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Molti sono ancora convinti che ci sia una traiettoria obbligata dell’amore

che incomincia con l’innamoramento, la passione ma poi declina e si


spegne nella convivenza quotidiana, quando non finisce nel tradimento e
nel divorzio. Ma sbagliano. Questo libro dimostra che la felicità e il piacere
più intensi sono possibili soltanto nel grande amore erotico che conserva la
freschezza dell’innamoramento, l’ardore della passione e che, anziché
affievolirsi, col passare degli anni si intensifica. Dobbiamo tornare a dare
alla parola amore il suo significato più pieno, più autentico. Perché il vero
amore è rivelazione, ammirazione, adorazione, fusione con qualcosa che ci
trascende e che dà un nuovo senso al mondo. Solo l’amore totale ci sa dare
il brivido dell’assoluto, lo stupore del nuovo, il terrore della perdita e una
felicità misteriosa, meravigliosa e divina. Il grande amore erotico si ottiene
abbandonandoci all’amore, alla voglia di vivere, al candore dei sentimenti,
alla sincerità, alla verità, alla libertà, chiedendo ciò che ci piace senza
pudore, senza paura.
FRANCESCO ALBERONI è uno dei più celebri sociologi viventi. È stato rettore
di università, presidente della Associazione Italiana di Sociologia,
editorialista de «Il Corriere della Sera» e attualmente de «Il Giornale». È
celebre per la sua teoria dei movimenti collettivi ed è riconosciuto in tutto il
mondo come il fondatore degli studi sull’innamoramento e sull’amore, su
cui ha scritto numerose opere nelle quali è andato via via approfondendo i
diversi aspetti del fenomeno. I suoi titoli precedenti, alcuni grandi bestseller
internazionali, sono tradotti in trenta lingue: Innamoramento e amore
(1979), L’amicizia (1984), L’erotismo (1986), Il volo nuziale (1992), “Ti
amo” (1996), Il primo amore (1997), Il mistero dell’innamoramento
(2003), Sesso e amore (2005), I dialoghi degli amanti (romanzo, 2009).
Francesco Alberoni

L’arte di amare
Il grande
amore erotico
che dura

Sonzogno
© 2012 by Sonzogno di Marsilio Editori® s.p.a. in Venezia

Prima edizione digitale 2012

ISBN 978-88-454-9922-7

www.sonzognoeditori.it
ebook@marsilioeditori.it

Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.


È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata
Prima parte
Superare un pregiudizio
1.
Impostazione del problema

Questo libro tratta del grande amore erotico che dura, un argomento che
non ho mai affrontato nelle mie opere precedenti: Innamoramento e amore,
Ti amo, Il mistero dell’innamoramento1. In questi lavori ho mostrato che
l’innamoramento nasce da un grande slancio vitale inibito, soffocato da
istituzioni irrigidite che, a un certo punto, travolge. Quando due persone si
trovano in questa situazione esplode il processo di stato nascente che
provoca la formazione di nuova comunità in cui ciascuno trascende se
stesso e sperimenta la possibilità di un mondo totalmente rinnovato e felice.
Però, col passare del tempo, lo stato paradisiaco dell’innamoramento lascia
posto a un amore più calmo e sereno, che si incanala all’interno di regole
istituzionali che, a loro volta, possono irrigidirsi. E quindi, in certi casi, ne
nasce un altro stato di inquietudine e di ricerca che porta a un nuovo
innamoramento.
Il fuoco dell’innamoramento è lo stato nascente rivoluzionario che ha
una durata limitata, mesi o pochissimi anni, a cui segue il processo di
costruzione dell’istituzione. È questo il punto che desidero mettere in
discussione in questo libro per rispondere a una domanda che moltissime
donne mi hanno posto nel corso degli anni: ma non è possibile che
l’entusiasmo, la passione ardente dello stato nascente dell’innamoramento
possa durare? Non è possibile che due persone continuino a provare quelle
straordinarie emozioni che provavano all’inizio del loro amore, mentre
invece, di solito, da questa tempesta amorosa segue un amore pacato ma
qualche volta anche noioso? Non si può continuare a vivere il delizioso
delirio delle origini per anni e anni? E io ho sempre risposto di no, che,
dopo un certo periodo di tempo, talvolta anche molto lungo,
l’innamoramento si istituzionalizza, diventa amore, perde il suo carattere
ideale e passionale e si trasforma in abitudine quotidiana. Oggi penso di
aver sbagliato nel dare una risposta così categorica. È vero, nella
maggioranza dei casi, la passione amorosa dei primi tempi diventa
istituzione, si raffredda, si fa consuetudine, e molte volte si spegne. Ma, per
quanto frequente, la scomparsa della passione non è la regola. Vi sono casi
in cui continua e si rinnova per moltissimi anni. L’idea che lo stato di
innamoramento duri poco e l’amore segua un rapido ciclo discendente è
molto diffusa. Più o meno tutti vi diranno che a un certo punto la lava
incandescente si solidifica, che la vie en rose riacquista i colori abituali, che
al posto dello spasimo, del batticuore, dell’attesa ardente subentra la
tranquilla quotidianità, che al posto della passione subentra il “voler bene”.
Ma questa serena sicurezza, questo stato amoroso stabile che dovrebbe
essere il coronamento e il trionfo, non è così eccitante come la fase vibrante
che lo ha preceduto.
Le favole che raccontano le peripezie per realizzare il proprio amore
restano interessanti finché c’è l’ostacolo, la difficoltà, cioè finché l’amore
non viene raggiunto. Poi, quando i due innamorati realizzano il loro amore,
quando “si sposano”, la favola finisce con l’espressione “e vissero felici e
contenti”. Ma nessuno dice che cosa accada esattamente in seguito. Non
interessa. Perché l’amore, il vero amore, è stato rappresentato prima, nella
ricerca, negli ostacoli, nella lotta contro la rivale, nel timore di non essere
riamati. La “passione” è tutta in questa fase preliminare dominata dal
desiderio, dall’incertezza e dalla speranza. È la lunga, difficile e complicata
strada che porta all’amore reciproco, l’essenza dell’amore, quel che viene
dopo non conta.
La storia non cambia passando dalle favole ai grandi romanzi come I
promessi sposi, Guerra e pace e L’amante di lady Chatterley. L’amore è
intenso nella ricerca, nell’attesa, nella lotta contro chi lo avversa, mai nella
sua realizzazione gioiosa. Vi sono anche molti romanzi che mostrano il
fallimento dell’amore come Anna Karenina e altri, come Madame Bovary,
che ne raccontano il sogno e l’inesorabile desolante declino. In ogni caso
l’amore resta interessante finché è combattuto, tragico o sconfitto. Nessuno
ha mai raccontato l’amore felice, nessuno ha mai fatto un romanzo del
periodo in cui “vissero felici e contenti”. E sono convinto che molti lo
considerino addirittura impossibile.
Il mio libro Innamoramento e amore costituisce una prima rottura di
questa tradizione perché mostra che l’innamoramento non è un istante, non
è un colpo di fulmine, ma ha una storia, uno sviluppo, una evoluzione,
attraversa momenti di incomprensione e di conflitto, ma può restare
ardente, positivo, volto al futuro e generare un progetto dando vita a un
nuovo modo di vivere. L’innamoramento crea una coppia amorosa, una
comunità forte, coesa, che ricostruisce il suo ambiente sociale, la sua
nicchia ecologica. In questo modo ho dato un primo contenuto concreto al
“vissero felici e contenti”. Ho però anche mostrato che il processo amoroso
va dalla fase fluida e incantata dello stato nascente alla stabilità
dell’istituzione. C’è quindi un mutamento di stato, il passaggio dal
movimento all’istituzione, dall’innamoramento all’amore. La teoria, di
conseguenza, escludeva che potesse durare l’innamoramento come continua
esperienza di desiderio, ricerca, passione.
È stato quando ho scritto la seconda parte di Sesso e amore2, nel 2004,
che mi sono reso conto di aver accettato anch’io passivamente lo schema
rigido dell’amore che nasce nello splendore dell’innamoramento e poi,
inesorabilmente, declina nella consuetudine e nella noia, che l’istituzione
uccide sempre l’ardore iniziale, il desiderio ardente, la ricerca appassionata.
Ero stato conformista, avevo escluso, come gli altri, che ci fosse una
passione capace di durare, anche se rara, eccezionale.
In realtà, già da qualche anno avevo incominciato a raccogliere
interviste, a fare domande su un mio blog dedicato all’amore e avevo visto
che vi sono persone in cui la passione amorosa dura a lungo, anni, decenni.
Persone che è come se fossero sempre innamorate, perché, insieme alla
straordinaria felicità e all’estasi, continuano a sperimentare l’ansia, il
batticuore, il dolore della distanza, il timore di non essere riamate. Ho poi
avuto la possibilità di conoscere e di raccogliere le confidenze di due
persone che vivevano da anni una profonda, appassionata storia d’amore. È
allora che ho incominciato a scrivere dei dialoghi, a prendere appunti e, alla
fine, non potendo stendere una relazione sulla loro vita perché mi ero
impegnato all’assoluta riservatezza, ho trasferito l’essenza della loro storia
amorosa in un romanzo, I dialoghi degli amanti3. Questo libro, fantastico
per l’ambientazione fantascientifica, per i nomi, i luoghi e gli accadimenti,
è però anche il documento preciso di una storia reale, l’analisi attenta di un
grande amore erotico che dura. Una storia che perciò userò come caso e
come esempio. E, come spesso accade quando si è scoperto per la prima
volta un fenomeno, in seguito ho trovato altre coppie unite da un grande
amore appassionato.
Qualcuno mi ha domandato perché non ho usato materiale clinico mio o
di colleghi. La risposta è semplice: chi va dallo psicologo di solito ha dei
problemi, la psicologia clinica è psicopatologia. La coppia innamorata e
felice non chiede aiuto, al massimo accetta di confidarsi con un amico.
Preferisco perciò citare un brano dal libro di André Gorz, Lettera a D.
Storia di un amore: «Sto per compiere ottantadue anni. Sei rimpicciolita di
sei centimetri, non pesi che quarantacinque chili e sei sempre bella, elegante
e desiderabile. Sono cinquantotto anni che viviamo insieme e ti amo più che
mai. Porto di nuovo in fondo al petto un vuoto divorante che solo il calore
del tuo corpo contro il mio riempie»4.
Questa lunga ricerca mi consente oggi di scrivere un saggio teorico a cui
ho dato il titolo L’arte di amare proprio perché espone la tesi esattamente
opposta a quella del libro omonimo di Erich Fromm5 che insegnava l’amore
fraterno, universale ma disprezzava e condannava l’innamoramento,
l’erotismo, la passione. Questo mio libro, al contrario, insegna ad accettare
il proprio innamoramento e a trasformarlo in un grande amore erotico che
dura. Ma, come ho appena detto, si tratta di un saggio teorico e perciò
dobbiamo procedere con ordine e con metodo, partendo da ciò che ho
lentamente elaborato nelle mie opere precedenti. Il nuovo libro non nega
quelli antichi, li corregge, li completa e ci fa fare un importante passo in
avanti.
Sento il dovere a questo punto di fare una precisazione. Quando dico
“grande amore erotico che dura”, non mi riferisco a un amore che dura tutta
la vita, dall’adolescenza alla vecchiaia. No, mi riferisco a una passione
ardente che dura molto, molto di più di quanto oggi non si creda, anche
dieci, venti anni e forse oltre, e sempre a un livello altissimo. Inoltre, sia
chiaro che non lo propongo affatto come unica forma di amore. Ci sono
tanti tipi di amore. Ci sono amori amicizia, amori tenerezza, amori
puramente sessuali, amori che durano una notte o una vacanza, amori che
sono capricci, cotte, infatuazioni, e ciascuno ha il diritto di vivere il tipo di
amore che vuole. Io mi rivolgo solo a coloro che dicono di volere un grande
amore erotico che dura e cercano un metodo per realizzarlo. Questo libro è
rivolto esclusivamente a loro.
1 Francesco Alberoni, Innamoramento e amore, Garzanti, Milano 1979; Francesco Alberoni, Ti amo,
Rizzoli, Milano 1996; Francesco Alberoni, Il mistero dell’innamoramento, Rizzoli, Milano 2003.
2 Francesco Alberoni, Sesso e amore, Rizzoli, Milano 2005.
3 Francesco Alberoni, I dialoghi degli amanti, Rizzoli, Milano 2009.
4 André Gorz, Lettera a D. Storia di un amore, Sellerio, Palermo 2008.
5 Erich Fromm, L’arte di amare, Il Saggiatore, Milano 1985. Anche Fromm ha preso il titolo del suo
libro da L’arte d’amare (Ars amandi) di Ovidio. Ne ricordo il contenuto. Nel primo capitolo Fromm
parla dell’amore come fenomeno sociale nella società capitalistica. Poi tratta a lungo dell’amore fra i
genitori e il bambino. Dedica invece solo quattro pagine all’amore erotico e sostiene che non è fatto
di sentimenti profondi, ma è un puro atto di volontà e non conta chi sia l’oggetto. L’autore tratta poi a
lungo e in modo dettagliato delle religioni e, successivamente, fa una lunga dissertazione sulla
disintegrazione dell’amore nella società moderna. All’innamoramento dedica solo poche righe in cui
dice che è un’illusione, una forma di egoismo a due e che impedisce di amare gli altri. Tesi sostenuta
anche da Ortega y Gasset nel libro Saggi sull’amore, Sugarco, Milano 1984, secondo cui
l’innamoramento è una “angina psichica”. Per entrambi, quindi, una espressione asociale e
patologica. Fromm fa parte di quella corrente di pensiero di cui sono rappresentanti anche Jean-
Jacques Rousseau e Denis de Rougemont secondo cui il matrimonio non deve mai avvenire fra
persone che si amano appassionatamente. Ma questa resistenza a capire l’innamoramento e i legami
che crea, la sua importanza per la costruzione della coppia, continua ancora, come dimostra anche
l’ultimo libro di Daniel Goleman e del Dalai Lama, Emozioni distruttive, Mondadori, Milano 2003,
dove il Dalai Lama dice: «L’amore romantico non è una sottocategoria dell’amicizia piena
d’amore?», affermazione da cui si capisce che i due non sanno nemmeno di cosa stanno parlando.
Teniamo però presente che in Europa ci sono stati anche autori che si sono occupati positivamente
dell’innamoramento, a cominciare da Stendhal nel suo celebre L’amore, Mondadori, Milano 1968, a
Georg Simmel Filosofia dell’amore, Donzelli, Roma 2001, entrambi ovviamente molto datati nella
loro concezione della donna. Merita inoltre una citazione il saggio di Vladimir S. Soloviev Il
significato dell’amore, Edilibri, Milano 2003.
2.
Il processo di innamoramento

Incominciamo con la teoria esposta in Innamoramento e amore, la prima


opera sistematica scritta sull’innamoramento. Ricordiamo che Freud e gli
psicoanalisti tendevano a spiegarlo come una regressione al rapporto con la
madre1 o come la manifestazione di un impulso sessuale inibito alla meta.
Ma, in entrambi i casi, si trattava sempre di qualcosa che capitava
all’individuo isolato, mentre invece tipico dell’innamoramento è di formare
una comunità, una coppia amorosa. Anche la tesi degli psichiatri secondo
cui è una particolare forma di delirio urta contro la stessa obiezione: che il
delirio è individuale, non condiviso. Infatti, sebbene ci siano casi in cui uno
si innamora e non viene ricambiato, di solito gli innamorati si scelgono in
modo tale che l’altro si innamora anche lui, e spesso lo fanno
contemporaneamente. Gli psicologi però si sono sempre concentrati
sull’individuo, e quindi anche coloro che, come Jung e Winnicott2, si sono
accorti dell’importanza della relazione amorosa, vi hanno visto solo uno
strumento di passaggio o di crescita dell’individuo, senza mai uscire dalla
prospettiva individualista.
Questo dal punto di vista degli psicologi e degli psichiatri. Ma anche dal
punto di vista del senso comune e della letteratura l’innamoramento è
spesso stato visto come qualcosa che accade a una persona. In francese
innamorarsi si dice tomber amoureux e in inglese fall in love; nell’una e
nell’altra lingua “cadere”, qualcosa che capita all’individuo. Un altro
approccio all’amore è stato quello della seduzione. Il seduttore non è
innamorato e vuol fare innamorare di sé un’altra persona. Per riuscirci
mette in atto una serie di strategie che consistono fondamentalmente nel far
provare all’altra la possibilità di una vita felice. Egli valorizza chi vuol
sedurre ma non si limita a dirle «sei bella, sei magnifica, sei sublime». Crea
situazioni in cui lei diventa oggettivamente bella e sublime. Organizza, per
esempio, una festa in cui lei entra come una dea o la presenta in pubblico in
modo da farla sentire ammirata da tutti. Siamo però sempre di fronte a un
individuo che vuole un altro individuo o che cede a un altro individuo.
La novità di Innamoramento e amore è stata di impostare il problema in
modo radicalmente diverso domandandosi: perché due persone si
innamorano l’una dell’altra? Oppure: come si forma la coppia innamorata?
In altre parole io non ho deciso di studiare la persona che si innamora
indipendentemente dal risultato, ma di studiare proprio l’innamoramento
bilaterale che porta alla formazione di una coppia. A questa prospettiva di
ricerca sono state fatte infinite critiche e obiezioni: uno può amare e l’altro
no, uno può essere innamorato di più e l’altro di meno, dopo un po’ di
tempo il rapporto amoroso si incrina, la grande passione dura solo un certo
numero di mesi o di anni. La mia risposta è sempre stata la stessa. Io non
voglio studiare i vari tipi di relazione amorosa ed erotica fra esseri umani,
ma studiare quello che non ha studiato nessuno, l’innamoramento bilaterale
di due persone che magari non si conoscevano, non si erano mai viste e, in
pochissimo tempo, talvolta pochi giorni, stabiliscono fra di loro un legame
emotivo e un’attrazione erotica fortissima, al punto che spesso spezzano i
legami più consolidati coi genitori, col fidanzato, col marito e con la moglie
e, presi da una vera e propria ebbrezza, vogliono solo vivere l’uno con
l’altro, fare all’amore l’uno con l’altro. E formano una coppia, una nuova
entità sociale capace di durare nel tempo. È la formazione di questa coppia
innamorata il fenomeno più interessante e, guarda caso, proprio il meno
studiato.
Come è possibile la comparsa improvvisa di un legame bilaterale così
forte? L’amicizia si forma lentamente, attraverso successivi incontri in cui si
stabiliscono una confidenza e una profonda fiducia reciproca3. Si può avere
anche un’attrazione erotica violenta e improvvisa che spinge due persone a
fare l’amore in modo frenetico, ma che poi scompare entro pochi giorni o
mesi. I due si lasciano senza che sia avvenuto quello sconvolgimento che fa
dire loro «sono innamorato» e li porta a fare progetti a lungo termine. È un
rapporto che ho chiamato infatuazione erotica, ma non è innamoramento.
A lungo mi sono domandato: quale altro tipo di fenomeno ha le stesse
caratteristiche dell’innamoramento? E come a tutti i miei colleghi, anche a
me nei primi tempi venivano in mente solo casi individuali, l’ebbrezza,
l’ossessione, la dipendenza da una droga, la follia, il delirio. Poi, studiando
e ristudiando la storia e l’antropologia, ho scoperto che ci sono altri
fenomeni simili, i movimenti collettivi4, momenti della vita sociale in cui la
gente si ribella all’esistente, si riunisce in gruppi entusiasti in cui tutti si
sentono fratelli e sono pronti a sacrificarsi per gli altri. Lo vediamo nei
momenti creativi in cui nasce una nuova religione, un nuovo partito, una
nuova setta, una rivoluzione. Gruppi che si trovano in uno stato che il
sociologo Émile Durkheim chiama di effervescenza collettiva e dice di loro:
«L’uomo che ne fa parte ha l’impressione di essere dominato da forze che
non riconosce come sue, che lo trascinano, che egli non domina [...] egli si
sente trasportato in un mondo differente da quello in cui si svolge la sua
esistenza privata. La vita qui non è soltanto intensa, ma è qualitativamente
differente [...] egli si disinteressa di se stesso, dimentica se stesso, si dà
interamente agli scopi comuni»5.
Sono esperienze straordinarie che proviamo anche nell’innamoramento
dove tutta la nostra vita fisica e sensoriale si dilata, diventa più intensa;
dove sentiamo odori che non sentivamo, percepiamo colori, luci che non
vediamo abitualmente e, sul piano intellettuale, percepiamo relazioni che
prima ci erano opache. E anche qui si forma un gruppo nuovo, entusiasta, la
coppia innamorata. È un grossolano errore pensare che l’innamoramento sia
un “sentimento”. È un processo a un tempo emotivo e intellettuale in cui
due persone compiono una vera e propria rivoluzione interiore, si ribellano
al mondo così com’è per crearne uno nuovo.
In tutti i movimenti io ho identificato un elemento comune iniziale che
corrisponde a quello che Durkheim chiamava effervescenza collettiva e
Max Weber stato nascente6 e l’ho chiamato esperienza fondamentale dello
stato nascente. Alcuni sostengono che questa analisi è impossibile perché i
movimenti si svolgono in epoche e in luoghi diversi con ideologie, culti,
credenze estremamente diversi. Non può esserci nulla in comune fra la
nascita del francescanesimo e il movimento islamista del Mahdi, fra il culto
del cargo e la Riforma protestante.
Ma è un errore grossolano. Pensiamo alla celebre analisi che Propp ha
compiuto sulle favole. Tutte le favole sono diversissime, sono state create in
epoche diverse, cambiano i personaggi, gli ambienti, le situazioni, le
vicende, le soluzioni. Però è possibile identificare una struttura comune a
tutte indistintamente. Propp scrive: «gli elementi costanti della fiaba sono le
funzioni dei personaggi indipendentemente da chi siano e in che modo le
assolvano». Così c’è sempre un eroe, un cattivo, l’eroe cade in un tranello,
viene messo alla prova, ha un soccorritore, sconfigge il cattivo, si sposa o
diventa re7.
Ebbene, lo stesso metodo può essere applicato all’esperienza
fondamentale dello stato nascente, senza farci trarre in inganno
dall’eterogeneità delle manifestazioni ideologiche, religiose e politiche in
società e in epoche diverse. L’esperienza fondamentale, infatti, è
preideologica, ed è costituita da un insieme di operazioni mentali che sono
fondamentalmente le stesse. E precisamente:
– Rivolta e liberazione. L’individuo ha l’impressione di potersi
finalmente liberare da tutti i vincoli, le coercizioni, i divieti, le regole, le
repressioni divenute ormai gravi o intollerabili.
– Rinascita. L’individuo ha l’esperienza esaltante di una vita nuova. Lo
stato nascente è caratterizzato dalla particella ri: rinnovamento,
rinascimento, risorgimento, riforma, rivoluzione, risveglio ecc. I movimenti
religiosi americani usano l’espressione born again, nati di nuovo.
– Storicizzazione. Ogni movimento scopre che il male e la sofferenza
presenti hanno avuto inizio in un errore del passato. Per questo tutti i
movimenti ristudiano il passato e riscrivono la storia.
– L’esperienza metafisica. Nella vita quotidiana il mondo ci appare
immutabile. Nello stato nascente, invece, ci rendiamo conto che può
cambiare, anzi che sta per tramontare e lasciare posto a una nuova realtà. La
vera realtà non è l’esistente, ma l’ideale.
– Unum et verum et bonum. Abbiamo poi l’impressione che ci siano una
verità e una giustizia assolute, e che esse coincidano con la libertà e
l’autenticità.
– Libertà e destino. Ora il soggetto si sente totalmente libero e nello
stesso tempo sente di realizzare il suo compito, il suo destino.
– Scomparsa della paura della morte. Nello stato nascente l’individuo si
fonde nella collettività e non ha più paura della sua morte individuale.
– Unanimità. Nel gruppo tutti pensano e sentono che c’è un accordo
spontaneo.
– Fratellanza e comunismo. I membri del gruppo provano una profonda
esperienza di amore e di fratellanza.

L’innamoramento, anche se inizia in modo sornione, è sempre un evento


che spezza la quotidianità, è una discontinuità. È la fine, la morte di
qualcosa e la nascita di qualcos’altro. Nell’innamoramento l’individuo
recide, talvolta violentemente, i rapporti che aveva con i suoi precedenti
oggetti d’amore per instaurarne di nuovi ed esclusivi con un altro. Egli fa
l’esperienza di rinascere. È l’incipit vita nova, quando tutto appare bello
come il primo giorno della creazione. L’innamoramento infonde negli
individui un’energia straordinaria e un modo rivoluzionario di vedere il
mondo dove tutto diventa possibile. Ecco che sta per iniziare una nuova
vita, con un nuovo cielo, una nuova terra, una vita di passione, entusiasmo,
gioia, fratellanza, una vita meravigliosa! Gli individui che ne sono coinvolti
si sentono fatti l’uno per l’altro e tendono a unirsi, a fondersi fisicamente –
di qui l’immenso erotismo – e psichicamente. Essi rompono o rallentano i
legami col passato e formano una comunità, un noi, la coppia amorosa, che
affronta unita il mondo.
Nell’innamoramento troviamo puntualmente tutte le categorie dello stato
nascente, la rinascita, la liberazione, il senso del destino, la storicizzazione,
la coincidenza di dovere e piacere, la fratellanza, il comunismo, l’unanimità
e perfino il carisma in quanto ogni innamorato appare all’altro come unico,
insostituibile, divino. Anche se intessuto di amore, l’innamoramento è però
sempre una rivolta, un rifiuto del passato e quindi ha in sé una terribile
carica di violenza. L’innamorato ostacolato diventa capace di odiare anche
le persone più care.
Che l’innamoramento non appartenga solo alla sfera erotica lo dimostra
l’esperienza del distacco. Quando il tuo amore è lontano, quando non puoi
parlargli, quando temi che non ti ami, non provi uno spasmodico desiderio
sessuale ma un atroce senso di perdita, una nostalgia straziante come per la
madre, o la patria, la terra natale perduta.

1 Freud provava un amore appassionato per la madre ma nella sua teoria fa dell’amore del figlio per
la madre un desiderio di incesto, quindi una malattia, il complesso di Edipo. La conseguenza di
questa impostazione, scrive Ghezzani, è che per lui «ogni impulso erotico, ogni romantico
entusiasmo, ogni intensa relazione passionale è solo “pulsione”, “istinto”, “perversione”» (Nicola
Ghezzani, Grammatica dell’amore, Marietti, Genova 2012). Questa riduzione dell’innamoramento a
puro sesso, anzi a sesso regressivo, ha avuto un’enorme influenza sulla psicoanalisi e su tutto il
pensiero psicologico moderno.
2 Carl Gustav Jung vede nell’incontro amoroso il ricongiungimento con il proprio animus (nella
femmina) o con la propria anima (nel maschio) che consente un mutamento interiore, una crescita
(Opere, Bollati Boringhieri, Torino 1981-2007). Una analoga posizione verrà sostenuta da Donald
Winnicott col concetto di oggetto transizionale che consente la transizione da uno stato a un altro
stato della propria identità (Donald W. Winnicott, Sulla natura umana, Raffaello Cortina, Milano
1989).
3 A differenza dell’innamoramento su cui nessuno, a parte Platone e Stendhal, ha mai scritto nulla,
c’è una amplissima letteratura sull’amicizia dalla quale ricordiamo: Aristotele, Etica nicomachea,
Laterza, Bari 1965; Marco Tullio Cicerone, Lelio: dell’amicizia, Zanichelli, Bologna 1982; Michel
de Montaigne, Saggi, libro primo, cap. 28, Mondadori, Milano 1970; Ralph Waldo Emerson,
Amicizia, Piano B edizioni, Prato 2010; Siegfried Krakauer, Sull’amicizia, Guanda, Parma 2010;
Erich Fromm, L’arte di amare, cit.; C.S. Lewis, I quattro amori, Jaka Book, Milano 1982; e anche il
mio L’amicizia, Garzanti, Milano 1984.
4 Su questo argomento probabilmente l’opera più completa e con la più ricca bibliografia è ancora
quella di Francesco Alberoni, Genesi, Garzanti, Milano 1989. Essa costituisce l’approfondimento e
l’ampliamento di Movimento e istituzione, il Mulino, Bologna 1977 e 1981. Sento però il dovere di
segnalare l’opera pionieristica e non capita dai sociologi e dagli scienziati politici compiuta da
Vittorio Lanternari, in particolare nei suoi libri Movimenti religioni di libertà e salvezza, Editori
Riuniti, Roma 2003, e La grande festa, Edizioni Dedalo, Bari 1977, dove esamina centinaia di
movimenti politico-religiosi dei popoli a livello etnologico e ne mostra la somiglianza con la nascita
delle grandi religioni e dei totalitarismi moderni.
5 Émile Durkheim, Giudizi di valore e giudizi di realtà, in Le regole del metodo sociologico.
Sociologia e filosofia, Comunità, Milano 1963, p. 216.
6 Max Weber, Economia e società, Comunità, Milano 1963, vol. II, p. 431.
7 Vladimir Jakovlevič Propp, Morfologia della fiaba, Einaudi, Torino 1966.
3.
Quando ci innamoriamo?

Quando la gente si innamora? Nessuno si innamora quando è felice. Noi ci


innamoriamo quando siamo stanchi della vita che conduciamo nel presente,
quando ci sentiamo oppressi, tarpati, limitati nelle nostre possibilità e,
contemporaneamente, quando siamo pronti a mutare, quando, pieni di vita,
desideriamo compiere una nuova esplorazione del mondo, quando siamo
pronti a crescere, a sviluppare una parte di noi stessi che avevamo rifiutato,
quando siamo pronti a mettere a frutto capacità che non abbiamo sfruttato, a
esplorare mondi in cui non siamo mai entrati, a realizzare sogni e desideri a
cui abbiamo rinunciato. E la spinta si accentua quando possiamo vedere
ambienti diversi, dove la gente ci appare più felice e dove, rompendo una
barriera con un atto di coraggio, potremmo esserci anche noi. L’amore sorge
nei momenti in cui cambiamo vita, lasciamo le scuole e ci mettiamo a
lavorare, quando abbiamo una promozione, quando emigriamo in un nuovo
paese e si schiudono davanti a noi nuove possibilità, quando abbiamo
successo e, di colpo, diventa possibile quello che un tempo non lo era. Noi
ci innamoriamo quando apriamo i cancelli del possibile, intravediamo una
vita nuova ma non abbiamo ancora scelto la strada definitiva, e il nostro
cuore è pieno di desiderio, di speranza, di sogni ma anche di incertezza e di
attesa.
Allora andiamo alla ricerca di ciò che ci manca per ricominciare, per
rigenerare noi stessi e il nostro mondo. Ma poiché tutti i nostri desideri
scaturiscono dalle profondità del nostro inconscio, non sappiamo dove e
cosa cercare. Poi uno di questi incontri, misteriosamente, è più intenso.
Avviene quando quella persona accenna, mi indica, mi suggerisce anche
con una parola, con un gesto, con un modo di parlare, altre possibilità,
quando simbolizza un modo alternativo di essere che mi attrae e mi
spaventa. Quando evoca ciò che avrei potuto avere e non ho avuto, ciò che
avrei potuto essere e che potrei diventare. A volte si tratta di una persona
che in quel momento non mi appare bella, che non mi piace particolarmente
sul piano erotico, ma mi attira, ha uno strano fascino per cui desidero
restare con lei, guardarla, ascoltarla. Il tempo passa senza che me ne
accorga ma, quando se ne va, resto triste. Mi torna in mente, desidero
rivederla. Quando la rivedo torno nuovamente allegro. Le parlo volentieri,
le racconto di me, di ciò che mi piace e non mi piace e ascolto, affascinato,
ciò che mi dice lei. Di colpo sono felice se scopro che i nostri giudizi, le
nostre preferenze, concordano. Desidero fare qualcosa insieme, dare
continuità al nostro incontro, al nostro rapporto. Desidero toccarla, sentire il
contatto delle sue mani, dei nostri corpi. Ma non è desiderio sessuale,
piuttosto fascino, incantesimo, poesia. Sono desideri intensi, risonanze
arcane, inquietanti, pericolose. Scopro che non so nulla di lei. Allora
desidero sapere come vive, cosa fa, chi ama, chi ha amato. E, mentre mi
pongo queste domande, provo un inquietante sentimento di gelosia. È
precocissimo, infatti, il desiderio di esclusività. Il puro desiderio sessuale
non desidera l’esclusività. Vuole il piacere del presente. Quello che l’altro
fa o ha fatto con altre persone non mi interessa e, se mi interessa, è
addirittura fonte di eccitamento. Se mi racconta le sue avventure sessuali mi
fa venir voglia di essere al posto dell’altro. Ma se ho anche solo
incominciato a innamorarmi, allora insieme all’eccitamento provo un vero
turbamento, e chi stava con quella persona diventa improvvisamente un
rivale. E quando l’innamoramento procede, non voglio che un altro uomo (o
donna) si metta fra di noi, non c’è più posto per nessuno. Allora voglio
sapere tutto del suo passato, le chiedo dei suoi amori, ne sono geloso e ho la
segreta speranza di sentirmi dire che sono definitivamente morti. Nello stato
nascente dell’innamoramento, dunque, abbiamo l’impressione che sia finito
un periodo di prigionia. Abbiamo rotto le catene, siamo usciti all’aria
aperta. Assaporiamo la libertà. Ci eravamo piegati, per pigrizia, per
passività, per paura. Ci costringevamo a fare quello che ci chiedevano gli
altri. Seguivamo le loro regole, non le nostre più profonde aspirazioni. Non
eravamo più noi stessi. Ci eravamo rinchiusi, a poco a poco, in una prigione
invisibile. Ora ne abbiamo rotto le sbarre e siamo finalmente diventati ciò
che vogliamo essere. È come se fosse caduto, quasi per magia, un velo che
ci bendava. Adesso sappiamo quali sono i nostri veri desideri. Adesso
conosciamo la nostra vera essenza. Sappiamo che cosa è giusto, che cosa è
bene fare. E che tutto dipende dall’amore. L’amore è un dono meraviglioso,
anche se fa soffrire. Perderlo significa ritornare fra i ciechi, nella condizione
degli zombie.
Il nostro amato non è confrontabile con nessun altro. «L’altro che io amo
e che mi affascina» scrive Roland Barthes, «è atopos. Io non posso
classificarlo, poiché egli è precisamente l’Unico, l’Immagine irripetibile
che corrisponde miracolosamente alla specialità del mio desiderio. È la
figura della mia verità: esso non può essere fissato in alcuno stereotipo»1.
Egli è l’unico, assolutamente l’unico essere vivente che io possa amare.
Chiunque altro incontri, fosse anche il mio idolo preferito, non può
rimpiazzarlo. Non troverò nessun altro come lui, meglio di lui. Se sono
ricambiato, se lui mi ama, mi meraviglio dell’incredibile, straordinaria
fortuna che mi è capitata. Sento che mi è stato dato qualcosa che non avevo
neppure immaginato di poter ottenere. Ora riesco a vedere l’essenza delle
cose, sento che tutto è animato da una forza ascendente, che aspira alla
felicità, alla gioia, a rendere ogni cosa armonica, perfetta. Questa è la verità
profonda del reale. Tutte le cose esistenti, tutti gli esseri animati e inanimati
hanno un senso. L’essere è in sé bello, logico, necessario, ammirevole,
stupendo. Perciò tutte le cose, una collina, un albero, una foglia, un muro al
tramonto, perfino un insetto, ci appaiono commoventemente belle.
Quando amiamo e siamo riamati, ci immettiamo nel grande respiro
dell’universo. Diventiamo parte del suo moto e della sua armonia. Ci
sentiamo agiti, attraversati da una forza trascendente. Siamo come una nota
musicale di una grande sinfonia. Ci sentiamo liberi e, amando, realizziamo
la nostra libertà. Nessuno è “schiavo” del suo amore. Perché è la sua verità,
la sua chiamata, il suo destino. L’innamoramento ci immette nel mondo
divino delle origini, quando gli uomini parlavano con gli dei e non c’era
ancora la colpa, il peccato2. Quando l’erotismo era libero e felice e avere il
corpo della persona amata, guardarla, accarezzarla, abbracciarla, fare
all’amore era naturale come bere con la mano l’acqua da una fontana.
L’innamoramento ci fa andare al di là della vita ordinaria in un mondo
trasfigurato, in una sfera superiore dell’essere. La follia divina di Platone,
l’esperienza a cui i greci hanno dato il nome di un dio: Afrodite, Dioniso,
Eros.
L’innamoramento ci rivela la bellezza della persona amata e del mondo.
Il corpo dell’amato, il suo volto, il suo modo di essere si stagliano su un
mondo meraviglioso. E diventano erotici, desiderabili più di qualsiasi altra
cosa. Noi siamo stupefatti, storditi da tanta bellezza e tanto piacere. Più
stiamo col nostro amato e più desideriamo restarci. L’innamoramento e solo
l’innamoramento crea un desiderio continuo, che non ammette lacerazioni
nella trama del tempo. Il tempo dell’amicizia è discontinuo, granulare3.
Quando lasciamo un amico non ne sentiamo la continua mancanza e quando
lo rivediamo, anche dopo molto tempo, ci sembra di riprendere un dialogo
appena interrotto. Il tempo dell’amore invece è continuo, compatto,
inconsutile. E se restiamo lontani a lungo dal nostro amato stiamo male,
soffriamo. Per questo ci telefoniamo e ci scambiamo messaggi in
continuazione, e poiché il nostro pensiero torna continuamente a lui e ci
sentiamo vuoti, cerchiamo di riempire il tempo con delle attività per
distrarci. C’è una bellissima frase di Roland Barthes ricavata da Winnicott
che ci fa capire quanto possa essere straziante il distacco: «Un brevissimo
momento, si dice, separa il tempo in cui il bambino crede che sua madre sia
ancora assente, da quello in cui la crede già morta. Manipolare l’assenza
vuol dire far durare questo momento, ritardare il più a lungo possibile
l’istante in cui l’altro potrebbe, dall’assenza, piombare bruscamente nella
morte»4.
Trasferito dal bambino all’adulto innamorato, questo orrore dell’assenza,
questa angoscia della separazione tipica del vero innamoramento fa sì che,
al ritorno della persona amata, vogliamo sapere tutto quanto ha fatto per
avere la sensazione di essere stati insieme sempre, anche quando non era
con noi.

