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EDUCAZIONE,

COMUNICAZIONE E

LINGUA DEI SEGNI ITALIANA


Atti della giornata di studi del 2 Febbraio 2017 su
scuola, inclusione e lingue segnate

A cura di Elena Cauda

Loredana Scursatone
PREFAZIONE
INTRODUZIONE
INCLUDERE PER COMUNICARE

Prof.sa Claudia Pintus

Presidente AnsiTo2, tutor accademico Unipegaso

Una piena ed effettiva partecipazione e inclusione di tutti gli individui


all’interno della società, senza discriminazione alcuna, il rispetto per la dignità
e per l’autonomia individuale, compresa la libertà di compiere le proprie
scelte, la non-discriminazione, la parità di opportunità e l’abbattimento delle
barriere sono i principi fondamentali della Convenzione ONU del 2007, la
quale all’art. 1 prefissa come scopo la promozione, la protezione e
l’assicurazione del pieno ed eguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte
le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità.

Il termine “inserimento”, usato negli anni ’70, ha ceduto il posto a quello di


“integrazione” alla fine degli anni ’80. Ma è proprio dal 2007, anno della
Convenzione, che è stato introdotto il termine “inclusione” proveniente
dall’inglese “inclusion”, il quale permette una nuova interpretazione
etimologica del vocabolo. Mentre con il termine “integrazione” si
accendevano i fari sulla capacità della persona con difficoltà di adattarsi e
sviluppare capacità utili ad affrontare la realtà come atteso da qualunque altro
individuo, parlando di “inclusione” si desidera favorire le capacità da parte del
“gruppo” di riconoscere l’altro nel suo valore e nella sua dignità a prescindere
da ogni disabilità.

Percorrendo le strade dell’inclusione è necessario affrontare la questione


della disabilità calandola nel diritto di cittadinanza. Includere vuol dire offrire
l’opportunità di essere cittadini a tutti gli effetti. Ciò non significa negare la
diversità o la presenza di disabilità, ma spostare i focus di analisi e intervento
dalla persona al contesto, per individuarne gli ostacoli e operare per la loro
rimozione.

I limiti presenti nella società sono superabili con l’ascolto attivo,


l’atteggiamento empatico, la fiducia nelle possibilità dell’altro e la
comprensione dei suoi bisogni. Obiettivo dell’inclusione, infatti, non è la
negazione della diversità, ma la concessione di tutti i mezzi necessari per
affrontare la realtà quotidiana, favorendo in tal modo il benessere comune.

Ponendo al centro la persona, i suoi diritti e i suoi bisogni si rispettano e si


applicano le Leggi dello Stato.
È la stessa Costituzione che all’art. 3 sancisce il principio per cui “tutti i
cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali”.

Occorre, poi, senza alcun dubbio uno sforzo orientato all’individuazione delle
risorse dei singoli, allo sviluppo delle autonomie personali e sociali, al
mantenimento delle capacità residue.

Il guardare oltre e il proiettarsi nel futuro implicano il concetto di possibilità. La


possibilità di sostenere la fatica e di vedere che ognuno può avere una
propria strada, diversa e unica, ma possibile.

Il perseguimento degli scopi passa attraverso la valorizzazione del contesto


più vicino alla persona, quello familiare, pensando alla persona con disabilità
e alla sua famiglia come attori protagonisti e attribuendo loro pieni diritti di
cittadinanza.

Berkman e Syme, in una famosa ricerca del 1979 (Berkman L.F., Syme S.L.,
1979) dimostrarono che i legami sociali non solo sarebbero occasione di
promozione del benessere e della qualità della vita, ma sarebbero perfino in
grado di diminuire i tassi di mortalità e di morbilità.
L'ampiezza, la frequenza, la molteplicità, l’intensità delle relazioni con gli altri
sono più volte stati indicati da studi successivi sulla qualità della vita delle
persone con disabilità intellettiva, quali elementi in grado di favorire il
benessere delle persone, di diminuire l’impatto negativo degli eventi
sfavorevoli della vita, oltre che di ridurre la possibilità di ammalarsi.
Rinforzando i rapporti sociali, si promuove l’inclusione, vedendone gli effetti
realizzarsi e perdurare nel tempo.

L’affermazione del concetto di inclusione conduce al riconoscimento del


contrasto con il suo opposto: l’esclusione. Le strategie e le azioni da
promuovere devono tendere a rimuovere le forme di esclusione sociale che
colpiscono le persone con disabilità nella vita quotidiana: l'esperienza
scolastica spesso vissuta ai margini della classe e non sempre supportata
adeguatamente, l'esclusione dal mondo del lavoro, le esperienze affettive
spesso relegate all’ambiente famigliare, una scarsa partecipazione alle
attività sociali.

E' attraverso il lavoro sui contesti, e non soltanto sui singoli individui, che si
promuove la partecipazione sociale e il coinvolgimento di tutti, come viene
specificato anche dall'I.C.F., (Classificazione Internazionale del
funzionamento e delle disabilità), proposto dall'Organizzazione Mondiale della
Sanità (2000).

Ma per il raggiungimento di un processo di inclusione di qualità, allo stato


attuale manca un pensiero più costruttivo e condiviso tra i diversi agenti
all'interno dei contesti scolastici che determini la creazione di ambienti
accoglienti e facilitanti le diversità, attraverso buone strategie educativo-
didattiche, che possano contribuire fortemente allo sviluppo e alla crescita
cognitiva e psicosociale dei bambini con disabilità.
Nell’ambito scolastico l’impegno quotidiano degli insegnanti è quello di
favorire l’accoglienza e l’armonia collettiva per permettere l’ascolto
vicendevole imparando a guardare il prossimo in quanto essere umano e non
in quanto diverso.
Si deve mirare allo sviluppo della capacità di accettazione e comprensione
dell’alunno in primo luogo verso se stesso. Solo passando attraverso la
conoscenza dei propri limiti, si arriva a garantire un approccio consapevole e
disponibile che permette la concretizzazione dell’inclusione.

La diversità all'interno del contesto scolastico, rappresenta una sfida che


coinvolge tutti i principali agenti di cambiamento: dirigenti scolastici, comunità
scolastica, insegnanti, famiglie e territorio, ognuno con le sue specifiche
funzioni.
I dirigenti scolastici si vedono prefissato l’obiettivo della costituzione di
un'istituzione attenta ad ogni dettaglio, ad ogni aspetto organizzativo.
La comunità scolastica, per contro, si occupa dell'individuazione e della
valorizzazione di tutti gli elementi utili per l’attuazione di un intervento
coordinato che tenga conto di tutte le risorse disponibile.
Compito degli insegnanti è lo studio di soluzioni originali adattate ai singoli
bambini e ai contesti, dal punto di vista didattico-pedagogico, comunicativo e
relazionale. Alle famiglie si richiede partecipazione e collaborazione con il
sistema scolastico per portare a termine il progetto educativo pensato per il
bambino.
A livello territoriale lo scopo perseguito è quello della costruzione di un lavoro
di rete ben coordinato e quanto più orientato alla persona, al di là delle
disabilità che ognuno di noi ha.

Nell’Epifania del volto di Levinas, si legge: “Nel semplice incontro di un uomo


con l’altro si gioca l’essenziale, l’assoluto: nella manifestazione,
nell’«epifania» del volto dell’altro scopro che il mondo è mio nella misura in
cui lo posso condividere con l’altro. E l’assoluto si gioca nella prossimità, alla
portata del mio sguardo, alla portata di un gesto di complicità o di
aggressività, di accoglienza o di rifiuto.”
L’Epifania è la manifestazione. Manifestarsi significa interpellare, chiamare a
rispondere, responsabilizzare l’interlocutore. La relazione è responsabilità e
condivisione. Lèvinas parla di “epifania” come momento della scoperta, della
rivelazione della presenza dell’altro, con tutto il suo universo interiore, con
tutta la sua umanità. È questa l’accezione, la chiave di lettura del termine
“inclusione” a cui mira questo Convegno che si pone l’obiettivo di partire
dall’ambito formativo, quale base per il cambiamento, per arrivare a
riconoscere come includere non significhi nient’altro che prestare attenzione
posando lo sguardo sugli altri e capendo che la “differenza” è soltanto
occasione di “arricchimento”.

Se la diversità viene colta come possibilità di scambio tra le capacità peculiari


che ci appartengono e quelle di chi ci circonda, ciò che sembra essere
accettazione diverrà vantaggio, ciò che sembra essere superamento dei limiti
diverrà punto di forza.

Il Presidente A.N.S.I. Torino


Prof.ssa Claudia Pintus

BIBLIOGRAFIA

1. Convenzione Organizzazione Nazioni Unite, 2007


2. Legge 170/2010
3. Legge 107/2015
4. Classificazione Internazionale del funzionamento e delle disabilità, OMS 2000
5. La presa in carico delle persone con disabilità, Federazione Italiana per il superamento
dell’handicap, Genova 2007.

6. E.Levinas, “L’epifania del volto”, Servitium, a cura di Franco Riva, illustrazioni di Eva
Kaiser, Sotto il monte (BG)
La LIS all’Università:
opportunità di crescita sociale, culturale e professionale per sordi e non-sordi

Anna Cardinaletti
Università Ca’ Foscari Venezia

1. Introduzione

La lingua dei segni italiana (LIS), utilizzata dalla persone sorde in Italia e da tutte le persone
udenti che comunicano con loro, non ha ancora un riconoscimento ufficiale (ad oggi, nell’Unione
Europea mancano solo Italia e Lussemburgo), ma è stata per così dire “riconosciuta” dal Ministero
per l’Università che, con il Decreto ministeriale del 23/6/1997 (G.U. 27/7/1997), ha inserito la LIS
tra le discipline del settore L09A (Glottologia e linguistica), dal 2000 ridenominato settore
scientifico-disciplinare L-LIN/01 (Glottologia e Linguistica).
Grazie a questo riconoscimento, nell’a.a. 1999/2000 l’Università Ca Foscari Venezia ha attivato
l’insegnamento della LIS, a cura della prof.ssa Carmela Bertone, come materia a libera scelta
nell’ambito della Laurea quadriennale in Lingue e letterature straniere. Nel 2002, con la riforma
universitaria, la LIS è diventata una delle lingue di specializzazione del nuovo Corso di Laurea
triennale in Lingue e Scienze del linguaggio, poi confluito nel Corso di Laurea in Lingue, Civiltà e
Scienze del Linguaggio, e del nuovo Corso di Laurea specialistica in Scienze del Linguaggio, poi
confluito nel Corso di Laurea magistrale omonimo.
In questo contributo, verrà presentato l’intero progetto didattico e i progetti di ricerca attivi
presso l’Università Ca’ Foscari Venezia, un programma di Deaf Studies unico in Italia che prevede
lo studio delle problematiche legate all’acquisizione della lingua in caso di sordità, lo studio della
cultura della comunità sorda e lo studio degli aspetti grammaticali della LIS, in prospettiva
comparativa con altre lingue dei segni e con le lingue vocali, all’interno di un progetto più ampio
sulla facoltà del linguaggio come caratteristica innata della specie umana. In questo programma di
ricerca, le lingue dei segni sono particolarmente interessanti perché, pur utilizzando la modalità
visivo-gestuale, mostrano le stesse proprietà strutturali delle lingue vocali, avvalorando così
ulteriormente l’ipotesi di un istinto innato al linguaggio intrinseco alla mente umana (Pinker 1997).
D’altra parte, le proprietà peculiari delle lingue dei segni permettono di ampliare la conoscenza
sulle possibilità previste dalla Grammatica Universale e non realizzate nelle lingue vocali.
Se, come ormai dimostrato da innumerevoli ricerche, la LIS è una lingua naturale a tutti gli
effetti e se se ne sta chiedendo il riconoscimento come una delle lingue ufficiali dello Stato italiano,
va da sé che la formazione in questa lingua deve avvenire in modo parallelo a quanto avviene per le
altre lingue naturali. La LIS come oggetto di studio ne motiva l’inserimento nei percorsi accademici
di area linguistica, al pari di qualsiasi altra lingua. Ma questo non è l’unico motivo per prevedere lo
studio della LIS in Corsi di laurea di area linguistica. Questa scelta è anche motivata dalla necessità
di formare figure professionali (sia udenti che sorde) esperte di LIS e della cultura della comunità
che la utilizza (docenti di LIS, per sordi e non solo, v. sotto §6; esperti per l’insegnamento
dell’italiano a sordi; assistenti alla comunicazione; mediatori linguistici e culturali; interpreti, ecc.),
al pari di quello che avviene con qualsiasi altra lingua naturale insegnata all’Università.
Lo studio della LIS non solo aumenta le nostre conoscenze su questa lingua e sulla cultura della
comunità che la utilizza, significando una crescita sociale e culturale per entrambe le comunità,
quella sorda e quella udente, ma offre a sordi e udenti opportunità di lavoro e di crescita culturale e
professionale nell’ambito dell’educazione, della formazione, della mediazione linguistica e
culturale e nell’innovativo campo dei servizi per l’accessibilità e l’inclusione.
Nei paragrafi che seguono, presenterò l’esperienza dell’Università Ca’ Foscari sulla formazione
di figure esperte di LIS, sordità e disabilità del linguaggio e della comunicazione, sullo sviluppo di
servizi digitali per l’accessibilità, sulla promozione di progetti di inclusione in ambito museale e
culturale, e sulla progettazione di percorsi di educazione e di riabilitazione con la LIS.

2. Il progetto didattico

All’Università Ca’ Foscari Venezia, la LIS è insegnata alla stregua delle altre 16 lingue di
specializzazione offerte dal Dipartimento di Studi linguistici e culturali comparati.1
Gli studenti del Corso di Laurea in Lingue, Civiltà e Scienze del Linguaggio possono scegliere la
LIS come una delle due lingue triennali obbligatorie. L’insegnamento della LIS nei tre anni è
affiancato da corsi di Linguistica della LIS, da corsi sulla Cultura della comunità sorda italiana, e da
un insegnamento di LIS tattile, la variante della LIS utilizzata dalle persone sordo-cieche (attivato
dall’A.A. 2011/12 in collaborazione con la Lega del Filo d’Oro), oltre a corsi sull’acquisizione
della lingua in condizioni tipiche e atipiche come quella della sordità. Nella Laurea magistrale in
Scienze del linguaggio, la LIS è offerta per un ulteriore anno, al pari delle altre lingue attivate,
accanto a insegnamenti di Linguistica per la sordità e di Linguistica clinica.2
L’insegnamento della LIS si inserisce infatti all’interno di un progetto scientifico-didattico più
ampio sulla sordità e sui disturbi del linguaggio che rappresenta un’esperienza unica in Italia
all’interno di un Dipartimento di Studi linguistici e culturali, con l’obiettivo di formare linguisti
esperti nelle disabilità del linguaggio e della comunicazione. Inserito all’interno degli studi
sull’acquisizione delle lingue, l’insegnamento della LIS intende anche promuovere una sensibilità
maggiore per l’educazione bilingue italiano/LIS dei bambini sordi e la formazione di ”Educatori
linguistici” non solo per i bambini sordi, ma anche per i bambini con altre disabilità del linguaggio e
della comunicazione, sulla base di esperienze nazionali e internazionali molto positive relative

1
In altri Atenei, ad es. Bologna-Forlì, Milano-Bicocca, Parma, Teramo, Trieste, la LIS è (stata)
offerta in maniera irregolare e/o solo come lingua annuale a libera scelta. A Catania-Ragusa, la LIS
può essere scelta come lingua biennale.
2
Moltissimi sono gli studenti che negli anni hanno scelto la LIS come lingua di specializzazione e si
sono laureati in LIS, tra cui anche alcuni studenti sordi e alcuni studenti CODA (children of deaf
adults). Nel 2015/16, ultimi dati ufficiali a nostra disposizione, gli iscritti a LIS 1 erano 120, a LIS
2 83, a LIS 3 70; gli iscritti al corso di LIS nella magistrale erano 37; gli studenti iscritti al corso di
LIS tattile erano 38.
all’attivazione delle abilità comunicative tramite le lingue dei segni (v. sotto §6).3
Dall’A.A. 2012/13, è stato inoltre attivato un Master di primo livello in Teoria e tecniche di
traduzione e interpretazione italiano/lingua dei segni italiana (LIS).4 Il Master giunge nell’attuale
A.A. 2016/17 alla sua terza edizione. I punti di forza del Master sono la costruzione di una solida
base di conoscenze teoriche, basate sulla ricerca internazionale e sulla ricerca linguistica svolta a
Ca’ Foscari, che possano accompagnare e sostenere gli interpreti nella loro attività professionale.
Viene inoltre valorizzata la formazione nella traduzione: non solo la pratica traduttiva è
propedeutica a quella dell’interpretazione, permettendo di affinare la riflessione sui testi e sulle
proprietà linguistiche delle due lingue coinvolte, ma viene anche richiesta dal mercato del lavoro la
figura professionale del traduttore di lingua dei segni, per tradurre in LIS contenuti in lingua italiana
e garantire accessibilità all’informazione e alla cultura (v. sotto §4). Le attività di traduzione
all’interno del Corso di Formazione avanzata degli anni scorsi hanno ad esempio condotto alla
traduzione in LIS di alcune opere letterarie italiane (v. Celo 2009 e Bertone 2012). La traduzione in
LIS di materiale culturale italiano ha significative ricadute culturali e sociali relativamente
all’integrazione tra comunità sorda e udente. A questo scopo, nel 2016/17 abbiamo attivato anche
un Corso di alta formazione in Teoria e tecniche di traduzione italiano/LIS, aperto a corsisti sordi e
udenti. Infine, nel Master è prevista anche la formazione nell’interpretazione da e verso la LIS
tattile.
Attualmente è in progettazione una Laurea magistrale in Interpretazione italiano/LIS. Come
avviene per la formazione degli interpreti delle lingue vocali e come richiesto per la formazione
degli interpreti negli altri Paesi europei, la formazione degli interpreti di LIS dovrebbe avvenire
all’interno di una Laurea Magistrale in Interpretazione. I tempi sembrano maturi per richiedere il
requisito della Laurea magistrale anche agli interpreti di LIS, così come succede per le altre lingue.5
Le nostre attività didattiche si sostengono, oltre che sulla collaborazione dei docenti a contratto,
su una Ricercatrice a tempo determinato, la dott.ssa Chiara Branchini, assunta nel 2011, e su un
Collaboratore ed esperto linguistico (CEL) sordo nativo di LIS, il dott. Gabriele Caia, assunto nel
2012. Siamo orgogliosi di aver dato la possibilità ad un sordo segnante di insegnare la propria
lingua nativa in una Università pubblica italiana.
In conclusione, l’inserimento della LIS nei Corsi di Laurea del Dipartimento di Studi linguistici
culturali dell’Università Ca’ Foscari Venezia risponde alla necessità di proporne l’insegnamento in
un’Istituzione pubblica, garantendo i più alti standard didattici al passo con la ricerca scientifica
internazionale.

3
Nel 2015-16, è stato attivato un Master di primo livello (cofinanziato dal MIUR) in Didattica e
psicopedagogia per gli alunni con disabilità sensoriali, rivolto in particolare all’aggiornamento degli
insegnanti. Tra le materie era previsto anche un corso di LIS, molto apprezzato dagli insegnanti, che
nell’attività di tirocinio obbligatorio hanno messo in pratica le conoscenze acquisite sia con alunni
sordi sia con alunni con altre disabilità della comunicazione. A partire da quest’anno, vengono
offerti corsi di aggiornamento e formazione professionale continua degli insegnanti sulla LIS e sulla
comprensione del testo, spesso difficoltosa per gli alunni sordi (www.unive.it/pag/6560/).
4
La formazione di interpreti LIS è stata avviata nell’A.A. 2006/07 come Corso di Formazione
avanzata in Teoria e tecniche di interpretazione italiano/lingua dei segni italiana (LIS), in
collaborazione con la Provincia di Venezia, l’ENS e l’ANIOS (v. Cardinaletti e Mazzoni 2007 e
Cardinaletti 2008). Dall’A.A. 2009/10 il titolo del Corso di Formazione avanzata è diventato
“Teoria e tecniche di traduzione e interpretazione italiano/lingua dei segni italiana (LIS)”,
includendo anche la formazione nella traduzione in LIS.
5
Il titolo di Laurea triennale (BA) per gli interpreti è richiesto da direttive della Commissione
Europea. Per la formazione degli interpreti, la Commissione europea richiede un Postgraduate
Degree in translation and conference interpreting, che corrisponde in Italia ad un Master o ad una
Laurea magistrale in interpretazione. Va ricordato che la Laurea triennale relativa è una Laurea non
in Interpretazione, ma in Mediazione linguistica e culturale.
3. I progetti scientifici

La didattica sulla lingua e sulla cultura della comunità sorda italiana si fonda su numerosi
progetti di ricerca nazionali e internazionali su LIS e sordità che ci hanno visto coinvolti in questi
anni. La ricerca sulla LIS e sulla sordità è dunque una esperienza relativamente consolidata a Ca’
Foscari e ha già ottenuto molti risultati, concentrandosi sugli aspetti che caratterizzano i programmi
di Deaf studies internazionali: grammatica della LIS, sociolinguistica della LIS, sordità e
acquisizione delle lingue, insegnamento ai sordi, cultura della comunità sorda, tematiche relative
all’interpretazione e alla traduzione da e verso la LIS.
Negli anni 2007-2009, il nostro gruppo di ricerca ha collaborato con le Unità di Milano Bicocca
e Roma La Sapienza al progetto PRIN “La lingua dei segni italiana: strutture e variazione”, che ha
raccolto un corpus di LIS da 165 sordi segnanti residenti in 10 città italiane con lo scopo di
documentare la variazione sintattica e lessicale della LIS, menzionata sporadicamente in vari lavori
descrittivi sulla LIS, ma mai sistematicamente studiata, e su quello del cambiamento diacronico
della LIS. Il progetto e alcuni risultati preliminari sono stati presentati nel volume a cura di
Cardinaletti, Cecchetto e Donati (2011). Nell’ambito dello stesso progetto è stata pubblicata la
prima grammatica della LIS (Bertone 2011), un volume sulle frasi relative e scisse in LIS
(Branchini 2014) e uno studio sulle frasi interrogative (Branchini et al. 2013).
Negli anni 2008-2010 abbiamo partecipato al progetto FP7-SME-2007-222291 “DUAL-PRO -
Dual electric-acoustic speech processor with linguistic assessment tools for deaf individuals with
residual low frequency hearing”, nell’ambito del quale abbiamo avviato i primi studi in Italia sulla
competenza in italiano dei bambini con impianto cocleare (v. Volpato e Adani 2009, Volpato 2010,
2012, Volpato e Vernice 2014, Volpato e Cardinaletti 2015).
Negli anni 2011-2015, abbiamo partecipato alla COST Action IS1006 “Unravelling the
grammars of European sign languages: pathways to full citizenship of deaf signers and to the
protection of their linguistic heritage” (www.parles.upf.edu/llocs/cost-signgram/), dedicata alla
redazione di un blueprint per la costruzione della grammatica delle lingue dei segni europee (v. il
volume a cura di Quer et al., in stampa).
Il nostro Dipartimento è stato inoltre il partner italiano del progetto Leonardo da Vinci “Spread
the Sign” (www.spreadthesign.com), che ha costruito un video-dizionario della lingua dei segni
italiana (www.spreadthesign.com/it/). Per la presentazione di Spread The Sign, v. Cardinaletti (in
stampa). I partner del progetto continuano la loro collaborazione in due progetti triennali Erasmus+,
in corso dal 2015: Spread Share (www.spreadlesson.com/) e Deaf Learning
(www.pzg.lodz.pl/deaflearning/). Il primo intende costruire una piattaforma digitale di materiali
didattici accessibili agli studenti sordi segnanti dei 13 Paesi partecipanti; il secondo sta sviluppando
i corsi di lingua nazionale per adulti sordi segnanti dei Paesi partecipanti al progetto (Austria, Gran
Bretagna, Italia, Lituania, Polonia) all’interno dei quali la lingua dei segni relativa svolge un ruolo
importante sia come lingua di insegnamento sia come fonte di comparazione linguistica utile
all’acquisizione della lingua nazionale.
Nel 2016 è partito un ambizioso progetto Horizon 2020 “The SIGN-HUB: preserving,
researching and fostering the linguistic, historical and cultural heritage of European Deaf signing
communities with an integral resource” (www.sign-hub.eu/), dedicato alla creazione delle
grammatiche digitali delle lingue dei segni dei paesi europei sulla base del blueprint
precedentemente costruito (v. sopra), di un atlante digitale delle lingue dei segni del mondo, di
strumenti di valutazione delle lingue dei segni per l’intervento clinico, e del primo archivio digitale
dei racconti delle esperienze di vita di segnanti anziani, utile a studiare anche il cambiamento
diacronico delle lingue dei segni. L’unità veneziana (www.sign-hub.it/) è coordinata dalla dott.ssa
Chiara Branchini.
Infine, sebbene l’attenzione si sia concentrata sull’interpretazione tra lingue segnate e vocali, non
si è ancora discusso sufficientemente sulla traduzione da e verso le lingue segnate. Il gruppo di
ricerca di Ca’ Foscari è pioniere negli studi sulla traduzione dall’italiano alla LIS (Bertone 2005;
Danese 2009, 2011; Danese et al. 2011a, 2011b). Particolari questioni sono poste dal fatto che, non
essendo le lingue dei segni dotate di una forma scritta, il processo traduttivo non fa uso della
scrittura ma di filmati.

4. Lo spin-off VEASYT

Dalla ricerca sulla LIS e sulla sordità del Dipartimento di Studi linguistici e culturali comparati è
nato nel 2012 lo spin-off VEASYT s.r.l. (www.veasyt.com), che sviluppa soluzioni digitali per
l’abbattimento delle barriere della comunicazione, tra cui i seguenti servizi:
- VEASYT Tour (www.veasyt.com/it/tour.html), video-audio-guide accessibili (in italiano e in LIS)
per il turismo e le attività culturali. La particolarità di queste guide è di offrire le informazioni nelle
varie modalità utili a diversi gruppi di visitatori: in testo scritto e audio in italiano semplificato,
adatto anche a persone con disabilità linguistiche, ad anziani e stranieri, e in video LIS, e di essere
accessibili su smart-phone, tablet e computer (v. anche Danese e Capiozzo 2012). Alcune delle
guide realizzate (delle Ville venete, del territorio veneto e non solo, e di Musei e mostre) presentano
anche la traduzione in altre lingue oltre all’italiano e alla LIS;
- VEASYT Live! (http://www.veasyt.com/it/live.html, www.interprete.live), un innovativo servizio
di video-interpretazione da remoto per la LIS e per le lingue vocali. Il servizio è attualmente attivo
in ambito medico (in diverse ULSS del Veneto 6 e presso il Distretto Socio Sanitario RMG6,
Carpineto Romano, Lazio, e il CNAO - Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica di Pavia) e in
ambito amministrativo, presso UniCredit Digital B2B. Il servizio è stato attivo all’EXPO di Milano
nel 2015 e al Parlamento italiano;
- VEASYT Translate (www.veasyt.com/it/translate.html), un servizio di traduzione multimediale in
lingua dei segni; i contenuti testuali sono tradotti in LIS da professionisti sordi e udenti e proposti in
modalità video. Il servizio garantisce la completa accessibilità a contenuti informativi complessi da
parte dei cittadini sordi che usano la lingua dei segni, allo scopo di garantire una piena inclusione
sociale.
L’impegno sull’accessibilità e l’inclusione delle persone sorde è in linea con la nuova agenda
dell’ONU, che ha individuato 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile, seguendo il principio “Leave
no one behind” e lo slogan “Imagine the world in 2030, fully inclusive of persons with disabilities”.
In particolare nel caso delle disabilità del linguaggio e della comunicazione, è necessario un
intervento multidisciplinare e coordinato, in cui le tecnologie possono svolgere un ruolo molto
importante. VEASYT è una delle molte aziende innovative che opera in questa prospettiva,
coinvolgendo collaboratori sordi e udenti per garantire l’accessibilità ai contenuti e l’abbattimento
delle barriere della comunicazione.

