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Narciso e
Pigmalione
Illusione e spettacolo
nelle Metamorfosi
di Ovidio
I. Narciso o l’illusione letteraria
1
Sul mito di Narciso e la sua fortuna disponiamo di uno studio davvero eccellente:
L. Vinge, The Narcissus Theme in Western European Literature up to the Early 19th
Century, Lund 1967, esemplare per completezza, ricchezza e lucidità di analisi.
La Vinge analizza tutte le rielaborazioni del mito fino all’età romantica con un
equilibrio e una cautela metodologica particolarmente apprezzabili in un campo – la
Stoffgeschichte, o tematologia, fondato cioè sullo studio delle ricorrenze di uno stesso
tema in varie letterature e in epoche diverse – cui si guarda spesso con diffidenza
proprio per i rischi di meccanicità e le forzature in cui può incorrere. Ancora sulla
fortuna del mito nelle varie arti utile, ma come semplice elenco, H. Hunger, Lexicon
der griechischen und römischen Mythologie mit Hinweisen auf das Fortwirken antiker
Stoffe und Motive in der bildenden Kunst, Literatur und Musik…, Wien 1959, p. 265
sg. Per le arti figurative soprattutto G. Hartlaub, Zauber des Spiegels. Geschichte und
Bedeutung des Spiegels in der Kunst, München 1951, p. 69 sgg. Per la storia del mito
nell’antichità classica sempre molto utile, anche per la ricchezza del materiale raccolto,
F. Wieseler, Narkissos. Eine kunstmythologische Abhandlung nebst einem Anhang
über die Narcissen und ihre Beziehung im Leben, Mythos und Cultus der Griechen,
Göttingen 1856. Buone sintesi le voci di S. Eitrem in RE, XVI 2 (1935), 1721-33 e di
W. Greve nel Lexicon di W.H. Roscher, III 1 (1897-1902), 10-21.
6 Narciso e Pigmalione
Non senza esitazioni stampo la lezione unda, molto meglio documentata nella
2
8 Narciso e Pigmalione
tradizione manoscritta (e accolta da quasi tutti gli editori moderni) rispetto alla
variante umbra. Il senso è certamente tollerabile, ma umbra è senz’altro più efficace
in opposizione a corpus (il che però la rende, in qualche modo, anche lectio facilior,
tale cioè che l’ipotesi di una sua eventuale genesi per corruttela da un’originale unda
sembra più facile dell’ipotesi contraria): cfr. ad es. 14.358 e 362, dove umbra è detto
di una effigiem nullo cum corpore falsi … apri [immagine fittizia, senza corpo, di un
cinghiale]; o 3.434, pochi versi dopo il nostro passo; o 11.660 inveniesque tuo pro
coniuge coniugis umbram [e al posto del tuo sposo troverai la sua ombra]; o ancora
9.460, dove umbra è usato nel senso di «apparenza» (e cfr. anche 4.443; altri passi
paralleli di umbra nel senso di «riflesso», da autori più tardi, sono raccolti da D.R.
Shackleton Bailey in «Cl. Quart.», n.s., 6, 1956, p. 86, dove però dei due passi
ovidiani Her., 14.93 e Met., 3.417 andrebbe segnalata l’incertezza). Viceversa i passi
che abitualmente si registrano a favore di unda non sono troppo probanti: in Her.,
14.93, Met., 1.640 e 3.200 si ha sempre in unda, si parla cioè sempre di uno spec-
chiarsi «nell’acqua», non della vera e propria immagine riflessa.
9 I. Narciso o l’illusione letteraria
C’era una limpida fonte, acque brillanti come l’argento, che mai né pastori né
caprette portate al pascolo sui monti avevano sfiorato né altro bestiame, che
mai uccello né fiera o ramo caduto da un albero aveva intorbidito. Attorno
c’era dell’erba, che l’acqua vicina nutriva, e una selva che non lasciava filtrare
tepore di sole. Qui il fanciullo, spossato dall’ardore della caccia e dalla calura,
si getta bocconi, attratto dalla bellezza del luogo e dalla fonte. E mentre cerca
di placare la sete, un’altra sete gli cresce, e mentre beve, rapito dalla bellezza
che vede riflessa, ama un’illusione senza corpo; crede un corpo ciò che è ac-
qua soltanto. Attonito fissa se stesso, lo stesso impassibile sguardo, immobile
come una statua scolpita nel marmo di Paro. A terra disteso, ammira i suoi
occhi, due astri, e i capelli degni di Bacco, degni di Apollo, le impuberi guan-
ce, e il collo d’avorio, e la grazia della bocca, e il rosa misto a candore di neve,
e ammira ogni cosa per cui è stupendo egli stesso. Desidera, ignaro, se stesso,
ammira e lui stesso è ammirato, e mentre brama è bramato e insieme infiam-
ma e riarde. Oh quanti inutili baci diede alla fonte fallace! Oh quante volte le
braccia immerse nel mezzo dell’acqua per afferrare il bel collo, e non riuscì ad
abbracciarsi! Che cosa vede non sa, ma quel che vede lo infiamma e lo stesso
errore che inganna i suoi occhi li stimola. Ingenuo, perché cerchi invano d’af-
ferrare fantasmi fugaci? Quello che cerchi non c’è; quello che ami, ti volti e lo
perdi. Questa che vedi è un’ombra, la tua immagine riflessa. Essa non ha nulla
di suo, viene e rimane con te, con te se ne andrà, se tu potrai mai allontanarti.
Né desiderio di cibo né desiderio di riposo lo può staccare di lì; ma disteso
sull’erba ombrosa contempla con sguardo insaziato l’immagine ingannevole
e muore per i suoi stessi occhi; elevatosi un poco, tendendo le braccia agli
alberi circostanti: «Chi mai, o selve, – disse – soffrì più crudelmente d’amore?
Voi lo sapete, che foste per molti rifugio opportuno. Chi mai, in tanti secoli
della vostra esistenza, chi mai ricordate, nel vostro lungo tempo, che si sia
consumato così? Mi piace, lo vedo; ma ciò che vedo e mi piace tuttavia non
lo trovo; di tanta follia è preda il mio amore! E perch’io soffra di più, non ci
separa vasto mare né lungo cammino né monti né mura con porte serrate:
poca acqua ci tiene lontani. E lui stesso vuol esser abbracciato; perché tutte
le volte che porgiamo baci alla limpida acqua, tutte le volte lui si protende
verso me offrendo la bocca. Penseresti che si possa toccare; è un nulla che si
oppone al nostro amore. Chiunque tu sia, vieni qui; perché, fanciullo unico
al mondo, m’illudi? E dove vai mentre ti bramo? certo non è la mia bellezza
o l’età che tu fuggi: anche me hanno amato le ninfe3. Mi prometti non so che
3
Non seguo qui l’interpretazione quasi unanimemente diffusa (cfr. Bömer ad l.),
secondo la quale in questo punto quoque, con un procedimento abituale nel latino
tardo, non segue ma precede la parola cui si riferisce (sarebbe perciò: «anche le ninfe,
13 I. Narciso o l’illusione letteraria
4
Conone frg. 24 in Die Fragmente der griechischen Historiker, ed. F. Jacoby, Berlin
1923, Bd. 1, p. 197 sg. Un’analisi puntigliosa del testo di Conone (anche in rapporto a
Ovidio) ora in B. Manuwald, Narcissus bei Konon und Ovid (Zu Ovid, Met. 3, 339-
510), «Hermes», 103, 1975, pp. 349-72.