1 Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, Einaudi, Torino 1979, p. 38.


2 Mircea Eliade, La nostalgia delle origini, in Trattato di storia delle religioni, Boringhieri, Torino
1976.
3 Francesco Alberoni, L’amicizia, cit.
4 Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, cit., p. 35.
4.
Di chi ci innamoriamo?

Ci innamoriamo quando, insoddisfatti del presente, abbiamo l’energia


interiore per iniziare un’altra tappa della nostra esistenza. Rompiamo i
vecchi legami sociali ed edifichiamo una vita individuale e sociale nuova. E
non possiamo crearla da soli, dobbiamo essere perlomeno in due. Gli
psicologi Jung e Winnicott avevano messo in evidenza che possiamo
cambiare solo rapportandoci intimamente a un’altra persona, sia essa un
maestro, un capo, un guru o la persona amata. Ma per la grande
trasformazione, non basta. Le due persone debbono fondersi dando origine
a una nuova comunità ed è in questa comunità che avviene la rinascita. Lo
stato nascente, infatti, è una vera morte-rinascita da cui esse escono
rinnovate.
Chi è allora l’altra persona con cui questo processo è possibile? La
persona che scatena quell’esperienza straordinaria che abbiamo chiamato
stato nascente? Noi non la conosciamo e non possiamo conoscerla. Può
essere qualcuno che non abbiamo mai visto prima, di cui ignoravamo
l’esistenza, come può essere invece un amico o un’amica con cui siamo in
confidenza da anni. Ma fino a quel momento, fino a quel grado di
maturazione della tensione di cambiamento, non esisteva ancora la
configurazione che avrebbe orientato la ricerca in una direzione che
avrebbe consentito di “riconoscere” la persona adatta a scatenare il
cambiamento. Tutto questo avviene dopo una lunga preparazione, fino al
crearsi di una “predisposizione” che raggiunge il suo punto catetico, il
momento di rottura.
Prima di innamorarci, noi attraversiamo una fase di inquietudine, di
attesa, facciamo sogni, fantasie, a volte abbiamo presagi. Abbiamo
l’impressione che ci stia per accadere qualcosa di straordinario. Stiamo
cercando ma non sappiamo ancora cosa cercare. Spesso in questa fase che
precede l’innamoramento sentiamo il desiderio di rivedere le persone che
abbiamo amato o con cui abbiamo avuto una relazione nel passato, ma ci
accorgiamo che non possono darci nulla. Il nostro è un esplorare a tentoni la
realtà, da cui ricaviamo solo esperienze negative. Giriamo per la città
guardando con attenzione uomini e donne sconosciuti. Ora siamo
fortemente attratti da una persona, poi ci appare improvvisamente
insignificante. Alcuni hanno anche improvvisi colpi di fulmine con
l’impressione di essere innamorati ma successivamente questa impressione
svanisce con la stessa rapidità con cui è comparsa. L’innamoramento
avviene solo se troviamo ciò che cercavamo. È come un puzzle in cui, a un
certo punto, l’altra persona si rivela il pezzo mancante, quello che, di colpo,
ci mostra l’intero disegno. Che, nel caso dell’amore, è il disegno della
nostra vita. E, come nel puzzle, quando ci accorgiamo che quello è
veramente il pezzo mancante, abbiamo un’impressione di stupore e di
esultanza. Quando incontriamo l’uomo o la donna che corrisponde al pezzo
mancante del disegno della nostra vita, abbiamo l’affascinante impressione
di essere stati creati appositamente l’uno per l’altra, di esserci sempre
cercati e di esserci finalmente incontrati. E, poiché non conosciamo il
disegno che stiamo perseguendo, e tantomeno il pezzo che ci manca, la
persona che amiamo può essere la creatura più incredibile, più stupefacente,
qualcuno che non avremmo mai potuto nemmeno immaginare, e che
avremmo giudicato una follia. L’innamoramento non è scelta, è destino.
Ma quali sono le caratteristiche particolarissime di quel pezzo unico che
ci rivela il disegno del puzzle? Quali sono i segni grazie ai quali io posso
riconoscere, in mezzo a mille, che è quella persona e solo lei? Gli
psicoanalisti hanno immaginato fosse qualche particolare che ci ricorda gli
oggetti d’amore infantile, in particolare nostra madre. Qualcosa che
abbiamo già conosciuto e amato e l’innamoramento sarebbe regressione,
ripetizione di quella esperienza. Ma questa tesi non è sostenibile. Se io vado
a vivere in Giappone mi innamorerò di una giapponese piccola e bruna, in
Russia scoprirò il mio elemento mancante in una russa alta e bionda.
L’elemento unico e insostituibile non può essere perciò una proprietà
permanente ed esclusiva della persona. Deve essere piuttosto un certo modo
di fare e di apparire nel momento particolarissimo in cui l’individuo è
predisposto a innamorarsi. Questo è, ricordiamolo, uno stato di tensione
parossistica, di rivolta, di attesa di rinascita, un risveglio. Nel momento del
risveglio, noi siamo aperti, protesi verso la rivelazione di qualcosa di nuovo
e meraviglioso. Attendiamo un segnale, un invito, una guida. Se, in quel
particolarissimo periodo, incontriamo una persona che, col suo
comportamento o le sue parole ci mostra un modo per realizzare il nostro
processo di liberazione, ci fa sentire che può soddisfare i nostri desideri più
intensi, ci indica dove possiamo o vogliamo andare, allora essa diventa per
noi la porta insostituibile per entrare nel nuovo mondo. Nelle litanie la
Madonna è chiamata ianua coeli, porta del cielo. E nella tradizione islamica
il profeta viene indicato come “porta”, bab1.
Noi perciò ci innamoriamo della persona che in quel momento ci appare
come la porta della vita, del rinnovamento, del futuro. La persona che ci
comunica con segnali, simboli, come crescere, come realizzare le nostre
possibilità, come realizzare ciò che oscuramente presentivamo. Che ci
consente di andare in una direzione che risponde alle nostre esigenze celate,
ai fermenti che sentiamo nascere in noi, e quindi anche alle prospettive che
il mutamento sociale ci trasmette. Se la persona amata assomiglia a nostra
madre o a nostro padre, oppure a una qualsiasi altra persona che abbiamo
amato o ammirato, non è una regressione, è solo una rassicurazione, una
conferma della bontà della direzione presa. Se abbiamo amato, ammirato,
sognato un attore o un’attrice famosa, se abbiamo desiderato una donna o
un uomo che non abbiamo potuto avere, la persona di cui ci innamoriamo la
incarnerà. Ma scegliamo lei perché giunge nel momento opportuno, perché,
almeno sul piano simbolico, ci appare idonea a risolvere il nostro problema
esistenziale, la nostra collocazione nel mondo.

1 Per questo il sultano dell’impero ottomano, che era anche califfo, cioè vicario del profeta, ombra di
Dio sulla terra, veniva chiamato “Sublime Porta”.
5.
La storicizzazione

Quando due persone sono innamorate, ciascuna vuol conoscere l’altra non
solo per come è ora, ma anche come era prima di incontrarla, che amori ha
avuto. E, nel caso dell’amore profondo, questo desiderio di conoscerla
arriva fino all’infanzia, cerchiamo di immaginarla bambina, adolescente,
vogliamo sapere delle sue prime esperienze, del suo primo amore, insomma
è come se volessimo ripercorrere al suo fianco tutta la sua vita. E, a nostra
volta, vogliamo raccontarle la nostra vita quasi per mostrarle la nostra
essenza, la nostra anima, il nostro più vero e profondo essere. In questo
modo ciascuno ripercorre la propria esistenza, ripensa e rigiudica tutto ciò
che ha compiuto, scopre dove ha sbagliato, dove ha fatto bene, si rende
conto di avere anche altre qualità, altre capacità, di aver avuto desideri a cui
ha rinunciato per paura, per conformismo, perché non si rendeva conto della
loro importanza e, in questo modo, si riconcilia con parti di se stesso che
aveva respinte. E poiché partecipa al racconto del suo amato, rivive anche
la sua vita, vede le cose come lui le ha viste e arricchisce così la sua
prospettiva sul mondo. Questo processo di ricordo, questo costruire
criticamente la propria storia di fronte all’amato è la storicizzazione1, un
processo in cui gli innamorati si impossessano del proprio passato, si
sentono finalmente liberi di essere ciò che vogliono essere. E quando
compiono questo processo insieme si comprendono intimamente.
Lo stato nascente infatti ha una straordinaria proprietà. Ci consente di
rileggere il nostro comune passato e di poter espellere da esso ciò che
rallenta o blocca il nostro amore. È un andare indietro per sciogliere i nodi
che ci tenevano legati e quindi poter correre avanti. La storicizzazione è
esattamente l’opposto della regressione descritta dagli psicoanalisti. Nella
regressione noi torniamo nel passato e ne restiamo prigionieri, nella
storicizzazione ci ritorniamo per liberarcene. È grazie a questo meccanismo
che i due innamorati si liberano dei legami che li tenevano prigionieri.
Farò un esempio. Un uomo racconta: «Ero innamorato di una donna che
non ha voluto saperne di me. Ho sofferto per anni e, nonostante abbia fatto
di tutto per dimenticarla, sia stato con altre donne, mi sia perfino sposato, in
realtà continuavo a essere profondamente legato a lei, continuavo a esserne
“innamorato” e tutti gli altri miei rapporti erano deboli, labili. Finché avevo
questo legame nascosto non potevo più amare nessuno. Sono rimasto così
per quindici anni. Poi, improvvisamente, mi sono innamorato di un’altra
donna. Un giorno in cui le raccontavo di questo mio amore infelice mi sono
accorto che non me ne importava più nulla, che il peso che gravava su di
me da tanti anni improvvisamente era sparito».
Solo un nuovo innamoramento infatti ha il potere di annullare, guarire la
delusione d’amore, la malattia d’amore. Basta parlarne con la persona di cui
sei innamorato durante il periodo incantato dello stato nascente. Perché
esci dal vecchio mondo, sei in un mondo nuovo. Del vecchio amore ricordi
i fatti, ma non provi più i sentimenti, la nostalgia, il dolore. La libido che vi
era fissata rifluisce via libera. Lo stato nascente ci rende cioè veramente
capaci di rifare il passato, di compiere la redenzione del passato, il “così
fu” immodificabile che Nietzsche faceva promettere a Zarathustra2.
Proseguiamo con un altro esempio. È una donna che parla. «Sono
innamorata di un uomo che mi ama profondamente. I primi tempi, quando
gli raccontavo la mia vita e gli parlavo del mio primo amore, quello che ho
avuto a diciannove anni per un uomo che ne aveva quindici più di me, lui
aveva un atteggiamento di disprezzo. Mi diceva che ero una povera ragazza
inesperta finita in mano a uno spregiudicato. Parlando così sminuiva il mio
amore, come se fosse stato una debolezza. Invece io amavo veramente,
profondamente il mio fidanzato e lui, sia pure a modo suo, mi ha amata.
Certo, mi sono comportata in modo ingenuo, ho fatto degli sbagli.
Litigavamo, io volevo fargliela pagare e allora aspettavo per un mese la sua
telefonata e, quando chiamava, mettevo giù il telefono. Però ci sono stati
lunghi periodi in cui lui era veramente innamorato. Dormivamo insieme,
abbiamo fatto bellissimi viaggi nel sud e nelle isole e siamo stati felici. Poi
ci siamo lasciati, lui ha sposato un’altra, io ho avuto altre esperienze, ma
non mi sono più innamorata e ho capito che quel primo amore era stata
forse la cosa più bella che mi aveva regalato la vita. Sono passati tanti anni,
non provo assolutamente più nulla per lui, non ho nemmeno voluto
rivederlo anche se avrei potuto farlo con facilità, ma ricordo il grande
amore che ho provato allora e non lo devo negare o nascondere». La
redenzione del passato non è perciò una deformazione, una falsificazione,
ma solo la liberazione dai legami che ci tenevano ancora avvinti. Questa
ragazza non ama più quell’uomo, ma ricorda il suo primo amore e sa quanto
sia stato importante nella sua vita.
Perché nel processo di storicizzazione noi possiamo ascoltare il nostro
amato che ci racconta i suoi precedenti amori senza diventarne gelosi?
Perché nello stato nascente dell’innamoramento noi rompiamo col passato e
quando lui ce li racconta ci trasmette questa esperienza di distacco. Ci dice
che è una cosa passata e noi sentiamo che è vero, che non prova più niente,
che quell’amore è finito, e finito per sempre. Che non ha più desideri,
nostalgie o rimpianti.
Il processo di storicizzazione procede perciò sotto forma di dialogo, in
cui ciascuno racconta la propria vita all’altro e ascolta ciò che l’altro dice di
sé. Poiché sanno di essere diversi, sanno di avere avuto esperienze amorose
che possono essere state importanti, entrambi le raccontano con discrezione
e con prudenza, pronti a fare un passo indietro se l’altro rifiuta, pronti a
dare più enfasi se si accorgono che l’altro approva. La vera storicizzazione
è sempre un rifacimento della nostra vita a quattro mani, attraverso il
dialogo, in cui ciascuno si mette in gioco e accetta di cambiare per
incontrarsi con l’altro senza rinunciare a se stesso.
In questo processo è implicito un pericolo. Poiché io sono affascinato
dalla persona che amo e non voglio assolutamente perderla, posso decidere
di non dire tutto di me stesso ma di mostrarle solo la parte migliore, quella
che penso possa piacerle. Come avviene durante il corteggiamento, in cui
ciascuno cerca di affascinare l’altro. Ma il corteggiamento è una recita,
mentre quella che si fanno i due innamorati è una confessione. La
storicizzazione dell’innamoramento per essere efficace deve essere fondata
esclusivamente sulla verità. L’esempio che abbiamo dato prima ci mostra
una donna innamorata che vuole parlare di sé dicendo la verità anche se sa
che l’uomo che ama vorrebbe che lei parlasse con disprezzo del suo primo
amore. Lei non cede, sa che se lo facesse deformerebbe il suo passato,
mentre vuol essere amata per ciò che è realmente, senza nessuna finzione.
1 Il processo di storicizzazione avviene anche nei movimenti collettivi e produce una rilettura e una
riscrittura della storia passata. I grandi impulsi allo studio della storia vengono di solito dai
movimenti: gli studi sulla condizione femminile, per fare un esempio, sono esplosi con il
femminismo, gli studi sulle origini del capitalismo sono esplosi con i movimenti socialisti, quelli sui
popoli con i movimenti nazionalisti. Nel momento della passione entusiasta del movimento, più che
di studio si dovrebbe parlare di scoperta, revisione, riscrittura del passato. È solo in seguito che nei
paesi democratici questa ricerca entusiasta diventa veramente storiografia e storia. Nei paesi totalitari
invece la storia viene continuamente rielaborata in rapporto alle esigenze del potere. Ne abbiamo
avuto un esempio nella Enciclopedia Sovietica durante l’epoca di Stalin.
2 Friederich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, Milano 1968.
6.
Le prove

Come si passa dall’innamoramento all’amore? Attraverso una serie di


prove. Prove che noi poniamo a noi stessi, prove che poniamo all’altro,
prove che ci troviamo imposte dal sistema esterno. Alcune di queste prove
sono cruciali. Se vengono superate, l’innamoramento procede nel regime di
certezze quotidiane che chiamiamo amore. Se non vengono superate,
subentra qualcosa d’altro: la rinuncia, la pietrificazione o il
disinnamoramento. Comunque vadano le cose, queste prove, in genere,
vengono dimenticate. Se l’innamoramento diventa amore, esse ci appaiono,
retrospettivamente, lievi, quasi un gioco. Il passaggio all’amore, nel nostro
ricordo, avviene riempiendo a poco a poco gli spazi del quotidiano con la
gioia dello stare insieme, la cura, la dedizione all’altro, la serenità. Nella
realtà, invece, questa evoluzione è sempre il prodotto di vicende emotive di
cui, fino all’ultimo momento, non si conosce il risultato.
L’innamoramento è dunque un succedersi di prove. Innanzitutto quelle
che poniamo a noi stessi. Le prove di verità. Rispondono alla domanda: «Il
mio è vero amore, sono veramente innamorato?». La consapevolezza di
essere innamorato non si rivela tutta in un istante. Anche quando sembra
così, come nel colpo di fulmine. Perché poi questa esperienza di
fascinazione improvvisa svanisce e noi elaboriamo i nostri sentimenti in
base a preconcetti, pregiudizi che poi abbandoniamo. Forse il libro che più
di ogni altro mostra la difficoltà di riconoscere il proprio amore in un
sistema dove si intrecciano i pettegolezzi e le gelosie è l’ultimo libro di Jane
Austen, Emma. Anche coloro che dicono di essersi innamorati per un
“colpo di fulmine” poi cambiano idea e scoprono di essere veramente
innamorati di un’altra persona (e la sposano). Vi sono anche casi di persone
che si sono innamorate senza accorgersene, senza essere coscienti di
esserlo. Ne abbiano un esempio ne I dialoghi degli amanti1 in cui il
protagonista Rogan racconta che nel suo primo amore non aveva capito di
essere innamorato. E lo stesso gli capiterà con il suo grande e definitivo
amore, Saky, di cui si renderà conto solo quando lei è lontana e non può
parlarle.
Ricordiamo poi che tutti vogliamo anche resistere all’amore perché
abbiamo paura di metterci in balia di un altro. Ci sentiamo attratti dalla
persona amata, ma vorremmo anche farne a meno. Soprattutto nei primi
tempi dell’innamoramento, questa nostra attrazione ci sembra così strana,
così immotivata, da farcela apparire quasi come una stregoneria che ci è
arrivata addosso e che, come è arrivata, un giorno potrà passare. Così la
mattina quando ci svegliamo talvolta ci diciamo: «Hai visto? Era tutta
un’illusione, di quella persona ora non me ne importa più nulla, non penso
più ossessivamente a lei». Per realizzare, un istante dopo, che è appunto
quello che stiamo facendo, che stiamo proprio pensando ossessivamente a
lei. Altre volte riteniamo di aver avuto un’esperienza meravigliosa ma
proprio per questo destinata a finire: “Ecco” pensiamo, “che ho raggiunto il
massimo che potrò mai ottenere, ora posso lasciarlo e tornare così come ero
prima, portandone con me solo il meraviglioso ricordo; ho ottenuto quanto
ho voluto, ora basta”. Ma se lo facciamo, se proviamo a farne a meno,
subito dopo il distacco ci accorgiamo che il desiderio ritorna ancora più
intenso, ossessivo, che non è finito nulla, che non si vive di ricordi e siamo
presi dalla paura di perdere la persona che amiamo. Allora andiamo a
cercarla col cuore in gola. Altre volte, dopo un periodo di grande felicità,
diciamo che abbiano sperimentato il massimo desiderio e che dobbiamo
amare meno intensamente. Ma non ci riusciamo; ogni volta che cerchiamo
di separarci, la persona amata ci si impone come l’unico oggetto autentico
dell’eros. L’innamoramento è sempre una lotta contro noi stessi, una lotta
che perdiamo e dobbiamo arrenderci.
Ma c’è un criterio unico finale in base al quale possiamo decidere che sì,
siamo veramente innamorati? Mi sembra che la miglior risposta ce la dia
questo delicato brano di Barthes: «Sono innamorato? Sì, perché sto
aspettando. L’altro invece non aspetta mai. Talvolta ho voglia di giocare a
quello che non aspetta, cerco allora di tenermi occupato, di arrivare in
ritardo, ma a questo gioco io perdo sempre, qualunque cosa io faccia mi
ritrovo sempre sfaccendato. La fatale identità dell’innamorato non è altro
che “io sono quello che aspetta”»2.
Ma spesso la vera prova, quella che non lascia dubbi, la troviamo solo
nel dolore della distanza, nell’attesa in cui il tuo amato non viene. Anche
l’amore nato dall’erotismo più scanzonato e giocoso diventa certezza
d’amore solo quando viene sottoposto alla prova del distacco. Separati
proviamo un dolore atroce e comprendiamo che, senza il nostro amato, non
possiamo vivere, non possiamo respirare. Abbiamo assoluto bisogno della
sua presenza fisica, di sentirci dire «ti amo». Ma il distacco ci insegna molte
altre cose. Ci fa conoscere meglio noi stessi e l’altro, i nostri e i suoi limiti,
ci insegna a essere forti, ma anche prudenti. L’amore nasce dal piacere, ma
si forgia nella realtà della sofferenza.
In ogni caso, quando, per metterci alla prova, noi ci allontaniamo
davvero, produciamo degli effetti reali sulla persona amata. Con la nostra
assenza anche lei si mette alla prova. Vedendo che mi allontano pensa che
non la amo. Con questo gioco due innamorati possono allontanarsi e
avvicinarsi diverse volte e compiere anche azioni che hanno effetti
irreparabili. Lui è partito per gli USA per due mesi e lei si è avvicinata a un
amico cercando compagnia e comprensione, ma lui la considera una prova
che in realtà lei non lo amava.
Nel comportamento dell’altro cerchiamo volta per volta quello che ci
giustifica nell’amare come nel difenderci. Segni di un legame profondo e
segni di fragilità. Nessuno di noi pensa di meritare l’amore dell’altro perché
quando amiamo ci appare come miracolo, grazia. Ma nei momenti del
dubbio pensiamo che questo miracolo sia solo un’illusione, che questa
grazia sia solo una stregoneria momentanea.
Poi, nel preciso istante in cui siamo sicuri di essere innamorati,
incominciamo a domandarci se anche lui ci ama come lo amiamo noi e con
la stessa intensità, e abbiamo paura. Allora alla prova di verità subentrano
prove di reciprocità, il cui scopo è di rispondere alla domanda: «Ha bisogno
di me così come io ho bisogno di lui? Mi ama come io amo lui?» e ci
mettiamo a studiare il suo comportamento cercando i sintomi che ci ama
veramente e quelli che ci sembrano di disinteresse. Esaminiamo
meticolosamente tutti i suoi comportamenti e tutti i suoi gesti come sintomi
della reciprocità d’amore. E prima che nelle margherite, la risposta viene
cercata nei comportamenti dell’altro: «Se fa così vuol dire che... se non fa
così vuol dire che...». Nelle cose più semplici, come se arriva in anticipo o
in ritardo, se si volta o non si volta, se guarda prima me o un’altra persona.
È l’inizio di quello studio che continuerà ininterrottamente per tutta la
durata del nostro amore. Ma all’inizio non ci conosciamo e il significato di
un gesto non è mai limpido. Può arrivare in ritardo trafelato, e allora questo
cosa significa? Che si era dimenticato di me oppure che ha fatto fatica ad
arrivare, e perciò il suo ritardo è una prova d’amore? D’altra parte, anche
quando la prova è negativa, basta una sua spiegazione, un suo sguardo, una
sua carezza per farcela dimenticare, per rassicurarci. La sua sincerità è
vissuta come prova di reciprocità. Nell’innamoramento abbiamo anche
delle crisi di gelosia, ma se l’innamoramento è veramente reciproco durano
pochissimo perché gli innamorati si rassicurano subito l’uno con l’altro.
Nell’innamoramento poi noi ci poniamo un terzo tipo di prove, che
chiameremo prove di progetto. Ciascuno riorganizza i suoi affetti attorno
alla persona amata con la quale elabora un progetto comune di vita. In
questa opera entrambi portano i loro sogni, i loro desideri, tutto ciò che
avrebbero voluto realizzare. Il progetto che ciascuno fa per sé coinvolge
l’altro: è un progetto di vita anche per l’altro, è la proposta di ciò che si
deve volere insieme. Ma i due innamorati sono diversi e perciò fra loro vi
saranno inevitabilmente differenze e contrasti. Ciascuno esercita sempre
una pressione sull’amato per condurlo dove vorrebbe e, nello stesso tempo,
accetta o cerca di accettare le sue richieste. Io ho chiamato questo scontro la
lotta con l’angelo, in ricordo di quella con l’angelo sostenuta da Giacobbe.
Talvolta la domanda «Mi ami?» vuole perciò dire «Accetti di entrare nel
mio progetto?» e se l’altro chiede a sua volta «Mi ami?» in effetti è per
chiedere «E tu vuoi entrare nel mio?» E in questo caso l’affermazione «Ti
amo» vuol dire di sì: modifico il mio progetto, vengo dalla tua parte, accetto
una tua richiesta, rinuncio a qualcosa che volevo, voglio insieme a te ciò
che vuoi.
Il «Mi ami?» può essere perciò la richiesta di prendermi con tutto il peso
della mia concretezza e dei miei limiti e di rinunciare ai tuoi limiti. E il «Ti
amo» può essere vissuto come un’accettazione incondizionata. Teniamo ora
presente che il nostro amore può portarci ad adeguarci troppo prontamente
al progetto dell’amato, a rinunciare a noi stessi e alla nostra verità. Ma,
nello stesso tempo, un forte desiderio di essere liberi o di fare tutto quello
che ci pare può portare a non accettare quasi nulla di ciò che l’altro ci
propone, a richiedergli più di quanto possa dare. Se cediamo troppo,
possiamo poi accorgerci di non poter realizzare i nostri desideri più
profondi. Se domandiamo troppo, possiamo poi accorgerci che il nostro
amato è infelice e ci rimprovera della violenza subita. Le prove devono
sempre essere intelligenti e leggere.

1 Francesco Alberoni, I dialoghi degli amanti, cit.


2 Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, cit., p. 42.
7.
Le istituzioni di convivenza

E ora veniamo al passaggio essenziale: dall’innamoramento all’amore, dal


movimento alla istituzione. Nel libro Genesi1, sviluppando la teoria
generale di movimento e istituzione ho distinto due tipi di istituzioni. Le
istituzioni di dominio e quelle di convivenza. Jean-Paul Sartre, l’altro autore
che ha costruito una teoria generale dei movimenti, nella sua celebre opera
Critica della ragione dialettica2 sostiene invece che ne esiste una sola,
quella di dominio. Infatti, secondo lui, la fratellanza spontanea che appare
durante lo stato nascente rivoluzionario a un certo punto scompare e, come
è successo nella Rivoluzione Francese, viene imposta con il terrore. È
l’istituzione di dominio che egli chiama fraternità terrore.
Anche lo stato di fusione e di fratellanza dell’innamoramento secondo
Sartre conduce a una istituzione di dominio. Ne abbiamo un esempio in
quelle persone che considerano il loro innamorato, fidanzato o sposo come
un possesso e se questo un giorno decide di lasciarle lo minacciano, lo
perseguitano e, in certi casi, lo uccidono. Abbiamo allora i fenomeni di
stalking, in cui l’innamorato è ossessivamente convinto di avere il diritto di
essere amato e perseguita la sua vittima perché torni con lui. Se non lo fa
può anche ucciderla. Come avviene nella Carmen di Bizet in cui don José
segue Carmen – che lo ha lasciato per il torero Escamillo – fuori della Plaza
de toros di Siviglia. Per l’ennesima volta le dice di amarla e le chiede di
tornare da lui. La donna gli risponde che lei è libera, che non tornerà e
allora lui la uccide.
Ma senza arrivare a tanto, non c’è alcun dubbio che molti matrimoni,
soprattutto nel passato, seguissero questa evoluzione. Il marito diventa un
despota, la moglie opprime il marito, la sessualità diviene un obbligo che si
riduce a una frettolosa penetrazione, le manifestazioni d’amore un bacio
rituale. La letteratura e il cinema sono pieni di descrizioni di queste
situazioni matrimoniali oppressive, vere e proprie prigioni soprattutto per le
donne e per i figli, ma in cui tutti, in fondo, conducono una vita miserabile
che si giustifica col bisogno di sopravvivenza. Le classi agitate vi hanno
sempre messo rimedio lasciandosi reciprocamente molte libertà, vivendo in
stanze se non in case separate e avendo ciascuno il proprio denaro, i propri
amici e i propri amanti.
Contrariamente a quanto pensa Sartre, lo stato nascente del movimento
collettivo, e dell’innamoramento nel caso della coppia, non porta sempre a
una istituzione di dominio. Anzi, soprattutto la coppia, il più spesso delle
volte sbocca in una istituzione di convivenza.
Per descrivere come nasce l’istituzione di convivenza nella coppia non
partiamo da ciò che unisce, ma da ciò che divide i due innamorati. Appena
essi incominciano a porsi delle richieste, a fare un progetto di vita, si
accorgono di essere diversi. Alcune di queste differenze sono facilmente
superabili grazie alla plasticità, all’adattabilità propria dell’amore nascente.
Ma vi sono anche differenze che ho chiamato i punti di non ritorno,
differenze a cui uno dei due non può rinunciare perché, se lo fa, perde di
senso il suo stesso amore. Pensiamo a due persone di cultura, religione,
nazionalità diverse. Per molto tempo l’amore nasconde il dissenso, ma se
scoppia una guerra fra i due popoli, i due amanti si trovano su fronti avversi
e possono arrivare a odiarsi.
Talvolta il punto di non ritorno è rappresentato dal volere o non volere
dei figli. C’è una donna di quarant’anni con due figli che si innamora di un
uomo di trenta che vuol avere dei figli suoi. Ma lei questa esperienza l’ha
già provata, sa quante cure, quante sofferenze le è costata; inoltre sa che,
durante la gravidanza e nel puerperio, il suo giovane amante potrebbe
allontanarsi da lei. Attraverso l’innamoramento lei vuole tornare a provare
quanto provava da adolescente, amare, divertirsi, non ripetere quanto ha già
sperimentato.
Un altro esempio di punti di non ritorno è quello di due amanti di cui
l’uomo è sposato. La donna dice a se stessa: “Lo so che mi ama, ma non mi
porta con sé nella sua vita, mi tiene separata dal suo lavoro, non mi presenta
gli amici, vuole confinarmi alla figura dell’amante segreta che sta sempre
nell’ombra. Ma così il mio amore si tramuta in rancore, in risentimento”.
Ma anche per lui il divorzio può essere un punto di non ritorno. Non se la
sente di divorziare, di lasciare la moglie e i figli, è straziato dal senso di
colpa. Per di più non vuole una nuova famiglia, con gli stessi doveri, con la
stessa monotonia quotidiana. Ciascuno ha incontrato un punto di non
ritorno: ciascuno chiede all’altro di rinunciare a una cosa essenziale, una
cosa che è stata resa essenziale proprio dal nuovo amore.
Certo, molti punti di non ritorno non sono superabili e conducono
inesorabilmente alla rottura della coppia. È come se fosse condannata in
partenza e non lo sapesse. Ma vi sono molti dissensi che non conducono
necessariamente alla separazione. Due amanti che hanno idee religiose,
politiche, gusti estetici diversi sono sempre sul punto di sentirsi estranei, di
dubitare del loro amore, della loro intimità, soprattutto quando, sentendosi
finalmente liberi di essere se stessi, non mentono ma si dicono sempre e
solo la verità. Si scontrano, discutono, si allontanano. È una lotta fra gente
che si ama, ma è pur sempre una lotta drammatica.
Come si risolve il problema senza arrivare alla rottura o al dominio di
uno sull’altro? Come nasce l’istituzione di convivenza? Quando il punto di
non ritorno dell’altro viene preso come proprio limite autentico, voluto
come proprio autentico limite. Io non gli chiederò mai di rinunciare a ciò
che per lui è essenziale e lui non mi chiederà mai di rinunciare a ciò che è
essenziale per me. Ciascuno riconosce il desiderio, il bisogno, la preferenza
dell’altro all’altro come un diritto fondamentale e inalienabile. Ciascuno
saprà che l’altro non gli chiederà ciò che lui non può concedere. Quando
questo avviene si ha il patto. Questa certezza, trovata nella disperazione,
costituisce il punto fermo della fiducia reciproca. È questo l’atto
fondamentale che è alla base della concezione liberale e democratica
moderna3 e che dà origine a un’istituzione di reciprocità e di convivenza.
Essa vale tanto nei movimenti collettivi che creano istituzioni politiche
come nella coppia. In questa so che amo e non posso non amare, ma so
anche che il mio amato ha dei diritti, delle libertà che io non potrò mai
violare, che ho limiti che non posso superare e che non supererò mai.
L’amore perciò sorge attorno a un’istituzione, attorno a un patto. E
questo sorge attorno a un limite, al riconoscimento che la coercizione, il
dominio sono incompatibili con l’amore e quindi devono cedere il campo
alla comprensione, al rispetto. Il patto è il riconoscimento della reciproca
differenza, della reciproca libertà, del reciproco inalienabile valore4.
1 Francesco Alberoni, Genesi, cit.
2 Jean-Paul Sartre, Critica della ragione dialettica, Il Saggiatore, Milano 1963, in particolare da p.
254 a p. 257.
3 Francesco Alberoni, Genesi, cit. Vedi il capitolo che tratta del patto e dei fondamenti della
democrazia, pp. 240-260. Essi corrispondono esattamente a quelli della coppia, solo che sono diverse
le istituzioni collettive: costituzione, stato, parlamenti, elezioni.
4 Sono i diritti fondamentali e inalienabili stabiliti da Locke in contrasto con il potere illimitato del
sovrano di Hobbes. Vedi John Locke, Due trattati sul governo e altri scritti politici, UTET, Torino
1948, in particolare pp. 229-240. Vi è perciò un’assoluta corrispondenza fra la democrazia interna
della coppia e la democrazia del sistema sociale, in quanto entrambi nascono dal movimento e dal
limite che esso, nel diventare istituzione, si impone.
8.
Le oggettivazioni

Ma immaginiamo che tutto vada bene, che venga imboccata la via della
istituzione di convivenza e del patto. L’innamoramento è il momento della
rivoluzione, quando vanno in pezzi le vecchie regole, i vecchi vincoli, le
mura della prigione e i due innamorati trovano nell’altro tutto ciò che hanno
sempre desiderato e il mondo appare loro bello come il primo giorno, il
giardino incantato dell’Eden. L’innamoramento è veramente la scoperta che
le porte del paradiso terrestre possono essere riaperte e che l’uomo, la
natura e il mondo sono fatti per il piacere, per la felicità. Ma questo stato
non dura. Nel libro Innamoramento e amore citavo la Genesi: «Dio cacciò
dunque l’uomo e pose a oriente del giardino dell’Eden il cherubino con la
spada fiammeggiante per sbarrare l’accesso all’albero della vita». Nello
stato nascente dell’innamoramento l’uomo strappa di mano al cherubino la
spada fiammeggiante ed entra nel giardino dell’Eden. Però non vi si può
fermare, non può farne la sua casa e la sua terra. Lo stato nascente è per
definizione transitorio. Non è uno stare, è un andare verso qualcosa di
stabile.
Ma questa esperienza rivoluzionaria non va persa, trasforma gli
individui, rende stabili le scelte fatte, fissa la volontà. Il movimento diventa
istituzione. Le esperienze emotive si traducono in oggettivazioni spirituali e
materiali.
Incominciamo con le oggettivazioni spirituali più semplici, cioè le
regole di vita che si stabiliscono all’interno della coppia. Di solito, quando
due persone sono molto innamorate, nessuna delle due cerca di imporre
all’altra regole rigide. Entrambe sono disposte a cambiare, a modificarsi, a
esplorare nuove forme di esistenza. A poco a poco la convivenza quotidiana
produce un insieme di norme e di regole che durano nel tempo. Alcune
oggettivazioni spirituali nascono dal lento adattamento reciproco,
dall’abitudine, senza che ci siano discussioni. Chi si sveglia per primo,
porta il caffè a letto all’altro che non riesce ad aprire gli occhi. Ciascuno
sceglie il suo posto preferito davanti alla televisione, e poi continua a usarlo
per anni. Se uno non beve mai vino e l’altro lo usa solo saltuariamente, la
bottiglia finisce per sparire dalla tavola. Riappare solo quando ci sono ospiti
a cena. I rapporti erotici sono ancora più delicati. La donna vuol fare
l’amore quando è riposata, quando ha del tempo davanti a sé, quando è
eccitata. Prima ha bisogno di eccitarsi e solo dopo desidera e si offre
ardente. Finito l’atto sessuale le piace restare abbracciata al suo amato,
parlare con lui, sentirsi amata. L’uomo, che si eccita molto prima, invece
vuol fare all’amore subito, poi magari si corica accanto a lei e si
addormenta. Allora è solo attraverso un chiarimento che la coppia stabilisce
un accordo fra ciò che ciascuno desidera e trova ciò che piace a entrambi. È
solo il patto (tacito, implicito) che consente di proseguire il processo di
fusione senza che uno prevarichi sull’altro.
Ci sono poi le oggettivazioni materiali. La coppia è una entità vivente
che agisce nel mondo. Cerca e predispone il luogo in cui incontrarsi, in cui
vivere. I due innamorati si fanno un’abitazione, l’arredano secondo i propri
gusti, le proprie esigenze. Hanno dei figli, li allevano, li fanno studiare.
Partecipano all’attività politica, collaborano all’attività di associazioni o di
confessioni religiose. Fanno viaggi, vacanze. Stabiliscono rapporti con gli
amici, con i colleghi, con i vicini. Modificano l’ambiente materiale e
sociale in cui vivono. Creano, cioè, la loro nicchia ecologica. Anche in
questa attività costruttiva i due soggetti sono in rapporto dinamico:
convergono e divergono, esprimono la propria identità personale e
collettiva. Oggettivano, confrontandosi, il loro volere e il loro agire.
L’amore diventa sempre meno un contemplarsi rapiti ma un lavorare,
costruire insieme, lasciare la propria impronta nel mondo1.
Si dimostrano il loro amore anche attraverso le scelte, gli oggetti
materiali, soprattutto i doni. Non tutti desideriamo fare al nostro amato il
dono più bello che lui possa immaginare. L’uomo desidera che la sua donna
possa essere elegante, ammirata, offrirle bei viaggi, belle vacanze,
accompagnarla a belle feste, a teatro. E la donna dimostra il suo amore
rendendo la casa più elegante, più comoda, con bellissime tende, un
raffinato salotto, un bagno moderno. Alcune sono convinte che non vi sia
miglior modo di dimostrare il loro amore per il marito. Perché tutte queste
cose le fanno per lui, perché si trovi bene, perché sia orgoglioso della sua
casa. Che cos’è l’amore se non voler vedere felice il nostro amato? È in
questo modo che, a poco a poco, alcune case diventano straordinariamente
lussuose, raffinate, eleganti, come se tutto l’amore dei due sposi si fosse
oggettivato in esse. Mentre il loro rapporto personale è diventato
abitudinario, monotono. È come se tutto l’amore fosse confluito
nell’oggetto lasciando le anime vuote, i corpi freddi. La casa, il castello, la
barca hanno assorbito tutte le energie vitali, hanno divorato tutta la
passione.