5. Gli eventi culturali e i progetti sull’accessibilità

Parallelamente alla didattica e alla ricerca sulla LIS e sulla sordità, si sono approfondite le
relazioni con la comunità sorda e la conoscenza delle sue manifestazioni culturali, con
l’organizzazione di eventi culturali in LIS o con la traduzione in LIS, per la promozione della
integrazione tra comunità sorda e udente.
I nostri studenti hanno anche avviato progetti di accessibilità culturale, curando visite guidate in
LIS del Palazzo Ca’ Foscari, di alcuni Musei del Polo museale statale (Museo archeologico, Museo
d'Arte Orientale, Gallerie dell’Accademia), di Palazzo Grassi e di alcuni Musei Civici (Ca’
Rezzonico, Museo di Storia naturale) e collaborando con i Laboratori per bambini organizzati da
Palazzo Grassi, in cui è sempre previsto un operatore di LIS.
6
ULSS 7 Pieve di Soligo, Conegliano, Vittorio Veneto; ULSS 9 Treviso; ULSS 10 Veneto
Orientale; ULSS 15 Alta Padovana; ULSS 16 Padova; ULSS 17 Monselice.
Anche in questo ambito è necessario prevedere attività di formazione mirata. Dal 2013 vengono
organizzati corsi estivi di aggiornamento per operatori museali e culturali nell’ambito della Summer
School di Ca’ Foscari (http://www.unive.it/pag/10032/). Molte delle misure adottate per garantire
accessibilità culturale alle persone con disabilità del linguaggio e della comunicazione
(intervenendo sull’ambiente, sulle modalità di comunicazione e di trasmissione delle informazioni,
e sul messaggio stesso, utilizzando un italiano semplificato e accessibile) sono appropriate anche
per altre tipologie di visitatori: i bambini, gli anziani, i visitatori stranieri, gli immigrati, ecc.
L’accessibilità va primariamente garantita anche all’interno dell’Università. Agli studenti sordi
vengono offerti servizi di interpretazione italiano/LIS, selezionati tramite concorso tra interpreti
professionisti, tutor per lo studio e tutor per migliorare le competenze in italiano, selezionati tra gli
studenti di laurea magistrale o di dottorato con competenze nella linguistica per la sordità. Inoltre,
negli anni 2013-2015, è stato realizzato un progetto finanziato dal MIUR dal titolo “Interventi per
studenti sordi e con DSA all'Università: valutazione delle competenze linguistiche in italiano e in
inglese” (in collaborazione con l’Università di Bologna e lo IULM di Milano), allo scopo di
garantire pari opportunità per l’accesso allo studio universitario proponendo test di lingua italiana e
di lingua inglese accessibili agli studenti sordi (v. il volume a cura di Cardinaletti, in stampa).
L’impegno sull’accessibilità e l’inclusione è un impegno a tutto tondo sul quale molto si
investirà nei prossimi anni e che offrirà occasioni di crescita professionale a molti operatori
dell’amministrazione pubblica e privata e occasioni di lavoro anche per i sordi segnanti.

6. La LIS, una risorsa per tutti

È sempre bene ricordare che la LIS non è la lingua dei sordi, ma una lingua presente nel
repertorio della comunità italiana.
La LIS viene acquisita da qualunque persona sorda o udente venga esposta ad essa ed è una delle
due lingue native dei bilingui bimodali (cosiddetti CODA – children of deaf adults, figli udenti di
genitori sordi segnanti, www.codaitalia.org/).
Inoltre, la LIS viene utilizzata anche da persone con disabilità linguistiche e comunicative non
dovute a sordità. La LIS permette il superamento delle barriere comunicative anche nei soggetti con
autismo, disprassia, Landau-Kleffner, ritardi cognitivi, sindrome di Cornelia de Lange, sindrome di
Down, sindrome di West, ecc. che non presentano produzione verbale. Molte sono ormai anche in
Italia le esperienze di questo tipo, riportate tra gli altri in Scursatone e Capellino (2013) e in
Branchini e Cardinaletti (2016). L’ultima proposta di Legge di riconoscimento della LIS, presentata
dal Senatore Francesco Russo, ha espresso le potenzialità di questa lingua oltre la sordità al terzo
comma dell’art. 1: “Le misure previste dalla presente legge si applicano anche in favore delle
persone con disabilità comunicative non dovute a sordità”. Questo punto risulta particolarmente
rilevante per evitare di operare l’equazione LIS/sordità e per trattare questa lingua alla stregua di
qualunque lingua utilizzata sul territorio nazionale italiano, ai fini della formazione e dell’utilizzo in
ambiti educativi e professionali.
La LIS può essere proficuamente insegnata anche a bambini udenti a sviluppo tipico. Dal 2011,
la LIS è inserita con successo, come attività di tirocinio degli studenti iscritti ai nostri Corsi di
Laurea, in alcune scuole dell’infanzia e primarie di Venezia e Provincia, dove sono previsti anche
percorsi di sensibilizzazione per gli insegnanti e le famiglie. Alcune di queste esperienze sono
riportate in Merlo (in stampa), che mette in luce alcuni importanti risultati nei bambini che hanno
partecipato al progetto: “una maggiore capacità di concentrazione e comprensione dei messaggi
siano essi verbali o segnati, una più rilevante interazione emotiva, maggiore autostima, motivazione
e interesse, una più armoniosa corporeità associata a un buon grado di orientamento spaziale e di
coordinazione oculo-manuale, un arricchimento espressivo anche del codice verbale, avviamento
all’acquisizione di una seconda lingua.” L’autrice nota anche che i “risultati più evidenti sono quelli
nei bambini che hanno seguito il progetto per tre anni e hanno potuto così consolidare nel tempo gli
aspetti relativi alla conoscenza dei vocaboli con una conseguente maggiore capacità di precisione e
fluidità di produzione dei segni.”
Sebbene la LIS non sia la “lingua dei sordi”, la LIS è l’unica lingua che i sordi possono acquisire
in maniera spontanea e naturale, utilizzando il senso della vista integro. L’esposizione immediata
alla LIS permette al sistema neurofunzionale del linguaggio di svilupparsi rispettando i ritmi
naturali e ne permette l’acquisizione come lingua nativa. L’acquisizione dell’italiano tramite la
riabilitazione logopedica comincia invece più tardi e con un input qualitativamente e
quantitativamente ridotto rispetto a quanto succede sia nel caso della LIS sia, per gli udenti, nel caso
della lingua vocale. La LIS permette inoltre al bambino sordo di sviluppare una comunicazione
efficace anche nei primi anni di vita, quando la sua capacità di esprimersi nella lingua vocale è
ancora limitata. Date queste osservazioni, risulta importante che, ancor prima di intraprendere il
percorso logopedico e comunque parallelamente ad esso, il bambino con diagnosi di sordità venga
esposto alla LIS, per permettere lo sviluppo di una lingua naturale in maniera spontanea, il che
permette anche di acquisire successivamente con meno sforzo qualsiasi altra lingua (Caselli,
Maragna e Volterra 2006; Bertone e Volpato 2009). Ai bambini le cui famiglie scelgono un
percorso di bilinguismo italiano/LIS, è necessario garantire che l’esposizione alla LIS avvenga non
solo in famiglia, ma in tutte le situazioni in cui venga a trovarsi il bambino, in particolare a scuola.
È pertanto necessario sviluppare progetti di bilinguismo già negli asili nido e nelle scuole
dell’infanzia, per garantire ai bambini sordi (e non solo, v. sopra) una crescita completa, linguistica,
cognitiva ed emotiva, al pari dei compagni udenti. Le esperienze di bilinguismo a scuola sono
ancora poche. Oltre alla scuola di Cossato (v. Teruggi 2003), è importante ricordare la Scuola di
Via Nomentana a Roma, l’Istituto Comprensivo Santini di Noventa Padovana, l’Istituto
Comprensivo Jacopo Barozzi di Milano. In questi percorsi educativi bilingui, è prevista la presenza
dell’interprete scolastico, che garantisce al bambino sordo l’accesso completo e autonomo ai
contenuti e alle informazioni, e viene spesso inserito più di un bambino sordo nella stessa classe,
per permettere a soggetti che vivono la stessa condizione di confrontarsi tra loro e sostenersi a
vicenda, di creare situazioni comunicative naturali e di riprodurre nella classe le situazioni sociali e
comunicative che si troveranno ad incontrare nella società reale. L’insegnamento della LIS a tutta la
classe garantisce l’inclusione del bambino sordo e, come abbiamo visto sopra, vantaggi per tutti i
bambini.
È evidente che per offrire servizi di qualità in particolare in ambito educativo, è importante che
venga garantita a tutti gli operatori e i docenti di LIS una formazione di alta qualità. In questi
contesti, anche sordi segnanti esperti della propria lingua possono trovare un’importante occasione
di crescita professionale.
Le esperienze menzionate finora dimostrano come la LIS sia effettivamente una risorsa per tutti.
Potrebbe esserlo anche per gli anziani. Attualmente è in corso nel nostro Dipartimento un progetto
finanziato dal FSE Regione Veneto dal titolo “Protocollo di stimolazione cognitivo-comunicativa
utilizzando la lingua dei segni italiana con persone anziane con decadimento cognitivo e demenza”,
che utilizza la LIS come stimolazione comunicativo-cognitiva rivolta ad anziani residenti in casa di
riposo, allo scopo di favorire la comunicazione interpersonale, contrastare l’isolamento
comunicativo, stimolare cognitivamente gli ospiti e lavorare sulla sfera emotiva. Se il progetto avrà
risultati positivi, anche questa potrà rivelarsi una situazione in cui operare con la LIS e nella quale
sordi e udenti potranno mettere a frutto la propria preparazione su questa lingua.

7. Conclusioni

Affinché il tanto auspicato riconoscimento della LIS abbia un impatto efficace, per
effettivamente migliorare le condizioni di vita, di formazione e di lavoro di sordi e non-sordi che
utilizzano questa lingua per esprimersi e comunicare, è cruciale offrire una formazione qualificata a
tutti gli specialisti di LIS (assistenti alla comunicazione/mediatori linguistici e culturali, docenti di
LIS e di italiano per sordi, educatori, interpreti di LIS). Diversamente da quanto accade negli altri
Paesi, la formazione degli specialisti di LIS è attualmente proposta in Italia in molti corsi privati,
che non sempre presentano livelli di qualità adeguati.
Per la LIS, dovrebbe essere invece garantita una formazione paragonabile a quella delle altre
lingue. Per fare alcuni esempi, i docenti e gli interpreti di lingua inglese non vengono formati in una
scuola privata come la Oxford School, ma all’Università; e i docenti e gli interpreti di lingua
rumena o polacca non vengono formati presso la comunità rumena o polacca in Italia, ma
all’Università. Dunque, la formazione di esperti di lingua dei segni, di esperti per l’insegnamento ai
sordi o altri disabili della comunicazione, di assistenti alla comunicazione e di interpreti di LIS deve
aver luogo all’Università, l’istituzione che è preposta alla alta formazione e che garantisce livelli di
qualità al passo con la ricerca internazionale. E deve aver luogo nei Corsi di laurea di area
linguistica, al pari di quanto avviene per tutte le altre lingue.
L’esperienza degli ultimi 15 anni dell’Università Ca’ Foscari Venezia dimostra che tutto ciò è
possibile anche in Italia. Siamo riusciti a mettere a punto un programma di Deaf Studies
paragonabile a quanto viene offerto in molti Stati europei ed extraeuropei, nei quali la formazione
degli esperti di sordità e di lingua dei segni è proposta in un paio di Università per Paese. Al
momento, l’Università Ca’ Foscari Venezia è l’unica in Italia a offrire questo tipo di
specializzazione, ma ci auguriamo che altre Università italiane potranno seguire il nostro esempio.
Infine, grande dovrà essere l’impegno negli anni futuri sullo sviluppo di progetti di inclusione a
scuola, al lavoro, in ambito culturale, ispirati dal principio dell’ONU “Leave no one behind”.

8. Riferimenti bibliografici

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COME NASCE UN’ IDEA
Di Dora Cinelli
Assistente alla comunicazione
ENS Latina

Buongiorno, sono Dora Cinelli , Assistente alla Comunicazione, nata a Milano


ma vivo da diversi anni a Latina. Una città a 70 Km da Roma. Latina è una
città giovane nata circa 80 anni fa.

Perché vi dico questo?

Perché essendo una città giovane ci sono famiglie e ragazzi giovani e un bel
numero di bambini, tra i quali anche i miei tre.
Ma tra questi bambini/ragazzi ce ne sono di “speciali” o come dico io “
bambini fantastici” dai quali c’è solo da imparare.
Ed io mi ritengo una persona fortunata perché tramite il lavoro ho la
possibilità tutti i giorni di imparare con e da essi.
Ed ecco che rispondo al titolo del mio intervento: ”Come nasce un’idea”.

Durante gli anni ho osservato una necessità comunicativa verso questi


bambini con difficoltà di esposizione linguistica e, alcune volte, di
comprensione e ho imparato che la lingua italiana dei segni o LIS è
fondamentale e basilare per la comunicazione.
Ma per chi intorno a loro non ha questo mezzo?
Ed è proprio grazie ad una mamma che desiderava supportare il proprio figlio
che ho deciso di rendere visibile e più accessibile la LIS, e non solo, anche a
tutte le persone che sono a stretto contatto con questa realta’;

E come?
Con le immagini dei segni.
Come molti di voi, staranno pensando ma già esiste un libro così!
E’ vero: esiste un dizionario ed e’ bellissimo, ricco di segni con diverse
tipologie di segno, dialetti di tutta Italia, dove ho studiato e dove tutt’ora fonte
di studio. Ma qui stiamo parlando di tutt’altro, chiunque ricordi cosa vuol dire
essere bambino, può capire come la visione e/o la lettura di un testo
tradizionale, con argomento tecnico, possa essere incomprensibile per l’età
prescolare ed oltre e forse priva di interesse ed attrattiva.
Invece i colori, le immagini semplici a fumetto attirano, catturano l’attenzione
dei più piccoli e li coinvolgono in maniera attiva, li stimolano ad interagire.
Così con l’aiuto di un bravissimo fumettista/pittore Daniele Frisina, ecco un
libro pieno di colori con un bambino protagonista delle immagini.
I colori forti e vivaci sono un modo per attirare l’attenzione dei più piccoli.
Il libro è suddiviso per argomenti sia ASTRATTI che CONCRETI, entrambi
supportati da immagini semplificate.
Questo testo ovviamente non comprende tutti i segni, ma solo quelli che
servono per una prima necessità comunicativa; inoltre insieme al libro viene
fornito un prodotto multimediale che riproduce, attraverso la ripresa filmata, il
segno LIS di ciascun vocabolo con l’aiuto di due interpreti G. Reale e M.
Iandolo.

Questi segni (come spiega L. Scursatore nel contributo di introduzione al


volume) non sono uguali in tutta Italia, perché anche i segni, come i dialetti,
cambiano per zone geografiche essendo legati ad una cultura propria diversa
da luogo a luogo, agli usi e costumi del posto.
E questa varietà va mantenuta anche se è forte ed altrettanto importante
tentare di superare con la ricerca di un linguaggio il più possibile comune
quelle barriere che possono frapporsi ad una comunicazione globale,
immediatamente percepita e condivisa.

Il lavoro oggi presentato si focalizza sul livello primario di segni, quelli che
possono considerarsi alla base della comunicazione, facenti parte di un
bagaglio naturale dell’essere umano, indipendentemente da età, istruzione,
cultura.
Con le colleghe/amiche G. Reale (interprete) e I. Picchio ( psicologa)
abbiamo pensato di creare, come naturale prosecuzione della strada
tracciata, una ulteriore raccolta di segni, propri di un livello successivo,
ovvero i “segni settoriali” suddivisi per argomenti scolastici: storia , geografia,
italiano, matematica ecc. che si rivolge ai ragazzi di medie e superiori e a tutti
coloro che condividono tale percorso di formazione.
La protagonista sarà questa volta una giovane ragazza di nome Fiorì.

Vi ringrazio per l’attenzione e vi saluto con l’augurio e la speranza di poter


presto illustrare in un prossimo incontro “ Voglio Comunicare 2”.
Bibliografia:
D.Cinelli, “Voglio comunicare, la lingua dei segni per argomenti”, PMedizioni
2016
“LE MANI RACCONTANO: LINGUA DEI SEGNI E NARRATIVA, UN
INCONTRO POSSIBILE?”

RELATRICI: ELENA CAUDA , LOREDANA SCURSATONE.

Centro clinico “L’aquilone”, studio associato MT Cavallo APS Cuneo

PM EDIZIONI

Questo intervento si apre con la presentazione di una sequenza tratta dal film
di Dino Risi “Straziami, ma di baci saziami”, nella quale, magistralmente, Ugo
Tognazzi ci mostra una tecnica di comunicazione che permette al
protagonista (sordo e “muto”), di ordinare due caffè per telefono.

Ci siamo permesse di scomodare un mostro sacro come Dino Risi perché


vogliamo trattare dell’incontro tra la lingua dei segni e la letteratura.

Risi ci ha regalato questa magnifica pellicola che non tocca direttamente la


LIS, ma che mostra, con l’ironia tipica dei film dell’epoca, di quanto tutti i
canali comunicativi possano essere sfruttati con beneficio.

Ovviamente ad una sequenza magistrale di questo tipo, si perdonano tutte le


imperfezioni ed i luoghi comuni sulla sordità.

Il motivo che ci ha portate a scegliere questo frame nasce dalla


considerazione di tutti gli strumenti non verbali messi in campo dal
protagonista: una abilità che ha a che vedere con la resilienza, nel caso di
Ugo Tognazzi legata alla mimica ed alla capacità di esprimersi al di là del
verbale.
Questo aspetto resiliente, anche se origina in modo differente, è lo stesso
messo in campo dalla protagonista del nostro libro Luce.

A seguito di esperienze di ricerca sul campo, seguite dalla pubblicazione


degli atti “La LIS nelle disabilità comunicative” (2016, F.Angeli), si è riflettuto
sull’ipotesi di parlare della sordità, della lingua dei segni e dei suoi contesti di
applicazione, attraverso un canale più specificatamente narrativo/divulgativo. 
Si è voluto quindi strutturare il testo prendendo spunto da quelle che erano le
nostre reciproche storie personali e professionali per conferire all’intera storia
un taglio quanto più possibile concreto e reale. 

-Perché parlare di sordità dal punto di vista narrativo? 

Ciò per rispondere alla necessità di avvicinare al tema anche le nuove


generazioni. Questo in un’ottica di sensibilizzazione rispetto alla necessità di
creare sul piano culturale un spazio di legittimazione per la lingua segnata.

 La filmografia ci ha regalato, negli anni, bellissime pellicole sul tema della
sordità, basti pensare a ”Figli di un Dio minore”, ”Godbye mr.Holland”, il più
recente “La famille Belier”, tutte pellicole straniere. Ultimamente anche il
cinema Italiano, seppure marginalmente, se ne è occupato nella pellicola
“Tutta colpa di Freud”, dove si affronta con ironia tutta italiana il tema della
fruizione dell’arte e della musica da parte delle persone sorde.

La letteratura riguardante la sordità, ha per la maggior parte l’aspetto di


letteratura scientifica, o di testi di didattica destinati all’infanzia, all’inclusione
e alla formazione.
Tuttavia dal punto di vista narrativo la letteratura offre poco, almeno poco che
abbia a che fare con una formula narrativa accattivante che funga da
espediente per rendere accessibile al largo pubblico il tema.

Parlare di sordità dal punto di vista narrativo costituisce un particolare mezzo


di diffusione che può essere recepito sia dalle persone sorde che da quelle
udenti.

L’accesso alla letteratura, a dispetto del fatto che si dica che i giovani non
leggono, rimane il più efficace e trasversale mezzo di diffusione delle idee e
della cultura.

Basti pensare al caso letterario degli ultimi anni: Wonder, di R.J. Palacio, che
racconta del percorso formativo di un bambino affetto da una sindrome
malformativa che deve accedere per la prima volta a scuola.

A questo romanzo hanno fatto seguito molti altri, che rappresentano non solo
uno spin-off, ma anche un differente punto di vista sull’argomento. Come gli
altri bambini vedono la situazione dell’amico e come interpretano la disabilità.

Nella stessa prospettiva abbiamo ipotizzato, all’interno della trama della storia
di Luce e Nasoapunta, di offrire degli spunti visti da soggetti differenti tra loro,
in grado quindi di valutare diversi aspetti della vicenda.

Tutto questo lo abbiamo concentrato in un unico testo, anziché separarlo


come formula stilistica.

La povertà di testi inerenti la sordità non facilita l’avvicinarsi dei sordi stessi a
realtà in cui la sordità è solo una delle tante componenti di disabilità.

L’idea di affrontare il tema della sordità all’interno di un quadro primario e più


complesso di altre disabilità, può di fatto innescare una riflessione su quanto
sia necessario abbattere quel muro che, a onor del vero, separa le diagnosi
pure dalle situazioni più complesse.
Luce ci mette di fronte a qualcosa di molto scomodo: la disabilità non è quasi
mai una sola, e spesso sfugge alle classificazioni; in virtù di questo anche
l’inclusione non è mai terminata in un unico ambito. La ricetta per l’inclusione
perfetta non esiste, e gli ingredienti che la costituiscono devono
necessariamente giungere da contesti diversi.

Il titolo stesso del libro riporta al centro la persona, intesa non solo come
soggetto giuridico ma in termini di individualità precisa, che non
necessariamente riveste caratteristiche positive. E’ qui che è importante
sfatare un luogo comune, e Luce aiuta a farlo: non necessariamente essere
disabile rende persone migliori, più aperte e illuminate. Alle persone con
disabilità è necessario riconoscere i pregi ed i difetti di chiunque, quello che
rende tutti umani.

Luce aiuta a sfatare il luogo comune che vede le persone disabili come
vittime o eroi, senza le mezze misure che invece caratterizzano ogni essere
umano.

-Il titolo: come nasce e come si sviluppa all’interno del testo. 

Il titolo origina da una considerazione personale di Luce. La protagonista


analizza in una giornata qualunque a fine scuola, osservando due perfetti
sconosciuti alla fermata del bus, come mentre nella sua vita i nomi hanno un
ruolo identificativo fondamentale, nella vita degli udenti che la circondano i
nomi possono essere eccessivamente coinvolgenti.  

Il nome infatti, per Luce è garanzia di identità, e il fatto di usarlo implica un


legame emotivo. Legame, quello che Luce richiede per sé e le sue relazioni,
decisamente impegnativo (sia esso sul piano fisico che comunicativo) . Tutti i
personaggi che abitano la storia portano con sé l'eredità di un nome- segno
che rappresenta talvolta un legame positivo o uno spezzato talaltra, ed in
modo comico e/o irriverente e cinico, una verità scomoda da esternare nella
lingua parlata. 

Poiché dunque il nome personifica, il titolo del testo origina quindi


dall'importanza del dare e ricevere identità. Il nome nella storia di Luce "fa
diventare" la protagonista.. In tutto il suo potenziale.

DA TOGLIERE

 Il nome infatti, per Luce è garanzia di identità, e il fatto di usarlo implica un
legame emotivo. Legame, quello che Luce richiede per sé e le sue relazioni,
decisamente impegnativo (sia esso sul piano fisico che comunicativo).

Come narra Muriel Barbery in “L’eleganza del riccio” (2006), si può parlare di
seconda nascita anche in occasione di eventi apparentemente poco
significativi, come essere chiamati per nome.

Luce, infatti, racconta quanto l’essere chiamata per nome la faccia di fatto
passare dallo stato di figlia e sorella handicappata, allo stato di persona a tutti
gli effetti.

La stessa riflessione vale per l’esistenza del prossimo: siamo nel momento in
cui veniamo chiamati.

Ed infatti lo stesso processo di rinascita tocca non solo Luce, ma anche tutta
la sua famiglia, a partire dalla mamma (che, all’inverso di quanto narrato da
Pontiggia nasce due volte, la prima come madre di una persona disabile, la
seconda come madre di Luce) per continuare con tutte le persone
significative nella sua vita.

 
-La caratterizzazione dei personaggi. Le due diverse prospettive di
narrazione. 

Il libro è strutturato in due macro capitoli. Quello in cui la voce narrante è


Luce (al momento della narrazione 15enne che racconta di sé dall'età di 8
anni), seguito da quello in cui la voce narrante e di Naso a Punta (al secolo
Andreina), la sua educatrice. Questa scelta stilistica prende le mosse dal
desiderio di dare ad un testo inerente la disabilità, la prospettiva narrativa di
un doppio punto di vista.  

Il primo fresco, ironico, a tratti intriso di comicità, cinismo e rabbia, così come
pure di  "catastrofia adolescenziale"… Uno spaccato autenticamente vero di
disabilità immerso in altre migliaia di drammi familiari (che nell'arco del
racconto troveranno soluzione. Alcuni facendo evolvere i personaggi coinvolti
altri, al contrario, facendoli involvere). 

Una privilegiata prospettiva sulla disabilità vista con gli occhi di una ragazzina
sorda e in carrozzina dunque, affiancata da quella, altrettanto preziosa, della
sua educatrice (che avrà anche il tacito compito di "svelare" i dettagli
metodologici e professionali di un percorso educativo capillare di cui Luce
non sempre è consapevole). 

I personaggi che si sviluppano principalmente in entrambe le narrazioni sono


i seguenti:

-Lucia, in lingua dei segni Luce: una ragazzina spastica e sorda profonda che
passa letteralmente nel corso della narrazione dall'essere l'handicappata di
casa a persona pensante e in grado di autodeterminarsi. Luce è soprattutto
una bambina che si scopre lentamente (quand'anche faticosamente)
un'adolescente come tanti.
Il suo percorso orbita intorno alla scoperta della lingua dei segni: come tante
persone con pluri-disabilità, Luce scopre tardi di essere in grado di imparare
e comunicare, poiché, come spesso accade, su un piano medico-diagnostico,
la priorità viene data all'aspetto motorio. Accade quindi che, su un piano
cognitivo, non ci sia il necessario e subitaneo investimento.

