FACOLTÀ DI INGEGNERIA
ILLUMINOTECNICA
GRANDEZZE FOTOMETRICHE
VISIONE E COMFORT VISIVO
ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE
ILLUMINAZIONE NATURALE
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IILLUMINOTECNICA a
INTRODUZIONE ALL’ILLUMINOTECNICA
Una delle più innovative invenzioni scientifiche è certamente la lampada di Edison. Essa ha
totalmente cambiato la vita di tutti noi consentendoci di vedere in ogni condizione senza dover
dipendere dalla luce solare.
Certo i mezzi utilizzati fino ad inizio secolo erano stati sufficienti per l’illuminazione artificiale: in
fondo dalla torcia al lume ad olio o alla candela in cera o al lume a petrolio non ci sono grandi
evoluzioni tecnologiche se non nel materiale utilizzato.
Figura 1: “Donna che cuce alla luce della lampada” (1828) di Georg Friedrich Kersting
Ciò che caratterizza l’illuminazione artificiale con lampade moderne è la possibilità di ricreare una
ambiente confortevole che consente non solo di vedere (o appena di vedere) ma di vivere in piena
dignità e di produrre in piena sicurezza.
L’evoluzione della tecnica dell’illuminazione non è solamente tecnologica (mezzi più evoluti,
meno costosi e più efficienti, ma anche funzionale nel senso che tende a creare le migliori condizioni di
benessere visivo. Con questa definizione si intende, ancora una volta, l’atteggiamento mentale di piena
accettazione senza sensazioni sgradevoli dell’ambiente visivo.
Oggi siamo in grado di illuminare in modo diverso a seconda delle esigenze: per lavoro, per
svago, per arte, .. Disponiamo di numerose sorgenti luminose che consentono di vedere fedelmente i
colori degli oggetti e di illuminare gli oggetti nel modo desiderato evitando, ad esempio, effetti
indesiderati e sgradevoli quali l’abbagliamento visivo.
Per arrivare a questo stadio della ricerca e della tecnica si è passati in varie fasi, ancora non
esaurite, che hanno avuto origine proprio con la piena disponibilità di luce mediante illuminazione
artificiale.
La vita notturna è oggi possibile grazie alla possibilità di ricreare condizioni accettabili di visibilità
e di poter lavorare in tutta sicurezza. Si parla già di città da utilizzare per 24 ore anziché per il solo
periodo diurno.
IILLUMINOTECNICA b
In questo modo si avrebbe un utilizzo più razionale delle risorse urbane (strade, uffici, negozi,
trasporti, ..) distribuendolo nell’arco dell’intera giornata ed evitando gli affollamenti mattutini per gli
uffici, la scuola, i negozi ,…
La nozione di comfort visivo è ormai, forse inconsciamente, diffusa e quasi banale per tutti. In
realtà lo studio del comfort visivo è sempre in continua evoluzione e siamo ben lontani dall’avere
esaurito l’argomento. In fondo a definire le condizioni di benessere visivo è l’Uomo mediante il suo
organo della vista. Tanto più avanzano le conoscenze sugli organi umani tanto più si evolvono le
conoscenze sul comfort in genere e in particolare su quello visivo.
L’analisi e la valutazione del livello di illuminazione che si vuole raggiungere in uno specifico
ambiente (abitazione, ufficio, industria, scuola, ospedale, etc.), per una perfetta visione, assume primaria
importanza in fase progettuale essendo ad essa legata il corretto svolgimento delle attività lavorative. La
maggior parte delle informazioni necessarie per lo svolgimento di una attività lavorativa sono infatti di
tipo visivo per cui, le modalità di illuminazione del compito devono essere attentamente valutate al fine di
garantire il comfort dell’operatore.
Per raggiungere tale obiettivo bisogna:
⋅ realizzare un ambiente luminoso idoneo a soddisfare le esigenze fisiopsicologiche dell’operatore assicurando sempre,
ove possibile, il ricorso all’illuminazione naturale;
⋅ rendere ottimale la percezione delle informazioni visive, per assicurare buone condizioni di lavoro ed una
prestazione visiva veloce e precisa.
Sulla base di queste premesse la progettazione degli interni non deve mirare esclusivamente al
raggiungimento di un illuminamento uniforme del piano di lavoro e quindi dell’ambiente, ma deve
garantire una corretta visibilità del compito visivo mediante un’analisi accurata e dettagliata di tutti quei
parametri che ne influenzano la prestazione visiva quali: il contrasto percepito dall’operatore, lo stato di
adattamento, la presenza di fenomeni di abbagliamento e di riflessione, la procedura di svolgimento del compito visivo, etc.
Particolare importanza riveste lo studio dello spazio fisico e delle caratteristiche funzionali ad
esso connesse quali:
⋅ corretta dimensione degli ambienti e delle superfici vetrate;
⋅ finitura, colore e caratteristiche di riflessione delle superfici;
⋅ dimensione e caratterizzazione di eventuali schermi;
⋅ definizione delle classi di utenza;
⋅ definizione delle attività svolte nell’ambiente;
⋅ profilo di occupazione dell’ambiente.
Questo testo, affrontando il problema dell’illuminazione di interni con luce artificiale e con luce
naturale descrive inoltre i principali parametri da adottare in fase di progettazione e di verifica degli
ambienti.
Riguardo ai metodi di calcolo essendo, l’illuminazione naturale legata ad una sorgente (il sole) con
continue variazioni del flusso luminoso (la luce proveniente dal cielo infatti è caratterizzata dalla
luminanza della volta celeste la cui distribuzione dipende da vari fattori quali: posizione del sole -
altezza solare, azimut, etc -, dalla nuvolosità e dalla presenza nell’atmosfera di eventuali particelle in
sospensione) si farà riferimento a dei parametri in grado di mettere in relazione l’illuminazione interna
con quella esterna (illuminamento diffuso su piano orizzontale: il “Fattore medio di luce diurna” proposto
dal Regolamento Edilizio dell’Emilia Romagna (maggio 1995).
Nei prossimi capitoli si vedranno i fondamenti dell’Illuminotecnica con particolare riferimento ai
fattori ambientali che definiscono gli indici di benessere illuminotecnico, se ne studieranno le procedure
di definizione, le normative e la legislazione vigente.
Data la limitatezza del tempo a disposizione per la trattazione dell’Illuminotecnica nell’ambito del
corso di Fisica Tecnica si presentano in questa sede solo gli aspetti ritenuti più importanti e
fondamentali rinviando per gli approfondimenti ai testi e manuali specializzati indicati in Bibliografia.
1. LE PROBLEMATICHE DELL’ILLUMINOTECNICA
Il comfort visivo è oggi preso in seria considerazione per i molteplici aspetti che presenta nella
vita quotidiana.
Con l’acuirsi di una maggiore sensibilità verso il risparmio energetico si sono sviluppati nuovi
criteri di progettazione e di verifica dell’illuminazione (artificiale e diurna) sia per ridurre i consumi che
per il raggiungimento di condizioni ottimali di comfort visivo.
In questi ultimi mesi si assiste, inoltre, ad un fiorire di regolamenti comunali che regolano il
progetto delle finestre al fine di ottenere una corretta illuminazione naturale.
In campo industriale si hanno corpi illuminanti più efficienti e flessibili rispetto a quelli disponibili
una decina di anni fa.
Contemporaneamente si assiste ad uno sviluppo anche di CAD illuminotecnici per la
progettazione e verifica luminosa non solamente di impianti tradizionali di illuminazione artificiale ma
anche per l’illuminazione di monumenti (illuminazione artistica), di sale museali, …
1 Commisione Internationale pour l’Eclarage, è l’Ente che sovrintende all’emissione di standard nel campo
dell’Illuminotecnica.
2 La luminanza sarà definita nel prosieguo insieme alle altre grandezze illuminotecniche.
IILLUMINOTECNICA 2
quando i valori di luminanza delle zone considerate sono diversi ma di ordine comparabile, si può
L2 − L1
definire un valore medio espresso dalla seguente relazione:
0, 5( L2 + L1 )
Brillanza: attributo della sensazione visiva secondo il quale un'area appare emettere, trasmettere
e riflettere radiazione visibile. E’ il corrispondente soggettivo della luminanza.
Abbagliamento: condizione che genera fastidio e riduce la capacità di distinguere gli oggetti in
conseguenza di una distribuzione o di un livello inadeguati della luminanza oppure di contrasti eccessivi
nel campo visivo.
Abbagliamento da luce riflessa: abbagliamento (3.1.6) prodotto dalla riflessione di oggetti
luminosi, soprattutto se l'immagine appare nella direzione dell'oggetto osservato o vicino ad essa.
Campo visivo: superficie o estensione di uno spazio fisico che l'occhio vede fisso in una
direzione assegnata.
Compito visivo: oggetto della visione.
Intorno del compito visivo: insieme dello spazio che può essere visto da una posizione
precisata quando si muovano la testa e gli occhi. Nota: in fisiologia si usa il termine “mira”.
Postura: posizione abitualmente assunta dal corpo del lavoratore durante l’esecuzione della
singola operazione (per esempio: eretta, seduta, etc.)
Interni e sistemi di lavoro
Sistema di lavoro: combinazione di persone ed attrezzature che interagiscono nel processo di
lavoro, per effettuare il compito di lavoro, nello spazio di lavoro, all'interno dell'ambiente di lavoro,
sotto le condizioni imposte dal compito di lavoro.
Spazio di lavoro: spazio dedicato a una o più persone nel sistema di lavoro (3.2.1) per
completare il compito di lavoro.
Piano di lavoro: piano sul quale è svolto il compito visivo.
Piano di lavoro di riferimento: piano orizzontale sul quale è calcolato l'illuminamento medio
nella fase di progetto3.
Illuminazione generale: illuminazione progettata per illuminare una intera area
approssimativamente in modo uniforme.
Illuminazione localizzata: illuminazione progettata per un interno al fine di ottenere anche una
maggiore illuminazione sopra una o più parti dei locale.
Illuminazione locale: illuminazione per uno specifico compito visivo (3.1.9) complementare e
controllabile separatamente dalla illuminazione generale.
Luce: agente fisico che stimolando l’occhio permette di vedere le cose che ci circondano. Può
essere inteso, relazionando le due teorie corpuscolare ed ondulatoria, come un flusso di particelle, i
fotoni, i cui fenomeni possono essere spiegati dall’elettrodinamica quantistica (QED: Quantum Electro-
Dynamics). Il Fotone è il quanto elementare di energia della luce; si misura in Joule ed è dato dalla
relazione:
E=hf (1)
ove h è la costante di Planck (J/s) ed f la frequenza (s).
Diottria: misura ottica definita come il reciproco della distanza focale (espressa in metri) di un
sistema ottico.
Nel prosieguo si introdurranno i concetti fondamentali di Illuminotecnica Fisica e poi si
vedranno alcuni cenni storici sulla teoria della luce anche per comprendere la complessità del
fenomeno.
Successivamente si vedranno le condizioni di comfort visivo alla luce delle più recenti teorie e
ricerche.
3
Se non altrimenti indicato, il piano di lavoro di riferimento è assunto ad una altezza di 0,85 m sopra il suolo; per le
scrivanie, per esempio, l'altezza secondo le UNI 7368 e UNI 9095 è di 0,72 m.
IILLUMINOTECNICA 3
ove K(λ) è il fattore di visibilità assoluto e w(λ) la radianza mono energetica della sorgente.
L’integrale è esteso fra 380 e 780 nm che corrisponde all’intervallo di visibilità dell’occhio umano
medio. Si osservi che la precedente relazione è il legame fra la grandezza fisica (oggettiva) w(λ) e la
visione dell’Uomo. Normalizzando il fattore di visibilità assoluta si può anche scrivere:
780 nm
Φ = 683∫ k ( λ ) w ( λ )d λ , Lumen (3)
380 nm
w
λ
Lunghezza d'onda λ
Φ = π I0
IILLUMINOTECNICA 6
Io cos α
α
Io
Io
[ L] = 2 = [ Nit ] [Stilb] =
Cd Cd
2
= 104 Nit
m cm
Un confronto con la definizione dell’intensità energetica, definita a proposito dell’Irraggiamento,
porta a riconoscere nella luminanza la grandezza analoga in campo illuminotecnico.
Per i corpi lambertiani si ha che la luminanza non dipende dalla direzione ε:
I ε = I 0 cos ε
e quindi:
IILLUMINOTECNICA 7
Iε I cos ε
L= = 0
S cos ε S cos ε
cioè:
I0
L=
S
2.1.4 ILLUMINAMENTO
Una grandezza molto utilizzata nella pratica (forse quella maggiormente nota, anche per l’utilizzo
che se fa in fotografia) è l’illuminamento dato dalla relazione:
dΦ ricevuto
E= Lux (10)
dA ricevente
Combinando con la relazione dell’intensità si ottiene anche l’importante relazione:
da cos α 2
d Φ ricevuto d Φ d Ω R
EP = = ⋅ = Iε (11)
dAricevente d Ω dA dA
da cui si ricava:
4π R 2 (1 − ρ )
Φ 0 = Emisurato = Emisurato K (22)
ρ
con la costante della sfera K data da:
4π R 2 (1 − ρ )
K= (23)
ρ
Pertanto si determina F dalla misura di E sulla sfera.
Per un solido fotometrico avente simmetria di rotazione si può calcolare il flusso luminoso
suddividendo la sfera in quattro zone corrispondenti agli angoli (IEC N. 52/1982):
π 3
, π, π , 2π
2 2
Il flusso Φ , ricordando quanto sopra scritto, vale:
2π π π
Φ=∫ Id Ω = ∑ Iα ∆Ωα = 2π ∑ [( cos α ) − cos(α + dα )]
0
α =0 α =0
per cui:
Φ12 = π L1 S1 F12 (29)
Ricordando che per corpi lambertiani la radianza è R = πL si ha:
Φ S
E2 = 12 = R1 1 F12 (30)
S2 S2
La risoluzione della (28) non è agevole se non per geometrie semplici per le quali si riesce ad
effettuare il calcolo degli integrali di superfici.
In Figura 21 si ha un esempio di fattore di forma per due geometrie semplici: piani formanti un
diedro retto e piani paralleli. Il fattore di forma è dato dalle curve nei rispettivi abachi al variare dei vari
rapporti geometrici.
Nello studio dell’Irraggiamento si sono viste altre geometrie e altri metodi di calcolo (anche
semplificati) per il calcolo di F12.
Si ricordi che vale la legge di reciprocità cioè deve aversi:
S1 F12 = S2 F21 (31)
e pertanto nei calcoli applicativi basta calcolare solo uno dei fattori di forma.
IILLUMINOTECNICA 14
che è la relazione per il calcolo dell'Illuminamento in un punto P dovuto ad una sorgente estesa S
e di luminanza costante L.
IILLUMINOTECNICA 15
Per altre sorgenti, come ad esempio, tubi a vapore di mercurio, a vapori di sodio e fluorescenti, si
ha la relazione:
Lε = L*s = Costante
In funzione delle tipologie di sorgenti si effettua, quindi, il calcolo della (36).
IILLUMINOTECNICA 16
Nel corso degli ultimi tre secoli due diverse teorie si sono contese il privilegio di spiegare la
natura della luce, a seguito di studi condotti da Isaac Newton (1642-1727) e da Cristopher Huygens (1629-
1695).
Figura 23: Ritratti di Cristopher Huygens, (da ignoto) e di Isaac Newton, (ritratto da C. Jervas)
Secondo Isaac Newton la luce doveva essere formata da una successione di minuscole particelle mentre Cristopher
Huygens sosteneva l’esistenza di un sistema vibratorio, concepito sotto forma di sfere elastiche di un sistema vibratorio, in
contatto fra di loro, che diffondeva i suoi impulsi nell’etere, un mezzo impercettibile ovunque presente.
Tale controversia, una delle più interessanti che si siano verificate nella storia della Scienza di tutti
i tempi, ha origine dalla pubblicazione di Giovanni Keplero dal titolo “Ad vitellionem paralipomena” avvenuta
nel 1604 con la quale viene dato un assetto definitivo alla spiegazione del meccanismo della visione sino
a quel tempo ancora relegato a interpretazioni fantasiose e prive di qualsiasi supporto sperimentale,
perfezionando quanto asseriva l’arabo Ibn – Al - Haitham nel XI secolo4. Keplero spiegò che da ogni
punto di un corpo luminoso o illuminato partono in tutte le direzioni infiniti raggi rettilinei che, per
rifrazione del sistema ottico dell’occhio, formano l’immagine sulla retina.
Dopo Keplero si affermò definitivamente il concetto di lumen, l’agente fisico esterno, e nel giro di
pochi anni si sviluppò un’importante capitolo della scienza chiamata ottica geometrica con la quale furono
condotte tra l’altro dettagliate ricerche per comprendere la natura del lumen abbandonando quasi
definitivamente gli studi sulla lux (l’effetto psichico corrispondente al lumen). Si affermarono quindi
due correnti di pensiero: una che considerava il lumen come sciame di particelle materiali, cioè una
substantia e l’altra che lo considerava un movimento, cioè un accidens. Ci si pose anche la domanda: che
cosa succede ai raggi di luce passando da un mezzo all’altro? Mediante semplici prove sperimentali si
osservò che quando la luce entra obliquamente, formando cioè un angolo con la perpendicolare alla
superficie, in una sostanza trasparente, essa viene rifratta secondo una direzione che forma, sempre con
la perpendicolare, un angolo inferiore a quello d’incidenza.
4 Secondo Ibn-Al-Haitham, da ogni corpo si propagano, secondo delle traiettorie che uniscono l’oggetto considerato
con l’occhio, dei corpuscoli infinitamente piccoli e percettibili solo se capaci di penetrare entro le orbite oculari. In base a tali
postulati, accettati da tutti i filosofi dell’epoca, la luce è un fenomeno psichico, cioè una rappresentazione a cui la psiche
perviene quando sulla retina agisce un agente esterno di natura fisica. In funzione di quanto in precedenza descritto furono
adottate due parole capaci di spiegare in maniera esauriente tali fenomeni: lumen fu chiamato l’agente fisico esterno
(composto da raggi rettilinei) e lux si chiamò l’effetto psichico corrispondente
IILLUMINOTECNICA 17
Nel 1621 il filosofo olandese Willebrord Snell stabilì la relazione esistente fra l’angolo d’incidenza e
l’angolo di rifrazione giungendo alle medesime conclusioni di Renè Descartes detto Cartesio5 (1596-1650).
Cartesio nel suo trattato Diottrica si occupò delle leggi di riflessione della luce in uno specchio,
considerando la luce stessa costituita da piccole sfere che si comportano come palle da biliardo che
urtano la sponda del tavolo e rimbalzano sempre con la stessa angolazione pari a 45°.
Nonostante la deduzione cartesiana di luce fatta da corpuscoli, non si era ancora in grado di dare
una risposta esauriente circa il problema dei diversi colori della luce. Nel 1672 Isaac Newton nella sua
lettera Philosophical transactions espose le proprie idee circa la natura dei colori scaturite da circa dieci anni
di esperienza mediante l’utilizzo di prismi ottici.
Egli fece in modo che un raggio di luce incidesse obliquamente su una faccia di un prisma
triangolare di vetro: il raggio veniva rifratto una prima volta quando penetrava nel vetro ed una seconda
volta nella stessa direzione, quando ne usciva da un’altra faccia del prisma verificando l’effettiva
differente inclinazione tra raggio incidente e raggio rifratto.
Sempre con tale esperimento ci si accorse che il raggio luminoso che fuoriusciva dal prisma
colpendo una superficie bianca formava una striscia di vari colori, che vanno dal rosso al viola, anziché
una luce bianca. Nulla togliendo alla sua grandezza Newton, con la sua teoria corpuscolare, diede una
spiegazione errata del fenomeno ammettendo che i corpuscoli della luce avevano forma e caratteristiche
diverse a seconda del colore del raggio considerato, i quali venivano attratti dai corpi che
attraversavano, secondo leggi simili a quelle della gravitazione universale. Nonostante i molti
interrogativi che la teoria corpuscolare lasciava irrisolti6 questa divenne la teoria ufficiale del lumen
durante tutto il secolo XVIII.
Il più noto oppositore della teoria corpuscolare fu il fisico olandese Cristian Huygens (1629-1695).
Huygens dichiarava che il fenomeno della diffrazione era causato dalla minore velocità della luce nei
mezzi più densi, prospettando con felice intuizione un’ipotesi che soltanto molti anni dopo doveva
essere confermata sperimentalmente dal fisico francese Foucault. La teoria ondulatoria, così venne
chiamata la teoria alternativa proposta da Huygens, si rifà all’idea di un lumen come accidens secondo la
quale la luce è costituita da piccolissime onde.
Il fisico olandese sosteneva che le differenti lunghezze d’onda della luce fanno sì che l’occhio
distingua i vari colori. I colori corrispondono quindi a precise lunghezze d’onda7, capaci di far
stimolare la retina e di far percepire il senso del colore, al di là delle quali, in corrispondenza delle
radiazioni infrarosse ed ultraviolette, l’occhio non è più in grado di vedere.
Nonostante la teoria di Huygens appariva del tutto soddisfacente rimanevano anche in questo caso
molti interrogativi privi di risposta come ad esempio non si spiegava perché i raggi luminosi non
aggirino gli ostacoli, come fanno le onde sonore; ed inoltre non si capiva il motivo per cui la luce
poteva propagarsi nel vuoto essendo fatta di onde.
Nel 1801 Thomas Young, medico e fisico inglese (1773-1829), studiando il fenomeno della interferenza8
ebbe modo di calcolare la lunghezza delle onde luminose.
Da tale esperimento scaturì che tali lunghezze d’onda erano estremamente piccole, per cui
incapaci di aggirare un ostacolo così come avveniva nelle onde sonore.
