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Il lettore saprà senz'altro già che il più recente tentativo di eleggere un Papa al di fuori della linea
successoria che oggi mette capo a Jorge Mario Bergoglio – tenendo ferma, per la prima volta, la
legittimità dei Pontefici post-conciliari fino a Benedetto XVI incluso – è sfociato, in maniera del
tutto inattesa almeno per gli osservatori esterni, nell'elezione unanime dello stesso Bergoglio. Il
gesto trova, in verità, precedente specifici al termine dei due scismi d'Occidente: nel 1428, quando
l'ultimo pretendente della linea avignonese, Clemente VIII, ha rinunciato e i suoi Cardinali, unanimi
anche allora, hanno eletto Martino V;1 nel 1449, allorché il conciliabolo di Basilea, prima di
sciogliersi, ha fatto altrettanto con Niccolò V.2 Ma qui la situazione è diversa, il gesto non sembra
destinato a porre termine alla questione “Benevacantista” e, in ogni caso, per sua natura è irrilevante
nel lungo periodo, dato che si risolve nella semplice aggiunta di un nuovo titolo di legittimità al
pretendente più “quotato” già in lizza. Al momento, quindi, il solo effetto concreto sembra il ritorno
di attualità di un argomento “sempreverde” come la possibilità (o impossibilità) di eleggere il Papa
in situazioni straordinarie; sembra il caso di approfittarne per fare il punto in materia, se non altro
perché le relative considerazioni torneranno senz'altro utili, per non dire necessarie, anche in
futuro...
1
Cfr. gli atti in J.D. MANSI (cur.), Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio..., vol. XXVIII, Venezia 1785,
1117B-1120D; v. anche A. BZOVIUS, Annalium ecclesiasticorum post illustrissimum et reverendissimum dominum
D. Caesarem Baronium, S.R.E. Cardinalem Bibliothecarium, t. XV (1378-1431), Colonia 1622, pagg. 706-31.
2
Cfr. F. COGNASSO, Felice V antipapa, in Enciclopedia dei Papi, Roma 2000, con ampia bibliografia.
3
Cfr. F. SUAREZ, De fide, spe et caritate, Tract. I – De fide theologica, Disp. V, Sect. VIII – An Papa sine Concilio sit
certa regula fidei e Disp. X, Sect. V – An certa fide constare possit, hunc hominem esse verum Pontificem et
Ecclesiae caput, in ID., Opera omnia, vol. XII, Parigi 1858, pagg. 161-5 e 312-5.
4
Tralascio svariati ulteriori argomenti che ci porterebbero troppo lontano, dall'altalena di decisioni contrastanti sulla
validità dell'elezione di Papa Formoso alle nette indicazioni contrarie all'adesione universale nelle bolle “ Cum tam
divino” e “Cum ex apostolatus officio”.
dei cc.dd. “vecchi cattolici”).
Detto in altri termini: una certezza infallibile antecedente alla definizione non è necessaria, o
meglio, basta che sia puramente negativa (assenza di dubbi o contestazioni). Ma siccome la
definizione dogmatica avviene per una grazia speciale di Dio alla Chiesa, Egli non la ispirerà che ad
un Pontefice legittimo: questa è appunto la certezza che cercavamo. Senza dubbio, potrà accadere
che pretendenti al Papato cerchino di legittimarsi definendo questa o quella dottrina, ma in tal caso
a) o la loro legittimità sarà già controversa e pubblica la ragione del dubbio (arg. a pari dal
conciliabolo di Basilea, che già era tale quando volle pronunciarsi in favore dell'Immacolata
Concezione), o quantomeno b) verrà definito qualcosa di talmente implausibile da rendere prima
facie ovvia l'illegittimità stessa. Di fatto, la storia degli antipapi più recenti vede verificarsi
entrambe le opzioni: vedasi Palmar de Troya, dove alla pretesa di una legittimità (se così si può
chiamare) derivante da investitura celeste diretta si è poi unito il preteso dogma secondo cui, nel
Battesimo, in ciascuno di noi verrebbe infusa una goccia del sangue della Madonna, che
produrrebbe la remissione del peccato originale e – indebolita dal peccato veniale, distrutta dal
mortale – verrebbe ripristinata ogni volta dalla Confessione. Serve forse che dica che questa
dottrina è del tutto inaudita e che non c'è la benché minima possibilità che faccia parte della
Rivelazione trasmessa dagli Apostoli? Quest'evidente falsità, allora, non può che trasformarsi in
prova dell'illegittimità di chi se n'è fatto autore.