Luce quindi arriva quasi al limite delle sue finestre comunicative, ma ce la fa


ad apprendere la lingua dei segni, fortemente motivata dalla relazione
positiva (ma non priva di conflitti anche duri) con l'educatrice, che la porterà
non solo a comunicare, ma anche ad essere autonoma ed artefice di quello
che si potrebbe definire un effetto farfalla sulla sua esistenza.

La crescita nella consapevolezza di sé, della propria autonomia e delle


proprie potenzialità, la porteranno lungo un percorso di autodeterminazione
che coinvolgerà non solo lei ma tutta la sua famiglia.

I personaggi della sua famiglia, in primis sua madre e sua sorella, subiranno
fortissime pressioni e grandi cambiamenti.

Ognuno di loro reagisce con modalità molto differenti: mamma Bea prenderà
posizioni molto forti e molto negative, inizialmente subirà gli eventi e non
rappresenterà sicuramente un facilitatore per Luce. Non è un personaggio
con il quale il pubblico si allea immediatamente, tuttavia, come la descrive la
stessa educatrice, è una mamma talmente sopraffatta da non riuscire a
risultare francamente antipatica.

Il motivo per il quale, di fatto, Bea è una donna per la quale il lettore prova
empatia, nonostante le sue resistenze, risiede nella storia di perdite e
partenze che porta con sé, e che si scoprono man mano.

E’ una donna che pare non essere mai approdata veramente a nulla: prova
disperatamente ad essere moglie senza riuscirci, prova ad essere una madre
di un certo tipo (una mamma italiana) pur di rimanere all’interno del proprio
matrimonio, e di un’idea di famiglia che risulta essere alquanto improbabile.

Tenta di cucinare cibo italiano, approdando al solo risultato che ciò che
cucina non è né italiano né polacco.

Anche con i figli cerca di assumere un modello educativo italiano, ma che


risulta più frutto di stereotipi fuori epoca che altro (agevolare il figlio maschio
ottenendo solo indifferenza), e, al contempo, avere aspettative esagerate nei
confronti della figlia.

Nei confronti di Luce, Bea vive la propria genitorialità all’inverso rispetto a


quanto afferma Giuseppe Pontiggia.

In “nati due volte” (2000), infatti, il percorso che l’autore mette in luce è quello
per il quale un genitore diventa tale al momento della nascita del figlio, ma lo
diventa realmente e concretamente solo nel momento in cui accetta e scende
a patti con la diagnosi di disabilità del figlio.

Nel caso di Bea, questo processo inizia dal fondo: da genitore sopraffatto
dalla disabilità della figlia (che le impedisce di intravvedere nient’altro), si
scopre faticosamente madre di una persona che, oltre alla disabilità, ha
anche qualcosa da esigere alla vita.

Anche in questo caso la lingua dei segni ha un ruolo importante.

Poiché è proprio grazie ed a partire dalla lingua dei segni, che Luce inizierà
ad intravedere se stessa in modo nuovo ed a interrogarsi sul suo rapporto
con la madre ed il suo contesto.

Mamma bea, inizialmente, racchiude in sé tutti i pregiudizi legati alla disabilità


ed alla lingua dei segni. Per lei, ad un certo punto, Luce diventa troppo:
troppo pensante, troppo richiedente, troppo segnante, troppo impegnativa.
Non era questa la figlia che fino a quel momento aveva cresciuto e che si era
immaginata; Luce riesce a mettere in discussione non solo i suoi pregiudizi,
ma anche il suo modo di essere donna e madre.

Questi segni tanto osteggiati (“ma siamo sicure che ce la fa?””lingua dei segni
è troppo difficile””sono troppo vecchia per imparare””e se poi parlano tra di
loro chi le controlla?”…..), diventeranno il mezzo attraverso il quale Luce
stanerà sua madre, e la porterà ad affrontare la sua famiglia, se stessa e i
suoi demoni.

In questa battaglia trasformativa, Luce non è sola, ma è accompagnata da


quella che per prima intravede la prospettiva delle potenzialità di Luce.

Nasoapunta, Andreina, è una donna complicata: come mamma Bea anche lei
ha un passato di perdite, distanze ed allontanamenti, che condizionano il suo
essere donna e professionista.

Nasoapunta vive tutte le contraddizione della professione educativa,


ritrovandosi spesso in situazioni al limite dell’affrontabile, sentendosi po’, di
fatto, come un moderna Don Chisciotte, cioè in perenne lotta contro i mulini a
vento delle istituzioni.

Luce per lei rappresenterà ancora una volta questo: una sfida da giocarsi non
solo sul piano della competenza professionale sulla lingua dei segni e sulla
relazione personale con Luce e la sua famiglia, ma anche, e forse
soprattutto, sul piano dell’eterno scontro/confronto con le innumerevoli figure
che orbitano intorno ad un intervento educativo, soprattutto quando questo
intervento parte da una situazione di severità.

Anche lei deve fare i conti con i propri demoni, ed il rapporto con Luce non
potrà che essere condizionato da questi fantasmi.
Nasoapunta è un personaggio spigoloso, come dice Luce è una donna
educata ma mai gentile, che in lingua dei segni è un bel guaio, perché
educato e gentile si segnano nello stesso modo. Vive il pregiudizio sulla
lingua dei segni non solo a livello professionale, ma anche all’interno della
sua famiglia, come quando la maestra della figlia attribuisce alla lingua dei
segni, talvolta parlata a casa, gli errori linguistici commessi.

In un certo qual modo, anche Nasoapunta si ammorbidisce e cambia i propri


modi di agire: il continuo contatto con la disabilità grave, attraverso il contatto
con altri personaggi presenti all’interno del libro come “Il vegetalino”, con i
successi e gli insuccessi, con la sofferenza, la perdita e la conquista, la porta
ad ammorbidire le proprie posizioni intransigenti su determinati aspetti della
vita.

Possiamo dire che quindi è un percorso di formazione non solo per Luce, ma
per tutti i protagonisti, ed in questo il personaggio che maggiormente ci
stupisce per la sua trasformazione è la sorella, Phard.

Phard è senz’altro il personaggio con il quale il lettore maggiormente si allea,


perché è quella che per prima riconosce il diritto di sua sorella di comunicare
e quindi di essere in quanto persona e non in quanto la disabile di casa,
destinata all’eterno accudimento.

Compirà una trasformazione molto importante a livello personale, anche in


questo caso grazie, in parte, alla lingua dei segni.

Phard parte dall’essere un’adolescente “ormonata”, come la definisce Luce,


che non ha terminato gli studi, che parla male l’italiano, che non ha
prospettive se non quelle di essere infelice quanto la madre, ad essere una
ragazza che si perfeziona, che migliora la sua posizione e la qualità della sua
vita, che decide per sé stessa e non aspetta che sia qualcun altro a farlo per
lei.

In questa trasformazione Nasoapunta ha un ruolo importante, insegnandole


di nascosto dai genitori la lingua dei segni, dandole così non solo la
possibilità di parlare con sua sorella ma anche quella di migliorare l’Italiano e
sperare in un futuro migliore.

Phard è quindi la figura positiva, anche se inizialmente molto sconclusionata,


con la quale Luce creerà una vera e propria associazione a delinquere
(agiranno spesso alle spalle della mamma, combinandone anche di ogni
sorta).

Come accade nella vita reale, non tutti i personaggi progrediscono: alcuni
regrediranno, altri spariranno; ed a sparire, guarda a caso, sono quelli che
non si sono messi in discussione da un punto di vista comunicativo, che non
solo non hanno imparato la lingua dei segni, ma che non hanno impegnato il
proprio intelletto e la propria emotività nel tentativo di comunicare con gli altri,
ma si sono chiusi in un mondo solipsistico che li ha portati all’allontanamento.

Accadrà così per il padre e per il fratello di Luce, ( in lingua dei segni
Facciapiatta e Ringhio) che sono un po’ l’emblema del fatto che non c’è
redenzione per chi incentra la propria vita proiettato esclusivamente su se
stesso, non c’è felicità nella ricerca del proprio esclusivo vantaggio, ma ci
sono solo solitudine e depressione.

La lingua dei segni è dunque qualcosa, all’interno del libro, che serve a
mettere a nudo i personaggi, che evidenzia risorse positive e negative, che
apre strade e crea rotture funzionali.
Ogni personaggio è connotato da un nome in lingua dei segni, che rispecchia
caratteristiche personali che però sono evidenti solo, almeno in una fase
iniziale, all’attenta osservazione di Luce.

E’ lei, infatti, che “battezza” le persone che la circondano con nomi che
richiamano aspetti significativi della le personalità di chi le sta attorno.

Luce considera la prima volta che è stata chiamata per nome come una
seconda nascita, come già accennato poc’anzi a proposito di M. Barbery : il
ricevere un nome le permette di diventare, più e altro rispetto a ciò che era
prima.

“Non mi ero mei considerata una persona in grado di fare; ero una persona in
grado di non fare, e in quello non mi batteva nessuno ”.

L’attribuzione dell’identità personale, quasi come fosse una carta d’identità


che ognuno si porta dalla nascita, non è, per Luce che è sorda, un
automatismo o qualcosa di scontato. E non lo è nemmeno rispetto all’identità
altrui: Luce infatti si rende conto di dare un’importanza al prossimo solo nel
momento in cui riesce ad attribuirgli un nome.

 
“Io, le persone, le chiamo per nome” è quindi un testo il cui fulcro è la lingua
dei segni, ma nel quale, in realtà, convergono le tematiche che si possono
ritrovare in qualsiasi romanzo di formazione: adolescenza, quotidianità, crisi,
identità, autodeterminazione, cambiamento in una prospettiva sistemica.

Possiamo dire quindi che Luce, attraverso la lingua dei segni, vive tutto ciò
che normalmente vive una adolescente della sua età: vive fatica, frustrazione,
difficoltà familiari, innamoramento, amicizia. Tutto ciò che, se non avesse
avuto la possibilità di comunicare attraverso la lingua dei segni, avrebbe
vissuto solo marginalmente, perché non avrebbe avuto la possibilità di
esprimersi.

Il libro non vuole assolutamente demonizzare l’oralismo, anzi: si propone,


attraverso il punto di vista di Luce, ovvero di una ragazzina che vede le cose
con obiettività pratica e libera da condizionamenti culturali, di superare le
barriere che separano i due orientamenti. Luce, ingenuamente ma anche
obbiettivamente, non comprende il pregiudizio nei confronti della lingua dei
segni, ma non comprende nemmeno perché segnanti e oralisti debbano
essere due mondi separati e non comunicanti.

La lingua dei segni è quindi una sorta di treno, che ad un certo punto della
sua vita passa, probabilmente è l’ultimo treno che passa, perchè Luce ha già
nove anni, e lei riesce a prenderlo grazie alla presenza dell’educatrice. La
lingua dei segni viene presentata, come spesso accade, come l’ultima
spiaggia: dopo averle provate tutte, non rimane che la lingua dei segni, come
se fosse la scelta più degradante.

Questo treno costituito dalla lingua dei segni, le consente di allungarsi in un


percorso fatto di tappe successive, non realizzabili se non fosse stata
realizzata la tappa precedente. Questo è come vediamo noi operatori un
percorso, ma Luce lo vede come lo vedono invece le persone coinvolte, e
cioè come un effetto cascata che la travolge dandole l’impressione, talvolta di
essere in un vortice. Luce è comunque sempre molto lucida nel capire che,
se non fosse stata avvicinata alla lingua dei segni, l’effetto farfalla, o l’effetto
cascata, non avrebbe avuto luogo, e la sua vita non sarebbe andata in quella
direzione, ossia nella direzione dell’autonomia e dell’autodeterminazione.
Persino l’allontanamento del padre, Luce lo fa risalire alla lingua dei segni, e
riflette lucidamente che, probabilmente la LIS ha avuto un ruolo in tutto
questo: “Probabilmente, un giorno, avrei voluto parlare con lui”, questo
accelera l’allontanamento del padre, che, come vedrete, in realtà ha origini
più complesse.

La lingua dei segni ha quindi effetti a livello sistemico su Luce e sul


funzionamento della sua famiglia: crea rapporti ma crea anche rotture, mette
in crisi dinamiche che erano già patologiche ma che languivano senza trovare
una soluzione. Rotture che poi, in ogni caso, sono sempre funzionali ad un
qualche cambiamento a breve o a lungo, talvolta lunghissimo, termine.

Un punto di vista romanzato e non puramente autobiografico (pensiamo a


“Storia della mia vita” di Hellen Keller), offre la possibilità di raggiungere un
pubblico più ampio, perché risulta più accattivante e più vicino ai gusti del
pubblico, soprattutto quello più giovane che necessita di essere formato
sull’argomento dell’inclusione.

Per questo Luce e Nasoapunta sono personaggi inventati, ma estremamente


reali, poco mediatici: non fanno parte di quella fetta di diversità che
normalmente viene divulgata nei format, che appare molto accattivante
(paraolimpiadi, lauree, traguardi straordinari), ma che appare anche molto
sporadica ed eccezionale come incidenza.

Luce e Nasoapunta sono personaggi che fanno cose normali, che


conquistano piccoli traguardi, non per questo però meno importanti.
 Il testo “Io le persone le chiamo per nome”, proprio in virtù di tutti i temi e le
peculiarità che lo caratterizzano, nasce come testo che vuole proporsi come il
più possibile accessibile. Questo sia in termini di target (come abbiamo già
accennato prima, questa storia nasce pensata per addetti ai lavori, genitori e
ragazzi), sia in termini di fruibilità sul piano sensoriale.

In tale ottica, volendo(e avendo potuto realizzare, grazie alla sensibilità della
PM Edizioni), rendere la lettura della storia di Luce e Naso a Punta il più
possibile trasversale, l’impaginazione è stata pensata con allineamento a
sinistra e con un front più grande. Ciò per incontrare le esigenze di lettori
ipovedenti e con Disturbi dell’Apprendimento. Inoltre, al fine di rafforzare nel
lettore l’alleanza con protagonisti, (aiutandolo a conoscerli dalla privilegiata
angolazione narrativa di Lucia- Luce), per ognuno dei personaggi che
incontrano -o si scontrano- con Lucia e/o Andreina, nel libro è presente
un’illustrazione stilizzata e fumettata del soggetto di cui via via si narra. Tale
illustrazione (in accordo con quanto accennato poc’anzi rispetto alla portata
identitaria che i nomi hanno nella vita di Luce), porta con sé il nome – segno
del personaggio di turno (completo di configurazione della mano e
orientamento del segno). Ogni illustrazione è poi corredata dal nome scritto a
mano per esteso

Sempre in linea con il desiderio di accessibilità, in accordo con l’editore si è


inoltre deciso di predisporre un file audio, acquistabile su supporto usb, per
rendere accessibile la storia anche a persone non vedenti (che hanno in
questo modo, anche la possibilità di approcciare il prodotto con un’anteprima
audio sul sito della PM EDIZIONI ).

La collana “Il grande albero” origina dalla necessità di parlare di diversità e


disabilità, a largo spettro, dal punto di vista divulgativo, in una chiave non
sensazionalistica, non mediatica ma reale.
Quello che ci interessava fare era di creare uno spazio che non fosse
esclusivamente scientifico sulla disabilità e socialità, ma che desse voce dal
basso alle esperienze personali, alle persone direttamente coinvolte, agli
operatori, alle famiglie.

Di recente la letteratura, fortunatamente, si sta aprendo anche a questo tipo


di esperienza, ma quello che volevamo fare noi era di creare uno spazio
dedicato, e non solo un singolo evento che avesse risonanza fine a se
stessa.

   

Bibliografia, sitografia e filmografia

 G. Pontiggia “Nati due volte”, Mondadori Oscar, 2000 


 M. Barbery , “L’eleganza del riccio”, E/O, 2006
 J. Palacio, “Wonder”, Giunti, 2014
 H. Keller, “Storia della mia vita”, Edizioni Paoline 1974
 L. Scursatone R. Capellino, “Critica del silenzio”, Aracne, 2013__PM edizioni 2017
 E. Laborit, “Il grido del gabbiano”, Rizzoli, 1995
 D. Maraini, “La lunga vita di Marianna Ucrìa”, Rizzoli, 1990
 A.A.V.V., a cura di Anna Cardinaletti e Chiara Branchini,“La lingua dei segni nelle
disabilità comunicative”, F. Angeli, 2016
 D. Risi, “Straziami, ma di baci saziami”, 1968
 R. Haines, “Figli di un dio minore”, 1986
 S. Herek, “Goodbye mr. Holland”. 1995
 A.Penn, “The miracle worker”, 1962
 E. Latigau, “La famille Bèlier”, 2014
 P. Genovese, “Tutta colpa di Freud”, 2014
Centro di servizio e consulenza per le istituzioni scolastiche autonome
dell’Emilia Romagna riconosciuto per l’anno scolastico 2016/2017 con
determinazione n. 9169 del 09.06.2016 della Responsabile del Servizio
Istruzione della Regione Emilia-Romagna, di cui alla DGR n. 262/2010 come
modificata dalla DGR n. 2185/2010

Ricerca, esperienze e applicazioni metodologiche in contesti bilingui.

Buongiorno,

Insieme per l’integrazione e il bilinguismo è una onlus, una associazione


di professionisti che opera in ambito socio-educativo-didattico a favore di
sordi, sordociechi e udenti con difficoltà linguistiche e comunicative. Fa
ricerca e sperimentazione innovative; informazione, formazione e
aggiornamento.

Attraverso il proprio CSC, Centro Servizi e Consulenze per le istituzioni


scolastiche autonome dell’Emilia Romagna riconosciuto per l’anno scolastico
2016/2017 con determinazione n. 9169 del 09.06.2016 della Responsabile
del Servizio Istruzione della Regione Emilia-Romagna, di cui alla DGR n.
262/2010 come modificata dalla DGR n. 2185/2010, l’equipe
multiprofessionale offre servizi a tutte le figure che operano in campo socio-
educativo e pedagogico-didattico (insegnanti, insegnanti specializzati,
logopedisti, educatori, pedagogisti, psicologi…); offre servizio gratuito di
consulenza e orientamento di carattere pedagogico-didattico alle famiglie.

In ambito normativo da decenni si aspetta il riconoscimento della LIS e la


definizione di profili professionali chiari a tutela del diritto alla comunicazione
in LIS da parte del sordo segnante, nonostante:

- la Risoluzione del Parlamento Europeo del 17 maggio 1988 abbia dato


l’agognato riconoscimento delle lingue dei segni e dei suoi interpreti come
professionisti fondamentali attraverso cui i sordi possono avere pari
opportunità di comunicazione in ogni momento della vita sociale e culturale;

- la Legge 5 febbraio del 1992 n. 104 riconosca in diversi articoli le diverse


figure professionali che riguardano la LIS per l’inclusione sociale, scolastica e
lavorativa;

- il diritto alla comunicazione attraverso codici linguistici non vocali e il diritto


alla partecipazione sociale sia stato ulteriormente sancito nel 2006 dalla
Convenzione delle Nazioni Unite e con la Legge 3 marzo 2009 n. 18 con cui il
Parlamento ha autorizzato la ratifica della convenzione delle Nazioni Unite sui
diritti delle persone con disabilità, sottoscritta dall’Italia il 30 marzo 2007.

Insieme per l’integrazione e il bilinguismo è nata dalla esperienza maturata


da alcune assistenti alla comunicazione che operavano singolarmente sul
territorio dell’Emilia Romagna e dalla collaborazione con il compianto Gino
Avanzo, che è stato presidente dell’ENS provinciale di Bologna, poi
presidente dell’ENS Regione Emilia Romagna ed infine membro del comitato
dirigente dell’ENS nazionale; infatti fu proprio lui, all’inizio degli anni 2000, a
chiedere a Susanna Moruzzi, l’attuale presidente di Insieme per l’integrazione
e il bilinguismo, di costituire una cooperativa di assistenti alla comunicazione
con le adeguate conoscenze e competenze per aiutare gli studenti sordi, in
quanto, all’epoca, ci spiegava, che continuavano a non essere
adeguatamente istruiti nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado e ciò
comportava difficoltà per un adeguato inserimento lavorativo.

Attualmente l’equipe multi-professionale di Insieme per l'integrazione e il


bilinguismo è composta da:

- assistenti alla comunicazione scolastici

- interpreti

- educatori sordi

- logopedista

- comitato tecnico

- infermiera professionale

- volontario

- coordinatore psico-pedagogico

L’interprete LIS, come qualunque interprete di lingua vocale, è una


traduttrice di contenuti da una lingua ad un’altra lingua e come tale non entra
“nel merito” dei contenuti, mentre le assistenti alla comunicazione
scolastiche di Insieme per l’integrazione e il bilinguismo ricoprono un altro
ruolo professionale: hanno iniziato il percorso di formazione in corsi gestiti
dall’Ente Nazionale Sordi, Ente Morale preposto all’attività promozionale, di
rappresentanza, di tutela e di studio dei problemi della sordità e della parola,
la cui lingua dichiarata è la LIS. A suo tempo era denominato Ente Nazionale
Sordomuti; a seguito di una battaglia politica promossa e sostenuta dall’ENS,
i sordi hanno ottenuto la L.95 del 20/02/2006 grazie alla quale il termine
“sordomuto” viene sostituito dal termine “sordo” in tutte le disposizioni
legislative vigenti. Sarebbe bene che questo risultato di civiltà e di rispetto
fosse praticato con maggiore efficacia e convinzione, così come sarebbe un
ulteriore passo avanti eliminare dal linguaggio pedagogico e scolastico l’uso
dei termini “ipoacusico” e “non udente”, quando ci si riferisce alle persone
sorde.

Il percorso di formazione è proseguito attraverso la concreta interazione con


la comunità dei sordi segnanti e gli interventi di mediazione linguistica nei
diversi ambiti di necessità concreta e reale. Pur essendo udenti e membri di
una comunità udente, le assistenti alla comunicazione scolastiche di Insieme
per l'integrazione e il bilinguismo appartengono anche alla comunità dei sordi,
i cui componenti le hanno accolte, formate ed informate; in forza di queste
frequentazioni e condivisioni sono diventate esperte di cultura dei sordi,
intesa come cultura specifica scaturita dall’approccio visivo e spaziale
dell’ambiente di vita; la specifica identità culturale e linguistica può
legittimamente essere definita “cultura sorda” : chi frequenta e conosce la
comunità dei sordi sa che

la lingua segnata e il bilinguismo, il comportamento ed il valore dei sordi,


l’umorismo, le forme specifiche d’arte… rappresentano un vero e proprio
patrimonio di elementi storico-antropologici.

Le assistenti alla comunicazione scolastiche sono esperte in Lingua dei Segni


Italiana (LIS) e Lingua dei Segni Italiana Tattile (LIST), in pedagogia della
sordità e didattica visiva, in mediazione linguistico-interculturale, pertanto la
loro formazione, in ambito scolastico, permette di compensare le carenze
comunicative degli insegnanti, padroneggiare i contenuti per poter spiegare,
delucidare, chiarire, selezionare, modificare il messaggio; osservare ed
intervenire nelle difficoltà relazionali; attivare e migliorare i processi cognitivi,
arricchire il repertorio individuale delle strategie mentali per giungere ad un
apprendimento ed un problem-solving più efficaci, potenziare le funzioni
legate al coordinamento oculo-manuale, all’immaginazione e alla memoria in
risposta ai bisogni specifici di apprendimento delle abilità di base: lettura,
scrittura, calcolo, espressione verbale e comprensione testo.

Nei contesti educativi e ludico-ricreativi extra scolastici, in ambito sanitario


presso strutture ospedaliere e ambulatoriali ed in ambito giuridico, tribunali
civili e penali e atti notarili, il mediatore interculturale è in grado di individuare
e veicolare i bisogni dell’utente, assisterlo e, se straniero, facilitarlo ad
inserirsi nel paese ospitante, svolgere attività di raccordo tra l’utente e la rete
dei servizi presenti sul territorio, promuovere interventi rivolti alla diffusione

dell’interculturalità; inoltre conosce i riferimenti legislativi in materia di sordità


e diritto alla comunicazione, di immigrazione e di sicurezza sul lavoro.

Predispone un ambiente comunicativo sereno e accogliente; il suo obiettivo


non è solo una traduzione perfetta, che può essere fatta anche attraverso
strumenti informatici come avviene in numerose regioni italiane, bensì la
creazione di uno spazio comunicativo entro cui l’utente possa sentirsi
adeguato linguisticamente, soprattutto laddove sussistano livelli di scarsa
alfabetizzazione e/o scarsa conoscenza del linguaggio specifico; assiste nella
comunicazione la persona sorda, interviene in merito al contenuto del
messaggio, sia in entrata che in uscita e verifica la comprensione di ogni
concetto da parte della persona sorda anche con domande dirette e non solo
attraverso forme di feed-back positivo.

Gli educatori sordi, italiani e stranieri, di Insieme per l'integrazione e il


bilinguismo sono giovani diplomati e/o laureati, formati professionalmente per
interventi scolastici ed extra scolastici; bilingui in quanto conoscono e
utilizzano sia la lingua dei segni che la lingua italiana; permettono ai
bambini/ragazzi sordi di proiettarsi nel futuro, comprendere come sia
possibile studiare, diplomarsi, laurearsi, fidanzarsi, sposarsi, insegnare,
lavorare e quindi credere nella possibilità di un progetto di vita futura.

All’inizio degli anni 2000 alcuni dei soci fondatori di Insieme per l’integrazione
e il bilinguismo si sono incontrati nei vari corsi di formazione dell’Ente
Nazionale Sordi e successivamente hanno iniziato a girare per tutta Italia,
ricercando strumenti e metodi di lavoro adeguati che a livello nazionale si
presentavano a macchie di leopardo: in alcuni territori erano veramente
esigui, in altri insufficienti se non addirittura assenti.

In Emilia Romagna alcuni Comuni di residenza dei bambini/ragazzi sordi


davano a loro incarico di intervenire nelle scuole di ogni ordine e grado in
virtù dell’applicazione della Legge 104/92.

Sul territorio nazionale ancora oggi, come allora, se da una parte si ratifica la
convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità in cui tale diritto è
riconosciuto come inalienabile, dall’altra lo si rende chiaramente un diritto
accessorio a discrezione delle priorità e dei bilanci delle amministrazioni,
creando delle diseguaglianze e disparità nei confronti delle persone sorde e
difficoltà per gli operatori del settore, ulteriore motivo per cui, nei continui
confronti tra i colleghi, fu palese la necessità di formalizzare la collaborazione
attraverso la costituzione di una equipe multi-professionale: nel 2005 è nata
Insieme per l'integrazione e il bilinguismo con sede a Bologna che ha operato
e opera nelle province emiliano romagnole e limitrofe di Ferrara, Imola,
Bologna, Modena, Reggio Emilia, Parma, Mantova.
Il lavoro, il confronto, l’approfondimento e la ricerca all’interno dell’ equipe
hanno modificato il primo obiettivo di lavoro di Insieme per

l’integrazione e il bilinguismo: insistere esclusivamente sulla


alfabetizzazione e scolarizzazione degli studenti sordi nella classe,
escludeva una reale inclusione della persona sorda in qualsiasi
contesto di vita.

