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YERITZA PESSELLIN

Abogada

Bogotá, 04 agosto 2023

Signori:
AMBASCIATA D'ITALIA IN COLOMBIA
GHERARDO AMADUZZI
Ambasciatore

RIF: DOMANDA DI RICONOSCIMENTO E DI CONCESSIONE DELLA


NAZIONALITÀ ITALIANA DA PARTE DI ELIVIO ZORIO FERRARO,
ASCENDENTE ITALIANO Ius sanguinis.

YERITZA KATHERYN PESSELLIN MENDOZA, avvocato identificato con la


cédula de ciudadanía (documento d’identità) numero 1.065.647.443 di
Valledupar, con il tesserino professionale numero 324. 026 del Consiglio
Superiore della Magistratura, avvocato della signora SANDRA MILENA ZORIO
LABRADOR, identificata con la cédula de ciudadanía numero 52981384 di
Bogotà, con la presente faccio richiesta del riconoscimento e la concessione della
cittadinanza italiana in quanto discendente diretta di antenati italiani secondo il
regolamento attuale in Colombia e le leggi internazionali che tutelano i suoi diritti
e interessi secondo quanto segue:
I FATTI COSTITUTIVI PER IL RICONOSCIMENTO DEL DIRITTO
1.1. In conformità con l'adempimento dei requisiti legali richiesti dall'Ambasciata
d'Italia in Colombia per il riconoscimento della cittadinanza italiana ai
discendenti di antenati italiani, secondo il regolamento attuale e poiché la mia
cliente è nipote di un nonno italiano prima del 1948, procediamo ad allegare la
relativa documentazione delineata con la legge di richiesta di domicilio della
stessa.
1.2. Il mio cliente rivendica il suo diritto sulla base dello Ius sanguinis (dal
latino, "diritto di sangue") come criterio giuridico che un ordinamento può
adottare per la concessione della cittadinanza. Secondo lo ius sanguinis, una
persona acquisisce la nazionalità dei suoi ascendenti semplicemente in virtù
della sua discendenza (biologica o anche adottiva), anche se il luogo di nascita è
in un altro Paese.
YERITZA PESSELLIN
Abogada
1.3. Per quanto mi riguarda, vale la pena notare che lo ius sanguinis è il diritto
del sangue, un'espressione latina che implica che l'identità nazionale è qualcosa
di ereditato dai genitori, un'identità collettiva che si trasmette di generazione in
generazione.
1.4. Lo Ius sanguinis non prevede limiti generazionali, senza salto generazionale.
Poiché la mia cliente è una discendente diretta di un parente che era cittadino
italiano, in questo caso è una nipote in linea paterna, con una doppia dimensione
e portata in quanto figlia di CARLOS ELIVIO ZORIO JAIMES e nipote
dell'antenato italiano signor ELIVIO ZORIO FERRARO.

II STORIA DELLA FAMIGLIA (IUS SANGUINIS) RELAZIONE DEL MIO


MANDANTE CON GLI ASCENDENTI ITALIANI IN LINEA PATERNA
2.1 La mia cliente, SANDRA MILENA ZORIO LABRADOR, identificata dalla
cédula numero 52981384 di Bogotà, è di nazionalità colombiana.
2.2 SANDRA MILENA ZORIO LABRADOR, è parente di sangue in primo grado del sig.
CARLOS ELIVIO ZORIO JAIMES (R.I.P.), cioè come padre, che in vita era identificato
con la cédula numero 19.439. 923 di Bogotà, figlio dell'ascendente italiano sig. ELIVIO
ZORIO FERRARO, identificato con la carta d'identità di straniero (cédula de extranjería)
numero 3028, che non ha MAI RINUNCIATO ALLA SUA NAZIONALITÀ ITALIANA, non
ha ottenuto la carta di cittadinanza colombiana (cédula de ciudadanía), come si può
verificare attraverso il Certificato N. ANI - 397537 rilasciato dalla REGISTRADURÍA
DELEGADA PARA EL REGISTRO CIVIL Y LA IDENTIFICACIÓN DIRECCIÓN NACIONAL
COORDINACIÓN CENTRO DE ATENCIÓN E INFORMACIÓN CIUDADANA "CAIC" che, una
volta verificata la Banca Dati dell'Archivio Nazionale di Identificazione ANI, ad oggi non
ha registrato alcuna cedulación (rilascio di documenti di identità o di cittadinanza) per:
Nome: ELIVIO ZORIO FERRARO
Le informazioni consultate nell'Archivo Nacional de Identificación A.N.I. si basano su UN
ALTRO: AT- No. 2023-00293. Allo stesso modo, considerando che la Registraduría inizia
il processo di cedulación a partire dall'anno 1952 per gli uomini e dall'anno 1956 per le
donne, se la persona indicata in questo certificato non ha effettuato il processo di
creazione della cédula de ciudadanía con riferimento a queste date, NON ha ottenuto la
cédula de ciudadanía. (Allego la certificazione nella sezione prove).
YERITZA PESSELLIN
Abogada

2.3 Alla luce di quanto appena detto, la mia cliente Sandra Zorio, è legata al signor ELIVIO
ZORIO FERRARO da vincoli di sangue di secondo grado.
III STORIA DELLA FAMIGLIA (IUS SANGUINIS) PARENTELA DEL PADRE DEL MIO
CLIENTE CARLOS ZORIO JAIMES CON L'ANTENATO ITALIANO SUO PADRE ELIVIO
ZORIO FERRARO LINEA PATERNA.
3.1 La problematica di codesta ambasciata ha preceduto la richiesta fatta dal mio cliente
a suo tempo e della quale hanno traccia all’identificare il riconoscimento di suo padre
CARLOS ZORIO JAIMES come figlio adottivo del ascendente paterno italiano, a causa
di:
Riesaminare la decisione di non concederlo sulla presunzione che il sig. Carlos Zorio è
stato adottato quando era maggiorenne, fatto non veridico, visto che è privo delle
condizioni necessarie per un giudizio congruo, considerando che: a) non è conforme ai
fatti antecedenti che hanno motivato la richiesta né ai diritti richiesti, a causa di un errore
di fatto e di diritto, nell'esame e nella considerazione della petizione della richiedente, b)
si rifiuta di adempiere al mandato legale di garantire alla parte lesa il pieno godimento
del suo diritto, come stabilito dalla legge C) si basa su considerazioni imprecise quando
non del tutto erronee D) la sentenza incorre in un errore essenziale di diritto, soprattutto
per quanto riguarda l'esercizio dell'azione, che si dimostra inane alle richieste del
ricorrente, a causa dell'errata interpretazione dei suoi principi.
Non vi è un'analisi esaustiva delle prove presentate, che stabiliscono chiaramente la data
e l'età in cui il signor CARLOS ZORIO JAIMES è stato adottato come figlio del signor
ELIVIO ZORIO FERRARO, come segue:
3.2 ELIVIO ZORIO FERRARO (R.I.P.) nato in Italia nel comune di Sagliano Verce, figlio
di Tercilla Ferraro, emigrato in Colombia per lavorare come ingegnere nel settore
industriale e civile, ha sposato la signora JULIA MARIA JAIMES RAMIREZ (R.I.P.) di
nazionalità colombiana.
3.3 Si è sposato L’8 agosto 1942 nella Parrocchia “Nuestra señora de las Nieves”, nella
città di Pamplona, situata nella regione di Norte de Santander, situazione giuridica che è
dimostrata attraverso l’atto di Matrimonio con numero di serie 4163650 registrato nello
studio notarile con numero di codice 4842, atto numero 734 con l'annotazione che è
valido per dimostrare la parentela, firmato dal funzionario del momento Dr. William
Acevedo Lopez, Dr. William Acevedo Lopez. William Acevedo López, questo atto di
matrimonio sostituisce quello che si trova al foglio 229 del volume 02 del 1942 in virtù
della correzione del Registro Civile dei Matrimoni con atto pubblico numero 734 del
YERITZA PESSELLIN
Abogada
03/07/07 Libro varios Volume 24 In qualità di denunciante, attesto il mio mandante
ZORIO LABRADOR SANDRA MILENA.
IV DELL'ADOZIONE DEL SIG. CARLOS ZORIO JAIMES (PADRE DEL MIO
COMMITTENTE, ORA RICORRENTE)
4.1 Come descritto sopra, il signor ELIVIO ZORIO sposò la signora JULIA MARIA JAIMES
RAMIREZ, entrambi ebbero un figlio che fu adottato dal signor ELIVIO ZORIO, che
chiamarono CARLOS ZORIO JAIMES, osservazioni che descriverò:
4.2 Nel settimo ufficio notarile del círculo de Bogotà, l'atto pubblico numero
01312 del 23 marzo 1963 fu rogato dal settimo notaio che agiva in quel momento,
LUIS CABRERA, e dai testimoni JULIO CADENA e MARIO GALLEGO PATIÑO,
che all'epoca non citarono niente che sarebbe potuto essere d’impedimento
all'atto di richiesta del permesso di adozione del minore CARLOS ELIVIO, tramite
un rappresentante legale richiesto dal signor ELIVIO ZORIO FERRARO e dalla
signora JULIA MARIA JAIMES.
4.3 Le prove attendibili che il signor CARLOS ZORIO JAIMES è stato adottato
all'età di due anni dai ricorrenti ELIVIO ZORIO FERRARO e JULIA MARIA
JAIMES sono le seguenti:
In primo luogo, l'atto pubblico n. 01312 del 23 marzo 1963, in cui si dichiara che
il minore Carlos Elivio Zorio è nato nel 1961 e che è stato adottato dai coniugi,
che hanno presentato il loro ruolo di padri fin dalla nascita del minore, atto che
è stato anche legalizzato con una sentenza come atto del potere legislativo
colombiano, le cui decisioni adottate dal Secondo Tribunale Civile (02) del
Circuito di Bogotà sono definitive.
In secondo luogo, il fatto che dall'esame e dalla valutazione delle prove da parte
del tribunale non siano emerse informalità derivanti né da vizi di forma né di
sostanza, la sentenza è la massima espressione della legalità del processo di
adozione, sancita dall'atto pubblico allegato.

