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Temi e problemi del “conclavismo”

Il lettore saprà senz'altro già che il più recente tentativo di eleggere un Papa al di fuori della linea
successoria che oggi mette capo a Jorge Mario Bergoglio – tenendo ferma, per la prima volta, la
legittimità dei Pontefici post-conciliari fino a Benedetto XVI incluso – è sfociato, in maniera del
tutto inattesa almeno per gli osservatori esterni, nell'elezione unanime dello stesso Bergoglio. Il
gesto trova, in verità, precedente specifici al termine dei due scismi d'Occidente: nel 1428, quando
l'ultimo pretendente della linea avignonese, Clemente VIII, ha rinunciato e i suoi Cardinali, unanimi
anche allora, hanno eletto Martino V;1 nel 1449, allorché il conciliabolo di Basilea, prima di
sciogliersi, ha fatto altrettanto con Niccolò V.2 Ma qui la situazione è diversa, il gesto non sembra
destinato a porre termine alla questione “Benevacantista” e, in ogni caso, per sua natura è irrilevante
nel lungo periodo, dato che si risolve nella semplice aggiunta di un nuovo titolo di legittimità al
pretendente più “quotato” già in lizza. Al momento, quindi, il solo effetto concreto sembra il ritorno
di attualità di un argomento “sempreverde” come la possibilità (o impossibilità) di eleggere il Papa
in situazioni straordinarie; sembra il caso di approfittarne per fare il punto in materia, se non altro
perché le relative considerazioni torneranno senz'altro utili, per non dire necessarie, anche in
futuro...

1. Il Papa dubbio ossia dubbiamente eletto


Tutta la controversia intorno alla validità della rinuncia di Benedetto XVI ha l'indubbio pregio di
aver riproposto all'attenzione generale, oltre all'importanza del diritto canonico, il particolare tema
del Papa dubbio, quello cioè della cui legittima elezione si controverta. Negli ultimi secoli, infatti,
esso si è ridotto praticamente ad un caso di scuola, perché la generalità degli autori ha abbracciato
l'opinione del Suárez, secondo cui è di Fede che l'uomo oggi universalmente riconosciuto come
Papa lo sia veramente: il Papa è la regola vivente della Fede e non può la Chiesa intera sbagliare nel
riconoscere chi Egli sia; altrimenti, a tacer d'altro, non vi sarebbe mai certezza che le definizioni
dogmatiche provengano dalla persona legittimata a renderle.3
Ho già detto in più occasioni che questa tesi, per quanto rispettabile, mi sembra falsa (e preciso che,
pur essendo molto comune, non è de Fide). Brevemente:4
1. nella generalità degli affari di questo mondo, anche ecclesiastici, è sufficiente la certezza
morale; l'accettazione universale basta senza dubbio a fondarla;
2. in tanto può esser necessaria una certezza assoluta sulla legittimità del Papa, in quanto un
asserto di chi si pone come tale richieda l'assenso di Fede; ma se lo richiede come
espressione del Magistero ordinario e universale, allora consiste nella riproposizione di ciò
che già altri Papi e Vescovi hanno insegnato, quindi non è dirimente che Tizio, hic et nunc,
sia Papa legittimo; il problema, quindi, resta circoscritto alle definizioni dogmatiche;
3. in tal caso, l'esigenza di certezza sollevata dal Dottore Esimio non va certo sottovalutata;
tuttavia, prima che egli definisca e dinanzi agli atti preparatori, basterà ancora al fedele la
certezza morale; dopo, invece e senza dubbio, subentrerà una certezza di Fede (fides
ecclesiastica, nel linguaggio dei manuali), perché la legittimità dell'autore della definizione
si convertirà in fatto dogmatico, e ciò sia che la definizione sia accettata pacificamente da
tutti (come per l'Immacolata Concezione o l'Assunzione) sia che, ponendo termine ad una
controversia dottrinale, sia di fatto respinta dalla parte soccombente (v., da ultimo, lo scisma

