-
poreo e non esprimendo il corporeo. Tuttavia la consapevolezza della
limitata autonomia di azione di Elisa nell’atto scrittorio può essere
interpretata come un segnale positivo. Citando Cavarero, nella sua
analisi di Menzogna e sortilegio Paola Azzolini afferma:
La differenza scritta nel corpo femminile, ma non nel simbolico che è il luogo
del linguaggio, diviene esprimibile solo attraverso la coscienza della propria
estraneità: “La parlante ha potuto dirsi per aver riconosciuto come suo spe-
cifico la cancellazione della sua specificità.”

In questo senso anche il fantasticare di Elisa, la sua «menzogna»


può essere considerata come un modo di esprimere la propria diffe-
renza di genere. All’inizio della storia Elisa ammette che la ragione
per il suo costante fantasticare giace nel suo bisogno di vendicare i
suoi «amori non ricambiati» e per soddisfare i suoi «segreti orgo-
gli» (p. ). Si è ritirata nella sua fantasia per ricreare un’immagine
doppia del suo mondo e dei suoi cari, che lei considera vera. Elisa
spiega che si tratta di un male ereditario, spiegazione che, come molti
hanno notato, pone questioni di credibilità. Scarano sostiene che
gli eventi narrati da Elisa per mezzo del suo male ereditario devono
essere differenziati dalla costruzione psicoanalitica della narratrice
fatta da Morante. Secondo Scarano, Morante utilizza coscientemente
una struttura freudiana per modellare la narrazione di Elisa come
quella di una persona malata che si sforza di raggiungere chiarezza
attraverso il processo psicoanalitico. Perciò il processo di narrazione
è al centro della storia più dei fatti stessi. Come soggetto della sua
investigazione psicoanalitica, Elisa dimostra che una narrazione in
cui fantasie, menzogne e difficoltà personali si mescolano è l’unico
mezzo di espressione permesso alla narratrice come donna.
Sebbene Morante mostri l’impossibilità di rappresentare un vi-
vibile senso di identità per la donna, allo stesso tempo manifesta

 L. IRIGARAY, Il corpo a corpo con la madre, in EAD., Sessi e genalogie, cit., p. .
 P. AZZOLINI, Mettersi al mondo, Elsa!, in Mettere al mondo il mondo, a cura di
Diotima, Milano, La Tartaruga, , p. .
 E. SCARANO, La fatua veste del vero, cit., p. .


MENZOGNA E SORTILEGIO: IL LEGAME INCORPOREO

l’amore della figlia per la madre e il bisogno di essere amata da lei.


La figlia-narratrice Elisa mette al centro della narrazione il suo amore
per la madre, interrompendo la tradizione di relazioni disfunzionali
tra madri e figlie, basate su una costruzione patriarcale di rivalità e
gelosia che aveva caratterizzato le precedenti generazioni della sua
famiglia. Dalla limitata posizione disponibile alle donne, Elisa inizia
una piccola rivoluzione.
È interessante notare che il desiderio della figlia di essere amata
viene espresso attraverso due storie di relazione tra madre e figlia
su cui Elisa fantastica. È perciò per mezzo dell’immaginazione e del
fantastico, che sfuggono alla logica dell’espressione patriarcale, che la
figlia esprime il suo desiderio di essere amata dalla madre. I due sogni
di Elisa dipingono una separazione tra madre e figlia che si conclude,
in un’occasione, con il loro ricongiungimento, e nell’altra con il finale
riconoscimento e la rivalutazione della figlia da parte della madre.
I due episodi immaginati rivelano il bisogno della figlia-scrittrice di
trovare compensazione per il suo desiderio insoddisfatto di essere
amata dalla madre, e avvengono nel periodo in cui la disaffezione
di Anna per la sua famiglia è più acuta. I sogni sono descritti come
risultato della vivida immaginazione della ragazzina, segni del «morbo
fantastico» (p. ) che avrebbe afflitto ulteriormente Elisa più avanti
nella vita. Di conseguenza i sogni simbolizzano la necessità di creare
un altro immaginario che permetta la relazione madre-figlia al di fuori
delle costrizioni della tradizione patriarcale.
Una simile forma di compensazione per l’infelicità vissuta – questa
volta attribuita a Anna, Edoardo e Francesco – è data dalla figlia-
narratrice nell’epilogo di Menzogna e sortilegio. Qui Elisa immagina
i tre personaggi riuniti in cielo, in una dimensione preternaturale, fi-
nalmente assieme, felici. L’inizio di questo reciproco legame d’affetto,
secondo la figlia-narratrice, sarà testimoniato dall’apparizione di una
nuova brillante costellazione chiamata «costellazione [...] del Cugino»
(p. ). L’immaginazione della figlia-narratrice sembra proiettare la
risoluzione dei complessi problemi familiari a un livello celestiale.
Di nuovo, è attraverso lo spostamento in un mondo fantastico che si
prospettano le possibilità di una vita migliore.
Nonostante l’enfasi sul materno, Menzogna e sortilegio mostra una
definizione problematica dell’identità da parte della figlia-narratrice


CAPITOLO SECONDO

e una impossible relazione tra madre e figlia. Come abbiamo visto,


mentre la maternità è rafforzata da un’importanza religiosa, l’essere
donna rimane limitato all’interno di uno schema patriarcale che priva il
soggetto donna di azione autonoma (come nel caso di Elisa), desiderio
(come nel caso di Alessandra), e razionalità (come nel caso di Anna).
Nonostante l’importanza del concetto di “materno” che emerge dal
romanzo, le immagini del corpo e il suo significato giocano un ruolo
evanescente nello sviluppo dei personaggi femminili, come nel caso di
Anna con una bellezza distaccata dalla dimensione corporea, e in quello
di Elisa che rimane prigioniera di un’identità senza genere.
Mentre i personaggi maschili non sono affatto degni di ammirazio-
ne, la sottomissione alla struttura patriarcale maschile è un tratto comu-
ne dei personaggi femminili: Anna è arrendevole ai desideri di Edoardo;
Alessandra ha sentimenti di divino timore dinanzi al figlio-Dio; ed Elisa
scrive sotto dettatura. Non c’è alleanza tra i personaggi femminili; la
struttura edipica freudiana, che prescrive il rifiuto della madre, viene
replicata nella relazione tra Cesira ed Anna. Tuttavia la figlia-narratrice
apporta un radicale cambiamento nella relazione figlia-madre, ponendo
il legame d’amore con la madre al centro della narrazione.
Menzogna e sortilegio con la sua enfasi sull’importanza dell’amore
per la madre e sulla difficoltà della figlia-narratrice richiama alla mente
le condizioni delle femministe italiane degli anni Settanta, all’inizio
della loro ricerca sul valore del simbolico della madre, che le porta-
va ad affrontare le difficoltà messe in campo da tale ricerca. Come
riassume Anna Bravo in A colpi di cuore,
Chi rimprovera alle femministe anni  (e post) di essersi sempre viste nel
ruolo di figlie, dimentica che sono le prime a affrontare come fatto politico il
bisogno femminile di amore materno e il dolore di non trovarlo.

Le stesse parole possono essere applicate all’impasse vissuta da Elisa


nella sua ricerca di amore per la madre, e nella sua ricerca di soggetti-
vità. È forse per questa affinità che Morante fu selezionata in Le madri
di tutte noi come scrittrice preferita delle femministe italiane.

 A. BRAVO, A colpi di cuore, Roma-Bari, Laterza, , p. .


III
MADRE E FIGLIA DI FRANCESCA SANVITALE:
CORPI DI SOFFERENZA E IMMAGINAZIONE

Pubblicato nel , Madre e figlia è il secondo romanzo di Fran-


cesca Sanvitale. È la narrazione di una figlia che cerca di venire a patti
con i complessi sentimenti di fusione, interdipendenza, odio, amore,
e rimorso che costituiscono la sua intricata relazione con la madre.
La narrazione della figlia è un collage di frammenti di ricordi e rico-
struzioni inventate della sua vita e di quella della madre. Attraverso
l’intero romanzo una costante incertezza tra realtà e sogno caratterizza
il processo di comprensione di sé a cui si sottopone la figlia adulta,
dopo la morte della madre. Il romanzo è suddiviso in quattro parti
che riflettono quattro fasi della vita di Sonia, la figlia: infanzia, ado-
lescenza, vita adulta e la morte di Marianna, sua madre.
La madre di Sonia è l’unica figlia e la più piccola di una famiglia
aristocratica. Da giovane, dopo la morte dell’amato padre e la rottura
del suo fidanzamento, Marianna fugge con un ufficiale dell’esercito
già sposato. Da questa relazione nasce Sonia. Il giovane ufficiale non
lascia la moglie per Marianna, ma la abbandona successivamente
per un’altra donna, con cui poi condivide il resto della vita. Tuttavia
rimane una presenza, per quanto controversa e marginale, nelle vite di
Marianna e di Sonia; gli fa visita più o meno regolarmente e le sostiene
finanziariamente in modo più o meno generoso. Per nascondere il
cambiamento nella sua vita privata prima a Marianna e poi a Sonia,
l’ufficiale fa loro credere che la moglie, gelosa di Sonia, vuole uccidere
la bambina. L’unica possibilità di sopravvivere per le due donne è di
spostarsi di città in città.
Nella seconda parte del romanzo, madre e figlia sono accomunate
da una serie di sfortune e malattie: gli aborti (tra cui uno spontaneo)


CAPITOLO TERZO

di Sonia, la mastectomia e il cancro di Marianna. Un legame di dolore


sembra segnare anche le loro vite private; così come la relazione di
Marianna con il padre di Sonia era infelice e sofferta, quella di Sonia
con suo marito deteriora e finisce in divorzio.
Un’intricata rete di combattuti sentimenti costituisce la rivisi-
tazione che la figlia fa del passato della madre; un senso di colpa e
risentimento che ha accompagnato Sonia in tutta la vita con la madre,
pervade la sua ricostruzione di questa relazione, tuttavia l’affetto e
l’amore per la madre sono dominanti. La peculiare vita che le due
donne hanno vissuto spostandosi di luogo in luogo, isolate in una
società che rigettava le madri non sposate e i figli illeggittimi, ha
chiaramente contribuito a rendere questa relazione unicamente in-
tricata, e di conseguenza ha reso particolarmente arduo e complesso
il bisogno della figlia di definire la propria identità.
Allo stesso tempo Sonia e Marianna sono anche due personaggi
molto differenti, rappresentanti di un divario generazionale che copre
un periodo di fondamentali cambiamenti per le donne. Marianna,
come altre figure materne analizzate in questo volume (per esempio
Anita in Passaggio in ombra e Amalia in L’amore molesto) divennero
madri prima della Seconda Guerra mondiale. Da adulte le loro figlie
potevano dare per scontato diritti che le loro madri non avevano
avuto. Una volta ottenuto il suffragio universale nel , il processo
di liberazione della donna accelerò; la legge sul divorzio passò nel 
e fu infine approvata nel referendum del , l’aborto fu legalizzato
nel . In tale sequenza di rapidi mutamenti sociali, il mondo di
Marianna sembra diventato arcaico.
Tuttavia, nonostante la discrepanza socio-economica che di-
stingue le due generazioni, l’attaccamento della figlia alla madre è
dominante e associata a elementi e valori che sono diversi da quelli
del processo emancipatorio. La mia lettura di Madre e figlia mira a
mostrare come la figlia-narratrice sviluppi un senso di dissociazione
dai valori maschili che sono stati importanti per la sua emancipazione
e che hanno contribuito al processo che ha reso evidente il divario
storico-sociale tra madre e figlia. Emerge un sistema di riferimento che
enfatizza la differenza di genere, mettendo in evidenza in tal modo,
un legame comune di donne tra madre e figlia. Nella complessità e


MADRE E FIGLIA: CORPI DI SOFFERENZA E IMMAGINAZIONE

contraddizione di questo sistema di riferimento si sviluppa il tentativo


della figlia-narratrice di elaborare un’identità.
Il processo di scrittura acquisisce un particolare significato in
questo romanzo. La coerente, cronologica struttura narrativa viene
frantumata. La manipolazione della sequenza temporale attraverso
giustapposizione permette un processo di associazione psicologica che
rivela, o piuttosto lascia venire in superficie, aspetti della vita della
narratrice che non sono manifesti a se stessa. Il processo associativo
è, in alcune parti, piuttosto nascosto, ed episodi che a primo acchito
appaiono come «epifanie fuori dall’ordine cronologico» tendono a
comunicare un’intuizione più sottile.
Come sostiene Ursula Fanning, in un romanzo in cui la struttura
narrativa circolare mostra che la morte della madre determina la nar-
razione, è nella scrittura stessa che viene affermata la centralità della
relazione tra madre e figlia. Il ruolo dell’immaginazione, lo stile e il
linguaggio figurato nel re-immaginare la relazione con la madre sono
tutti elementi che permettono alla figlia-narratrice di trovare un senso
di se stessa evocando un legame di genere con la madre.

Il corpo come oggetto di desiderio


Come dimostra Ann Hallamore Caesar, le due protagoniste, che
vivono quasi al limite della realtà, si oppongono «continuamente,
all’incipiente stato di non-differenza, che sarebbe altrimenti il loro
destino». La mancanza di differenziazione cui madre e figlia stanno
cercando di resistere è determinata dalla loro oggettificazione nel
patriarcato e dalla lotta per asserire un’identità positiva. Nel romanzo
il corpo femminile gioca un ruolo determinante nella costruzione
dell’identità delle due donne. Da una parte il corpo è un oggetto

 P. BLELLOCH, Francesca Sanvitale’s Madre e figlia: from Self-Reflection to Self-


Invention, in Contemporary Women Writers in Italy, a cura di S. Aricò, Amherst, University
of Massachusetts Press, , p. .
 U. FANNING, Mother in the Text, Mothering the Text: Francesca Sanvitale and
Fabrizio Ramondino, «The Italianist», , , pp. -: .
 A. HALLAMORE CAESAR, Francesca Sanvitale: Investigating the Self and the World,
The New Italian Novel, a cura di Z. Barański, L. Pertile, Edinburgh, Edinburgh University
Press, , p.  trad. mia.


CAPITOLO TERZO

del desiderio e del potere patriarcale, dall’altra indica elementi per


permettere alle protagoniste di legarsi e di manifestare la loro diffe-
renza di genere. Nell’analizzare il romanzo mi focalizzerò dapprima
sulla raffigurazione del corpo femminile oggettificato dal desiderio
maschile e sulla sua interiorizzazione da parte del soggetto donna.
All’inizio della sezione che narra l’attrazione dello zio materno
Paris per Sonia, Sanvitale pone la descrizione del corpo adolescente
della ragazza. L’attrazione dello zio inizia quando Sonia è ancora ado-
lescente, con una mescolanza di affetto e premura, che non cesserà
per tutta la vita di lui. L’erotizzazione del corpo di Sonia diviene una
potente illustrazione dell’oggettificazione esercitata dall’osservatore
maschile. Dapprima il corpo nudo della ragazza viene presentato come
la descrizione di un narratore onniscente, ma risulta poi essere la scena
che Paris vede ogni giorno, dopo pranzo, quando la ragazza riposa:
[U]na gamba si modellava adagiata, asciutta e soffice, l’altra era sollevata verso
il muro, il pube palpitava nel respiro del torpore e del sonno, i fianchi aguzzi
sporgevano come se il ventre fosse un cratere e l’ombelico il centro palpitante
a cui arrivare; poi il seno erto e sbandierato, con i capezzoli minuscoli da
bambina, intoccati [...] le labbra, un pochino all’insú nel centro, si tiravano
nella pelle fina come quella del chicco d’uva quando è gonfio di sugo e sta
per spaccarsi; gli occhi sotto le palpebre abbassate erano sospettosamente
palpitanti, le ciglia due ali di farfalla impaurita.
Il sole [...] disegnava la nudità, rivelava punti di desiderio.

La nonchalance del corpo di Sonia e il suo naturale atteggiamento


inconscio – «una gamba soffice, l’altra [...] sollevata verso il muro, il
pube palpitava nel respiro del torpore e del sonno» – sottolineano l’in-
nocenza del corpo dell’adolescente. Ma un desiderio tattile – «il centro a
cui arrivare» – trasforma quell’innocenza e nonchalance in un’immagine
erotica amplificata dalla descrizione delle labbra, occhi, ciglia e soprac-
ciglia come espressione di una bellezza femminile matura, combattuta
tra desiderio («palpitanti») e paura («farfalla impaurita»).
La rappresentazione del corpo nudo di Sonia è incorniciata tra
due descrizioni che si riferiscono a specchi. All’inizio della scena di
Sonia dormiente viene menzionato che nella casa non c’erano spec-

 F. SANVITALE, Madre e figlia, Torino, Einaudi, , pp. -. Tutti i riferimenti
successivi al romanzo sono dati in parentesi nel testo.


MADRE E FIGLIA: CORPI DI SOFFERENZA E IMMAGINAZIONE

chi, eccetto quello ovale del bagno (p. ). In posizione simmetrica
a questa affermazione, e quindi a conclusione della descrizione del
corpo di Sonia, si posiziona l’uso metaforico della parola “specchio”
nella descrizione degli occhi di Paris: «lo sguardo dello zio Paris, unico
specchio nel quale era rappreso il desiderio di lui, si ficcò dentro alle
palpebre di Sonia che subito si richiusero» (p. ).
L’uso “a specchio” di immagini di specchi enfatizza l’azione al
centro della sequenza, dove la sensuale rappresentazione del corpo
di Sonia non è altro che il riflesso del desiderio di Paris. Lo zio Paris,
come osservatore, riflette a Sonia un’immagine di se stessa che diviene
parte della percezone di sé. Come nella teoria di Lacan, l’immagine
viene riflessa dall’individuo, e dà una prima impressione di identità.
L’immagine così formata dall’osservatore è parte della percezione
dell’io del soggetto. Nel brano precedente questo è rappresentato
dagli sguardi tra zio e nipote. Gli occhi di Paris traboccano di de-
siderio e Sonia, in una frazione di secondo, cattura quel desiderio.
Il conscio, o inconscio, aprire e chiudere gli occhi dà a Paris la scintilla
del dubbio che la nipote sia giocosamente consapevole della nudità
del suo corpo e del di lui desiderio. Allo stesso tempo segna per Sonia
l’inizio dell’interiorizzazione del desiderio maschile.
La reazione di Sonia alle continue attenzioni dello zio sono espres-
se da reazioni ambivalenti: confusione, paura, ma anche un senso di
gratificazione dell’essere desiderata. I tentativi dello zio di entrare in
intimità con lei la lasciano sia spaventata che desiderosa di coinvol-
gersi in quella complessa relazione: «affrettava il passo per correre
verso quella passione come se lí fosse la battaglia, lí la vita» (p. ).
La stessa sottomissione dell’immagine di sé al desiderio maschile
emerge anche nella scena delle molestie del signor Andrea verso Sonia
bambina. L’immaturità e l’innocenza della giovane Sonia generano
confusione ed emozioni contraddittorie verso il signor Andrea che le
sta insegnando a ballare nella hall dell’albergo dove le due donne si
trovano. Il suo corpo infantile, viene descritto nel ballo con Andrea
come «cera molle» (p. ), docile al desiderio adulto maschile.

 In L’uomo del parco (), Sanvitale esplora ulteriormente il tema del desiderio
femminile attraverso lo sguardo maschile.


CAPITOLO TERZO

Entrambi questi episodi illustrano l’identificazione di Sonia con


l’immagine eroticizzata di sé che viene riflessa dall’Immaginario ma-
schile. Sonia è osservata quale oggetto del desiderio, e questa im-
magine forma un senso di identità all’interno di sé. Come per Anna
in Menzogna e sortilegio, la posizione di Sonia segna l’assenza di un
sistema di riferimento che potrebbe riflettere un senso di identità altro
da quello creato dalla società patriarcale. Nelle scene appena conside-
rate, Sonia non ha a disposizione alcun modo per immaginare il suo
corpo diversamente da quello di oggetto di desiderio maschile.
L’auto-percezione dell’adolescente Sonia esemplifica il concetto
di donna come altro del Medesimo, discusso nel primo capitolo. Nelle
parole di Irigaray, la società occidentale si è sviluppata come prodotto
della «hom(m)osexualité», una cultura del Medesimo, in quanto la
donna è stata limitata alla posizione di oggetto, la cui funzione è di
riflettere il soggetto maschile; la donna è l’Altro, ma effettivamente la
sua differenza non viene riconosciuta, perché esiste all’interno dello
stesso sistema maschile.
Oggettificate all’interno dell’ordine patriarcale, le donne non
possono neppure esprimere il loro desiderio. La mancanza di ogni
possibilità di espressione del desiderio da parte sia della figlia che
della madre è palese in Madre e figlia. Per quanto riguarda Sonia,
un esempio è dato dalla descrizione della sua relazione sessuale con
un giovane uomo, durante una vacanza in Corsica. A questo punto
della vita, Sonia è una giovane istruita, in grado di progettare una
vita indipendente per se stessa, e determinata a rifiutare il modello
passivo di femminilità che vede in sua madre, come sarà discusso a
breve. Anche se il narratore sta descrivendo un incontro sessuale, non
indugia sull’immagine del corpo maschile (p. ). Diversamente dal
riflesso del corpo femminile delineato attraverso gli occhi maschili,
l’osservatore femminile dà un breve abbozzo del corpo maschile senza
rappresentarlo come attraente o erotico. L’osservatore femminile non
eroticizza il corpo maschile, e Sonia, nell’osservare il corpo nudo del
suo amante non è soggetto di desiderio. Dal romanzo emerge chia-
ramente che il desiderio femminile rimane non detto, a prescindere

 L. IRIGARAY, Speculum, cit., p. .


MADRE E FIGLIA: CORPI DI SOFFERENZA E IMMAGINAZIONE

dall’età del personaggio femminile o dal periodo storico. Come la sfera


della sessualità di Marianna rimane sconosciuta, completamente as-
sente dalla narrazione, così il desiderio di Sonia rimane inespresso.
Se l’espressione del desiderio è problematica nel romanzo, la co-
struzione e l’interiorizzazione dei dominanti schemi patriarcali è schiac-
ciante per l’identità della figlia. Così come la struttura eterosessuale
patriarcale modella la percezione delle donne, dei loro corpi e dei loro
desideri, lo stato civile – e nel romanzo la condizione di figlia illegittima
della giovane Sonia, fa parte della percezione del corpo della figlia e del
suo io. Essere una figlia illegittima, come anche essere una madre non
sposata in un paese cattolico durante il periodo fascista, era indubbia-
mente molto arduo. La stessa Sanvitale fu una figlia illegittima durante
il fascismo ed ebbe esperienza diretta della stigmatizzazione e della
discriminazione di quella società. È attraverso la giustapposizione di
episodi dell’infanzia di Sonia, apparentemente non in relazione l’uno
con l’altro, che viene espresso il rifiuto sociale.
Nella prima sezione viene raccontata la passione di Sonia e Ma-
rianna per i film di Shirley Temple e la loro incredula reazione alla
notizia, riportata da alcuni giornali, che l’attrice era nana. Tale com-
mento originò dalle recensioni di un film in cui, a causa di un problema
cinematografico, l’attrice bambina sembrava più piccola degli oggetti
intorno a lei. Sebbene i dettagli della recensione possano essere letti
come un semplice ricordo dell’infanzia di Sonia, il significato del pri-
mo ricordo diviene più chiaro nel momento in cui leggiamo il brano
successivo, relativo al rifiuto di Sonia da parte di una scuola condotta
da suore, a causa della sua illegittimità.

 Adalgisa Giorgio ha analizzato Madre e figlia soffermandosi sul tema dell’illegitti-


mità, e ha messo in luce il senso che la figlia sviluppa della propria legittimazione attraverso
riferimenti religiosi e mitici. The Passion for the Mother: Conflicts and Idealisations in Con-
temporary Italian Narrative by Women, in Writing Mothers and Daughters, cit., pp. -.
 Sanvitale scrive in un articolo su «L’Unità», ripubblicato nella raccolta Camera
ottica: «Non augurerei a nessuno di nascere illegittimo in un regime fascista poiché il rifiuto
della famiglia, dei parenti, della società, della chiesa era di tale violenza che descritta oggi
non sarebbe credibile. Non sarebbe credibile raccontare le vessazioni che subiva una ra-
gazza madre durante e dopo il fascismo. Si scorda facilmente quando le cose cambiano»,
F. SANVITALE, Camera ottica, Torino, Einaudi, , p. .


CAPITOLO TERZO

Anche la madre superiora osservò Sonia, come se fosse un oggetto.


– Come si chiama? – chiese.
– Sonia.
– E poi?
– Sonia, – disse la signora Marianna con un fil di voce, – porta il mio cognome.
Il bavero inamidato tremò. Le guance della madre superiora si arrossarono e
le labbra si strinsero e sparirono [...]. Una mano sbucò dal soggolo e il braccio
si allungò verso la panca vicino al muro. La bambina andò a sedersi immersa
in una punizione senza senso [...].
Alla fine arrivò lo sguardo verso la bambina seduta: pieno di orrore e di di-
sprezzo, di freddezza, come se lei si fosse trasformata in un insetto velenoso
e repellente. (pp. -)

Come Shirley Temple diventò una «schifosa nana», così Sonia


diviene, agli occhi della suora, «un insetto velenoso e repellente».
Entrambe le bambine sono giudicate attraverso le lenti distorte di
una società dal potere schiacciante.
L’episodio dell’incontro con la suora mostra come al corpo
sia attribuito significato attraverso la storia personale e sociale del
soggetto. In questo caso, l’illegittimità modella le percezioni altrui
del corpo di Sonia e indirettamente le percezioni della stessa Sonia.
La rilevanza delle categorie sociali nella costruzione della nostra sog-
gettività e nella percezione del corpo è comune a tutti i paesi e tutti i
periodi storici, come è evidente dalla seguente storia di Audre Lorde,
che è molto simile agli eventi narrati in Madre e figlia:
The AA subway to Harlem. I clutch my mother’s sleeve, her arms full of shop-
ping bags, christmas heavy [...]. My mother spots an almost seat, pushes my
little snowsuited body down. On one side of me a man reading the paper.
On the other, a woman in a fur hat staring at me. Her mouth twitches as she
stares and then her gaze drops down, pulling mine with it. Her leather gloved
hand plucks at the line where my blue snowpants and her sleek fur coat meet.
She jerks her coat close to her. I look, I do not see what ever terrible thing she
is seeing on the seat between us – probably a roach. But she has communicated
her horror to me. It must be something very bad from the way she is looking, so
I pull my snowsuit away from it, too. When I look up the woman is still staring
at me, her nose holes and her eyes huge. And suddenly I realize there is nothing
crawling up the seat between us; it is me she doesn’t want her coat to touch.
Il treno per Harlem. Afferro la manica del cappotto della mamma, le sue braccia
piene di borse per la spesa, piene di cose di Natale [...]. Mia madre intravede un
posticino, e ci spinge il mio corpo imbacuccato. Da un lato un uomo che legge
il giornale. Dall’altro una donna con un cappello di pelliccia che mi guarda


MADRE E FIGLIA: CORPI DI SOFFERENZA E IMMAGINAZIONE

fisso. Le sue labbra hanno un tic mentre mi fissa, e il suo sguardo si abbassa,
portando anche il mio con il suo. La sua mano in un guanto di pelle va giù,
alla linea dove la mia tuta da sci blu e il suo elegante cappotto di pelliccia si
incontrano. Tira a sé il cappotto. Io guardo, e non vedo cosa di così terribile
lei stia vedendo sulla sedia tra di noi – probabilmente uno scarafaggio. Ma lei
mi ha comunicato il suo orrore. Deve essere qualcosa di veramente terribile,
a giudicare dal suo sguardo, allora anch’io tiro verso di me la mia tuta da sci.
Quando guardo su, la donna mi sta ancora guardando, le narici e gli occhi
grandi. E improvvisamente capisco che non c’è nessuno scarafaggio nel sedile
tra di noi; sono io che lei non vuole che il suo cappotto tocchi.

L’interiorizzazione dell’Immaginario maschile del dominante


discorso patriarcale lascia il segno sulla relazione tra madre e figlia.
Da vittima della discriminazione della società, la piccola Sonia si trasfor-
ma in un crudele tormentatore della donna che ama di più e accanto
alla quale ha sopportato i pregiudizi della società. Da bambina, per
rispondere alle insistenze del suo cuginetto (significativamente descritto
come una combinazione di suo padre e del signor Andrea), Sonia con
«un’asprezza da giudice inquirente» e «occhi [...] adulti e cattivi» (p. )
chiede alla madre del suo vestito da sposa. Anche in età adulta questo
episodio causerà a Sonia un senso di rimorso e la totale incapacità di
perdonare se stessa. Nel giudicare lo stato di non sposata di Marianna,
nello stesso modo in cui la Madre superiora aveva silentemente depre-
cato l’illegittimità di Sonia, la bambina diventa «carnefice della persona
più amata» (p. ), come commenta la narratrice adulta più avanti nel
racconto. Soprattutto la bambina mostra di avere assorbito le costrizioni
sociali del tempo e di non essere in grado di resistere ad esse. L’amo-
revole relazione e l’atteggiamento protettivo che persino da ragazzina
Sonia aveva dimostrato verso la madre sono dilaniati da un concetto
dominante di famiglia. Per Sonia emergono altre contraddizioni, come
illustrerò, quando la crisi causata dal desiderio di emancipazione (intesa
come uguaglianza con i valori maschili) e il suo amore per la madre
diventano più acuti.

 A. LORDE, citata in R. ALSOP, A. FITZSIMMONS, K. LENNON, Theorizing Gender,


Cambridge, Polity, , p. , trad. mia.


CAPITOLO TERZO

L’eroe
La relazione tra Sonia e sua madre è molto significativa per il
distanziamento di Sonia dalle costruzioni maschili e lo sviluppo della
sua identità; il romanzo rappresenta la ricostruzione di quel processo
di sviluppo. La modifica è connessa al rifiuto del valori maschili e al
ripensamento della relazione con la madre attraverso risorse dell’im-
maginario associate al corpo femminile. Emozioni contraddittorie
sono caratteristiche di questo problematico sviluppo.
La complessità delle prime pagine è sintomatica degli intricati
sentimenti che opprimono la figlia-narratrice, che pochi anni dopo
la morte della madre cerca di comprendere le proprie opposte sen-
sazioni e i suoi atteggiamenti verso sua madre. Il romanzo si apre con
un intreccio di immagini contrastanti di Marianna – un insieme di
rappresentazioni di fasi diverse della vita (da figlia adolescente di una
famiglia benestante, e da adulta impoverita nella fase finale del suo
male terminale) e anche dell’espressione di colpa di sua figlia:
[E] via via che scrivo proprio a mia madre che viene avanti chiedo scusa; [...]
sono io, come sempre ho fatto che la difendo [...]. Mi dico che sono giusti-
ficata dal desiderio. Amo il suo corpo anche vecchio, anche morto, anche
decomposto. Solo il corpo di mia madre è per me un corpo d’amore. Il mio
pianto è per la sua vita sottile, per il suo piccolo seno, per le gambe snelle, per
il passo danzante [...]. Gioco con lei perché a lei piaceva ridere e giocare [...].
Mia madre è degna di offensive ricchezze [...]. Io l’ho mantenuta come uno
stupido marito, come un offensivo e cupo ragioniere, contando gli spiccioli nel
palmo, stendendo biglietti da diecimila, stringendo labbra aride e sdegnose,
lesinando e gridando, sbattendo porte, alzando la testa come se la sua vita
dipendesse dal mio potere. (pp. -)

Il brano presenta una suddivisione diametrica tra, da un lato,


l’amore per la madre, espresso come desiderio primordiale per il
corpo della madre, e dall’altro il senso di colpa per l’atteggiamento
autoritario della figlia verso la madre. Vorrei considerare dapprima
quest’ultimo aspetto dei sentimenti conbattuti della figlia.
La spiegazione della narratrice delle ragioni all’origine del suo
rimorso – «contando gli spiccioli nel palmo [...] gridando, sbattendo
porte» – contiene un riferimento specifico alla trama. Allude al pe-
riodo in cui Sonia, giovane adulta, inizia a gestire le finanze familiari.
Alla fine della seconda sezione, dopo una drammatica lite con il padre,


MADRE E FIGLIA: CORPI DI SOFFERENZA E IMMAGINAZIONE

Sonia decide di rifiutare l’aiuto finanziario del padre e sostenere sua


madre e se stessa. A quel punto i soldi diventano la maggiore preoc-
cupazione della figlia. È un lungo periodo di sforzi e lotte («cinque
anni di fatiche e ricostruzioni», p. ). Tuttavia Marianna non prende
parte ai faticosi tentativi dell’entusiastica figlia. Di conseguenza, la
relazione con la madre deteriora al punto in cui una notte Sonia,
esasperata dai debiti che Marianna continua ad accumulare, cerca
di strangolarla.
L’inizio della lotta per l’indipendenza economica è segnata dalla
lite con il padre, che vuole obbligare Sonia al matrimonio. A questo
punto della narrazione e, per l’unica volta nel romanzo, Sonia vie-
ne descritta simile al padre nonostante le posizioni profondamente
contrastanti che entrambi mantengono: «Si assomigliavano molto.
Sembrava che si scontrassero con la loro diversa immagine che per
odio volevano distruggere» (p. ). Una lista di sinonimi e attributi
della parola «eroe» viene giustapposta all’inizio di questa scena, sta-
bilendo una sorte di epigrafe al periodo dello sforzo di indipendenza
della figlia. Tutte le parole sono di genere maschile:
Eroe: prode, forte, coraggioso.
Semidio, paladino, cavaliere, guerriero, grande uomo, campione; modello,
esempio.
Personaggio, protagonista. (p. )

Nel periodo in cui Sonia lotta per l’indipendenza, il genere ma-


schile di questa descrizione la elimina come soggetto femminile.
È possibile dedurre che, così come la ricerca di indipendenza di So-
nia comprende l’acquisizione di caratteristiche maschili, il soggetto
femminile è di conseguenza cancellato nel processo stesso di eman-
cipazione. In questo senso l’immagine dell’eroe maschile echeggia
la critica alla politica emancipazionista sviluppata da Carla Lonzi
nell’ultima parte degli anni Sessanta, e discussa nel primo capitolo.
Lonzi ed il gruppo Demau obiettarono che una mera politica eman-
cipazionista avrebbe potuto solo risultare in una mascolinizzazione
delle donne, rendendole omologhe agli uomini e dunque negando
la loro differenza.
Infatti, in Madre e figlia, l’acquisizione di qualità maschili, oscu-
rando la differenza delle donne, segnala anche la rottura con la madre.