1 Per ulteriori dettagli, vedi Francesco Alberoni, Ti amo, cit., pp. 203-218.
9.
Ma è questo l’amore?

Le istituzioni nascono per realizzare il sogno dello stato nascente. I due


innamorati cercano di realizzare, di dare sostanza oggettiva, istituzionale a
tutti i desideri che hanno avuto. Ma a poco a poco tutto quello che è stato
fatto, deciso, promesso, voluto, si irrigidisce in norma. Nascono delle
ricorrenze. A Natale, a Pasqua, a ferragosto, o anche nelle altre feste, si va
dai genitori dell’uno o dell’altro. La domenica si fa il week-end al mare o in
montagna a sciare. Poi magari si compera o si affitta una casa e ci si va
sempre. O, semplicemente, si incontrano i soliti amici, nei soliti ristoranti.
Poi ci sono le attività coi figli, con i loro amichetti, le vacanze. Tutto viene
regolato, anche l’amore si fa a date e a orari fissi. La vita diventa una strada
in cui sono state previste tutte le tappe, tutti gli incontri. Ciò che prima era
invenzione, sorpresa, diventa un gesto rituale, una consuetudine. Potremmo
dire che tutto viene regolato minuziosamente da una etichetta1. Noi
conosciamo le complicate etichette della corte di Francia, dove il re non
veniva mai lasciato solo, doveva alzarsi, mangiare e andare a dormire in
pubblico, ricevere la regina, i figli, i nobili in un ordine prestabilito e
immutabile. Ma un insieme di regole si forma in tutte le famiglie
restringendo progressivamente il rapporto spontaneo fra i due amanti finché
la casa diventa una gabbia.
Ma, senza arrivare a tanto, quello che era appassionato desiderio
sessuale e continua scoperta diventa pratica quotidiana, abitudine, dovere.
Così, a poco a poco, si instaura un amore senza passione, senza problemi,
senza avventura. Il tipo di amore che Fromm propone nel suo L’arte di
amare. Un amore basato sulla sicurezza, il rispetto, la responsabilità, la
serena certezza di poter contare sull’altro. Tutte cose nobili e solenni, ma
che escludono la passione, il desiderio, il piacere vibrante dell’attesa. La
donna non aspetta il suo uomo preparandosi all’incontro amoroso facendo
un bagno, profumandosi, pettinandosi i capelli, indossando un seducente
negligé e pregustando il momento in cui lui l’abbraccerà, la stringerà con
forza e poi le farà scivolare le spalline per baciarle il seno. E l’uomo,
lontano, non aspetta con ansia il momento in cui potrà aprire la porta di casa
e trovare lei che lo aspetta, morbida, profumata, che lo guarda, che sorride e
capisce che lo ama! Questi coniugi che si amano “alla Fromm” hanno tutto:
la sicurezza, la fiducia, l’amore sicuro, la correttezza, ma non provano il
batticuore, non sentono il bisogno fisico di avere vicino l’altro, di toccarlo,
non sono presi dalla commozione vedendolo camminare, dormire, respirare.
Non hanno l’orgoglio di possedere questa persona straordinaria e nello
stesso tempo il timore che un giorno possa non amarti perché l’amore è un
dono meraviglioso ma resta sempre un dono. Insomma, non si trovano
sempre a metà strada fra la terra e il cielo, come dice Socrate di Eros, sicuri
e insicuri, felici e ansiosi, arroganti e bisognosi del loro amato come il
bambino di sua madre. Nella istituzione siamo stabilmente sulla terra e
consideriamo queste cose come languori romantici.
Tutte le ricerche hanno mostrato che la passione è più elevata, tanto nei
maschi che nelle femmine, nei primi tre anni di matrimonio. Poi si attenua.
E sono le donne che ne soffrono maggiormente. L’uomo si adatta più
facilmente alla monotonia della vita matrimoniale, vi si trova a proprio
agio. La donna meno. Perché è lei che si occupa di tutte le incombenze
domestiche e dell’organizzazione della casa, mentre l’uomo ne beneficia.
Ma soprattutto perché la donna dà più importanza al sentimento, al dialogo,
all’intimità. La matrimonialista Laura Remiddi in una intervista diceva:
«Non mi è mai capitato un uomo che chieda la separazione o il divorzio
perché sua moglie non dialoga con lui. Mentre molte donne lo fanno»2.
Il disagio provocato dall’aridità fa sì che alcune scelgano di andare a vivere
da sole piuttosto che condividere l’esistenza con il marito che sembra
diventato un pensionante. Hanno nostalgia dell’epoca incandescente e
dorata dell’innamoramento, quando quello stesso uomo era appassionato e
pieno di premure. Sembrava un cavaliere coraggioso e gentile, faceva
vibrare il loro cuore. Poi, un giorno, non ricordano bene quando, hanno
incominciato ad avere nostalgia dell’amore. Passata la nostalgia, è
subentrato un senso di estraneità e, poi, una sorda collera. Una collera che
l’uomo non capisce, per cui le donne si infuriano ancora di più. Fino alla
decisione di stare sole. D’altra parte i loro mariti, spesso già dopo pochi
anni di matrimonio, avevano incominciato a guardare le proprie spose con
occhi privi di desiderio. Sembravano attratti solo dalle altre.
Ma che cosa c’è dietro questi fenomeni? Un processo graduale di
attenuazione dell’erotismo, una assuefazione alla vita quotidiana, alla sua
banalità, alle sue fatiche, o il precipitato di innumerevoli crisi malgestite,
non risolte? Probabilmente entrambe le cose. Il risultato è che spesso
l’istituzione si trasforma in un guscio vuoto. I due dicono che continuano ad
amarsi, ma in realtà il loro amore affiora solo molto raramente. L’amore
ardente, l’amore appassionato, per esistere deve essere sempre “nascente”.
Se nell’istituzione, cioè nell’amore diventato sicurezza e serenità, non resta
nulla di questo stupore entusiasta, di questa rivelazione divina, di questo
ansioso interrogarsi, possiamo continuare a parlare di amore, ma di un
amore decaduto, spento, che appartiene piuttosto alla categoria della
simpatia, della tenerezza, del prendersi cura e, in certi casi, del dovere. In
molti matrimoni, in molte convivenze, due persone stanno assieme perché
sono abituate a farlo, perché anche se talvolta lo desiderano è troppo
faticoso cambiare. È soprattutto faticoso per gli uomini, che si trovano a
disagio a gestire da soli una casa, mentre il sesso possono trovarlo anche
fuori dal matrimonio.
Qualcuno allora dice: «Siamo come fratello e sorella, siamo come due
amici». No, l’amore spento, l’amore stanco, l’amore abitudine che si trova
fra i vecchi coniugi non assomiglia a quello che proviamo per i genitori, i
fratelli, gli amici. Con questi non siamo obbligati a mangiare insieme, a
dormire insieme, a dover dire dove siamo stati e cosa abbiamo fatto. Con il
marito, la moglie, il convivente sì. Il desiderio che proviamo all’inizio,
quando siamo innamorati, di mettere in comune le nostre vite è diventato un
obbligo e uno strumento di controllo reciproco, quindi di prigionia. Il
contrario dell’innamoramento, che è liberazione e libertà.
Spesso gli amanti, quando sentono di vivere una vita prigioniera e arida,
cercano una soluzione al di fuori della coppia, si innamorano di un’altra
persona, o cercano un amante in cui, se non trovano un grande amore,
trovano la varietà, l’emozione, un nuovo erotismo. È così che nasce il
tradimento. Come rivolta contro la monotonia, il dovere, la schiavitù della
vita quotidiana. Per il bisogno di tornare a sentirsi vivi, freschi, nuovi, senza
che nessuno ti chieda di fare questo o quello, senza obbligazioni. Con una
persona sconosciuta e diversa puoi dimenticare chi sei, le tue frustrazioni, i
tuoi doveri. L’incontro erotico è una vacanza. Interrompe la trama della vita
quotidiana fatta di lavoro, confronti, attese, proteste, impegni. L’amante non
ti rimprovera, non ti critica, non brontola. È gentile, ti fa sentire di nuovo
bella, interessante, desiderata. Ti sembra di tornare a essere giovane, libera.
E cerchi solo il piacere.
È perché erano consapevoli di questa evoluzione della coppia che tutte le
mie lettrici in tutti i paesi del mondo mi hanno sempre posto la domanda:
«Ma si può prolungare lo stato incantato dell’innamoramento, restare
sempre innamorati?». E, in base a quanto avevo scritto, dovevo dire che non
è possibile perché la fase dell’innamoramento inevitabilmente finisce,
l’innamoramento diventa amore e la passione ardente diventa istituzione.
Nello stesso tempo capivo che la loro domanda era giusta perché noi
desideriamo restare nello stato paradisiaco dell’amore nascente. Oggi però
mi sono ricreduto. Ed è giunto per me il momento di dare una risposta. No,
non è vero che l’innamoramento si spegne sempre in una istituzione
sclerotica o in una vita quotidiana priva di passione e di desideri. Ci sono
dei casi, anche se non frequenti, di persone che continuano ad amarsi come
si amavano all’inizio per anni e anni, anche per decenni. Sì, è possibile un
amore che conserva molti dei caratteri dell’innamoramento, il desiderio
vivo, ardente di vedere, di toccare, di parlare, di fare all’amore con la
persona amata, il fuoco del desiderio, la gioia di stare insieme, la felicità
quando l’incontri, lo stupore per quanto ti è stato donato.
Sì, dobbiamo tornare a dare alla parola amore il suo significato più
pieno, più autentico. Perché il vero amore è rivelazione, ammirazione,
adorazione, fusione con qualcosa che ci trascende e che dà un nuovo senso
al mondo. La persona che amiamo ci si rivela come il perno dell’essere, ciò
in cui traluce l’essenza della vita e del cosmo. L’amore non può essere solo
istituzione, rifugio sicuro, una casa dove riposare; deve essere sempre anche
una tempesta che ci sa dare il brivido dell’assoluto, lo stupore del nuovo, il
terrore della perdita e una felicità misteriosa, meravigliosa e divina. E tutto
questo è raggiungibile e può durare a lungo, molto a lungo. Più di quanto si
creda in questa epoca convinta che tutto sia effimero, che tutto sia liquido, e
che perciò devasta ciò che ha valore e ciò che dura.
E, per concludere, diciamo che per realizzare il grande amore che dura
devi volerlo. Devi abbandonarti all’amore appassionato, accettarlo,
desiderarlo, considerarlo un bene, un valore, una fonte di gioia, non temere
di eccedere, non guardare a quello che fanno gli altri. E non aver paura di
dedicarti troppo al tuo amato, di pensare troppo a lui, di desiderarlo troppo.
L’amore è, per definizione, una esagerazione, un eccesso. In tutti i campi,
nel desiderarsi, nel piacere, nel cercarsi, nel soffrire, nel godere.

1 È incredibile la complessità di quasi tutte le etichette reali. Nelle società arcaiche il re talvolta è un
vero e proprio prigioniero, sempre sul punto di essere ucciso. Le regole e le proibizioni servono per
imprigionare il suo potere magico-divino. Sono affascinanti i racconti che su questo argomento fa
James Frazer ne Il ramo d’oro, Bollati Boringhieri, Torino 1990. Alla corte di Francia, ancora nel
XVII secolo, sia il re che la regina si spogliavano e rivestivano in presenza di decine di persone
addette al loro servizio, nobili di corte che, in base al rango personale, si occupavano di determinati
aspetti del vestire e dello spogliare. Analogamente i reali mangiavano alla presenza di una piccola
folla di comuni sudditi, ammessi nei grandi saloni del palazzo reale. L’opera più importante in questo
campo è quella di Norbert Elias, La società di corte, il Mulino, Bologna 2010.
2 Intervista pubblicata nel mio libro Ti amo, cit.
Seconda parte
Esplorazioni
10.
In Oriente

Per proseguire in modo rigoroso, dobbiamo tornare indietro nella storia,


domandarci come è nato e come si è sviluppato l’innamoramento.
L’innamoramento, pur essendo presente in ogni società e in ogni epoca1, ha
assunto una configurazione precisa ed è diventato la base della convivenza
amorosa e del matrimonio solo in Occidente. Perché solo in Occidente è
emersa l’individualità che ha conquistato la sua libertà strappandola alla
famiglia, alla tribù, ai costumi. L’innamoramento è il frutto della libertà.
In India ha sempre dominato il sistema di caste entro cui ti dovevi
sposare o accoppiare, e innamorarsi di qualcuno di un’altra casta significava
diventare un fuori casta, un paria, un reietto della società. Per questo l’India
ha sviluppato al massimo grado l’arte erotica, l’arte del darsi piacere e non
la letteratura sull’amore romantico. Il Kamasutra non era un libro da
leggere in modo solitario e segreto, era un testo di formazione ai piaceri
amorosi dei maschi agiati e, soprattutto, era un testo di formazione delle
giovani donne che si dovevano sposare o che si preparavano a diventare
mogli, concubine, o a entrare nell’harem di un uomo ricco da cui sarebbero
dipese per tutta la vita. Il testo di Vatsyayana, steso probabilmente nel III
secolo d.C., comprendeva insegnamenti su sessantaquattro discipline come
la musica, la letteratura, la poesia, la danza, il canto, l’igiene, la cucina,
l’architettura, l’arredamento, il piacevole conversare. Ed era, non
dimentichiamolo, un testo religioso perché l’amore erotico, il Kama, è parte
essenziale dell’esperienza religiosa induista. Forse all’epoca della sua
stesura e nei secoli successivi il suo uso era diffuso anche nelle classi non
agiate, perché la ricerca dell’estasi erotico-religiosa era molto diffusa, come
mostrano le innumerevoli figurazioni erotiche dei templi tantrici indiani e
non solo dei più famosi, quelli di Khajuraho. Leggendo e guardando le
figure del Kamasutra noi non riusciamo a capire se i due partner sono o non
sono innamorati. E lo stesso vale per le statue dei templi dell’amore. In certi
casi si direbbe di no perché siamo di fronte a un’orgia, in altri casi di sì
perché i due amanti si abbracciano in modo appassionato guardandosi negli
occhi. In realtà non ha nessuna importanza. Possono esserlo entrambi, può
esserlo solo il personaggio maschile o quello femminile o nessuno dei due.
Il senso profondo dell’insegnamento non è di dichiarare o raccontare un
amore, ma di insegnare come dare e ricevere un grandissimo piacere
sessuale indipendentemente dall’amore, dall’innamoramento. La moglie o
la concubina possono essere o non essere innamorate del loro marito o
padrone, però devono aver appreso i gesti, le posizioni, le carezze, le
espressioni del volto e anche i sentimenti appropriati per piacergli, per
risvegliare in lui l’amore e dargli la beatitudine erotica. Anche le
disposizioni d’animo, che noi in Occidente affidiamo alla spontaneità
dell’amore, qui sono apprese, sono tecniche.
In Cina non c’erano le caste, ma è sempre stato dominante il costume. I
matrimoni e le altre relazioni erotiche venivano combinati dalle famiglie
secondo regole secolari. Ne dà un’ottima descrizione il libro di Jung Chang,
Cigni selvatici2. Anche qui certamente la gente si innamorava ma se lo
faceva fuori dagli ambiti prestabiliti veniva duramente punita. Nel libro
L’amante di Marguerite Duras3, il giovane cinese è pazzamente innamorato
della ragazza bianca e scongiura il padre di fargliela sposare, ma ottiene un
totale rifiuto. E ne resterà innamorato per sempre. La ragazza francese, che
per mesi farà quotidianamente l’amore con lui provando un immenso
piacere, non capisce di amarlo, pensa sia solo qualcosa di fisico. Se ne
accorgerà sulla nave, tornando a Parigi.
Proibito l’innamoramento, non è più possibile una netta distinzione fra
attrazione sessuale e attrazione amorosa: non c’è una differenza abissale fra
“ti amo” e “mi piaci”. Di conseguenza, c’è un solo linguaggio, con una
transizione graduale quasi impalpabile fra le espressioni affettive, dolci,
appassionate – tesoro, amore, cuore mio, fegato mio, vorrei morire fra le tue
braccia – e quelle che designano le parti sessuali – le due colline gemelle,
la valle del piacere, la collina della luna, la fossa del piacere, il gabinetto
segreto – fino alle esperienze specificamente orgasmiche – la nuvola che
scoppia ecc.4 L’amore inoltre è fuso col corpo e diventa possibile anche un
linguaggio amoroso del corpo senza parole, come nel già ricordato
Kamasutra.
Non esistono perciò romanzi d’amore drammatici come in Occidente,
ma classici dell’erotismo e dell’erotismo amoroso. In Cina, già durante la
dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.), la bibliografia ufficiale elencava otto
manuali, cui se ne sono aggiunti numerosi altri. Vi erano poi innumerevoli
romanzi erotici. In tutte queste opere il protagonista va alla ricerca della
bellezza e del piacere e l’erotismo è sempre trattato con metafore poetiche
delicate, totalmente assenti nella nostra letteratura.
Nel mondo islamico la posizione della donna è sempre stata tenuta a un
livello inferiore e non le viene riconosciuto il diritto di innamorarsi e di
congiungersi con chi le piace. Nel celebre libro Le mille e una notte non c’è
una sola storia d’amore paragonabile a quella di Tristano e Isotta, Abelardo
ed Eloisa, Romeo e Giulietta, Paolo e Francesca. L’amore appassionato che
sfida il matrimonio viene sempre descritto come una turpitudine che merita
il disprezzo e la morte. Già così inizia il libro stesso: il sovrano, che è stato
tradito dalla regina, fa uccidere lei, il suo amante e tutte le sue concubine,
poi sceglie ogni notte una donna diversa e la fa uccidere al mattino.
Sherazade sopravvive raccontandogli continuamente nuove storie non
finite, per cui il sovrano la tiene in vita per sentire il seguito la notte
successiva. In tutte queste storie la donna non ha il diritto di innamorarsi di
chi vuole. Nel racconto Il re delle isole nere la regina si innamora
pazzamente di un uomo che viene spregiativamente rappresentato come un
turpe schiavo nero. Il re li scopre e ferisce l’uomo in modo da paralizzarlo e
renderlo muto. Ma la donna continua ad amarlo, lo assiste per anni e recita
per lui delle stupende poesie d’amore. Ma non c’è una sola parola di elogio,
nemmeno di compassione a suo favore. Viene presentata come una strega
mostruosa e, alla fine, uccisa.

1 Helen E. Fisher, Anatomia dell’amore, Longanesi, Milano 1993.


2 Jung Chang, Cigni selvatici. Tre figlie della Cina, Longanesi, Milano 1991.
3 Marguerite Duras, L’amante, Feltrinelli, Milano 1985.
4 Vedi Li Yu, Il tappeto da preghiera di carne, Bompiani, Milano 1973.
11.
Innamoramento e Occidente

L’innamoramento è legato all’Occidente. Le sue premesse si collocano in


Grecia perché qui nascono la soggettività e il volere dell’individuo che a
Roma avrà formulazione giuridica. Nei dialoghi di Platone non si discute di
pratiche erotiche o di come raggiungere il piacere, ma proprio dell’amore,
la forza che lega due persone in modo esclusivo. Anche se viene rifiutata da
Socrate, ci colpisce la spiegazione che Aristofane dà dell’innamoramento.
Egli dice che, all’inizio, l’uomo era stato creato sferico, completo e
appagato in se stesso. Poi Zeus lo ha diviso in due e da allora ciascuna metà
andrà alla ricerca della sua parte perduta. Non mi sento qui di affrontare il
problema del perché proprio in questa civiltà viene posto il problema
dell’amore; mi limito a notare che sia in Grecia che a Roma c’è sempre
stata la monogamia mentre in Oriente c’e sempre stata la poligamia. Certo a
Roma esisteva la schiavitù e la monogamia perciò non significava fedeltà
sessuale. Il padrone si accoppiava con tutte le sue schiave compatibilmente
con la gelosia della moglie. Però anche il più ricco e il più potente degli
uomini non poteva avere più mogli o un harem. Cesare era padrone del
mondo, ma si doveva sposare e doveva divorziare come gli altri cittadini
romani. Il matrimonio richiedeva il consenso della donna che poteva anche
divorziare.
Il cristianesimo ha rafforzato l’uguaglianza fra maschio e femmina
affermando che tutti gli esseri umani sono uguali, che non c’è nessuna
differenza fra uomo e donna e solo l’individuo può scegliere chi vuole come
marito o moglie. Il cristianesimo però ha contemporaneamente prodotto una
violentissima repressione della sessualità e ha reso il matrimonio
indissolubile. La sessualità in sé veniva considerata un male ed era
giustificata solo per la procreazione. Durante il basso Medioevo le libertà
romane sono andate perdute, il matrimonio è di nuovo stato combinato dai
genitori e, per tutta quest’epoca, tanto l’erotismo che l’amore sono
letteralmente scomparsi da ogni manifestazione artistica.
Tutto incomincia a cambiare quando, fra il 1000 e il 1200, inizia lo
sviluppo economico, nelle città si forma una borghesia artigianale e
mercantile e vengono smantellate le strutture politiche feudali. Il processo
avviene attraverso violenti movimenti politici e religiosi, fra cui ricordiamo
per primo quello di Cluny, che crea in tutta Europa una rete di 1700
monasteri. Sono i monaci di Cluny i teorici, gli attivisti e infine i
protagonisti del processo di riforma che, con Gregorio VII, crea la struttura
della Chiesa che durerà per tutti i successivi mille anni, fino a oggi. Ma il
fermento sociale si è espresso attraverso la formazione dei comuni, vere
città-stato repubblicane. Seguono altri movimenti sia ortodossi come gli
Umiliati, i Francescani e i Domenicani1, sia ereticali come i Valdesi, i
Fratelli del Libero Spirito, i Catari. Ebbene, lo stesso fenomeno di rivolta e
di creazione di nuove istituzioni si presenta anche a livello della coppia.
L’innamoramento è una rivoluzione contro il matrimonio combinato dalle
famiglie, un’affermazione della libertà individuale. A volte è perfino una
rivolta contro l’ordine costituito, contro i doveri matrimoniali e perfino
contro la lealtà feudale. E sempre si contrappone a essi come valore a
valore. I protagonisti delle grandi storie d’amore che commuovono le folle,
Tristano e Isotta, Lancillotto e Ginevra, sono degli adulteri che hanno
tradito il loro re2. Sono adulteri anche Paolo e Francesca, che però, nella
Divina commedia, costituiscono l’esempio di un amore sublime. E
diventano famosi ed esemplari anche Abelardo ed Eloisa, divisi dalla
società eppure uniti per sempre, tanto che la pietà popolare li raccoglie
insieme nella stessa tomba. Quando Shakespeare crea una storia d’amore
medievale, scrive Romeo e Giulietta, due adolescenti che appartengono a
due famiglie ostili a cui essi, nel nome del loro amore, si ribellano. È lo
schema dell’amore come ribellione a un’istituzione consolidata per creare
una nuova coppia, con nuovi valori.
Ma l’epoca in cui l’innamoramento si afferma come categoria culturale
dominante è la fine del Settecento e soprattutto nell’Ottocento, l’epoca
romantica, al punto che ancora oggi gli anglosassoni, mancando del
concetto di innamoramento, lo chiamano romantic love3.
L’affermarsi generalizzato dell’innamoramento fra la fine del Settecento
e tutto l’Ottocento è la conseguenza di una rivolta individuale al
matrimonio combinato dalle famiglie per ragioni feudali o utilitariste,
quindi una lotta dell’individuo contro le istituzioni sociali. L’amore
romantico è un amore impedito da ostacoli interni ed esterni, quindi
drammatico, spesso tragico. Werther non è riamato perché ama una donna
che è già fidanzata e, non potendola avere, si uccide. Lo stesso farà Jacopo
Ortis di Ugo Foscolo. Rebecca, la giovane ebrea che ama Ivanhoe, non si
suicida, ma deve rinunciare all’amore a causa della sua religione.
Esmeralda in Notre-Dame de Paris e Carmen nella novella omonima di
Prosper Mérimée muoiono perché accettano solo un amore vero, non
vogliono piegarsi o fingere. In Cime tempestose i due amanti si trovano solo
nella morte. Muore Madame Bovary, che tradisce il marito ma non è
riamata da chi ama. Muore Anna Karenina quando, dopo aver lasciato
marito e figli, non si sente più amata. Ma l’amore non è sempre tragico.
Non lo è certamente ne I promessi sposi di Manzoni, dove i due innamorati
superano ogni tipo di difficoltà e si sposano. La Emma di Jane Austen, dopo
molti errori, scopre di amare Knightley e lo sposa. Anche Dickens con La
piccola Dorrit ci dà una storia d’amore che termina nel matrimonio e lo
stesso fa Gončarov nel libro Oblomov, dove Stolz sposa la sua amata Olga.
Così il Capitan Fracassa di Gautier sposerà alla fine la sua Isabella e, in
Delitto e castigo, Sonia segue Raskolnikov in Siberia. Ho messo queste
ultime osservazioni per smentire la tesi di de Rougemont4 secondo cui il
concetto di innamoramento ha origine nell’eresia manichea ed è quindi
sempre desiderio di morte, per cui non può mai essere alla base del
matrimonio. La tesi che l’innamoramento non debba essere posto alla base
del matrimonio ha avuto molti sostenitori e fra questi in particolare Jean-
Jacques Rousseau, che la espone ne La nouvelle Eloise. L’amore è infatti
qualcosa di irrazionale ed effimero, che non crea legami solidi, un’ideologia
che arriva fino al Novecento con Erich Fromm, Sigmund Freud, José
Ortega y Gasset, Niklas Luhmann e René Girard.
Gli ostacoli e gli impedimenti che nel XIX secolo rendevano drammatico
l’innamoramento scompaiono gradualmente nel XX secolo, al punto che
l’innamoramento oggi, in Occidente, viene unanimamente posto come base
naturale della coppia e del matrimonio.
1 Clifford Hugh Lawrence, Il monachesimo medievale, San Paolo, Milano 1993; H. Grundmann,
Movimenti religiosi nel medioevo, il Mulino, Bologna 1974.
2 Tony Tanner, L’adulterio nel romanzo, Marietti, Genova 1990.
3 È una tesi accreditata anche da Niklas Luhmann che, nel suo libro Amore come passione (Laterza,
Roma 1985), descrive l’amore passionale del periodo 1600-1700 come un’infatuazione intensa e
breve. Quindi, qualcosa che non è un vero innamoramento. Poi dedica un capitolo all’amore
romantico del 1800 senza però farne una fenomenologia. Egli, infatti, non si basa su dati sociologici
e antropologici, non studia le biografie, analizza e commenta solo testi letterari. Per di più ignora
totalmente il teatro di Shakespeare, Racine, Molière, Corneille, Goldoni, ignora l’opera lirica di
Gluck, Rossini, Mozart, Verdi, Puccini, Bizet, insomma ignora intenzionalmente tutte le fonti dove
avrebbe trovato ogni tipo di innamoramento e di amore. In questo modo la sua storia dell’amore
passione non rappresenta in nessun modo quello che accadeva nella realtà ed è totalmente fuorviante.
4 Denis de Rougemont, L’amore e l’Occidente, Rizzoli, Milano 1977.
12.
La crisi contemporanea

