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S L S .Q
musicisti squa rinati si trovano per caso riuniti in un gruppo da un
talent scout, per sostituire una band famosa che si è sciolta. Jasper alla
chitarra, Griff alla ba eria, Dean al basso e Elf, unica ragazza, alle tastiere
decidono di suonare insieme, sono bravi, scrivono le loro canzoni e – dopo
un esordio piu osto confuso – entrano in sintonia. E se all’inizio si chiamano
Way Out (visto che hanno salvato una serata buca), ben presto decidono di
cambiare nome: saranno gli Utopia Avenue. Mentre le loro vite personali si
complicano – Dean si me e nei guai con donne altrui e droghe psichedeliche,
Jasper sembra rivivere vite passate, in particolare quella del suo avo Jakob de
Zoet, Elf si perde in storie con uomini pessimi e scrive canzoni bellissime;
l’unico che sembra solido è Griff, naturalmente – la loro carriera prende il
volo, in una scena musicale straordinaria. Gli Utopia Avenue incontreranno i
più grandi musicisti della storia, da Dylan a Cohen, dai Beatles a Bowie,
mentre il mondo cambia per sempre. E da Londra, la band parte alla
conquista dell’America. Da New York alla West Coast, tra feste pazze e un
mare di soldi, i qua ro ragazzi britannici sono in piena corsa. Mentre il
grande orologiaio conta il ticche io del tempo.
La storia degli Utopia Avenue, tra musica e scelte personali, è l’ossatura
portante di un grande affresco degli anni Sessanta, un libro travolgente e
pieno di storie, che generosamente riporta in vita lo spirito di un tempo:
selvaggio, appassionato, pieno di speranze. Un mondo nuovo.
L’autore
UTOPIA AVENUE
Traduzione di Christian Pastore
A Beryl e Nic
per i pe irossi e per gli anni
Paradise Is the Road to Paradise a Lato A
•
Il mio lavoro almeno ce l’ho ancora. Dean pigia il caffè nel portafiltro,
lo inserisce nella macchine a, abbassa la leve a e la Gaggia sbuffa
vapore. Il turno di o o ore si trascina stancamente, si sente tu o
ammaccato per lo scivolone in Denmark Street. È sera, fuori si gela,
ma il bar Etna, all’incrocio fra D’Arblay e Berwick Street, è caldo, ben
illuminato, pieno di vita. Studenti e ragazzi di periferia parlano,
amoreggiano, litigano. È lì che si ritrovano i mod prima di iniziare a
ba ere i locali per strafarsi e ballare. Uomini maturi in ghingheri
adocchiano le fanciulle con la pelle liscia in cerca di un paparino.
Uomini maturi meno in ghingheri si fermano per un caffè, prima di
fare un salto al cinema a luci rosse o in un bordello. Devono esserci
più di un centinaio di persone stipate qui dentro, considera Dean, e
ognuno di questi tizi stasera ha un le o in cui dormire. Da che ha
iniziato il turno, ha sperato che entrasse qualche conoscente che gli
deve un favore, così da potergli scroccare il divano. Con il passare
delle ore, però, la speranza si è fa a sempre più flebile fino a
sfumare del tu o. Dal jukebox risuona a tu o volume «19th Nervous
Breakdown» dei Rolling Stones. Quando le cose erano più semplici,
ai tempi dei Gravediggers, Dean aveva trovato gli accordi di quella
canzone insieme a Kenny Yearwood. Dal beccuccio della Gaggia il
caffè cola fino a riempire per due terzi la tazzina. Dean sgancia il
portafiltro e vuota il fondo in una vasche a. Il signor Craxi gli passa
davanti con un vassoio pieno di pia i sporchi. Chiedigli di pagarti in
p p p g p g
anticipo, pensa per la cinquantesima volta. Non hai scelta. «Signor
Craxi, scusi, posso…»
Craxi si guarda in giro senza fare caso a lui: «Pru, dai una pulita ai
tavoli davanti, dannazione, sono una veggogna!» Subito dopo riparte
e dietro il punto in cui stava, fra il dispenser di la e freddo e la
macchina del caffè, Dean nota un cliente seduto al bancone. Sulla
trentina, stempiato, il tipo dell’intelle uale, con una giacca pied-de-
poule e occhiali re angolari alla moda dalle lenti blu. Facile che sia
una checca, ma a Soho non si sa mai.
Il cliente solleva lo sguardo da una rivista, Record Weekly, e senza
alcun imbarazzo lo guarda dri o negli occhi. Aggro a la fronte
come se cercasse di farsi venire in mente dove l’ha già visto. Se
fossero in un pub, Dean gli chiederebbe che cos’ha da guardare. Lì
all’Etna, invece, si volta dall’altra parte e sciacqua il portafiltro so o
l’acqua fredda, senza sme ere di sentirsi addosso gli occhi del
cliente. Magari crede di piacermi.
Sharon arriva con un nuovo ordine su un foglie o. «Due caffè e
due Coche al tavolo nove.»
«Due caffè e due Coche, tavolo nove, ricevuto.» Dean si volta
verso la Gaggia, gira la manopola e la schiuma si adagia sul
cappuccino. Sharon lo raggiunge dietro il bancone per riempire una
zuccheriera. «Mi spiace che tu non possa dormire sul mio
pavimento, davvero.»
«Tranquilla», Dean sparge il cacao sul cappuccino e lo appoggia
sul bancone per Pru. «Sono stato sfacciato a chiedertelo, lo
amme o.»
«La mia padrona di casa è per metà un agente del KGB e per metà
una madre superiora. Se provassi a farti entrare di nascosto, ce la
ritroveremmo davanti di colpo e direbbe: ‘Questa è una casa
rispe abile, non un bordello!’ Poi mi sba erebbe fuori.»
Dean carica il portafiltro per un nuovo espresso. «Non c’è
problema, davvero.»
«Non avrai intenzione di dormire so o i portici, no?»
«No, certo che no. Ho diversi amici, lo chiederò a loro.»
Sharon s’illumina. «In questo caso», dice dondolando i fianchi,
«mi fa piacere che tu l’abbia chiesto prima a me. Se c’è qualcosa che
p p q
posso fare, sono qui.»
Dean non è a ra o da questa ragazza, tenera sì ma grassoccia,
con la faccia da patatona e gli occhi minuscoli troppo vicini. Tu avia,
in amore e in guerra tu o è lecito. «Non è che potresti allungarmi
qualche spicciolo fino a lunedì? Sarebbe solo fino a quando mi
pagano.»
Sharon tentenna. «Fai che ne valga la pena, okay?»
To’, guarda che cive a. Dean sfodera il suo mezzo sorriso e stappa
una bo iglia di Coca-Cola. «Lascia che mi rime a in piedi e ti
pagherò con un tasso d’interesse scandaloso.»
Lei arrossisce e lui si sente quasi in colpa per quanto è stato facile.
«In borsa devo avere qualche soldo. Ricordati di me, però, quando
sarai una pop star milionaria.»
«Il tavolo quindici è lì che aspe a!» urla il signor Craxi con il suo
accento a metà fra il cockney e il siciliano. «Tre cioccolate calde!
Muovetevi sfaticati!»
«Tre cioccolate calde», gli fa eco Dean. Sharon scivola via con la
zuccheriera e Pru arriva al bancone per portare al volo il cappuccino
al tavolo o o. Dean infilza il foglie o dell’ordinazione insieme agli
altri. Lo spillone è quasi pieno, Craxi dovrebbe essere di buon
umore. Se non lo è, sono bell’e che fregato. Inizia a preparare i caffè per
il tavolo nove. «Sunshine Superman» di Donovan sostituisce il pezzo
degli Stones. Il vapore esce sibilando dalla Gaggia. Si domanda che
cosa intendesse Sharon con «qualche soldo». Non abbastanza per un
hotel, questo è certo. Ci sarebbe l’ostello in To enham Court Road,
ma non ha la minima idea se abbiano le i liberi e non riuscirebbe ad
arrivarci prima delle dieci e mezzo. Per l’ennesima volta passa al
setaccio la lista dei londinesi che a) potrebbero dargli una mano, b)
possiedono un telefono.
La metropolitana chiude intorno a mezzano e, dunque se si
presentasse con chitarra e sacco a pelo davanti a una porta di Brixton
o di Hammersmith e se nessuno fosse in casa, si ritroverebbe
bloccato là. Prende addiri ura in considerazione i suoi vecchi
compagni dei Ba leship Potemkin, anche se certi conta i sospe a di
esserseli bruciati per sempre.
Dean guarda il cliente con gli occhiali blu. Ha abbandonato la
rivista per un libro: Senza un soldo a Parigi e Londra. Dean si chiede se
non sia un beatnik. Alla scuola d’arte, alcuni ragazzi si a eggiavano
a poeti beat. Fumavano Gauloises, parlavano di esistenzialismo e
gironzolavano con quotidiani francesi.
«Ehi, Clapton.» Pru ha un dono per i nomignoli. «Stai aspe ando
che le cioccolate si facciano da sole?»
«Clapton è una chitarra solista», le spiega per la centesima volta.
«Io sono un bassista, cazzo.» Dean nota che Pru sembra compiaciuta.
***
A tre giorni dalla lite, Elf aveva ammesso con se stessa che stavolta
Bruce avrebbe potuto non tornare. Il dolore non le dava tregua. Il
suo spazzolino, qualsiasi canzone parlasse di separazioni per quanto
melensa fosse, perfino la vista del suo bara olo di crema salata
Vegemite nella dispensa, bastava a farla scoppiare in singhiozzi.
Ignorare dove si trovasse era insopportabile, ma la spaventava
troppo l’idea di chiamare gli amici e chiedere se lo avessero visto. In
caso di risposta negativa, le sarebbe toccato spiegare perché lo stesse
domandando. Al contrario, invece, per lei sarebbe stato umiliante e
per loro imbarazzante se avesse preteso di sapere ogni minimo,
straziante de aglio.
Al quarto giorno Elf era uscita a pagare la bolle a del telefono
prima che glielo tagliassero. Si era fermata all’Etna per un caffè, dove
aveva incontrato Andy del Les Cousins. Prima ancora che le chiedesse
di Bruce, lei aveva blaterato che era andato a trovare dei parenti a
No ingham. Quella bugia l’aveva sconcertata. Era patetico come, da
ragazza moderna che non si sarebbe mai fa a tra are come uno
zerbino, si fosse trasformata in una ex fidanzata grassoccia scaricata.
Si sentiva come Billie Holiday in «Don’t Explain», senza il fascino
tragico della dipendenza dall’eroina…
Ma tu o ciò spiegava solo in parte perché Elf avesse infilato la
chiave nella serratura di casa come un topo d’appartamento. Se, se,
se Bruce nel fra empo era tornato, non voleva coglierlo sul fa o
mentre cercava di ba ersela. Era sciocco? Sì. Irrazionale? Sì. Ma i
cuori infranti non sono né intelligenti né logici. Senza nemmeno uno
scricchiolio, dunque, in un pomeriggio infrase imanale di febbraio,
si era infine decisa a entrare sperando che Bruce fosse lì…
…e c’era la sua valigia. Il suo giaccone, il cappello e la sciarpa
erano appoggiati sopra. Sentendolo muoversi in camera da le o,
aveva respirato davvero per la prima volta in qua ro giorni. Si era
avvicinata la sua sciarpa al viso, inalandone la lanosa umidità orfana
di lui. Le fan filiformi, alla Twiggy, che si facevano vive ai concerti di
Fletcher & Holloway, quelle che fissavano Bruce e guardavano male
lei avevano torto, torto marcio. Lei per lui non era per niente una di
passaggio. Lui la amava. «Ehi, Canguro, sono a casa», lo aveva
chiamato, quindi aveva aspe ato che Bruce replicasse con il suo
«Koala!» e corresse a baciarla.
Ma quando Bruce era comparso, il suo volto era di pietra. Dallo
zaino spuntavano alcuni dischi. «Pensavo fossi fuori, stama ina.»
Elf non capiva. «Be’, sì… comunque, ciao.»
«Sono venuto a prendere il resto della mia roba.»
Lei si era allora resa conto che nella valigia vicino alla porta non
c’erano le cose che Bruce stava riportando indietro, ma quelle che
stava portando via. «Quindi sei venuto mentre ero fuori.»
«Ho pensato che fosse meglio così.»
«Dove sei stato? Ero preoccupata da morire.»
«Da un amico», aveva de o lui con tono spento, come se non
fossero affari suoi.
«Quale amico?» Non era riuscita a tra enersi. Se l’amico fosse
stato un maschio, Bruce da buon australiano lo avrebbe piu osto
chiamato «socio». «Una ragazza?»
Bruce aveva sospirato come un adulto paziente. «Ma perché fai
così?»
Lei aveva incrociato le braccia come una donna offesa
ingiustamente. «Così come?»
«Sei sempre così possessiva. È stato questo ad allontanarmi.»
«In altre parole, tu fai quello che ti pare e se io mi lamento sono
una stronza isterica?»
Bruce aveva chiuso gli occhi come se avesse avuto un mal di testa
lancinante.
«Se mi stai lasciando, basta che mi dici che è finita.»
«Come preferisci.» Bruce l’aveva guardata. «È… finita.»
«E il nostro duo?» Elf riusciva a stento a respirare. «Toby sta per
proporci di registrare un disco.»
«No, non è così», le aveva de o Bruce come se si rivolgesse a una
straniera a cui bisognava parlare ad alta voce. «Il disco non si farà.»
«Non ti va di fare un disco?» La voce di Elf era rido a a un alito.
«A quanto pare la A&B non vuole un disco di Fletcher &
Holloway, dopotu o. Ti cito le parole esa e: ‘Shepherd’s Crook non è
all’altezza delle aspe ative’. Niente disco, quindi. Ci hanno mollato.
Il duo è finito.»
Di so o, in Livonia Street, rombava una moto. Corrieri e criminali
di piccolo calibro usavano quella strada come scorciatoia.
Due piani più in alto, Elf aveva voglia di vomitare. «No, non può
essere.»
«Chiama Toby se pensi che sia una bugia.»
«E i concerti? Andy era riuscito a piazzarci al Cousins sabato alle
nove. Il mese prossimo c’è il Cambridge Festival.»
Bruce aveva fa o spallucce e poi una smorfia. «Cancellali, suona
da sola… Fa’ un po’ come ti pare.» Si era infilato la giacca. «La mia
sciarpa.»
Lei gliel’aveva passata. «Ma se ho bisogno di conta arti…»
Bruce si era sba uto la porta alle spalle. Nell’appartamento
regnava il silenzio. Etiche a discografica: andata. Il duo: andato.
Bruce: andato. Si era bu ata sul le o – solo suo, ora, non più loro – si
era rannicchiata so o le coperte e in quel grembo soffocante aveva
pianto tu e le lacrime che aveva. Ancora una volta.
Tre mesi più tardi Elf è di nuovo alla stazione di Richmond, sulla
stessa banchina che si era fa a di corsa insieme a Bruce. Stasera non
ha fre a. Su quella linea, la District, ci sono dei ritardi dovuti a «un
incidente sui binari» a Hammersmith, l’eufemismo preferito dai
trasporti pubblici londinesi per indicare un suicidio. Il tramonto del
sabato cala sui giardini di Londra, filtra dalle crepe e oscura le
strade. Stasera a West London non è asciu o da nessuna parte, non
c’è niente di caldo. Il manifesto GESÙ SALVA è sporco e mezzo
strappato. Per ripassare la vecchia scale a da solista avrà meno
tempo del previsto. La gente del Cousins vedrà un’impreparata Elf
Holloway suonare una scale a fiacca, giungendo alla conclusione
che Bruce Fletcher, andandosene, si è portato via la magia. A
quest’ora lo sapranno sicuramente. Sono l’abbandonata Miss Havisham del
folk. Elf scruta nella vetrina scura di una sala da tè chiusa. La sua
immagine riflessa la guarda truce. Fra le sorelle Holloway non è mai
stata lei quella bella. Imogen è carina, alla sua sobria maniera
cristiana. Il primato di Bea come bellezza di famiglia è indiscusso fin
dall’infanzia. Elf, a de a di tu i i famigliari, ha preso dal padre. Cioè
ricordo un dire ore di banca di mezza età un po’ pingue. Non molto
tempo prima, nel bagno di un locale, aveva sentito per caso una
donna dire: «Elf Holloway? A me sembra più una Goblin Holloway».
«Punta sui capelli, tesoro… Sono la tua carta migliore», le ha
sempre de o sua madre. Ha i capelli biondi, lunghi. Bruce ci
affondava spesso la faccia. Apprezzava le parti del suo corpo
separatamente, mai nell’insieme. Oppure diceva: «Stasera sembri in
forma». Come se ci fossero giorni in cui invece faccio schifo. Elf si è
sempre de a che a compensare il fa o di non somigliare a Joan Baez
o a Wanda Virtue sarebbe stato il suo talento di cantante folk. Il
talento, sperava, avrebbe tirato fuori il cigno che si annidava nel
bru o anatroccolo. Le a enzioni di Bruce le avevano fa o credere
che stesse succedendo, ma adesso lui non c’è più… Mi guardo e penso:
Quanto sei insignificante. Il riflesso nella vetrina le chiede: E se,
semplicemente, non fossi brava come credi?
Un piccione saltella su una zampa sola vicino alle rotaie. A meno
di mezzo metro di distanza, un ra o grasso non ci fa caso.
Vicino ai tornelli della stazione c’è una cabina telefonica. Elf
potrebbe chiamare Andy al Les Cousins, inventarsi che ha la laringite.