15 I. Narciso o l’illusione letteraria
5
Bene Manuwald, art. cit., p. 363.
6
Paus., 9.31.7.
7
Cfr. Manuwald, art. cit., p. 351. Prima, più specifico, P. Zanker, ‘Iste ego sum’.
Der naive und der bewusste Narziss, «Bonner Jahrbb.», 166, 1966, pp. 152-70, che oltre
alle fonti letterarie analizza anche le arti figurative e individua nel tardo ellenismo
(Ovidio ne è la prima testimonianza) la comparsa di un atteggiamento consapevole
del personaggio.
8
Ma cfr. più avanti p. 18.
16 Narciso e Pigmalione
9
È l’ipotesi avanzata da Manuwald, art. cit., p. 352 sg.
10
Cfr. Eitrem 1726, 40 sgg. Molti di questi nomi, come del resto quello di Narciso
(cfr. ibid. 1721, 43 sgg.), testimoniano l’origine pregreca dei relativi personaggi del
mito.
11
Molto materiale in Wieseler, Narkissos cit., p. 81 sgg. e 123 sgg. Cfr. inoltre
P. Hadot, Le mythe de Narcisse et son interprétation par Plotin, in «Nouv. Rev. de
Psychan.», 13, 1976, p. 82 sgg., e Eitrem 1723. I tipi di narciso cui in genere gli autori
antichi alludono in riferimento al nostro mito sono quelli che i botanici chiamano
Narcissus poeticus e Narcissus Tazetta.
12
Così, ad es., Plinio, Nat. Hist., 21.128: a narce narcissum dictum. Altri passi in
Eitrem 1721, 48 sgg. Tra i linguisti moderni non c’è unanimità: qualcuno dà credito
all’etimologia (A. Carnoy, Dictionnaire étymologique des noms grecs de plantes, Lou-
vain 1959, p. 185), altri sono incerti (Boisacq, Frisk), altri ancora la considerano una
tipica etimologia popolare (Hofmann e soprattutto Chantraine).
13
Clemente Aless., Paed., 2.8.71.3.
17 I. Narciso o l’illusione letteraria
te, e collegato abitualmente alla sfera della morte (tra l’altro, è anche
velenoso). Questo anzi sembra essere il suo tratto più cospicuo nell’an-
tichità14. Corone di narcisi erano usuale ornamento nei riti funerari;
sognarle persino era considerato pericoloso: «Corone fatte di narci-
si sono infauste per tutti, anche se si sognano nella loro stagione, e
soprattutto per chi trae il suo sostentamento dall’acqua o per mezzo
dell’acqua e per chi deve intraprendere un viaggio per mare»15. Ma in
particolare il narciso era attributo costante di Demetra e Persefone,
le divinità ctonie di Eleusi: già Plutarco lo faceva notare a proposito
di un passo dell’Edipo a Colono sofocleo: «Il narciso stordisce i nervi
e provoca un pesante torpore, ciò che gli è valso da parte di Sofocle
l’appellativo ‘corona antica delle grandi dee’, cioè delle dee infernali»16.
E sempre il narciso è associato al rapimento di Persefone: è anzi grazie
a esso, «insidia per la fanciulla dal roseo volto», alla sua bellezza e al
suo profumo, che Plutone rapisce nell’Ade Persefone rimastane am-
maliata17. Seduzione e morte sono quindi le caratteristiche associate al
narciso, e sono anche i motivi ricorrenti nelle elaborazioni letterarie
del mito (ben si capisce il fascino che esso eserciterà sulla poesia sim-
bolista e decadente). Ancora in un poeta della tarda grecità, Nonno di
Panopoli, il narciso servirà a Dioniso per sedurre Aura, col fascino e
l’inganno che gli sono propri: il fiore e l’acqua accanto a cui esso cresce
indurranno al sonno la ninfa amata (lo stesso Narciso qui è detto figlio
di Endimione, il bellissimo giovinetto che vive nel sonno)18. È interes-
sante qui il rapporto con la sfera di Dioniso (che ricorre anche altrove),
suggerito forse da un’affinità di fondo tra il carattere narcotico, ctonio
del fiore, e certi tratti del dio come il suo potere di fascinazione, di al-
lucinazione e fatale inganno19 (basta pensare, per restare al terzo libro
delle Metamorfosi ovidiane, alle storie di Penteo e dei marinai tirreni).
Un’altra sfera cui Narciso è comunemente associato, ma per opposi-
zione, per antagonismo, è quella del dio Eros, che esercita su di lui una
dura vendetta.
14
Cfr. Wieseler, Narkissos cit., pp. 9, 79 sgg., 93 sg.
15
Artemidoro, Oneir., 1.77 (trad. D. Del Corno, Milano 1975, p. 73).
16
Plut., Quaest. conv., 3.1.647 B.
17
Inni Omerici, A Dem., 5 sgg. (trad. F. Cassola, Milano 1975), e anche v. 425; cfr.
Eitrem 1727, 15 sgg.
18
Cfr. Hadot, art. cit., p. 88 sgg.
19
Cfr. Vinge, op. cit., p. 31 e Hadot, art. cit., p. 90. Meno convincente mi pare, in
Hadot, la sua insistenza sul ruolo di Artemide nel mito di Narciso.
18 Narciso e Pigmalione
Freddo come il fiore cui darà origine20, fiero della propria indipen-
denza, restio all’amore in quanto ‘concessione di sé’, Narciso sarà pu-
nito proprio con l’innamoramento e col desiderio di congiungersi a
un ‘altro’ inesistente, a un’ombra senza sostanza: la sua triste vicenda
era anzi utilizzata per illustrare esemplarmente un proverbio greco che
diceva: «molti ti odieranno, se amerai te stesso»21.
La punizione tramite il rispecchiamento nell’acqua ci riconduce a
un’altra sfera di credenze relative ai letali effetti psico-fisiologici pro-
dotti dalla contemplazione delle superfici brillanti, nella quale si è in-
clini a rintracciare le radici del mito e del suo significato22. «Non ci
si deve specchiare in vicinanza di una lampada» diceva un simbolo
pitagorico; e un altro ammoniva che «non si deve specchiare nell’ac-
qua di un fiume». Sappiamo addirittura da Columella di una curiosa
credenza: che le cavalle che vedevano la loro immagine nell’acqua fos-
sero prese da un vano amore e morissero consumate dal languore del
desiderio23. La stessa oniromantica, d’altro canto, insegnava che «spec-
chiarsi nell’acqua preannuncia morte allo stesso sognante o a una delle
persone a lui più vicine»24.
Nella versione ovidiana del mito, la più esauriente e dettagliata, ab-
biamo visto che è assente una specifica intenzione moralistica, né vi
sono tracce di commento o di un’interpretazione edificante della vi-
cenda. Proprio in questa direzione, invece, verso una lettura allegorica
del fatale inganno di Narciso, si muoverà la più importante interpre-
tazione del mito nel mondo antico, quella neoplatonica. Già prima di
Plotino, però, c’erano stati un paio di precedenti in tal senso, quello di
Luciano e quello, più significativo, di un autore cristiano, Clemente di
20
Psychrótaton [freddissimo] esso è detto nei Geoponica, 11.25 (un’opera compila-
ta in greco nel X sec. con scritti di autori greci e latini sui lavori dei campi).
21
Tramandato dal lessico Suda, IV n. 1934.