5 Cartesio formulò la legge della rifrazione legge del seno che dice: quando la luce passa da un mezzo A in un mezzo B il seno
dell’angolo d’incidenza sta al seno dell’angolo di rifrazione in un rapporto costante. Questo rapporto rappresenta l’indice di rifrazione
relativo ai due mezzi e viene indicata con la lettera n.
6 Con tale teoria non era possibile spiegare per quale motivo due fasci di luce possono incrociarsi senza che le
particelle costituenti entrino in collisione, ed ancora le differenti caratteristiche di rifrazione della luce di vario colore.
7 Le lunghezze d’onda sono maggiori per il rosso (780 nm) e diminuiscono man mano che ci si avvicina al violetto
(300 nm). la luce bianca comprende luci di tutti i colori o meglio onde di tutte le lunghezze d’onda comprese fra quella del
rosso e del violetto.
8 Tale fenomeno consiste nel far collimare un fascio di luce, emesso da una sorgente, con una fessura e
successivamente viene fatto passare attraverso altre due fessure parallele. Su uno schermo trasparente posto dopo le due
fessure si osserva una serie di frange scure e chiare. Infatti, secondo la teoria ondulatoria un’onda piana (linee parallele) che
incontra una fenditura genera un sistema di onde specifiche (linee curve) che si propagano oltre la fenditura. Se le fenditure
sono due, le onde si sovrappongono sommandosi o sottraendosi, cresta con cresta o cresta con cavo, ottenendo così le
frange chiare e scure.
IILLUMINOTECNICA 18
Il fatto che le lunghezze d’onda abbiano valori così piccoli, le cui dimensioni sono enormemente
minori di quelle degli oggetti, spiega il motivo per cui le onde luminose viaggiano in linea retta e
proiettano ombre nette.
In seguito le lunghezze d’onda della luce vennero espresse in un’unità di misura suggerita da
Anders Jonas Angstrom, fisico ed astronomo svedese (1814-1872): 1 Angstrom (A) corrisponde ad un
centomilionesimo di centimetro (10-8 cm). Attualmente si preferisce usare dei prefissi per ogni ordine di
grandezza e nano è il prefisso usato per indicare la miliardesima parte dell’unità.
Un nanometro (abbreviazione nm) è pari a 10-9 metri ed equivale a 10 A. Grazie agli ricerche
condotte da Huygens, Young e Angstrom nel XIX secolo la teoria ondulatoria della luce fece progressi
straordinari, debellando definitivamente la teoria corpuscolare di Newton. La conclusione di questo
grande sviluppo dello studio delle onde si ebbe con James Clerk Maxwell (1831-1879) con la sua teoria
elettromagnetica della luce. Egli elaborò un insieme di quattro equazioni che complessivamente
descrivevano tutti i fenomeni riguardanti l’elettricità ed il magnetismo.
Tali equazioni pubblicate nel 1864 non solo descrivevano le interrelazioni tra i fenomeni elettrici
e magnetici, ma mostravano anche che essi non potevano essere mai separati, giungendo alla
conclusione che tali radiazioni presentano le proprietà di un’onda. In breve Maxwell riuscì a calcolare la
velocità con cui un’onda elettromagnetica avrebbe potuto propagarsi, velocità che risultava essere
precisa a quella della luce9. La luce è quindi una radiazione elettromagnetica e, come essa, vi sono altre
radiazioni con lunghezze d’onda molto maggiori e molto minori di quelle della luce visibile (che vanno
dai raggi cosmici alle microonde). In base a quanto precedentemente descritto le due teorie
corpuscolare ed ondulatoria si relazionano per descrivere la luce come oggi la si intende e cioè come un
flusso di particelle, i fotoni, i cui fenomeni possono essere spiegati dall’elettrodinamica quantistica (QED:
Quantum Electro - Dynamics). Il Fotone è il quanto elementare di energia della luce; si misura in Joule ed è
dato dalla relazione
E = hν [37]
ove h è la costante di Planck (J/s) e ν la frequenza (Hz).
Figura 24: Anatomia dell’occhio umano e dei recettori retinici: coni e bastoncelli
Le radiazioni luminose presentano quindi diverse lunghezze d’onda; quelle a breve lunghezza
d’onda sono caratterizzate da un numero di onde maggiori rispetto alle radiazioni luminose di
lunghezza d’onda più elevata. La luce naturale, al pari di quella generata con mezzi artificiali, si presenta
quindi come formata da differenti radiazioni di diversa lunghezza d’onda.
9 Un astronomo danese Roemer (1644-1719) intento ad annotare le eclissi di quattro luminosi satelliti ruotanti in orbita
attorno al pianeta Giove si accorse che queste succedevano ad intervalli regolari in rapporto alle variabili distanze i Giove e
della Terra. Roemer concluse che l’irregolarità delle eclissi era in rapporto alla diversità del tempo impiegato dalla luce per
coprire il percorso tra i satelliti di Giove e la Terra e che il tempo aumentava con l’aumentare della distanza perché la luce
viaggiava con una certa velocità. In base a questi dati ed a una valutazione approssimativa della distanza del sole, il danese
stabilì che la velocità della luce era di 308.000 km/s. Dato questo molto vicino a quello ottenuto con le moderne conoscenze
sul diametro dell’orbita terrestre la quale velocità è stata corretta a circa 300.000 km/s, in presenza di vuoto assoluto.
IILLUMINOTECNICA 19
3.1 FISIOLOGIA DELL’OCCHIO
L’occhio umano, strumento sensoriale estremamente specializzato per la visione, dotato di una
perfetta organizzazione anatomica e funzionale, consente per mezzo di una lente (lente cristallina) di
proiettare l’immagine rimpicciolita e capovolta degli oggetti su dei fotorecettori situati al suo interno,
capaci di trasformare l’energia luminosa ricevuta in una serie di impulsi elettrici intelligibili per il
cervello. L’occhio è una macchina perfetta dotata di sei muscoli estrinseci, o esterni al globo oculare,
che lo trattengono nella cavità orbitaria, lo fanno ruotare nella direzione degli oggetti in movimento e lo
dirigono sugli oggetti fermi. Gli occhi partecipano alla visione in perfetto sinergismo cosicché
normalmente si rivolgono su uno stesso oggetto, sul quale convergono al fine di comprenderne
distanza e dimensioni; in altre parole gli occhi permettono di vedere in tre dimensioni.
Oltre ai muscoli estrinseci esistono altri muscoli denominati intrinseci, o interni. Uno di essi è
l’iride, un muscolo anulare che forma la pupilla attraverso cui passa la luce proveniente dall’esterno per
giungere sulla lente cristallina. L’iride con il suo movimento (contrazione muscolare) permette di
restringere il foro pupillare, sia per la visione degli oggetti prossimi che per adattare l’occhio ad
eccessiva intensità luminosa. Un altro muscolo intrinseco, denominato ciliare, controlla inoltre la messa
a fuoco della lente e permette quindi una corretta visione degli oggetti. L’occhio può essere distinto
anatomicamente e funzionalmente in una parte diottrica o anteriore ed in una posteriore o sensoriale. la
parte diottrica comprende tutte quelle strutture che hanno la funzione di far sì che i raggi provenienti da
qualsiasi oggetto fissato vadano a fuoco esattamente sulla retina che ne rappresenta la parte sensoriale.
Per consentire la visione è indispensabile che i mezzi diottrici posseggano determinate caratteristiche
quali potere rifrattivo ed una perfetta trasparenza alla luce. Le strutture rifrattive sono rappresentate da:
cornea, umore acqueo, cristallino e corpo vitreo.
La cornea che costituisce l’1/6 anteriore della tonaca fibrosa riveste l’occhio detto anche sclera e
rappresenta la lente principale del sistema diottrico oculare avendo un potere di circa 42 diottrie10.
Dietro la cornea è situato l’iride al cui centro vi è la pupilla. L’iride presenta un pigmento colorato che ha
la funzione con la sua opacità di limitare l’apertura delle lenti11. Il diaframma irideo è posto al davanti
del cristallino, ed è delimitato da due anelli, uno periferico che lo collega al corpo ciliare e che delimita
la base dell’angolo irido-corneale, e uno centrale che circoscrive il forame pupillare; il muscolo costrittore
della pupilla è innervato dal III° nervo cranico, il muscolo dilatatore dal sistema nervoso simpatico.
L’iride, come in precedenza accennato, ha la proprietà di dilatarsi e di contrarsi, per mezzo del muscolo
ciliare, fungendo da diaframma per i raggi luminosi. E’ errato pensare che le variazioni di grandezza
della pupilla, che rappresenta il foro centrale dell’iride, abbiano esclusivamente lo scopo di garantire il
funzionamento dell’occhio a differenti intensità di luce. Infatti il foro pupillare può modificarsi in un
rapporto di 16:1, mentre l’occhio riesce a funzionare entro un arco di intensità luminose che stanno in
un rapporto di 100.000:1
La pupilla invece restringendosi limita esclusivamente l’ingresso dei raggi luminosi in
corrispondenza della parte centrale della lente, che è la più funzionale dal punto di vista ottico, mentre
si apre completamente in quei casi in cui si richiede la massima sensibilità. La pupilla12 si restringe anche
nella visione prossima aumentando così la profondità del campo visivo. La lente dell’occhio umano, il
cristallino, ha grande importanza nel regolare l’accomodazione alla distanza modificando, in virtù della
notevole elasticità posseduta, il raggio di curvatura delle proprie superfici, mediante un notevole
movimento muscolare (muscolo ciliare e zonula)13.
10 La diottria è una misura ottica definita come il reciproco della distanza focale (espressa in metri) d’un sistema
ottico.
Gli occhi privi di pigmento (albinismo) non possono funzionare perfettamente in presenza di luce intensa.
11
La pupilla non è una struttura anatomica ma un foro circoscritto dall’iride, che consente alla luce di giungere prima
12
sulla lente, e successivamente sulla retina per formare l’immagine. La pupilla ci appare di colore nero e non ci è possibile
vedere, attraverso di essa, nell’interno dell’occhio di un’altra persona poiché il nostro occhio viene sempre a trovarsi sul
cammino della luce destinata ad illuminare la parte della retina che dovremmo vedere.
13 Il cristallino è mantenuto nella sua posizione, ortogonale all’asse ottico, da un sistema di sospensione costituito da
numerose e sottili fibre (fibre zonulari) disposte a raggiera, che si inseriscono ad un estremo in corrispondenza dell’equatore
della lente e dall’altro estremo sui processi ciliari.
IILLUMINOTECNICA 20
Per tale motivo il cristallino può essere considerato come una lente positiva di potere variabile
(circa 13D) il cui raggio di curvatura si riduce infatti per la visione prossima aumentando così il potere
della lente che accentua la convergenza dei raggi luminosi, già operata dalla cornea.
Lo spazio compreso tra cornea ed iride è detto camera anteriore al cui interno circola l’umore acqueo,
mentre lo spazio compreso tra il cristallino e la retina è occupato dal corpo vitreo. La parte neurosensoriale è
rappresentata dalla retina, composta da elementi fotosensibili e da neuroni, il cui nome deriva dal fitto
intreccio dei suoi vasi sanguigni che ne conferiscono un aspetto simile a quello di una rete.
La retina dell’uomo è una retina inversa cioè strutturata in maniera tale che le estremità dei
fotorecettori non siano rivolte verso la sorgente dello stimolo e quindi verso il diottro, bensì
all’opposto. A livello retinico si compie la conversione degli stimoli fotonici in impulsi nervosi che,
raggiungendo i centri celebrali evocano la sensazione visiva. Tale percezione è dovuta a due tipi di
fotorecettori (particolari cellule nervose), i coni ed i bastoncelli, aventi funzioni diversificate e diversa
distribuzione topografica. In corrispondenza della periferia retinica si trovano in prevalenza i bastoncelli;
a livello della fovea centrale (detta anche macula) sono presenti esclusivamente i coni.
Questi ultimi sono eccitati da radiazioni luminose intense, hanno cioè una soglia di eccitazione
elevata e presiedono alla visione diurna o visione fotopica e lavorando alla piena luce diurna e producono la
visione del colore. I bastoncelli sono invece eccitati da radiazioni luminose meno intense e pertanto
forniscono la base per la visione crepuscolare o scotopica. Tale diversità funzionale è dovuta anche al diverso
rapporto che i due tipi di recettori hanno con le fibre del nervo ottico: i coni sono in rapporto di 1:1;
quindi ogni cono eccitato attiva una singola fibra nervosa; i bastoncelli hanno rapporti plurimi così che
su una stessa fibra nervosa possono convergere impulsi provenienti da numerosi bastoncelli. Da quanto
detto se ne deduce come la sensazione visiva più dettagliata è quella che ha origine nei coni e pertanto
la fovea centrale è la sede della visione distinta e diretta.
Le zone periferiche della retina sono viceversa popolate dai bastoncelli ed idonei quindi alla
visione notturna. Per concludere l’area retinica che corrisponde alla fuoriuscita dal bulbo delle fibre
nervose che costituiscono il nervo ottico prende il nome di papilla ottica, una zona priva di
fotorecettori e quindi insensibile allo stimolo luminoso
14 La sinapsi è una specie di membrana fra il neurone e l’assone (cioè il collegamento fra neuroni). La sinapsi controlla la
concentrazione ionica di Na+ e K- mediante variazione del potere di permeabilità di questi ioni. Quando la permeabilità allo
ione sodio diviene massima allora si ha una immissione di cariche positive che producono un innalzamento del segnale da
circa –70 mV a – 30 mV. La transazione del segnale avviene in circa 0.5 ms.
15 Vedremo come questi tre colori (denominati Red, Green, Blue, con la sigla RGB) sono anche assunti come
16 Si ricorda che il lux è l’unità di misura dell’illuminamento e cioè è il rapporto fra flusso luminoso (espresso in
bastoncelli funzionano a bassi livelli di luminosità e sono altamente sensibili alle lunghezze d’onda blu-verde.
18 La Luminanza è data dal rapporto fra l’intensità luminosa (espressa in candele) e la superficie apparente di emissione
e si misura in Nit.
IILLUMINOTECNICA 22
Per stabilire la visibilità sufficiente sul piano di lavoro si fa riferimento al concetto di livello di
visibilità che comprende in un unico dato l’illuminazione dell’ambiente, il contrasto fra gli oggetti ed il
tempo di percezione degli stessi. La valutazione di questo livello è quindi fondamentale per definire la
prontezza della sensazione visiva.
Al livello di visibilità zero si fa corrispondere la soglia della visibilità Es, che coincide con la
percezione visiva di un oggetto dopo un tempo molto lungo. I valori del livello della visibilità successivi
al valore di soglia possono essere espressi da una curva detta appunto Curva della visibilità rappresentata
in Figura 26.
20 Miosi rappresenta il restringimento della pupilla (condizione di intensa illuminazione), midriasi indica la dilatazione
della pupilla in condizione di ridotta luminosità.
21 L’adattamento retinico avviene a livello biochimico mediante una rigenerazione della rodopsina (adattamento al
buio) e ad un suo esaurimento alla luce (adattamento alla luce in circa 50 s).
IILLUMINOTECNICA 24
Dopo essere rimasti all’oscurità per un certo tempo i nostri occhi diventano più sensibili ed un
oggetto illuminato ci sembrerà più splendente che in altre circostanze. Questo fenomeno è l’espressione
del processo di adattamento all’oscurità che si manifesta fin dai primi minuti quando si rimane al buio.
Analizzando l’esempio in precedenza esposto è facile intuire come la velocità di adattamento è
diversa per i coni e per i bastoncelli: i primi infatti si adattano completamente entro sette minuti, mentre
l’adattamento dei secondi si prolunga per un’ora e più, come dimostra la figura seguente, che riporta le
rispettive curve d’adattamento dei fotorecettori come se ci fossero due retine indipendenti in ogni
occhio.
22 Quando si passa da un luogo a bassa intensità luminosa ad un altro caratterizzato da valori di illuminazione elevati i
mutamenti biochimici (50 s circa) sono preceduti dai più veloci adattamenti nervosi. Quindi l’adattamento alla luce è
soprattutto un fenomeno nervoso.
23 La tecnica da lui adottata consiste essenzialmente nel proiettare un piccolo fascio di luce sull’occhio e nel misurare
successivamente, per mezzo di una fotocellula molto sensibile, la quantità di luce riflessa dall’occhio, potendo dimostrare la
modificazione cromatica del fotopigmento durante l’adattamento dell’occhio.
24 R. L. Gregory: Occhio e Cervello: la psicologia della vista, Il Saggiatore, Milano 1966.
IILLUMINOTECNICA 25
Un determinato oggetto risulta più luminoso su uno sfondo scuro, e un particolare colore acquista una tonalità più
intensa se circondato dal colore complementare. (questo fatto deve essere messo senza dubbio in rapporto all'esistenza di
connessioni crociate tra i recettori).
L'effetto di potenziamento della sensazione luminosa cromatica operato dal contrasto rientra
probabilmente nel quadro generale dell'importanza dei contorni per la percezione visiva. Sembra infatti
che siano soprattutto i contorni che vengono segnalati con particolare evidenza al cervello, mentre, per
le zone che presentano una illuminazione uniforme, le informazioni sono molto più generiche. Il
sistema visivo, completando il quadro definito dai contorni, risparmia le energie del suo sistema
periferico, sia pure a costo di un maggior lavoro dei centri nervosi.
Sebbene i fenomeni di contrasto e di rinforzo che si manifestano a livello dei contorni siano
fondamentalmente determinati dall’attività retinica, si deve ritenere che anche i centri nervosi abbiano
una certa influenza, come risulta dalla figura seguente, che ci sottopone un caso evidente di contrasto.
Il cerchio grigio appare infatti più chiaro sullo sfondo nero che sullo sfondo bianco ed ancor più
marcato risulta questo effetto quando, lungo il diametro traverso del cerchio, si dispone un filo bianco
che si continua sul fondo dividendolo in due meta.
Il contrasto è dunque più evidente se la figura viene interpretata come due meta distinte anziché
come una figura unica e questo fenomeno deve essere verosimilmente provocato dall'intervento dei
centri nervosi cerebrali.
Un'idea della complessità del sistema che controlla la sensazione luminosa può essere ricavata dal
“paradosso di Fechner”. Se l'occhio umano viene stimolato da una sorgente di modesta intensità, esso avrà
una certa sensazione luminosa e la pupilla si restringerà; aggiungendo un'altra sorgente di intensità
ancora più debole, a una certa distanza dalla prima in modo che vada a stimolare una differente regione
della retina, la pupilla non si restringe ulteriormente, come ci si potrebbe aspettare, ma piuttosto si
dilata con un'apertura che può essere messa in rapporto ad una intensità di luce intermedia tra quella
della prima e quella della seconda sorgente di luce, adattandosi evidentemente, non alla illuminazione
totale, ma a quella media, in virtù di un meccanismo retinico di cui s'ignora il funzionamento.
Se si chiude un occhio la sensazione luminosa non varia, cioè praticamente non v’è alcuna
differenza sia che uno solo, o tutti e due gli occhi contemporaneamente, ricevano lo stimolo.
Ma le cose vanno diversamente nel caso delle piccole luci di debole intensità viste in un ambiente
oscuro: in queste condizioni la sensazione luminosa risultare molto più evidente se si guarda con
entrambi gli occhi anziché con un occhio solo. Anche le ragioni di questo fenomeno sono ancora
sconosciute.
25 Si definisce campo visivo la superficie o estensione di uno spazio fisico che l’occhio vede fisso in una direzione
26 L’abbagliamento che produce una diminuzione di visibilità è definito disability glare o abbagliamento simultaneo o
perturbante. Il vocabolario CIE lo definisce: Abbagliamento che turba la visione senza causare necessariamente una sensazione
sgradevole”.
27 L’abbagliamento simultaneo è dovuto alla coesistenza di luminanze molto differenti in termini di intensità come ad
29 Questo è quello che avviene quando ci si sofferma a guardare la volta celeste stellata.
30 In casi eccezionali sono stati riscontrati valori di acuità visiva di risoluzione di circa 2 10-4 rad, che non possono
essere spiegate secondo la teoria di Helmoltz, ma tuttavia superiori alla risoluzione energetica delle immagini di diffrazione
considerata.
IILLUMINOTECNICA 31
.
Figura 37: Legge della somiglianza
3.4 IL COLORE
Il colore è una qualità degli oggetti ma è anche funzione della luce che li illumina. Ogni corpo ha
un fattore di assorbimento, di riflessione e di trasmissione variabile in funzione della lunghezza d'onda.
Ne consegue che se lo si illumina con una luce bianca (che è la somma di tutte le componenti
cromatiche visibili) allora il corpo riflette una radiazione che dipende dalle proprie caratteristiche.
IILLUMINOTECNICA 34
Se, ad esempio, il corpo non assorbe la lunghezza d'onda corrispondente al verde ma assorbe
tutte le altre allora la luce riflessa è verde e noi attribuiremo il colore verde al corpo.
Se, però, la luce illuminante è solo monocromatica e di colore giallo allora il corpo non può
apparire verde perché il verde non è presente nella radiazione originaria; esso appare, in questo caso,
nero. Il colore si caratterizza per le seguenti tre qualità:
⋅ Tono o Tinta :é dato dalla lunghezza d'onda dominante e quindi individua il colore
fondamentale con cui viene visto un oggetto;
⋅ Purezza o Saturazione: é la vivacità del colore che quindi si differenzia dalla visione del grigio;
⋅ Luminanza o Luminosità: esprime l'intensità luminosa nella direzione della visione. In
relazione all’impiego della luce naturale per l’illuminazione degli interni il colore interviene come
elemento modificatore e condizionatore del comfort visivo dell’utente.
Infatti lo stimolo originario (o luce incidente) qualora venga condizionato per trasparenza o
riflessione da una superficie colorata, causa una reazione psico-fisiologica, definita sensazione, dipendente
dallo stimolo condizionato (luce secondaria che si ottiene quando parte dell’energia luminosa incidente
è assorbita dalla superficie e solo una porzione di essa è trasmessa o riflessa selettivamente).