Ma, con la diffusione dei metodi antifecondativi tra le donne, verso la metà
del Novecento la sessualità è stata separata dalla procreazione ed è stata
sempre di più finalizzata al piacere. Contemporaneamente, la scomparsa
degli ostacoli sociali alla libera scelta dei due amanti e la possibilità di
avere rapporti sessuali fin dall’adolescenza fa sì che i due innamorati
abbiano meno bisogno di scontrarsi con le istituzioni sociali per realizzare il
loro amore. Aggiungiamoci inoltre che tutte le scelte definitive, da quelle
professionali a quelle amorose o matrimoniali, si spostano nel tempo. La
ragazza che, a diciotto-venti anni, sapeva che, se si innamorava avrebbe
dovuto sposarsi e poi mettere al mondo dei figli, il ragazzo che sapeva che
avrebbe dovuto lavorare e mantenere una famiglia, oggi non devono
decidere nulla. Sono inoltre aumentate le occasioni di incontro, di scelta a
scuola, nelle vacanze, in internet e quindi possono fare tutti molte prove,
molte esplorazioni piacevoli e non è affatto detto che poi vogliano
fidanzarsi o sposarsi.
Certo la gente incomincia a innamorarsi, ma il processo che va dallo
stato nascente fino all’istituzione molto spesso s’interrompe nelle prime
fasi.
Due persone “si piacciono”, provano un’attrazione improvvisa e intensa,
che chiamano “colpo di fulmine”, si gettano subito l’uno nelle braccia
dell’altro, hanno rapporti sessuali e hanno l’impressione di avere realizzato
la fusione fisica e spirituale. Questa esperienza di erotismo straordinario
viene spesso confusa con l’innamoramento mentre ne è solo il possibile
inizio. Il vero innamoramento nasce da una spinta vitale ostacolata, da una
rivolta, e quando si mette veramente in moto produce una rilettura della
propria vita e una ricostruzione di se stessi e del mondo. Invece, molto
spesso i due giovani amanti, presi dalla loro esperienza meravigliosa, non
vogliono progettare il futuro.
Vi sono poi alcuni che non vogliono nemmeno avere rapporti con il loro
passato, con la vita quotidiana. Quello che conta è il presente, il qui e ora, il
resto è nulla. L’innamoramento, che è ancora allo stato embrionale, appare
loro come uno stato piacevole di cui approfittare, a cui abbandonarsi senza
pensieri, senza domande. Non vogliono pensare al passato, non mettono in
moto il processo di conoscenza reciproca cercando di vedere il mondo con
gli occhi dell’altro. Non avviano il processo di confronto che consente di
abbandonare le parti di sé incompatibili con l’altro. Non fanno nulla per
dare consistenza reale al processo di fusione. Ciascuno, convinto di essere
completamente nuovo, resta in realtà quello di prima, e non usa la sua
plasticità, la sua capacità di cambiare per adattarsi all’altro, per cercare di
costruire insieme un progetto di vita. Perciò entrambi, dopo un certo
periodo di tempo, finita la fase di ebbrezza erotica, scoprono che esistono
fra di loro differenze intollerabili. E poiché non hanno fatto nulla per
risolverle durante lo stato nascente, quando avevano un’immensa capacità
di comprendere, si rimproverano di non essere come avevano immaginato e
si lasciano pieni di amarezza e di rancore. Poi vanno alla ricerca di un altro
partner con cui spesso iniziano un rapporto e talvolta una convivenza senza
nemmeno domandarsi se sono veramente innamorati. Anche l’espressione
che usano – «ci siamo messi insieme» – indica un rapporto a bassa intensità
emotiva, un “legame debole”. Nella migliore delle ipotesi ci troviamo di
fronte a un innamoramento che possiamo chiamare parziale o frenato, in
cui i due non si abbandonano entusiasticamente all’amore, non si svolge il
processo di fusione. Ne nasce una coppia che è contenta di stare insieme,
che prova piacere sessuale, ma che non vive un periodo di vita
straordinaria, non costituisce un’unità solidale capace di affrontare i fastidi,
i dolori, le fatiche che inevitabilmente la vita presenta. Ma soprattutto una
coppia fragile, in cui i dissensi non vengono composti facendo del bisogno
dell’altro il proprio autentico limite, e che quindi si lacera con facilità.
Solo il vero innamoramento dà a chi si ama una energia, una plasticità,
un entusiasmo, una resistenza alla fatica e al dolore che gli consente di
essere felice anche in mezzo alle più gravi difficoltà. Il mito di “un cuore e
una capanna” nei primi tempi è vero. I due innamorati sono felici anche se
hanno una casa miserabile, poco cibo, se sono costretti a fatiche tremende.
L’innamoramento dona ai due innamorati un’energia straordinaria che
consente loro di fare quello che da soli non sarebbero mai riusciti a
realizzare. Invece, la coppia formata da due persone che non sono
veramente innamorate, che “si mettono insieme” solo perché si piacciono o
per fare all’amore o per non restare soli, sarà subito piena di delusioni, di
lamenti e di rimpianti. Di qui il continuo desiderio di evadere, fare viaggi,
vacanze, uscire dalla vita ordinaria. Anche la vita erotica in questa
situazione diventa rapidamente noiosa, ripetitiva. Se i due sono sposati,
compiono il loro “dovere coniugale” più come scarico di tensione che come
ricerca dell’ebbrezza. Finché il piacere non viene cercato al di fuori della
coppia. Hanno esperienze sessuali con altri partner in occasione di viaggi,
convegni, vacanze, oppure instaurano occasionali relazioni erotiche con
colleghi, vicini, conoscenti, ma ancora di più con persone conosciute in
internet, o altre conosciute in orge o droga-party. Alcuni, per non
distruggere il loro rapporto, fatto di affetto e di fiducia reciproca, si
dedicano allo scambio di coppia, cioè si tradiscono consensualmente e
ciascuno ha il brivido di un’avventura con un uomo o una donna
sconosciuti mentre il partner sta facendo all’amore con un “rivale” scelto da
lui stesso.
Sempre più spesso in Occidente maschi e femmine hanno incontri
sessuali senza innamoramento, cambiando spesso partner, o con diversi
partner contemporaneamente, e si diffonde quella che possiamo chiamare
amicizia erotica, in cui i due stanno bene insieme, sono amici, e fanno
anche all’amore perché provano piacere, ma senza gelosia, senza
esclusività1. Naturalmente queste esperienze diventano impossibili se i due
si innamorano e perciò essi cercano di evitarlo.
Scrive Ghezzani: «L’incontro occasionale è interamente votato
all’esplorazione del possibile, al fascino della novità, al piacere fine a se
stesso. In quanto casuale e per lo più effimero, abbatte il limite posto
dall’obbligo di avere relazioni sessuali fra persone che si sono conosciute
tramite altre conoscenze o in un ambiente comune, quindi all’interno di un
sistema di regole. È funzionale al piacere nell’esatta misura in cui esclude il
più possibile l’intimità affettiva e la personalizzazione del rapporto, quindi
la nascita di una confidenza, una fiducia, un affetto o un amore, la
costruzione di un legame che possa trattenere o divenire col tempo
istituzione»2.
E in non pochi casi, soprattutto dopo alcune delusioni, l’innamoramento,
la storicizzazione, l’istituzione vengono visti come potenziale fonte di
sofferenza, di dolore, mentre il rapporto sessuale occasionale non è solo
bello e facile ma è anche sereno. Lo vediamo con chiarezza in queste
osservazioni riprese dal blog sull’amore:
Paoletta: Io penso che incontrarsi per fare sesso, e basta, è una cosa che
ti dà una grande rassicurazione: se viene con te, è perché si trova bene con
te. Ti ha preferito ad altre persone, no? È già una scelta che ti permette di
dire: nella vita, ho incontrato chi, tra tutti gli altri, per questo incontro
sceglie me. E penso anche che ti può far male vedere che dopo che siete
stati insieme se ne va, ma è niente rispetto al male che ti farebbe se vivesse
con te, e se ne andasse. Allora sì resteresti con le gambe tagliate. Ed è
inutile dire che era destino, che non ti amava abbastanza, che siete stati
felici. Tu stai male, e basta. Allora vedersi solo per fare sesso è un modo
speciale di vedersi, non si fa con tutti. Ti dà un momento di piacere, se vuoi
anche di sogno. E poi sei certa che se ne va. Anche se resti male, fa meno
male che vivere insieme ed essere lasciata. Perché non difendersi? Chi ti
può garantire che la storia non ti farà male? Meglio così.
Daniele: Ho 29 anni e vivo a Milano. Non sempre è facile per uno come
me che è arrivato qui da quattro anni conoscere delle persone. E così non mi
vergogno di dire che mi sento un poco come descrive questo psicologo, uno
che ha dei rapporti solo di sesso, e non ha legami. Ma, devo dire, perché
dovrei avere dei legami con persone che conosco veramente molto poco?
Quando il sabato o nei week-end esco con una donna, parliamo, sì, ma
soprattutto è un gioco pensando a quello che faremo tra qualche ora, o tra
pochi minuti. Non sono neanche sicuro che tutto quello che mi raccontano
sia verità: e perché dovrebbero? Io però sto bene, mi sentirei molto
imbarazzato e preoccupato se mi iniziassero a raccontare della loro vita
veramente, dei problemi con le banche, dei conti che non tornano, dei
parenti da curare. Io preferisco così, e anche loro. Noi siamo sinceri sempre,
perché non diciamo niente. E poi credo che anche loro preferiscano così.
Ma cosa dovrei fare, secondo lei, cosa dovrei dire? O meglio, c’è qualcosa
che mi perdo? Mi dica lei, perché io credo di no.
Irma: Vivere come se l’unico contatto con un uomo è solo il contatto
sessuale, una serata e via, ti porta a pensare che la tua vita vale poco, che i
momenti più importanti, più creativi, forse li passi solo con le amiche. O
forse sei destinata a “pensarli” fra te e te. Io penso che questa forma di
solitudine a due sia un destino che sembra prospettarsi a molti di noi. Forse
non con il primo amore, dove sei ancora ragazzina, e dove pensi di iniziare
qualcosa che durerà tutta la vita. Ma poi, quando una storia si chiude,
indipendentemente da chi la chiude, ma molto di più se la chiudi tu, allora
quando inizia qualcosa di altro sei prudente, e il massimo che rischi è
proprio quello che una volta non si rischiava mai. Una serata di sesso si può
dare, ma lasciarsi andare e credere, investire i propri affetti, è molto più
rischioso. Dire «ti amo» e vedersi amata in modo riduttivo rispetto a quello
che aspetti è terribile. E lei sa quanti uomini ti dicono e forse credono che ti
amano, e al contempo dicono la stessa cosa ad altre? Questo fa molto male,
ti porta a non aver fiducia nella vita, a chiuderti. Invece sesso per una sera,
poi passa e dimentichi. Ma non ti senti rifiutata o tradita. Puoi ancora
vivere.
Monica (è più categorica): Se due fanno l’amore insieme, si piacciono, il
sesso è stimolante, viene voglia di rincontrarsi, cosa c’è di meglio a questo
mondo? Perché devono mettere insieme tutti i loro pensieri? Perché è
obbligatorio pensare a stare insieme? Per lasciarsi? Per rompersi l’anima
andando a dare fastidio alla intimità dell’altro? Un’altra cosa è se io ho
delle insicurezze economiche, se lui ha dei problemi economici... Allora lui
farà di tutto e io farò di tutto per stare il più possibile insieme, per mangiare
insieme (soldi di un pasto risparmiati). Sperando di risolvere il problema
dell’affitto e (il massimo sogno) del lavoro che non c’è. Ma se bene o male i
due sono anche in modo faticoso e incerto autonomi, dove è l’infelicità,
dove è la mostruosità?
In queste lettere dietro la scelta del puro sesso c’è il rifiuto esplicito
dell’istituzione, del legame poiché è vincolante e fonte di sofferenza. Ci
troviamo perciò di fronte al fatto paradossale che, dopo aver posto
l’innamoramento alla base del matrimonio, non siamo riusciti a fargli
generare un amore erotico intenso e duraturo che sostenga la coppia e il
matrimonio.
Perché? Perché negli ultimi cinquant’anni in Occidente è avvenuta una
rivoluzione che ha dissolto la società organica dove la comunità dominava
sull’individuo e la sua volontà. Stavi nel partito che era stato di tuo padre,
nell’impresa dove lui aveva lavorato, nella chiesa dove la domenica vi
trovavate tutti alla messa, nella famiglia coi nonni, i bisnonni, gli zii, i
cugini e infine nella famiglia coniugale. È prevalsa la società che Lasch
chiama narcisista3, Bauman liquida4, Maffesoli dionisiaca5, in cui la
collettività organica, tradizionale, obbligatoria non prevale più sui singoli
individui. E quindi, secondo questi autori, scompaiono tutti i legami forti
con le imprese, con la politica e anche con le persone. Secondo loro tutto si
sta dissolvendo e ancor più si dissolverà in un polverume di individui senza
obblighi e senza freni.
Io non ci credo. Non ci credo perché lo studio della storia, come ho
mostrato nelle mie ricerche sui movimenti collettivi, e in particolare nel
libro Genesi, rivela come dopo un periodo di dissoluzioni dei legami
sociali, avvengano sempre dei movimenti collettivi che ricompongono la
solidarietà e generano nuove istituzioni. Una società polverizzata o
“liquida” non può essere uno sbocco, perché è altamente instabile.
Limitiamoci perciò a constatare che in questa epoca storica, in
Occidente, gli individui hanno scoperto la propria libertà personale, il
diritto di compiere solo scelte volontarie rifiutando ciò che viene loro
imposto dall’esterno. Ma gli uomini e le donne di oggi sono ancora capaci
di stabilire legami forti, di prendere impegni, di rispettare la parola data a
condizione che non gli venga imposto, che sia frutto della loro libera
volontà. Lo vediamo bene nell’amore dove ci sono amanti che vivono da
anni un grande amore appassionato ma non accetterebbero che quel
rapporto fosse loro imposto come obbligo, dovere.
Siamo entrati nell’epoca della libertà personale e dobbiamo ricostruire
l’intera società e il rapporto amoroso su questa nuova base. Per questo è
importante il compito di questo libro: studiare come sia possibile oggi un
grande amore che dura.

1 Jacques Attali (Amori, Fazi Editore, Roma 2008) sostiene la tesi che l’innamoramento esclusivo,
monogamico, perderà sempre più importanza rispetto a queste reti aperte di amicizia erotica.
2 Nicola Ghezzani, Grammatica dell’amore, cit.
3 Christopher Lasch, La cultura del narcisismo, Bompiani, Milano 1981; Rifugio in un mondo senza
cuore, Bompiani, Milano 1982.
4 Zygmunt Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2002; Amore liquido, Laterza, Roma-
Bari 2006.
5 Michel Maffesoli, L’ombre de Dionysos, Plon, Paris 1982, trad. it. L’ombra di Dioniso, Garzanti,
Milano 1990; Les temps des tribus, Plon, Paris 1988, trad. it., Il tempo delle tribù. Il declino
dell’individualismo nelle società postmoderne, Guerini e Associati, Milano 2004.
13.
Il significato universale dell’innamoramento

Il ruolo dell’innamoramento nella società moderna e nel futuro non è più


quello di rompere in modo rivoluzionario le relazioni consolidate e creare
una coppia istituzionale che duri tutta la vita e assicuri la sopravvivenza
della specie. No, la coppia non durerà per tutta la vita, l’individuo potrà
avere diversi innamoramenti, divorziare e risposarsi. Ma l’innamoramento
resta sempre un’esperienza centrale e cruciale per lo sviluppo della
personalità individuale che si forma solo in relazione ad altri. Scrive
Ghezzani: «Per millenni i rapporti fra persone sono stati instabili e caduchi:
lo dimostrano fenomeni plurimillenari, quindi in un certo senso “naturali”,
come l’infanticidio, l’abbandono dei bambini alla carità pubblica, la vendita
o il prestito dei figli, il ripudio delle mogli, l’indifferenza alla debolezza,
alla malattia, alla morte di individui dello stesso gruppo tribale o persino
della stessa famiglia. Eppure, la realtà inconfutabile di questi legami sociali
tenui è stata “corretta”, forse da sempre ma negli ultimi secoli in modo
evidente, da una crescente tendenza a dotare di valore la nostra vita
personale e quella dei nostri cari. Ciò è avvenuto grazie allo sviluppo della
capacità di individualizzare e personalizzare sia la nostra esistenza che
quella delle persone amate. Individualizzare (o personalizzare) la nostra
esistenza significa dotarla di un valore e di un significato assoluti, diventare
un individuo con un valore intrinseco, una persona dotata di personalità, un
essere umano unico e insostituibile. Oggi, qui nel mondo occidentale ma via
via in tutto il mondo, ogni individuo vuol avere un valore, essere
considerato unico ed inconfondibile»1.
Ci sono due sole situazioni in cui l’individuo ha la possibilità di vivere
questa esperienza: quando diventa genitore perché diviene unico e
indispensabile agli occhi dei figli, e nell’innamoramento, quando diventa
l’essere più prezioso e desiderabile del mondo per la persona più preziosa e
desiderabile del mondo. E questo senza merito, per pura grazia. Noi
veniamo amati senza meritarlo da una persona che è pronta a sacrificarsi
per noi e noi – ecco il fatto ancora più stupefacente, incredibile – proviamo
lo stesso sentimento verso di lei. Ghezzani cioè sostiene che, attraverso
l’innamoramento, noi facciamo l’esperienza fondamentale che nel mondo è
possibile un rapporto fra esseri umani che non sia fondato sul potere e sul
dominio, ma sulla bontà e sulla libertà. Nella storia, egli scrive, il superiore
ha sempre avuto nelle mani il destino dell’inferiore, ci sono sempre stati un
padrone e un servo e la vita è stata una continua lotta per la supremazia.
Questa situazione di dannazione (il peccato originale) cessa solo nel caso
dell’amore, dove invece nessuno può volere il dominio sull’altro ma solo la
sua libertà e la sua felicità, così come l’altro le vuole per lui.
È il tema discusso da Sartre ne L’essere e il nulla dove nega la
possibilità dell’amore. Egli, infatti, parte da quanto scrive Hegel ne La
fenomenologia dello spirito sulla lotta per il riconoscimento. Io non ho
valore, non sono nulla se non vengo riconosciuto dagli altri e lotto per
ottenere il riconoscimento di essere superiore a loro. Sartre scrive: «È
l’altro che mi valuta, che mi giudica, che mi conferisce o mi toglie valore.
In tal modo l’altro mi soggioga ed io, per liberarmi, tento di soggiogare lui.
Solo nell’amore – egli dice – sembra che ci si possa sottrarre a questa
necessità di conflitto». Infatti, nell’amore, io non desidero sottomettere
l’altro. Voglio essere stimato, amato, adorato, cioè riconosciuto. «L’amante
non vuole asservire l’essere amato, non vuole possedere un automa [...]
vuole possedere una libertà come libertà. L’amante vuole essere “tutto il
mondo” per l’amato [...] vuole essere l’oggetto nel quale l’altro trova il suo
essere e la sua ragion d’essere: l’oggetto limite della trascendenza, quello
verso il quale la trascendenza dell’altro trascende tutti gli oggetti ma che
esso non può in alcun modo trascendere [...] non vuole agire nella libertà
dell’altro, ma essere a priori come il limite oggettivo di questa libertà, cioè
essere dato simultaneamente ad essa e nel suo stesso sorgere, come il limite
che essa deve accettare per essere libera»2.
Ma, nell’analisi di Sartre, l’innamoramento incomincia in un individuo
che non è ancora riamato. Allora deve chiedersi: come si passa dall’uno al
due, dall’adorazione di uno all’adorazione reciproca? A questo punto,
Sartre fa un’affermazione cruciale che determina lo svolgimento di tutto il
suo pensiero: «L’amato non può voler circoscrivere spontaneamente la sua
libertà. Perché io devo perdermi in un altro?». Amare viene
immediatamente sentito e descritto da Sartre come perdersi, rendersi
schiavo, prendere l’altro come il proprio assoluto padrone. Impostato in
questo modo il problema, Sartre è costretto a far agire l’amante. «L’amante
perciò deve sedurre l’amato [...] Con la seduzione cerco di costituirmi come
un pieno di essere e di farmi riconoscere come tale [...] mi propongo come
insuperabile». In questo modo cerco di annullare la libertà del mio amato
dimenticando che questa è la condizione dell’amore che cerco. Nessuno
infatti può amare chi non è libero di rifiutarti. Di qui la sua conclusione
sconsolata: «L’amore è uno sforzo contraddittorio per superare la
negazione, di fatto ciascuno è alienato solo in quanto esige l’alienazione
dell’altro»3. Eh, no! No, nel modo più assoluto! Non è questo il processo di
innamoramento. Quando sono innamorato e non sono ancora sicuro di venir
riamato, non posso desiderare e nemmeno pensare di essere il padrone e il
dio dell’amato. Cioè di «essere colui la cui funzione è di fare esistere gli
alberi e l’acqua, le città e i campi e gli altri uomini per poi donarli all’altro».
No! No! Questo è un attributo solo dell’amato, questo è un potere solo
dell’amato, non dell’amante!
L’innamoramento e l’amore costituiscono l’uscita dal mondo del
dominio e della violenza, la restaurazione dello stato paradisiaco originario,
quello che il bambino ha vissuto con la madre, ma che ora viene vissuto con
tutta la pienezza del suo significato rivoluzionario e come atto libero. Esso
perciò rappresenta la rivoluzione essenziale, il modello prototipico della
rivoluzione che annulla il male. Scrive Ghezzani: «Senza dubbio l’amore si
svolge all’interno della struttura sociale e ne subisce sempre le condizioni.
Non di meno, è altrettanto vero che esso realizza tutto il suo pathos proprio
nella negazione della realtà sociale, sottraendo i due amanti all’arbitrio e
alla violenza dei rapporti sociali. L’amore cresce di intensità a misura della
sua capacità di negare la comune alienazione, di percepire l’amato e se
stesso nella propria più intima autenticità creando un mondo a parte: un
mondo rinnovato nel quale ognuno possa essere riconosciuto nelle sue
migliori potenzialità. L’innamorato ribalta l’assioma proprio della vita
alienata che i rapporti umani siano mossi dal solo desiderio di possedere,
controllare, soggiogare, dominare. Proprio in quanto ama, l’innamorato non
ce la fa a dominare, perché dominare vorrebbe dire costringere, quindi
perdere la garanzia che l’amato è innocente per sua volontà. L’innamorato
potrebbe essere lo schiavo della persona amata, tanto ne ha bisogno e la
desidera; eppure anche questo gli è impossibile. Poiché amare significa
individuare nell’altro la dignità ad essere amato, la sua purezza, la sua
innocenza, egli ama nel suo amato la rinuncia al dominio e più ancora la sua
impossibilità a dominare, perché la volontà di dominio non è mai amabile.
Se l’amato cercasse di dominarlo lo perderebbe per sempre. L’innamorato
ama l’innocenza del suo amato, la stessa che l’amato cerca in lui, e cos’è
l’innocenza se non il rifiuto del dominio? Nell’amore cerco la bontà verso
la quale tendo per liberarmi dalla cattiveria in cui mi ha gettato la
sofferenza, e poiché la avverto nella persona amata la riconosco anche in
me. Nell’amore vero io amo proprio quella persona perché la sua innocenza
è estranea alla vicenda sociale, alla sua brutalità, mi “ricorda” la purezza
delle origini, mi suggerisce la perfezione cui l’anima umana può ancora
ambire»4.
Io ho descritto questa fuoruscita dalla condizione di dominio, prigionia e
alienazione nella esperienza fondamentale dello stato nascente dei
movimenti. Ma Ghezzani ha avuto il merito di mostrare l’incompatibilità
dell’amore erotico che dura (l’amore totale) con qualsiasi desiderio di
coercizione e dominio, e quindi l’effettiva realizzazione storica (non
l’utopia, il sogno) di ciò che nelle religioni e nei miti è indicato come “il
tempo divino delle origini”, “il paradiso terrestre” o “il regno di Dio”, dove
l’uomo, non più prigioniero delle leggi e delle coercizioni ma totalmente
libero e felice, parla con gli animali e vive con gli dei. L’erotismo
dell’amore totale è infatti privo di qualsiasi freno, limite e colpa, è
innocente, cerca solo la felicità e poiché vuole, per sua natura, ciò che vuole
l’altro, gliela dona.
L’essere umano non sarebbe pienamente se stesso se non provasse questa
esperienza fondante. Perché è alla base della certezza della bontà del
mondo, del proprio essere e della speranza. È questa la ragione per cui in
tutte le società e in tutte le culture è sempre esistito l’innamoramento e la
ragione per cui continuerà a esistere anche nella nostra. E poiché questa
esperienza può durare a lungo nell’amore totale, gli esseri umani
continueranno a cercarlo.
Prima di chiudere questo capitolo dobbiamo però fare una precisazione.
Noi possiamo voler molto bene a una persona, fare all’amore con lei, avere
dei figli senza esserne mai stati innamorati. È un fenomeno abbastanza
frequente: molte persone confondono l’attrazione, lo stare bene insieme,
l’accordo sessuale con l’innamoramento. Ma se è così, qualcuno può
domandarmi perché dare tanta importanza all’innamoramento, perché dire
che è essenziale? Per rispondere presenterò il caso di un uomo che
chiamerò S. Quando aveva venti anni si è innamorato di una compagna di
università che, però, era già innamorata di uno più vecchio di lui. S. era
totalmente privo di esperienza, quello era veramente il suo primo amore,
per molto tempo non ha nemmeno capito di essere innamorato. La ragazza
ovviamente se ne era resa conto, le piaceva molto questo suo compagno
gentile e intelligente e, non volendolo umiliare, ha fatto in modo da non
restare mai sola con lui, da non dovergli dire «io amo un altro». Per S. è
stato un dolore atroce, ha pensato al suicidio, poi a poco a poco si è messo a
fare la corte ad altre ragazze, ha fatto all’amore con loro e alla fine si è
fidanzato con una compagna di corso gentile, allegra, simpatica, che gli
dava un grande senso di sicurezza. Le voleva molto bene, hanno costruito
insieme la loro casa, lei lo adorava, sessualmente era totalmente soddisfatta,
hanno avuto dei figli, ha avuto successo, si può dire che erano felici. Ma in
lui restava un’oscura inquietudine, sapeva di non essere innamorato di sua
moglie, stava benissimo con lei ma non aveva mai provato quello
scuotimento dell’anima che aveva provato con un suo primo infelice amore.
E la consapevolezza di non essere mai stato innamorato di sua moglie anche
se le voleva bene, se si sentiva riamato, se la stimava, non gli aveva mai
fatto desiderare di dire: «Solo tu e per sempre, fino alla morte». Ha
incominciato a frequentare prostitute da cui era molto attratto e con cui si
trovava bene, poi ha avuto altre donne finché, un giorno, si innamorerà di
una donna giovane e solo allora troverà ciò che aveva perduto. Cosa
mancava a quest’uomo? Perché non si accontentava dell’amore e del sesso
che aveva in abbondanza? Il semplice ricordo di un’altra donna? No, gli
mancava l’esperienza di avere in una sola persona tutto ciò che puoi
desiderare, la sfrenatezza, la libertà, l’eccesso, il nuovo, il futuro, l’assoluto,
qualcosa che solo l’innamoramento ti dà. Era come il seguace di una
religione che aveva sempre rispettato le pratiche rituali ma non aveva mai
avuto l’esperienza sconvolgente della rivelazione, l’estasi mistica, non
aveva mai vissuto il tempo divino delle origini che, secondo Mircea
Eliade5, è il cuore stesso dell’esperienza religiosa e a cui ogni rito, ogni
culto tende a ritornare. Nell’epoca divina, quando il mondo era giovane, gli
uomini vivevano accanto agli dei e ogni cosa era perfetta, ogni essere felice.
Se non hai mai provato, neppure una volta, questa esperienza di
soddisfazione totale e assoluta, hai l’impressione di non vivere appieno la
tua vita nemmeno oggi. È per trovare questo “di più” che ti manca che corri
alla ricerca di esperienze erotiche con altre persone sempre diverse, ma esse
non ti daranno mai la pienezza e la totalità che cercavi.

1 Nicola Ghezzani, Grammatica dell’amore, cit.


2 Jean-Paul Sartre, L’essere e il nulla, A. Mondadori, Milano 1958, p. 447.
3 Ibidem, cit., p. 456.
4 Nicola Ghezzani, Grammatica dell’amore, cit.
5 Mircea Eliade, La nostalgia delle origini, in Trattato di storia delle religioni, cit.
14.
Il problema del linguaggio erotico

Per proseguire, a questo punto, dobbiamo fare un altro approfondimento


storico non sull’innamoramento, ma sull’erotismo e il linguaggio erotico.
Perché il rapporto d’amore è un rapporto erotico e l’erotismo ha avuto
elaborazioni diversissime nelle diverse culture. Ritorniamo alla differenza
che abbiamo trovato fra Oriente e Occidente a proposito della sessualità e
dell’amore. Tanto in Cina come in India non c’è la figura
dell’innamoramento con la sua passione a un tempo spirituale ed erotica,
ma vi è una ricchissima letteratura erotica ed erotico-amorosa. In Occidente
invece, già nel V secolo, Platone si domanda cosa sia l’amore
dell’innamoramento e, in tutti i suoi dialoghi, non viene mai confuso con la
sessualità. Nel pantheon greco-romano c’è una dea dell’amore, Afrodite-
Venere, ma fra gli dei la sessualità si presenta sempre come adulterio perché
la società era strutturalmente monogamica. Zeus-Giove si accoppia con
molte donne mortali, ma lo fa sfuggendo alla gelosia della moglie Hera-
Giunone. Anche le dee possono innamorarsi degli uomini, come fa Venere
con Anchise (il padre di Enea) e Teti con Peleo (il padre di Achille) o avere
avventure puramente sessuali come Venere con Marte nell’Odissea.
L’amore erotico è perciò parte integrante e naturale della vita, non va
rimosso o condannato, e anche nella sua forma orgiastica assume
dimensione religiosa nei culti di Dioniso. Tutto cambia col cristianesimo, in
cui l’erotismo viene totalmente bandito non solo dall’esperienza
propriamente religiosa, ma dalla vita sociale, dal comportamento quotidiano
degli uomini e delle donne e perfino dal matrimonio. Al suo posto viene
esaltata la castità, il corpo nudo viene condannato e l’atto sessuale viene
ammesso solo in quanto finalizzato alla procreazione e facendo in modo che
dia il minor piacere possibile. Il risultato è una monogamia frigida, che poi,
di fatto, viene interrotta dall’adulterio e, occasionalmente, dalla promiscuità
caotica dell’orgia. Ma non è più l’orgia sacra di Dioniso, è la crapula. La
sessualità, condannata religiosamente, è stata sempre più avvicinata al
mondo escrementizio, spregevole. I genitali diventano “le parti
vergognose”, nella medicina diventano “le pudenda”, ciò di cui si deve
avere pudore. E questa concezione si è diffusa nel mondo laico profano,
addirittura anticristiano. Lo dimostra la concezione dell’erotismo di
Georges Bataille, l’autore più letto in Occidente. Secondo Bataille
l’erotismo è trasgressione e colpa, infrazione del tabù, ricomparsa
dell’animale nell’umano, degradazione, svilimento della donna e della sua
bellezza. Ricordiamo le sue parole: «Un uomo, una donna sono di regola
giudicati belli nella misura in cui le loro forme si discostano dall’animalità.
Il valore erotico delle forme femminili è legato [...] alla scomparsa di quella
pesantezza naturale che ricorda l’impiego materiale delle membra e la
necessità di un’ossatura: più le forme sono eteree meglio esse rispondono
all’immagine della donna desiderabile, [ma] essa è desiderata al fine di
corromperla. Non [è desiderata] in sé per sé, bensì per la gioia gustata nella
certezza di profanarla. La bellezza della donna desiderabile preannuncia le
sue parti vergognose: ossia le sue parti pelose, le sue parti animali...».
L’erotismo nella sua essenza «è profanare quel volto, la sua bellezza [...]
mettendo a nudo le parti segrete di una donna, poi introducendovi l’organo
virile. Nessuno dubita della laidezza dell’atto sessuale»1.
Nel libro Sesso e amore ho mostrato con chiarezza l’effetto di questa
concezione: quando parliamo di sesso usiamo un linguaggio volgare,
spregiativo e violento, che è poi quello della prostituzione e della
pornografia2. Quando parliamo d’amore il linguaggio si desessualizza e
diventa sublime e poetico. Però perfino nell’innamoramento più sublime,
gli amanti nel loro rapporto sessuale o usano delle metafore da loro stessi
inventate, oppure ricorrono alle parole volgari. In sostanza, manca in
Occidente un linguaggio erotico con metafore delicate come quelle usate in
numerosi libri cinesi in cui il pene viene indicato con espressioni come
Stelo di Giada, Stelo di Corallo, Colonna del Drago Celeste. Per gli organi
sessuali femminili vi sono metafore come Porta di Cinabro, Calice del
fiore, Fiore di Peonia, Loto Dorato, Anfora accogliente ecc.3 Non è
immaginabile in Occidente che un maestro spirituale possa dare consigli
come fa questo saggio taoista quando dice: «Lo Stelo di Giada [il pene]
dovrebbe carezzare dolcemente la preziosa entrata della Porta di Cinabro,
mentre l’uomo bacia la donna amorosamente, i suoi occhi si soffermano sul
suo corpo e contemplano il Loto Dorato [la vulva]. Egli dovrebbe poi
sfiorarle il ventre ed il seno e carezzare la sua Terrazza Preziosa [il
clitoride]. [Poi] muovere il suo Sicuro Picco (il pene in erezione) [verso le]
Vene di Giada [le piccole labbra]».
Nella nostra tradizione nessuno si è mai posto il problema di studiare, di
analizzare, di imparare a intensificare il piacere sessuale. Non così nell’altro
grande paese asiatico, l’India, dove è uscito un classico come il Kamasutra4
in cui vengono studiate e descritte le azioni e perfino le posizioni che
consentono una stupefacente varietà di esperienze erotiche. Ora, anche solo
guardando le posizioni note a tutti ci si rende immediatamente conto che,
mentre in Occidente il piacere è affidato esclusivamente all’orgasmo (che
nella prassi quotidiana veniva insegnato a raggiungere al buio), qui il
piacere viene affidato alla mimica, agli sguardi, alle posizioni e ai rapporti
fra i corpi, alla loro tensione, alla visione che gli amanti hanno l’uno
dell’altro, delle loro reazioni reciproche, del loro rapporto, del loro
godimento, dei loro sentimenti. È un piacere complesso dove i due amanti
sono anche gli attori di una danza, di una coreografia. Questo erotismo è il
prodotto di un sapere cercato e arricchito nel corso dei secoli.
Questo linguaggio non esiste in Occidente. Il sociologo Murray Davis5
ha messo in evidenza nel suo libro Smut che nella nostra civiltà ci sono in
realtà tre linguaggi erotici. Il primo è quello medicale con i suoi termini
asettici “organi sessuali, pene, vagina, coito ecc.”. Nel linguaggio perbene
queste parole non vengono tutte usate, alcune sono censurate, sostituite con
metafore o allusioni. Vi è infine il linguaggio volgare, quello a cui si
riferisce Bataille, che è spregiativo, violento, deviante, proprio della
pornografia o dell’insulto ed è questo linguaggio volgare che viene sempre
più usato nel linguaggio corrente. Il risultato è che, in questo modo, noi in
Occidente non abbiamo un linguaggio adatto a esprimere le esperienze, le
emozioni erotiche proprie del grande amore appassionato, del grande amore
totale in cui l’erotismo raggiunge il suo massimo di intensità. Perciò gli
amanti o inventano loro metafore personali o usano affettuosamente le
espressioni volgari ma sempre in modo riservato, nascosto.

1 Georges Bataille, L’erotismo, Sugar, Milano 1967, p. 152.


2 Francesco Alberoni, Sesso e amore, cit.
3 Una prima idea di questo linguaggio la si può ricavare dal libro di Li Yu, Il tappeto da preghiera di
carne, cit., pp. 41-44.
4 Vedi Kama Sutra, Edizioni Red, Milano 2004.
5 Murray Davis, Smut, University of Chicago Press, Chicago 1983.
15.
La melodia cinetica

Nessuno in Occidente ha mai pensato di studiare sistematicamente le


esperienze erotiche. Se vogliamo avere un’idea di cosa si dovrebbe fare
dobbiamo andare in un campo apparentemente diversissimo, che invece è
stato molto studiato, il rapporto madre-bambino. Anche in questo caso ci
facciamo guidare da Ghezzani che scrive: «Il dialogo fra la figura nutrice e
il bambino piccolo non finisce mai di essere indagata in tutta la sua
stupefacente ricchezza. Sappiamo che fra madre e figlio avviene una
sofisticata danza mimica: gli occhi dei due “ballerini-amanti” si incrociano
e si intrecciano in continuazione, si fissano gli uni negli altri e percorrono in
un circuito continuo precisi punti di riferimento e identificazione: gli occhi,
il naso, la bocca, le guance, il triangolo del viso e il tondo della faccia, la
luce della fronte e l’ombra dei capelli, a una distanza perfetta che ne
consente la focalizzazione e l’intimità. Allo stesso tempo avviene una danza
tattile: le mani del bambino si aggrappano alle ciocche dei capelli della
mamma, oppure una, se può, arriva a sfiorare sul volto materno la bocca, il
naso, gli occhi, mentre la mamma a sua volta afferra un ditino del piccolo
fra le sue labbra o si introduce con il muso nel petto del piccolo con suoni
di piacere per stimolarlo e farlo ridere. Ma avviene anche una melodia
sonora, fatta di gridolini, gorgoglii, risate, coordinati fra loro e intrecciati ai
gesti in modo tale che i due amanti possano trasmettersi confidenza e
piacere. Da non molto tempo sappiamo che madre e bambino intrecciano
fra loro una musica fatta di canti e suoni che compongono armonie
ricorsive. Secondo studi recenti, le madri e i bambini di tutto il mondo
intonano le stesse melodie: dunque, esse sono una memoria motoria, una
guida musicale per quella danza a due che è la loro prima comunicazione
visibile; una forma dialogica che si sviluppa in sequenze temporali e che
non comunica “nozioni”, ma valori emotivi: la fiducia, la bellezza, l’unione,
l’armonia»1.
Ed ecco ora il passaggio cruciale. Continua Ghezzani: «Come il
bambino, anche l’adulto può vivere questa danza, questa melodia cinetica –
come la chiamava il neurologo Aleksandr Lurija –, in tanti e diversi
rapporti»2.
Esatto. È questo che non è stato studiato nei rapporti amorosi fra adulti e
in particolare nei rapporti erotici. Non solo con i metodi sperimentali in cui
la presenza dell’osservatore altererebbe il fenomeno, ma nemmeno
chiedendo la collaborazione degli amanti che descrivono la loro esperienza.
Ma il racconto accurato, la fenomenologia di questa esperienza erotico-
amorosa felice manca perfino nella letteratura. E, per le ragioni che
abbiamo già esposto nel capitolo precedente, non esiste un lessico erotico
che non sia o medicale o allusivo o volgare. Quindi, le nostre lingue non ci
danno gli strumenti per trasmettere quella sintesi di sesso e amore, di
carnale e sublime, di terrestre e divino che caratterizza l’amore erotico e i
suoi incontri. Al punto che per indicarlo noi usiamo la combinazione di
immagine, musica e parole come nel cinema. Ma resta il fatto che manca il
lessico e quindi resta un vuoto linguistico che è scientifico e culturale. Un
vuoto che indica una carenza della civiltà occidentale di cui io mi sono reso
drammaticamente conto studiando in modo sistematico il rapporto fra sesso
e amore, e che ritrovo come ostacolo insuperabile ora che mi accingo a
studiare il grande amore erotico che dura, l’amore totale, su cui la società è
muta. Sono convinto che nell’innamoramento, e nell’amore totale che ne
costituisce la prosecuzione, l’intera vita degli amanti diventi una melodia
cinetica analoga a quella della madre e del figlio. Avevano ragione Freud e
gli psicoanalisti a vedere nello stato della passione amorosa, negli abbracci
languidi degli amanti, nei loro infiniti giochi erotici qualcosa che ricorda
l’intimità psicofisica incestuosa della madre col figlio che si è appena
staccato dal suo corpo. Questa stessa danza erotica si ripete fra i corpi degli
amanti che si cercano, si riconoscono e si completano come fossero due
parti separate che hanno assoluto bisogno l’una dell’altra. Però gli
psicoanalisti hanno sbagliato a pensare che sia una regressione. No, non è
una regressione, è un recupero, un arricchimento, è la straordinaria capacità
di realizzare, anche nella vita adulta con il proprio amato una melodia
cinetica dei corpi e degli spiriti analoga a quella che ciascuno ha
sperimentato da bambino con sua madre. Ma nell’adulto questa melodia
cinetica è diventata un processo di un’incredibile complessità perché,
mentre nel rapporto madre-bambino agiscono pochi elementi e risposte
istintuali elementari, nell’adulto entrano in gioco l’intelligenza, la volontà,
la storia passata degli individui, le loro culture di appartenenza, le
scenografie, i costumi e gli archetipi dell’amore e dell’erotismo come sono
stati elaborati nella poesia, nella musica, nella filosofia e nell’arte nel corso
dei millenni. Una melodia cinetica che non è più solo natura, ma arte,
pensiero, cultura, civiltà.
E c’è una difficoltà al suo studio. Che mentre il rapporto madre-bambino
è considerato naturale, ingenuo, puro, immacolato, quando invece vengono
coinvolti il sesso e l’erotismo, quando le mani che accarezzano, i volti che
si affondano, quando i gridolini non sono più della donna e di suo figlio, in
mancanza di parole per nominarlo, appare subito il sesso nella sua
sconcezza. E tale resta anche in presenza dell’amore più sublime, più
disinteressato, più nobile e lo contamina, lo sporca, lo rende violento, lo
sconcia, lo deturpa, lo trasforma in pornografia. Per cui per parlare di un
amore grande, puro, assoluto, devi desessualizzarlo, rivestirlo, come ha
fatto Tiziano ne L’amor sacro e l’amor profano, e trasformarlo in un casto
bacio.
L’unico modo in cui il mondo moderno è riuscito a comunicare
l’esperienza erotico-amorosa è il cinema perché ha giustapposto tre
linguaggi. Quello fotografico del corpo nudo che abbraccia l’altro corpo
nudo nell’atto di penetrarlo, il linguaggio amoroso poetico sublime e,
infine, la musica con cui vengono espressi sentimenti delicati ed elevati. Il
puro linguaggio verbale però non ha fatto nessun progresso, resta quello
fissato da duemila anni di repressione.