Occuparsi dell’educazione bilingue LIS/italiano, delle strategie e metodologie


appropriate per un accesso ai contenuti, di una didattica visiva che
rispondesse alle necessità degli studenti non era sufficiente per parlare di
una reale inclusione.

Bisognava operare una lettura più attenta ed immediata dei seguenti aspetti:

- l’età del sordo

- il livello linguistico

- la lingua utilizzata: se la persona sorda è madrelingua LIS o se è cresciuta


oralista e solo in un secondo momento ha appreso la LIS

- il grado di alfabetizzazione

- la scuola frequentata pubblica o privata in istituto speciale

- i tipi di protesizzazione: retroauricolari, endoauricolari, digitali, analogiche,


impianto cocleare

- il luogo di origine e le espressioni culturali e sociali legate ad esso

- le caratteristiche e condizioni culturali, personali e professionali della


persona sorda con cui si sta comunicando

- lo stato d’animo della persona nel contesto comunicativo


A seguito dei risultati delle attività di ricerche e delle sperimentazioni sul
campo di Insieme per l’integrazione e il bilinguismo, le linee guida progettuali
sono confluite in quelle dettate dal modello ICF (Classificazione
Internazionale del Funzionamento dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità): L’ICF si delinea come una classificazione che vuole descrivere lo
stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti esistenziali (sociale,
familiare, lavorativo) al fine di cogliere le difficoltà che nel contesto socio-
culturale di riferimento possono causare disabilità.

Tramite l’ICF si vuole quindi descrivere non le persone, ma le loro situazioni


di vita quotidiana in relazione al loro contesto ambientale e sottolineare
l’individuo non solo come persona avente malattie o disabilità, ma soprattutto
evidenziarne l’unicità e la globalità.

A tal fine, è prioritario incontrare le famiglie, italiane o straniere, sorde o


udenti, per una reciproca conoscenza, anche di usi e tradizioni, oltre che di
culture educative, per instaurare un rapporto di stima e di fiducia ed evitare
possibili equivoci.

E’ indispensabile conoscere tutti i contesti di vita frequentati dal


bambino/ragazzo sordo: scuola, amici che frequenta, attività sportive,
hobbies… per poter intervenire, per poter modificare l’ambiente, fornendo
adeguate informazioni e conoscenze che favoriscano uno scambio
comunicativo adeguato realizzabile solo con il bilinguismo italiano/LIS.

La capacità di contestualizzare tutta la conoscenza raccolta riguardo alla


dimensione umana della persona sorda da parte del personale di Insieme per
l'integrazione e il bilinguismo emerge anche dalle iniziative extra scolastiche,
orientate ad un accompagnamento dei bambini e degli adolescenti all’interno
e attraverso esperienze di relazione e comunicazione quotidiane.

L’educazione di un bambino sordo richiede continue integrazioni delle


competenze, che non si esauriscono nell’ambiente scolastico, ma che
devono essere proiettate al di fuori di esso, nella vita di tutti i giorni; e
l’assistente alla comunicazione scolastico deve conoscere i vari ambiti di vita
del bambino con cui lavora per saper intervenire adeguatamente,
stimolandolo in una continua integrazione delle competenze.

Per tale motivo Insieme per l’integrazione e il bilinguismo, con la sua equipe,
interviene non solo con diverse figure professionali all’interno delle istituzioni
scolastiche, quali l’assistente alla comunicazione e l’educatore sordo, che
hanno ruoli differenti, ma anche attraverso attività specifiche extra
scolastiche.

- All’interno della scuola vengono proposti e realizzati incontri


informativi/formativi rivolti ai docenti di classe, della scuola e a chiunque
sia in contatto con lo studente sordo, i cui obiettivi sono:

-dare le informazioni di base sulla sordità, sulle regole di comunicazione,


sulle diverse modalità comunicative;

-promuovere la conoscenza della sordità in una prospettiva socio-culturale e


non medica per allontanare gli inevitabili pregiudizi nei confronti di
bambini/ragazzi che necessitano di altre modalità di presentazione delle
informazioni;

-offrire agli adulti la possibilità di acquisire maggiore fiducia nelle proprie


capacità umane e pedagogiche di insegnanti/educatori.
-prevenire il rischio di emarginazione e discriminazione dovuta alla
condizione di sordo

- vengono proposti laboratori di lingua dei segni ai bambini/ragazzi della


classe, coinvolgendo docenti LIS sordi bilingui: la loro competenza linguistica
permette una esposizione adeguata e la loro appartenenza alla comunità dei
sordi permette una adeguata trasmissione delle conoscenze e dei valori
culturali e pratici, come avveniva e avviene nelle culture udenti.

I laboratori favoriscono in tutti i ragazzi della classe la conoscenza di modalità


differenti di espressione e comunicazione ed il riconoscimento di pari dignità
di tutte le lingue;

-promuovono l’integrazione comunicativa, umana e sociale dell’alunno sordo


con i compagni in un contesto relazionale sereno e stimolante, trasformando
i loro gesti in segni codificati “L.I.S.” insegnando loro le modalità migliori per
comunicare con l’amico sordo (es. contatto fisico, contatto visivo, come
richiamare la sua attenzione, etc)

-favoriscono in tutti i ragazzi un approccio positivo alla “diversità” vista come


possibilità di arricchimento;

-offrono ai ragazzi la possibilità di sperimentare una modalità comunicativa


alternativa come arricchimento delle proprie competenze linguistiche globali,
di aumentare la capacità di attenzione visiva, di migliorare il coordinamento
occhio-mano e di migliorare la capacità espressiva.

- vengono proposti campi estivi integrati – esperienze di autonomia – dove


la comunicazione avviene sempre nella doppia modalità LIS/italiano, pertanto
accessibile a tutti i partecipanti: sordi italiani e stranieri, udenti italiani e
stranieri, figli di famiglie miste bilingue, in un contesto linguistico dove il
bilinguismo lingua dei segni/lingua italiana ha varcato la frontiera del
multilinguismo e ha abbattuto i pregiudizi a carico delle lingue “povere”; lingue
come l’inglese, l’americano, il francese, il tedesco sono riconosciute lingue
“ricche”, valorizzanti ed i bambini che le utilizzano in un contesto bilingue
sono considerati acculturati; mentre le lingue come il cinese, l’arabo, le lingue
dell’est Europa e la stessa lingua dei segni sono considerate lingue “povere”
ed i bambini che le utilizzano in un contesto bilingue sono considerati di
difficile alfabetizzazione e le loro conoscenze e competenze linguistiche
negate.

- vengono offerti doposcuola per bambini sordi e udenti in un contesto


sempre bilingue LIS/italiano;

- nell’area metropolitana di Bologna il dopo scuola è frequentato da due


ragazzi sordi segnanti delle scuole superiori, da una ragazza sorda in
apprendimento della LIS della scuola superiore, da due ragazzini sordi
segnanti delle scuole medie, da una ragazza udente della scuola superiore;
sono presenti due assistenti alla comunicazione e tirocinanti universitarie.

La forza della comunicazione bilingue italiano/lingua dei segni lo ha


trasformato in un luogo di incontro, un appuntamento fisso fortemente
aspettato dai ragazzi stessi, dove sanno di essere aiutati a ricercare una
metodologia di studio specifica per loro, di poter essere affiancati durante lo
studio per una verifica in classe, dove i ragazzi più grandi rappresentano dei
modelli per i più piccoli, dove le attività di studio possono essere integrate con
attività ludiche.

- Vengono proposte anche varie tipologie di corsi rivolti ai familiari udenti, i


quali hanno necessità specifiche e particolari per poter comunicare nella vita
di tutti i giorni con i propri figli sordi, sordociechi o con altre difficoltà
linguistiche e comunicative come ragazzi che presentano tratti autistici

- corsi rivolti alla Protezione civile per imparare alcune strategie comunicative
in caso di emergenza con persone sorde

- vengono organizzate uscite pomeridiane, sempre integrate in un contesto


bilingue LIS/italiano, come per esempio a Ferrara, a Bologna, a Modena, a
Reggio Emilia, per visitare musei, biblioteche, partecipare a spettacoli teatrali,
in quanto i ragazzi hanno bisogno di

uscire, di incontrarsi, di confrontarsi, conoscere, imparare, chiacchierare,


condividere…

- in un progetto di bilinguismo LIS/italiano condiviso con la neuropsichiatria e


la famiglia, l’assistente alla comunicazione scolastica affianca la logopedista
dei servizi sanitari nazionali in ambulatorio per una condivisione delle
reciproche conoscenze e competenze

- sono organizzati corsi riguardanti per esempio “l’alimentazione nei piccoli”


ed i “parlanti tardivi”, gestiti dalla logopedista di Insieme per l'integrazione e
il bilinguismo, i cui obiettivi sono aumentare la consapevolezza di genitori e
insegnanti sulle tappe di sviluppo della funzione alimentare e le altre funzioni
facio-oro-deglutitorie del distretto facciale; promuovere l’allattamento al seno
e aumentare la conoscenza delle proprietà del latte materno; conoscere gli
strumenti di alimentazione e non, distinguerne la qualità, la forma e i tempi
massimi di utilizzo e le disfunzioni che possono generarsi a causa dell’uso di
ausili sbagliati, al fine di individuare, prevenire ed affrontare con strumenti
adeguati i disturbi specifici di linguaggio e di apprendimento, di promuovere e
affinare le abilità osservative dell’adulto anche attraverso l'acquisizione di
nuove conoscenze relative allo sviluppo della comunicazione e del
linguaggio, di effettuare una valutazione delle competenze comunicative e
linguistiche nei bambini per individuare i soggetti a rischio ed iniziare un
intervento precoce per prevenire un disturbo specifico di

linguaggio, di favorire nelle famiglie la collaborazione e la conoscenza dei


professionisti (come la logopedista) presenti nel territorio preposti alla
prevenzione, valutazione e all’intervento precoce di ritardi e disturbi di
linguaggio nei bambini

- Insieme per l'integrazione e il bilinguismo divulga i risultati delle proprie


ricerche e sperimentazioni attraverso pubblicazioni: nel 2016 la Pellegrini
Editore, nella collana di Pedagogia, ha pubblicato “Un altro sguardo - e un
altro ascolto - sulla sordità”, una raccolta di 4 tesi di laurea che spaziano dalla
linguistica alla storia della educazione dei sordi, dal bisogno di identità
culturale e linguistica dei sordi stranieri alla didattica; nel 2015 la Carocci
Faber ha pubblicato "La mediazione in lingua dei segni: uno strumento per
l'inclusione reale" all’interno del manuale "L'interprete giuridico, Profilo
professionale e metodologie di lavoro".

Quindi, tutti i risultati scaturiti dalle esperienze di Insieme per


l'integrazione e il bilinguismo hanno consolidato la necessità del
percorso di bilinguismo LIS/italiano.

Tali esperienze, però, non vogliono riproporre la situazione dell’isola di


Martha’s Vineyard, nel Massachusetts, descritta dal neurologo Oliver Sacks,
dove una forma di sordità per più di due secoli ha colpito un abitante su
quattro e dove gli udenti, avvertendo l’esigenza di instaurare una forma di
comunicazione che coinvolgesse l’intera
comunità, hanno appreso i segni, utilizzandoli poi negli scambi comunicativi
sia all’interno del loro gruppo che con quello dei sordi.

Il bilinguismo, in questa situazione, è comparso naturalmente.

Le situazioni di bilinguismo progettate, proposte e messe in atto da Insieme


per l’integrazione e il bilinguismo sono invece “artificiali”.

La scelta del bilinguismo LIS/italiano è dettata dal fatto che il doppio codice
comunicativo consente alle persone sorde di interagire sia con i sordi che con
gli udenti, consente di rafforzare attraverso la lingua dei segni la propria
identità di persona sorda e favorisce l’apprendimento e la elaborazione del
pensiero.

La LIS sfrutta la modalità visiva integra della persona sorda, consentendo un


pieno e completo sviluppo linguistico, cognitivo e sociale.

La lingua dei segni è una lingua a tutti gli effetti.

Molte persone credono erroneamente che la Lingua dei Segni Italiana non sia
altro che l’Italiano trasmesso in segni. Altri pensano che sia un codice
manuale di Italiano, e che possa esprimere solo informazioni concrete, o che
ci sia solo una lingua dei segni universale usata dalle persone sorde in tutto il
mondo. Invece la ricerca linguistica ha dimostrato che le lingue dei segni
sono paragonabili per complessità ed espressività alle lingue vocali, hanno
una loro specifica struttura morfo-sintattica e grammaticale e presentano
come peculiarità un utilizzo linguistico dello spazio.

Dal periodo in cui scriveva Vygotskij ad oggi la ricerca scientifica ha mostrato


molto chiaramente che il linguaggio umano per poter
mantenere le sue caratteristiche di astrattezza, generalità, riflessività, non
dipende esclusivamente dal canale uditivo-vocale.

Anche il linguaggio che utilizza il canale visivo-gestuale, piuttosto che quello


uditivo-fonatorio, ha queste caratteristiche. Non è il linguaggio parlato ad
essere naturale per l’uomo e a distinguerlo dagli animali, ma la facoltà di
costruire una lingua e di apprenderla a patto di venir esposto ad essa: la
lingua dei segni è la lingua naturale dei sordi, ma non è una lingua madre, in
quanto i bambini sordi figli di genitori sordi sono solo una percentuale minima
e non è detto che siano sempre segnanti. Per lingua naturale delle persone
sorde si intende una lingua che viaggiando sul canale visivo-gestuale integro,
invece che su quello acustico-vocale deficitario, può essere acquisita da loro
in modo naturale, cioè secondo le normali tappe dello sviluppo linguistico, e
permettendo loro uno sviluppo cognitivo altrettanto normale.

Nel campo della psicolinguistica sono numerose le ricerche che ispirandosi


soprattutto al pensiero di studiosi come Piaget, Vygotskji e Bruner (Fonzi
2004)hanno evidenziato precisi rapporti fra sviluppo cognitivo e linguistico.

La lingua dei segni è dotata di una natura cinematica ed iconica e, perciò, è


un supporto percettivo efficace in tutti gli ambiti di conoscenza in quanto è in
grado di favorire, attraverso il potenziamento della discriminazione visiva, il
processo attentivo e, di conseguenza, il processo di elaborazione mentale.

La specificità e originalità delle lingue dei segni, -riconosciute ormai da


quarant’anni quali “sistemi linguistici” a tutti gli effetti- consiste nel fatto che a
livello lessicale, grammaticale e sintattico si ha un uso linguistico dello
spazio: tutto ciò che nel parlato è lineare, sequenziale e temporale, nei segni
diventa simultaneo, frutto del concatenarsi di numerosi schemi spaziali
tridimensionali, anche se l’aspetto temporale è presente in quanto dato
dall’organizzazione sequenziale, modulata nel tempo, di configurazioni delle
mani, spazio segnico, segni non manuali -espressione facciale e posture-,
movimenti alternati a pause.

La lingua dei segni è una lingua che integra la dimensione spaziale con
quella temporale e che, per questo motivo, fa percepire quasi direttamente il
concetto. È, cioè, una lingua che stimola e facilita l'evocazione nei due luogo
di senso: lo spazio (la configurazione e l'orientamento della mano, la
posizione del segno rispetto allo spazio neutro del segnante, gli indici non
manuali) e il tempo (il movimento del segno e l'ordine dei segni nella fase).

Infatti, essendo la lingua dei segni di natura cinematica e iconica,


contrariamente alle lingue verbali scritte e orali, collega (integra) nel suo
movimento lo spazio e il tempo in un modo più esplicito ed

intelligibile rispetto alle strutture spazio-temporali contenute nel testo scritto o


verbalizzato.

Attraverso le attività soprattutto extra scolastiche, quali il campo estivo, le


uscite pomeridiane… i bambini/ragazzi sordi italiani e stranieri hanno la
possibilità di confrontarsi tra di loro, arricchendo il proprio bagaglio lessicale,
semantico e culturale.
Durante il campo estivo “Insieme stiamo bene II” organizzato e gestito da
Insieme per l'integrazione e il bilinguismo dieci anni fa, la lingua dei segni è
stata il collante tra il gruppo dei partecipanti ed alcuni ospiti stranieri, nello
specifico un gruppo costituito da 16 sordi bielorussi, provenienti dall’Istituto
Statale di Riabilitazione di Recitza, zona contaminata dal disastro di
Chernobyl, in Italia grazie ad un progetto patrocinato dalla Regione Emilia
Romagna e promosso dall’Amministrazione Comunale di Sala Bolognese. I
bambini sordi bielorussi hanno concretamente dimostrato come sia possibile
conoscersi e comunicare nel rispetto delle diverse culture e come la
“diversità” geografica, linguistica e culturale non pregiudichi l’empatia e il
contatto umano.

Durante una successiva attività estiva di Insieme per l'integrazione e il


bilinguismo, ai ragazzi è stato proposto di confrontare le lingue che

conoscevano, che avevano studiato a scuola, utilizzando alcune semplici


parole e traducendole.

A turno, chi voleva, scriveva sopra un cartellone le parole che sapeva ed il


risultato è stato un interessante confronto tra la lingua italiana, inglese,
francese, punjabi, esperanto e la lingua dei segni italiana, che li ha coinvolti in
un “gioco di parole” facendoli sentire competenti e, in un certo senso, i
docenti della situazione.

I bambini/ragazzi sordi, che si incontrano durante le attività extra scolastiche,


provenienti da diverse regioni d’Italia e/o da diverse province della stessa
regione, hanno compreso quanto sia ricca la lingua dei segni italiana,
attraverso tutte le sue varianti lessicali che legittimamente possono essere
considerate sinonimi, alla pari delle lingue vocali.
A seguito di tutta la nostra ricerca ed esperienza, sosteniamo che La LIS è la
lingua che consente ad una persona sorda, italiana o straniera, di avere
pieno accesso alle informazioni, alla comunicazione e consente di porsi
domande e di fare domande; la LIS è la lingua ponte tra sordi e udenti; la LIS
aiuta il bambino sordo nella alfabetizzazione nella lingua italiana.

Quindi, il segno non “uccide” la parola!

Anzi, la LIS sostiene la parola e la alfabetizzazione!

Grazie

Susanna Moruzzi e Chiara Morlini assistenti alla comunicazione scolastiche


e formatrici di "Insieme per l'integrazione e il bilinguismo" cooperativa di
Bologna, autrici delle seguenti pubblicazioni: 
"Un altro sguardo - e un altro ascolto - sulla sordità" Thesaurus
scientifica pedagogia, Luigi Pellegrini Editore 2016
"Imparare Educando. Buone prassi con i sordi e stranieri" nel sito di
INDIRE - Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca
Educativa 2015 http://bes.indire.it/?bp_gold=imparare-educando-buone-
prassi-con-i-sordi-e-stranieri
"La mediazione in lingua dei segni: uno strumento per l'inclusione
reale" in "L'interprete giuridico, Profilo professionale e metodologie di lavoro",
a cura di Mette Rudvin e Cinzia Spinzi, Carocci Faber 2015
Quattro classici accessibili ai bambini sordi grazie alla corrispondenza tra
immagini e testo scritto; Corsiero Editore 2015
“I bambini sordi stranieri nella scuola italiana: esperienze di assistenti
alla comunicazione” in “I segni raccontano. La lingua dei Segni Italiana tra
esperienze, strumenti e metodologie”, a cura di Caterina Bagnara, Sabina
Fontana, Elena Tomasuolo e Amir Zuccalà, edizione FrancoAngeli 2009
Altra bibliografia e sitografia
- "Vedere Voci", Oliver Sacks
- www.insiemeper.bo.it 
- www.educare.it/Handicap/la_classificazione_icf.htm

- Risoluzione sulle lingue dei Segni approvata dal Parlamento Europeo il 17 giugno 1988

- Legge 5 febbraio del 1992 n. 104 "Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle
persone handicappate"
- Legge 20 febbraio del 2006 n. 95 "Nuova disciplina in favore dei minorati auditivi"
- Legge 3 marzo del 2009 n. 18 "Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle
persone con disabilita', con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e istituzione
dell'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilita'"
-L. Vygotskij
-A.Fonzi, “Manuale di psicologia dello sviluppo”, Giunti 2004

La Ludoteca l'Albero Segnante


di Alia, società cooperativa sociale
- I Segni della relazione: l'importanza del gruppo per comunicare -
Bertinotti Tommaso, Morelli De Rossi Riccardo, Perondi Irene, Scala Michele 7

Introduzione: come attori sul palco

7
Tutti gli autori hanno contribuito equamente all'elaborazione del testo. Tutti gli autori sono soci o collaboratori
di Alia, società cooperativa sociale: www.aliacooperativa.it
Il testo vuole presentare uno scorcio, una parte di storia della Ludoteca
L’Albero Segnante ideato e gestito dalla cooperativa Alia.
Dal 2008 a oggi, La Ludoteca (così chiamata dai ragazzi che la frequentano e
identificata con il segno LIS di “divertimento”) si è configurata non solo come
uno spazio (fisico e temporale) di accoglienza e di gioco per bambini/ragazzi
sordi (e con altre difficoltà comunicative, cognitive, relazionale), ma come
un’occasione per dare l’opportunità a questi ragazzi di incrementare e
sviluppare le loro competenze e potenzialità.
È Albero perché l’albero cresce, è Segnante perché la LIS (insieme ad altri
linguaggi mimico-gestuali creati ad hoc in relazione alle competenze cognitive
e motorie dei ragazzi) è uno strumento comunicativo, insieme alla lingua
orale, che permette di socializzare.
La Ludoteca rappresenta una sfida per la cooperativa. Non riceve
attualmente alcun finanziamento pubblico, qualche piccola donazione privata,
il 5x1000 e tanta voglia di investire risorse proprie in un progetto in cui crede
e che, si spera, verrà un giorno istituzionalmente riconosciuto.

Per raccontare la nostra esperienza ci siamo domandati come fare a


riassumere tanti anni di esperienze, errori, successi e fallimenti in uno spazio
limitato.
Abbiamo deciso di tralasciare gli aspetti più formali e di dedicarci invece alla
sostanza, lasciandoci andare alle chiacchiere e raccontando ognuno, in
libertà, il suo punto di vista. Questo è ciò che vorremmo fare anche qui:
raccontarvi una parte della storia.
Un’idea che ci è venuta alla mente, anche ricordando gli anni in cui le
rappresentazioni “teatrali” erano una componente importante nel nostro
lavoro con i ragazzi, è una metafora: quella dell’attore che sale sul palco e
mette in mostra ciò che ha imparato. Il palco, nel nostro caso, è il mondo
sociale, mentre gli attori sono i ragazzi che seguiamo e che frequentano il
nostro servizio, che tra di noi chiamiamo semplicemente “la Ludoteca”.
Quello che i nostri ragazzi riescono a realizzare nel loro quotidiano è la loro
rappresentazione sul palco, gli altri con cui si ritrovano a interagire sono il
pubblico. Dietro a ciò che viene mostrato di sé in pubblico c’è un grande
lavoro, nel retroscena. Dietro le quinte si muove un mondo fatto di persone
che per lavoro o volontariato si dedicano a sostenere i ragazzi, ci sono le
famiglie, gli operatori della scuola, i servizi e molti altri.
Come parte di questo grande lavoro c’è anche un copione, che consiste
nell’apprendimento di una lingua adeguata alle potenzialità di chi la deve
usare: un copione tagliato su misura. Tra poco vedremo come, in certi casi,
sia necessario creare nuove e alternative forme di comunicazione, oppure
adattare quelle già esistenti alle caratteristiche individuali.

La Ludoteca
Il servizio di Ludoteca “L'albero Segnante” è nato nel 2008 nel comune di
Solesino (PD) grazie ai contributi del comune di Monselice e della Provincia
di Padova. L'anno successivo si è svolta nei locali “Spazi Creativi”
dell'associazione D.I.S.B.E.R.G grazie a un finanziamento dalla Cassa di
Risparmio del Veneto. A fronte del grande successo e delle richieste da parte
degli utenti, il servizio è stato trasferito dal 2012 a Padova e ha visto la sua
successiva edizione presso il Centro per le famiglie Crescere Insieme di
SPES dove ha ottenuto l'appoggio simbolico della Provincia di Padova,
dell'Ordine degli psicologi della Regione Veneto e dell'ENS (Ente Nazionale
Sordi). Il servizio ha riscosso l'interesse anche dell'Istituto Nazionale Ville
Venete e della Regione Veneto tanto che è stata realizzata una
rappresentazione delle attività di animazione presso Villa Venier Contarini di
Mira (VE). Le ultime due edizioni, inclusa quella in corso, sono state
realizzate anche grazie a un contributo del LIONS club Padova Elena
Cornaro Piscopia.

La Ludoteca "L’albero Segnante" nasce con lo scopo di accogliere bambini


e ragazzi disabili, con l'obiettivo di incrementare le loro competenze
relazionali e comunicative. L'esperienza, maturata in questi anni di lavoro,
ha portato la cooperativa Alia a credere nell'Albero Segnante come uno
spazio di incontro tra persone, un’occasione di socializzazione, un momento
di crescita attraverso l'interazione con gli altri, di scoperta di sé e dell'altro.
Per i ragazzi si tratta di un’occasione in cui poter valorizzare le competenze
e superare alcuni limiti, nel rispetto della storia personale di ciascuno e della
diversità che caratterizza ognuno di noi.

In Ludoteca la comunicazione diretta avviene attraverso l’italiano orale e la


lingua dei segni italiana (LIS) in modo da insegnare ai ragazzi l'utilizzo di
diversi vocaboli e sperimentare insieme diverse forme comunicative. Un
punto di forza del servizio è che, oltre all’uso della LIS, vengono proposti
linguaggi visivo-gestuali costruiti ad hoc in relazione alle capacità (specie
motorie) e competenze (specie interattive) di ciascun ragazzo.

Il gioco non viene solo visto come strumento per intrattenere bambini e
ragazzi con difficoltà cognitive, comportamentali, relazionali e/o
comunicative, la Ludoteca non è soltanto uno spazio dove portare i figli e
dare sollievo ai genitori, bensì è un luogo dove i ragazzi, nel confronto con
la diversità che caratterizza ogni persona, possono aumentare il loro
bagaglio di conoscenze e competenze.

I ragazzi che frequentano la Ludoteca da quando ha sede a Padova si sono


dimostrati affezionati e fedeli nel tempo al servizio e, visto che sono passati
diversi anni, il più giovane ha ormai 17 anni. I ragazzi presentano
caratteristiche molto diverse fra di loro, per tipo di disabilità, modalità
comunicative e competenze. Tutti hanno un certo grado di sordità, con
disabilità associate e/o altre difficoltà relazionali e comunicative.
A livello comunicativo c’è una notevole variabilità nelle tipologie e nelle
modalità dei linguaggi usati, anche se la maggior parte dei ragazzi comunica
con la lingua dei segni, ognuno secondo le sue abilità motorie e cognitivo-
relazionali. Uno dei partecipanti con la Sindrome di Cornelia de Lange, pur
esprimendosi verbalmente in casa con i familiari, dal suo ingresso in
Ludoteca non ha mai parlato. Nel corso degli anni e delle edizioni ha iniziato
a utilizzare prima gesti e poi veri e propri segni per partecipare attivamente
alla comunicazione e alle attività, oltre ad aver ampliato le sue espressioni
mimiche.
Un altro ragazzo utilizza un linguaggio gestuale, costruito ad hoc in base alle
sue capacità motorie e cognitive, ed è proprio la sua storia che vorremmo
approfondire per sottolineare quanto sia importante l’azione sinergica del
lavoro individuale e quotidiano dell’operatore della disabilità sensoriale da
una parte e della Ludoteca come luogo di incontro e dove poter sperimentare
le abilità comunicative acquisite dall’altra.

