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Accoglienza in Tempi Di Pandemia Ok - Odt Per Riviste
Accoglienza in Tempi Di Pandemia Ok - Odt Per Riviste
Introduzione
alcuni aspetti che un evento inatteso come la Pandemia stava facendo emergere ; quando poi la
pandemia faceva un po' meno paura ho sentito la necessità di condividere e confrontare le mie
riflessioni all’interno dei gruppi di cui facevo parte . Tra i diversi aspetti su cui ho riflettuto ,
quello dell’Accoglienza dei pazienti mi è sembrato il più interessante sia per l’importanza che
questa fase ha nello specifico del mio lavoro, sia per le sue implicazioni psicanalitiche.
Covid 19 e setting
Il mio punto di osservazione è quello del Servizio Ambulatoriale per la prevenzione , cura ,
Tra le fasi del trattamento che la Pandemia ha modificato in maniera più significativa , per
l’intreccio di aspetti manifesti e aspetti latenti ,c’ è quella dell’Accoglienza , del primo arrivo del
paziente al Ser.vizio . In questa fase molte cose sono cambiate , certamente drasticamente nella
prima fase dell’emergenza Covid 19, e poi in maniera più sottile e insinuante anche nei periodi
successivi quando ci sono state le condizioni per allentare alcune delle misure di prevenzione più
pesanti . Nel passaggio tra periodi (loockdown, riaperture ,nuove limitazioni) , normati
dall’esterno, da ordinanze , decreti e istruzioni operative, ecc , sono venute a determinarsi pesanti
variazioni di setting , di come intendere spazio, tempo , compito , relazioni all’interno dei Servizi e
tra Servizi in cui aspetti oggettivi si sono potentemente mescolati ad aspetti latenti . Infatti
Nella relazione con il paziente le normative imposte dall’esterno hanno portato una limitazione alla
libertà in termini di tempo e spazio e in parte di compito, infatti nel primo periodo della Pandemia
i nostri interventi si sono limitati a quelli in urgenza. C’è stata anche una limitazione delle
espressioni relazionali in termine di corporeità e non verbale , tutto questo con ripercussioni
importanti . Il virus si è inserito nelle relazioni sollecitando fortemente aspetti latenti per cui di
volta in volta l’altro veniva percepito come risorsa, come ostacolo, come pericolo, come nemico,
come sconosciuto e tutto questo con forti basi di concretezza , infatti il virus c’era e di virus si
moriva.
Tempo e accoglienza
L’accoglienza nel Ser.D. di cui sono Responsabile , è sempre stata effettuata , in precedenza alla
Pandemia, senza appuntamento ; nel periodo di maggiore gravità della Pandemia invece abbiamo
chiesto che l’accesso venisse preceduto da una telefonata che permettesse lo screening telefonico
rispetto al Covid 19 . Invece delle classiche domande : “come sta” , “quale è il problema”, “di cosa
ha bisogno” , “cosa si aspetta da noi” ; abbiamo esordito con frasi come : “ha febbre”, “ha tosse” ,
“ha avuto contatti con malati di Covid” , “ha una richiesta urgente o si può rimandare” , “se urgente
può venire al Servizio , ma prima facciamo l’intervista telefonica e poi una brevissima visita,
meno di 15 minuti”.
Già da questo si può capire come il fattore tempo abbia subito una notevole distorsione, sia
nell’oggettività, che nel percepito. Infatti, quando una persona si rivolge ad un servizio per chiedere
assistenza, porta sempre una sorta di necessità e di urgenza ; il passaggio di chiedere aiuto è già
una fatica , specie quando si tratta di affrontare una dipendenza, e in ogni rinvio viene visto un
dell’urgenza . Forse questo risulta più facile per le urgenze di natura organica , come l’astinenza da
oppiacei , in effetti i nuovi ingressi in tempo di loockdown sono state proprio le astinenze da
oppiacei mentre le dipendenze comportamentali e le dipendenze da sostanze legali non arrivavano
più ai Servizi .
