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Associazione Nazionale MARINAI D’ITALIA
Gruppo “DANTE SUMMER”
20052 Monza – Corso Milano 39 – Tel. e Fax 039 384772
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ARMANDO GAIBA
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La baia di Porto Lago a Lero in una foto della fine degli anni venti.
Alla fonda si riconoscono una nave da battaglia della classe “Doria”
e alcuni cacciatorpedinieri del tipo “tre pipe”. (AUSSMA).
(foto tratta da Rivista “Storia Militare”)
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All’entrata della baia di Porto Lago – Punta Cazzuni sul Monte Patella - era posizionata la
batteria PL 227 di Armando Gaiba.
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Uno dei 4 pezzi da 102/35 Centralina di tipo “G” della batteria PL 227
a.a della batteria PL 227
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Data la particolare posizione, posta su un cucuzzolo – Punta Cazzuni - del Monte Patella a
picco sul mare, la batteria non fu mai colpita dai bombardamenti tedeschi.
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Armando Gaiba ricorda che, dall’inizio dell’attacco tedesco, non smisero più di sparare ed
ai cannoni, sottoposti ad un impiego insostenibile, (alcuni pezzi scoppiarono), si ruppero
le molle di ritorno rimanendo nella posizione di rinculo rendendo così impossibile l’alzo per
l’azione antiaerea.
Venuti a conoscenza della resa gli uomini stesero un grosso lenzuolo bianco per segnalare
ai tedeschi che la batteria non avrebbe fatto resistenza.
Gaiba fu preso prigioniero dai tedeschi e portato al Comando Marina di Porto Lago per
essere imbarcato su una nave con destinazione Pireo.
Nonostante il duro lavoro le condizioni di vita erano buone; i prigionieri furono trattati
umanamente forse perché la gestione del campo era affidati a soldati croati. (Solo il
comandante del campo era tedesco).
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Infatti, nonostante fosse sotto il loro controllo, i russi si dimostrarono indifferenti a tutto
ciò che succedeva nel campo, paradossalmente erano i prigionieri tedeschi (presenti in
grandissima maggioranza) a gestire il campo. Era deciso da loro, ad esempio, come
doveva essere distribuito il cibo, le bevande e il vestiario.
Il 9 Maggio 1945 intuì che la guerra era finita vedendo i militari russi lanciare per aria i
fucili; ma, cosa per lui rimasta inspiegabile, quell’inferno durò per altri lunghissimi 7 mesi
nonostante ogni tanto al campo arrivassero degli inviati italiani in abiti civili ,
probabilmente fuoriusciti, che interrogavano i soldati italiani per conoscere le loro
condizioni. Ma sino alla fine di Novembre niente cambiò.
Il 24 Novembre 1945 i prigionieri italiani furono portati alla stazione ferroviaria di Galati
dove incontrarono un inviato del Governo Italiano che li informò, rassicurandoli, che
sarebbero rientrati in Italia. Rientro che fu piuttosto lungo passando da Bucarest,
Budapest e Vienna. Fortunatamente però , ricorda Gaiba, “potevamo viaggiare con il
portellone del vagone aperto” e non chiusi in vagone piombati come durante il
trasferimento nei campi di concentramento.
Fu a Vienna, racconta ancora Armando Gaiba, che tutto ad un tratto sul loro vagone
salirono una moltitudine di uomini che chiaramente non erano italiani ma che, alle
domande dei nostri soldati rispondevano, “noi andare in Italia”.
Quando il convoglio ferroviario partì, invece di proseguire verso il confine italiano, tornò
indietro e si fermò in un deposito ferroviario! A questo punto i russi salirono sui vagoni e
fecero scendere tutti i soldati tedeschi (perché di tedeschi si trattava) e solo dopo aver
controllato che gli uomini rimasti sui vagoni erano tutti italiani fecero ripartire il treno.
Gaiba ed alcuni dei suoi compagni, affetti da forte febbre, furono ricoverati in un ospedale
della Croce Rossa situato in Alto Adige dove furono trattati con molta freddezza (forse
perché erano vestiti di stracci – Gaiba indossava un cappotto militare sporco di sangue ,
probabilmente tolto a qualche soldato morto -) .
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Finalmente, dopo una ventina di giorni presso l’ospedale della Croce Rossa, venne il
giorno in cui fu preso in consegna da inviati del comune di Bologna e trasferito, insieme ad
altri tre suoi corregionali, in un ospedale della città emiliana per curare la malaria di cui
era affetto.
