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Stefano Zampieri
L’amore nella società liquida
3° Seminario Nazionale sulle Pratiche Filosofiche in Italia “Tra l’amor sacro e
l’amor profano”, Bologna 13 Aprile 2019

Amore e Riconoscimento
L'amore è cieco, si dice, ed è un luogo comune ben radicato, ma è singolare
osservare che la stessa cecità affligge la Giustizia e la Fortuna. Solo che in questi
ultimi due casi essa rappresenta l'imparzialità, il non guardare in faccia, il non
fare preferenze, la Giustizia si sa è uguale per tutti e per tutti inesorabile, e così
la Sorte che, buona o cattiva, può regalare fortune o portare disgrazie a
chiunque in qualunque momento. Ma l'amore è cieco in un altro senso: la sua
cecità è piuttosto simile a quella del Poeta, che non vede perché vede di più: è
la cecità di chi vede piuttosto ciò che è nascosto ad altri, ciò che gli altri non
vedono. "Cosa ha visto in quello?" dice l'amante tradito, o la madre gelosa. Ma
appunto l'amore vede oltre la prima apparenza, vede l'invisibile. È per questo
motivo che l'amore appartiene alle forme del Riconoscimento ma in un modo
del tutto particolare, e cioè quello che prevede un riconoscimento totale e
incondizionato dell'altro, e di noi stessi da parte dell'altro, perché l'amore esige
reciprocità per svilupparsi pienamente.
Riconoscimento integrale significa riconoscimento della persona in tutti i suoi
aspetti, positivi e negativi, significa riconoscimento di ciò che gli altri
respingono o ignorano. Significa comprensione dell'altro: "solo tu mi capisci" si
dicono gli innamorati, di fronte all'incomprensione del mondo.
L'amore dunque è accettazione dell'altro: "chi ama – scrive Jaspers - accetta
incondizionatamente senza alcuna ragione l'essere dell'altro nella sua origine:
egli vuole che sia." (Karl Jaspers, Filosofia II, p. 657). Perché in questo essere
reciproco gli amanti costituiscono la pienezza del presente vissuto. Una
pienezza che non ha bisogno di spiegazioni, perché "l'amore è la realtà più
inconcepibile, più infondata e al tempo stesso più evidente della coscienza
assoluta." (op. cit., p. 756).
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Ma allora perdere l'amore significa anche perdere il riconoscimento. Di qui il


dramma, la disperazione, dell'amante abbandonato, perdere l'amore, perdere
il riconoscimento, mette in crisi alla radice la propria identità, porta a non
sapere più esattamente chi si è, e quindi porta alla necessità di ricostruire
un'intera esistenza. E non nascondiamoci che proprio in questa disperante
difficoltà, proprio in questa attacco distruttivo alla nostra identità, si annida il
rischio della violenza, si nasconde il germe di quelle sanguinose reazioni di cui
la cronaca ci parla ormai ogni giorno, e che sembrano costituire ormai un esito
frequente della vita di coppia quando viene meno il legame d'amore.