CAPITOLO TERZO

Comunque persino in questa fase non c’è da parte di Sonia un defini-


tivo rifiuto della madre. Al contrario, l’episodio del tentato strangola-
mento finisce per sottolineare l’attaccamento della figlia a Marianna,
che soggiace dietro l’apparente rifuto. Dopo questa drammatica scena
l’immagine dell’eroe viene di nuovo usata per dare espressione al
conflitto tra amore e rifiuto. Al momento della partenza dalla casa
della madre, Sonia viene paragonata a un eroe vestito per la battaglia:
«Era sempre l’eroe e sulle sue insegne c’erano i colori della madre
abbandonata» (p. ).
Sonia è di nuovo una figura maschile pronta a uno sforzo tre-
mendo. Le insigne con l’immagine della madre testimoniano che il
fine ultimo della battaglia della figlia sono la felicità e il benessere
della madre. Anziché il rifiuto della madre, l’azione della figlia e
la sua partenza sottolineano la difficoltà della separazione. Dietro
l’emblema dell’immagine dell’eroe maschile viene celato un legame
ancora più stretto con la madre.
Tornando alle prime due pagine, è ora possibile comprendere
perché il senso di rimorso di Sonia per la madre è causato dall’averla
mantenuta «come uno stupido marito [...] alzando la testa come se
la sua vita dipendesse dal mio potere». I sentimenti rimasti inespressi
durante la vita di Marianna erompono dopo la sua morte. Il rimorso
per i dissidi su questioni finanziarie, che avevano amareggiato la loro
vita trent’anni prima, viene espresso attraverso il disprezzo di un
ruolo patriarcale, autoritario e di strette vedute («come uno stupido
marito»). Ciò che in giovinezza era stato visto come un coraggioso
ruolo maschile è rivalutato negativamente.
Per la giovane Sonia l’acquisizione di un ruolo maschile, come
pure la sua partenza significava anche il distanziarsi da un modello
di femminilità che prescriveva le donne come passive e sottomesse,
come il suo uso del termine “femmine” chiarisce: «Ormai aveva pas-
sato troppi anni ad arzigogolare sulle femmine e su ciò che lei voleva
essere di contrario nella vita» (p. ).
Il diverso senso di identità femminile che la figlia sembra mani-
festare, a confronto con la madre, deve essere inquadrato all’interno
del mutante contesto storico-sociale in cui le giovani donne della sua
generazione stavano vivendo in Italia. Sonia, adolescente nel periodo


MADRE E FIGLIA: CORPI DI SOFFERENZA E IMMAGINAZIONE

del dopoguerra, cresce nel vortice dei cambiamenti che iniziava a


modificare la vita delle donne. Negli anni Cinquanta, come la stessa
Sanvitale scrive nel romanzo, era comune per donne come Sonia tra-
sferirsi in un’altra città per perseguire una propria carriera (p. ).
Alla stessa età, sotto il fascismo, Marianna è ritratta come una
donna fragile che cerca una figura protettiva nel suo ufficiale.
Marianna personifica un ruolo di disturbo della quintessenziale ideo-
logia fascista della famiglia nucleare come elemento della nazione.
Da madre non sposata, il personaggio di Marianna è antitetico alla
dominante immagine di “madre esemplare” del regime fascista; non è
la madre tutta sacrificio dedita alla crescita della famiglia o la moglie
sottomessa che segue la volontà del marito. Tuttavia, pur essendo
un’estranea alla società del periodo fascista, Marianna non appare una
donna indipendente, autononoma o ribelle. Nonostante l’inusuale
struttura della sua vita privata, Marianna riflette la costruzione di
genere stabilita dal fascismo: sottomessa alla volontà dell’amante e
in continua ricerca di una figura protettiva.
Gli sforzi emancipazionisti della figlia, e la conseguente goffaggine
causata in Sonia dalla madre, richiamano alla mente la crisi di valori
dei gruppi femministi degli anni ’, quando le femministe criticavano
le loro madri in quanto appartenenti alla società patriarcale. Come
visto nel primo capitolo, storicamente nel femminismo italiano c’è
stato un progressivo cambiamento verso la rivalutazione della madre.
In Madre e figlia emerge un processo simile. Nonostante i diversi con-
testi storico-sociali in cui sono maturate madre e figlia, le due donne
non sono isolate in due mondi incomunicabili. Come mi accingo a
dimostrare, un sistema di valori che si allontana dal sistema patriar-
cale rende gradualmente possibile un legame tra madre e figlia. Tale
sistema di valori è lungi dal permettere la rappresentazione di donne
sicure soggetto dei loro diritti; piuttosto rivela l’importanza del corpo
femminile come elemento dell’identità di genere che eccede e resiste
le costrizioni dei modelli patriarcali. È attraverso la dolorosa rivisita-

 Il regime fascista offriva aiuto alle madri non sposate e ai loro figli. Tuttavia la vita

di una madre non sposata durante il fascismo non era resa meno ardua da queste politiche
protezionistiche, che cercavano di controllare il tasso di nascita e la razza piuttosto che
promuovere l’autonomia delle donne.


CAPITOLO TERZO

zione di esperienze sofferte nel corpo che madre e figlia costruiscono


un legame attraverso cui la figlia trova un senso di identità, che le
permette di allontanarsi da una posizione mascolinizzata come unica
posizione possibile per le donne all’interno del patriarcato.

L’attacco al corpo da parte dell’istituzione medica


Nella narrazione emerge un sistema di riferimento che mette in
luce la dissociazione della figlia-narratrice dai valori patriarcali e,
allo stesso tempo, lascia intravvedere la formazione di un’identità
femminile che permmette la reimmaginazione del corpo femminile.
Questo sistema di riferimento viene creato a livello di trama da una
serie di episodi che enfatizzano il significato del corpo femminile nella
costruzione dell’identità femminile e che ritraggono la classe medica
maschile e il suo potere sul corpo della donna.
La terza sezione del romanzo si apre con la scena di Sonia che
si riprende da un aborto spontaneo. È la sua seconda gravidanza
incompleta, come veniamo a sapere dopo alcune pagine, quando la
narrazione si sposta indietro a due anni prima, prima del matrimo-
nio di Sonia. Anche Marianna, prima della nascita di Sonia, aveva
avuto un aborto, sebbene non menzionato al momento dell’idillica
ricostruzione della giovinezza di Marianna. Tale vicenda diventa a
questo punto un elemento del legame tra le due donne. Tuttavia
la comune esperienza dell’aborto e le malattie che madre e figlia
patiscono sono cariche, a un’analisi più accurata, di un significato
più complesso; mostrano il trauma psicologico a cui le donne sono
soggette a causa dell’oggettificazione e della medicalizzazione dei
loro corpi. Le dettagliate descrizioni del primo aborto di Sonia, del-
la mastectomia di Marianna e dell’aborto spontaneo di Sonia sono
tutte implicitamente critiche dell’ambiente medico al centro delle
operazioni chirurgiche.
Le teorie di Foucault hanno analizzato il modo in cui il corpo è
costruito da forze esterne. Tali discorsi sul corpo sono creati, secon-
do Foucault, non dalla società in generale ma attraverso specifiche
istituzioni quali ospedali, prigioni e scuole. Tali istituzioni modella-
no il corpo attraverso relazioni di potere che «hanno un’immediata


MADRE E FIGLIA: CORPI DI SOFFERENZA E IMMAGINAZIONE

presa su di esso [il corpo]: lo inventano, lo segnano, lo esercitano, lo


torturano, lo forzano a sostenere compiti, a celebrare cerimonie, ad
emettere segnali».
Il potere delle istituzioni sul corpo come descritto da Foucault
è rintracciabile nella rappresentazione del primo aborto di Sonia,
effettuato illegalmente agli inizi degli anni Sessanta. In un crescendo
di descrizioni sgradevoli dell’ambiente chirurgico e del personale me-
dico, la fredda decisione di Sonia di sottoporsi a un aborto (motivata
da ragioni pratiche) e la sua convinzione di un intervento indolore
finiscono per produrre conseguenze brutali e barbare.
L’ambiente della chirurgia e la sua preparazione anticipano la vio-
lenza che Sonia soffrirà durante l’operazione: «L’infermiera aveva preso
una grossa cinghia di cuoio dal lettino e l’aveva agilmente passata intor-
no al polso fermandolo a tradimento» (p. ). La conseguente perdita
di controllo sul proprio corpo – « prigioniera nelle loro mani» (p. ) –,
le difficoltà dell’intervento e il dolore fisico dipingono una relazione
antagonistica tra l’ambiente medico e le donne.
Al momento dell’intervento il corpo di Sonia è soggetto all’invasio-
ne degli attrezzi chirurgici ed è indifeso contro questa feroce e disumana
aggressione: «Dentro all’utero, con colpi di denti che la sbranavano,
i lunghi ferri salivano più su, laceravano con beccate crudeli i tessuti,
lasciavano solo sangue» (p. ). La metafora relativa ad animali che
attaccano e divorano la loro preda – «sbranavano»; «beccate» – ritrae
l’immagine di un attacco violento al corpo della donna.
Sonia aveva consapevolmente cercato un aborto illegale. Per lei
era un atto di auto-determinazione, ma nella realtà dell’intervento
chirurgico il dottore e il personale medico prendono il controllo sul
suo corpo. L’operazione viene effettuata in un ospedale fuori dagli
orari di visita, perciò, sebbene illegale, l’aborto viene praticato in
un’istituzione. Da atto di auto-determinazione, l’aborto si trasforma
in una perdita di controllo, una manipolazione del corpo femminile.

 M. FOUCAULT, Discipline and Punish [Sorvegliare e punire], Harmondworth, Pen-

guin, , p. .


 Si tratta di un fatto peculiare rispetto alla realtà in cui veniva praticato l’aborto

a quei tempi, spesso in circostanze insicure e rischiose, da persone non qualificate (mam-
mane), motivi su cui si era basata la campagna in favore della legalizzazione dell’aborto.


CAPITOLO TERZO

Persino nel caso di un aborto illegale, le istituzioni dominano il corpo


della donna. Sonia viene oggettificata nello studio medico e trattata
paternalisticamente dal ginecologo: «– Bella signorina, – disse il gi-
necologo con aria svagata e mondana. – Lei è molto pallida [...]. Cosí
dicendo fece scivolare la mano lungo la coscia nuda» (p. ). La forza
generativa delle donne – o nelle parole di Cavarero, «la possibilità di
generare o di non generare» – viene negata dalle patriarcali istituzioni
mediche, opprimenti e dominanti sul corpo della donna.
La figlia-narratrice racconta la sua esperienza in toni identici a quel-
li adottati nella descrizione dei trattamenti per il cancro al seno sofferto
dalla madre. L’episodio della mastectomia di Marianna viene utilizzato
in maniera simile per enfatizzare il tormento della medicalizzazione
patriarcale. Nel caso della mastectomia l’angoscia di Sonia è di nuovo
centrata sugli strumenti chirurgici come mezzo di attacco al corpo –
«i ferri che frugavano» (p. ). Proprio come nella scena dell’aborto
di Sonia, la durezza del trattamento chirurgico accentua un senso di
appropriazione e persino di distruzione del corpo della donna.
Il divario tra le implicazioni psicologiche dell’intervento provate
da Sonia e il freddo, insensibile atteggiamento del personale medi-
co viene enfatizzato ancora una volta, nella descrizione dell’aborto
spontaneo di Sonia avvenuto al sesto mese di gravidanza. L’approccio
professionale, ma sbrigativo e impersonale, del personale medico,
accresce il sentimento di solitudine di Sonia. Come nell’episodio
dell’aborto illegale, la sua esperienza psicologica rimane invisibile
al personale medico e, in questo caso, anche a suo marito. Ha razio-
nalmente deciso e accordato assieme al marito che sarebbe andata
da sola in ospedale, ma il distacco emotivo di lui inasprisce il suo
dolore in un’esperienza che, come scopre, si rivela molto più com-
plessa di quanto avesse pensato, perché significativa per la sua psiche
di donna – «mai più si cancellò dalla sua mente di donna» (p. ).
Il contrasto tra il tumulto psicologico di Sonia e la freddezza sia di
suo marito che del personale medico ha la funzione di rinforzare la
sua identità di genere. Sonia è isolata mentre fa esperienza e rivive i
drammi personali nella sua mente di donna.

 A. CAVARERO, Nonostante Platone, cit., p. .


MADRE E FIGLIA: CORPI DI SOFFERENZA E IMMAGINAZIONE

In conclusione, sembra che gli aborti di Sonia compreso quel-


lo spontaneo, come anche la mastectomia di Marianna, siano im-
portanti non solo come eventi dolorosi condivisi da madre e figlia.
Sono gli effetti di tali eventi sulla psiche della donna, negata e smi-
nuita dalle istituzioni, che legano madre e figlia in quanto donne.
Il corpo femminile alienato dalle istituzioni patriarcali viene visto
come portatore dei segni di disturbo psicologico – «ciò che si subisce
nel fisico dentro di noi stampa una mostruosa e dilatata idea» (p. ) –
e diventa il caposaldo del legame emotivo tra madre e figlia. Sanvi-
tale mostra che il corpo della donna non è solo un elemento fisico
ma anche un’entità immaginaria capace di determinare significato
nella costituzione dell’identità di genere. Il corpo femminile è carico
di forza di resistenza: delinea un tratto emotivo e psicologico che
rende le donne consapevoli della loro reale posizione, antitetica alla
manipolazione patriarcale e alla medicalizzazione.

Critica e re-immaginazione
La visione critica del patriarcato emersa attraverso la rappresen-
tazione dell’istituzione medica viene sviluppata in particolare nella
seconda parte del romanzo, quando viene narrata la vita adulta di
Sonia. A questo punto è svanita l’ambivalenza psicologica che aveva
caratterizzato l’attrazione della giovane Sonia verso lo zio Paris e il
signor Andrea, come parte della sua ricerca adolescenziale di identità
e affetto. Anche la lotta per l’emancipazione che aveva determinato
la mascolinizzazione di Sonia lascia spazio alla consapevolezza di un
legame con la madre, basato su una sofferenza di cui entrambe hanno
fatto esperienza sui loro corpi. La critica al patriarcato si acuisce in
relazione a quelle figure maschili che, per i loro legami familiari, sono
state una presenza più permanente nella vita di Sonia, ossia il padre
e il marito. La storia di uno zio materno che era stato allontanato
dalla famiglia perché considerato malato di mente, e poi dimenticato,
contribuisce ad accentuare la critica della società patriarcale.
Nella ricostruzione della narratrice i ritratti distaccati del padre e
del marito sono posti in parallello in quella che appare un’associazione
mentale e collegati all’ospedalizzazione della madre. In occasione


CAPITOLO TERZO

della sua ultima visita al padre prima della morte, Sonia misura la
distanza tra i loro due mondi. Più preoccupato per i suoi amati cani
che per la figlia – «Si era incantato e fissava davanti a sé gli esseri
amati: Tito, Woolf, Ralf» (p. ) – il padre appare insensibile, ma è
anche un uomo che ha perso il suo potere.
In visita al padre in clinica, e condotta dall’istintivo gesto di lui
di controllarsi la cerniera del pigiama, Sonia immagina il suo pene:
«flaccido e inutile. Anche quando era ragazza [...] aveva immaginato il
sesso del padre [...]. Una cosa morta e brutta che provocava disgusto»
(p. ). Il carattere autoritario del padre, evidente all’epoca della gio-
vinezza di Sonia, è ora ridotto a un’immagine di uomo egoista e senza
potere; il suo pene diviene nell’immaginazione della figlia un oggetto
disgustoso e inutile, critica metonimica del potere autoritario.
Il collegamento tra pene e fallo, criticato da Jane Gallop e Nancy
Miller come inevitabile nella teoria lacaniana, è evidente in questa
scena di Sonia con l’anziano padre malato. Seguendo la critica di
Gallop a Lacan, Miller afferma che, sebbene nella teoria lacaniana
il fallo non sia un concetto che può essere confuso con il pene, la
distinzione tra i due non è chiara. In un articolo autobiografico che
prende in considerazione situazioni simili a quelle di cui fa esperienza
Sonia in Madre e figlia, Miller sostiene che nel prendersi cura di suo
padre, ormai malato terminale, doveva confrontarsi con il suo dete-
rioramento fisico e il suo indebolimento, e fu solo a quel punto che
il collegamento tra pene e fallo, si infranse. Il vuoto lasciato dalla
scomparsa di una figura autoritaria, secondo Miller, potenzialmente
sarebbe stato disponibile alla figlia, che, nel ruolo del fallo, avrebbe
infine potuto assumere una posizione di potere.
In una situazione simile, neanche Sonia assume un ruolo fallico,
piuttosto si distanzia dai valori e dal potere maschili, mettendo in
atto una critica del patriarcato. Le figure del padre e del marito sono
cruciali nel delineare l’antagonismo di Sonia verso valori maschili.
Sebbene i due personaggi siano tutt’altro che simili, sono tuttavia
messi in relazione in un ritratto di un mondo maschile in opposi-
zione a quello di Sonia e di sua madre; due mondi dunque che non

 N. MILLER, Getting Personal, New York, Columbia University Press, , p. .


MADRE E FIGLIA: CORPI DI SOFFERENZA E IMMAGINAZIONE

riescono a comunicare. Come il padre di Sonia era più preoccupato


dei suoi cani che della figlia, così suo marito è una figura evane-
scente, incapace di entrare in contatto con le emozioni della moglie.
È dunque significativo che nell’associazione mentale della narratrice,
come in una dissolvenza incrociata, che associa le immagini del padre
e del marito, il secondo viene descritto di spalle come una persona
che «aveva perso la sua identità» (p. ). Padre e marito, le relazioni
maschili più vicine, sono viste con distacco, incapaci di comprendere
le difficili esperienze che hanno colpito i corpi della madre e della
figlia, e di conseguenza la loro psiche.
Uno zio materno, Giacomo, viene rappresentato in termini molto
più simpatetici. La sua storia viene conosciuta da Sonia solo in età
adulta, dopo la morte della madre. Giacomo, a causa di uno shock
postbellico successivo alla Prima Guerra mondiale, era stato giudi-
cato malato di mente, ospedalizzato dalla famiglia in un manicomio
e dimenticato. Sessant’anni dopo Giacomo muore in una casa di
cura dove nessun membro della famiglia lo era mai andato a trovare.
La figlia-narratrice immagina la vita di Giacomo al ritorno dal fronte:
è un emarginato della società; parla contro la famiglia, la proprietà,
la ricchezza e il governo. Sonia percepisce o immagina una propria
somiglianza con lo zio, per la sua paura di diventare pazza: «lo zio
Giacomo le diceva alle spalle: “t’aspetto”, “siamo uguali noi due”,
“anche tu farai la mia fine”» (p. ). I personaggi maschili che le sono
vicini sembrano dunque essere quelli ai margini della società patriar-
cale o quelli che condividono la sua sofferenza. Questo è anche il caso
di Daniele, un giovane assistente che si prendeva cura di Marianna
durante la malattia, e del giovane medico che la curò.
Assieme alla critica dell’autorità maschile evidente in particolare
nella relazione di Sonia con suo padre e suo marito, un’ulteriore resi-
stenza al patriarcato viene costruita dall’uso che Sanvitale fa di imma-
gini che evocano il corpo femminile. Protettive immagini uterine sono
tecniche ricorrenti, in particolare nella descrizione della vita di Sonia
al tempo della malattia terminale di Marianna. Questo è un periodo di
sofferenza e desolazione per Sonia, ma quando la narratrice ricostruisce
l’ambiente domestico in cui vive Sonia con suo figlio e Daniele, delinea
un confortevole spazio che richiama immagini uterine:


CAPITOLO TERZO

Affiora dalla terra, dal ventre della balena, simile alla calda stanzetta delle
fiabe, l’interno casalingo [...]. Spesso [Daniele] restava a cena ed entrava
sotto il cono del lume, veniva a far parte della famiglia attratto dal cerchio
magico. (pp. -)

Si tratta di una complessa ed estesa metafora: lo spazio circo-


scritto viene collegato a una dimensione fiabesca, evocando il ventre
della balena della storia di Pinocchio. L’ambiente domestico viene
ritratto attraverso due espressioni «calda stanzetta delle fiabe» e
«cerchio magico», che arrecano una connotazione sia di spazio deli-
mitato («cerchio», «stanzetta») sia di una dimensione magica. Nella
sezione giustapposta a questa scena, Sanvitale descrive la gentilezza
del giovane medico che si prende cura di Marianna. Di nuovo, un
protettivo spazio che echeggia una metafora uterina diventa il luogo
in cui si accumulano confortevoli ricordi: «Preferiva portarsi a casa
le immagini [...] e trasferirle nel patrimonio raccolto nella grotta delle
fantasticherie» (p. ).
Tale particolare impiego dell’immagine della grotta come un
piacevole luogo protettivo è rinforzato dal suo uso nel successivo
romanzo di Sanvitale, Verso Paola (), questa volta con un esplicito
riferimento al materno:
La grotta: era anche la calda consolazione del corpo, prima di morire. Silvia
Plath al suo primo tentativo di suicidio fece cosí: scese in uno scantinato [...].
S’incastrò quasi a forza in un anfratto del muro [...] finalmente «chiusa» a tutto
e a tutti; che per lei significava chiusa alla crudeltà dell’esistenza.

La grotta come confortevole luogo per il corpo dopo la morte,


simbolizza il desiderio di ritornare al protettivo grembo materno.
Il riferimento a Sylvia Plath, la cui opera è considerata un classico
della letteratura sul rapporto madre-figlia, rafforza l’idea della grotta
come simbolo del materno. L’immagine dello spazio chiuso, come
luogo a cui tornare per trovare conforto, sembra dunque mettere in
evidenza la re-immaginazione del corpo femminile.
Le metafore di tema materno appaiono nel romanzo al momento
della malattia di Marianna. In un romanzo in cui amore e odio si me-
scolano, queste immagini possono perciò essere interpretate come un

 F. SANVITALE, Verso Paola, Torino, Einaudi, , p. .


MADRE E FIGLIA: CORPI DI SOFFERENZA E IMMAGINAZIONE

rimettersi in contatto con l’amore per la madre che è rimasto inespresso.


La re-immaginazione del corpo femminile sembra necessaria per la
donna soggetto, a causa della sua impossibilità di trovare espressione
nel linguaggio, inaccessibile alle donne nel Simbolico lacaniano.
Tale particolare uso delle metafore non è disgiunto dal motivo
narrativo della difficoltà linguistica di cui fanno esperienza le protago-
niste. Entrambe queste tecniche fanno eco all’esortazione di Irigaray
di trovare una forma alternativa per l’espressione delle donne. Irigaray
descrive una sintassi femminile che non è tanto una struttura del
linguaggio femminile, ma piuttosto una forma di resistenza al Sim-
bolico maschile. Gesti corporei – piuttosto che la logica strutturata
del linguaggio –, i silenzi e il non detto costituiscono le basi di tale
sintassi femminile. Infatti Irigaray paragona «il parlare (da) don-
na» all’isteria, cioè alla condizione che usa mutismo e mimica come
forme di espressione. Nell’impossibilità di essere soggetti in una
struttura maschile, le donne possono solo mimare la forma maschile
di comunicazione o, non parlando, segnalare la loro alienazione dal
sistema. Per Irigaray, come per Freud, l’isteria è collegata al non
espresso desiderio per la madre. È chiaro che l’espressione isterica
è una condizione derivante dall’esilio delle donne nel linguaggio, ed
è un modo per riattivare, piuttosto che per ristrutturare, un perduto
contatto con il materno.
Nel romanzo le difficoltà delle protagoniste con il linguaggio sono
rese evidenti in due distinti episodi: durante l’infanzia di Sonia, quan-
do la solitudine delle due donne è assoluta, e alla fine del romanzo.
Nella casa di via Porpora, dove madre e figlia vivono durante parte
dell’infanzia di Sonia, Marianna sembra in grado di fare uso solo di
pochissime parole:
La loro solitudine era completa e così nulla di quello che vive in una casa
aveva occasione di essere nominato ad alta voce e inoltre la signora Marianna
giorno per giorno perdeva l’uso di tante parole.
Per esempio: non c’erano «la pentola», «il bricco», «il tegame», «il coperchio»,
«la padella», «la teiera», «la caffettiera», «il bollitore», «lo straccio» e cosí via

 L. IRIGARAY, Speculum, Milano, Feltrinelli, , p. .


 L. IRIGARAY, The Irigaray Reader, cit., p. .
 Ibid.


CAPITOLO TERZO

[...] e unico nominato, «il pentolino», che diventava «metto su il pentolino


per fare la minestra», «tiriamo fuori il pentolino per bollire il latte», «ti faccio
un uovo nel pentolino». (p. )

Madre e figlia sono in grado di nominare il mondo esterno che


sembra dissociato da loro. A casa sono invece ricondotte di nuovo
in una muta esistenza. Sono «innominate» e, di conseguenza, non
esistono: «Tornavano ad essere ombre dipinte e innominate quali
erano gli oggetti intorno» (p. ). Il linguaggio non sembra apparte-
nere alle due donne, ma solo al mondo esterno, visto come separato
e diverso da madre e figlia.
Nell’ultima sezione del romanzo il sogno conclusivo della narra-
trice è ambientato in un paese straniero che visita con il figlio ado-
lescente. Anche in questa occasione il linguaggio è un problema per
la narratrice: «io ero felice di avere cosí ben scelto il quartiere e gli
abitanti ma non capivo la loro lingua e non potevo comunicare perché
non capivano la mia, né mio figlio, che pure era inteso e li intendeva,
poteva aiutarmi» (p. ).
È sintomatico che il figlio possa comunicare nel paese straniero,
ma che nessun mezzo di comunicazione esista tra la narratrice in
quanto soggetto femminile e il mondo. Le donne in questa occasio-
ne appaiono alienate dal linguaggio perché, come discusso anche
nell’analisi di Menzogna e sortilegio, l’accesso al linguaggio nel Sim-
bolico non è a loro permesso. Attraverso la perdita del linguaggio di
Sonia e Marianna, Sanvitale esprime l’idea della dissociazione della
figlia-narratrice dai valori patriarcali. Tuttavia, è con l’uso dell’imma-
ginazione e dei sogni come forme di scrittura che Sanvitale segnala
più chiaramente i diversi modi di espressione che contrastano un
coerente, ma inaccessibile, sistema di comunicazione.

Scrittura, immaginazione e linguaggio


L’immaginare eventi non testimoniati direttamente dalla narratri-
ce è una tecnica usata nel romanzo in diverse occasioni, e che soddisfa
diverse funzioni. Ne viene fatto uso nella ricostruzione di eventi che
ebbero luogo prima della nascita della narratrice o di cui lei non era
stata diretta testimone. Tuttavia è questo anche un mezzo per articola-


MADRE E FIGLIA: CORPI DI SOFFERENZA E IMMAGINAZIONE

re un’intricata rete di emozioni e sentimenti che non possono trovare


espressione in una struttura coerente. Allo stesso tempo si può dire
che immaginazione e sogni costituiscano un elemento strutturale della
narrazione, che rappresenta le protagoniste «al limite del reale».
La narratrice di Madre e figlia distingue tra i periodi precedenti alla
Prima Guerra mondiale, l’infanzia di Marianna, e il periodo successivo:
«Anche perché fino alla prima guerra mondiale non fa differenza [...]
ciò che viene dopo è vero, ciò che è avvenuto prima è favola» (p. ).
Della fanciullezza di Marianna, la narratrice è a conoscenza solo dai
frammenti di ricordi narrati da Marianna prima di morire; di conse-
guenza questo le permette di liberare la sua immaginazione.
L’ infanzia immaginata di sua madre è un tributo della figlia-narra-
trice che ricrea la gioiosa vita di Marianna in una famiglia aristocratica
che l’amava molto. La narratrice immagina la felicità del padre di
Marianna alla notizia della nascita della sua bambina, e il suo entu-
siasmo nella scelta del nome – «La chiamerò con i due nomi più belli,
quelli della madre e della nonna di Gesù» (p. ). Con un attacco di
gelosia – «non riesco a guardarli senza invidia e senza lacrime» (p. ) –
la narratrice ricostruisce la felice relazione tra padre e figlia.
Il senso di colpa, intrecciato ad amore e odio, che ha caratterizzato
la relazione figlia-madre sembra trovare, nella re-immaginazione della
vita di sua madre in toni più elegiaci, uno strumento di alleviamento.
Questo viene anche esemplificato quando la narratrice re-immagina
la gravidanza di Marianna. Nell’idillico ritratto della giovinezza della
madre, la notizia della gravidanza viene dipinta con candore verginale
e ingenuo disorientamento (p. ), mentre l’adulta figlia-narratrice
è già consapevole che la propria nascita era stata preceduta da un
aborto spontaneo – «Su, su, [...] che vuoi che sia un aborto? Anch’io
ho avuto un aborto e poi sei nata tu che eri sanissima» (p. ).

 A. HALLAMORE CAESAR, Francesca Sanvitale, in The New Italian Novel, a cura

di Z. Baranski e L. Pertile, Edinburgo, Edinburgh Univesity Press, , p. , tradu-


zione mia.
 Mickey Pearlman ha individuato la ricorrenza del nome Anna per la figura della

madre nella letteratura mondiale con tematica madre-figlia. Tutti gli esempi sono, come lui
suggerisce «– a livello conscio o inconscio – riverberi e riscrittura di Sant’Anna, la madre
“buona” senza ombra di dubbio, altruista, che ogni figlia desidera», Mother Puzzle, New
York, Greenwood Press, , p. , trad. mia.


CAPITOLO TERZO

L’immaginazione e l’impiego dei sogni sono anche un modo di


narrazione che sembra avere la funzione di trasmettere significati che
non possono essere raccontati e compresi in una struttura coerente.
In uno dei tentativi di coinvolgimento del lettore nella storia, la nar-
ratrice asserisce apertamente che lo stato del sonno e quello onirico
sono essenziali, non solo per la ricostruzione del passato, ma anche
per la comprensione della relazione tra figlia e madre:
Ascoltami: quando vado a letto, prima di addormentarmi, nell’attimo brevissi-
mo che passa fulmineo tra il sonno e la veglia, mi chiedo con precipitazione: che
cosa sognerò stanotte? È una domanda alla quale non rispondo ma significa:
quale imprevisto grumo di realtà mi possiederà per intero sotto forma di incubo
fino al nuovo risveglio? È una prova simile alla tortura, la temo e la desidero
insieme. È un desiderio feroce perché mi sembra che sia proprio nel sonno,
nel vuoto cioè, la verità di cui vado in cerca durante la giornata; non nei miei
atti, non nelle parole che corrono attraverso i minuti, ma nel dipingere tratto a
tratto e render vivi i fantasmi di Sonia e della signora Marianna che vengono dal
sogno e lo ricostruiscono [...]. Ma quando entro nel buio del sonno, di colpo
«conosco» [...] perché è lí che sta annodato, appare e scompare, il significato
della mia vita, e quindi anche di Sonia e di Marianna. (pp. -)

Si tratta di un brano estremamente complesso che lascia emergere


diverse questioni riguardanti l’analisi del romanzo e il concetto di scrit-
tura di Sanvitale. Innanzitutto, la narratrice non ha il controllo degli
esiti della sua ricerca – «quale imprevisto grumo di realtà»; solo lo stato
inconscio del sonno può contribuire a trovare un senso nei brandelli
di verità sulle vite delle protagoniste. Tale processo è utile quanto pro-
blematico, perché sembra richiedere lotta e tormento da parte della
narratrice – «sotto forma di incubo [...] simile alla tortura».
La realtà delle vite delle protagoniste non appartiene al mondo
reale, alla vita diurna della narratrice, né alle sue azioni, né alle sue
parole. Solo un «dipingere tratto a tratto», ritrarre senza una visione
d’insieme, può rivelare l’essenza della sua vita e di quelle di Sonia e
Marianna. Solo nel vacuo spazio del sogno, nel vuoto, e non in una
narrazione coerente – «non nelle parole che corrono attraverso i mi-
nuti» – il desiderio della narratrice di trovare un senso nelle vite delle
protagoniste («un desiderio feroce») può trovare espressione.
Il sogno che conclude il romanzo rafforza uno stile che non si basa
su una scrittura logica e coerente. Una serena e pensosa anziana signo-


MADRE E FIGLIA: CORPI DI SOFFERENZA E IMMAGINAZIONE

ra su una sedia a rotelle («la regina»), circondata da una processione


di persone anziane su sedie a rotelle, si staglia di fronte a Sonia e suo
figlio. L’anziana signora è una donna distinta: «Aveva i capelli grigi
raccolti in una stretta crocchia, il vestito nero lungo fino ai piedi severo
di taglio; la sua testa era diritta, i suoi occhi stanchissimi e profondi
appuntati davanti a sé, tesi a meditare e capire» (p. ). L’anziana
signora è qui un simbolo di saggezza. Sembra unire esperienza e intelli-
genza, con il suo profondo ma stanco sguardo, assorta in meditazione.
Si tratta di un’immagine di calma e un momento catartico alla fine
della narrazione, che ha origine dal bisogno di trovare una soluzione
ai sentimenti travagliati della narratrice. Sharon Wood suggerisce che
il sogno conclusivo offre una fragile speranza. Infatti, il paesaggio
circostante è stato devastato dalla guerra, ed il cielo è scuro. Certa-
mente il sogno non è una risoluzione definitivamente positiva o la
proiezione di un lieto fine, tuttavia, nell’immagine finale della saggia e
matura regina è possibile vedere una rappresentazione di Marianna; il
paesaggio desolato può essere dunque una metafora della sua difficile
vita. Cosa più importante, la figlia narratrice sembra costruire una
figura di madre dotata di autorevole rispetto, come l’anziana signora
è rispettata dalla processione di persone anziane in sedia a rotelle.
Marianna non è mai stata descritta come una donna autorevole; al
contrario, Sonia è sempre stata protettiva verso di lei. La figlia, infatti,
si è presa cura della madre, canalizzando il suo amore attraverso un
modello che implica cura ma non rispetto per la madre come donna.
Nella seconda parte del libro, quando Sonia aiuta economicamente
Marianna ad avere una vita decente, da sola, a Firenze, e le fornisce le
migliori cure mediche, la figlia sarà sempre colei che prende decisioni
per la madre, agendo in un rovesciamento dei ruoli. L’intimità tra le
due donne si manifesta solo in momenti critici.
L’immagine autorevole dell’anziana donna in sedia a rotelle fa
riferimento alle parole d’amore della figlia per il corpo della madre,
affermate nelle pagine iniziali del romanzo: «anche vecchio, anche
morto, anche decomposto». Le sofferte esperienze di problemi fisici

 S. WOOD, Clytemnestra or Electra: Renegotiating Motherhood, in Italian Women’s

Writing,  - , Londra, Athlone Press, , p. .


CAPITOLO TERZO

sostenuti da madre e figlia trovano un’immagine compensatoria nel


sogno conclusivo, resistendo in questo modo all’indifferenza entro
cui le donne sono confinate nella società patriarcale. Tale concetto
può essere meglio chiarito riferendosi al lavoro di Adriana Cavarero
sull’uso delle rappresentazioni del corpo.
Focalizzandosi sull’analisi della funzione del corpo nella poli-
tica, Cavarero sostiene che l’immagine del corpo, offrendo un’idea
di stabilità naturale (poiché tutti gli organi lavorano per il benessere
dell’intero), è stato tradizionalmente adottato dai filosofi per una
raffigurazione metaforica dello Stato nazione. L’immagine del corpo
usato in tale modo è quello che Cavarero definisce un’«immagine
statica». Ciononostante Cavarero sottolinea che questa immagine po-
sitiva, adottata da re e politici, oscura il lato negativo della metafora.
Il corpo è infatti legato a un ciclo «che per natura prevede appunto
non solo il pericolo della malattia, ma anche il momento della nascita,
la delicatezza dell’infanzia, l’indebolimento della vecchiaia e l’esito
della morte».
Cavarero distingue tra l’«immagine statica» tipica del corpo ma-
schile adulto e l’immagine ciclica che si riferisce al corpo femminile.
Dall’antichità l’opposizione di mente e natura aveva significato che il
corpo femminile, identificato con la natura, era stato eliminato da ogni
discorso filosofico. Tuttavia, l’immagine del corpo è stata re-introdotta
nella teorizzazione ed è solo nella forma del corpo maschile adulto
che è stata utilizzata come metafora dello Stato. L’uso metaforico del
corpo maschile come «immagine statica» ha fatto sì che immagini del
materno e del femminile rimanessero non rappresentate. L’analisi di
Cavarero mira a rivelare forme di resistenza in alcune rappresentazioni
letterarie dei corpi femminili.
Seguendo l’analisi di Cavarero, si può dire che in Madre e figlia
l’amore per il corpo della madre «anche vecchio, anche morto, anche
decomposto», e l’immagine dell’anziana donna in sedia a rotelle, che
chiaramente non rientra nei criteri di bellezza e di immutabilità del corpo
prescritti dal patriarcato, possono essere interpretati come riaffermazione
della femminile «immagine ciclica».