22
Cfr. A. Delatte, La catoptromancie grecque et ses dérivés, Liège 1932, p. 152 e
Eitrem 1728, 18 sgg. Da ultimo insiste molto su questo elemento come chiave per
l’interpretazione del mito H. Cancik, Spiegel der Erkenntnis (Zu Ovid, Met., III 339-
510), «Der altsprachl. Unterr.», 10, 1, 1967, p. 42 sgg. Ma sono ora da vedere i buoni
argomenti che a questa interpretazione oppone Hadot, art. cit., pp. 96-8. Ampia do-
cumentazione su queste credenze, tuttora vitali ad es. nel folklore greco, oltre che in
Delatte, in A. Wesselski, Narkissos oder das Spiegelbild, «Archiv Orientální», 7, 1935,
pp. 37-63 e 328-50.
23
Colum., De re rust., 6.35.
24
Artemid., Oneir., 2.7 (trad. Del Corno, cit., p. 96).
19 I. Narciso o l’illusione letteraria
25
Luc., Dial. mort., 5 (18).
26
Paed., 3.2.11.3.
27
Cfr. Vinge, op. cit., p. 36.
28
Oltre a Vinge, op. cit., p. 37, abbiamo un’ottima analisi, lucida e ricca, del testo
plotiniano nel già citato (cfr. sopra nota 11) articolo di P. Hadot, Le mythe de Narcisse
et son interprétation par Plotin.
29
Plot., Enn., 1.6.8 (trad. V. Cilento, Bari 1947, I, p. 107).
30
Su questo punto in particolare, che è fonte di importanti conseguenze, insiste Ha-
20 Narciso e Pigmalione
Così, l’anima che si comporta come Narciso non capisce, nel disordine
spirituale di cui è preda, che il suo corpo è solo un riflesso generato da
se stesso (perché il mondo sensibile, secondo Plotino, si produce come
un riflesso dell’anima nello specchio della materia). Se l’anima, quindi,
si interessa e tende al proprio riflesso, quasi che esso fosse realtà, si
allontana dalla sua giusta meta, dalla bellezza trascendente; il suo cor-
retto cammino dovrà essere invece verso l’interiorità, verso il livello su-
premo dell’Intelletto, non verso le forme esteriori del mondo sensibile.
L’antica interpretazione neoplatonica del mito di Narciso riemerse,
molti secoli più tardi, nell’ambito dell’Umanesimo fiorentino. Mar-
silio Ficino, nel suo Commento (1469) al Simposio di Platone, tappa
importante della sua infaticabile opera di traduttore e mediatore della
cultura platonica e neoplatonica, richiama il mito di Narciso proprio a
proposito del rischio per l’anima umana di lasciarsi sedurre dalla bel-
lezza materiale. Nel presunto testo orfico che riporta31, Ficino legge
una precisa intenzione allegorica: Narciso rappresenta la sventura di
chi dimentica la bellezza dell’anima cedendo alle lusinghe della bellez-
za dei corpi, di chi si ferma allo stadio infimo, al più tenue riflesso della
suprema bellezza32.
L’ultimo anello di questa ideale catena della lettura neoplatonica del
mito di Narciso lo rintracciamo nel romanticismo tedesco. Nella sua
monumentale Symbolik und Mythologie der alten Völker, besonders
der Griechen (4 voll., 1810-12), una delle opere emblematiche di quel
clima culturale, Georg Friedrich Creuzer, il ‘romantico tra i filologi’, si
proponeva di ricostruire una presunta unità primitiva delle religioni:
negli antichi miti egli credeva di trovare le tracce di un primordiale lin-
guaggio simbolico33. Anche il mito di Narciso, naturalmente, era letto
dot, art. cit., p. 99 sgg. Notevole soprattutto la differenza sostanziale che egli rileva
tra l’utilizzazione plotiniana del mito di Narciso e le cosmologie gnostiche (testimo-
niate specialmente nello scritto ermetico del Poimandres) che spiegavano l’origine del
mondo sensibile dall’amore ‘narcissico’ dell’uomo-archetipo per il proprio riflesso visto
nello specchio dell’acqua (cfr. Delatte, op. cit., p. 154 e Eitrem 1729, 21 sgg.). Giusta
anche la cautela che Hadot consiglia (p. 103) sull’accostamento, comunemente propo-
sto (ad es. Eitrem 1729, 4 sgg.), tra la morte di Narciso e il mito orfìco dello smembra-
mento di Dioniso conseguente alla rottura dello specchio in cui il dio si era guardato.
31
Marsile Ficin, Commentaire sur le Banquet de Platon, éd. par R. Marcel, Paris
1956, p. 235.
32
Un’analisi dettagliata del testo riportato da Ficino in Vinge, op. cit., pp. 123-7.
33
Sulla vita e l’opera di Creuzer, oltre a O. Damman nella Neue Deutsche Bio-
21 I. Narciso o l’illusione letteraria
graphie, Bd. 3 (Berlin 1957), p. 414 sg., cfr. ora M.M. Münch, La «Symbolique» de
Friedrich Creuzer, Paris 1976. Per un’analisi del metodo buone considerazioni nella
stessa Vinge, op. cit., p. 315 sgg.
34
In realtà questa è solo una, quella che sembra la definitiva, tra le interpretazioni
proposte da Creuzer (è nella seconda ed. della Symbolik). Parzialmente diverse quella
contenuta nella prima ed. e quella esposta nell’introduzione al trattato di Plotino Sul
Bello, pubblicato autonomamente nel 1814. Su tutta la questione cfr. ancora una volta
Vinge, op. cit., pp. 317-22.
35
Cfr. Vinge, cap. XI passim.
36
Cfr. H. Esselborn-Krumbiegel, Das Narziss-Thema in der Symbolistischen Ly-
rik, «Arcadia», 15, 1980, pp. 278-94; H. Mitlacher, Die Entwicklung des Narzissbe-
griffs, «Germ.-Roman. Monatsschr.», 21, 1933, pp. 373-83; H. Zürcher, Stilles Was-
22 Narciso e Pigmalione
ser. Narziss und Ophelia in der Dichtung und Malerei um 1900, Bonn 1975 (interessato
prevalentemente alla cultura tedesca); A. Hauser, Il Manierismo, trad. it. Torino
1965, pp. 109-11. Più specifici A. Gill, Le symbole du miroir dans l’oeuvre de Mallar-
mé, «Cahiers Ass. intern. ét. franç.», 11, maggio 1959, p. 164, e J. Frappier, Variations
sur le thème du miroir…, ibid., p. 134 sgg.
37
I testi letterari più noti che rielaborano la figura di Narciso sono il Traité du Nar-
cisse del giovane Gide (1891) e i tre pezzi: Narcisse parle (1902), Fragments du Narcisse
(1922), Cantate du Narcisse (1938) di P. Valéry (su cui cfr. P. Albouy, Mythes et my-
thologie dans la littérature française, Paris 1969, p. 173 sgg.).
38
Cfr. Mitlacher, art. cit., p. 381 sg.
23 I. Narciso o l’illusione letteraria
39
Molto materiale è segnalato nel fascicolo n. 13 – dal titolo Narcisses – della «Nou-
velle Revue de Psychanalyse» (1976). Cfr. anche B. Grunberger, Il narcisismo, trad.
it. Bari 1977. Più volte rielaborato dallo stesso Freud, il concetto di narcisismo designa
«il comportamento di una persona che tratta il proprio corpo allo stesso modo in cui è
solitamente trattato il corpo di un oggetto sessuale» (Introduzione al narcisismo, trad.
it. in S. F., Opere 1912-1914, Torino 1975, p. 443), ma se dapprima egli ne fece una
fase transitoria dell’evoluzione sessuale infantile, più tardi lo classificò anche come
un fenomeno di natura strutturale, permanente nel soggetto, e non necessariamente
patologico.