Il sabato sera non dovrebbe essere difficile trovare un rimpiazzo per
tappare il buco. Sandy Denny potrebbe essere lì, o Davy Graham o
Roy Harper. Diversi frequentatori abituali hanno inciso un disco, e si
parla di un intero LP, non solo di un EP. Elf potrebbe tornarsene
dri a a casa, al suo appartamento, rannicchiarsi so o le coperte e…
E cosa? Singhiozzare finché non mi addormento? Di nuovo? Non
combinare nulla finché i soldi di Wanda Virtue finiscono, e poi tornare
strisciando da mamma e papà, senza un centesimo, senza un lavoro, senza
un contra o? Se non mi presento stasera al Cousins, avrà vinto Bruce.
Vinceranno gli sce ici. «Senza Bruce che la tiene in piedi, è solo una
dile ante a cui una volta è andata bene con una canzone.» Mamma avrebbe
la dimostrazione di essere nel giusto. «Se ti fossi scomodata a pianificare il
tuo futuro come ha fa o Immy, a quest’ora anche tu avresti al fianco il tuo
Lawrence.»
’Fanculo, pensa Elf.
***
***
***
Sul primo pianero olo in cima alle scale che partono da Denmark
Street, c’è una targhe a a cara eri neri su fondo dorato che recita:
AGENZIA DUKE-STOKER . Jasper socchiude la porta. «Bu o un occhio»,
dice. All’interno c’è una reception, la scrivania dell’adde o, una
palma in un vaso e alcune foto incorniciate di Howie Stoker e
Freddy Duke con Harry Belafonte, Bing Crosby, Vera Lynn e altri.
Dietro un séparé c’è un ufficio in fibrillazione, due telefoni squillano
con tonalità differenti, i tasti di una macchina da scrivere
schiaffeggiano un foglio. E poi c’è Freddy Duke, che si sente ma non
si vede e sta abbaiando al telefono: «Sheffield è il ventise e e Leeds il
vento o… non Leeds il ventise e e Sheffield il vento o. Ripetilo!»
Salgono la seconda rampa di scale fino a una porta su cui è
impresso un logo, il profilo di una balena con la luna sullo sfondo:
MOONWHALE MUSIC . Quell’ufficio è molto più tranquillo, molto più
piccolo e molto meno affollato della caotica agenzia so ostante.
Strati di polvere ricoprono il pavimento e Bethany Drew, assunta da
Levon alla Moonwhale per fare qualsiasi cosa lui non faccia, è in
cima a una scala pieghevole che ritocca con un pennello la cornice
del soffi o. Bethany ha trent’anni e a volte la scambiano per Audrey
Hepburn; è nubile, imperturbabile ed elegante perfino con la
salope e imbra ata che indossa al momento. «Jasper… e la
signorina Rohmer, immagino. Benvenuta alla Moonwhale. Io sono
Bethany, capufficio, galoppino e imbianchino.»
«Jasper mi ha de o che lei è davvero in gamba, signorina Drew.»
«Non si fidi di quel vecchio adulatore. Le stringerei la mano, ma
non possiamo farla partire per l’America sporca di vernice. Mi
sembra di capire che vada dire amente all’aeroporto da qui, giusto?»
«Sì. Il mio volo per Chicago è alle sei.»
«E cosa la porta a Chicago?»
«Un benefa ore mi farà fare una piccola mostra. Poi andrò in
cerca di avventure e fotograferò le mie scoperte.»
Jasper si domanda perché Bethany lo stia guardando. «Sembra
davvero il lavoro di un professionista», dice. «La tinteggiatura.»
«Sì, per il momento sta venendo bene. Levon vi sta aspe ando…»
Bethany indica con un cenno il suo ufficio, separato da due porte
scorrevoli. Sono mezze aperte e s’intravede Levon che cammina su e
giù concentrato su una chiamata, con il telefono in mano,
trascinandosi dietro il filo. Due minuti, mima con le labbra.
Jasper e Mecca vanno alla finestra affacciata sulla strada, dove c’è
una panca. Mecca tira fuori la Pentax per studiare un’inquadratura.
Jasper si siede e chiude gli occhi. Non sarebbe sua intenzione
origliare la telefonata di Levon, non ha neanche i tappi nelle orecchie
però. «Sezione due, clausola tre», sta dicendo il loro manager. «È
qui, nero su bianco. Peter Griffin è stato ingaggiato come turnista,
non è un artista assoldato dalla Balls Entertainment per l’eternità.
Non c’è nessuna buonuscita da pagare perché non c’è niente da cui
debba uscire.» Jasper immagina che Levon stia parlando con l’agente
di Archie Kinnock, il leader del suo vecchio gruppo. «Non sono nato
ieri, Ronnie. Ti direi ‘bel tentativo’, se non fosse che è un tentativo
idiota.»
Clic, la macchina di Mecca sca a. Scrit-scrit.
Dalla corne a di Levon fuoriescono fio i di rabbia dal rumore
metallico.
Levon li blocca con una risata tagliente. «Mi appendi fuori dalla
finestra? Davvero?» Non ha l’aria di sentirsi in pericolo. «Ascolta,
non ce l’hai un caro amico che ti prenda da parte e ti dica: ‘Ronnie,
bello, se vai avanti così, farai la fine dei dinosauri, sme i di fare il
manager finché ti resta qualche spicciolo in banca’. O magari è già
troppo tardi, eh? Sono vere le voci su una tua imminente bancaro a?
Non sarebbe terribile se tu i venissero a sapere che continui a fare
affari pur essendo insolvente?»
Levon me e fine a un’esplosione d’insulti riagganciando. «Che
fenomeno da baraccone. Ciao, Jasper, e benvenuta, Mecca, nel mio
p
minuscolo impero.»
«Un minuscolo impero splendidamente tinteggiato», osserva
Mecca.
«Dio, è davvero eccezionale», dice Bethany a Jasper,
confondendolo.
«Tu o qui quello che ti porti in America?» Levon guarda la
modesta valigia e lo zaine o della ragazza.
«Non possiedo altro.»
«Invidiabile», commenta Levon.
«Era quel Ronnie Balls al telefono?» chiede Jasper.
«Lui», dice Levon. «L’ex agente di Archie Kinnock.»
«Archie lo chiamava ‘il mio ex distruggente’.»
«A suo dire, Griff sarebbe ancora so o contra o con la Balls
Entertainment, ma rinuncerebbero a lui per la modica cifra di
duemila sterline.»
«Quanto?»
«È una stronzata e Ronnie Balls lo sa benissimo.»
«L’affascinante mondo dello show business, Mecca», dice
Bethany.
«Somiglia molto all’affascinante mondo della fotografia che si
occupa di moda.»
«A proposito di fotografia», dice Levon, «posso dare una sbirciata
con i miei occhie i a una cosa che inizia con la ‘P’ di ‘portfolio’?»
Mecca recupera le foto. «È ora che tu le veda.»
«Andiamo nella mia tana.»
a. Camera oscura.
Smithereens a
***
***
Fino a quel momento, Dean pensava che «The House of the Rising
Sun» fosse una canzone ina accabile, ma gli Utopia Avenue stanno
dimostrando che aveva torto. La voce di Jasper suona costipata,
altezzosa, fighe a. La linea melodica di Elf in una canzone che parla
di rimorso maschile risulta stonata. Dean si allontana troppo
dall’amplificatore e quella merda di basso si stacca da quella merda
di amplificatore. Mentre sca a all’indietro per ria accare lo spino o,
il pubblico si me e a ridere. Jasper non lo copre e si lancia nella
seconda strofa senza il basso a sostenerlo. Griff suona moscio ed è un
deliberato «vaffanculo», sospe a Dean, per aver osato dirgli che era
troppo veloce in «Abandon Hope». Nessuno del pubblico sta
ballando. Nemmeno dondolando un po’. Si limitano a rimanere
impalati: Bella merda, dice il loro linguaggio del corpo. Un gruppo si
stacca, se ne va. Jasper fa di nuovo cilecca con l’assolo. Se si fosse
dimostrato così scarso al 2i’s, pensa Dean, non mi sarei mai unito al
gruppo. La porta a doppio ba ente vicino al bar continua a sba ere.
Stiamo svuotando questo posto. Si ricollega alla terza strofa, sperando
q p g p
che Jasper capisca al volo che deve farla finita con l’assolo. Non lo
capisce. Pizzica le corde per le ultime qua ro ba ute senza ba eria e
basso, come la intro di Eric Burdon nella versione degli Animals, ma
questo non fa che me ere in luce quanto la loro performance sia
inferiore. Non c’è stato un briciolo di spe acolo, considera Dean. Un
vero disastro.
All’ultima ba uta, il feedback sgorga fragoroso dalle casse, e non
in modo figo alla Jimi Hendrix, ma tipo sistema di amplificazione da
festa di paese.
«Ho sentito di meglio!» urla qualcuno.
Dean non può che essere d’accordo. Dà un’occhiata a Levon che,
con le braccia conserte, guarda il pubblico in calo.
Si riuniscono intorno alla ba eria. «Era abbastanza una merda»,
dice Griff.
«‘Abbastanza una merda’ a dir poco, se vuoi la mia opinione»,
dice Dean.
«Che canzone facciamo adesso?» chiede Elf. «‘A Raft and a River’
senza un piano affonderà senza lasciare traccia.»
«Che ve ne pare di una versione ele rica di ‘Any Way the Wind
Blows’?» propone Levon. «Al Club Zed l’avete fa a un paio di volte.»
«Stiamo solo perdendo tempo», dice Dean, pensando che il
cavallo di ba aglia di Elf abbia bisogno di percussioni quanto un
albatros di eliche.
«A questo punto non abbiamo un accidenti da perdere», dice
Griff.
«Lo abbiamo già stabilito un’ora fa», si lamenta Elf. «La registrazione
migliore è la terza.»
«Ma la sesta è più precisa.» Levon parla al microfono dalla cabina
di regia. «Nella terza Dean ha steccato in quella scala discendente.»
«È un tocco in più», insiste Elf. «È successo quando Jasper ha
de o la parola broken. È una di quelle fortunate coincidenze che…»
«In generale, Jasper ha cantato meglio nella sesta registrazione»,
insiste Levon. «E anche Griff ha suonato più tic-toc-tic-toc.»
«Se vuoi un tic-toc-tic-toc», dice Elf, «basta che me i in un angolo
un gigantesco metronomo peloso in gilet e registri quello.»
«Se al gigantesco metronomo peloso è concesso dire una
parola…» interviene Griff sdraiato su un divano sfa o con la nuova
cicatrice da ca ivo sulla tempia sinistra. «Il basso di Mosser sporcava
il mio rullante. Possiamo farla una se ima volta comprimendo il
suono?»
«Non l’ho compresso di proposito», dice Digger, il tecnico del
suono ai Fungus Hut. «Come i Rolling Stones. Loro cercano apposta
il suono sporco.»
«E allora?» Senza preoccuparsi che gli altri lo vedano, Dean se ne
sta appollaiato su un amplificatore con le dita nel naso. «Non siamo
mica i cloni degli Stones.»
«Prendere spunto dagli Stones, ragazzi, non farà di voi dei cloni»,
dice l’abbronzato coproprietario della Moonwhale dai denti
sbiancati, Howie Stoker, un tipo da Playboy. «Quei tizi sono una
miniera d’oro.»
«Sono una miniera d’oro perché hanno trovato un loro stile,
Howie», riba e Dean, «e non l’hanno trovato comportandosi come
degli stupidi pappagalli.»
g p p pp g
«Alla Chess Records non sarebbero d’accordo sul fa o che gli
Stones non siano dei pappagalli.» Griff espelle dalla bocca un anello
di fumo.
«Tu o questo non c’entra niente!» Elf si sente intrappolata in un
incubo circolare. «Possiamo, per favore, semplicemente…»
«No. Però, ragazzi, mi è venuta un’idea.» Howie Stoker dà risalto
a ciò che dice gesticolando come un karateka. «Lasciate perdere
quella strofa, ‘Down in the darkroom where a lie becomes the truth’, e
sostituitela con uno ‘sha-la-la-la-la-da sha-la-la-la-la-ba’. La se imana
scorsa ero a cena con Phil Spector, lui dice che gli sha-la-la stanno
tornando di moda.»
«Davvero una bella idea, Howie», dice Levon.
Dovrete prima spararmi, pensa Elf. «Dean, la parte di basso è tua.
Terza registrazione o sesta. Scegline una. Poni fine alle nostre
sofferenze.»
«Le ho ascoltate così tante volte che le mie orecchie sono entrate in
sciopero.»
«Questo è il motivo per cui Dio ha inventato i produ ori», dice
Levon. «Digger, Howie e io siamo d’accordo… La sesta è quella
buona.»
«Eravamo tu i d’accordo sulla tre», riba e Elf cercando di non
urlare, farebbe la figura della donne a isterica, «finché tu…»
«La terza registrazione era in testa», si spiega Levon, «ma la sesta
è rimontata alla grande e ha raggiunto il traguardo per prima.»
Dio, dammi la forza. «Una metafora poco calzante non è un
argomento vincente. Jasper. La tre o la sei. La canzone è tua.»
Jasper sbircia fuori dal cabino o del cantante. «Nessuna delle
due. Sembro Dylan con il raffreddore. Mi piacerebbe farne un’altra
con un tono più caldo.»
«Phil Spector ha un mo o», dice Howie Stoker. «L’o imo è
nemico del buono. Ha ragione o ha ragione?»
«Direi che questo consiglio sul suono suona davvero saggio,
Howie», dice Levon.
Leccaculo che non sei altro, tu e tuoi giochi di parole, pensa Elf.
«Se avessimo a disposizione tu a la se imana sarei d’accordo per
riprovarla cinquecento volte. Ma per fare altre due canzoni ci restano
p q p
solo…» l’orologio segna le 8 e 31 del ma ino «…qua ro ore e
ventinove minuti, e il motivo è che ci siamo fermati un sacco su
questa.»
«‘Darkroom’ è sul lato A», dice Levon. «È la canzone che verrà
trasmessa da un milione di stazioni radio. Dev’essere perfe a.»
«Non dovremmo sentire come vengono le canzoni mie e di Dean
prima di decidere quale me ere sul lato A?» chiede Elf.
«Altrimenti…»
«No, ma…» inizia a dire Dean, e a quel punto nel cervello di Elf
salta un fusibile. Picchiando i pugni sulla tastiera me e in guardia i
presenti: «Se qualcuno mi interrompe ancora mentre parlo, gli
pianto il Farfisa su per il culo».
A parte Jasper, gli altri sembrano scioccati. Poi si scambiano
un’occhiata come a dire: Ahi ahi ahi, qui qualcuno ha il ciclo.
«Signorina Holloway?» Deirdre, la receptionist dei Fungus Hut, fa
capolino dalla porta. «C’è sua sorella. Dice che la stava aspe ando.»
Bea dev’essere stata inviata per impedirmi di uccidere qualcuno,
pensa Elf. «D’accordo. Ascoltatemi tu i. Con quella malede a
canzone fate un po’ come vi pare. Non mi interessa più. Me ne vado
al Gioconda, sarò di nuovo qui per le nove.»
«Vai pure», replica il loro agente. «Ti farà bene.»
«Non ti stavo chiedendo il permesso, Levon.» Elf recupera
cappo o e borsa ed esce senza guardarsi indietro.
Alla radio si sente Waterloo Sunset dei Kinks. Elf guarda fuori in
Denmark Street. Passano centinaia di persone. La realtà cancella se
stessa mentre si riregistra, rifle e Elf. Il tempo è il Grande
Dimenticatore. Prende il taccuino dalla borsa e scrive: I ricordi sono
inaffidabili… L’arte è il ricordo reso pubblico. Sulla lunga distanza il
tempo ha la meglio. I libri diventano polvere, i negativi si
deteriorano, i dischi si consumano, le civiltà bruciano. Ma finché
l’arte tiene duro, una canzone, uno scorcio, un pensiero o un
sentimento che qualcuno una volta ha pensato valesse la pena
conservare, sarà al sicuro e continuerà a poter essere condiviso. Altri
potranno dire: Anch’io provo la stessa sensazione.
Dall’altra parte della strada, davanti al portone di un edificio con i
ma oni a vista e so o un manifesto pubblicitario dei collant
Berkshire, una coppia si sta baciando. È probabile che per via
dell’angolo di osservazione di Elf, per il portone così defilato e per il
traffico pedonale così frenetico, lei sia l’unica a vedere gli
innamorati. Tengono le fronti appiccicate l’una all’altra, parlano.
Proge i, paroline dolci, promesse, arrivederci… Lui non è male, nella
media, ma lei, stabilisce Elf, è il primo giorno di primavera in un
corpo di femmina. Il suo portamento, i vestiti, il piglio da
maschiaccio, i capelli neri lunghi fino alle spalle e, sopra u o, quel
mezzo sorriso selvaggio. La stai mangiando con gli occhi. Elf cerca nella
borsa il pacche o di Camel, fruga ancora un po’ per trovare
l’accendino e si accende una sigare a. Non la mangiavo con gli occhi, la
guardavo e basta. Ricorda la voce che ha sentito sull’autobus, il 97, che
viaggiava lungo Cromwell Road…
***
***
Gli Utopia Avenue aprono il loro siparie o con «Any Way the
Wind Blows». Elf canta e suona la chitarra acustica, Griff si limita a
un lavoro di spazzola fuorché nel punto della canzone in cui al
politecnico di Brighton l’ha colpito la bo iglia. Arrivato a quel
punto, infa i, picchia sulla grancassa, fa roteare per aria una
bacche a e la riacciuffa come un capobanda.