Il colore è un attributo della luce che contribuisce all’osservazione ed alla percezione dell’ambiente. Tra gli
attributi della luce esso è notoriamente il più utile per identificare rapidamente e agevolmente gli oggetti situati nello spazio
di lavoro. La percezione e la discriminazione dei colori variano nelle diverse zone della retina; la capacità di discernere i
colori è massima nella zona centrale della retina ed aumenta con l’illuminamento, almeno entro un limitato intervallo di
valori. La qualità di “resa di colore” di una sorgente luminosa è determinata dalla composizione spettrale della luce
emessa in rapporto alle caratteristiche spettrali della luce del giorno.
La percezione del colore è dovuta alla complessa interazione tra una sorgente luminosa, un
oggetto, l’occhio e il cervello. Va fatta quindi una distinzione tra il colore come sensazione e il colore
come lunghezza d’onda. La luce infatti non è colorata, ma è capace di generare, a seconda della
lunghezza d’onda, le sensazioni della luminosità e del colore quando stimola gli occhi e un sistema
nervoso dotati di particolare recettività.
Un colore può essere ottenuto dalla mescolanza di tre colori diversi definiti come primari; in
questo caso si parla di sintesi additiva31. Dalla sintesi additiva dei colori primari (blu + verde + rosso) si
ottiene il colore bianco. Dai tre colori fondamentali si derivano altri tre colori detti secondari o
complementari (ciano, magenta e giallo): il giallo è complementare al blu; il magenta è complementare del
verde; il ciano è complementare del rosso.
Tali coppie di colore per sintesi sottrattiva producono il nero, per cui un colore può essere ottenuto
sottraendo alla luce una parte dei suoi componenti.
Essendo il colore una questione di percezione e di interpretazione soggettiva si è cercato di
esprimere i colori in maniera univoca e senza fraintendimenti stabilizzando in sede normativa sia la
struttura del fascio di radiazioni che la capacità sensitiva dell’occhio.
X = cos t ∫ f ( λ )x ( λ ) d λ (44)
Y = cos t ∫ f ( λ ) y ( λ ) d λ (45)
X = cos t ∫ f ( λ )z ( λ ) d λ (46)
Y = cos t ∑ f ( λ ) y ( λ ) ∆λ
Z = cos t ∑ f ( λ )z ( λ ) ∆λ
che in forma normalizzata divengono:
x = X /( X +Y + Z ) (47)
y = Y /(X +Y + Z ) (48)
z = Z /(X +Y + Z ) (49)
La forma normalizzata consente di riferirsi solamente a due componenti, x e y, ottenendo la terza,
z, per complemento ad 1, cioè
z = 1 - (x + y) (50)
Riportando in assi x e y i valori delle componenti cromatiche ottenute per i vari colori reali si
ottiene una curva a campana. All’interno si hanno tutti i colori combinazione di più componenti
cromatiche. Il diagramma cromatico CIE presenta una forma di tipo triangolare, devi Figura 43, nella
quale le tre luci primarie sono poste ai vertici e si irradiano verso l’interno con intensità luminosa, fatta
uguale ad 1. Lungo i lati del triangolo sono posti i colori ottenuti per miscela dei due colori situati alle
estremità. I colori posti all’interno sono ottenuti invece per mescolanza. La quantità di rosso, verde e
blu, presenti in un qualunque punto P sono espresse dal valore delle tre distanze di P dai corrispettivi
lati del triangolo. Considerando inoltre che la somma delle tre coordinate di un punto qualsiasi è
sempre uguale all’unità ed è quindi possibile dare i valori di due sole grandezze per dedurne la terza.
Considerando un punto P interno al diagramma CIE32 il suo colore può essere ottenuto da una
miscela di un colore monocromatico più il bianco di eguale energia (W). Per identificare tale colore
basta unire P con W fino ad incontrare la linea dei corpi spettrali.
La lunghezza d’onda relativa a tale colore monocromatico, che miscelato in proporzioni
opportune con W può dare luogo al colore P, si chiama lunghezza d’onda dominante (rappresentato dal
punto D) ed il rapporto tra la luminosità del colore monocromatico incontrato sulla linea dei colori
spettrali e la luminosità del colore miscelato P si chiama fattore di energia.. Tale fattore risulta sempre
inferiore ad uno, salvo il caso in cui P coincide sulla linea dei colori spettrali e viene chiamato colore puro
(monocromatico). In conclusione il punto P può identificarsi come intersezione della retta parallela
all’asse delle ascisse e di ordinata y p e della congiungente il punto D con W33.
L’aspetto cromatico non dipende soltanto dalla composizione spettrale della luce ma anche dalle caratteristiche della
superficie osservata, dalla luminanza, dai contrasti di colore e dallo stato di adattamento cromatico34. L’occhio è in grado
di percepire contenute differenze di colore tra due superfici adiacenti in condizioni di pari livello di luminanza.
32
Tale diagramma gode di alcune proprietà alcune delle quali verranno di seguito citate.
Il punto W, a cui corrispondono le coordinate x=y=z=0,333 rappresenta il “bianco di eguale energia” o punto
acromatico di riferimento. I punti della linea a campana rappresentano i colori spettrali o puri, corrispondenti alle lunghezze
d’onda a fianco indicate. I punti del segmento che unisce W con un punto qualunque della curva a campana (linea VRG)
indicano i colori di eguale tono di colore, e di saturazione via che il punto si avvicina a W. Nei corrispettivi colori non saturi,
la lunghezza d’onda del colore saturo si chiama lunghezza d’onda dominante. Inoltre i punti che si trovano fuori dall’area limitata
dalla curva a campana rappresentano la luce non visibile.
33 La lunghezza d’onda dominante ed il fattore di purezza individuano un determinato colore.
34 Se si pongono davanti ad una sorgente luminosa due filtri di colore complementare questi non faranno passare la
luce (sintesi sottrattiva); viceversa se si pongono questi due filtri davanti a due sorgenti luminose orientate verso lo stesso
punto, questo punto sarà illuminato da una luce bianca (sintesi additiva). Se le superfici appaiono colorate ciò lo si deve al
fatto che sono irradiate da fasci pancromatici, costituiti cioè da tutte le radiazioni dello spettro solare. L’intervento della
superficie sulle radiazioni luminose consiste nel variarne la composizione spettrale mediante una riflessione selettiva. Ma
anche la composizione spettrale della radiazione luminosa emessa dalla sorgente può alterare il fascio riflesso da una
superficie, ed in questo caso si parla di azione selettiva della sorgente luminosa.
IILLUMINOTECNICA 38
L’occhio dell’uomo percepisce una relazione tra la lunghezza d’onda piuttosto che una percezione
diretta di una singola lunghezza d’onda, perciò il rapporto tra i colori non varia con i cambiamenti dello
spettro di colore della sorgente; l’occhio si adatta quindi ad un nuovo punto neutrale in maniera tale che
il colore resta più o meno lo stesso.
780 nm
Y =∫ w( λ ) ⋅ Y ( λ ) ⋅ d λ
380 nm
780 nm
Z=∫ w( λ ) ⋅ Z ( λ ) ⋅ d λ
380 nm
IILLUMINOTECNICA 39
La luce è l’energia radiante rilevata dall’osservatore umano attraverso le sensazioni visive che
nascono dallo stimolo della retina dell’occhio. Fisicamente è una perturbazione che si propaga nello
spazio sotto forma di onde elettromagnetiche.
L’illuminamento in un punto di una superficie, come già detto in precedenza, è il flusso luminoso
ricevuto da un elemento infinitamente piccolo di superficie nell’intorno di un punto considerato, diviso
per l’area dell’elemento stesso, altrimenti si parla di illuminamento medio o illuminazione media, per
cui:
dφ
E= [53]
dS
espresso in lux, (lumen per metro quadrato).
Se la sorgente luminosa è puntiforme ed ha l’intensità luminosa di una candela alla distanza di un metro,
si distribuisce su una superficie sferica di 1 m 2 l’illuminamento massimo di un lux.
I
E= 2 [54]
r
dove:
⋅ I = intensità luminosa;
⋅ r = distanza normale tra la sorgente luminosa e la superficie illuminata.
L’illuminamento è spesso considerato una grandezza di riferimento per l’illuminotecnica e per la
progettazione impiantistica. Questa grandezza è facile da misurare, concettualmente semplice e spesso
preferita all’intensità e alla luminanza (che è poi la vera grandezza fisiologica di riferimento). Questo ha
reso possibile la disponibilità di numerose norme (alcune invero vecchiotte) e tabelle con valori di
illuminamento caratteristici per dato compito visivo.
La normativa vigente (D.Lgs. 19 settembre 1994 n. 626, art. 10), con riferimento all’illuminazione
naturale ed artificiale, così recita: A meno che non sia richiesto diversamente dalle necessità della lavorazione e salvo
che non si tratti di locali sotterranei, i locali devono essere convenientemente illuminati a luce naturale diretta...Per quanto
riguarda l’intensità (si fa riferimento al livello di illuminamento medio), ove esigenze tecniche non ostino, devono
essere assicurati i valori minimi seguenti:
per ambienti destinati a deposito di materiali grossi 10 lux
per passaggi, corridoi e scale 20 “
per lavori grossolani 40 “
per lavori di media finezza 100 “
per lavori fini 200 “
per lavori finissimi 300 “
Tabella 4: Valori minimi di illuminazione consigliati
Per lavori di media finezza, fini e finissimi i suddetti valori possono essere conseguiti mediante
sistemi di illuminazione localizzata sui singoli posti di lavoro; in tal caso si deve provvedere a che il
livello medio di illuminazione generale dell’ambiente non sia inferiore ad un quinto di quello esistente
nei posti di lavoro.
La tabella seguente illustra l’illuminamento medio di esercizio En previsti per i vari tipi di locale
adibiti ad uso civile ad uso civile37, tonalità di colore, gruppo di resa del colore e classe di controllo
dell’abbagliamento raccomandati per le varie applicazioni dalla norma UNI 10380, la quale mostra
valori decisamente superiori rispetto a quelli proposti dalla vigente legislazione nazionale ed a parere
dello scrivente più idonei per lo svolgimento delle varie attività all’interno dei locali.
37 Per i valori descritti nella tabella seguente si fa riferimento alla norma italiana illuminazione di interni con luce artificiale,
Φ= Φ
Φρ dir o
o
Φ= Φ Φo ρ 2
dir o Φ
indir
3
Φo ρ ...
Φ ind . = Φ o ρ (1 + ρ + ρ 2 + ρ 3 + ...)
Ricordando lo sviluppo in serie geometrica si ha:
1
Φ ind . = Φ o ρ
1− ρ
per cui:
IILLUMINOTECNICA 58
1
Φ circ. = Φ dir . + Φ ind . = Φ o + Φ o ρ =
1− ρ
1
= Φo
1− ρ
Infine:
Φ circ. Φ o 1
E==
Atot Atot 1 − ρ
Se la cavità non é sferica la relazione precedente può ancora essere utilizzata purché sussista il
concetto di cammino libero medio del raggio luminoso. Ciò accade se nessuna delle superfici
dell'ambiente ha dimensione e riflettività molto diversa da quella delle altre. In questo caso allora é
lecito parlare di Illuminamento medio E e riflettività media ρ per cui :
Φo 1
E=
Atot 1 − ρ
Da qui la formula per il calcolo del flusso richiesto per aversi l'illuminamento medio in un
ambiente di riflettività media ρ :
Φ o = E Atot (1 − ρ ) (61)
La stessa espressione poteva ottenersi dal bilancio dell'energia luminosa in ambiente. Il flusso che
l'apparecchio deve fornire deve eguagliare quello assorbito. Allora, detti α1 , α2, ... gli assorbimenti
delle pareti di superficie A1 , A2 ..., si ha :
∑α k Ak
α= k
∑A k
k
e poiché α = 1 − ρ risulta :
Φ o = EAtotα = EAtot (1 − ρ ) (62)
che é la (61).
5.3.2 FATTORE DI MANUTENZIONE
La relazione (61) non é direttamente applicabile nei casi pratici perché non tiene conto di alcuni
fattori che penalizzano la emissione luminosa. Questi sono attribuibili a:
⋅ 1) guasto delle lampade (LSF = Lamp Survival Factor);
⋅ 2) attenuazione del flusso luminoso per effetto dell'invecchiamento della lampada (LLDF
= Lamp Lumen Depreciation Factor)
⋅ 3) dello sporcamento delle superfici emittenti (LMF = Luminaire Maintenance Factor)
⋅ 4) dello sporcamento delle superfici riceventi (pareti murarie) (RSMF = Room Surface
Maintenance Factor).
L'effetto combinato di questi quattro fattori si esprime attraverso il prodotto
MF = LLMF x LSF x LMF RSMF
IILLUMINOTECNICA 59
e prende il nome Fattore di Manutenzione MF (Maintenance Factor ). I valori raccomandati sono
raccolti nelle Tabella 12, Tabella 13 Tabella 14 (da Philips Lighting Manual, 1993)
Ore di funzionamento (x1000) 0.1 1 2 4 6 12 18 24
Incandescenti LLMF 1.00 0.93
LSF 1.00 0.50
Fluorescenti. LLMF 1.00 0.96 0.94 0.91 0.87 0.84
Trifosfori LSF 1.00 1.00 1.00 1.00 0.99 0.75
Fluorescenti. LLMF 1.00 0.94 0.89 0.83 0.80 0.74
Alofosfati. LSF 1.00 1.00 1.00 1.00 0.99 0.75
Vapori LLMF 1.00 0.97 0.93 0.87 0.80 0.68 0.58 0.52
di mercurio LSF 1.00 1.00 0.99 0.98 0.97 0.88 0.75 0.50
Alogeni. LLMF 1.00 0.93 0.87 0.78 0.72 0.63 0.52
metallici LSF 1.00 0.97 0.95 0.93 0.91 0.71 0.50
Sodio LLMF 1.00 0.98 0.96 0.93 0.91 0.87 0.83 0.80
alta pressione. LSF 1.00 1.00 0.99 0.98 0.96 0.89 0.75 0.50
Riflettore 1 0.95 0.91 0.88 0.90 0.86 0.83 0.84 0.80 0.75 0.79 0.74 0.68
aperto superiorm.
Riflettore 1 0.93 0.89 0.83 0.89 0.81 0.72 0.80 0.69 0.59 0.74 0.61 0.52
chiuso superiormente
Lamp. in riflettore 1 0.92 0.87 0.83 0.88 0.82 0.77 0.83 0.77 0.71 0.79 0.73 0.65
chiuso trasparente
Lamp. in riflettore 1 0.96 0.93 0.91 0.94 0.90 0.86 0.91 0.86 0.81 0.90 0.84 0.79
antipolvere
Flusso indirizzato 1 0.92 0.89 0.85 0.86 0.81 0.74 0.77 0.66 0.57 0.70 0.55 0.45
superiormente
(°) P = Pulito ; N = Normale ; S =Sporco
1 hm
Piano di lavoro
Infine i valori del coefficiente di utilizzazione Fu in relazione al tipo di corpo illuminante, sono
dati in Tabella 17 (da Sacchi - Caglieris, 1990). In essa vengono pure indicati, in intervalli discreti, i fattori
di riflessione delle pareti (10%, 30%, 50%) e del soffitto (30%, 50%, 75%) e tra i quali é lecito
interpolare; il fattore di manutenzione (b = pulizia frequente, m = mediocre, n = scarsa) per ogni
categoria di apparecchio, l'indice del locale (A ÷ J), e la relazione tra distanza minima (d) degli
apparecchi tra loro e l'altezza (h = hm) di montaggio.
38 Queste procedure avanzate sono di solito utilizzate per ottenere una rappresentazione realistica della scena
disegnata (rendering) e si compone di diverse operazioni quali, ad esempio, l'eliminazione delle linee nascoste, l'illuminazione
della scena con una o più sorgenti, la rappresentazione prospettica in funzione del punto di vista,... Le immagini grafiche
ottenute sono grande effetto e suggestività e consentono di simulare la realtà scenica (realtà virtuale) senza doverla costruire
materialmente. Le applicazioni di questi algoritmi vanno dall'architettura (valutazioni di impatto visuali, arredamenti di
interni, allestimenti scenici, design industriale, ...) alla cinematografia, all'editoria elettronica, ad applicazioni mediche
(interventi chirurgici in modo virtuale) e scientifiche in genere.
39 Applicazioni di ray tracing e di rendering in genere richiedono risorse di calcolo notevoli sia in termini di velocità del
processore che di visualizzazione grafica. I computer tipicamente utilizzati a tali scopi sono le workstation grafiche cioè
computer di grandi potenze elaborative dotati di periferiche grafiche particolarmente veloci (processori grafici, video a più
piani di colore, z-buffer per l'eliminazione rapida delle linee nascoste, librerie grafiche tridimensionali ottimizzate per il
processore grafico utilizzato,..). Oggi i PC hanno potenza elaborativa paragonabile a quella delle workstation ma per
un'efficace utilizzo degli algoritmi di ray tracing o di rendering in generale occorre dotarli di periferiche grafiche molto veloci il
cui costo é superiore a quello delle stesse unità base.
40 Per scena si intende una rappresentazione spaziale il più possibile fedele alla realtà che si desidera simulare e
pertanto la sua preparazione richiede l'uso di programmi di grafica tridimensionale particolarmente sofisticati (CAD
tridimensionali del tipo wire frame, cioè a fili di ferro, o del tipo composite geometry, cioè a geometria composita) ai quali si
aggiungono, sotto forma di moduli opzionali, il ray tracing e il rendering.
41 I pixel sono i punti luminosi dello schermo nel quale si sta rappresentando la scena e il loro numero dipende dalla
qualità e potenza della periferica grafica. É chiaro che quanto più elevato é il numero dei pixel tanto maggiore é la qualità
dell'immagine ma al tempo stesso tanto maggiore é il tempo di calcolo necessario.
42 Per pseudo-codice si intende l'enunciazione di uno o più passi di calcolo in un linguaggio non specializzato ma di uso
comune. La scrittura del codice vero e proprio viene poi eseguita con l'uso del linguaggio di programmazione prescelto
(Fortran, C, ADA, Pascal, ...). Lo pseudo-codice descrive le operazioni da eseguire in forma sintetica, utilizzando le strutture di
controllo elementari della programmazione sequenziale : iterazione (per ogni ), scelta (Se), etc.
IILLUMINOTECNICA 64
Genera un raggio R dal punto di vista V al pixel P(R,C)
Per ogni oggetto O della scena
Calcola l'intersezione I tra O ed R
Se l'intersezione esiste
Se é la più vicina a V
Conserva I
Fine se
Fine se
Prossimo oggetto
Prossima colonna
Prossima riga
Se esiste l'intersezione
Calcola il punto d'intersezione I del raggio R con l'oggetto O più vicino
Calcola la normale alla superficie di O nel punto I
Per ogni sorgente luminosa S della scena
Genera un raggio da I ad S
Per ogni oggetto O° della scena, escluso O
Calcola l'intersezione I° tra R ed O°
Se I° non esiste (I non é in ombra)
Calcola il colore e l'intensità nel pixel
come funzione di S
Fine se
Prossimo oggetto
Prossima sorgente
Fine se
Per determinare il colore dell'oggetto nel punto di intersezione occorre tener conto che esso oltre
ad essere riflettente e/o rifrangente può avere una campitura,43 per cui il colore rappresentato nel
punto diventa funzione del colore proprio dell'oggetto in quel punto, del colore della sorgente e di ogni
contributo di riflessione o rifrazione del raggio luminoso considerato.
Come é facile intuire, quindi, il calcolo del colore é un procedimento ricorsivo che prende il
nome di shading (ombreggiatura). Ogni volta che il raggio intercetta un oggetto riflettente o rifrangente
vengono generati ulteriori raggi ognuno dei quali deve essere ritracciato all'inverso fino ad ogni sorgente
per determinare il contributo di ognuno di essi al colore. Per la ricorsività44 del procedimento viene
generato un albero di raggi in cui ogni ramo descrive il contributo al colore finale dell'oggetto: conviene
limitarlo al massimo a cinque - dieci livelli o al raggiungimento di una soglia in cui ulteriori contributi
sarebbero trascurabili per il colore finale45. Come applicazione della teoria del ray-tracing si vuole qui
esaminare la procedura per il calcolo dell'intersezione tra un raggio ed un poliedro nello spazio.
Equazione parametrica del raggio
Un raggio ha una origine Po ed una direzione Pd (vettore di lunghezza unitaria:
xd2+yd2+zd2=1)
43 La campitura (o texture) é il tipo di disegno applicato all'oggetto in esame. Ad esempio esso può essere a righe
equispaziate e alternate di colore bianco e nero, oppure si può avere un disegno a scacchi di vario colore e dimensioni, ... In
definitiva se l'oggetto non é uniformemente colorato ma presenta variazioni di colore si ha una campitura.
44 Per ricorsività si intende una definizione dell'algoritmo che implica se stesso. Ad esempio si può definire un numero
fattoriale in funzione della stessa definizione di fattoriale del numero intero precedente : n!=(n-1)!*n. Gli algoritmi ricorsivi
sono eleganti nella formulazione ma richiedono risorse di calcolo elevate a seconda del linguaggio utilizzato e della memoria
disponibile.
45 La definizione del colore rappresentato nello schermo dipende dalle potenzialità grafiche della periferica. Se é
possibile rappresentare in ciascun pixel n piani di colore allora il numero dei colori rappresentabili é dato dalla potenza 2n . Si
intuisce che la rappresentazione migliore si ha con schede professionali ad elevato numero di piani di colore e che in schede
grafiche economiche la definizione del colore può spesso essere solo schematica.
IILLUMINOTECNICA 65
Indicando con t>0 il tempo, la traiettoria del raggio in forma vettoriale diventa:
Traiettoria del raggio = direzione * tempo + origine
cioé:
R(t) = Rd * t + Ro
La funzione R(t) descrive l'insieme dei punti che formano la traiettoria del raggio. Questa
equazione, scomposta nelle sue componenti spaziali, porta alle equazioni parametriche:
Px = X d * t + X 0
Py = Yd * t + Y0
Pz = Z d * t + Z 0
Tramite le equazioni parametriche, l'intersezione del raggio con una qualunque superficie definita
come funzione nello spazio diventa relativamente semplice.