40
Questa è la ripartizione proposta dallo studio forse più attendibile tra i molti de-
dicati alla struttura del poema, quello di W. Ludwig, Struktur und Einheit der Meta-
morphosen Ovids, Berlin 1965.
24 Narciso e Pigmalione
41
B. Otis, Ovid as an Epic Poet, Cambridge 19702, p. 157 sg.: egli colloca il mito
di Narciso all’interno della seconda (The Avenging Gods: libri 3-6.400) delle quattro
sezioni in cui, non senza vistose forzature, suddivide il poema, e che sarebbe appunto
costituita da una serie di vicende di colpa e vendetta.
42
Così H. Fränkel, Ovid. A Poet between Two Worlds, Berkeley-Los Angeles 1945,
p. 213 nota 30, e Cancik, art. cit., p. 46 nota 12.
43
Così Ludwig, op. cit., p. 28.
44
Su Eco è da vedere anzitutto il lavoro specifico di F. Wieseler, Die Nymphe Echo.
Eine kunstmythologische Abhandlung, Göttingen 1854; e inoltre D. Waser in RE, V 2
(1905), 1926-30.
25 I. Narciso o l’illusione letteraria
45
Cfr., ad es., R. Ehwald, p. 168; Waser 1929, 52 sgg., e soprattutto L. Castiglio-
ni, Studi intomo alle fonti e alla composizione delle Metamorfosi di Ovidio, Pisa 1906,
pp. 215-9.
46
Così W. Helbig, Wandgemälde der vom Vesuv verschütteten Städte Campaniens,
Leipzig 1868, nn. 1358-61, 1363, 1364, 1366 (questi ultimi due affreschi sono riprodot-
ti in Wieseler, Die Nymphe Echo cit., fìgg. 2 e 3).
47
Se Fränkel (op. cit., p. 214 nota 38) lo ritiene «possibile», più convinto si mostra
Eitrem (1725, 35 sgg.) e certa se ne dice la Vinge (op. cit., p. 11 sg.). Così sembra an-
che H. Dörrie, Echo und Narcissus. Psychologische Fiktion in Spiel und Ernst, «Der
altsprachl. Unterr.», 10, 1, 1967, p. 56. Da ultimo, con buoni argomenti, Manuwald,
art. cit., p. 358 sg. (il quale giustamente osserva che la versione fornita da Conone è co-
munque una prova che ai tempi di Ovidio la storia di Narciso non era necessariamente
associata a quella di Eco). Unica autorevole eccezione sembra restare F. Bömer, p. 537.
48
Dopo Greve 20, 2 sgg., così ora, senza esitazioni, M. von Albrecht (s.v. Echo)
in Der Kleine Pauly, Bd. 2 (Stuttgart 1967), 195, 50 sgg.
49
Cfr. K. Schefold, Die Wände Pompejis, Berlin 1957
50
H. Jucker (Vom Verhältnis der Römer zur bildenden Kunst der Griechen,
26 Narciso e Pigmalione
si vede, che il ricorso alle arti figurative possa fornire sussidi per diri-
mere la questione dell’originalità di Ovidio. Pare piuttosto di maggior
peso un altro argomento che si avanza51: l’idea dell’accostamento di
Eco e Narciso e delle due analoghe illusioni, dell’immagine e del suo-
no, potrebbe esser stata suggerita al nostro poeta dal termine imago
vocis (o semplicemente imago), con cui la lingua latina designava co-
munemente il fenomeno dell’eco52 .
Frankfurt 1950, p. 30 sg.), ad es., per alcuni dipinti raffiguranti i miti di Narciso, Pira-
mo e Tisbe, Atteone, parla di sicuro riferimento al poema ovidiano. Secondo I. Paar,
Ovid und die mythologischen Landschaftsbilder der römischen Wandmalerei, Diss.
Wien 1962, è dall’inizio del cosiddetto terzo stile che i pittori campani cominciano a
trarre ispirazione dalla letteratura romana, in particolare da Ovidio e dalle Metamor-
fosi. Sulla diffusione di Ovidio nella cultura letteraria pompeiana cfr. M. Gigante,
Civiltà delle forme letterarie nell’antica Pompei, Napoli 1979, p. 185 sgg.
51
Da parte di Vinge, op. cit., p. 12. Ora cfr. anche Manuwald, art. cit., p. 359 (che
sembra non conoscere la Vinge). Una traccia interessante dell’innesto operato da Ovi-
dio potrebbe essere, fa notare Eitrem (1725, 42 sgg.), nell’aliquis despectus del v. 404
(l’amante respinto da Narciso), che sembra rimandare alla versione corrente che non
conosceva l’intreccio con la storia di Eco.
52
Cfr. Serv. auct. a Virg., Georg., 4.50 quae Graece ἠχώ, Latine imago dicitur.
Esempi di quest’uso, da Cicerone a Lucrezio a Virgilio, sono raccolti in Wieseler,
Die Nymphe Echo cit., p. 15 nota 28 (cfr. anche Waser 1928, 28 sgg.; non accenna
alla questione R. Daut, Imago. Untersuchung zum Bildbegriff der Römer, Heidelberg
1975). Viceversa, della stessa metafora in lingua greca, εἰκὼν φωνῆς, per indicare l’eco,
non ho potuto trovare più di un esempio tardo: Nonno 43.218. Anche in un altro
passo del poema di Nonno, 5.105, compare lo stesso nesso, ma non per indicare l’eco,
bensì per descrivere un gesto della dea Polimnia che agita le braccia mimando un can-
to senza voce («immagine di una voce senza suono, parlando con le mani e muovendo
gli occhi…»): il canto solo mimato sarebbe perciò una «immagine della voce». Ora, il
fatto che il nesso in questione possa qui designare la mimica e non il fenomeno dell’eco
conferma indirettamente che esso non doveva essere, come in latino, un nesso sostan-
zialmente fisso (un uso un po’ diverso in Ov., Am., 2.6.37, dove è detto della voce del
pappagallo, che ripete quella umana) per indicare l’eco (ed è quindi assai improbabile
che sia stato un poeta greco – eventuale modello di Ovidio – a ideare l’accostamento
di Eco e Narciso). C’è infine da segnalare che in un epigramma contenuto nella An-
thologia Planudea (154.3), e attribuito a un poeta di nome Archia, la ninfa Eco (che si
immagina raffigurata in un’opera d’arte descritta dall’epigramma) è definita παντοίων
στομάτων λάλον εἰκόνα [immagine parlante di ogni tipo di bocca]. Indipendente-
mente dall’identità dell’autore (che secondo alcuni potrebbe essere l’Archia amico di
27 I. Narciso o l’illusione letteraria
Cicerone: sulla questione cfr. The Greek Anthology. The Garland of Philip and Some
Contemporary Epigrams, ed. by A.S.F. Gow, D.L. Page, Cambridge 1968, II, p. 432),
il passo non sembra probante per ipotizzare una diffusione della metafora εἰκών per
designare l’eco: lo testimonia anche il fatto che l’espressione non compare tra quel-
le che i poeti greci escogitano per definire il curioso fenomeno dell’eco (elencate da
Gow-Page, op. cit., p. 450, e da Wieseler, Die Nymphe Echo cit., p. 14 sg. nota 28).
53
Cfr. Bömer a 3.359.
54
In uno (32.3) dei vari epigrammi dedicati alle figure di Eco e Narciso e chiara-
mente ispirati da Ovidio (cfr. Vinge, op. cit., pp. 26-8).