Il disagio d'amore.
La nostra esperienza come Consulenti Filosofici qui ci è d’aiuto. Buona parte dei
problemi proposti e affrontati nella consulenza filosofica rientrano nel campo
dei disagi relativi alle relazioni, sia nel contesto di coppia, sia in quello
matrimoniale, o nelle dinamiche genitori/figli o nelle situazioni sociali e
lavorative.
Ciò che appare con tutta chiarezza è ciò che la sociologia contemporanea ha
ampiamente sottolineato ed enfatizzato: la profonda difficoltà nelle relazioni
affettive, al giorno d'oggi, è legata alla difficoltà di far quadrare il cerchio, cioè
vivere senza conflitto una contraddizione non risolvibile: da un lato il desiderio
di godere delle gioie della relazione, ma dall'altro il rifiutarsi di affrontarne le
dure necessità, perché ogni relazione duratura è anche una rinuncia ad altre
possibili relazioni, ogni scelta è un'esclusione, e per ogni legame stretto, mille
altri legami non si potranno stringere. Ogni possibilità che si realizza, cancella
un intero mondo di possibilità ulteriori.
È per questo che oggi, soprattutto le giovani generazioni, interpretano la loro
esistenza molto più attraverso la metafora della rete che quella della relazione,
perché quest'ultima, sia la relazione di partnership o di parentela, richiede
reciprocità, richiede stabilità, fiducia reciproca, sicurezza ma anche rinuncia e
sacrificio, mentre nella rete di relazioni si può entrare ed uscire liberamente, si
possono inseguire le occasioni, non si corre il rischio di aver perso l'occasione
migliore perché bloccati da una relazione stabile. Questo, ovviamente,
comporta il rischio che la relazione d'amore sia vista come una forma di
shopping, e che sia fatta per essere pienamente consumata ed altrettanto
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rapidamente cestinata dopo l'uso. C'è il rischio che la relazione d'amore sia
considerata come infinitamente sostituibile. Ma in questo modo l'uomo del
primo Novecento, l’Uomo Senza Qualità narrato da Musil, vittima della società
di massa, diventa oggi piuttosto un Uomo Senza Legami, singolo individuo
separato, privo di zavorre relazionali, privo di impedimenti, di catene, di
responsabilità. È proprio qui che esplode la contraddizione tra l'essere animali
sociali, che è un elemento costitutivo della condizione umana e l'essere
individui separati, condizione fondante dell'attuale modello di vita dominante,
il modello dell'uomo consumatore.
La relazione d’amore, dunque è la prima vittima nel trionfo della società dei
consumi. Perché il consumatore deve essere slegato da ogni vincolo, perché
così può disporsi alla infinita variabilità dei desideri e inseguire senza sosta il
richiamo delle merci.
Si produce allora una tensione lacerante dunque che spinge in due direzioni
opposte, senza trovare una soluzione; è questa la condizione nella quale ci
troviamo e chi non è in grado di opporre resistenza alle tensioni, finisce per
esserne travolto, finisce per cadere in una sorta di irrisolvibile disagio che si
ripercuote in tutte le sue relazioni personali, familiari, professionali.
Nasce da qui la necessità di ripensare profondamente il nostro rapporto con la
relazione d'amore, come chiave per rivedere profondamente le condizioni che
portano al disagio, e quindi cercare in qualche modo di pensare la nostra
esistenza in funzione di una condizione di superamento di quello stesso disagio,
nella prospettiva di una vita migliore. E il primo gesto che dobbiamo fare
probabilmente, è quello di comprendere che amore è una condizione
complessa. Nei suoi significati, nelle sue forme, nelle sue conseguenze pratiche
e nelle sue tensioni, amore si presenta non come uno dei molti sentimenti da
cui siamo costantemente percorsi, ma come quella misteriosa energia, che in
modi complessi, articolati, di difficile decifrazione, ci spinge nella direzione
dell'uno verso l'altro, dell’uno per l’altro. Come afferma Edgar Morin, “l’amore
è complessità emergente e vissuta, e la computazione più vertiginosa è meno
complessa della minima carezza…” (Il metodo 1. La natura della natura, p. 447).
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L'amore complesso.
La natura complessa dell'amore è bene rappresenta dalle tre forme attraverso
cui abbiamo imparato a riconoscerlo: Eros, Philia, Agape.
L'amore desiderio dei corpi, eros, l'amore passione, l'elemento distintivo,
profondo trascinante, cui corrisponde il mito platonico dell'androgino nel
Simposio, e l'impossibile riunificazione delle parti; ma anche le pagine
appassionate di Bataille, la sua descrizione dell'erotismo come questa spinta ad
essere uno, l'impossibile superamento della singolarità.
L'amore come desiderio senza mancanza, philia, l'amicizia, non più una
passione ma una virtù, l'amore che si fa e si dà, che non si subisce. Piacere di
ciò che si ha. Quel legame così immediato e così autentico, così privo di
presupposti, tale per cui Montaigne può spiegare l’essenza della sua amicizia
con Etienne de la Boetie in modo lapidario e definitivo: “Perché era lui, perché
ero io…”. Ma è anche l'amore-gioia di Spinoza. E prima di tutto quella
condizione di vita comune, di socialità realizzata per cui Aristotele può
affermare perentoriamente e temerariamente: "quando si è amici, non c'è
alcun bisogno di giustizia" (Etica Nic. VIII, 1, 1155°), perché la giustizia come
obiettivo supremo della società è necessaria solo in quanto non viviamo una
condizione di autentica amicizia incondizionata. Se vivessimo una condizione di
amicizia autentica e incondizionata non avremmo bisogno di norme e regole.
E infine la forma dell'amore agape, la forma forse più equivocata, anche per via
della insufficiente traduzione, carità, infatti, è termine piuttosto ambiguo e
frainteso. Probabilmente, almeno per me, la traduzione più efficace dovrebbe
essere quella dell'Aver-cura, dell'Essere-per, distinto dal semplice Essere-con, e
dunque inteso come il vero e proprio fondamento della morale. La
proposizione metafisica di Giovanni, Thèos agape estin (Gv 4,7), Dio è amore,
può così essere ricondotto una formula etica: Dio è prendersi cura, si manifesta
del prendersi cura dell’altro.