Chiarito, quindi, che il dubbio è ammesso anche quando l'eletto è stato universalmente accettato
come legittimo (perché non sono state mosse confutazioni pubbliche nell'immediato), sarà tuttavia il
caso di non sottovalutare gli effetti pratici o “politici” dell'accettazione. Prendiamo proprio il caso
del Grande Scisma: Urbano VI è stato eletto tra il 7 e il 9 aprile 1378, in mezzo al tumulto della
popolazione di Roma per avere un Papa “romano o almeno italiano” (fatto in sé ammesso da tutti);
il 20 settembre, tutti i Cardinali, a parte uno morto nel frattempo, dopo aver dichiarato di aver agito
per timore grave e che la Sede è tuttora vacante, gli hanno contrapposto Roberto da Ginevra, alias
Clemente VII. In quelle circostanze, il dubbio era più che lecito; e tuttavia, qualche mese di
accettazione indiscussa bastò ad Urbano come sostegno “psicologico” di una legittimità altrimenti
assai traballante, tanto che un'obbedienza “urbanista” non venne mai meno nei quarant'anni
successivi.
Si può ben capire, allora, perché il Concilio di Costanza (Sess. XXXIX, 9 ottobre 1417), mentre
poneva fine al Grande Scisma, abbia decretato bensì la nullità dell'elezione del Papa se avvenuta per
timore grave “e che non possa essere ratificata o approvata in forza di un consenso susseguente,
anche se venisse a cessare il timore predetto”, ma anche che “Non sia lecito, tuttavia, ai cardinali
procedere ad altra elezione, se colui che è stato eletto non rinunci o non muoia, fino a che il
concilio generale non si sia pronunziato su quella elezione”; anzi, la contravvenzione al divieto è
fulminata di nullità con privazione di ogni diritto per il secondo eletto ed i suoi elettori.5
Almeno fino al 31 dicembre 2022, la contesa sulla validità della rinuncia di Benedetto XVI
configurava appunto un caso di Papa dubbio, ossia di dubbio dei fedeli tra due (o più) Papi
possibili; non mi pare, tuttavia, che i fautori della nullità, pur invocando a volte un giudizio
autoritativo sul punto, si siano mai rifatti alla disciplina specifica in materia e soprattutto al
principio informatore sottostante, che vieta di agire sulla scorta della propria certezza di partito.
Beninteso, quando il dubbio tra i due Papi nasce dalla rinuncia del primo, ceteris paribus questi
dovrebbe essere preferito tra i due, perché è sicuro che sia diventato a suo tempo Pontefice, ma
dubbio se abbia smesso di esserlo; però il principio riflesso non dispensa sic et simpliciter dalla
soluzione del dubbio stesso. E qui, secondo me, sta il primo e principale scoglio sulla rotta di ogni
“anti-elezione” pontificia: il principio Papa dubius, Papa nullus, che peraltro è stato formulato da
teologi e canonisti proprio in seguito ai decreti di Costanza, non va inteso come licenza di
provvedere alla Sede vacante, bensì come un'assimilazione che non nega affatto che un Papa
legittimo vi possa essere, però frattanto, in via cautelativa, applica la massima Sede vacante, nihil
5
Le polemiche su quali decreti di Costanza siano stati approvati dal Papa, e fino a che punto, sono ben note, ma il
principio per cui il “Concilio imperfetto” è giudice del Papa dubbio almeno nel caso dello scisma di Papi è stato
recepito pacificamente dalla generalità degli autori e dovrebbe perciò risultare extra controversiam.
innovetur. Un po' come quando, nella contesa sulla proprietà di un bene, questo viene intanto posto
sotto sequestro e sottratto alla disponibilità di entrambi.