Accogliere una persona che è in difficoltà non solo fisicamente ma anche emotivamente in 15
Spazio e accoglienza
Oltre al tempo anche lo spazio è stato sovvertito : prima le prime parole all’arrivo di un paziente
erano : “venga qua” , “si avvicini”; talvolta gli andavamo incontro , c’era spesso la stretta di mano
dalla quale avvertivi già molte sensazioni : la temperatura , la forza, la sudorazione . E ora, oltre
alla linea segnata in terra per mantenere le distanze , oltre al plexiglass davanti alle scrivanie ,
appena entrava il paziente dicevi : “fermo li” , “si sieda alla distanza indicata”, “non si avvicini” e
appena usciva non vedevi l’ora di spruzzare tutto con alcol o amuchina. Dico questo dalla parte di
chi metteva in atto tutte queste misure e tuttora è convinto del loro valore ma, mi chiedo, come si
saranno sentiti accolti quei pazienti considerati a priori “ammorbati” e “ammorbanti” , come
avranno interpretato quella paura di chi li doveva curare . Certamente eravamo tutti nelle stesse
condizioni di paura e di incertezza, pazienti e curanti e da un lato l’esperienza della fragilità dei
curanti poteva sembrare essere anche una buona lezione per il loro eccessivo potere , ma dall’altro,
questo potere, si ripresentava in maggior misura nell’allontanare i pazienti e sottraendo una parte di
Poi c’è la questione delle mascherine , essenziale misura di protezione ma che hanno sottratto tanto
al non verbale nelle due direzioni paziente-curante e curante-paziente . Partendo dalla mia
esperienza posso dire che prima, all’arrivo di un nuovo paziente, lo accoglievo con un sorriso
aperto , in parte per cortesia , per farlo sentire a suo agio, ma anche per il piacere di un nuovo
stizza, noia, dubbio, perplessità, ecc; ora si incontravano solo gli sguardi che senza la mimica del
Certamente , con tutti questi aspetti oggettivi, interferiscono aspetti del latente individuale e
gruppale ; è determinante rispetto alla modalità di approccio alle misure protettive di prevenzione
della pandemia il modo in cui ognuno di noi, nel nostro mondo interno si rapporta con aspetti
come la paura della malattia , della morte , del contagio , dell’ignoto , del contatto e di quale è il
Distanza e Distanziamento
Nell’accoglienza , mettendo nel manifesto una distanza fisica ( 1m-1m e 80), il termine distanza
non ha più rappresentato la “giusta distanza” da trovare , con cui l’operatore si rapporta con il
pandemia era l’altro , non soltanto il diverso , come poteva essere in precedenza per alcuni.
Vedendo l’altro come fonte di pericolo , mancavano i presupposti per una vera conoscenza libera
ed aperta e quella che era una rappresentazione dell’altro avvertito come un pericolo per la propria
incolumità si concretizzavano passando a loro volta dal latente al manifesto per la collusione di
istanze espulsive con la necessità di “distanziamento” allo scopo di prevenire la malattia. Anche la
parola “distanziamento” , come molti hanno fatto notare, è stata utilizzata molto e forse non sarebbe
stata la più adeguata proprio per le sue implicazioni latenti ; forse sarebbe stato meglio “distanza
di sicurezza” o di “protezione “.
disponibile è stata disattesa e questo ha favorito negli operatori e negli utenti la sensazione
della scarsa utilità di un incontro frettoloso , poco corporeo e quindi è stato facile sottrarsi a quel
tipo di incontro ritenuto poco appagante ; alcuni pazienti che avevano meno bisogni fisici ma che
richiedevano sostegno e ascolto si sono persi e come operatori non abbiamo fatto molto allora per
Pandemia e Controtrasfert
E’ interessante notare come anche con le riaperture e l’allentamento della tensione iniziale , non è
stato per me semplice tornare a accogliere il paziente in maniera più aperta e empatica; sono
rimaste in me tracce di quella paura dell’incontro , di quel mettere limite alla durata dell’incontro ,
di quell’ascolto frettoloso , scoraggiato che sono anche frutto di aspetti latenti che originano dal
mio mondo interno ma che hanno avuto risonanza e sostegno dal mondo esterno in questo periodo .
Mi rendo conto che oggi il mio controtrasfert rispetto all’accoglienza di nuovi utenti è cambiato ,
non è più la paura come al tempo dell’inizio della Pandemia o la fiducia, l’interessamento, la
Anche rispetto alle possibilità evolutive e creative di cambiamento dei pazienti su cui ho sempre
avuto fiducia , sento di avere meno energie per individuarle e sostenerle e avverto che questo
non ha solo un’origine individuale ma anche gruppale ed istituzionale che osservo nell’incontro con
altri colleghi , altri Servizi , altre istituzioni e che si esprime nelle maniere più diverse : espulsività ,
scarsa presa in carico , indifferenza alle problematiche sociali , scarsa progettualità e creatività.
Forse è venuta meno la speranza che una esperienza così drammatica potesse produrre anche frutti
buoni e è interessante e significativo il fatto che appena c’è stato un miglioramento della Pandemia
Bibliografia
(1956) Pichon Riviere E. Teoria del vinculo , Nueva Vision , Buenos Aires , 1985