4.4 Ad ogni modo, vorrei sottolineare il concetto e la portata del CURADOR AD


LITEM (PROCURATOR AD LITEM) nella nostra legislazione colombiana, che è la
persona incaricata della difesa della parte processuale che per qualche motivo non
può partecipare al processo, o quando la parte è incapace e per questo motivo non
può assumere la propria difesa (sottolineato fuori testo).
YERITZA PESSELLIN
Abogada
Nel caso del padre del mio cliente, il CURADOR AD LITEM lo ha assistito perché
non era in grado di esercitare i propri diritti e obblighi contrattuali e, in quanto
soggetto di protezione speciale, i suoi interessi devono essere garantiti in modo
adeguato. A questo proposito, nella Sentenza T-689-12 della Corte costituzionale
BAMBINI COME SOGGETTI SOTTOPOSTI A PROTEZIONE SPECIALE ED IL
SUPERIORE INTERESSE DEL MINORE - La tutela e i loro diritti prevalgono sui
diritti degli altri

Ai sensi dell'articolo 44 della Costituzione, sono diritti fondamentali dei bambini: la vita,
l'integrità fisica, la salute e la sicurezza sociale, un'alimentazione equilibrata, il loro nome e la
loro nazionalità, avere una famiglia e non essere separati da essa, la cura e l'amore, l'educazione
e la cultura, lo svago e la libera espressione della loro opinione. Godono, inoltre, degli altri diritti
sanciti dalla Costituzione, dalle leggi e dai trattati internazionali ratificati dalla Colombia. Questa
stessa disposizione stabilisce che i bambini devono essere protetti contro ogni forma di abbandono,
violenza fisica o morale, rapimento, vendita, abuso sessuale, sfruttamento lavorativo o economico
e lavoro pericoloso. Questo articolo impone alla famiglia, alla società e allo Stato l'obbligo di
assistere e proteggere i bambini per garantire il loro sviluppo armonico e integrale, stabilendo
come principio generale che i diritti dei bambini devono prevalere sui diritti degli altri (enfasi
aggiunta). e che saranno considerati fondamentali a tutti gli effetti, richiedendo che ne venga
privilegiato e assicurato il pieno esercizio e godimento. La speciale protezione dei minori e la
prevalenza dei loro diritti rappresentano veri e propri valori e principi che sono chiamati non solo
a irradiare l'emanazione, l'interpretazione e l'applicazione di tutte le norme di giustizia attribuibili
ai minori, ma anche a guidare la promozione di politiche e l'attuazione di azioni concrete volte al
raggiungimento del loro benessere fisico, morale, intellettuale e spirituale, intendendo tale
benessere come una delle cause finali della società e dello Stato, e come obiettivo dell'ordinamento
giuridico.

SUPERIORE INTERESSE DEL MINORE - Criteri giuridici per la sua


determinazione

“Le decisioni prese dalle autorità amministrative e giudiziarie per il benessere della famiglia,
compresi i giudici tutelari, allo scopo di stabilire le condizioni che meglio rispondono all'interesse
dei bambini in situazioni specifiche, nell'esercizio della propria discrezionalità e in conformità
con i loro doveri costituzionali e legali, devono tenere conto sia (i) dei criteri giuridici pertinenti,
cioè dei parametri e delle condizioni stabiliti dall'ordinamento giuridico per promuovere il
benessere del bambino, sia (ii) di un'attenta valutazione delle circostanze di fatto che circondano
il benessere del bambino, deve tenere conto sia (i) dei criteri giuridici pertinenti, cioè dei
parametri e delle condizioni stabiliti dal sistema giuridico per promuovere il benessere del
bambino, sia (ii) di un'attenta valutazione delle circostanze di fatto che circondano il bambino
coinvolto, intese come le circostanze specifiche del caso, viste nella loro totalità e non in modo
isolato." (enfasi aggiunta)
YERITZA PESSELLIN
Abogada

INTERESSE SUPERIORE DEL BAMBINO-Regole costituzionali, legali e


giurisprudenziali

La Corte ha stabilito regole costituzionali, legali e giurisprudenziali che possono essere applicate
per determinare ciò che costituisce l'interesse superiore di ciascun bambino, a seconda delle sue
particolari circostanze: (i) Garanzia dello sviluppo integrale del minore; (ii) Garanzia delle
condizioni per il pieno esercizio dei diritti fondamentali del minore; (iii) Protezione del minore
dinanzi a rischi proibiti; (iv) Equilibrio tra i diritti dei minori e i diritti dei genitori, sulla base
della prevalenza dei diritti del minore; (v) Fornitura di un ambiente familiare adatto allo sviluppo
del minore; (vi) Necessità di ragioni impellenti che giustifichino l'intervento dello Stato nelle
relazioni genitori/figli.

CONVENZIONE SUI DIRITTI DELL’INFANZIA - Fa parte del blocco di


costituzionalità.

CONVENZIONE SUI DIRITTI DELL’INFANZIA-Diritto del bambino a non essere


separato dai genitori contro la loro volontà/CONVENZIONE SUI DIRITTI
DELL’INFANZIA-Eccezione al diritto di non essere separato dai genitori contro la loro
volontà

L'articolo 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo, che sancisce il diritto dei bambini a non
essere separati dai genitori contro la loro volontà, è pienamente in vigore nel nostro ordinamento
giuridico. Questa disposizione normativa indica che lo Stato deve assicurare la garanzia di questo
diritto, che ammette un'eccezione quando, attraverso un controllo giudiziario, le autorità
competenti stabiliscono, in conformità con la legge e le procedure applicabili, che tale separazione
è necessaria nell'interesse del bambino. La norma prevede quindi questa eccezione nei casi in cui
il bambino sia maltrattato o trascurato dai genitori o nel caso in cui i genitori vivano
separatamente e sia necessario prendere una decisione in merito al luogo di residenza del
bambino.

4.5 In quell'ordine di idee e una volta evidenziata e definita la figura del Curador
Ad litem e il preminente interesse del minore, in quell'atto viene menzionata anche
la presenza del Secondo Giudice Civile del circuito di Bogotà, il Dott. Eduardo
Murcia Pulido, poiché il MINORE CARLOS ZORIO, nacque nella città di Bogotà 11
giugno 1.961 e fu battezzato nella parrocchia di “Nuestra Señora de Chiquinquirá”
il 22 luglio, dove il sig. ELIVIO ZORIO FERRARO e la sig.ra JULIA MARIA JAIMES
RAMIREZ DE ZORIO, coniugati tra loro, fecero causa che fu avviata presso il
Secondo Tribunale Civile del Circuito di Bogotà, al fine di ottenere la LICENZA
GIUDIZIARIA DI ADOZIONE DEL MINORE CARLOS ZORIO, precisando che dalla
nascita del minore è in potere dei coniugi.
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4.6 Il curador ad litem (procurator ad litem) nominato, ha percorso tutto l'iter
giudiziario all'interno del quale ha accertato la qualità dei coniugi ricorrenti, ha
verificato che fossero maggiorenni e che il bambino fosse più giovane di 15 anni
rispetto ai genitori adottivi, oltre alle qualità morali dei genitori adottivi,
economiche per risolvere le condizioni di sviluppo del bambino in un clima di affetto
e benessere, che sono state ritenute conformi a tutti i requisiti legali per
l'educazione, l'istruzione e che hanno garantito un senso di sentenza
FAVOREVOLE.
4.7 DELLA CAUSA DEPOSITATA PRESSO IL SECONDO TRIBUNALE CIVILE DEL
CIRCUITO DI BOGOTÀ
CAUSA DI ADOZIONE
Con domanda giudiziaria del 23 gennaio 1963, ELIVIO ZORIO FERRARO e JULIA
MARIA JAIMES RAMIREZ de ZORIO, coniugati tra loro, chiesero l'adozione del
minore CARLOS ZORIO JAIMES.
La richiesta fu accolta con ordinanza del 24 gennaio 1962, trasmessa al
delegato distrettuale (personero distrital), il quale, da uno studio approfondito
delle prove, non ha riscontrato alcun vizio che rendesse nullo il procedimento,
per cui il delegato, all'epoca in carica, ha espresso parere favorevole,
formulando al riguardo le osservazioni seguenti:
“L’adozione è l’affidamento come figlio di chi non lo è per natura”.
Il fatto che l’adottante abbia avuto, abbia o avrà figli legittimi, naturali o adottivi
non preclude l'adozione.
Nel caso dell'ordinanza, con i documenti allegati alla domanda ed entro il termine
probatorio e le dichiarazioni dei signori HUGO RAMIREZ MALDONADO, ALVARO
ROBAYO e Cesar Aristizábal, sono stati soddisfatti i requisiti della Legge 140 del
1960, ossia il matrimonio, l'età, la moralità, i buoni costumi e la solvibilità
economica dei richiedenti, nonché l'idoneità del minore da adottare".
4.8 Pertanto, in una decisione del 02° Tribunale Civile del Circuito di Bogotà, la
Corte ha stabilito che:
1. CONCEDERE l'autorizzazione all'adozione ai coniugi ELIVIO ZORIO FERRARO
E JULIA MARIA JAIMES DE ZORIO, per l'adozione congiunta del bambino CARLOS
ZORIO JAIMES, la cui sentenza è stata letta in udienza pubblica il 18 1962
(sottolineato fuori testo).
La situazione è chiara e va oltre ogni ragionevole dubbio sul fatto che la mia
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cliente, che è infatti nipote di un italiano e figlia di un discendente italiano,
merita il suddetto riconoscimento.