1
Cfr. gli atti in J.D. MANSI (cur.), Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio..., vol. XXVIII, Venezia 1785,
1117B-1120D; v. anche A. BZOVIUS, Annalium ecclesiasticorum post illustrissimum et reverendissimum dominum
D. Caesarem Baronium, S.R.E. Cardinalem Bibliothecarium, t. XV (1378-1431), Colonia 1622, pagg. 706-31.
2
Cfr. F. COGNASSO, Felice V antipapa, in Enciclopedia dei Papi, Roma 2000, con ampia bibliografia.
3
Cfr. F. SUAREZ, De fide, spe et caritate, Tract. I – De fide theologica, Disp. V, Sect. VIII – An Papa sine Concilio sit
certa regula fidei e Disp. X, Sect. V – An certa fide constare possit, hunc hominem esse verum Pontificem et
Ecclesiae caput, in ID., Opera omnia, vol. XII, Parigi 1858, pagg. 161-5 e 312-5.
4
Tralascio svariati ulteriori argomenti che ci porterebbero troppo lontano, dall'altalena di decisioni contrastanti sulla
validità dell'elezione di Papa Formoso alle nette indicazioni contrarie all'adesione universale nelle bolle “ Cum tam
divino” e “Cum ex apostolatus officio”.
dei cc.dd. “vecchi cattolici”).
Detto in altri termini: una certezza infallibile antecedente alla definizione non è necessaria, o
meglio, basta che sia puramente negativa (assenza di dubbi o contestazioni). Ma siccome la
definizione dogmatica avviene per una grazia speciale di Dio alla Chiesa, Egli non la ispirerà che ad
un Pontefice legittimo: questa è appunto la certezza che cercavamo. Senza dubbio, potrà accadere
che pretendenti al Papato cerchino di legittimarsi definendo questa o quella dottrina, ma in tal caso
a) o la loro legittimità sarà già controversa e pubblica la ragione del dubbio (arg. a pari dal
conciliabolo di Basilea, che già era tale quando volle pronunciarsi in favore dell'Immacolata
Concezione), o quantomeno b) verrà definito qualcosa di talmente implausibile da rendere prima
facie ovvia l'illegittimità stessa. Di fatto, la storia degli antipapi più recenti vede verificarsi
entrambe le opzioni: vedasi Palmar de Troya, dove alla pretesa di una legittimità (se così si può
chiamare) derivante da investitura celeste diretta si è poi unito il preteso dogma secondo cui, nel
Battesimo, in ciascuno di noi verrebbe infusa una goccia del sangue della Madonna, che
produrrebbe la remissione del peccato originale e – indebolita dal peccato veniale, distrutta dal
mortale – verrebbe ripristinata ogni volta dalla Confessione. Serve forse che dica che questa
dottrina è del tutto inaudita e che non c'è la benché minima possibilità che faccia parte della
Rivelazione trasmessa dagli Apostoli? Quest'evidente falsità, allora, non può che trasformarsi in
prova dell'illegittimità di chi se n'è fatto autore.
Chiarito, quindi, che il dubbio è ammesso anche quando l'eletto è stato universalmente accettato
come legittimo (perché non sono state mosse confutazioni pubbliche nell'immediato), sarà tuttavia il
caso di non sottovalutare gli effetti pratici o “politici” dell'accettazione. Prendiamo proprio il caso
del Grande Scisma: Urbano VI è stato eletto tra il 7 e il 9 aprile 1378, in mezzo al tumulto della
popolazione di Roma per avere un Papa “romano o almeno italiano” (fatto in sé ammesso da tutti);
il 20 settembre, tutti i Cardinali, a parte uno morto nel frattempo, dopo aver dichiarato di aver agito
per timore grave e che la Sede è tuttora vacante, gli hanno contrapposto Roberto da Ginevra, alias
Clemente VII. In quelle circostanze, il dubbio era più che lecito; e tuttavia, qualche mese di
accettazione indiscussa bastò ad Urbano come sostegno “psicologico” di una legittimità altrimenti
assai traballante, tanto che un'obbedienza “urbanista” non venne mai meno nei quarant'anni
successivi.
Si può ben capire, allora, perché il Concilio di Costanza (Sess. XXXIX, 9 ottobre 1417), mentre
poneva fine al Grande Scisma, abbia decretato bensì la nullità dell'elezione del Papa se avvenuta per
timore grave “e che non possa essere ratificata o approvata in forza di un consenso susseguente,
anche se venisse a cessare il timore predetto”, ma anche che “Non sia lecito, tuttavia, ai cardinali
procedere ad altra elezione, se colui che è stato eletto non rinunci o non muoia, fino a che il
concilio generale non si sia pronunziato su quella elezione”; anzi, la contravvenzione al divieto è
fulminata di nullità con privazione di ogni diritto per il secondo eletto ed i suoi elettori.5
Almeno fino al 31 dicembre 2022, la contesa sulla validità della rinuncia di Benedetto XVI
configurava appunto un caso di Papa dubbio, ossia di dubbio dei fedeli tra due (o più) Papi
possibili; non mi pare, tuttavia, che i fautori della nullità, pur invocando a volte un giudizio
autoritativo sul punto, si siano mai rifatti alla disciplina specifica in materia e soprattutto al
principio informatore sottostante, che vieta di agire sulla scorta della propria certezza di partito.
Beninteso, quando il dubbio tra i due Papi nasce dalla rinuncia del primo, ceteris paribus questi
dovrebbe essere preferito tra i due, perché è sicuro che sia diventato a suo tempo Pontefice, ma
dubbio se abbia smesso di esserlo; però il principio riflesso non dispensa sic et simpliciter dalla
soluzione del dubbio stesso. E qui, secondo me, sta il primo e principale scoglio sulla rotta di ogni
“anti-elezione” pontificia: il principio Papa dubius, Papa nullus, che peraltro è stato formulato da
teologi e canonisti proprio in seguito ai decreti di Costanza, non va inteso come licenza di
provvedere alla Sede vacante, bensì come un'assimilazione che non nega affatto che un Papa
legittimo vi possa essere, però frattanto, in via cautelativa, applica la massima Sede vacante, nihil

5
Le polemiche su quali decreti di Costanza siano stati approvati dal Papa, e fino a che punto, sono ben note, ma il
principio per cui il “Concilio imperfetto” è giudice del Papa dubbio almeno nel caso dello scisma di Papi è stato
recepito pacificamente dalla generalità degli autori e dovrebbe perciò risultare extra controversiam.
innovetur. Un po' come quando, nella contesa sulla proprietà di un bene, questo viene intanto posto
sotto sequestro e sottratto alla disponibilità di entrambi.