9
Cfr. S. A.M. DE' LIGUORI, Theologia Moralis, Lib. III, Tract. I, Cap. II, Dubium III – De simonia, Art. III – Quae
sint poenae simoniae, Qu. IV – An electio Pontificis simoniaca sit nulla (ed. Parigi 1835, vol. I, pagg. 312-3). Va
notato che, all'epoca, si parlò di elezione simoniaca per Clemente XIV, in quanto vi sarebbe stato un accordo in cui
l'eligendo si sarebbe impegnato a sopprimere i Gesuiti, e una tradizione leggendaria vuole che il Pontefice morente
sia stato assistito proprio da S. Alfonso, in “bilocazione”.
10
F.X. WERNZ – P. VIDAL – PH. AGUIRRE , op.vol.cit., pagg. 480-2, nt. 56. Va peraltro notato che il motivo per cui si
parla di potestà conferita da Cristo è che, nella Chiesa, il potere viene sempre dall'alto e che il Papa non è né il
deleato né il rappresentante dei Cardinali, o dei Vescovi, etc.; chi è superiore a tutte le autorità umane non può
ricevere il proprio potere da altri che da Dio; non per questo però si tratta di un altro tipo di potere, come i
chiarissimi Autori sembrano pensare, perché il Vaticano I la definisce “iurisdictio vere episcopalis”. E dunque,
anche sotto quest'aspetto, nulla ripugna alla possibilità di supplenza.
11
Prima della codificazione del 1917, la maggior parte degli autori richiedeva che l'errore comune si unisse anche il
c.d. “titolo colorato”, cioè un atto di nomina o di delega prima facie valido; ma il requisito è stato superato per
effetto della mancata menzione nel can. 209 CIC 1917.
12
Tuttavia, è difficile immaginare che vengano meno sia la supplenza per errore comune sia quella per dubbio
probabile: fintantoché la causa del Papa illegittimo non è proprio destituita di fondamento, anche se i suoi seguaci si
riducessero a pochissimi, l'obiettiva probabilità almeno estrinseca basterebbe a fondare il potere di giurisdizione.
Nel caso poi di scisma di Papi, supposta la probabilità dei titoli di tutti i contendenti, tutti avrebbero giurisdizione
supplita, ma in concreto essa si eserciterebbe solo sulle rispettive obbedienze: ciascuno di loro, infatti, sarebbe in
tesi autore di atti vincolanti per la Chiesa universale, ma coloro che seguono altre opinioni probabili su chi sia il
vero Papa sono, almeno in generale, scusati dall'inosservanza delle disposizioni di chi ritengono illegittimo.
13
Il problema è, innanzitutto, se la potestà di Magistero sia un aspetto della giurisdizione o un potere diverso. Per un
verso, non c'è dubbio che gli atti magisteriali comportino sempre effetti giuridici, perché l'obbligo di prestare
l'assenso religioso al Magistero autentico è assistito anche da sanzione penale; per altro, sia l'oggetto, sia l'intento
dell'autore, sia la causa formale sono diversi rispetto all'ambito disciplinare. A parer mio, fermo che comunque non
si dovrebbe mai porre il caso di un atto infallibile emesso da un Papa illegittimo ma di illegittimità del tutto ignota, il
problema si può ridimensionare in modo abbastanza agevole, dato che comunque gli altri atti non sono di per sé
incontestabili.
senz'altro negativa almeno a termini del CIC 1983, can. 144, che circoscrive espressamente l'istituto
alla sola potestà di governo amministrativa. Ma siccome in quest'ultima rientrano tutte le nomina,
ivi comprese quelle di Vescovi e Cardinali, la pur sensibile riduzione cambia poco ai nostri fini:
ammessa la supplenza, il Papa illegittimo crea comunque Porporati validi, il che significa che, in
caso di sua morte o valida rinuncia, potrà ristabilirsi una legittimità indiscussa.