Dopo sei lunghi anni Armando Gaiba poté riabbracciare sua madre.
Rimase in forza al C.R.E.M. di Venezia sino al 24 Gennaio 1946, data del congedo
definitivo.
Ritornato alla vita civile non furono giorni sereni: Bologna non era più la città che aveva
lasciato 6 anni prima, gli amici di una volta non c’erano quasi più e anche quelli rimasti
erano cambiati: il momento difficile costringeva a rinchiudersi in se stessi, a diventare un
po’ egoisti. In più la ricerca di un lavoro per tentare di tornare alla normalità era molto
difficile se non impossibile viste le condizioni delle industrie in quel periodo.
Insomma Gaiba non si sentiva più a suo agio. Decise di iscriversi alle liste per l’espatrio in
Australia e dopo qualche tempo gli comunicarono che la sua domanda era stata accettata.
Per fortuna la vecchia ditta in cui lavorava prima della guerra lo richiamò al lavoro e così la
pratica dell’espatrio fu annullata.
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Nel Gennaio del 1947 gli è stato tributato l’ ENCOMIO SOLENNE con la seguente
motivazione:
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Nel Giugno del 1947 gli viene conferita la Croce al Merito di Guerra.
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Il 29 Giugno 1985 gli viene concesso, da parte del Presidente della Repubblica, su
proposta del Ministero della Difesa, il diploma D’Onore ai combattenti per la Libertà
d’Italia 1943-1945.
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In queste pagine una breve sintesi delle vicende militari di quest'isola bella e
sfortunata, considerata dai nostri comandi la Gibilterra dell'Egeo.
(dal sito www.dodecaneso.org)
Alle basse Sporadi, costituenti nel loro insieme il vecchio possedimento italiano nell’Egeo
chiamato Dodecaneso, appartiene l’isola di Lero. Di forma assai articolata fa da sistema
con l’adiacente isola di Calino dalla quale la separa uno stretto, ingombro di isolotti.
Ricca di alture scoscese, lunga 15 Km e larga in alcuni punti appena mille metri, ha la
caratteristica di possedere coste frastagliatissime ed almeno due profonde insenature
adatte all’ormeggio in sicurezza di idrovolanti e mezzi navali.[…]
La Marina, vista la inadeguatezza del porto di Rodi e l’assenza di rade chiuse in tutte le
altre isole dell’Egeo italiano, concentrò la sua attenzione su Lero e le sue insenature
naturali, in particolare di Portolago e Parteni, che, uniche, avrebbero offerto alle navi un
punto di appoggio di carattere permanente. In pochi anni l’isola era diventata
un’importante base della Marina dove all’inizio della guerra erano dislocati, oltre a naviglio
di superficie, per lo più MAS e siluranti, numerosi sommergibili tra i quali il “Gemma” il
“Neghelli” lo “Jantina” l’”Ondina” lo “Zeffiro” il “Perla” lo “Scirè” l’”Anfitrite” il “Foca” il
“Naiade”, purtroppo tutti poi perduti nelle operazioni belliche.
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La caduta di Mussolini non ebbe nell’isola risonanza alcuna. I fatti militari l’avevano così
evidentemente determinata che nessuno se ne stupì. Pur nell’incertezza del momento
ognuno continuò a fare il proprio lavoro e il turno delle sentinelle non fu spostato di un
secondo. In quel periodo però i tedeschi provvidero a mettersi in guardia dalla ormai
evidente defezione italiana, predisponendo il piano per l’imbottigliamento degli ex alleati.
Alle 18,30 dell’ 8 settembre 1943 il radiotelegrafista addetto alle intercettazioni comunicò
che Radio Algeri aveva trasmesso la notizia dell’armistizio richiesto dall’Italia.
Alle 20, un’ora e mezzo più tardi, il nostro giornale radio comunicò la stessa notizia.
Qualcuno, libero dal servizio, si abbandonò ingenuamente a qualche gesto di allegria e le
campane degli isolani suonarono a festa. Il comandante della base, Ammiraglio
Mascherpa (M.O.V.M.), intimò che tutto rientrasse nella più assoluta normalità,
ordinando di assumere l’assetto di emergenza con la precisazione di reagire
immediatamente a qualsiasi intimazione o offesa, “anche se tedesca”.
Sull’isola non vi erano tedeschi che potessero puntare le baionette alle costole, ma ciò al
Comandante non parve sufficiente garanzia. Non vi fu né sbandamento disciplinare né crisi
di autorità. Fu ordinato di entrare a Lero a tutte le unità in mare, ordine che solo il
cacciatorpediniere “Euro” fu in grado di eseguire.