V ORIGINE E SIGNIFICATO DEL COGNOME ZORIO


Fonte: Articolo sul cognome etimologico
Il cognome Zorio è un nome originario dell'Italia, precisamente della regione
Friuli-Venezia Giulia.
Da quanto tempo esiste questo cognome?
Il cognome Zorio è di origine italiana e ha una lunga storia che risale a diversi
secoli fa. Si ritiene che abbia avuto origine in Emilia-Romagna, nell'Italia
settentrionale. Anche se non esiste una data esatta della sua comparsa, si stima
che il cognome Zorio esista almeno dal XV secolo.
In quel periodo l'Italia era divisa in diversi Stati e regioni, ognuno con la propria
cultura e le proprie tradizioni. I cognomi sono emersi come forma di
identificazione e di appartenenza a una certa famiglia o stirpe. Nel caso del
cognome Zorio, è probabile che sia nato come nome proprio che poi è diventato
un cognome ereditario.
Nel corso dei secoli, il cognome Zorio ha subito variazioni di ortografia e di
pronuncia, come accade per molti cognomi. Tuttavia, la sua radice e il suo
significato sono rimasti relativamente costanti. Il termine "Zorio" deriva dal latino
"zorius", che significa "alba" o "aurora". Ciò potrebbe indicare che i primi portatori
del cognome Zorio erano legati ad attività connesse alla luce o all'inizio di
qualcosa di nuovo.
Oggi il cognome Zorio si trova soprattutto in Italia, in particolare nella regione
Emilia-Romagna. Tuttavia, si possono trovare persone con questo cognome
anche in altri Paesi, soprattutto quelli con una forte influenza italiana, come
l'Argentina, gli Stati Uniti e il Brasile.
In breve, il cognome Zorio ha una storia che risale almeno al XV secolo in Italia.
La sua origine è legata alla regione Emilia-Romagna. Sebbene abbia subito
variazioni nel corso dei secoli, il cognome Zorio è ancora oggi parte dell'identità
di molte famiglie.
VI Fotografie come prova documentale della veridicità dei fatti dichiarati
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Abogada

LA FORNITURA DI PROVE FOTOGRAFICHE


La pratica di fornire nuove prove consistenti in prove fotografiche o videografiche
per dimostrare in modo visivo al giudice i fatti che vengono richiesti, e la sua
portata è considerata nello studio dell'autenticità e della validità delle stesse, in
quanto in questo caso la fotografia è considerata uno dei modi più adatti per
rappresentare il contenuto dell'atto pubblico e della sentenza emessa dal
Secondo Tribunale Civile del Circuito di Bogotà, riferendosi alla giovane età del
signor Carlos Zorio, padre della ricorrente Sandra Zorio.
Ammesso lo scopo delle immagini - servire come mezzo di prova - l'uso
dell'immagine non è considerato abusivo, arbitrario o ostentativo del diritto.
La fotografia è una prova documentale di natura rappresentativa.
"Il valore probatorio delle fotografie non dipende solo dalla loro autenticità
formale, ma dalla possibilità di stabilire se l'immagine rappresenti i fatti che le
sono attribuiti, e non altri che sono diversi a causa del tempo, del luogo o del
cambiamento di posizione degli elementi all'interno della scena immortalata. A
tal fine, il giudice deve avvalersi di altri mezzi di prova, effettuando una
ragionevole valutazione dell'insieme", si legge nella sentenza.
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Una volta esaminata questa condizione, è necessario osservare la certezza della
data di acquisizione delle immagini ed effettuare un confronto con le
testimonianze, i documenti o altri mezzi di prova. (Sottolineatura fuori testo)
È quindi prova inconfutabile che esiste la certezza dell'adozione del sig. CARLOS
ZORIO JAIMES, quale discendente dell'italiano sig. ELIVIO ZORIO FERRARO,
in quanto minorenne.

VII NONNO DEFUNTO ELIVIO ZORIO FERRARO E IL PADRE DELLA


MANDANTE CARLOS ZORIO JAIMES
Registrazione del decesso N° 2205772 del 25 luglio 1974 causa del decesso
"insufficienza cardiaca congestizia".
CARLOS ZORIO JAIMES, registrazione di morte n. 2182119 dell'08 ottobre
2004, causa del decesso “Decesso per morte violenta da arma bianca”.
VIII MOTIVI GIURIDICI
Per la trasmissione della cittadinanza italiana non ci sono limiti al numero di
generazioni, né è importante che gli ascendenti siano ancora in vita o deceduti.
I limiti legali riguardano:
- La data di morte dell'ascendente nato in Italia.
- La data di emigrazione dell'antenato nato in Italia.
- La trasmissione per via femminile, l'eventuale perdita della cittadinanza italiana
da parte del discendenti.
L'ascendente nato in Italia deve essere morto (in Italia o all'estero) dopo la
proclamazione del Regno d'Italia (17 marzo 1861).
Tuttavia, se il Comune di origine è stato annesso al Regno d'Italia dopo tale data,
l'ascendente nato in Italia deve essere morto dopo l'annessione del Comune di
origine al Regno d'Italia.
Per acquisire la cittadinanza derivata dalla madre, non è necessario che la madre
sia nata in Italia. È sufficiente che la madre sia cittadina ("iure sanguinis" o "iure
matrimonii”) alla data di nascita del figlio o alla data del 27 aprile 1983, purché
il figlio sia minorenne. L'unico limite alla trasmissione della cittadinanza per via
materna è la data di nascita del bambino, che non deve essere anteriore al 1°
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gennaio 1948. Esistono altri casi di trasmissione della cittadinanza per via
materna, che si applicano anche ai nati prima del 10 gennaio 1948:
- Se il padre è sconosciuto (o se non ha riconosciuto il bambino durante la sua
minore età).
- Se il padre era apolide.
- Se, in base alla legge nazionale del padre, il bambino non acquisisce la
cittadinanza del padre.
Ai fini della trasmissione della cittadinanza, il diritto dei figli legittimi è uguale a
quello dei figli naturali. Il riconoscimento da parte di un cittadino italiano, la
dichiarazione giudiziale di paternità che garantisca l’accertamento della filiazione
di un cittadino italiano o, nel caso di figli non riconoscibili (figli incestuosi), il
riconoscimento giudiziale del diritto al pagamento degli alimenti comporta
l'acquisizione della cittadinanza italiana dalla nascita, se si verificano durante la
minore età del figlio. Tali circostanze devono essere provate con l'atto originario
di riconoscimento o con la sentenza. I figli riconosciuti durante la maggiore età
devono dichiarare la volontà di ottenere la cittadinanza italiana entro un anno
dal riconoscimento.
Lo straniero adottato da un cittadino italiano acquista la cittadinanza italiana,
se l'adozione è stata dichiarata durante la minore età del minore (adozione piena).
La circostanza deve essere provata dalla sentenza che ha dichiarato l'adozione. Il
riconoscimento della cittadinanza si perfeziona con la registrazione del decreto di
adozione presso il Comune italiano competente. Dopo la registrazione della
sentenza, il Consolato invia al Comune l'atto di nascita. Solo a questo punto si
può procedere, ad esempio, al rilascio del passaporto.
La cittadinanza italiana si trasmette al figlio del cittadino che ha perso la
cittadinanza italiana solo in uno dei seguenti casi:
- Il figlio è nato prima che il genitore perdesse la cittadinanza italiana per
naturalizzazione, se la naturalizzazione dell'ascendente che trasmette la
cittadinanza è avvenuta il 10 luglio 1912 o successivamente (se la
naturalizzazione è avvenuta prima del 30 giugno 1912, il figlio minorenne perde
la cittadinanza italiana, se risiede all'estero e ha un'altra cittadinanza).
- Il figlio era ancora minorenne quando il genitore ha riacquistato la cittadinanza,
se il riacquisto è avvenuto dopo il 16 agosto 1992 e se il figlio minorenne era
convivente con il genitore al momento del riacquisto della cittadinanza italiana.
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- Se il padre (o la madre) ha riacquistato la cittadinanza italiana dopo il 27 aprile
1983 e prima del 16 agosto 1992 (risiedendo in Italia per il periodo previsto dalla
legge o anche in applicazione dell'Accordo sulla doppia cittadinanza, il figlio
minore ha acquisito la cittadinanza italiana.
- Se il padre (o la madre) ha riacquistato la cittadinanza italiana prima del 27
aprile 1983, il figlio minore non ha acquisito la cittadinanza italiana se ha
risieduto all'estero e non ha perso la cittadinanza straniera di origine.
La Costituzione del '91 (Constitución Política de Colombia. 1991.) ha sancito la
figura della doppia cittadinanza, affinché vi sia una tutela dei diritti inerenti della
persona e in considerazione della necessità di mantenere un legame, sia affettivo
che giuridico e politico, tra lo Stato colombiano e i suoi cittadini, soprattutto con
coloro che, a causa di circostanze di varia natura - sociale, economica e anche
politica - sono stati costretti a trasferirsi in territorio straniero e a ottenere lì la
cittadinanza corrispondente, pur conservando relazioni affettive, giuridiche o
materiali con il Paese di origine.