L’operatore della disabilità sensoriale


Per comprendere entrambi gli aspetti di questo lavoro, partiamo dal servizio
che ci permette di seguire i minori sordi nella Provincia di Padova. I ragazzi
che frequentano la Ludoteca, in quanto disabili sensoriali, hanno diritto ad
accedere al Servizio di Integrazione Scolastica a favore di studenti affetti da
deficit della vista o dell'udito, mirato alla realizzazione del diritto allo studio e
all’istruzione. Si tratta di una competenza istituzionale delegata alla Provincia,
nell'ambito dei Servizi Sociali (fino a che non verranno definitivamente abolite
le Province secondo quanto previsto dalla Riforma Delrio (Gazzetta Ufficiale
della Repubblica Italiana, LEGGE 7 aprile 2014, n. 56)

), rivolta ad alunni che frequentano scuole di ogni ordine e grado, dalla


scuola dell'infanzia alla scuola secondaria di II grado.
L'operatore alla comunicazione nella Provincia di Padova (denominato
“Operatore della disabilità sensoriale”) è un professionista in possesso di
laurea quinquennale, che interviene in ambito familiare per l’integrazione
scolastica dello studente con grave disabilità visiva o uditiva. La Provincia
assegna un operatore della disabilità sensoriale sulla base delle domande
che devono essere presentate dalle famiglie entro il mese di giugno di ogni
anno.
Il servizio è previsto anche al nido, ma solo nel caso di bambini sordi figli di
genitori sordi che necessitino di competenze LIS. A livello di scuola
dell’infanzia, è previsto l’intervento dell’operatore della disabilità sensoriale
esclusivamente in scuole non statali o paritarie. Al nido e alla scuola
dell’infanzia l’operatore interviene solo in ambito scolastico.
A partire dalla scuola primaria, il lavoro dell'operatore della comunicazione si
svolge prevalentemente presso il domicilio degli studenti e, solo in casi
particolari, presso le scuole.
Ogni operatore affianca ciascun ragazzo per un monte ore che va da un
minimo di 30 ore a un massimo di 80 ore mensili, a seconda della scuola
frequentata (nido, scuola dell'infanzia, primaria o secondaria) e della gravità
del caso.
Oltre al monte ore mensile, sono previste ore di raccordo con tutte le figure
professionali (e non) che ruotano intorno al minore (centri riabilitativi, scuole,
genitori, servizi sociali, Operatori socio sanitari, enti di categoria, associazioni
sportive, ludoteche, etc.). Perciò fondamentale per il ruolo dell'operatore della
comunicazione è gestire i rapporti che costruiscono la rete di intervento su
ciascun utente e perseguire i medesimi obiettivi.
L'operatore della comunicazione è tendenzialmente invitato a tutti i tavoli di
lavoro che portano a definire i vari piani di intervento (scolastico, riabilitativo,
sociale). I principali organi di intervento sono i consigli di classe, le UVMD
(unità di valutazione multidimensionale) e le riunioni d'équipe tra i vari
specialisti, luoghi in cui si prendono le decisioni sul PEI (progetto educativo
individualizzato) di ciascuno studente.
Sono previste per migliorare le competenze di ciascun operatore delle ore di
supervisione individuali e (fino a pochi anni fa) di gruppo, nelle quali vi può
essere un proficuo scambio di esperienze (su strumenti, metodologie e
modalità di intervento) tra gli operatori e grazie alla mediazione dei
supervisori. Ciascun professionista è invitato a partecipare a corsi di
formazione non obbligatori che vengono proposti annualmente da vari centri
formativi.
L’operatore della disabilità sensoriale ha a disposizione il tempo e le
competenze per realizzare, in accordo e in collaborazione con gli altri attori
dell’équipe che segue il minore, il progetto individualizzato elaborato per lui.
Però, a differenza degli altri professionisti, che seguono il minore nell’ambito
scolastico o riabilitativo, l’operatore lavora in ambito domiciliare, con tempi più
dilatati che possano rispettare le modalità e le tempistiche della persona
stessa.
Dalla scuola primaria in poi, l’operatore segue lo studente presso il suo
domicilio per più ore al giorno, avendo quindi il tempo di occuparsi di diversi
aspetti (quali ad esempio la comunicazione e l’autonomia), senza limitarsi a
quello esclusivamente didattico. Ha la possibilità di incontrare insegnanti e
logopedisti e di portare avanti delle attività condivise, concentrandosi sul
superamento dei limiti e delle difficoltà che lo studente può incontrare.
Inizialmente l’operatore era definito “ripetitore”, termine che evidentemente
non rende giustizia al lavoro di questo professionista che non si limita a
ripetere, ma adatta contenuti e modalità in maniera tale da renderli accessibili
alla persona sorda. E non parliamo di una qualsiasi persona sorda, ma di
quella in particolare, con le sue specifiche abilità. Questo è rilevante in
particolar modo perché alla sordità possono essere associate altre disabilità,
che richiedono un’elevata personalizzazione. L’operatore della disabilità
sensoriale è, per formazione ed esperienza, preparato ad affrontare la
disabilità sensoriale, sia essa dell’udito o della vista, e le altre associate e
modulare il suo intervento, a casa a scuola, per il raggiungimento di obiettivi
didattici e non.
Il responsabile del Servizio, conoscendo tutti i casi e tutti gli operatori, affida
l’incarico a un professionista considerando l’esperienza e la formazione
specifica nella disabilità visiva o uditiva (ad esempio la competenza nella LIS)
e nella pluridisabilità. Inoltre presenta il caso e segue, attraverso le
supervisioni, l’operatore che agisce da solo nella, a volte difficile, realtà
familiare o scolastica. Quindi, anche se l’operatore lavora da solo, sente di far
parte e di rappresentare, a scuola e a casa del minore, un’istituzione, un
gruppo di lavoro, un servizio che abbraccia tutta la provincia.
Grazie alla qualità e alla costanza che caratterizzano il servizio, è possibile
perseguire e talvolta anche raggiungere degli obiettivi che possono portare a
un reale ampliamento e miglioramento delle competenze comunicative di una
persona, oltre ad altri importantissimi obiettivi, quali il raggiungimento di
autonomie personali e didattiche.
È questo il caso di un ragazzo, seguito da un professionista del nostro gruppo
di lavoro a livello individuale, che poi ha avuto accesso anche alla Ludoteca e
che tuttora continua a frequentarla, pur avendo concluso il percorso
scolastico ed essere stato inserito in un CEOD (centro educativo
occupazionale diurno).

Presentazione del caso


M. è un ragazzo di 18 anni che presenta un ritardo evolutivo associato a una
patologia motoria e sensoriale: ha una riduzione dell'acuità visiva,
problematiche di tipo neuro-visivo e ipoacusia bilaterale neuro-sensoriale.
Utilizza protesi acustiche digitali. Il ragazzo è tetraplegico ed è in carrozzina.
Dispone di ausili ortopedici, tra cui un deambulatore con il quale può
muoversi negli ambienti spaziosi. M. fino al 2008 utilizzava esclusivamente la
mano sinistra. Le competenze motorie manuali erano scarse ma sufficienti a
produrre dei gesti.
L’iniziale intervento logopedico è stato di tipo oralista con l'ausilio di protesi e
modalità riabilitative improntate alla comunicazione aumentativa alternativa
(CAA). L’intervento è risultato inefficace: il bambino non ha mai prodotto
nessun fonema e non è mai riuscito ad avvalersi degli strumenti del metodo
individuato dagli specialisti.
Nel settembre 2008 M. conosceva circa 8 gesti inventati da lui stesso e
condivisi con i genitori e aveva comportamenti autolesionistici (si dava
spesso dei pugni e si strappava con la bocca i vestiti che indossava). Nei vari
percorsi riabilitativi non era mai stato usato un linguaggio segnato. Da
Ottobre 2008, si è strutturato un piano di intervento con l’introduzione di un
linguaggio segnato, composto da segni della Lingua dei segni e gesti costruiti
tenendo in considerazione le disabilità di movimento (es. invece di usare il
segno di “asciugamano” in LIS che richiede una componente di
coordinazione motoria complessa si è sostituito con il gesto “far scivolare la
mano sulla guancia”).
M. già da subito ricercava molto la relazione con gli adulti senza però riuscire
a comunicare. Con l’inizio dell’apprendimento di un linguaggio segnato, le
interazioni sono diventare gradualmente più complesse. I gesti appresi da M.
sono stati condivisi con la scuola, la famiglia e il Centro di Riabilitazione
presso cui era in cura.
Durante i primi sei mesi, a causa delle difficoltà di apprendimento e di
movimento, il ragazzo è riuscito ad apprendere un solo gesto a settimana. I
processi attentivi risentivano di una notevole faticabilità, per cui i tempi
operativi erano molto ridotti e si alternavano momenti di gioco ad altri con
richieste di apprendimento di gesti nuovi.
Successivamente, quando il ragazzo ha potuto far esperienza della possibilità
di comunicare con i gesti, l’apprendimento è stato molto più veloce ed era
necessario uno sforzo inferiore per l’assimilazione.
Nonostante non riuscisse quasi a muovere la mano destra a causa di una
emiparesi, si è favorito l’utilizzo di entrambe le mani contribuendo a una
maggior fluidità nei movimenti.
In tre anni sono diminuiti sensibilmente gli atti autolesionistici e sono
aumentate le richieste nell'interazione. Il pensiero simbolico di tipo imitativo è
stato molto valorizzato e si è sviluppato a tal punto che sono diventate
frequenti le richieste di giochi interattivi (es. prendi il bambolotto e vestiamolo,
prendi il treno e lo facciamo partire..). In tre anni il ragazzo è riuscito a
riconoscere e a produrre 150 gesti che ora riesce anche a combinare in frasi
composte da più gesti (2/3).
Riassumendo, le fasi del lavoro sono state le seguenti:

La prima fase è stata di conoscenza. Si sono fatte diverse attività di gioco e di


stimolazione sensoriale. Questa fase è stata utile a comprendere le
potenzialità di M. e in particolare la capacità di poter esercitare dei movimenti
con mani e braccia.

Nella seconda fase abbiamo iniziato a usare i segni che già conosceva M. (8
gesti in tutto) relativi a oggetti di uso quotidiano (bambolotto, carrozzina,
mangiare, bagno, etc.). Contemporaneamente si è aggiunto il primo gesto
nuovo, scelto per indicare un gioco (“trenino”) a cui era particolarmente
legato. Questo ha permesso di avere una forte componente motivazionale
che ha portato in pochi giorni ad associare gesto a oggetto. Il gesto (far
scivolare la mano sul banco) era semplice e facilmente adatto alle sue
competenze motorie, perciò la facilità di apprendimento ha permesso anche
un suo utilizzo quotidiano e spontaneo. L’operatore mostrava il trenino a M. e
non gli consegnava o non metteva in moto il gioco fino a che non eseguiva il
movimento richiesto. Le prime volte si favoriva l’esecuzione aiutando M. nel
movimento e successivamente lo si lasciava in autonomia. Già nella prima
settimana si è riusciti a far apprendere il gesto in modo naturale e le richieste
di gioco da parte di M. erano frequenti. Per i successivi segni introdotti è stata
seguita la stessa modalità (segni di uso comune e soprattutto di interesse per
il ragazzo). In due mesi il linguaggio di M. era composto da 16 gesti (il doppio
di quelli appresi fino ad allora).

Nella terza fase si sono aggiunti segni di uso quotidiano, non legati al gioco,
ma utilizzati per indicare oggetti di uso comune o i familiari. Nella fase di
apprendimento sono state usate foto e altro materiale visivo (video, disegni).
A volte è stata necessaria anche la presenza fisica degli oggetti o delle
persone. Ad esempio, per indicare la nonna veniva ripetuto il segno e dopo la
si faceva entrare dalla porta destando sorpresa in M. e facilitando così
l’apprendimento del gesto.

Nella quarta fase (dopo circa un anno di lavoro) e dopo aver appreso circa 50
gesti, si sono introdotte sequenze di 2 gesti per indicare azioni più complesse
(esempio: bambolotto+porta= butta il bambolotto fuori dalle porta).
Questa fase, sebbene più complessa, poiché presentava la difficoltà di
replicare più di un gesto contemporaneamente, è stata facilmente realizzabile
per il forte interesse di M. nel voler nascondere le cose e perciò dalla forte
motivazione di comunicare “richieste” (nascondere gli oggetti, buttare i giochi
dalla finestra, etc.).

La quinta e penultima fase ha avuto lo scopo di inserire dei verbi nella


comunicazione. Si è associato al soggetto il verbo corrispondente e a volte
anche l’oggetto (es. Michele togli la sciarpa).
La sesta e ultima fase (dopo 1 anno e mezzo di lavoro) aveva lo scopo di
condividere i gesti appresi da M con i compagni di classe e i professionisti del
centro di riabilitazione motoria. Già dalla prima fase i gesti erano stati
condivisi con i familiari. Questo ha permesso un uso quotidiano della
comunicazione gestuale, facilitando maggiormente l’apprendimento e il
consolidamento dei gesti appresi.

È facile intuire che un lavoro di questo tipo richiede molto tempo, quotidianità
e condivisione costante con i familiari, in primo luogo, oltre che con
insegnanti, terapeuti, coetanei, etc.
In questo caso in particolare, l’operatore con la sua esperienza e le sue
conoscenze ha contribuito in maniera significativa ad ampliare le possibilità
comunicative di un ragazzo che fino all’età di 10 anni non aveva avuto la
possibilità di esprimere le sue preferenze e partecipare attivamente a scambi
comunicativi. Davvero toccante la reazione della madre quando per la prima
volta è riuscita a conoscere le preferenze del figlio, potendogli finalmente
chiedere, cosa che a noi tutti potrebbe sembrare banale, se preferisse ad
esempio bere l’aranciata o la coca-cola. Comunicazioni di base spesso
assenti quando manca un linguaggio condiviso, una modalità di
comunicazione adatta alla persona stessa, non possono essere date per
scontate se permettono all’individuo di esprimere se stesso, a partire,
banalmente, dal poter dire cosa gli piace e cosa no.

Conclusioni: Il valore della relazione


Ora abbiamo visto un esempio di cosa si muove “dietro le quinte”, di come
una buona dose di creatività, unita all’impegno costante e continuativo possa
creare delle nuove prospettive per i ragazzi, le famiglie e il contesto sociale.
Dopo aver aperto uno scorcio sul retroscena, riprendiamo ora la nostra
metafora dell’attore su un palco e cerchiamo di focalizzare la nostra
attenzione su quello che accade fra i diversi attori che recitano una scena: le
loro relazioni. Nella nostra esperienza si tratta di una scena largamente
improvvisata, a cui partecipano attivamente anche i “registi”, se così
possiamo, sempre nella metafora, definire gli operatori. Quello che si svolge
sul “palco” della Ludoteca è, come dice il nome stesso, una forma di gioco
finalizzato al benessere e alla crescita. Crediamo sia fondamentale, in
generale quando si lavora con minori, poter accedere alla propria parte più
bambina, quella capace di giocare in modo spensierato e godersi il gioco in
quanto tale, senza pretendere dei risultati, dei punteggi, più in generale delle
prestazioni. In una parola: divertirsi. Certo è necessario mantenere
stabilmente, e qui sta l’elemento educativo, anche il proprio ruolo. La sfida
sta, infatti, nel riuscire ad essere, contemporaneamente, bambini che giocano
e adulti che osservano, propongono, comprendono e intervengono quando
necessario, ponendosi come facilitatori alle attività del gruppo, piuttosto che
come dei docenti che insegnano come comportarsi.
Facilitazione e mediazione sono i due processi fondamentali che permettono
ai ragazzi di instaurare dei rapporti significativi con gli altri, in uno spazio e un
tempo ben definito: il nostro “spettacolo” per così dire, che si svolge una volta
alla settimana, sempre alla stessa ora, con una struttura prevedibile nella
sequenza delle attività e uno svolgimento imprevedibile. Siamo, nel tempo,
arrivati a strutturare non un servizio per le ragazze e i ragazzi, ma insieme a
loro e grazie ai contributi e alle idee che spontaneamente ci hanno portato.
Oggi pensiamo alla Ludoteca come a un punto di riferimento, un luogo
speciale che permette ai partecipanti di staccare dal quotidiano, in cui
possono portare loro stessi, i loro problemi e le loro qualità, e da cui possono
prendere e portarsi a casa delle esperienze importanti.
Per creare delle buone relazioni c’è bisogno di tempo e di costanza. Questo
lo sappiamo tutti, anche se a volte ce ne dimentichiamo nella frenesia della
società, che ci spinge a essere sempre più veloci e a fare sempre di più. I
ragazzi che seguono la Ludoteca hanno creato dei legami molto stretti, fra di
loro e con gli operatori. Domandano sempre i motivi per cui qualcuno è
assente e mostrano una grande sensibilità verso gli stati d’animo degli altri;
ognuno a modo proprio, s’intende. Il tempo è stato un fattore fondamentale
per l’instaurarsi di questi legami e abbiamo l’impressione che anche i periodi
di pausa, a volte lunghi, non siano andati a interferire con il piacere del
ritrovarsi in occasione di un nuovo inizio. Anzi, dato che cerchiamo comunque
di tirare fuori del positivo anche dagli ostacoli (di cui parleremo fra poco),
avere dei cicli che si concludono e poi ripartono, con nuove energie, nuove
idee e spesso nuove persone, ci richiede e ci permette di avere del tempo per
reinventare le attività, creare nuove proposte e ripensare all’esperienza fatta
finora.
In questi periodi di pausa i ragazzi chiedono, in molte occasioni e alle diverse
persone che incontrano, quando riprenderà la Ludoteca. Ci siamo chiesti più
volte per quale motivo questo spazio sia diventato così importante per loro.
Allora ci siamo domandati perché sia così importante per noi. Il bello del
nostro lavoro, come psicologi, come educatori o animatori (ancora facciamo
un po’ di fatica a definirci in maniera univoca) è che ogni giorno ci troviamo di
fronte a nuove esperienze, che sono inevitabilmente diverse da quelle del
giorno prima e ci arricchiscono sempre con vissuti che possiamo portarci
dentro come elementi costruttivi. Forse è proprio questo, allargando il
concetto dalla vita professionale, che funziona così bene. La possibilità di
fare delle esperienze e portarle dentro di sé come elementi preziosi, come
degli strumenti che possono essere utilizzati in situazioni nuove, dopo averli
potuti sperimentare in un ambiente protetto.
Non sono quindi tanto le attività che svolgiamo (per quanto le attività
strutturate siano molto importanti e vadano preparate bene), ma le relazioni
che costruiamo il punto centrale. E quello che ce ne facciamo di queste
relazioni. L’acquisizione dell’autonomia richiede certamente di sviluppare
delle capacità nello svolgere i compiti della vita quotidiana che per questi
ragazzi sono degli sforzi e degli impegni particolarmente difficili, soprattutto
quando si trovano a doversi confrontare con i pari. Ma l’autonomia è anche
data dalla capacità di stare con altre persone, di chiedere un aiuto quando
serve e di potersi sentire parte di un gruppo, di una società. Lo spazio che
mettiamo a disposizione ha anche questo scopo, di sperimentare delle
“buone” relazioni, in assenza di giudizio e dove vengono accolti gli aspetti che
funzionano e quelli che non funzionano.
Nelle relazioni non ci sono solo momenti belli e giochi felici, ovviamente, ma
anche litigi, frustrazioni, chiusure, rifiuti, esplosioni di rabbia e aggressività,
stanchezza fisica e mentale. Tutti elementi che necessitano di essere visti,
riconosciuti e valorizzati come legittimi, per imparare poi a regolare il proprio
comportamento e diventare, appunto, autonomi.
Parlando di frustrazione nei ragazzi, non possiamo che riportarvi anche la
frustrazione degli operatori, come un elemento speculare e complementare.
Da un lato ci sono le difficoltà nel garantire la continuità del servizio, in un
contesto sociale e istituzionale che ben poco investe in un ambito così
importante come quello della disabilità, tuttora trattato come qualcosa di
molto marginale (rievocato solo saltuariamente in occasione della giornata
mondiale della disabilità o eventi simili).
Dall’altro lato, lavorare direttamente con la disabilità significa anche, a nostro
avviso, imparare a confrontarsi con la frustrazione nel quotidiano e imparare
a riconoscere e quindi tollerare i propri limiti. Purtroppo i limiti sono tanto più
grandi e insuperabili quanto più restano nascosti, non riconosciuti oppure
negati. Nella nostra esperienza abbiamo visto passare tante persone,
collaboratori, volontari e tirocinanti universitari: persone molto competenti e
che hanno dato importanti contributi, ma che a un certo punto hanno deciso
di salutarci invece di fermarsi. Questo per dire che ci siamo resi conto di una
cosa molto importante: per fare questo lavoro ci vuole una certa resistenza e
la disposizione a confrontarsi costantemente con le difficoltà, con i limiti e le
frustrazioni, accettarli e renderli esperienze utili per imparare e migliorarsi.
Quando si riesce a sostenere il peso della gravità, perché ciò che è grave è
per definizione pesante, è anche possibile trarre un grande senso di piacere
nell’instaurarsi di relazioni autentiche e affettive, anche quando si tratta di un
lavoro.

Bibliografia
Ardito B., Mignosi, E. (1995), Vivo una favola e imparo le lingue. Giocare a parlare con bambini
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Caselli M.C., Maragna S., Volterra V. (2006), Linguaggio e sordità, Bologna, il Mulino.
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Segnante. Valutazione dell’efficacia di un servizio pilota. La lingua dei segni nelle disabilità
comunicative, 2016: 168-178.
Bertinotti, T., Morelli De Rossi, R., Perondi, I., Scala, M. (2016). L’Albero Segnante. Centro
educativo per ragazzi con disabilità comunicative: la lingua dei segni come strumento di
integrazione. Poster presentato alla Giornata Scientifica Sordità: lingua dei segni, impianto
cocleare e riabilitazione linguistica, Univeristà di Padova, 5 aprile 2016.
Fava Viziello G. (2008), La partecipazione, Roma, Piccin.
Il Mattino di Padova (18/1/2008) Una ludoteca per sordi in biblioteca a Solesino
Scala, M., Bassan, M., Perondi, I., Pellegrino, A. (2008). La Ludoteca l’Albero Segnante. Parole e
Segni. Ed. Imago S.n.c. Roma.
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Psicologia e Comunicazione: Ricerca, Sviluppo, Divulgazione.
Teruggi L.A. (2003), Una scuola, due lingue. L’esperienza di bilinguismo della scuola dell’Infanzia
ed Elementare di Cossato, Milano, Franco Angeli.
www.aliacooperativa.it, sito di Alia cooperativa sociale. Nella sezione servizi alla persona/ludoteca
l’albero segnante, è possibile visionare e scaricare materiale sulla Ludoteca

Riforma Delrio: Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, LEGGE 7 aprile 2014, n. 56
SEZIONE ARTICOLI CORRELATI

Test linguistici e test standardizzati:


un confronto sull’acquisizione del passivo da parte di due gemelli sordi
italiani

Anna Cardinaletti, Michela Franceschini, Francesca Volpato


Università Ca’ Foscari Venezia

Abstract
In this article, we compare the answers given by two deaf Italian twins in the
standardized test TCGB and in a test developed by linguists to analyse the
competence of passives in children. Results show that their comprehension
of passives is more impaired than other syntactic constructions. Based on the
comparison of the results obtained in the two tests, some suggestions are
provided to design standardized tests for the clinical practice and language
rehabilitation and teaching strategies.

1. Introduzione

In questo contributo metteremo a confronto un test standardizzato, il


Test di comprensione grammaticale per bambini (TCGB, Chilosi e Cipriani
2006), e un test creato da linguisti per verificare la comprensione di una
struttura sintattica complessa, la frase passiva (Driva e Terzi 2008, Verin
2010), sulla base delle risposte fornite da due gemelli sordi in uno studio
longitudinale dai 7;9 ai 9 anni.

È notorio che le frasi passive, presentando un ordine non canonico


degli elementi, sono fonte di difficoltà sia per i bambini a sviluppo tipico, che
sembrano impararle più tardi rispetto ad altre strutture linguistiche, 8 che in
varie forme di deficit linguistico, come quello conseguente alla sordità sul
quale ci concentreremo in questa sede.9 Non è dunque sorprendente che
questa struttura sintattica appaia nei test standardizzati utilizzati dai clinici per
diagnosticare eventuali ritardi o disturbi specifici nello sviluppo della lingua né
che ad essa sia rivolta particolare attenzione dai linguisti nella ricerca
sull’acquisizione linguistica, tipica e atipica, allo scopo di comprendere meglio
le proprietà del linguaggio umano.

8
Il dibattito sull’acquisizione del passivo è cominciato negli anni ’70 del secolo scorso e continua
ancora. Si veda Guasti (2002:245-270) e Guasti (2007:197-208) per una panoramica degli studi su
varie lingue e, per l’italiano, Manetti (2013), Volpato et al. (2013), (2014), (2015), Belletti e Guasti
(2015:129-150). Altre indicazioni bibliografiche verranno fornite nelle sezioni successive.
9
Le difficoltà con le frasi passive sono state riscontrate anche negli afasici (ad. es. Grodzinsky
2000, Meyer et al. 2012), nei soggetti con disturbo specifico del linguaggio (DSL) (ad. es. van der
Lely 1996, Norbury et al. 2002, Friedman and Novogrodsky 2004) e nella popolazione dislessica
(tra gli altri v. per l’inglese Wisehart et al., 2009; e per l’italiano Reggiani 2010 e Cardinaletti e
Volpato, 2011, 2015).
Scopo di questo lavoro è indagare se la ricerca linguistica possa
contribuire sia in ambito clinico, ai fini della preparazione dei test diagnostici
e della progettazione dei percorsi di riabilitazione, sia in ambito formativo ed
educativo, affinché gli insegnanti curriculari e gli insegnanti di sostegno,
attraverso un’interazione efficace con l’équipe medica, possano essere
aiutati nell’elaborazione di strategie atte a favorire lo sviluppo della piena
competenza linguistica nel bambino con deficit linguistico.

2. Le frasi passive e i due test

In questo paragrafo presenteremo le principali caratteristiche grammaticali


delle frasi passive e i due test che abbiamo utilizzato, il Test di comprensione
grammaticale per bambini (TCGB, Chilosi e Cipriani 2006), che verifica la
competenza linguistica generale di bambini dai 3;6 agli 8 anni confrontandola
con tabelle di riferimento normative, e il test linguistico di Verin (2010), che
verifica specificamente la comprensione della struttura passiva e che è stato
utilizzato in precedenza con varie popolazioni (bambini udenti normodotati
dai 3;4 ai 6;2 anni, Volpato et al. 2013, 2015; adolescenti e adulti sordi,
Rizzetto 2012, Vacca 2012, Vivaldi 2015; adulti dislessici, Cardinaletti e
Volpato 2011, 2015).