1 Nicola Ghezzani, Grammatica dell’amore, cit., p. 282.


2 Ibidem, p. 282.
16.
Il grande amore erotico

Nel grande amore erotico fra gli amanti si creano relazioni che hanno la
stessa intensità di quella del bambino con la madre. I volti dei due amanti si
cercano, esprimono tutte le variazioni del desiderio, della tenerezza,
dell’affetto e rispondono a tutte quelle dell’amato. Ma non sono solo i volti
a parlare, parlano e dialogano continuamente anche i loro corpi vicini o
lontani, quando si trovano nella stessa stanza e perfino quando camminano
per strada. Essi si dichiarano continuamente il loro amore, le loro
incertezze, il loro bisogno dell’altro, la loro tenerezza, il loro desiderio, si
cercano, si allontanano, si chiamano, si offrono, si stringono, si
abbracciano.
Un discorso particolare richiede poi quello che in modo sintetico e
grossolano indichiamo come “atto sessuale”, ma che in realtà nel grande
amore erotico è sempre una uscita dal mondo, una danza dionisiaca di lunga
durata. Noi con l’espressione “atto sessuale” ci riferiamo fondamentalmente
al coito, ma il coito è solo un momento della fusione sessuale-amorosa che
si realizza nel grande amore erotico. Nel linguaggio e nella prassi comune si
distingue fra i “preliminari”, che sarebbero i baci e le carezze che
precedono l’atto sessuale, e la penetrazione vera e propria. Di fatto questi
preliminari sono gli atti che consentono alla donna di eccitarsi e quindi di
desiderare la penetrazione e avere un orgasmo. La stessa parola
“preliminari” indica che il vero atto sessuale è quello successivo.
Questa distinzione è priva di senso nel grande amore erotico che non è
un atto, anche ripetuto, ma una esperienza psicofisica complessa e
prolungata che si svolge in uno spazio di tempo separato dalla vita
ordinaria, profana. Questa esperienza musicalmente potrebbe essere
paragonata a una sinfonia, a un duetto lirico o a una danza dionisiaca in cui
i due danzatori entrano in un mondo di esperienze straordinarie che può
durare anche ore. Di solito gli amanti scelgono un luogo riparato dagli
sguardi alieni per essere solo loro due, in una totale intimità e in totale
libertà. Poi, si dedicano solo a dirsi che si amano e a darsi piacere con le
parole e con il corpo, creando e ricreando continuamente nuove coreografie
spontanee in cui si abbracciano, si baciano, si stringono, si accarezzano, si
leccano, strofinano i loro corpi, si penetrano, ascoltano le loro sensazioni
interne, i loro odori, si esplorano, si cercano, si parlano, si addormentano, si
risvegliano, si ricongiungono restando a lungo l’uno nell’altro come a
formare un unico corpo vibrante, ed esprimono la loro felicità, il loro
piacere e il loro amore con parole, grida, sussurri, mormorii, baci. Anche
qui, come nel rapporto madre-figlio piccolo, c’è una musicalità comune a
tutti gli esseri umani.
Il grande amore erotico è caratterizzato anche da altre esperienze tipiche.
La seconda è quella della bellezza. Ciascuno scopre ogni volta nell’altro –
nel viso, nel corpo dell’altro, in tutte le parti del suo corpo – una bellezza
sublime, struggente, non confrontabile con nessuna cosa mai vista fino a
quel momento. Nel grande amore erotico che dura anni vi sono
naturalmente momenti in cui ciascuno vede anche le imperfezioni o i limiti
della persona amata, ma ogni volta c’è sempre un istante in cui torna a
vederla con gli occhi abbacinati dell’innamorato, come la persona più
incredibilmente bella, più desiderabile del mondo, non comparabile con
nessun’altra, la sola, l’unica che ha sempre cercato, la sola che placa
totalmente ogni suo desiderio. Nei Dialoghi degli amanti Rogan parla a
Saky del piacere della vista: «Ah, Saky, sapessi cos’è il piacere della vista!
Tu resti coricata sul letto nuda, abbandonata ed io ti guardo incantato.
Spesso mi metto ai tuoi piedi appoggiato ai cuscini e guardo le tue cosce
rotonde, poi il fiore che mi ubriaca per la sua bellezza, e risalgo sulla tua
pancia, i tuoi seni rotondi, le tue ascelle, le tue spalle e il tuo volto un po’
piegato e sorridente. Ora ti distendi, le tue belle braccia si sollevano, vedo
le tue ascelle tornite, la tua testa si spinge all’indietro e mi mostra la gola
candida. La tua bocca ora è socchiusa, sorride e, lentamente,
lentissimamente ti sciogli. Il tuo volto, il tuo sorriso, il tuo collo, le tue
spalle, le tue ascelle, il tuo seno costituiscono allora un quadro stupendo a
cui ho dato il titolo: Bellissima donna bionda che gode la sua felicità»1.
La storia della pittura dopo il 1500 è piena di quadri di bellissime donne
nude dipinte dai loro amanti. E la loro serena rilassatezza, la morbidezza
languida dei loro corpi nudi, dà l’impressione che il pittore le abbia sempre
dipinte quando erano sessualmente appagate.
Nella vita reale, fra persone non più giovanissime questa esperienza di
bellezza si accompagna a un’intensa impressione di ringiovanimento. Per
darne un’idea riporto un documento lasciatomi da un amico a cui avevo
chiesto di descrivere la sua esperienza amorosa nel blog: «Facendo
all’amore io la guardo affascinato da tutti i movimenti, da tutti i fremiti del
suo corpo e sono ogni volta colpito dalla trasformazione del suo viso che
diventa giovane come se tornasse ad avere diciotto anni: il volto di una
adolescente beata. Ed ho l’impressione che quello che stringo, il seno che
bacio, sia quello del mio primo amore, un primo amore che non ho mai
avuto. Viene poi un momento in cui, felici e in pace, restiamo insieme a
guardarci e a parlarci, spesso seduti di fronte, magari bevendo qualcosa ed
allora noto che il suo seno è chiaramente diventato più turgido, il suo viso è
tornato incredibilmente giovane, i suoi occhi si sono fatti dolcissimi e li
tiene abbassati, con il viso un po’ reclinato e i capelli che le scendono
davanti al volto. Un atteggiamento di riserbo e di pudore che non ha mai
abitualmente e che deve avere avuto molto tempo prima, forse da
adolescente quando si è innamorata. Le ho domandato cosa pensa e lei mi
ha detto che in quel momento vive dentro di sé, silenziosamente, delle
emozioni intensissime che non si possono esprimere. Per me è tornata una
ragazza giovanissima che ha fatto all’amore per la prima volta con l’uomo
che ama e prova imbarazzo e pudore, sorpresa da ciò che sta vivendo».
Questa esperienza può essere spiegata tenendo presente che i due amanti,
nel processo di storicizzazione, si raccontano i dettagli della loro vita,
rivivono il loro passato e ne trattengono le parti positive, quelle che si
combinano, si adattano con il loro nuovo amore, mentre dimenticano e
lasciano sbiadire le altre. Essi perciò hanno intense esperienze di
regressione ma le vivono come avvenissero per la prima volta. Così vivono
col loro nuovo amore tutto ciò che hanno vissuto trasfigurandolo. Ecco
perché il loro viso, il loro sguardo, il loro sorriso, la loro timidezza, la loro
gioia, il loro batticuore talvolta sono oggi esattamente come sono stati altre
volte nella loro vita da bambini, da adolescenti, da giovani, eppure sempre
incredibilmente nuovi. Nel grande amore erotico la persona innamorata è
presente al suo amato in tutta la sua interezza.
La quarta esperienza tipica riguarda il piacere. Nel grande amore erotico
i due amanti, ogni volta che si incontrano, provano un piacere che sentono
sempre superiore a qualsiasi piacere provato prima anche fra di loro, in
tutti gli incontri precedenti. Ogni volta è l’indicibile, il massimo,
l’insuperabile.2 E devo ricordare che non mi riferisco al piacere più o meno
prolungato dell’orgasmo, ma a un’esperienza che dura nel tempo perché i
due amanti si danno piacere con la vista, con la vicinanza, col contatto delle
mani, con la bocca, con la pelle, con tutte le parti del corpo e possono farlo
per un tempo incredibilmente lungo. Il coito frettoloso, o il succedersi di
coiti frettolosi seguiti da orgasmi, sono il prodotto della repressione
sessuale dell’Occidente. Ma nella fusione sessuale amorosa di cui abbiamo
parlato, i due innamorati hanno ogni volta l’impressione che i loro corpi e i
loro spiriti si fondano raggiungendo una felicità che non credevano
possibile. Come dice questo post del blog: «Davvero io ho raggiunto il
massimo che potevo desiderare. Tu mi hai dato tutto ciò che ho sempre
desiderato nel corso della vita, le cose che non ho mai potuto provare. Non
ho mai desiderato di stare sempre accanto ad una donna, guardarla,
accarezzarla, esserne accarezzato, parlare con lei e provare il piacere che
non conoscevo. Un piacere che, dopo anni e anni, ad ogni incontro è
diventato sempre più intenso, sempre diverso, sempre nuovo, inatteso, ogni
volta una esperienza stupefacente che non avrei mai ritenuta possibile. E
che non ritenevi possibile nemmeno tu. Qualcosa che è fiorito, sbocciato
dall’incontro misterioso delle nostre menti e dei nostri corpi. Tu dici che
sono i nostri corpi che si piacciono. È vero, sono loro che si piacciono ma io
sento il bisogno di dare voce, di dare dei nomi e dei suoni a questo loro
piacersi. Io parlo di te, del tuo corpo, parlo di noi, ricordo le tue esperienze
e le mie. Davvero, amore, non credo che proveremmo quello che proviamo
se io non lo trasformassi continuamente in parole. E anche tu lo hai fatto
negli anni passati, molte cose le hai dette tu. I nostri non sono semplici
incontri e non sono un semplice fare all’amore ma un immergerci
nell’amore, un concedere ai nostri corpi di godere l’uno dell’altro fino
all’estremo abbandono, fino ad ubriacarci nei godimenti, sì, godimenti al
plurale perché sono tanti e nuovi, imprevedibili e stupefacenti. E uniti al
piacere di stare insieme, di parlare, di lavorare, di guardare, di ricominciare.
È questa completezza che mi fa dire che “non desidero nulla di più di
quanto ho”. Sembra impossibile, sembra una di quelle frasi che non si
possono dire. Eppure è vero, io non desidero nulla di più di quanto ho».
Ma com’è possibile il ripetersi continuo di un incontro erotico amoroso
sempre al massimo della sua intensità? In questo tipo di amore i due amanti
si desiderano sempre e perciò il loro erotismo è come se fosse sempre
presente, sempre pronto a esplodere. Allora, a ogni incontro, essi si
abbandonano senza freni al loro desiderio. Questo dipende dal fatto che la
sessualità e il piacere erotico sono molto spesso frenati o inibiti da tabù,
paure, esperienze traumatiche, da errori prodotti dalle inibizioni religiose,
da traumi infantili, da esperienze fatte nel periodo della iniziazione sessuale
e nei primi amori. Lo psicoanalista Wilhelm Stekel nel suo libro La donna
frigida3 ha dimostrato che molto spesso l’incapacità della donna di avere un
orgasmo dipende dalla prima esperienza sessuale o da quella avuta nella
prima notte di nozze. Basta una frase sbagliata del suo amato o di suo
marito per farle improvvisamente perdere la fiducia in se stessa, nella
propria bellezza, nel proprio corpo. Bastano osservazioni come «Ma come
sei magra! Che tette piccole hai!» oppure «Che cosce grosse hai!». Lo
stesso effetto possono avere frasi come «Ma tu non eri vergine!». Questo
tema è stato ripreso da Simone de Beauvoir4.
Nel grande amore erotico questi freni, queste barriere vengono
annientati. È l’amore stesso che li distrugge e libera il desiderio, lo potenzia
e ne fa esplodere la straordinaria capacità di dare piacere. Anch’io ho potuto
osservare un caso di frigidità totale durata a lungo in una donna che, vergine
e giovanissima, si è concessa subito all’uomo di cui si era innamorata.
Dopo il rapporto sessuale, poiché non aveva sentito nessun dolore, gli ha
detto: «Tutto qui?» e lui l’ha così accusata di non essere vergine. Sul
momento, poiché lo amava moltissimo e aveva un grande senso
dell’umorismo, ha riso. Ma sebbene in seguito abbia avuto una vita
avventurosa, con molti amanti famosi, non è mai più riuscita a provare un
orgasmo. La sua sessualità si risveglierà solo dopo venti anni, quando si
innamorerà totalmente di un uomo con cui vivrà uno straordinario amore
reciproco. Con lui si abbandonerà completamente e acquisterà una
sensibilità erotica totale, della bocca, della pelle, dei muscoli, del seno, dei
genitali e avrà degli orgasmi prolungati e intensissimi.
La quinta caratteristica è l’unicità e l’inesauribilità. Ci sono persone che
vanno continuamente alla ricerca di partner sessuali diversi e si stancano se
devono fare all’amore con la stessa persona. Così facendo, di ogni partner
colgono la diversità rispetto a quello precedente, ma restano inevitabilmente
alla superficie del suo modo di essere e di sentire. Invece, nel grande amore
erotico, ogni volta è come se scoprissimo la stessa persona in maniera
sempre nuova e sempre più approfondita. Ci sono pittori che hanno dipinto
la stessa modella tutta la vita vedendola sempre con occhi diversi e artisti
che hanno dipinto lo stesso paesaggio nelle più diverse ore del giorno e
della notte, al mutare delle stagioni, del tempo atmosferico e della luce.
L’animo umano però è infinitamente più complesso di un paesaggio. E
quanto più dura il grande amore totale, quanto più aumenta la conoscenza
reciproca, quanto più ciascuno vive la vita dell’altro nella sua interezza,
tanto più il volto e il corpo amato appaiono sempre nuovi, belli,
stupefacenti, desiderabili. Anche quando passano gli anni, anche quando
invecchiano. È la bellezza assoluta, come credo sia la bellezza del volto
della madre per il bambino: è ciò che esaurisce l’universo.
Un altro aspetto del grande amore erotico è l’erotizzazione di tutto il
corpo, non solo i genitali ma anche la bocca, le mani, i muscoli, la pelle. I
due amanti possono penetrarsi e godere del contatto restando quasi
immobili, poi continuare a baciarsi sulle labbra, in bocca, oppure
accarezzarsi, stringersi le mani, le spalle, il seno, le natiche, le gambe, i
piedi per delle ore ricavandone un piacere intensissimo. Ne I dialoghi degli
amanti Rogan dice: «Oggi ti accarezzo a lungo, intensamente e con le mie
mani percepisco la forma delle tue braccia, delle tue spalle, del tuo seno,
delle tue natiche, delle tue gambe. Non mi stanco di accarezzarle, ora
dolcemente quasi a sfiorarle, ora stringendole come per incorporarle, per
impossessarmi di loro. È come se le mie mani avessero acquistato la
capacità dei ciechi di vedere le forme. Io non solo “ti sento”, ma “ti vedo”
mentre ti accarezzo, ti abbraccio, ti stringo. Non avrei mai creduto che il
corpo femminile potesse avere in sé tante bellezze, tante meraviglie, ogni
giorno e ogni volta nuove. Le mie mani godono del tuo corpo, della tua
pelle, di tutto»5.
L’ultima caratteristica del grande amore erotico è che la persona amata
piace sempre anche quando è sofferente. Molte donne quando sono
ammalate non vogliono farsi vedere dal loro amante, perché temono di
apparirgli pallide, trasandate, spettinate, brutte. Ma l’uomo innamorato
trova sempre bella la sua donna, esattamente come la donna innamorata
trova bello il suo uomo anche se è ferito. Inoltre il suo uomo sarà sempre
felice anche solo di poterle stare vicino. L’unica vera sofferenza è non
vederla, la distanza. La distanza iberna l’erotismo ma alimenta l’amore. Ed
è impressionante la rapidità con cui, finita la distanza, si risveglia
l’erotismo. Quando la sua amata che curava come una bambina
febbricitante guarisce, immediatamente per lui ritorna la bellissima,
adorabile, stupenda danzatrice dionisiaca con cui fare l’amore.

1 Francesco Alberoni, I dialoghi degli amanti, cit., p. 245.


2 È raro nella letteratura e ancora più nella casistica clinica avere una descrizione o un’analisi di
questo piacere assoluto. Gli amanti se lo dicono fra di loro perché sanno che l’altro lo capisce anche
se la parola è inadeguata. La si ritrova solo nella mistica perché il mistico sente il bisogno di dire e
scrivere la sua straordinaria esperienza estatica in quanto testimonianza dell’infinita potenza divina.
Qui riporto solo due frasi del mistico fiammingo Ruysbroeck tratte da Frammenti di un discorso
amoroso di Barthes, già più volte citato. Eccole: «Prendete tutte le voluttà della terra, fondetele in
una sola e quindi precipitatela tutta intera in un solo uomo; ebbene tutto ciò è niente in confronto al
godimento di cui io parlo» e poi: «Ho infine modo di conoscere quello stato in cui il godimento
supera le possibilità che il desiderio aveva fatto intravedere».
3 Wilhelm Stekel, La donna frigida, Astrolabio, Roma 1950.
4 Simone de Beauvoir, Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano 1961, pp. 348-440.
5 Francesco Alberoni, I dialoghi degli amanti, cit., p. 246.
Terza parte
L’amore totale
17.
Un esperimento

Le esperienze di cui abbiamo parlato, in realtà, non vengono quasi mai


descritte. Non perché siano ineffabili, ma perché se l’Oriente non ha una
letteratura sull’innamoramento e l’amore che ne nasce, noi in Occidente
non abbiamo una letteratura sull’erotismo e nemmeno un linguaggio erotico
amoroso che non diventi immediatamente volgare, pornografico. Io nella
citazione appena fatta de I dialoghi degli amanti non ho potuto nominare le
parti del corpo, i gesti amorosi a cui mi riferivo, perché avrei dovuto usare
un linguaggio medico-ginecologico o volgare. Come posso io, nelle lingue
occidentali, parlare a un tempo del grande amore sublime,
dell’innamoramento e dell’infinito piacere dei corpi che si congiungono,
delle meravigliose bellezze che vedono i miei occhi quando tutte le parole
che ho a disposizione sono oscene? Come posso, nello stesso tempo,
sessualizzare lo spirito e spiritualizzare il sesso, cioè dar conto della reale
esperienza delle persone innamorate che fanno all’amore, si cercano e si
danno piacere? Mi manca il linguaggio. E come manca a me manca a tutti.
L’intero Occidente non ha il linguaggio per dirlo e, se non ha il linguaggio
per dirlo, non è nemmeno in condizione di farlo. Aprite internet e vedrete
immediatamente che siete sommersi dall’oscenità e dalla pornografia. E se
vi liberate di questa e cercate l’amore, trovate solo il linguaggio elevato,
poesie, frasi appassionate, frammenti.
Questo è il primo enorme ostacolo. Tu vuoi parlare del grande amore
erotico e sei costretto a scegliere fra il linguaggio sublime dell’amore o
quello osceno del sesso. Non sono mescolabili come l’acqua e l’olio.
L’aveva notato Murray Davis quando diceva di avere due voci, una da
basso e una da soprano che, unite, producevano un effetto comico.
Consapevole di questa difficoltà, poiché volevo parlare di amore nella sua
interezza, ho lavorato diversi anni al libro I dialoghi degli amanti dove ho
cercato di fondere insieme l’esperienza erotica e l’amore spirituale più
sublime. Un compito difficilissimo perché si lotta contro la lingua. E infatti
il libro, nonostante io sia convinto che rappresenti un vero progresso tanto
sul piano linguistico che su quello conoscitivo, è stato spesso frainteso.
L’editore non lo ha distribuito, perfino il mio agente letterario l’ha
osteggiato. Ma è inutile che continui a parlare in astratto. Mi sembra
doveroso dare qui un esempio concreto di questo primo tentativo di fusione
fra sesso e amore che valga anche come indicazione di una possibile strada
da approfondire. I protagonisti del libro sono, in realtà, un uomo e una
donna reali trasfigurati con nuovi nomi e in una storia immaginaria. Rogan
e Sakùntala lentamente passano dall’amicizia al rapporto puramente erotico
in cui scoprono la propria identità sessuale, fino ad arrivare a un
grandissimo amore erotico che dura, un amore totale. Tutto il libro è
costituito da un dialogo fra loro e qui riporto il brano in cui Rogan, dopo
aver scoperto di amare Sakùntala quando lei era lontana e irraggiungibile, è
felice perché sa che è tornata e fra poco la vedrà.
Rogan: «Sei tornata, sei tornata! Appena hai messo piede in aeroporto,
appena mi hai telefonato dicendomi “Sono qui”, ho provato una gioia così
grande che mi sarei messo a ballare e a cantare in mezzo alla strada. E
volevo dirlo a tutti, gridare a tutti che il mio amore era di nuovo con me. E
mi è venuta fame, era un mese che non mangiavo quasi nulla, un mese in
cui ho perso dieci chili, e riscoprivo i sapori. Il sapore del pane, della pasta,
degli spinaci, del formaggio, il sapore dell’acqua, del vino. Riconoscevo e
gustavo stupito i sapori puri. Li avevo dimenticati. Sono meravigliosi, il
cibo è meraviglioso, il sole è meraviglioso, tutto il mondo è meraviglioso.
Sapere che sei vicina e che fra poco ti abbraccerò sta facendo rinascere in
me il ricordo e il desiderio. La distanza è solo strazio, dolore, non lascia
posto nemmeno al piacere del ricordo, ottunde i sensi, occupa tutto. Ora che
sei vicina posso incominciare a immaginare il tuo corpo. E forse è il
momento più adatto per dirti come ti vedo, che cosa mi piace di te, e in che
modo, e quanta poesia ci sia in te, nella tua persona. Invidio il disegnatore,
invidio il pittore, il fotografo che può rappresentarlo. Io devo farlo con le
parole. Prima, quando eri lontana, soffrivo della tua mancanza, ma non
riuscivo a ricordare il tuo corpo, non riuscivo a ricordarmi di quando
facevamo all’amore. Nell’ultimo incontro, più di un mese fa, il giorno
prima che tu partissi, ti ho abbracciato stretta, non ti lasciavo più andare e
da quell’abbraccio sentivo fluire la vita dentro di me, e una energia, una
ricchezza, e provavo una gioia difficile da descrivere, così intima, così
intensa, così struggente. La gioia di chi ha trovato la sua patria, la sua casa.
E cercavo di vivere il più intensamente possibile quel momento, di prendere
il massimo possibile di te, di assimilarlo. Ah, Saky, ora lo ricordo bene
l’ultimo giorno. Eravamo appena arrivati nella nostra stanza e tu, di fronte a
me, hai fatto scivolare a terra il vestito. Mi hai detto che ti guardavo goloso
come un bambino davanti ad un gelato. Ci credo! Il tuo corpo era racchiuso
in un body arancione. Io ho abbassato le spalline e le tue splendide tette
sono sbocciate davanti ai miei occhi incantati. Non riuscirò mai a
raccontarti cosa provo nel guardarle, non potrò mai descrivere la loro
bellezza, la loro grazia, posso solo dire il senso di esultanza, di
struggimento, quasi di vertigine che mi danno e l’immenso orgoglio di poter
dire: “Sono mie”[… E mi ci sono immerso, le ho strette, le ho baciate, ho
preso fra le mie labbra un capezzolo come affamato. Poi ho incominciato ad
accarezzarti il viso, il collo, le spalle, i fianchi, le anche, le cosce e a
baciarti dappertutto, le mani, i piedi. E mentre ti accarezzavo sentivo la tua
pelle fremere sotto le mie mani e capivo che le mie carezze ti piacciono, che
i miei baci ti piacciono e ti domandavo: “Ti ha mai accarezzato così un
altro? Dimmelo, perché voglio essere solo io”. Tu ridevi. Poi mi sono
chinato fra le tue cosce dove c’è una valletta pianeggiante di pelle bianca,
delicata, coi bordi che salgono dolci verso l’alto. E, nel mezzo due morbide
colline e al loro interno, appena appena accennato, il grande fiore allungato
un po’ socchiuso, da cui si affacciano i morbidi petali di camelia rosa. Ed
ho subito voglia di baciarli, di coprire tutto di baci»1.
E ora riporto un loro dialogo, nella scena in cui si sono ritrovati e sanno
di amarsi.
Saky: «Rogan, mi emoziono anche solo ad ascoltare la tua voce, a
sentire i tuoi passi. Il cuore mi batte quando esco di casa per venirti a
trovare, ed è in tumulto quando mi avvicino alla porta dove so che tu mi
aspetti. A volte mi emoziono anche solo parlandoti al telefono, figurati
quando mi siedo accanto a te in pubblico, quando mi tocchi. E ho un
brivido caldo, delizioso, indescrivibile quando mi sfiori il seno, perfino se
mi tocchi una gamba. E poi, quando siamo coricati vicino, quando tu ti
distendi sopra di me, quando mi abbracci, quando mi stringi forte con le tue
mani, allora potrei venire subito, anche solo se mi metti una mano su una
gamba. Ma non voglio, no, mi trattengo perché desidero percepire la
tensione amorosa, sessuale che cresce. Sentire il desiderio del mio corpo,
della mia pelle, delle mie mucose, delle mie cellule, di tutta me stessa che
aumenta. Questa sensazione che descrivo come tensione è bellissima. Io la
chiamo il durante. Sai, io assaporo la mia tensione, assaporo il mio
desiderio che aumenta, assaporo lo spasimo della mia vagina, della mia
pancia, della mia pelle, del mio corpo, della mia anima. Questa cosa di cui
ti parlo, e non so nemmeno come chiamarla, questo salire verso lo spasimo
del godimento, verso il paradiso del godimento dura, continua, può
continuare a lungo, a lungo. È come un delirio, uno sfinimento, una
convulsione vibrante che aumenta fino al momento in cui non ce la faccio
più, allora cedo e mi sciolgo. È un uragano di piacere che mi sommerge, mi
ubriaca, mi dà più di ciò che io possa aver mai desiderato. Oh, Rogan, che
immenso piacere posso provare! Non sono altruista come te che mi guardi
mentre godo. E il mio piacere incomincia prima abbracciando, stringendo,
accarezzando il tuo corpo, sfiorandoti dappertutto con le mie tette,
mettendomi a cavallo delle tue gambe, della tua pancia con la mia cocca
nuda, e ti percorro tutto centimetro per centimetro, poi mi chino, lo prendo
in bocca, lo bacio, lo accarezzo mentre tu vibri, gemi e mi afferri e mi dici
come sono bella»2.
Rogan: «Fai come una mamma che “paciuga” il suo bambino. E io
faccio lo stesso con te. Ieri eri rovesciata di fianco ed allora ho abbracciato
il tuo sedere, le tue cosce e le ho strette forte a lungo, provando un senso di
pienezza che non avevo mai provato. Poi ci siamo abbracciati, come
mescolati, le tue gambe stringevano le mie, io stringevo con forza i tuoi
glutei e poi, passando lungo i fianchi, la schiena, le spalle. La mia carne
assaporava la tua carne, la mia pelle la tua pelle, e la tua la mia. Eravamo
avvinghiati come a volerci penetrare l’uno nell’altra, come a fonderci. Un
nodo intrecciato, un corpo unico con tante braccia e gambe e non c’era
sesso in senso stretto, ma tutto il nostro corpo era sesso e godeva, godeva
immensamente. È una esperienza nuova, una sessualità nuova, possibile
solo con questo grandissimo amore. È un modo di parlarsi d’amore col
corpo. Saky, credo che, da soli, stiamo scoprendo certe posizioni erotiche
orientali che per loro sono rituali e per noi spontanee, svelamenti di un vero
e proprio linguaggio corporeo dell’amore: tanti modi diversi di dirsi “ti
amo”»3.
1 Francesco Alberoni, I dialoghi degli amanti, cit., p. 165.
2 Ibidem, p. 191.
3 Ibidem, p. 246.
18.
Le basi dell’amore totale

L’amore totale nasce dall’innamoramento, ma non si chiude in una formula


istituzionale e conserva la sua natura di continua rivelazione e di rinnovata
felicità spirituale ed erotica. Come è possibile? Come si può realizzare? Per
tentare di dare una risposta partiamo dalla teoria dei legami amorosi esposta
nel mio libro Ti amo1.
Ci sono quattro forze che creano un legame fra due persone, esse sono il
piacere, la perdita, l’indicazione e lo stato nascente. Quando le prime tre
agiscono da sole provocano solo uno pseudoinnamoramento, più
precisamente una infatuazione. La chiamo infatuazione perché dura finché
dura la forza che la mette in moto, mentre l’innamoramento, una volta
iniziato, crea un legame forte che dura. Così il principio del piacere, agendo
da solo, provoca l’infatuazione erotica, la perdita provoca l’infatuazione da
perdita, l’indicazione provoca l’infatuazione competitiva.
Nell’innamoramento spesso sono presenti tutte e quattro le forze ma è solo
lo stato nascente che lo mette in moto attraverso l’esperienza fondamentale
che dà all’innamoramento il suo carattere specifico inconfondibile. Anche
il grande amore erotico può durare a lungo, anni o decenni, solo perché si
riaccende lo stato nascente; in esso però si mettono in moto anche gli altri
tipi di legami amorosi. Vediamoli perciò a uno a uno.

1) Incominciamo con il principio del piacere. È il punto di partenza più


universalmente accettato. Noi ci leghiamo alle persone che soddisfano i
nostri bisogni e i nostri desideri. Se una persona ci procura piacere avremo
tendenza a ritornare di nuovo da lei, a stare più a lungo con lei, a stabilire
rapporti più stretti. Il piacere rafforza il legame, la frustrazione lo
indebolisce. Questo meccanismo è il fondamento dei riflessi condizionati e
di tutte le teorie dell’apprendimento. È in base a questo meccanismo che il
bambino si affeziona ai genitori, perché questi soddisfano tutti i suoi
bisogni fondamentali, lo nutrono, lo tengono in vita, gli danno l’affetto di
cui necessita. È anche il meccanismo che sta alla base dell’amicizia. Noi
diventiamo amici di chi ci è simpatico, di chi ci comprende, di chi ci
ascolta, di chi ci sta a fianco nei momenti di gioia, di tensione, di dolore, di
chi ci rende giustizia. Se l’amico ci tratta male, ci imbroglia, cessa di essere
nostro amico. Il principio del piacere però non spiega l’improvviso apparire
dell’innamoramento perché, quando ci innamoriamo, non sappiamo ancora
come reagirà l’altro, se ci ricambierà oppure no. E vi sono molti casi in cui
uno si innamora senza essere ricambiato e continua ad amare anche se
soffre.
Il principio del piacere però diventa essenziale per spiegare il grande
amore erotico che dura così come lo abbiamo descritto nelle pagine
precedenti. Certo noi possiamo restare innamorati di una persona che
abbiamo perso o che ci fa soffrire, ma il grande amore erotico che dura
richiede che entrambi provino piacere. E in particolare, piacere erotico. La
tradizione culturale occidentale non gli ha mai dato la sua reale importanza.
Incominciamo a comprenderlo oggi perché i legami coniugali non sono più
sostenuti dalla religione e dalla legge e dipendono solo dall’amore e dal
piacere che esso può dare.
Nel capitolo precedente abbiamo dato un esempio della fusione fra
grande amore ed erotismo che genera un rapporto fisico e spirituale di
intensità altissima, con una felicità erotica che si rinnova ogni volta sempre
più intensa. È la situazione opposta a quella di chi cerca il piacere facendo
sesso con un partner sempre nuovo impedendo la nascita di un legame
amoroso.

2) Il secondo meccanismo è quello della perdita. Noi, spesso, ci accorgiamo


che una persona ci è indispensabile soltanto quando rischiamo di perderla,
quando si allontana da noi o quando una potenza negativa – la malattia, la
violenza, la morte – ce la sottrae. Facciamo un esempio. Ci sono due
coniugi il cui amore si è molto logorato, spesso litigano, hanno rapporti
sessuali abitudinari, ma un giorno uno di loro improvvisamente scompare.
L’altro ne resta sconvolto e lascia ogni cosa per mettersi alla sua ricerca.
Pensa solo a trovarlo. Si rende conto di amarlo ancora e che tutto il resto
non aveva alcuna importanza. L’essere-che-si-perde diventa la cosa più
importante, quella che viene per prima. Il suo ritrovamento diventa la
condizione necessaria perché tutte le altre cose tornino a riacquistare senso.
Trovarlo diventa il fine ultimo e il resto diventa un mezzo per realizzare
quel fine. Esso perciò gerarchizza tutte le altre relazioni, separa ciò che è
essenziale da ciò che non lo è. Se il coniuge viene ritrovato, allora
l’angoscia e il desiderio si dissolvono come un brutto sogno. Resta però un
residuo: adesso l’altro sa di amarlo più di quanto non pensasse. In realtà è la
perdita che gli ha ridato valore2.
Ma la perdita può essere anche l’occasione per scoprire che quella
persona non era solo importante, ma essenziale, e che non lo sapevamo, ma
ne eravamo innamorati. Nel libro I dialoghi degli amanti Rogan non si era
accorto di essere innamorato di Saky, erano amici, stavano bene insieme e
avevano intensi rapporti sessuali. Negli ultimi tempi si erano visti tutti i
giorni. Poi la donna era partita per un lungo viaggio e, a un certo punto, una
tempesta tropicale aveva interrotto le comunicazioni. È stato allora che
Rogan si è accorto di amarla. Riportiamo il suo racconto: «Allora è
avvenuta dentro di me come una esplosione, uno schianto, un terrore folle,
la disperazione. Cos’era successo, dove eri, cosa facevi? E mi sono accorto
che mi mancava qualcosa di essenziale, di vitale come l’aria. Non c’era più
l’aria, non potevo più respirare, e sentivo un dolore atroce, terribile, come
una morsa che mi stringeva il cuore, un dolore straziante e la
consapevolezza lucida, assoluta, che non potevo e non avrei mai più potuto
vivere senza sentire la tua voce, senza rivederti, senza poterti toccare. Il
bisogno assoluto e assillante della tua “presenza”. E ho gridato, gridato con
tutta la voce che avevo al telefono muto: “Amore rispondimi, amore
rispondimi!”. E scuotevo la testa come impazzito e correvo avanti e indietro
per la strada come un condannato a morte. Non so quanto tempo è durato
quello stato spaventoso, quel vuoto, quell’abisso di terrore e di angoscia.
“Amore mio” gridavo, “amore mio!”. Non piangevo, ero annichilito. Poi
dopo un tempo infinito, non so se qualche giorno o un anno, un tempo
comunque insopportabile di attesa, tu mi hai mandato un messaggio. “C’è
stato un guasto, domani lo aggiustano”. Domani! Ma domani era fra un
anno, un secolo! Io avevo bisogno di te subito. Non potevo aspettare più
nemmeno un minuto. Mi eri indispensabile. In quelle ore, in quel giorno, in
quell’anno io ero diventato diverso. Ho capito di amarti. Ho capito che tu
eri il mio amore, il mio ultimo grande definitivo amore. L’amore, che parola
usata e svuotata di senso! L’amore vero, l’amore che scoprivo di provare
per te non è un sentimento, non è una emozione, è qualcosa che tiene
insieme il corpo, che gli consente di vivere. È il sangue, il sangue che porta
l’ossigeno alle cellule, e quando manca, ogni singola cellula del corpo
soffre e urla di dolore, urla perché non vuol morire, e l’urlo di tutte le
cellule di tutto il tuo organismo si trasforma nel tuo grido. Saky, in quel
momento tu eri l’ossigeno, eri il mio sangue, e la tua assenza, il tuo
silenzio, la tua perdita era la morte. La persona che ami è dentro di te, è te, è
la forza che tiene in vita ciascuna delle tue cellule»3.
Ma come è possibile che il meccanismo della perdita contribuisca a
tener uniti due amanti per anni e anni, a creare l’amore che dura? Può farlo
solo perché l’amore è fondato sulla libertà dell’altro. In quanto libero,
l’altro può sempre abbandonarmi, può sempre tradirmi. Non ha nessun
dovere nei miei riguardi e io non ho il diritto di chiedergli e tantomeno di
imporgli nulla. L’amore è sempre un dono gratuito e immeritato. Tanto
Ghezzani che Vézina scrivono che, poiché vogliamo entrambi essere liberi,
dobbiamo anche accettarci capaci di tradimento, cioè dobbiamo sapere che
l’altro potrebbe non amarci più4. Dice Saky ne I dialoghi degli amanti: «La
distanza, la mancanza, fa parte strutturalmente dell’amore. È lei che rende
possibile il desiderio. L’amore vero, l’amore reciproco, è fatto ad un tempo
della mancanza e della sua eliminazione, della distanza e dell’abbraccio che
l’annulla. Non può esserci desiderio e quindi felicità senza la mancanza,
perciò gli innamorati creano loro stessi la mancanza per trovare poi la
felicità [...] io perché temo sempre che il tuo amore possa improvvisamente
finire così come è improvvisamente iniziato, che possa svanire come la
“macumba” che lo ha fatto nascere. Io so che ti amo, so che mi ami, eppure
sono sempre pronta a sentirti dire un giorno “non ti amo più”, oppure “non
possiamo più vederci” per cui ogni incontro è sempre il primo e l’ultimo,
come se ogni volta ti innamorassi di me ed io di te e provassi per la prima
volta quell’incredibile piacere, quegli incredibili durante e quegli incredibili
orgasmi che non immaginavo nemmeno esistessero. Ogni volta è un
miracolo, un miracolo che si ripete da tantissimi anni e credo che sia lo
stesso per te»5.