28 Narciso e Pigmalione
due illusioni. Narciso si illude dapprima sulla voce che sente risonare:
attribuisce a quel suono un tipo di realtà di cui invece esso è privo, gli
fornisce illusoriamente un’esistenza autonoma, oggettiva, e non, come
realmente è, ‘di riflesso’, del tutto soggettiva. E dopo la prima espe-
rienza di illusione acustica lo stesso Narciso è vittima di una analoga
illusione ottica: crede di vedere nello specchio dell’acqua un viso vero
e proprio, non l’immagine di esso, né lo sfiora il sospetto della sua real
tà solo apparente, solo ‘in superficie’. Anche quel volto, come prima
il suono dell’eco, esistono sì, sono reali, ma di una realtà particolare
(quasi una ‘copia’ della realtà vera), non immediata, autonoma, ogget-
tiva, bensì determinata dal soggetto che la crea: sono dotati di un’esi-
stenza ‘di riflesso’, il loro rapporto con la realtà è la pura re-azione (si-
gnificativa la ricorrenza del prefisso iterativo re- nella descrizione delle
azioni e della natura di Eco)55. La confusione e la conseguente rovina di
Narciso, incapace di riadeguarsi alla realtà dopo l’esaltante esperienza
dell’illusione, è l’effetto del suo rapporto alterato con la realtà, della sua
ingenuità nei confronti dei piani multiformi del reale.
La funzione di Eco, abbiamo detto, è quella di costituire il primo
momento della vicenda di Narciso, di essere l’occasione poetica della
sua prima illusione, e in questo senso l’episodio della ninfa (vv. 356-
401) è il primo atto dell’intera rappresentazione. Questo non significa
però che la vicenda di Eco sia solo un momento secondario, relegata a
pura funzione della vicenda principale di Narciso. Maestro indiscusso
nell’arte dell’intreccio, Ovidio anche qui ha saputo innestare le due sto-
rie l’una all’interno dell’altra senza far perdere alla prima il suo rilievo
di vicenda autonoma e in sé compiuta: la storia di Eco è una deliziosa
storia di amore infelice come lo è quella di Narciso, entrambe inserite
nella cornice tematica dell’illusione. In questo modo i due personaggi,
pur essendo la prima un ‘momento’ del secondo, si contrappongono
specularmente (Eco «pura alterità» – Narciso «pura identità», come
dice Fränkel)56 e trasferiscono sul piano strutturale quel gioco di ri-
flessi che vedremo essere, in molti sensi, il Leitmotiv dell’intera narra-
zione57. La contrapposizione dei due episodi è fortemente enfatizzata
da Ovidio stesso: Narciso è dapprima alternae deceptus imagine vocis
(v. 385), poi visae conreptus imagine formae (v. 416). E ad essa contri-
buisce in maniera determinante il rapporto causale colpa-punizione:
55
Ai vv. 357, 358, 361, 369, 378, 380, 387, 392, 496, 498, 500.
56
Op. cit., p. 84.
57
Cfr. Vinge, op. cit., p. 16.
29 I. Narciso o l’illusione letteraria
58
Una traccia cospicua della contrapposizione tra le due vicende, fa notare Fränkel
(op. cit., p. 214 sg. nota 40), è nella ricorrenza della parola chiave copia ai vv. 391 e 466.
59
Rimando, anche per indicazioni bibliografiche, al mio studio Il racconto dentro il
racconto. Funzioni metanarrative nelle ‘Metamorfosi’ di Ovidio, in Atti del Convegno
internazionale Letterature classiche e narratologia (Selva di Fasano, 6-8 ottobre 1980),
Perugia 1981, pp. 297-309.
60
L’illusione, per Eco, sta nel veder disattese le presunte promesse d’amore del
giovinetto; perché nemmeno lei capisce l’ambiguità del suo ‘dialogo’ con Narciso, lo
scarto di senso delle loro parole.
61
L’opposizione prudens-inprudens, rispettivamente tra artefice e vittima di un in-
ganno, è presupposta in almeno altri due passi dello stesso Ovidio: Fast., 5.685 e Her.,
21.124.
30 Narciso e Pigmalione
63
I due versi, come notano i commenti, sono quasi una citazione da Catullo 62.42
e 44: multi illum pueri, multae optavere puellae /…/ nulli illum pueri, nullae optavere
puellae [molti fanciulli, molte fanciulle lo desiderarono … nessun fanciullo, nessuna
fanciulla lo desiderò], dove sono riferiti a un fiore delicato, cui è paragonata la vergine
prossima sposa. Il richiamo al celebre epitalamio catulliano, fa notare Fränkel (op. cit.,
p. 213 nota 31), suggerisce già la trasformazione di Narciso in fiore. Suggestiva l’ipotesi
della Vinge (p. 334 nota 46) che il richiamo serva a creare un contrasto ironico tra il
fanciullo ritroso e la sposa (sotto l’immagine del fiore). Cfr. anche J.-M. Frécaut,
L’esprit et l’humour chez Ovide, Grenoble 1972, p. 118 sg. e Dörrie, Echo cit., pp. 65-7.
64
Alcuni esempi in Bömer ad 388. Molto materiale, ma senza rimandi alle lette-
32 Narciso e Pigmalione
rature classiche, in E. Colby, The Echo-Device in Literature, «Bull. New York Publ.
Libr.», 23, 1919, pp. 683-713 e 783-804, e in J. Bolte, Das Echo in Volksglaube und
Dichtung, «Sitz.-Ber. Akad. Wiss. Berlin», 1935, pp. 262-88 e 852-62. Altra bibliografia
in Vinge, op. cit., p. 373 sgg. nota 41.
65
Vinge, op. cit., p. 333 nota 26.
66
All’effetto di risonanza non mancano di contribuire anche omeoteleuti e allitte-
razioni (vv. 363, 382, 383, 388, 392).
33 I. Narciso o l’illusione letteraria
67
Così Bömer al v. 361 sg. Ripetizioni di parole, emistichi o anche interi versi sono
in Ovidio tutt’altro che rare (strana l’affermazione contraria di Dörrie, Echo cit., p.
66; vari esempi, che si potrebbero moltiplicare, raccolti da Bömer a 1.325), ma è evi-
dente che qui sono funzionalizzate alla particolarità della situazione descritta.
68
F. Bömer, al v. 358, nota il fatto e lo spiega (a 1.198) con la consuetudine di Ovi-
dio di collocare la parola decisiva della frase alla fine dell’ultimo verso; ma qui, oltre
che di questo, si tratta di osservare che la parola che designa il nome di Eco è doppia-
mente decisiva, perché sta a indicare, fin nella collocazione, la peculiarità della natura
di lei, di essere sempre ‘ultima’.
69
Osserva Dörrie (Echo cit., p. 73) che tra le singole pointes il lettore viene ricon-
dotto «sul terreno dei fatti comprensibili». I vv. 402-404 fanno da intermezzo tra le
due scene di illusione: le anafore del sic ai vv. 402-405 insistono sull’ostinato rifiuto
d’amore di Narciso e sulla ‘legge di contrappasso’ cui egli dovrà essere esemplarmente
sottoposto.
34 Narciso e Pigmalione
70
Anche Eco lo aveva accostato per devia rura vagantem (v. 370): i momenti essen-
ziali della vicenda di Narciso esigono la solitudine.
71
Buone osservazioni sulla funzione di questo paesaggio in Vinge, op. cit., p. 14.