Ma, a mio parere, ciò vale perfino se si ritiene che essa non si applichi agli atti papali.
Supposto, infatti, che comunque vi sia un errore comune o almeno un dubbio probabile intorno alla
legittimità di chi invece (in tesi) Papa non era, evidentemente avverrà lo stesso riguardo ai Cardinali
creati da lui; e ai loro atti la supplenza si applica di sicuro. Se perciò, di fatto, prendono parte al
Conclave, i loro voti – con cui essi concorrono all'esercizio di una funzione tipica della potestà di
governo amministrativa, la provvista degli uffici vacanti – debbono essere considerati validi ad ogni
effetto, né l'elezione potrà essere annullata perché vi ha preso parte qualcuno che non era legittimo
membro del corpo elettorale.14 Si potrebbe perfino arrivare ad avere un Collegio interamente
composto di “elettori putativi”, senza che questo infirmi il ragionamento, a patto che perdurino i
presupposti dell'errore comune o del dubbio probabile.
Romano Pontífice. Origen de su autoridad suprema en el ordenamiento canónico actual, Buenos Aires 2011.
21
Cfr. rispettivamente SUPREMO TRIBUNALE DELLA SEGNATURA APOSTOLICA, Decreto definitivo 26 aprile 1986,
Dimissionis, c. Sabattani, Suor X / CRIS, prot. n.17083/85 CA e, ancor più radicalmente, Decreto definitivo 14
marzo 2009, Amotionis a paroecia, c. Erdö, Rev. X / Congregazione per il Clero, prot. n. 39682/07 CA ; Decreto
definitivo 29 febbraio 2008, Suppressionis monasterii, c. Coccopalmerio, Suor X / CIVCSVA, prot. n. 37162/05 CA
e Decreto del Congresso 28 febbraio 2002, Amotionis et incardinationis; diffamationis; iurium oeconomicorum;
damnorum, prot. n. 31547/00 CA; Sentenza definitiva 14 novembre 2007, Amotionis ab officio Vice-Rectoris
Seminarii, c. Cacciavillan, Rev. X / Congregazione per l’Educazione Cattolica, prot. n. 37707/05 CA, che si
appoggia alla communis opinio per ritenere valida la nomina originaria del ricorrente, avvenuta a voce, ma anche per
escludere quella dell’altrettanto informale rimozione, precisando a quest’ultimo riguardo che l’ufficio non era tra
quelli “a discrezione dell’autorità competente” e che la nomina verbale non aveva attribuito un diritto solo precario
né poteva ritorcersi in danno del ricorrente.
22
Il lettore ricorderà il caso, sollevato da Antonio Socci, della scheda in più rimasta piegata insieme con un'altra: la
discussione se dovesse applicarsi il n. 68 o il n. 69 aveva un suo perché e, potenzialmente, anche un impatto
immediato sulla legittimità di scrutini ed elezione.
della Congregazione, oppure eseguendone una invalida? A mio parere sì, perlomeno nella seconda
ipotesi e purché nel rispetto del minimo di quindici giorni dall'apertura della Sede vacante; per la
prima, si pone il problema di come rendere veramente collegiale un'azione intrapresa fuori della
procedura regolare... ma lo scopo della convocazione è mettere tutti gli elettori in rado di esercitare
il proprio diritto, quindi se di fatto, il tale giorno alla tale ora, tutti i Cardinali infraottantenni giunti
a Roma si trovassero in Cappella Paolina (cfr. n. 50) e dessero inizio al Conclave, lo scopo
dovrebbe dirsi comunque raggiunto. Va però notato che, esattamente come in caso di convocazione
legittima, qualunque Cardinale non avvertito avrebbe il potere di protestare, oltreché di entrare
comunque in Conclave; e qui potrebbe pretendere che si annullino le operazioni svolte in sua
assenza (cfr. can. 166). Tutto ciò vale anche per il caso in cui, a monte, sia mancata la convocazione
del Collegio da parte del Decano o di altro Cardinale che agisca in suo nome; ovviamente, però,
sarà più difficile fare in modo che tutti gli aventi diritto si presentino a Roma, perché il relativo
dovere giuridico, ai sensi del n. 38, sorge solo una volta che sono stati convocati.
