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Riccardo Frascà Lab.

Cinema 29-10-2022

The Lonely 19:00 (2020)


I pensieri che mi passavano per la testa nella prima metà del film è che il regista si stesse
soffermando un po’ troppo sulla circostanza iniziale del protagonista.
Si parte dall’inizio dell’epidemia del “Virus dei 100 anni” fino a indugiare per molto tempo sulla
routine, sulle abitudini del nostro protagonista.
Dopo però aver effettivamente visto un character development incredibilmente ben stutturato in
poco tempo, ho cambiato decisamente approccio.

Ricominciamo da capo.
Il regista, dopo l’introduzione e la costruzione del contesto, ci presenta il nostro personaggio
principale, Otomi.
Anche se a noi spettatori la situazione può sembrare estrema, permeata di disperazione,
claustrofobica, il protagonista non sembra risentirne. Quello che mi sembra di notare è che la sua
“routine” sia in realtà un Loop ormai talmente consolidato da essere un circuito chiuso. Questo
fenomeno svolge su Otomi una funzione terapeutica, con un “effetto anestetizzante”. Lo protegge
dai pericoli, dall’ignoto, da ciò che c’è là fuori. Anche il fatto che parli come io-narrante, gli
impedisce di perdere ancoraggio alla realtà.
Oltre a trattare quindi il tema della quarantena che tutti conosciamo bene, si va quindi anche ad
approfondire un altro tema sempre di grande attualità per i giapponesi, e che pian piano si è esteso
anche all’estero: gli hikikomori.
Queste persone infatti tendono ad avere infatti comportamenti molto simili a quelli del protagonista.
Altri spunti che consolidano questa mia visione della routine come Loop vengono con la “rottura”
di quest’ultimo, nel momento in cui Otomi esce per la prima volta.
Per molto tempo infatti aveva evitato (per paura e per non infrangere la sua bolla, la “comfort zone”
di cui tanto si parla negli ultimi tempi) il mondo esterno, tuttavia la curiosità umana è fondante del
nostro essere. E come tale, prima o poi sentiamo il bisogno di sapere.
È così che il nostro personaggio si relaziona con l’ignoto per la prima volta, scoprendo che in realtà
la sua routine è limitata.

Nel momento in cui torna a casa, spaventato da questo “sovraccarico di stimoli”, si rende conto che
stare fra quelle 4 mura non è abbastanza. C’è qualcosa che manca.
La volta successiva, riesce a parlare con una ragazza, ed eventualmente a ricevere il famoso bacio
che tanto lo aveva affascinato e impaurito. Da quel momento non ce n’è più per nessuno.
Il Loop si trasforma da “routine” ad “attesa della rottura”.
Possiamo dire che ci siano 3 fasi in questo processo:
• Loop come medicina → felicità effimera;
• Rottura del loop → noia;
• Rottura del loop → attesa.

È infatti molto evidente come il tempo sia martellante nelle ultime scene del mediometraggio.
Il Loop non agisce più come anestetizzante; una volta realizzata la propria situazione, la bolla
scoppia e compromette l’equilibrio mentale del protagonista.
Ha bisogno di rivedere quella persona, a questo punto subentra una sorta di astinenza. E poi tutto
ciò che ne consegue.

Quindi l’inizio del film, in cui ho trovato che alcune cose potessero essere fatte molto più
rapidamente, in realtà è servito a consolidare al 100% questa sensazione di Loop. Un effetto
davvero ben riuscito.
Volevo anche esprimere ammirazione verso il risultato raggiunto dal comparto visivo; riuscire a
creare atmosfere così luminose senza disturbare l’occhio dello spettatore non è cosa da poco.

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