Meno convincente l’analisi in chiave psicanalitica di C.P. Segal, Landscape in Ovid’s
Metamorphoses. A Study in the Transformations of a Literary Symbol, Wiesbaden
1969 (Hermes Einz. 23), pp. 45-8, che vede nel predominio dell’elemento acquatico
«un simbolo di verginità trasformata in lussuria».
35 I. Narciso o l’illusione letteraria
446), percussit pectora… pectora… percussa (v. 481 sg.)] che sembrano
voler riprodurre la struttura rovesciata propria del riflesso speculare.
Una fitta rete di risonanze, una fuga di echi cui concorre l’inseguirsi
delle allitterazioni e degli omeoteleuti72. Narciso è il centro di origine
e di convergenza di azioni di segno opposto, che si manifestano ora
nell’alternanza di diatesi [miratur… mirabilis (v. 424), probat…
probatur (v. 425), petit petitur (v. 426), roger… rogem… rogabo (v.
465)]73, ora nell’accostamento di verbi e locuzioni indicanti le une il
momento attivo e le altre il momento passivo dello stesso processo
[accendit et ardet (v. 426), flammas moveoque feroque (v. 464)], ora
nella rispondenza di prima e seconda persona singolare [porrexi…
porrigis (v. 458), risi adrides (v. 459)]: accanto ai fenomeni di riflesso
e specularità fonica e sintattica, qui abbiamo una sorta di specularità
del senso, di rovesciamento tra i due termini del rapporto (Narciso e
la sua immagine).
Quest’orgia di suoni e di effetti speculati riproduce l’ingannevole tra-
ma di riflessi in cui Narciso, «vaneggiante e vago / vagheggiator de la
sua vana imago» (anche Giovan Battista Marino, come si vede, ama
mimare gli specchi)74, è rimasto coinvolto. Confuso dall’intreccio di
reale e di apparente, egli non sa districarsi dalla rete dell’illusione, non
sa separarsi dal suo ‘altro’ io: lo scambio di sguardi dall’uno all’altro
Narciso è incessante, instaura come un circuito ininterrotto (si veda
il motivo del cerchio, figura della pienezza, dell’autosufficienza, nel
Narciso attribuito a Caravaggio)75. Questo vertiginoso vis-à-vis finisce
per cristallizzarsi in una fissità assoluta [ipse… sibi (v. 418), ipse suos
72
Ai vv. 423, 425 sg., 435, 440, 447, 451 sg., 464, 481, 483 sg., 489, 491 sg., 498 sg.,
508 sg.
73
Sullo scambio dei generi verbali cfr. J. Schickel, Narziss. Zu Versen von Ovid,
«Antaios», 3, 1961-62, p. 488 sg. e Dörrie, Echo cit., p. 67 sg.
74
Alcuni dei procedimenti impiegati da Ovidio in questa scena saranno ripresi e
rielaborati, come c’era da attendersi, da Marino: oltre a La Galeria, Favole 7 b, 3 sg.
«e de l’Arco d’amor segno e saetta / è ferito e ferisce, amante amato», cfr. anche un
passo dell’episodio di Narciso nell’Adone 5.26.3 sg.: «Egli amante, egli amato, or gela,
or bolle, / fatto è strale e bersaglio, arco ed arciero». Una buona analisi dell’episodio
di Narciso nel poema mariniano, che ne studia attentamente la tecnica narrativa con
riferimenti anche a Ovidio, è quella di G. Pozzi nel commento a L’Adone, Milano 1976,
vol. II, pp. 302-8.
75
Sulla questione, piuttosto discussa, dell’attribuzione cfr. M. Marini in Io Miche-
langelo da Caravaggio, a cura di M. M., Roma 1974, pp. 162 e 387-9. Per l’interpreta-
36 Narciso e Pigmalione
(v. 440)] in cui l’‘io’ e il ‘tu’ si scambiano le parti [iste ego… me mea
(v. 463)]: l’intreccio di singolare e plurale [nostro… possem (v. 467),
vellem… amamus (v. 468)] esprime il gioco-dramma, la paralisi di
questo amore singolare, la sua natura ‘intransitiva’76. Pur avvedutosi
dell’inganno e riconosciutosi nell’immagine dell’acqua (v. 463 sgg.),
Narciso tuttavia non può liberarsi dal furor che lo possiede: continua,
consapevolmente, ad amarsi mentre sente che la passione lo consuma
e lo porta alla morte (v. 469). Ciò che lo consola è la certezza di re-
alizzare appieno, paradossalmente, la condizione dell’amore felice: il
morire dei due amanti in un’anima sola77. Nell’avviarsi della storia alla
sua tragica fine, il gioco di riflessi viene ritrasferito dal campo visivo a
quello sonoro (v. 495 sgg.), come in un ritorno al tema iniziale: è Eco
che ritorna, ora che è solo suono e non ha più un suo corpo vivente,
quasi eco di se stessa, lei che è sempre ‘ultima’, ad accompagnare in
‘smorzando’ (in un attenuarsi di echi, appunto) il pianto del giovane
amato e votato alla morte.
Insofferente, come altrove, delle leggi della verosimiglianza, e attento
piuttosto alle sue raffinate strategie strutturali, Ovidio non rinuncia a
riportare sulla scena Eco78: ciò gli permette sia un’elegante chiusura
‘ad anello’ della vicenda, sia di riunire e far agire insieme, quasi a com-
pensare reciprocamente la loro incompletezza, le due ‘immagini’ di
Narciso (sembrerà quindi che Eco arrivi a prestare la propria voce, per
rispondere ai lamenti del giovane morente, alla figura di questi rifles-
sa nell’acqua). Nello stesso tempo ciò serve anche a riaccostare i due
protagonisti e le loro vicende di amore frustrato nonché i loro paral-
leli destini: anche dopo la morte Eco continua, come testimonia il suo
dolore (v. 495), ad amare il bel Narciso, così come lui, nell’acqua dello
Stige, continuerà ad ammirare la propria fatale bellezza (v. 504 sg.)79.
La critica unanime riconosce nella storia di Eco e Narciso uno dei
momenti più felicemente tipici dell’arte ovidiana. Oltre che dalla ge-
niale combinazione dei due personaggi e dei loro destini il fascino
di questo episodio è esaltato dalla straordinaria efficacia che a quella
combinazione attribuisce l’uso sapientissimo della tecnica narrativa,
che si modella sui due personaggi e sulle loro vicende. Più volte questo
episodio, con il cumulo di artifici che Ovidio vi impiega, è stato assun-
to a dimostrazione esemplare del virtuosismo del poeta80. Mai però si
è giunti, mi pare, ad afferrarne pienamente le intenzioni più sottili: si
è genericamente parlato di preziosismo, di virtuosismi formali, di stile
barocco. Si è anche, giustamente, dato rilievo alla funzione del para-
dosso, un mezzo idoneo a esprimere lo scarto tra l’universo soggettivo
di un personaggio, il suo mondo interiore, e la situazione reale cui esso
è vincolato, tra mondo della fantasia e mondo della realtà81. Non si è
messa però in evidenza la funzione precipua del modulo stilistico dl
cui Ovidio fa uso maggiore e più originale, cioè di quello che abbiamo
chiamato motivo del riflesso82: esso, come si è visto, è uno strumento
particolarmente efficace a dare espressione non solo al contrasto tra
mondo dell’illusione e mondo della realtà, ma anche, e soprattutto,
a dare forma mimetica, a riecheggiare quella trama di riflessi, sonori
e ottici, che accompagnano lo svolgersi della storia di Narciso. In un
estremo tentativo di estrarne le potenzialità più segrete, Ovidio forza la
tecnica narrativa a esprimere, sul piano non solo strutturale ma anche
sintattico e fonico, una mimesi il più possibile completa dell’avveni-
mento narrato, a farlo ‘trasparire’ dal testo: l’interdipendenza dei vari
79
Bene Manuwald, art. cit., p. 367.