 A. CAVARERO, Corpo in figure, Milano, Feltrinelli, , p. .


MADRE E FIGLIA: CORPI DI SOFFERENZA E IMMAGINAZIONE

Tali raffigurazioni fanno riferimeno a un differente immaginario,


avulso da quello maschile. Attraverso questo sogno la figlia re-inscrive
il corpo della madre che era stato manipolato e svalorizzato nelle
strutture mediche di stampo patriarcale. La visione dell’anziana si-
gnora ha luogo in sogno, che come sistema di significato al di fuori
del linguaggio è parte dell’epistemologia della narratrice e offre uno
spazio per il tributo alla creazione simbolica del rapporto madre-figlia,
un tributo a Marianna da Sonia e dalla narratrice.

Narratrice, personaggio e autrice in cerca di identità


Il faticoso processo della figlia-narratrice nella comprensione del
rapporto con la madre, come anche di se stessa, è arricchito e complicato
da un gioco di voci narranti. Un continuo spostamento dalla prima alla
terza persona, e una possibile identificazione della narratrice con il perso-
naggio e con la stessa autrice, rende il comune progetto di ricostruzione
e di autocomprensione, un processo innegabile quanto complesso.
La fluttuazione dalla prima alla terza persona è una tecnica adot-
tata da alcune scrittrici nel narrare eventi che sembrano emotivamente
troppo vicini alla narratrice stessa. In Madre e figlia questa tecnica
rimanda alla coincidenza tra narratrice e personaggio, messa in luce
da molti commentatori. Ann Hallamore Caesar dimostra questo punto
facendo riferimento all’episodio in cui Sonia, sentendosi oppressa nel
momento difficile della malattia della madre, cerca di trovare equili-
brio in se stessa scrivendo «una pagina» che narra la sua storia in terza
persona. In questo modo nella sua «ricerca di auto-comprensione»,
adotta la stessa tecnica della narratrice.
La coincidenza tra narratrice e personaggio viene ulteriormente
sottolineata dalla scena precedentemente citata in cui la narratrice
spiega che la verità della sua storia sta nella forza dei suoi sogni:
«quando entro nel buio del sonno [...] è lí che sta annodato, [...] il
significato della mia vita, e quindi di Sonia e di Marianna» (p. ).
Trovare il significato delle vite di Sonia e Marianna è equivalente a
trovare il significato della vita della narratrice.

 A. HALLAMORE CAESAR, Francesca Sanvitale, cit. p. , trad. mia.


CAPITOLO TERZO

Tale coincidenza è anche arricchita da elementi autobiografici,


evidenti nella corrispondenza di eventi nelle esistenze della protagonista
e dell’autrice. L’essere figlia di madre non sposata, il trasferimento da
Firenze a Milano e poi a Roma, e il lasso di tempo degli eventi, dai
tardi anni Venti alla fine degli anni Settanta, riflettono la stessa vita di
Francesca Sanvitale. Blelloch, Caesar e Fanning affermano che l’autrice
sembra identificarsi con la narratrice. Caesar ha indicato come nei
primi quattro libri di Sanvitale esista un collegamento spesso visibile
tra i protagonisti e l’autrice. Infatti, il tempo della narrazione coincide
sempre con quello reale: Il cuore borghese (), Madre e figlia (),
L’uomo del parco (), e il racconto che dà il titolo alla raccolta La
realtà è un dono (), coprono ognuno un lasso di tempo che si con-
clude con l’anno di pubblicazione dei romanzi, enfatizzando in questo
modo una stretta connessione tra i protagonisti e l’autrice.
Madre e figlia riflette l’inizio del percorso che Sanvitale ha intrapreso in cerca
della sua identità di donna, come lei stessa riconosce: iniziava un processo che
Antonio Porta credette di individuare nei “tre libri” Madre e figlia, L’uomo del
parco, La realtà è un dono. Cioè: la ricerca della propria identità, dell’essere
donna, della femminilità. Quando lo scrisse non mi trovò d’accordo ma oggi
penso che avesse ragione.

Il processo di sviluppo di se stessa che la protagonista principale


e la narratrice di Madre e figlia affrontano nel corso della narrazione
sembrano essere condivise anche dalla stessa autrice, che vede la propria
scrittura negli anni come una propria ricerca personale. La scrittura
rappresenta per Sanvitale un mezzo ineguagliabile nell’investigazione
della propria identità. Come afferma nel suo articolo La scrittura e
l’autore, scrivere è un processo di rielaborazione della storia personale
e culturale che oltrepassa ogni scelta conscia dell’autore perché «tutto

 Caesar afferma che «la fluidità dell’io» che caratterizza molte delle protagoniste

di Sanvitale è anche tipica «della sua relazione con loro come loro autrice», Francesca
Sanvitale, cit., p. . Fanning sottolinea lo stesso senso di identificazione tra autrice e
narratrice: «sembra che Sanvitale cerchi di trovare se stessa attraverso la sua narratrice,
che, a sua volta, cerca di trovare se stessa attraverso sua madre», Mother in the Text, cit.,
p. . Si veda anche P. BLELLOCH, Francesca Sanvitale’s Madre e figlia: from Self-Reflection
to Self-Invention, cit., p. .
 A. HALLAMORE CAESAR, Francesca Sanvitale, cit., p. .
 F. SANVITALE, Camera ottica, Torino, Einaudi, , p. .


MADRE E FIGLIA: CORPI DI SOFFERENZA E IMMAGINAZIONE

nella storia personale s’intreccia, produce scrittura, la ritira, la modifica,


la ridisegna nel tempo». Una forma cosciente di autobiografia è per
Sanvitale uno strumento falso – «il più menzognero che esista» –
inadeguato per rivelare la vita dell’autore. La narrativa, invece, può
proiettare la complessità degli eventi, delle emozioni, e delle influenze
culturali e personali che hanno costituito la vita dell’autore.
Nella sua analisi della soggettività, Teresa de Lauretis afferma che la
caratteristica della costruzione del soggetto femminista è un movimento
duale tra la rappresentazione di genere, che è permessa e costruita nel
patriarcato, e il linguaggio alternativo che le femministe hanno ricostruito
al di fuori dei principali sistemi di significato. Tale movimento, sostiene
de Lauretis, non è dialettico, ma piuttosto una «tensione di contraddi-
zione, molteplicità, ed eteronomia». È tale tensione che Sanvitale ha
rappresentato in Madre e figlia e che sembra avere condiviso come scrit-
trice. Nella tensione e nelle contraddizioni della sua scrittura, Sanvitale
ha mostrato la possibilità di liberare il suo «mondo poetico» e il suo io.
Nello spiegare le condizioni necessarie a uno scrittore per produrre le sue
opere, Sanvitale sostiene l’importanza di liberarsi dalle costrizioni della
famiglia, della società e dello status sociale, poiché tutti questi elementi
creano pressioni che «negano la libertà del cuore e si configurano come
larve intorno al tavolo di lavoro e dei quali, anche avendo una stanza
tutta per sé, è assai difficile disfarsi». Con tale similitudine che echeggia
l’immagine della stanzetta di Elisa, Sanvitale sembra rifiutare chiara-
mente i fantasmi familiari attorno al tavolo di lavoro dello scrittore, che
rappresentavano l’ordine patriarcale in Menzogna e sortilegio, a favore
di una ricostruzione che è anche un’esplorazione dell’io.

 Ivi, p. .
 Ibid.
 Secondo Sanvitale, diventare un soggetto che scrive narrativa, libero di esprimere

«il proprio mondo poetico» è molto più arduo per le scrittrici che per gli scrittori a causa
della mancanza di una tradizione letteraria femminile e, di conseguenza, della mancanza
di sicurezza nello scrivere.
 Anche nel suo romanzo storico Il figlio dell’Impero (), elementi autobiografici

emergono nella seppur distante ricostruzione storica. Su questo argomento si veda il mio
articolo Maschere di autorità e sentimento, «Italica»,  (), , pp. -.
 T. DE LAURETIS, Technologies of Gender, Londra, Macmillan, , p.  trad. mia.
 F. SANVITALE, Camera ottica, cit., p. .


CAPITOLO TERZO

La ricostruzione della relazione di Sonia con sua madre ha mes-


so in luce una critica del sistema patriarcale e ha distanziato la figlia
dai valori che sembravano importanti durante la lotta per la propria
emancipazione. Il corpo femminile e il modo in cui ne fanno esperienza
madre e figlia sono i mezzi per tale rinegoziazione della relazione tra
madre e figlia. Allo stesso tempo, la scelta di tecniche narrative e l’uso
dell’immaginazione e dei sogni creano una struttura che sembra più
adatta alla re-immaginazione della relazione madre-figlia e di conse-
guenza alla costruzione di un immaginario che potrebbe permettere
un’identità al di fuori del patriarcato. La posizione della figlia-narratrice
che rinegozia una relazione di attrito con la madre, rimane ambigua.
Tuttavia, grazie all’uso dell’immaginazione e dei sogni e all’enfasi sulla
sofferenza del corpo, la figlia-narratrice del romanzo di Sanvitale mostra
i primi passi verso la re-immaginazione della relazione con la madre,
inserita nella corporeità. Una rappresentazione più articolata di una re-
immaginazione, che critica l’ordine Simbolico ma che suggerisce anche
alternative ad esso viene elaborata in Passaggio in ombra di Mariateresa
Di Lascia, discusso nel capitolo seguente.


IV
PASSAGGIO IN OMBRA DI MARIATERESA DI LASCIA:
IL MATERNO COME ESPRESSIONE DI DESIDERIO
E CORPOREITÀ

Dal punto di vista strutturale, Passaggio in ombra riflette lo sche-


ma dei romanzi di tema madre-figlia analizzati finora: la storia si
apre con la morte della madre o della figura materna e si conclude
circolarmente con la figlia che affronta il futuro dopo avere concluso
la narrazione della vita della madre e della propria. In Menzogna e
sortilegio di Morante la figlia non era ancora in grado di guardare al
futuro con riconquistata sicurezza come donna soggetto. In Madre e
figlia di Sanvitale, la figlia rifiuta gradualmente i valori maschili che
hanno rappresentato il suo percorso verso l’eguaglianza di genere.
Attraverso la sofferenza condivisa da madre e figlia, e attraverso
l’uso di metafore materne, ci viene presentata una figlia-narratri-
ce che si avvicina a una maggiore conoscenza del suo io e di sua
madre, prendendo in considerazione la loro differenza di genere.
In Passaggio in ombra la figlia sembra raggiungere una più profonda
consapevolezza inserita, come mostrerò, in una soggettività corporea
di origine matrilineare.
Pubblicato nel , pochi mesi dopo la prematura scomparsa di
Mariateresa Di Lascia, Passaggio in ombra è l’unico romanzo comple-
tato dall’autrice. Di Lascia, che ha anche scritto i racconti Compleanno
e Veglia, trovati e pubblicati dal marito Sergio D’Elia nel , non
aveva mai voluto pubblicare il suo primo romanzo.
Il completamento del romanzo che le avrebbe portato popolarità
si estese nell’arco di circa quattro anni, portato avanti nei ritagli di
tempo di una indaffarata attività politica e umanitaria. Membro del
Partito Radicale Italiano – che aveva rappresentato in Parlamento –,
e fondatrice dell’associazione “Nessuno tocchi Caino” che si oppone


CAPITOLO QUARTO

alla pena di morte, Di Lascia dedicò la sua intera vita alla lotta per gli
ideali politici e umanitari in cui credeva fermamente.
Passaggio in ombra vinse il Premio Strega nel . Fu acclamato
caso letterario dell’anno, ottene uguale successo di critica e di pub-
blico. La scrittura di Di Lascia venne paragonata dai critici a quella
delle maggiori scrittrici del Novecento, Ortese e Morante. Il ricco
stile letterario del romanzo era distante dall’innovativa e sperimentale
scrittura dei giovani cannibali che apparivano sulla scena letteraria
del tempo. La lingua sofisticata e le trame più tradizionali di Ortese
e Morante offrivano un più ovvio paragone.
È tuttavia l’eco di Menzogna e sortilegio, sia nella trama che nel-
la caratterizzazione, ad apparire più notevole. In anni più recenti,
studiosi hanno lavorato sul paragone tra i due romanzi, e anche al
tempo della sua pubblicazione molte recensioni posero l’accento su
queste somiglianze. Primo fra tutti fu Adriano Sofri, che racconta
di un biglietto scritto da Di Lascia, ricevuto da Sergio D’Elia prima
della pubblicazione del romanzo. In quel biglietto, Di Lascia dichiara
il suo debito di ispirazione a Menzogna e sortilegio.
Come nel romanzo di Morante, il testo di Di Lascia narra la storia
di una giovane donna che, dopo la morte sia di sua madre che della
prozia (che era stata la sua seconda figura materna), sente il bisogno
di evocare la storia della famiglia per lasciare assopire le memorie
ossessive del suo passato familiare. Chiara, la figlia-narratrice dipana la
storia della madre, Anita, un’ostetrica che durante la Seconda Guerra
mondiale si trasferisce in un piccolo villaggio meridionale, che resta
senza nome nel romanzo. Da ostetrica ben rispettata, Anita ha un
ruolo attivo e importante nella vita del villaggio e alleva sua figlia,

 S. LUCAMANTE, Passaggio in ombra. Riprese, innovazioni e soluzioni tematico-


strutturali in un romanzo morantiano, «Italian Culture», , , pp. -; C. D’ANGELI,
A difficult Legacy: Morante’s presence in Italian literature, in Under Arturo’s Star, a cura
di S. Lucamante e S. Wood, West Lafayette (IN), Purdue University Press, pp. -;
P. SAMBUCO, The Daughter’s Body in Morante’s Menzogna e sortiegio and Di Lascia’s Pas-
saggio in ombra, «Forum Italicum», ., , pp -.
 A. ASOR ROSA, Lo sguardo dolce e disperato della Di Lascia, «L’Unità»,  luglio
; G. FOFI, Una scia luminosa di donna, «Il Mattino»,  marzo .
 A. SOFRI, Donne a una dimensione, «L’Unità»,  febbraio , ora disponibile
all’indirizzo http://old.radicalparty.org/history/chron/mariater.htm.


PASSAGGIO IN OMBRA: IL MATERNO ESPRESSIONE DI DESIDERIO E CORPOREITÀ

Chiara, nata da una casuale relazione con Francesco. È solo al suo


ritorno dal fronte che Francesco viene a sapere della nascita di una
figlia. Decide di accettare i suoi doveri paterni nonostante la risoluta
decisione di Anita di allevare sua figlia da sola.
La vivace vita del villaggio si intreccia con la storia di Anita. Con
il suo aiuto, Giuppina, sorella di Francesco, riesce a riprendere i con-
tatti con il suo unico figlio, Saverio, nato quando lei era poco più che
adolescente e che la sua famiglia aveva allontanato da lei per evitare
uno scandalo. Ma la storia che suscita più interesse nel villaggio ha
Francesco come protagonista. Arrestato dopo essere stato ingiusta-
mento accusato di rubare il grano dei contadini che lui stesso aveva
raccolto in occasione di una gara, Francesco riesce a provare la sua
innocenza dopo un lungo periodo in prigione, grazie anche all’aiuto
di Anita e Sciarmano, fedele amico della donna. Dopo questo evento
Anita e Francesco decidono di sposarsi, ma lui non raggiungerà mai
la sua promessa sposa all’altare. È solo in quello che avrebbe dovuto
essere il giorno del suo matrimonio, che Anita viene a sapere di una
giovane donna di un villaggio vicino incinta di Francesco.
La seconda parte del romanzo si apre con un salto temporale di
alcuni anni. In quel lasso di tempo Anita è morta improvvisamente a
causa di un’epidemia. Il mondo degli affetti di Chiara crolla completa-
mente a quel punto. Mandata a vivere dalla prozia Peppina Curatore,
un vivace personaggio che sembra posizionarsi al limite tra realtà e
fantasia, Chiara inizia una relazione platonica con Saverio, il figlio
di Giuppina. Quando Giuppina trova le lettere d’amore di Chiara e
Saverio, Chiara lascia il villaggio e lo segue nella città in cui lui si trova
per il servizio militare, solo per venire a conoscenza che lui non è più lì
perché trasferito ad altra sede. Disillusa e ferita, Chiara trascorre il resto
della sua giovinezza seguendo un corso di laurea in medicina che non
completerà mai, sostenuta finanziariamente dalla prozia Peppina.
La ricostruzione della storia è di vitale importanza per la nar-
ratrice, proprio come la scrittura lo è per il personaggio, Chiara.
Ad un certo punto della sua vita trova modo di dare espressione al suo
desiderio attraverso le lettere al cugino Saverio. L’atto della scrittura
acquisisce qui, proprio come in Menzogna e sortilegio, una funzione
catartica e diviene il mezzo per ricollegarsi all’amato. Anna in Menzo-


CAPITOLO QUARTO

gna e sortilegio scriveva lettere apocrife che lei immaginava indirizzate


a lei da suo cugino, cercando di ritrovare in quella scrittura un legame
ormai perduto per sempre. Chiara scrive non solo dei suoi sentimenti,
ma anche di eventi che immagina, creando continuamente un legame
con l’amato in sua assenza; la ricostruzione della narratrice assume la
stessa funzione, creando per la figlia un legame con il passato, con la
sua storia di famiglia, con sua madre. Diversamente da Elisa, la figlia-
narratrice in Passaggio in ombra non si affida a una base razionale per
scrivere la sua storia; come dimostrerò, la sua narrazione fa emergere
forme alternative di conoscenza e comunicazione.
La figlia-narratrice, il raccontare la storia quando è sola nel suo
appartamento dopo la morte della madre adottiva (o la prozia che ha
rivestito tale ruolo), e l’amore platonico tra cugini sono le prime no-
tevoli somiglianze con Menzogna e sortilegio. L’interesse di Di Lascia
per questo classico della letteratura del Ventesimo secolo conduce
ovviamente ad alcune speculazioni. Si potrebbe dire che il romanzo
di Morante tratta di passione e amore non ricambiato: Elisa ama sua
madre Anna ma non è riamata da lei; Anna ama Edoardo, ma è un
amore impossibile; Francesco ama Anna ma non è ricambiato da lei.
Con le sue connotazioni di follia e depressione, Menzogna e sortilegio
fornisce uno schema per la rappresentazione dell’amore eccessivo
come anche di una distorta relazione tra madre e figlia. La tematica
della passione e del desiderio emerge anche in Passaggio in ombra a
diversi livelli. L’espressione del desiderio sembra faticare a trovare
la sua strada, ma alla fine viene fuori in forme che, per la soggettività
femminile, sono uno sviluppo positivo rispetto a quelle mostrate in
Menzogna e sortilegio. Di conseguenza focalizzerò la mia lettura di
Passagio in ombra in particolare sull’analisi del desiderio.

Il desiderio
Il discorso sul desiderio in Passaggio in ombra trova il suo punto
focale nel personaggio principale, Anita, attorno alla quale si dipana
la storia. Nel romanzo il desiderio e la passione abbracciano l’amo-
re eterosessuale e l’amore tra madre e figlia ed espandono la loro
portata a un’affermazione di ardente gusto per la vita. Anita afferma


PASSAGGIO IN OMBRA: IL MATERNO ESPRESSIONE DI DESIDERIO E CORPOREITÀ

apertamente il suo desiderio di essere il soggetto della propria vita, e


in questo modo assume la posizione di moderna donna emancipata,
soggetto del suo desiderio.
Da giovane donna nel suo paese natale, Anita decide di seguire
la carriera che ama; attraverso la sua scelta appare evidente il vivido
amore per la vita. La donna scopre le sue inclinazioni, persegue la
sua felicità con orgoglio, coraggio e indipendenza. Da ragazza, la
discrepanza tra i desideri e le prospettive tradizionali, insieme alle
aspettative del suo ragazzo, un giovane del suo paesino, sottolineano
la divergenza tra la visione della vita della giovane donna e quella del
suo ambiente:
A volte aveva immaginato di sfidare il mondo da sola e di percorrerlo intre-
pida a grandi passi sicuri. Più spesso la prendeva il terrore di non sapere cosa
avrebbe fatto di se stessa, né dove l’avrebbe condotta l’orgoglio con il suo
richiamo continuo [...]. Lui era così fiducioso che la loro vita sarebbe stata
sempre quella che stava vivendo [...]. Lei, invece, non sapeva dove voleva
vivere, né come sarebbe stata la sua casa; e neanche sapeva se avrebbe avuto
una famiglia. (p. )

Anita rende chiaro che può essere lei a tessere le fila della sua
vita, persino se la natura del suo desiderio non è ancora decifrata.
La volontà di seguire i suoi istinti interiori prevale sia sull’incertezza
dell’ignoto che sulla novità di rompere con la mentalità tradizionale
del suo paese. L’analisi della sua posizione conduce alla considerazione
del concetto di desiderio.
Nella mia discussione sul desiderio faccio riferimento all’inter-
pretazione di Doreen D’Cruz del desiderio femminile espresso da
Irigaray. Nella sua analisi teorica del desiderio femminile, D’Cruz
considera il concetto di luogo e di limite elaborato da Irigaray sulla
base del concetto aristotelico di luogo. Tale discussione è rilevante per
le donne perché sono state sempre considerate il luogo di qualcun’al-
tro, marito o figli, perciò Irigaray prova una diversa configurazione di
questo concetto. Seguendo Aristotele, Irigaray sostiene che il luogo
implica movimento perché dà origine a un movimento delle cose verso
di esso. Il materno rappresenta il luogo del maschile, ma il maschile
non può fornire lo stesso per la donna; come conseguenza nasce la
necessità per la donna di cercare luoghi «dove li può trovare, forse


CAPITOLO QUARTO

in altre donne, forse in interstizi benevoli delle istituzioni patriarcali,


e, certamente in se stessa».
Il senso di luogo e limite è rilevante nel concetto di divino.
Il femminile non possiede il concetto di infinito che il maschile associa
al Dio-Padre. Irigaray fa riferimento alla rappresentazione cattolica del
Figlio generato dal Dio-Padre attraverso la mediazione della madre.
Come risultato, un senso del divino viene assicurato per gli uomini e
precluso alle donne. Per poter avere un senso del divino come proprio
ultimo limite, le donne devono trovare un trascendentale capace di
legarle al materno senza eliminare il legame con la loro infanzia e la
loro origine femminile.
Anita sembra stabilire il legame che permette alle donne di creare
una genealogia femminile, dando loro la possibilità di comunicare il
proprio desiderio senza rifiutare il legame con la madre. Esprimendo
il suo desiderio di vivere la vita secondo inclinazioni e desideri che
non aveva ancora scoperto, Anita sembra porre se stessa come origine
e limite del suo trascendente; rende se stessa autonoma. Prendendo in
prestito un concetto di Carla Lonzi, si può dire che Anita crea «il nulla»
come rifiuto delle condizioni poste dal patriarcato e come fertile punto
di partenza per l’autonomia femminile. Nell’immaginare il suo futuro,
Anita disconnette la sua azione di desiderio da una figura maschile o
da una struttura patriarcale. Infatti i suoi desideri non sono articolati.
Piuttosto, esprime confusamente la necessità di un desiderio che non
sia ristretto all’interno di uno schema di costruzione patriarcale.
La vita indipendente prende le forme di un lavoro da ostetrica
che Anita intraprende con zelo e passione, ottenendo il rispetto dei
paesani. L’ostetricia acquisisce un particolare interesse sia nell’eco-
nomia del desiderio che nello sviluppo della soggettività femminile
nel romanzo. Aiuta Anita a progettare un futuro per la figlia e anche
a costruire una geneaologia femminile attraverso un legame con il
materno che non ha bisogno di fare riferimento al maschile.

 Irigaray citata in D. D’CRUZ, Loving Subjects: Narratives of Female Desire, New


York, Peter Lang, , p.  trad. mia.
 L. IRIGARAY, Etica della differenza sessuale, cit., p. .
 Ivi, p. .


PASSAGGIO IN OMBRA: IL MATERNO ESPRESSIONE DI DESIDERIO E CORPOREITÀ

Nell’ambiente maschilista del paese, dove le figlie sono consi-


derate un peso per la famiglia, e dove alle donne non sono offerte
molte possibilità per sfuggire ai doveri domestici, Chiara può vivere
la sua vita libera da facili stigmatizzazioni per essere la figlia dell’unica
madre non sposata del paese. Agli occhi delle compagne di scuola di
Chiara, Anita è una donna molto speciale che gestisce da sola quello
che per loro è il mistero della nascita:
D’altronde, nessuna fra loro era interessata a conoscere il mestiere di Francesco,
perché di me sapevano una cosa molto più speciale e misteriosa: io ero la figlia
di una signora che le aveva portate tutte alle proprie mamme [...]. E un’altra
volta, qualcuna mi chiese se Anita aveva portato da sola anche me: nel qual caso,
credo, la mia eccellenza ai loro occhi diveniva incalcolabile. (p. )

Il ruolo di ostetrica ha la funzione di attribuire potere ad Anita,


proiettando su di lei un’aura prodigiosa, che si riflette anche su Chiara.
Di conseguenza l’assenza della figura paterna nella famiglia di Chiara
ha minore importanza. La professione di Anita, inoltre, permette a lei
e a sua figlia di essere integrate nella rete di relazioni del paese, più di
quanto sarebbero state, se Anita avesse avuto un altro tipo di lavoro.
Infatti il lavoro di ostetrica significa, come nota Silvia Contarini, che
la vita delle due donne ha luogo nelle case dei paesani che formano
quindi per loro una «famiglia allargata».
L’enfasi sull’ostetricia è un aspetto centrale in una serie di stra-
tegie che contribuiscono a creare una forte immagine del femminile.
Focalizzandosi sulle abilità della donna, l’ostetricia rimuove l’atto
del parto dall’egemonia della struttura medica, spesso vista come
un mezzo di controllo patriarcale sul corpo delle donne. Ristabilisce
l’importanza di quanto Adriana Cavarero chiama il potere generativo
delle donne e della madre, neutralizzando la sua cancellazione dalla
cultura occidentale – o di quello che Irigaray definisce il matricidio
su cui è basata la società occidentale.
Adottando la stessa critica irigaryana del concetto di matricidio,
Cavarero sviluppa ulteriormente un approccio teorico alla rivaluta-

 S. CONTARINI, Riflessioni sulla narrativa femminile degli anni ’ , «Narrativa», ,


, p. .
 A. CAVARERO, Nonostante Platone, cit., p. .
 L. IRIGARAY, The Irigaray Reader, cit., p. .


CAPITOLO QUARTO

zione del concetto di nascita. Come Irigaray, Cavarero sostiene che


la prospettiva culturale occidentale è basata sulla morte; lei vede nel
concetto di nascita sviluppato da Hannah Arendt, il mezzo per asserire
una prospettiva femminile positiva. La decostruzione di figure mito-
logiche che Cavarero porta avanti in Nonostante Platone attraverso
una metodologia che assomiglia alla lettura della filosofia fatta da
Irigaray in Speculum, evidenzia incongruenze nelle rappresentazioni
patriarcali di figure mitologiche, e presenta nuove interpretazioni alla
luce del concetto di nascita. Sottolineando la rilevanza del concetto
di nascita, Cavarero afferma che
esso indica allo sguardo una direzione nella quale la figura della madre non può
non essere visibile, e indica, allo stesso tempo, il luogo da cui lo sguardo maschile
ha voluto dis-trarsi trovandosi a fissare la morte come sua angosciante misura.

Cavarero fa riferimento alla procreazione come «luogo» di im-


portanza determinante, che attribuisce alla donna una specificità così
positiva e potente da causare una reazione riduttiva e svalutante da
parte della cultura patriarcale. Secondo Cavarero, il patriarcato ha
adottato la morte come suo limite, per reazione alla potenza materna.
Le teorie di Cavarero e Irigaray sembrano complementarsi reciproca-
mente nella critica del patriarcato. Il concetto di morte come limite
della vita umana, e quello di senso di infinito, associato al maschile
attraverso l’immagine di un Dio maschile sono elementi chiave nella
decostruzione della svalutazione patriarcale delle donne. Limitata
nella sua dimensione corporea che non assomiglia all’immagine del
Dio-Figlio e che di conseguenza la allontana dalla dimensione dell’infi-
nito e del divino, per la donna il limite della vita umana è nella morte,
nell’antitesi al concetto di nascita che lei stessa porta in sé.
Alla luce di queste teorie l’enfasi sull’ostetricia acquisisce impor-
tanza nel ritratto della soggettività di Anita. Attraverso l’ostetricia,
la procreazione offre un luogo al soggetto femminile, ristabilendo
l’importanza della nascita sulla morte e posizionando la donna come
luogo, non solo per il maschile ma per la soggettività femminile.
Se il luogo implica movimento, come suggerisce Irigaray, allora attraver-

 A. CAVARERO, Nonostante Platone, cit., p. .


PASSAGGIO IN OMBRA: IL MATERNO ESPRESSIONE DI DESIDERIO E CORPOREITÀ

so l’enfasi sull’ostetricia Anita può vedere in se stessa il luogo verso cui


muoversi, offrendo una nuova prospettiva nell’economia del desiderio
fuori dalla struttura edipica e il desiderio del padre. Il materno simbo-
leggia per Anita l’elemento che le permette di agire come soggetto.
Anita è soggetto del desiderio, non solo nella decisione di perse-
guire il suo sogno di una carriera indipendente, perciò prendendo la
vita nelle sue mani, ma anche nella relazione con Francesco. Sebbene
non abbia mai considerato di sposarlo, l’ingiusta accusa di furto mos-
sa contro di lui e la sua successiva provata innocenza provocano in
Anita un impulso di affetto, tanto da pensare che sposarlo era per lei
un desiderio naturale (p. ). Alla fine accetta i suoi sentimenti per
Francesco e riconosce che il desiderio ha trasformato la sua vita, che
fino a quel punto le era sembrata stabile e inalterabile (p. ).
Per ottenere i documenti in vista del matrimonio, Anita, insie-
me a Chiara, torna al suo paese natale. Qui sua sorella Titina vive
nella casa dei genitori successivamente alla loro morte. È nell’am-
biente della casa paterna che, per la prima volta, viene dato un qua-
dro degli anni antecedenti alla sua vita da ostetrica. La tematica del
desiderio si manifesta di nuovo nella narrazione a questo punto.
In questa scena l’immagine della donna adulta che ha deciso di seguire
il desiderio di sposare l’uomo da cui ha avuto una figlia (anche se forte-
mente criticata per questo dalla sorella) si sovrappone alla narrazione
della sua nascita e quasi va a simbolizzare una sua rinascita.
Anita dorme assieme a Chiara nel letto che era stato dei geni-
tori, che era anche il letto in cui era nata; questo conduce la voce
narrante al racconto della sua nascita. Anita nasce nello stesso
giorno in cui lo zio materno viene trovato morto suicida. I pae-
sani vanno a trovare Teresina, la madre di Anita, per portare sia le
condoglianze per la perdita del fratello che le congratulazioni per la
nascita della bambina. La breve narrazione dell’infelicità del fratel-
lo di Teresina e della disperazione alla notizia di quella prematura
scomparsa si conclude con l’immagine tranquilla della neonata che
dorme tra le braccia della madre (p. ). La narrazione a questo punto
ritorna alla scena di Anita che, a causa di una discussione con la sorella
riguardo alla sua decisione di sposare Francesco, ricorda il suo primo
ragazzo e la ricerca di una vita più soddisfacente di quella tradizionale


CAPITOLO QUARTO

offerta dal suo paese. Tale sequenza di scene è di particolare rilevanza


nell’analisi di Anita come soggetto di desiderio.
La storia della nascita di Anita è racchiusa tra due espressioni di
desiderio: sposare Francesco e perseguire la sua carriera. A differenza
di Menzogna e sortilegio – in cui l’articolazione del desiderio di Anna
era strutturata attorno a un tipico schema freudiano, che richiede il
rifiuto della madre per passare al desiderio eterosessuale –, e diver-
samente da Madre e figlia, dove la posizione di soggetto del desiderio
non era disponibile né alla madre né alla figlia, in Passaggio in ombra
il desiderio viene formulato attraverso un’associazione con l’idea di
nascita, sottolineando un legame materno. Il desiderio di Anita sembra
essere strutturato al di fuori dell’economia del complesso edipico e
costruito positivamente. Diversamente dal romanzo di Morante, il
desiderio si intreccia con il coraggio, e non con la follia.
Anita mostra la sua forza e il suo coraggio nella vita quotidiana,
nelle sue «gesta semplici e tremende» (p. ). La decisione di persegui-
re il sogno di una vita indipendente, la sicurezza nell’allevare da sola
la figlia e la decisione – presa quando lui era in prigione – di sposare
Francesco sono tutti elementi indicativi del suo coraggio e gusto per
la vita. La spinta trainante in tutte le decisioni più importanti sono
sempre la passione e il desiderio – per l’indipendenza, per la figlia,
per Francesco. Anita sembra interpretare nel migliore dei modi quella
che potrebbe essere definita una delle perle di saggezza di Donna
Peppina: «L’unico coraggio che bisogna avere nella vita è quello di
amare! Anche una cosa qualunque» (p. ). La «indomita creatura»
Anita viene presentata come un personaggio capace di essere soggetto
del suo desiderio, sganciandosi da strutture patriarcali di desiderio.
Grazie alla professione di ostetrica, può costruire attorno a sé e alla
figlia un mondo di sostegno e rispetto, sfidando in tal modo l’ambiente
patriarcale del villaggio, ma senza sconvolgerlo.
La struttura del romanzo stesso è un tributo a questa caratteristica
di Anita. Il romanzo è suddiviso in due parti: la prima, “L’Audacia”,
si focalizza sulla vita di Anita e l’infanzia di Chiara, mentre la seconda
parte, “Il Silenzio”, inizia dall’adolescenza di Chiara e dalla morte di
sua madre, e narra la maturazione della figlia. I titoli delle due parti
funzionano come metafore della madre e della figlia: Anita, per il co-


PASSAGGIO IN OMBRA: IL MATERNO ESPRESSIONE DI DESIDERIO E CORPOREITÀ

raggio che ha caratterizzato tutta la sua vita, è facilmente identificabile


con il termine «audacia», mentre «silenzio» rappresenta l’apatia nella
quale Chiara sembra essere caduta dopo la morte della madre e, poi,
definitivamente dopo la morte di donna Peppina. Tuttavia, il silenzio
acquisisce nel romanzo diverse connotazioni che, come vedremo,
modificano il suo valore nella scena conclusiva del romanzo.

Chiara
Come Elisa, Chiara inizia la narrazione della storia familiare dopo
la morte della figura materna, la prozia Peppina, con cui aveva vissuto
sin dalla perdita della sua amata madre. Sola nella sua casa, Chiara,
come Elisa, si sente circondata dai fantasmi.
Tuttavia, diversamente da Menzogna e sortilegio, questi non le
dettano la storia. Invece di percepire se stessa come una scrivana che
presta la sua voce ai parenti deceduti, Chiara ritrae se stessa in comu-
nione con tali spiriti, come se fosse un elemento dell’ambiente naturale
che circonda i suoi cari: «Io divento un fiore, un albero, un filo d’erba;
o forse sono solo la nuda terra che hanno calpestato o l’acqua sorgiva
che hanno bevuto» (p. ).
Chiara appare quasi in osmosi con i suoi cari defunti e il loro
ambiente. Invece del tentativo della rispettosa Elisa di entrare nel
Simbolico attraverso l’aiuto dell’immagine patriarcale dei fantasmi
familiari, qui viene presentata una figlia-narratrice che diviene un
tutt’uno con la natura, per poter offrire una forma alternativa di
ricostruzione del passato.
Nelle parole di Chiara, il suo è un «canto di sirena senza coda» (p. ).
La parola “canto” sembra evocare la scelta di un mezzo di comuni-
cazione diverso, di fluidità impalpabile, in opposizione alla scrittura
terapeutica ricercata da Elisa. L’immagine della sirena offre un paral-
lelismo con le immagini di acque sotterranee di Menzogna e sortilegio,
ma le metafore rivestono opposto significato e manifestano diverse
intenzioni. La spaventosa evocazione della Medusa mitologica, anche
simbolo dei personali sentimenti di rifiuto di Elisa, viene tramutata
nella rappresentazione di un essere che non solo è in grado di incan-
tare, ma che anche si pone al limite del mondo animale e umano.