2. Sanatorie, supplenze e successioni per i Papi illegittimi


Un altro problema di notevole spessore riguarda le conseguenze dell'insediamento di un Papa
illegittimo: se in qualche modo l'illegittimità sia sanabile, se possa godere di giurisdizione almeno
supplita, o se sia comunque possibile una successione legittima senza ricorrere a rimedi straordinari
come il Concilio imperfetto o l'elezione da parte di un soggetto diverso dal Collegio Cardinalizio.
In proposito, bisogna osservare che oggi la situazione è nettamente diversa rispetto ai tempi antichi:
finché l'elezione del Papa coinvolgeva l'intera Chiesa di Roma, era possibile sostenere che, se di
fatto il clero e il popolo accettavano la legittimità di Tizio e comunicavano in sacris con lui, questo
comportamento aveva valore c.d. concludente cioè equivaleva ad una formale elezione, casomai
egli fosse stato sprovvisto, fino ad allora, di un titolo valido. 6 In questo modo si considera sanata, ad
es., l'illegittimità iniziale di Vigilio, insediato quando il suo predecessore Silverio, “deposto”
dall'imperatore ma non rinunziatario, ancora viveva. A mano a mano che il diritto di elezione è stato
ristretto, però, e concentrato in capo ai Cardinali, si è anche precisato che esso non può essere
esercitato in qualsiasi modo – dunque anche per facta concludentia – ma solo seguendo una
determinata procedura, a pena di invalidità, e che né come singoli né come Collegio essi hanno il
potere di alterare la relativa disciplina; dunque, a partire almeno dalla “Ne Romani” di Clemente V,
l'accettazione universale sanante restava possibile soltanto per i vizi del consenso... e infatti fu
invocata in favore di Urbano VI dopo la già ricordata elezione del 1378. Come si è detto, il Concilio
di Costanza la esclude in caso di timore grave, con una disposizione rimasta senz'altro in vigore
almeno fino al Codice del 1917 (ma, a mio parere, non abrogata neppure in seguito); 7 i margini di
intervento dell'accettazione sanante appaiono, dunque, sempre più risicati, soprattutto dopo che
Gregorio XV, abrogando l'elezione per pubblica adoratio, ha reso assolutamente indispensabile il
procedimento del Conclave. Di sicuro, poi, non può parlarsi di una simile accettazione in caso di
errore circa il momento di vacanza della Sede: esso, a tacer d'altro, implica che alcuni degli aventi
diritto non vengano convocati,8 o che lo siano soggetti che, nominati in tesi da un antipapa,
potrebbero in realtà essere sprovvisti dell'elettorato attivo... ed in entrambi i casi si porrebbero
problemi di nullità (cfr. can. 166 CIC 1983).
Appurato, quindi, che in sostanza l'unico modo per sanare un'illegittima occupazione della Sede
6
Si badi che qui si parla di un'accettazione universale dagli effetti diversi rispetto a quella del paragrafo che precede:
lì si trattava, in tesi, della prova infallibile dell'inesistenza di alcun vizio, qui al contrario si assume che i vizi
esistano e che, tuttavia, ogni soggetto legittimato a farli valere e/o ad eleggere comunque il vero Papa disponga del
proprio diritto nel momento in cui accetta il fatto compiuto.
7
F.X. WERNZ – P. VIDAL – PH. AGUIRRE , Ius Canonicum ad normam Codicis exactum, vol. II, Roma 1943, pagg. ,
propugnano l'abrogazione perché il disposto in parola non è stato ripreso nella Cost. Ap. “Vacante Sede Apostolica”
di S. Pio X, che, a norma del can. 160 CIC 1917, dovrebbe essere l'unica fonte che regola l'elezione papale. Ma il
canone serve soltanto ad escludere che ad essa si applichino le regole del Codice (“Romani Pontificis electio unice
regitur const. Pii X Vacante Sede Apostolica, 25 Dec. 1904; in aliis electionibus ecclesiasticis serventur praescripta
canonum qui sequuntur, et peculiaria, si qua sint, pro singulis officiis legitime statuta.”). Soprattutto, le leggi
sull'elezione del Pontefice non possono, a mio avviso, essere modificate o abrogate dai Codici latini, perché
riguardano allo stesso modo tutti i cattolici, inclusi gli orientali, in quanto servono a determinare l'identità della
persona fisica che, in un dato momento, deve essere considerata investita del Pontificato. Dal canto suo, la
Costituzione piana mirava soprattutto a codificare le norme di procedura, sostituendo la Aeterni Patris di Gregorio
XV; ma non è mai esistito un testo unico dei vizi sostanziali dell'elezione del Papa (la simonia, che è l'unico
contemplato da questa legge speciale e pure da tutte quelle che via via le sono subentrate, è prevista solo per
escluderne l'effetto invalidante, che altrimenti discenderebbe da una norma generale). Siccome però, sia per il
Codice del 1917 sia per quello del 1983, il voto espresso per timore grave è nullo per ogni elezione, servirebbe
un'analoga deroga espressa per rendere il problema irrilevante proprio nel caso del Papa, cioè dell'atto elettorale più
importante della Cristianità; ma siccome una simile deroga non esiste (e sarebbe con molta probabilità
irragionevole), allora le disposizioni di Costanza, presupponendo appunto l'applicabilità della regola generale,
possono ben considerarsi come una legge speciale anteriore, che non viene abrogata per il solo fatto di non essere
stata ripresa in quella generale posteriore.
8
Perlomeno se ci si attiene alla regola che esclude dal voto i Cardinali che hanno compiuto ottant'anni prima del
momento in cui la Sede si rende vacante.
Apostolica è un'elezione regolare da parte degli aventi diritto, senza che partecipi al voto neppure
un solo soggetto estraneo al corpo elettorale, ci si può chiedere se anche nel caso del Papa valga la
regola della supplenza di giurisdizione nei due casi di errore comune (Tizio non è vero Papa, ma la
maggior parte dei fedeli lo ritiene tale) o di dubbio probabile. Il problema è stato discusso
soprattutto rispetto al caso di elezione affetta da simonia occulta, che sarebbe stata nulla secondo la
Costituzione di Giulio II: S. Alfonso propugnava la soluzione affermativa, giungendo ad affermare
che la supplenza per errore comune si sarebbe estesa perfino alle definizioni infallibili; 9 Wernz-
Vidal, opinando peraltro che la simonia occulta non comportasse la nullità di cui alla “Cum tam
divino”, escludevano in radice la possibilità stessa della supplenza, perché la potestà di governo è
conferita al Papa da Cristo e la Chiesa non la possiede in modo tale da poterla supplire. 10 Ma la
supplenza non va confusa con una sanatoria, non elimina affatto il difetto del titolo, bensì rende
valido il sinolo atto, volta per volta; la Chiesa – cioè la legge – può benissimo ordinare alla
generalità dei fedeli di considerar validi gli atti del falso Papa, allo stesso modo e per le stesse
ragioni per cui è stata introdotta la supplenza per errore comune o dubbio probabile.11
Vanno notate alcune importantissime particolarità dell'istituto: siccome il potere di governo è
attribuito per il bene comune – anche nel caso della supplenza – si richiede l'errore della
maggioranza degli interessati, e non di pochi, ma per converso il potere sussiste e si applica anche a
quanti conoscano il difetto di titolo; e similmente per il dubbio probabile, dev'esserci una
probabilità vera, ma una volta che ci sia non importa che il suddito o lo stesso autore dell'atto siano
convinti che la giurisdizione ordinaria o delegata non vi sia, purché quest'ultimo intenda comunque
porre in essere un atto giuridico.
Peraltro, pur ammessa la supplenza, il Papa illegittimo non potrebbe impedire il giudizio sul difetto
di titolo (vuoi perché la supplenza in tal caso non opera, dato che ha lo scopo di evitare
conseguenze dannose per i fedeli, non per il titolare apparente; vuoi perché comunque ad un ordine
nocivo è lecito o anche doveroso resistere); anzi, la divulgazione del problema potrebbe perfino, in
tesi, far venire meno quell'adesione maggioritaria che sostanzia l'errore comune. 12 Inoltre, i
provvedimenti ingiusti potrebbero essere sempre contestati nei modi ordinari.
È discusso se la supplenza operi anche rispetto agli atti di Magistero; 13 la risposta, tuttavia, è