La seconda canzone è «Mona Lisa Sings the Blues», quella nuova
su cui Elf sta ancora lavorando. La suona al piano. Dean va a
integrare le sue note basse, mentre Jasper improvvisa un assolo nel
mezzo. Le donne prestano a enzione alle parole, che sono cambiate
a ogni prova. Griff toglie di torno le sue bacche e per una robusta
versione di «I Put a Spell on You», con Dean alla voce ed Elf ad
accompagnarlo con lo stesso giro di piano. Alcuni degli ospiti più
giovani iniziano a ballare, il gruppo la tira quindi per le lunghe.
Jasper suona un assolo tipo saxofono con la sua Stratocaster.
Sollevando lo sguardo, vede che la sposa e lo sposo stanno ballando.
Se fossi più bravo a invidiare quei due, li invidierei: hanno le loro famiglie e
hanno l’uno l’altra. Anche Bea sta ballando con uno studente alto,
bruno e di bell’aspe o, tu avia guarda Jasper. Lui cede l’assolo a
Dean, che parte in slap su una linea di basso. Clive e Miranda
Holloway restano seduti. Gli piacerebbe saper leggere l’espressione
del padre di Elf. Ha posato una mano su quella della moglie, quindi
forse è di nuovo calmo. La musica conne e. I Glossop sono seduti a
braccia conserte, rigidi, visibilmente disgustati, tanto che persino
Jasper se ne accorge. La musica non può conne ere tu i quanti…
Eppure, nota, Don Glossop quasi imperce ibilmente sta ba endo
un piede, e la testa della moglie annuisce a tempo con il ritmo.
O forse sì.
a. Presenziare a un matrimonio.
b. Nonno in olandese. (N.d.R.)
Purple Flames a
***
Elf a acca l’assolo di «Moon River» sul piano di nonna Moss. Dean
respira l’odore di lardo, moque e vecchia, gente vecchia e le iera
per ga i. Tu o il pianoterra di nonna, immagina, riuscirebbe
comodamente a starci nel soggiorno di Jasper a Chetwynd Mews.
Jasper appare più a suo agio di quanto non sia mai stato, e le qua ro
generazioni miste di Moss e Moffat sono più curiose che diffidenti
verso i suoi esotici compagni. Per ora. Anche Griff è cresciuto in un
piccolo edificio a due piani come quello, lì si sentirebbe a casa, ma è
andato con la Belva al Captain Marlow: voleva rime ersi in sesto e
vedersi con un amico dei tempi di Archie Kinnock. Nonna Moss, con
i capelli bianchi e il viso rugoso, ondeggia e canticchia sulle note di
«Moon River». Bill, marito di fa o di nonna e lui stesso bravo
pianista, approva annuendo lo stile di Elf. La chiassosa zia Marge e
la silenziosa zia Dot osservano benevole. L’ultima sorella, la madre
di Dean, guarda la scena dalla sua foto in cornice. Lì vicino ci sono
Ray, il fratello di Dean, la moglie incinta di Ray, Shirl, e Wayne, il
figlio di due anni che con le sue automobiline Dinky sta simulando
un incidente stradale dopo l’altro. Jasper è seduto in un angolo del
salo ino di nonna so o uno schieramento di anatre di porcellana.
Dean studia il suo coinquilino. Si sono spartiti pacche i di sigare e,
confezioni di Durex, cartoni di uova, tube i di dentifricio, libri,
bo iglie di la e, corde di chitarra, flaconi di shampoo, raffreddori e
cibo d’asporto cinese… A volte risulta indifeso alla maniera di un
bambino, altre è come un alieno che si spaccia per un terrestre. Gli
ha de o qualcosa riguardo a un esaurimento che ha avuto ai tempi
della scuola, e a un periodo in una clinica olandese. Dean non ha
approfondito. Gli sembrava sbagliato. Non è neanche sicuro se il
distacco dal mondo reale di Jasper sia una causa o piu osto una
cicatrice di quei giorni.
Elf conclude «Moon River» con un glissando sognante.
La piccola platea la ripaga con un caloroso applauso.
p p p g pp
Wayne fa cozzare un’automobilina contro un camion, «Bam!» dice.
«Oh», dichiara nonna, «che bellezza. Ho ragione, Bill?»
«Una bellezza davvero. Da quanto suoni, Elf?»
«Da quando avevo cinque anni. Me l’ha insegnato mia nonna.»
«Iniziare da piccoli è la cosa migliore», dice nonna Moss. «‘Moon
River’ era il pezzo preferito della nostra Vi, la madre di Dean. Anche
Marge e Dot suonavano il piano, ma quella davvero portata era lei.»
«Un momento fa», dice zia Marge, «a chiudere gli occhi sembrava
che a suonare fosse Vi. In quel punto complicato in mezzo,
specialmente.»
«Se avesse fa o una vita diversa», osserva zia Dot, «Vi avrebbe
potuto diventare qualcuno, ve lo dico io. Musicalmente, intendo.»
«È chiaro che Dean ha ereditato il suo talento», dice zia Marge.
«Non vorremo far raffreddare il pasticcio di rognone, eh?»
interviene Bill.
Zia Dot e zia Marge cominciano a riempire i pia i.
«Come fa il pubblico a sentire il piano», chiede Ray a Elf, «mentre
migliaia di ragazze urlanti lanciano le mutandine a quel rubacuori?»
Con un cenno indica Dean.
«Per il momento le mutandine non gliele lanciano», spiega Elf.
«Quando sarà andato a Top of the Pops, magari. L’acustica dipende
dalla sala, dai microfoni, dagli amplificatori. Nel furgone abbiamo
un Farfisa. Ho anche un Hammond, però pesa una tonnellata.
Insieme sono una bella bo a.»
«Non ci vuole coraggio», Shirl sta me endo il bavaglino a Wayne,
«a salire su un palco di fronte a una folla di sconosciuti?»
«Direi di sì», risponde Elf, «ma o superi la paura del palcoscenico
o molli. Nonna, il mio pia o è gigantesco.»
«Un esercito marcia solo a pancia piena», dice la matriarca.
«Bene. Se ci siamo serviti tu i…» Congiungono le mani e nonna
recita una breve preghiera: «Per quello che stiamo per ricevere,
rendiamo grazie al Signore. Amen». Si uniscono in coro a quell’amen
e iniziano a mangiare. Dean pensa a quanto il cibo, così come la
musica, unisca le persone.
«Questo pasticcio è la perfezione», dichiara Jasper come se stesse
valutando un assolo.
«Sa fare dei bei complimenti, lui», commenta zia Marge.
«In realtà», precisa Dean, «non fa nessun complimento. Dice solo
le cose per come le vede.»
«Il mio naso è una bocca.» Wayne si ficca una carotina in una
narice.
«Wayne, è disgustoso», dice Shirl. «Tirala subito fuori dal naso.»
«Ma tu hai de o di non me ere le dita.»
«Ray, digli qualcosa.»
«Fai come dice tua madre.» Ray si tra iene dal ridere.
Wayne infila il mignolo nella narice. «È troppo su.» Adesso è
meno divertente. «Non viene!» Con uno starnuto fa schizzare la
carota nel pia o di Dean, e perfino Shirl coglie il lato buffo della
faccenda.
«Allora, chi vuota il sacco su com’era Dean da ragazzino?» chiede
Elf.
«Oh, cielo», esclama Bill. «Quante ore abbiamo?»
«Ci vorrebbero giorni», interviene Ray, «e solo per iniziare a
vuotarlo.»
«Bugie, nient’altro che bugie», riba e Dean.
«Senti senti. E chi è il ribelle rock’n’roll adesso, eh?» Ray infilza
con la forche a un pezzo di rognone. «E chi è invece il marito
responsabile?»
Solo perché hai sparato il tuo seme nella passera di Shirl quando le uova
erano mature. Raccoglie dal pavimento il cucchiaio di Wayne.
«Non è stato facile per Dean», dice nonna Moss, «dopo che sua
madre ci ha lasciato. Non è stato facile per nessuno. Suo padre a…»
«A raversava un momentaccio», interviene Bill, cogliendo
un’occhiata di Dean.
«Esa o», continua nonna. «Ray se n’era andato a Dagenham per il
praticantato, e Dean era tornato a vivere con suo padre nella vecchia
casa in Peacock Street, ma le cose non hanno funzionato. Quindi si è
trasferito qui con me e Bill per tre anni o giù di lì mentre frequentava
la scuola d’arte di Ebbsfleet. Eravamo così orgogliosi.»
«Ma invece di diventare il futuro Picasso», aggiunge Ray, «si è
trasformato nel geniale chitarrista che conosciamo e amiamo.»
«Il chitarrista geniale è lui», Dean agita un pollice in direzione di
Jasper. «Al Marquee c’eri anche tu, Ray.»
«Se so suonare», dice Jasper, «è perché mi sono esercitato tanto
anziché vivere. Non è un metodo che consiglio.»
«A questo mondo», replica Bill, «se vuoi farcela in qualcosa, devi
darci dentro. Il talento non basta. Ci vuole disciplina.»
«Dean ha realizzato alcune fantastiche opere d’arte», dice zia
Marge. «Quello sopra la radio lo ha fa o lui.» Guardano tu i un
disegno del molo di Whitstable. «A enzione, però, il suo cuore era
sempre per la musica. Se ne stava su, in camera, a provare le canzoni
che componeva finché non erano perfe e.»
«Fa così anche adesso.» Jasper infilza un fagiolo. «I bassisti meno
dotati procedono per umpa-umpa, come suonatori di tuba. Dean
invece fa queste cavalcate fluide», posa la forche a per mimarlo.
«Bam-bam-ba-damb-damb, bam-bam-ba-damb-dam. Suona il basso come
una chitarra ritmica. È grande.» Jasper mangia il fagiolo.
Il complimento è così schie o che Dean si sente un po’ in
imbarazzo.
«La vedete quella targa?» Nonna indica un trofeo e recita
l’iscrizione: «Migliore band, Gravesend 1964, The Gravediggers. Era il
gruppo di Dean. Fra un po’ tiriamo fuori l’album con le foto.»
«Oooh, l’album con le foto.» Elf si sfrega le mani.
Fuori passa una moto a tu a velocità, le tazze sulla credenza
vibrano.
«È quel Jack Costello», borbo a zia Marge. «Me e suo figlio
Vinny nel sidecar e tra a questo paese come se fosse la sua pista
privata.»
«Scusa se te lo chiedo, Jasper», dice zia Marge, «ma tu sei dei
quartieri alti? Parli benissimo, capperi. Come un annunciatore della
BBC.»
«Fino a sei anni mi ha cresciuto mia zia a Lyme Regis. Gestiva una
piccola pensione, i soldi non bastavano mai. Ma poi sono andato in
un collegio privato a Ely, che in effe i è per gente dei quartieri alti.
Sfortunatamente un accento da riccone non garantisce un conto in
banca da riccone.»
«Com’è che tua zia poteva perme ersi una scuola da ricchi?»
chiede Bill.
«Ci ha messo lo zampino la famiglia di mio padre, i De Zoet. Sono
olandesi.»
Zia Marge si aggiusta la dentiera. «E loro sono benestanti, eh,
Jasper, se posso chiedertelo?»
«Possiamo risparmiare il terzo grado a questo poveraccio?»
domanda Dean.
«Oh, a lui non dà fastidio. Non è così, Jasper?» prosegue zia
Marge.
Jasper non sembra infastidito. «I De Zoet di Zelanda li definirei
ricchi, più che benestanti.»
«Benestanti e ricchi non è la stessa cosa?» chiede Shirl.
«I benestanti sanno quanti soldi possiedono. I veri ricchi ne hanno
così tanti da non esserne mai completamente certi.»
«E in tu o questo tua madre dov’era?» chiede zia Marge.
«Mia madre è morta quando sono nato.»
Il volto delle donne si contorce in una smorfia empatica. «Povero
tesoro», commenta zia Marge. «Almeno Ray e Dean la mamma
l’hanno conosciuta. Non averne nessun ricordo dev’essere davvero
dura. Avresti dovuto avvisarci, Dean.»
«Vi avevo de o di non fargli il terzo grado.»
L’orologio di nonna fa cucù se e volte.
«Non possono essere già le se e», dice Elf.
«Buffa cosa il tempo», osserva zia Dot.
Era la no e dei falò. Aveva sedici anni. Tornando a casa dopo una
festa con tanto di fuochi d’artificio a Ebbsfleet, aveva trovato il padre
al tavolo della cucina, concentrato sul Mirror. La bo iglia quotidiana
di Morning Star era vuota. «’Sera», si era limitato a dire Dean.
«Il ragazzo si è meritato un premio.»
g p
Scostando le tende della cucina, Dean aveva notato un piccolo falò
in cortile, nell’inceneritore in cui il sabato di solito bruciavano
spazzatura, foglie ed erbacce. Quel giorno però era un venerdì. «Hai
bruciato della roba, vedo.»
«C’era della vecchia merda che andava bruciata.»
«Be’, buonano e, allora.»
Il padre di Dean aveva girato la pagina del quotidiano.
Dean era andato di sopra, in camera sua, e una volta lì aveva
preso a o delle assenze strazianti, una via l’altra, come pugni nello
stomaco. La sua chitarra Futurama. Il suo giradischi Danse e. I suoi
manuali Impara da solo a suonare la chitarra. La foto autografata di
Li le Richard. Aveva sentito il crepitio del falò. Si era precipitato giù
per le scale, aveva superato il colpevole ed era corso fuori nell’aria
gelida per vedere che cosa poteva ancora salvare…
Il falò bruciava che era una meraviglia.
Restava solo la tastiera della chitarra, la vernice faceva le bolle. Le
fiamme purpuree lambivano il manico. Del giradischi non rimaneva
che il perno centrale e un po’ di bachelite annerita. I libri erano veli
di cenere. La foto di Li le Richard con l’autografo era
completamente andata. Il padre di Dean aveva aggiunto al tu o un
po’ di carbonella e diavolina. Le fiamme purpuree arrostivano il
volto di Dean. Era un fumo oleoso, tossico.
Era tornato dentro casa. «Perché?» gli tremava la voce.
«Perché cosa?» Lo sguardo del padre era ancora puntato sul
giornale.
«Perché l’hai fa o, che senso ha?»
«Fino a oggi sei stato un froce o capellone scansafatiche con una
chitarra. Adesso sei solo un froce o capellone scansafatiche. E
questo», il padre di Dean aveva sollevato lo sguardo, «è un passo
avanti nella giusta direzione.»
Dean aveva recuperato lo zaino e ci aveva stipato nove LP, venti
quarantacinque giri, una confezione di corde di chitarra, i biglie i di
buon compleanno della madre, i suoi vestiti migliori, le scarpe di
coccodrillo stampato, un album di foto e il quaderne o su cui
scriveva le canzoni. Aveva salutato la sua vecchia stanza per l’ultima
volta ed era sceso. Prima che potesse sbloccare il chiavistello, si era
p
sentito scaraventare a terra nel corridoio. Mentre cadeva, aveva
sba uto l’orecchio contro lo stipite di una porta. Sentiva i passi sul
linoleum avvicinarsi. Era scivolato lungo lo stipite, ma si era rimesso
in piedi.
«E adesso? Vuoi rinchiudermi qui dentro?»
«Nessuno dei miei figli è uno strimpellone finocchio con la testa
fra le nuvole.»
Dean aveva fissato quegli occhi duri e li aveva odiati. Possibile che
fosse suo padre? Era la vodka a parlare?
«Hai ragione da vendere, Harry Moffat.»
«Cosa?»
«Io non sono tuo figlio. Tu non sei mio padre. Me ne vado.
Subito.»
«Stai abbaiando al vento. È ora che la sme i di trastullarti con
arte, musica e stronzate del genere e ti trovi un lavoro vero. Come ha
fa o Ray. Io ti avevo avvisato, ma adesso, adesso… sono passato
all’azione. Un giorno mi ringrazierai.»
«Ti ringrazio subito. Mi hai aperto gli occhi, Harry Moffat.»
«Ridillo un’altra volta, una sola, e perdio te ne pentirai.»
«Cos’è che non devo ridire, Harry Moffat? Che Io-non-sono-tuo-
figlio oppure…»
La mandibola di Dean aveva fa o crac, il cranio aveva colpito la
parete e c’era stato un tonfo, il corpo che cascava sul linoleum. In
bocca aveva il sapore del sangue. Il dolore alla testa e alla mandibola
pulsava al ritmo del polso. Aveva alzato lo sguardo.
Harry Moffat lo osservava dall’alto. «Lo vedi cosa mi hai fa o
fare?»
Dean si era rialzato e si era controllato la bocca allo specchio. Un
taglio sul labbro, sangue, una gengiva in pappa. «Era questo che
dicevi alla mamma quando la pestavi, eh? Lo vedi cosa mi hai fa o
fare?» Il sorrise o beffardo di Harry Moffat era sparito. «Non ci sono
segreti a Gravesend. Lo sanno tu i. Ecco Harry Moffat, ba eva sua
moglie come un tappeto, si è beccata il cancro e adesso è morta. Non te lo
dicevano in faccia. Ma sapevano.»
Dean aveva sganciato la catenella della porta e si era avviato nel
buio no urno di novembre.
«Con te ho chiuso!» aveva gridato Harry Moffat. «Mi hai sentito?»
Lui aveva continuato a camminare. Le tende sba evano
contorcendosi. Peacock Street odorava di brina e di fuochi d’artificio.
a. Fiamme purpuree.
b. Tu i i sogni finiscono in frantumi.
c. I frantumi sono semi di sogni.
Unexpectedly a
***
…Sul verso finale aveva sentito sca are un paio di forbici accanto
all’orecchio, aveva spostato in fre a la testa per evitare le lame. Peter
Pope stava osservando con a enzione una lunga ciocca dei suoi
capelli, la teneva stre a fra pollice e indice. Aveva la faccia di uno
che sta godendo sessualmente. Lei era balzata via dallo sgabello
picchiando un ginocchio. Tremava. «Perché… Perché mi ha tagliato i
capelli?»