Nella sezione 3 riporteremo i risultati ottenuti con due gemelli sordi in


uno studio longitudinale (dai 7;9 ai 9 anni) riportato in Franceschini (2013),
confrontati con bambini udenti di pari età anagrafica e linguistica.

2.1. Le frasi passive

La complessità della struttura passiva deriva dal fatto che essa


presenta un ordine non canonico degli elementi, come si vede nella seguente
coppia di frasi, attiva e passiva rispettivamente (questa frase e quelle più
sotto sono tratte dal TCGB presentato in 2.2):

(1)a. La bambina spinge il bambino.


b. Il bambino è spinto <il bambino> dalla bambina.
|_____________________|

Il sintagma nominale soggetto nella frase passiva in b. (il bambino) viene


interpretato come il paziente del verbo, ma non appare nella posizione tipica
del complemento oggetto in italiano (dopo il verbo, come nella frase attiva in
a.), ma nella posizione tipica del soggetto (prima del verbo). Si stabilisce
dunque una relazione a distanza tra la posizione in cui l’elemento viene
interpretato (dopo il verbo) e la posizione in cui viene pronunciato (prima del
verbo). È questo tipo di relazioni a distanza che crea difficoltà
nell’interpretazione delle frasi passive (così come di altre frasi a ordine non
canonico degli elementi). Particolare difficoltà presentano le frasi reversibili
come quelle in (1), in cui entrambi i sintagmi nominali possono fungere sia da
agente che da paziente dell’azione descritta dal verbo. Si confronti (1) con
(2):

(2)a. Il bambino spinge la bambina.


b. La bambina è spinta <la bambina> dal bambino.
|_____________________|

Nel caso delle frasi irreversibili come (3), invece, una delle due possibilità è
esclusa (v. (3c)) e dunque l’interpretazione risulta facilitata:

(3)a. Il bambino lava la macchina.


b. La macchina è lavata <la macchina> dal bambino.
|_____________________|

c. *La macchina lava il bambino.

A differenza di quelle attive, le frasi passive permettono di non


menzionare l’agente dell’azione, per cui accanto alle frasi in (1b)-(3b), sono
possibili anche le frasi corrispondenti senza complemento d’agente:

(4)a. Il bambino è spinto <il bambino>. |


_____________________|

b. La bambina è spinta <la bambina>. |


_____________________|

c. La macchina è lavata <la macchina>.


|_____________________|

Una particolarità dell’italiano è l’utilizzo di due ausiliari diversi per


costruire il passivo, essere e venire; la frase in (1b) è ad es. in variazione
libera con la seguente frase con venire: Il bambino viene spinto dalla
bambina. Venire è invece escluso nei tempi composti: Il bambino è stato /
*venuto spinto dalla bambina.

2.2. Il TCGB

Il TCGB è un test di comprensione che richiede al bambino di


interpretare una frase letta dallo sperimentatore scegliendo una figura tra
quattro. Esso contiene 76 stimoli che verificano la conoscenza di 8 diverse
strutture grammaticali dell’italiano: locative, flessionali, attive affermative,
attive negative, passive affermative, passive negative, relative, dative. Al fine
di costruire un test agevole e non troppo faticoso per i soggetti testati, per
ogni struttura sono presenti pochi item, rispettivamente 14, 16, 10, 6, 10, 6, 8,
6.

Qui analizzeremo gli item dedicati al passivo, che sono relativamente


numerosi, 16/76, il 21% dell’intero test: si tratta di 10 frasi passive affermative
e di 6 frasi passive negative. Questo numero apparentemente significativo in
realtà si riduce se si considera che nel TCGB vengono analizzati più sottotipi
di frasi passive.

Tra le 10 frasi passive affermative, le 6 frasi reversibili sono state


classificate in base al grado di probabilità dell’evento:

“probabile”: 52 La bambina è vestita dalla mamma; 67 La bambina è


pettinata dalla mamma;
“neutro”: 55 Il cane è tirato dall’uomo; 58 Il bambino è spinto dalla bambina;
“improbabile”: 61 La mamma è presa in braccio dal bambino; 71 Il cane è
morso dal bambino.

Le 4 frasi irreversibili sono invece classificate sulla base del tipo di verbo
usato:

verbi “di azione”: 40 La macchina è lavata dal bambino; 47 La mela è


mangiata dalla bambina; verbi “stativi”: 65 Il libro è letto dal bambino; 73 Il
film è visto dal bambino.3

3
Cipriani e Chilosi (2006:9, nota 4) motivano l’analisi di leggere come verbo
“stativo” sulla base del fatto che lo stato dell’oggetto del verbo non viene
modificato (non affected object), mentre con i verbi “di azione” come lavare e
mangiare l’azione modifica lo stato dell’oggetto (affected object). Sebbene
questo sia vero anche nel caso del verbo vedere, in realtà esistono
differenze importanti tra leggere e vedere, che non permettono di classificarli
come appartenenti alla stessa classe (Vendler 1957). Mentre vedere è
effettivamente un verbo stativo, leggere, come lavare e mangiare, è un verbo
che descrive un evento, dunque non-stativo. La differenza emerge
chiaramente in inglese, ad es. nell’uso della forma – ing e nella costruzione
media (v. Roberts 1987, Fagan 1992):

(i) a. I’m reading a book.

“Sto leggendo un libro.”


b. *I’m seeing her now/ I see her now, she’s just
coming along the road. “Ora la vedo, sta
arrivando lungo la strada.“ (ii) a. This book reads well.
“Questo libro si legge bene.” b. *The church
sees easily.
“La chiesa si vede bene.”

Come vedremo, la distinzione rilevante per il passivo è tra verbi di azione


come leggere, lavare e mangiare, che chiameremo “azionali” (v. ingl.
actional), e verbi stativi come vedere, che chiameremo Se si considerano le
6 frasi passive negative, si osserva che viene introdotta un’ulteriore variabile.
Oltre a due frasi reversibili (62 Il bambino non è spinto dalla bambina; 76 Il
cane non è rincorso dal gatto) e due irreversibili (63 La pipa non è fumata
dall’indiano; 66 La mela non è presa dalla bambina), in cui viene verificata la
comprensione di frasi in cui cambia l’oggetto dell’azione, si testano infatti
anche due frasi senza complemento d’agente, in cui si nega il compimento
dell’azione (irreversibili: 57 Il cestino non è stato svuotato; 59 Il pianoforte
non è suonato).

Come già detto, i limiti anche temporali posti dalla pratica clinica richiedono
test relativamente brevi e i cui risultati siano facilmente analizzabili. Nel
TCGB, ad es., viene assegnato un punteggio per ogni errore (0,5 se l’errore
viene corretto al secondo tentativo, 1,5 se l’errore viene ripetuto), cosicché
più alto è il numero di errori, più alto sarà il punteggio ottenuto. Come si
vede, la ripetizione dell’errore viene penalizzata con un punteggio
particolarmente alto.

2.3. Il test linguistico

Il test di comprensione del passivo che presentiamo qui è stato


elaborato da Driva e Terzi (2008) per il greco e adattato all’italiano da Verin
(2010). Il test consiste di 40 frasi passive, tutte reversibili, che testano in
maniera sistematica tre variabili significative dal punto di vista linguistico:

verbi azionali e non-azionali, presenza e assenza del complemento d’agente,


e tipo di ausiliare per la formazione del passivo, cioè essere o venire. La
seguente tabella illustra tutte le condizioni sperimentali utilizzate: 4

essere In quale foto Marco è spinto?


essere + In quale foto Marco è spinto da
Verbo
agente Sara?
azionale
Venire In quale foto Marco viene spinto?
venire + In quale foto Marco viene spinto da
agente Sara?

essere In quale foto Marco è visto?

essere + In quale foto Marco è visto da

Verbo agente Sara?

nonazionale Venire In quale foto Marco viene visto?

venire + In quale foto Marco viene visto da

agente Sara?

Tab. 1: Item sperimentali del test linguistico


Alcuni studi precedenti su altre lingue hanno mostrato che i bambini
sembrano cominciare con la comprensione di frasi passive senza
complemento d’agente (v. ad es. Horgan 1978; Harris e Flora 1982;
Marchmann et al. 1991; Hirsch e Wexler 2006; Rubin 2009) e contenenti
verbi azionali

(Maratsos et al. 1985).5 A queste due variabili è stata aggiunta nel test
italiano la scelta dell’ausiliare, una proprietà specifica dell’italiano, che a
differenza di altre lingue utilizza due ausiliari per la costruzione delle frasi
passive, essere o venire. Si noti che questa variabile non appare in nessuno
degli

“non-azionali” (ingl. non-actional). Il TCGB presenta dunque 3 verbi azionali e


1 solo verbo stativo/non-azionale.
4
Il test contiene anche 10 stimoli filler, in questo caso frasi attive
irreversibili, che verificano l’attenzione del soggetto testato durante la
somministrazione del test e riducono la complessità del test stesso. I soggetti
che rispondono in modo scorretto alle frasi filler vengono in genere eliminati
dalla valutazione dei risultati. Nessuno dei bambini da noi testati ha risposto
in maniera scorretta agli stimoli filler.
5
Questo ha portato all’ipotesi che il passivo fosse soggetto a
maturazione e disponibile ai bambini solo a partire dai 5 o 6 anni (Borer e
Wexler 1987). Altri studi hanno invece dimostrato che il passivo è compreso
e prodotto anche nelle prime fasi dell’acquisizione linguistica (v. tra gli altri,
Crain et al. 1987; Pinker et al. 1987; O’Brien et al. 2006; Bencini e Valian
2008; Messenger et al. 2009, 2012; Demuth et al. 2010; Volpato et al. 2013,
2014, 2015).
item sperimentali del TCGB.

I 40 stimoli sono presentati al computer con un Powerpoint e ciascuna


slide contiene tre foto, raffiguranti due personaggi coinvolti in varie azioni. La
figura 1 mostra un esempio di stimolo utilizzato per verificare la
comprensione delle frasi passive con il complemento d’agente. Tra le tre foto
il bambino deve scegliere quella che corrisponde alla domanda dello
sperimentatore: In quale foto

“Marco è/viene spinto da Sara”?, che contiene la frase passiva da testare. I


due distrattori raffigurano la stessa azione ma con i ruoli invertiti o la stessa
azione ma con un diverso agente:

Marco
Sara
spinge
spinge
Sara
Marco
ruoli
corretta
invertiti
La
mamma
spinge
Marco

cambio di
agente

Fig. 1: Esempio di stimolo per la comprensione delle frasi passive con compl.
d’agente

La figura 2 mostra invece un esempio di stimolo utilizzato per verificare


la comprensione delle frasi passive senza il complemento d’agente. Tra le tre
foto il bambino deve scegliere quella che corrisponde alla domanda: In quale
foto “Marco è/viene spinto”?. In questo caso i due distrattori raffigurano la
stessa azione ma con i ruoli invertiti o la stessa azione ma con un diverso
paziente: 10

Marco spinge la
Marco spinge Sara
mamma
ruoli invertiti
cambio di paziente

Sara spinge Marco

corretta

Fig. 2: Esempio di stimolo per la comprensione delle frasi passive senza


compl. d’agente

3. La competenza del passivo da parte di due gemelli sordi

Due gemelli italiani sordi dalla nascita, affetti da ipoacusia


neurosensoriale bilaterale di media entità diagnosticata all’età di 2;6 anni e
protesizzati con protesi acustiche convenzionali, sono stati testati in uno
studio longitudinale all’età di 7;9 e 9 anni (nel dicembre 2011 e nel marzo
2013). Ci riferiremo ai due bambini con le sigle SA e SB. 11 SA e SB sono stati
testati individualmente in modalità orale in entrambe le sessioni, nella loro
abitazione, in una stanza neutra e senza alcun tipo di distrazione.

10
Nella somministrazione del test, una sezione introduttiva precedeva la parte sperimentale e
consisteva nella presentazione dei personaggi (Marco, Sara, la mamma e il papà) e nella
presentazione dei verbi utilizzati per costruire gli stimoli.
11
I due bambini hanno un QI nella norma e non mostrano altre disabilità associate. Sono nati da
genitori udenti e nella loro famiglia non sono stati riscontrati altri casi di sordità o disturbi di
linguaggio. Non conoscono la lingua dei segni italiana. Dai 3;0 ai 7;0 anni hanno svolto sedute di
logopedia ininterrottamente e regolarmente, due volte alla settimana. Al momento dei test, i cicli di
logopedia erano stati interrotti.
I due bambini sono stati sottoposti sia al TCGB sia al test linguistico,
per verificare da una parte la loro competenza linguistica generale in italiano
e dall’altra la loro conoscenza specifica della struttura passiva. La scelta di
questo tipo di frasi è motivata da due considerazioni: da una parte non ci
sono a nostra conoscenza studi specifici su questa struttura nei bambini sordi
italiani, sebbene molti lavori precedenti riportino le difficoltà che i sordi
riscontrano con il passivo;12 dall’altra la maggior parte delle risposte sbagliate
che i due bambini hanno fornito nel TCGB riguardano proprio le frasi passive.
Questo è particolarmente evidente in SB, che all’età di 7;9 anni ottiene sulle
frasi passive ben 6,5 punti su un punteggio totale di 8. Le frasi passive
risultano particolarmente deficitarie anche in SA, che a 7;9 anni totalizza 3
punti su 7:13

Struttura
Punteggio di errore
grammatical
2011, 7;9 2013, 9;0
anni anni
Frasi passive
SA 2,5 1
affirmative
Frasi passive
0,5 1
negative
Totale test 7 3,5
12
Si veda Baldo et al. (1990), Caselli et al. (1997), Bignoni et al. (2003), Chesi (2006), Bertone e
Volpato (2009), Bertone et al. (2011), Rizzetto (2012), Vacca (2012), Vivaldi (2015). Per studi
specifici sui sordi anglofoni, si veda Schmitt (1969), Power (1971), Wilbur (1977), Quigley, Power
e Steinkamp (1977), Gormley e McGill-Franzen (1980), King e Quigley (1980), LoMaglio e
Robinson
(1985), Strong (1988), Norbury et al (2002). Per l’ebraico, si veda Friedmann e Szterman (2006),
per il giapponese Fujiyoshi et al. (2012).
13
Un risultato simile è ottenuto anche da Bertone et al. (2011), che hanno testato con il TCGB la
competenza in italiano di 6 sordi segnanti con sordità profonda e severa di età compresa tra i 15;5 e
i 17;6 anni: la maggior parte degli errori si è concentrata nelle frasi passive e la differenza tra le
frasi passive e tutte le altre stutture analizzate nel test è risultata significativa statisticamente (Test
di Wilcoxon), v. Bertone et al. (2011:95).
Frasi passive
4,5 0,5
affirmative
SB Frasi passive
2 0,5
negative
Totale test 8 3
Tab. 2: Punteggio di errore nel TCGB

Considerando solo le risposte sul passivo, nelle frasi passive


affermative, all’età anagrafica (EA) di 7;9 anni, SA mostra un’età linguistica di
circa 5;6 anni, mentre SB di circa 5 anni, inferiore quindi a quella ottenuta in
generale nel TCGB. Sulla base dei dati normativi del TCGB, nel 2011, la
performance generale di SA era infatti comparabile a quella di bambini di 6;6
anni di età, mentre quella di SB corrispondeva a bambini di 6-6;6 anni
(Franceschini 2013). Nelle frasi passive negative, nel 2011, SA mostra una
performance comparabile a quella di bambini normoudenti coetanei, mentre
SB mostra un’età linguistica di circa 6;6 anni.

Questi risultati confermano che si possono riscontrare difficoltà


grammaticali anche nella sordità lieve e media. Si veda lo studio di Delage e
Tuller (2007) su 19 adolescenti francesi di età 11 - 15 anni (con grado di
perdita uditiva tra i 21 e i 70 decibel), che riporta anche una rassegna molto
dettagliata della letteratura sull’argomento. Molto spesso le difficoltà
linguistiche di questi soggetti sono dovute a diagnosi tardive e dunque a
interventi riabilitativi non sufficientemente precoci. A differenza di Delage e
Tuller (2007), che studiano la competenza linguistica di adolescenti, il
confronto tra i due momenti dello studio longitudinale mostra che i due
bambini sordi del nostro studio sono ancora in fase di acquisizione della
lingua. Nel 2013, all’età anagrafica (EA) di 9 anni, si è osservato un netto
miglioramento nelle abilità linguistiche generali: SA mostrava un’età
linguistica (EL) pari a bambini di 7;9 anni, mentre SB pari a bambini di circa 8
anni (Franceschini 2013).

Confrontiamo ora il numero di risposte corrette di SA e SB con quelle di


bambini udenti la cui performance è adeguata per la loro età (in cui, quindi
età anagrafica ed età linguistica corrispondono), U9 e U10 di 6;6 e 6;7 anni
rispettivamente e U11 e U12 di 7;5 e 7;2 anni rispettivamente (v. Bertone et
al. 2011:93). I gemelli sordi danno un numero di risposte più basso nelle frasi
passive rispetto ai bambini udenti in particolare alla prima somministrazione,
nel 2011:

Struttura Soggetti
grammaticale
SA, SB, U9 U10 SA, SB, U11 U12
2011 2011 6;6 6;7 2013 2013 7;5 7;2
EA 7;9 EA 7;9 EA 9;0 EA 9;0
EL 6;6 EL 6- EL 7;9 EL 8;0
6;6
Passive 7/10 5/10 10/1 9/10 8/10 9/10 10/10 9/10
affermative 0
Passive negative 5/6 4/6 5/6 6/6 5/6 4/6 4/6 6/6
Tab. 3: Risposte corrette fornite dai due gemelli sordi e da bambini udenti

L’analisi qualitativa delle risposte fornite dai due bambini sordi nelle
frasi passive affermative ci informa che:

- SA sbaglia a 7;9 anni una passiva irreversibile (40 La macchina è


lavata dal bambino) e due reversibili, di cui una probabile (67 La bambina è
pettinata dalla mamma) e una improbabile (71 Il cane è morso dal bambino),
e a 9 anni due reversibili, di cui una neutra (58 Il bambino è spinto dalla
bambina) e una improbabile (71 Il cane è morso dal bambino);

- SB sbaglia a 7;9 anni cinque passive reversibili, di cui due probabili (52
La bambina è vestita dalla mamma; 67 La bambina è pettinata dalla
mamma), due neutre (55 Il cane è tirato dall’uomo; 58 Il bambino è spinto
dalla bambina) e una improbabile (61 La mamma è presa in braccio dal
bambino), e a 9 anni una sola reversibile probabile (52 La bambina è vestita
dalla mamma).

Le frasi passive negative danno risultati leggermente diversi:

a 7;9 anni, SA sbaglia una sola frase reversibile (62 Il bambino non è spinto
dalla bambina), a 9 anni la stessa frase reversibile e una senza agente (57 Il
cestino non è stato svuotato); a 7;9 anni SB sbaglia una passiva reversibile
(62 Il bambino non è spinto dalla bambina) e una irreversibile (66 La mela
non è presa dalla bambina), errore quest’ultimo che viene ripetuto anche a 9
anni.

Il dato interessante è che i due bambini sordi sbagliano soprattutto


nelle frasi reversibili probabili e sbagliano scambiando i ruoli dei due
personaggi rispetto al verbo. Ciò significa che il problema è di natura
prettamente linguistica, vale a dire che gli elementi morfosintattici che
caratterizzano la struttura passiva vengono ignorati e la frase passiva viene
letta come fosse una frase attiva.

Nel test linguistico, le risposte corrette dei due bambini sordi sono
presentate nelle tabelle seguenti (si veda anche Franceschini e Volpato
2014, 2015):

SA Compl. V V azionale V non- V non- media


d’agente azionale venire azionale azionale %
essere essere venire
2011 present 5/6 83% 4/6 66,7% 0/4 0% 1/4 25% 43,67
7;9 e
assente 6/6 100% 6/6 100% 2/4 50% 1/4 25% 68,75
2013 present 6/6 100% 5/6 83% 3/4 75% 3/4 75% 83,25
9;0 e
assente 6/6 100% 6/6 100% 2/4 50% 2/4 50% 75
Tab. 4: Numero e % di risposte corrette del soggetto SA

SB Compl. V azionale V azionale V non- V non media


d’agente essere venire azionale azionale %
essere venire
201 presente 4/6 66,7% 4/6 66,7 1/4 25% 0/4 0% 39,6
1 %
7;9 assente 6/6 100% 5/6 83% 1/4 25% 1/4 25% 58,25
201 presente 6/6 100% 6/6 100% 2/4 50% 3/4 75% 81,25
3 assente 6/6 100% 6/6 100% 3/4 75% 3/4 75% 87,5
9;0
Tab. 5: Numero e % di risposte corrette del soggetto SB

I dati rivelano una discreta comprensione del passivo da parte dei due
gemelli sordi, in particolare se il verbo è azionale, se manca il complemento
d’agente, e se l’ausiliare è essere.

Confrontando i loro risultati con quelli di bambini udenti (75 bambini di età
compresa tra 3;4 e 6;2, Volpato et al. 2013, 2015), si osserva che alla prima
somministrazione, SA e SB sono comparabili con bambini anagraficamente
più piccoli (di età 3;4-3;11 e 4;0-4;8), mentre alla seconda somministrazione
le percentuali aumentano notevolmente, raggiungendo ottimi livelli con i verbi
azionali, mentre con i verbi non-azionali le risposte sono ancora basse (v.
Franceschini e Volpato 2014, 2015).

Si osservi che alla prima somministrazione, nel 2011, i risultati sul


passivo ottenuti nel test linguistico forniscono un’età linguistica più bassa del
risultato generale ottenuto nel TCGB: come detto sopra, all’età di 7;9 anni, la
performance generale di SA era comparabile a quella di bambini di 6;6 anni
di età, mentre quella di SB corrispondeva a bambini di 6-6;6 anni. Ma come
abbiamo già notato, nelle risposte al TCGB le frasi passive risultano
particolarmente compromesse e dunque non vi è contraddizione tra i risultati
del TCGB sulle frasi passive e i risultati ottenuti nel test specifico.

Passando all’analisi qualitativa degli errori, si osserva che praticamente


in tutti i casi, i due bambini scelgono la foto in cui i ruoli dei due personaggi
raffigurati sono scambiati, confermando i risultati ottenuti nel TCGB e
mostrando che l’errore principale risiede nell’interpretazione della frase
passiva come attiva.

4. Discussione

Abbiamo visto che i risultati del TCGB e quelli del test linguistico sono
molto simili. I due bambini sordi presentano un deficit nell’interpretazione del
passivo e la loro performance in questa struttura è peggiore che in altri tipi di
frase, come già riscontrato in uno studio su adolescenti sordi italiani (Bertone
et al. 2011, v. nota 9).14

Nell’interpretazione delle frasi passive reversibili, i bambini sordi


sbagliano scambiando i ruoli dei due personaggi rispetto al verbo. Ciò
significa che il problema è di natura prettamente linguistica, vale a dire che gli
14
Franceschini e Volpato (2014), (2015) presentano anche i dati relativi ad un esperimento di
produzione elicitata delle frasi passive. I due bambini sordi non producono mai frasi passive ma
molte strategie alternative, ad es. frasi attive con pronome clitico e frasi attive con ordine SVO
trovate anche
elementi morfosintattici che caratterizzano la struttura passiva vengono
ignorati e la frase passiva viene letta come fosse una frase attiva. Non si
tratta di un risultato sorprendente. Negli studi precedenti citati sopra, questa
osservazione ricorre costantemente. Si osservi che questa strategia è
comune anche nei bambini udenti a sviluppo tipico, ma ciò che si riscontra
nei sordi è che essa permane anche fino all’adolescenza (King e Quigley
1980, Bertone et al. 2011). Come abbiamo visto nel paragrafo 2.1, le
difficoltà con la struttura passiva derivano dal fatto che essa presenta un
ordine non canonico degli elementi.

I risultati ottenuti ci spingono ad almeno due prime riflessioni rilevanti


per la costruzione di un test clinico di valutazione del linguaggio.

Da una parte, sembra inutile inserire in un test clinico frasi passive


irreversibili. Una risposta corretta a stimoli contenenti questo tipo di frasi
potrebbe essere semplicemente dovuta alla conoscenza del mondo e non
necessariamente alla competenza della struttura passiva. Frasi di questo tipo
potrebbero essere appropriate in un test che intenda verificare le conoscenze
del mondo di bambini sordi, che sono spesso inferiori a quelle dei bambini
udenti (Furth 1971). Ci sembrano invece inutili in un test che intende
verificare la competenza linguistica. Questo tipo di frasi, inserite nel TCGB in
6 stimoli, danno origine a due soli errori e la risposta che viene fornita in
questi casi è di tipo diverso rispetto agli errori verificatisi nelle frasi
reversibili:11

- la frase passiva affermativa irreversibile che SA sbaglia a 7;9 anni (40


La macchina è lavata dal bambino) viene letta come “la macchina parte”;12
- la frase passiva negativa irreversibile, che SB sbaglia sia a 7;9 anni
che a 9 anni (66 La mela non è presa dalla bambina), viene interpretata
scegliendo la prima volta la figura in cui la bambina prende la mela
(ignorando dunque la negazione, ma interpretando correttamente il passivo)
e la seconda volta la figura in cui la bambina sta per afferrare la mela
(commettendo dunque un errore di tempo verbale, ma di nuovo interpretando
correttamente il passivo).
Dall’altra, vale la pena chiedersi se sia opportuno inserire in un test
clinico frasi reversibili improbabili. Il TCGB ne contiene due e i due bambini
sordi sbagliano ciascuno in una:

- SA sbaglia nello stimolo 71 Il cane è morso dal bambino sia a 7;9 anni
che a 9 anni; - SB sbaglia nello stimolo 61 La mamma è presa in braccio dal
bambino a 7;9 anni.

Qui è la conoscenza del mondo che può aver tratto in inganno il


bambino: è più probabile che sia il cane a mordere il bambino, o la mamma a
prendere in braccio il bambino che non viceversa, tanto che i sordi possono
sbagliare anche nella versione attiva di frasi di questo tipo. In risposta allo
stimolo 34 Il bambino imbocca la mamma, alcuni degli adolescenti sordi
testati in Bertone et al. (2011) hanno scelto la figura in basso a sinistra,
corrispondente all’evento ben più probabile descritto nella frase La mamma
imbocca il bambino, piuttosto che la risposta corretta in alto a destra:

nelle risposte di 75 bambini udenti in età prescolare, di età compresa tra i 3;5
e i 6;2 anni (Volpato et al. 2014, 2015). I bambini sordi danno anche altre
risposte: SA produce a 9 anni una certa percentuale di frasi agrammaticali
(4%), mai prodotte dai bambini udenti, e SB produce una altissima
percentuale di frasi che descrivono la posizione dei personaggi nelle foto o i
propri commenti sulle foto (83% e 100% rispettivamente all’età di 7;9 e 9
anni), prodotte in misura molto minore dai bambini udenti.
11
Va osservato che nessuna delle figure corrispondenti a questi stimoli
contiene il distrattore grammaticale in cui una macchina robot lava il bambino
o una mela robot prende la bambina, che renderebbe queste frasi reversibili.
12
In realtà l’immagine mostra una macchina che passando sopra una
pozzanghera bagna il bambino. L’immagine probabilmente non è
chiarissima. Si potrebbe anche ipotizzare che la frase venga interpretata
come se fosse una frase attiva.

