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RITIRO SPIRITUALE Nicosia, 14-15 aprile 2012

Gv 20,1-31

[1 Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide
che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 2Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava,
e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!». 3Pietro allora uscì insieme
all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. 4Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e
giunse per primo al sepolcro. 5Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 6Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo
seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, 7e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma
avvolto in un luogo a parte. 8Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.
9Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. 10I discepoli perciò se ne
tornarono di nuovo a casa.
11Maria invece stava all'esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12e
vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù.
13Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l'hanno
posto». 14Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. 15Le disse Gesù: «Donna,
perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu,
dimmi dove l'hai posto e io andrò a prenderlo». 16Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» -
che significa: «Maestro!». 17Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei
fratelli e di' loro: «Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro»». 18Maria di Màgdala andò ad annunciare ai
discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.]

19 La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del
luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse:
“Pace a voi! ”. 20 Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il
Signore. 21 Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”.
22 Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; 23 a chi rimetterete i
peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”.
24 Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25 Gli
dissero allora gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore! ”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle
sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo
costato, non crederò”.
26 Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne
Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi! ”. 27 Poi disse a Tommaso: “Metti
qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più
incredulo ma credente! ”. 28 Rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio! ”. 29 Gesù gli disse: “Perché
mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno! ”. 30 Molti altri segni
fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. 31 Questi sono stati
scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo
nome.

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RITIRO SPIRITUALE Nicosia, 14-15 aprile 2012

La Maddalena e gli apostoli


Per comprendere questo brano è bene, come sempre, vederlo nel suo contesto. I versetti
precedenti mettono in evidenza una donna: Maria di Magdala. Proprio dal confronto con questa donna,
emerge meglio, come per contrasto, l’atteggiamento certamente non brillante, degli apostoli. Del resto è
tipico del quarto evangelista procedere attraverso il contrasto di luci e ombre, qui rappresentato dalla
Maddalena e dagli apostoli: l’una che avendo sperimentato l’amore non fa altro che cercare Gesù, gli
altri totalmente bloccati dalla paura.
Maria di Magdala è mattiniera, corre al sepolcro quando era ancora buio: precede la luce perchè
mossa dall’amore. L’intelligenza della mente avrebbe giustificato piuttosto il non muoversi da casa,
come infatti fanno gli apostoli. Ma Maria, mossa dall’intelligenza del cuore, può vedere “prima” e
“oltre”, oltre persino la morte. E non poteva essere altrimenti: Maria è la donna dalla quale Gesù aveva
cacciato sette demoni1. Aveva cioè toccato un abisso di miseria. La tradizione latina (a differenza della
chiesa d’oriente) attribuisce alla Maddalena anche ciò che nei vangeli viene detto di altre donne, in
particolare della peccatrice senza nome che entra nella casa del fariseo2. Tutto ciò insomma conferma i
tratti di una donna che ama tanto perchè ha ricevuto un grande perdono e a cui è stato perdonato tanto
perchè ha amato tanto. Fausti, riconoscendo la difficoltà di traduzione del testo lucano 3., afferma che in
realtà “perdono e amore hanno una costante reciprocità di causa ed effetto”.
I discepoli invece sono chiusi in casa, immobili, paralizzati dalla paura. Sullo sfondo della fede
di Maria di Magdala si staglia con maggior evidenza l’atteggiamento di chiusura degli apostoli che
stanno a porte sprangate. Tommaso poi rappresenterà l’apice di tale chiusura alla novità di Dio.
L’evangelista Giovanni utilizza il vocabolo greco “fobos” (da cui deriva in italiano la parola fobia) per
indicare la paura che i discepoli hanno dei Giudei; per Giovanni “fobos” è inconciliabile con un’altra
parola a lui tanto cara, “agape”. Come afferma in 1 Gv 4,18: “Nell'amore non c'è timore, al contrario
l'amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto
1
Mc 16,9 “Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva
scacciato sette demòni”.
2
Lc 7,36 “Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. 37Ed ecco,
una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; 38stando
dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li
cospargeva di profumo. 39Vedendo questo, il fariseo che l'aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe
chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!». 40Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa».
Ed egli rispose: «Di' pure, maestro». 41«Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l'altro
cinquanta. 42Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?».
43Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». 44E,
volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l'acqua per i
piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. 45Tu non mi hai dato un bacio; lei
invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. 46Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha
cosparso i piedi di profumo. 47Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui
al quale si perdona poco, ama poco». 48Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». 49Allora i commensali
cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». 50Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha
salvata; va' in pace!».
3
Lc 7,47 Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona
poco, ama poco».
2
RITIRO SPIRITUALE Nicosia, 14-15 aprile 2012