«Un uomo ha diri o a un souvenir.» Peter Pope si era fa o roteare
le forbici intorno al dito. Poi si era strofinato una guancia con la
ciocca di capelli, assaporando il disgusto di Elf e provando piacere.
«I tuoi capelli sembrano quelli di mia madre.» Lei aveva raggiunto in
fre a la porta. Come in un incubo, il pomolo non voleva saperne di
girare. Lo aveva ruotato allora nel senso opposto, senza avere il
coraggio di guardarsi alle spalle, ed era finalmente uscita,
ritrovandosi in un negozio di dischi a Slough un venerdì
pomeriggio.
p gg
Sullo stereo del negozio Lulu cantava «Let’s Pretend». Levon
stava spulciando fra i dischi jazz. Dean ci stava provando con Becky
Chiara, a quanto pareva. Il campanello sulla porta del negozio aveva
squillato mentre un cliente entrava. Levon aveva alzato lo sguardo.
«Non ci è voluto molto. Tu o bene?»
Elf stava per dirgli: No, quel pervertito mi ha appena tagliato una
ciocca di capelli! Levon però cos’avrebbe potuto fare? Dire a Peter
Pope di restituirle la ciocca? Non la rivoleva certo indietro. Se avesse
denunciato il proprietario alla polizia, l’agente di turno le avrebbe
riso in faccia. Quale legge aveva infranto, in fondo? E se quel viscido
verme avesse riferito al Melody Maker che nei suoi tre negozi
«Darkroom» aveva venduto o ocento copie anziché o anta, magari
sarebbe stata una spintarella per la Top 50, no?
«Conserverò come un tesoro il ricordo del mio concerto privato.»
Era rispuntato Peter Pope. Dei capelli nessuna traccia. «Fino al
giorno della mia morte.»
Elf non se l’era sentita di replicare.
«Dunque, signor Pope», aveva de o Levon, «possiamo contare sul
suo appoggio?»
«La mia parola è sacra.» Peter Pope le aveva sorriso aprendo e
chiudendo il pugno, come un moccioso che fa ciao ciao. «Non
sparire, mio usignolo», e le aveva mandato un bacio con quelle sue
labbra da trota.
***
Elf si sposta alla finestra della cucina per guardare Angus che, più
in basso, sbuca dall’edificio in Livonia Street. Sparisce in Berwick
Street senza guardarsi indietro. Elf va in bagno e chiede al suo
riflesso nello specchio se gli Utopia Avenue alla radio fossero solo un
sogno.
È successo davvero, le dice il riflesso.
«Continuerai a essere la mia faccia se diventerò famosa?»
Baciami, replica il riflesso.
Elf esegue, sulle labbra.
Jasper ha ragione… gli specchi sono davvero strani.
Il suo riflesso ride, poi Elf va a rifare il le o, ma ci ha già pensato
Angus. Torna in cucina, si versa un bicchiere di la e, e proprio in
quel momento sente una chiave girare nella toppa. Che cosa può
aver dimenticato? Il giaccone?
«Ehi, Koala!»
Il pavimento oscilla come il ponte di una nave.
«Ehi», dice Bruce, «ti sta cadendo a terra il la e!»
Anch’io sto cadendo a terra. Appoggia la bo iglia.
pp gg g
«Riproviamo», dice Bruce. «Ehi, Koala!»
Ogni cosa è immobile, silenziosissima.
«C-c-cos… Perché? Come…»
«Traghe o no urno.» Bruce ge a lo zaino vicino all’appendiabiti.
«È da Calais che non mangio… e ci sono davvero pochissime cose che
non farei per un panino con prosciu o e formaggio. Be’, si può
sapere come diavolo te la passi?» Si fa scorrere le mani tra i folti
capelli d’oro. È molto abbronzato e un pizzico più vecchio. «Dio, se
mi sei mancata.»
Elf fa qualche passo indietro verso la credenza. «Aspe a un
momento… Io…»
Bruce sembra confuso, ma un a imo dopo non lo è più. «Ah…
Non hai ricevuto la mia cartolina, o sbaglio?»
«No.»
«Tu a colpa delle poste britanniche. O magari è stato il facteur
francese a mandare tu o a pu ane.» Bruce raggiunge il lavello, si
spruzza un po’ d’acqua in faccia, si riempie un bicchiere e beve. Alza
gli occhi su di lei. «La pe inatura è nuova, giusto? Hai perso anche
qualche chilo.» Si accomoda sul divano e si indica la pancia.
«Formaggio e so aceti andranno bene, se non hai il prosciu o.»
Elf si sente come se quella fuori posto fosse lei. «Tu mi hai
scaricata. Sei sparito a Parigi. Te lo ricordi questo?»
Bruce si mostra sbigo ito. «Scaricata? Avevamo solo bisogno di
respirare un po’. Siamo artisti.»
«No. Non te lo ricordi.» Elf affila la voce: «Allora vediamo, tu mi
scarichi, mi spezzi il cuore, poi a un certo punto risalti fuori e ti
comporti come se gli ultimi sei mesi non fossero mai esistiti».
Bruce me e il broncio, un broncio scherzoso, però, come a dire:
Sono in castigo?
«Sto parlando sul serio.»
Il broncio scherzoso di Bruce se ne va. «Pensavo ti facesse piacere.
Sono venuto dri o qui da Charing Cross. Io…»
«Magari farà piacere a Vanessa. I miei sentimenti invece sono
molto contrastanti.»
La faccia di Bruce raggrinzisce, quasi stia facendo uno sforzo per
ricordare a chi appartiene quel nome… «Oh, quella dici? Be’, Koala,
pp q q
la gelosia non ti si addice.»
Quindi lei lo ha scaricato. «Prova ad andare da Wotsit.»
«Wotsit è di nuovo in Grecia. Le persone voltano pagina.»
«E se avessi voltato pagina anch’io?»
Lui fa finta di niente. «Ehi, ho saputo degli Utopia Avenue. Una
recensione su Melody Maker. E anche buona. Posso?» Prende dal
tavolino una Camel e se l’accende. Elf resiste all’impulso di fargliela
volare via di mano. «Ne hai fa a di strada dall’Islington Folk Den,
eh? Sono fiero di te.»
Elf si rende conto che non ha nessuna voglia di fargli sapere di
«Darkroom» al Bat Segundo Show. «Senti, stasera ho un concerto,
quindi…»
«Figo. Vengo con te, sorveglierò la tua borsa a costo della vita.
Potrei anche suonare, se vi manca un chitarrista. Dov’è il concerto?»
«A Basingstoke, ma…»
«È uno di quei posti sperduti?»
Elf sospira. Adesso glielo dico. «Tu te ne sei andato, Bruce. È finita.
Abbiamo chiuso. Rivorrei indietro le mie chiavi.»
Lui inarca un sopracciglio, come un insegnante in a esa che la
verità venga a galla. «Stiamo per caso ‘vedendo’ qualcuno?»
«Dammi le chiavi, per favore.» Elf quel «per favore» lo odia, ma la
spavalderia di Bruce scompare. Il frigorifero vibra di colpo nel
silenzio.
«Quello che vale per te, vale anche per me, immagino.» Bruce
posa la chiave sul bracciolo del divano. «Scusa. Per febbraio, dico.
Per tu o. Più sono stronzo, più faccio lo spaccone. Lo so che non ho
la bacche a magica per riparare al danno…» Gli trema la voce. «O
per riportare indietro Fletcher & Holloway.»
A Elf si stringe la gola. «Vero.»
«Ma sapere che mi odi ancora… è questa la cosa peggiore. Prima
che vada a ge armi dal ponte di Waterloo», fa un’espressione
solenne, «posso… possiamo… salutarci da buoni amici?»
A enta. Elf incrocia le braccia. «Le tue scuse arrivano con qualche
mese di ritardo, comunque d’accordo. Salutiamoci da buoni amici.
Addio.»
Bruce chiude gli occhi. Con grande sorpresa di Elf, comincia a
piangere. «Dio, odio quando a volte mi lascio trascinare dalle
emozioni.»
«Riesco anche a capire perché. A volte.»
Lui si asciuga gli occhi con la camicia. «Merda, scusa Elf… ma
sono un tantino nei guai.»
Droga? Sifilide? Un deli o? «Dimmi.»
«In Francia sono finito nella merda. Gli sbirri mi hanno picchiato
perché suonavo sugli Champs-Élysées e si sono presi la chitarra.
Quello che viveva con me è scappato con i miei soldi, i miei vestiti,
tu o. Sono a terra. Mi sono rimasti due franchi, se e centesimi, o o
scellini e una moneta da tre penny. Io… sono passato dall’ufficio di
Toby Green.» Bruce è paonazzo e sta sudando. «Lui non c’era, ma la
segretaria ha controllato le nostre royalty di Shepherd’s Crook.»
«Non è molto.»
«Non ci compri neanche un sacche o di mangime per i piccioni.
So che sono il re degli stronzi a chiederlo a te fra tu i quanti, ma…
davvero, non ho nessun altro a cui rivolgermi. Quindi…» fa un
respiro profondo per ricomporsi «…ti supplico. Se puoi aiutarmi in
qualche modo… in qualunque modo… per favore… aiutami.»
a. Inaspe atamente.
b. Canzone dei Beatles che ha per protagonista una sorta di vigilessa, una meter maid
appunto.
c. La no e i fuochi d’artificio squarciavano il cielo / Un centinaio di razzi urlavano e
cadevano. / Hai affondato l’ascia con tu e le tue forze / Nella mia chitarra e l’hai mandata
all’inferno. / Subito dopo è toccato al mio giradischi. / Li le Richard la doveva pagare. /
Ci hai versato sopra la paraffina, un fiammifero / Acceso e… awop-bop-a-loola-awop-bam-
boo.
d. Spero che il falò in giardino / Continui a bruciare purpureo nei tuoi occhi, / Che continui
a trasformare il mio futuro in carbone, / Che continui ad ardere anche so o la cenere, il
tuo premio di novembre. / «Non sognare più in grande di me. / Tu sei quello che dico io.
/ Farai quello che ti dico di fare.» / Vallo a dire al tuo amico, stella del ma ino.
The Prize a
Nei dieci anni trascorsi alla Bishop di Ely, Jasper non si era mai
fa o nemici degni di questo nome e aveva un unico amico. Il suo
compagno di stanza, Heinz Formaggio, era figlio di scienziati
svizzeri. Tre se imane dopo il primo toc-toc sul campo da cricket,
quando il numero degli «episodi» era diventato a due cifre, Jasper
aveva raccontato a Formaggio del rumore che sentiva. Erano so o
gg
una quercia, durante un’ora buca. Nella mezz’ora in cui gli aveva
parlato, Formaggio era rimasto appoggiato all’albero. Per un po’ non
aveva replicato nulla. Le api esploravano il trifoglio. Le linee
melodiche dei diversi cingue ii si intrecciavano fra loro. Un treno
dire o a nord a raversava la pianura acquitrinosa.
«L’hai raccontato a qualcun altro?» aveva infine chiesto
Formaggio.
«Non è una cosa che mi va di sbandierare troppo.»
«Be’, maledizione, come darti torto.»
Un robusto giardiniere stava spingendo un tosaerba.
«Hai una tua teoria?» aveva chiesto Jasper.
Formaggio aveva aperto la mano come chi lavora a maglia con le
dita. «Di teorie ne avrei qua ro. La Teoria A postula che i toc-toc
siano una tua messinscena per a irare l’a enzione.»
«Non sono una messinscena.»
«Tu sei sincero a un livello morboso, De Zoet. La Teoria A è
quindi da escludere.»
«Bene.»
«La Teoria B postula che a produrre il rumore sia un’entità
sovrannaturale. Potremmo ba ezzare lui, lei o questa cosa con il
nome di ‘Toc-Toc’.»
«È un lui. ‘Entità sovrannaturale’ non suona poi così scientifico.»
«Fantasmi, demoni e angeli sono antiscientifici, eppure, se ci fosse
un sondaggio, scomme o che sarebbero più numerosi quelli che
credono in certe cose di quelli che credono nella teoria della
relatività. Perché sostieni che sia un ‘lui’?»
«Non lo so come faccio a saperlo. Però è un lui. E la Teoria B non
mi entusiasma granché. Far parte della maggioranza non significa
necessariamente essere nel giusto.»
Formaggio aveva annuito. «Per di più, i fantasmi appaiono. Gli
angeli intervengono. I demoni terrorizzano. Non si limitano a
bussare. Un rumore simile puzza di seduta spiritica di quart’ordine.
Scartiamo la Teoria B, per il momento.»
A raverso le finestre aperte dell’aula di musica dall’altra parte del
prato giungeva il canto di trenta ragazzi che intonavano «Sumer is
icumen in…»
«La Teoria C ti piacerà ancora meno. Postula che Toc-Toc sia una
forma di psicosi, senza alcun fondamento reale. In parole povere,
tu i quei toc significano che sei toccato.»
I ragazzi erano usciti dall’Old Palace e si erano precipitati giù per
il pendio.
«Ma sento Toc-Toc con la stessa chiarezza con cui sento te.»
«Giovanna d’Arco sentiva davvero la voce di Dio?»
Una nuvola, passando, aveva ge ato sulla quercia una rete
screziata di luci e ombre.
«Dunque più Toc-Toc sembra vero, più io sono pazzo?»
Formaggio si era tolto gli occhiali per ripulire le lenti. «Esa o.»
«Prima di quella partita di cricket nella mia testa c’ero solo io. Ora
siamo in due. So che Toc-Toc è presente anche quando non bussa.
Sembro folle, me ne rendo conto. E non posso dimostrare di non
esserlo, immagino. Tu però sapresti dimostrare che lo sono?»
Dalla finestra dell’aula di musica arrivava la voce dell’insegnante:
«No, no, così non va!»
«Quale sarebbe la Teoria D?» aveva chiesto Jasper.
«È piu osto una Teoria X. La Teoria X amme e l’ipotesi che Toc-
Toc non sia né una messinscena, né un fantasma, né un episodio
psicotico ma un’incognita, una X.»
«Non è che la Teoria X è solo una maniera raffinata per dire: Non
ho alcuna spiegazione?»
«Di spiegazioni vere e proprie non ne abbiamo. La Teoria X si
propone di trovarle. Tu hai provato a interagire con Toc-Toc?»
«Ogni giorno, durante le preghiere, in un certo senso trasme o
via etere un messaggio: ‘Parlami’, oppure ‘Chi sei?’ o ‘Cosa vuoi?’»
«Nessuna risposta per il momento?»
«Per il momento no.»
Formaggio si era soffiato via una coccinella dal pollice.
«Dobbiamo ragionare in modo scientifico. Non come farebbe un
ragazzino che ha paura di essere squilibrato o posseduto.»
«E in modo scientifico come si ragiona?»
«Registrando la durata, la frequenza e lo schema delle bussate.
Analizzando i dati. Queste visite capitano a casaccio? Ci sono schemi
ricorrenti? Devi fare a enzione. Toc-Toc è collegato
g
indissolubilmente a Ely o a luglio ti seguirà in Zelanda?» Erano
suonate le campane, le colombe tubavano, il tosaerba tosava l’erba.
«Toc-Toc non potrebbe essere un messaggero di qualche tipo? E se
così fosse, qual è il messaggio?»
***
Soffi i alti, bella gente, vestiti che andranno di moda l’anno dopo,
occhi che non se ne fanno scappare una, un corridoio che sfocia in un
salone. Il fumo è denso, la luce delle lampade dorata, gli specchi
potrebbero essere passaggi che danno su altre sale, oppure
semplicemente specchi. Jasper li evita, per quanto gli è possibile.
Diamanti che penzolano, boomerang di risate, champagne
spumeggiante e pareti tartan, sugli scaffali file di bo iglie, i
pe egolezzi si spargono a macchia d’olio, i volti sono famosi ma
hanno angolazioni strampalate, il talento è affamato, il talento è
g p
giudicato, le labbra sono lucide, i denti messi in mostra, i profumi
sono francesi, i bru i ceffi sono del Nord, i novizi ciondolano e
flirtano con chi capita, la vecchiaia corteggia la gioventù, la gioventù
valuta i pro e i contro, i sensi si rimescolano. Lungo i muri ci sono
file di tavolini appartati. Ferma in un angolo, c’è una vera carrozza.
Dal seminterrato palpita fuori la musica. «Resta con me, piccola!»
esclama una voce maschile, «scoreggerai nella seta per tu a la tua
vita.» Jasper si sente come se fosse a spasso in uno zoo senza gabbie.
Dean gli bisbiglia in un orecchio: «Guarda! C’è Michael Caine. E
c’è anche George Best! No, che fai, non guardare!» Jasper guarda. Il
noto a ore ride per quello che gli sta dicendo un uomo barbuto,
bruno e più basso di lui. «Ma chi è George Best?»
«Sei serio? Davvero non sai chi è George Best?»
«Sono serio, non lo so chi è George Best.»
«Uno dei tre più grandi calciatori del pianeta.»
«Bene. Vado a prendere da bere. Tu cosa vuoi?»
Dean si fa serio. «Cosa andrà bene bere in un posto del genere?»
«Mio nonno diceva sempre: ‘Nel dubbio, chiedi un whisky con
ghiaccio’.»
«Perfe o, grazie. Faccio un salto al cesso. Torno fra un a imo.»
Jasper si apre un varco verso il bancone, dove tre voci altissime
cercano di penetrare il baccano indistinto. «Sì, Eppy ha fa o dei
Beatles un patrimonio ambulante», dice Voce Uno, «ma poi ha fallito
con il merchandising. Eppy era solo un venditore di mobili molto,
molto fortunato.»