3) Il terzo meccanismo è l’indicazione. Esso è stato analizzato in modo


approfondito da René Girard6 che lo ha posto alla base di tutta la sua teoria
socio-filosofica. Per Girard ogni nostro desiderio nasce perché facciamo
nostri i desideri degli altri. Sono gli altri, con il loro desiderio, che ci
indicano che cos’è desiderabile: «La rivalità e la gelosia» scrive Girard,
«non sono il frutto di una convergenza accidentale dei due desideri sullo
stesso oggetto. Il soggetto desidera l’oggetto proprio perché sa che lo
desidera il rivale. Desiderando quell’oggetto, il rivale lo indica al soggetto
come desiderabile» e, nello stesso tempo, gli sbarra la strada perché lo
vuole lui. Ogni amore è perciò triangolare. È costruito di gelosia e di
competizione. Noi ci innamoriamo sempre di qualcuno che è già amato da
un altro (il mediatore) e che ce lo indica come desiderabile proprio con il
suo amore. Il soggetto esalta, trasfigura, rende divina una persona quanto
più è amata dagli altri.
In realtà, quando questo meccanismo opera da solo non produce
l’innamoramento, ma solo una infatuazione competitiva perché il soggetto
desiderante si scontra con colui che gli indica cosa desiderare, il rivale7.
Cioè un desiderio che dura finché esiste l’indicazione, nel caso più semplice
finché esiste un rivale. Ce ne dà un chiarissimo esempio il libro di Carlo
Castellaneta Passione d’amore8, dove la passione del protagonista dura
perché la donna ha un marito di cui lui è geloso e lei continua a giostrare fra
i due.
Nell’innamoramento bilaterale simultaneo, invece, l’indicazione ha una
scarsissima importanza perché con la certezza di essere amati il rivale
scompare e viene dimenticato. Vi sono però casi in cui la gelosia riguarda
non il presente ma il passato e allora la vediamo comparire anche
nell’amore totale. Come avviene ne I dialoghi degli amanti dove Rogan è
geloso degli amanti che Saky ha avuto da giovane e di cui lei gli ha parlato
anni prima scherzando. Allora non gli interessavano e ne rideva. Ma gli
vengono in mente quando è innamorato e si tormenta. Vorrebbe chiederle:
«Quando andavi a letto con loro cosa facevate? Che cosa ti piaceva, che
cosa provavi? È qualcosa che non potrò mai sapere e che non vorrò mai
sapere. Questa parte di te è un mistero inconoscibile. Allora ti domando:
“Perché non mi hai cercato, perché non mi hai aspettato?”. Domande
assurde che esprimono il desiderio di averti avuto già da allora e poi per
tutta la vita. E ti desidero pazzamente, ti voglio solo per me, tutta per me e
ho bisogno di fare subito all’amore e sentire che godi, che sei solo mia.
Forse la gelosia del passato è solo un modo per creare il desiderio
d’amore»9.
4) Passiamo ora al meccanismo fondamentale dell’innamoramento, lo stato
nascente. Lo stato nascente è la radice del processo di nascita e di
edificazione di una nuova società perché imprime all’esperienza individuale
e collettiva le categorie che le danno unità, solidarietà e visione ideale. Esso
è l’inizio di una nuova vita della collettività e degli individui che ne fanno
parte e la generano: Incipit vita nova! È il momento della rottura delle
costrizioni sociali, delle ipocrisie che ci imprigionavano, il momento della
liberazione, quando, spezzate le catene, ci affacciamo su un mondo in cui
non ci sono più i vincoli, gli intralci del passato e possiamo costruire una
nuova vita, un nuovo futuro. Ma nessuno può farlo da solo. Ha bisogno di
qualcuno che costituisce la porta, la pietra angolare di una nuova comunità
animata dagli ideali assoluti dello stato nascente e che vuol affermarsi nel
mondo, realizzarsi nel mondo. I due innamorati perciò costituiscono sempre
un’entità collettiva che li trascende e sono sempre anche due guerrieri che
combattono fianco a fianco. La lotta comune contro un nemico, la lotta per
affermare un ideale può essere un legame fortissimo. La politica ci dà
innumerevoli esempi di coppie innamorate: Garibaldi e Anita, la regina
Vittoria e Alberto, Lenin e la Krupskaja, Filippo Turati e Anna Kuliscioff,
Trotsky e Frida Kahlo, F.D. Roosevelt ed Eleonora, Evita e Peron.

1 Francesco Alberoni, Ti amo, cit., pp. 58-73.


2 Sulla perdita si veda l’analisi approfondita nel mio libro Genesi, cit., p. 167.
3 Francesco Alberoni, I dialoghi degli amanti, cit., pag 142.
4 Nicola Ghezzani, Grammatica dell’amore, cit.; Jean-François Vézina scrive: «Nell’amore duraturo
le coppie sono consapevoli di una possibile fine e si ricordano costantemente che la loro relazione
non è mai data per acquisita» (L’avventura dell’amore, Edizione Magi, Roma 2010, p. 112).
5 Francesco Alberoni, I dialoghi degli amanti, cit., p. 307.
6 Vedi in particolare Menzogna romantica e verità romanzesca, Mondadori, Milano 1964.
7 La differenza fra innamoramento e infatuazione è esposta con chiarezza nel mio libro Il mistero
dell’innamoramento, cit.
8 Carlo Castellaneta, Passione d’amore, Mondadori, Milano 1987.
9 Francesco Alberoni, I dialoghi degli amanti, cit., p. 308.
19.
L’affinità elettiva

In tutti i casi di grande amore che dura entrano certamente in gioco fattori
che riguardano gli aspetti più profondi e stabili della personalità dei due
amanti. Corrispondenze o complementarità neurofisiologiche in cui i due si
riconoscono o si completano, misteriosi engrammi di cui sentiamo
l’esistenza ma di cui non sappiamo nulla. Queste risonanze possono esistere
prima ancora che i due amanti si conoscano, ed essere alla base di
un’attrazione o di una simpatia immediata che diventa poi un intenso
innamoramento in cui avviene una vera e propria ristrutturazione della rete
neurale dei due innamorati. Un processo che, nel caso di un amore di breve
durata, si ferma ed è seguito da una rapida dissoluzione, ma che, invece, in
un amore che dura si rafforza, si consolida. Il succedersi di incontri, le
esperienze in comune, il bisogno l’uno dell’altro, la confidenza reciproca e
anche le crisi che separano i due amanti e li costringono a ridefinirsi,
costituiscono occasioni di ulteriore integrazione, per cui nel grande amore
erotico non si forma solo un’intimità fisica, ma una vera e propria intimità
intellettuale. I due amanti si raccontano tutto ciò che succede loro, lo
analizzano, si raccontano di nuovo gli episodi salienti della loro vita, li
commentano, vedono sempre aspetti nuovi. Gli amanti parlano
continuamente di se stessi. È forse proprio questo l’argomento che li
appassiona di più. È un continuo progressivo conoscersi e scoprirsi. Nello
stesso tempo essi affrontano insieme tutti i loro problemi pratici, le
difficoltà, le malattie, i successi e gli insuccessi. Poi discutono di tutto ciò
che accade nel loro ambiente lavorativo, sociale, politico in uno sforzo per
arrivare insieme a capire ogni cosa più profondamente. Poiché entrambi
sono aperti all’altro e sono sinceri, la loro è una vera ricerca congiunta, in
cui ciascuno dà il suo contributo e si può parlare di una soluzione duale.
Nel grande amore erotico non si cercano e si uniscono perciò solo i
corpi, si cercano e si completano anche le intelligenze. Gli amanti non
provano solo piacere abbracciandosi, baciandosi e facendo all’amore ma
anche parlando, discutendo, affrontando insieme i problemi, risolvendoli,
un piacere che cresce col crescere dell’amore. È però assolutamente
necessario che non ci sia compiacenza, ciascuno deve cercare fino in fondo
la verità, dire fino in fondo cosa pensa, fare tutte le obiezioni che ritiene
logiche, non frenarsi mai per timore di dispiacere all’amato. Cosa possibile
solo perché ciascuno è capace di cambiare idea, prospettiva, se gli vengono
date prove e argomentazioni obiettive, convincenti. Ricordo due amici che
si erano innamorati tardi, quando lui aveva più di cinquant’anni e lei quasi
quaranta. Erano entrambi sposati e separati, però non vivevano insieme. La
sera, le volte in cui erano soli, ciascuno a casa propria, si telefonavano in
continuazione. Sceglievano o un libro o un film o uno spettacolo televisivo
e lo guardavano ciascuno per conto proprio; però, a ogni intervallo, si
telefonavano per commentarlo, per discuterlo. Non l’avrebbero fatto con
tanta concentrazione e con tanta intensità se l’avessero visto seduti sullo
stesso divano o fossero stati distratti da tante piccole attività domestiche. E
dal commento al film o alla politica passavano a ricordare episodi della loro
vita e poiché erano molto innamorati ricordavano i momenti più
commoventi, quelli in cui erano lontani realizzando una totale integrazione
fra ricordi, amore, erotismo e intelligenza. Sono andati avanti per oltre
vent’anni in questo modo e ho avuto l’impressione che questi dialoghi a
distanza fossero per loro un modo diverso di conoscersi più profondamente
e di fare l’amore. E quando li vedevo insieme avevo la netta impressione
che le loro due personalità, pur così differenti, fossero sempre più unite,
legate, direi anche a livello neurofisiologico. Questo tipo di amanti, quando
sono nella stessa sala, si cercano subito con gli occhi, guardano
spontaneamente nella stessa direzione se succede qualcosa, con uno
sguardo capiscono lo stato d’animo dell’altro. E lo fanno anche solo
sentendo la sua voce al telefono. Bastano due parole, un’inflessione del
suono, per capire, con una precisione assoluta, se l’altro è solo o in
compagnia, se è triste o allegro, se è preoccupato o sereno, attento o
distratto. Fra persone così non possono esserci segreti anche quando sono
lontane, anche se nessuno si sogna di controllare il comportamento
dell’altro.
Abbiamo già parlato dell’impressione di bellezza. Ci sono amanti che,
dopo decenni di intimità erotica, ogni volta che si incontrano restano
letteralmente incantati davanti al corpo nudo dell’altro, provano un piacere
sempre nuovo, sempre diverso e hanno l’impressione che sia più intenso di
quello della volta precedente. Molti di loro dicono che questa straordinaria
attrazione, questa straordinaria intesa fisica è “questione di chimica”, e
probabilmente hanno ragione, nel senso che tutto l’organismo dei due
amanti, tutto il loro sistema neurormonale è coinvolto.
Si costituisce così fra di loro una vera e propria affinità elettiva anche sul
piano della sensibilità, dei gusti, delle scelte, dei valori, fino alle preferenze
estetiche, alle simpatie. E a volte può essere questa affinità dei gusti, dei
valori, che li fa incontrare e riconoscere, come mostra il film di Woody
Allen, Midnight in Paris.
Il protagonista è uno sceneggiatore di Hollywood che si trova a Parigi
con la promessa sposa e i suoceri. È stanco del suo lavoro, ben pagato ma
banale, e vorrebbe scrivere un vero romanzo letterario. E mentre la moglie
passa da un monumento, una mostra, una festa all’altra, lui va in giro di
notte per la città e a mezzanotte in punto (la mezzanotte magica delle
favole) incontra le automobili degli artisti che vivevano a Parigi negli anni
Venti. La prima che incontra è Zelda, la Zelda di Fitzgerald, poi il musicista
Cole Porter, poi Picasso, che ha appena dipinto il nudo distorto della sua
amante Adriana. Così, sera dopo sera, al fatale rintocco, egli entra nel
gruppo incantato dei più grandi artisti dell’epoca: Magritte, Salvador Dalí,
Luis Buñuel, fa leggere il suo libro a Gertrude Stein che lo incoraggia a
proseguire e, quando la sua promessa sposa tornerà negli USA, lui non la
seguirà, resterà nella Parigi del passato accanto a una deliziosa ragazza del
mercato delle pulci perché lei fa parte del suo mondo ideale e fra loro c’è
una vera, profonda affinità.
Tutti coloro che hanno una comune visione del mondo, almeno sul piano
dei valori più alti, cercano sempre nel passato delle figure ideali, dei
modelli a cui ispirarsi. Intere generazioni li hanno trovati nell’Atene di
Aristotele e Platone, altri nella Roma dei Cesari, altri nell’Italia del
Rinascimento, altri ancora nella Rivoluzione francese o nei padri fondatori
della Repubblica americana. Ugo Foscolo ne I sepolcri1 ricorda i grandi
spiriti che costituiscono la patria ideale, unico fondamento del
Risorgimento. Ma ci sono anche eroi individuali. Thomas Carlyle2 ci invita
a trovare ispirazione e forza dalle grandi figure del passato. I protagonisti
del film di Woody Allen avevano ritrovato il loro mondo ideale nei grandi
autori degli anni Trenta.
Ciascuno di noi vive in due mondi. Uno è quello concreto, quotidiano e
l’altro quello ideale. Il mondo concreto ce lo troviamo attorno e ci
muoviamo in esso. Il mondo ideale lo costruiamo noi stessi nel corso della
nostra vita raccogliendo tutte le esperienze che hanno lasciato in noi la loro
impronta positiva, le persone che abbiamo ammirato, che ci hanno divertito,
aiutato, i maestri, gli amici, gli amori, i libri, i film e anche i gesti e le
emozioni cariche di valore. Poi anche i luoghi, i paesaggi, le opere d’arte.
Siamo noi che li scegliamo proprio perché sono isole di luce e di valore in
mezzo alle fatiche, agli errori, ai dolori della vita. Li conserviamo nella loro
purezza, nella loro verità e con essi costruiamo una sorta di patria ideale
celata al centro del nostro animo.
Il mondo ideale individuale non è fatto solo di realizzazioni, ma di
aspirazioni, non solo di successi, ma anche di rimpianti. Esso è il distillato –
talvolta solo poche gocce – di tutto ciò che di gioioso e di glorioso, elevato,
sublime, nobile abbiamo conosciuto, sperimentato, amato, di tutto quanto la
vita ci ha donato e mostrato di buono e di degno. Non c’è nulla di torbido,
di indegno, di corrotto nel mondo ideale, perché abbiamo cercato di
trattenere, di conservare proprio ciò che era bello in mezzo al brutto, ciò che
era un purissimo diamante in mezzo alle miserie della vita. Per farlo
abbiamo dovuto scartare, mettere da parte il negativo. Abbiamo dovuto
togliere la sofferenza, il dolore, il rancore di un amore per poterne ricordare
i momenti felici, gli istanti di luce. La separazione non è una menzogna,
anzi è proprio il modo per conservarne la verità. La vita ideale che
costituisce il cuore del nostro spirito, la nostra patria luminosa deve essere
ritagliata nel vero, deve essere il precipitato di ciò che è stato realmente
vissuto, il suo distillato emozionale e morale tanto più ricco quanto più
autentico. Ed è questo mondo ideale individuale che, nel grande amore,
trasmettiamo al nostro amato e gli chiediamo di condividere, e lui fa lo
stesso con noi per il suo. E quel continuo parlare di noi stessi di cui non ci
stanchiamo mai, quel continuo ricordare le nostre esperienze è proprio il
modo per mettere in comune questo nostro mondo ideale, per farne un
patrimonio condiviso che ci unisce nei valori e rafforza l’affinità elettiva.
L’affinità elettiva, che nel libro di Goethe sembra l’elemento a priori che
porta i due a innamorarsi, è in realtà quasi tutta il prodotto della relazione
amorosa e del dialogo spontaneo, vero, fra i due amanti.
Il lettore avrà notato, magari con un punto di critica, che quasi sempre io
parlo di amanti che abitualmente si dicono la verità, che sono obiettivi con
se stessi, non mentono e non si mentono. Lo faccio perché sto illustrando i
meccanismi e i processi su cui è fondato il grande amore che dura. Ma,
tornando alla realtà concreta, noi tutti sappiamo che le persone in carne e
ossa non dicono, non si dicono la verità, non parlano, tengono nascosti
molti difetti. E così vi sono molte persone che costruiscono una propria
arbitraria storia ideale, una biografia ideale, meglio una agiografia
personale, dove mettono tutto ciò che li rende ammirevoli ai propri occhi e
agli occhi degli altri. E per farlo scelgono di ricordare le cose migliori e di
dimenticare il resto, manipolano la propria memoria per ricavarne un
ritratto esemplare, ma falso. Quando sono innamorati, coloro che si sono
costruiti una biografia agiografica, anche con le migliori intenzioni, non
possono dire tutto e, avendo manipolato la storia, in certi punti
inesorabilmente mentono. E spesso mentono senza sapere di mentire. Il
risultato è che fra di essi, col passare del tempo, si costituisce a poco a
poco, senza che loro se ne accorgano, un’atmosfera di riserbo, di prudenza,
di sforzo, di autocontrollo, di diffidenza. Possono amarsi, ma ciascuno
dovrà continuamente correggere la realtà, controllarsi e sarà impossibile la
sincerità totale e il totale abbandono. Il falso, il non detto e il non dicibile
generano un’atmosfera di inconsapevole sospetto, di sotterranea sfiducia
che frena gli animi e blocca la confidenza.
Le persone che condividono il loro mondo ideale costruito sulla verità,
invece, ogni volta che si incontrano, anche quando fra di loro ci sono motivi
di crisi e di dissenso, alla fine provano sempre uno straordinario senso di
pace, di distensione, di fiducia, una sorta di “allegria del cuore”. È l’effetto
della affinità elettiva che sta alla base del loro grande e duraturo amore.

1 Ugo Foscolo, I sepolcri, stampato per la prima volta presso l’Officina Tipografica Bettoni di
Brescia nel 1807.
2 Thomas Carlyle, Gli eroi. Il culto degli eroi e l’eroico nella storia, Rizzoli, Bur Classici, Milano
1992.
20.
La fedeltà

Nel grande amore erotico che dura, a ogni incontro i due amanti hanno la
sconcertante esperienza di provare un piacere nuovo e più grande della
volta precedente. È come se ogni volta avvenisse una rivelazione. Questo
non vuol dire che ciascuno di loro provi per l’altro, giorno dopo giorno, un
amore più grande, una specie di stato continuo di estasi. No, nel modo più
assoluto. Gli amanti innamorati si vedono quasi sempre come due persone
normali, si trovano anche dei difetti: uno, per esempio, trova che l’altro è
diventato troppo magro oppure troppo grasso. Ciò che indica la presenza
dell’amore è che quando sono insieme stanno bene. La felicità, il piacere
erotico, lo stato di beatitudine si presentano come esperienze, momenti,
periodi. È come se uscissero dal nulla, è come se in quel momento l’amore
esplodesse per la prima volta tutt’intero e al massimo grado. Il precedente
plateau di piacere assoluto è già passato, è già stato dimenticato e il nuovo
non può perciò essere confrontato con esso ma solo con lo stato normale
che lo ha preceduto, uno stato di benessere, non di felicità estatica. Il grande
amore erotico costituito da un succedersi, per anni o per decenni, di plateau
di piacere assoluto è però possibile perché fra i due amanti esiste uno stato
amoroso continuo fondato sulla reciprocità, sull’esclusività, sulla fedeltà.
Soffermiamoci un momento su questa esperienza di fedeltà precisando
che, mentre per chi è fuori da questo orizzonte amoroso la fedeltà è una
limitazione, un obbligo, un dovere, qualcosa che si ottiene rinunciando a
qualcosa d’altro, nel grande amore erotico la fedeltà è qualcosa che viene
desiderata e costituisce una fonte di piacere e di orgoglio essa stessa. Dice
Saky ne I dialoghi degli amanti: «Una cosa però so di certo. Che non voglio
sciupare, inquinare le stupende sensazioni che provo con te. Basterebbe un
contatto con un altro per intossicare, per avvelenare irreparabilmente la loro
purezza. Come una goccia di veleno avvelena una ampolla di acqua
purissima, come mangiare la mela dell’albero maledetto nel paradiso
terreste. La fedeltà ci concentra solo sul nostro amato, sul nostro amore e ci
rende la vita divina. Questo vale anche per te. Se tu andassi con un’altra
donna perderesti la strada che ti riconduce all’incantesimo che abbiamo
raggiunto oggi»1.
Ma in realtà la fedeltà ha una radice più profonda. Nel grande amore
erotico il desiderio sessuale si concentra esclusivamente sulla persona
amata, che ci appare non solo la più bella, ma la più desiderabile del
mondo. Anche se ammetti che un altro uomo, un’altra donna sono
bellissimi, affascinanti, poi quando ti avvicini a loro con intenzioni erotiche
ti accorgi che non potrai mai, assolutamente mai, provare il tipo di
esperienze straordinarie che provi con il tuo amato, non potrai mai
raggiungere il livello del plateau che vivi col tuo amato. Lo senti
immediatamente e, se aveva incominciato ad affacciarsi un desiderio
sessuale, questo scompare immediatamente. E ti trovi di fronte a una
persona che ti è totalmente estranea. Questa reazione automatica avviene
soprattutto nelle donne. Il maschio, in cui l’impulso sessuale scatta in modo
quasi riflesso, certe volte può non provare questo senso di estraneità e
cedere momentaneamente al desiderio. Ma quasi sempre in seguito prova
una forte impressione di “disgusto” e talvolta un vero e proprio “rimorso”,
cioè un senso di colpa che non riesce più a cancellare. Quando Roland
Barthes dice che il tuo amato è atopos, non confrontabile, dice che non è in
concorrenza con altre persone, appartiene a un’altra categoria, genera un
tipo di emozioni che nessun altro al mondo può generare. Riporto qui un
brano dal mio blog: «Ero stato a Firenze con degli amici, avevo fatto molto
tardi ed ero stanco. Sono rientrato nella mia stanza e improvvisamente ho
sentito il desiderio di vedere la mia amata che stava nella stanza accanto.
Aveva lasciato la porta aperta, forse mi aveva aspettato e si era
addormentata. Sono entrato silenziosamente e l’ho vista che dormiva, era
abbandonata deliziosamente, portava una camicetta bianca e aveva un
braccio sotto la testa, le spalle candide nude, il corpo che si intravedeva
sotto le lenzuola bianche. Poi, forse perché aveva sentito il mio rumore, si è
girata dall’altra parte e per un istante ho visto il suo volto sereno, da
bambina felice ed intravisto il suo seno candido. Allora, di colpo, ho colto,
ho capito che l’amavo più di qualsiasi altra cosa al mondo, che per me non
c’era mai stata e non ci sarebbe mai stata donna più cara, più amata, più
desiderabile, e che tutto il resto confrontato a lei, il successo, il denaro, la
fama non erano nulla, che l’unica completa felicità potevo trovarla solo
coricandomi accanto a lei, stringendomi al suo corpo nudo, sentendo contro
la mia la sua pelle, accarezzandola, fino a fondermi, dimenticarmi in lei».
Se queste sono le esperienze dell’amore totale, com’è possibile che tante
persone, che pur sono innamorate, possano cedere alla tentazione sessuale?
Come quando nelle feste, con l’uso di alcol e droghe – il pericolo maggiore
oggi è rappresentato dalla cocaina – il gruppo prevale sull’individuo.
Quando siamo innamorati, noi amiamo un individuo unico e inconfondibile,
non paragonabile, non sostituibile, non rimpiazzabile da nessun altro. Ma,
sotto l’azione della cocaina, la persona si sente onnipotente e invulnerabile,
non prova più il bisogno assoluto della persona che ama, non desidera
partecipare della sua vita, dei suoi sentimenti, renderla felice, non prova più
il languore, la tenerezza del cuore, la gioia dell’intimità. Assorbita
totalmente in se stessa e nel suo piacere, è indifferente agli altri e a cosa
provano. Spesso è beata nel fare ciò che sta facendo in quel momento. Può
andare avanti per ore a giocare a carte o fare all’amore e il suo desiderio
può essere così intenso che può accoppiarsi con la prima persona che si
trova accanto. La cocaina usata in età giovanile costituisce la minaccia più
pericolosa per il grande amore che dura perché inaridisce il cuore e facilita
la promiscuità. Viene usata dalle squillo per potere andare con chiunque
senza problemi. Viene data alle adolescenti per farle prostituire nelle
discoteche.
Io, però, sono convinto che due persone che vivono un grande amore
erotico non si lasciano sedurre dalla droga perché non vogliono mai
nemmeno per un istante correre il rischio di perdere la cosa più bella e
importante della loro vita a causa di uno stato di coscienza alterata. Il
grande amore erotico vuol sempre essere pienamente e lucidamente
volontario, cosciente. Esso può essere voluto, coltivato e alimentato,
evitando i più grossolani errori che possono distruggerlo con facilità.

1 Francesco Alberoni, I dialoghi degli amanti, cit., p. 237.


21.
La verità

Nel capitolo precedente abbiamo detto che nel mondo ideale tutto deve
essere sincero, spontaneo, vero. Giungiamo così alla regola fondamentale
ed essenziale dell’amore che dura: di’ sempre la verità, non mentire, non
recitare mai, né con te stesso, né col tuo amato.
Ho ritenuto opportuno dedicare un capitolo apposito alla verità perché
buona parte della letteratura e della pratica amorosa è fatta di
corteggiamento. E il corteggiamento è una messa in scena, una recita che,
se in alcuni casi vuol solo creare attrazione, in altri è un vero e proprio
inganno. Non si dice che in amore come in guerra tutto è lecito? Quando
Don Giovanni, nell’omonima opera di Mozart, vuol sedurre Zerlina, le
promette di sposarla e le dice che così avrà una vita ricca da nobile al posto
di quella miserabile che avrebbe sposando Masetto. Ma, senza arrivare a
questa falsificazione totale, è vero che, per secoli, il rapporto amoroso è
stato considerato una specie di assedio, di conquista. Era così perché la
donna, per timore di una gravidanza indesiderata, si è sempre circondata di
difese.
Nel libro L’età del desiderio di Carlo Castellaneta il protagonista, un
adolescente, dice: «Dai libri che ho letto, dai film che ho visto, dal modo in
cui intorno a me si parla della seduzione, mi sono formato l’idea che
l’amore sia una specie di guerra, cioè tutto il contrario di ciò che dovrebbe
essere. Per arrivare a possedere bisogna circuire, appostarsi, ideare
stratagemmi, effettuare colpi di mano. Ho imparato che la donna assomiglia
a una cittadella fortificata, coi suoi fossati e i suoi ponti levatoi, ma che in
questo assedio non esistono regole, se non saper identificare i punti deboli
da colpire»1.
Il ragazzo sogna di avere con la donna un rapporto sereno, pacificato,
appagante. Ma sente di non poterlo raggiungere: «Non conosco l’amore che
per il suo aspetto interrogativo e sfuggente. L’eterna domanda che mi
perseguita circa la sua misteriosa alchimia, eppure a volte mi pare di
identificarne l’essenza in una partecipazione totale di spiriti come quella
che mi lega al mio amico Vittorio [...] e penso che sarebbe magnifico se si
potesse avere con una ragazza la stessa spontaneità che si ha con un amico,
questa confidenza che non teme di essere scambiata per debolezza anziché
studiarsi di apparire intemerati o indifferenti. Perché se ti abbandoni alla
commozione vieni preso per debole, per vile, per incapace»2.
E pensa che questa pienezza di confidenza, di fiducia, di abbandono con
una donna non la potrà mai raggiungere.
Oggi le cose sono in parte cambiate, ma solo in parte, perché i fattori che
rendono attraente una donna e quelli che rendono attraente un uomo sono
diversi, e quindi continuano a funzionare, sia pure con delle varianti, le
regole del copione seduttivo: i regali, la cena, l’invito a bere qualcosa. Essi
scompaiono solo quando si realizza il vero innamoramento bilaterale.
Allora, per la prima volta, le due persone che si studiavano, che si sentivano
oscuramente differenti, che dovevano ogni volta compiere un minuetto
rituale per avvicinarsi, possono finalmente abbandonarsi e dire ciò che
pensano, ciò che sentono e raccontarsi la propria vita, desiderosi di aprirsi,
desiderosi di verità.
Con l’innamoramento e il desiderio di rivelare tutto di noi stessi, la
verità irrompe sulla scena dell’amore. E dovrebbe restarvi sempre. Sì,
perché, come abbiamo visto, le componenti essenziali del grande amore che
dura sono quelle stesse che lo fanno nascere. E, nello stato nascente
dell’innamoramento, i due amanti riescono di nuovo a guardare il mondo
con la stessa freschezza, la stessa gioia, la stessa fiducia delle origini, e
pensano che possa esistere solo la verità, che si possa dire solo la verità.
Dirla prima di tutto a se stessi e parlare all’altro con la mente e il cuore puri
e aperti. Due esseri umani, anche quando si amano, sono infinitamente
diversi. E sono un mistero anche a loro stessi. L’amore è il momento
magico e incantato in cui per la prima volta ci domandiamo chi siamo e chi
sia quell’altro sconosciuto così importante per la nostra vita. E scopriamo
che in noi stessi c’è una parte di luce e una parte di ombra. Ciò che ci piace
di noi e ciò che non ci piace, che non vorremmo essere e non vorremmo
aver fatto, l’ombra. E scopriamo che nell’amore possiamo anche svelare al
nostro amato la parte oscura di noi e apprendere così, attraverso di lui, che
anche essa ha un senso, un significato, un motivo. E che forse lui ci ama
proprio anche a causa sua. E intuiamo che anche in lui c’è una parte oscura,
quella che ci turba, che ci fa paura, che suscita in noi gelosia ma che, nello
stesso tempo, ci seduce, ci affascina. L’amore assorbe sempre in sé anche
l’ombra e la trasforma in luce, ma in luce oscura. Essa avrà sempre il potere
di turbarci e dovremo sempre essere prudenti nell’affrontarla.
Con l’amore diventiamo coscienti dei desideri proibiti, degli atti che
avremmo dovuto evitare, di ciò che non dovrebbe avere fatto il nostro
amato, delle contraddizioni in cui entrambi siamo immersi. Tutti infatti
viviamo in un mondo di valori e di norme consolidate che abbiamo violato
e per cui siamo stati giudicati e in base alle quali ci siamo giudicati o ci
siamo noi stessi condannati. Ma il grande amore è come un uragano che
spazza via queste condanne, questi giudizi, si pone al di sopra di essi, unico
arbitro di ciò che ha o non ha valore. E potrai accorgerti che quelle che ti
sembravano colpe, agli occhi del tuo amato sono atti di coraggio, quelle che
ti sembravano debolezze segni di un animo gentile. Perché lo stato nascente
dell’amore non ammette nessuna forza, nessun diritto, nessun giudice al di
sopra di sé. Parla liberamente, racconta tutto al tuo amore e vedrai che il
suo stupore si muterà in comprensione, il timore in applauso.
Per realizzare i nostri desideri e quelli del nostro amato ciascuno deve
perciò sempre dirli all’altro, sempre, senza mentire, senza paura, ciascuno
deve raccontargli sempre limpidamente cosa vuole, cosa sogna, cosa
desidera. Sì, digli senza paura ciò che ti piace e ciò che non ti piace! Lo so
che hai paura, ammutolisci e ti domandi: «Ma lui come può reagire?». Non
ti conviene mentire, abbellire, cercare di indovinare cosa vuole, recitargli la
parte che desidera? No, no, concedigli qualcosa, ma poco, poi sii te stesso.
Certo c’è del rischio a seguire questa strada ma ne vale la pena!
Molti matrimoni, molte convivenze sono finiti nell’aridità e
nell’incomprensione perché entrambi non hanno mai avuto il coraggio di
dire cosa volevano veramente e hanno sempre fatto quello che
immaginavano volesse il loro amato, mentre questo non lo desiderava
affatto. E alcuni, a furia di fare cose che in fondo non desideravano, e
stanchi di non riuscire ad avere ciò che invece desideravano ardentemente,
hanno finito per rimproverare all’altro quella incapacità, insensibilità,
mancanza di erotismo che avevano provocato proprio loro col loro silenzio.
Ci sono uomini innamorati della loro moglie che non hanno mai avuto il
coraggio di chiederle di avere dei rapporti erotici più spinti, più arditi, che
avrebbero ottenuto da un’amante o da una prostituta. E poi l’hanno
rimproverata di essere stata troppo riservata, troppo fredda, poco erotica. E
ci sono anche donne che non hanno avuto il coraggio di chiedere al loro
marito quello che avrebbero chiesto a un amante con fama di playboy.
Paure assurde, insensate, ma così frequenti. La gente che si ama è pronta a
capire e a imparare, ma bisogna che le venga detto cosa deve capire e che
cosa deve imparare.
L’abitudine di dirsi sempre la verità, anche nelle cose minute, anche
quando sarebbe semplice e facile tacere, produce nel tempo una fiducia
totale. Ciascuno sa che qualsiasi cosa faccia o dica, l’altro lo saprà e lo
capirà, potrà approvarlo o discuterlo, ma sarà sempre dalla sua parte, sarà
sempre pronto ad aiutarlo e a sorreggerlo col suo amore. Il lettore avrà
notato che io non ho mai usato parole come “pentimento” e “perdono”.
Perché esse, nella nostra tradizione, implicano qualcuno davanti a cui
pentirsi e qualcuno che può perdonare. Perciò qualcuno che ha il potere di
giudicare, di assolvere o di condannare. Ma nel grande amore totale
nessuno può arrogarsi questo potere. Io, se mi accorgo di avere sbagliato nei
riguardi del mio amato, glielo dico, gli dico che mi spiace, ma non mi
prostro a chiedere perdono, non mi umilio, non mi punisco. E lui, anche se
sa di avere ragione, ascolta le mie spiegazioni, le mie scuse, ma non si
aspetta che mi prostri davanti a lui per ricevere l’assoluzione. Pentimento e
perdono fanno parte della sfera del potere che è stata espulsa dall’amore. Il
pentimento resta dispiacere e il perdono un atto d’amore.
La fiducia totale è considerata una caratteristica della grande amicizia.
Ed effettivamente gli amici e le amiche si dicono cose riservatissime. Però
non mettono mai in comune tutto, spesso tacciono proprio i sentimenti e i
legami più profondi. L’amicizia li autorizza ad avere una zona di segretezza
su cose essenziali. L’amore totale no. Esso richiede una trasparenza
fiduciosa che non ha confini (se non la libertà dell’altro) perché noi
prendiamo il nostro amato nella sua interezza in ciò che è stato, in ciò che
ha fatto, in ciò che ha amato nel passato e nell’oggi. Amiamo anche i suoi
difetti, le sue debolezze, i suoi errori o, meglio, li interpretiamo in un altro
modo, scopriamo in quell’azione anche un valore positivo che ci insegna
qualcosa e, se è veramente negativo, inaccettabile, sarà il nostro amato che
ci viene incontro rifiutandolo.
Nel grande amore totale questa partecipazione reciproca diventa un
modo abituale di vivere. I due amanti si dicono tutto, si raccontano cosa è
successo loro, si confidano i loro pensieri, discutono anche animatamente
perché non ci siano incomprensioni, chiariscono gli equivoci, si sforzano in
ogni modo di capire fino in fondo il punto di vista dell’altro e, se anche non
lo condividono, lo rispettano, e quando poi lo ritengono giusto modificano
il proprio giudizio, arrivando così a una conclusione comune a cui segue
una grande serenità.
Questo non significa che essi non vadano incontro a crisi anche gravi del
loro amore. Anzi, un grande amore che dura sembra sempre periodicamente
sul punto di poter sparire, di poter cedere sommerso dalle difficoltà e dai
dissensi. Però è proprio l’impegno assoluto di dirsi sempre e solo la verità
che consente di risolvere difficoltà e problemi perché ciascuno comprende
che ciò che l’altro chiede non è mai un manipolare, un prevaricare, un atto
egoistico, ma solo un modo di essere pienamente se stesso. I due amanti si
sforzano di assumere il punto di vista dell’amato come proprio. La
composizione del dissenso fra persone che si amano profondamente avviene
perché ciascuna si rende conto che anche l’altra lotta con se stessa, soffre, e
se non cede è solo perché non riesce a fare diversamente, perché non può. E
di fronte al “non può” chi ama accetta.