La Costituzione colombiana distingue la "doppia cittadinanza" in relazione alla


nazionalità, regolata dall'articolo 96 nei seguenti termini: "Nessun colombiano
per nascita può essere privato della sua nazionalità. Lo status di cittadino
colombiano non può essere perso con l'acquisizione di un'altra nazionalità. I
cittadini colombiani per adozione non sono obbligati a rinunciare alla loro
nazionalità di origine o di adozione. Coloro che hanno rinunciato alla loro
nazionalità d'origine possono recuperarla in conformità con la legge".30 Questa
norma generale stabilisce che i colombiani per nascita e per adozione che hanno
un'altra nazionalità godono degli stessi diritti civili e politici conferiti dalla
Costituzione e dalle leggi regolamentari.
YERITZA PESSELLIN
Abogada

Fonte Servizio legale


La cittadinanza italiana e i discendenti degli emigrati italiani in Colombia.
L'eliminazione di un'ingiustizia sociale (Massimiliano Castellari; Marco Mellone)
1.1. L'emigrazione italiana in Sud America e in particolare in Colombia.1
YERITZA PESSELLIN
Abogada
L'emigrazione italiana è stata uno dei grandi fenomeni sociali del XX secolo e il
continente americano è stato considerato da molti italiani come una vera e
propria "terra promessa". L'influenza che questa immigrazione ha avuto sulla
società di Paesi come l'Argentina, il Brasile, gli Stati Uniti, il Canada e l'Uruguay
è innegabile, come dimostra chiaramente il numero di cognomi italiani dei
cittadini americani di oggi. L'insediamento e la permanenza di generazioni di
cittadini italiani in questi Paesi sono stati favoriti anche da una ragione giuridica,
ovvero dal fatto che la legislazione italiana in materia di cittadinanza è
storicamente fedele - salvo rare eccezioni - al principio della trasmissione iure
sanguinis. Pertanto, anche se in questo articolo verranno fatte importanti
sfumature, gli italiani che si sono trasferiti all'estero hanno lasciato generazioni
di cittadini italiani in questi Paesi, anche se in molti casi i loro discendenti non
sono mai tornati nella terra d'origine.
È molto difficile stimare il numero totale dell'emigrazione italiana nel XIX e XX
secolo, ma è senza dubbio enorme, con veri e propri esodi tra la fine dell'Ottocento
e l'inizio del Novecento, e dopo la Seconda guerra mondiale. Si stima che gli
emigranti italiani tra il 1876 - anno in cui furono compilate le prime statistiche
ufficiali - e il 1988 siano stati quasi trenta milioni, distribuiti tra destinazioni
europee (soprattutto Francia) ed extraeuropee (quasi tutte nelle Americhe).
Il caso della Colombia è particolare, in quanto i flussi di italiani verso questo
Paese non sono mai stati consistenti. Per quanto riguarda le ragioni per cui
"l'emigrazione italiana in Colombia non si confronta quantitativamente con quella
verso altri Paesi del continente", è sufficiente in questo lavoro fare riferimento ad
alcuni fatti di particolare rilevanza. Innanzitutto, va evidenziato l'elemento
geografico. Paesi come la Colombia - ma anche il Perù, la Bolivia e l'Ecuador -
hanno ricevuto flussi migratori più ridotti rispetto alle principali o "seconde
ondate". In altre parole, qualsiasi linea retta tracciata tra lo Stretto di Gibilterra
e il continente americano non terminerebbe direttamente in Colombia.13
Tuttavia, i fattori rilevanti, a nostro avviso, sono principalmente di natura
politica. Innanzitutto, la Colombia è stata storicamente un Paese chiuso
all'immigrazione, tranne che per un breve periodo a metà del XIX secolo. Tuttavia,
questa politica ha avuto un impatto su tutta l'immigrazione in Colombia. Nel XIX
e XX secolo, due eventi importanti hanno interrotto le relazioni bilaterali tra
Colombia e Italia. Il primo fu l'affare Cerruti. Una disputa politica ed economica
tra il mercante (e attivo massone) Ernesto Cerruti e lo Stato del Cauca sfociò in
una vicenda diplomatica senza precedenti, che portò a uno scontro tra lo Stato
colombiano e la marina militare italiana (sic!). L'importanza del caso Cerruti nelle
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relazioni bilaterali tra i due Paesi era evidente, se si considera che: i) la Divisione
Navale dell'America Latina rimase in acque cilene e peruviane per diversi anni,
proprio per tutelare gli interessi italiani nell'area, danneggiati dalla controversia
Cerruti; ii) le relazioni diplomatiche tra Italia e Colombia furono ristabilite solo
nel 1904 (erano state interrotte per sei anni); iii) le conseguenze di questo evento
sui cittadini italiani stabiliti in Colombia non sono state marginali.18 Inoltre,
pochi anni dopo, si verificò un altro episodio che deteriorò ulteriormente le
relazioni bilaterali, ovvero l'omicidio a sangue freddo dell'imprenditore italiano
Angelo Rosazza da parte di un poliziotto panamense (Panama era allora sotto la
giurisdizione colombiana). Come se non bastasse, le relazioni diplomatiche tra la
Colombia e l'Italia si incrinarono nuovamente nel corso della Seconda guerra
mondiale, quando il Paese sudamericano (nel 1942) consegnò tutte le aziende e i
beni di proprietà di immigrati dai Paesi dell'Asse (Italia, Germania, Giappone)
all'amministrazione fiduciaria del Banco de la República.20 Tutti questi elementi
hanno influito sulle decisioni degli emigranti italiani dalla fine del XIX secolo nel
decidere il Paese di destinazione, escludendo probabilmente la Colombia, fino al
secondo dopoguerra, che peraltro, come sappiamo, sono i periodi di esodo di
massa degli italiani.
Per i dati specifici sull'immigrazione e sulla presenza italiana in Colombia,
abbiamo confrontato quelli contenuti nella letteratura sull'argomento. Chi ha
esaminato i dati ufficiali disponibili sottolinea che "nel 1913 risiedevano a Bogotá
119 italiani su un totale di 895 stranieri, cioè circa il 10% del totale dei residenti
non colombiani". Tuttavia, si registra la presenza di italiani a Bogotà già nel 1846.
Nel 1938, gli italiani residenti in Colombia erano circa 1.400. Nel 1951, anno in
cui il censimento colombiano disaggregò per la prima volta i dati sui residenti per
Paese, la popolazione italiana ammontava a 2.524 persone, due terzi delle quali
uomini. Tredici anni dopo, nel 1964, la popolazione italiana è cresciuta fino a
2.893,26 con una proporzione più o meno uguale tra uomini e donne.27 Secondo
il Ministero degli Affari Esteri italiano, gli italiani residenti in Colombia nel 1977
erano 7.020; 11.500 nel 1978; 14.250 nel 1979; 20.000 nel 1980 e pochi altri nel
1981. Per quanto riguarda le regioni della Colombia con presenza italiana, è noto
che i primi arrivi di italiani si sono registrati soprattutto sulla costa colombiana,
principalmente a Barranquilla e Cartagena. Solo, in seguito, gli italiani si
avventurarono lungo il fiume per formare la grande colonia attualmente presente
nella capitale, Bogotà. Secondo uno studio del 1985, la distribuzione territoriale
degli italiani nel Paese era la seguente: 4.500 a Bogotá, 1.074 a Cali, 1.000 a
Medellín, 795 a Cartagena, 1.220 a Barranquilla, 57 a Cúcuta e 260 a Santa
Marta.32 Nel 1992, il numero stimato di italiani si aggirava intorno alle 10.000
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unità.33 Nel 2006, gli italiani residenti in Colombia e aventi diritto al voto erano
7.027, secondo le liste elettorali dell'Ambasciata italiana. I dati disponibili a
febbraio 2011 sono i seguenti: i) italiani nati e residenti in Colombia: 3.014
(iscritti all'AIRE); ii) italo-colombiani (nati in Colombia) residenti nel Paese:
13.500; a questi vanno aggiunti gli italiani nati all'estero e residenti in Colombia
(circa 500) e gli italo-colombiani nati all'estero e residenti nel Paese (altri 500
circa). Questi sono i dati ufficiali forniti dal Consolato italiano;36 bisogna però
considerare anche gli italiani "irregolari", cioè quelli che vivono in Colombia pur
non essendo registrati come residenti, e anche tutti i discendenti di italiani che
non si sono mai presi la briga di registrare i loro documenti presso l'Ambasciata,
che sono senza dubbio un numero considerevole. Insomma, è molto difficile
stabilire ancora oggi il numero esatto di italiani presenti in Colombia; tuttavia, è
ragionevole, a nostro avviso, pensare che si tratti di circa 20.000 o anche meno.
Nel caso particolare dell'antenata diretta della ricorrente SANDRA ZORIO, va
ribadito che il nonno paterno ELIVIO ZORIO non fece eccezione al fenomeno
migratorio dell'epoca, facendo la sua presenza e svolgendo le proprie funzioni di
ingegnere civile nella città di Bogotà, che scelse come domicilio familiare e sociale.
Tuttavia, a causa dello scopo del suo lavoro, era costantemente in movimento in
direzione di opere civili in molte città del Paese.
1.2. Lo sviluppo storico del sistema di cittadinanza italiano
All'inizio della sua storia, il modello sociale e familiare dello Stato italiano era
incentrato sulla figura del marito-padre, che godeva di una preminenza sociale
che si rifletteva nei rapporti giuridici, padre-madre e marito-moglie, e che era
considerato colui che prendeva le decisioni più importanti nella vita familiare e
per i figli.
Le donne - nel loro ruolo di madre e di coniuge - avevano una posizione
secondaria sia nella famiglia che nella comunità più ampia. Per fare un esempio,
solo nel 1945 le donne hanno ottenuto il diritto di voto e, l'anno successivo, di
essere elette (elettorato attivo e passivo). Fino ad allora, il ruolo delle donne nel
tessuto sociale italiano era principalmente il mantenimento della casa familiare
e l'educazione dei figli, ma non potevano candidarsi a cariche pubbliche, né
esercitare alcuna funzione sociale nella comunità.
Inoltre, con l'avvento al potere del regime fascista, i diritti delle donne si
deteriorarono ulteriormente e le disparità sociali si aggravarono: ad esempio, il
Codice penale "Rocco" del 1930 - promulgato in quel periodo - puniva l'adulterio