CAPITOLO QUARTO

La figura della sirena è stata ampiamente impiegata come immagi-


ne patriarcale della donna seducente e pericolosa. La rappresentazione
della figlia-narratrice come «una sirena senza coda» nasce, al contrario,
da un differente punto di vista che sembra collocare la narrazione in
una posizione alternativa all’immagine patriarcale della donna-pesce.
Come Cavarero ha messo in evidenza nella sua analisi della sirena in
Ondina se ne va di Bachmann, tra la posizione di mostruosità e sedu-
zione di tradizione patriarcale, esiste una posizione di diversità che
può essere interpretata (come accade nel testo di Bachmann), come
luogo privilegiato per esprimere la propria diversità, facendo uso de
«il nucleo di irriducibile alterità che essa da sempre possedeva e che
stava però sepolta nel testo». La peculiarità distintiva della sirena
in Di Lascia, l’essere «senza coda», funziona in maniera simile alla
rappresentazione analizzata da Cavarero nell’opera di Bachmann;
cioè pone la figlia-narratrice in una posizione alternativa alla sirena
di tradizione patriarcale. L’assenza della coda fa anche riferimento
al rifiuto da parte di Chiara della bellezza come valore, che era, al
contrario, di determinanante importanza in Menzogna e sortilegio, ed
anticipa il ritratto positivo dei corpi malati dal privilegiato punto di
osservazione del narratore. Il disagio con la propria identità di genere
affiora anche in Chiara, come accade in Elisa.
Nel suo autoritratto di donna trasandata e indolente, dall’aspetto
contraddittorio che mescola la mancanza di rughe con la menopausa,
Chiara è una creatura «senza età e senza sesso». Come Elisa, Chiara
nasconde la sua identità di genere dietro una rappresentazione neutra e
definisce la sua irriconoscibile immagine allo specchio come una «crea-
tura sgraziata», «quello strano animaletto» (p. ). Inoltre, la prematura
menopausa sembra rendere completo il suo rifiuto della femminilità.
È in questo vuoto di identità femminile che la figlia riflette sulla stra-
ordinaria forza di sua madre: «Ora che le tracce della mia femminilità
biologica [...] sono precocemente scomparse [...] ripenso a quale indo-
mita creatura ella fu» (p. ). Il “canto” di Chiara, come la narrazione di
Elisa, ha come fine la ricerca dell’identità, che lei sembra avere perduto,
intrappolata nel suo corpo indefinito e sopraffatta dai ricordi.

 A. CAVARERO, Corpo in figure, Milano, Feltrinelli, , p. .


PASSAGGIO IN OMBRA: IL MATERNO ESPRESSIONE DI DESIDERIO E CORPOREITÀ

Un’impressione di inadeguatezza nei confronti della madre, Anita,


affiora nella figlia-narratrice a causa della sua sterilità. La possibilità della
procreazione e, di conseguenza, il concetto di nascita collegato ad Anita
(come già discusso) viene associato al coraggio, caratteristica della per-
sonalità di Anita. Il coraggio della madre si intreccia con la passione e la
figlia la ripensa quale «indomita». Nel riflettere sulle proprie espressioni
di coraggio, riconosce di essere stata solo una volta, nella sua adolescen-
za, audace abbastanza da seguire il suo cuore. Significativamente nella
descrizione di questa fase della vita di Chiara, Di Lascia usa lo stesso
aggettivo, «indomita» (p. ), usato per descrivere Anita.
L’occasione a cui Chiara si riferisce è il tentativo di vedere appagato
il suo sogno d’amore con il cugino Saverio. Una volta che Giuppina
ha scoperto la relazione di Chiara e Saverio, la loro storia d’amore
raggiunge una stasi. Nonostante il divieto di Giuppina, Chiara decide
di partire da casa, di nascosto, per raggiungere Saverio nella città in cui
lui sta prestando servizio militare. Nella descrizione del suo amore per il
cugino, un’immagine che evoca il corpo, «dalla mia carne» (p. ), viene
impiegata per indicare la natura dell’energia che le deriva dall’amore
per il cugino e che le sembra la renda invulnerabile. In questa occasione
Chiara mette in atto il suo desiderio, diventando dunque, come sua
madre, il soggetto delle proprie passioni. È dunque significativo che il
ricordo di Anita erompa in questi precisi momenti.
Sul treno per raggiungere Saverio, sopraffatta dalla felicità di
vedere appagato il suo sogno d’amore, Chiara inizia istintivamente a
intonare una melodia – senza rendersene conto ha scelto la canzone
preferita di Anita, Amado mio. La voce di Chiara assume i toni della
voce di Anita: «la mia voce assunse, per imitazione, il suono della
voce di mia madre» (p. ). La modifica del tono della voce sembra
sottolineare il fatto che il coraggio di amare, caratteristica del perso-
naggio di Anita, è tradotto nell’aperto tentativo di Chiara di esprimere
il suo desiderio eterosessuale. Diversamente da Menzogna e sortilegio,
la figlia in Passaggio in ombra diviene soggetto di desiderio, anche
grazie al legame con il coraggio e l’affetto della madre.
Al tempo della relazione di Chiara con il cugino, il suo aspetto
rivela una percezione cosciente della sua sensualità e del desiderio
eterosessuale:


CAPITOLO QUARTO

Se infilavo le mani in quel punto segreto e pudico della mia femminilità,


scoprivo di non sapere quand’era accaduto che avessi dismesso le sembianze
fanciulle per divenire una donna. Mi annusavo lentamente, con una voluttà
senza memoria, scoprendomi a me stessa per la prima volta; mi cullavo dol-
cemente, come si culla un bambino stretto fra le braccia, e ripetevo piano il
mio nome, come se a chiamarmi fosse lui: «Chiara!» sussurravo, «Chiara!»
E nel sentire il suono del mio nome, immaginavo che lui tremasse intenerito.
«Chiara!» «Moglie mia!» ripetevo [...]. Oh! Mi sarei amata anch’io: ero bella,
e la bellezza mia non era muta. (p. )

La percezione della propria sensuale bellezza viene qui connessa


alla metafora del bambino e l’immagine della moglie, costruendo un
legame diretto tra bellezza e ruolo di madre e moglie – «come si culla
un bambino [...] “Moglie mia”». La percezione che Chiara ha del suo
corpo sensuale richiede, dunque, una discussione della sua posizione
all’interno dell’economia eterosessuale a lei disponibile.

La figlia all’interno dell’economia eterosessuale


Dall’inizio della ricostruzione della sua storia, la figlia-narratrice
afferma, da un lato, l’affetto reciproco che caratterizza la sua stret-
ta relazione con la madre e, dall’altro, la loro apparente differenza
psicologica. Anita appartiene alla classe di eroi che «concepiscono il
sogno più folle e scambiano il proprio coraggio per la vita» (p. ),
mentre Chiara inchiodata in un quotidiano i cui confini le appaiono
confusi ed incomprensibili, non è incline a perseguire sogni.
L’attaccamento di Chiara a sua madre è vitale e senza compromes-
si, come evidente in una scena che ha luogo tra Francesco e la piccola
Chiara all’inizio della loro relazione. Parlando a sua figlia, Francesco
menziona un fantasticato paradiso di felicità che la bambina potrebbe
condividere solo con lui, senza sua madre (p. ). Tale suggerimento è
l’immagine invertita espressa da Anna nel romanzo di Morante, in cui
a Elisa non veniva dato nessun accesso alla felice unione della madre
e dell’attraente cugino. Di Lascia, al contrario, rappresenta Chiara
come una ragazzina che, perplessa, obietta alla metafora espressa dal
padre. Il legame tra madre e figlia, agognato da Elisa nel romanzo di
Morante, viene gioiosamente vissuto da Chiara, il cui amore per la
madre è ricambiato a pieno.


PASSAGGIO IN OMBRA: IL MATERNO ESPRESSIONE DI DESIDERIO E CORPOREITÀ

La relazione tra Chiara e Anita è lungi dall’essere l’ossessivo e


onnicomprensivo amore ricercato da Elisa. Dall’inizio di Passaggio
in ombra, il ritratto di madre e figlia mette in luce un istintivo amore
materno, associato metaforicamente all’istinto protettivo degli uccelli:
«si toglieva rapida dalla bocca un poco di cibo e me lo dava» (p. );
«ero in braccia a mia madre e, da quel nido amoroso, guardavo il
mondo sconosciuto che si apriva davanti» (p. ). L’istinto protettivo
e l’amore spontaneo e naturale in queste immagini diviene parte del
senso di identità della figlia. Per l’intero periodo in cui la madre è
l’unico affetto con cui condividere la vita, la figlia non è mai nella
posizione di dubitare di se stessa e dell’ «infallibile bellezza» del suo
destino. Tale arricchente affetto materno non diviene oppressivo in
quanto Anita lascia spazio ai desideri personali della bambina; come
ribadisce, un bambino «non appartiene alla madre, egli deve essere
restituito alla vita che lo ha chiamato» (p. ).
Tuttavia, la relazione tra madre e figlia viene interrotta quando la
figura paterna entra a far parte del nucleo familiare, e ancora più acuta-
mente durante l’organizzazione del matrimonio di Anita e Francesco.
Come Elisa in Menzogna e sortilegio, Chiara è fisicamente simile a suo
padre, sebbene sia alla sua amata madre che vorrebbe assomigliare
(p. ). La somiglianza fisica al padre riflette anche una somiglianza
di personalità, qualcosa che distanzia la figlia dalla madre. L’incapacità
di agire e la mancanza di volontà che caratterizzano il personaggio di
Chiara, specialmente dopo la scomparsa della madre, sono percepite
da Chiara come elementi ereditati dalla linea paterna:
Questa inanità, sebbene fosse necessitata dal mio nichilismo e abbia dispiegato
in me tutta l’insidia del suo potere, scorreva già nel sangue dei D’Auria. Nella
famiglia paterna – sotto il nascondimento della faciloneria o della malavo-
glia, mescolate alla confusione e al disordine e percorrendo per gradi tutte le
tonalità della trascuratezza – si potevano trovare le tracce inequivocabili di
quella velleità sconsiderata e, insieme, di quella abulia che non ci permisero
mai di trasformare un proposito in una cosa vera, e che destinò ciascuno di
noi all’alienazione o alla sconfitta. (p. )

 Tale senso di inevitabile separazione tra madre e figlio si ripete nel racconto

Veglia, in cui la psicologia e la personalità del figlio diventano sconosciuti alla madre.


CAPITOLO QUARTO

In contrasto con Anita, Chiara si scopre apatica e indecisa come


suo padre. Tuttavia queste caratteristiche negative non generano ri-
sentimenti durante l’infanzia della figlia, e fino alla morte della madre.
Infatti Chiara, da bambina, è affascinata dal padre. Solo al momento
della cancellazione del matrimonio Chiara inizia a vedere in Francesco
il responsabile dell’infelicità di Anita e, successivamente, anche della sua
morte. Infatti, nella ricostruzione degli eventi, la fase finale della malattia
di Anita viene associata alla scena della scelta delle fedi nuziali, compito
che la donna svolge da sola, inconsapevole delle tradizioni e scusando,
ingenuamente, l’assenza di Francesco (pp. -).
L’inizio della ricostruzione della storia familiare viene motivato da
Chiara con la necessità di trovare l’origine di «ogni inganno» (p. ),
cioè l’inganno a cui è stata soggetta dal padre. L’odio per il padre
segna la vita adulta di Chiara, seppure, come lei stessa riconosce,
mascherando un sentimento d’amore. Adalgisa Giorgio sostiene che
il senso di disorientamento e il processo distruttivo di Chiara inizia
quando Francesco accetta la sua paternità e le dà il suo cognome,
facendola entrare in «una mortale trama edipica». Infatti, la notizia
del matrimonio crea l’unico momento di tensione tra madre e figlia,
con la figlia che prova un senso di rivalità con la madre.
Tuttavia, l’affetto di Chiara per il padre riflette anche le emozio-
ni di Anita per il suo promesso sposo. Anita stessa, nel decidere di
sposare Francesco, sembra voler ispirare in Chiara il suo amore per
lui. L’apparenza fisica gioca di nuovo una parte importante qui, dato
che Anita sottolinea la somiglianza della figlia al padre:
Se ci accadeva di pettinarci insieme, e che lo specchio nella camera da letto ri-
flettesse le nostre due immagini vicine, lei mi prendeva fra le braccia e accostava
il suo volto al mio. Allora il biondo dei miei capelli si mescolava al fulvo dei
suoi, e i nostri occhi di zaffiro brillavano di una identica luce. «Vedi,» mi diceva,
«i tuoi occhi sono quelli dei D’Auria [...]. Basta guardarti per capire che sei figlia
a tuo padre!» sussurrava con uno strano, appassionato ardore. (p. )

In questa scena Anita è l’immagine riflessa allo specchio, ma


anche lo specchio stesso, perché è lei che offre a sua figlia la lettura

 A. GIORGIO, The Passion for the Mother: Conflicts and Idealisations in Contemporary

Italian Narrative by Women, in Writing Mothers and Daughters, cit., p.  trad. mia.


PASSAGGIO IN OMBRA: IL MATERNO ESPRESSIONE DI DESIDERIO E CORPOREITÀ

del suo aspetto attraverso la somiglianza con il padre. Nell’immagine


di madre e figlia allo specchio, la somiglianza fisica segue un gioco di
riflessi, dove la somiglianza dei colori degli occhi di Anita e Chiara
e le loro emozioni – «i nostri occhi di zaffiro [...] identica luce» – è
anche vista in quelli di Francesco. La differenza di colore dei capelli di
madre e figlia si mescola al colore simili dei loro occhi. Le differenze
e somiglianze tra padre, figlia e madre si alternano per riassicurare
identità per mezzo dell’aspetto fisico. Madre, padre e figlia sembra-
no uniti in un radioso quadro che evoca il felice gruppo di famiglia
sognato da Elisa in Menzogna e sortilegio.
Per Chiara, proprio come per Sonia in Madre e figlia, l’identità
è determinata dall’interiorizzazione della percezione maschile della
sua bellezza. Diversamente da Elisa in Menzogna e sortilegio, Chiara,
sia da adolescente che da giovane donna, percepisce se stessa come
attraente. Il concetto di bellezza emergente dalla rappresentazione
della figlia-narratrice è fortemente diverso dall’imponente, intoccabile
bellezza della madre di Elisa, Anna, e di Edoardo. Nel caso di questi
ultimi, la bellezza è un elemento distintivo della loro unicità e superio-
rità. Elisa è dolorosamente consapevole della sua distanza dalla bella
madre, e vede la bellezza come un attributo necessario per meritare
amore. Nella relazione tra Chiara e Anita, la bellezza non rappresenta
un valore o un mezzo per meritare amore. Tuttavia, la bellezza fisica
acquisisce importanza agli occhi del padre e di conseguenza, all’os-
servatore maschile. È attraverso gli occhi del padre e l’intervento di
altri personaggi, che la bellezza di Chiara viene oggettificata, e inte-
riorizzata come parte della sua identità. Due episodi in particolare
rivelano questa percezione acquisita della sua bellezza.
Durante l’estate che sarebbe diventata centrale nello sviluppo
della storia, cioè al tempo della gara del grano, Anita e Chiara vanno
in vacanza al mare, ospiti di amici di Anita. Il sole e la rilassante
atmosfera sembrano accrescere la bellezza di Chiara, e per la prima
volta diviene consapevole dell’ammirazione degli altri:
Al mare, negli ultimi giorni, sentivo dire che ero bella e il tono dei complimenti
che giungevano non era quello usuale. Potrei dire che esso esprimeva, per la
prima volta, la scoperta che fossi bella non solo agli occhi di chi mi amava,
ma, con certezza autentica, perfino agli occhi di chi mi avesse odiata [...].
Per questo, mi guardai nello specchio della signora Maria, con indosso solo


CAPITOLO QUARTO

il costume da bagno, e scorsi la figurina di cui essi parlavano. Mi pavoneg-


giai a lungo ripetendo ad alta voce le loro blandizie amorevoli, i commenti
ammirati che mi avevano inorgoglita e di cui non trovavo alcuna traccia su di
me [...] mentre mi avvicinavo a Francesco non ricordavo più nessuna delle
parole che avevo sentito e mi batteva il cuore. Ma vidi lo stupore sul suo viso
e indovinai i pensieri che affioravano per l’emozione di vedermi: mi sembrò
di essere bellissima. (p. )

Chiara, da bambina, aveva acquisito una percezione di bellezza


attraverso l’immagine di se stessa che gli altri le avevano riflesso.
La sua intensa relazione con la madre l’aveva arricchita della sicurezza
di essere amata al di là di ogni concetto canonico di bellezza; dava
per scontato di essere bella agli occhi di chi lei amava: «bella non solo
agli occhi di chi mi amava». Percepire di essere attraente anche ad
altri non ha un immediato effetto su di lei: «i commenti ammirati di
cui non trovavo nessuna traccia». La bellezza acquisisce significato
per Chiara solo quando lei la vede riflessa negli occhi di suo padre.
Francesco è la fonte di tale percezione, di cui lei fa esperienza non
come soggetto, ma come oggetto.
In modo simile, l’inizio della relazione con Saverio segna un’ul-
teriore consapevolezza del suo aspetto. Al tempo del suo primo in-
contro segreto con lui, la sua immagine di bellezza viene di nuovo
manifestata attraverso l’immagine di uno specchio, ma contrastata
con una differente percezione di se stessa derivante dalla somiglianza
con la madre:
[E]ro inaspettatamente graziosa. Sorridevo alla mia immagine nello specchio
[...]. Allora atteggiavo il viso ad altre espressioni e ne provavo alcune che mi
sarebbe piaciuto assumere al momento opportuno. Tiravo indietro la massa
setosa dei capelli e scoprivo la fronte bombata come quella di mia madre. Era
bella la mia fronte, aveva detto il professore di lettere davanti a tutte le mie
compagne, attraversata dai pensieri, e tuttavia alta e libera: una fronte che
sogna e ragiona. (p. )

L’eccitazione di incontrare Saverio soggiace dietro l’attenzione


di Chiara verso il proprio aspetto e le proprie espressioni, ma la
rappresentazione della sua immagine è filtrata attraverso il paragone
con la madre. L’attraente aspetto della ragazza è bilanciato dalla lode
alla capacità di sognare e pensare – «sogna e ragiona» – che la sua
fronte, simile a quella della sua mamma, suggerisce. Il paragone tra
madre e figlia viene messo in atto attraverso la figura dell’insegnante


PASSAGGIO IN OMBRA: IL MATERNO ESPRESSIONE DI DESIDERIO E CORPOREITÀ

di italiano, una figura maschile con un ruolo educativo, i cui com-


menti sulla razionalità e creatività di Chiara associano la bellezza con
le capacità intellettive. La figura materna non valuta la pura bellezza
fisica della figlia. Da sua madre Chiara non apprende il compiacersi
per l’aspetto o il desiderare di essere attraente ad occhi maschili.
Al contrario, come già notato, al momento di trovare il coraggio per
andare a trovare il suo amore Saverio, Chiara istintivamente ricor-
da e reinterpreta la canzone di sua madre, come se il coraggio che
caratterizzava Anita fosse stato trasmesso alla figlia nel momento in
cui più ne aveva bisogno. Il padre, al contrario, trasmette a Chiara la
consapevolezza della sua bellezza fisica.
L’amore per Francesco, causa di un momento di frizione tra
madre e figlia, fornisce solo un breve periodo di auto-identificazione,
passeggero appunto, come la giovanile bellezza. Altri valori che la
figlia-narratrice reinterpreta quali forme alternative di conoscenza,
come dimostrerò, derivano a Chiara dalla madre. La relazione con
gli uomini rimane problematica, sia per la madre che per la figlia,
come sottolineato da uno dei sogni di Chiara relativo alla sua storia
d’amore con Saverio.
Chiara sogna il giorno del suo matrimonio. Guardandosi allo
specchio nel suo abito da sposa, non riesce a vedere l’intera immagine
del suo corpo. Inspiegabilmente infastidita da un volant sulle spalle,
cerca di staccarlo:
Dopo uno strattone più forte degli altri, il volant cedette staccandosi dal
corpino, ma, dal punto nel quale esso si separava dal mio vestito da sposa,
cominciò a sgorgare, rosso e vivo, un fiotto di sangue. In men che non si dica,
coprì tutto il corpino, e i suoi spruzzi zampillarono raggiungendo lo specchio.
A quel contatto, e come se da esso ne fosse lavato, lo specchio riacquistò le
sue vere dimensioni.
Allora mi vidi riflessa interamente, e il mio vestito era rosso di sangue. In preda
al disgusto, tentavo di sfilarlo via dal corpo, ma quello resisteva ed era divenuto
viscido e intoccabile: afferrai il volant per distruggerlo e, improvvisamente, mi
ricordai che apparteneva al vestito della prima comunione. (p. )

Chiara aveva celebrato la sua prima comunione lo stesso giorno


del matrimonio di sua madre; perciò un’associazione viene stabilita tra
i due matrimoni. Come le nozze di Anita si trasformano in un evento
doloroso, così il sogno dell’abito nuziale sanguinante è un presagio
sinistro per la futura vita amorosa di Chiara.


CAPITOLO QUARTO

L’immagine intera della giovane donna viene riflessa solo quando


lo specchio è schizzato di sangue. Un legame tra corporeità e iden-
tità viene in questo modo enfatizzato, come se fosse solo attraverso
l’associazione con un’immagine che evoca la dimensione corporea,
attraverso l’intervento di fluidi corporei, che può essere mostrata la
percezione dell’immagine di Chiara. Ricordi penosi e orrore sono al
centro di questo senso di identità, in netto contrasto con le immagini
della bellezza fisica di Chiara.
La percezione della bellezza viene modificata dalla figlia-narratri-
ce. L’oggettificazione della bellezza di cui Chiara ha avuto esperienza
attraverso l’intervento del soggetto maschile lascia spazio all’apprezza-
mento di altre qualità come l’intuizione e la diversità dei corpi malati,
come vedremo a breve. In questo modo, forme di soggettività alterna-
tive a quelle prescritte nella società patriarcale vengono suggerite dalla
figlia-narratrice. Si potrebbe affermare che un filo rosso lega madre e
figlia: come Anita decostruisce il paradigma del desiderio, così Chiara
decostruisce il concetto di bellezza e quello di corpo sano.

Corpo e conoscenza
La distinzione tra mente e corpo è profondamente radicata nella
storia della filosofia e ha rappresentato un punto di ampia discussione
e analisi all’interno del femminismo. Partendo da Simone de Beau-
voir e il femminismo francese, per andare ai teorici del femminismo
corporeo il cui lavoro si è sviluppato soprattutto negli anni Novanta,
fino al femminismo italiano, e in particolare agli studi di Adriana
Cavarero, il rifiuto della divisione mente-corpo è stato un elemento
centrale della critica al patriarcato.
Tutta la critica della divisione mente-corpo sviluppatasi all’inter-
no del femminismo degli ultimi decenni ha dovuto confrontarsi con
la determinante opera di Simone de Beauvoir. In Il secondo sesso,
attingendo all’esistenzialismo di Sartre, de Beauvoir enfatizza le li-
mitazioni e le costrizioni che il corpo femminile impone alle donne,
e alla loro percezione (e degli altri) del ruolo sociale delle donne.
Se, da un lato, questa posizione intende mettere in evidenza la condi-
zione di ineguaglianza delle donne nella società, dall’altro, inevitabil-
mente accenna a una dimensione disincarnata del corpo femminile.


PASSAGGIO IN OMBRA: IL MATERNO ESPRESSIONE DI DESIDERIO E CORPOREITÀ

Come sostiene Judith Butler, sebbene de Beauvoir venga gene-


ralmente considerata una promotrice dei diritti delle donne, la sua
enfasi su un soggetto universale astratto, di posizione esistenzialista,
ha come risultato la svalutazione del corpo che diviene secondario
rispetto al soggetto maschile astratto. Nonostante i tentativi femmi-
nisti di leggere de Beauvoir in una luce diversa, questa obiezione di
una dimensione disincarnata del soggetto femminile è rimasta negli
ultimi decenni, il punto principale di critica alla filosofa francese.
Particolarmente negli anni Novanta, un rinnovato interesse
nell’analisi della soggettività corporea ha dato adito a una serie di
nuove discussioni. Quello che viene chiamato femminismo corporeo,
che ha tra i suoi teorici femministe quali Elisabeth Grosz e Moira
Gatens, si focalizza sulla centralità del corpo sessuato. Il fine del fem-
minismo corporeo è la frantumazione della dicotomia mente-corpo
che ha dominato la filosofia occidentale, e costantemente associa
le donne all’inferiore corporeo. Il soggetto incarnato è un soggetto
arricchito da una relazione immaginaria con il corpo.
La concettualizzazione del corpo immaginario non stabilisce un col-
legamento diretto con il biologismo. Il corpo immaginario è un concetto
che prende in considerazione non solo le costruzioni sociali e culturali
imposte sul corpo sessuato, ma anche lo stesso corpo anatomico, perché
come Moira Gatens afferma, questo è «un oggetto teorico per il discorso
di anatomia che viene prodotto dagli esseri umani nella cultura». Molti
tra i teorici del femminismo corporeo sono stati ispirati dal lavoro di
Irigaray e dalla sua critica alla struttura fallogocentrica del Simbolico,
che riduce l’essere altro delle donne in Medesimo. Come nota Naomi
Schor, paragonando il pensiero di de Beauvoir e quello di Irigaray, se
essere altro implica l’attribuire all’altro oggettificato una differenza che serve per
legittimare la sua oppressione, l’essere il medesimo nega all’altro oggettificato il
diritto alla differenza, sottomettendo l’altro alla legge della specularità fallica.

In Passaggio in ombra la rivalutazione della corporeità diviene appa-


rente come sistema di significato e conoscenza associato al corpo, come

 J. BUTLER, Scambi di genere. Identità, sesso e desiderio, Milano, Sansoni, , p. .
 M. GATENS, Imaginary Bodies, Londra, Routledge, , p.  trad. mia.
 N. SCHOR, This Essentialism which is not One, in Engaging with Irigaray, cit.,

p.  trad. mia.


CAPITOLO QUARTO

rottura della specularità fallica e dell’ordine Simbolico. La ricerca di un


diverso Simbolico che permetterebbe forme alternative di conoscenza e
comunicazione viene messa in evidenza attraverso la rappresentazione
dei corpi malati e della follia. Vittima di attacchi di asma, Chiara iden-
tifica i corpi malati e la follia con una forma più sottile di conoscenza:
[H]o orrore dell’onnipotenza feroce, della dogmatica sordità, che traccia il
confine fra ciò che è sano e il suo contrario. Tremo di fronte all’arroganza
impietosa dei corpi sani, all’oscena prepotenza della loro forza [...]. Niente è
più vano e folle di questa illusione: bisogna essere un po’ di pietra e d’albero
[...] bisogna essere un po’ mostri per sentire risuonare la meraviglia e l’orrore
di altri mondi lontani [...]. La follia infine [...] i folli furono celebrati come
creature divine, nelle quali circolava libera la sapienza onniscente. Erano i
tempi e luoghi dove la sadica struttura normativa che ci conculca non aveva
ancora vinto. (pp. -)

I corpi malati e la follia sono visti come forme per sfuggire dalla
«sadica struttura normativa», dallo schema della logica che ci inghiotte
tutti. La malattia e i corpi malati sono dunque un mezzo privilegiato
per percepire nuove dimensioni: «le meraviglie e gli orrori di altri
mondi lontani». Danno accesso a una più profonda e più acuta for-
ma di sensibilità da cui i corpi sani, in forma, e troppo sicuri di sé
sono esclusi. A questo punto può essere chiarita la posizione della
narratrice, che aveva iniziato il racconto affermando di essere quasi in
simbiosi con l’erba e con gli alberi che circondano i suoi cari fantasmi
familiari. Questa forma di identificazione con il mondo naturale indica
un bisogno di essere distaccati dagli schemi e dalle rigide forme di
narrazione per trovare un più sottile mezzo di comprensione.
L’enfasi sui corpi malati suggerisce un ulteriore paragone con
Menzogna e sortilegio, e con il concetto di bellezza di cui ha fatto
esperienza Chiara come riflesso del punto di vista paterno. Mentre
Elisa è un’entusiastica ammiratrice della bellezza fisica, e sia Anna
che Edoardo sono dotati di questa qualità all’estremo, Chiara diviene
cosciente del valore della bellezza solo attraverso la presenza maschi-
le, ma da adulta arriva a disprezzarla. Mentre per Elisa la bellezza
dota i suoi personaggi preferiti di una qualità speciale che li rende
irragiungibili e lontani in qualche mondo inaccessibile, per Chiara,
l’orgoglio e la bellezza di un corpo sano appartengono a questo mondo
e prevengono la comprensione degli altri esseri umani.


PASSAGGIO IN OMBRA: IL MATERNO ESPRESSIONE DI DESIDERIO E CORPOREITÀ

L’immagine del corpo malato, in Passaggio in ombra, appare legato


all’intuizione e alla percezione, e genera perciò un’idea di forme alter-
native di conoscenza, che evocano la teorizzazione degli studiosi del
femminismo corporeo, nella loro analisi della soggettività come altro
dalla struttura dell’ordine Simbolico. Anita è spesso descritta come non
in grado di avere facilità con le parole ma capace di una comunicazio-
ne «che poteva essere anche muta» (p. ). L’intuizione è enfatizzata
attraverso il silenzio. Non si tratta di una qualità prettamente femmi-
nile, è infatti condivisa dal fedele amico di Anita, Sciarmano, che fa
affidamento sull’intuizione per i suoi giudizi sulle persone: può «capire
senza fare domande» (p. ) mentre non giudica mai dalle apparenze.
L’amicizia con Anita si sviluppa proprio sulla base della loro silenziosa
e intuitiva percezione degli altri. Grazie alla loro comune capacità di
comprendere riflettendo in silenzio, Anita e Sciarmano percepiscono
quello che altri non possono comprendere; formano nella loro mente un
profondo e allo stesso tempo immutabile punto di vista sulle persone.
Questo li rende affidabili, così Chiara potrà sempre fare affidamento
sull’amore di Anita, e Anita sull’amicizia di Sciarmano.
Lo «sproloquio di parole» di Francesco, invece, contrasta decisa-
mente con questo concetto di percezione e comunicazione silenziosa.
Uscito di prigione, Francesco ritorna al suo paesino, dove trascorre
più tempo a raccontare agli altri la sua storia, che a prendersi cura
di sua figlia. Il suo eccessivo raccontarsi diventa causa di sospetto e
diffidenza per Anita (p. ). Il contrasto tra la comunicazione silen-
ziosa e lo «sproloquio di parole» sottolinea una mancanza di fiducia
nel regno del linguaggio che il Simbolico maschile rappresenta. Crea
una dicotomia tra un senso affidabile e duraturo del vero essere uma-
no, percepito attraverso intuizione e silenzio, e una più superficiale,
inaffidabile forma di conoscenza e affetto.
L’enfasi sul silenzio ci ricorda l’ammonimento di Irigaray sulla
difficoltà per le donne di entrare nel Simbolico maschile, in cui è
situata la lingua, senza perdere la loro differenza. Il fatto che il si-
lenzio sia proposto nel romanzo come una forma di comunicazione,
rende omaggio sia alla ricerca di mezzi alternativi per contrastare la
cancellazione della differenza delle donne nell’ordine Simbolico, sia
al tentativo di articolare un distinto immaginario femminile.


CAPITOLO QUARTO

Ampia enfasi è anche data a istintive qualità materne, che arric-


chiscono in particolare Anita. Il suo amore e le sue attenzioni per
Chiara sono più volte ribadite nel romanzo. L’enfasi, tuttavia, come
già notato, non è posta su una forma di abnegazione che mira a vedere
la figlia in totale unione con la madre. Al contrario, Anita è sempre
consapevole del bisogno di separazione tra madre e figlio. Il punto
di vista sul concetto di amore materno viene presentato come forma
istintiva di conoscenza. Gli istinti sono in questo caso, come in altre
situazioni, la forma privilegiata di conoscenza nelle donne:
Un figlio, mi dicevi, non appartiene alla madre, egli dev’essere restituito alla
vita che lo ha chiamato. Come facevi a sapere queste cose tu, nella tua testolina
caparbia, nel vigore delle tue azioni e, insieme, nel penoso silenzio dell’afasia
che ti prendeva così spesso. (p. )

Proprio come la figura dell’ostetrica rimpiazza il potere asserito


dalla conoscenza medica, l’intuizione suggerisce il desiderio di riferirsi
a un sistema di conoscenza diverso da quello dominante.
Nel testo di Di Lascia, la conoscenza appare distaccata dalla solida
posizione nell’ordine patriarcale, dove il soggetto lacaniano maschile
è collocato. Come hanno messo in luce molti teorici femministi inte-
ressati all’epistemologia, il progetto di un’epistemologia femminista
include frammentazione e contraddizione, in opposizione alla coeren-
za e all’unità. In Passaggio in ombra, intuizione e silenzio come mezzi
di comunicazione e conoscenza sono elementi della frantumazione di
quell’ordine oggettivista, focalizzato sul maschile, e allo stesso tempo,
tentativi nell’asserzione di un soggetto femminile.
Sviluppando ulteriormente il paragone tra le figlie-narratrici in
Menzogna e sortilegio e Passaggio in ombra, è possibile affermare che
la narrazione intrapresa raggiunge risultati diversi, che enfatizzano dif-
ferenti approcci alla divisione tra razionalità e corporeità. Infatti mentre
Elisa non sembra raggiungere il definitivo senso di sé che aveva ricercato
attraverso la ricostruzione della storia familiare, Chiara sembra trarre
beneficio dalla sua narrazione. Nella conclusione del suo raccontare
descrive il silenzio che percepisce attorno a sé. Questo appare essere
un segnale della sua riacquistata calma e prospettiva verso il futuro:

 K. LENNON, M. WHITFORD, a cura di, Knowing the Difference, Londra, Routledge,

, p. .