Intanto era nato il giorno 9 e mentre alcune unità della Marina rimanevano imbottigliate al
Pireo e a Creta, a Rodi scoppiavano, come prevedibile, seri conflitti tra Italiani e
Tedeschi.[…]
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Rodi cadde il mattino del giorno 11 trascinandosi dietro il Comando Superiore delle Forze
Armate, il Comando della Marina in Egeo e, quel che è peggio, mettendo in mano tedesca
i suoi campi di aviazione; gli unici dai quali gli inglesi, all’occorrenza, avrebbero potuto
aiutarci.[…]
Caduto il comando dell’Egeo con dieci generali e due ammiragli, tutta la responsabilità
dello scacchiere sparso e disarticolato si riversava automaticamente su Lero e sul suo
Comandante.[…]
Gli Inglesi avevano già fatto un cauto tentativo di mettersi in contatto con noi mentre dei
Tedeschi ancora nessuna traccia, se si esclude il volo di un loro ricognitore tenutosi a
distanza di sicurezza. Il giorno 12, giunse una prima missione inglese con intenti
informativi. Il tempo stringeva e bisognava prendere una decisione. Gli ufficiali, per lo più
riservisti, furono tutti consultati e a tutti fu lasciata la facoltà di scegliere liberamente.
Unanime fu la risposta, di fedeltà all’Italia e al Re, a condizione che la bandiera dell’isola
restasse italiana: e tale restò fino all’ultimo.
Di tutto il mondo insulare erano rimaste ancora in mano nostra Coo, Calino, Stampalia,
Lero, Patmo e altre isolette minori del possedimento, nonché Samo e Icaria tra le isole
occupate.
Solo Lero però costituiva un punto di appoggio vero e proprio ed era ormai chiaro che su
di essa si sarebbero polarizzate le attenzioni dei due belligeranti. Il giorno 13 gli inglesi
inviarono a Lero una seconda missione recante un messaggio personale del Comandante
in capo del Medio Oriente con la promessa di aiuti, affidando alle forze italiane la difesa e
lasciando chiaramente intendere che la sovranità sull’isola non era in discussione. Lo
stesso giorno, ad un preannunziato arrivo di parlamentari tedeschi, fu risposto che si
rivolgessero altrove, perché non graditi. I giorni 16, 17 e 20 settembre 1943 gli inglesi
sbarcarono a Lero in tutto un migliaio di fucilieri, che rappresentavano pur sempre il
doppio delle forze di fanteria di cui potevamo disporre, ma molto meno del complesso di
tutta la nostra guarnigione, che si aggirava sui 6.000 uomini. In momenti successivi il
contingente inglese raggiunse i 4.000 uomini.[…]
Quello che era accaduto a Cefalonia e altrove, perfettamente note, avevano spianato la via
agli inglesi e gli iniziali rapporti di formale correttezza si trasformarono poi durante la
battaglia in un vero e proprio affratellamento.[…]
Il 26 Settembre 1943, alle 9,05 del mattino, vi fu il primo attacco tedesco. Un numero
imprecisato di Stukas, con il loro urlo caratteristico, piombò sull’isola in picchiata,
arrecando in pochi minuti danni ingentissimi.[…] alle 15,30 si scatenò una seconda
violentissima azione aerea tedesca.[…]
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La seconda ondata di Stukas non giunse questa volta però inattesa e sei aerei vennero
abbattuti. Il ripetersi degli attacchi anche il giorno 27 convinse subito tutti che l’azione
sarebbe stata condotta ad oltranza.[…]
Dal mattino del 26 settembre alla sera del 31 ottobre 1943, l’isola subì una schiacciante
offensiva aerea, non tanto per l’imponenza degli attacchi, quanto per l’assiduità, la
decisione e l’accanimento con cui vennero portati.
Su Lero si ebbero in 35 giorni oltre 180 incursioni, con aerei nemici sempre in vista.