9
Cfr. S. A.M. DE' LIGUORI, Theologia Moralis, Lib. III, Tract. I, Cap. II, Dubium III – De simonia, Art. III – Quae
sint poenae simoniae, Qu. IV – An electio Pontificis simoniaca sit nulla (ed. Parigi 1835, vol. I, pagg. 312-3). Va
notato che, all'epoca, si parlò di elezione simoniaca per Clemente XIV, in quanto vi sarebbe stato un accordo in cui
l'eligendo si sarebbe impegnato a sopprimere i Gesuiti, e una tradizione leggendaria vuole che il Pontefice morente
sia stato assistito proprio da S. Alfonso, in “bilocazione”.
10
F.X. WERNZ – P. VIDAL – PH. AGUIRRE , op.vol.cit., pagg. 480-2, nt. 56. Va peraltro notato che il motivo per cui si
parla di potestà conferita da Cristo è che, nella Chiesa, il potere viene sempre dall'alto e che il Papa non è né il
deleato né il rappresentante dei Cardinali, o dei Vescovi, etc.; chi è superiore a tutte le autorità umane non può
ricevere il proprio potere da altri che da Dio; non per questo però si tratta di un altro tipo di potere, come i
chiarissimi Autori sembrano pensare, perché il Vaticano I la definisce “iurisdictio vere episcopalis”. E dunque,
anche sotto quest'aspetto, nulla ripugna alla possibilità di supplenza.
11
Prima della codificazione del 1917, la maggior parte degli autori richiedeva che l'errore comune si unisse anche il
c.d. “titolo colorato”, cioè un atto di nomina o di delega prima facie valido; ma il requisito è stato superato per
effetto della mancata menzione nel can. 209 CIC 1917.
12
Tuttavia, è difficile immaginare che vengano meno sia la supplenza per errore comune sia quella per dubbio
probabile: fintantoché la causa del Papa illegittimo non è proprio destituita di fondamento, anche se i suoi seguaci si
riducessero a pochissimi, l'obiettiva probabilità almeno estrinseca basterebbe a fondare il potere di giurisdizione.
Nel caso poi di scisma di Papi, supposta la probabilità dei titoli di tutti i contendenti, tutti avrebbero giurisdizione
supplita, ma in concreto essa si eserciterebbe solo sulle rispettive obbedienze: ciascuno di loro, infatti, sarebbe in
tesi autore di atti vincolanti per la Chiesa universale, ma coloro che seguono altre opinioni probabili su chi sia il
vero Papa sono, almeno in generale, scusati dall'inosservanza delle disposizioni di chi ritengono illegittimo.
13
Il problema è, innanzitutto, se la potestà di Magistero sia un aspetto della giurisdizione o un potere diverso. Per un
verso, non c'è dubbio che gli atti magisteriali comportino sempre effetti giuridici, perché l'obbligo di prestare
l'assenso religioso al Magistero autentico è assistito anche da sanzione penale; per altro, sia l'oggetto, sia l'intento
dell'autore, sia la causa formale sono diversi rispetto all'ambito disciplinare. A parer mio, fermo che comunque non
si dovrebbe mai porre il caso di un atto infallibile emesso da un Papa illegittimo ma di illegittimità del tutto ignota, il
problema si può ridimensionare in modo abbastanza agevole, dato che comunque gli altri atti non sono di per sé
incontestabili.
senz'altro negativa almeno a termini del CIC 1983, can. 144, che circoscrive espressamente l'istituto
alla sola potestà di governo amministrativa. Ma siccome in quest'ultima rientrano tutte le nomina,
ivi comprese quelle di Vescovi e Cardinali, la pur sensibile riduzione cambia poco ai nostri fini:
ammessa la supplenza, il Papa illegittimo crea comunque Porporati validi, il che significa che, in
caso di sua morte o valida rinuncia, potrà ristabilirsi una legittimità indiscussa.
Ma, a mio parere, ciò vale perfino se si ritiene che essa non si applichi agli atti papali.
Supposto, infatti, che comunque vi sia un errore comune o almeno un dubbio probabile intorno alla
legittimità di chi invece (in tesi) Papa non era, evidentemente avverrà lo stesso riguardo ai Cardinali
creati da lui; e ai loro atti la supplenza si applica di sicuro. Se perciò, di fatto, prendono parte al
Conclave, i loro voti – con cui essi concorrono all'esercizio di una funzione tipica della potestà di
governo amministrativa, la provvista degli uffici vacanti – debbono essere considerati validi ad ogni
effetto, né l'elezione potrà essere annullata perché vi ha preso parte qualcuno che non era legittimo
membro del corpo elettorale.14 Si potrebbe perfino arrivare ad avere un Collegio interamente
composto di “elettori putativi”, senza che questo infirmi il ragionamento, a patto che perdurino i
presupposti dell'errore comune o del dubbio probabile.