PASSAGGIO IN OMBRA: IL MATERNO ESPRESSIONE DI DESIDERIO E CORPOREITÀ

No! Questo silenzio favoloso non è della stessa specie rocciosa dei sotterra-
nei che ho già attraversato! [...]. Questo silenzio [...] attraversa la sconfinata
regione della salvezza. Se chiudo gli occhi ne intravedo i santuari imponenti,
dove si celebrano – fra ricchezze tanto meravigliose da parere irreali – i riti
incantati della MEMORIA e del FUTURO.
Eccoli! Avanzano scambiandosi gli identici volti, coi corpi intrecciati in una
danza sincronica: entrambi sono giovani, entrambi sono vecchi e quando l’uno
è giovane, l’altra veste il suo volto vecchio; e quando l’altro è vecchio, quella
prende il suo volto giovane. (p. )

In questa immagine finale, il passato e il futuro aggrovigliati tra


loro, sottolineano il fatto che le speranze in un futuro migliore non
sono avulse dalla narrazione degli eventi appena conclusi. La meta-
fora dei corpi («corpi intrecciati») che rappresenta passato e futuro
sembra avere la funzione di unire corporeità e conoscenza, corpi e
speranze, per la capacità di azione futura del soggetto. Il silenzio è il
mezzo che libera la figlia-narratrice dall’oppressione della memoria
e del passato.
Il silenzio affrontato dalla narratrice nell’ultima pagina del romanzo
è notevolemente diverso da quello menzionato nella sezione iniziale.
Nella scena d’apertura la narratrice descrive il senso di vuoto e deca-
denza di cui sta avendo esperienza, una volta sola nel suo appartamento:
«[D]opo che tutti se ne sono andati e finalmente si è fatto silenzio, mi
trascino pigra e impolverata con i miei vecchi vestiti addosso» (p. ).
Attraverso il racconto degli eventi la narratrice sviluppa un diverso
concetto di silenzio che diviene, alla fine, un mezzo di comunicazione
capace di oltrepassare la funzione della narrazione. Infine, è nell’as-
senza del linguaggio, al di fuori dell’ordine simbolico patriarcale, che
la figlia-narratrice trova la possibilità di guardare al futuro.
La narrazione degli eventi fatta dalla figlia, narrazione che aveva
avuto origine anche dal bisogno di trovare una ragione al suo inganne-
vole amore per il padre, ha facilitato il recupero della figura materna,
attraverso una serie di elementi che mettono in luce la dimensione
corporea di significato e conoscenza. Il canto della sirena senza coda,
il concetto di nascita e quello di forma corporea della conoscenza, e il
silenzio come comunicazione e come forma di un equilibrio recupera-
to, sono tutti elementi della differenza di linguaggio che Irigaray aveva
sostenuto. Di Lascia costruisce un discorso femminile inserito nella
corporeità e che sfida il concetto di Simbolico patriarcale. Il discorso


CAPITOLO QUARTO

che i personaggi femminili nel romanzo riescono ad articolare non è


affermato logicamente, ma implicito. Come afferma Grosz, parlare da
donna significa «evocare piuttosto che designare». Questo è esatta-
mente il modo in cui Di Lascia, attraverso i personaggi femminili del
suo romanzo, esprime forme di contrapposizione all’ordine Simbolico
ed esplora alternative a esso. Nel recuperare elementi di corporeità
che divengono parte dell’immaginario della figlia, Di Lascia sembra
accennare a una forma di genealogia tra madre e figlia. In L’amore
molesto di Elena Ferrante esploreremo il modo in cui il recupero del
legame materno viene sostenuto dalla costituzione di una forma più
visibile di genealogia.

 E. GROSZ, Sexual Subversion, cit., p.  trad. mia.


V
L’AMORE MOLESTO DI ELENA FERRANTE:
LA RINEGOZIAZIONE DEL CORPO DELLA MADRE

Il primo romanzo di Elena Ferrante, L’amore molesto (), ricevé


ottime recensioni e gli fu conferito il premio Procida “Isola di Arturo -
Elsa Morante” () e il premio Oplonti. Nel  l’adattamento
cinematografico del regista Mario Martone gli ha portato riconosci-
mento internazionale. Nonostante l’accoglienza positiva della critica
e il plauso del pubblico, Elena Ferrante, con gentilezza ma fermezza,
ha sempre rifiutato ogni apparizione pubblica come pure non ha mai
accettato interviste giornalistiche dirette. I premi conferiti a L’amore
molesto sono stati ricevuti da rappresentanti della sua casa editrice,
e/o. Anche i tentativi di Martone di stabilire un contatto con la scrit-
trice, una volta avuta l’idea di adattare il romanzo, furono inizialmente
filtrati dalla casa editrice. Più tardi uno scambio di lettere, pubblicato
per la prima volta nel , ha alimentato la collaborazione tra scrit-
trice e regista. La corrispondenza è anche l’unico modo accettato
da Ferrante per le sue interviste pubblicate, che sono molto poche.
Nel , tutti questi materiali, insieme ad alcuni estratti preceden-
temente non pubblicati dei suoi romanzi, sono stati raccolti in un
libro, La frantumaglia, che indubbiamente fornisce un’affascinante
e preziosissima fonte per lo studio di una scrittrice così disinteressata
alle luci della ribalta.
Il rifiuto di visibilità pubblica di Elena Ferrante è anche com-
plicata dai dubbi sulla sua identità. Molti recensori hanno supposto
che il nome Ferrante sia uno pseudonimo. Sulla scia del primo suc-
cesso letterario, alcuni hanno persino suggerito un’identità maschi-
le. Al tempo della produzione del film di Martone, il quotidiano
«Il Mattino» pubblicò un’esclusiva su Ferrante identificandola con


CAPITOLO QUINTO

una donna sui trent’anni che aveva vissuto non lontano da Avellino e,
più tardi, dopo il matrimonio, si era trasferita in Grecia. La biografia
suggerita dal quotidiano rivela molte similitudini con quella della
protagonista di L’amore molesto, e l’autrice stessa, commentando la
sua scrittura non nasconde che il suo primo romanzo presenta ele-
menti autobiografici.
L’amore molesto è stato definito da Gianni Turchetta su «L’Unità»
come un thriller che diventa romanzo di formazione. La storia, nar-
rata in prima persona dalla figlia Delia, si apre con l’annuncio della
morte della madre, Amalia, annegata in un tratto di mare a nord di
Napoli, il giorno del compleanno della figlia. Le strane circostanze
di questa morte, assieme ai costosi indumenti intimi di cui era vestito
il cadavere, e inusuali per Amalia, spingono la figlia a cercare una
soluzione al mistero.
Il funerale della madre porta Delia, che lavora come vignettista a
Roma, di nuovo a Napoli, la città natale da cui però si era progressiva-
mente distaccata, persino rifiutando di parlarne il dialetto. Nella sua
ricerca della verità, Delia torna in contatto non solo con i suoi parenti,
ma, lentamente e in modo più significativo, con i ricordi della sua infan-
zia. Tra i personaggi di quel periodo della sua vita, quello che sembra
avere più rilevanza per la prematura scomparsa di Amalia, è Caserta.
Negli anni Cinquanta, nel precario periodo post-bellico, nel ten-
tativo di racimolare soldi, Caserta aveva collaborato con il padre di
Delia per creare un mercato di quadri di bassa qualità, prodotti da
quest’ultimo. Caserta, dalla fama di donnaiolo, mostrò attenzioni
verso l’attraente Amalia, con fiori e doni anonimi. Sebbene la donna
fosse sempre stata dolorosamente consapevole della gelosia eccessiva
del marito, che l’aveva spesso picchiata durante le sue improvvise
sfuriate, non rifiutò mai i regali di Caserta e, con la sua caratteristica
joie de vivre, ne era compiaciuta. Delia scopre che nell’ultimo anno
di vita della madre, Caserta e Amalia avevano iniziato a vedersi, co-
struendo una tenera amicizia di cui non avevano avuto esperienza.
La notte dell’annegamento di Amalia, Caserta era con lei.

 M.T. LEMME, Vite parallele di Elena e Elena, «Il Mattino»,  agosto .
 G. TURCHETTA, Un piccolo inferno e un amore molesto, «L’Unità»,  giugno .


L’AMORE MOLESTO: LA RINEGOZIAZIONE DEL CORPO DELLA MADRE

Insospettita dai costosi indumenti intimi indossati da Amalia la


notte della sua morte, e dai nuovi lussuosi abiti che Caserta lascia a
Delia in cambio di un sacco di vecchie mutande e reggiseni di Amalia,
Delia visita il noto negozio Vossi, dove erano stati acquistati sia gli abiti
che la lingerie. Il proprietario, che lei non riconosce immediatamente,
è Pollonio, amico d’infanzia e figlio di Caserta. Dopo un inseguimento
attraverso le strade trafficate e affollate di una piovosa Napoli, quando
sia Pollonio che Delia cercano di raggiungere Caserta, Delia mette
assieme alcuni tasselli del puzzle che è il mistero della morte della
madre. Capisce che i lussuosi vestiti che Caserta le aveva fatto riavere
e che erano con Amalia la notte della sua scomparsa, erano in effetti
i regali di compleanno che sua madre le aveva fatto. Delia, a questo
punto, immersa nel ricordo e nella ricostruzione della sua infanzia,
visita suo padre che ancora vive nell’appartamento in cui lei crebbe
da bimba. La violenza del padre e il suo odio per la donna che per
tutta la vita aveva torturato con la sua eccessiva gelosia rimangono
immutate, come anche lo è l’atteggiamento sessista dei personaggi
maschili che Delia ha incontrato.
Allontanandosi dall’appartamento del padre, Delia entra nell’eva-
nescente edificio della ex pasticceria che era stata di proprietà del
padre di Caserta (nonno di Pollonio). È in questo inquietante am-
biente che il puzzle della morte di Amalia viene risolto e avviene la
ricostruzione che Delia fa del suo proprio passato. Qui Delia trova
l’antiquato tailleur blu che apparteneva a sua madre e che lei indossava
durante quello che era stato il suo ultimo viaggio. Nelle tasche scopre
le ricevute per due camere d’albergo singole e per una luculliana cena
per due. Delia da questo deduce che Amalia possa essersi sentita de-
stabilizzata dopo avere trascorso la notte con Caserta e poi, alticcia,
sulla spiaggia aveva indossato gli indumenti che aveva acquistato per
Delia, e si era suicidata.
Fatto ancora più importante è che nel fatiscente negozio di pastic-
ceria Delia fa esperienza di un forte senso di associazione mentale e
ripercorre la sua propria storia, la verità su se stessa che aveva represso.
L’ambiente della pasticceria evoca in lei ricordi della fanciullezza. Suo
padre e suo zio avevano minacciato di morte Caserta quando Delia,
di appena otto anni, aveva rivelato al padre alcune frasi oscene che


CAPITOLO QUINTO

secondo lei erano state pronunciate da Caserta a sua madre duran-


te i loro incontri amorosi nello scantinato del negozio. In realtà lei
aveva attribuito a sua madre quello che lei stessa aveva ascoltato dal
padre di Caserta, proprietario del negozio, quando, in quel luogo,
aveva abusato di lei. Il mistero della morte della madre è risolto e
la figlia acquisisce un più completo senso di se stessa, che la porta
più vicina alla donna che aveva rifiutato per la maggior parte della
vita adulta. Le somiglianze tra madre e figlia emergono chiaramente
nella loro comune esperienza di violenza e umiliazione in una società
patriarcale e sessista.
Una delle prime recensioni di L’amore molesto apparve su «Noi
donne» nel marzo . Mandata in stampa prima del  marzo, giorno
di pubblicazione del romanzo, presenta una foto della copertina del
libro con il titolo Il molestatore. Questo era uno dei titoli suggeriti
all’editore da Elena Ferrante. In La frantumaglia Ferrante rivela che
nel riflettere sulle varie possibilità di titolo aveva ricordato un passo
di Sessualità femminile di Freud, dove viene asserito che il padre è
“il rivale molesto” del bambino, in quanto ruba l’amore della madre
dal bambino. Sebbene “il rivale molesto” sembrasse un titolo piuttosto
appropriato per indicare lo stretto e ossessivo desiderio del bambino
per la madre, Ferrante riconosce che il titolo scelto dà maggiore enfasi
alla relazione tra madre e figlia. Il passaggio dal primo titolo scelto
Il molestatore al titolo finale è anche emblematico della doppia natura
del romanzo, in cui, come già indicato, un’apparente ricerca di verità
per una morte misteriosa maschera una più complessa ricerca di sé da
parte della figlia. Il cambiamento di titolo sposta l’enfasi dalla rivalità
con la madre alla scoperta di sé della figlia.
Il riferimento a Freud, precedentemente menzionato, è testimo-
nianza dell’interesse dell’autrice nelle teorie psicoanalitiche. Ferrante
conosce gli scritti di Freud, di Lacan, di Irigaray, e del pensiero fem-
minista italiano, è dunque a conoscenza del materiale teorico usato in
questo volume come strumento analitico. La scrittrice ha riconosciuto

 M.V. VITTORI, Fantastiche avventure e nuove autrici, «Noi donne», marzo ,
p. .
 E. FERRANTE, La frantumaglia, Roma, e/o, , p. .


L’AMORE MOLESTO: LA RINEGOZIAZIONE DEL CORPO DELLA MADRE

che per L’amore molesto è debitrice delle teorie sul legame madre e figlia.
Tuttavia, ha anche dichiarato che, per lei, la capacità di creare storie,
indipendenti da ogni struttura teorica, è vitale in un’opera letteraria.
Nonostante la possibile influenza delle sue letture psicoanalitiche sulla
sua scrittura, Ferrante non è semplicemente interessata a convalidare le
teorie. Lo scopo di questo capitolo è, in particolare, quello di analizzare
il modo in cui la riconquistata capacità della figlia di raccontare la storia
del suo passato è basata su elementi che mettono in luce la dimensione
corporea e la riscoperta vicinanza alla madre.

Delia: amore e odio di un soggetto senza un sé


Gli eventi narrati in L’amore molesto si svolgono in un arco di
tempo di due giorni che, sebbene molto limitato, testimonia una
profonda trasformazione della figlia-narratrice. Dapprima Delia viene
rappresentata come un’adulta gentile e distaccata, la cui cura per
la madre è un insieme di affettuoso dovere e cosciente superiorità
culturale, testimoniato dall’uso della lingua.
Il napoletano, definito come «lingua di mia madre» non è solo la
lingua apertamente rifiutata dalla figlia, assieme ai molti altri aspetti
della vita della madre (p. ), ma anche un segno cosciente della gof-
faggine della madre in presenza della figlia. Nelle brevi visite della
madre a Roma, la comunicazione tra le due donne passava dall’italiano
insicuro della madre al dialetto poco praticato della figlia, che faceva
errori come se fosse per lei una lingua straniera.
Tale consapevole dislivello di comunicazione è anche riflesso nella
scelta di Delia di vivere lontano da Napoli, dettata più dal desiderio
di un distacco emotivo dalla madre che da una sua scelta di vita. Non
molto viene detto nel romanzo sui motivi di Delia di vivere a Roma.
Al contrario, le sue ragioni per lasciare Napoli sono molto più evidenti.
Inizialmente la distanza di Delia dalla madre sembra essere l’effetto
delle loro differenze in atteggiamento e personalità, rafforzata dalla loro

 Ivi, pp. -.


 E. FERRANTE, L’amore molesto, Roma, e/o, . Tutti i successivi riferimenti a
questo libro sono presi da questa edizione e dati in parentesi nel testo.


CAPITOLO QUINTO

differenza fisica. Come nella maggior parte dei romanzi analizzati qui, la
figlia-narratrice rivela un senso di ammirazione e a volte di inadeguatezza
per la splendida e sensuale bellezza della madre. Amalia attrae facilmente
l’attenzione degli uomini sia per il suo aspetto che per il suo gioioso
modo di essere. In contrasto con questa immagine piacevole di Ama-
lia, la figlia quarantacinquenne è «scarna, aguzza, con zigomi marcati»
(p. ). Diversamente da sua madre, il taglio di capelli di Delia è molto
corto per non attrarre l’attenzione sul loro nero intenso, identico al colore
di capelli della madre. Delia descrive se stessa «forte, asciutta, veloce e
decisa» (p. ), e questa è l’impressione che dà al funerale della madre.
Diversamente dalle sue sorelle che esprimono pubblicamente ed
eccesivamente il loro dolore, Delia è composta nelle sue emozioni e
mostra di saper controllare razionalmente il suo cordoglio (p. ).
Decide di portare a spalla la bara, unica donna in un compito nor-
malmente eseguito da uomini. Delia sembra essere motivata da un
senso del dovere nel portare a termine il funerale della madre, e dal
desiderio di non destabilizzare la sua vita. Il suo lato emotivo è silente
e il funerale viene percepito come un puro evento fattuale: la bara è un
oggetto che, per il suo peso, potrebbe schiacciare il suo corpo, e il suo
distacco dall’evento luttuoso – «Sentivo l’urgenza di sbarazzarmene»
(p. ) – fa eco al suo desiderio di separazione dalla madre.
La rigida armatura psicologica di razionalità pragmatica di De-
lia viene brutalmente destabilizzata da un’improvvisa e abbondante
mestruazione che appare, significativamente, al momento in cui lei
trasporta il corpo della madre. Questo evento è carico di simbolismo;
il cadavere della madre sembra avere un effetto fisico sul corpo della
figlia. Le mestruazioni funzionano in questo senso come simbolo
del legame con la madre dalla quale Delia ha cercato razionalmente
di distaccarsi, ma che nonostante ciò erompe. Altri elementi nella
storia sottolineano il modo in cui le reazioni corporee perturbano
l’io razionale della figlia.
La lotta di Delia tra il suo rifiuto di tutto quello che è connesso
alla madre e l’emergere di emozioni e ricordi è ben dipinto nella prima
sezione del suo ritorno all’appartamento della madre. Lo stupore alla
scoperta di un lato sconosciuto dell’identità di sua madre è ingigantito
quando Delia inizia a frugare nella valigia piena di nuovi e costosi abiti


L’AMORE MOLESTO: LA RINEGOZIAZIONE DEL CORPO DELLA MADRE

che Amalia aveva portato con sé la notte della sua scomparsa e che
Caserta aveva poi consegnato alla porta di Delia. Delia non riesce a
recuperare nulla che le ricordi l’immagine di sua madre; tutto quello
che trova è una vecchia foto di lei e le sue sorelle con il padre, che
scopre nella borsetta di Amalia.
L’immagine della famiglia è ingiallita e di un’altra epoca, descritta
come «attraversate da crepe come in certe pale d’altare le figure dei
demoni alati che i fedeli hanno graffiato con oggetti appuntiti» (p. ).
In questo momento di confusione sull’identità di sua madre, l’unico
legame col passato comune viene distorto attraverso un paragone con i
demoni («demoni alati»). Questa similitudine suggerisce un contrasto
tra la presunta vita misteriosa di Amalia e la famiglia posizionata come
in ritratti demoniaci di arte religiosa. La dimensione sacra evocata
dall’immaginario cattolico della famiglia, e l’immagine demoniaca
che la sovverte, effettivamente esprimono la paura della figlia per il
presunto rifiuto della famiglia da parte della madre.
Proprio come l’improvvisa mestruazione segnava una reazione
incontrollabile al momento del desiderio di una razionalità compo-
sta, così un malessere che Delia non riesce a controllare segue la
percezione del sentirsi rimossa dalla vita di sua madre, sentimento
che nasce dalla foto. L’interazione tra il suo io sobrio e contenuto e il
suo corpo è espresso da Delia quando riflette sulla paura del potere
distruttivo del suo corpo, un’ansia che la terrorizzava da bambina e
che da adulta cerca di controllare (p. ). La scena successiva di Delia
che inaspettatamente si trucca può essere letta come un tentativo
istintivo di esercitare controllo sul dolore che la sta disorientando,
e sta dando supremazia al corpo. È un tentativo di imporre una
certa immagine dell’io su cui la protagonista ha perso il controllo.
L’affermazione «Non ti assomiglio» (p. ) che Delia pronuncia con
fermezza, guardandosi allo specchio per negare ogni sua somiglianza
con la madre, non sembra perciò tanto un’affermazione quanto una
riconferma del suo auto-imposto distacco dalla madre, in un momento
in cui la sua costruita differenza da lei è divenuta fragile.

 Un’immagine simile riappare nel secondo romanzo di Ferrante, I giorni dell’ab-


bandono, in cui la protagonista, in un momento di disperazione decide di truccarsi.


CAPITOLO QUINTO

Tale insistenza sulle diversità tra madre e figlia suggerisce un pro-


blematico e non risolto rapporto con la madre, qualcosa che emerge
negli improvvisi ricordi che riportano Delia alla sua infanzia. Il nodo
di quella difficile relazione sta nel quasi ossessivo attaccamento alla
madre che la figlia prova da bambina. La relazione di Delia con la
madre è contraddistinta, nei suoi primi anni di vita, da un complesso
gioco di emozioni e sentimenti, spesso di opposta natura. Da un lato,
la bambina è tormentata dalla paura di essere abbandonata; l’odio e
persino il desiderio di uccidere Amalia che la lascia da sola, si fonde
a un senso di possesso e invidia, che porta la ragazzina a sviluppare
fantasie di una madre sensuale in compagnia dei suoi amanti. Dall’al-
tro canto, emerge un costante e possessivo desiderio per il corpo della
madre. Tale intricata rete di sentimenti rivela l’importanza centrale
della figura della madre durante l’infanzia di Delia.
La prima immagine di quel periodo appare proprio all’inizio della
storia, attraverso un parallelismo con l’ansia descritta dalla figlia-
narratrice e causata dagli usuali ritardi della madre nelle sue visite
a Roma. La preoccupazione sul ritardo della madre porta la figlia a
ricordare il terrore infantile di essere lasciata sola, che si impossessava
di lei quando la madre tornava a casa tardi. In quelle occasioni, la
giovane Delia si nascondeva in un ripostiglio vicino alla camera da
letto dei suoi genitori. Quel luogo, piccolo e senza finestre, carico
di un forte odore di insetticida, aveva l’effetto di calmare l’ansia ge-
nerata dalla paura di essere abbandonata. Nel ripostiglio, l’angoscia
si trasformava in rabbia e odio. In queste condizioni, il desiderio di
punire la madre per averla lasciata sola matura nella fantasia infantile
di ucciderla (p. ). Questo insieme di emozioni è complicato dalle
fantasie della figlia di una madre sensuale che prende parte a feste e
balli (p. ). Come suo padre, la piccola Delia immaginava i tradimenti
di Amalia con Caserta e altri uomini.
Nei frammenti di ricordi che continuano a emergere nella mente
di Delia, la dimensione corporea del suo legame con la madre diviene
più evidente. La ricostruzione del viaggio alle colline del Vomero per
consegnare gli abiti che Amalia aveva cucito, ne è un ovvio esempio.
Durante tali viaggi, il semplice atto di tenere sulle ginocchia il pac-
chetto contenente i vestiti che sua madre aveva toccato e cucito è


L’AMORE MOLESTO: LA RINEGOZIAZIONE DEL CORPO DELLA MADRE

motivo di soddisfazione per la giovane Delia. La bambina è sopraffatta


dalle sensazioni:
Il pacco mi poggiava sulle gambe e sul ventre come una custodia dentro cui
era chiuso l’odore e il calore di mia madre. La sentivo in ogni millimetro
della pelle che la carta sfiorava. E quel contatto, allora, mi dava un sospiroso
languore scandito dai sussulti della carrozza. (p. )

Il desiderio per il corpo della madre viene di nuovo affermato


nella fantasia di Delia quando si collega all’immagine di un’unghia
del dito di sua madre. Quando era ancora una donna molto giovane,
Amalia aveva seriamente danneggiato l’unghia del dito lavorando con
la macchina per cucire. La cicatrice aveva reso quel dito unico agli
occhi della figlia. Non potendo danneggiare le sue unghie in maniera
simile, Delia, ad un certo punto, aveva immaginato di staccare con un
morso quel dito di Amalia, per rimuovere il simbolo di una differenza
incolmabile tra madre e figlia (p. ).
Melanie Klein fu tra i primi studiosi di psicoanalisi a enfatizzare
l’importanza della figura della madre nello sviluppo infantile. Ac-
centuò l’importanza dell’inconscio infantile e del mondo interno,
dando particolare risalto ai contraddittori e inestricabili sentimenti
ed emozioni che legano il bambino alla madre e le cui ripercussioni
persistono nella vita adulta. La madre è al centro del mondo esterno
istintivamente percepito dal bambino, e il suo seno è l’elemento chiave
della sua vita psichica. Secondo Klein, l’istintiva relazione del bambino
con la madre può determinare schemi di sviluppo psichico (quello che
Klein definisce la posizione schizo-paranoide e la posizione depressi-
va). Attraverso l’interazione di introiezione e proiezione basata sugli
istinti del mondo interno dell’infante, questi crea l’immagine positiva
della buona madre e la negativa della madre cattiva. Odio e amore
coesistono nell’elaborazione dello sviluppo infantile di Klein.
Odio e amore, attraverso un gioco di introiezione e proiezione,
sono anche gli elementi che formano una parte inestricabile della
relazione infantile della piccola Delia con la madre. La piccola crea
dentro di sé l’immagine di una madre sensuale e sessualizzata, ma
proietta anche la sua paura di essere lasciata sola, tanto da desiderare

 R. MINSKY, Pshychoanalysis and Gender, Londra, Routledge, , pp. -.


CAPITOLO QUINTO

di uccidere la madre come se Amalia fosse stata davvero responsabile


di avere lasciato sua figlia nel ripostiglio – una proiezione che rivela
il bisogno di Delia di un amore assoluto e illimitato.
Una combinazione di emozioni si scontra di nuovo nella Delia
adulta la quale nel tentativo di risolvere il mistero della morte di
Amalia, scopre i suoi più intimi sentimenti nella relazione con la
madre. All’occhio critico della figlia adulta, il desiderio di distanziare
se stessa da Amalia appare adesso molto più connesso e mescolato
all’amore per la madre, come dimostra il seguente brano:
Accadeva dopo che negli anni, per odio, per paura, avevo desiderato di per-
dere ogni radice in lei, fino alle più profonde: i suoi gesti, le sue inflessioni di
voce, il modo di prendere un bicchiere o bere da una tazza, come ci si infila
una gonna, come un vestito, l’ordine degli oggetti in cucina, nei cassetti, le
modalità dei lavaggi più intimi, i gusti alimentari, le repulsioni, gli entusiasmi,
e poi la lingua, la città, i ritmi del respiro. Tutto rifatto, per diventare io e
staccarmi da lei.
D’altro canto non avevo voluto o non ero riuscita a radicare in me nessuno.
Tra qualche tempo avrei perso anche la possibilità di avere figli. Nessun essere
umano si sarebbe staccato mai da me con l’angoscia con cui io mi ero staccata
da mia madre soltanto perché non ero riuscita mai ad attaccarmi a lei defini-
tivamente. Non ci sarebbe stato nessun più e nessun meno tra me e un altro
fatto di me. Sarei rimasta io fino alla fine, infelice, scontenta di quello che
avevo trascinato furtivamente fuori dal corpo di Amalia. Poco, troppo poco,
il bottino che ero riuscita a rapirle strappandolo al suo sangue, al suo ventre e
alla misura del suo fiato, per nasconderlo nel corpo, nella materia bizzosa del
cervello. Insufficiente. Che fare ingenuo e sbadato era stato cercar di definire
«io» questa fuga obbligata da un corpo di donna, sebbene ne avessi portato
via men che niente! Non ero alcun io. Ed ero perplessa: non sapevo se quello
che andavo scoprendo e raccontandomi, da quando lei non esisteva e non
poteva ribattere, mi facesse più orrore o più piacere. (pp. -)

Se c’è un momento nella narrazione che mostra l’influenza della


politica della differenza sessuale e della teorizzazione del Simbolico
della madre in Ferrante, è certamente questo esteso brano. Qui l’enfasi
dei sentimenti contraddittori verso la madre, già notati nel roman-
zo di Sanvitale, sono superati dalla comprensione di un amore più
profondo per la madre, riconosciuto come amore per il suo corpo.
Il bisogno di distanziarsi dalla madre viene visto dalla figlia come
una tattica senza successo e che le fa perdere autorità, perché, in
effetti, non conferisce alla figlia un senso positivo di soggettività:


L’AMORE MOLESTO: LA RINEGOZIAZIONE DEL CORPO DELLA MADRE

«Non ero alcun io». La figlia adulta che si volta a guardare il suo
meticoloso sforzo di distanziarsi dagli atteggiamenti e dalle abitudini
di sua madre, come pure dalla sua città e dalla sua lingua, rimpiange
un legame che mostra una distintiva dimensione corporea, un legame
intricato, radicato nel corpo: «mi ero staccata da mia madre soltanto
perché non ero riuscita mai ad attaccarmi a lei definitivamente».
Il rifiuto della madre, inteso come rifiuto del suo corpo – «fuga ob-
bligata da un corpo di donna» – che è una fase inevitabile della teoria
freudiana dello sviluppo infantile, ha generato un soggetto senza io.
Con il ripetuto riferimento al corpo materno, la narratrice enfatizza
un attaccamento che non può essere definito in termini di attributi
acquisiti, fisici o psicologici, ma che viene sentito necessario dalla
figlia. Il legame rimpianto da Delia è un legame corporeo che supera
le differenze tra madre e figlia o, piuttosto, un legame che esiste
assieme alle differenze e non è escluso da esse.
In questo brano l’auto-critica della figlia-narratrice sembra riassu-
mere ed esemplificare la critica del Simbolico patriarcale, e la necessità
di un sistema diverso di conoscenza che permetta la rivalutazione della
madre e una relazione positiva tra madre e figlia in quanto soggetti
femminili, come auspicato da Irigaray. La prospettiva offerta da Fer-
rante è solo quella filiale; diventare consapevole della sua esclusiva
e intricata relazione con il corpo della madre è la preoccupazione
principale della figlia. In questo senso, il legame figlia-madre al centro
della storia di Delia è la fonte della soggettività della figlia e non è
parte di una discussione sulla maternità.
La figlia ricostruisce un passato che aveva represso e che la arric-
chirà di un diverso senso di identità. Questo avviene grazie a eventi
imprevedibili, associazioni mentali inaspettate, e l’evocativa forza di-
rompente della città natale di Delia. Nel suo atteggiamento distante,
razionale e quasi sdegnoso, Delia si avvicinerà a un legame corporeo
con sua madre che rivaluterà le sofferenze passate di quest’ultima e
perciò stabilirà diversi criteri e valori per la figlia. La ricostruzione
del passato di Delia renderà questo cambiamento visibile, grazie alla
decisione di Ferrante di attribuire una connotazione corporea a ele-
menti vitali nella narrazione, come ad esempio i luoghi e gli abiti.


CAPITOLO QUINTO

La ricostruzione del passato


L’atteggiamento distaccato e controllato di Delia si sbriciola, a
poco a poco, sotto il costante attacco dei ricordi e delle emozioni che
emergono dalla città che lei non ama e dalla figura della madre che
ha cercato di rifiutare. La ricostruzione non intenzionale del passato
è quasi forzata nella mente di Delia dal potere evocativo della città
natale e dallo spazio dell’appartamento di sua madre. I ricordi non
procedono in flusso costante; vengono piuttosto resistiti dalla figlia-
narratrice e alla fine emergono come un puzzle psicologico attraverso
una logica frantumata, una serie di associazioni e flashback.
Dapprima, la storia della madre inizia a trovare la sua strada
all’interno della psiche della figlia quando Delia si trova nell’apparta-
mento della madre, dove è andata immediatamente dopo il funerale.
Le stanze dell’appartamento sembrano prendere parte a una metamor-
fosi e si trasformano in oggetti animati che contengono l’immagine di
Amalia, alla quale la figlia, senza successo, cerca di resistere: «cercavo
di rinviare la stanza da bagno oltre l’uscio [...] lasciai sbiadire per il
corridoio l’immagine delle sue gambe livide» (p. ); «Amalia era lassù
come una farfalla notturna [...]. Chiusi gli occhi per darle il tempo di
staccarsi dal soffitto» (p. ). Sottoposta alla forza di tali immagini
Delia entra in «un torpore denso di immagini» (p. ) in cui inizia
«senza volerlo» (p. ) a parlare a se stessa della madre.
Lo stato di dormiveglia che caratterizza la narrazione della «vera
storia» di Elisa in Menzogna e sortilegio viene evocato anche qui.
A causa dell’atteggiamento distaccato di Delia, la carenza di vigile
prontezza, a questo punto del romanzo, più che in Morante, è l’unica
condizione in cui la figlia possa sentirsi libera dall’io razionale che
sembra relegarla.
In questo stato di sogno a occhi aperti, i ricordi della fantasia
infantile sulla madre la catturano di nuovo, per rivelare che l’immagine
di Amalia come di una donna che conduce una vita segreta di piacere
e promiscuità lontano dalla famiglia, si nasconde ancora nella mente di
Delia. Questo ritratto di Amalia come una seducente, gioiosa, giovane
donna, e dei suoi capelli (simbolo di fascino) si sovrappone ai ricordi
reali di Amalia che si lava i capelli a casa (pp. -), per trasmettere
l’idea tormentata della madre vissuta dalla figlia. La sessualizzazione


L’AMORE MOLESTO: LA RINEGOZIAZIONE DEL CORPO DELLA MADRE

di Amalia è collegata all’ambiente sessista di Napoli e al desiderio di


Delia di distaccarsi da ogni aspetto della vita della madre.
Nella città della sua infanzia, i dialetti, le strade e la gente, tutto
acquisisce un significato in relazione alla separazione dalla madre
che Delia ha tentato durante la sua vita adulta e che, con la morte
di Amalia, è apparentemente diventata completa. La pittoresca vista
del mare, una volta amata dalla bambina Delia, viene percepita ora,
dalla Delia adulta, come «carta velina violacea incollata su una parete
sbrecciata» (p. ), un segnale che il desiderato rifiuto della madre e
del suo mondo è ora completo.
Non appena la figlia-narratrice assapora la definitiva separazione
con il passato, una serie di descrizioni di Napoli come luogo sessista
dove il corpo della donna viene oggettificato dal soggetto maschile
rivela l’oppressione che la società patriarcale ha imposto alla madre
e alla figlia, e alla percezione che la figlia ha della madre. Nella de-
scrizione di Ferrante, Napoli è un contesto di palese sciovinismo,
che è inerente alla cultura della società, e quasi un elemento della
descrizione urbana.
Il personaggio di Caserta esprime anche meglio lo sciovinismo
dominante della città. All’inizio del romanzo Caserta viene definito
dalla figlia-narratrice «l’uomo-città» (p. ), ed è definito «una città
della fretta, un luogo dell’inquietudine» (p. ), e anche «quel luogo
[...] fatto di una gradinata fiocamente illuminata e di una ringhiera
di ferro battuto» (p. ). I luoghi associati a Caserta sono quelli della
violenta e gelosa reazione del padre di Delia al sospetto della relazione
di Amalia con Caserta. L’ansia e la brutalità che il pensiero di Caserta
suggerisce alla mente di Delia, come pure la sua volgarità e la sua
perversa sessualità, sono tutti segni caratteristici di Napoli.
La Delia adulta, durante il breve periodo a Napoli fa esperienza
dello stesso atteggiamento sciovinista che esisteva nella città durante
la sua infanzia. Nel viaggio in autobus verso il negozio delle sorelle
Vossi, Delia è testimone del diffuso sessismo:

 Per una più completa discussione sulla rilevanza della città di Napoli nella costru-
zione della soggettività nei romanzi di Ferrante, faccio riferimento al mio Construction and
Self-Construction in Elena Ferrante’s Gendered Space, in Beyond the Square: Private and Public
Space in Modern Italian Culture, a cura di S. Storchi, Bruxelles, Peter Lang, , pp. -.