Amore ed etica.
Riabilitare la relazione d'amore nella sua complessità trinitaria, nelle sue tre
forme, nelle sue tre facce, è fondamentale dunque per poter cominciare a
pensare, e a vivere una dimensione dell'umano che vada oltre il modello
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individualistico che la modernità ci ha consegnato e che la società d'oggi


enfatizza.
Nella relazione d'amore, infatti, è contenuto il segreto della pluralità, il mistero
del nostro essere più che singolari, plurali, del nostro essere animali sociali e
politici. Nella relazione d'amore intesa come la forma dell'essere-per, è
contenuto anche il segreto del nostro diventare soggetti morali. Da questo
punto di vista bisogna tener conto che certo non si ama ciò che si vuole, ma al
contempo bisogna voler amare per poter amare.
Certo l'amore-desiderio è un istinto, ma è proprio dell'uomo non essere preda
succube dei propri istinti, ma in qualche modo saperli dominare e condurre e
persino reprimere; d'altra parte l'amore-amicizia è desiderio senza mancanza, è
ricerca consapevole e senza tornaconto, è sentimento puro di socialità. E infine
l'amore-agape, l’amore in quanto prendersi cura, ci mostra nel modo più netto
in che modo possiamo esercitare la nostra decisione e quindi la nostra libertà. E
in questo modo accedere ad una dimensione morale.
Secondo me nient'altro che questo c’è dietro la folgorante e spesso incompresa
affermazione di Agostino, che non a caso è presentata come una regola
morale: "una volta per tutte dunque ci viene imposto un breve precetto: ama e
fa’ ciò che vuoi; sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per
amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per
amore; sia in te la radice dell'amore, poiché da queste radici non può
procedere se non il bene." (Agostino, Commento alla lettera di San Giovanni,
VII, 8). Lungi dall’essere una affermazione di anarchica leggerezza, la
proposizione si propone piuttosto come un vincolo morale profondo e
impegnativo, tale da guidare un’esistenza intera. Amore è la guida perché è ciò
che fonda il nostro essere soggetti morali, è ciò che ci spinge all’Essere-per, al
prenderci cura reciproco, al restituire ciò che abbiamo ricevuto.

Conclusione
La filosofia porta l'amore nel suo stesso nome, ma l'amore di cui essa è azione è
una dinamica complessa, non semplice. Ma decisiva per noi filosofi quanto per
noi esseri umani. In questo senso è giusto parafrasare Camus e affermare che il
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solo problema filosofico davvero serio è proprio questo: comprendere fino in


fondo il significato della relazione d'amore.
E più chiaro ci appare allora anche il compito di chi opera nella dimensione del
Dialogo Filosofico: attraverso la messa in questione delle relazioni d’Amore
saper guidare alla elaborazione di una autentica Vita Filosofica.

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