femminile, ma non quello maschile.
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Questa situazione di discriminazione sociale e giuridica è stata gradualmente
eliminata con la caduta del regime fascista e, soprattutto, con l'adozione della
Costituzione della Repubblica Italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948. La
legge suprema italiana afferma che tutti i cittadini hanno pari dignità di fronte
alla legge, senza alcuna discriminazione di sesso (articolo 3), e garantisce la tutela
dei diritti fondamentali dell'uomo sia come persona sia nei gruppi sociali in cui
si sviluppa la sua personalità (articolo 2).
Inoltre, la Costituzione italiana stabilisce che "il matrimonio è fondato
sull'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi" (articolo 29) e che "i genitori
hanno il diritto e il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli" (articolo 30).
I principi della Costituzione hanno cambiato completamente lo status giuridico e
sociale delle donne, ulteriormente rafforzato negli anni dai ripetuti interventi
della Corte costituzionale italiana, le cui sentenze hanno contribuito a eliminare
le discriminazioni nei confronti delle donne, sia come madri che come mogli.
La subordinazione delle donne nel modello sociale italiano si rifletteva bene nel
regime giuridico della cittadinanza italiana.
Inizialmente, le norme sulla cittadinanza si trovavano nel Codice Civile del Regno
d'Italia (1865) e, più precisamente, nei suoi articoli dal 4 al 15: queste
disposizioni rimasero in vigore fino al 1912, quando furono sostituite da una
legge ad hoc sulla cittadinanza, la legge 555 del 15 giugno 1912. Entrambe le
leggi adottavano lo stesso meccanismo principale per l'acquisizione della
cittadinanza italiana, ovvero il principio dello ius sanguinis, ma solo il padre
poteva trasmetterla. Tale meccanismo trovava la sua giustificazione proprio nel
modello sociale sopra descritto - che si può ben definire paternalistico e
maschilista - per cui solo il padre poteva trasmettere la cittadinanza iure
sanguinis ai suoi discendenti, secondo il principio mutuato dal diritto romano,
patris originem unusquisque seguitur.
Quanto detto si riflette chiaramente nei lavori parlamentari precedenti
all'adozione del Codice Civile del 1865 e della Legge del 1912. Nel primo caso,
vale la pena di notare le parole usate dall'allora Ministro della Giustizia -
l'onorevole Pisanelli - relatore del progetto di Codice Civile (noto come Codice
Pisanelli), che dichiarò apertis verbis: "Il nuovo Codice, che rendeva omaggio a
questo grande principio stabilendo che chi nasce in qualsiasi luogo da padre
italiano, cioè da famiglia italiana, è italiano".
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Quasi quarant'anni dopo, la Commissione incaricata di presentare il progetto di
riforma delle norme sulla cittadinanza utilizzò espressioni molto simili in
occasione della riunione alla Camera dei Deputati del 30 marzo 1912: "Il principio
è troppo chiaro perché sia necessario commentarlo. Il bambino nasce dal padre
come la fronda del ramo, porta in sé la vita paterna, continua la persona e il
nome del padre e gli succede in tutti i diritti e doveri: in altre parole, rinnova la
sua esistenza. Sarebbe assurdo se alla nascita non ottenesse anche la
cittadinanza".
Le donne subirono un'ulteriore discriminazione giuridica: le donne italiane
perdevano lo status di cittadinanza quando si sposavano con un cittadino
straniero se, a seguito del matrimonio, avevano acquisito la cittadinanza
straniera del marito. In altre parole, se la legge nazionale del marito concedeva
automaticamente la cittadinanza alla cittadina straniera (italiana) iure matrimonii
(cioè per matrimonio con il cittadino nazionale), la donna era obbligata ad
accettare la cittadinanza del marito e, quindi, a perdere lo status di cittadina
italiana.
Nel caso specifico, questa discriminazione giuridica non si riflette, poiché la mia
cliente, che è la ricorrente, è in linea di discendenza paterna.
Le due norme citate penalizzano categoricamente la donna italiana che si sposava
e formava una famiglia con un cittadino straniero: in questi casi, da un lato,
perdeva la cittadinanza italiana perché aveva acquisito la cittadinanza straniera
iure matrimonii e, dall'altro, non poteva "trasmettere" la sua cittadinanza
d'origine ai suoi discendenti, in quanto nemmeno la legge italiana glielo
permetteva.
Questa situazione condizionava molto la vita dei cittadini italiani che emigravano
all'estero a causa della povertà di alcune zone d'Italia, soprattutto al Sud: inoltre,
la legge italiana impediva in generale il riconoscimento di più cittadinanze
contemporaneamente in capo alla stessa persona: Infatti, il Codice Civile del
1865 e la Legge del 1912 stabilivano - in questo caso non solo per le donne, ma
anche per gli uomini - la perdita della cittadinanza italiana in caso di acquisizione
volontaria di una cittadinanza straniera, che avveniva, ad esempio, quando il
cittadino veniva naturalizzato nello Stato di emigrazione.
Le norme discriminatorie sulla cittadinanza contenute nel Codice civile del 1865
e poi nella Legge del 1912 si scontravano inevitabilmente con i principi di
uguaglianza e di tutela delle posizioni sociali sanciti dalla Costituzione italiana
del 1946 (entrata in vigore il 1° gennaio 1948).
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Con due sentenze emesse negli anni '70 e '80, la Corte costituzionale italiana ha
dichiarato che gli articoli 1 e 10 della legge del 1912 violavano il principio
fondamentale di uguaglianza proclamato dalla Costituzione italiana. In
particolare, nel 1975 la Corte Costituzionale italiana ha dichiarato
incostituzionale l'articolo 10 (il cui oggetto era la perdita della cittadinanza
italiana in seguito al matrimonio con uno straniero e l'acquisizione della
cittadinanza da parte del marito straniero in seguito a questo matrimonio),
perché questa norma causava "una gravissima disuguaglianza morale, giuridica
e politica tra i coniugi e poneva la donna in uno stato di evidente inferiorità,
privandola automaticamente, per il solo fatto di matrimonio, dei diritti della
cittadinanza italiana".
Qualche anno dopo, nel 1983, la Corte costituzionale ha affermato che anche
l'articolo 1° della legge del 1912 costituiva una chiara violazione del principio di
uguaglianza, in quanto solo il padre italiano poteva trasmettere la cittadinanza
ai figli.
A seguito di queste sentenze della Corte costituzionale, le disposizioni
discriminatorie degli articoli 1 e 10 della legge 555/1912 sono state
automaticamente e immediatamente abolite dall'ordinamento italiano. Pochi
anni dopo, il legislatore italiano decise di riordinare tutta la normativa sulla
cittadinanza e adottò la legge 91 del 5 febbraio 1992: una legge che, oltre a
confermare l'eliminazione delle discriminazioni contenute nei precedenti testi
normativi, stabiliva la possibilità per un cittadino italiano di acquisire
volontariamente una seconda (o più) cittadinanza, senza perdere la cittadinanza
italiana.
Nonostante la loro formale eliminazione dall'ordinamento italiano, le norme
discriminatorie hanno continuato a causare differenze di trattamento tra i
cittadini. Da un lato, la legge del 1992 poteva applicarsi solo a situazioni
giuridiche successive alla sua entrata in vigore, in virtù del principio di
irretroattività della legge. Dall'altro, gli effetti delle sentenze della Corte
costituzionale non si applicavano a situazioni o fatti discriminatori avvenuti
prima del 1° gennaio 1948, data di entrata in vigore della Costituzione italiana.
Pertanto, i cittadini italiani che avevano perso la cittadinanza per matrimonio
con uno straniero prima del 1948 o che non avevano potuto "trasmettere" questo
status ai discendenti nati prima di tale data continuavano a essere lesi.
Questa situazione ha portato a un'ulteriore discriminazione, poiché i figli di
queste donne non hanno acquisito la cittadinanza italiana alla nascita e a loro
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volta non hanno potuto trasmettere questo status ai loro discendenti, e questo
solo perché sono nati dopo il 1° gennaio 1948 o perché sono nati da una madre
che aveva sposato uno straniero prima di questa data.
La questione è stata affrontata da molti autori e da molti tribunali italiani, che si
sono chiesti se gli effetti delle sentenze della Corte costituzionale potessero
riguardare anche situazioni o eventi discriminatori avvenuti prima del 1° gennaio
1948. La giurisprudenza italiana - e in particolare quella della Corte di
Cassazione - è stata frammentaria, a volte favorevole e a volte no. Infine, nel 1998
(e in successive decisioni) la Corte di Cassazione ha chiuso completamente la
porta agli effetti della Corte costituzionale, che ha potuto coprire fatti e situazioni
verificatisi prima del 1° gennaio 1948.
Non deve sorprendere il continuo cambiamento della giurisprudenza emessa dai
tribunali italiani: la questione, infatti, era molto importante e molto delicata,
perché si trattava di decidere se "aprire le porte" a un numero enorme di
potenziali cittadini provenienti in particolare dal Sud America e nati prima del 1°
gennaio 1948 o discendenti di donne italiane che avevano sposato cittadini
stranieri prima di quella data.
1.3. L'impatto della legislazione italiana sui cittadini sudamericani e
colombiani in particolare
Come già osservato in questo articolo, la legge italiana non ha mai privato i
cittadini della loro nazionalità se avevano acquisito una nazionalità diversa senza
la loro volontà. In altre parole, gli italiani emigrati in America, così come i loro
discendenti, non perdevano in linea di principio la cittadinanza italiana solo
perché ne avevano acquisita una diversa in applicazione del principio dello ius
soli. Pertanto, i figli di genitori italiani nati in uno Stato estero che segue il