CAPITOLO QUINTO

I maschi, nella ressa, si servivano delle femmine per giocare in silenzio tra sé e
sé. Uno fissava una ragazza bruna con gli occhi ironici per vedere se abbassava
lo sguardo. Uno pescava un po’ di pizzo tra un bottone e l’altro di una camicetta
o arpionava con lo sguardo una bretella. Altri ingannavano il tempo a spiare
dal finestrino nelle auto per cogliere porzioni di gambe scoperte, il gioco dei
muscoli mentre i piedi premevano freno o frizione, un gesto distratto per
grattarsi l’interno della coscia. Un uomo piccolo e magro, pressato da quelli
che aveva alle spalle, cercava contatti brevi con le mie ginocchia e a tratti mi
respirava tra i capelli. (p. )

Scene simili non sono inusuali durante i due giorni di Delia a


Napoli. Mentre corre nella pioggia attraverso la città, Delia viene
molestata da un giovane sconosciuto che l’afferra e le dice «Dove
corri? Fatti asciugare» (p. ). Non molto più tardi, in una carrozza
della metropolitana, Caserta segue una ragazza e, palesemente e con
insistenza, cerca un contatto con il suo corpo.
Le scene di molestie e abuso osservate e sperimentate dalla Delia
adulta riflettono episodi simili del passato, relativi ad Amalia, di cui De-
lia ha avuto esperienza da bambina. Un particolare ricordo, significativo
per la figlia, è una scena di cui è stata testimone in un tram quando il
padre di Delia schiaffeggiò Amalia per punirla perché un uomo le si era
avvicinato troppo. Sebbene perplessa dalla reazione del padre, diretta
contro la madre invece che contro lo sconosciuto, in assenza del padre
la piccola assume il ruolo di lui, sentendo la necessità di proteggere
il corpo della madre dall’attenzione maschile. Inconsciamente, come
suo padre, la piccola Delia trasforma il suo senso di protezione verso
la madre nel darle la colpa per suscitare le attenzioni degli uomini.
Il corpo della madre, e non la volontà razionale di sedurre è la causa
della sua colpa. La colpa di Amalia è perciò naturale e innata: «I fianchi
le si dilatavano per il corridoio verso i fianchi degli uomini che aveva a
lato; le sue gambe, il ventre si gonfiavano verso il ginocchio o la spalla
di chi le sedeva davanti» (p. ).
La gelosia e il senso di possesso esibito dal padre di Delia è
radicato nel dilagante sessismo che forma parte dell’educazione di
sua figlia e di cui anche suo zio Filippo fa parte. In varie occasioni
Filippo critica Amalia per non essere più sottomessa a suo marito.
Persino dopo il funerale di Amalia, non esita a incolpare sua sorella
per essersi separata dal marito violento, e in modo illogico associa


L’AMORE MOLESTO: LA RINEGOZIAZIONE DEL CORPO DELLA MADRE

il suo suicidio con la rottura del matrimonio avvenuta ventitré anni


prima (p. ). Sebbene le argomentazioni dello zio in favore del padre
siano intollerabili alle orecchie della piccola Delia, inconsciamente lei
condivide il punto di vista di suo padre e di suo zio, cioè che la madre
è portatrice di una colpa naturale, scritta sul suo corpo:
Dopo un po’ mi mettevo due dita nelle orecchie per non sentire. Forse non
tolleravo che la parte più segreta di me si servisse della sua solidarietà per av-
valorare un’ipotesi coltivata altrettanto segretamente: che mia madre portasse
inscritta nel corpo una colpevolezza naturale, indipendente dalla sua volontà
e da ciò che realmente faceva, pronta ad apparire all’occorrenza in ogni gesto,
in ogni sospiro. (p. )

In età adulta, la percezione che Delia ha di sua madre in rela-


zione a suo padre, suo zio, e Caserta cambia drasticamente quando
capisce che la loro solidarietà maschile ha trasformato Amalia in un
oggetto. Infatti, i tre uomini, nonostante la loro apparente animosità
e nonostante una vita di reciproco odio e sfiducia, sono complici nel
giustificare o mettere in atto il loro comportamento verso le donne.
Lo zio Filippo è pronto a scusare Caserta per l’episodio di molestie
nella metropolitana, che lui vede solo come un’idiosincrasia della
vecchiaia (p. ), e mostra simpatia e compassione per la difficile vita
di Caserta. Infine, dopo la morte di Amalia, lo zio Filippo e Caserta
decidono di mettersi alle spalle le loro ostilità. Ugualmente stabile
è la solidarietà tra il padre di Delia e Caserta. Delia comprende che
era stato lo stesso Caserta a informare il padre della sua amicizia con
Amalia, incurante della gelosia di lui o forse persino desideroso di
suscitare le dannose ripercussioni della sua gelosia. Infatti, il padre di
Delia arriva a minacciare Amalia per fare in modo che lei non veda
Caserta. Nell’ultima sera Amalia viene descritta come se fosse sotto la
sorveglianza di entrambi gli uomini. Fino all’ultimo giorno della sua
vita, la madre di Delia è l’oggetto di un gioco di solidarietà e rivalità
maschile; assume la posizione di un oggetto, il cui possesso, o il diritto
al cui possesso, stabilisce la relazione tra gli uomini.
Tuttavia, in età adulta, Delia sviluppa fantasie sulla sessualità di
sua madre, dimostrando che le percezioni che ha acquisito da ado-
lescente sono ben radicate nella sua coscienza. Solo due mesi prima
del suicidio di sua madre, Delia le aveva improvvisamente chiesto


CAPITOLO QUINTO

se avesse un amante. La conversazione avviene nel condominio in


cui Amalia vive e in particolare nell’ascensore, che rappresentava
nell’adolescenza di Delia il suo rifugio nei momenti di tristezza, e
quindi un luogo intriso di ricordi adolescenziali. La conversazione
della figlia riflette le dinamiche delle sue fantasie infantili, che mira-
vano a incolpare la madre. Infatti, nonostante il diniego della madre,
o piuttosto a causa del suo diniego, Delia crede che sua madre avesse
un amante. Amalia reagisce bruscamente all’insistenza della figlia
e inaspettatamente le mostra il suo ventre nudo e flaccido (p. ).
Nel fare ciò, inconsciamente Amalia rivela una cultura che inscrive la
colpa o l’innocenza nel corpo. Se, quando sposata a suo marito, Amalia
era da incolpare per il suo corpo femminile, ora è lei a enfatizzare la
sua innocenza mostrando il corpo.
Come questa scena, altre memorie e fantasie della Delia adulta
compongono l’immagine di una madre sessualizzata, dei suoi incontri
con Caserta (p. ), e della sua sensualità e infedeltà. Questo ritratto
di Amalia trova il suo simbolo nel quadro della zingara danzante e
discinta, chiaramente somigliante ad Amalia, anche per la complessa
capigliatura. È il quadro di maggiore successo dipinto dal marito, e la
fonte di discussioni tra di loro, tanto che Amalia aveva cercato senza
successo di evitare la sua commercializzazione. Molti anni dopo, il
padre di Delia ne dipinge copie per la vendita, e per un’imprevedi-
bile coincidenza, il ritratto della zingara appare anche al funerale di
Amalia, in spalla a un venditore ambulante lungo le strade di Napoli.
La zingara simbolizza la commercializzazione di Amalia: non solo
oggetto del possesso e della gelosia del marito, e colpevolizzata fisica
rappresentazione di una società sessista, ma anche un’immagine di
seduzione con un valore di mercato.
Tuttavia, malgrado tale visione unilaterale di Amalia, derivante
da una costruzione maschile, Delia è consapevole dell’impossibilità di
delimitare la raffigurazione di sua madre in una singola definizione.
Ci sono molti aspetti della personalità della madre che Delia non pren-
de in considerazione nel corso degli anni, come la vigorosa dedizione
al lavoro di sarta, il riconosciuto costante contributo all’economia
familiare, la capacità di sopportare sofferenze e dolori fisici (p. ), e
l’imprevedibilità nel passare dalla paura alla gioia. Alla conclusione


L’AMORE MOLESTO: LA RINEGOZIAZIONE DEL CORPO DELLA MADRE

della storia, la figlia è consapevole dell’impossibilità di imporre su di


lei «la trappola di un unico aggettivo» (p. ). Persino il suicidio di
Amalia, come sostiene Alberto Rollo, riafferma l’«indecifrabilità» che
aveva sempre caratterizzato la sua immagine di donna e di madre.
Il ritratto della madre di Delia che emerge nella rappresentazione
dominante durante l’infanzia di Delia e che lei ha assorbito nella vita
in famiglia, mostra la necessità patriarcale di relegare l’immagine fem-
minile a un’identità, per costruire un’opposizione binaria che porta
a definire la donna come l’opposto dell’uomo, l’Altro del Medesimo
di Irigaray, che dunque non può offrire una descrizione di differenza.
Tuttavia, secondo Irigaray, la donna resiste a tale riduzione a una
definizione di entità singola, poiché «[r]esiste ad ogni definizione
adeguata». La donna è “un altrove”, per scoprire il quale Delia farà
uso di una strategia trasmessale dalla madre che ha il suo punto focale
nelle abilità sartoriali e negli abiti donati alla figlia.

Il linguaggio dei vestiti


A metà del viaggio nella città natale e nel passato della madre,
Delia ha leggermente modificato il suo aspetto e il suo atteggiamento.
Piuttosto che essere una fredda e distaccata donna razionale, si sente
«una figura delle carte napoletane: l’otto di spade, la donna tranquilla
e armata che avanza a piedi, pronta a mettersi in gioco durante una
partita a briscola» (p. ). È ancora «armata», ma tranquilla, e so-
prattutto pronta a correre i rischi («pronta a mettersi in gioco») che
fanno parte del suo viaggio verso l’autoconsapevolezza.
In L’amore molesto brevi commenti e metafore funzionano come
introduzione a eventi successivi o sviluppi della storia. Come ha en-
fatizzato Arnaldo Colasanti, la tecnica narrativa di Ferrante è carat-
terizzata non solo dalla tipica irregolarità della memoria, ma anche
dalla precisione narrativa. L’immagine della Delia armata, la donna
di spade che con sicurezza si muove attraverso il suo gioco, può essere

 A. ROLLO, Un indecente vestito rosso, «Linea d’ombra», , , pp. -: .
 L. IRIGARAY, This Sex which is not One, cit., p. .
 A. COLASANTI, Elena Ferrante esordisce dimostrando la complessità di una narrativa

sapiente, «Avanti»,  giungo .


CAPITOLO QUINTO

considerata come un elemento di tale precisione narrativa. Introduce


infatti le ultime sezioni del romanzo quando l’autoscoperta di Delia e
l’accettazione del suo legame con la madre emergono grazie alla sua
capacità di interrogarsi e di affrontare con sicurezza le difficoltà, come
l’immagine dell’otto di spade suggerisce. La ricostruzione del senso di sé
di Delia ha luogo attraverso la decostruzione delle costrizioni patriarcali
che hanno caratterizzato la sua infanzia e adolescenza a Napoli e che
hanno anche influenzato la sua percezione di sua madre in età adulta.
Il puzzle sul passato di Delia e sulla relazione con la madre viene
sbrogliato nell’edificio abbandonato che era stata la pasticceria del
padre di Caserta. In quelle stanze vuote Delia ricorda le parole oscene
che da bambina aveva rivelato a suo padre come le parole dette da
Caserta ad Amalia durante i loro incontri amorosi, mentre erano le
parole dette a lei dal padre di Caserta. Con la precisione tipica della
scrittura di Ferrante, tale rivelazione viene introdotta alcune pagine
prima di questa scena da un riferimento alle parole oscene; la narratri-
ce afferma che il suo dialetto, la lingua dell’infanzia che aveva cercato
di dimenticare, è l’unico mezzo adatto a comunicare oscenità (p. ).
L’abuso sessuale subito dalla figlia viene dunque rivelato, come pure
il suo assoggettamento alle costrizioni patriarcali che aveva modellato
non sola la vita di sua madre ma anche la sua.
Nel tempo presente del romanzo l’ambiente derelitto del nego-
zio è il rifugio di Caserta. Qui Delia trova gli abiti precedentemente
scomparsi di sua madre, la vecchia biancheria intima che era stata
presa da Caserta in cambio degli indumenti che Amalia aveva con
sé nel suo ultimo giorno di vita. Proprio come lo spazio del negozio
aveva causato il recupero delle memorie infantili represse, in maniera
simile il tailleur blu che era stato indossato dalla madre per anni e
che Caserta aveva lasciato appeso nel suo rifugio, provoca in Delia
la narrazione degli ultimi giorni della vita della madre.
Gli abiti acquisiscono una rilevanza simbolica determinante nel
romanzo di Ferrante. Amalia era una sarta, e Delia era affascinata

 L’immagine dei vestiti in L’amore molesto fu influenzata dal libro di Alba De Ce-

spedes Dalla parte di lei, romanzo che ha ispirato Ferrante nella narrazione dell’amore
della figlia per la madre. Inoltre, come la stessa autrice rivela, lei stessa era affascinata dalla
capacità della propria madre di creare abiti (La frantumaglia, cit. pp. -).


L’AMORE MOLESTO: LA RINEGOZIAZIONE DEL CORPO DELLA MADRE

dalla capacità di sua madre di creare «un doppio» di un corpo attra-


verso il cucito. Di fronte al tailleur blu della madre, Delia corre con
la fantasia alla storia di quel vestito e ricorda le sue sensazioni nel
guardare la madre creare nuovi abiti. Un abito cucito dalla madre
era per la piccola Delia «un altro corpo, un corpo più accessibile»
(p. ). Infatti i suoi abiti erano un sostituto della madre stessa; nel
nascondersi nel guardaroba tra i vestiti della madre, Delia trovava la
vicinanza al corpo di Amalia che le mancava (p. ).
Il tailleur blu che era stato significativo nel passato per l’imma-
ginazione della figlia è ora il mezzo di comunicazione tra madre e
figlia. Attraverso quell’abito Delia percepisce la narrazione dei gesti
e le azioni di sua madre, nell’ultima notte, sulla spiaggia con Caser-
ta. Toccandolo, Delia improvvisamente capisce che sua madre ave-
va trascorso la notte con Caserta, anche se originalmente avevano
prenotato due stanze singole in un piccolo albergo. In uno stato di
ebbrezza, sulla spiaggia, indossando gli abiti che intendeva portare a
Delia come regalo per il suo compleanno, Amalia aveva percepito che
«qualcosa s’era sgranato per sempre» (p. ). Una combinazione di
spiacevoli sentimenti era stata la causa del suo suicidio: la percezione
della futilità della sua vita, il disagio per la strana notte trascorsa sulla
spiaggia, assieme alla sensazione che il marito geloso potrebbe essere
stato lì a spiarla.
Il tailleur della madre è la fonte della narrazione ultima del mistero
che la figlia cerca di risolvere. Essendo un oggetto che era stato vicino
al corpo della madre, l’abito riproduce e incarna la sua storia. A con-
clusione della ricostruzione, Delia decide di indossare il tailleur blu,
scegliendo razionalmente di enfatizzare la somiglianza con la madre che
aveva rifiutato attraverso la vita adulta, e che le appare evidente quando
capisce come la struttura patriarcale l’aveva separata dalla madre.
La somiglianza con la madre, nonostante le loro differenze, è
al centro del processo di scoperta di se stessa della figlia. Alla fine
della ricerca, tornata sulla spiaggia dove la madre era stata trovata
morta, Delia ammette di essere stata così determinata ad asserire la
sua differenza con la madre da avere perduto «a una a una le ragioni
per somigliarle» (p. ). La manipolazione della foto sulla carta di
identità che Delia fa a questo punto assume un significato simbolico


CAPITOLO QUINTO

per il recuperato legame della figlia con la madre, e stabilisce una con-
clusione circolare alla ricerca della figlia. All’inizio del romanzo Delia
aveva scoperto che la foto della madre sulla carta di identità era stata
manipolata; la caratteristica capigliatura di Amalia era stata alterata
per rendere l’immagine simile a quella di Delia. Con un’operazione
diametralmente opposta, sulla spiaggia, Delia inizia a disegnare la
capigliatura della madre sulla propria carta di identità.
Le frasi conclusive del romanzo – «Amalia c’era stata. Io ero
Amalia» – riassumono il ricollegamento della figlia con la madre e il
messaggio dell’autrice di una genealogia tra madri e figlie. In La fran-
tumaglia Ferrante commenta la frase finale del romanzo:
Amalia non è mai altro da ciò che è Delia e solo perciò alla fine Delia può
affermare come una meta, come il punto alto della propria espansione vitale,
l’esito positivo di tutto il suo percorso: Amalia c’era stata, io ero Amalia. Volevo
che il passato non fosse superato, ma riscattato proprio in quanto deposito di
sofferenze, modi rifiutati d’essere.

Ferrante procede con l’affermare che la relazione tra madre e


figlia è intrecciata: la figlia non rappresenta il punto di arrivo di una
lotta generazionale, piuttosto il passato della madre continua a vive-
re con la sua rilevanza nel presente della figlia. Il passato non viene
superato ma piuttosto gli viene attribuito nuovo significato per la sua
storia di sofferenza.
È interessante notare che l’ultima scena di riconoscimento della
madre come parte di sé ha luogo in uno spazio aperto, che Delia riesce a
vedere per la prima volta. Dopo una sequenza di spazi chiusi e il ritratto
della città che aveva limitato la psiche di Delia e il suo essere, l’ambiente
è sintomatico di una dimensione nuova, fresca e più abitabile.
Il tailleur blu, che funziona come un mezzo di narrazione e come
mezzo di asserzione della nuova riscoperta somiglianza della figlia con la
madre, è solo l’ultimo di una serie di vestiti lasciati dalla madre per Delia.
Il primo è quello indossato dalla figlia nel negozio Vossi, dove Delia,
con il proposito di acquisire informazioni sui costosi indumenti della
madre, prova l’abito rosso ruggine che aveva trovato nella valigia lasciata

 E. FERRANTE, La frantumaglia, cit. p. .


 Ivi, p. .


L’AMORE MOLESTO: LA RINEGOZIAZIONE DEL CORPO DELLA MADRE

da Caserta. L’abito è molto più femminile della gonna e camicetta che


Delia indossava al suo arrivo a Napoli. Con quell’abito addosso, Delia
successivamente attraverserà Napoli sotto la pioggia, seguendo Caserta.
I primi segni del cambiamento psicologico vengono rivelati solo alla fine
di quella corsa nella città. La donna dotata di autocontrollo, che all’inizio
della sua permanenza a Napoli era contenta di sentirsi distaccata dal
dialetto e dai luoghi appartenenti alla madre, viene investita da ricordi,
emozioni, e fantasie infantili di sua madre e di se stessa. La rivisitazione
del passato di Delia e la sua esperienza del sessismo della città ha luogo
mentre lei indossa il più femminile dei vestiti donati dalla madre.
Sotto la doccia, quando cerca di rinfrescarsi dopo l’estenuante
corsa attraverso Napoli, Delia sente con inaspettato affetto la presenza
di sua madre sotto la pelle:
Mia madre, che da anni esisteva solo come un’incombenza fastidiosa, a volte
come un assillo, era morta. Mentre mi strofinavo il viso vigorosamente, in specie
intorno agli occhi, mi resi conto con tenerezza inattesa che avevo Amalia sotto
la pelle, come un liquido caldo che mi era stato iniettato chissà quando [...]
controllai nello specchio che non mi fosse rimasto del mascara tra le ciglia. Vidi
mia madre così come figurava sulla sua carta d’identità e le sorrisi. (p. )

L’intuitivo sentimento di vicinanza con la madre sarà completato


dalle sensazioni provocate dalla vestaglia trovata nella valigia di lei, che
Delia indossa dopo la doccia. Per associazione, con la vestaglia addosso,
Delia ricorda l’abitudine di Amalia di nascondere i regali per i suoi figli
e intuisce che gli abiti nella valigia erano un regalo per lei.
Come nel caso del tailleur della madre, l’indumento diviene un
mezzo di narrazione, una forma di comunicazione tra la stoffa e il
corpo: «come se fosse la vestaglia stessa sulla pelle a raccontarmelo»
(p. ). A conferma di questa intuizione, Delia trova nella tasca un
bigliettino di auguri, scritto a mano dalla madre. Alcuni dei grani di
sabbia che può sentire nella tasca della vestaglia le suggeriscono che
la madre aveva indossato la vestaglia l’ultima notte, sulla spiaggia,
prima di suicidarsi.
Il terzo abito indossato da Delia è ancora parte dei regali di com-
pleanno della madre. È un abito blu che la protagonista indossa prima
di uscire dall’hotel e che porterà fino alla sua decisione di mettersi
addosso il tailleur della madre. Solo più tardi capirà che l’abito blu


CAPITOLO QUINTO

aveva una macchia bianca all’altezza degli organi genitali. Il vestito è


intriso di connotazioni sessuali, come gli altri due abiti, regali della
madre: il primo, corto e scollato, conferisce a Delia un’immagine
femminile a cui non è abituata, e la vestaglia evoca l’immagine della
madre mezza nuda sulla spiaggia.
Grazie al lavoro da sarta di Amalia, gli abiti sembrano un mezzo
di comunicazione molto significativo passato dalla madre alla figlia.
La fascinazione di cui la piccola Delia ha avuto esperienza, e che la
portava a credere che la madre fosse capace di creare il doppio di un
corpo, sembra presentarsi alla figlia un’ultima volta, grazie ai regali
di compleanno di Amalia. Come per la percezione di Delia che gli
abiti possono prendere il posto del corpo, con i suoi regali Amalia
sembra conferire a Delia un nuovo corpo, maggiormente sessualizzato.
Usando la terminologia di Irigaray, si potrebbe dire che con i suoi
nuovi vestiti Delia mima il ruolo della donna sessualizzata, che era
stata una delle immagini stereotipate proiettate sulla madre persino
da lei. Delia assume il ruolo femminile dato alla donna nel discorso
patriarcale e, nel fare ciò, rende evidenti le dinamiche del patriarcato.
Come dice Irigaray: «Ricorrere alla mimesi significa dunque, per una
donna, tentare di trovare il luogo del suo sfruttamento attraverso il
discorso senza lasciarvisi ridurre pari pari».
Gli abiti sono il contributo della madre alla ricostruzione del
senso di identità della figlia. Sono un linguaggio, un diverso linguaggio
radicato nella corporeità per lo stretto nesso percepito dalla figlia tra
gli abiti e i corpi, attraverso il quale Delia ha infine trovato le parole
per raccontare la sua storia e quella della madre. La solida convinzione
di Delia di essere capace di ricordare e raccontare tutto della sua in-
fanzia, a suo piacimento, come aveva affermato all’inizio della ricerca
(p. ), viene contrastata da un’affermazione opposta a conclusione
della storia: «Ricordavo ma non riuscivo a raccontarmelo» (p. ).
L’io razionale della Delia emotivamente controllata, all’inizio del ro-
manzo, era in grado di raccontare solo una parte della sua storia e di
quella di sua madre da cui si era emotivamente allontanata. La figlia
che ha dapprima fatto esperienza, senza volerlo, di un’evocazione

 L. IRIGARAY, Questo sesso che non è un sesso, cit., p. .


L’AMORE MOLESTO: LA RINEGOZIAZIONE DEL CORPO DELLA MADRE

frammentata del passato attraverso associazioni mentali generate da


luoghi, oggetti e abiti, raggiunge una consapevolezza di sé e del suo
passato che in precedenza non immaginava di possedere.
Anche nel romanzo di Ferrante troviamo una preferenza per una
comunicazione trasmessa attraverso mezzi alternativi. Gli abiti indos-
sati da Delia nei suoi due giorni a Napoli sono parte di un sistema
linguistico trasmesso dalla madre. Per analizzare in questo senso la
funzione degli abiti nella riscoperta del legame di Delia alla madre, mi
riferirò alla distinzione tra metafora e metonimia elaborata da Luisa
Muraro. La pertinenza del pensiero di Muraro sta nel fatto che nel
romanzo di Ferrante gli abiti vengono definiti il doppio del corpo;
perciò, in questo senso possono esprimere un’associazione metonimica
con il corpo. In Maglia o uncinetto Muraro sviluppa la sua analisi del
linguaggio figurato della metafora e della metonimia, sulla base della
teoria linguistica di Jacobson, facendo riferimento anche a Lacan e a
de Saussure. L’obbiettivo del libro di Muraro è stabilire un approccio
linguistico e filosofico alla relazione tra corpo e linguaggio.
La metafora è un linguaggio figurato che forma un’associazione
usando immagini che non sono logicamente paragonabili. La meto-
nimia, al contrario, necessita di stabilire un legame materiale con gli
oggetti. Come riporta Muraro, secondo Jacobson, il linguaggio è for-
mato dall’interrelazione di questi due assi, l’asse metonimico e quello
metaforico. La connessione tra i due implica anche la subordinazione
del primo al secondo, poiché a livello metaforico viene dato il potere di
stabilire ordine, grazie alla sua dimensione più astratta. La metonimia
è, invece, legata al corpo, alla corporeità, agli oggetti. La sua posizione
subordinata può essere usata, secondo Muraro, senza necessariamente
cadere nella caotica assenza di significato. La metonimia, infatti, non
appartiene al pre-simbolico ma al simbolico, al livello del significato;
di conseguenza, per il suo rapporto con la corporeità, rappresenta
una forma privilegiata di espressione per le donne.
Nel romanzo di Ferrante gli abiti che Delia indossa nella sua
ricerca sono una metonimia del corpo della madre e sono infatti la

 L. MURARO, Maglia o uncinetto, cit., pp. -.


 Ivi, p. .


CAPITOLO QUINTO

forma di linguaggio con cui Amalia si esprime durante la vita; succes-


sivamente permettono alla figlia di dare espressione al suo io. Ad un
certo punto Delia comprende che il cucire è il mezzo di comunicazione
della madre e apprezza l’abile trasformazione di corpi in abiti e la
sua capacità di formulare le sue storie manipolando le stoffe (p. ).
A conclusione dei due giorni a Napoli, Delia ha assorbito la storia di
se stessa e di sua madre che la città e i vestiti hanno emanato: «Forse,
alla fine, di quei giorni senza tregua importava solo il trapianto del
racconto da una testa all’altra, come un organo sano che mia madre
mi avesse ceduto per affetto» (p. ).
La storia della madre è stata trasmessa, come per osmosi, dalla
madre alla figlia ed è diventata parte del suo corpo. La figlia ha perciò
recuperato il legame con la madre, e attraverso gli abiti ha rinego-
ziato il corpo della madre e accettato quello che l’aveva tormentata.
Allo stesso tempo ha anche dato visibilità alla madre, liberandola
dalla limitante univoca rappresentazione di una costruzione maschile.
Nel riconoscimento finale dell’identificazione della figlia con la ma-
dre attraverso il recupero del loro passato, Ferrante ha permesso la
costruzione di una genealogia tra madre e figlia, in cui il loro legame
riesce a superare le differenze. Il romanzo di Ferrante è chiaramente
incentrato sullo sviluppo del senso di soggettività della figlia; nel
romanzo di Stancanelli, discusso nel capitolo successivo, entreranno
in gioco anche la prospettiva materna e lo sviluppo del suo io.


VI
BENZINA DI ELENA STANCANELLI:
IL RAPPORTO SURREALE TRA MADRE E FIGLIA
E NUOVE POSSIBILITÀ*

Elena Stancanelli e la scena letteraria, -


Benzina, il primo romanzo di Elena Stancanelli, esce nel ,
quando il fenomeno letterario degli scrittori cannibali, al quale fu
associata, stava perdendo popolarità. I termini cannibali e pulp, usati
per definire un gruppo di giovani scrittori e scrittrici italiani e le loro
opere, derivano da due raccolte di racconti: Gioventù cannibale (pub-
blicato da Einaudi nel ) e Cuore di pulp (pubblicato da Nuovi
Equilibri nel ). Il termine cannibale è stato scelto per definire la
volontà di appropriarsi di diversi aspetti della cultura moderna, una
caratteristica riscontrabile nelle opere di questi scrittori. Nei loro
romanzi e racconti, infatti, il gruppo ha praticato ampiamente l’arte
della «contaminazione», incorporando una varietà di frasi idioma-
tiche, il linguaggio della pubblicità televisiva e molte altre forme di

* La prima stesura del capitolo  è stata tradotta da Erika Padovan (Monash Uni-
versity) che ringrazio caldamente.
 Il termine pulp ha origine nella narrativa popolare americana degli anni Venti
e Trenta e divenne conosciuto al pubblico grazie al successo internazionale del film di
Quentin Tarantino Pulp fiction (). La narrativa pulp del secondo e terzo decennio
del Ventesimo secolo prese il suo nome dal materiale di qualità scadente usato per la
loro stampa; questo permise la produzione di pubblicazioni a basso costo mirate a lettori
della classe operaia. Gialli hard-boiled e linguaggio volgare caratterizzavano questo tipo
di narrativa. Alla fine del secolo il termine pulp invoca ancora trame violente dove, come
Tarantino ha spiegato bene, la violenza assume proporzioni comiche e diviene talmente
eccessiva da apparire irreale.
 S. LUCAMANTE, Italian Pulp Fiction, Madison Teaneck (NJ), Fairleigh Dickinson
University Press, , p. .
 M. SINIBALDI, Pulp: la letteratura nell’era della simultaneità, Roma, Donzelli, ,
p. .


CAPITOLO SESTO

espressione che rispecchiavano la cultura di massa. Il risultato è stato


non solo la creazione di un nuovo e moderno tipo di narrazione che
esce dagli schemi tradizionali, ma anche e soprattutto l’espressione
di un modo diverso di percepire la realtà.
Le etichette di cannibali e pulp utilizzate per le raccolte di racconti
rinforzavano l’idea che la nuova generazione di scrittori e scrittrici,
e le caratteristiche tipiche dei loro scritti, costituissero un fenomeno
letterario omogeneo. Le case editrici pubblicizzarono e promossero
il fenomeno dei cannibali; Einaudi per esempio dedicò una nuova
collana, “Stile Libero”, a questa narrativa emergente. Nonostante gli
sforzi degli editori di creare la percezione di un fenomeno uniforme,
ci volle poco per cominciare a scorgere le differenze tra un autore e
l’altro, e divenne chiaro che le particolarità di ciascuno di essi erano
in evoluzione. Fin dalla fine degli anni Novanta, già nel , si ini-
ziò a parlare della fine del fenomeno dei cannibali. Questo periodo
coincideva anche con un modello più sofisticato di analisi impiegato
dai critici letterari, che riconosceva l’artificialità del termine pulp.
Gli autori stessi avevano identificato l’etichetta di cannibali come una
strategia di mercato orchestrata dalle case editrici e dalla critica. Allo
stesso tempo, l’etichetta appariva troppo restrittiva per i giovani scrit-
tori e scrittrici, specialmente considerando le loro nuove creazioni.
I romanzi (i primi, ma anche alcuni successivi) di Elena Stan-
canelli sono stati pubblicati da “Stile Libero”; l’autrice ha anche
partecipato a dibattiti letterari e presentazioni di libri con altri autori
conosciuti come appartenenti ai circoli della cosiddetta letteratura
pulp. Nonostante questo, i suoi romanzi non sono scritti in modo spe-
rimentale. Infatti, alcuni critici hanno contestato la logica dell’inclu-
sione di Benzina nella collana “Stile Libero” di Einaudi; la struttura
e il linguaggio di questo romanzo sono stati addirittura descritti da
un critico come «classici». Questa apparente contraddizione rende
interessante stabilire il motivo per cui Benzina riflette gli elementi
peculiari della generazione dei cannibali.
Dal punto di vista della trama, la scena di apertura è un omicidio
privo di qualsiasi fondamento. Questa sequenza è narrata in chiave

 Ivi, p. .
 C. VALLETTI, Elena Stancanelli Benzina, «L’indice», XV, settembre , p. 


BENZINA: IL RAPPORTO SURREALE TRA MADRE E FIGLIA

comica, nello stile tipico della narrativa pulp. Sebbene l’omicidio


rappresenti il pezzo principale del puzzle sul quale si sviluppa la
storia, rimane un elemento isolato, un esempio della violenza priva
di senso che caratterizza le opere di questa nuova generazione di
scrittori. Alcuni critici lo definiscono come un tributo della scrittrice
allo stile del periodo.
A livello di registro ed espressione, l’influenza della pulp fiction ita-
liana è evidente in questo romanzo. Benzina, così come le altre opere di
questi giovani autori, esprime un cambiamento di percezione di realtà
e valori attraverso ciò che Marino Sinibaldi definisce simultaneità,
ovvero, la contaminazione di registri, stili, ed esperienze. In Benzina
questa contaminazione si rende in parte visibile con l’uso di imma-
gini che invocano il confronto con celebrità della musica popolare e
dello show business, ma anche tramite espressioni tipiche dei giovani.
Nonostante questi elementi di contaminazione, Benzina è distante
dallo schema di narrazione innovativo presentato da giovani autori
come Aldo Nove col suo libro Woobinda. L’opera di Stancanelli è
un romanzo che contiene alcune caratteristiche degli scrittori della
generazione cannibale, ma offre allo stesso tempo una visione più
ampia della psiche dei protagonisti e dei loro rapporti.
Benzina, attraverso il ritratto del legame tra Stella e Lenni, rappre-
senta una raffigurazione del lesbismo, e di conseguenza contribuisce
alla visibilità del tema lesbico nella produzione letteraria italiana.
Sebbene la prima metà degli anni Ottanta sia stata testimone della
prima conferenza lesbica in Italia e della creazione dell’organizzazione
Collegamento delle Lesbiche Italiane (CLI), fu solo nel  che una
necessaria discussione sulla politica lesbica venne introdotta grazie alla
pubblicazione del volume E l’ultima chiuda la porta. L’importanza di
chiamarsi lesbiche. Alla fine degli anni Novanta, sia la pubblicazione
di romanzi a tema lesbico di autrici italiane che la traduzione o ri-
pubblicazione di romanzi lesbici anglo-americani sono aumentate in
modo notevole, e hanno ottenuto una preminenza senza precedenti.
Questo successo è stato in parte dovuto all’attività di nuove case edi-
trici quali «Il Dito e la Luna», fondata esclusivamente con l’obiettivo

 M. SINIBALDI, Pulp: la letteratura nell’era della simultaneità, cit., p. .


CAPITOLO SESTO

di dare più spessore alla letteratura lesbica in Italia. Autrici come


Pina Mandolfo, Maria Schiavo, Melania Mazzucco, Maria Giusi di
Rienzo, Isabella Santacroce, Margherita Giacobino e Rossana Campo
hanno contribuito alla produzione e a una maggiore visibilità della
letteratura lesbica.
L’uso del genere comico è caratteristico di tali opere degli anni
Novanta, come lo è il modo in cui la sessualità lesbica viene presen-
tata senza rivendicazioni politiche. Al contrario, il desiderio lesbico è
espresso liberamente, nello stesso modo in cui è dato per scontato nel-
la letteratura lesbica anglo-americana degli anni Novanta. In Benzina
il tono comico è presente in tutto il romanzo, e il lesbismo di Stella e
Lenni viene trattato come un dato di fatto. Ciò nonostante, l’assenza
di una chiara posizione politica sul lesbismo, rende ad esempio, le
scene di sesso esplicito poco convincenti e ingiustificate.
I rapporti tra donne (più che esclusivamente quello lesbico), a
vari livelli – tra madre e figlia, e tra la madre di Lenni e le due ra-
gazze – sono il tema centrale del romanzo. Il mio obiettivo in questo
capitolo è quello di analizzare, da un lato, il reciproco rapporto tra
madre e figlia, e quindi il nesso tra la percezione del proprio corpo
e la relazione con la madre dal punto di vista della figlia; e dall’altro,
l’effetto dell’acquisita indipendenza delle ragazze sulla crescita inte-
riore della madre.

Benzina
Benzina è stato tradotto in francese, tedesco e spagnolo; una ver-
sione cinematografica è uscita nel , e una pièce teatrale ne è stata
liberamente ispirata nel . È la storia di due giovani donne, Lenni
e Stella, e dei loro tentativi goffi e comici di nascondere il corpo della
madre di Lenni, uccisa da Stella in un improvviso eccesso di violenza.