Intersezione raggio-poliedro
Nelle tecniche di ray-tracing é conveniente tenere in conto di tmax, cioè la massima distanza
significativa lungo il raggio che nelle procedure di ombreggiamento é posta uguale alla distanza della
sorgente luminosa dall'origine del raggio. Per i raggi nei quali si cerca l'intersezione con l'oggetto più
vicino tmax é inizializzato ad infinito (una qualunque grande distanza) e quindi aggiornato alla distanza
con l'oggetto correntemente più vicino mano a mano che il test procede. Un oggetto intersecato oltre
tmax non dovrà essere esaminato oltre perché, ad esempio, in ombra rispetto alla sorgente. Ponendo
inoltre tvicino all'infinito negativo e tlontano=tmax si tiene conto delle intersezioni logiche dei semispazi
formati dalle facce dell'oggetto (poliedro) con il raggio: quando tvicino diventa più grande di tlontano il
raggio non interessa l'oggetto ed il test ha fine. Ogni piano P é definito da quattro parametri (a, b, c, d)
ed ogni punto (x, y, z) di esso rende soddisfatta l'equazione:
ax +by +cz +d = 0
mentre la direzione normale Pn al piano ha coseni direttori (a, b, c). La distanza misurata
dall'origine del raggio all'intersezione con il piano P é :
P R +d
t=− n o
Pn Rd
Se il denominatore si annulla, il raggio é parallelo al piano e non avviene nessuna intersezione: si
controlla, pertanto, se l'origine del raggio é dentro il semispazio definito dal piano. Se il numeratore é
maggiore di zero, l'origine del raggio é esterna al semispazio in oggetto ed il raggio stesso non interseca
il solido, così il test ha fine. Nel caso che il denominatore sia diverso da zero si deve considerare il fatto
che il piano in esame presenta una faccia frontale ed una posteriore. La faccia presentata é quella
esterna al poliedro se il denominatore é positivo ed in questo caso se t<0 il poliedro é esterno al raggio;
se t<tlontano , tlontano deve essere aggiornato a t. Similmente se la faccia presentata dal piano é quella frontale,
t>tvicino , tvicino deve essere aggiornato a t, inoltre se tvicino>tlontano il raggio non interseca il poliedro, mentre se
tvicino<tlontano il raggio colpisce l'oggetto essendo tvicino la distanza nel punto di entrata e tlontano quella per la
quale il raggio viene fuori dal solido. Se tvicino<0 il raggio é originato all'interno del poliedro: in questo
caso si controlla se tlontano<tmax, per cui tlontano é la prima valida intersezione.
Radiosità
Il metodo della radiosità si basa su analogie del trasferimento radiativo del calore. Questa tecnica
non è adatta a trattare superfici rifrangenti o riflettenti speculari, ma i risultati relativi alla illuminazione
globale (in cui l'energia in gioco é bilanciata dalle superfici diffondenti ed irradiata all'infinito), sono
eccellenti. Il metodo di ray-tracing modella ottimamente scene con oggetti lucidi o rifrangenti mentre é
preferibile usare il metodo della radiosità per l'ambientazione di interni o oggetti architettonici.
La natura prevalentemente fisica del metodo della radiosità rende quest'ultimo paradigma ideale
per accurate simulazioni fisiche; qui le intensità sono calcolate nell'intero spazio da simulare, in punti
discreti sulle superfici degli oggetti, ed é possibile cambiare speditamente il punto di vista una volta che
i calcoli siano stati effettuati.
IILLUMINOTECNICA 66
Un difetto del metodo della radiosità é quello di richiedere grandi quantità di memoria, dovendosi
conservare valori di intensità per tutti i punti della scena. Il calcolo principale del metodo della radiosità
riguarda i fattori di forma, che possono essere valutati, ad esempio, usando la tecnica del semi-cubo
(Cohen: e Greenberg, 1985). Questa teoria si basa principalmente sulla rimozione delle superfici nascoste
mediante un algoritmo che calcola la parte di luce (shooting path) che arriva su un elemento da ogni altro
elemento trasformando il sistema in modo che il centro dell'elemento ricevente venga portato
sull'origine e la sua normale coincida con l'asse delle Z. Un cubo immaginario é costruito attorno al
centro dell'elementino ricevente: la metà superiore del cubo é formata da quattro mezze-facce laterali
più una faccia intera superiore sulle quali viene proiettata la scena.
Ognuna di queste facce é divisa in quadratini piccoli a piacere in funzione della risoluzione voluta
per l'immagine. Ogni percorso relativo alla parte di scena che é posta superiormente o che intercetta il
piano Z=0 viene tagliato così che possa stare dentro uno solo dei cinque volumi di vista definiti dai
piani z=0, z =x, z = -x, z =y, z = -y, x =y, x = -y.
Questi percorsi sono proiettati sulla appropriata faccia del cubo secondo una proiezione
prospettica e si procede alla rimozione delle superfici nascoste con un algoritmo a profondità
bufferizzata46.
46 Questa procedura viene indicata con il termine z-buffer e può essere implementata sia per via software (cioé da
programma) che per via hardware (cioé dalla periferica grafica). Le workstation sono caratterizzate dall'avere schede grafiche a
più piani di colore e dallo z-buffer già implementato. In pratica lo z-buffer mantiene le coordinate z dei vari punti in modo che
possa immediatamente essere nota la sua posizione nella scena e quindi decidere se é in luce o deve essere spento.
IILLUMINOTECNICA 67
Se la quantità sotto radice risultasse minore di zero si sarebbe nella condizione di totale riflessione
interna che avviene quando l'angolo di incidenza della luce sia abbassa al di sotto di un angolo limite.
Il contributo relativo alla trasmissione speculare, allora, può essere espresso nella forma:
Its = Ιλ kts (T * V)n
dove ogni termine é analogo al suo speculare: l'equazione mostra come anche la luce trasmessa in
questo modo ha dei picchi direzionali come la luce riflessa specularmente.
5.7.1 CONCLUSIONI
Volendo riassumere un'equazione globale che tiene conto sia dell'illuminazione ambientale, sia
delle riflessioni diffuse e speculari che della rifrazione si può porre nella forma:
I1
* K d ( L * n ) + k s ( R * V ) + kts (T * V ) + ka I a
n n
I=
d +d 0
Si intuisce dalla formulazione analitica sopra esposta che tutti i metodi di calcolo sopra esposti
sono implementabili solo mediante l'ausilio di computer e i programmi oggi disponibili riescono, con
l'ausilio di hardware adeguato, a risolvere questi problemi in tempi accettabili.
IILLUMINOTECNICA 71
L’analisi e la valutazione del grado di illuminazione, di tipo naturale, che si vuole ottenere in uno
specifico ambiente (abitazione, ufficio, industria, scuola, ospedale, etc.), per una perfetta visione,
assume primaria importanza in fase progettuale essendo ad essa legata il corretto svolgimento delle
attività lavorative.
Infatti, la maggior parte delle informazioni necessarie per lo svolgimento di una attività lavorativa
sono di tipo visivo per cui, le modalità di illuminazione del compito visivo devono essere attentamente
valutate al fine di garantire il comfort visivo dell’operatore.
Per raggiungere tale obiettivo è indispensabile:
⋅ realizzare un ambiente luminoso idoneo a soddisfare le esigenze fisiopsicologiche dell’operatore
assicurando sempre, ove possibile, il ricorso all’illuminazione naturale;
⋅ rendere ottimale la percezione delle informazioni visive, per assicurare buone condizioni di lavoro
ed una prestazione visiva veloce e precisa.
48Citeremo alcune definizioni tratte dalla norma UNI10530 indispensabili per una rapida comprensione degli
argomenti di seguito descritti:
intorno del compito visivo: Insieme dello spazio che può essere visto da una posizione precisata quando si
muovano la testa e gli occhi.
sistema di lavoro: Combinazione di persone ed attrezzature che interagiscono nel processo di lavoro, per
effettuare il compito di lavoro, nello spazio di lavoro, all'interno dell'ambiente di lavoro, sotto le condizioni imposte dal
compito di lavoro.
piano di lavoro: Piano sul quale e svolto il compito visivo.
piano di lavoro di riferimento: Piano orizzontale sul quale è calcolato l'illuminamento medio nella fase di
progetto. Se non altrimenti indicato, il piano di lavoro di riferimento e assunto ad una altezza di 0,85 m sopra il suolo;
per le scrivanie, per esempio, l'altezza secondo le UNI 7368 e UNI 9095 e di 0, 72 m.
illuminazione generale: Illuminazione progettata per illuminare una intera area approssimativamente in
modo uniforme.
illuminazione localizzata: Illuminazione progettata per un interno al fine di ottenere anche una maggiore
illuminazione sopra una o più parti del locale.
illuminazione locale: Illuminazione per uno specifico compito visivo complementare e controllabile
separatamente dalla illuminazione generale.
fattore di utilizzazione: Rapporto tra il flusso luminoso che incide sul piano di lavoro e il flusso luminoso
totale emesso dalle lampade.
IILLUMINOTECNICA 73
La natura del sistema visivo dell'operatore è determinante nella progettazione dell'ambiente visivo, la cui efficacia e
misurata in termini di prestazione visiva. Per valutare una prestazione visiva è necessario esaminare le interazioni tra
sistema visivo e caratteristiche del compito da svolgere nell'ambiente. La prestazione visiva deve quindi essere analizzata
sulla base di tutti i fattori che la influenzano. II termine "prestazione visiva" è utilizzato per esprimere la capacita di
rilevazione e l'attitudine a reagire manifestate da un individuo quando i dettagli del "compito visivo" entrano nel "campo
visivo". Tale attitudine può essere valutata in termini di velocità, precisione e accuratezza della percezione. La prestazione
visiva dipende:
⋅ - dalle caratteristiche proprie del compito visivo da svolgere (dimensioni, forma, posizione, colore e fattore di
riflessione del dettaglio osservato e del fondo);
⋅ - dalle condizioni d'illuminazione.
E’ inoltre influenzata da altri fenomeni quali l'abbagliamento, la mancanza d'uniformità
dell'illuminazione, la natura dello sfondo e, più in generale, dal modo in cui e concepito lo spazio di
lavoro. I parametri da prendere in considerazione per una corretta percezione visiva sono:
luminanza
contrasto
dimensione, forma e caratteristiche della superficie
colore
movimento e tempo necessario per la visione
posizione dell’immagine sulla retina
Tabella 19: Parametri per una corretta percezione visiva
Nei capitoli seguenti definiremo i parametri che influenzano la prestazione visiva ed i rimedi da
attuare per attenuarne gli effetti indesiderati.
compito;
di conseguenza l’illuminazione deve:
50
incrementare la prestazione visiva ; e contribuire a migliorarne le condizioni ambientali.
50 Ai fini del compito visivo sono fattori generalmente rilevanti i contrasti di luminanza e i contrasti cromatici; questi
ultimi possono essere impiegati per migliorare la prestazione visiva, soprattutto quando i contrasti di luminanza sono
contenuti
IILLUMINOTECNICA 75
L’illuminazione di un ambiente deve essere appropriata all’attività che dovrà svolgersi al suo
interno il quale deve risultare visivamente piacevole e privo di abbagliamento. Gli obiettivi da perseguire, mediante
l'appropriata illuminazione dell'ambiente, includono la necessita di:
⋅ ottenere una adeguata luminosità dello spazio in modo che si possano percepire con
chiarezza gli oggetti all'interno
⋅ garantire condizioni di sicurezza e di facilita di movimento all'interno dell'ambiente stesso
⋅ favorire la concentrazione dell'osservatore sull'area del compito visivo
⋅ prevedere aree di luminanza (leggermente) inferiore a quella delle aree relative al compito
visivo per consentire un adeguato riposo della vista
⋅ determinare un buon modellato soprattutto dei visi ed ammorbidire le ombre dure
mediante un appropriato equilibrio tra luce direzionale e diffusa
⋅ rendere naturali i colori delle persone e degli arredi dell'interno mediante l'impiego di
sorgenti di luce con buone caratteristiche di resa del colore; ed inoltre adeguare le
caratteristiche delle sorgenti di luce artificiale al livello di illuminamento
⋅ ottenere una piacevole varietà di luminanze e di colori per contribuire al benessere degli
occupanti ed alla riduzione dello stress da lavoro (per la definizione di stress da lavoro,
vedere ISO 6385); una soluzione e quella di prevedere, nell'ambiente visivo, aree di
luminanza diversa, rispetto alla media, poste fuori del campo di osservazione del compito
visivo;
⋅ favorire in linea di massima la pulizia mediante la scelta di colori chiari
I valori di illuminamento consigliati per differenti compiti ed attività, necessari per ottenere
soddisfacenti prestazioni visive ed il raggiungimento delle condizioni di benessere, definiti in relazione
alle esigenze visive del compito ed alla capacità visiva dei soggetti sono riportati nella tabella seguente.
Tipo di area, compito o attività Intervallo di illuminamento
(lux)
Aree esterne di circolazione e lavoro 20 30 50
Aree di circolazione, semplice orientamento o brevi visite 50 100 150
temporanee
Locali non usati con continuità per scopi di lavoro 100 150 200
Compiti con semplici requisiti visivi 200 300 500
Compiti con requisiti visivi medi 300 500 750
Compiti con requisiti visivi di precisione 500 750 1000
Compiti con requisiti visivi difficili 750 1000 1500
Compiti con requisiti visivi speciali 1000 1500 2000
Svolgimento di compiti visivi molto precisi >2000
Tabella 20: Illuminamenti consigliati
Per ogni tipo di compito o attività sono riportati tre valori (per una descrizione più dettagliata
dei livelli di illuminamento consigliati si fa riferimento alle tabelle proposte nel capitolo 4.6:
L’illuminamento).
I valori più elevati possono essere assunti a riferimento:
⋅ in presenza di modesti valori del fattore di riflessione o di contrasto;
⋅ quando gli errori commessi nell'esecuzione del compito comportano conseguenze rilevanti;
⋅ quando la prestazione visiva è critica;
⋅ nei casi in cui la precisione o una maggiore produttività rivestono grande importanza;
⋅ quando la capacita visiva del soggetto lo renda necessario.
Particolare attenzione bisogna porre, in fase progettazione, sulla qualità riflettenti dei materiali di
rivestimento degli ambienti allo scopo di evitare che le luminanze delle singole superfici risultino
eccessivamente diverse tra loro.
IILLUMINOTECNICA 76
In generale si identificano tre zone distinte: la prima è quella propria del campo visivo interessato,
la seconda indica una zona immediatamente prossima alla prima e la terza è l’intorno generale che può
rientrare nel campo visivo.
Per ottenere un comfort visivo, la prima zona non deve superare una luminanza di 200 cd/m2 (i
valori raccomandati sono compresi tra 40 e 120 cd/m2). L’area adiacente (zona) da 1 a 1/3 del valore del
campo visivo specifico (minimo 1/5).
L’area generale (zona 3) da 1/5 a 5 volte il campo visivo specifico (minimo da 1/10 a 10 volte).
Bisogna inoltre considerare i seguenti apporti di luminanza:
tra compito visivo ed immediati intorni, quali le superfici di un banco o di una scrivania;
tra soffitto, pareti e pavimento;
tra apparecchi di illuminazione e finestra
6.3 IL CONTRASTO
Ove possibile, il compito e l'illuminazione devono essere progettati al fine di fornire un contrasto ottimale.
La sensibilità al contrasto aumenta, entro certi limiti, con la luminanza; essa è anche influenzata dal gradiente di
luminanza o colore al contorno tra due zone adiacenti. Risulta ridotta quando si hanno variazioni molto forti di
luminanza e di colore nel campo visivo che circonda l'immagine da osservare. Per esempio, se una sorgente di luce intensa si
trova nel campo visivo, la presenza di condizioni di abbagliamento debilitante ad essa connesse può provocare una
riduzione apparente del contrasto. Una riduzione del contrasto si può verificare anche quando si distoglie lo sguardo dal
compito visivo per dirigerlo verso una zona più illuminata, poiché si verifica una variazione rapida dell'adattamento
dell'occhio (adattamento transitorio).
Se a causa di riflessioni dovute a superfici di elevata luminanza51 il contrasto può essere ridotto
un’appropriata diffusione dell'illuminazione all’interno di un ambiente, per esempio per riflessione sul
soffitto e/o sulle pareti, può attenuare la riduzione del contrasto.
51 Tale condizione produce una sorta di velo che impedisce o disturba la visione (da cui il termine riflessioni di velo).
IILLUMINOTECNICA 77
6.4 L’ABBAGLIAMENTO
Valori elevati del fattore di riflessione delle superfici in presenza di sorgenti ad elevata luminanza
ed anche alla presenza di superfici con riflessione di tipo speculare come nel caso di metallo lucidato,
possono essere causa di fenomeni di abbagliamento fastidioso e/o debilitante i quali determinano una
inevitabile riduzione del comfort visivo con conseguente senso di disagio del fruitore, che tende ad
aumentare con il tempo ed a costituire un fattore di affaticamento.
Normalmente la luminanza dello sfondo determina il livello generale dell'adattamento dell'occhio; quando la
sorgente luminosa e di grandi dimensioni, come per esempio una finestra, si deve tener conto dell'effetto della luminanza
della sorgente sul livello di adattamento.
Particolare attenzione bisogna porre riguardo l’abbagliamento debilitante che interviene
abitualmente quando una sorgente di debole luminanza ma di appropriata superficie (o una piccola
sorgente di elevata luminanza) è percepibile nell'intorno prossimo del compito visivo.
Un esempio è rappresentato dalla difficoltà che si incontra nella lettura di immagini a bassa
luminanza poste di fronte o in prossimità di una finestra.
IILLUMINOTECNICA 78
52 Tale sistema nasce da uno studio condotto per la scelta cromatica delle dominanti cromatiche in aule scolastiche ed
è stato progettato tenendo in considerazione il sistema percettivo degli studenti. I buoni risultati ottenuti hanno esteso l’uso
di questo tipo di progettazione cromatica, con le dovute modificazioni, a tutto il mondo del lavoro.
IILLUMINOTECNICA 79
Se invece le finestre si trovano su lati opposti o su tre lati, si sceglie il sud come esposizione anche
se la parete sud non presenta aperture. Tutte le combinazioni possibili possono essere per semplicità
rappresentate nel diagramma e nella tabella seguente:
53 Blu al mattino presto, gialle a mezzogiorno, rosse alla sera. Le radiazioni verdi predominano tra il mattino e
mezzogiorno, mentre le radiazioni arancione sono più abbondanti tra mezzogiorno e la sera. Infine è all'aurora che vi è una
maggiore quantità di raggi indaco mentre all'inizio della notte si riscontrano le radiazioni violette perché in questo momento
esiste nell'atmosfera notturna una mescolanza uguale di raggi blu del mattino e di raggi rossi della sera.
IILLUMINOTECNICA 82
Verde E’ il colore della vita, dell’equilibrio e può essere definito come armonizzatore,
rinfrescante, rigeneratore e calmante ed è indicato in tutti i casi di disturbi attentivi
da iperattività o da interferenze emozionali importanti; aiuta quindi a liberarsi dei
problemi mentali od emozionali importanti.
Blu E’ un colore ad effetto distendente e rilassante soprattutto sui muscoli, riduce
quindi tensioni e spasmi a livello muscolare. Un blu acceso può però provocare
stanchezza e depressione.
Viola E’ il colore con la maggior frequenza d’onda quindi è il più carico di energia e
risulta eccellente per moderare l’irritabilità, la collera, e tutte le emozioni violente e
permette di diminuire l’angoscia e la paura. Deve essere usato in tutti quei casi nei
quali sia necessario stimolare una maggiore concentrazione attentiva sia a livello di
attenzione selettiva che a livello di attenzione prolungata.
Indaco Cromaticamente è una combinazione di blu e di viola. E’ il colore dell’energia
intensa in senso cosmico. L’energia contenuta in questo colore è infatti di capitale
importanza per lo sviluppo della vita. L’indaco è un colore rinfrescante e
astringente ed un efficace tonico muscolare. Stimola l’acutezza dei cinque sensi e
l’intuizione mentre calma l’eccitazione mentale. Si è inoltre scoperto che l’indaco
sembra avere, unico tra tutti i colori, un effetto filtrante sulla radiatività.
Tabella 24: Effetti psicologici del colore
In questi ultimi anni si è rinnovato l’interesse nei riguardi della qualità ambientale degli interni
con particolare riferimento all’illuminazione di tipo naturale; aspetto questo che ha ricevuto una
sistemazione in termini di strumenti conoscitivi e di controllo a partire dalla metà del XIX sec. In tale
secolo infatti venne affrontato per la prima volta il problema degli ambienti malsani tipici delle grandi
città industriali europee e nord americane. L’utilizzo della luce naturale trae origine dalle seguenti
motivazioni:
⋅ igieniche; la finestra ha lo scopo di illuminare ed aerare gli ambienti chiusi e consentire inoltre ai
fruitori la vista dell’esterno circostante.
⋅ psicologiche; è stato dimostrato il maggior rendimento dell’individuo, conseguente allo svolgimento
di attività lavorative in ambienti illuminati da luce naturale;
⋅ energetiche; per ridurre l’utilizzo di luce artificiale e di conseguenza la spesa di energia elettrica.
Appare evidente come una corretta illuminazione di interni mediante luce naturale deve
considerare, per la definizione di un ambiente idoneo alle esigenze dell’individuo, sia l’aspetto
quantitativo del problema, legato al raggiungimento di un adeguato valore di illuminamento, sia quello
qualitativo della materia, aspetto quest’ultimo indispensabile per assicurare agli operatori più
confortevoli condizioni di lavoro.