«E com’è che i ragazzi sono rimasti invischiati con lui?» chiede
Voce Due.
«Be’», risponde Voce Tre, «il mio autista ha sentito dall’autista di
Ringo che erano tu i d’accordo di dargli il benservito quando
tornavano dal fine se imana in Galles con il Maharishi.»
«Ma a Eppy è giunta voce del vile complo o», dice Voce Uno.
«Visto? La sua ‘overdose accidentale’ inizia a sembrare meno
accidentale.»
«Chiacchiere senza fondamento», sostiene Voce Due. «Ha
ingollato troppe pillole, tu o qui. Eppy è sempre stato più vizioso di
quanto sembrasse…»
q
«O la borsa o la vita.» Sfoggiando un sombrero, Brian Jones se ne
sta appartato a un tavolo con due ragazze. «Il tuo whisky o la vita,
per meglio dire. Mi fa piacere che tu sia qui.» Non c’è traccia di
Dean, Jasper gli cede quindi il bicchiere di Kilmagoon. Quando si
rifarà vivo, posso sempre prenderne un altro. «Ti presento la signorina
Cressy…» Brian Jones indica una ragazza longilinea dai riccioli
scuri, «e l’amica del cuore della signorina Cressy…»
«Nicole.» Nicole agita una mano. «Ciao.» Una frange a alla Mary
Quant le nasconde gli occhi per metà. «Ti conosco? I tuoi capelli mi
dicono qualcosa.»
«Jasper era a Top of the Pops proprio stasera», spiega Brian Jones.
«Lo sapevo!» Nicole si premia applaudendosi forte.
«Sono i capelli a fare il personaggio. Come il magico casco d’oro
di Brian.»
«La fonte della mia virilità da dio del sole», concorda lui.
«Se glieli tagliamo», aggiunge Cressy, «nessuno lo distinguerà da
una versione sbiancata di Mr Potato. Tu sei del segno del leone», dice
poi a Jasper.
«Pesci.»
«È proprio questa l’origine della tua sofferenza. Sei un Leone
nello spirito intrappolato nel corpo di un Pesci.»
Jasper immagina che ci stia provando, anche se Cressy sembra
giovane abbastanza da avere scuola il ma ino dopo. «Non mi
lamento», commenta.
«Adesso è il leone a parlare», interviene Nicole. «Gli uomini sono
quasi tu i dei piagnucoloni paurosi. Dovrebbero provare cosa
significa strapparsi i peli nelle parti intime. Ops.» Si preme un dito
sulle labbra. «Mi è scappato. Sono un poche ino brilla. Colpa del
signor Jones.»
Brian Jones brinda con Jasper. «Alla salute del salmone!» Fa un
tiro dalla sigare a di Nicole. Apollo si sta squamando.
«Prima stavi per raccontarmi qualcos’altro sui messaggi nella tua
testa», dice Jasper. «Poi è arrivato Steve Marrio .»
Brian Jones scocca delle occhiate intorno alla faccia di Jasper. «Era
solo stasera? È come se fosse passato molto più tempo.»
«Posso fare un incantesimo che ti protegga», dice Nicole. «Ho
fa o un corso da strega. In una vita precedente, la mia maestra era la
fata Morgana.»
«Signorina Cressy», salta su Brian Jones. «Via le dita dai miei
capezzoli, per favore. C’è un tempo e un luogo per tu o.»
«Non diceva così nel bagno del Flamingo», rivela Cressy a Jasper.
«Ops. Mi è scappato.»
«Signore», dice Brian Jones, «io e il mio amico abbiamo bisogno di
un po’ di privacy. Andate a divertirvi da sole per qualche minuto.»
«Noiosoni», me e il broncio Nicole. Le due abbandonano il
tavolo.
Brian Jones si sporge in avanti. La falda del cappello sfiora la testa
di Jasper. «Io, Keith e Mick ai tempi vivevamo in una topaia a
Chelsea. È lì che sono cominciati. Vanno e vengono. A volte i
messaggi sono amichevoli. Mi dicono: ‘Hai fa o proprio un bel
lavoro, Brian’. Altre volte mi dicono che razza di merda sono. Altre
volte ancora mi spediscono qua e là come un’oca impazzita senza
che ce ne sia bisogno. Come stasera: ‘Lime Grove Studios! Vai vai vai!’
Pensi che sia semplicemente il mio inconscio? Magari mi sono fa o
troppi acidi. Sembro svitato?»
«Non me la sento di giudicare nessuno. Sono stato due anni in
manicomio.»
Brian Jones è un tipo difficile da decifrare. «Può essere che ci
conosciamo già.»
A poca distanza si rovescia un vassoio pieno di bicchieri. Parte un
applauso.
Svelto. «La voce che senti ti è mai sembrata diabolica?»
Brian Jones beve il suo whisky. «Perché me lo chiedi?»
***
1 2 3 4 5
1 - a b c d e
2 - f g h i j
3 - k l m n o
4 - p q r s t
5 - u v w x y
6 - z
v-i-t-a-e-l-i-b-e-r-t-a
Jasper non aveva mai considerato che chi occupava la sua testa
potesse anche esserne prigioniero. Formaggio aveva chiesto: «Come
possiamo darti vita e libertà?»
Toc-Toc si era rimesso all’opera.
d-e-z-o-e-t-d-e-v-e
h-a-s-c-o-n-f-i-n-a-t-o
«Ma sei tu a essere nella sua testa», aveva cercato di fargli notare
Formaggio.
Colpo dopo colpo, le bussate avevano scandito la risposta:
n-e-l-s-a-n-g-u-e
a. Il premio.
b. Mi hai portato nella tua camera oscura / Dove i segreti si me ono a nudo. / A est c’è
Gerusalemme, / E verso ovest La Mecca…
c. Irrequieti.
d. Ci siamo nascosti so o gli alberi dalla pioggia e dal dado; ma so o gli alberi la pioggia
piove il doppio.
Stuff of Life a Lato A
•
Günther Marx era seduto nel suo ufficio, con la vista del Tower
Bridge sullo sfondo, e non proferiva una sillaba. Una pioggia
scrosciante si era abba uta sul Tamigi. So o una tela astra a fa a di
puntolini rossi e gialli era seduto il responsabile della sezione A&R,
Victor French. L’adde o stampa Nigel Horner era invece seduto
accanto a un avanguardistico giradischi Grundig. Qua ro casse Bose
diffondevano a tu o volume Paradise Is the Road to Paradise. Mentre
ascoltavano «Smithereens», l’indice nodoso di Günther, forse, aveva
tamburellato per un a imo. Durante l’assolo di Elf al piano in «Mona
Lisa Sings the Blues» c’era stata un’oscillazione della testa. Alla fine
del lato A, Günther con un cenno aveva comunicato a Nigel Horner
di girare il disco. «Wedding Presence» di Jasper e «Unexpectedly», la
ballata di Elf, si erano avvicendate senza che lui facesse una piega.
Durante «Purple Flames» Dean aveva sudato freddo. Elf si era
inventata un assolo di organo alla Procol Harum, a Dean era piaciuto
molto e lo avevano affidato a Digger perché lo inserisse nella
versione registrata in precedenza. Un assolo simile impediva però al
pezzo di diventare un singolo, il che per Dean significava restringere
il campo delle canzoni destinate a un possibile successo, e i relativi
incassi, ad «Abandon Hope» e «Smithereens». A metà di «The
Prize», che aveva scri o Jasper, la testa di Günther si era messa,
molto lievemente, a fare su e giù a ritmo. A Dean era venuta la
nausea. Al termine di «The Prize» la puntina si era sollevata. Poi il
Grundig si era spento con un clic.
Né Victor French né Nigel Horner si sarebbero arrischiati a
esprimere un’opinione prima del loro signore e padrone. E lui non
aveva parlato finché Dean non aveva perso la pazienza. «Le è
piaciuto o no, Günther? Dobbiamo tirare a indovinare?»
Nigel Horner e Victor French erano trasaliti.
A quel punto Günther aveva congiunto la punta delle dita delle
mani, come a formare la guglia di un campanile. «‘Darkroom’ ha
fa o il suo dovere. La maggior parte dei gruppi si limiterebbe a
seguire una formula già collaudata. Dico bene?»
«Spessissimo», aveva risposto Victor French, «generalmente va
proprio così.»
«Eppure l’unica canzone di questo LP che ricorda ‘Darkroom’»,
Günther si era messo comodo, «è ‘Darkroom’. È come se il disco lo
avessero inciso tre gruppi differenti. Non uno solo.»
«E questo è un bene o un male?» aveva chiesto Dean.
Günther aveva prelevato una scatola di legno da un casse o della
scrivania e l’aveva aperta. Dean si era accorto che Victor French stava
scoccando un’occhiata a Nigel Horner. Günther aveva preso un
sigaro dalla scatola e gli aveva mozzato la testa con una piccola
ghiglio ina. Dean aveva accavallato le gambe. «Paradise Is the Road to
Paradise», aveva annunciato Günther, «sarà nei negozi ed entrerà in
classifica fra i primi quaranta entro Natale. O imo lavoro.»
Dean era stato travolto da un’ondata di sollievo.
«Non ho dubbi che funzionerà molto, molto bene», aveva
commentato Levon.
Günther continuava a mozzare sigari. «Ci bu eremo con tu e le
nostre forze su Paradise e su un nuovo singolo. Radio, concerti,
interviste sui giornali, tu o. E adesso fumiamoci un sigaro.» Ne
aveva passato uno a tu i quanti. «Per me è una piccola tradizione.
Risale ai tempi in cui prestavo servizio sui sommergibili.»
«C’è scri o Cuba su quella scatola?» aveva chiesto Elf.
«Questi sono cascati da una nave», le aveva risposto Günther.
***
Più tardi quella sera, Dean e Kenny erano in a esa al bancone del
Bag o’ Nails. Rod e Stew stavano cercando un tavolo. Dean aveva
fa o scivolare una banconota da cinque sterline in tasca all’amico.
«Sono quelli che mi hai prestato l’anno scorso al 2i’s, non stavo
cercando di palparti.»
«Grazie, Dean. Pensavo te ne fossi dimenticato.»
«Mai. Mi hai salvato il culo, e sono io che ti ringrazio.»
«Ne hai fa a di strada.»
«Già, mi sa che è così.»
«Davvero, anch’io voglio un assaggio di tu o questo. Londra. Che
ne dici di farmi bivaccare sul tuo divano per un po’?»
Dean già se lo immaginava a spacciarsi in giro come il migliore
amico di Dean Moss. L’idea non lo solleticava. «E cosa faresti qui?»
«Quello che hai fa o tu. Prendo una chitarra, scrivo un paio di
canzoni e me o su una band. A Gravesend non ero da bu are come
chitarrista, dopotu o.»
«È una lo a all’ultimo sangue, amico.»
«Mi sembra che a te stia andando abbastanza bene.»
«Okay, ma io la chitarra la suono da anni… e anni.»
«Altrimenti potrei rispolverare il mio diploma alla scuola d’arte e
iniziare a lavorare per Oz, o per l’International Times. O se no mi
me erò a vendere antiquariato a Portobello. Oppure mi piazzo come
fotografo. Tu o quello che mi serve è una base. Quindi, dove
eravamo rimasti… il tuo divano?»
Non sa quello che dice, pensa Dean. «Il fa o è che il divano non è
mio ma del padre di Jasper, e può sba erci fuori da un momento
all’altro. Se fai sul serio, devi cercarti un posto più stabile, ed è con
Rod che dovresti parlare.»
Prima ancora che Kenny si rendesse conto di essere stato mandato
a quel paese, Dean aveva richiamato l’a enzione del barman.
«Qua ro pinte di Smithwick’s!»
«Dean?»
Amy lo sta guardando. Come tu i nell’ufficio di Levon. Nella
stanza accanto squilla il telefono di Bethany: «Moonwhale,
buonasera».
Gli orologi sulla parete scandiscono i minuti sui diversi fusi orari.
«Scusa. Cosa mi stavi chiedendo?»
«Dicevo semplicemente che se hai voglia di raccontarmi un altro
aneddoto di depravazioni varie, di qualunque genere, lo ascolterei
con piacere.»
«Ah, giusto, scusa. No, non ho niente da raccontarti. La sera do
un’occhiata a una rivista di golf, bevo una cioccolata calda e alle
dieci vado a le o. Sono fa o così.»
«Già, ti ci vedo.» Amy sistema le sue cose nella borsa e si alza.
«Bene, credo di essere a posto, quindi… Vi lascio in pace.»
Levon si alza e le apre la porta. «Quando hai de o che dovrebbe
uscire l’articolo?»
«La se imana prossima.»
«E la recensione del disco?» chiede ancora Levon.
«Quella l’ho già scri a.»
Dean sonda l’espressione di Amy in cerca d’indizi.
Il canino di lei s’imprime nel labbro. «Rilassatevi. Se avessi prima
massacrato il disco, perché scomodarmi dopo a scrivere o ocento
parole sul gruppo?»
Dean le stringe la mano. Amy lo guarda dri o negli occhi.
***
Dean fissava la poltrona su cui Jude era stata seduta. C’era ancora
una lieve traccia di calore corporeo. A scatenare tu o quel casino era
stata la lussuria. Dare la caccia alle ragazze era una specie di
dipendenza. Il sesso con le sconosciute non gli dava nessun vero
piacere. Aveva giurato a se stesso che da quel momento in poi
avrebbe tra ato tu e le donne come tra ava Elf. Come persone, in
sintesi. Aveva sentito squillare il telefono. Aveva spento l’acqua della
vasca ed era andato a rispondere.
«Sì, chi parla?»
«Buongiorno, lurido vagabondo.»
«Rod. Scusa per ieri sera, sono… scomparso, diciamo.»
«Non devi scusarti di nulla, Romeo. Hai concluso?»
«Sono un gentiluomo, non lo saprai mai.»
«Un dio del rock mandrillo, questo sei. Un po’ della tua magia,
comunque, se l’è beccata anche Kenny.»
«Davvero?»
«Davvero. L’ultima volta in cui l’ho visto stava andando a
Hammersmith con una pulzella incantatrice. Al ragazzo è andata
bene. Una così l’avrà fa o schizzare fino alle narici. Stew invece ha
dormito da me a Camden su un divano. Se n’è andato poco fa.»
«Tu o bene quello che finisce bene, mi viene da dire.»
«Giusto. E dopo una serata così fantastica mi sento un po’ cafone
a parlare di soldi, però come preferisci pagare, assegno o contanti?»
Il tempo aveva inchiodato di colpo, come un treno. «Parli delle
pillole?»
«Macché, lascia perdere le pillole. Il tuo conto al Bag o’ Nails,
intendo.»
Se n’era ricordato solo in quel momento. «Già, certo. Che
ammonta a…»
«Novantasei sterline e qualche spicciolo.»
Il tempo era uscito dai binari, stavolta il treno aveva avuto un
grave incidente.
Dean non ce le aveva novantasei sterline da parte.
Dean da parte non aveva neanche un pezzo da cinque.
«Dean?»
«Eh? Sono qui, sì.»
q
«Ah, bene. Credevo fosse caduta la linea. Dopo che te ne sei
andato il conto l’ho pagato io. Sai, il Bag o’ Nails non è il bar più
economico di Londra. Il tuo è stato un gesto generoso, la gente però
ha preso subito la palla al balzo. Ho fa o bene a pagare, no?»
«Sì, certo. Grazie.»
«Ma il tuo telefono funziona? È come se ci fossi sì e no.»
Mentre Dean tentava di capire come comunicare a un amico che
non poteva restituirgli i soldi della bevuta, inaspe atamente un
mucchio, i suoi pensieri avevano ripiegato sul ricordo di un amo che
s’infilava nella bocca di un verme: «Fagli uscire l’amo dal culo»,
aveva de o Harry Moffat, «in modo che si veda solo la punta. Ecco
qui, capito?»
a. L’amo, il gancio.
Last Supper a
Sulla parete rosa sopra l’orinatoio c’era una scri a all’altezza degli
occhi. Poteva tra arsi di un’oscenità idiota, o magari di un’oscenità
arguta, ma Griff non aveva l’energia sufficiente per trasformare le
le ere in parole. Aveva dunque lasciato perdere quei geroglifici. Lo
scarico aveva gorgogliato e lui aveva aspirato ciò che restava della
sua Marlboro con un ultimo tiro. Aveva ge ato il mozzicone nella
piccola pozza giallognola, la sigare a aveva emesso un breve sibilo.
Di colpo si era spalancata la porta e all’interno del bagno si erano
riversati i tipici rumori di un venerdì sera al pub. Un a imo dopo
Dean si stava tirando giù la lampo nell’orinatoio accanto, cantando
la colonna sonora di Nata libera. «Bene bene», aveva de o. «Venus e
Mary.»
«Venus e Mary cosa?»
«Dalle fusa che fanno è ovvio che ti vogliono spupazzare il
batacchio.»
«Le groupie sono groupie.»
«Quindi?»
«Quindi vogliono la popstar. Non me.»
«E allora? Il godimento c’è lo stesso. I godimenti, in questo caso.»
Griff pensava a Elf e Bruce.
«Bu ati e basta», aveva de o Dean. «Di cos’hai paura?»
«Delle pia ole e di cinque varietà di scolo, tanto per cominciare.»
«Lo sai cosa si dice a Gravesend dell’igiene femminile?»
«Ho come la sensazione», aveva commentato Griff, «che le
prossime parole che ti usciranno di bocca mi faranno digiunare fino
a Pasqua.»