Invece, se a un Cardinale elettore si impedisse materialmente l'ingresso in Conclave, o se venisse
escluso dall'elettorato attivo o passivo contro il disposto dei nn. 35-6 e 40, o se come candidato
fosse colpito da “esclusiva”, nell'accezione molto ampia del n. 80, si dovrebbe considerare violata la
libertà dell'elezione, con conseguente nullità a norma della disciplina universale (can. 170); la
conseguenza può sembrare eccessiva per la prima ipotesi, ma un atto di prepotenza che impedisce il
voto anche ad un solo elettore, se riuscito, manda un segnale a tutti gli altri e, prima facie, esclude
che vi siano le necessarie condizioni di sicurezza personale.
Ci si può chiedere se il Collegio abbia il potere di derogare alla UDG per trasferire altrove il
Conclave, se Roma stessa fosse malsicura per qualunque motivo o vi fossero altre gravi ragioni. La
risposta deve essere negativa, sia a termini dei nn. 2 e 4 sia perché un tale potere, espressamente
attribuito a più riprese in passato e contenuto ancora nella “Romano Pontifici eligendo”, è stato
eliminato durante la stesura di UDG. Bisogna allora concludere che, siccome la ratio legis per la
scelta di rendere sede obbligatoria la Città del Vaticano è offrre ai Cardinali “accommodata
collocatio atque permansio... ut operam dent ipsi electioni recte atque ordine explicandae”, se essa
viene meno con solare evidenza nel caso concreto, non può impugnarsi di nullità l'atto che convochi
o trasferisca il Collegio altrove. Ma questo solo per situazioni lampanti, perché nel dubbio bisogna
attenersi ad una legge che non ammette dispensa.
Quanto al tempo di inizio delle operazioni elettorali, la violazione del minimo di quindici giorni ex
n. 37, stabilito oltretutto con un imperativo “Praecipimus”, comporta nullità perché compromette il
diritto dei Cardinali elettori non ancora presenti in Roma, che debbono poter contare su questo lasso
di tempo per organizzare il proprio viaggio: in questo caso, quindi, non si applica il n. 39, secondo
cui chi arriva in ritardo accetta l'elezione nello stato in cui si trova, e l'elettore sopravvenuto avrà il
diritto di far annullare gli atti fin lì compiuti, proprio come se non fosse stato convocato affatto.
Discorso diverso, invece, per il limite massimo di venti giorni: il tenore della disposizione è più
blando, dato l'impiego di un congiuntivo esortativo, e se il termine acceleratorio per il
completamento delle operazioni elettorali non comporta nullità (cfr. can. 165), molto meno questo
per il loro semplice avvio. Inoltre, la nullità non tutelerebbe affatto l'interesse ad una celere
provvista della Sede vacante, dato che creerebbe, come minimo, ritardi ulteriori.23
Non è più prevista la nullità dell'elezione che non si svolga “in Conclavi clauso”, anche perché sotto
chiave viene, in un certo senso, messo l'intero Stato vaticano; la violazione o l'imperfetta attuazione
dell'articolato plesso normativo di cui ai nn. 44-8 non può, per sé sola, mettere a repentaglio la
validità dell'elezione, ma il discorso cambia se, in conseguenza di ciò, pressioni in favore o contro
qualcuno raggiungono qualche elettore e questi se ne fa portavoce presso il Collegio; beninteso, se
solo il diretto interpellato soccombe alla pressione o al dolo diretto a condizionare il suo voto, sarà
invalido quest'ultimo ma non l'esito delle votazioni, salvo che proprio la singola scheda sia decisiva.