nell'amore. 19 Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo”. La Maddalena non ha paura perchè ha
fatto una grande esperienza d’amore.
Maria di Magdala (come anche le altre donne4) quindi è in movimento e si reca ben due volte
dai discepoli per smuoverli dalla loro immobilità. L’evangelista Marco afferma che tutti i discepoli lo
abbandonarono, solo alcune donne non distolsero mai lo sguardo dal Gesù della passione. Tra queste
donne è sempre menzionata Maria di Magdala. Maria corre perchè è mossa dall’amore. Maria è la
donna che ha “creduto”, in qualche modo, prima di “vedere”. Ha preceduto il Signore: lo ha persino
“intercettato” prima ancora che salisse al Padre.
I discepoli stanno nello stesso luogo ma non stanno “insieme”. Senza il risorto ognuno è
ripiegato su stesso, la comunità è frammentata. I discepoli non credono a Maria di Magdala e Tommaso
non crede agli apostoli: non sono capaci di fiducia. Di Tommaso vien detto “non era con loro quando
venne Gesù”: in questo “non essere con loro” è racchiuso il male dell’isolamento; Tommaso ferito,
deluso e triste si era allontanato forse come i discepoli di Emmaus 5. Non ha ancora compreso il valore e
la bellezza dello stare insieme nella casa, e quindi dell’essere “chiesa”, come si dirà invece negli Atti
2,44: “tutti i credenti stavano insieme 46Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e,
spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore”. La Maddalena al
contrario di Tommaso e degli altri apostoli tesse relazioni: corre da Pietro e Giovanni e li chiama al
sepolcro vuoto e poi ritorna nuovamente ad annunciare a tutti il suo incontro con il Risorto. Chi non ha
sperimentato l’amore, non cerca il Signore e non può fare l’esperienza della risurrezione. E non può
essere costruttore di comunione. Se non c’è l’amore del Signore, si vive nella paura e nell’isolamento.

Il perdono
Se rapportiamo ciò alla dimensione di vita coniugale comprendiamo che una coppia perfetta non
è composta da persone che non sbagliano mai (cosa che non esiste), ma da persone che si perdonano
sempre e che nel perdono chiesto, accolto e donato sperimentano continuamente i doni del Risorto: la
pace, la gioia, l’amore. La stessa cosa vale per le comunità cristiane: per le piccole realtà delle nostre
Equipe come per le realtà più grandi parrocchiali e diocesane. Una chiesa matura non è una chiesa che
non sbaglia, che non commette mai errori, una chiesa che non ha nulla da farsi perdonare. È matura
invece una chiesa che riconosce i propri errori, che chiede perdono. E che perdona. Giovanni Paolo II ci
ha lasciato un esempio meraviglioso con il suo gesto, ripetuto più volte, di autentica e sofferta richiesta
di perdono al mondo intero per i peccati commessi dai cristiani in svariate situazioni storiche e
geografiche.