Durante l’assedio furono da noi sparati circa 150.000 colpi di cannone, con un tormento
quasi insostenibile per i pezzi (alcuni scoppiarono) che alla fine non poterono svolgere che
tiro navale, perché a forza di sparare le molle di ritorno in batteria si erano snervate e il
cannone, a forti elevazioni, non si toglieva più dalla posizione di rinculo. Il tiro delle
batterie cominciò con qualche imperfezione, ma si sviluppò con grande maestria al
rinnovarsi degli attacchi, per cui la batteria sulla quale gli aerei picchiavano faceva sparire
il personale, mentre le batterie vicine la soccorrevano sparando furiosamente in
ragionevole sicurezza. […]
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Dopo le batteria contraeree, che mai furono ridotte al silenzio malgrado i gravi problemi di
munizionamento, fu la volta delle batteria navali che entrarono in azione prima con
incessanti bombardamenti sull’adiacente isola di Calino, una volta occupata dai tedeschi, e
quindi con tiri di lunga gittata fino a 18.000 metri sulle unità da sbarco. La gente, per lo
più riservisti, s’era ormai imbestialita accanto ai cannoni, perché aveva la sensazione che
l’isola avrebbe potuto resistere a lungo e soprattutto non voleva cadere in mano tedesca,
perché sicura della fucilazione. Molte batterie infatti, a capitolazione avvenuta, furono
teatro di deliberati eccidi a sangue freddo compiuti dai tedeschi (paracadutisti e fanteria
da sbarco) ai danni dei difensori sopravissuti.
Migliore fu l’immediato destino di chi cadde prigioniero dei reparti della Marina tedesca che
si comportò invece onorevolmente.
Nella notte e sull’alba del 12 novembre 1943 forze da sbarco tedesche giunsero intorno a
Lero, con provenienza da tutti i punti dell’orizzonte. Inspiegabilmente, malgrado
tempestive segnalazioni, la Marina inglese non intervenne.
Gli inglesi che avevano più o meno sempre controllato le acque dell’isola, le lasciarono
libere proprio in occasione dello sbarco, da essi stessi preannunziato.
Un convoglio formato da due cacciatorpediniere e dodici moto zattere cariche di uomini
provenienti da Sud Ovest fu inquadrato dal tiro dei 125/40 della batteria “Ducci”, che colpì
in pieno già a 1.500 metri un CT. Il convoglio, vista la mala parata, invertì
precipitosamente la rotta e sparì più tardi dietro Calino, rinunziando all’azione di sbarco.
Le nostre batterie del Sud continuarono i tiri su Calino e presero parte poi all’azione a
fronte rovesciato sui tedeschi sbarcati altrove.
A Nord Est, dove già nella notte era sbarcato un gruppo rilevante di tedeschi attestatosi
sui versanti del Monte Appetici, stavano invece avvenendo fatti gravi per mancanza di
comunicazioni; da quella parte notevoli gruppi di navi stavano muovendo all’attacco
dell’isola. Malgrado le batterie 888, 899, “Ciano”, “San Giorgio” e “Lago” avessero
duramente colpito i convogli, questi non desistettero e sbarcarono alcune centinaia di
uomini alle due Punte Pasta (di Sopra e di Sotto) dove non era possibile il tiro diretto delle
nostre artiglierie.[…]
All’alba del giorno 15 gli scontri ripresero con rinnovata violenza. I tedeschi avevano
ancora progredito. Dal Monte Appetici si erano spinti sino all’abitato di Lero e dal centro
avevano progredito verso Santa Marina, Monte Rachi e Monte Meraviglia. Dal nord si
erano spinti lungo la costa della baia di Alinda per effettuare il non ancora completo
congiungimento. La situazione era ormai disperata.
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Il giorno 16 novembre 1943, alle 18,30, solo dopo la resa del Generale Tilney, l’Ammiraglio
Mascherpa diramò l’ordine di cessare il fuoco; i combattimenti però terminarono del tutto
solo la mattina del 17.
Gli inglesi in alcuni casi, con ammirevole cameratismo, per scongiurare fucilazioni
immediate certe, offrirono agli italiani le loro uniformi che furono cortesemente
rifiutate.[…]
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L’Ammiraglio Luigi Mascherpa, anch’egli tratto prigioniero, consegnato poi alla Repubblica
Sociale Italiana, fu condannato a morte e fucilato a Parma il 24 Maggio 1944.
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BIBLIOGRAFIA:
Si ringrazia la redazione del sito www.dodecaneso.org – Sito italiano sulla storia antica
e moderna delle isole dell’Egeo – per la gentile concessione di fotografie e parte del
testo relativo a “Lero, un'isola destinata alla tragedia”.
Rivista “Storia Militare” nr. 121 del mese Ottobre 2003 e nr. 122 del mese di Novembre
2003 per alcune foto inserite nel testo relativo alla storia di Armando Gaiba.
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