3. Un corpo elettorale di riserva?


Ci si è chiesti, naturalmente, cosa accadrebbe se dovesse venir meno l'intero Collegio cardinalizio:
il dubbio precede di diversi secoli i problemi attuali e, anche se a suo tempo è stato discusso come
tranquillo problema di scuola, non vi è unanimità tra gli autori. Per quanto ho appena detto, è chiaro
che si tratta di un caso quasi impossibile, perché anche i Cardinali dubbi eleggerebbero validamente
(e avrebbero, quindi, il diritto e il dovere di procedere); vale tuttavia la pena di riferire che le
opinioni che si contendono il campo sono tre, perché secondo alcuni, venuto meno il Collegio,
l'elezione del Papa spetterebbe ai canonici lateranensi, secondo altri si devolverebbe ai Pastori di
grado inferiore e quindi al Concilio imperfetto, mentre la terza opinione afferma che, siccome il
caso non è mai stato disciplinato, limitatamente ad esso debbono considerarsi tuttora in vigore le
norme precedenti, come dire l'elezione “a clero e popolo”.15
Partiamo dalla premessa che non esistono disposizioni inderogabili in proposito: il diritto divino ha
lasciato al pieno arbitrio dei Papi il modo di elezione dei loro successori, tanto che, secondo
l'opinione più comune, essi potrebbero procedere anche per designazione diretta; né vi sono
particolari riserve dell'elettorato attivo in favore della Chiesa romana, soprattutto visto che, secondo
diversi teologi, il Papato potrebbe essere trasferito altrove non solo de facto, ma anche de iure, cioè
legalmente separato dalla titolarità della Diocesi di Roma.
Orbene, è subito evidente che il diritto positivo non regola il caso in cui vengano meno tutti i
Cardinali. Dinanzi a tali lacune, ha forza di legge (suppletiva) soltanto l'opinione comune e costante
dei giuristi, che in questo caso manca. Delle tre tesi in campo, osservo che la prima mi sembra
destituita di ogni probabilità: mai il Papa è stato eletto del Capitolo della sua Cattedrale e, in più,
simili elezioni sono ormai eccezionali in tutta la Chiesa latina. La seconda ha trovato validi
sostenitori (a quelli ricordati in quest'articolo si può aggiungere il Billot), ma dipende in ultima
analisi da due questioni aperte: se il Papa sia in primo luogo Papa, e solo secondariamente Vescovo
di Roma, e se almeno in astratto i due uffici siano separabili. Non si può comunque sostenere che
esista una qualsiasi competenza di diritto divino e, come abbiamo visto, mancano sia una legge
umana espressa sia una suppletiva, derivante dal consenso degli autori. Non resta, allora, che rifarsi
alla terza opinione, l'unica che possa invocare in proprio favore un sicuro fondamento positivo: la
legge anteriore, che si presume non abrogata quando la nuova non regoli un qualche caso.
14
Sia chiaro: il loro difetto di titolo sussiste e pertanto, a rigore, non dovrebbero né essere convocati né presentarsi.
Ma, a prescindere dall'imputabilità morale degli errori a monte (che potrebbero perfino essere punibili, e tali
resterebbero), una volta che di fatto siano lì e intervengano, tutto si svolge legittimamente. La supplenza, infatti, non
opera né come una delega né come una sanatoria: la prima attribuisce il potere il precedenza, la seconda ex post; la
supplenza, come una sorta di via di mezzo, proprio nell'atto di agire e per il fatto che si sta agendo.
15
Cfr. A.S. CAMARDA, De pertinentibus ad electionem Papae, Rieti 1727, pagg. 103-4; menziona solo le prime due
opinioni (con un accenno ad una devoluzione ai Patriarchi) L. FERRARIS, Prompta Bibliotheca canonica, juridica,
moralis, theologica, vol. V, Parigi 1854, s.v. Papa, coll. 1810-1, nn. 44-5.
Può essere il caso di ribadire, però, che tale disciplina non conferiva affatto ai laici un diritto di
voto, ma semmai un qualcerto diritto di veto, nel senso che essi potevano muovere obiezioni contro
l'idoneità dell'eletto e che un rifiuto generale della sua persona (ancorché, in ipotesi, ingiustificato)
avrebbe impedito il conferimento dell'ufficio, per evidenti ragioni di opportunità, secondo la
massima Nullus invitis detur Episcopus; viceversa, il generale consenso fungeva da validissima
conferma della buona reputazione di costui. Ho già illustrato la normativa nel mio precedente
articolo in argomento; vorrei ora aggiungere l'ultimo esempio storico di ricorso ad essa, l'elezione
antipapale del 1328. Per quanto influenzato dalle teorie “democratiche” di Marsilio da Padova,
infatti, Ludovico il Bavaro sapeva bene che solo il rispetto di una procedura tradizionale avrebbe
potuto conferire almeno una parvenza di legittimità all'antipapa che intendeva contrapporre a
Giovanni XXII; ecco, quindi, che l'elezione, “Avvenuta formalmente su indicazione di un collegio di
13 delegati del clero romano, sollecitati dall’imperatore”, fu seguita dalla presentazione ufficiale al
popolo dell'eletto - il francescano Pietro Rinalducci da Corvara, pare rinomato come predicatore – e
da un'accettazione in forma rituale, giacché “il vescovo di Castello, Iacopo Alberti da Prato,
interpellò per tre volte la folla, che rispose acclamando il nuovo pontefice.”.16
“Clero romano”, naturalmente, è tutto e solo quello della Diocesi di Roma: dalla Provincia
ecclesiastica dell'Urbe arrivavano soltanto i Vescovi delle Diocesi suburbicarie, che dovevano
esaminare la persona dell'eletto.17 Ma siccome essi oggi corrispondono ai Cardinali vescovi,
nell'ipotesi in discorso il loro intervento sarebbe impossibile; vi si dovrebbe supplire,
probabilmente, con una qualche forma di rappresentanza dell'Episcopato in genere.18