80
Oltre alle osservazioni puntuali dei commenti (soprattutto quello di Bömer), nu-
merosi sono ormai gli studi dedicati all’episodio: per l’analisi propriamente stilistica si
segnala quello di Dörrie. Per i fenomeni di parallelismo sintattico (le frasi ‘a struttura
bilanciata’) qualche osservazione in W.F. Jackson Knight, Ovid’s Metre and Rhytm,
in Ovidiana. Recherches sur Ovide, a cura di N.I. Herescu, Paris 1958, p. 115. Poco con-
vincente, nelle sue sottigliezze, il breve studio di Virginia Skinner, Ovid’s Narcissus.
An Analysis, «Class. Bull.», 41, 1965, pp. 59-61.
81
Cfr. soprattutto W. Nicolai, Phantasie und Wirklichkeit bei Ovid, «Ant. u.
Abendl.», 19, 1973, p. 115.
82
Qualche spunto ora in questa direzione in B.E. Stirrup, Ovid’s Narrative Tech-
nique: a Study in Duality, «Latomus», 35, 1976, p. 97 sgg.
38 Narciso e Pigmalione
83
V. Pöschl, L’arte narrativa di Ovidio nelle ‘Metamorfosi’, in Atti del Convegno
internazionale ovidiano (Sulmona, maggio 1958), Roma 1959, vol. II, p. 303.
84
Ibid., p. 296.
39 I. Narciso o l’illusione letteraria
87
Cfr. ad es. Mirra a 10.339 sg. nunc, quia iam meus est, non est meus, ipsaque dam-
no / est mihi proximitas: aliena potentior essem! [Ora, poiché è già mio, non è mio, e
proprio questa vicinanza mi nuoce: da estranea avrei maggiori possibilità!].
88
Cfr. più avanti p. 107 sgg., 113 sgg. e passim.
89
Cioè a quella presunta condizione psicologica ed esistenziale che secondo Her-
41 I. Narciso o l’illusione letteraria
mann Fränkel sarebbe tipica di un uomo diviso tra i ‘due mondi’ della paganità classi-
ca e del cristianesimo nascente (cfr. anche p. 96).
90
Esemplare per il suo estremismo lo studio di L. Pfandl, Der Narzissbegriff. Ver-
such einer neuen Deutung, «Imago», 21, 1935, pp. 297-310, che accusa Ovidio di non
aver capito il senso autentico del mito e di averlo ridotto, con l’introduzione di Eco,
a una banale storia d’amore. Egli si propone di leggere il mito partendo dalla teoria
psicanalitica, che dovrebbe fornirgli la chiave per offrire «la sola possibile e forse anche
la sola giusta interpretazione» di esso (p. 281). Postulato che in origine è la nevrosi
narcisistica, e che il mito è solo la rappresentazione artistica e simbolica di essa, non
resta all’interprete che ‘adattare’ i dati del mito al suo senso presunto accantonando
come «tratti poetici» o «aspetti secondari» gli elementi incongruenti.
91
Op. cit., pp. 84 e 83. Secondo A. Borghini (L’inganno della sintassi: il mito ovidia-
no di Narciso, «Mat. e disc. per l’anal. dei testi class.», 1, 1978, pp. 177-92), che insiste
sulla centralità del motivo dell’autoamore come «anti-istituzione» nel sistema culturale
antico, «il mito di Narciso, quale è costruito da Ovidio, sembrerebbe… voler porre in
evidenza certe contraddizioni già interne, per esempio, alla teoria platonica della cono-
42 Narciso e Pigmalione
Abbiamo già detto che, nella descrizione del bel Narciso che si am-
mira nello specchio dell’acqua senza riconoscersi, Ovidio avverte ri-
petutamente il lettore del suo errore, dell’illusione di cui il fanciullo è
vittima. Ma c’è un punto, importante nella dinamica della narrazione,
in cui il poeta, interrompendo il continuum narrativo, interviene in
prima persona per apostrofare direttamente il suo personaggio e rive-
94
Op. cit., p. 83.
95
Art. cit., p. 489.
96
«Ma proprio quando siamo sul punto di esser risucchiati totalmente nella narra-
zione e di confondere, come Narciso, soggetto e oggetto […] Ovidio spezza l’incante-
simo» (Galinsky, op. cit., p. 57).
97
Op. cit., p. 15.
44 Narciso e Pigmalione
98
Secondo L. Vinge (p. 41, ma cfr. anche p. 13) quella che Ovidio vuole infrangere
agli occhi del lettore è un’illusione di tipo figurativo: «Nella rappresentazione arti-
stica di Narciso alla fonte – può essere in forma di pittura o in parole che stimolano
la fantasia visiva – l’illusione è duplicata: il riflesso diventa un dipinto nel dipinto e
l’opera d’arte nello stesso tempo crea e riproduce un’illusione». A me non pare che
si debba necessariamente pensare a un’illusione di tipo specificamente figurativo: il
richiamo della Vinge al procedimento della mise en abyme è senz’altro pertinente, ma
io inquadrerei la funzione dell’apostrofe nella consuetudine ovidiana di inserire nella
narrazione (con predilezione particolare, e con evidente guadagno in efficacia, proprio
nelle sezioni costruite secondo la tecnica della cornice: cfr. sopra nota 59) delle ‘note
di regia’ che assolvano appunto al compito di denunciare la presenza di un soggetto
organizzatore del meccanismo narrativo e smascherare così la finzione letteraria. È
insomma la poesia, la letteratura in quanto tale che, secondo un procedimento a lui
consueto e coerente coi suoi principi di poetica antirealistica (cfr. più avanti p. 84 sgg.),
egli denuncia come mendacium, come fabula, come operazione di natura essenzial-
mente fittizia.
99
Cfr. Schickel, art. cit., p. 489.
100
Per questo valore semantico cfr. Thes. l. Lat., VI 1, 188, 30 sgg. In Ovidio cfr. ad
es. Met., 10.519 (= Am., 1.8.49); 4.94; Her., 20.47.
101
Come intenderà lo stesso Narciso, accortosi dell’illusione, al v. 463.
45 I. Narciso o l’illusione letteraria
del v. 447: tantus tenet error amantem!, dove error comprende insieme
il senso di «follia d’amore»102 per Narciso e quello di «errore» vero e
proprio per il lettore103. Le parole di Narciso, come già nelle risposte di
Eco producevano un senso opposto al loro proprio, anche qui conten-
gono in se stesse la loro smentita: la figura dell’ironia agisce sullo scarto
tra il livello di comprensione ingenuo del personaggio ignaro del suo
errore e il livello di comprensione del lettore e dell’autore che godo-
no di una superiorità conoscitiva rispetto al personaggio. Tra autore
e lettore si stabilisce un’intesa che passa ‘al di sopra’ del personaggio,
che può addirittura servirsi delle sue stesse parole senza che egli se ne
avveda. Anche nell’apostrofe dei vv. 432-436 (della cui funzione ‘stra-
niante’ – beninteso, nel caso specifico – abbiamo già parlato) c’è un’al-
tra spia linguistica di questo ammiccare dell’autore al lettore: tecum
discedet, si tu discedere possis è l’avvertimento rivolto a Narciso, ma il
congiuntivo possis, notano i commentatori, è insolito e va inteso come
un «potenziale colorito ironicamente»104. Pur parlando al personag-
gio, l’autore allude al lettore circa l’impossibilità di Narciso di separarsi
dalla sua immagine riflessa: oltre a dissipare ogni tensione drammatica
sugli sviluppi della vicenda (il lettore intende già che Narciso non se ne
potrà mai staccare)105 questo intervento’ ironico’ dell’autore, come gli
102
Cfr. Thes. l. Lat., V 2, 816, 47 sgg. (in Ovidio si veda Am., 1.10.9; 1.2.35).