Il problema del comfort degli ambienti ed in particolare la corretta Illuminazione sfruttando
esclusivamente la radiazione solare non è un fatto nuovo in architettura, basti pensare che sin dai tempi
remoti il problema del soleggiamento ha condizionato spontaneamente le culture tradizionali; il clima e
la luce del sole sono da sempre fattori che incidono sulla scelta di determinate tipologie abitative.
Vitruvio54 infatti nel VI libro "De Architettura" affronta il problema dell'orientamento delle finestre
e fornisce alcune indicazioni su come verificare la quantità di luce naturale che entra all’interno di un
ambiente attraverso una finestra in presenza di una ostruzione esterna: "Dal lato dal quale la luce dovrebbe
entrare, si tracci una linea dalla sommità della parete che sembra ostruire la luce fino al punto in corrispondenza dei quale
essa avrebbe dovuto essere introdotta, e se una considerevole porzione di cielo può essere vista quando uno guarda sopra tale
linea, non ci sarà ostruzione della luce in tale situazione".
Con riferimento alle condizioni climatiche esterne sempre Vitruvio così recita nel I libro: Occorre
poi che l’architetto conosca la scienza medica, in considerazione delle zone determinate dall’inclinazione dell’asse terrestre
(in greco Klimata), e delle proprietà dell’aria e dei luoghi, che possono essere salubri o malsani, e delle acque; se non si
prendono in considerazione infatti questi elementi non è possibile costruire alcuna abitazione salubre. Con la
Rivoluzione Francese l’uomo del XVIII secolo pone come fine del proprio operare i “diritti dell’uomo”, ed il
conseguente interesse per la salute dell’individuo porta alla riformulazione, mediante un approccio di
tipo scientifico, del principio della triade vitruviana, ampliando di conseguenza il concetto di utilitas
inglobando in essa l’idea di igiene e di comodità.
Nella seconda metà dell'ottocento viene clonato per la prima volta il concetto di comfort, al quale
la modernità ha attribuito il significato di espressione della qualità della vita., ed il tema dell'igiene e della
salubrità delle abitazioni e degli spazi di lavoro diventa una responsabilità sociale e, ad un tempo, una
preoccupazione economica in relazione alla salute e quindi alla produttività dei lavoratori.
Sempre in tale periodo nei diversi paesi industrializzati, vengono emanati i primi regolamenti di
igiene edilizia e urbana e l’edificazione può avere seguito solo dietro approvazione, da parte degli organi
competenti, di un nuovo strumento di controllo: la licenza di abitabilità, che contempla, quasi sempre, il
rispetto di standard di illuminazione naturale, soleggiamento e ventilazione, espressi per lo più in
termini di distanze minime fra edifici, dimensioni delle aperture e delle vetrature, rapporti fra altezza di
vano e larghezza del fronte.
54
I Romani stabilirono inoltre le prime norme sulle "distanze legali" fra le costruzioni e sul diritto ad aprire luci
e vedute, anticipando le più recenti norme presenti nei codici civili e nelle normative urbanistiche attuali. La distanza
fra le costruzioni assume anche il significato di salvaguardia della possibilità di veduta, nelle più tarde norme stabilite
per le "Nuove costruzioni nelle città marittime" in epoca giustiniana. le nuove costruzioni dovevano rispettare almeno
una distanza di 100 piedi dalle preesistenti, in modo da non impedire a queste ultime la vista dei mare.'
IILLUMINOTECNICA 92
Ernest Flagg – Singer Building, New York, 1906-1908 - Ripresa in fase di costruzione
Ma la necessità di realizzare nuove e più confortevoli abitazioni55 ha determinato la lievitazione
dei costi dei terreni edificabili ed il conseguente sfruttamento speculativo delle strette superfici del
centro delle maggiori città industriali quali New York, Chicago, etc, con l’inevitabile sviluppo delle
costruzioni in verticale56; i nuovi edifici, progettati per consentire l’ingresso della luce naturale
all’interno degli ambienti adibiti ad uffici57, sono caratterizzati dal rivestimento delle facciate in mattone
e da grandi finestre organizzate serialmente.
A seguito dell’evoluzione tecnologica l’altezza degli edifici cresceva vertiginosamente tanto che le
strade diventavano sempre più scure con conseguente diminuzione di luce all’interno degli ambienti;
per tale motivo l’architetto Ernest Flagg propose nel 1898 di lasciar avanzare verso la strada solo le
parti basse dell’edificio e di limitare le alte torri a un quarto della superficie del terreno da edificare.
55 Gli accorgimenti in precedenza citati e mirati al raggiungimento di idonei spazi di lavoro, (ed un inevitabile ritorno
economico), traggono origine dalle esperienze funzionaliste e razionaliste, in cui per la prima volta vengono condotti studi
su organismi edilizi rispondenti ai requisiti di minimo esistenziale e funzionale (scuola di Chicago, Bahaus di Gropius, Le
Corbusier, etc.); il neo progettista mira in virtù di tali esperienze alla realizzazione di ambienti artificiali che consentano lo
svolgimento delle attività lavorative e siano perfettamente inseriti in un contesto urbano e rispondano alle esigenze
individuali e collettive dell’individuo. Nasce a seguito di tali premesse il Performance Designer il quale deve intendersi come uno
schema progettuale ordinato secondo sistemi di prestazioni conformi alle esigenze dell’utenza.
56 Gli edifici poterono svilupparsi in altezza grazie alla scoperta dello scheletro di acciaio antincendio, con
conseguente riduzione dello spessore dei muri e del conseguente peso della struttura, e soprattutto per l’invenzione
dell’ascensore di sicurezza, presentato nel 1857 a New York da Elisha Otis.
57 James McLaughlin nel 1877 aveva dato a una struttura a scheletro di acciaio di un grande magazzino di Cincinnati
un aspetto che sarebbe presto diventato tipico per i grandi magazzini commerciali in tutta l’America
IILLUMINOTECNICA 93
58 A Bruxelles fu la piccola casa borghese a caratterizzare la città la cui forma fu minuziosamente precisata nei
regolamenti edilizi comunali che indicavano chiaramente l’altezza degli edifici e dei locali, dei cornicioni, dei balconi, etc.
59
gli studi sul rapporto fra densità edilizia, conformazione e orientamento del fabbricato e dell'alloggio in
particolare, la definizione di valori limite del rapporto altezza/distanza tra cortine edilizie contrapposte, sono
documentati nelle proposte di Gropius al CIAM del 1930 e negli studi di Hilberseimer.
IILLUMINOTECNICA 94
La Defence – Parigi
60 si vedano i contributi di fisiologia sulla rivista "Esprit Nouveau" (1920-25), e in particolare quelli relativi alla
risposta dell'occhio alla luce, e gli scritti di Walter Gropius.
61Particolarmente interessanti sono gli studi condotti negli anni settanta da Fanger in USA e da Givoni in Israele sulla
settanta e primi' anni ottanta come un problema rilevante fra quelli da affrontare nell'ambito delle politiche sul risparmio
energetico specificatamente rivolte al settore delle costruzioni
63 Il BRE britannico anticipa tale orientamento realizzando nella sede di Garston, alla fine degli anni settanta, un
edificio per uffici quale laboratorio "al vero" per verificare soluzioni a basso consumo energetico, nel quale sono presi in
considerazioni anche gli aspetti relativi alla illuminazione. Da questo punto di vista gli accorgimenti edilizi utilizzati
riguardano l'orientamento dell'edificio secondo l'asse est-ovest, la notevole dimensione delle superfici vetrate, variabile
secondo l'orientamento, e la ridotta profondità dei locali, mentre gli accorgimenti impiantistici prevedono il controllo della
accensione della illuminazione artificiale con sistemi a cellula fotoelettrica e interruttori a tempo. I consumi per la
IILLUMINOTECNICA 96
sperimentali orientati prevalentemente sui seguenti settori: ricerca di fonti di energia alternativa con
particolare riferimento a quella solare ed a quella geotecnica.
Sulla base di tali ricerche tra gli anni ’70 ed ’80 si sviluppò una moderna architettura (o tipo
edilizio) definita appunto bioclimatica, concepita in funzioni delle caratteristiche climatiche e
morfologiche dell'ambiente esterno, finalizzata al raggiungimento del comfort ambientale interno,
minimizzando i consumi energetici per la climatizzazione quali: il riscaldamento, il condizionamento
estivo e, limitando di conseguenza, l'inquinamento ambientale. I principi di tale progettazione non sono
un fatto nuovo, infatti, la tipologia di alcuni edifici del passato non è certo casuale ma è finalizzata al
comfort dello spazio abitativo.
L'architettura vernacolare mirava alla realizzazione di organismi edilizi nei quali, sfruttando la
posizione reciproca degli edifici, le caratteristiche costruttive e la scelta dei materiali, era possibile
rendere il microclima interno soddisfacente. In altre parole un'architettura che poteva essere facilmente
modificata in base alle mutevoli esigenze dei fruitori in cui il clima influenzava in modo determinante i
procedimenti costruttivi.
Alcuni esempi potrebbero essere la Kasba o cittadella araba in cui la disposizione degli edifici era
mirava ad aumentare la superficie ombreggiamento; le case a schiera di Acoma nel Nuovo Messico; le
terme e i bagni romani; o ancora accorgimenti come il portico con pensilina, le Toldos spagnole (veli da
sole), le Badgir pakistane realizzate per convogliare la brezza pomeridiana all'interno degli edifici e
ancora gli schermi di protezione spagnoli denominati Miradores.
La ricerca in tal senso, in particolare per edifici destinati ad uffici, subisce un notevole slancio in
Gran Bretagna all'interno di uno specifico progetto finanziato dal Dipartimento dell'Energia attraverso
la BRECSU (Building Research Energy Conservation Support Unit) che ha permesso di sottoporre a
monitoraggio una serie di casi studio fornendo dati sui consumi energetici per la illuminazione in edifici
a bassa dispersione termica quali: edifici solari ed edifici con sistemi di gestione controllata della
illuminazione artificiale.
Tuttavia, come ha rilevato un'indagine del BRE pubblicata nel 1988 e relativa ai progettisti di
alcuni fra i più significativi edifici per uffici realizzati fra il 1978 e il 1981, anche in Gran Bretagna
architetti e ingegneri sembrano, nella generalità dei casi, ancora poco interessati al tema della luce
naturale sia come tema progettuale, che come tema prestazionale per il comfort e il risparmio
energetico.
A partire dagli anni ’90 i regolamenti edilizi impongono ai progettisti di prendere in
considerazione l’aspetto energetico dell’opera da realizzare al fine di conciliare consumi e risparmio
energetico. Questo rinnovato interesse è manifesto in alcuni recenti regolamenti edilizi come quello
olandese del 1992 e danese del 1994. In tali regolamenti viene affrontato fra gli altri il tema della
illuminazione naturale nel quadro della politica mirata al risparmio energetico e come criterio essenziale
su cui fondare la certificazione ecologica di edifici destinati all'industria, agli uffici e alla residenza.
L'interesse per la illuminazione naturale ha prodotto, in particolare in Gran Bretagna, in
Germania ed in USA, nuove tecniche volte a migliorare l'utilizzo della stessa negli edifici mediante il
controllo e la distribuzione della luce diretta del sole così da poterla effettivamente utilizzare negli
ambienti di lavoro e permetterne la penetrazione più in profondità.
I criteri e le tecniche costruttive per il contenimento dei consumi energetici sono attualmente
definiti dalla legge a carattere prestazionale n. 10 del 9/1/1991. Prima dell'approvazione della legge n.
10/91, il contenimento dei consumi energetici degli edifici era affidato alle leggi n. 373/76 e n. 645/83
dove nella prima si stabilivano i limiti di temperatura interna delle dispersioni termiche e della potenza
dell'impianto e nella seconda si poneva il limite del numero di ore di funzionamento dell'impianto
Sempre in vista di un migliore utilizzo della illuminazione naturale questi ultimi anni hanno visto
anche lo sviluppo di sistemi di controllo della luce artificiale volti a permettere una conveniente
integrazione fra le due sorgenti, attraverso, ad esempio, la regolazione o lo spegnimento automatico dei
flusso di luce artificiale in rapporto alla disponibilità di luce diurna".
illuminazione furono sottoposti a monitoraggio permettendo di verificare consumi pari ad un decimo di quelli raccomandati
dalla Chartered lnstitution of Building Services.
IILLUMINOTECNICA 97
Jean Nouvel – Istituto del mondo arabo - Schema dei pannelli con il posizionamento dei diaframmi
69 Nella maggior parte dei paesi della Comunità Europea la normativa riguardante il settore dell’illuminazione
naturale è espressa in termini di standard minimi a fini igienici e nessuna indicazione viene data nel quadro delle norme sul
risparmio energetico, unica eccezione, per quanto ci è stato possibile conoscere, è la Danimarca che, nelle modifiche
introdotte nel 1994 al regolamento della costruzione 'in materia di risparmio energetico, prende in considerazione anche i
consumi energetici per la illuminazione degli ambienti.
70
Una raccolta CEE, pubblicata nel 1984 Recueil CEE de dispositions modèles de réglement de la construction"
forniva un quadro dei parametri utilizzati in alternativa in ambito di edilizia residenziale:. finestratura dei locale, fattore di
luce diurna, componente cielo dei fattore di luce diurna, rapporto fra la superficie vetrata di chiusura esterna e la superficie
di pavimento dei locale.
IILLUMINOTECNICA 100
puramente qualitativo (Abbagliamento, contrasto, etc.) per il raggiungimento del comfort degli ambienti
artificiali.
71 Fra i tipi edilizi la cui concezione maggiormente risentì della necessità di dare soluzione al problema della
illuminazione naturale si citano le scuole ed i musei. Nelle scuole, in particolare in Gran Bretagna dopo lo Education Act dei
1870, le aule di grandi dimensioni dovevano essere riscaldate e illuminate a bassi costi. I primi progressi nella progettazione
della illuminazione naturale delle scuole sono illustrati in un testo "School Architecture" scritto da E.R. Robson nel 1874. In
relazione alla salute dell'occhio e alla efficacia dei compito visivo egli scrive: "La luce laterale, in particolare quella da sinistra, è di
tale importanza da dover avere una opportuna influenza nel disegno delle nostre piante. (... ) Una aula è ben illuminata solamente quando ha 30
pollici quadrati d'i vetratura per ogni piede quadrato di superficie dei pavimento". Un rapporto elevato (superficie illuminante pari a circa
il 20% della superficie dei pavimento) giustificato forse dal notevole inquinamento dell'aria e conseguente bassa luminosità
dei cielo. Ancora: "Si sa che i raggi dei sole hanno un effetto benefico sull'aria della stanza, tendendo a promuovere la ventilazione, e sono per
un giovane molto di più di quello che essi sono per un fiore. In base a ciò i costruttori di alcune scuole hanno cercato di assicurare il maggior
soleggiamento possibile, procurando con ciò eccessi di quantità di luce e disturbi di abbagliamento nel periodo caldo estivo, o agli insegnanti o agli
alunni o a entrambi”. Per quanto riguarda le gallerie e i musei, con l'inizio dell'ottocento si misero a punto nuove tipologie
edilizie che introducevano la illuminazione dall'alto. li prototipo è indicato nella Duiwich Picture Gallery, nei dintorni di
Londra, progettata nel 1 814 da Sir John Soane, dove la luce entra da lucernari posti in copertura. Con F.P. Cockereli, nel
1850, fu messa a punto una vera e propria teoria sulla illuminazione naturale delle gallerie d'arte, volta a garantire la
illuminazione delle pitture, senza effetti di abbagliamento e riflessione. Cockereli propose l'uso dei "velarium", ovvero di uno
schermo traslucido sull'area centrale della galleria, dal quale la luce veniva diretta sulle pareti per ottenere una illuminazione
riflessa diffusa. La geometria in alzato delle gallerie espositive fu in Inghilterra oggetto di ricerca nella seconda metà
dell'ottocento e fino ai primi anni dei novecento, con l'obiettivo prioritario di realizzare le migliori soluzioni per la
illuminazione naturale.
72 praticamente tutte le aperture compreso gli ingressi si aprono verso sud.
73 anche le moderne architetture di Le Corbusier, Gropius, Schwagenscheidt, Vinaccia, Neuzil, ecc. mirano al
raggiungimento del comfort interno sfruttando le caratteristiche climatiche del sito.
IILLUMINOTECNICA 101
Le finestre sono delle aperture ricavate nei muri esterni di un fabbricato allo scopo di illuminare
ed arieggiare gli ambienti chiusi e per consentire alle persone che vi si trovano la vista dell'esterno
circostante.
Ai fini della loro essenziale funzione, fornire luce ed aria ad uno spazio confinato, hanno primaria
importanza i parametri dimensionali, la forma e la posizione; ma oltre a queste caratteristiche
determinate da esigenze di igienicità, di illuminamento e di ventilazione, le finestre rivestono un valore
qualificante degli spazi interni mentre all'esterno la loro quantità, qualità e disposizione, congiuntamente
con gli altri elementi costruttivi e decorativi, hanno importanza assolutamente definitiva nella
composizione architettonica dell'insieme.
Indubbiamente le finestre, considerate come episodio architettonico a se stante, costituiscono un
fatto estetico che implica problemi di forma, proporzioni, decorazioni, che hanno ricevuto nelle varie
epoche, dagli stili, dall'importanza e dalla natura e carattere degli edifici le più svariate espressioni,
talvolta anche irrazionali tanto da comprometterne la sostanziale funzionalità.
Vanno altresì tenuti presenti gli aspetti strutturali derivanti dai materiali, dalle tecnologie, dagli
elementi costruttivi74.
Nella maggior parte dei casi gli edifici non monofronti presentano finestre quasi uguali (le cui
dimensioni sono solamente legate a fattori estetici, alla dimensione della superficie esterna e solo di
rado da considerazioni di ordine bioclimatico), il che dice a sufficienza quanto scarsa sia ancora la
competenza. M. Matteotti così recita su tale argomento praticamente non si sa ancora che le finestre ubicate nelle
diverse facciate di uno stesso edificio, dovrebbero essere diverse fra loro e per la forma , la dimensione, la ubicazione, a
seconda della loro esposizione al sole e della loro funzione nel locale che servono.
Dei fattori: luce, aria e visibilità, che hanno dato origine alle finestre focalizzeremo la nostra
attenzione sul primo. Per una rapida e sintetica analisi del fenomeno75 è stato fissato un ambiente, che
fungerà da banco di prova, avente le seguenti caratteristiche: larghezza e lunghezza metri cinque, altezza
metri tre; finestra posta assialmente; spessore del muro centimetri trenta.
Altri fattori assunti e mantenuti costanti sono gli orientamenti assegnati al vano: sud; sud-est
(valido anche per sud-ovest); est (ovest); nord-est (nord-ovest); nord.
Per ognuno di questi orientamenti si sono ricercati i soleggiamenti corrispondenti ai solstizi
d'estate e d'inverno e degli equinozi di primavera e d'autunno; cioè al 22 giugno, al 22 dicembre e ai 21
marzo e 23 settembre, per la città di Palermo.
Riguardo alle caratteristiche dimensionali e di forma delle finestre, fissata la superficie di metri
quadrati 2.50, pari a 1/10 della superficie di pavimento (25 mq), si sono calcolati i livelli di
illuminamento e di soleggiamento, ottenibili con quattro diverse forme.
⋅ Primo tipo: finestra rettangolare di proporzioni definibili normali, metri 1,40 di larghezza per 1,80
di altezza con davanzale a centimetri 90 dal pavimento e centimetri 30 di architrave.
⋅ Secondo tipo: finestra quadrata di metri 1,58 di lato, davanzale ancora a centimetri 90 di altezza dal
pavimento e centimetri 52 di architrave.
⋅ Terzo tipo: finestra rettangolare ad asse verticale praticamente estesa da pavimento a 30 centimetri
dal soffitto, larghezza metri 0,93 e altezza di metri 2,70.
⋅ Quarto tipo: finestra rettangolare a nastro orizzontale, con base di metri 2,70 - quindi con spalle di
centimetri 1,15 - e altezza di metri 0,93; la finestra è stata posta con il davanzale a circa metri 1,00
dal pavimento e l'architrave a metri i dal soffitto. Questa posizione è stata fissata dopo avere
riscontrata la grande importanza che l'altezza rispetto al pavimento rappresenta per la qualità e
quantità del soleggiamento ed illuminamento. E’ facilmente comprensibile che più è elevata la
posizione della finestra, maggiore è la superficie soleggiata; per contro, un posizionamento nella
74 O. Marchi, Il soleggiamento degli ambienti in funzione del tipo di finestra, ed. CEDAM, Padova, 1980.
75
Tale studio tiene conto delle ricerche effettuate da Walter Schwagenscheidt negli anni venti per i quartieri
residenziali di Francoforte sul Meno (le ricerche riguardavano un sistema di case a schiera dell'altezza di quattro piani
poste in parallelo con una distanza tra gli edifici di cinquanta metri) e da Luigi Mattioni per la definizione del livello
ottimale di soleggiamento degli ambienti.
IILLUMINOTECNICA 102
parete troppo alto impedisce la vista dell'esterno; si è ritenuto quindi di adottare una posizione
tale da consentire ad una persona adulta in posizione eretta una soddisfacente visuale.
Periodo Orient. TIPO DI FINESTRA
Quadrata Rettangolare Rettangolare ad A
asse verticale nastro
Equinozio Sud Max 1.825 1.733 1.492 1.720
Di primavera Med 0.688 0.691 0.387 0.555
21 marzo Min 1.148 1.125 0.789 1.031
Solstizio Sud Max 1.911 1.813 1.806 2.094
d’estate Med 0.783 0.767 0.306 0.581
22 giugno Min 1.254 1.223 0.577 1.098
Equinozio Sud Max 2.683 2.631 2.268 2.346
d’autunno Med 0.907 0.892 0.392 0.647
23 settembre Min 1.654 1.609 0.847 1.364
Solstizio Sud Max 1.913 5.405 0.949 1.142
D’inverno Med 0.550 1.279 0.127 0.280
22 dicembre Min 1.040 2.355 0.343 0.601
8.3 L’ORIENTAMENTO
L'orientamento indica il punto cardinale verso il quale è rivolta una facciata dell'edifico; nel caso
di edifici a sviluppo lineare, il punto cardinale verso il quale è rivolta ciascuna delle due facciate a
sviluppo maggiore. L'azimut di una parete indica l'angolo che la normale alla parete stessa forma con il
Sud geografico; una parete esposta a Sud ha azimut = 0.