Dean aveva finto di offendersi. «Il mio non è altro che un sano
consiglio a un vecchio compagno d’armi: ‘Se puzza di pollo,
continua a leccarla. Se puzza di trota, levati dal cazzo’.»
Griff si era sforzato di non ridere. «Coglione.»
«Fanne tesoro.» Dean si era tirato su la lampo. «No, davvero, le
storie a tre non capitano tanto spesso, e la tua vecchia magia ha
bisogno di esercizio. Per questo sei così pallido, silenzioso e hai
l’aria… affamata.»
Due se imane dopo, in piedi con il suo vassoio di fish and chips e
una bo iglia di Coca-Cola, Griff si guarda in giro nell’autogrill Blue
Boar. A popolare quel luogo di no e sono due tribù ben distinte. I
camionisti hanno capelli corti, camicie a quadri, schiene malandate e
pance gonfie. Sono concentrati sulle pagine del Mirror, dello Sporting
Post o sulle mappe stradali. Discutono di percorsi, di chilometri per
litro di carburante, di controlli della velocità e di curve pericolose. La
tribù della gente di spe acolo comprende musicisti e artisti vari,
oltre a manager, roadie e al resto dell’entourage quando incluso. I
capelli degli uomini tendenzialmente sono lunghi fino alle spalle, e
la moda quest’anno prevede motivi cachemire, vellutini, pizzi e
sbuffi. Spe egolano di case discografiche, contra i, sale concerti,
strumenti musicali e di certi promoter che prima di pagare
dichiarano misteriosamente fallimento. Del fratello di Griff, Steve,
nessuna traccia. Griff non si preoccupa. È una serata gelida e il
traffico scorre più lento del solito. Il tavolo dei Beatles è libero, si
dirige lì con il vassoio per accaparrarselo. Chi è in giro per concerti
in Inghilterra, nessuno escluso, fa rifornimento nell’area di sosta Blue
Boar di Watford Gap, confine ufficioso fra il Nord e il Sud
dell’Inghilterra che, malgrado il nome, non si trova dalle parti di
Watford. Quando Jimi Hendrix era venuto a Londra per la prima
volta, aveva sentito citare il Blue Boar talmente spesso da credere che
fosse un locale alla moda di Knightsbridge o di Soho.
Griff sceglie di sedersi dove di solito si sedeva Ringo, da
quell’angolazione può tenere d’occhio la Belva parcheggiata accanto
alla tavola calda. Difficile che un fratello musicista sia messo così
male da rompere il finestrino di un furgone e rubare un
amplificatore, ma preferisce non darlo per scontato. Si me e
comodo. Dopo aver guidato fino a Birmingham, aver suonato alla
Carlton Ballroom prima dei Move e aver di nuovo guidato al ritorno,
non vede l’ora di mangiare. Per i canoni di Hull il pesce che servono
lì non è fresco, ma è troppo affamato per dare peso alla cosa. Griff
prende la bo iglie a appiccicosa, irrora a profusione d’aceto e si
avventa sul trancio di merluzzo. Arriva Jasper, si siede, nel suo
pia o ci sono uova, fagioli, pomodori grigliati e pane tostato.
«Qui dentro mi piace, è accogliente. Questo è il tavolo dei
Beatles?»
«Già. E tu sei seduto nel posto di George.»
Jasper ritaglia un quadratino perfe o in una fe a di pane tostato,
a cui sovrappone un carico di fagioli stufati. «Tu sei seduto nel posto
di Ringo?»
«Non ti sfugge nulla, Zooto.»
Il chitarrista mastica lentamente. «‘The Hook’ è venuta bene.»
«È la canzone migliore di Dean. Non dirgli che te l’ho de o.»
Subito dopo arriva Dean, con un panino al bacon e una
montagnola di patate fri e. Si siede nel posto di McCartney. «Avete
visto chi c’è lì nell’angolo?»
Griff segue il cenno del mento del bassista. «Sono quei cazzo di
Herman’s Hermits. Dispensatori di orecchiabili motive i all’acqua di
rose, così zuccherosi da far cascare i denti.»
«Grazie a quei motive i all’acqua di rose se ne andranno in tour
negli Stati Uniti. Hanno venti date», dice Dean. «Secondo voi
potremmo fargli da spalla?»
Elf si siede nel posto di John Lennon. Sul vassoio ha un tortino. «I
miei occhie i hanno appena interce ato qualcosa che inizia per
HH.»
«Stavo appunto dicendo…» commenta Dean, «non sarebbe
grandioso se fossimo noi ad aprire i loro concerti in America?»
Elf si infila un tovagliolino di carta nella camice a. «Preferirei che
in America ci arrivassimo con le nostre gambe, anziché sfru are un
passaggio degli Herman’s Hermits.»
«Alle nostre gambe toccherà fare un bel po’ di strada per
a raversare l’Atlantico», commenta Dean. Affonda torvo la forche a
in una patatina. Ovverosia, traduce Griff fra sé e sé, ci vuole più di
una hit al sedicesimo posto in classifica e di un fiasco che si è
piazzato al se antacinquesimo.
Dopo il concerto a Birmingham, Levon aveva comunicato al
gruppo che il loro secondo singolo era uscito dalla Top 100, e Dean si
era mostrato insolitamente silenzioso nel lungo viaggio di ritorno.
«Non siamo abbastanza neutri per funzionare come
apriconcerto», osserva Jasper. «I gruppi di punta vogliono qualcuno
p p g pp p g q
che li faccia risaltare.»
«È andata così anche stasera», dice Elf. «Il manager dei Move
prima di iniziare era tu o un ‘Fate un grande concerto’ e così via, ma
dopo che abbiamo suonato ‘The Prize’ ha de o a Levon: ‘Falli
sme ere, dovevano solo scaldare l’ambiente, dannazione’.»
«Archie Kinnock una volta ha ingaggiato gli Yardbirds per aprire
un suo tour nel Nord, dodici serate», dice Griff. «Lo sapete quanto
sono durati? Tre date. Tu e le volte gli hanno rubato la scena alla
grande. Ad Archie non è andata giù.»
Griff immerge una grossa patatina nel purè di piselli.
«Cambiando discorso, non è stato pazzesco quando Elf stasera, per
invitare il pubblico a comprare, ha de o scherzando: ‘Se me ete il
biglie o davanti a una fiammella apparirà la scri a È in vendita il
nostro disco’, e quel coglione l’ha fa o davvero e il suo biglie o ha
preso fuoco?»
«È una trovata che ho rubato a Peggy Seeger.» Elf spruzza il
ketchup sulle patatine di contorno. «A quanto pare ‘The Hook’ ha
fa o il bo o anche stasera, Dean.»
Il bassista guarda mogio il suo panino al bacon. «A differenza di
‘Abandon Hope’, che è stata un disastro. La Ilex non l’ha spinta
abbastanza. Questo è il problema. Avrebbero fa o meglio a piazzare
un po’ di pubblicità su New Musical Express e Melody Maker.»
Griff lancia un’occhiata a Elf e lei gliela restituisce. «Molte grandi
canzoni vendono da schifo, signor muso lungo», dice Griff a Dean.
«Molte canzoni schifose invece vendono come il pane. Guarda gli
Herman’s Termites. Per il momento, comunque, la Ilex non ci
abbandonerà.»
«Griff ha ragione», interviene Elf. «Non è la fine del…»
«È una catastrofe, cazzo.» Dean spinge via il pia o.
«Merda!» Griff perde la pazienza. «Una carestia in Cina, un
terremoto nelle Filippine, l’Hull City che perde contro il Leeds:
questi sono disastri, porca troia. Fa ene una ragione, oppure molla
tu o e trovati un lavoro in un bar.»
Dean sbuffa, ringhia. «La prossima volta in cui cercherò di
proporre qualcosa alla Ilex, se ci sarà una prossima volta, mi
risponderanno semplicemente: Non pensarci nemmeno; ti ricordi di
quando credevi che ‘Abandon Hope’ sarebbe entrata nella Top 10?»
In quel momento il melenso so ofondo musicale del Blue Boar è
«Astro del ciel».
«Se avessimo fa o uscire ‘Mona Lisa’», dice Dean, «a Natale
avremmo avuto una canzone fra le prime dieci in classifica.»
«Questo non possiamo saperlo», dichiara Elf.
«Amy la pensa così. E anche tu.»
«L’autocommiserazione non ti si addice per nulla, Dean.»
«Ehi.» Jasper mostra il suo orologio. «È ufficialmente la vigilia di
Natale.»
«Dai, via, un bacio e facciamo la pace», dice Griff. «Altrimenti
finirete nella lista dei bambini ca ivi.»
«Lui non lo bacio», s’inalbera Elf. «Piu osto bacio…»
«Peter Pope?» la provoca Dean.
La rabbia di Elf si smorza un po’. «Mmm.»
«Scusa», dice Dean.
«È colpa del dado», interviene Elf.
«Un brindisi alla speranza, che non va mai abbandonata. Ad
‘Abandon Hope’.» Jasper alza il bicchiere di Tizer. Alle volte lascia
trapelare un debole per i doppi sensi.
«E un brindisi agli Utopia Avenue», dice Dean. «Presenti in tu i i
migliori negozi di dischi, fra la T di Shirley Temple e la V di Gene
Vincent.»
Griff si accende una sigare a. «Abbiamo bu ato giù nove canzoni
in due se imane. Nella maggior parte degli LP c’è anche della
merda, sono costre i a me ercela per farcire il panino. Non è il caso
del nostro.»
«Tu o quello di cui abbiamo bisogno», dice Dean, «è che un
milione di persone siano d’accordo con te e…» A distrarlo è
qualcuno alle spalle di Griff. «Marcus?»
Griff si volta e vede un tizio con un caftano rosa, occhiali turchesi,
un mantello nero sulle spalle e una fascia con le rune legata alla
testa.
«Dean! Mi fa piacere vederti qui.»
«Se non lo sai questo è il Blue Boar. Elf, Griff, Jasper, lui è Marcus
Daly. Il chitarrista dei Ba leship Potemkin.»
«Il Marcus», chiede candidamente Jasper, «che ha cacciato Dean
perché trovava che la canzone sul presidente Mao fosse una
gonorrea sonica?»
Marcus non sembra dargli peso. «Ne è passata di acqua so o i
ponti. Dean dovrebbe ringraziarmi, in realtà. Top of the Pops? Un
disco? No, dico… mica cazzi.»
Dean soffoca un ru o. «E questo tuo nuovo look da stregone?
Non credo sia il massimo per i picche i fuori dalle fabbriche.»
Marcus si gra a il collo. «Chris è diventato un contabile, Paul ha
seguito una in India, quindi io e Tom abbiamo formato i Ba leship
Aquarius.»
Dean lo fissa. «E che ne è stato dell’idea di usare il pop capitalista
per convertire il proletariato al marxismo?»
«Una sera, durante un concerto a Dartford, è scoppiato un
ba ibecco mentre suonavamo ‘Workers United’. È degenerato in una
rissa. Abbiamo dovuto abbandonare il palco. Volavano sedie, voglio
dire. Denti. Allora sono arrivati gli sbirri che hanno arrestato o o
persone, e altre dieci o giù di lì sono finite in ospedale. Quando
siamo tornati a recuperare l’a rezzatura, ci avevano fo uto tu o.
Non restava che tornarcene a casa. Questo però non era possibile,
perché ci avevano preso anche il furgone. È in quel momento che me
ne sono reso conto: la vera rivoluzione, quella che la gente invoca a
gran voce, non è politica ma spirituale.»
«Quindi fammi capire», dice Griff, «hai sba uto fuori Dean
perché non si è prostrato davanti alla tua bandiera rossa, e poi su
quella stessa bandiera tu ci hai scarabocchiato delle rune cosmiche?»
«Tu o avviene per una precisa ragione», dice Marcus. «A
Dartford a parlarmi è stato il cosmo. Ho scri o una manciata di
canzoni a tema mistico, ho aggiornato la nostra immagine…» mostra
il mantello, «e, udite udite, ogni volta che suoniamo in giro
becchiamo cinquanta sterline.»
Dean strabuzza gli occhi. «Cinquanta o cinque?»
«Cinquanta. Cinque-zero. Abbiamo un manager adesso. È in
conta o con la Decca. È tu a una questione di flusso energetico. Con
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i Potemkin era bloccato. Con gli Aquarius scorre. Venite a sentirci al
Middle Earth a Capodanno. La nostra musica si farà capire molto
meglio di me. Devo scappare, Buon Natale e tu o il resto. È stato un
piacere conoscervi, tu i quanti… Ta-da.» Marcus Daly scompare.
«Sembri so o shock», dice Griff a Dean.
«Una volta pretendeva che lo chiamassimo ‘compagno’.»
«Questo decennio sta diventando davvero folle», dice Elf.
«È un bene o un male?» domanda Jasper.
***
Un cartello con la scri a HULL 102 brilla, si fa più grande ed è già alle
spalle.
«La parola ‘Hull’ mi è sempre piaciuta perché è brevissima», dice
Griff.
«Capisco.»
«Ha lo stesso numero di le ere di home. Inizia anche con la H.»
«Occhio, anche hell inizia con la H.»
«Già.»
«A sud ci sono un sacco di posti che iniziano con la B. Brighton,
Bristol, Bournemouth, Bedford. Sono infidi. Si mischiano tu i in un
unico grande ‘Brigstolmouthford’.»
«Gli altri del gruppo lo sanno?»
«Elf l’ha intuito, ma è troppo educata per chiedermi qualcosa.
Quando guido, lei legge i cartelli ad alta voce, come se parlasse fra sé
e sé. Dean non si è accorto di nulla. Dubito anche solo che abbia mai
sentito parlare di dislessia. Jasper… boh, vallo a capire.»
«Jasper è un po’…» Steve pensa alla parola giusta. «Tocco?»
«È un tipo strano. Quando Archie Kinnock l’ha preso nei Blues
Cadillac ho pensato: Ha la puzza so o il naso. E quando poi l’ho
conosciuto meglio mi sono de o: Mi sa che tu i i ricconi sono così.
Jasper però non è un riccone. Suo padre è un milionario, ma lui si
barcamena con i qua ro soldi che gli ha lasciato il nonno. Anche lui
ha bisogno degli Utopia Avenue, deve lavorare o è fo uto. Ora come
ora di Jasper penso che sì, è un po’ suonato, ma chi non lo è in un
modo o nell’altro? Vivi e lascia vivere, giusto? Chi mi manda fuori di
testa è Dean. È un cazzo di yo-yo umano! Metà del tempo si crede un
dono di Dio, l’altra metà ha i nervi a fior di pelle e, di sicuro, non è
un dono di Dio. D’accordo, la madre è morta quando era solo un
ragazzino, il padre lo menava, però vaffanculo. Una storia
strappalacrime ce l’abbiamo tu i, ma non tu i ci comportiamo come
dei piantagrane del cazzo.»
«È dura come con Archie Kinnock?» chiede Steve.
«No, neanche lontanamente. A confronto di Archie Kinnock,
Dean è una passeggiata.»
La luna si staglia nitida sopra una pallida collina.
Steve alza il riscaldamento. «E di Elf che mi dici?»
***
***
Elf aveva scosso la testa approvando. «Fantastico.»
Dalle casse si era sentita la voce di Digger: «Fa o, ce l’abbiamo».
Griff si era levato le cuffie. «Ora si può sapere a che ti serve? Stai
lavorando su una nuova canzone o…»
«Direi piu osto che stiamo lavorando su una nuova canzone. Se ci
farò qualcosa, anche tu sarai accreditato come autore.»
Griff aveva immaginato i loro nomi fra parentesi al centro del
disco: (Holloway-Griffin). La porta dello studio si era aperta di colpo
e Dean e Jasper si erano precipitati dentro. «Vicino a To enham
Court Road la metropolitana è rimasta bloccata nel tunnel. Un
poveraccio che si è bu ato so o. Cos’avete fa o nel fra empo? Vi
stavate girando i pollici?»
a. Ultima cena.
Builders a
Mi picchiarono, mi cacciarono,
Mi diedero in pasto alle loro fiamme divine.
«Pervertito», «mostro», «deviato»
Furono solo alcuni dei nomi più gentili.
Conformati, conformati, o sarai bandito.
Il dogma è potente
Costruire una tua Utopia è
Un reato grave.
Levon beve una galassia. Il pianista è alle prese con «I’ve Got You
Under My Skin». Lucian gli offre un Pisco Sour. Vuole farmi ubriacare
anche lui? Si sente confuso. È un osservatore etero che si abbassa a
frequentare finocchi… Francis gli dice due parole all’orecchio: «Il
cognato della mia gallerista ha aperto un locale in cui suonano,
nascosto dietro Regent Street. Hanno organizzato una cena
all’Harkaway’s. Ti andrebbe di aggregarti come mio ospite? Magari
sarà una noia terrificante, ma posso prome erti i fru i di mare più
freschi di tu a Londra». Levon non ricorda più che cosa gli ha
p g
risposto, adesso però sta percorrendo Bateman Street con Francis
l’artista e Jerome il fantasista. Un vento ghiacciato lo molesta nei
punti del corpo più sensibili, e questo lo fa tornare un filo più lucido.
Francis si ferma all’incrocio tra la Bateman e Dean Street. «Ho voglia
di fare una puntata al casinò, sapete? Facciamo un salto da
Penrose’s.»