4 - Violazioni procedurali e nullità dell'elezione


Supposto, invece, che si proceda all'elezione da parte di un Collegio cardinalizio o presunto tale e
che si seguano le norme emanate da Giovanni Paolo II, è sorto il dubbio – particolarmente proprio
con l'elezione di Bergoglio – di quali violazioni delle medesime possano comportare la nullità degli
atti compiuti: le leggi anteriori, infatti, riferivano chiaramente la clausola irritante al mancato
rispetto dei requisiti di validità dettati per ciascuna delle tre procedure, o alla scelta di una
procedura non prevista; ma la “Universi Dominici Gregis”, lasciata peraltro in vita solo quella per
scrutinium, al n. 76 si esprime in termini più ampi che in passato, dicendo “Quodsi electio aliter
celebrata fuerit, quam haec Constitutio statuit, aut non servatis condicionibus pariter hic
praescriptis, electio eo ipso est nulla et invalida absque ulla declaratione, ideoque electo nullum ius
tribuit.”. Inoltre, essa è stata emanata in vigenza del can. 38 CIC, che dichiara privo di effetto ogni
atto amministrativo contrario alla legge e non munito di apposita clausola di deroga.19 Parrebbe,
quindi, di dover concludere che ogni violazione della normativa elettorale renda nulla l'elezione
stessa; e va aggiunto che i commentatori offrono ben pochi spunti al riguardo.20
16
A. DE VINCENTIIS, Niccolò V, antipapa, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. LXXVIII, Roma 2013. può
essere il caso di notare che “La cerimonia si concluse con la conferma dell’elezione da parte dell’imperatore, che
consegnò al papa i simboli dell’autorità apostolica, l’anello e il manto pontifici. Infine, gli attribuì il nome
Niccolò.”: l'imperatore rivendicava ed esercitava un diritto di conferma dell'elezione derivante dal “privilegio
ottoniano”, che ai nostri fini non è necessario discutere, perché suppone comunque un'elezione già completa.
17
Tuttora, queste Diocesi sono dotate non solo di un proprio Vescovo, ma anche di un proprio clero, cioè di Sacerdoti
che si considerano ad ogni effetto incardinati ad Albano, o a Velletri-Segni etc., e non a Roma. Ci si può chiedere se
il diritto di elezione spetterebbe ai chierici incardinati nella Diocesi romana oppure a quelli in essa residenti; la
soluzione più corretta mi sembra la prima.
18
Lo stesso dicasi per la consacrazione dell'eletto che non fosse già Vescovo, atto che spetterebbe al Cardinale Decano
in quanto titolare della Diocesi di Ostia.
19
In realtà, UDG è norma più generale del Codice latino e a fortiori dell'orientale, non a caso i richiama entrambi (cfr.
ad es. n. 77); ma il can. 38 CIC trova un equivalente sostanziale nel can. 1515 CCEO.
20
Cfr. J. MIÑAMBRES, Il governo della Chiesa durante la vacanza della Sede Romana e l'elezione del Romano
Pontefice, in Ius Ecclesiae 8 (1996), pagg. 713-29; P. MAJER, “Universi Dominici Gregis”: la nueva normativa
sobre la elección del Romano Pontífice, in Ius Canonicum 72 (1996), pagg. 669-712; J.I. ARRIETA, Il sistema
elettorale della Cost. Ap. Universi Dominici Gregis, in Ius Ecclesiae 12 (2000), pagg. 137-62; J. OTADUY - A.
VIANA - J. SEDANO (curr.), Diccionario General de Derecho Canónico, voll. I-VII, Pamplona 2012, ss.vv. Cardenal,
Colegio Cardenalicio, Cónclave, Elección del Romano Pontífice, Secreto en la Elección del Romano Pontífice, Sede
apostólica vacante e impedida. Non ho, purtroppo, potuto consultare J.M. FERNÁNDEZ, El sistema electivo del
Il can. 38, in realtà, ha una portata molto più ristretta di quanto si potrebbe pensare, sia perché gli
atti si presumono sempre legittimi e quindi efficaci (dimodoché il ricorso gerarchico, cann. 1732-9,
è strutturato come un giudizio di annullamento, dove la loro sospensione deve essere chiesta ed
ordinata), sia perché la giurisprudenza della Segnatura Apostolica ritiene comunque che la
disciplina generale degli atti amministrativi abbia un effetto invalidante solo se previsto
espressamente (così ritenendo validi, per esempio, decreti non motivati, ex can. 51, o non preceduti
dall'ascolto degli interessati, ex can. 50, o perfino nomina orali, in violazione del can. 37). 21 In ogni
caso, esso non si applica alle elezioni: come ho spiegato altrove, i cann. 35 sgg. riguardano i soli
provvedimenti amministrativi, quindi gli atti che concludono un procedimento; ma l'elezione è
sempre un atto preparatorio, perché dev'essere seguita o dalla conferma dell'autorità superiore (che
sarà appunto un provvedimento, nella forma del decreto) oppure almeno dall'accettazione dell'eletto
(nel qual caso il decreto manca). Non a caso, i cann. 165 sgg. CIC / 947 sgg. CCEO dettano una
disciplina speciale per le ipotesi di invalidità delle operazioni elettorali, mostrando chiaramente che
solo alcune violazioni debbono essere invalidanti; questa stessa logica è sottesa anche alla UDG,
che anzi, semmai, si preoccupa di circoscrivere ancor più le fattispecie di nullità.
Dato questo presupposto, riesaminiamo il testo di UDG e vediamo a quali norme si possa attribuire
l'effetto invalidante e per quali, invece, esso vada escluso. Concesso, infatti, che la clausola si
riferisce all'intera Costituzione e non al solo Capo dedicato all'elezione per scrutinium, da ciò
comunque non segue che ogni violazione abbia effetto invalidante: basti pensare ai nn. 88 sgg., che
riguardano adempimenti successivi non solo all'elezione, ma alla stessa accettazione, e a tutte le
norme su attività della Curia in Sede vacante (nn. 14-26) ed esequie del Romano Pontefice (nn. 27-
32).
Il discorso cambia rispetto ai nn. 1-6: se immaginiamo che un qualunque potere esterno provi ad
usurpare le attribuzioni del Collegio Cardinalizio (cfr. nn. 33-4) o, forse più realisticamente, che
quest'ultimo attenti modifiche alla disciplina elettorale, questo integrerebbe l'ipotesi della electio
aliter celebrata e, perciò, della nullità ai sensi del n. 76. Delicatissimo e, a mio avviso, sottovalutato
il discrimine tra la potestà interpretativa, necessariamente attribuita ai Cardinali dal n. 5, e il divieto
di modifiche o dispense stabilito dai nn. 2 e 4: potenzialmente, ogni dubbio giuridico tale da
richiedere una decisione formale può dare adito a contestazioni da parte di chi ritenga errata la
soluzione scelta e sostena trattarsi di modifica della legge sotto mentite spoglie. 22 Il problema, con
buona probabilità, è insolubile e si può solo cercare di prevenirlo tramite una disciplina chiara e
dettagliata; qui forse UDG pecca per eccesso di sintesi, soprattutto rispetto ai precedenti più remoti.
A prescindere, però, dalla difficoltà di identificarle, le vere violazioni dei nn. 2, 4 e 5 (anche
riguardo alle maggioranze prescritte) comportano senz'altro nullità dell'elezione, se attinenti alla sua
disciplina.
Per quanto riguarda le Congregazioni preparatorie, di cui ai nn. 7-13, direi che l'unica loro attività
capace, in potenza, di influire sull'elezione è la scelta della data di inizio del Conclave (esiste anche
un influsso dei predicatori prescelti per le meditazioni, forse, ma un'invalidità di tale scelta mi
sembra difficilmente concepibile). Potrebbero gli elettori procedere anche in assenza di una delibera