Poiché, nel nostro emisfero, l'arco apparente percorso dal sole si svolge in direzione Sud76 (come
visibile dalle carte solari), questo orientamento è quello ottimale per il guadagno energetico nella
stagione invernale; viceversa, l'orientamento verso nord, che riceve la radiazione solare in misura
ridottissima ed è spesso esposto a venti freddi, è molto suscettibile alle dispersioni termiche
dell'involucro edilizio.
76
In generale, una rotazione fino a 15 gradi non porta sensibili riduzioni nel guadagno termico.
IILLUMINOTECNICA 105
dell’altezza solare (α)77 e dell’azimut (a)78 riferiti ad una determinata località, in funzione del tempo
solare vero e della declinazione.
Gli angoli in precedenza descritti, caratteristici della posizione istantanea del sole e visualizzati
sulla sfera celeste riportata nella figura seguente, possono essere valutati per mezzo delle seguenti
relazione.
77 l’altezza del sole (β) è l’angolo misurato tra la direzione dei raggi solari ed il piano orizzontale.
78
l’azimut del sole (a) è da intendersi come l’angolo formato tra la proiezione sul piano orizzontale dei raggi
solari e la direzione sud; tale valore è positivo se la proiezione cade verso est (prima del mezzogiorno solare) ed è
negativo se la proiezione cade verso ovest (dopo il mezzogiorno solare).
79 La declinazione solare (δ) è l’angolo che la direzione dei raggi solari forma a mezzogiorno, sul meridiano
considerato, col piano equatoriale; risulta anche pari all’angolo che i raggi solari formano a mezzogiorno con la direzione
dello zenit sull’equatore e coincide inoltre con la latitudine geografica alla quale in un determinato giorno dell’anno il sole a
mezzogiorno sta sullo zenit; è positiva quando il sole sta al di sopra del piano equatoriale ed è negativa quando il sole è al di
sotto di esso come indicato nella figura seguente.
IILLUMINOTECNICA 106
Essendo n l’ennesimo giorno dell’anno. La declinazione è considerata costante nel corso di una
giornata, essendo la sua variazione massima dell’ordine di 0,4°/giorno e pertanto viene trascurata
l’influenza della longitudine stessa.
L’angolo orario è invece pari a :
h = (12 − orasolare) x15
Dalla precedente espressione si evince come l’angolo orario varia nel corso della giornata con una
velocità costante di 15°/ora, dato che una rotazione completa (360°) della terra avviane in 24 ore. Esso
vale zero al mezzogiorno solare, aumenta di 15° ogni ora contata a partire dal mezzogiorno, con valori
positivi la mattina e negativi il pomeriggio.
L’angolo orario relativo all’alba ha o al tramonto ht può essere calcolato annullando il senα nella
espressione dell’altezza solare, per cui si ottiene:
ha = − ht = ar cos(−tgLtgδ )
Per l’equatore essendo la latitudine L=0, si ottiene ha = -ht =90° e pertanto la durata del giorno è
sempre pari a 12 ore; per le altre località ciò si verifica se si annulla la declinazione (δ=0), cioè agli
equinozi. Occorre però notare che generalmente l’ora solare non coincide con l’ora civile; per
convertire quindi l’ora indicata dall’orologio nell’ora solare vera bisogna apportare una prima correzione
dovuta alla differenza di longitudine tra il meridiano locale ed il meridiano di riferimento, rispetto al
quale è computato il tempo convenzionale, tenendo presente che ad ogni grado di differenza di
longitudine corrisponde una correzione di quattro minuti primi ed una seconda correzione, chiamata
equazione del tempo (ET), dovuta al fatto che la velocità angolare della terra non è costante nel corso
dell’anno ma subisce delle variazioni positive e negative al valore convenzionale di 360/24 gradi/h.
L’ora solare vera è quindi espressa dalla seguente espressione:
o.s.v. = o.civile + 4 '(λl − λr ) + ET
Dove
λl = longitudine del luogo
λr = longitudine del meridiano di riferimento.
Le longitudini vanno considerate positive se ad est di Greenwich. Per l’Italia il meridiano di
riferimento è quello di 15° est, passante per l’Etna.
Per mezzo di questo diagramma è possibile determinare graficamente i periodi di tempo nei quali
un punto di una superficie rimane in ombra a causa di ostacoli che intercettano i raggi solari. Per
determinare infatti quando un ostacolo intercetta i raggi solari, basta rappresentare nel diagramma delle
traiettorie solari la forma angolare dell’ostacolo rispetto al punto di osservazione, plottando su di esso
l’azimut e l’altezza angolare dei punti che contornano l’ostacolo stesso.
IILLUMINOTECNICA 107
Prima di iniziare la descrizione dei parametri che influenzano il calcolo illuminotecnico, con
esclusivo apporto di luce naturale, sarebbe opportuno fare alcune brevi premesse indispensabili per
meglio comprendere quando più avanti verrà esposto. Il livello di luce naturale che riesce a penetrare
all’interno di un ambiente è strettamente legato al sito geografico, latitudine del luogo, e quindi al clima
che esso offre nei vari giorni dell'anno.
Per clima si intende l’effetto risultante dalla combinazione dei vari fattori metereologici di una
regione in un lungo periodo.
I fattori meteorologici sono:
− la temperatura dell’aria;
− le precipitazioni;
− la pressione atmosferica;
− l’umidità relativa;
− lo stato del cielo;
− il regime dei venti;
− la radiazione solare80.
Dove:
G = gradi giorno
ti = temperatura interna ottimale di riferimento
te = temperatura esterna - media giornaliera
n = numero dei giorni compresi nel periodo considerato.
Successivamente alla legge 30.4.1976 n. 373, il Decreto Ministeriale 10 marzo 1977 ha suddiviso il
territorio italiano in sei zone climatiche in funzione dei Gradi-Giorno ed indipendentemente
dall’ubicazione geografica; successivamente le singole Giunte Regionali hanno emanato decreti con i
quali sono stati fissati per ogni comune della relativa regione, i gradi giorno annuali, l’appartenenza alla
zona climatica ed i valori di dispersione termica. Per la città di Palermo si ha:
Gradi giorno Zona climatica
690 B: comuni con gradi giorno compresi
tra 600 e 900
2π n ( t )
e ( t ) = 1 + 0, 033cos
365
dove n(t) è il numero progressivo del giorno dell’anno.
83 La variazione è pari a ±3,3%dipendente dalla variazione del ±1,7% circa della distanza terra sole.
IILLUMINOTECNICA 111
Dividendo i precedenti valori (ore di sole/mese) per i giorni di ogni mese solare si ottiene:
ore sole mis./g. 4,5 5,2 6,5 7,7 9,4 10,3 11,5 10,5 8,5 7,0 5,7 4,2
15,0
ORE SOLE
5,0 TEORICHE
0,0
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
MESI
dove:
IILLUMINOTECNICA 113
⋅ φe,λ = flusso energetico corrispondente ad un piccolissimo intervallo di lunghezza d’onda intorno
a λ;
⋅ V(λ)=fattore di visibilità relativa dato, con buona approssimazione, da:
V ( λ ) = exp −278,5 ( λ − 0,555 )
2
⋅ Km = costante che permette di passare dall’unità energetica (watt) all’unità luminosa (lumen) pari
a 683lm/W.
L’illuminamento rappresenta il flusso luminoso incidente su una superficie unitaria (misurato in
lux) quindi un flusso di energia
G (λ ) dλ (W/mq)
incidente su una superficie unitaria produce un flusso di energia luminosa pari a espressa in lux:
Wlum ( λ ) d λ = 683V ( λ ) G ( λ ) d λ
Mediante il Modello Perez è possibile calcolare l’efficienza luminosa della radiazione diffusa
mediante la seguente espressione
id 0
= ai + bi w + ci cos z + di ln ( ∆ )
Id 0
Dove id0 e Id0 sono rispettivamente l’illuminamento diffuso e l’irraggiamento diffuso sul piano
orizzontale; stesso procedimento vale per la componente diretta.
ib 0
= ai + bi w + ci exp ( 5, 73z − 5 ) + di ∆
Ib0
Quindi id0 , espresso in lux, è pari a:
id 0 = (ai + bi w + ci cos z + d i ln ( ∆ )) I d 0
Dove ai, bi, ci e di si desumono da apposite tabelle per un determinato valore di , più avanti
descritto, mentre w rappresenta l’acqua precipitabile (cm) calcolabile con la seguente relazione
w = exp ( 0, 07Td − 0, 075 )
e ∆ l’indice di brillanza. Per ottenere il valore di Id0 (irraggiamento diffuso su piano orizzontale),
espresso in W/mq, indicato nella precedente espressione, è indispensabile seguire il seguente metodo di
calcolo. Mediante la formula di Cooper si ricava la declinazione solare δ84
284 + n
δ = 23, 45sen 360
365
Essendo n l’ennesimo giorno dell’anno85. L’ora solare alla quale il sole sorge e tramonta, sempre
riferita all’ennesimo giorno dell’anno, e per la latitudine “L” della località presa in esame sarà pari a:
ha = − ht = ar cos [ −tgLtgδ ]
L’angolo orario è invece pari a:
h = (12 − ora ) x15
I valori orari della radiazione diffusa Dh e diretta Bh (MJ/mq) per il giorno medio mensile si
valutano, secondo Liu e Jordan, a partire dai valori di radiazione media mensile indicati (MJ/mq), dalla
norma UNI10349 per i capoluoghi di provincia italiani.
Dh = rd H dh
84 La declinazione solare può considerarsi costante nel corso di una giornata, essendo la variazione massima
dell’ordine di 0,4°/giorno e pertanto viene trascurata l’influenza della longitudine stessa.
85 Si considera come giorno da porre a base del calcolo quello in cui la declinazione è pari al valore medio mensile.
IILLUMINOTECNICA 114
Bh = rt H bh
I coefficienti indicati nelle formule precedenti sono pari a:
π cosh − cosh a
rt = ( a + b cosh )
24 π
senha − ha cosh a
180
π cosh − cosh a
rd =
24 senh − π h cosh
a a a
180
dove:
a = 0, 409 + 0,5016 sen ( ha − 60 )
86
In generale, la retta orizzontale di riferimento deve passare per un punto posto a 2 metri di altezza dal piano di
calpestio.
87
In generale, la retta orizzontale di riferimento deve passare per un punto posto a 2 metri di altezza dal piano di
calpestio.
IILLUMINOTECNICA 116
Metodo basato sulla proiezione delle ombre per la valutazione della disponibilità di luce diurna in un interno
Anche in questo caso se in seguito all'espansione la luce solare ricevuta dall’edificio preesistente
risulta ridotta a meno di 0,8 volte quella della situazione originaria, il cambiamento verrà probabilmente
avvertito in maniera negativa dagli interessati.
Particolare attenzione bisogna porre sulla necessità di evitare che i raggi di sole riflessi dalle grandi
superfici vetrate delle costruzioni possano abbagliare gli occupanti di altri edifici o i passanti per strada.
L’artifizio tiene conto del fatto che la capacità di riflessione luminosa del vetro aumenta con
l'aumentare dell'angolo di incidenza dei raggi rispetto alla normale alla superficie, e quindi un vetro
posto perpendicolarmente alla direzione dei raggi del sole produce una minore riflessione e nel
contempo permette ad una maggiore quantità di luce di penetrare all'interno.
Piramide solare
Sulla base delle superiori premesse e di quanto stabilito ai punti 12, 12.1, etc. è possibile stabilire
per la città di Palermo le seguenti distanze minime tra cortine edilizie essendo H l’altezza dell’edificio:
⋅ esposizione sud >1,5 H;
⋅ esposizione est ed ovest >1,5H;
⋅ esposizione nord >2H.
IILLUMINOTECNICA 118
10.3 IL VOLUME EDIFICATO
Per un corretto posizionamento dell’edificio in un contesto urbano oltre alla reciproca distanza
tra le cortine edilizie bisogna considerare la posizione dell’edificio rispetto al tessuto viario.
In funzione della direzione delle strade si possono trarre le seguenti considerazioni:
Per le strade lungo la direzione est-ovest, dimensionate secondo le precedenti indicazioni, nelle
ore più calde della stagione invernale:
⋅ -privilegiano la facciata degli edifici rivolta a sud;
⋅ -penalizzano la facciata degli edifici rivolta a nord;
⋅ -lasciano in ombra il piano stradale, e quindi riducono, se non eliminano, i fenomeni di riflessione
e/o di restituzione dell'energia termica;
⋅ -per migliorare le condizioni di eccessivo soleggiamento sui percorsi pedonali a terra durante la
stagione calda, possono essere adottati diversi accorgimenti che riguardano sia la configurazione
della sezione stradale (filari di alberi con ampia chioma ed a foglia caduca), sia la forma degli
edifici prospicienti (porticati, pensiline continue, corpi aggettanti sopra al piano terra).
Quando le strade sono orientate lungo la direzione nord-sud, sempre in relazione al rapporto
h/L, si ottiene:
⋅ -che le ore di soleggiamento sono distribuite in misura omogenea sui due fronti e che, comunque,
esse si verificano quando il sole non è molto alto sull'orizzonte;
⋅ -che, nelle ore più calde, quando cioè il sole è più alto sull'orizzonte, i fronti degli edifici sono
lambiti tangenzialmente dai raggi solari, i quali cadono direttamente sul piano stradale; sono
quindi accentuati i fenomeni di riflessione e di restituzione dell'energia termica nelle ore serali.
Un corretto orientamento non deve trascurare gli effetti del vento, i quali sono tanto maggiori
quanto più l'asse stradale coincide con la direzione dei venti dominanti. Una strada definita dalle
"facciate" degli edifici "percorsa" da vento di notevole velocità e/o freddo, provoca disagi per i pedoni
ed aumenta le dispersioni termiche dell'involucro degli edifici stessi, paragonarsi ad una "condotta"
definita su tre lati, percorsa da un fluido.
Infatti il passaggio di calore dall'interno dell'edificio all'esterno (o viceversa) avviene per
conduzione (attraverso l'involucro) e convezione.
La convezione ha luogo quando almeno uno dei due corpi che prendono parte al fenomeno è un
fluido. In un mezzo con temperatura non uniforme si manifestano delle correnti convettive (dovute alla
diversa densità, da punto a punto) che provocano la miscelazione della massa fluida e quindi la
trasmissione del calore: è il caso della convezione naturale.
Nel fluido possono verificarsi anche moti convertivi generati da cause meccaniche esterne (ad
esempio un ventilatore) o naturali (il vento): si parla in questo caso di convezione forzata.
Il caso che qui si considera è quello della faccia piana di un corpo solido (la parete di un edifico)
sottoposta all'azione dei vento. L'esperienza dimostra che la maggior parte delle differenze di
temperatura si localizza nei pressi della superficie della parete scaldante (o raffreddante) a contatto con
la massa fluida. Ciò è dovuto alla esistenza di un sottile strato di fluido ("strato limite") aderente alla
parete, strato che si muove scarsamente rispetto al resto dei fluido.
Nello strato limite il fluido è pressoché immobile o si muove di moto laminare; in tale situazione
il calore si trasmette prevalentemente per conduttività interna.
Lo spessore “s” dello strato limite dipende dalla natura del fluido e dalla velocità “v” dei moti
convettori, e diminuisce al crescere di tale velocità. Data la complessità del fenomeno, non è facile
stabilire esattamente la legge che collega lo spessore “s” alla velocità “v”.
Q = hc A(Ts − T f )
E' stato proposto, comunque, che lo spessore dello strato limite possa essere considerato
inversamente proporzionale alla radice quadrata della velocità “v” (a meno di un fattore K).
Il flusso termico Q che si verifica è esprimibile mediante la seguente relazione:
Q = hc A(Ts − T f )
dove
IILLUMINOTECNICA 119
h = fattore di convezione
A = area della superficie a contatto con il fluido
(Ts - Tf) = differenza fra la temperatura della superficie e quella del fluido.
Alla luce delle precedenti considerazioni, si può concludere che, al fine di ridurre gli scambi
termici, è opportuno ubicare gli edifici nei siti ove la velocità del vento è minima (per ragioni
meteorologiche od a causa dell'esistenza di barriere frangivento) dato che così si aumenta lo spessore
dello strato limite aderente all'involucro dell'edificio stesso.
88 Altri studi sull’argomento sono stati condotti da Ray Pidoux, di G. Vinaccia, di Diotallevi e Marescotti nei quali si
vanno delineando i principi dell'architettura bioclimatica applicati all'urbanistica ed anche il concetto giuridico di "diritto al
sole".
89 Lavoro pubblicato nel volume di R. L. Knowles "Energia e Forma".
IILLUMINOTECNICA 121
10.5 FORMA DEGLI EDIFICI
Uno studio illuminotecnico non può trascurare come in precedenza citato altri fattori, primo fra
tutti quello energetico dell’edificio. Progettare una forma architettonica non vuol dire esclusivamente
definire edifici perfettamente inseriti nel contesto urbano, sia in termini di dimensione, che di forma,
che di reciproche distanze, ma deve mirare in particolare alla realizzazione di ambienti interni
confortevoli ed alla riduzione delle dispersioni termiche e di conseguenza dei consumi.
Quanto detto si traduce nella definizione di una corretta esposizione della fabbrica rispetto al
sole e delle sue dimensioni rispetto al lotto che deve occupare (parlando di dimensioni entra in gioco il
rapporto altezza/distanza da altro edificio).
Se riguardo all’esposizione nel capitolo “L’orientamento dello spazio costruito” si è visto come
l’orientamento migliore sia quello che segue il percorso apparente del sole che alle nostre latitudini si
svolge verso sud; per cui l’esposizione e la forma architettonica mette in primo piano l’aspetto
energetico. Sulla base delle superiori premesse sarebbe opportuno fare alcune brevi precisazioni in
merito ai problemi energetici degli edifici sicuri di indagare in un argomento non estraneo al tema della
ricerca: l’illuminamento degli interni.
Ogni edificio infatti, in base alla sua configurazione, si pone in modo diverso rispetto allo spazio
circostante; infatti proprio le sue peculiarità geometriche (estensione superficiale, perimetro di base,
altezza) determinano certe qualità e non altre. Di conseguenza deve essere oculata la scelta della forma
da utilizzare per l'involucro. Tale scelta deve tener conto delle condizioni climatiche e ambientali del
sito, da cui derivano i requisiti che un edificio deve possedere per realizzare condizioni di comfort.
Il libro di C. Benedetti “Manuale di architettura bioclimatica” a tal proposito così recita: l'adattamento
della geometria dell'edificio al funzionamento energetico, perseguito in funzione del comfort ambientale e del risparmio, può
essere studiato in modo sistematico e metodologico vedendo come le variabili, introdotte di volta in volta, modificano la
geometria dell'edificio e incidono sulle prestazioni energetiche. Per contenere il consumo di energia occorre tendere a ridurre
le dispersioni termiche e sfruttare al meglio l'apporto di calore della radiazione solare. Fra le tante variabili in gioco
quella che ha un peso maggiore è sicuramente la compattezza dell'edificio.
I guadagni termici e le dispersioni di calore di un edificio variano infatti al variare della sua forma.
La condizione migliore si raggiunge utilizzando le forme più compatte; ciò si realizza quando ad una
certa superficie corrisponde il minore perimetro, e ad un dato volume corrisponde la minima superficie
esterna. Ogni edificio o complesso di edifici è caratterizzato da un coefficiente di forma, dato dal
rapporto tra superficie di inviluppo e volume, che indica la sua compattezza. Quanto minore è la
superficie di inviluppo rispetto al volume compreso tanto maggiore è la compattezza. Un basso
rapporto superficie/volume comporta una minore superficie disperdente per unità di spazio utilizzabile.
La sfera è la forma geometrica che, con la minima superficie, racchiude il massimo volume. Non
potendo utilizzare praticamente la sfera come elemento edilizio, si può considerare il cubo, quale forma
geometrica che maggiormente si avvicina alla sfera. Nel cubo di lato = d, il rapporto S/V è uguale a
6/d. All'aumentare della dimensione del lato, il valore del rapporto S/V diminuisce e si realizza quindi
una compattezza maggiore. Si può quindi affermare che il valore del rapporto S/V è funzione della
dimensione del lato.
Rappresentando la funzione xy = 6 (ramo di iperbole equilatera) in un diagramma (dove x =
rapporto S/V ed y = dimensione del lato del cubo d) si può osservare che per valori di "d" elevati (da
12 a 22 m) si hanno piccole variazioni del rapporto S/V, che rimane piuttosto modesto (quindi si
hanno forme molto compatte). Va rilevato, tuttavia, che tale conclusione (basata su dati di ordine
geometrico) non sempre è coerente con le esigenze di ordine funzionale e distributivo; infatti un
edificio di forma cubica con "profondità" superiore ai 12-13 m pone problemi per una corretta
aerazione ed illuminazione naturale degli ambienti. Un cubo di lato doppio di quello unitario e "posato"
sul terreno (essendo un edificio), ha 5 facce esposte (di superficie totale uguale a 20) e volume pari a 8
volte il volume unitario. Il rapporto S/V ha un valore pari a 20/8 = 2.5. Si considerino altre
aggregazioni, sempre di volume pari a 8 volte il volume unitario. L'aggregazione a torre ed in linea
danno luogo a valori di S/V rispettivamente pari a 4.125 e 3.25. La quantità della superficie esposta a
parità di volume riveste un ruolo molto importante in relazione alle condizioni climatiche del sito su cui
il solido (edificio) è "posato" (una maggiore superficie esposta consente inoltre la realizzazione di un
numero maggiore di superfici vetrate con conseguente incremento del livello di illuminazione interno).