Nella nuda oscurità parlano appena. Entrambi sono cauti nel dare
de agli. In cima a quella magica scalinata ci a ende la cruda realtà, e la
prudenza non è mai troppa. Il Satiro è nato a Dublino, si chiama Colm e
si definisce un «nero irlandese», un discendente dei marinai spagnoli
dell’Invencible Armada alla deriva. «Anche se questa è solo una
storiella buona per coprire un’infinità di peccati», chiarisce. Levon
gli racconta che lavora nell’industria discografica. «Io sono un
aggiustacavi», ma notando che Levon non ha capito, Colm aggiunge:
«Un ele ricista». Poi gli chiede: «È vero che quel tuo vecchio zie o
ciccione è uno dei più grandi pi ori di questo secolo?» Levon
replica: «Il più grande in assoluto, a mio parere». Colm gli domanda
se sta con lui. «No», risponde Levon, «abbiamo solo fa o un giro
insieme.» Estrae una biro dalla giacca e scrive il suo numero sul
palmo sinistro di Colm. «Così puoi sciacquarmi via, oppure
richiamarmi.» Colm ha una croce tatuata all’altezza del cuore. Con
estrema delicatezza, Levon la succhia. Dopodiché Colm gli chiede se
Levon sia il suo vero nome. «Sì, e Colm?» Anche Colm è il suo vero
nome. Quando Levon si risveglia, il Satiro non c’è più. Controlla
scrupolosamente che portafoglio, penna e orologio siano ancora al
loro posto nella giacca e nei pantaloni. Ogni cosa è al suo posto.
a. Costru ori.
b. Il riferimento è a una parabola del Vangelo: la parabola di Lazzaro e del ricco Epulone.
(N.d.R.)
Prove It a
•
Tre mesi più tardi, sul palco del McGoo’s, Elf affronta con voce da
soprano l’ultimo «I’ll prove it!» della prima strofa, marcando il più
possibile la T di «it». Jasper tira il Sol, come una moto che risale
rombando la parete scoscesa di una cava. Poi guarda Elf, che rivolge
un cenno d’intesa a Griff mentre lui dà dei colpe i leggeri sul
charleston: five, six, seven, eight… Strofa successiva. Elf guarda la
Regina dei Vichinghi e le Se e Sorelle. La fissano tu e con gli occhi
sgranati, fumano, muovono la testa a ritmo, la canzone le ha
ca urate alla grande. La voce su chi e che cosa l’abbia ispirata
dev’essere arrivata fino in Scozia, considera Elf… Sempre che la parola
giusta sia «ispirata». La se imana prima perfino Felix Finch ha parlato
nella sua rubrica sul Daily Post dei pe egolezzi che circolano intorno
alla canzone di Shandy Fontayne in ve a alle classifiche. Levon si
era complimentato con il gruppo per essersi guadagnato il primo
spazio su un quotidiano vero e proprio, e senza che lui avesse mosso
un dito. Sempre che a raccontarlo a Finch non sia stato proprio
Levon, viene in mente a Elf solo in quel momento, ma si rifiuta di
crederlo. Chiunque glielo avesse rivelato, comunque, le colonne
dedicate all’argomento erano raddoppiate il giorno seguente per via
della secca smentita da parte dei legali di Shandy Fontayne e della
le era alla Moonwhale. Prome evano di distruggerli in tribunale nel
caso in cui la calunnia diffusa pubblicamente ai danni di Bruce
Fletcher fosse riconducibile a Elf Holloway. Ma non era ancora finita,
senza dubbio. Il Melody Maker e il New Musical Express stavano
rimestando nel torbido. La se imana dopo, al loro approdo nelle
edicole, la storia sarebbe diventata rovente. A chiunque le avesse
fa o domande Elf era tenuta a rispondere: «Il nostro avvocato mi ha
suggerito di non rilasciare commenti». Quello stesso avvocato, Ted
Silver, non le aveva però vietato di cantare qualcosa in merito alla
faccenda. Elf entra con un glissando nella seconda strofa e con
affilato sarcasmo canta:
He’d write a hit that’d prove ’em all wrong
And he’d run at the front of the pack. But
He hunted a hit and no hit came near.
He stared at the page but the page stared back.
‘I’ll prove it’, he swore, ‘I’ve the Midas touch –
I’ll prove it, I’ll prove it, I’ll prove it’. c
Dopo essere corsa fuori dai Fungus Hut, Elf aveva raggiunto
Bruce davanti al Gioconda. Erano entrati, si erano seduti in fondo alla
sala e avevano ordinato due panini al bacon. Alla radio c’era «Hole
in My Shoe» dei Traffic. «Poco fa Dean e Griff si sono comportati
come delle merde. Eppure tu sei così calmo. Sei… grande, non c’è
che dire.»
Bruce aveva girato lo zucchero nel caffè. «Come ha de o il buon
Dio: ‘Chi non si è mai comportato come una merda scagli la prima
pietra’. E poi…» Aveva assunto un’espressione colpevole. «Su una
cosa avevano ragione. Parigi. Me ne vergogno.»
Elf si era baciata il dito indice, lo aveva allungato dall’altra parte
del tavolino e glielo aveva piazzato in mezzo alle sopracciglia. «È
acqua passata.»
Non ti merito, sembrava volerle dire il sorriso di Bruce. «Il fa o è
che, secondo, me Fletcher & Holloway rendono gli Utopia Avenue
un po’ insicuri. ‘Darkroom’ nel suo piccolo è stata una hit, ma cosa
sarebbe senza le tonalità e le armonie di Elf Holloway? Una ‘See
Emily Play’ di quart’ordine. Cos’hanno fa o quelli che si possa
paragonare a Shepherd’s Crook? Griff ha suonato la ba eria in due LP
minori di Archie Kinnock. Dean nel suo curriculum ha i Ba leship
Potemkin che hanno registrato appena due demo, e Jasper ha
piazzato ‘Darkroom’. Per quanto riguarda Levon, certo, come
manager non è male, ma aver fa o da galoppino a Mickie Most per
qualche mese non significa saperci fare al timone. Vorrei solo che
fossero abbastanza uomini da dire: ‘Bruce sa delle cose che noi non
sappiamo. Impariamo qualcosa da lui’. Però la gente con cui hai a
che fare è questa. Idioti da competizione.»
A Elf avrebbe fa o piacere che la sua famiglia conoscesse questa
versione migliore di Bruce, ma dalla casa di Chislehurst Road non
g
erano arrivati inviti. Bea era passata ogni tanto da lei dopo le lezioni
di recitazione, e a Bruce aveva fa o piacere. Diceva di essere
disposto ad aspe are, che avrebbe dimostrato con le proprie azioni
quanto fosse maturato negli ultimi dodici mesi.
La signora Biggs era arrivata con i panini al bacon. Bruce aveva
affondato i denti nel suo facendo colare fuori il ketchup. «Ci voleva
proprio.» Elf gli aveva ripulito il mento con un tovagliolino di
carta… e una fi a all’addome le aveva comunicato che stava per
arrivarle il ciclo. Non che fosse in ritardo, ma si era sentita
comunque sollevata. Poi si era chiesta che aspe o avrebbe avuto una
co-creazione metà-Fletcher metà-Holloway, se ipoteticamente lei e
Bruce avessero mai avuto un figlio.
«Ho finito ‘Whirlpool in My Heart’», le aveva de o lui. «Modestia
a parte, non mi sembra per niente male.»
«Cos’hai deciso poi per il ritornello?»
«Era come dicevi tu. È meglio più lento, grazie.»
«Non c’è davvero ma davvero di che. Quello che stai facendo è
grande.»
«Sei tu a ispirarmi, Koala. Tu, la nostra ‘Any Way the Wind Blows’
e i signori Moss, Griffin e De Zoet. Anche se i tuoi amici non mi
apprezzano granché, li ammiro per come hanno scosso l’albero
musicale di Soho in a esa che cascasse qualche fru o. I migliori
maestri non sempre sono i tuoi amici. A volte sono i tuoi sbagli.»
«Questa frase scrivila», gli aveva de o convinta Elf, «o non sarà
mai esistita.»
Bruce aveva ubbidito scrivendo con una biro su un tovagliolino.
«Le cose non sarebbero più semplici se me essi insieme un
gruppo?» aveva chiesto lei.
Bruce aveva fa o schioccare la lingua, poi con la testa aveva fa o
cenno di no. «Ne abbiamo già parlato, dolcezza. Se anch’io fossi in
giro spesso come voi qua ro, finiremmo per separarci. Non voglio
perderti una seconda volta. Non ci penso nemmeno. E poi considera
quanti grandi solisti non scrivono i pezzi che cantano perché non ce
la fanno, o perché preferiscono non farlo. Elvis. Sinatra. Tom Jones.
Cilla. Ce ne sono a bizzeffe, davvero. Cliff Richard è un altro. Io lo so
fare. In casa ho un pianoforte e ho anche già dei conta i: Freddy
p g y
Duke, Howie Stoker, Lionel Bart. Guarda dove ti ha portata ‘Any
Way the Wind Blows’. Tre o qua ro pezzi come quello in giro, e
finalmente potrò iniziare a proge are il nostro futuro insieme.
Quindi: autore di canzoni su commissione. Eccola la scala che mi
porterà alle stelle, e non ho intenzione di mollarla.»
Allungandosi sul tavolo, Elf aveva baciato il suo ragazzo.
«Non ti merito, Koala», le aveva de o dopo essersi succhiato le
dita.
«Farò di tu o per aiutarti, Canguro. Quello che è mio è tuo.»
***
***
a. Dimostralo.
b. «Sono gelosi di me!» urlò lui prima di andarsene. / Lei era il suo bura ino, quindi lo
seguì fuori. / Lui era Romeo, lei solo un personaggio di contorno. / Temo che quella scena
non avesse nulla di dignitoso. / «Lo dimostrerò», gridava lei, «dimostrerò quanto ti amo.
/ Lo dimostrerò! Lo dimostrerò! Lo dimostrerò.»
c. Lui doveva scrivere una canzone di successo per dimostrare a tu i che sbagliavano / E
che sarebbe arrivato in ve a alle classifiche. Però / Inseguiva una canzone di successo e la
canzone di successo non si lasciava raggiungere. / Fissava la pagina bianca, ma la pagina
lo fissava di rimando. / «Lo dimostrerò», giurava lui, «ho il tocco di re Mida io. / Lo
dimostrerò, lo dimostrerò, lo dimostrerò.»
d. Mentre Soho era immersa nei sogni lei suonava il piano, / Prima erano venuti gli accordi,
poi di soppia o le parole. / Lui era sdraiato nel suo le o e quello che sentiva gli piaceva –
/ «Quello che appartiene a lei appartiene a me», – era stata lei a dirlo –, «quindi / Lo
prenderò, lo ada erò, lo renderò più bello, / E lo migliorerò, lo migliorerò, lo
migliorerò.»
e. Un mercoledì ma ina gli stava stirando le camicie, / Quando sentì alla radio la canzone
che lei stessa aveva composto. / «Come hai potuto?» gli urlò. «Da i una calmata», disse
lui, / «Tu o quello che sai te l’ho insegnato io… e / Dimostralo che è tua, fai pure se ci
riesci. / Dimostralo, dimostralo in tribunale, dimostralo.»
f. Un ladro per fare il suo mestiere ha bisogno di uno sciocco, / Uno sciocco credulone che si
fiderebbe di chiunque; / Un amante per una grave mala ia ha bisogno di una cura. / Un
cantante ha bisogno di un avvocato e di una pistola. / «Dimostrerò che il crimine paga»,
disse Romeo. «Lo farò, / Lo dimostrerò, lo dimostrerò.» E lo sta ancora dimostrando.
Stuff of Life Lato B
•
Finito il concerto, Jasper perde gli altri membri del gruppo in una
sarabanda di volti che sembrano conoscerlo. Sam Verwey è uno dei
pochi a cui sappia dare un nome. «Allora, De Zoet. Hai lasciato
Amsterdam che non eri nessuno e ritorni che sei una rockstar a tu i
gli effe i. I miei allievi ti vedono come un dio. Quando gli dico che
suonavamo per strada insieme in piazza Dam pensano che li prenda
per il culo, quindi adesso faccio una foto di noi due insieme…
Sorridi!»
Il flash esplode negli occhi e nel cervello di Jasper.
«Un trionfo!» esclama un tale sfoderando un sorrisone.
«Un’incoronazione! Un’apoteosi!»
«Hai bisogno di qualcosa?» domanda un muso da rospo con il
completo gessato. «Funghi, fumo, benzedrina, dexedrina? Dimmi un
nome e ci penso io.»
Sorrisone si è trasformato in Risatona. «Perché diavolo sei stato
via così tanto? Amsterdam ha bisogno di te, amico…»
«A quest’ora, al quartier generale dei De Zoet staranno cagando
vomito freddo», rileva la regina dei Paesi Bassi in persona, che non
può però essere davvero lì, su quella balconata, e per di più con una
canna in bocca.
«Mi chiamo Thijs Ogtrot, scrivo per Hitweek», s’introme e una
faccia da becchino. «È vero che hai passato due anni nel manicomio
di Rijksdorp?»
Dalla balconata, Jasper individua il gestore del Paradiso. Nel bar
so ostante sta parlando con Levon ed Elf. Come posso raggiungerli?
«La domanda perciò è», gli sta chiedendo un compagnone con
una pacca su una spalla, «chi ti rappresenta in questo momento è in
grado di farti fare il salto di categoria?»
Jasper infila la scala sbagliata. «Il suo unico amico era la chitarra»,
spiega un docente del conservatorio. «Il pezzo che aveva presentato
il giorno del diploma s’intitolava ‘Who Shall I Say Is Calling?’. Era
come se il suono piovesse goccia a goccia…»
«Coca, erba, anfetamine di ogni ordine e grado», mormora Mister
Rospo all’orecchio di Jasper. «Soddisfazione garantita. L’hai mai
provato un acido?»
«O altrimenti staranno vomitando merda fredda, no?» chiede
Giuliana dei Paesi Bassi. «Tu, lo scheletro nell’armadio di famiglia,
invitato in televisione a Fenklup! Impagabile!»
«Io e te lunedì abbiamo fa o l’amore», gli dice una che si è dipinta
la faccia come un test di Rorschach. «Nel piano astrale. Sì, ero
proprio io.»
Jasper è nel bagno degli uomini, si sta lavando le mani. «Magari lo
hai fa o con Eric Clapton», suggerisce alla signorina Rorschach.
«Ora che sei famoso», inizia a dire Sorrisone una volta al bar,
«all’improvviso sbucheranno parassiti ovunque…»
«Thijs Ogtrot dell’Hitweek», si ripresenta Faccia da Becchino. «Hai
scri o ‘Darkroom’ dopo esserti fa o un acido con John Lennon
mentre lui scriveva ‘Lucy in the Sky with Diamonds’. Vero o falso?»
«…ti chiederanno favori o denaro», prosegue Sorrisone. «E non ti
basterà certo un semplice ‘Rot op!’, sparisci, per sbarazzartene.»
«La domanda è», continua Compagnone con un’altra pacca sulla
spalla, «fino a che punto un solista geniale come Jasper de Zoet
riesce a esprimersi entro i confini angusti di una band?»
«Chi è che ti ha piazzato la merce?» L’espressione di Mister Rospo
si è fa a tesa. Rabbia. «Non sarà mica stato uno stronze o di belga
tarchiato con un ciuffe o alla Tintin?»
Il docente gli passa una canna. «Allora, il re ore vorrebbe che
tenessi una lezione per l’anniversario della fondazione…»
«Mondo infame!» esclama Dean barcollando. «Al cesso c’erano
due uomini che limonavano avvinghiati! Brrrr…»
«…su un argomento a tua scelta», dice il docente. «‘Arte, amore e
morte’, ‘Notizie di Soho’, ‘Controcultura’… Non puoi dire di no.»
«Thijs Ogtrot dell’Hitweek», interviene di nuovo Faccia da
Becchino. «Tuo padre vuole tagliarti fuori dal testamento di tuo
nonno. Vero o falso?»
«E insomma ho bisogno solo di cinquecento fiorini per pagare lo
studio di registrazione», spiega Sorrisone. «In contanti è meglio.»
Jasper nota che la signorina Rorschach ha una mano infilata nella
camicia di Griff. «Lunedì noi due abbiamo fa o l’amore nel piano
astrale, ma stasera…» gli bisbiglia in un orecchio, e con la mano si fa
largo verso il basso.
«Investi i soldi che ti darà la produzione per le vendite future»,
dice Sorrisone. «Ne verranno fuori dei bei profi i, te lo garantisco.
Cos’hai da perdere?»
***
Il do or Bell di Ely non era così certo che a Jasper avrebbe giovato
una traversata mari ima di dodici ore in preda a un esaurimento
nervoso e con il solo Formaggio a vegliare su di lui, ma il preside era
gg g p
stato irremovibile. Il preside era stato cade o nell’esercito a sedici
anni, e a suo giudizio qualche vigorosa ventata di acqua salmastra
poteva essere la medicina ada a al giovane De Zoet. A causa della
campagna condo a da Toc-Toc contro la sua salute mentale, Jasper
era troppo malconcio per esprimere una sua opinione. Suo nonno
aveva ricevuto diversi telegrammi, ad a enderlo a Hoek van
Holland ci sarebbe stato lui.
Tempo dopo, Jasper aveva realizzato che le preoccupazioni della
scuola miravano sopra u o ad allontanarlo il più possibile da
Swa am House prima che perdesse la bussola, e a trasferirlo
possibilmente in un altro Paese. A Harwich lo avrebbero
accompagnato in macchina. Il do or Bell aveva affidato a Formaggio
alcune pillole da dare all’amico se le sue condizioni fossero
peggiorate. Le condizioni di Jasper erano peggiorate, quando l’auto
dire a a Harwich non era ancora a metà strada. I toc-toc-toc-toc
stavano per fondersi in un unico colpo massiccio. In effe i, le pillole
alleviavano il rumore almeno un po’, ma non fermavano l’assalto.