Fig. 3: Item del TCGB n. 34 Il bambino imbocca la mamma

Sebbene anche le frasi attive possono mettere in difficoltà bambini e ragazzi


sordi (Bignoni et al. 2003,

Bertone et al. 2011), si osservi che in questo caso neanche la strategia


dell’ordine lineare, utilizzata nell’interpretazione di altri stimoli del test
(Bertone et al. 2011:100-101), sembra guidare i ragazzi verso
l’interpretazione corretta della frase.

Frasi passive improbabili ci sembrano dunque inutilmente complesse e


sebbene un eventuale errore in queste frasi dimostri effettivamente la
mancata competenza della struttura passiva, esso potrebbe essere dovuto
anche a strategie extralinguistiche indipendenti, fuorvianti invece che di aiuto
per la comprensione corretta dello stimolo.

Eliminando i 6 stimoli irreversibili e i 2 reversibili improbabili, le frasi passive


del TCGB si dimezzano, il che permetterebbe di aggiungere altri tipi di frasi
passive. Nella costruzione di un test clinico, potrebbe infatti essere utile
inserire frasi contenenti altre variabili linguisticamente rilevanti, come emerso
dalla ricerca linguistica e dai risultati del test linguistico.

Sarebbe in primo luogo opportuno inserire stimoli senza il complemento


d’agente. Nel TCGB se ne trovano solo 2, tra le frasi passive negative.
Mentre la competenza della negazione può essere verificata semplicemente
con frasi attive, risulta opportuno testare la conoscenza di frasi passive senza
il complemento d’agente, per almeno due ragioni. In primo luogo, perché una
delle funzioni del passivo è proprio quella di permettere l’omissione
dell’agente e dunque frasi senza agente sono relativamente frequenti nella
lingua; è dunque rilevante sapere come esse vengono interpretate da
bambini e adolescenti con difficoltà di comprensione. In secondo luogo,
perché frasi passive senza il complemento d’agente sono risultate
problematiche in alcuni esperimenti sull’inglese (Power e Quigley 1973,
LoMaglio e Robinson 1985). Sebbene i due gemelli sordi testati dimostrino
una performance leggermente migliore nelle frasi passive senza
complemento d’agente, come nei bambini udenti più piccoli, è opportuno
inserire un numero congruo di queste frasi per valutarne l’effettiva
comprensione.

Sarebbe inoltre opportuno inserire stimoli contenenti l’ausiliare venire,


di cui i due gemelli sordi, a differenza dei bambini udenti, sembrano avere
una competenza minore rispetto all’ausiliare essere.15 Ciò è presumibilmente
dovuto al fatto che venire presenta anche un uso lessicale e alla nota
difficoltà dei sordi con le parole ambigue. Trattandosi di una proprietà
specifica dell’italiano, la verifica della comprensione di frasi passive con
venire risulta ancora più impellente nel caso di bambini o adulti stranieri.

15
I bambini udenti in età prescolare prediligono l’ausiliare venire, nella media del 76%, anche nella
produzione elicitata di frasi passive (Volpato et al. 2014, 2015). In un esperimento di priming,
l’ausiliare venire è stato prodotto anche quando lo stimolo conteneva essere (Manetti 2013).
Veniamo infine alle frasi contenenti verbi non-azionali. Il TCGB, come
abbiamo detto, ne prevede solo 1, l’item 73 contenente vedere (v. nota 3).
Entrambi i bambini sordi hanno risposto correttamente a questo unico
stimolo. Nel test linguistico, che conteneva 16 stimoli con 4 verbi nonazionali
(amare, annusare, sentire, vedere), i risultati sono stati invece relativamente
problematici. La discussione sulla competenza infantile di questi verbi è
molto accesa e ci sono autori, come Demuth et al. (2010) e Messenger et al.
(2009), (2012) che ritengono che nei compiti di abbinamento fraseimmagine,
i risultati sui verbi non-azionali siano un artefatto del disegno sperimentale,
dovuto alla rappresentazione difficoltosa dei verbi non-azionali. Messenger et
al. (2009) hanno trovato che, se si usa un test di abbinamento frase-
immagine, risultano difficili da interpretare perfino le frasi attive contenenti
verbi non-azionali, mentre gli effetti legati al tipo di verbo scompaiono se si
usa un compito di priming. Date queste considerazioni, che riguardano i
bambini a sviluppo tipico, è probabilmente opportuno non inserire questa
classe di verbi in un test clinico se la modalità utilizzata è quella
dell’abbinamento frase-immagine.

Un’ultima osservazione riguarda il numero di distrattori da utilizzare: il TCGB


ne contiene 3, il test linguistico solo 2. Riteniamo che la scelta tra 4 figure
potrebbe risultare inutilmente complessa se la scelta tra 3 figure può già dare
risultati affidabili. La necessità di raffigurare più distrattori può anche più
facilmente indurre in errore chi prepara il test e dunque la scelta di soli 2
distrattori può essere preferita anche per minimizzare questo tipo di errori
nella costruzione del test. Riteniamo invece che un test contenente solo 2
immagini tra cui scegliere (come ad es. in Friedmann e Szterman 2006)
possa rivelarsi non affidabile dal momento che le risposte potrebbero essere
il frutto di una scelta casuale.

Infine, una breve riflessione sulle potenzialità di questi risultati in ambito


educativo. Va osservato che spesso i bambini con sviluppo atipico vengono
esposti a stimoli semplificati allo scopo di migliorare la loro comprensione dei
testi, in particolare scritti. Piuttosto che evitare le strutture linguistiche
complesse come quelle passive, sarebbe invece auspicabile un intervento
mirato all’uso di queste strutture, frequenti in particolare nella lingua scritta
e/o specialistica. Come è stato dimostrato (ad es. da Gormley e McGill-
Franzen 1980), la comprensione delle frasi complesse come quelle passive
migliora se vengono analizzate non in isolamento ma inserite in un testo. È
dunque possibile progettare un lavoro linguistico su queste strutture
complesse all’interno dei testi (Trovato 2014), focalizzando l’attenzione sulle
numerose variabili linguistiche che abbiamo discusso nei paragrafi precedenti
e che caratterizzano questa struttura sintattica.

5. Conclusioni

L’analisi comparativa delle risposte di due bambini sordi negli item


passivi del test TCGB e nel test linguistico sul passivo ha mostrato molte
similitudini nei risultati. Il passivo risulta particolarmente complicato per i due
bambini sordi, che mostrano un comportamento inferiore rispetto sia alla loro
età anagrafica sia all’età linguistica generale individuata tramite il TCGB. In
particolare, la maggior parte degli errori dei due bambini si concentra nelle
frasi reversibili e la scelta più frequente ricade sull’immagine in cui i ruoli
tematici sono invertiti.

L’analisi puntuale dei risultati ha reso possibile l’individuazione di alcuni


aspetti da considerare nell’elaborazione di materiali atti a valutare la
competenza linguistica di questa struttura sintattica in soggetti con deficit
linguistico:

- dati i fattori extralinguistici in gioco nell’interpretazione di frasi passive


irreversibili e di frasi passive con evento improbabile, queste frasi potrebbero
essere eliminate da un test clinico che miri a verificare la competenza
linguistica;
- per rendere il test adeguato agli scopi, è necessario valutare con
attenzione le variabili linguistiche rilevanti ai fini di un’adeguata valutazione
linguistica, in particolare la comprensione di frasi passive costruite con
l’ausiliare venire e di frasi passive senza complemento d’agente;
- data la difficoltà documentata in diversi studi nell’interpretazione dei
verbi non-azionali, è auspicabile escludere questa classe di verbi dalla
batteria di stimoli;
- anche il numero e il tipo di distrattori da includere in ciascuno stimolo
vanno considerati attentamente per evitare di affaticare inutilmente i soggetti
o di inserire variabili che non forniscono informazioni utili all’analisi del tipo di
deficit.
Infine, i test dovrebbero contenere un numero congruo di frasi dello
stesso tipo, per permettere analisi statistiche affidabili. Potrebbe anche
essere utile affiancare a test che valutano la competenza linguistica
generale, test mirati su singole costruzioni sintattiche particolarmente
complesse.

Ci auguriamo che queste riflessioni, guidate dalla ricerca linguistica,


possano risultare utili da un lato per gli operatori del settore sanitario, ai fini
sia della preparazione dei test di valutazione linguistica che della
progettazione di percorsi di riabilitazione, e dall’altro per gli insegnanti che si
trovano a dover sviluppare percorsi educativi per bambini, adolescenti o
adulti sordi, italiani o stranieri.

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LA PROGETTAZIONE SOCIALE: la ludoteca l’Albero Segnante di Alia


Cooperativa come esperienza pilota nella progettazione dei servizi per
la disabilità

- convegno educazione, comunicazione e lingua dei segni italiana -

Bertinotti Tommaso16

Introduzione

Ho pensato di portare questo breve contributo perché spesso si parla (e si


scrive) di interventi nei confronti delle cosiddette disabilità da un punto di vista
“clinico” (quindi di intervento operativo nei confronti dell’utenza) mentre è

16
Tommaso Bertinotti, vice Presidente di Alia società cooperativa sociale è psicologo e progettista sociale
difficile trovare letteratura rispetto al “dietro le quinte” ovvero la progettazione
che rende possibile l’erogazione di quei servizi che sono poi a disposizione
delle persone e delle famiglie.

Questa poca attenzione nasce, a parere mio, da due ordini di ragioni: da un


lato la progettazione è un argomento complesso e che solo di recente ha
visto il tentativo di una codificazione condivisa fra professionisti del terzo
settore grazie soprattutto alla standardiddazione dei metodi imposti degli enti
erogatori di fondi. Dall’altro perchè in ambito sociale spesso mancano (o si ha
la percezione che manchino) le risorse e le professionalità che possono
spingere enti non profit a investire seriamente nella progettazione.

Questo contributo vuole quindi illustrare la storia di un servizio pilota per


bambini e ragazzi sordi non dal punto di vista dell’utenza, delle attività e dei
risultati, ma dal punto di vista del processo che ne ha reso possibile
l'ideazione, la realizzazione e la replica. Per fare ciò racconterò la storia della
Ludoteca l’Albero Segnante di Alia società cooperativa sociale per arrivare
poi a codificare i passaggi e le prassi che hanno reso possibile l'erogazione di
questo servizio.

Durante il testo si incontreranno delle parole scritte in neretto: contrariamente


alla prassi editoriale, tale artifizio grafico non serve a dar risalto alla parola,
ma serve al lettore, e a chi scrive, per individuare tutti quegli elementi che
verranno poi richiamati nell’analisi del testo dal punto di vista della
progettazione.

Cos’è la progettazione sociale?

Negli ultimi anni si è assistito ad una crescita di interesse verso la


progettazione, anche nell’ambito del terzo settore, nonostante rimanga una
disciplina molto varia nelle metodologie e spesso lasciata alla libera
interpretazione (teorica e metodologica) dei singoli professionisti. Tant’è che
esistono diverse definizioni e concettualizzazioni della progettazione sociale.
In linea generale mi piace concepire la progettazione come l'attività promossa
dal progettista, che è alla base della costruzione/realizzazione di qualsiasi
oggetto complesso, sia esso materiale o soltanto concettuale attraverso la
stesura di un progetto.
È un processo che, a partire da norme tecniche, calcoli, specifiche e disegni,
perviene alla definizione dei dettami, linee guida e specifiche necessarie alla
produzione/realizzazione di un manufatto, un edificio, un componente, un
apparato, o in generale di un prodotto o un servizio […] riassunte all'interno di
un progetto.
In senso più esteso, per progettazione si intende l'insieme delle fasi di
pianificazione e programmazione di un insieme di attività che porteranno a un
risultato atteso, il quale potrà essere raggiunto in maniera totale, parziale o
anche essere mancato. In definitiva quindi quasi tutte le attività umane
ricorrono, più o meno efficacemente, a una progettazione cioè a mezzi,
strategie e azioni più opportune per raggiungere determinati fini. 17
Ho scelto di prendere la definizione di wikipedia in quanto, anche se meno
articolata e specifica di quella proposta dagli autori di settore (primo fra tutti
ad esempio Archibald) rende comunque l’idea del processo e dei contenuti
che definisce rimanendo maggiormente fruibile in un contesto divulgativo
composto da addetti ai lavori e non.

La definizione si presta come interessante per i seguenti aspetti:

- si trova indicato che “è una attività promossa dal progettista”: la rilevanza di


tale aspetti risiede nel fatto che va ad individuare un ruolo all’interno di una
organizzazione, il quale necessita di un determinato profilo di competenze a
differenza di uno spontaneismo improvvisato che spesso caratterizza l’agire
sociale;
17
www.wikipedia.it
- il prodotto finale può essere tanto materiale quanto concettuale: questo è
importante in quanto fino a qualche decennio fa la progettazione riguardava
soprattutto l’ambito profit e spesso rimandava a qualcosa di materiale (es:
progetto un ponte). Con l’ingresso della progettazione nel terzo settore viene
dato valore anche a un prodotto concettuale (es: progetto un servizio per
disabili);

- la definizione entra poi nel merito delle fasi (viene accennata la


pianificazione e la programmazione) il che da evidenza al fatto che la
progettazione non è qualcosa di statico che si conclude con la scrittura di un
progetto o di un bando ma è un processo per di più armonico e non una serie
di azioni slegate fra loro;

- infine si fa riferimento al risultato (atteso) che può essere raggiunto come


no. Tale aspetto è centrale in quanto indica il monitoraggio costante del
raggiungimento dello scopo e il fatto che il non raggiungerlo comporta una
nuova ri-progettazione.

Cos’è la ludoteca l’Albero Segnante?

A seguito di questa premessa, si entra ora nel merito della descrizione del
servizio, utile per la comprensione poi della sua storia.

La Ludoteca l'Albero Segnante è un servizio ideato, progettato e realizzato


dalla cooperativa Alia da più di un quindicennio presente nel territorio di
Padova con servizi rivolti a persone e famiglie in difficoltà 18.

Attualmente è uno spazio pomeridiano che accoglie bambini e ragazzi con


pluridisabilità, spesso sordi o comunque con difficoltà comunicative associate
a difficoltà cognitive e relazionali. Viene vissuto, da genitori, ragazzi,
operatori, personale dell’ambito socio sanitario come un luogo di incontro tra

18
www.aliacooperativa.it
persone, un’occasione di socializzazione, un momento di crescita attraverso il
gioco, l'interazione con gli altri, la scoperta di sé e dell'altro. Per i ragazzi si
tratta di momento in cui poter valorizzare le competenze e superare alcuni
limiti, nel rispetto della storia personale di ciascuno e della diversità che
caratterizza ognuno di noi.

Nella ludoteca la comunicazione diretta avviene attraverso la Lingua Italiana


Orale e la LIS (lingua dei segni italiana) in modo da insegnare ai ragazzi
l'utilizzo di diversi vocaboli e sperimentare insieme diverse forme
comunicative che possono poi condividere con i familiari. Un punto di forza
del servizio è che oltre all’uso della LIS vengono proposti anche linguaggi
visivo-gestuali costruiti ad-hoc in relazione alle capacità (specie motorie) e
competenze (specie interattive) di ciascun ragazzo.

In questo senso il servizio è stato concepito come qualcosa di innovativo dal


momento che sono rari in Italia esempi di servizi che utilizzano il bilinguismo
(lingua orale e lingua segnata).

Qual’è la storia della Ludoteca?

La ludoteca l’Albero Segnante nasce nel 2008 a Solesino, un paese nella


provincia di Padova.

Nasce dall’intuizione di un team di professionisti della cooperativa che, grazie


anche al lavoro come operatore della disabilità sensoriale della Provincia
(che in Veneto ha, o meglio aveva, delega nella gestione della disabilità)
colgono quella che è una esigenza del territorio e una carenza del welfare.
Nasce così la proposta di creare uno spazio volto all’accoglienza di bambini e
ragazzi con difficoltà cognitive, comportamentali, relazionali e/o comunicative,
con l'obiettivo di incrementare le loro competenze e capacità.
Inizialmente il servizio prevedeva l’integrazione di ragazzi sordi con ragazzi
udenti. Tale strategia ha visto l’ostacolo sia nella diffidenza da parte delle
famiglie udenti che la restrizione da parte delle famiglie dei bambini sordi
(molte ritengono infatti che i bambini sordi debbano stare con i sordi). Da un
punto di vista progettuale tale contingenza ha creato la necessità di rivedere
la strategia del bilinguismo (lingua orale e LIS) che è stato mantenuto nel
rapporto operatori-utenti ma non fra i beneficiari del servizio.

La bontà di tale intuizione ha trovato anche fondamento e interessamento a


livello istituzionale in quanto l’avvio della prima annualità di progetto è stato
possibile mediante un contributo economico del Comune di Monselice e
della Provincia di Padova. L’anno successivo il servizio ha ricevuto un
finanziamento dalla Cassa di Risparmio del Veneto.

Fermiamo un attimo qui la storia, cioè al punto zero, per cominciare a


comprendere quali sono stati gli elementi di progettazione fino ad ora
evidenziati e, come accennato nell’introduzione, sono stati posti nel testo in
neretto.

Il primo aspetto evidenziato riguarda l’elemento base della progettazione


ovvero l’analisi del contesto che ha permesso di cogliere una esigenza delle
famiglie (non tanto l’esigenza di un supporto extra scolastico quanto la
frequentazione di un luogo che permettesse ai loro figli di diventare
maggiormente autonomi) ed una lacuna dei welfare (sia nel pubblico che nel
privato non c’era disponibilità di servizi per sordi che utilizzassero il
bilinguismo come strumento per l’incremento dell’autonomia).

Un ulteriore elemento di analisi del contesto riguarda l’assetto normativo


perché è proprio in quegli anni che si è cominciato a parlare di abolizione
delle Provincie fino ad arrivare nel 2014 all’approvazione della Legge n. 56 (la
cosiddetta Legge Delrio). Tale riforma ha visto un impatto sui servizi per la
disabilità nella misura in cui si è assistito ad una sempre più graduale perdita
di competenze da parte delle Provincie che ha necessariamente comportato
una riformulazione (spesso intesa come riduzione) nell’erogazione dei servizi
pubblici per i cittadini.

Si è anche sottolineato il carattere innovativo del servizio, aspetto reso


possibile a fronte di una analisi condotta rispetto ai servizi presenti fino a quel
momento nel territorio. Al momento dell’avvio della prima annualità della
Ludoteca infatti c’era qualche servizio che si muoveva nell’ottica del
bilinguismo ma non esistevano servizi che adottassero più linguaggi visivi e
segnati calibrati sulle abilità dei diversi utenti al fine di farli comunicare tra
loro.

Il successivo elemento di progettazione evidenziato riguarda la definizione di


un obiettivo preciso del servizio, aspetto imprescindibile nella sua erogazione.
La Ludoteca si è posta un obiettivo ambizioso ovvero quello di lavorare
sull’aumento di competenze e non “solo” sull’ ”intrattenimento” dei ragazzi.
Tale obiettivo, oltre che misurabile (come vedremo), è stato anche
apprezzato dalle famiglie, dalle istituzioni e dai media in quanto innovativo e
in quanto andava a cogliere proprio quello di cui i diversi attori del contesto
necessitavano.

L'ultimo elemento individuato riguarda gli aspetti economici e finanziari.


Anche questo è un ingrediente indispensabile nella progettazione: sebbene
non sia indispensabile avere un contributo economico per erogare un servizio
(come si vedrà meglio in seguito) è comunque indispensabile per il
progettista considerare tutti gli aspetti economici legati alla formulazione di
una idea progettuale.

Proseguiamo ora con la storia della Ludoteca sempre col fine di delineare i
passaggi di progettazione che ne hanno resa possibile la realizzazione.
Dal 2012 il servizio viene trasferito a Padova. Tale aspetto porta elementi di
progettazione utili in quanto la scelta è stata fatta per due ordini di ragioni: da
un lato, ancora una volta, si è posta attenzione all’analisi del contesto e si è
rilevato come, per le nuove famiglie beneficiarie del servizio, fosse più facile
accompagnare i figli a Padova piuttosto che nella provincia. Il secondo
elemento di progettazione è dato dal fatto che, essendosi esaurita l’annualità
coperta dal finanziamento, non si poteva più fare affidamento su una risorsa
economica importante che aveva, fino a quel momento, reso possibile
l’esistenza del servizio.

Quest'ultimo aspetto è capitato in concomitanza di un altro cambiamento


normativo dovuto alla Legge finanziaria 2008 (comma 6, art. 3 L. n.
244/2007), la quale ha obbligato le organizzazioni del terzo settore a rendere
espliciti (attraverso una rendicontazione separata) i progetti per i quali viene
destinato il 5x1000.

Tutto ciò ha implicato una completa rivisitazione delle strategie: da un


finanziamento esauritosi e da un cambiamento normativo si è arrivati a
valutare di utilizzare fondi propri della cooperativa (il 5x1000 appunto) per
sostenere il progetto della Ludoteca L'Albero Segnante.

Come è noto a chi opera in ambito sociale, non sempre il 5x1000 è una quota
sostanziosa, specie per le piccole realtà. Da qui la necessità di integrare tale
scelta strategica con una ricerca di partner che potessero, in diversi modi,
contribuire a sostenere il progetto19.

Si è quindi pianificata la fase di ricerca partner che ha visto la costruzione di


una rete con un ente di Padova che ha concesso in usufrutto gratuito i propri
locali contribuendo con un bene, anzichè con un contributo economico, alla
possibilità di mantenere il servizio. La costruzione della rete ha visto
19
In ambito progettuale si definiscono stakeholder tutti coloro che sono portatori di interesse rispetto al progetto
o alla mission dell’azienda
inizialmente anche l’appoggio simbolico della Provincia di Padova, dell'Ordine
degli psicologi della Regione Veneto e dell'ENS (Ente Nazionale Sordi). La
forza di tale rete ha permesso di costruire legittimazione nel territorio tanto
che alla cooperativa è stato chiesto dall’Ente Nazionale Ville Venete di
presentare le attività del servizio all’interno di una manifestazione sulla
disabilità tenutasi a Villa Venier Contarini nel maggio 2012.

Questa acquisizione di visibilità (anche mediatica), insieme alla continua


ricerca di stackeholder, hanno portato poi all’individuazione di un ulteriore
partner che, appassionatosi al progetto, negli ultimi due anni ha contribuito,
anche economicamente, alla sua prosecuzione.

Un altro elemento indispensabile di progettazione è stata la redazione di un


report di valutazione dell’efficacia alla fine di ogni annualità e non solo di
quella che ha visto il finanziamento (che lo richiedeva), reso pubblico ad ogni
partner. Questo è stato utile e delinea un altro elemento strategico nella
progettazione (oltre che eticamente corretto) in quanto si sono sempre resi
pubblici gli obiettivi raggiunti. Inoltre, la redazione della reportistica necessita
di una analisi che faccia riferimento agli obiettivi posti a inizio intervento e di
conseguenza, necessita l’individuazione di indicatori (in termini tecnici definiti
IOV – Indicatori Oggettivamente Verificabili) 20.

Tale materiale, come si diceva, è stato consegnato ai partner sotto forma di


report e ai genitori dei ragazzi (altri portatori di interessi nei confronti del
servizio) sotto forma di video in cui si mostravano le attività svolte durante
l’anno.

La costruzione di una partnership con diversi enti ha permesso al servizio di


avere una certa risonanza mediatica, tanto che è possibile trovare in rete e
sul sito www.aliacooperativa.it alcuni articoli di giornale sul servizio.

20
Nella terminologia tecnica gli obiettivi vengono definiti SMART (Specific-Measurable-Achievable-Realistic-Timed
ovvero Specifici, Misurabili, raggiungibili, realistici e pianificati nel tempo)
Riassumendo quindi i passaggi che hanno possibile l’esistenza ad oggi del
progetto (nel tempo divenuto servizio), coerentemente anche questi con i
dettami della progettazione sociale sono:

- una accurata analisi del contesto sia dal punto di vista delle esigenze del
territorio (esigenza dei ragazzi, delle famiglie, dei servizi già a disposizione)
che dei cambiamenti normativi (riforma delle Provincie con la Legge Delrio,
riforma del terzo settore);

- la definizione precisa, chiara e condivisa di obiettivi, finalità e risultati che


si vogliono raggiungere: nella ludoteca l’Albero Segnante è stato posto come
obiettivo quello di far incrementare le competenze comunicative e relazionale
dei ragazzi. Da questo si sono poi declinati gli obiettivi specifici per ciascuna
area di intervento ognuna relativa ad una specifica competenza. A fronte di
queste si sono definiti gli IOV e gli strumenti di rilevazione sulle quali fondare
la valutazione dell’efficacia (ad es: numero di vocaboli appresi in un mese
rilevati mediante l’osservazione diretta e registrati in protocolli di ricerca-
intervento);
- definizione del piano delle attività: quello che in questa sede è stato
proposto come racconto della storia della ludoteca, da un punto di vista
progettuale ha visto l’utilizzo di tutto una serie di strumenti utili, se non
indispensabili a pianificare le diverse fasi del progetto. Ad esempio si è
costruita una WBS (Work Breakdown Structure) che permettesse la
scomposizione a diversi livelli delle fasi di lavoro in singole azioni (ad
esempio la fase “stackholder” vedeva azioni specifiche come la ricerca dei
portatori di interesse, il contatto con loro, la stesura di materiale ad hoc di
presentazione del servizio etc) e del Gantt, un diagramma utile alla
pianificazione temporale delle attività che pone tutte le azioni individuate nella
WBS in relazione fra loro, indicando anche il ruolo dedicato a gestirlo e le
tempistiche;
- definizione delle risorse del progetto: un esempio banale, ma
indispensabile di tale aspetto è stata la codificazione (definizione e
formazione) di un organigramma di gestione sia del progetto stesso (che ha
visto necessariamente l’utilizzo di ruoli decisionali e gestionali della
cooperativa come ad esempio il Consiglio di Amministrazione) sia del servizio
(definizione di una equipe educativa che soddisfacesse un preciso profilo di
competenze, individuazione dello snodo di coordinamento e supervisione);
- analisi del rischio: questo aspetto è stato saliente soprattutto nella fase in
cui si è passato da un finanziamento pubblico ad uno privato in quanto la
cooperativa Alia ha dovuto anticipare i rischi d’impresa dell’operazione. Per
fare ciò sono stati individuati quelli che potevano essere i momenti critici di
progetto da dover andare a gestire. A titolo puramente esemplificativo, la
ricerca dei partner era una delle voci di rischio dal momento che, non
trovarne, avrebbe compromesso l’avvio del servizio. Avendo anticipato tale
possibilità si è potuto gestire il contatto non solo ad esempio con una pura
operazione di ricerca di fondi, ma anche come richiesta di disponibilità di beni
materiali (l’usufrutto degli spazi ha permesso di abbattere i costi e quindi di
modulare la ricerca di finanziatori);
- definizione e realizzazione del piano di monitoraggio e valutazione:
l’avvio, l’esecuzione e la chiusura di ogni annualità hanno visto un costante
monitoraggio concretizzato ad esempio nelle riunioni di equipe e di
coordinamento che hanno lo scopo di andare a lavorare non solo su aspetti
clinici rispetto al raggiungimento degli obiettivi (rispondendo alla domanda
“come stiamo incrementando la competenza X del ragazzo Y?”), ma anche
da un punto di vista progettuale (ad esempio rispondendoci alla domanda “di
che elementi di visibilità sul progetto ha bisogno il partner X?”);
- definizione, monitoraggio e gestione del piano economico: compito del
progettista (che deve poi riferire anche agli snodi decisionali e gestionali) è il
continuo monitoraggio degli aspetti economici del progetto e dei flussi di
cassa inerenti le attività, nonché la cura di tutti gli aspetti di rendicontazione ai
finanziatori pubblici e privati, ai partner e agli altri enti della rete.