IILLUMINOTECNICA 122
Con questo si vuole rimarcare che non esiste una forma ottimale in assoluto. Fino ad ora si è
affrontato il problema focalizzando l’attenzione esclusivamente sull’aspetto geometrico e non tenendo
conto delle caratteristiche fisico-tecniche delle facce comprendenti il solido (ovvero delle pareti
dell'edificio). La trasmittanza delle superfici esterne condiziona sensibilmente una scelta architettonica
rispetto ad un’altra. Infatti la forma cubica, come si è visto, sarebbe quella ottimale a condizione che
tutte le facce abbiano uguale trasmittanza.
Per gli edifici questa condizione non si verifica, dato che la superficie appoggiata sul terreno e la
superficie di copertura sono caratterizzate generalmente da una trasmittanza più bassa. Esse quindi, al
fine di ottenere un equilibrio termico complessivo, possono avere una estensione diversa. Si configura
quindi una forma parallelepipeda, in alternativa a quella cubica90.
90
Se si considera un parallelepipedo di dimensioni a, h, h, il rapporto fra la superficie e il volume è dato da:
S 2h(a + b) + 2ab 2 2 2
= = + +
V abh a b h
Ad esempio, assegnano alle tre facce i rispettivi valori della trasmittanza media:
- faccia a x h t = 0. 5 kcal/mq h °C
- faccia h x h t = 1. 2 kcal/mq h °C
- faccia a x h t = 1. 4 kcal/mq h °C
L. March ha formulato un teorema che lega le caratteristiche geometriche e quelle fisico-tecniche (trasmittanza)
dell'involucro edilizio: La dimensione di ogni spigolo risulta proporzionale al valore della trasmittanza media delle
facce definite dagli altri due spigoli. Si può scrivere allora un sistema di tre equazioni in tre incognite.
h x h x 1.2
a x h x 1.4
a x h x 0. 5
Risolvendo questo sistema di equazioni si ricavano a, h, h.
Si può concludere che la forma più corretta di un edificio è quella parallelepipeda, le cui tre dimensioni sono
funzione dei valori della trasmittanza delle superfici dell'involucro.
Per concludere i fattori che influenzano le prestazioni sono:
a) orientamento: l'edificio va posto con il lato più lungo ortogonale al sud geografico, se si vogliono avere guadagni
termici più elevati; in questo caso è infatti maggiore la superficie captante;
b) soleggiamento: se le caratteristiche fisico-tecniche delle pareti sono uguali, essendo diverso l'apporto della
radiazione solare su facce diversamente orientate, per avere un edificio equilibrato termicamente, si deve sviluppare la
superficie a sud (che ha l'apporto tecnico maggiore) e ridurre quella a nord (che non riceve la radiazione solare). Vanno
inoltre differenziate le superfici est e ovest, in quanto le temperature più alte del pomeriggio avvantaggiano
l'esposizione ovest rispetto a quella est.
Se si vuole mantenere invece la forma parallelepipeda vanno differenziate le caratteristiche fisico-tecniche
delle pareti (trasmittanza). La parete a nord deve essere la più coibentata e con minore superficie finestrata, quella a sud
la parete più leggera e più vetrata per consentire il maggiore guadagno termico.
IILLUMINOTECNICA 123
FLDm =
( MAf θ t ) (%)
Stot (1−δ m2 )
dove:
Af = area vetrata totale;
Stot = area totale delle superfici interne;
δm = coefficiente medio di riflessione luminosa delle superfici interne;
M = fattore di correzione per la presenza di sporco o di altre ostruzioni sul piano della finestra;
t = coefficiente di trasmissione luminosa dei vetri puliti;
= angolo di vista libera dei cielo (in gradi), a partire dal baricentro esterno della finestra.
Nel 1928 Fruhling, estendendo il concetto di coefficiente di utilizzazione, solitamente utilizzato
nel calcolo dell’illuminazione naturale, al calcolo del fattore di luce diurna definisce una nuova formula
91
risultati ottenuti in base alla presente formula, posti a confronto con i dati misurati
sperimentalmente (mediante modelli fisici in scala), hanno mostrato errori medi dell'ordine dei 10%.
IILLUMINOTECNICA 124
in cui il FLD viene espresso in funzione della dimensione dell’area vetrata, Af, della superficie del
pavimento, Spav, di un coefficiente di utilizzazione, U, variabile tra 0,2 e 0,5, e del coefficiente di vista
del cielo .
ε AfU
FLDm = (%)
Spav
In Italia il requisito della illuminazione naturale è specificato in alcuni Decreti Ministeriali o
Circolari con riferimento a determinati settori edilizi, ed è ripreso nei Regolamenti Edilizi Comunali in
termini di dimensionamento della superficie vetrata o, più raramente, di fattore di luce diurna92.
Sulla base delle raccomandazione del CIE, la Circolare Ministeriale n.3151 del 22.5.1967 definisce al
punto 2.1.01 il fattore medio di luce diurna93 come rapporto tra l’illuminamento del piano di lavoro in una porzione
determinata e l’illuminamento che si avrebbe nelle identiche condizioni di tempo e di luogo, su una superficie orizzontale esposta
all’aperto in modo da ricevere luce dall’intera volta celeste, senza irraggiamento diretto del sole; ed inoltre al punto 1.1.03 si
legge: “L’area delle porzioni vetrate delle pareti perimetrali opache...non deve di norma eccedere il valore necessario per
ottenere che il coefficiente medio d’illuminazione diurna (fattore medio di luce diurna) degli ambienti risulti inferiore o
almeno uguale a 0.06”.
Per il calcolo di tale fattore la maggior parte dei regolamenti edilizi italiani e la sopraccennata
circolare 3151 fanno riferimento alla seguente espressione:
Sft
FLD = ε (1)
(1 − δ m ) S
dove i simboli assumono il seguente significato:
Sf Superficie vetrata della finestra in metri quadrati; tale valore equivale alla superficie del
vano finestra ridotta del 30% nel caso di infissi in legno e del 15% per infissi metallici;
t Fattore di trasmissione luminosa del vetro della finestra da assumersi uguale a 0,8 per
finestra con una sola lastra di vetro e uguale a 0,6 per finestre munite di due lastre
parallele;
92 Le norme nazionali che riguardano l’illuminazione naturale nelle costruzioni edilizie sono attualmente contenute
finestra e pertanto può essere facilmente posto in relazione con la dimensione della superficie vetrata
IILLUMINOTECNICA 125
δm Coefficiente medio di rinvio delle superfici interne dell’ambiente, il cui valore medio
S r + S2 r2 + ... + S n rn
viene calcolato dalla seguente espressione: r = 1 1
S1 + S2 + ... + Sn
S Superficie totale di involucro, comprendente tutte le superfici che delimitano l’ambiente.
ε Coefficiente di illuminazione diurna (o fattore finestra) calcolato in corrispondenza del
baricentro della finestra.
=100% per superfici orizzontali prive di ostruzioni;
=50% per superfici verticali prive di ostruzioni;
< 50% per superfici verticali in presenza di ostruzioni.
Il coefficiente ε al numeratore della (1) può essere dedotto da appositi diagrammi, nomogrammi
IUAV ed in presenza di un paesaggio urbano complesso tramite il diagramma di Waldram, o
analiticamente con la formula di Pugno - Grespan e, la formula di Rossi e Vio, come meglio specificato al
punto seguente.
Il regolamento edilizio dell’Emilia Romagna (maggio 1995) propone invece una formula per la
valutazione del livello di illuminamento interno che tiene conto inoltre della effettiva posizione del
serramento rispetto al filo esterno della parete mediante l’utilizzo del coefficiente ψ per cui, il fattore medio
di luce diurna viene espresso dalla seguente espressione94:
n
∑τ Af ε ψ
i i i i
FLD = i
(2)
S (1 − δ m )
dove i simboli hanno lo stesso significato di quelli proposti dalla circolare 3135 ed inoltre:
n= numero di superfici vetrate;
ψ= coefficiente di riduzione del fattore finestra, dipendente dalla posizione del vetro e dallo spessore
della parete, desumibile da apposito grafico.
TIPOLOGIA EDILIZIA µ m ≥ 0.01 µ m ≥ 0.02 µ m ≥ 0.03
EDILIZIA - Tutti i locali di -
RESIDENZIALE abitazione
EDILIZIA SCOLASTICA uffici, spazi di Palestre e ambienti ad uso didattico,
distribuzione, scale e refettori laboratori
servizi igienici
EDILIZIA OSPEDALIERA come edilizia scolastica Palestre e ambienti di degenza,
refettori diagnostica e laboratori
Valori del fattore medio di luce diurna relativo all’edilizia residenziale (D.M.S. del 5/7/75), scolastica (D.M.
del 18/12/75) ed ospedaliera (C.M.L.PP. 13011 del 22/11/74).
Tipo di ambiente Norma Parametro di riferimento Valore
FLD
Residenze D.M. 05/07/75 Fattore medio di luce diurna ≥2
94 Lo stesso regolamento contiene inoltre precise disposizioni per la verifica in opera ed a tal proposito così recita…le
due misure di illuminamento interno ed esterno devono essere effettuate contemporaneamente con due luxometri. In caso contrario, le due misure
devono essere eseguite alternativamente con frequenza tanto maggiore quanto più mutevoli sono le condizioni di climatizzazione esterna. Le misure
di illuminamento interno dovranno essere condotte a 0,9 m dal pavimento e a una distanza di 1,5 m dalle pareti contenenti le finestre e superiore a
0,6 m dalle altre pareti. Le misure di illuminamento esterno saranno eseguite su di un piano orizzontale posto in prossimità dell’alloggio e con
visuale sull’intera volta celeste senza essere sottoposto all’irraggiamento diretto del sole…Il valore del F.L.D. medio è quindi ottenuto dal
rapporto tra la media dei valori di illuminamento rilevati all’interno e la media dei valori di illuminamento rilevati all’esterno.
IILLUMINOTECNICA 126
Emilia Romagna
FLD.
B.S. 8206, part 2 nelle camere
nei soggiorni ≥1
nelle cucine ≥ 1.5
≥2
Scuole D.M. 18/12/75 FLD.
Nelle aule ≥3
nelle palestre e nei refettori ≥2
negli uffici, spazi di circ. e servizi ≥2
B.S. 8206, part 2 FLD.
se solo luce naturale
≥5
se luce naturale ed artificiale
≥5
Ospedali Circ. Min. 13011 FLD.
nelle degenze ≥3
nelle palestre e nei refettori ≥2
BSI CP3 in corrispondenza del letto meno
illuminato ≥1
nel punto meno illuminato delle sale di
attesa
≥ 0.6
Uffici IES ≥1
Confronto fra i valori consigliati dalle diverse normative per il fattore di luce diurna
Individuazione in pianta ed in sezione degli angoli α e βM per ostruzioni in direzione perpendicolare alla facciata
Individuazione in pianta ed in sezione degli angoli α e βM per ostruzioni frontale parallela al piano della facciata
11.1.2 CALCOLO DEL COEFFICIENTE ψ
Il coefficiente ψ, utilizzato nella formula del regolamento edilizio della regione Emilia Romagna,
serve per tenere conto dell’ostruzione alla vista del cielo per la presenza dell’imbotte della finestra.
L’individuazione di tale valore si effettua mediante l’utilizzo di un apposito diagramma in funzione del
rapporto h/p (altezza della finestra su distanza del vetro dal filo esterno) e del rapporto L/p (larghezza
della finestra su distanza dal filo esterno). Nel considerare tale coefficiente si deve però tenere conto del
fatto che la variazione non deve essere apportata quando la ostruzione rappresentata dallo spessore del
muro cade all’interno di una grande ostruzione (ad esempio nel caso di finestre sotto logge o balconi).
IILLUMINOTECNICA 130
95 L’abbagliamento che produce una diminuzione di visibilità è definito disability glare o abbagliamento simultaneo o
perturbante. Il vocabolario CIE lo definisce: Abbagliamento che turba la visione senza causare necessariamente una sensazione
sgradevole”.
96 L’abbagliamento simultaneo è dovuto alla coesistenza di luminanze molto differenti in termini di intensità come ad
dG = 11
(L s
1,6
Ω 0,8 )
Lb + ( 0, 07ω 0,5 La )
dove:
Ls = luminanza della sorgente (in candele a metro quadrato);
Lb = luminanza dello sfondo (in candele a metro quadrato);
La = luminanza misurata sul piano dell'apertura (in candele a metro quadrato);
Ω = angolo solido in steradianti sotteso dalla sorgente, modificato per tenere conto della
posizione della sorgente rispetto alla direzione dello sguardo;
ω = angolo solido sotteso dalla sorgente in steradianti rispetto al punto di vista.
La luminanza sul piano dell'apertura La, può essere calcolata nel seguente modo:
98
Sia la costante che l'indice di abbagliamento sono parametri validi solo nell'ipotesi di assenza di
irraggiamento solare diretto. In questi casi si ritiene infatti che la vista diretta del sole crei sicuramente
effetto di abbagliamento.
99 Studi sul problema dell’abbagliamento sono stati inoltre condotti da Sollner e Fischer, mentre sono disponibili
norme e prescrizioni sul tema in oggetto (con riferimento all’illuminazione di tipo artificiale) ed in particolare: la DIN 5035,
la pubblicazione CIE n.55 “CIE Glare Index”.
IILLUMINOTECNICA 132
La=0,3178Ea (cd/m2)
dove:
E100a = illuminamento sul piano dell'apertura in lux costituito dalla sola componente diffusa
dell'illuminamento naturale nel caso di cielo sereno; nelle giornate di cielo coperto, dall'intero
valore dell'illuminamento.
La luminanza della sorgente Ls viene invece definita dalla seguente espressione:
Esp τ
Ls =
v 0,85
( cd / m2 )
dove:
Esp = illuminamento nel punto in esame;
v = fattore di direzione dello sguardo;
τ = coefficiente di trasmissione luminosa dei vetro, in direzione normale alla superficie.
Per il calcolo del fattore di direzione dello sguardo si fa riferimento alla seguente espressione:
v = 0,8536e0,0733 A
con:
A = angolo, in gradi, tra la direzione dello sguardo ed il centro dell'apertura.
Quando A < 0,2°, si assume v = l; per cui quando la sorgente abbagliante si trova ad un angolo
superiore a 60° in orizzontale ed a 50° in verticale rispetto alla direzione dello sguardo, non si
dovrebbero avere problemi di abbagliamento.
La luminanza di sfondo può essere così ricavata:
IRI + IRE τ
Lb = z (cd / m 2 )
π 0,85
con:
IRI = illuminamento riflesso IRI e IRE si possono ottenere moltiplicando i valori
internamente; della componente riflessa internamente e della
IRE = illuminamento riflesso componente riflessa esternamente, in precedenza
esternamente; descritti, per il valore dell’illuminamento esterno.
z = fattore della sorgente che serve per tenere conto delle condizioni di illuminamento
esterno (EH) pari a: z = (1,9785ln EH ) − 15,9164
Con EH = illuminamento esterno orizzontale in posizione non ostruita101.
L'indice di abbagliamento (Daylight Giare Index, dGI) si ottiene quindi da una funzione di tipo
logaritmico che serve per comprimere i margini di variabilità della costante di abbagliamento.
dGI = 10 log10 ΣdG
dove dG = costante di abbagliamento, mentre il segno di sommatoria si riferisce alla diverse
sorgenti abbaglianti (finestre) che si possono trovare nel campo visivo.
I valori dell’abbagliamento perturbante e non confortevole in precedenza esposti non devono
essere considerati come una vera e propria misura dell’effetto prodotto, ma ne rappresentano
100
Il valore dell'illuminamento naturale sul piano dell'apertura può essere valutato servendosi dei
fattore finestra ε (che verrà di seguito descritto) e dei dati sulla luminanza del cielo ripresi dal testo di G.
Parolini e M. Paribeni "Tecnica dell'illuminazione" e validi per cielo nuvoloso, piano verticale o
orizzontale della finestra e diversi angoli di orientamento della superficie e di altezza del sole
sull'orizzonte ed indicati in apposite tabelle.
101
Per valori dell'illuminamento esterno orizzontale (EH) Inferiori a 5000 lux si hanno
difficilmente problemi di abbagliamento negli interni correttamente illuminati.
IILLUMINOTECNICA 133
esclusivamente un termine indicativo. La difficoltà di uso di tali formule ha indotto gli studiosi ad usare
regole più semplici ed empiriche come quella di considerare la luminanza della sorgente e la luminanza
media del campo visivo in un rapporto compreso tra 1/5 e 1/10. Le precedenti espressioni hanno
evidenziato chiaramente come l’abbagliamento può essere provocato direttamente dalla sorgente
luminosa (la finestra), dall’eccessiva luminanza delle superfici che delimitano l’ambiente in oggetto o
dalla direzione del fascio luminoso. Al fine di ridurre gli effetti fastidiosi prodotti dalla sorgente
luminosa sull’oggetto osservato (sia direttamente che per riflessione) si rende necessario evitare che i
raggi luminosi incidano sull’oggetto con un angolo pari a quello di osservazione; i provvedimenti da
adottare possono essere per semplicità così esposti:
− Disporre le superfici illuminanti fuori dalla zona di offesa o zona di rischio di abbagliamento;
− prevedere una illuminazione generale di tipo indiretto. Questa soluzione che presenta una elevata e
sicura resa del contrasto e la completa assenza di abbagliamento ha il difetto di appiattire l'ambiente
e gli oggetti tridimensionali in esso presenti. Inoltre è un tipo di illuminazione poco stimolante
perché non porta l'attenzione dell'osservatore a concentrarsi sul campo di lavoro, dato che la sua
luminanza d'adattamento è quella generale dell'ambiente, anzichè quella del compito visivo;
− adottare materiali diffondenti per gli oggetti che costituiscono gli usuali compiti visivi (carta,
superfici di finitura dei tavoli, etc.);
− inclinare il piano di lavoro.
11.2.1 CALCOLO DEGLI ANGOLI SOLIDI Ω ED ω
Si definisce angolo solido l’angolo tridimensionale formato da tre o più piani convergenti in un
punto e la cui unità di misura e lo steradiante (sr).
Per il calcolo degli angoli solidi Ω ed ω è possibile utilizzare i seguenti grafici (tratti da C.L.
Robbins, Daylighting design & analysis102, le cui curve sono state tracciate in funzione dei rapporti L/d
ed H/d.
quello minimo o tra quello medio e quello minimo del livello di illuminamento dell'ambiente, o riferendosi ai fattori puntuali
di luce diurna.
IILLUMINOTECNICA 134
Si calcolano quindi i valori medi dell'illuminamento nella zona più vicina ed in quella più lontana
dalla finestra, espressi come valori relativi, in termini di fattore di luce diurna e successivamente il loro
rapporto:
U=FLDm1/FLDm2
dove FLDm1,2 rappresenta il fattore di luce diurna calcolato rispettivamente nelle zone definite.
Nel secondo caso il calcolo del rapporto tra l'illuminamento in punti specifici dell'ambiente è
consigliato quando si dispone di un software specifico per il calcolo illuminotecnico. E’ possibile quindi
tracciare una sezione dell'ambiente passante per il baricentro della finestra (o per il punto di mezzo, nel
caso di due finestre affiancate, o per il baricentro della finestra più grande, con finestre disposte su
pareti differenti) e calcolare il fattore di luce diurna nel primo e nel quinto sesto della sezione; per cui si
ottiene:
UE1/6/E5/6
L’illuminamento può essere calcolato in due soli punti, come indicato nella figura A, o come
media dei valori relativi a due fasce in pianta dell’ambiente, figura B, avendo cura di porre i punti di
misura ad una distanza minima di 1-1,5 metri dalle finestre e di 50-60 centimetri dalle pareti. Nel caso in
cui l’ambiente oggetto di studio presenta finestre disposte su più pareti (figura C), è necessario eseguire
il rapporto tra l’illuminamento relativo alla zona più illuminata e quello della zona meno illuminata.
E’ possibile inoltre utilizzare la formula riportata sul testo della C.I.B.S.E. (Window design:
Application Manual), che permette di definire il grado di uniformità dell'illuminamento naturale a
prescindere dal calcolo dei fattori di luce diurna ed è valida per interni dalla forma rettangolare con una
sola finestra. Il fattore di uniformità viene espresso in funzione delle dimensione della stanza,
dell'altezza della finestra e dei coefficiente medio di riflessione luminosa delle superfici interne e deve
soddisfare la seguente disequazione:
P/L+P/H<2/(1-δm)
dove:
P = profondità della stanza,
L = larghezza della stanza;
H = altezza dal pavimento del bordo superiore della finestra,
δm = coefficiente medio di riflessione luminosa delle superfici interne.
Relazione tra il coefficiente medio di riflessione delle pareti δm, la profondità dell’ambiente e l’altezza della
finestra, per ambiente largo m. 4
IILLUMINOTECNICA 135
La precedente formula può essere utilizzata in una fase preliminare della progettazione per
stabilire la profondità massima della stanza in funzione dell'altezza della finestra. Mediante il
diagramma seguente è possibile stabilire rapidamente la profondità di un ambiente in funzione del
coefficiente medio di riflessione luminosa della pareti δm e dell'altezza della finestra (avendo assunto
una larghezza costante dell’ambiente pari a 4 metri). La verifica in situ può essere effettuata in presenza
di cielo uniformemente coperto o sereno (avendo cura di valutare nel secondo caso gli effetti del
soleggiamento). Si devono tenere chiuse le finestre ed aperti tutti i sistemi di oscuramento.
La strumentazione necessaria consiste in un luminanzometro o in un luxmetro in grado di
rilevare anche le luminanze. Le luminanze vengono misurate ponendo la cellula dello strumento
all’altezza degli occhi del probabile fruitore individuando la posizione più critica dei fenomeni di
abbagliamento. Cerchiamo ora di applicare tale metodo di calcolo all’ambiente di 14 mq in precedenza
utilizzato per la verifica dell’indice di abbagliamento.