principio dello ius soli nascono con una doppia cittadinanza: quella italiana in
quanto figli di un genitore italiano e quella dello Stato di nascita in virtù del fatto
di essere nati in quel Paese. È quindi importante analizzare i sistemi giuridici
sudamericani in materia di cittadinanza per verificare se gli italiani emigrati in
quelle terre abbiano mantenuto la cittadinanza originaria e, di conseguenza,
l'abbiano trasmessa ai loro figli.
I sistemi giuridici americani in materia di cittadinanza - a differenza di quasi tutti
quelli europei - seguono lo ius soli, in virtù del quale i figli degli italiani emigrati
e nati in America acquisiscono la cittadinanza originaria di quei Paesi.
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Per quanto riguarda l'acquisizione primaria o originaria della cittadinanza in tutti
gli ordinamenti latinoamericani, il semplice fatto di nascere nel territorio di uno
Stato è sufficiente a conferire la cittadinanza: è il caso di Argentina, Bolivia,
Brasile, Cile, Colombia, Ecuador, Paraguay, Perù, Uruguay e Venezuela. La
Costituzione colombiana subordina l'applicazione dello ius soli alla condizione
che il padre o la madre siano cittadini colombiani. Non mancano casi in cui si
applica direttamente anche il criterio dello ius sanguinis, nel caso di persone nate
all'estero da padre e madre cittadini per nascita, come in Venezuela, o da almeno
uno dei genitori, come in Bolivia, Ecuador o Perù, limitando talvolta la
trasmissione della cittadinanza a un certo grado di consanguineità.73 In altri casi,
l'applicazione del criterio dello jus sanguinis è subordinata al fatto che il padre o
la madre siano al servizio dello Stato o alla registrazione presso l'ufficio
competente. Inoltre, alcuni ordinamenti danno rilevanza alla scelta della persona
interessata (o di un suo delegato), come in Argentina o in Perù.
Per quanto riguarda la cittadinanza secondaria o per naturalizzazione, quasi tutti
i Paesi la ammettono, previa dimostrazione di fatti legati all'insediamento di un
cittadino straniero nel Paese, sia per residenza ininterrotta, sia per aver reso
particolari servizi alla nazione, sia per aver sposato un cittadino sudamericano,
sia in caso di adozione, ottenendo così una lettera di naturalizzazione. In alcuni
casi, ha rilevanza anche la cessione o la successione di un territorio.
Come è noto, i Paesi che hanno ricevuto i maggiori afflussi di cittadini italiani
sono stati l'Argentina e il Brasile. Il caso dell'Argentina è emblematico dell'impatto
giuridico dell'emigrazione italiana (senza entrare nell'analisi dell'impatto sociale),
poiché è l'unico Paese sudamericano con cui l'Italia ha firmato un trattato
internazionale sulla cittadinanza. La Convenzione Italia-Argentina sulla
nazionalità (1971) si caratterizza per ammettere apertamente la doppia
cittadinanza, affermando il principio che i diritti associati alla seconda
cittadinanza sono sospesi fino a quando il cittadino duale non ritorna o
trasferisce la sua residenza nell'altro Paese.
In tutti i casi diversi da quello argentino, l'impatto normativo e sociale
dell'emigrazione italiana sulla nazionalità degli immigrati - e soprattutto dei loro
discendenti - dovrebbe essere considerato sotto il profilo del diritto comparato,
cioè confrontando i diversi ordinamenti in gioco e/o, se applicabile, il diritto
internazionale privato.
Per quanto riguarda l'ordinamento giuridico colombiano, la storia costituzionale
del Paese ha visto sostanziali cambiamenti nei criteri di attribuzione della
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cittadinanza, con l'alternarsi dello ius soli allo ius sanguinis, al domicilio nel
Paese e all'opzione.
La Costituzione di Rionegro del 1863 seguiva un sistema misto. Allo ius soli si
aggiungevano elementi di ius sanguinis, sempre in correlazione con il domicilio
in Colombia. La perdita della cittadinanza colombiana era una conseguenza dello
stabilire il domicilio e dell'acquisizione della la cittadinanza in un Paese straniero,
un criterio a cui l'ordinamento giuridico colombiano è sempre stato fedele.91 La
Costituzione del 1886 ha complicato le cose. Da un lato, ha creato un concetto -
la nazionalità per origine e vicinato - che non presenta differenze sostanziali con
la nazionalità per nascita. Per quanto riguarda l'applicazione dello ius sanguinis,
la subordinava all'illogica condizione che i figli di padre o madre colombiani
fossero legittimi, cioè concepiti nel matrimonio. Infine, l'articolo 9 continuava a
privare della cittadinanza colombiana un cittadino che avesse acquisito un atto
di nascita in un Paese straniero e vi avesse stabilito il domicilio.93 La Costituzione
del 1936 apportò importanti modifiche alla precedente, eliminando il requisito
della legittimità dei figli e ponendo i brasiliani sullo stesso piano dei
latinoamericani. Le difficoltà pratiche nell'applicare il requisito del domicilio
contemporaneamente allo ius sanguinis divennero molto evidenti nel caso
Schwartau. In altre parole, per quanto riguarda la perdita della cittadinanza, il
nuovo articolo 9 si applicava anche se un cittadino naturalizzato in un Paese
straniero era domiciliato in un Paese diverso.
L'attuale regime di cittadinanza e naturalizzazione in Colombia è stabilito dalla
Costituzione del 1991 e dalla Legge 43 (1993). Queste fonti stabiliscono due classi
di cittadini colombiani: i cittadini per nascita e i cittadini per adozione. La prima
categoria segue l'imposizione della Costituzione del 1886 e combina lo ius soli
con lo ius sanguinis. Tuttavia, si specifica che, nel caso di figli di stranieri nati
in Colombia, è necessario che uno dei genitori sia domiciliato nella Repubblica al
momento della nascita. Per quanto riguarda i nati all'estero da padre o madre
colombiani, la riforma del 200298 ha aggiunto una nuova possibilità per
l'acquisizione della cittadinanza (oltre al domicilio in Colombia): la registrazione
presso un ufficio consolare della Repubblica di Colombia.
La cittadinanza per adozione è un atto sovrano e discrezionale del governo
nazionale. I casi di adozione comprendono sia i casi di residenza ininterrotta per
un certo periodo di tempo - diversi per gli stranieri non ispanici o latinoamericani
e caraibici - sia il caso di stranieri sposati con colombiani, che possono acquisire
la cittadinanza colombiana tramite domanda, purché siano stati domiciliati
ininterrottamente nel Paese per i due anni precedenti la domanda. La grande
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innovazione della Costituzione del 1991 è la chiara ammissione della doppia
cittadinanza nei seguenti termini: "Nessun colombiano per nascita può essere
privato della sua nazionalità. Lo status di cittadino colombiano non può essere
perso con l'acquisizione di un'altra cittadinanza. I cittadini colombiani per
adozione non sono obbligati a rinunciare alla loro nazionalità di origine o di
adozione". È importante ricordare che la legislazione colombiana, così come
quella italiana, ammette la rinuncia mediante dichiarazione scritta al Ministero
degli Affari Esteri o ai consolati colombiani all'estero.
Nonostante tutto quanto sopra esposto in relazione ai criteri di attribuzione della
cittadinanza in America Latina e in Colombia in particolare, come si è detto in
precedenza nel presente lavoro, la legge italiana non ha mai privato della
cittadinanza italiana i discendenti di italiani che avessero acquisito non
volontariamente un'altra cittadinanza, come nel caso di applicazione di una legge
straniera che segue lo ius soli. Pertanto, nonostante la legge colombiana
ammetta formalmente la doppia cittadinanza solo dal 1991, gli emigrati
italiani arrivati a partire dal XIX secolo non hanno perso la cittadinanza
italiana, né il diritto di trasmetterla ai loro discendenti nati in America.
Questo a patto che l'emigrato italiano non avesse rinunciato alla propria
nazionalità d'origine,105 o che nell'albero genealogico ci fosse una donna italiana
la cui prole fosse nata - in Italia o all'estero - prima del 1948. Vale a dire, il
legislatore italiano ha creato una discriminazione, basata su un maschilismo
arcaico e inaccettabile, i cui effetti si sono perpetuati fino ad oggi.
La rivoluzione della sentenza 4466 del 2009 e le sue prime applicazioni
in Italia
La situazione è cambiata radicalmente nel 2009, quando la Corte di Cassazione
- nel suo collegio che comprendeva tutti i presidenti delle diverse sezioni (Sezioni
Unite) - ha preso una posizione forte sulla questione della retroattività degli effetti
delle sentenze della Corte Costituzionale.106
La Corte di Cassazione, attraverso un ampio e articolato ragionamento, ha
stabilito che gli effetti di tali sentenze della Corte Costituzionale potevano essere
retroattivi anche prima dell'entrata in vigore della Costituzione italiana e, in
particolare, potevano essere estesi a quelle situazioni giuridiche che, pur essendo
sorte prima del 1° gennaio 1948, avevano subito gli effetti delle norme illegittime
anche dopo tale data, ed erano ancora pienamente giustiziabili, cioè potevano
essere oggetto di tutela giurisdizionale.107
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Ossia, la Corte di Cassazione ha evidenziato due presupposti affinché gli effetti
della sentenza di incostituzionalità siano applicabili anche prima del 1° gennaio
1948. In primo luogo, gli effetti della norma dichiarata incostituzionale dovevano
incidere su una situazione già esistente al 1° gennaio 1948, il che è
indubbiamente il caso in cui una cittadina italiana non abbia potuto trasmettere
la cittadinanza italiana ai propri figli e questa situazione abbia avuto
ripercussioni sul loro diritto soggettivo al riconoscimento dello status di cittadino
italiano iure sanguinis.
In secondo luogo, la situazione giuridica lesa dovrebbe comunque essere oggetto