23
Cfr. anche M. BONACINA, Tractatus de legitima Summi Pontificis electione, Lione 1637, pag. 127: “exceptio enim
contra Summum Pontificem a duabus Cardinalium partibus electum, opponi non poteest, nisi in casibus in Iure
expressis; sed dilatio & prorogatio non est impedimentum in Iure expressum, ergo opponi non potest; tum quia
sequeretur semel dilata electione, nullum postea creai posse legitimum Pontificem, quod est absurdum.”.
Passiamo ai nn. 49-54. Per importanti che siano dal punto di vista spirituale, né la S. Messa pro
eligendo Pontifice né la processione di ingresso in Sistina né la pia meditazione possono
considerarsi essenziali alla validità giuridica dell'elezione; il segreto del Conclave, invece (nn. 51 e
55-61), riveste un'importanza notevole, ma il semplice fatto che qualcuno lo violi registrando o
trasmettendo qualcosa non basta ad invalidare l'elezione, occorre una comunicazione in senso
inverso che miri a condizionarla (e che non raggiunga un solo Cardinale). Ci si può chiedere cosa
accadrebbe se un elettore rifiutasse di prestare il giuramento prescritto ai nn. 52-3: il Collegio non
ha il potere di dispensarlo, mentre ha senz'altro quello di costringerlo, anche con un precetto
penale... però non sembra che possa escluderlo e, se vi provasse, paradossalmente gli offrirebbe il
destro per impugnare poi la validità dell'elezione compiuta. Qui forse deve ravvisarsi una lacuna
legislativa che sarebbe opportuno colmare.
Per quanto riguarda lo svolgimento dell'elezione stessa (nn. 62 sgg.), essendo stata abrogata la
procedura per compromissum non è possibile farvi ricorso mutuandone la disciplina dal Codice
latino (tanto più che l'istituto non esiste in quello orientale); le sole condizioni espresse di validità
sono la maggioranza dei due terzi, del tutto inderogabile dopo le modifiche del 2007, e la
corrispondenza tra numero delle schede e degli elettori, richiesta dai due Codici (cfr. cann. 169 e
173 §3 CIC) e confermata da UDG 68 con l'eccezione di cui al n. 69; non è prevista l'astensione,
anzi ogni Cardinale deve tenere la scheda alta e ben visibile mentre si reca a deporla nell'urna (n.
66), quindi non dovrebbe mai esserci un numero di schede inferiore agli elettori presenti; se però in
qualche modo accadesse, sarà necessario ripetere lo scrutinio, a norma del n. 68. Per il resto,
tradizionalmente si ritengono essenziali solo l'espressione del voto mediante schede ripiegate,
affinché sia assicurato il segreto, e la designazione di scrutatori e Infirmarii, cioè i Cardinali
deputati a raccogliere il voto dei confratelli infermi; 24 si può aggiungere un molto ipotetico tentativo
di votare per procuratore, dato che la facoltà non è prevista (cfr. can. 167).
Si debbono però aggiungere, a mio parere, anche le regole sul numero degli scrutinii e gli intervalli
tra essi (nn. 63, 72, 74-5), in massima parte non previste nella “Romano Pontifici eligendo”, ma che,
semplificate le procedure e in particolare escluso il compromesso, sono ora necessarie a presidio
della doverosa ponderazione; quindi, l'eventuale omissione di qualche votazione prescritta non
inficia le successive, e forse neppure l'aggiunta di una ulteriore che vada a vuoto, ma di sicuro è
nulla quella aggiuntiva che sfoci in un'elezione. Inoltre, appunto perché si tratta di tutelare il diritto-
dovere degli elettori ad una scelta ponderata, anche le votazioni nulle debbono essere computate
quanto al rispetto dei limiti numerici.