104
La BRE Digest n.256 del dicembre 1981: Office lighting for good visual task conditions, propone dei valori
consigliati del CRf; valori superiori a 0,7 sono proposti per gli uffici.
105 Si veda la BRE, Office lighting for good visual task conditions, n.256, dicembre 1981.
106 Si legga a tal proposito la pubblicazione CIE n.29/2 già citata.
IILLUMINOTECNICA 136
⋅ - direzione di osservazione dei compito visivo che forma un angolo compreso tra 0° e 40°
rispetto alla normale.
Le condizioni di base e gli strumenti necessari sono gli stessi descritti per la misura del fattore
puntuale di luce diurna; in questo caso è necessario però un solo luxmetro corretto secondo la legge dei
coseno. Si deve rilevare l'illuminamento nel punto stabilito con il luxmetro inclinato di 30° rispetto al
piano stesso, come mostrato nella figura seguente. E’ possibile quindi definire l’indice K mediante la
seguente espressione:
K = (lt – l0)/lt
dove:
lt = illuminamento orizzontale nel punto P;
l0 = illuminamento proveniente dalla “offending zone”.
Nella progettazione illuminotecnica bisogna tener conto degli effetti psicologici del colore; negli
ambienti con colori forti e saturi, la luce calda aumenta la forza del colore (il caso della luce naturale),
mentre le luci fredde, smorzano i colori caldi e creano senso di spaziosità. In ogni caso sarà sempre utile
in fase progettuale utilizzare colori con buona capacità di riflessione, tenendo in debito conto gli effetti
dell’abbagliamento, sia per un risparmio energetico che per un addolcimento delle ombre provocate sia
dalla luce proveniente dalle finestre che da quella artificiale. Per quanto concerne lo studio cromatico
delle superfici è possibile rifarsi ad uno studio condotto da Maurice Deribere e dalla National Chemical
& Manufacturing Company, che si basa sulla scelta dei colori in base all’orientamento , alla posizione
delle finestre ed al numero delle finestre stesse del locale preso in considerazione107.
Il procedimento è il seguente: determinare l’orientamento delle finestre se queste si trovano su di
un solo lato del locale. Se il locale ha le finestre su più lati, si determina l’esposizione con un
compromesso: per finestre su pareti adiacenti si esegue una media fra le due direzioni (es. con finestre
sul lato sud e sul lato ovest, l’esposizione sarà sud-ovest). Se invece le finestre si trovano su lati opposti
o su tre lati, si sceglie il sud come esposizione anche se la parete sud non presenta aperture.
Tutte le combinazioni possibili possono essere per semplicità rappresentate nel diagramma e nella
tabella seguente:
107 Tale sistema nasce da uno studio condotto per la scelta cromatica delle dominanti cromatiche in aule scolastiche
ed è stato progettato tenendo in considerazione il sistema percettivo degli studenti. I buoni risultati ottenuti hanno esteso
l’uso di questo tipo di progettazione cromatica, con le dovute modificazioni, a tutto il mondo del lavoro.
IILLUMINOTECNICA 139
12.1 DIMENSIONAMENTO DELLA SUPERFICIE VETRATA
Il valore minimo della superficie finestrata varia, con riferimento ai Regolamenti Edilizi
Comunali, da un minimo di 0,6 mq ad un massimo di 2,0 mq.
Tali differenze non dipendono spesso dalle diverse caratteristiche geografiche del sito (altitudine,
latitudine, tipo di cielo di riferimento, etc.), ma sono nella maggior parte dei casi casuali; ad esempio in
città molto vicine tra loro, come Napoli, Caserta, Salerno i Regolamenti Edilizi impongono valori
sensibilmente diversi: da un minimo di 1,0 mq ad un massimo di 2,0 mq, come più chiaramente visibile
dalla tabella seguente.
Un altro aspetto singolare è la prescrizione di medesimi valori della finestra per realtà differenti
come Trieste e Taranto.
Si è riscontrato inoltre, in alcuni casi, la variazione del valore minimo della superficie finestrata
all’interno dello stesso Regolamento Edilizio; ad esempio quello di Trento propone valori diversi per gli
edifici di fondovalle e di montagna, quello di Pavia per gli edifici rurali e di città, quello di Perugia per i
locali posti nei seminterrati abitabili, al piano terra e ai piani superiori.
LOCALITA’ DIMENSIONE NOTE
MINIMA
FINESTRA
(mq)
Trento 0,8 Per le zone di montagna
1,2 Per le zone di fondovalle
Perugia 1,0 Nel sottotetto abitabile
1,2 Nel piano terra e nei piani superiori
1,4 Nel piano seminterrato reso abitabile
Caserta 1,2 Nelle case rurali
Brindisi 1,3
Alessandria 1,4
Bergamo 1,5 Nel caso di ambienti con una sola finestra
Teramo 1,5 Nei piani superiori
Arezzo, Matera, 1,5
Reggio Calabria
Varese 1,5 Nei piani superiori
1,8 Al piano terra
Pavia 1,5 Una sola finestra in edifici rurali
2,0 Nel caso di ambienti con una sola finestra
Napoli 1,0
Salerno 2,0
Trieste, Taranto 0,6
Pescara 1,6 Nel caso di ambienti con una sola finestra
Dimensione minima della superficie vetrata proposta da alcuni regolamenti edilizi
Da ricerche sperimentali (simulazioni condotte dallo scrivente con procedure di calcolo manuale
o automatico) per la città di Palermo è stato possibile stabilire la superficie minima che dovrebbe avere
la finestra al fine di ottenere un livello di illuminamento interno confortevole.
Tale valore è risultato pari ad 1/9 dell’area calpestabile dell’ambiente in oggetto.
Per meglio comprendere quanto in precedenza citato è stato preso in considerazione un ambiente
di 14 mq e superficie vetrata pari a 1,55 mq (1/9 Ap) e verificato il livello di illuminamento per il
solstizio d’inverno (22 dicembre).
Con tale superficie vetrata si è ottenuto un livello di illuminamento, superate le ore 9,00 a.m., di
circa 150 lux sul piano di lavoro, posto a distanza di circa 40 cm dalla parete di fondo come
chiaramente visibile dalla tabella seguente.
IILLUMINOTECNICA 140
Ora di calcolo Esterno (kLux) Ei max (lux) Ei min (lux) Ei med (lux)
9,00 8.1 1930 129 349
10,00 11 2633 176 476
11,00 12.8 3057 204 553
12,00 13.3 3169 212 574
Illuminamento interno (massimo, minimo e medio in lux) in ambiente di 14 mq al solstizio d’inverno in
condizione di cielo uniforme per la città di Palermo.
L’illuminamento ottenuto può considerarsi sufficiente per lo svolgimento di un’attività lavorativa
non impegnativa.
Per compiti con requisiti visivi di precisione è possibili avvicinare il piano di lavoro verso la
finestra; uno spostamento di circa 120cm, sempre dalla parete di fondo, determina un incremento di
illuminamento superiore al 33%, il tutto in assenza di fastidiosi fenomeni di abbagliamento.
Ora di Esterno Ei 3,6 metri Ei 2,8 metri Ei 2,0 metri
calcolo (klux) dalla finestra dalla finestra dalla finestra
(lux) (lux) (lux)
9,00 8.1 139 185 303
10,00 11 190 252 414
11,00 12.8 220 293 481
12,00 13.3 228 304 498
Illuminamento interno in ambiente di 14 mq al solstizio d’inverno in condizione di cielo uniforme per la città di
Palermo rispettivamente a 3,6; 2,8 e 2,0 metri dalla finestra.
E’ evidente come il valore di illuminamento valutato a 40cm dalla parete di fondo della stanza
rappresenta la condizione più critica difficilmente raggiungibile in situazioni reali in quanto una
scrivania correttamente posizionata dovrebbe essere distanziata dalla parete per non meno di 75cm.
La scelta di utilizzare per la città di Palermo una superficie vetrata pari ad 1/9 del pavimento trae
inoltre origine da considerazioni di carattere energetico. La seguente tabella mostra la distribuzione dei
lux e del rispettivo FLD (riferito all’asse di simmetria dell’ambiente) per interno avente dimensioni pari
a 3,5x4,0x3,0 metri (14mq) per varie superfici della vetratura (al netto dell’infisso):
− 1,4 mq ; 1,00 x 1,40 metri pari ad 1/10 della superficie calpestabile;
− 1,55mq; 1,00 x 1,55 metri pari ad 1/9 della superficie calpestabile;
− 1,75mq; 1,03 x 1,70 metri pari ad 1/8 della superficie calpestabile;
− 2,00mq; 1,20 x 1,70 metri pari ad 1/7 della superficie calpestabile;
Si considera inoltre la finestra in asse alla parete che la contiene ed un’altezza del davanzale pari a
0,90 metri.
IILLUMINOTECNICA 141
I valori seguenti sono riferiti ad un modello di cielo UNIFORME CIE in assenza di ostruzioni, o
per distanza fra le cortine superiore di 1,5 volte l’altezza dell’edificio ostruente, e riflessione delle pareti
interne pari rispettivamente a:
− pareti 50%
− soffitto 70%
− pavimento 30%
Area Rapporto Coordinate
vetratura Af/Ap Coordinate Orizzontali (m) Verticali
(mq) (m)
0,90 0,00 0,90
(asse finestra)
Ei (lux) Ei (lux) Fld (%) Ei (lux)
1,4 1/10 276.39 3056.30 23.04 276.39
1,55 1/9 301.71 3169.22 23.89 301.71 0,40
1,75 1/8 337.84 3313.92 24.95 337.84
2,00 1/7 429.93 3474.04 26.19 429.93
1,4 1/10 442.59 989.73 7.46 442.59
1,55 1/9 490.80 1081.67 8.16 490.80 1.20
1,75 1/8 547.55 1183.36 8.92 547.55
2,00 1/7 714.42 1350.68 10.18 714.42
1,4 1/10 338.62 439.09 3.31 338.62
1,55 1/9 384.26 498.91 3.76 384.26 2,00
1,75 1/8 435.88 569.91 4.26 435.88
2,00 1/7 508.89 653.52 4.93 508.89
1,4 1/10 238.78 266.85 2.01 238.78
1,55 1/9 271.24 304.39 2.29 271.24 2,80
1,75 1/8 308.53 346.92 2.62 308.53
2,00 1/7 359.46 403.11 3.04 359.46
1,4 1/10 187.68 202.21 1.52 187.68
1,55 1/9 211.81 228.73 1.72 211.81 3,60
1,75 1/8 240.08 259.53 1.96 240.08
2,00 1/7 279.71 302.05 2.28 279.71
TABELLA DI RAFFRONTO
Illuminamento 40cm dalla Dispersione
Af/Ap Af (mq) parete di fondo (lux) termica
(Kcal/h)
1/10 1,4 202,21 151,2
1/9 1,55 228,73 167,4
1/8 1,75 259,53 189,1
1/7 2 302,05 220,3
Dalla precedente tabella si evince come un ampliamento della superficie vetrata pari all’11% per
passare da 1,4 a 1,55 mq, del 25% per passare da 1,4 a 1,75 mq e 44,5% per passare da 1,4 a 2 mq
determina un incremento di illuminazione interna (riferita ad un punto posto a 40 cm dalla parete
interna) rispettivamente del 13%, del 28,5% e del 49,5%. L’incremento del livello di illuminazione (che
può definirsi soddisfacente già per superficie vetrata pari ad 1/9 di Ap), a seguito dell’ampliamento
della finestra, determina inevitabili incrementi della dispersione termica attraverso il vetro pari a 151,2
Kcal/h per finestra da 1,4mq, 167,4 Kcal/h per finestra da 1,55mq, 189,16 per finestra da 1,75mq e
220,32 per finestra da 2mq.
Da un’attenta lettura dei valori di illuminamento forniti dal programma ADELINE 2, ed
indicati in appendice, si evince come una superficie vetrata pari ad 1/9 del pavimento determina un
illuminamento in ogni punto dell’ambiente non inferiore a 150 lux. E’ possibile quindi affermare che
IILLUMINOTECNICA 142
tale superficie vetrata è tale da definire un ambiente confortevole per lo svolgimento di attività
lavorative privo di fenomeni legati all’abbagliamento e con un livello di illuminamento uniforme.
12.1.1 PROFONDITA’ DELL’AMBIENTE
Per una buona distribuzione della luce diurna all’interno di una stanza, la profondità
dell’ambiente non dovrebbe superare il doppio dell’altezza della finestra, calcolata dal bordo superiore
della stessa al pavimento. Come si vede non si tiene conto dell’altezza del davanzale ed infatti la
presenza di questo è scarsamente significativo ai fini dell’illuminamento naturale dell’interno poiché, la
luce che proviene dalla parte più bassa della finestra illumina prevalentemente il pavimento che è spesso
caratterizzato da un basso fattore di riflessione. Le schede 1, 2 e 3 riportano il livello di illuminamento
massimo, minimo e medio per ambienti di 14 mq i quali differiscono esclusivamente per le dimensioni
delle pareti di chiusura:
− Ambiente1 da 14 mq - larghezza (L)= 3,5 metri; profondità (P)= 4,0 metri.
Af=1/9 di Ap pari a 1,55 mq;
altezza della finestra (hf)=2,45 metri;
rapporto P/hf=1,91.
− Ambiente2 da 14 mq - larghezza (L)= 3,0 metri; profondità (P)= 4,7 metri.
Af=1/9 di Ap pari a 1,55 mq;
altezza della finestra (hf)=2,45 metri;
rapporto P/hf=1,63.
− Ambiente3 da 14 mq - larghezza (L)= 2,5 metri; profondità (P)= 5,6 metri.
Af=1/9 di Ap pari a 1,55 mq;
altezza della finestra (hf)=2,45 metri;
rapporto P/hf=2,28.
12.1.2 GEOMETRIA E POSIZIONE DELLA FINESTRA
I fattori più importanti nella determinazione dell'illuminazione naturale di un interno sono la
dimensione e l'altezza della finestra. Si è in precedenza evidenziata l'importanza della dimensione
dell'apertura rispetto alla quantità di luce che penetra in un interno mentre, per quanto riguarda
l'altezza, questa risulta più importante dell'altra dimensione della finestra, la larghezza, per la migliore
distribuzione della luce diurna che si può ottenere modificandone la grandezza.
Infatti le finestre alte, inquadrando una maggiore porzione di cielo, permettono di incrementare la
profondità di penetrazione della luce diurna nella stanza e, poiché all'aumentare dell'altezza della
finestra l'illuminamento orizzontale nelle zone più prossime alla stessa rimane pressoché uguale, si
ottiene in questo modo una migliore uniformità nella distribuzione della luce nell'ambiente.
Ora di Ei max (lux) Ei min (lux) Ei med (lux)
calcolo
9,00 5046 337 913
Solstizio 10,00 5746 385 1043
D’estate 11,00 6203 415 1123
12,00 6333 423 1146
9,00 1930 129 349
Solstizio 10,00 2633 176 476
D’invern 11,00 3057 204 553
o 12,00 3169 212 574
Valori di illuminamento massimo, minimo e medio (espressi in lux) per ambiente da 14 mq e finestra di
dimensioni 1,00x1,55 (1/9 Ap)
Ora di Ei max (lux) Ei min (lux) Ei med (lux)
calcolo
9,00 5304 317 960
Solstizio 10,00 6058 359 1096
D’estate 11,00 6520 373 1180
IILLUMINOTECNICA 143
12,00 6657 384 1204
9,00 2029 109 367
Solstizio 10,00 2768 148 501
D’invern 11,00 3212 180 581
o 12,00 3331 193 603
Valori di illuminamento massimo, minimo e medio (espressi in lux) per ambiente da 14 mq e finestra di
dimensioni 1,25x1,25 (1/9 Ap)
In seguito ad una riduzione dell’altezza della finestra da 1,55 a 1,25 metri, si registra una
riduzione dell’illuminamento in corrispondenza del fondo della stanza del 10%.
Questo fenomeno è essenzialmente dovuto a due fattori: oltre alla minore quantità di luce
diretta (proveniente dal cielo) ricevuta dai punti dell'interno situati a maggiore distanza dalla finestra,
anche al minore illuminamento del soffitto della stanza che, agendo da superficie diffondente della luce,
contribuisce alla distribuzione della stessa nell'interno. Affinché il contributo del soffitto sia massimo è
però necessario che questo abbia un alto coefficiente di riflessione luminosa e che la sua superficie sia
prossima al bordo superiore della finestra. Inoltre, quando quest'ultimo è proprio tangente al piano del
soffitto, questo riceve luce radente direttamente dall'esterno e risulta pertanto molto illuminato. Così
facendo si ha una maggiore sensazione di luminosità nella stanza per quanto la quantità complessiva di
luce diurna in ingresso sia la stessa.
6657
7000
6333
6000
5000
4000 Af=1,00x1,55
(lux)
Af=1,25x1,25
3000
2000 1204
1146
384
1000 423
0
max med min
Af=1,00x1,55 6333 1146 423
Af=1,25x1,25 6657 1204 384
Variazione della sola componente diretta al variare dei rapporti H/D e L/D per un edificio in linea ostruito da
una cortina edilizia di lunghezza L
IILLUMINOTECNICA 147
Da ricerche sperimentali si può osservare come l’illuminamento sul fronte dell’edificio è tanto
più omogeneo in senso verticale quanto minore è il rapporto L/D e cioè quanto più distanti sono
fabbricati e quanto minore è la lunghezza di quello ostruente.
Variazione della componente diretta al variare del rapporto Altezza su distanza dell’edificio frontale, per diversi
valori del coefficiente di riflessione esterno
Poiché nei normali contesti urbani la lunghezza delle cortine edilizie è tale da fare assumere al
rapporto L/D un valore praticamente costante (L=∞), come variabile rimane solo il rapporto H/D ed
il coefficiente medio di riflessione delle superfici.
Essendo ρm certamente non nullo, si dovrà prendere in considerazione anche la componente
riflessa esternamente con conseguente variazione della componente diretta come chiaramente visibile
dal diagramma seguente.
Le precedenti considerazioni consentono di affermare come, data la variazione dell'illuminazione
nei diversi punti della facciata, per avere una stessa quantità di luce diurna in tutti gli interni dell'edificio
analizzato, si dovrebbe variare la dimensione delle superfici vetrate sia in senso verticale che
longitudinale; in quest'ultima direzione la variazione dovrebbe inoltre essere più accentuata ai piani più
bassi. Per concludere è importante prendere atto di questa disuniformità nell'illuminazione naturale in
determinate tipologie e variare quindi le destinazioni funzionali degli ambienti interni (ad esempio
mettendo i vani di servizio in corrispondenza degli angoli interni) o aumentare la quantità di luce
artificiale di complemento o la trasmissione luminosa dei vetri impiegati.
Variazione della superficie vetrata sulla facciata di un edificio Ostruito da cortina edilizia parallela, al fine di
ottenere un uguale illuminamento in tutti gli interni
IILLUMINOTECNICA 148
13. METODO BRS PER L’ILLUMINAZIONE NATURALE
Anche l’illuminazione naturale contribuisce al comfort visivo e anzi si può dire che tutta
l’illuminazione artificiale tende all’optimum dato dalla luce solare. Essa costituisce una fonte luminosa
di straordinaria potenza con la più alta ricchezza cromatica possibile tanto che tutto l’apparato visivo
dell’Uomo si è, nei millenni, sviluppato attorno alla maggiore sorgente di luce disponibile, quella solare.
Figura 80: Parametri geometri per il calcolo della componente cielo con il metodo BRS
Il metodo BRS per il calcolo del DF fornisce due tabelle (una per ciascun tipo di cielo) che
fornisce SC o SF in funzione dei due rapporti B/d e H/d.
Qualora il vetro considerato sia doppio è bene ridurre del 15% il valore individuato nelle tabelle.
Se l'apertura ha un'ostruzione esterna che limita l'illuminamento solare allora si applica lo stesso
metodo una volta per tutta la finestra ottenendo SC1 ed una seconda volta per la parte di finestra
oscurata ottenendo SC2. Il valore finale è dato dalla differenza:
SC = SC1 - SC2
I riferimenti per il calcolo di SC e SF sono dati in Figura 80.
Se è presente l'ostruzione esterna allora si calcola la Componente di riflessione esterna, CRE,
utilizzando ancora le due tabelle già descritte per SC e SF ed individuando CRE mediante B/d e a
(angolo di ostruzione).
IILLUMINOTECNICA 152
con φ flusso luminoso, Acosα l’area apparente e Ω l’angolo solido di emissione. Ricordando
ancora che l’Illuminamento è legato all’Intensità luminosa dalla relazione:
I ⋅ cos α
E=
R2
ove è I=φ/Ω. Combinando le due relazioni si ottiene:
IILLUMINOTECNICA 155
( L ⋅ A ⋅ cos β ) ⋅ cos α
14243
E= I
R2
A parità di angolo solido si ha:
I = L ⋅ A ⋅ cos α = L ⋅ A'
ove A’ è la proiezione dell’area A sulla sfera di raggio unitario. Ne segue che l’illuminamento E
vale:
L ⋅ A '⋅ cos α
E=
R2
Si osserva che A’cosα è la proiezione di A’ sul piano orizzontale interno alla semisfera. Detta A”
questa proiezione si ha:
L ⋅ A ''
E= = L ⋅ A ''
R2
poiché R=1. I riferimenti grafici sono dati in Figura 81.
ove a = R, b = Rcosα, b1 = Rcosβ sono rispettivamente l’asse maggiore (pari al raggio) e gli assi
minori dei due ellissi.
IILLUMINOTECNICA 156
INDICE GENERALE
1. LE PROBLEMATICHE DELL’ILLUMINOTECNICA 1
8. L’ILLUMINAZIONE NATURALE 91