Romano Pontífice. Origen de su autoridad suprema en el ordenamiento canónico actual, Buenos Aires 2011.
21
Cfr. rispettivamente SUPREMO TRIBUNALE DELLA SEGNATURA APOSTOLICA, Decreto definitivo 26 aprile 1986,
Dimissionis, c. Sabattani, Suor X / CRIS, prot. n.17083/85 CA e, ancor più radicalmente, Decreto definitivo 14
marzo 2009, Amotionis a paroecia, c. Erdö, Rev. X / Congregazione per il Clero, prot. n. 39682/07 CA ; Decreto
definitivo 29 febbraio 2008, Suppressionis monasterii, c. Coccopalmerio, Suor X / CIVCSVA, prot. n. 37162/05 CA
e Decreto del Congresso 28 febbraio 2002, Amotionis et incardinationis; diffamationis; iurium oeconomicorum;
damnorum, prot. n. 31547/00 CA; Sentenza definitiva 14 novembre 2007, Amotionis ab officio Vice-Rectoris
Seminarii, c. Cacciavillan, Rev. X / Congregazione per l’Educazione Cattolica, prot. n. 37707/05 CA, che si
appoggia alla communis opinio per ritenere valida la nomina originaria del ricorrente, avvenuta a voce, ma anche per
escludere quella dell’altrettanto informale rimozione, precisando a quest’ultimo riguardo che l’ufficio non era tra
quelli “a discrezione dell’autorità competente” e che la nomina verbale non aveva attribuito un diritto solo precario
né poteva ritorcersi in danno del ricorrente.
22
Il lettore ricorderà il caso, sollevato da Antonio Socci, della scheda in più rimasta piegata insieme con un'altra: la
discussione se dovesse applicarsi il n. 68 o il n. 69 aveva un suo perché e, potenzialmente, anche un impatto
immediato sulla legittimità di scrutini ed elezione.
della Congregazione, oppure eseguendone una invalida? A mio parere sì, perlomeno nella seconda
ipotesi e purché nel rispetto del minimo di quindici giorni dall'apertura della Sede vacante; per la
prima, si pone il problema di come rendere veramente collegiale un'azione intrapresa fuori della
procedura regolare... ma lo scopo della convocazione è mettere tutti gli elettori in rado di esercitare
il proprio diritto, quindi se di fatto, il tale giorno alla tale ora, tutti i Cardinali infraottantenni giunti
a Roma si trovassero in Cappella Paolina (cfr. n. 50) e dessero inizio al Conclave, lo scopo
dovrebbe dirsi comunque raggiunto. Va però notato che, esattamente come in caso di convocazione
legittima, qualunque Cardinale non avvertito avrebbe il potere di protestare, oltreché di entrare
comunque in Conclave; e qui potrebbe pretendere che si annullino le operazioni svolte in sua
assenza (cfr. can. 166). Tutto ciò vale anche per il caso in cui, a monte, sia mancata la convocazione
del Collegio da parte del Decano o di altro Cardinale che agisca in suo nome; ovviamente, però,
sarà più difficile fare in modo che tutti gli aventi diritto si presentino a Roma, perché il relativo
dovere giuridico, ai sensi del n. 38, sorge solo una volta che sono stati convocati.
Invece, se a un Cardinale elettore si impedisse materialmente l'ingresso in Conclave, o se venisse
escluso dall'elettorato attivo o passivo contro il disposto dei nn. 35-6 e 40, o se come candidato
fosse colpito da “esclusiva”, nell'accezione molto ampia del n. 80, si dovrebbe considerare violata la
libertà dell'elezione, con conseguente nullità a norma della disciplina universale (can. 170); la
conseguenza può sembrare eccessiva per la prima ipotesi, ma un atto di prepotenza che impedisce il
voto anche ad un solo elettore, se riuscito, manda un segnale a tutti gli altri e, prima facie, esclude
che vi siano le necessarie condizioni di sicurezza personale.
Ci si può chiedere se il Collegio abbia il potere di derogare alla UDG per trasferire altrove il
Conclave, se Roma stessa fosse malsicura per qualunque motivo o vi fossero altre gravi ragioni. La
risposta deve essere negativa, sia a termini dei nn. 2 e 4 sia perché un tale potere, espressamente
attribuito a più riprese in passato e contenuto ancora nella “Romano Pontifici eligendo”, è stato
eliminato durante la stesura di UDG. Bisogna allora concludere che, siccome la ratio legis per la
scelta di rendere sede obbligatoria la Città del Vaticano è offrre ai Cardinali “accommodata
collocatio atque permansio... ut operam dent ipsi electioni recte atque ordine explicandae”, se essa
viene meno con solare evidenza nel caso concreto, non può impugnarsi di nullità l'atto che convochi
o trasferisca il Collegio altrove. Ma questo solo per situazioni lampanti, perché nel dubbio bisogna
attenersi ad una legge che non ammette dispensa.
Quanto al tempo di inizio delle operazioni elettorali, la violazione del minimo di quindici giorni ex
n. 37, stabilito oltretutto con un imperativo “Praecipimus”, comporta nullità perché compromette il
diritto dei Cardinali elettori non ancora presenti in Roma, che debbono poter contare su questo lasso
di tempo per organizzare il proprio viaggio: in questo caso, quindi, non si applica il n. 39, secondo
cui chi arriva in ritardo accetta l'elezione nello stato in cui si trova, e l'elettore sopravvenuto avrà il
diritto di far annullare gli atti fin lì compiuti, proprio come se non fosse stato convocato affatto.
Discorso diverso, invece, per il limite massimo di venti giorni: il tenore della disposizione è più
blando, dato l'impiego di un congiuntivo esortativo, e se il termine acceleratorio per il
completamento delle operazioni elettorali non comporta nullità (cfr. can. 165), molto meno questo
per il loro semplice avvio. Inoltre, la nullità non tutelerebbe affatto l'interesse ad una celere
provvista della Sede vacante, dato che creerebbe, come minimo, ritardi ulteriori.23
Non è più prevista la nullità dell'elezione che non si svolga “in Conclavi clauso”, anche perché sotto
chiave viene, in un certo senso, messo l'intero Stato vaticano; la violazione o l'imperfetta attuazione
dell'articolato plesso normativo di cui ai nn. 44-8 non può, per sé sola, mettere a repentaglio la
validità dell'elezione, ma il discorso cambia se, in conseguenza di ciò, pressioni in favore o contro
qualcuno raggiungono qualche elettore e questi se ne fa portavoce presso il Collegio; beninteso, se
solo il diretto interpellato soccombe alla pressione o al dolo diretto a condizionare il suo voto, sarà
invalido quest'ultimo ma non l'esito delle votazioni, salvo che proprio la singola scheda sia decisiva.