di tutela giurisdizionale, come è chiaramente il caso della domanda di
riconoscimento della cittadinanza italiana. I diritti relativi allo stato civile, primo
fra tutti il diritto di cittadinanza, sono assolutamente imprescrittibili, pertanto,
possono essere oggetto di tutela giurisdizionale senza limiti di tempo.
La sentenza del 2009 della Corte di Cassazione è stata successivamente
confermata da altre sentenze della stessa Corte e ha definitivamente aperto le
porte della cittadinanza italiana a migliaia di cittadini figli - e spesso anche nipoti
e pronipoti - di cittadini italiani di prima generazione, cioè emigrati direttamente
dall'Italia, o, molto più spesso, di cittadini italiani nati da un cittadino italiano
emigrato e da cittadini locali.
In linea con quanto detto sopra, i flussi migratori degli italiani all'estero hanno
determinato un numero potenzialmente enorme di cittadini italiani iure
sanguinis (e non solo) di prima o successiva generazione. A questa cifra va
aggiunto il numero di potenziali cittadini italiani naturalizzati iure matrimonii
per trasmissione dovuta al matrimonio contratto con un cittadino italiano (nati
o discendenti da un cittadino italiano che non aveva potuto trasmettere la
cittadinanza italiana).
Questo ha portato a un forte aumento del numero di richieste di cittadinanza da
tutto il mondo e in particolare dagli Stati a più alta emigrazione italiana,
generando l'inevitabile conseguenza di una forte congestione dei consolati
italiani.
È importante notare che, per un cittadino residente all'estero, la via principale
per richiedere il riconoscimento dello status di cittadino italiano rimane la via
consolare. Il console italiano all'estero è infatti competente a ricevere e trattare le
domande di riconoscimento della cittadinanza italiana da parte dei cittadini
residenti nello Stato in cui si trova l'ufficio consolare. Tuttavia, la via consolare
non è l'unica possibile, in quanto il richiedente può in qualsiasi momento
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presentare una domanda di riconoscimento dello status di cittadinanza davanti
a un tribunale italiano. Come già detto, il diritto alla cittadinanza italiana è per
sua natura imprescrittibile; quindi, può essere oggetto di richieste di
riconoscimento per via giurisdizionale senza limiti di tempo.
Inoltre, la via giurisdizionale è del tutto indipendente da quella amministrativo-
consolare: cioè, il cittadino interessato non è tenuto a rivolgersi preventivamente
all'autorità amministrativa consolare (o al Gabinetto del Sindaco, purché
residente in Italia), e questo perché la materia dello stato civile è riservata dalla
legge alla competenza esclusiva del giudice ordinario (con esclusione del giudice
amministrativo).110
L'impatto sociale per i discendenti di cittadini italiani emigrati all'estero
Come già ricordato, la sentenza della Corte di Cassazione del febbraio 2009 ha
determinato una vera e propria "corsa all'ottenimento della cittadinanza italiana"
per migliaia di potenziali cittadini italiani discendenti di cittadini italiani che non
hanno potuto trasmettere la propria cittadinanza a causa della legge italiana
dichiarata incostituzionale.
Il possesso della cittadinanza italiana può portare benefici immediati a qualsiasi
cittadino sudamericano e, in generale, può aprire le porte a prospettive di vita ed
economiche di rilevante interesse per gli interessati. In primo luogo, la
cittadinanza italiana dà diritto al libero e gratuito accesso al territorio italiano. Si
tratta di un vantaggio importante se si considera che lo Stato italiano richiede
un visto d'ingresso per i cittadini di diversi Stati sudamericani - tra cui la
Colombia -. La disciplina dei visti d'ingresso nel territorio italiano lascia inoltre
un ampio margine di discrezionalità all'amministrazione, che può rifiutare di
concedere il visto per motivi legati all'ordine pubblico e alla sicurezza del
territorio, che possono anche essere compromessi da un eccessivo flusso
migratorio nel territorio italiano. L'Italia, da terra di emigrazione, è diventata - a
partire dalla seconda metà del XX secolo - terra di immigrazione, a causa delle
diverse condizioni economiche che hanno portato a un aumento del flusso
migratorio verso l'Italia sia di cittadini stranieri sia di cittadini italiani di ritorno
dall'estero.
Questo evento ha portato alla necessità di regolamentare - in modo sempre più
stringente - la disciplina dell'ingresso dei cittadini extracomunitari nel territorio
italiano, al fine di evitare un'immigrazione massiccia nel Paese.
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Inoltre, la cittadinanza italiana conferisce ai cittadini sudamericani il diritto di
accedere a qualsiasi offerta di lavoro - pubblica o privata - a parità di condizioni
con gli altri cittadini italiani. Naturalmente, questo diritto può essere esercitato
indipendentemente dal fatto che il cittadino in questione si trovi o meno sul
territorio italiano.
Ciò significa che il cittadino italo-sudamericano può candidarsi - in qualsiasi
momento e anche quando risiede in Sudamerica - a offerte di lavoro in Italia o
partecipare a concorsi pubblici al pari di qualsiasi altro cittadino italiano, tranne
nei casi in cui la lingua italiana sia un requisito fondamentale per poter svolgere
una specifica attività lavorativa. In quest'ultimo caso, la mancanza di competenze
linguistiche può giustificare una disparità di trattamento rispetto ai cittadini
italiani che le possiedono. Infine, il possesso della cittadinanza italiana comporta
anche l'accesso a tutti i diritti e benefici legati alla cosiddetta cittadinanza
europea. È noto che l'Italia è membro - e uno dei Paesi fondatori - dell'Unione
europea, che oggi conta 27 Stati membri. Uno dei principi fondamentali
dell'Unione Europea è il diritto dei suoi cittadini di circolare liberamente
all'interno del territorio dell'Unione, salvo eventuali restrizioni per motivi di
ordine pubblico. Questo principio - contenuto nel Trattato che istituisce la (allora)
Comunità economica europea - è stato gradualmente attuato dal diritto derivato
(direttive e regolamenti comunitari) che ne ha chiarito e rafforzato il contenuto.
In conseguenza di ciò, i cittadini di uno Stato membro dell'Unione hanno il diritto
di lasciare il proprio Paese e di entrare nel territorio di un altro Stato membro
semplicemente esibendo la carta d'identità nazionale e di godere di un soggiorno
gratuito per un periodo massimo di tre mesi, senza alcuna formalità burocratico-
amministrativa.116 Tali cittadini hanno inoltre il diritto di soggiornare in uno
Stato membro per più di tre mesi se possono dimostrare di svolgere un lavoro
dipendente o autonomo, o se dispongono di risorse economiche sufficienti per
evitare il rischio che il Paese ospitante debba sovvenzionarli.
Se i cittadini dell'UE rimangono o desiderano rimanere in uno Stato membro per
motivi di lavoro, la loro posizione di lavoratori è tutelata da normative specifiche
che garantiscono loro la parità di trattamento con i cittadini dello Stato ospitante
in tutte le fasi e in tutti i profili professionali.
Un altro principio fondamentale del diritto dell'UE è il principio di non
discriminazione sulla base della nazionalità 118, che significa che i cittadini
dell'UE non possono essere discriminati direttamente o indirettamente sulla base
della loro origine in un determinato Stato membro nel contesto dell'applicazione
YERITZA PESSELLIN
Abogada
del diritto dell'UE. Ne consegue che i cittadini dell'UE possono accedere alle
offerte di lavoro a parità di condizioni con i cittadini dello Stato ospitante - a
condizione che si trovino in situazioni simili e che non vi siano ragioni oggettive
che giustifichino restrizioni all'accesso al mercato locale - e devono essere trattati
alla pari dei cittadini locali in termini di occupazione (retribuzione e prestazioni
sociali). Infine, i cittadini dell'UE possono conteggiare i periodi di lavoro svolti in
uno Stato membro diverso da quello di cittadinanza, per sommare i periodi
lavorati nel proprio Paese o in un Paese terzo, grazie a un sistema di
riconoscimento reciproco e di coordinamento amministrativo. Il diritto di
circolare e soggiornare liberamente nel territorio dell'Unione europea non è
riservato solo ai cittadini dell'Unione, ma anche ai loro familiari, che siano o meno
cittadini dell'Unione. In particolare, il diritto dell'UE include nel concetto di
familiari il coniuge, i discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o i figli a carico
e quelli del coniuge, nonché gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge.
Si tratta di un aspetto fondamentale per un cittadino italo-sudamericano che
voglia chiedere il ricongiungimento familiare con il proprio coniuge o con un altro
membro della famiglia coperto dal diritto dell'UE. Infatti, non solo il familiare
extracomunitario potrà entrare e risiedere nel territorio dell'Unione - a condizione
che il richiedente disponga di risorse economiche sufficienti a mantenere il
familiare - ma potrà anche svolgere un'attività lavorativa nell'Unione.
Questo significa che il cittadino italo-sudamericano potrà creare le condizioni per
trasferire - se lo desidera - la propria famiglia nell'Unione europea e dare la
possibilità ai propri figli o familiari di stabilirsi in Europa e cercare un lavoro.
Infine, potrà creare le condizioni per invertire il viaggio compiuto dagli antenati
italiani in Sudamerica tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX secolo.
Eliminare una situazione di ingiustizia sociale attraverso il diritto
In Sudamerica, e anche in Colombia, la nuova giurisprudenza italiana ha avuto
le sue prime applicazioni. Molti cittadini hanno già intrapreso azioni legali,
individuali o collettive, davanti ai giudici italiani per ottenere il riconoscimento