 D. DANNA, Cronache recenti di lesbiche in movimento, in Quaderni Viola: E l’ul-


tima chiuda la porta; L’importanza di chiamarsi lesbiche, Abbiategrasso, Nuove Edizioni
Internazionali, , p. .
 L. FADERMAN, Chloe plus Olivia, New York, Penguin Books, , pp. -.
 Per la discussione del tema del lesbismo nel romanzo di Stancanelli, si veda l’ar-
ticolo di C. ROSS, Queering the Habitus, «Romance Studies»,  (), , pp. -.


BENZINA: IL RAPPORTO SURREALE TRA MADRE E FIGLIA

Lenni, nomignolo datole da Stella, ma il cui nome è Eleonora, è la


figlia di genitori fiorentini di ceto medio-alto. Accetta un lavoro al
distributore di benzina di Stella nella periferia di Roma, e lì non solo
si rifugia dall’ambiente oppressivo familiare, ma trova anche la felicità
nel suo primo rapporto d’amore lesbico. Stella è una giovane donna
di classe operaia che è stata abbandonata dalla madre alla nascita ed
è cresciuta al distributore di benzina dalla sorella della madre e dal
suo compagno. Quando questi ultimi decidono di trasferirsi, lasciano
a Stella la gestione del distributore.
La madre di Lenni – che nel libro solo suo fratello chiama col
nome di battesimo, Giovanna – arriva al distributore, invitata da una
lettera della figlia che non vede da anni. Lenni le aveva scritto per
chiederle una grossa somma di denaro, che sarebbe servita alle due
ragazze per ristrutturare il distributore. Nella lettera, Lenni svela
anche di essere lesbica. Non appena arrivata al distributore, la madre,
sprezzante e fredda nei confronti di Stella, entra nel bar dove Lenni
sta lavorando, e comincia a supplicare la figlia di ritornare a Firenze
con lei. Stella, che osserva la scena dalla finestra, impulsivamente
uccide la donna con una chiave inglese.
A questo punto comincia un viaggio sia per le ragazze che per
la madre: per le ragazze un viaggio reale sulle strade della periferia
romana e per la madre (o “lo spirito” della madre) un percorso psi-
cologico. Lenni e Stella tentano goffamente di liberarsi del cadave-
re, guidando verso una discarica e infine ritornando al distributore
con il cadavere ancora nel bagagliaio. Dal momento dell’omicidio lo
spirito della madre si libera e rimane sospeso a tre metri dal corpo.
Senza essere vista dalle ragazze, l’anima comincia a commentare i
loro piani di liberarsi del cadavere, ma offre anche una visione della
sua vita di madre e di moglie. Infine, diventa uno spirito protettivo e
interviene in modo cruciale per aiutare Stella a fuggire da un tentato
stupro. Attraverso la morte e la successiva esistenza in spirito, viene
mostrata la metamorfosi della figura della madre da donna fredda,
borghese, indifferente e sprezzante, a personaggio comprensivo, molto
più vicino, psicologicamente alle due ragazze. Alla fine, torniamo al
distributore di benzina, circondato dalla polizia, dove Stella e Lenni
si cospargono di benzina prima di causare un’esplosione. Lo spirito


CAPITOLO SESTO

della madre è con loro e le sostiene. Nella scena finale i tre spiriti,
assieme, ridono mentre la polizia, sconcertata, osserva il distributore
andare in fiamme.
La storia è narrata a tre voci: quella di Stella, di Lenni, e dello
spirito della madre. Grazie a questi molteplici punti di vista abbiamo
una visione più completa dei personaggi e delle loro personalità, una
comprensione più profonda dei sentimenti reciproci tra le tre donne,
e possiamo osservare l’insieme delle incomprensioni tra madre e figlia,
e di conseguenza, la loro mancanza di comunicazione.
Stancanelli introduce il romanzo con i versi di uno spettacolo tea-
trale di Mariangela Gualtieri, attrice e drammaturga teatrale che nelle
sue opere ha spesso enfatizzato l’inadeguatezza delle parole. L’epigrafe
mostra l’impossibilità di acquisire la conoscenza della complessità del
nostro essere, e l’incapacità di esprimerlo a parole:
Io non sono mai tutta, mai tutta,
io appartengo all’essere e non lo so dire,
non lo so dire, io appartengo e non lo so dire, non lo so dire
io appartengo all’essere, all’essere e non lo so dire. 

La mancanza di comunicazione è evidente a vari livelli e in varie


situazioni nel romanzo, dove gesti, a volte estremi (come l’omicidio
all’inizio e l’esplosione alla fine), comunicano ciò che le parole non
possono. Problemi dovuti alla comunicazione sono ovviamente una
particolarità del rapporto tra madre e figlia.

Madre e figlia: corpi differenti e differenti personalità


Valori e aspettative dissimili, e modi diversi di reagire e affrontare
varie situazioni, allontanano Lenni e sua madre. Le loro differenti
personalità sembrano echeggiare nei ritratti disparati dei loro corpi: la
madre snella, la figlia sovrappeso. Sin dalla nascita di Lenni, la madre
aveva messo in evidenza la differenza fisica della figlia. La piccola sem-
brava avesse preso dalla famiglia del padre, mentre non assomigliava
affatto a sua madre (p. ). Questa mancanza di somiglianza era stata

 E. STANCANELLI, Benzina, Torino, Einaudi Stile Libero, , p. . Tutte le citazioni

successive dal romanzo provengono da questa edizione e appaiono nel testo.


BENZINA: IL RAPPORTO SURREALE TRA MADRE E FIGLIA

percepita dalla madre come una delusione delle sue aspettative: «Eri
così diversa da come mi aspettavo» (p. ). Eppure questa apparente
mancanza di somiglianza non aveva precluso l’attenzione della madre
verso la bambina nei primi anni di vita. Anzi, la piccola soddisfaceva
un’esigenza importante nella scala dei valori di Giovanna: Lenni ri-
entrava nell’ideale di bellezza convenzionale; aveva bei capelli ed era
«carina» (p. ). Durante l’adolescenza quando Lenni inizia a deci-
dere sul suo aspetto fisico, andando contro quei canoni di bellezza e
comportamento ai quali Giovanna teneva tanto, i problemi tra madre
e figlia affiorano e il loro rapporto inizia ad infrangersi.
Da ragazzina, Lenni sistemava i suoi bei capelli in un’unica treccia
che sua madre non sopportava. Il sovrappeso cominciava a causarle
dei problemi a tal punto che non partecipava più alla vita sociale a
scuola (p. ). L’immagine di sé che sentiva riflessa da sua madre non
faceva che aumentare il rifiuto del suo corpo. Infatti, come rivela
Stella, Lenni si sentiva esaminata dalla madre: «la osservavi come una
bistecca dal macellaio, per verificarne il peso» (p. ).
La stessa madre rimane sorpresa nel venire a conoscenza dell’in-
tensa infelicità della figlia (p. ). Infatti, nessuno dei tre personaggi
narra di una reale pressione, esplicita o verbale, da parte della madre
verso la figlia riguardo al suo aspetto. Piuttosto, la percezione di un
giudizio negativo materno pare creata da Lenni per paura di deludere
le aspettative della madre. Anche se Giovanna non critica apertamente
la figlia, rappresenta il modello borghese di un canone di bellezza
ideale che rimane l’unico punto di confronto per l’adolescente Lenni.
La mancanza di comunicazione tra madre e figlia si sviluppa dunque,
in un ambiente influenzato da uno standard di bellezza convenzionale
del corpo femminile.
Il corpo della madre, descritto in varie occasioni da tutte e tre le
narratrici, è sempre raffigurato come snello, attraente, appartenente a
una donna dall’aspetto giovanile che si preoccupa della sua apparenza.
Questa apprensione è fonte di commenti in chiave comica quando,
subito dopo l’omicidio, lo spirito della madre si interroga sulla presen-
tabilità del suo cadavere e si preoccupa per la scelta dello smalto: «se
avessi saputo che era per sempre, forse avrei evitato lo smalto rosso
rubino sulle unghie dei piedi» (p. ). Anche il commento di Lenni


CAPITOLO SESTO

sul fatto che se sua madre avesse saputo che il suo cadavere nudo
sarebbe stato visibile a tutti, avrebbe fatto la ceretta all’inguine con
più cura (p. ), ci aiuta a ricostruire l’immagine della preoccupazione
estetica ossessiva della madre.
L’apprensione di Giovanna per il suo aspetto esteriore, dallo
smalto alle scarpe – «Fino all’ultimo sono stata indecisa se indossare
le Chanel marrone chiaro, più intonate al vestito. Chanel [...]. Non
sarò mai morta abbastanza per dimenticarle» (p. ) – e la soddisfa-
zione che prova riguardo al suo corpo – «Sono ancora giovane, ho
una bella pelle liscia» (p. ) – la identificano come una donna che
si trova a proprio agio in una cultura dominata da canoni di bellezza
convenzionali.
Quanto la madre pare a suo agio con la propria immagine che
riflette l’ideale dominante di bellezza, tanto la figlia si trova a disagio
con la propria immagine proiettata su di lei da sua madre. Secondo
l’interpretazione lacaniana sull’importanza dell’immagine riflessa nello
stadio dello specchio, la percezione di Lenni del proprio corpo grassoc-
cio si può dire sia in relazione all’immagine che riceve da sua madre;
inoltre, l’immagine della madre diviene il riflesso del mondo borghe-
se, limitato da un’estetica predeterminata. Per entrambe le donne, la
possibilità di divenire soggetti dipende dall’immagine imposta a loro
da altri. Sia madre che figlia, ognuna con le proprie ossessioni, sono
vittime dell’immagine di un concetto patriarcale di bellezza.
Al contrario, dal punto di vista di Stella, che rimane distaccata da
queste prescrizioni borghesi, la rotondità di Lenni e la morbidezza
delle sue forme fanno parte del suo distintivo fascino, e non sono ele-
menti che vengono meno a un ideale canone estetico. Infatti quando
Stella tenta di cambiare le idiosincrasie di Lenni, lo fa per aiutarla a
migliorare tratti di personalità, come la sua ansia, che la rendono in-
felice (p. ), e non per plasmarla entro particolari schemi estetici.
La madre di Lenni, invece, trova ripugnante la sudorazione ec-
cessiva della figlia, il suo camminare pesante e sgraziato (p. ), e
la sua tendenza a vomitare in momenti di ansia. Ai suoi occhi, tutti
questi tratti sono un’incresciosa mancanza di eleganza e rappresen-
tano un’inettitudine a un comportamento misurato e contenuto. An-
che la scelta di Lenni di trasferirsi a Roma è criticata da sua madre.


BENZINA: IL RAPPORTO SURREALE TRA MADRE E FIGLIA

Le differenze tra madre e figlia si notano anche nel contrasto socio-


culturale tra una Firenze ordinata e una caotica Roma dove, dice la
madre, solo «un disadattato può accettare di vivere» (p. ).
Così come il corpo di Lenni appare inadeguato a confronto del
mondo elegante e conformista della madre, anche la sua preferenza
sessuale costituisce un’ulteriore deviazione dal tipo di scelte di vita rap-
presentate dalla sua famiglia. I commenti eterosessisti della madre e di
altri membri della famiglia sono esempi di questo essenziale ripudio.
Il contrasto tra madre e figlia e la loro apparenza fisica e attitu-
dine sono un’espressione palese della loro dissonante relazione. Ciò
nonostante, né Lenni né sua madre esprimono desiderio di rompere
i rapporti, sia in vita che dopo l’omicidio. La loro relazione sembra
invece nutrirsi di una costante tensione tra il desiderio di fusione e
quello d’indipendenza.

Una relazione di fusione e indipendenza


Nel trasferirsi da Firenze a Roma, Lenni ha dimostrato ampia-
mente il suo desiderio d’indipendenza, attuando un cambiamento
radicale di vita che rappresenta una rottura sotto diversi punti di
vista: sociale, geografico e sessuale. Eppure, a un esame più attento,
cercare di nuovo un contatto con la madre non ha per Lenni il solo
scopo di ricevere un aiuto economico. Al contrario, l’idea di incon-
trarla è legata a un desiderio di riconciliazione: Lenni si immagina
di ricevere un forte abbraccio da una madre che aveva compreso le
scelte della figlia (p. ).
Essere accettata dopo tre anni di separazione non è l’unica que-
stione in gioco per la figlia; è piuttosto il desiderio di essere amata dalla
madre ad affiorare in Lenni (p. ). Dopo l’uccisione della madre,
mentre le ragazze si organizzano per disfarsi del suo cadavere, Lenni
si trova abbracciata al corpo della madre mentre Stella prova ad aprire
il baule della macchina, e i suoi più istintivi e sentiti sentimenti si
rivelano: «Non ti lascio cadere, mamma [...] e ti butti su di me come
se mi volessi bene» (p. ).
Infatti, il desiderio di un’affettuosa figura materna che si avvicini
alla sensibilità delle giovani protagoniste è evidente del dipanarsi


CAPITOLO SESTO

della storia. Tutte le figlie, nel romanzo, esprimono insoddisfazione


per l’assenza della loro madre. L’assenza può essere psicologica ed
emotiva, come nel caso di Lenni, o materiale, per Stella e la sua amica
Catia, abbandonate dalle madri quando erano molto giovani. Per loro
c’è un marcato desiderio di re-inventare l’immagine della madre in
sua assenza. Mentre Lenni sogna una madre che mostri affetto, come
nella scena della danza che si discuterà più avanti, Stella si inventa
una figura materna più simile a se stessa, che non rispecchia i canoni
tradizionali di procreazione e protezione:
Tanto tra averla vista poco o mai, è meglio mai. Almeno te la inventi come
ti pare, la tua mamma [...]. A Catia avevo raccontato che la mia era una fa-
mosa cantante rock [...]. Durante una tournée in Italia si era innamorata di
un bagnino di Ostia, bellissimo, ed ero nata io. Poi era dovuta ripartire per
fare concerti, e ogni tanto mi scriveva delle cartoline, firmate anche da David
Bowie, o Frank Zappa. (p. )

In questo ritratto si può scorgere un’interpretazione moderna del


Familienroman freudiano. Il soggetto, invece di fantasticare genitori di
origini regali, come suggerito da Freud, s’inventa in questo caso figure
più vicine al proprio mondo, ai propri sogni e miti personali. Anche
se il padre è descritto come attraente, è la madre a rappresentare per
la figlia i propri sogni e le proprie origini grandiose. In questo senso
l’immaginazione di Stella ricrea una storia d’amore familiare di di-
scendenza materna e manifesta il bisogno di sostenere una genealogia
femminile indipendente da costrutti patriarcali di maternità. La madre
così raffigurata, è ancora dotata di qualità materne, ma al di fuori degli
stereotipi legati al suo ruolo. Così facendo Benzina contribuisce alla
variazione del Familienroman che Marianne Hirsch ha riconosciuto
come trama secondaria in romanzi di autrici che affrontano il tema
della relazione tra madre e figlia. Hirsch ha mostrato infatti, come la
mancanza della madre, l’amore per il fratello, e l’assenza della figura
paterna siano stati utilizzati in diversi momenti storici come alternative
alla trama freudiana.
Nel caso della relazione tra Lenni e sua madre non si crea il pe-
ricolo di fusione e identità. La relazione figlia-madre, piuttosto, fa
eco al saggio di Irigaray And the One doesn’t Stir without the Other
(L’una non sogna senza l’altra) dove il senso di familiarità e vicinanza


BENZINA: IL RAPPORTO SURREALE TRA MADRE E FIGLIA

tra madre e figlia può coesistere con la possibilità di soggettività sepa-


rate, di madre e di figlia. L’ambivalenza provata da Lenni tra la scelta
d’indipendenza e il bisogno di amore materno, che tutte le altre figlie
nel romanzo condividono, è in parallelo con l’ambivalenza provata
da Giovanna rispetto al rimpianto delle differenze che continuano a
separarla dalla figlia, e il desiderio di sentirla legata a sé. All’interno di
questa tensione è possibile vedere un senso d’identità fuori dai confini
imposti dal patriarcato. A differenza del romanzo familiare femminista
e centrato sulla figlia analizzato da Hirsch, in Benzina è la figura ma-
terna a rappresentare questo cambiamento di consapevolezza.
Non appena arrivata al distributore di benzina, la madre esprime
apertamente, con lacrime e suppliche, il rifiuto della scelta di vita della
figlia e la sua intenzione di riportarla a Firenze, nonostante si fosse
accorta sin dal primo sguardo che Lenni era più rilassata e felice di
prima (p. ). Giovanna prova un forte desiderio di ristabilire i valori
del proprio ambiente. Lenni è, per lei, parte del suo mondo borghese,
e dunque si aspetta che si comporti di conseguenza; non concepisce
che sua figlia possa rapportarsi con una ragazza di classe operaia.
Tuttavia, nella sua nuova dimensione di spirito, l’ossessione per
le apparenze sociali sembra evaporare, lasciando il posto a una sen-
sazione estatica dell’essere con la figlia, come è evidente nella scena
di una danza spensierata con Lenni:
Ero anche un po’ emozionata, mentre Eleonora mi stringeva i fianchi e rideva, e
mi accompagnava in una danza da ubriache [...]. Avrei voluto riuscire a tenere
ferme le ginocchia [...] per rimanere composta tra le braccia di mia figlia, e
ballare con lei, farla ridere ancora. Davvero Eleonora, ti giuro che se avessi
potuto non ti avrei sbilanciata, eravamo così affiatate... (p. )

Questa scena di madre e figlia che ballano allegramente insieme


ha luogo dopo che lo spirito della madre si rende conto della possi-
bilità di potersi ricongiungere al proprio corpo. Infatti, lo spirito è
richiamato al cadavere, come se gli fosse stata data la possibilità di
vivere di nuovo nel corpo, ma con nuova consapevolezza dello spi-
rito. La dipendenza dello spirito dal corpo, da una parte suggerisce
la rilevanza della dimensione corporea e, dall’altra, mette in luce il

 L. IRIGARAY, And the One Doesn’t Stir Without the Other, cit., p. .


CAPITOLO SESTO

desiderio della madre di ritornare, da spirito, ai suoi problemi irri-


solti, con la consapevolezza di se stessa, con la propria identità di
donna, e accompagnata da sua figlia. È nella dimensione di spirito
che un profondo cambiamento avviene nella madre, che modifica
radicalmente il suo atteggiamento altezzoso e borioso. Nel momento
cruciale in cui salva Stella da un tentativo di stupro, lo spirito della
madre riconosce la propria trasformazione. Rilascia il freno a mano di
un furgone in modo da creare un incidente alla macchina dei rapitori
di Stella. Si vanta di avere compiuto «un’azione eroica» (p. ), «la
prima impresa di cui andare veramente orgogliosa da quando sono
nata» (p. ). A quel punto, la sua intera vita da borghese superficiale
le appare come una preparazione a questo evento, che segna la sua
evoluzione morale.
L’altezzosa signora fiorentina ammette di peccare d’arroganza e
presuntuosità, e dichiara la sua nuova esigenza di apprezzare le cose con
umiltà. Inoltre si assume la responsabilità del suo difficile rapporto con
la figlia, e rimprovera se stessa per non essersi sforzata di più per supe-
rare i problemi che si erano creati con Lenni. Infine, immagina come
sarebbe stato l’incontro con la figlia, e come avrebbe potuto cambiare
la sua vita, se fosse rimasta con loro al distributore di benzina:
Avrei potuto rimanere qui anch’io [...] Ecco che cosa avrei dovuto chiederti.
Tienimi con te, permettimi di spendere qui tutti i giorni che mi restano, nel
tuo distributore di benzina. Invece ho aperto la bocca e mi è uscito: «Vorrei
un caffè». (p. )

In questa dimensione illuminata, la madre riconsidera il suo


aspetto e immagina di abbandonare i suoi abiti eleganti. Fantastica
di imparare i lavoretti al bar del distributore di benzina, e una nuova
sensazione la pervade:
Mi sarei comprata una di quelle tute blu e il mio primo paio di scarponi da
guerra. Avrei imparato a ritagliare le fette di pane in cassetta, a spalmarci sopra il
burro senza romperle. Avrei anche potuto ricominciare a fumare. (pp. -)

Si sente liberata dalle costrizioni che le avevano dettato le sue


scelte di vita: il suo aspetto e la sua relazione con la figlia. Il ritratto
delle tre donne che lavorano fianco a fianco nel distributore di benzina
diviene l’emblema sia della trasformazione del modo di essere di Gio-


BENZINA: IL RAPPORTO SURREALE TRA MADRE E FIGLIA

vanna, che del rapporto tra madre e figlia, come pure del rapporto tra
Giovanna e Stella. Simbolizza il passaggio a un rapporto più paritario,
dove la madre può lasciare da parte il ruolo materno per riscoprire la
sua identità di donna, e dove le donne possono rapportarsi l’una con
l’altra come donne, senza essere ristrette da pressioni sociali. Come
ha commentato Loredana Lipperini, l’amore tra donne – materno,
filiale, o romantico – emerge nel romanzo come la forma d’amore più
intensa e coinvolgente.
In Benzina il rapporto tra Lenni e Stella diventa il modello sul
quale la madre riesce a riarticolare il senso del proprio io e il suo rap-
porto con la figlia. È nel suo coinvolgimento nella vita delle ragazze,
nell’episodio del tentato stupro, e nella contentezza del ballo con la
figlia, che lo spirito della madre trasmette l’idea di un rapporto tra
donne come base dell’evoluzione appagante del soggetto. Attraverso
la figura della madre si mostra l’opportunità di ri-articolare la con-
sapevolezza della soggettività femminile al di fuori del binarismo dei
sessi, fuori dall’«economia del medesimo». Come sostiene Irigaray,
il passaggio a un rapporto stretto tra donne (come tra Stella, Lenni,
e sua madre) è il fattore determinante per re-immaginare il soggetto
donna al di fuori del patriarcato.
Il processo di trasformazione e le fantasie sull’evoluzione di
un’identità diversa hanno luogo al distributore di benzina. Il distri-
butore di benzina è stato letto come un’isola dove Lenni e Stella si
possono amare, e alla fine del romanzo diventa un’oasi di pace e
tranquillità, il sogno utopico di una terra dove le donne possono
vivere insieme, al di fuori dei dettami patriarcali. In questo contesto,
lo spazio assume significato per la nuova figura materna: «Non ce l’ho
mai avuto io un rettangolino di pavimento mio [...] un centimetro di
muro dove appoggiare le spalle e chiudere gli occhi» (p. ).

 L. LIPPERINI, Due ragazze un matricidio e un po’ di benzina, «La Repubblica»,

 maggio , p. .


 L. IRIGARAY, The Irigaray Reader, a cura di M. Whitford, Oxford, Basil Blackwell,

, pp. -.


 S. GIORGI, Il distributore dei desideri: L’amore estremo di due figlie fatali, firmato

Elena Stancanelli, «Il Manifesto», inserto “La Talpa libri”,  maggio .


CAPITOLO SESTO

In Benzina lo spazio è una realtà fisica dove le donne possono


vivere la loro soggettività in libertà. Si tratta quindi di uno spazio
femminile che, secondo Irigaray, è necessario per creare la possibilità
di un nuovo simbolismo. Come riassume Grosz,
[q]uando le donne hanno un posto o spazio dove poter vivere il proprio
corpo, sessualità, e identità, la falsa dualità o simmetria della dominazione
fallica – dove la donna è vista come la copia in negativo dell’uomo, modellata
sull’ economia del medesimo – può essere distrutta.

Il distributore di benzina è di particolare interesse, perché rappre-


senta l’ambiente necessario per la trasformazione della figura materna,
lo spazio di realizzazione della storia d’amore tra Lenni e Stella, e il
posto che può tradurre in realtà il desiderio di una vita appagante.
È uno spazio già sessuato da connotazioni maschili, riservato tradi-
zionalmente al lavoro di uomini. Le ragazze, in quanto lavoratrici e
responsabili del distributore di benzina, trasformano la percezione
stereotipata e sessuata di quello spazio. Il cambiamento positivo che
attuano nella comunità si riscontra nel rispetto che mostrano loro i
clienti, e negli elogi dei tassisti (p. ).
Il distributore di benzina è anche importante per i cambiamenti
che produce sia a livello esterno, proiettando un’immagine anticonfor-
mista positiva di uno spazio lavorativo, sia all’interno della comunità
forgiata dalle tre donne. Vivendo, lavorando, e dandosi sostegno a
vicenda, Stella, Lenni e sua madre creano un gruppo di supporto.
Il concetto di comunità elaborato da Linda McDowell è di interesse
in questo contesto, per chiarire come lo spazio del distributore di
benzina incida sul gruppo di donne. Comunità è un termine ambiguo.
Trasmette un senso positivo di supporto e solidarietà tra i propri
membri, ma allo stesso tempo implica il pericolo di isolamento dal
resto della società, e il rischio di ghettizzazione. McDowell interpre-
ta il concetto di comunità in modo relazionale, perché si basa sulle
relazioni sociali delle persone che ne fanno parte, è delimitato dai
propri confini, ed è «dipendente, contingente, e definito da rela-

 E. GROSZ, The Hetero and the homo: The sexual ethics of Luce Irigaray, in Engaging

with Irigaray, cit., p. .


BENZINA: IL RAPPORTO SURREALE TRA MADRE E FIGLIA

zioni di potere». A livello storico la comunità ha giocato un ruolo


importante all’interno del progetto di sessualizzazione dello spazio.
Troviamo esempi nelle case costruite in Oregon durante la Seconda
Guerra mondiale: la loro progettazione rispecchiava i bisogni delle
donne, nel loro duplice ruolo di genitore singolo e lavoratrice, quando
gli uomini erano in guerra. Varie attività ed edifici (rifugi per donne,
centri artistici, librerie) creati negli anni Sessanta e Settanta forniscono
un altro esempio di tale politica.
Il distributore di benzina sembra costituire una dimensione dif-
ferente del senso di comunità perché i suoi confini non escludono il
mondo esterno. Al contrario, la loro comunità offre una comunicazio-
ne a due sensi con i clienti (quelli menzionati nel romanzo sono tutti
uomini) e, allo stesso tempo, offre alle donne l’opportunità di costruire
la propria identità al di fuori di prescrizioni patriarcali. Il supporto
reciproco e la solidarietà fra le tre donne, come immaginato dallo
spirito della madre, sono gli elementi chiave per la trasformazione
effettiva della madre all’interno di quello spazio relazionale.
Al contrario, il rapporto tra madre e figlia all’interno dell’am-
biente familiare sembra riflettere un rapporto di potere creato dalle
costrizioni sociali di estrazione borghese. Così come hanno argo-
mentato le geografe femministe, corpi e sessualità sono legati allo
spazio in modo inestricabile, poiché sono percepiti in modo diverso
a seconda dello spazio che occupano. I rapporti di potere sviluppati
in uno spazio particolare influiscono sulla percezione del corpo e
della sessualità, come nel caso di Lenni e di sua madre nell’ambiente
familiare a Firenze, che esaminerò ora.

Corpi oppressi nella casa di famiglia


Dal momento della nascita di Lenni, la madre sente e riconosce il
desiderio di costruire un rapporto stretto con la figlia, che trascenda
il suo ruolo materno e le porti vicine come donne, creando così un

 L. MCDOWELL, Gender, Identity, and Place, Cambridge, Polity Press, p. .


 Ivi, pp. -
 Ivi, p. .


CAPITOLO SESTO

legame basato sulla loro identità femminile. Tuttavia, questo è solo il


desiderio della madre, non quello della figlia, che, nella tipica svolta
edipica, rifiuta la madre per scegliere il padre. «Però avevo partori-
to una donna, avremmo potuto essere sorelle e amiche. Ma non fu
così. Eleonora era come suo padre. Mi guardava e mi disprezzava»
(pp. -). La madre si sente isolata all’interno della propria famiglia,
privata dell’amore sia della figlia che del marito.
Eppure, allo stesso tempo, l’alleanza che la figlia crea con il pa-
dre non risulta essere per lei una sorgente di forza. L’adolescenza
di Lenni è carica di tristezza, ne è prova il difficile rapporto col suo
corpo. Messa in guardia dalla rivelazione di una compagna di classe
di Lenni sulla fatica di integrazione della figlia, e sulla sua difficoltà
a incontrare i compagni fuori dalla classe per vergogna del proprio
corpo grassoccio, la madre cerca spiegazioni al comportamento di
Lenni nel suo diario segreto. E lì trova una descrizione dettagliata
del primo rapporto sessuale di Lenni. L’esplicita descrizione causa
una reazione di forte sdegno della madre (p. ). Il tentativo di com-
prendere i problemi che affliggono la figlia divene così un’altra forma
di disaccordo che accresce l’isolamento della madre, senza rendere
quello della figlia più tollerabile.
La difficoltà della figlia ad accettare il proprio corpo è messa a
confronto con la travagliata percezione della madre del suo corpo.
Infatti, nonostante Giovanna rifletta lo stereotipato canone di bellez-
za, e faccia molta attenzione a mantenere la propria immagine come
tale, percepisce il proprio corpo come ripulsivo per il marito e la
figlia. Questa memoria della ripugnanza nei confronti del suo corpo
da parte di Lenni emerge quando Lenni e Stella discutono su come
nascondere il cadavere: «Eh sì, nuda, mia piccola Eleonora [...]. Non
ti piacerà [...]. Nessuno al mondo, a parte tuo padre, ha avuto tanto
orrore della mia intimità» (p. ).
Nonostante l’apparente contrasto tra madre e figlia, le due con-
dividono la difficoltà nell’accettare i propri corpi e la propria ses-
sualità. Tale rifiuto del proprio corpo emerge per entrambe nelle
loro descrizioni di rapporti sessuali insoddisfacenti, con un amico
di famiglia per Lenni, e col marito per Giovanna (p. ). All’interno
dell’ambiente familiare l’ossessione del canone patriarcale di bellezza e


BENZINA: IL RAPPORTO SURREALE TRA MADRE E FIGLIA

dell’obbligo di eterosessualità rende le loro vite miserabili e inasprisce


ulteriormente le loro differenze. La famiglia non si rivela quindi, né
per la madre né per la figlia, come un luogo dove è possibile instaurare
un rapporto di complicità e amore. Al contrario, disconnesse l’una
dall’altra, madre e figlia non sono in grado di esprimere un senso
di sé al femminile che sia davvero auto-soddisfacente. Gli elementi
che permettono alle due donne di rivalutare la propria posizione
all’interno del patriarcato sono il rapporto d’amore lesbico di Lenni
e, paradossalmente, l’omicidio della madre.
Mediante l’uccisione della figura materna e le descrizioni ironiche
della donna borghese, Stancanelli marca il proprio rifiuto del materno.
Allo stesso tempo, la morte della madre permette la rinascita di una
donna che scopre un senso di sé a lei sconosciuto. Attraverso la morte
di un corpo che era in precedenza sorretto da una struttura patriarcale,
si materializza una nuova donna. La morte della madre ha la funzione
di cancellare le distinzioni di classe e le difficoltà che avevano separato
la madre da sua figlia. Muore la donna borghese e a emergere è una
nuova donna, più vicina emotivamente ad altre donne.
In questo senso è utile tornare alla teoria di Irigaray per chiarire
l’importanza di questa morte e rinascita. Come spiegato in preceden-
za, per Irigaray il rapporto donna-donna è fondamentale al fine di
contrastare la loro in-differenza all’interno del patriarcato. Il rapporto
madre-figlia, in quanto legame tra donne, è un modello del rapporto
donna-donna. Questo rapporto reinterpreta la figura della madre
(svalorizzata nella filosofia occidentale), la libera dalle costrizioni
imposte dal patriarcato e considera la donna oltre la madre. Irigaray
si scosta da concetti di rifiuto e biasimo nei confronti della madre,
tipici della seconda ondata femminista americana; questi sono infatti,
a suo vedere, la base del patriarcato. Al contrario, invoca una nuova
vita per la madre: «[D]obbiamo smettere di uccidere la madre che fu
sacrificata alle origini della nostra cultura. Dobbiamo farla rinascere,
quella madre, la madre che è dentro di noi e tra di noi».
In Benzina l’omicidio della madre può essere interpretato in
quest’ottica. L’autrice sembra interessata a creare una trasformazione

 L. IRIGARAY, The Irigaray Reader, cit. p. , trad. mia.


CAPITOLO SESTO

psicologica della madre e, soprattutto, a riconsiderare il valore della


figura materna e del rapporto tra donne. È possibile immaginare un
nuovo legame tra le tre donne, grazie all’intesa della madre con Lenni
e Stella come donna dalla stessa sensibilità che decide di vivere in
un distributore di benzina, e di accettare lo stesso stile di vita delle
due ragazze. Immaginando le loro madri, le figlie però fantasticano
figure materne alternative, che non hanno nulla a che fare con la
loro esperienza di rapporto madre-figlia, ma che riflettono invece le
loro sensibilità.

Guardare e guardarsi l’un l’altra


Come in Passaggio in ombra, Madre e figlia, e L’amore molesto,
in Benzina i personaggi femminili sono caratterizzati da una certa
difficoltà col linguaggio, e dall’uso di forme di comunicazione e in-
terpretazione alternative. Queste stranezze linguistiche, che rivelano
il bisogno delle donne di esplorare forme di espressione al di fuori
della struttura patriarcale, sono manifeste nel romanzo di Stancanelli
nell’uso di immagini relative allo sguardo.
La cecità fa parte di questo immaginario. Ripensando alla casa
di famiglia, Lenni ricorda una delle sue ossessioni, visioni di gattini
ciechi nella sua camera:
[G]uardo [la camera] e vedo i gattini. Sono dappertutto, sdraiati sul pavimento,
nascosti sotto il letto, in posa sulla libreria come fermalibri. Apro i cassetti e
loro tirano fuori le loro mille teste, li trovo appesi alle grucce tra i vestiti, nel
calamaio pieno di inchiostro marrone. Tutti ciechi. Chi con le orbite vuote,
chi con le palpebre appiccicate dal muco giallo, e ognuno a testimoniare una
mia diversa fretta. Uno per la scuola, uno per il tennis, uno per le lezioni di
danza, uno per ogni amica che mi ha mollato per la strada. E miagolano tutti
insieme. Per questo sono venuta a Roma, per i gattini. Per lasciare a loro la
mia stanza, che ne facessero un monumento alle mie rincorse. (p. )

Gli animaletti probabilmente simbolizzano una fase particolare


della vita di Lenni. I gattini sono immaturi, come è anche lei nel pe-
riodo dello sviluppo, non ancora adulta, e confusa sulla sua identità.
I gattini denotano le delusioni di Lenni e l’incapacità di raggiungere
i suoi obiettivi. La loro cecità può essere interpretata come la paura
della ragazza di guardarsi dentro e l’inabilità di vedere un futuro per


BENZINA: IL RAPPORTO SURREALE TRA MADRE E FIGLIA

le attività che facevano parte della sua vita. Il tema dei gattini ciechi
funge da metafora dell’incapacità di assumersi responsabilità e com-
prendere la natura dei propri desideri e inclinazioni. È un segno del
senso di vacuità che pervade la vita di Lenni nella casa di famiglia,
prima di conoscere Stella. Non avendo controllo sulla sua vita, la
riempie di attività e gesti ai quali non riesce ad attribuire alcun valo-
re. Gli attacchi di vomito, ai quali è intensamente soggetta, possono
essere interpretati in questo senso come «un gesto vuoto», come ha
affermato apertamente l’autrice.
A differenza di Elisa, intrappolata nella sua camera in Menzogna
e sortilegio, Lenni, grazie all’amore per Stella, trova il coraggio di
lasciarsi alle spalle la camera della casa di famiglia e il suo passato
infelice e insoddisfacente, simbolizzato dai gattini ciechi. A contra-
stare la madre borghese e attraente che osserva il corpo grassoccio
della figlia «come una bistecca dal macellaio» (p. ), nell’ambito del
distributore di benzina vi è una rappresentazione opposta dell’atto del
guardare. Qui diviene un modo istintivo e alternativo di comunicare
tra i personaggi femminili.
La madre di Lenni mostra l’abilità di capire la figlia con un sempli-
ce sguardo, svelando una capacità che sembrava assente nell’ambiente
familiare. Ammette che quando era in vita non le interessava ascoltare
o capire gli altri (p. ). Eppure al distributore di benzina, appena
prima di morire, con un solo sguardo aveva notato che Lenni era
felice. Istintivamente la madre aveva capito che sarebbe stato meglio
andarsene e lasciare Lenni nella sua nuova, trovata felicità. Questa
percezione, recepita al primo sguardo, è dettata dal cuore – «il mio
cuore mi implorava, vai» (p. ) – come se l’abilità di comprensione
fosse legata ai sentimenti e alle emozioni invece che alla razionalità e al
senno. La madre di Lenni, però, abituata com’è a rimanere distaccata
dalle proprie emozioni, «ancora una volta» (p. ) non le ascolta.
In contrasto, un esempio di comprensione istintiva e reciproca
attraverso lo sguardo corrisposto tra madre e figlia viene immaginato
da Stella. Fantasticando sulla propria madre, Stella immagina una
forma di comunicazione intuitiva tra di loro mentre si scambiano uno

 Corrispondenza elettronica con l’autrice.