23
Cfr. anche M. BONACINA, Tractatus de legitima Summi Pontificis electione, Lione 1637, pag. 127: “exceptio enim
contra Summum Pontificem a duabus Cardinalium partibus electum, opponi non poteest, nisi in casibus in Iure
expressis; sed dilatio & prorogatio non est impedimentum in Iure expressum, ergo opponi non potest; tum quia
sequeretur semel dilata electione, nullum postea creai posse legitimum Pontificem, quod est absurdum.”.
Passiamo ai nn. 49-54. Per importanti che siano dal punto di vista spirituale, né la S. Messa pro
eligendo Pontifice né la processione di ingresso in Sistina né la pia meditazione possono
considerarsi essenziali alla validità giuridica dell'elezione; il segreto del Conclave, invece (nn. 51 e
55-61), riveste un'importanza notevole, ma il semplice fatto che qualcuno lo violi registrando o
trasmettendo qualcosa non basta ad invalidare l'elezione, occorre una comunicazione in senso
inverso che miri a condizionarla (e che non raggiunga un solo Cardinale). Ci si può chiedere cosa
accadrebbe se un elettore rifiutasse di prestare il giuramento prescritto ai nn. 52-3: il Collegio non
ha il potere di dispensarlo, mentre ha senz'altro quello di costringerlo, anche con un precetto
penale... però non sembra che possa escluderlo e, se vi provasse, paradossalmente gli offrirebbe il
destro per impugnare poi la validità dell'elezione compiuta. Qui forse deve ravvisarsi una lacuna
legislativa che sarebbe opportuno colmare.
Per quanto riguarda lo svolgimento dell'elezione stessa (nn. 62 sgg.), essendo stata abrogata la
procedura per compromissum non è possibile farvi ricorso mutuandone la disciplina dal Codice
latino (tanto più che l'istituto non esiste in quello orientale); le sole condizioni espresse di validità
sono la maggioranza dei due terzi, del tutto inderogabile dopo le modifiche del 2007, e la
corrispondenza tra numero delle schede e degli elettori, richiesta dai due Codici (cfr. cann. 169 e
173 §3 CIC) e confermata da UDG 68 con l'eccezione di cui al n. 69; non è prevista l'astensione,
anzi ogni Cardinale deve tenere la scheda alta e ben visibile mentre si reca a deporla nell'urna (n.
66), quindi non dovrebbe mai esserci un numero di schede inferiore agli elettori presenti; se però in
qualche modo accadesse, sarà necessario ripetere lo scrutinio, a norma del n. 68. Per il resto,
tradizionalmente si ritengono essenziali solo l'espressione del voto mediante schede ripiegate,
affinché sia assicurato il segreto, e la designazione di scrutatori e Infirmarii, cioè i Cardinali
deputati a raccogliere il voto dei confratelli infermi; 24 si può aggiungere un molto ipotetico tentativo
di votare per procuratore, dato che la facoltà non è prevista (cfr. can. 167).
Si debbono però aggiungere, a mio parere, anche le regole sul numero degli scrutinii e gli intervalli
tra essi (nn. 63, 72, 74-5), in massima parte non previste nella “Romano Pontifici eligendo”, ma che,
semplificate le procedure e in particolare escluso il compromesso, sono ora necessarie a presidio
della doverosa ponderazione; quindi, l'eventuale omissione di qualche votazione prescritta non
inficia le successive, e forse neppure l'aggiunta di una ulteriore che vada a vuoto, ma di sicuro è
nulla quella aggiuntiva che sfoci in un'elezione. Inoltre, appunto perché si tratta di tutelare il diritto-
dovere degli elettori ad una scelta ponderata, anche le votazioni nulle debbono essere computate
quanto al rispetto dei limiti numerici.
Le altre disposizioni, anche importanti come l'obbligo di consegnare gli scritti relativi all'elezione
(n. 71), non obbligano a pena di nullità. Molto meno, poi, possono avere effetto irritante i nn. 78-86,
sia perché posti dopo il n. 76, sia perché quest'effetto non sarebbe congruo al loro contenuto:
sarebbe impraticabile e chimerico invalidare l'elezione perché i Cardinali non hanno avuto di mira
solo la gloria di Dio e il bene della Chiesa (n. 83); nel momento in cui si dichiara valida l'elezione
simoniaca del Papa, a fortiori non possono comportare nullità accordi che, pur vietati, non arrivino
a costituire simonia (nn. 78-9, 81-2); e se l'eletto, pur esortato da UDG 86 ad accettare, rifiutasse,
ciò non invaliderebbe l'elezione già avvenuta, ma estinguerebbe semplicemente il diritto da lui
ottenuto sull'ufficio, dimodoché le operazioni elettorali dovrebbero riprendere senza indugio.
Quanto all'accettazione, che è l'ultima delle formalità indispensabili, al n. 88 della UDG occorre
aggiungere il n. 62 dell'Ordo Rituum Conclavis, sulla raccolta del consenso dell'eletto che si trovi
fuori della Città del Vaticano; l'unico requisito davvero essenziale è il consenso e per questo non si
chiede di accettare a chi già esercitasse di fatto l'ufficio di Papa (cfr. gli esempi di Martino V e
Niccolò V, ovviamente del tutto eccezionali), ma per diritto positivo è obbligatorio che di questo
consenso dell'eletto consti mediante un atto notarile, redatto dal Maestro delle Celebrazioni
24
Cfr. P.M. PASSERINI, Tractatus de electione Summi Pontificis, Roma 1670, pagg. 122 e 160; A.S. CAMARDA, De
pertinentibus ad electionem Papae, Rieti 1727, pagg. 124 e 253. M. BONACINA, op. cit., pagg. 133-46, oltre a
salvare il caso in cui ci sia qualche voto palese, ma anche eliminandoli si veda che l'eletto mantiene la maggioranza
(e su ciò concordo), non menziona né gli scrutatori né gli Infirmarii; ma i primi sono indispensabili affinché il
computo avvenga con ordine e debbono redigerne relazione ufficiale, mentre dei secondi si può fare a meno solo se
di fatto non vi siano Cardinali malati, perché tutti debbono avere la possibilità di esprimere il proprio voto.
Liturggiche Pontificie. Sarei dell'avviso di non considerarla una norma invalidante, ma intesa
appunto a stabilire un regime probatorio: se, per pura ipotesi, qualcuno fosse nel pacifico possesso
dell'ufficio e non potesse esibire il documento, vi sarebbe comunque la certezza morale
dell'accettazione, stante l'esercizio di fatto del potere papale; non così in caso contrario. Infine,
sebbene UDG sembri richiedere una manifestazione immediata del consenso, appare applicabile
anche e soprattutto all'elezione del Papa il can. 177: non si potrebbe ragionevolmente negare uno
spatium deliberandi a chi lo richiedesse, tanto più che, a mio avviso, il Collegio potrebbe fissare un
termine perentorio più breve degli otto giorni di legge e che l'eletto, avendo già visto l'esito
profilarsi se era presente in Conclave, certo avrà riflettuto già prima.

5 – L'eleggibilità dell'eretico
Ho lasciato per ultimo, non a caso, il punto più controverso di tutti: se e in che misura possa essere
validamente eletto al Pontificato un eretico (nonché, per equiparazione, uno scismatico o un
apostata). Che la consapevole elezione di un soggetto simile sia illecita, per non dire criminale, è
ovvio e non richiede illustrazione; che difficilmente ci si possa aspettare una conversione
miracolosa, altrettanto; il dubbio sta tutto in ciò, se nondimeno costui consegua un titolo legittimo al
Papato.

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