103
In modo diverso è interpretato questo emistichio da E.J. Kenney (In Parenthesis,
«Class. Rev.», 20, 1970, p. 291; ma già prima, a sua insaputa, dalla Vinge, p. 334 nota
48), nel senso cioè di un intervento diretto di Ovidio, di un commento parentetico
del poeta al vaneggiare di Narciso. Ma non necessariamente, parlando di error, il per-
sonaggio deve aver già capito l’inganno di cui è vittima (tale è il senso dell’obiezione,
e della conseguente interpretazione, della Vinge), cosa che accadrà solo al v. 463: il
doppio valore semantico del termine permette a Ovidio di giocare sulla sua ambiguità.
Come un caso di ‘ironia tragica’ lo intende anche M. von Albrecht, Die Parenthese
in Ovids Metamorphosen und ihre dichterische Funktion, Hildesheim 1964 (Spuda-
smata 7), p. 142 nota 154.
104
Bömer, ad l., che rimanda a J.B. Hofmann, A. Szantyr, Lateinische Syntax und
Stilistik, München 1965, p. 335.
105
Raramente del resto, mi pare, Ovidio gioca sugli effetti di suspense per quel che
riguarda l’esito finale del racconto (mentre punta invece spesso, nel raggiungerlo, sugli
scarti ottenuti mediante effetti di ritmo): anche qui, come altrove, l’esito negativo del
destino di Narciso è anticipato molto prima del suo compimento (cfr. già i vv. 349 sg.
e 406). Alcuni esempi in M. von Albrecht, Dichter und Leser – am Beispiel Ovids,
«Gymn.», 88, 1981, p. 226.
46 Narciso e Pigmalione
altri che abbiamo già visto, serve a creare distacco dalla narrazione, a
insidiare la finzione poetica, a farla trasparire agli occhi del lettore in
un complice gioco di profanazione.
È in un duplice senso, quindi, che il rapporto realtà-finzione agi-
sce nell’episodio di Narciso: al livello tematico, che mediante il motivo
dell’illusione riconduce la storia nell’ambito di un filone fondamentale
delle Metamorfosi, si sovrappone un discorso di natura essenzialmente
metaletteraria sulla finzione insita nell’operazione letteraria come tale.
Un discorso che, come vedremo, trova esplicite e rinnovate confer-
me nelle dichiarazioni di poetica dello stesso Ovidio106. Questo sottile
filo di ironia percorre tutta l’opera e intrecciandosi con la spontanea,
appassionata vena affabulatrice ovidiana contribuisce a creare quella
particolare Stimmung di pathos e ironia che non solo è caratteristica di
questo episodio ma costituisce anche l’unità di tono dell’intero poema.
La questione può essere impostata anche in altri termini, come un
fatto di modalità tipiche della narrazione ovidiana. Poco incline a of-
frirsi come veicolo della soggettività dei personaggi, la voce del narra-
tore nelle Metamorfosi conserva nei loro confronti un sensibile distac-
co: per lo più, anzi, ne mette in forte rilievo e ne analizza la prospettiva
parziale, la visione deformata che essi hanno della realtà107.
La voce del narratore si propone come parametro, come ‘punto di vi-
sta vero’, rispetto alla psicologia alterata dei personaggi. Restio a un’i-
dentificazione empatetica, alla maniera di Virgilio, con essi, Ovidio è
invece propenso a manifestare, talora perfino enfaticamente, un atteg-
giamento simpatetico nei loro confronti, documentato dalla frequenza
delle apostrofi, delle esclamazioni, degli epifonemi, delle anafore e delle
altre figure cui la retorica affida l’espressione dei colori patetici108. Ciò
può dare l’impressione, che anche critici illustri ne hanno tratto, di uno
stile realmente ‘soggettivo’ (nel senso inteso dalla critica virgiliana)109,
e che invece di tale ha solo la componente più appariscente e meno es-
106
Cfr. più avanti p. 87 sgg.
107
Rimando su questo aspetto alle puntuali considerazioni di A. Perutelli, La
narrazione commentata. Studi sull’epillio latino, Pisa 1979, p. 94 sgg.
108
Mi riferisco qui ai concetti di empathy e sympathy intesi come termini tecnici nel
senso illustrato da Brooks Otis per la narrazione virgiliana (Virgil. A Study in Civilized
Poetry, Oxford 1963, p. 41 sgg.).
109
Questa è appunto la tesi di Otis nel suo molto discusso Ovid as an Epic Poet cit.,
pp. 55 sg., 58 sg., 61 sg. e passim (un suo equivoco di fondo circa la presunta soggetti-
vità dello stile ovidiano è individuato da Perutelli, La narrazione cit., p. 96 nota 3).
47 I. Narciso o l’illusione letteraria
113
1.23. Sul ‘problema Filostrato’ (soprattutto per l’identificazione dei vari autori
omonimi e per le relative attribuzioni) si veda la voce di F. Solmsen in RE, XX 1
(1941), 136 sgg. (sulle Eikónes, 167 sgg.). Ma sull’opera, e sul genere delle ekphraseis
in ambito retorico, è fondamentale la celebre introduzione di P. Friedländer al suo
Johannes von Gaza und Paulus Silentiarius, Leipzig-Berlin 1912, spec. p. 83 sgg.
114
Buone le considerazioni di Vinge, op. cit., pp. 29-31 (solo una piccola svista nella
datazione dell’opera).
115
Un procedimento analogo a quello di Filostrato (descrizione di opere pittoriche)
guida anche la raccolta poetica La Galeria di G.B. Marino, ed è significativo che anche
Marino si serva di raffigurazioni di Narciso per paragonare la sua illusione a quella
provocata nell’osservatore dalla pittura. L’esperienza di Narciso è assunta da Marino
come simbolo con cui affermare la validità del principio estetico dell’illusione, il pre-
49 I. Narciso o l’illusione letteraria
[danzare nelle tenebre e scrivere poesia che non sia letta davanti a nessuno, è
lo stesso. L’ascoltatore stimola lo zelo, e il valore cresce con l’elogio, e la gloria
ha un grandissimo sprone].
Illa vero frigida et puerilis est in scholis adfectatio, ut ipse transitus efficiat
aliquam utique sententiam et huius velut praestigiae plausum
petat, ut Ovidius lascivire in Metamorphosesin solet, quem tamen excusare
necessitas potest, res diversissimas in speciem unius corporis colligentem.
(4.1.77)
117
Per il concetto ovidiano della poesia come esibizione cfr. anche Pont., 1.5.57-69
(in part. v. 69 hoc mea contenta est infelix Musa theatro [la mia Musa infelice si appaga
di questo teatro]) e Trist., 5.1.73-76.
118
L’accusa di lascivia nei confronti di Ovidio da parte dello stesso Quintiliano ri-
corre anche a 10.1.88 e 93.
51 I. Narciso o l’illusione letteraria