Le altre disposizioni, anche importanti come l'obbligo di consegnare gli scritti relativi all'elezione
(n. 71), non obbligano a pena di nullità. Molto meno, poi, possono avere effetto irritante i nn. 78-86,
sia perché posti dopo il n. 76, sia perché quest'effetto non sarebbe congruo al loro contenuto:
sarebbe impraticabile e chimerico invalidare l'elezione perché i Cardinali non hanno avuto di mira
solo la gloria di Dio e il bene della Chiesa (n. 83); nel momento in cui si dichiara valida l'elezione
simoniaca del Papa, a fortiori non possono comportare nullità accordi che, pur vietati, non arrivino
a costituire simonia (nn. 78-9, 81-2); e se l'eletto, pur esortato da UDG 86 ad accettare, rifiutasse,
ciò non invaliderebbe l'elezione già avvenuta, ma estinguerebbe semplicemente il diritto da lui
ottenuto sull'ufficio, dimodoché le operazioni elettorali dovrebbero riprendere senza indugio.
Quanto all'accettazione, che è l'ultima delle formalità indispensabili, al n. 88 della UDG occorre
aggiungere il n. 62 dell'Ordo Rituum Conclavis, sulla raccolta del consenso dell'eletto che si trovi
fuori della Città del Vaticano; l'unico requisito davvero essenziale è il consenso e per questo non si
chiede di accettare a chi già esercitasse di fatto l'ufficio di Papa (cfr. gli esempi di Martino V e
Niccolò V, ovviamente del tutto eccezionali), ma per diritto positivo è obbligatorio che di questo
consenso dell'eletto consti mediante un atto notarile, redatto dal Maestro delle Celebrazioni
24
Cfr. P.M. PASSERINI, Tractatus de electione Summi Pontificis, Roma 1670, pagg. 122 e 160; A.S. CAMARDA, De
pertinentibus ad electionem Papae, Rieti 1727, pagg. 124 e 253. M. BONACINA, op. cit., pagg. 133-46, oltre a
salvare il caso in cui ci sia qualche voto palese, ma anche eliminandoli si veda che l'eletto mantiene la maggioranza
(e su ciò concordo), non menziona né gli scrutatori né gli Infirmarii; ma i primi sono indispensabili affinché il
computo avvenga con ordine e debbono redigerne relazione ufficiale, mentre dei secondi si può fare a meno solo se
di fatto non vi siano Cardinali malati, perché tutti debbono avere la possibilità di esprimere il proprio voto.
Liturggiche Pontificie. Sarei dell'avviso di non considerarla una norma invalidante, ma intesa
appunto a stabilire un regime probatorio: se, per pura ipotesi, qualcuno fosse nel pacifico possesso
dell'ufficio e non potesse esibire il documento, vi sarebbe comunque la certezza morale
dell'accettazione, stante l'esercizio di fatto del potere papale; non così in caso contrario. Infine,
sebbene UDG sembri richiedere una manifestazione immediata del consenso, appare applicabile
anche e soprattutto all'elezione del Papa il can. 177: non si potrebbe ragionevolmente negare uno
spatium deliberandi a chi lo richiedesse, tanto più che, a mio avviso, il Collegio potrebbe fissare un
termine perentorio più breve degli otto giorni di legge e che l'eletto, avendo già visto l'esito
profilarsi se era presente in Conclave, certo avrà riflettuto già prima.
5 – L'eleggibilità dell'eretico
Ho lasciato per ultimo, non a caso, il punto più controverso di tutti: se e in che misura possa essere
validamente eletto al Pontificato un eretico (nonché, per equiparazione, uno scismatico o un
apostata). Che la consapevole elezione di un soggetto simile sia illecita, per non dire criminale, è
ovvio e non richiede illustrazione; che difficilmente ci si possa aspettare una conversione
miracolosa, altrettanto; il dubbio sta tutto in ciò, se nondimeno costui consegua un titolo legittimo al
Papato.