1 Carlo Castellaneta, L’età del desiderio, Mondadori, Milano 1990, p. 51.


2 Ibidem, p. 97-98.
22.
Gelosia del passato e redenzione

Nel libro Sesso e amore1, ho dedicato un capitolo a studiare il caso di quegli


amanti che, mentre fanno all’amore con il loro partner, immaginano di farlo
con qualche personaggio con cui l’hanno fatto nel passato e sostengono che
questo non incide minimamente sul loro amore. Dopo lo studio fatto sul
grande amore erotico sono certo che queste persone, in realtà, non amano
affatto il loro amante. Queste fantasie mostrano che esse desiderano altre
esperienze, che non si accontentano di ciò che hanno, in sostanza che sono
ancora alla ricerca di quello che potrebbe essere il loro unico vero amore. E
poiché il loro rapporto è fondato su una menzogna, essi non sono in
condizione di dire la verità al loro partner. Non possono dirgli che mentre
fanno all’amore con lui immaginano di farlo con un altro o con chi lo hanno
già fatto, perché egli si renderebbe immediatamente conto di non essere
amato e le respingerebbe.
Il grande amore erotico è esattamente l’opposto: è rivolto totalmente,
esclusivamente, alla persona amata. Non siamo più trascinati verso altre
persone, non cerchiamo di avere ciò che abbiamo vissuto con altri nel
passato, al contrario vorremmo avere sempre vissuto, sempre fatto
all’amore, sempre essere stati vicino al nostro grande amore. Sì, perché nel
grande amore totale noi amiamo il nostro amato durante tutta la sua vita,
siamo affascinati da tutto quanto ha fatto, siamo perciò attratti e turbati
dagli amori che ha avuto prima che ci fossimo noi, prima di amare noi. In
molti casi questi amori non ci inquietano, li consideriamo qualcosa di
passato, di dimenticato, privo di valore. Ma vi sono anche casi in cui,
invece, l’innamorato li sente come rivali che gli hanno portato via l’amore
della sua donna o del suo uomo per tanti anni, individui da cui è stato
derubato, cioè come gelosia del passato. Molti anni fa Vittorio Gassman mi
ha detto: «Ma la forma più terribile di gelosia è la gelosia del passato. È
l’unica che non possa essere vinta». Da allora mi sono domandato cosa sia,
quando nasca e come possa essere guarita. Infatti, durante l’innamoramento
bilaterale ciascuno racconta all’altro la propria storia passata, i propri amori
come cose che ormai non hanno più valore. E non si può essere gelosi di ciò
che non conta nulla. Čechov nel racconto La signora col cagnolino ci dice
in modo delizioso che: «i due amanti vivevano quella fase in cui si
perdonavano a vicenda ciò di cui si vergognavano nel loro passato, si
perdonavano tutto nel presente e sentivano che quell’amore li aveva mutati
entrambi»2.
Se resta la gelosia, vuol dire che questo processo di annullamento
reciproco non ha funzionato, che uno sente che l’amato è ancora attratto da
qualcuno del suo passato e lo ricorda con piacere, forse con un piacere
maggiore di quello che prova per lui e perciò lo vive come un rivale. Un
rivale assente, ma non per questo meno temuto.
Quando si verifica questa situazione? Quando uno dei due innamorati,
raccontando la propria vita all’altro, non gli dice in modo assoluto,
inequivocabile, che degli amori passati non è rimasto più nulla se non il
ricordo, ma senza più nessuna attrattiva, rimpianto, desiderio. La gelosia del
passato resta quando uno dei due fa capire che ha nostalgia di qualcosa, o
scioccamente pensa di poter tenere legato più fortemente l’amato facendolo
ingelosire. A volte la cosa è condotta sul piano scherzoso, ma in un animo
insicuro può lasciare un’ombra di incertezza, di dubbio, che si riattiva in
seguito, talvolta per un incontro fortuito. L’amore dell’innamoramento non
sopporta questo tipo di dubbi perché ricorda tutto e ha perciò bisogno di
certezze assolute.
Poi c’è una seconda causa. Ci sono casi in cui uno dei due, per
valorizzarsi agli occhi dell’altro o per suscitare il suo desiderio erotico, gli
racconta di aver avuto molti amanti, molte avventure, che resteranno
impresse nella mente dell’altro. In questo modo gli insinua nell’animo una
gelosia che in seguito non potrà più annullare dicendogli che non è vero.
Un risultato analogo ottengono quelli che invece non raccontano, che
nascondono le loro esperienze erotiche e amorose. Costoro saranno poi
costretti continuamente a mentire, col pericolo di venire scoperti. E, spesso,
il loro amato, sentendo che qualcosa gli è stato nascosto, può diventare
molto geloso di un rivale misterioso e sconosciuto.
Vi sono poi casi in cui i due amanti dicono di voler vivere totalmente nel
presente, senza pensieri, senza domande. Non vogliono ricordare il passato,
non vogliono sapere nulla l’uno dell’altro, se potessero non si direbbero
nemmeno il nome. Perciò, dopo un certo periodo di tempo, finita la fase di
totale ebbrezza erotica, scoprono di essere due estranei, due sconosciuti che
hanno avuto amori e amanti che ora emergono dal passato come fantasmi.
Altre volte il soggetto racconta la propria vita, ma non la mette in
discussione, non la critica. Dice all’altro: «Io sono fatto così, devi
prendermi come sono». Anche in questo caso non si annulla il valore degli
amori passati che continuano a pesare sul presente. Un famoso caso di
gelosia del passato è quello di Tolstoj che, due giorni prima di sposarsi,
lascia alla sua fidanzata Sonia un diario in cui le racconta tutti i suoi amori
con le prostitute, le domestiche, aggiungendo che lui è così e deve essere
preso per come è, che non intende cambiare. Sonia ne è rimasta sconvolta e
per tutta la vita è stata gelosa delle vecchie e nuove amanti del marito di cui
non si è più potuta fidare diventando sempre più possessiva e diffidente,
fino alla tragedia finale.
Vi è un ultimo caso di gelosia del passato che nasce quando le due
persone non si innamorano contemporaneamente e non si raccontano
contemporaneamente i propri amori dicendo nello stesso tempo che sono
privi di importanza. E se il primo ha raccontato la propria vita amorosa
mettendo in evidenza il piacere che ha provato, l’altro sarà così che la
ricorderà quando si innamorerà, e non potrà più cancellarla dalla sua mente.
In tutti questi casi è possibile fare qualcosa, è possibile curare se non
annullare la gelosia del passato? Io ritengo che sia possibile quando la
persona che ha messo in moto la gelosia accetta di sprofondare nel proprio
passato insieme al suo amato e correggere l’errore fatto. Il grande amore
totale cioè riesce, almeno in parte, a “rifare il passato” come nello stato
nascente dell’innamoramento.
Per dare un esempio di questo processo utilizzerò ancora I dialoghi degli
amanti. Saky ha raccontato in modo spregiudicato a Rogan i suoi amori
prima che lui fosse innamorato, quando lui era indifferente o addirittura
divertito. Poi Rogan si innamora e, ripensando al passato della sua donna,
ricorda ciò che lei gli ha raccontato e sconvolto le dice: «Sono diventato
geloso degli uomini con cui hai fatto all’amore nel passato. Amore mio,
quando mi facevo raccontare le tue storie d’amore per curiosità, perché mi
eccitavano, ero un pazzo. Allora non ti amavo ed era come vedere un film
porno, come leggere le avventure di una ragazza dissoluta. Ma poi, quando
mi sono accorto che ti amavo, che ti amavo pazzamente, tutto quello che tu
mi avevi detto e che allora mi aveva solo divertito, di colpo è diventato un
incubo. E oggi che ti amo tanto, non posso nemmeno pensare che tu abbia
fatto all’amore con qualcuno e vengo subito afferrato da una spaventosa
gelosia, un vero e proprio orrore ricordando uno qualsiasi degli episodi che
tu mi hai descritto. Tieni presente che sono persone note, conosciute, che ho
visto nei film, alla televisione, o che ho incontrato personalmente»3.
Ma il loro amore si salva lo stesso perché è un grande amore che dura ed
entrambi hanno l’abitudine di dirsi sempre la verità. Saky gli racconta di
nuovo la sua vita dalla nuova prospettiva e gli spiega che allora gli aveva
raccontato le sue avventure erotiche per provocarlo, per fargli capire che era
disponibile, ma che quegli uomini le erano indifferenti e che l’unica felicità
gliela ha data lui. E aggiunge: «Con le esperienze che ho avuto non mi
fidavo più di nessuno. Non ho più potuto amare, non mi sono più lasciata
andare per anni ed anni, finché non ho incontrato te. Gli uomini che mi
piacevano toccavano solo la parte più superficiale della mia anima e del
mio corpo. Non potevo amarli e non potevo abbandonarmi a loro neanche
sessualmente. Ero attratta, facevo delle fantasie e poi, di colpo, mi
accorgevo che non me ne importava nulla e li respingevo. Apparivo
brillante, spregiudicata, in realtà ero pudica, paurosa, chiusa in me stessa,
non mi abbandonavo e così non provavo niente. Per raggiungere la pienezza
del piacere occorre pazienza, occorre trovare il tuo uomo, occorre accettare
di amarlo senza paura, senza orgoglio, senza ritegno, senza gelosia, senza
rifiutare niente, gustando tutto di lui, accettando anche il rischio che vada
con un’altra, che ti lasci. Devi amarlo senza farglielo pesare, senza
opprimerlo, senza schiacciarlo, lasciandolo libero. E cercare l’intimità
totale, concedere la fiducia totale, l’abbandono totale. Solo quando sono
arrivata a realizzare questo con te, solo allora tutta l’immensa capacità di
amare, di piacere, di godere e di dare piacere che avevo in me stessa è
emersa. Io non ho mai avuto un orgasmo con un uomo, mai! Tu sapessi
cosa provo ora! Non puoi avere una idea del mio piacere! Di cosa vuol dire
sentirlo che sale dentro di me, si ferma, assaporarlo mentre il mio
eccitamento cresce, cresce fino al parossismo della felicità. E poi l’uragano
di piacere di quando me la baci, e la felicità del “contatto” che tu chiami
“da scimmietta”. O il piacere, l’immenso piacere di tenerti sul mio seno. Io
non ho avuto figli, Rogan, ma in certi momenti, mentre ti abbraccio mi
sembra che tu sia il mio bambino. E quando mi baci i capezzoli provo il
piacere che deve provare una madre quando allatta»4.
Concludendo: la gelosia del passato guarisce solo nel grande amore
erotico in cui due amanti si dicono sempre la verità e chi ha raccontato i
suoi amori all’altro con leggerezza gode ormai di una fiducia così grande da
poterlo convincere anche in seguito che essi non contavano veramente nulla
rispetto all’amore e alla felicità che ora prova con lui. Nella sua essenza la
gelosia è rivalità, e quindi la persona cessa di essere gelosa di un rivale del
passato quando si rende conto che costui non ha mai potuto dare e non potrà
mai dare al suo amato quanto gli dà lui. Più in generale, la gelosia del
passato svanisce quando entrambi si rendono conto che il grande amore
erotico che stanno vivendo da anni è incommensurabilmente superiore a
qualsiasi esperienza che entrambi possano aver avuto con un altro.

1 Francesco Alberoni, Sesso e amore, cit., pp. 234-238.


2 La signora col cagnolino (ed. or. 1899) in Čechov, Racconti e teatro, Sansoni, Firenze 1966.
Traduzione di Giuseppe Zamboni.
3 Francesco Alberoni, I dialoghi degli amanti, cit., p. 198.
4 Ibidem, p. 224.
23.
La libertà

Molti immaginano l’amore come uno stato, una continuità ininterrotta e,


infatti, è stato spesso usato il termine “fusione” o addirittura “simbiosi” per
indicare l’indistinzione e quindi anche la perdita di identità personale, di
autonomia degli amanti innamorati. Ma non è così, il vero grande amore
erotico, al contrario, è costituito da due componenti: quella che chiamerò la
volontà essenziale e l’altra la volontà razionale.
Al fondo della volontà essenziale c’è il legame profondo
dell’innamoramento che ha alcuni caratteri dell’imprinting. L’imprinting è
un processo di apprendimento rapidissimo che fissa l’interesse dell’animale
su un altro animale o un altro oggetto in modo indelebile. Gli anatroccoli,
appena usciti dall’uovo, riconoscono e seguono come loro “mamma”
l’animale, la persona, o la sagoma che hanno visto per prima nascendo.
Questa immagine viene fissata in modo indelebile nel cervello solo nei
primi istanti dopo la nascita. Invece, nella specie umana, non esiste nessun
imprinting neonatale. Il legame con la madre si instaura lentamente
attraverso il principio del piacere. Invece è molto simile all’imprinting il
legame che si stabilisce nell’innamoramento. In questo il cervello umano si
condiziona e decondiziona anche nelle sue parti più profonde creando un
desiderio, che chiamerò volontà essenziale. Accanto a questo desiderio o
volontà essenziale abbiamo poi la volontà razionale, che chiamiamo
abitualmente libertà o libero arbitrio. Quando siamo innamorati l’amore si
radica anche in questa: noi vogliamo liberamente il nostro amato, vogliamo
liberamente il nostro amore.
L’innamoramento provoca una ristrutturazione del funzionamento dei
circuiti cerebrali, dei neurotrasmettitori, del sistema ormonico e
neurovegetativo che si riflette in ogni esperienza sessuale sensoriale o
cenestesica. A volte immagino lo stato di innamoramento profondo come la
creazione e ricreazione di una parte del sistema nervoso che i due amanti
hanno in comune, pur restando personalità totalmente distinte. È proprio
questa intensa comunanza, unita al permanere della differenza, che
caratterizza il grande amore che dura. Ma questa ristrutturazione è in
continua evoluzione tanto a livello della volontà essenziale che a livello
della volontà razionale.
Entrambe queste volontà devono essere libere. Noi possiamo cessare di
amare per un mutamento profondo e possiamo opporci al nostro amore in
modo cosciente. Però non possiamo innamorarci con la sola volontà
razionale e non ci basta essere amati in questo modo. Non ci basta che
l’altro ci ami perché lo prescrive la legge, per tenere fede a un patto, per
dovere. Vogliamo che lo faccia per elezione spontanea totale, per quella che
abbiamo chiamato la volontà essenziale. Ma anche questo legame,
ricordiamolo, deve essere libero, deve essere cioè una elezione che si
rinnova continuamente e che non può essere data per scontata. Può svanire,
può finire, infine può essere ostacolata, tradita dalla volontà razionale.
Per questo i due amanti, anche quando si amano profondamente, sentono
continuamente il bisogno di chiedersi: «Mi ami?» e di dirsi l’un l’altro: «Ti
amo». L’amore sta proprio in questo essere sospeso fra la necessità di essere
amato e il bisogno che l’altro sia completamente libero. Nel Convito
Platone fa dire a Diotima che Eros è un semidio, che sta sospeso a mezza
strada fra il cielo e la terra. E che è figlio di Poros, la ricerca, e di Poenia, la
scarsità, l’insicurezza. Egli è perciò un succedersi di dubbio e certezza, di
attesa ed esultanza, di batticuore e di estasi. Nel grande amore che dura noi,
pur sapendo di essere amati, continueremo sempre a scrutare il volto del
nostro amato per vedere se è contento o non è contento di noi, se ci ama o ci
ignora. Roland Barthes, nei Frammenti di un discorso amoroso, ha dato una
stupenda descrizione di questo stato di certezza inquieta o di incertezza
felice in cui ci sentiamo in balia dell’amato ma non vogliamo perderlo
perché sappiamo che proprio questo stato è l’amore.
Quando siamo innamorati restiamo due persone distinte, siamo diversi e
liberi, continuiamo ad avere le nostre convinzioni politiche o religiose, a
preferire certi film, certi libri, certe persone e non altre. E affermiamo la
nostra libertà con tanta maggiore intensità quanto più l’amore ci consente di
essere pienamente noi stessi e di realizzare la nostra essenza, la nostra
vocazione.
Sia ben chiaro, noi non possiamo disinnamorarci. La volontà cosciente
non può nulla sulle strutture profonde, ormai radicate nei meandri del
cervello, nella storia intrecciata delle nostre vite, nell’abitudine a pensare
insieme, a sentire insieme, a dirci tutto. La “guarigione” da un amore deluso
richiede molti anni e spesso avviene solo quando un altro innamoramento
consente, attraverso la fusione dello stato nascente e il processo di
storicizzazione, di sciogliere i vecchi legami.
Il fatto che l’amore sia costituito da due componenti, una più fissa,
duratura, la volontà essenziale, e una più mobile, libera, la volontà
razionale con cui noi siamo liberi di accettare o non accettare il nostro
amore, talvolta produce uno scontro violentissimo. Lo psichiatra Caruso nel
suo libro La separazione degli amanti1 esamina numerosi casi di coppie
innamorate in cui uno dei due decide volontariamente di lasciare la persona
amata. Io ho distinto il caso della rinuncia egoistica e di quella altruistica2.
La prima avviene perché il soggetto non se la sente più di continuare il
rapporto che lo fa troppo soffrire o perché è straziato dalla gelosia. La
seconda viene invece fatta per non far soffrire altri. Spesso si tratta di un
uomo sposato che lascia una giovane donna di cui si è innamorato per non
far soffrire la moglie e i figli. Se il legame era profondo, l’effetto di questa
rinuncia, compiuta magari con un atto improvviso, è devastante perché il
soggetto perde ogni capacità di amare, di sentire. Io ho chiamato questa
esperienza pietricazione.
Ma un conflitto fra il legame profondo e la volontà avviene in tutte le
coppie ed è spesso alla base di liti, separazioni, divorzi. Perché, quando
sorgono incomprensioni e gelosie, se il legame profondo non è solidissimo
e non è diventato una vera affinità elettiva, la coppia si può spezzare. Basta
che uno dei due in quel momento sia irritabile, insofferente e reagisca male
alle critiche o alle richieste dell’altro e se anche costui attraversa una fase di
malcontento, di disagio, di insofferenza, i conflitti diventano cronici, le
parole cattive e fra i due a poco a poco sorge un muro di incomprensione.
Anche la coppia unita da un grande amore che dura attraversa queste
crisi. Al proposito voglio ricordare un caso estremamente significativo. Lei
era sempre vissuta da single, aveva fatto l’attrice, aveva viaggiato, aveva
condotto una vita avventurosa. Si era innamorata di un uomo passando
attraverso la simpatia, l’amicizia, l’ammirazione finché il suo amore era
diventato una passione totale. E l’uomo aveva compiuto un percorso
analogo che dalla simpatia, dall’amicizia, era sfociato in un amore erotico e
appassionato. Ciascuno di loro aveva la propria casa, ma stavano insieme,
lavoravano insieme, dormivano insieme, avevano un dialogo continuo e un
erotismo estremamente intenso. Abituata alla sua libertà totale, la donna
però aveva incominciato a soffrire di questa continua intimità e una volta la
sua tensione è cresciuta fino a un punto di rottura. Allora gli ha detto che,
proprio perché lo amava tanto, non sopportava più di vivere così, che la loro
relazione doveva finire e che lo lasciava. E poiché nella sua vita aveva rotto
bruscamente altre volte, lui ne era restato profondamente turbato. Però non
ha raccolto la provocazione. Le ha risposto che lei era l’ultimo e definitivo
amore della sua vita e che l’avrebbe sempre amata, l’avrebbe sempre
aspettata qualunque cosa facesse. La donna rimasta sola si è chiusa in casa,
ha telefonato ad alcune amiche e amici e, a poco a poco, si è resa conto che
era solo il suo grande amore a dare un senso alla sua vita. Dopo qualche
giorno gli ha telefonato e si sono gettati appassionatamente l’uno nelle
braccia dell’altro come se si fossero innamorati di nuovo. Ho raccontato
questa storia perché è tipica di un grande amore erotico che dura, che a ogni
crisi si rinnova e si approfondisce. In una coppia più fragile (o meno
consapevole dei processi amorosi) questi traumi spesso portano a una
rottura o al tradimento. La dialettica condizionamento-libertà è alla base di
moltissime crisi delle coppie moderne e dell’impossibilità di sviluppare un
grande amore che dura.
Concludendo: la persona innamorata, proprio perché è libera, dovrebbe
essere sempre consapevole che tanto lei che il suo amato possono
compromettere tutto anche con un solo gesto sbagliato, cedendo a una
tentazione improvvisa o semplicemente abbandonandosi al proprio egoismo
e alla propria pigrizia. Un amore continua nel corso del tempo non solo
perché siamo “legati” dall’amore, ma anche perché ogni volta lo vogliamo e
prendiamo tutte le decisioni giuste per realizzarlo e farlo proseguire.
Ne I dialoghi degli amanti Rogan sa che Saky è sempre stata libera,
orgogliosa, capace di decisioni improvvise, di scelte radicali. Non dubita
del suo amore, sa che lei lo ama e sa anche che non lo tradirebbe mai. Gli è
stata fedele per dieci anni quando lui non la ricambiava ancora e, quindi,
non ha dubbi su questo punto. Ma sa anche che, nonostante questo grande
amore, lei è molto orgogliosa e si considera una donna libera che può
respingerlo. E questo gliela fa stimare e desiderare di più. La presenza della
libertà alimenta il desiderio. Noi desideriamo solo ciò che non abbiamo. La
libertà crea un’incertezza, una distanza, un desiderio che può essere
soddisfatto solo se l’altro ti dice di sì. Per questo l’amore, anche il grande
amore che dura per anni, si realizza nell’incontro in cui i due decidono
liberamente di vedersi. Allora, ogni volta essi scoprono di piacersi e di
desiderarsi come se non fossero dogmaticamente certi di essere riamati,
come se lo dovessero scoprire a ogni loro incontro e ne sono stupiti. Ne I
dialoghi degli amanti Saky ogni volta è stupita di piacere a Rogan che è
profondamente innamorato di lei. Teme sempre che l’incantesimo che lo
fatto innamorare – quella che lei chiama la macumba – possa svanire. Per
lei ogni incontro è un nuovo inizio, un dono meraviglioso
Riporto qui come esempio un intervento sul blog in cui Marco descrive
il piacere, il gusto, il bisogno di un rapporto erotico amoroso libero, fresco,
che dura rinnovandosi, riscoprendosi continuamente. Marco risponde a una
persona che cerca il sesso separato dall’amore e le contrappone l’amore
erotico con la stessa persona, ma fatto senza impegni vincolanti, senza
coercizione, col gusto del nuovo, col brivido della libertà: «Mi dica perché
non è bello stare con una donna che sa eccitarmi, muovendosi dalle spalle ai
fianchi, con dei seni anche, perché no?, chiusi in biancheria sexy e piena di
ricami. Abbracciarla e inseguirla, sentire sulla pelle il pizzicore dei ricami,
lottare contro la complicazione delle aperture dei bustier è una delle gioie
della vita. Se non lasciassi ogni volta questa donna, che se ne torna
tranquillamente alla sua vita, a volte anche con fretta, sicura che le va di
andare, allora non avrei mai il piacere di ritrovarla. Di scoprire che anche
oggi torna e, se vuoi, ci sta, le va di venire con me. Anzi, mi sfida, mi si
muove tutta incontro, ha dei fianchi che ondeggiano come una strada pazza
di campagna. Io trovo che niente è più felice di questo. Chi vive, dorme,
mangia e si annoia tutti i giorni con una persona, perde questa magia dello
scoprirla così bella, così desiderata, così meravigliosa per tutti, ma poi così
unica solo con me. Io credo che questa sia la felicità. È una lotta per la mia
voglia di felicità e piacere duraturo. Io so che solo così è felicità e lotto
perché questa meraviglia continui».
Marco, di fatto, ha una relazione continuativa con la sua donna, ma si
stanno sempre cercando, decidono ogni volta di rivedersi. È lo stesso nel
grande amore erotico, ed è lo stesso persino fra due persone che vivono
insieme quando ciascuna ha la sua attività e la sua libertà. Anche questi
amanti si cercano e si preparano all’incontro erotico, la donna rendendosi
sempre attraente ed entrambi lasciando libera la loro fantasia in modo da
dare all’altro sempre qualcosa di divertente e di nuovo.
L’amore non deve mai, assolutamente mai, diventare obbligo, non deve
mai costringere, negare la libertà dell’altro. L’amore è un donarsi all’altro
nell’attesa che la sua libertà ti scelga. Solo così dura anche per anni o per
decenni. All’opposto, chi usa la coercizione, il ricatto o la legge per farsi
amare vi inserisce il virus che lo distrugge. Ora dobbiamo dire che anche in
Occidente sono numerose le persone che non hanno ancora capito che
l’amore è libertà. Infatti, molti uomini, per farsi amare, esercitano ancora
una pressione sulle donne, le ossessionano. Alcuni, dopo un periodo di
fidanzamento, se vengono lasciati, arrivano a uccidere. Gli uomini che si
comportano in questo modo hanno una concezione primitiva, patologica
dell’amore. Lo concepiscono come un possesso, qualcosa che può essere
imposto alla donna con la minaccia. Non vogliono un’innamorata libera,
vogliono una schiava. Alcuni sono ossessivamente gelosi, non vogliono che
nessuno guardi o tocchi la loro donna, ma non fanno nulla per farsi amare
da lei. Inoltre, essi ammettono di potersi innamorare di un’altra ma non
concedono lo stesso diritto a lei. La donna non si comporta in modo così
violento. Quando è innamorata fa in modo di incontrare l’uomo che ama, si
fa bella per lui, gli sta accanto gentile, ma non lo ossessiona e non lo
minaccia. Però ci sono donne che, lasciate, si vendicano, che se la prendono
con la rivale e che rivendicano il diritto di essere amate solo perché c’è
un’istituzione che lo sancisce. Ovviamente con persone che agiscono in
questo modo è impossibile realizzare un grande amore che dura. Mi auguro
che questo libro possa contribuire a insegnare anche a loro quanto ha scritto
Vézina: «La passione è possibile a condizione di saper tollerare la tensione
dell’incertezza. Nell’amore duraturo le coppie perciò sono consapevoli di
una loro possibile fine e si ricordano costantemente che la loro relazione
non è mai data per acquisita»3.

1 Igor A. Caruso, La separazione degli amanti, Einaudi, Torino 1988.


2 Francesco Alberoni, Ti amo, cit., p. 164.
3 Jean-François Vézina, L’avventura dell’amore, cit., p. 112.
24.
La parola

Molte persone sono convinte che basti l’amore per capire che cosa desidera
il loro amato, senza bisogno di parole. Che fra chi si ama ci sia una
comunicazione immediata, che l’istinto, il cuore parlino da soli. Avrete tutti
sentito frasi del genere «Io so sempre ciò di cui lui ha bisogno», «Me lo ha
detto il cuore», «Una donna capisce il suo uomo meglio di lui». Ma non è
vero o lo è solo in minima parte. Quando amiamo vogliamo sapere tutto
dell’altro, vivere la sua vita, fonderci con lui, partecipare dei suoi pensieri,
delle sue sensazioni, dei suoi sogni. Ma tutto questo richiede di parlare,
raccontare e, quando si racconta, di essere sinceri. Perché anche quando
l’innamorato dice: «Tu sei sempre nel mio cuore, durante la giornata
qualunque cosa faccia io penso a te», questo non impedisce che lui e la sua
amata restino due persone distinte con pensieri, gusti, desideri propri e
ciascuno deve saper distinguere il proprio desiderio, i propri sentimenti, le
proprie sensazioni da quelli dell’amato. Ogni tanto, anche nell’amore più
profondo, anzi forse proprio nell’amore più profondo, sentiamo che la
persona che ci è più vicina, più cara, ha avuto una vita diversa dalla nostra,
ha avuto esperienze, gioie, dolori, speranze, sogni, amori, piaceri, tormenti,
paure, ossessioni, estasi, delusioni a cui non potremo mai partecipare, per
cui resta un mistero. Cosa ha sperimentato veramente nel corso della sua
vita? Come è arrivata fino a oggi, chi l’ha accompagnata lungo il suo
cammino? Come ha fatto le sue scelte, e perché? Con che criteri? Chi ha
amato, da chi è stata amata? E come è il suo amore per me? Mi accorgo che
dentro di lei c’è una folla di personaggi che solo lei ha conosciuto, con cui
ha avuto rapporti, e tutto questo in un vortice di desideri, di passioni in cui
io, in fondo, sono arrivato all’ultimo momento.
La persona che amiamo ci affascina, e il fascino è sempre il tralucere nel
presente del passato, di una vita sconosciuta, talvolta inquietante.
Desdemona si innamora di Otello quando lui le racconta la sua vita di
guerriero, la trasporta in un mondo di eroismo, di forza, di violenza che la
spaventa e la attrae. Le donne sono attratte dagli uomini con un passato
avventuroso, o violento, dagli uomini che hanno avuto tante donne, talvolta
anche dai grandi criminali. Ad attrarle non è solo il bene, il positivo, la luce,
ma anche il male, il pericolo, l’ombra. Lo stesso capita agli uomini che
sono attratti da una donna che ha avuto una vita avventurosa, amanti,
mistero. Ne L’età dell’innocenza1 la contessa Olenska non è solo
bellissima, ma ha anche un passato misterioso, in cui si intravedono i suoi
amori aristocratici europei, un passato oscuro, l’ombra appunto, che,
insieme alla luce della sua grazia, della sua bellezza e della sua dolcezza, la
rende piena di fascino. Anche nell’amore più luminoso, celata nella
differenza, c’è sempre l’ombra, che viene sempre fugata e sempre riappare.
Così, nel grande amore totale, entrambi vivono quasi affascinati e perfino
spaventati il mistero della loro diversità.
Per questo motivo due amanti, quando sperimentano il massimo
dell’intimità e della fusione fisica facendo all’amore, restano stupiti della
loro differenza2. Ne I dialoghi degli amanti c’è questo breve dialogo:
Rogan: «Non ci siamo mai costretti a volere le stesse cose, nemmeno
quelle dell’amore perché sappiamo di avere esperienze diverse. È una
distanza che ci ricorda che resteremo diversi, che ci dobbiamo sempre
cercare. Pensa poi alla nostra vita passata, alle nostre esperienze, alle
emozioni che abbiamo avuto. Per quanto ce le raccontiamo, restano solo
nostre e inaccessibili all’altro».
Saky: «È vero. Persino facendo all’amore quante volte te l’ho detto:
“Quando vengo io provo qualcosa di meraviglioso che tu non puoi provare,
e io vorrei che tu potessi essere per un momento me per sentirlo”».
Rogan: «Siamo così vicini, così fusi eppure così distinti, così misteriosi
l’uno all’altro, amore mio».
E talvolta, proprio dopo aver vissuto la fusione totale e l’estasi erotica,
gli amanti parlano della loro morte. Perché la morte ricorda loro di essere
due individui separati. Ma, mentre ne parlano, nessuno riesce a immaginare
la morte dell’altro, non sa immaginare se stesso senza l’amato. Quindi il
parlare della propria morte li unisce, la morte annulla la loro separatezza.
E ogni volta, nel corso della nostra vita, queste differenze si fanno vive
come gusti, preferenze nel cibo, nelle vacanze, nei programmi televisivi, nei
libri che leggiamo, nei giudizi che diamo delle persone, nei nostri sogni. E
qualche volta, quando ci accorgiamo che vogliamo cose opposte, ci
scontriamo, uno dei due ci resta male e l’altro è tentato di dargli ragione, di
sposare il suo desiderio come proprio, anche se non lo è. Ma sa che è
sbagliato, perché in amore bisogna essere sempre sinceri e allora è meglio
dire la propria opinione, spiegare le proprie ragioni e ascoltare quelle
dell’altro. Poi, ciascuno resta del suo parere, ma non è stato uno spreco
perché abbiamo capito meglio il suo punto di vista, abbiamo imparato a
parlarci, a trovare il linguaggio della nostra comunicazione.
Una delle caratteristiche fondamentali del grande amore che dura è
proprio la creazione di un linguaggio che consente di spiegarsi e di capirsi
senza menzogne e senza aggressività. Io lo chiamerò linguaggio autentico
perché consente a entrambi di esprimere autenticamente le proprie emozioni
e i propri desideri.3 E quindi anche a comporre le differenze, i conflitti, le
incomprensioni. Conflitti e incomprensioni che appaiono sempre quando
l’amore dura molti anni e ciascuno di noi cambia, perché il mondo cambia e
perché siamo individui liberi.
Molto spesso, fra persone che convivono o che sono sposate, c’è sempre
uno che cerca di imporre il proprio punto di vista mentre l’altro cede per
“quieto vivere”. Si ripresenta così il meccanismo hegeliano del padrone-
servo. La figura dominante, il padrone, considera suo diritto prendere la
decisione e l’altro, anche se in cuor suo si ribella, l’accetta, piega la testa e
ubbidisce. In questi casi in cui ricompare il potere, la purezza del
sentimento amoroso si corrompe sempre. In superficie tutto resta armonico
come prima, il marito accetta i capricci domestici, gastronomici,
architettonici, sociali della moglie. Sta zitto, segue passivamente. Ma nel
profondo gli resta un disagio, la sensazione di non riuscire a realizzare ciò
che vuole, talvolta un oscuro risentimento. E lo stesso fa la donna che ha
rinunciato ai suoi desideri, alla sua libertà, alla sua ambizione.
Il dissenso, il conflitto è sempre temuto da chi si ama perché fa emergere
la possibilità che l’amore finisca. E lo teme soprattutto quello che preferisce
cedere. Ma sbaglia a credere che se amiamo dobbiamo sempre cercare di
fare quello che desidera il nostro amato rinunciando ai nostri desideri.
Infatti ci siamo innamorati proprio per realizzare i nostri desideri più
profondi, per mettere a frutto le nostre potenzialità inutilizzate, per vivere
vite che abbiamo sognato ma non abbiamo mai vissuto, per essere più
profondamente noi stessi.
Per evitare che si instauri la dicotomia servo-padrone, però, non basta
avere il coraggio di dire ciò che si pensa, e nemmeno affermare il proprio
desiderio, il proprio diritto. Dipende anche dall’animo con cui si dice e da
come si dice. Lo scontro può diventare un conflitto di volontà in cui
ciascuno cerca di prevaricare l’altro creando la coppia litigiosa con
pressioni, ricatti, rimproveri. Nel litigio viene sempre deformata, distorta la
realtà, tanto quella presente come quella passata perché, sulla spinta
dell’aggressività, la gente non cerca la verità, ma vuole solo prevalere
sull’altro. Lo vediamo con grande chiarezza nel linguaggio polemico che
caratterizza il dibattito politico o dell’accusa-difesa in tribunale e anche
nella lite tra due amanti in cui ciascuno dice solo ciò che fa prevalere la sua
tesi. D’altra parte è altrettanto sbagliato evitare il confronto, non dire nulla,
stare zitti facendo finta di niente perché in questo modo cresce il
risentimento silenzioso che poi si rivela con cattiveria.
No, la strada per affrontare le differenze e le scelte nel grande amore è
quella indicata dalla parola, la creazione di un linguaggio autentico, capace
di esprimere bisogni, pensieri, consensi e dissensi senza aggressività, quindi
senza deformazioni ed esagerazioni, cioè comprensibili all’altro. In una
coppia che è abituata a dirsi sempre la verità, entrambi parlano, entrambi
dicono cosa provano, entrambi dicono cosa li fa soffrire, cosa vorrebbero in
modo da farsi conoscere dall’amato, in modo da farsi capire. Essi
costruiscono così il linguaggio autentico grazie a cui sapranno esporre il
problema in modo che sia partecipabile, e quindi risolvibile. Per riuscirci
devono aver affrontato e superato il pericolo che la verità li possa ferire, che
li possa separare, che possa addirittura distruggere il loro amore. I due
amanti devono perciò imparare a dirsi tutto e sinceramente e nel modo
giusto fin dall’inizio, fin dai primi momenti che si conoscono, e poi
continuare a farlo anche per le cose minime. Il grande amore totale è
possibile solo se ciascuno, fin dalle origini, si è proposto di parlare per
essere capito, e di ascoltare per capire. E poi ha continuamente perfezionato
il suo ascolto e il suo linguaggio nel corso della vita amorosa.