4 ?
Mc 15,40 Vi erano anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre
di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome; Mc 15,47 Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano a osservare dove
veniva posto. Mc 16,1 Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per
andare a ungerlo. Mc 16,9 Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Màgdala, dalla
quale aveva scacciato sette demòni.
Gv 19,25 Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di
Màgdala. Gv 20,1 Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio,
e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Gv 20,18 Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il
Signore!» e ciò che le aveva detto.
5 ?
Lc 24,13 “Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus,
distante circa undici chilometri da Gerusalemme...”
3
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Comprendiamo allora perchè il primo dono di Gesù risorto è la pace. Pace che contiene in se
stessa anche il significato della gioia e della vita piena. Poi segue la missione: “Come il Padre ha
mandato me, anch’io mando voi”.
Il dono della pace che Gesù fa agli apostoli viene ulteriormente chiarito e precisato con il
secondo intervento di Gesù: “alitò su di loro e disse ricevete lo Spirito Santo”. In altre parole, la
resurrezione di Gesù è una nuova creazione . Se il peccato di Adamo fu una de-creazione, il perdono
che riceviamo in Gesù è una nuova creazione: “a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li
rimetterete, resteranno non rimessi”. Perché Gesù risorto parla di peccati? Cosa pensiamo noi circa il
peccato? Forse noi ridimensioniamo l’importanza del peccato. Siamo consapevoli che il peccato è ostile
alla vita? Una comunità senza perdono e senza riconciliazione non è una comunità cristiana.
Che cosa significa allora fare l’esperienza dello Spirito Santo? Cosa vuol dire “essere battezzati
nello Spirito Santo”? Olivier Clement ce ne da una definizione chiara “Questo battesimo dello Spirito,
ricevuto dopo grandi prove ed angosce nelle quali l’uomo ha trovato la vera umiltà, questo battesimo
dello spirito si identifica, lungi da ogni trionfalismo carismatico, al dono delle lacrime. Si tratta sempre
di acqua: l’acqua sulla quale soffia lo Spirito, l’acqua dell’<<in principio>>, l’acqua del battesimo, e
ora l’acqua delle lacrime nelle quali si dissolve la durezza del cuore, la sclerocardia, allorché il cuore di
pietra si trasforma in cuore di carne” (in “Je crois en l’Esprit Saint”, p. 33-35). Si può comprendere
allora come, in ogni comunità, compresa quella coniugale, proprio il perdono, bagnato da molte
lacrime, diventa il terreno più fertile per una esperienza di rinascita, di nuova creazione. In questo senso
il peccato, trasfigurato dal perdono, diventa esperienza di grazia.
Nell’incontro tra la Maddalena e Gesù alcuni autori riconoscono una dimensione sponsale. La
sottolineatura che la Maddalena vede in Gesù il custode del giardino porta a vedervi l’Adamo che nel
Paradiso (giardino) era “signore” del creato. La nuova creazione apportata dalla resurrezione rende
possibile una nuova umanità, c’è un nuovo Adamo e una nuova Eva (che in altre pagine giovannee è
ancor più significata dall’altra Maria, la Madre di Gesù). Una nuova coniugalità, libera dalle paure, che
trasfigurando le ferite rende possibile una comunione gioiosa e feconda tra l’uomo e la donna.

Il perdono e le ferite
Il paradosso è che proprio l’accoglienza del perdono è la condizione migliore per fare esperienza
viva del Signore Risorto. In questo senso comprendiamo meglio perchè Gesù dice che molti degli
ultimi diventeranno primi. Maria di Magadala non aveva nulla di più degli apostoli. Anzi già per il fatto
che era “donna” era svantaggiata. Per di più era una “peccatrice”, impura, la “donna dai sette demoni”.
Era del tutto inadeguata sul piano religioso del suo tempo e, in fondo, anche secondo le categorie del
nostro tempo. La sua grandezza pertanto non risiede in ciò che lei aveva fatto lei (che è solo peccato)
ma nella sua accoglienza totale del perdono del Signore. Potremmo dire che lei, a differenza di Pietro,
ha ben compreso cosa significa lasciarsi lavare i piedi da Gesù. Maria si è lasciata amare
completamente dal Signore.
In tale prospettiva, questa pagina del Vangelo presenta Gesù che mostra le sue ferite: invece di
nasconderle quasi le esibisce come afferma Ronchi: “il foro dei chiodi, toccalo! Il costato, puoi entrarci
con una mano! Piaghe che non ci saremmo aspettati, convinti che la risurrezione avrebbe rimarginato,
chiuso, cancellato per sempre le ferite del venerdì santo, le stigmate del dolore. E invece no. Perché la
Pasqua non è il superamento gioioso della Passione, ne è la continuazione, il frutto maturo, la
conseguenza. Le piaghe restano, per sempre. Ed è proprio a causa di quelle che Cristo è stato