Si prende infine in esame la storia illustrata (sinteticamente e con salti e


interruzioni) per provare a rileggerla attraverso uno dei capisaldi degli
strumenti della progettazione ovvero il Ciclo di Vita di Progetto (CVP).

Il CVP è uno strumento della progettazione sociale che descrive le fasi o i


passi necessari che devono essere seguiti per poter portare a termine con
successo un progetto. Ogni progetto è unico: anche se replicato mille volte,
ogni volta è diverso, ma ogni progetto ha in comune con gli altri le fasi di
progettazione.

Proviamo, in modo molto semplice e fruibile, a costo di peccare di


superficialità, a riassumerle:

FASE I: IDEAZIONE
- fase di programmazione: tale fase pertiene alla politica, nella misura in cui
sono le politiche (nel nostro caso sociali) a definire i piani di intervento e
quindi di finanziamento. Nel caso illustrato della Ludoteca l’Albero Segnante
si è intercettato il flusso economico emanato dalla programmazione degli
interventi prima da parte del Comune di Monselice e della Provincia, poi della
Cassa di Risparmio del Veneto;
- fase di ideazione: questa fase riguarda l’ente erogatore della proposta
progettuale. È compito quindi del progettista e del team di lavoro, formulare e
proporre al Consiglio di Amministrazione o agli organi decisionali una
proposta di idea di servizio/progetto. Come detto, nel caso della Ludoteca,
l’intuito di alcuni professionisti insieme ad una lettura precisa delle esigenze
territoriali e delle necessità istituzionali, ha portato alla produzione di una idea
di servizio vincente;
FASE II: PIANIFICAZIONE
- fase di formulazione: è la fase che più direttamente interessa il progettista
e il suo team di lavoro e riguarda la concretizzazione dell’idea proposta
attraverso la strutturazione (spesso scritta) di un progetto;
- fase del finanziamento; tale piano riguarda, come anticipato, la politica e
stakeolder. Come si è visto nel racconto si è inizialmente intercettato un
flusso economico istituzionale, si è passati poi ad una fase di transizione con
l’investimento di risorse proprie fino alla costruzione di un piano di
finanziatori;
FASE III: REALIZZAZIONE
- fase di realizzazione: dal 2008 ad oggi il servizio è garantito relativamente
alle risorse economiche e umane a disposizione. Come descritto questa fase
comprende anch’essa, al suo interno, un processo ciclico che prevede
l’avvio-esecuzione-ripianificazione (quest’ultima se necessaria) e chiusura: si
è potuto vedere tale ciclicità ad esempio nella ridefinizione delle strategie (da
integrazione sordi-udenti a bilinguismo degli operatori). Questa è la fase in
cui ci si rende conto che un progetto non si realizza mai per come è stato
progettato spesso per via di inevitabili e inaspettate difficoltà.
FASE IV: CHIUSURA
- valutazione-analisi: tale prassi, come già accennato, oltre che eticamente
corretta è stata strategica nel mantenimento della rete nella misura in cui si è
fatto vedere a tutti gli stakeholder i risultati ottenuti. È la fase che, di volta in
volta, mette in moto la macchina che permette la replica del servizio per
l’anno successivo.

Arrivati a questo punto la domanda che sorge spontanea è: “ma il progetto è


veramente finito?”.

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BILINGUISMO A SCUOLA: GRAMMATICHE A CONFRONTO
UN PONTE TRA LIS E GRAMMATICA ITALIANA.
L’ESPERIENZA DEL LICEO ARTISTICO “P.GALLIZIO” DI ALBA

Loredana Scursatone e Antonio Trienti

In questo breve articolo tratteremo del progetto in atto presso il Liceo artistico
“Pinot Gallizio” di Alba (CN), che è nato nel corso dell’anno scolastico
2016/2017 per volontà del professor Antonio Trienti, in accordo con il collegio
docenti e con il dirigente scolastico dell’istituto “Govone”, professor Luciano
Marengo.
La presenza di una studentessa sorda in una classe prima, ha comportato, a
livello progettuale, tutto il doveroso apparato formativo che già negli articoli
precedenti è stato illustrato: la presenza di un assistente alla comunicazione
è stata vissuta non solo come un supporto alla persona sorda, ma come
valore aggiunto a livello sistemico all’interno della classe e come ponte tra la
persona sorda e il gruppo dei pari.
L’ora dei lingua dei segni settimanale è stata calendarizzata all’inizio
dell’anno, con la finalità primaria di permettere ai nuovi compagni di mettersi
in comunicazione con la compagna segnante, in un’ottica di centralità della
persona e dei suoi bisogni.
Accade frequentemente, però, che questo momento formativo non venga
percepito a livello collegiale come un reale valore aggiunto, ne tantomeno
come un’esigenza formativa ai fini di un’inclusione soddisfacente.
I nodi critici che spesso insorgono, laddove l’inclusione richieda sforzi
formativi e impiego di risorse dal punto di vista umano e professionale, sono
proprio questi: non sempre è facile far comprendere la reale necessità della
formazione di tutto il contesto di vita di un soggetto, spesso si incontrano
resistenze culturali (non abbiamo tempo di imparare la lingua dei segni),
barriere legate ai tempi dei programmi ministeriali (siamo già indietro col
programma, non abbiamo spazio per la LIS), di gestione delle istanze delle
famiglie (i genitori preferiscono che facciamo dei recuperi piuttosto che fare
lingua dei segni), e molte altre problematiche.
Questo articolo vuole dare risalto, alla luce delle difficoltà spesso affrontate
dalle figure preposte, ad un progetto che, al contrario di quanto appena detto,
ha valorizzato la lingua dei segni come risorsa culturale, sociale e linguistica.
L’intuizione del docente di lingua e letteratura Italiana ha generato dalla
difficoltà, all’interno di un contesto nel quale le discipline pratiche la fanno da
padrone, di creare interesse intorno alla grammatica italiana.
La grammatica è una materia ostica, all’interno della quale risulta difficile
creare aspetti accattivanti che non la facciano percepire come inutile o
pesante.
La comparazione tra lingue differenti è senz’altro un percorso valido per
rendere più interessante la materia, e l’opportunità di comparare anche una
lingua particolare ed al di fuori dagli schemi curriculari è sembrata
un’opportunità da non perdere.
Il tempo dedicato alla lingua dei segni, su richiesta specifica del docente, è
raddoppiato, in modo da dare maggiore spazio agli aspetti strettamente
linguistici e comparati.
Un esempio di comparazione linguistica è lo spazio dedicato alle proposizioni
interrogative ed in particolare all’avverbio-congiunzione PERCHE’:
-La lingua Italiana prevede un solo perché, che è valido sia in forma di
domanda che in quella di risposta: “Perché l’hai fatto?” ”L’ho fatto perché
dovevo”.
-La lingua dei segni ne prevede due, esattamente come l’inglese:
“Fatto perché?” “Motivo: deve”. Il PERCHE’ (configurazione 5 chiuso) della
lingua dei segni corrisponde al WHY? della lingua inglese, mentre la formula
di risposta MOTIVO (configurazione Q) corrisponde al BECAUSE della lingua
inglese (That’s it!, Kelly-Chiodini-Bettinelli Backhouse 2013).
-Nella lingua francese esistono addirittura tre formule, che prevedono:
domanda/risposta/spiegazione (pourquoi, parce-que, car).(Bruneri-Durbano-
Vico “Quelle chance!”2011)

Un altro esempio di comparazione che alleggerisca lo studio dell’uso degli


ausiliari è il seguente.
Come sappiamo in lingua dei segni gli ausiliari si comportano in modo
completamente diverso rispetto alla lingua italiana: ne esiste solo uno
(traducibile con c’è), e molto spesso si elide o sottintende.
Un’altra lingua nella quale gli ausiliari si comportano in modo simile è il russo
(Grammatica della lingua russa, E. Logatto, 1997), ed un esempio di
comparazione fatto in classe è quello della seguente frase:
-Italiano: “Io sono uno studente”
-LIS: “Io studente”
-Russo: “Ya student” ()
La strada della comparazione, quindi, è usata efficacemente per accendere
l’interesse per una materia normalmente priva di grosse attrattive, in modo da
incentivare la conservazione di forme grammaticali che, nella naturale
evoluzione della lingua italiana, si stanno gradualmente comprimendo nel
gergo giovanile (i congiuntivi, le frasi relative).
Alla luce dell’evoluzione che le lingue segnate stanno avendo in quasi tutti i
paesi occidentali, dove sono un argomento di maggior dominio popolare
rispetto a quanto accade in Italia, ci sembrava doveroso dare il giusto risalto
ad un piccolo progetto, che, se pur piccolo, dimostra quanto si possa andare
nella direzione giusta nel labirinto della scuola Italiana.
In GranBretagna è attualmente al vaglio una proposta di legge che renda
l’insegnamento del BLS (British sign linguage) obbligatorio in tutte le scuole,
ed è proprio questo il messaggio che questi piccoli progetti veicolano: la
lingua dei segni come patrimonio collettivo, come ponte tra le comunità, come
valore aggiunto.

Bibliografia
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Volterra V., Educazione bimodale e bilingue del bambino sordo, Rivista età evolutiva, n.20, 1985
Raduzky E., Dizionario bilingue elementare della lingua dei segni, Kappa, Roma, 2001
Kelly-Chiodini-Bettinelli Backhouse 2013 “That’s it!”,Lang edizioni 2013
Bruneri-Durbano-Vico “Quelle chance!”, Lang edizioni 2011
Logatto E., Grammatica della lingua russa, Feltrinelli 1997
Il progetto Spread The Sign
Anna Cardinaletti*

Abstract: Spread The Sign is an international Leonardo Da Vinci project to build an


on-line multilingual video-dictionary of European and extra-European sign
languages, accessible on computers, smartphones, and tablets. As for the Italian sign
language, 15.000 signs have already been uploaded. The dictionary aims at
developing the language competence of deaf students in both sign languages and
the national oral languages, to make them able to travel, study, and do internships
within Europe and beyond.
Keywords: Spread the sign; Video-dictionary; Sign languages; Italian sign language;
Deafness.

“Spread the sign: dissemination in Europe of vocational sign language” è un progetto


internazionale finanziato dalla Commissione Europea attraverso l’Ufficio per il
Programma Internazionale Svedese di Educazione e Formazione (TRANSFER OF
INNOVA-
TION, MULTILATERAL PROJECTS, LEONARDO DA VINCI LIFELONG LEARNING
PROGRAMME, 526361-LLP-1-2012-SE-LEONARDO-LNW). Il Coordinatore del
progetto, visitabile al sito www.spreadthesign.com, è Thomas Lydell-Olsen, un
docente di Scienze sociali presso la Scuola secondaria nazionale per sordi di Örebro
(Svezia) e fondatore e coordinatore del European Sign Language Centre
(www.signlanguage.eu).
Scopo del progetto Spread The Sign (STS) è la creazione di un video-dizionario online
di lingue dei segni europee ed extraeuropee. Attualmente sono rappresentate 25
lingue: la lingua dei segni americana, austriaca, brasiliana, bulgara, ceca, estone,
finlandese, francese, giapponese, greca, indiana, inglese, islandese, italiana,

*Università Ca’ Foscari Venezia. E-mail: cardin@unive.it


BLITYRI V (1-2) 2016, pp. 175-181
lettone, lituana, polacca, portoghese, rumena, russa, spagnola, svedese, tedesca,
turca, e ucraina.
Il Dipartimento di Studi linguistici e culturali comparati dell’Università Ca’ Foscari
Venezia ha partecipato, come partner italiano, alla costruzione della parte del
dizionario dedicata alla lingua dei segni italiana (LIS). Hanno lavorato al progetto, da
me coordinato, il dott. Gabriele Caia, sordo nativo di LIS e Collaboratore ed esperto
linguistico nel nostro Ateneo, e la dott.ssa Lisa Danese, laureata in Scienze del
linguaggio nel nostro Ateneo ed esperta di LIS e di traduzione in LIS21. Agli incontri

21
Lisa Danese ha sviluppato le sue competenze di traduzione in LIS anche all’interno delle attività
dello spin-off dell’Università Ca’ Foscari Venezia VEASYT srl da lei co-fondato
(www.veasyt.com), che si occupa di servizi digitali per l’abbattimento delle barriere della
comunicazione, tra cui un servizio di video-interpretariato da remoto (VEASYT Live!,
www.interprete.live). Nel periodo 05/2013 - 04/2014 ha anche usufruito di un assegno di ricerca
finanziato dal Fondo Sociale Europeo e tutorato dalla dott.ssa Chiara Branchini, dal titolo Sviluppo
di video-glossario di termini specialistici in Lingua dei Segni Italiana (LIS) negli ambiti: pubblico-
amministrativo, giuridico-legale, artistico, i cui termini sono in parte confluiti nel video-dizionario
STS.
internazionali del progetto ha partecipato in qualità di interprete inglese/LIS la
dott.ssa Lara Mantovan, anche lei laureata in Scienze del linguaggio e diplomata nel
nostro Master in Teoria e tecniche di traduzione e interpretazione italiano/LIS22.
Il progetto (2012-2015) ha sviluppato un precedente progetto pilota Leonardo da
Vinci (2006-2008) dallo stesso nome, coordinato da Thomas Lydell-Olsen. Nel
progetto pilota erano rappresentate le lingue dei segni britannica, ceca, lituana,
portoghese, spagnola e svedese. Un successivo progetto Leonardo da Vinci (2008-
2010) ha visto l’ingresso di Francia, Germania e Turchia. In pochissimi anni, STS ha
raggiunto dunque una grande visibilità e molti partner di vari Paesi, tra cui il nostro
Dipartimento, si sono aggiunti al gruppo di partner iniziale. Per noi si è trattato di un
riconoscimento importante, che premia la qualità del lavoro svolto a Ca’ Foscari in
15 anni di didattica e di ricerca sulla LIS23. I membri del progetto si possono
visualizzare alla pagina www.spreadthesign.com/it/members; nella mappa alla
pagina www.spreadthesign.com/it/map li si può localizzare all’interno dei loro Paesi.
STS è stato rifinanziato recentemente nell’ambito del progetto Erasmus+ (2015-
2018) con il nome di Spread share; lo scopo di questo nuovo progetto è verificare la
qualità dei segni caricati nel dizionario, creare una funzione Google Map in lingua dei
segni e una piattaforma su cui condividere materiali per l’insegnamento ai sordi.
Tra gli sviluppi del progetto STS, il coordinatore prevede anche la possibilità di
abbinare alle parole suoni e animazioni in 3D. Alla data del 29 gennaio 2016 sono
stati caricati in totale 100.545 audio.
Il lavoro di preparazione dei 15.000 segni italiani caricati nel dizionario STS24 è stato
molto impegnativo, essendosi svolto nell’arco di soli tre anni (mentre per altre
lingue il lavoro di traduzione era cominciato in precedenza) e ad opera di
collaboratori a tempo parziale. Le parole inglesi fornite dal Coordinatore sono state
in primo luogo tradotte in italiano, anche con l’aiuto di studenti tirocinanti iscritti ai
Corsi di Laurea del Dipartimento; è stata successivamente verificata con il segnante
nativo l’esistenza di un segno condiviso nella comunità sorda italiana; in caso
negativo è stata discussa la possibilità di creare un neologismo o la necessità di
22
Durante l’incontro internazionale svoltosi a Venezia, il 24 febbraio 2014 si è tenuta una
conferenza stampa di lancio del progetto STS in Italia, cui ha partecipato per l’Ente Nazionale
Sordi il dott. Pier Alessandro Samueli. Il progetto ha avuto visibilità in molte testate giornalistiche
e a RAI Radio 3.
23
A Ca’ Foscari il primo corso di LIS, a scelta libera, è stato attivato nel 1999; dal 2002, la LIS è
diventata lingua di specializzazione al pari delle altre lingue offerte nei Corsi di Laurea triennali e
magistrali della ex-Facoltà di Lingue e letterature straniere e
24
Il dizionario STS è sei volte più grande del più grande tra i dizionari di LIS pubblicati finora:
Romeo (1991) contiene circa 1400 segni; Radutzky (1992) e Radutzky, Ottolini, Vitali (2014) circa
2500 segni; ElisDiz (2006) 400 segni.
ricorrere alla dattilologia della parola italiana corrispondente25. Per la terminologia
relativa ai toponimi di altri Paesi (il cui segno non era già esistente in LIS) o a termini
relativi alla cultura di altri Paesi si è deciso di utilizzare prestiti dalle lingue
corrispondenti, per evitare un ricorso troppo massiccio alla dattilologia. Questa
grande attenzione ad evitare il più possibile la dattilologia e a creare neologismi, con
le tecniche tipiche delle lingue dei segni (Danese, 2011), caratterizza in particolare il
dizionario di LIS, e ha richiesto un lungo lavoro di riflessione sulla traduzione, che si è
basato sulle

l’insegnamento linguistico è stato affiancato da corsi sulla cultura della comunità


sorda italiana e, dal 2012, da un corso di LIS tattile.
competenze di linguistica della LIS presenti in Dipartimento26. Una volta stabilita la
traduzione (segno o dattilologia) di ciascuna entrata lessicale, si sono svolte le
riprese video, in sessioni di circa 500 segni ciascuna grazie all’utilizzo del
teleprompter, seguendo le linee guida fornite dal Coordinatore (luci, posizione del
segnante, sfondo, ecc.). I video sono stati successivamente editati con appositi
software e caricati nella piattaforma STS. La comunità sorda italiana ha
costantemente monitorato il lavoro, mostrando grande interesse e attenzione ed è
intervenuta per commentare alcuni dei segni con cui non si è trovata d’accordo. Nei
mesi finali del progetto, è stata svolta un’intensa attività di disseminazione, a Roma,
Milano, Verona, Bologna, e in alcune sedi provinciali dell’ENS (Venezia, Padova,
Taranto, Ancona).
Il dizionario STS è organizzato in classi di parole per ambiti semantici (ad es. colori,
emozioni, numeri, espressioni di tempo, ecc.), per categorie grammaticali (verbi,
nomi, aggettivi, ecc.) e per linguaggi specialistici (politica, economia, tecnologia,
sostenibilità e ecologia, ecc.). Sono state inserite anche brevi espressioni di saluto e
di augurio (ci vediamo dopo, arrivederci, buon compleanno, ecc.) e alcune domande
che possono essere utili in viaggio o al ristorante (a che ora parte il treno?, c’è un
menu per bambini?, ecc.). Le parole scritte nella lingua nazionale vengono
presentate a sinistra; a fianco, le bandierine dei Paesi segnalano il caricamento del
rispettivo segno nel dizionario. Non tutti i segni appaiono ancora in tutte le lingue 27.
Cliccando sulla bandierina, si attiva il video con il segno, accanto al quale è
25
Alla pagina www.spreadthesign.com/it/alphabet è possibile visualizzare l’alfabeto manuale
utilizzato in ciascuna lingua dei segni, che varia da lingua a lingua come succede nelle lingue
vocali.
26
Il dizionario di altre lingue dei segni, ad es. rumena e svedese, fa invece un uso maggiore della
dattilologia.
27
Alla pagina www.spreadthesign.com/it/statistics si può verificare il numero di video caricati per
ciascuna lingua. Alla data del 29 gennaio 2016 risultano caricati in totale 301.146 video.
riproposta la parola scritta. Talvolta la parola scritta è accompagnata anche da
un’immagine che aiuta nella comprensione del significato. Nel dizionario della lingua
dei segni americana sono presenti anche brevi descrizioni in inglese del significato
della parola.
Per alcuni segni, sono presenti più varianti; si è cioè deciso di non scegliere tra le
varie possibilità utilizzate nella comunità segnante. Ad es., la parola italiana bianco è
stata tradotta in LIS con 4 segni diversi; i segni che indicano i colori sono tra i gruppi
semantici meno standardizzati.
Lo scopo primario del video-dizionario multilingue è offrire uno strumento agli
studenti sordi delle scuole professionali, duranti i loro viaggi in Europa per fare
esperienze di tirocinio o stage. L’intento principale del progetto STS è dunque quello
di sviluppare le abilità linguistiche degli allievi sordi attraverso uno strumento
pedagogico di auto-apprendimento, gratuito e accessibile a tutti, anche a chi non
conosce bene la lingua nazionale. Si tratta dunque di un progetto di educazione
innovativa e permanente che risponde alle esigenze di una vastissima comunità e
che sfrutta al meglio le nuove tecnologie: STS è consultabile da web su computer e
con una app iOS e Android su smartphone e tablet. Il vantaggio a lungo termine del
progetto è quello di favorire la conoscenza delle lingue straniere da parte delle
persone sorde segnanti e di aumentare la loro mobilità, in particolare in Europa.
Ma la creazione di un video-dizionario online multilingue presenta molteplici
applicazioni.
Da una parte, come abbiamo detto, il dizionario può essere utilizzato dalle persone
sorde per imparare i segni di altre lingue dei segni, ma il fatto che ogni segno sia
abbinato alla parola scritta nella lingua nazionale permette inoltre di imparare le
parole di altre lingue vocali. Contemporaneamente si può dunque imparare il segno
di un’altra lingua dei segni e la relativa parola nella lingua nazionale. Inoltre,
scegliendo come lingua di ricerca una lingua diversa dall’italiano, il dizionario
permette di trovare, per parole straniere non conosciute, la traduzione in italiano e
in LIS (o in un’altra lingua dei segni e in un’altra lingua nazionale cliccando sulle
relative bandierine).
Dall’altra, il dizionario online può essere utilizzato in vari ambiti per ampliare la
conoscenza del lessico della propria lingua dei segni. In ambito scolastico può essere
usato dagli studenti sordi, dai docenti e dagli interpreti scolastici di lingua dei segni,
nonché a casa per lo studio individuale e da parte dei famigliari degli studenti sordi.
In ambito professionale, può essere utilizzato dagli interpreti di lingua dei segni per
verificare la presenza di termini specialistici. Infine, si rivela utile a scopi di ricerca, ad
es. per un’analisi comparativa di lingue dei segni diverse, in prospettiva sia sincronica
che diacronica. A tale scopo è attiva una speciale funzione ‘tandem’.
Come ama ripetere il Coordinatore Thomas Lydell-Olsen, «solo l’immaginazione può
fissare i limiti all’uso di questo video-dizionario multilingue».
Importanti sono le ricadute di un simile strumento disponibile online.
Da una parte il dizionario STS ha una ricaduta positiva sul processo di
standardizzazione e normativizzazione delle lingue dei segni. Sempre più, anche se
con ritmi diversi in Paesi diversi, le lingue dei segni vengono utilizzate in molteplici
contesti della vita pubblica. Questo porta necessariamente ad un arricchimento del
lessico e alla creazione di neologismi là dove i segni non siano ancora condivisi dalla
comunità segnante. Tale processo è facilitato oggigiorno dai mezzi di comunicazione
multimediali e dai social network. Il processo di standardizzazione della LIS, ad es.,
sta raggiungendo una velocità inimmaginabile fino a solo pochi anni fa. Il dizionario
STS darà un forte contributo a questo processo, da una parte arricchendo il lessico
della LIS in molti ambiti specialistici e dall’altra contribuendo a far circolare nella
comunità sorda le varianti sulle quali eventualmente convergere.
Dall’altra, il dizionario online permette di far conoscere ad un ampio pubblico la
ricchezza e le potenzialità delle lingue dei segni. Rappresenta dunque uno strumento
di sensibilizzazione e di diffusione della conoscenza sulle lingue dei segni,
particolarmente necessario in un Paese come il nostro in cui il processo di
riconoscimento della LIS si sta rivelando particolarmente difficoltoso. Va infatti
ricordato che in Italia la LIS non ha ancora ricevuto un riconoscimento ufficiale
nonostante siano state presentate negli anni molte proposte di legge. L’ampiezza del
dizionario permette di aumentare la consapevolezza che le lingue dei segni, al pari
delle lingue vocali, possono esprimere qualunque concetto, e che al pari delle lingue
vocali esistono lingue dei segni diverse per ogni comunità sorda in ogni Paese.
Queste osservazioni permettono di concludere che le lingue dei segni sono lingue
naturali a tutti gli effetti e non sono meri strumenti di comunicazione gestuale che
mimano la realtà, paragonabili alla pantomima e quindi da una parte limitate nelle
capacità espressive e dall’altra potenzialmente universali. Tali obiezioni al
riconoscimento della LIS, ancora diffuse tra i detrattori in Italia, sono difficili da
sostenere di fronte alla ricchezza e all’ampiezza di un dizionario multilingue come
quello elaborato nel progetto STS.
Il video-dizionario STS non ha dunque solo raggiunto il suo scopo, quello di creare
uno strumento utile per lo studio e la preparazione delle persone sorde segnanti di
molti Paesi europei, ma rappresenta uno strumento dalle molteplici applicazioni e
dimostra in maniera incontrovertibile la ricchezza espressiva delle lingue dei segni,
lingue naturali a tutti gli effetti. riferimenti bibliografici
Danese, L.
2011, «La traduzione dall’italiano alla LIS: proposta di accessibilità dei contenuti turistici e culturali», in A. Cardinaletti - C. Cecchetto
- C. Donati (a cura di), grammatica, lessico e dimensioni di variazione nella LIS, Milano, FrancoAngeli, pp. 231-245.
ElisDiz
2006, dizionario elettronico di base bilingue Lingua Italiana dei Segni - italiano, EURAC, Istituto di comunicazione specialistica e
bilinguismo, Bolzano (http://elis.eurac.edu).
Radutzky, E. (a cura di)
1992, dizionario bilingue elementare della Lingua dei Segni Italiana LIS, Roma, Edizioni Kappa.
Radutzky, E. - Ottolini, R. - Vitale, V.
2014, I segni in movimento. dizionario bilingue elementare della lingua dei segni italiana, DVD, Terni, Edizioni Lismedia.
Romeo, O.
1991, dizionario dei segni, Bologna, Zanichelli.

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