CAPITOLO SESTO

sguardo. Questa comprensione intuitiva tra madre e figlia assume più


valore delle cure materne quotidiane. Stella sogna ad occhi aperti di
fumarsi uno spinello con la madre:
Dai mamma fatti un tiro. Allora lei prende lo spino tra le sue unghie smaltate, nere
come le notti a Berlino [...] e mentre aspira mi sorride con gli occhi. E allora non
c’è nemmeno bisogno di abbracciarsi da quante cose ci siamo dette con quello
sguardo. Perché quando con una mamma ci si capisce così, te ne freghi se non
c’era a rimboccarti il letto e a insegnarti ad andare in bicicletta. (p. )

Il bisogno di un rapporto affettivo con la madre che trova la


propria espressione attraverso lo sguardo è di nuovo messo in rilievo
da Stella:
Tipo guardarsi con amore [...]. Ecco, secondo me se due sanno farlo, già
vanno abbastanza bene come madre e figlia [...]. Io non penso che tra lei e
Lenni ci fosse questa complicità, sennò non le avrebbe chiesto un caffè dopo
tutti quegli anni. (p. )

Lo sguardo tra madre e figlia che Stella immagina ha la capacità di


rafforzare l’idea di un rapporto affettivo e di supporto tra una madre
e una figlia che si rapportano l’un l’altra come donne. Attraverso lo
sguardo vengono trasportate in un rapporto tra eguali che rivela la
loro complicità. L’immagine dello sguardo tra madre e figlia ricorda
l’interpretazione del mito di Demetra e Kore di Adriana Cavarero
discusso nel primo capitolo. La lettura del mito aveva lo scopo di
enfatizzare l’unicità della donna, che contribuisce alla creazione di
un rapporto madre-figlia di differenza e arricchimento. Il rapporto
idillico, utopico, di madre-figlia immaginato da Stancanelli, così di-
verso dalle esperienze di Lenni e Stella, è di amore e supporto al di
fuori del concetto patriarcale del materno, dove sia madre che figlia
contribuiscono al successo del rapporto.
La fantasia dello sguardo reciproco tra madre e figlia diventa pos-
sibile in ambienti privi di costrizioni patriarcali, come il distributore
di benzina, e pare rivelare una forma di comunicazione alternativa
alla costruzione logica del linguaggio, con il quale i personaggi fem-
minili in questo romanzo si trovano a disagio. Lenni, ad esempio,
come Anita in Passaggio in ombra e Marianna in Madre e figlia, ha
difficoltà col linguaggio. Il disagio che prova si manifesta in una forte
reazione fisica: le parole sembrano avere un potere travolgente che


BENZINA: IL RAPPORTO SURREALE TRA MADRE E FIGLIA

crea un senso di soffocamento. Lenni non riesce a resistere contro la


violenza delle parole:
Ho le sabbie mobili in testa e vomito parole. E quando le sento traboccare, e
le ghiandole mi stringono tanto la gola che non riesco a respirare, allungo le
mani verso di te e strappo a caso, solo per aprirmi un varco. (p. )

Tornando ai versi che introducono il romanzo, che ricordano


l’impossibilità delle parole di poter esprimere completamente il nostro
essere, l’immaginario di sguardi diviene un mezzo alternativo e ne-
cessario attraverso il quale i personaggi femminili di questo romanzo
possono comunicare ed esprimere il proprio senso di sé.
Il finale surreale del romanzo può dunque essere letto nel con-
testo di una ricerca utopica di un mezzo di comunicazione. Dopo
l’esplosione, le tre donne, ora spiriti, si uniscono in un coro di risate,
deridendo le facce stupefatte dei poliziotti. Le donne creano maschere
da sub – che rappresentano l’ultimo regalo di Stella per Lenni per
la loro vacanza in Grecia – e le fanno piovere dal cielo sulla polizia.
Nel momento in cui si cospargono di benzina prima dell’esplosione,
Lenni e Stella immaginano il viaggio in Grecia e decidono di indossare
le loro maschere. Le maschere da sub simbolizzano i loro desideri e
la loro storia:
È per questo che a noi tre quassù ci viene da ridere, e non riusciamo a smettere
di inventare maschere e farle volare giù [...] e ora le possiamo ridere tutte le
storie, e lasciarle dondolare una dietro l’altra, piano piano, fino a quando non
toccano terra. (p. )

In quest’ultimo estratto le maschere diventano sinonimo delle


storie, e in questo senso il loro cadere è un elemento di un sistema di
comunicazione che non si basa sul linguaggio e sulla rigida struttura del
discorso, ma è usato dalle donne per raccontare le proprie storie.
Il ridere all’unisono, che esprime la felicità delle tre donne, arric-
chisce ulteriormente la surreale scena finale. I loro spiriti, finalmente
insieme, in volo sopra al distributore di benzina, paiono essersi uniti.
La maggior parte dei critici ha riconosciuto il suicidio finale come
una classica conclusione alla Thelma e Louise, dove non rimane al-

 R. SCOTT, Thelma e Louise, .


CAPITOLO SESTO

cuna scelta per le donne per continuare a vivere e sostenere la nuova


identità che hanno tentato di immaginare, ma, per molti aspetti il
finale di Benzina è positivo.
Generando l’esplosione al distributore di benzina, Stella e Lenni,
così come lo spirito della madre, sembrano accettare l’impossibilità
di formare un mondo tutto loro, al di fuori dell’influenza patriarcale,
ma le loro risate e la pioggia di maschere simbolizzano la ribellione
e il rifiuto del discorso patriarcale. La scena del divampare dell’in-
cendio contribuisce ulteriormente alla creazione di un’immagine di
purificazione trascendentale. Di conseguenza, l’immaginario surreale
del finale concorre a produrre una conclusione positiva della storia
e offre speranza per un nuovo simbolismo, che rimane comunque
utopico perché non può essere previsto con certezza.
Il tema del desiderio di un rapporto comunitario tra donne passa
attraverso la reinvenzione della figura della madre. È infatti la figura
della madre che subisce la maggiore trasformazione. Nella seconda
parte del romanzo, e in particolare nella parte finale, Stancanelli tenta
di proiettare la presenza materna al di fuori delle costrizioni patriar-
cali della maternità. Inoltre, nel progredire della narrazione la voce
materna sembra acquisire più importanza. Anche se la storia è narrata
da tre punti di vista differenti, alla fine del romanzo il punto di vista
della madre rinata si dilata fino a diventare la narratrice onnisciente
che legge nel pensiero dei poliziotti ed è a conoscenza delle loro
esperienze passate (-).
La figura materna ha ancora un ruolo di rilevanza in Benzina,
ma attraverso la reinvenzione creata da Stancanelli, il significato del
termine materno si sposta verso caratteristiche che sono “altro”, e
che permettono alla figlia di rapportarsi alla madre in modo diverso.
Il bisogno di inventare un nuovo modo di rapportarsi al corpo della
madre, evidente in Benzina attraverso l’immagine dello spirito della
madre e la sua metamorfosi, permette anche la proiezione di un modo
di percepire il corpo meno dannoso da quelli sanzionati dalla società
patriarcale. Quindi la madre non rappresenta più per la figlia un corpo
definito dal patriarcato, prescritto da canoni di bellezza ed elegan-
za; piuttosto, proietta nuove possibilità e immagini per modi nuovi
e alternativi di immaginare la soggettività e il rapporto madre-figlia.


CONCLUSIONI

Marianne Hirsch aveva messo in guardia sul fatto che i romanzi


che si focalizzano sul rapporto madre-figlia e che comunicano un
atteggiamento comprensivo verso la madre, ma anche rappresen-
tano la rottura con le tradizioni da lei raffigurate (romanzi definiti
da Hirsch «di famiglia femminista»), non erano veramente in grado
di simboleggiare la differenza. La figlia riconsiderava la storia della
madre nel patriarcato come lo scenario del suo proprio sviluppo, ma
proprio per questa ragione non era in grado di articolare un punto di
vista diverso: «Per la figlia femminista, guardare indietro al passato
può permettere una forma di conoscenza, una “ricerca prolungata,”
ma non permetterà una forma diversa di conoscenza».
Adalgisa Giorgio, rifacendosi a Hirsch, correttamente nota la pe-
culiare assenza di narrazioni che raccontano storie di figlie dal punto
di vista materno. Questo avviene persino nei casi in cui la presenza di
punti di vista materni è visibile nell’alternanza di voci di madre e figlia
notate da Hirsch in relazione alle scrittrici afro-americane e anche
riconosciuta da Giorgio nelle scrittrici italiane. Nel vasto corpus di
opere scritte dal punto di vista della figlia, Corpi e linguaggi individua
un discorso, illustrato nell’analisi di romanzi legati da caratteristiche
simili, che permettono la possibilità di scoprire «diverse» forme di
conoscenza. Hirsch aveva sperato in romanzi centrati sulla relazione
madre-figlia che avrebbero «incluso il corpo proprio mentre evita-

 M. HIRSCH, The Mother-Daughter Plot: Narrative, Psychoanalysis and Feminism,


Bloomington, Indiana University Press, , p. .
 A. GIORGIO (a cura di), Writing Mothers and Daughters, cit., p. .
 Ivi, p. 


CONCLUSIONI

vano l’essenzialismo». Dai romanzi analizzati nel presente studio, è


emerso che quando il rapporto con la madre entra in relazione con
l’evocazione del corpo femminile, e di conseguenza con la costruzione
di un immaginario femminile, forme diverse di conoscenza vengono
espresse nella contrapposizione al patriarcato che coinvolge sia la
figlia che la madre.
A diversi livelli e in vari modi, ogni romanzo analizzato rivela
un’enfasi o su immagini del corpo femminile, o su strutture diverse da
quelle prescritte da ciò che viene definito ordine Simbolico lacaniano.
Come la teoria lacaniana è utilizzata per la spiegazione dello sviluppo
dell’io, le figlie-narratrici studiate qui, tentano di definire se stesse in
relazione alla madre e disegnano o immaginano un legame che evoca
le teorie di Luce Irigaray, dei teorici del femminismo della corporeità,
e delle filosofe femministe italiane. Come avviene in queste teorie, i
romanzi selezionati investigano il corpo attraverso le opportunità di
una comunicazione non linguistica che esso offre, fuori dall’ordine
Simbolico: gli sguardi, il silenzio, il sogno, l’uso metonimico degli
abiti, e la sofferenza dei corpi di donne sono tutti elementi impiegati
nella narrazione del legame figlia-madre. Da questi romanzi emerge
chiaramente che un elemento reciproco – una ri-elaborazione, e a
volte, una re-invenzione della relazione con la madre – diviene parte
del senso di identità della figlia, e che la ridefinizione del senso di
identità della figlia è radicata in una dimensione corporea con la
madre. I romanzi selezionati mettono in luce il modo in cui il legame
viene problematizzato dall’elemento corporeo e la rivendicazione della
madre viene raggiunta non attribuendole una posizione autoritaria,
ma rinegoziando elementi di comunicazione e conoscenza al di fuori
della struttura del Simbolico patriarcale. In questo senso il discorso
illustrato attraverso l’analisi di Menzogna e sortilegio, Madre e figlia,
Passaggio in ombra, L’amore molesto, e Benzina è in sincronia con lo
studio della politica della differenza elaborato in Italia da filosofe quali
Luisa Muraro e Adriana Cavarero, e dal lavoro di Luce Irigaray.
Nei romanzi analizzati appare un movimento duale: da una parte
l’esposizione di una costruzione patriarcale della femminilità che porta

 M. HIRSCH, The Mother-Daughter Plot, cit. p. , trad. mia.


CONCLUSIONI

all’oggettificazione del soggetto donna, e dall’altro, un movimento


verso la re-definizione della soggettività della donna attraverso un
legame con la madre strutturato su elementi e forme di comunicazione
altre dal Simbolico maschile. Nella mia analisi, specchi e sguardi sono
emersi come immagini ricorrenti per esprimere costruzioni di identi-
tà. L’oggettificazione del corpo femminile è stata spesso manifestata
attraverso la rappresentazione degli sguardi maschili, o lo sguardo
di donne sottomesse al modello patriarcale di femminilità, come nel
caso della madre di Lenni in Benzina.
Specchi e percezione di sé negli sguardi degli altri hanno mostrato
una preoccupazione spesso interconnessa con un concetto di bellez-
za tradizionale. Tutte le madri sono percepite dalle figlie-narratrici
come dotate di una straordinaria bellezza, che è quella legata a una
percezione stereotipata del loro corpo, come nel caso di Anna in
Menzogna e sortilegio, Amalia in L’amore molesto e Giovanna in Ben-
zina. In altri casi, Marianna in Madre e figlia e Anita in Passaggio in
ombra, la bellezza è più un tributo della figlia-narratrice alla madre.
Ma è proprio la percezione di sé prodotta spesso dalle molte scene di
specchi, o di persone come specchi, che viene rivalutata, dando spazio
ad un concetto altro di corpo. Allora la sofferenza del corpo malato,
in Passaggio in ombra come in Madre e figlia, come la percezione
differente del corpo della donna visto in Benzina e L’amore molesto,
costruiscono anche specchi, che possono essere utili per una nuova
percezione dell’io della figlia-narratrice, e quindi per una “diversa”
forma di conoscenza, auspicata da Hirsch.
Menzogna e sortilegio mostra chiaramente attraverso la relazione
di Cesira e della figlia Anna, e poi attraverso il ritratto della stessa
Anna, il corpo della donna e la sua bellezza costruite nell’eteronorma-
tività patriarcale mettendo in luce come tale struttura neghi alle donne
la loro soggettività. Il corpo invecchiato di Cesira e la sua vergogna
nel guardare la fiorente bellezza di sua figlia si mescola alla reazione
invidiosa e cinica di Cesira davanti alla delusione sentimentale di
Anna. Il soggetto maschile e le dinamiche del desiderio eteroses-
suale determinano la percezione e il valore del corpo delle donne.
Il personaggio di Anna, ammirato e amato per la sua avvenenza, è il
perfetto simbolo della costruzione passiva della femminilità: seguendo


CONCLUSIONI

una tipica struttura freudiana, rifiuta la madre per il padre (il quale
è anche il veicolo della sua prima idea di matrimonio) e poi sposta
l’attenzione al suo amato.
Anna è incapace di stabilire una relazione valida e realizzabile
con la figlia, proprio come era avvenuto con la madre Cesira. Men-
tre Anna acquisisce un senso di identità attraverso l’immagine di se
stessa che la società patriarcale riflette su di lei, Elisa, al contrario,
ha difficoltà ad asserire qualsiasi immagine di se stessa. Le scene che
ritraggono Anna ed Elisa allo specchio enfatizzano questa differenza.
Anna è compiaciuta della propria bellezza, riflessa a lei da suo marito,
nell’atteggiamento di sostenere lo specchio. Al contrario, l’adulta
Elisa, sola nel suo appartamento, diviene null’altro che un’immagine
allo specchio, distaccata dalla sua identità corporea.
Nonostante l’amore di Elisa per la madre, la loro relazione non
contribuisce allo sviluppo dell’identità della figlia. La narrazione cir-
colare, che inizia e si conclude con il ritratto di Elisa mostra, in con-
clusione del romanzo, la figlia ancora in uno stato psicologico quasi
identico a quello dell’inizio. Morante raffigura una figlia dall’identità
sessuale indefinita e problematica, all’interno di una narrazione che
mette in luce l’importanza del materno attraverso metafore e attraverso
il ritratto, in particolare nel personaggio di Alessandra, di un concetto
positivo e istintivo della maternità. Nonostante l’interesse latente nel
materno, la relazione madre e figlia non riflette le caratteristiche positi-
ve del materno pur messe in evidenza nel romanzo. Anna è incorniciata
in una costruzione stereotipica dell’essere donna, che non permette
altra comunicazione con la figlia al di fuori da quelle permesse dalla
struttura patriarcale. In questa ambivalente prospettiva Elisa esprime
la sua difficoltà di raggiungere una soggettività. Sebbene la madre non
permetta una relazione donna-donna con sua figlia, il tentativo della
figlia è sintomatico della lotta per asserire un significativo legame con
la madre ai fini della costruzione di un senso di identitità di donna.
Il corpo della donna visto come riflesso dello sguardo maschile è
anche centrale nel romanzo di Sanvitale, Madre e figlia, ed è uno dei
diversi modi di interiorizzazione delle strutture socio-psicologiche
dominanti da parte della figlia, Sonia. Lo sguardo dello zio Paris
riflette il proprio desiderio nella giovane Sonia, conferendole con-


CONCLUSIONI

sapevolezza del suo corpo sessualizzato. Le suore e il cuginetto di


Sonia la vittimizzano per essere la figlia di una madre non sposata,
causando una sua drammatica rottura con la madre. Inoltre, la lotta
per l’emancipazione economica di Sonia nel sostenere sua madre e se
stessa, in modo da poter essere maggiormente integrate nella società
dominante, la distanzia dalla madre.
Tuttavia, le costruzioni patriarcali eteronormative e il rifiuto pro-
gressivo della figlia di ogni valore emancipatorio, che in verità mirava
al raggiungimento di valori maschili, lascia spazio alla valorizzazione
del corpo immaginario come corpo sessuato, connotato da attacca-
mento psicologico e affettivo, e come portatore di significato sia per
la madre che per la figlia. Le esperienze di aborto, aborto spontaneo
e cancro al seno rappresentate nel romanzo, contribuiscono tutte a
questo effetto, creando un legame emotivo tra figlia e madre, che
contrasta il potere della medilicalizzazione esercitata dalle istituzioni
sul corpo della donna. Diversamente da Menzogna e sortilegio, dove il
concetto positivo di maternità istintiva non è connesso allo sviluppo
di un legame tra madre e figlia che metta in luce elementi diversi da
quelli del Simbolico patriarcale, in Madre e figlia il linguaggio, i sogni
e l’immaginazione stabiliscono forme di comunicazione al di fuori
del Simbolico che mettono in relazione madre e figlia. L’immagine
finale della donna anziana sulla sedia a rotelle può di conseguenza
essere letta come una decostruzione della bellezza convenzionale, e
un omaggio ai corpi sofferenti discussi nel romanzo.
Il romanzo di Di Lascia, Passaggio in ombra, testimonia tale ne-
cessità di rielaborare un immaginario diverso capace di fornire nuove,
positive, prospettive. La figura della madre nel romanzo, Anita, è
di particolare interesse in questo senso. Attraverso il suo personag-
gio, il desiderio viene presentato al di fuori dell’economia edipica e,
di conseguenza, senza avvalorare il rifiuto della madre. L’enfasi sul
concetto della nascita, attraverso la professione di ostetrica di Anita
funziona concettualmente come un mezzo per ristabilire il valore del
femminile e del materno al centro del discorso del desiderio e della
soggettività. Sebbene la figlia-narratrice, Chiara, assomigli per vari
aspetti a Elisa di Menzogna e sortilegio e le è simile per il suo senso di
confusa identità e inanità, Di Lascia costruisce un sistema di forme


CONCLUSIONI

alternative di significato che permettono alla figlia una più positiva co-
struzione di identità. L’immagine della sirena senza coda che canta, la
percezione dei corpi malati e il silenzio come forma di comunicazione
sono elementi in grado di opporsi alla struttura dell’ordine Simbolico
patriarcale. Come Sonia, Chiara percepisce l’oggettificazione della
sua bellezza attraverso lo sguardo maschile, ma tale percezione è
successivamente decostruita attraverso l’apprezzamento di intuizione
e di diversità espresso dai corpi malati.
Nel romazo di Di Lascia perciò, la relazione tra madre e figlia è
connessa a elementi della narrativa che contribuiscono a esprimere
un significato altro da quello dell’ordine patriarcale. Nel romanzo di
Ferrante, L’amore molesto, tale discorso viene ulteriormente svilup-
pato con l’elaborazione di una genealogia passata da madre a figlia.
I vestiti lasciati dalla madre deceduta alla figlia acquisiscono il valore
di un codice che permette alla figlia di essere più vicina alla madre e
anche di entrare in contatto con il suo mondo interiore represso.
In L’amore molesto l’oppressione del patriarcato è del tutto pervasiva
e dipinta attraverso la rappresentazione della città di Napoli come luogo
sessista. I corpi di madre e figlia sono anche qui portatori di significato,
come elementi di un legame che li unisce. Delia ha represso non solo
il suo amore per la madre, ma anche il suo corpo e la sofferenza della
violenza subita da piccola. Il corpo della madre, tuttavia, rappresenta
per lei un riflesso dell’immagine patriarcale imposta su di loro dalla
società sessista. Il corpo della madre è stato connotato da caratteristiche
di eccesso e sessualità peccaminosa. La figlia assorbe questa percezione
che si intreccia dunque con il suo amore per la madre.
L’indagine sui motivi dell’improvvisa morte della madre porta la
figlia a rinegoziare la propria percezione della madre, che, attraverso
gli anni, è stata alterata dall’assimilazione dei valori patriarcali, ma
la porta anche ad acquisire un rinegoziato senso del proprio io. Lo
sviluppo della storia è scandito da un’alternanza di vestiti che la figlia
indossa, a volte senza pensarci, e alla fine, nel caso del tailleur di sua
madre, come parte di una conscia ricerca della chiave della verità
su sua madre e su se stessa. Gli abiti divengono in questo testo una
metonimia del corpo della madre, una forma alternativa di linguaggio
tra madre e figlia e tra Delia e il suo passato. Il legame figlia-madre


CONCLUSIONI

rinasce con il recupero del passato nella vita della figlia e con lo sta-
bilire una genealogia da madre a figlia.
Benzina di Stancanelli, che conclude il mio studio, è differente per
tema, struttura e tono dagli altri romanzi analizzati. Due figlie cercano
di re-immaginare il legame con le loro madri, ma è la madre che è
soggetta al cambiamento più radicale: da ignara vittima di un modello
patriarcale restrittivo al desiderio di una sua relazione paritaria con sua
figlia, Lenni, e la sua compagna, Stella. La relazione lesbica tra Lenni
e Stella non acquisisce lo stesso significato nella narrazione di quella
conferita all’immaginato rapporto armonioso tra le tre donne e tra
Stella e la sua madre immaginata. È il rapporto tra donne, e quindi il
riconoscimento della donna nella madre, ad acquisire netta rilevanza
nel romanzo, e quindi a prospettare un nuovo immaginario.
Comportamenti problematici relativi alla distorsione della relazio-
ne madre-figlia causati dal patriarcato vengono anche sviluppati nel
romanzo di Stancanelli. Come in Passaggio in ombra, Madre e figlia
e L’amore molesto, in Benzina la percezione del corpo della figlia è
mediata in lei attraverso il punto di vista patriarcale. Tuttavia, diver-
samente dai romanzi di Di Lascia, Sanvitale e Ferrante, qui la madre
è percepita dalla figlia come una partecipante attiva alla costruzione
generata dal sistema patriarcale. L’imposizione di un modello pa-
triarcale è focalizzata, in questo caso, sulla necessità di disciplinare il
proprio corpo secondo un concetto di bellezza accettato e dominante.
La madre, con la sua eleganza e il suo perfetto aspetto, è sia simbolo
che vittima di questa oppressione.
La reinvenzione della madre elaborata da Stancanelli critica l’isti-
tuzione della maternità e la sua esperienza in un sistema patriarcale,
suggerendo la necessità di un nuovo immaginario, simile a quello teo-
rizzato da Irigaray, che valorizzi la relazione tra madre e figlia come una
relazione tra donne. Diverse strategie permettono questa ri-elaborazio-
ne. Innanzitutto, lo spazio del distributore di benzina, che è sia isolato
che interconnesso al resto del mondo, appare lontano da costrizioni
patriarcali. Lo sguardo tra madre e figlia è una forma di comunicazione
che evoca l’interpretazione di Cavarero del mito di Demetra e Core.
La creazione dello spirito della madre permette un ripensamento del
ruolo di madre e moglie e l’immagine di un nuovo ruolo, più equo e di


CONCLUSIONI

sostegno per le donne. Più che in ogni altro romanzo qui analizzato, in
Benzina sogni, fantasia e immaginazione sono impiegati per esprimere
immagini rinnovate di madri. È interessante notare che il romanzo di
Stancanelli, come quelli di Morante e Sanvitale, si conclude con l’im-
magine di una donna o madre in una dimensione celestiale o cosmica,
come per sottolineare che una condizione positiva, alternativa alla figura
materna, deve essere cercata nel mondo dei sogni, al di fuori delle
possibilità offerte dal patriarcato.
In tutti i romanzi ricorrono immagini che si riferiscono ad un
sistema di conoscenza diverso dal Simbolico e che mettono in luce una
dimensione corporea. Attraverso il loro particolare uso del linguag-
gio questi romanzi mostrano la necessità di indicare un’alternativa
al tipo di espressione e all’identità permessa nel sistema patriarcale.
Proprio come nella filosofia femminista italiana ispirata alla politica
della differenza di Irigaray, i romanzi analizzati in questo volume
hanno rivelato il ruolo del corpo nell’articolare «una relazione con la
jouissance femminile diversa da quella che funziona in accordo con il
modello fallico». Come nella filosofia del femminismo italiano e in
quello di Irigaray, il concetto del materno è imperniato, non solo sulla
comprensione ed esperienza della maternità, ma sulla potenzialità di
un nuovo Simbolico che può essere offerto attraverso una relazione
figlia-madre intesa a ridefinire il soggetto donna in sé, e non solo come
“altro” oggettificato del soggetto maschile. Nel viaggio iniziato con
Elisa di Morante e conclusosi con Lenni di Stancanelli è venuta alla
luce una gamma di possibilità per l’articolazione del desiderio dei
personaggi femminili e per un migliore raggiungimento del senso di
sé della figlia-narratrice. Soprattutto si è potuto apprezzare il potere
della letteratura nel suggerire modi alternativi di significato.

 L. IRIGARAY, The Irigaray Reader, cit. p. , trad. mia.


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INDICE ANALITICO

Accati, Luisa,  e n Cairoli, Adelaide, 


affidamento, , , -,  Cavarero, Adriana, , ,  e n, ,
Aleramo, Sibilla,  , ,  en, -,  e n, ,
Andreini, Alba, ,  n  e n,  e n, -,  e n,
Arendt, Hannah, ,  , , , 
autocoscienza, , ,  Nonostante Platone,  n,  n,
Azzolini, Paola,  e n  n,  e n
Cecchi, Carlo,  n,  e n
Bachmann, Ingeborg Chodorow, Nancy
Ondina se ne va,  La funzione materna. Psicoanalisi
Banti, Anna,  n e sociologia del ruolo materno, 
Bardini, Marco,  n,  n,  n Cigarini, Lia, 
Beccari, Gualberta,  n Cixous, Hélène,  e n, 
bellezza femminile, , , , , Clytemnestra, si veda Orestea
, , , ,  Col di Lana, 
Benedetti, Laura Collegamento delle Lesbiche Italiane
Tigress in the Snow,  e n,  n (CLI), 
Benjamin, Jessica, ,  Collettivo di via Cherubini, 
Like Subjects, Love Objects,  e n corpo (si veda anche corporeità),
binarismo/opposizione binaria,  e n, , , , , , -, , , ,
,  -, , -, -, , , ,
Blelloch, Paola,  n,  e n , , , -, -, , ,
Boulous Walker, Michelle,  e n, , , , , , -, , -
 n , , -, -, , ,
Braidotti, Rosi,  n , , , , -, , ,
Bravo, Anna , , -, -, , ,
A colpi di cuore,  e n -, , -, , -,
Brennan, Teresa,  e n -, , , -, -,
Butler, Judith,  e n,  e n -, 
medicalizzazione (del corpo), , ,



INDICE ANALITICO

corporeità (si veda anche corpo), , Ferrante, Elena, , , , , , 
-, -, , , , , , La frantumaglia, , ,  n,
-, , ,   e n
L’amore molesto, , , , -,
D’Cruz, Doreen,  , , , , 
de Beauvoir, Simone, - Finucci, Valeria,  n, 
De Grazia, Victoria,  e n Firestone, Shulamith, 
de Lauretis, Teresa,  e n follia, , , 
Demau (Demistificazione Autoritari- Foucault, Michel, - e n
smo), -, , ,  Fouque, Antionette, , 
Demetra e Core, mito di,  n, -, Freud, Sigmund, , , -, , -,
,  , , -, , , , , ,
Derrida, Jacques, ,  e n , , , 
Dickinson, Emily,  n complesso di castrazione, -,
differenza sessuale, , -, , , , , 
, , , , , , , , ,  complesso di Edipo, , -, -,
Di Lascia, Mariateresa, , , ,  , , , , , , , , 
Compleanno,  Familienroman, , 
Veglia, ,  n fase dello specchio, , 
Passaggio in ombra, , -, Sessualità femminile, 
, , , , ,  Totem e Tabù, 
Dinnerstein, Dorothy,  Friday, Nancy
Diotima, , ,  e n, ,  e n, ,  n Mia madre, me stessa, 
Dominijanni, Ida,  e n,  e n Fuss, Diana,  e n,  n

écriture feminine,  Gallop, Jane,  n, 


E l’ultima chiuda la porta: l’importanza Gatens, Moira,  n,  n, ,  e n
di chiamarsi lesbiche, ,  n Gestalt, , 
essenzialismo, , ,  e n, ,  Gilligan, Carol, Con voce di donna, 
etica della cura,  Ginzburg, Natalia, , 
Giorgio, Adalgisa
fascismo, -,  e n,  e n Writing Mothers and Daughters,
femminismo ,  n,  e n,  n,  e n,
anglo-americano, -, ,   e n
e letteratura lesbica,  Grosz, Elizabeth,  n,  n,  n,  e n,
francese (si veda anche «Psycana- ,  n, ,  e n,  e n
lyse et Politique») ,  Gruppo di difesa donna,  n
italiano, , , , -, -, ,
, , ,  Hallamore Caesar, Ann,  e n,  n,
radicale,   e n,  n


INDICE ANALITICO

Hirsch, Marianne Lacan, Jacques, -, ,  n, , , ,


The Mother-Daughter Plot, -, ,  n, , , , , 
, ,  e n,  n,  Scritti, 
Horney, Karen,  Legge del Padre, , 
Immaginario, , -, , 
Irigaray, Luce, ,  e n, ,  n, , -, Simbolico, , , , 
, , , , ,  e n, , , - Le madri di tutte noi. Catalogo giallo,
, , , ,  e n,  e n, -, , , , 
 e n, , , , , , , Lévi-Strauss, Claude, 
 e n,  e n, ,  e n,  e n, Libreria delle donne di Milano, , 
 e n,  e n, , ,  e n Non Credere di avere dei diritti,
Amante marina di Friedrich  e n, ,  n, ,  e n
Nietzsche,  Libreria delle donne di Torino, 
Amo a te,  n Lonzi, Carla, , -, , , ,
E l’una non sogna senza l’altra, , 
- Sputiamo su Hegel,  e n
immaginario, , -, , ,  Lorde, Audre, 
La povertà della psicoanalisi,  n Lucamante, Stefania
Le Langage des Déments,  n A Multitude of Women, ,  e n
Parlare non è mai neutro,  Under Arturo’s Star,  n
Quando le nostre labbra si par- Lukács, Georg, 
lano, 
Questo sesso che non è un sesso, Macey, David,  e n
 n,  n,  n, ,  n McDowell, Linda, ,  n
simbolico, , , , , , -,  madre fallica, 
Speculum,  n, ,  n, ,  n, malattia, , , , , , -
 n,  Marrone, Gaetana,  e n,  n
Martone, Mario, 
Jacob, Amber marxismo, 
On Matricide,  e n mascolinizzazione, , , 
Jacobson, Roman,  matricidio, ,  e n, , 
Mayno, Ersilia,  n
Klein, Melanie, , -, ,  metafora e metonimia, , 
Kristeva, Julia, , , ,  e n Miller, Nancy,  e n
chora,  Mitchell, Juliet,  n
Rivoluzione del linguaggio poe- Morante, Elsa, , , -, , ,
tico,  e n , , , , 
Stabat Mater,  e n,  n Diario 1938,  e n,  n
Kuliscioff, Anna,  e n Il ladro di lumi,  n
La nonna,  n


INDICE ANALITICO

L’isola di Arturo,  Il figlio dell’Impero,  n


Menzogna e sortilegio, , , , La realtà è un dono, 
-,  La scrittura e l’autore, 
Moravia, Alberto, ,  L’uomo del parco,  n
Mozzoni, Anna Maria,  e n,  Madre e figlia, , -, , ,
La donna e i suoi rapporti sociali, , , -, , 
 n Verso Paola,  e n
traduzione di John Stuart Mill,  n Sartre, Jean-Paul, 
Muraro, Luisa,  e n, , , , , - Saussure, Ferdinand de, , 
L’ordine simbolico della madre, Scarano, Emanuella,  e n, ,  n,
, ,  e n  e n
Maglia o uncinetto, ,  Schiavo, Maria, 
Movimento a più voci,  e n,  n,
Nathan, Sara,  n  e n
Schifano, Jean-Noël,  e n
Olivier, Christiana Schor, Naomi,  e n
Jocasta’s Children, ,  n scrittrici afro-americane, 
Orestea,  Serrano, Lucienne,  e n
Clitemnestra,  sguardo, , , ,  e n, , , ,
ostetricia, -, - , , -, , , , 
silenzio, , , , , -, ,
Pearlman, Mickey,  e n,  n 
Petrucco Becchi, Anna,  e n Sinibaldi, Marino,  n,  e n
Plath, Sylvia,  sogni, , , , , , , , ,
pratica delle relazioni tra donne, , , , 
 e n somatophobia, 
pratica dell’inconscio, - Stancanelli, Elena
«Psychanalyse et Politique», -, ,  Benzina, , , -, , ,
questione femminile,  e n,  , 

Re, Lucia,  e n Unione Donne Italiane (UDI), 


Reddy, Maureen,  e n
Restaino, Franco,  e n,  e n Vegetti Finzi, Silvia,  e n,  n
Rich, Adrienne, ,  n Virginia Woolf Centro Culturale, 
Rivolta femminile,  n, 
Rosa, Giovanna,  e n,  Walker, Alice,  e n
Ruddick, Sara,  e n Warner, Marina,  e n
Whitford, Margaret,  e n, ,  n,
Sanvitale, Francesca, , , ,  e n  n,  e n, ,  n, 
Camera ottica,  n,  n,  n
Il cuore borghese,  Zamboni, Chiara, 


Finito di stampare nel mese di dicembre 
per conto della casa editrice Il Poligrafo srl
presso la Litocenter di Piazzola sul Brenta (Padova)
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