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risuscitato. L'amore ha scritto la sua storia sul corpo del Nazareno con la scrittura delle ferite: amore
incancellabile, ferite incancellabili. E luminose: dalle piaghe del Risorto non sgorga più sangue, ma
luce; le ferite non sfigurano, ma trasfigurano. Allora capiamo che il cuore ferito con le sue cicatrici, il
nostro come il suo, può diventare più capace d'amore, e di guarigione, possiamo tutti diventare dei
«guaritori feriti» (Nouwen). Proprio attraverso quelle ferite che ci parevano colpi duri o insensati
della vita, diventiamo capaci di comprendere altri, di venire in aiuto ad altri nell'attraversare le stesse
tempeste. La nostra debolezza allora, come quella di Pietro, dei discepoli, di Maddalena, non è un
ostacolo, ma una risorsa per meglio seguire il Signore, per meglio venire in aiuto ad altri. La
debolezza non è più un limite, ma si trasfigura in opportunità”.

Il realismo dell’incarnazione
Giovanni scrive l’evangelo più spirituale, quello che tocca le vette più alte della contemplazione
e per questa ragione è simboleggiato dall’Aquila. Ma come ogni autentico contemplativo, ha un grande
senso della concretezza (Marthe Robin). Anzi proprio Giovanni si oppone alle tendenze gnostiche del
suo tempo e sottolinea il realismo dell’incarnazione. La via della salvezza passa attraverso la carne. Nel
nostro brano ritroviamo ciò nelle espressioni: “toccare”, “mettere il dito, la mano”. Esse richiamano
quanto l’evangelista scrive in 1Gv1,1 “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che
noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani
hanno toccato, ossia il Verbo della vita 2 (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò
rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a
noi), 3 quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in
comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. 4 Queste cose vi
scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta”. Forse Giovanni è consapevole di essere l’ultimo
testimone oculare. Si noti come Giovanni non dice solo: ciò che abbiamo udito, veduto e contemplato,
ma aggiunge anche “toccato”. Perchè? Perchè il “verbo si è fatto carne” e proprio attraverso questa
carne egli rivela la sua divinità. Quella carne che anche i crocifissori hanno visto e toccato…, quella
carne che vista deporre nel sepolcro aveva portato alla desolazione i due discepoli sulla via di Emmaus
di Lc 24,21 “Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da
quando queste cose sono accadute…”.
Tommaso deve mettere le sue mani in quella carne di Cristo, ferita, per giungere a proclamare
“mio Signore e mio Dio”. Allo stesso modo ogni credente deve passare attraverso l’umanità ferita del
corpo di Cristo per giungere ad una vera comprensione del Figlio di Dio. Tommaso pronunciò parole
profetiche quando disse ai condiscepoli: “Andiamo anche noi a morire con lui!” (Gv 11,16). Aveva
misteriosamente intuito che occorreva perdersi in Cristo per poterlo conoscere. Le ferite della morte
non offuscano ma rendono visibile il Signore della vita; esse non sfigurano ma trasfigurano l’uomo
(Ronchi).

Il realismo dell’incarnazione ci dà la chiave per comprendere la riflessione sulla preghiera che


approfondiremo domani. Ma possiamo dire subito che proprio la vita di coppia è la prima grande scuola
di preghiera. È là che vi allena ad aprirvi costantemente all’Altro. Non solo la gioia ma anche tutte le

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difficoltà che si sperimentano nella relazione coniugale possono diventare strumento di crescita
spirituale.
Concludo con le parole di Caffarel: “Il vostro matrimonio non è soltanto una grande realtà
umana, è ricco di significato soprannaturale; c’è Qualcuno che attraverso di esso vi rivela il suo cuore,
il suo desiderio impaziente di allacciare tra ciascuno di voi e Lui stesso dei legami d’amore ancora più
profondi e più beatificanti di quelli del matrimonio, Qualcuno che attraverso il vostro matrimonio vuole
aiutarvi a capire ciò che spera da voi, quali devono essere i vostri rapporti con Lui lungo tutta
l’esistenza”. Caffarel ritiene che proprio attraverso il dialogo coniugale si possa scoprire cosa è la
preghiera. “Questo dialogo – che a volte raggiunge nel silenzio, una qualità sovrumana – è rispetto
all’amore umano ciò che la preghiera è nei confronti dell’unione dell’uomo con il suo Dio: il tempo
forte dell’intimità, il momento in cui essa si esprime nel modo più perfetto e nello stesso tempo si
rinnova”.

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