della cittadinanza italiana che i loro antenati non hanno ottenuto a causa della
discriminazione delle donne di cui abbiamo parlato in questo articolo. Questi casi
possono variare notevolmente. Ci sono casi in cui un richiedente nato prima del
1948 presenta personalmente la richiesta e i fatti si limitano a dichiarare che la
madre era italiana, indipendentemente dal fatto che sia nata o meno in Sud
America. In altri casi si tratta di ricostruire un albero genealogico che risale alla
prima metà dell'Ottocento, con italiani nati prima dell'unità d'Italia che sono
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Abogada
emigrati in Sudamerica per vari eventi imprevisti, fino al loro legame con la
Massoneria internazionale.
La difficoltà maggiore deriva dalla necessità di reperire documenti - molto spesso
ecclesiastici - relativi a persone nate quasi duecento anni fa. Le modalità di
raccolta dei documenti possono variare da Paese a Paese. In Colombia, ad
esempio, il lavoro è facilitato dal fatto che la nunziatura apostolica di Bogotà può
attestare l'autenticità dei certificati di battesimo, per cui questi documenti
possono essere apostillati. Inoltre, la prova della non naturalizzazione a nome di
ascendenti immigrati è fornita dagli efficientissimi registri del Dipartimento
Amministrativo di Sicurezza (DAS) o del Ministero degli Affari Esteri colombiano,
e la prova della non rinuncia alla cittadinanza italiana può essere ottenuta
attraverso il Consolato italiano di Bogotá.
Stando così le cose, è opportuno chiedersi: perché non è possibile trattare i casi
dei nati da madre italiana prima del 1948 per via amministrativa, cioè attraverso
il Consolato italiano? In altre parole, perché le autorità italiane - principalmente
il Ministero dell'Interno - non danno piena attuazione alla nuova giurisprudenza?
La risposta giuridica è che le sentenze della Corte di Cassazione non
costituiscono, in senso stretto, un precedente vincolante - in termini giuridici,
non hanno efficacia erga omnes - per cui l'esame della cittadinanza dovrà essere
effettuato caso per caso. Secondo gli autori, questa spiegazione è insufficiente.
Le motivazioni sono da ricercare, da un lato, nel diritto, ma soprattutto nella
politica e nell'analisi delle conseguenze socioeconomiche che ne potrebbero
derivare. Cerchiamo di capire perché.
Innanzitutto, è necessario fare una stima, seppur imprecisa, di quante persone
sono attualmente private della cittadinanza italiana a causa dell'applicazione
delle norme incostituzionali. Se si incrociano tutti i dati disponibili per la
Colombia, si può concludere che la comunità italiana non superava le 1.000
persone in tutto il XIX secolo. Nel secolo successivo, il numero è aumentato
considerevolmente fino a raggiungere il suo picco all'inizio degli anni '80, e
rimane all'incirca della stessa dimensione oggi.124 Tuttavia, bisogna considerare
che tutti i dati sono conservativi, in quanto solo quelli verificati possono essere
attestati.125 È difficile ottenere dati affidabili sulla comunità italiana in Colombia.
È difficile ottenere dati affidabili sulla distribuzione storica tra uomini e donne
nella comunità di discendenti italiani. Ciò che si può immaginare dalle
informazioni disponibili è che circa i tre quarti degli italiani nati in Italia e
trasferitisi in Colombia fossero uomini. Tuttavia, l'aumento della colonia italiana
è probabilmente dovuto ai frequenti matrimoni tra persone, il che fa pensare che
YERITZA PESSELLIN
Abogada
il rapporto tra uomini e donne si sia avvicinato al 50 per cento nelle generazioni
successive.126 Dato che nella seconda metà del XX secolo la comunità italiana è
cresciuta rapidamente e che i matrimoni tra persone sono molto frequenti, è
ipotizzabile che la discriminazione riguardi diverse migliaia di persone, che
stanno ancora subendo gli effetti di norme incostituzionali. Se si calcola la
dimensione della discriminazione su scala sudamericana, e ancor più su scala
globale, il numero potrebbe raggiungere qualche milione di persone. Questo
potrebbe spiegare - almeno in parte - il comportamento delle autorità italiane.
Tuttavia, va sottolineato che la soluzione giurisprudenziale è solo parziale, in
quanto perpetua una discriminazione, questa volta di capacità economica, tra i
cittadini che hanno le risorse per pagare una causa in Italia e quelli che non le
hanno.
Quale sarebbe allora una soluzione duratura ed efficace per tutti? Finora le
soluzioni proposte sono state le seguenti.
La prima è che il Parlamento italiano risolva la questione per via legislativa. Negli
ultimi anni sono state presentate numerose proposte legislative per modificare la
legge 91 (1992). Tali proposte erano principalmente volte a risolvere altri
problemi, legati al fatto che, negli ultimi decenni, l'Italia è diventata un Paese di
immigrazione, ma non hanno trascurato un problema così delicato come quello
sollevato nel presente documento. Queste proposte presentano problemi di
redazione legislativa e sono spesso parziali o non esaustive. Inutile dire che non
sarebbe facile ottenere la copertura finanziaria dell'iniziativa, che porterebbe
sicuramente a una vera e propria implosione dei consolati italiani, già
drammaticamente congestionati in molti Paesi dell'America Latina. La questione
è stata più volte dibattuta in Parlamento e in Senato, a seguito di petizioni
parlamentari volte a trovare una soluzione definitiva, valida erga omnes, e
immediatamente applicabile a tutti gli interessati. Il risultato finale è che nessuna
di queste proposte si è concretizzata.
Un'altra soluzione prevede che il Ministero dell'Interno, mediante comune
concertazione con il Ministero degli Affari Esteri, emetta una circolare o un atto
simile per dare piena attuazione alla sentenza del 2009, ma finora nemmeno
questa opzione si è concretizzata.
Al momento, le due soluzioni hanno una cosa in comune: non possono fare altro
che finire di aprire le porte che la Corte di Cassazione ha lasciato socchiuse. Vale
a dire, il Parlamento italiano e i ministeri competenti (in una parola, lo Stato
italiano) devono piegarsi alla volontà dei loro giudici. Nessuna proposta potrebbe
YERITZA PESSELLIN
Abogada
impedire del tutto ai discendenti degli emigrati italiani - ai quali continuano ad
applicarsi norme incostituzionali - di ottenere la cittadinanza italiana, almeno
per via giudiziaria.134 Tuttavia, nel caso in cui il Parlamento intervenisse,
l'acquisizione della cittadinanza italiana potrebbe - a nostro avviso - essere
subordinata a requisiti aggiuntivi,135 come, ad esempio, il superamento di un test
di nazionalizzazione per i non residenti.136
Pertanto, ad eccezione di alcune situazioni patologiche,137 la questione ha al
momento solo una soluzione parziale, che trasferisce gli effetti della
discriminazione che ha colpito i cittadini italiani per quasi un secolo, e continua
a colpire i loro discendenti nati prima del 1948.
Va da sé che questo limbo giuridico potrebbe avere conseguenze disastrose.
Senza voler mettere in discussione l'indipendenza e la professionalità della
magistratura italiana, non si può escludere una nuova modifica della
giurisprudenza in materia, che rappresenterebbe senza dubbio la soluzione più
semplice per evitare di dover trovare una via d'uscita al problema, permettendo
così alla discriminazione di continuare a generare "vittime".
Al contrario, è proprio nella legge - che è responsabile della discriminazione
diretta contro le donne - che si deve trovare la soluzione più adeguata che non
perpetui la discriminazione. Con il sostegno dei latini diremmo: ex injuria, non
oritur ius.
Le dimensioni dell'emigrazione italiana, con particolare attenzione al continente
americano, hanno diffuso questa discriminazione con numeri sconcertanti. Gli
effetti sociali, sia in termini di perdite occasionali per milioni di italo-
sudamericani, sia di esplosione demografica - con i relativi e delicati problemi di
bilancio pubblico - sono enormi. Tuttavia, i giudici della Corte di Cassazione
hanno indicato la strada che è e deve essere, giuridicamente e socialmente, quella
da seguire.
IX PRETENSIONI
Chiedo il riconoscimento della cittadinanza italiana alla mia cliente
SANDRA ZORIO per l’esposizione dei fatti, in quanto nipote dell'antenato
italiano Elivio Zorio.
1. Chiedo che le venga riconosciuta la cittadinanza italiana per ius
sanguini in quanto suo padre è stato adottato direttamente da un antenato
italiano.
YERITZA PESSELLIN
Abogada
2. Chiedo che vengano effettuati gli accertamenti del caso e che non
vengano violati i suoi diritti.
X PROVA DOCUMENTALE
Prove documentali
- Copia della cédula (documento di cittadinanza colombiana) della mia cliente
SANDRA ZORIO LABRADOR
- Atto di nascita di SANDRA ZORIO LABRADOR
- Certificato rilasciato dall’autorità competente attestante la non avvenuta
naturalizzazione di ELIVIO ZORIO FERRARO
- Atto di morte del padre CARLOS ZORIO JAIMES
- Registrazione di morte del nonno ELIVIO ZORIO FERRARO
- Atto di matrimonio dell’ascendente italiano ELIVIO ZORIO FERRARO
- Atto pubblico N°01312 del 23 marzo 1963
- Atto con annotazione di matrimonio tra ELIVIO ZORIO e JULIA JAIMES
- Certificato di battesimo di Julia Jaime, con annotazione marginale nel registro
dei matrimoni.
- Certificato di battesimo di Carlos Elivio Zorio rilasciato dalla parrocchia di
“Nuestra Señora de Chiquinquirá”.
- Certificato di battesimo N°184 di SANDRA ZORIO LABRADOR
XI ALLEGATI
1. Procura con validità internazionale
XII NOTIFICHE
Richiedente: At Cra 50B # 64-44 Int 3 Apt 704
Cellulare: 300 4764756 o e-mail: sandra.zorio@gmail.com
Delega: Presso Carrera 24 N° 14-00 Sur. Ufficio 5°, Cel: 3024735841 o via e-
mail:pessellinyerithza@gmail.com

Cordiali saluti,
YERITZA PESSELLIN
Abogada
Yeritza P.
YERITZA PESSELLIN MENDOZA
C.C 1.065.647.443
T.P 324.026 C.S de la J.

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