1 Edith Warton, L’età dell’innocenza, Longanesi, Milano 1979.


2 Scrive Simone de Beauvoir ne Il secondo sesso, cit., p. 460: «La dimensione dell’alterità resta, ma
essa non ha più carattere ostile; ed è questa coscienza dell’unione dei corpi nella loro separazione che
dà all’atto sessuale il suo carattere commovente in quando i due esseri che insieme negano e
affermano appassionatamente i loro limiti sono simili eppur diversi. Tale differenza, che troppo
spesso li isola, diventa per loro, quando veramente si uniscono, fonte di meraviglia».
3 Jean-François Vézina, nel libro Le avventure dell’amore, cit., usa a questo riguardo la metafora dei
ponti, pp. 93-94.
25.
Intimità

Abbiamo già parlato della ricchezza dell’esperienza erotica e della


straordinaria bellezza che ciascuno vede nel suo amato. Dobbiamo
aggiungere che, nel grande amore erotico, la vita dei due amanti è
impregnata del desiderio di fare qualcosa per l’altro, di renderlo felice.
Voler bene, volere il suo bene è, se volete, la forma più semplice di amore,
la sua versione più elementare. Caratterizza ogni amore, quello della madre
per il figlio, del figlio per i genitori, dei fratelli, l’amore della vera amicizia.
Però può a volte mancare in certi momenti della passione
dell’innamoramento che ci rende avidi, egoisti, gelosi, bramosi dell’altro
quasi fosse un oggetto da divorare. Nel grande amore erotico che dura, nella
grande passione di cui stiamo parlando, nell’amore totale, ciascuno vuole
invece sempre bene all’altro ed è pronto a fare qualsiasi cosa per lui.
E, accanto al voler bene, c’è il voler piacere all’altro. Qualcuno
considera il voler bene un atto altruistico mentre il voler piacere un atto
egoistico. Questo può essere vero nell’incontro occasionale, all’inizio
dell’amore, quando la donna si veste in modo elegante per attrarre
l’attenzione dell’uomo, per farsi guardare, per piacergli. E in moltissimi
matrimoni la donna vuole essere sempre elegante anche quando è in casa
per piacere a suo marito e perché vuol piacere a se stessa, sentirsi bella,
desiderabile in ogni istante. Con lo stesso criterio sceglierà la lingerie da
giorno e da notte, perché sia in armonia, perché valorizzi il suo corpo e, se è
innamorata, perché piaccia al marito o all’amante. Un risultato che ottiene
scegliendo abbigliamento firmato, biancheria di marca, cioè quello che è
considerato unanimemente bello, elegante. Ci sono poi anche casi in cui la
donna, dopo il matrimonio, non si preoccupa più di piacere, di essere
desiderabile e veste in modo casuale, talvolta sciatto. Ma nel grande amore
erotico non accade mai. Nel grande amore erotico ognuno dei due amanti
desidera piacere sempre al suo amato e soprattutto la donna studia ciò che
piace al suo uomo, si veste per piacere espressamente a lui. Nella coppia
che mi ha ispirato I dialoghi degli amanti la donna preparava lei stessa i
modelli dei suoi vestiti, sceglieva con estrema cura i capi del suo intimo
curando tutti gli accostamenti di colore dalle scarpe, alle calze, al body, al
reggiseno, alla collana che porta al collo, fino agli orecchini. Poiché lei e
Rogan non vivevano sempre insieme, quando si preparava all’incontro
faceva di se stessa una vera opera d’arte, destinata esclusivamente al suo
amato. E ogni volta lui restava incantato già nel vederla davanti a sé, un
incanto che si rinnovava istante dopo istante spogliandola fino ad avere il
suo corpo nudo fra le braccia. Era come se lei, con l’abbigliamento, avesse
inventato un linguaggio amoroso apposta per lui, capace di provocargli ogni
volta una profonda emozione. È evidente che in questo caso il voler piacere
coincide totalmente con il voler bene, con il voler dare piacere, col rendere
felice.
La terza caratteristica dell’amore totale è che i due amanti provano una
straordinaria felicità anche solo a essere vicini, a stare insieme, a
camminare tenendosi per mano, a mangiare uno di fronte all’altro in una
trattoria, a guardare fuori dal finestrino del treno, o anche semplicemente a
osservarsi dicendo qualsiasi cosa. E nel caso di amore totale questa
esperienza continua anche dopo anni; per questo i due amanti possono
sentirsi felici nell’abitacolo della macchina mentre viaggiano, quando sono
seduti accanto in un piccolo bar di periferia dove magari sono arrivati
stanchi e arrabbiati perché devono aspettare che incominci una riunione e
poi, seduti a un tavolino, uno con una piadina e l’altro con un toast in mano,
scoppiano a ridere e ciascuno fa assaggiare il suo cibo all’altro e si sentono
felici al mondo, felici di essere in quel luogo, felici di essere insieme. Parlo
di felicità, non di gioia, perché essi, in questa apparente banalità e
normalità, sperimentano l’esultanza di avere ciò che conta di più al mondo,
di vivere la perfezione dell’essere. Perché, anche compiendo l’atto più
comune, più banale si accorgono di sperimentare qualcosa di unico, di
straordinario, di sublime. Ne Il fu Mattia Pascal1 di Pirandello, il
protagonista si innamora timidamente di Adriana e, nel provvidenziale buio
di una seduta spiritica, può finalmente stringerle la mano non visto e poi,
fattosi ardito, le sfiora le dita, gliele prende e, per tutto il tempo, essi
giocano stringendosele, intrecciandole. Ma anche oggi due persone che si
amano da anni, che hanno avuto ogni tipo di rapporto sessuale, nel buio di
un cinema si stringono e si accarezzano le mani per ore, e vi trovano uno
straordinario piacere, una straordinaria felicità perché è un altro modo per
dirsi «ti amo». Grazie al piacere di stare vicini, di stare accanto, alla gioia
che scaturisce dalla vicinanza fisica, dal contatto, chi ama non si stanca mai
di stare con il suo amato anche se è malato, ed è addirittura felice di
assisterlo seduto accanto al suo letto o in ospedale. Non sente il sonno, non
avverte la fatica o l’accetta dolcemente. Esattamente come la madre con il
suo bambino, non c’è differenza.
In chi vive un amore totale, stare insieme produce una straordinaria
felicità anche perché consente di avere l’esperienza duale, cioè di
condividere le stesse esperienze. E questo fenomeno non vale solo per le
esperienze straordinarie come vedere insieme l’eruzione di un vulcano, fare
insieme il bagno in un mare meraviglioso, visitare un nuova città,
affacciarsi su uno stupendo paesaggio, vale anche per le esperienze
quotidiane e ripetute come guardare la televisione, andare al cinema,
mangiare insieme a tavola l’uno di fronte all’altro, andare al ristorante,
guardare le vetrine di un negozio, fare un acquisto, osservare il tramonto,
sentire la pioggia battere sul tetto, ascoltare lo sciacquio delle onde. Quando
uno dei due è solo ha l’impressione di essere incompleto, di essere solo
metà. Il mito raccontato da Aristofane, secondo cui gli esseri umani sono
stati divisi in due da Zeus e ciascuno cerca l’altra sua metà, non può essere
usato per spiegare l’innamoramento, però è una descrizione efficace
dell’esperienza duale, cioè del bisogno di condivisione che può continuare
tutta la vita.
Una quarta caratteristica di questo amore è il continuo desiderio di dirsi
che ci si ama. Perché il nostro amore, il piacere di vedere il nostro amato, di
abbracciarlo, di fare l’amore con lui sono così intensi da volerli
testimoniare senza fine. È come se noi non riuscissimo mai a comunicare al
nostro amato la straordinaria esperienza che egli ci dona. È come se ogni
volta volessimo ringraziarlo di esistere, di amarci. In realtà, se osserviamo
attentamente due persone profondamente innamorate e che continuano a
esserlo dopo molti anni, vedremo che esse non smettono di parlare di loro
stesse, di come sono, di cosa hanno fatto, di come si sono conosciute, di
come si sono amate, di come sarebbe stato bello se si fossero conosciute e
amate prima. E, anche quando ricordano lo stesso accadimento per la
decima volta, hanno l’impressione di dirsi sempre cose nuove perché ogni
volta scoprono una diversa esperienza, una diversa emozione, una diversa
sfumatura e la rivivono. Esse perciò non si annoiano mai. Una caratteristica
inconfondibile del grande amore che dura, dell’amore totale, è proprio
questa. I due amanti, quando sono insieme, non si annoiano mai.
Però, proprio perché stanno tanto bene insieme, essi soffrono quando
sono lontani e soffrono soprattutto quando non possono comunicare. Alcuni
hanno bisogno di parlarsi, di sentire la voce della persona amata. Un tempo
gli amanti si scrivevano lettere: resta famosa la corrispondenza di Eloisa e
Abelardo. In epoca moderna si fanno centinia di telefonate e si inviano
centinaia di SMS. Quando non possono farlo, i due amanti soffrono
moltissimo. Però la lettera, il messaggio, la telefonata rassicurano e danno
un senso di pace per poco tempo. L’unica cosa che dia loro la vera pace, la
vera serenità è la vicinanza fisica. Hanno bisogno di una continuità fisica
dei corpi anche solo sfiorandosi la mano, toccandosi sulla spalla, anche solo
vedendosi, accarezzandosi con la voce, riconoscendosi dal modo di
camminare, dalla gestualità, dal profumo. Sotto l’azione dell’amore il
sistema nervoso centrale elabora tutti questi stimoli, li pone in relazione e
ne ricava una sinfonia sensoriale ed emotiva inconfondibile, che ci manca
quando il nostro amato è lontano, lontananza che genera in noi un senso di
vuoto e, talvolta, di sofferenza.
Nel grande amore totale il desiderio di essere accanto al nostro amato è
così intenso che ci sembra di averlo sempre amato anche quando era
bambino, adolescente, perfino quando amava un altro. Rogan ne I dialoghi
degli amanti dice: «Saky, il mio amore per te non riguarda solo ciò che tu
sei nel presente, ma anche tutto ciò che sei stata nel passato. Ripercorrendo
la tua vita ti rivedo come sei stata e ti amo come eri. Anzi, avrei voluto
esserti sempre accanto per amarti allora come oggi. Ti amo per quando eri
una bambina e soffrivi perché non eri ricambiata dalla tua amica Lena.
Avrei voluto essere lì, prenderti in braccio e consolarti. Poi esserti vicino
quando ti accusavano, essere al tuo fianco vigile quando sei scappata in
Canada, ti rivedo lo sai? Come eri piccina, come eri seria quando sei andata
nella chiesa! Come avrei voluto accoglierti io, abbracciarti, aiutarti! Poi ti
vedo quando a diciotto diciannove anni portavi in giro i tuoi libri antichi dai
clienti. Che delizia! Come eri compresa dal tuo lavoro, orgogliosa dei tuoi
successi»2.
Infine, è come se l’amore costituisse tutt’attorno agli amanti un’aura
che può essere percepita da chi a sua volta ama o ha amato. Io e la mia
amata, nel passato, abbiamo più volte avuto l’impressione che il nostro
amore si trasmettesse all’esterno e che gli altri lo percepissero anche
quando noi non ci toccavamo. Ricordo poi con grande chiarezza un
episodio avvenuto anni prima, quando non eravamo ancora consapevoli di
amarci, ma credevamo di provare solo amicizia, simpatia, affetto l’uno per
l’altro. Un giorno camminavamo fianco a fianco sulla battigia del mare,
dove si spengono le onde, e non ci tenevamo neppure per mano. È passata
una donna sui sessant’anni, si è fermata e ci ha detto: «Scusate se vi rivolgo
la parola, ma vedendovi ho capito che vi amate tanto e mi sono ricordata
dell’epoca quando era vivo mio marito ed anche noi passeggiavamo sulla
spiaggia fianco a fianco ed eravamo felici. Vedendovi ho riprovato l’amore
e la gioia di allora e vi auguro di amarvi sempre così, come un tempo ci
siamo amati noi. Grazie.»

1 Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello apparve per la prima volta a puntate sulla rivista «Nuova
Antologia» nel 1904 e fu pubblicato in volume quello stesso anno.
2 Francesco Alberoni, I dialoghi degli amanti, cit., p. 216
26.
La bolla

In questo tipo di amore i due amanti sono così esclusivi l’uno per l’altro da
costituire, in certi periodi, un loro mondo separato in cui nessuno riesce a
penetrare. Un mondo in cui essi trovano le radici profonde di se stessi, la
sicurezza di fronte alle minacce del mondo esterno e la pace. È la bolla, la
sfera incantata della loro intimità, della loro unicità, il luogo della loro
verità e della loro purificazione.
La parola purificazione non viene più usata oggi. Ercole, tornato dalle
lotte, sporco di sangue, ancora posseduto dalla furia omicida, non riconosce
i suoi figli e li uccide. La violenza aveva impregnato il suo essere e, per
tornare alla vita civile, pacifica, avrebbe dovuto liberarsene compiendo un
rito di purificazione. Ogni religione conosce questi riti. In epoca cristiana la
purificazione veniva realizzata con la confessione e ritirandosi per qualche
tempo in convento. Il mondo moderno è convinto di non avere più bisogno
di purificazione. Il manager, il professionista, il commerciante, dopo una
giornata di lavoro, tornano a casa portandovi le loro tensioni, i loro
problemi, i loro crucci e hanno tempo solo per poche parole con la moglie o
con i figli. Poi si stordiscono davanti al televisore. Il politico passa
ininterrottamente da una riunione, da una manovra all’altra e, anche quando
cena o quando va in vacanza, non smette mai di pensare o di parlare dei
suoi problemi. E lo stesso il finanziere, il giornalista politico, l’accademico
impegnato in manovre concorsuali. Gli intrighi, le paure, le frustrazioni, i
rancori, il desiderio di rivalsa e di vendetta non svaniscono quando entra in
casa, quando entra in chiesa, quando si corica sulla riva del mare, quando
passa davanti a un paesaggio o a un monumento meraviglioso. Non
svaniscono nemmeno quando fa all’amore. A volte la donna non riesce a
distendersi, ad abbandonarsi, resta intimamente rigida, assente, dà il suo
corpo, non tutta se stessa. E a volte non riesce neppure a darsi, dovrebbe
dire: «Non ne ho voglia, non sono pronta, non mi sento» ma, di solito, trova
un’altra scusa: «Ho mal di testa». L’uomo si limita a essere frettoloso,
distratto. Questo perché il loro corpo, come il loro spirito, è irrigidito dalle
incrostazioni velenose che sono rimaste loro addosso. Tutte queste
incrostazioni tossiche devono essere lavate via per poter vivere nella bolla,
perché nessuno può restarvi se è carico di impurità. L’uomo può cercare di
entrarvi ma, se il processo di purificazione non è compiuto, vi si trova a
disagio e sente fortissimo il bisogno di purificazione, di liberazione. Di
solito è la donna che compie il lavacro purificale.
C’è un passaggio ne I dialoghi degli amanti che indica il momento di
purificazione, quando Rogan arriva dalla sua amata teso, rigido come fosse
di ghiaccio o di legno perché è ancora “contaminato” dalle tensioni del
mondo esterno e Saky gli dice: «Amore mio caro, quante volte ti ho visto in
questo stato! Come se la tua mente fosse ferita, il tuo animo disseccato, il
tuo corpo quasi privo di vita, freddo. E allora non parlavi, mi mettevi la
testa in grembo e mi abbracciavi stretta stretta la vita, i fianchi, come
volessi entrare dentro di me. Quante volte è successo! A poco a poco
riprendevi un po’ di forza, quanto bastava per coricarti sul grande divano.
Allora mi spogliavo, mi distendevo accanto a te, tu mi venivi vicino, mi
guardavi, mi accarezzavi e a poco a poco ti tornava la vita, la forza, il
buonumore». «Sì» risponde Rogan, «uscivo da quel mondo falso e
avvelenato. Ed era il tuo corpo a liberarmi»1.
Una volta avvenuta la purificazione, tutte le potenzialità del nostro
animo che erano anchilosate, irrigidite, congelate, tornano fluide, si
liberano. Le nostre sensazioni, la vista, l’udito, il tatto, le più incredibili
forme del piacere cenestesico, le nostre percezioni del bello, le nostre
emozioni amorose si moltiplicano e riacquistano il vigore, l’irruenza, la
forza elementare che avevano nella infanzia e nella adolescenza ma con la
consapevolezza matura. Ritorniamo capaci di stupirci, di ridere, di gridare
la nostra meraviglia, la nostra ammirazione, il nostro amore, la nostra
felicità. Senza doverci proteggere o difendere da pericoli e totalmente aperti
all’altro, totalmente fiduciosi, ci abbandoniamo a qualsiasi sfrenatezza e a
qualsiasi eccesso perché per noi sono solo teneri atti d’amore.
La bolla non è in un posto, non la si crea andando in un luogo speciale,
fosse anche la più stupenda camera del più stupendo albergo su un mare
incontaminato, come non è la camera nuziale desiderata e amata. È il luogo
in cui i due amanti si separano da tutti i legami, i rancori, le ansie del
mondo e restano solo loro due, uno di fronte all’altro, in uno stato di
purezza, di trasparenza, di candore, di totale abbandono. E questo può
avvenire nel luogo dove i due amanti si trovano abitualmente, o invece una
sera qualsiasi in un piccolo ristorante in cui non erano mai stati, e perfino a
una festa in cui sono con altri, ma in cui si isolano e restano loro due soli
chiusi in una capsula trasparente, irraggiungibili, in intimità totale.
I due amanti nella bolla restano naturalmente personalità distinte, libere,
autonome, con propri gusti, proprie esperienze di vita, in modo da poter
mettere in comune con l’amato tutta la loro ricchezza di pensieri, di
emozioni, di riflessioni. Talvolta essi si trovano nella bolla come fosse un
fatto abituale, altre volte invece vivono la netta sensazione di entrarvi, e si
accorgono di esservi entrati per l’intimità totale, la totale fiducia,
l’abbandono e la felicità che li avvolge, tanto che sembra loro di essere
innamorati di nuovo e si guardano stupiti e felici di amarsi.
La bolla è un’esperienza possibile esclusivamente nel grande amore
erotico che si raggiunge spesso solo dopo anni di confidenza, di intimità, di
saggezza amorosa. Essa sola ha il potere di far sperimentare di nuovo,
anche dopo anni o decenni di vita in comune, lo stato paradisiaco che gli
innamorati provavano all’inizio del loro amore. Quando esplode l’amore in
tutti i suoi aspetti. Quello della scoperta, della rivelazione, della
commozione, dell’incanto. Poi quello della confidenza serena, della
dolcezza, del sollievo, del riposo e della gioia, l’amore pacificato, l’amore
sicuro. E, infine, l’amore senza confini, scatenato, sfrenato, l’amore che è
eccesso, esagerazione, estasi.
Ho sempre sostenuto in tutti i miei libri, fin da Innamoramento e amore,
che l’amore dura solo se rinasce, se i due amanti si re-innamorano. E
questo si realizza effettivamente nella bolla. L’amore non è uno stato come
una lastra di marmo, ma un sistema ricco di energia, quindi è fatto da onde
come il mare, come la luce. È un continuo distanziarsi e riavvicinarsi, un
continuo entrare e uscire, è un continuo cercarsi e trovarsi, ma un cercarsi
vero perché l’altro ti manca e un trovarsi vero perché l’incontro è una vera
scoperta. E tutto sfocia nell’intimità straordinaria e purissima della bolla.
Nel grande amore totale, a ogni incontro, anche dopo venti anni, i due
amanti si guardano stupiti e si dicono: «Perché ti ho incontrato così tardi?
Perché non sei venuto da me prima, perché non mi hai chiamato prima? Io
ti avrei riconosciuto subito, ti avrei amato subito, amore mio. Anche se tu
fossi stata distratta da cento feste, corteggiata da cento corteggiatori, ci
sarebbe stato un momento in cui i nostri sguardi si sarebbero incrociati e tu
avresti capito che in quegli occhi c’era indicato il luogo in cui mi avresti
trovato, in fondo, quasi sulla riva del mare, dove ti stavo già aspettando».

1 Francesco Alberoni, I dialoghi degli amanti, cit., p. 279.


Conclusioni.
L’arte di amare

Normalmente alla fine di un libro io non do mai delle indicazioni pratiche


su come comportarsi, perché penso che il lettore, leggendo, abbia capito i
meccanismi e i processi del proprio agire e quindi possa modificare il
proprio comportamento, se lo ritiene opportuno. Ma farò un’eccezione in
questo caso perché ho l’impressione che il pubblico, in questa epoca storica,
abbia paura dei legami forti, degli impegni. Cerca legami deboli, poco
impegnativi, rapporti promiscui, convinto che il legame forte distrugga
l’erotismo e sia comunque fonte di sofferenza. A questo fenomeno sono
stati dati molti nomi. Lasch ha parlato di cultura del narcisismo, Maffesoli
del ritorno di Dioniso, Bauman della società liquida, Ghezzani di anoressia
affettiva. Tutti hanno comunque messo in evidenza l’indebolimento dei
legami forti a favore di quelli deboli, labili. È in questo quadro che va vista
la crisi del matrimonio in cui la gente prende l’impegno di amarsi per tutta
la vita, ma poi quando finisce o anche solo si attenua l’amore e nascono
conflitti, i due si separano o divorziano. Inoltre, come abbiamo visto, la
sessualità viene sempre più separata dall’amore e considerata un piacere a
se stante che si può ottenere con qualsiasi partner: coniugi e conviventi
hanno spesso relazioni erotiche con altri, ma poiché l’amore è per sua
natura esclusivo, questo porta alla rottura della relazione. Altri cercano
rimedi come lo scambio di coppia o il matrimonio aperto, ma di fatto queste
soluzioni portano solo a un aumento della promiscuità e indeboliscono la
coppia.
Aumentano perciò continuamente i single ma non è affatto detto che la
libertà renda più facile l’amore. Alcuni hanno ormai paura dell’amore in sé,
dei legami e delle sofferenze che può creare, paura del tradimento, paura
dell’incomprensione. In realtà, paura di non riuscire a realizzare un vero
grande amore. E questa paura la notate quando domandate alla gente che
cosa gli fa venire in mente “un grande amore che dura”. Molti vi
risponderanno che gli vengono in mente due vecchietti arrivati alle nozze
d’oro e che stanno insieme per abitudine, per affetto, perché c’erano i figli,
perché si sono adattati pazientemente l’uno all’altro, perché era ormai
troppo tardi per cambiare. Qualcosa che i giovani non si augurano affatto di
realizzare.
D’altra parte, nell’esperienza concreta, quasi tutte le coppie seguono
quella che è ormai considerata la traiettoria naturale dell’amore, un arco
che nasce con l’innamoramento, poi prosegue con l’aggiustamento pratico,
a cui segue il declino della passione, dell’erotismo, e resta al massimo una
convivenza affettuosa. E, non poche volte, una convivenza conflittuale cui
segue la separazione, la vita da single con cui il ciclo ricomincia.
Questo libro sostiene che tale traiettoria non è né naturale né immutabile,
ma è soltanto il prodotto delle trasformazioni socioeconomiche e della
cultura della nostra epoca, di una concezione dell’amore e dell’erotismo che
andava bene cento anni fa, ma che ora è superata. Sostiene che in molti casi
è il prodotto di sbagli superficiali che compiamo nella fase di
innamoramento e nella successiva fase di vita di coppia. Sbagli che sono il
risultato di regole decadute di una società in cui la vita umana era breve, il
matrimonio indissolubile per legge e, quindi, anche l’amore nel momento
del matrimonio era considerato base sufficiente per creare una coppia
duratura. Insomma, quando nel matrimonio si poteva promettere di amare
“fin che la morte non ci separi”. Ma oggi tutti sanno che l’amore non si può
promettere e, così, si finisce per credere che nemmeno l’amore possa
durare.
Ricordiamo poi che in Occidente non è mai stata studiata una fisiologia
dell’innamoranento e tantomeno una fisiologia dell’amore erotico
appassionato che dura e, di conseguenza, non è mai nemmeno stato
possibile pensare a una sua patologia e a una sua terapia. La cosiddetta
terapia di coppia, in realtà, si è sempre proposta di fare continuare la coppia
in modo armonico, non certo di generare una passione amorosa ed erotica
totale.
Questo libro, invece, nasce dall’ipotesi che molte persone, anche nella
nostra epoca, continuino a desiderare un amore intenso e appassionato, un
amore che conserva il brivido dell’innamoramento e non si spegne subito
nella monotonia dell’abitudine o nel dolore del fallimento. Un grande
amore totale che ti dà una felicità erotica indicibile, che dura nel tempo e
che, anziché affievolirsi, s’intensifica. Questo libro è rivolto a coloro che
vogliono ancora provare tale tipo di amore totale e non a coloro che invece
hanno deciso di cambiare spesso partner, che vogliono il sesso senza amore
e non intendono stabilire legami forti e impegnativi.
Il mondo moderno non ha un unico modello di rapporto sesso-amore.
Ciascuno faccia come vuole. Io posso assicurarvi che coloro che desiderano
sperimentare un grande amore erotico, possono trovare in questo libro un
aiuto per realizzarlo. Altri possono trovarvi il modo per evitare il precoce
naufragio della coppia e altri ancora un modo per tenere viva una passione
che già esiste.
Giunti alla fine, penso addirittura di provare a raccogliere alcuni
principi, alcune norme pratiche per ottenere questo risultato. Cosa possiamo
fare perché il grande amore erotico duri? Come impedirgli di spegnersi
nella banalità, nell’indifferenza e nell’incomprensione?
Ecco alcuni principi guida.

1) L’innamorato vede l’oggetto del suo amore come qualcosa di


straordinario, di stupendo, di unico al mondo. Non deve vergognarsi di
vederlo così. Non deve temere di esagerare nel dirgli la sua ammirazione, la
sua felicità, perché non c’è una realtà oggettiva al di là dell’amore, al di là
della nostra visione innamorata. L’amore è un continuo scoprire la ricchezza
del nostro amato e perciò non stancarti di dirgli come lo vedi, come lo
ammiri, e ringrazialo per ciò che è, per ciò che ti dà. L’amore è sempre
sospeso come Eros fra la terra e il cielo, fra la certezza e il dubbio e ha
perciò bisogno di continua rassicurazione.

2) Se vuoi che l’amore duri devi per prima cosa abbandonarti all’amore
appassionato, accettarlo, desiderarlo, volerlo, considerarlo un bene, un
valore, una fonte di gioia, non temere di esagerare, non guardare a quello
che fanno gli altri. E non aver paura di dedicarti troppo a lui, di esagerare.
L’amore è per definizione un’esagerazione, un eccesso. In tutti i campi, nel
desiderarsi, nel piacere, nel cercarsi, nel soffrire, nel godere, nel parlarsi.
Gli amanti parlano sempre appassionatamente di se stessi. Non stancarti
mai di dire ciò che provi al tuo amato e ascolta ciò che lui ti dice.

3) Al nostro amato dobbiamo raccontare tutta la nostra vita passata e


lui la sua a noi, raccontarla nel modo appropriato per non urtarlo, per non
offenderlo, per non ferirlo, ma non dobbiamo nascondere nulla di
importante. E fin dall’inizio dobbiamo applicare la regola fondamentale
dell’amore che dura: dire sempre la verità. Ma per dire all’altro la verità
dobbiamo per prima cosa dirla a noi stessi, non costruire una nostra
agiografia ideale in cui finiremmo sempre per nascondere ciò che siamo
realmente e quindi essere costretti a fingere, a recitare.

4) In amore entrambi dobbiamo dirci la verità, anche nella vita


quotidiana, anche nelle piccole cose, per restare trasparenti l’uno all’altro. E
dobbiano farlo anche quando abbiamo punti di vista divergenti, anche
quando desideriamo cose diverse. Se stiamo male diciamocelo, se stiamo
bene diciamocelo, se non siamo d’accordo diciamocelo. Nessun problema
deve restare celato, ma affrontato con la parola e risolto. Alcuni instaurano
una convenzione ipocrita in cui sembrano sempre d’accordo mentre in
realtà ciascuno subisce l’imposizione dell’altro.

5) Col nostro amato non dobbiamo avere segreti, non dobbiamo avere
vergogna di mostrarci come siamo tanto dal punto di vista morale che
fisico. Certo, per lui dobbiamo sempre cercare di essere aperti, generosi,
coraggiosi, saggi, ma ricordiamo che nella vita possiamo fare sbagli e avere
momenti di debolezza, di depressione, di paura. Non dobbiamo nasconderli,
ma mostrarli con sincerità e poterci così aiutare a vicenda. Lo stesso vale
per l’aspetto fisico: cercheremo di mostrarci belli, eleganti, ma ricordiamo
che ci vedremo deboli, ammalati e ci piaceremo sempre lo stesso. L’amore
rende bella ogni cosa, anche la fragilità, anche il bisogno. Ciascuno deve
volere il bene dell’altro in tutte le sue possibili forme.

6) Non dobbiamo aver freni, limiti, tabù nel campo del piacere erotico. Il
piacere erotico è la più importante arte che devono coltivare i due amanti.
Essi devono dare al loro amato qualcosa che non ha mai avuto prima. Per
riuscirci devono sempre dirsi reciprocamente cosa desiderano, cosa dà loro
piacere, senza pudori e senza vergogna, con assoluta ingenuità, con
sincerità, con candore. Ciascuno deve cercare il piacere per se stesso, essere
egoista e, saputo cosa l’altro desidera, darglielo, soddisfare il suo egoismo.
Ma mai fingere, mai mentire.
7) Allo stesso modo non dobbiamo aver paura di guardare il mondo
insieme, in tutti i suoi aspetti, e di analizzare, spiegare, discutere tutto ciò
che ci capita e che ci circonda. Non dobbiamo mai dare ragione al nostro
amato per farlo contento, per compiacenza, dobbiamo sempre dire il nostro
vero pensiero cercando solo di essere gentili, chiari, senza mai insistere o
voler imporre nulla. Potremo poi essere d’accordo o in disaccordo ma
avremo entrambi imparato, saremo entrambi cresciuti e ci saremo integrati
intellettualmente. In questo modo realizzeremo una vera intimità
intellettuale.

8) Il grande amore erotico è esclusivo e perciò dobbiamo essere fedeli,


assolutamente fedeli. L’amore vuole il possesso assoluto del corpo
dell’amato. Qualsiasi altra persona, qualsiasi altro rapporto lo contamina.
Solo se è totalmente nostro e noi totalmente suo, quel corpo può darci
l’estasi, la felicità. Perciò non dobbiamo essere fedeli per obbligo, ma solo
per conservare puro e perfetto quell’amore e quel piacere unico, assoluto e
insuperabile che abbiamo realizzato insieme e che solo insieme possiamo
continuare a provare.

9) L’amore non deve mai, assolutamente mai, diventare obbligo, non


deve mai costringere, negare la libertà dell’altro. L’amore è un donarsi
all’altro nell’attesa che la sua libertà ti scelga. Solo così dura anche per anni
o per decenni. All’opposto, chi vuole farsi amare usando la coercizione, il
ricatto o la legge vi inserisce il virus che lo distrugge.

10) Noi possiano amare solo una persona libera, che ci vuole
liberamente, e quindi che potrebbe anche non volerci, non amarci, tradirci.
L’amore non può mai essere dato per scontato, ma continuamente
conquistato, meritato. L’amore che dura è un continuo reciproco dono, un
continuo miracolo, una continua stupefacente sorpresa. Esso è perciò una
continua domanda: «Mi ami?» che attende sempre la stessa riposta: «Sì, ti
amo».

11) I due amanti devono potersi dire qualsiasi cosa e per ottenere questo
risultato devono imparare a parlarsi con l’unico scopo di spiegare se stessi e
di comprendere l’altro, di essere reciprocamente trasparenti e sinceri.
Devono cioè costruire il linguaggio in cui tutte le parole, tutte le frasi sono
state filtrate dalla purezza dell’intenzione d’amore, il linguaggio
dell’autenticità.

12) Ciascuno deve avvicinarsi all’altro purificato. Non deve portare con
sé rancori, risentimenti, vendette, desideri di punire. Deve presentarsi solo
con la sua innocenza, con il suo candore, con la sua sincerità, con i suoi
desideri, e creare con il suo amato una bolla che appartenga esclusivamente
a loro, in cui nessuno può entrare e che nessuno può contaminare. Il luogo
della loro intimità e della loro felicità.

Questi sono i sentimenti, le regole che ciascun innamorato dovrebbe


ricordare nel rapporto con il suo amato e amante. E farlo fin dall’inizio
dell’innamoramento, quando ci si racconta tutto l’uno dell’altro. Non
importa quale sia stata la vostra vita amorosa ed erotica prima di
incontrarvi. Nello stato nascente dell’innamoramento rinasciamo totalmente
nuovi.
Ma le regole che abbiamo appena elencato non servono solo per tenere
vivo un amore nascente. Possono essere adottate anche da due persone che
si amano e vogliono che il loro amore non declini ma continui a crescere. E
possono essere utili anche in certe coppie innamorate il cui amore va
spegnendosi. In tutte le relazioni, perfino in quelle più stanche, o in cui ci
sono stati tanti ostacoli che hanno impedito il pieno svolgersi del rapporto
amoroso come figli, malattie, problemi di lavoro1, appaiono infatti
spontaneamente dei momenti di amore, di tenerezza, in cui siamo presi da
un attacco d’amore. Questi momenti sono in realtà dei risvegli
dell’incantesimo delle origini. Magari lo prova solo uno dei due, ma l’altro
non deve chiudere il suo cuore, deve ascoltare e rispondere, e allora vedrà
con stupore che anche il suo animo si apre. Basta un gesto, un abbraccio,
una carezza, un ricordo e il fuoco dell’amore si risveglia. Perché l’amore ha
lo straordinario potere di rinascere, di rivitalizzarsi. Ma di solito noi non
facciamo nulla perché si riaccenda, lasciamo cadere l’occasione,
dimentichiamo l’invito.
L’insegnamento di questo libro indica una strada con cui si può
riaccendere il fuoco dell’inizio, rinnovare l’ardore della passione. Esso ci
dice che l’amore che dura è la conseguenza di un rapporto ingenuo e
sincero, del candore, della verità, della libertà, della capacità di parlare, del
desiderio di piacere. E può rinascere continuamente se sappiamo cogliere
l’occasione. Volendo usare un’immagine marinaresca, noi sappiamo che,
per partire con una barca a vela, dobbiamo aspettare che ci sia un po’ di
vento e, quando siamo in bonaccia, basta una folata per poterci muovere,
ma in tutti i casi dobbiamo essere pronti a coglierla e abili nelle manovre.
Perché anche l’amore è un succedersi di onde e di folate di vento che ora ci
spingono ora ci rallentano, ma il bravo navigante le sa utilizzare come
vuole. Questa è l’arte di amare.

1 In questo libro non ho voluto prendere in esame tutti i fattori pratici, concreti che ostacolano o
impediscono il pieno svolgersi della passione amorosa. Difficoltà economiche, impegni di lavoro, la
nascita, la cura dei figli, le malattie e i mille problemi che dobbiamo affrontare nella vita quotidiana.
Io infatti volevo dare una idea chiara e semplice di cos’è un grande amore e mostrare la strada con
cui possiamo raggiungerlo lasciando che ciascuno poi ne percorra il tratto che può e che vuole.
Consapevole che senza un traguardo, senza un ideale, nessuno si mette in moto e nessuno arriva alla
meta.
Indice

Prima parte
Superare un pregiudizio
1. Impostazione del problema
2. Il processo di innamoramento
3. Quando ci innamoriamo?
4. Di chi ci innamoriamo?
5. La storicizzazione
6. Le prove
7. Le istituzioni di convivenza
8. Le oggettivazioni
9. Ma è questo l’amore?

Seconda parte
Esplorazioni
10. In Oriente
11. Innamoramento e Occidente
12. La crisi contemporanea
13. Il significato universale dell’innamoramento
14. Il problema del linguaggio erotico
15. La melodia cinetica
16. Il grande amore erotico

Terza parte
L’amore totale
17. Un esperimento
18. Le basi dell’amore totale
19. L’affinità elettiva
20. La fedeltà
21. La verità
22. Gelosia del passato e redenzione
23. La libertà
24. La parola
25. Intimità
26. La bolla

Conclusioni. L’arte di amare

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