Jasper e Formaggio si erano imbarcati sull’Arnhem. Il mare era
agitato. I ragazzi avevano due posti a sedere in seconda classe, e
Formaggio abbandonava l’amico solo per spostarsi sul ponte e
ge are al di là del parape o l’ennesimo sacche o pieno di vomito.
Impeccabili nelle loro uniformi, alcuni militari dire i nella Germania
Est all’inizio non facevano che ridere vedendo Formaggio che
continuava a vomitare e la pessima cera di Jasper, ma a un certo
punto erano stati mossi a pietà. «Fatevi un sorso di questo, poveri
bastardi.» Una borraccia dell’esercito, tè e gin per rime ere in sesto
lo stomaco. L’Arnhem aveva a raccato so o un cielo no urno. Subito
dopo aver augurato loro buona fortuna, i soldati erano stati
inghio iti dal mondo. Grootvader Wim era lì che li aspe ava nella sua
Jaguar, vicino all’ufficio dove controllavano i passaporti dei nuovi
arrivati. «Mi ricorderò della tua gentilezza», aveva de o in inglese a
Formaggio. «Jasper, ti porto dire amente in una clinica nei dintorni
di Wassenaar. Andrà tu o bene. Sei in Olanda, adesso.»
***
La finestra con le sbarre in cima alla parete non deve essere alta
più di trenta centimetri e larga più di quindici. Una testa forse
potrebbe passarci, ma non un corpo intero, considera Dean. Una
lama di luce polverosa lambisce il le o arrugginito e il materasso
sporco. Nell’angolo, da una turca di ceramica imbra ata di merda
proviene un odore fetido. A fare da pavimento c’è solo cemento
umido. I muri disseminati di scri e sono chiazzati di muffa. La porta
d’acciaio ha uno spioncino in alto e uno sportello in basso, all’altezza
del pavimento. L’unico posto in cui sedersi è il materasso. E adesso?
Sente il baccano a utito dello stradone, frammenti distanti d’italiano
e lo sgocciolio ininterro o di una cisterna.
Speriamo che Ferlinghe i voglia solo spaventarci per farci dimenticare i
duemila dollari.
Non ha idea di che cosa preveda la legge in Italia in materia di
droga. Le accuse per droga ai Rolling Stones sono state cancellate di
recente. Ma si tra a degli Stones, e quella è l’Inghilterra.
I minuti scorrono. La sua indignazione va scemando. Le bo e che
ha preso cominciano a fare male. Si domanda che cosa stia facendo
Elf in quel momento, e come se la stia cavando Imogen. La morte di
un bambino gli fa sembrare la propria situazione meno grave.
Levon, Jasper e Griff sanno che lui si trova lì. Non è stato sequestrato
in assenza di testimoni. È un ci adino britannico. L’Italia non è la
Russia, o la Cina o l’Africa. Lì potrebbero anche trascinarmi dietro un
angolo e piazzarmi una pallo ola in testa. Portarlo in tribunale, se si
arrivasse a tanto, sarebbe un gra acapo estenuante e costoso. Perché
disturbarsi, quando possono semplicemente espellerlo? E poi lui non
è esa amente un signor nessuno. È uno che ha una canzone ai primi
posti in classifica in Italia. La sera prima, a Roma, gli Utopia Avenue
hanno riempito duemila posti a sedere.
***
DrinDrinDrin!
DrinDrinDrin!
DrinDrinDrin!
***
***
L’aria tiepida odora di erba appena tagliata. Elf prende dal capanno
degli a rezzi guanti e cesoie e va in fondo al giardino a occuparsi di
rovi ed erbacce. Le fronde del salice ondeggiano. Le campanule
spuntano dal terreno argilloso delle Midlands, e un tordo cingue a
nelle vicinanze. Sarà lo stesso di ieri? Continua a non mostrarsi. Elf
pensa al suo appartamento, vuoto da una se imana, spera che non
sia successo nulla di spiacevole. La porta è solida e la finestra
inaccessibile, ma Soho è Soho. La bo iglia di la e che aveva nel frigo
sarà ormai diventata yogurt.
y g
«Hai saltato un pezze o.» È la voce di Imogen.
Elf solleva lo sguardo. La sorella si è messa un montgomery sopra
la camicia da no e e ai piedi ha degli stivali di gomma. Il barlume di
umorismo che trapela dalla sua osservazione è del tu o assente sul
suo volto. «Le ortiche non le strappo. Servono alle farfalle. Il tuo è un
nuovo look alla moda o che?»
Imogen si siede sul mure o che divide la parte più alta del prato
dal fondo del giardino, basso e fangoso. «Prima ero un po’
frastornata.»
«Hai il diri o di essere frastornata quanto ti pare.»
Imogen guarda la sua casa. Spezza un ramoscello.
«Vuoi che dica a tu i di lasciarti in pace?» le chiede Elf.
Il rombo di una moto scuote l’indolente pomeriggio della
periferia.
«No. Resta, per favore. Il silenzio della casa mi fa paura.»
La moto se ne va. Il fracasso svanisce poco a poco.
«Ogni volta che mi sveglio», dice Imogen, «per i primi momenti
non ricordo quello che è successo. Il dolore è lì che preme, non so
però a cosa sia dovuto. Quindi, per un solo a imo, lui è di nuovo
qui. Vivo. Nella sua culla. Stava iniziando a riconoscerci. Da
pochissimo aveva preso a sorridere. L’hai visto anche tu. Ma poi…»
chiude gli occhi, «mi ricordo e… è sabato ma ina e tu o ricomincia.»
«Cazzo, Imogen, dev’essere una tortura.»
«Sì. Eppure quando la tortura finisce… quando sme o di sentirmi
così… lui se n’è andato davvero. La tortura è tu o quello che mi
rimane di lui. La tortura e il la e nel seno.»
Un’ape appesantita dal polline traccia degli ovali nell’aria.
Non ho idea di che cosa dirle, pensa Elf. Nessuna.
Imogen guarda il mucchio di erbacce strappate dalla sorella.
«Se ho fa o fuori anche qualche rara meraviglia botanica, ti
chiedo scusa», dice Elf.
«Io e Lawrence stavamo pensando di me ere qui un gazebo. Ma
adesso, forse, lasceremo crescere le campanule.»
«Non ho niente in contrario sulle campanule. Sono così blu che
anche il loro profumo sembra blu.»
«Ho portato fuori Mark quando stavano sbocciando. Tre o qua ro
volte. Sono state le uniche occasioni in cui… ha sentito sulla faccia il
respiro della Natura.» Imogen volta lo sguardo, poi lo posa sulle
mani. Le unghie sono un disastro. «Uno dà per scontato di avere
tu o il tempo del mondo. Invece avevamo se e se imane.
Quarantanove giorni. Perfino le campanule sono durate più a
lungo.»
Una lumaca si sta arrampicando sul mure o. Vita appiccicosa.
«Hai avuto un parto difficile», dice Elf. «Per riprenderti avevi
bisogno di tempo.»
«Non c’è stata solo la lacerazione del perineo. L’utero ha subito un
danno e… a quanto pare… non potrò più rimanere incinta.»
Elf è immobile. La giornata prosegue. «È una cosa sicura?»
«Secondo il ginecologo sarebbe ‘altamente improbabile’. Gli ho
chiesto: ‘Altamente quanto?’ E la sua risposta è stata: ‘Signora
Sinclair, altamente improbabile in ambito ginecologico è un modo
meno traumatico per dire impossibile’.»
«Lawrence lo sa?»
«No. Stavo aspe ando il momento giusto per dirglielo. Ma poi…
sabato…» Imogen cerca le parole giuste e non ce la fa. «Quindi ora
l’ho de o a te invece che a mio marito. Non potrò più essere madre.
E Lawrence padre. Non un padre biologico, se non altro. Lui
potrebbe anche dire: Questi non erano i pa i, a me così non sta bene
e… Oh, ci penso e ci ripenso di continuo.»
Un bambino, da qualche parte, sta prendendo a calci una palla
facendola rimbalzare contro un muro. Tump, fa la palla, tump, tump.
«Il corpo è tuo», dice Elf. «La notizia l’hai ricevuta tu e decidi tu
quando rivelarla.»
Tump, fa la palla, tump, tump.
«Se questo è il femminismo», commenta Imogen, «allora
iscrivimi.»
Tump, fa la palla, tump…
«Non è femminismo. È semplicemente… la verità.»
Tump, tump…
***
Elf è seduta al piano nella sala ricevimenti deserta del Cricketer’s
Arms, si sta esercitando su alcuni arpeggi. È tu a la sera che pensa a
Imogen. La sua mente ha bisogno d’altro, almeno per un po’. Fuori
piove. Nella sala ricevimenti la voce del condu ore del telegiornale
si sente appena, ma le parole sono chiare. C’è una melodia che la sta
aspe ando per venire alla luce, Elf lo percepisce. A volte sono le
melodie stesse a cercarti, come è successo per «Wal for Griff», ma a volte
sei tu a doverle rintracciare, basandoti sulla conformazione di un territorio,
indizi, odori, quasi… Disegna un pentagramma a mo’ di dichiarazione
d’intenti. Con la mano destra parte in Mi bemolle minore – Che scala
splendida – e con la sinistra improvvisa armonie e disarmonie, a enta
alle scintille che possono sprizzare fuori. L’arte non può essere
soggiogata, l’unica cosa che puoi fare è dare prova di essere pronto a
coglierla. Le scelte sbagliate, scartate, rivelano la strada giusta. Come
l’amore. Beve un sorso di panaché. Spunta suo padre. «Vado a
dormire. Ci vediamo domani, Beethoven.»
Elf alza gli occhi. «Okay, papà. Dormi bene e sogni d’oro…»
«Senza pulci a fare il coro… Buonano e bambolina.»
Elf prosegue, collegando a un passaggio riuscito il passaggio
riuscito successivo. L’arte ti sta accanto, non davanti. L’arte è diagonale.
Prova a fare il contrario, a suonare degli arpeggi bassi
sovrapponendo note alte. L’arte è un’illusione o ica. Trascrive le note
sul pentagramma che ha disegnato, ba uta dopo ba uta. Ogni
qua ro ba ute c’è un nuovo interrogativo musicale a cui lei
risponde. Prova a suonarle in 8/8 ma preferisce in 12/8: dodici crome
per ba uta. S’imba e in una parte centrale, una radura in un bosco
piena di campanule, nella quale riconosce «Il Signore è il mio pastore»,
a cui più o meno dev’essersi ispirata, solo che è suonata al contrario.
Nel finale riprende il tema d’apertura. Dopo la parte centrale sembra
diverso, come l’innocenza dopo l’esperienza. Suona un rubato, un legato,
segue la dinamica. Ripercorre la musica da cima a fondo. Funziona.
C’è da limare qualcosa qua e là, certo, ma… Non c’è nulla di forzato.
Nulla di pacchiano. Nulla di rigido. Mancano le parole. Non c’è un
titolo. Non c’è fre a. Per ora. «Ci sai fare, maledizione», mormora.
«Mi scusi», dice un tizio.
Elf alza lo sguardo.
g
È il barman. «Devo chiudere per la no e.»
«Oddio, scusi. Ma che ore sono?»
«Mezzano e e un quarto.»
***
***
«Tre fa i.» Vicino al punch non c’è John Lennon ma un uomo più
vecchio con i denti guasti, un dente di squalo appeso al collo e occhi
infervorati. Tiffany e gli altri proseguono oltre, Jasper no, i fa i gli
piacciono. «Fa o numero uno: durante il Neolitico alieni provenienti
da un altro sistema solare hanno visitato la Terra. Fa o numero due:
le linee temporanee presenti sul nostro pianeta li hanno aiutati nel
corso della navigazione. Fa o numero tre: nei punti in cui tali linee
convergono avvenivano gli a erraggi. Stonehenge era l’aeroporto di
Heathrow dell’Inghilterra preromana.»
«Un vero archeologo potrebbe obie are», interviene una donna
australiana, «che un fa o è un fa o solo quando si basa su prove.»
«Come siamo fortunati, per oggi gli anarchici sono riusciti a fare a
meno di Aphra Booth», replica l’ufologo. «Le Brigate della Torre
d’Avorio hanno già levato belati di protesta contro il mio libro, e ho
dato loro la risposta che do ora alla signorina Booth: ‘Nei miei libri ci
sono seicento pagine di prove, basta rompere i coglioni e leggetele
come si deve’.» Si ferma per godersi le risate. «Credete che abbiano
seguito il mio consiglio? Certo che no. Il pensiero degli accademici è
psicocontrollato dalla culla alla tomba. Durante i miei ultimi anni a
Oxford sono stato alle loro conferenze. Avevo un’unica domanda:
‘Com’è possibile che società umane così distanti, la Valle del Nilo, la
Cina, le Americhe, Atene, Atlantide, India e via dicendo, abbiano
inventato la metallurgia, l’agricoltura, la legge e la matematica a
distanza di pochi decenni l’una dall’altra?’ E qual è stata la loro
risposta?» L’ufologo mima qualcuno con il Parkinson che cerca una
p g q
parola. «‘Be’, fammi controllare sul mio libro di testo…’» Lo mima
mentre gira le pagine. «‘Ah, sì, ecco… È stata una coincidenza!’
Coincidenza. L’ultimo rifugio della bancaro a intelle uale.»
«Se il cielo sopra Stonehenge un tempo pullulava di omini verdi,
dove sono finiti?» chiede Aphra l’Australiana.
«Sono volati via in preda al disgusto.» Il ghigno dell’ufologo
svanisce. «I visitatori ci hanno donato la saggezza delle stelle. Noi
l’abbiamo usata per creare la guerra, la schiavitù, la religione e i
pantaloni per le donne. Eppure i nostri miti, le leggende e la
le eratura pullulano di entità appartenenti ad altri piani dell’essere.
Angeli e spiriti, bodhisa va e folle i. Voci nella testa. Le mie ipotesi
fanno un tu ’uno di simili fenomeni: queste creature hanno un’origine
extraterrestre. Hanno continuato a farci visita per millenni, per vedere
se l’Homo sapiens fosse pronto per la Rivelazione Finale. La risposta è
sempre stata: ‘Non ancora’. Ma quel ‘non ancora’ si sta trasformando
in un ‘molto presto’. Gli avvistamenti di UFO sono sempre più
numerosi. Le sostanze psichedeliche ci stanno guidando verso stati
più elevati di coscienza. Presto gli extraterrestri daranno il via a un
cambiamento epocale. Nel mio libro lo definisco più precisamente
‘cambiamento stellare’.»
Cala un silenzio meditativo. «Mega», dice qualcuno.
A Jasper quell’espressione è del tu o nuova. Immagina che
significhi: «Wow!»
«Se tu fossi uno scri ore di fantascienza», continua Aphra Booth
scuotendo la sigare a, «penserei: Be’, sono fesserie trite e ritrite, ma
ai suoi ammiratori sembreranno mega’. Oppure, se tu avessi fondato
una se a, penserei: Se quelli di Scientology, gli Hare Krishna e il
Vaticano smerciano le loro cretinate, anche lui ha il diri o di
smerciare le sue. Quello che non mi va giù è che tu le faccia
diventare fesserie anche peggiori a ribuendo loro un valore
scientifico. Stai pisciando nel pozzo della sapienza.»
«Dovremmo tu i ringraziare la signorina Booth», dice l’ufologo,
«per averci mostrato come ragiona il mondo accademico, ovvero: ‘Se
non ci credo io, non è sapienza’.»
Aphra Booth soffia fuori il fumo della sigare a. «Quando
ripenserai a queste stronzate fra cinquant’anni morirai di vergogna.»
p q q g g
«Fra cinquant’anni sarai tu a pensare: Perché il mio pensiero era
così impastoiato e anale?»
«Impastoiato e anale?» Aphra Booth spegne la sigare a. «Dio mio,
come siamo caduti in basso…» Andandosene lascia passare Elf. È
con una fanciulla dall’aspe o esotico vestita di velluto nero, con
alcuni tocchi d’argento.
«Jasper, c’è qualcuno che voglio che tu conosca. Lei è Luisa.»
«Ciao, Luisa», dice lui.
«Amo la tua musica.» Dall’accento è americana. «È meglio che
aggiunga in fre a che adoro anche le canzoni di Elf», le due si
scambiano un’occhiata vivace, «‘Wedding Presence’, però, l’ho
sentita così tanto da consumare il disco. È numinosa, se mi passi il
termine.»
Numen, pensa Jasper, in origine «volontà divina». «Grazie. Sono
comete quelle ricamate sulla tua giacca?»
«Già, proprio così. Comete stilizzate.»
«Le ha fa e lei», aggiunge Elf.
«Da piccola, a scuola, avevo preso un’insufficienza in cucito e
so o il voto c’era scri o: Devi impegnarti di più. Mi ha traumatizzato a
vita.»
«Tu sei un’ufologa o una stilista?» chiede Jasper all’americana.
Luisa trova la domanda divertente. «Né l’una né l’altra. Studio
giornalismo con una borsa di studio del programma Fulbright. Sono
fortunata, no?»
«Qui la fortuna non c’entra niente», obie a Elf.
«Oh, piantala. Io ero in Three Kings Yard quando Elf ha avuto il
suo momento ‘Martin Luther King’.»
«Mio Dio, è stato tu o così confuso», dice Elf. «Cos’ho de o non
me lo ricordo, ma sono arcisicura che non fosse ‘I have a dream’.»
«Sei troppo modesta, Elf. Mi stavo occupando di quella storia per
la rivista Spyglass, ho riportato testualmente le tue parole e voilà, è
saltato fuori il mio primo articolo su una testata internazionale.
Insomma, sono in debito con te.»
«Sciocchezze.» Era da prima della morte del nipote che Jasper non
sentiva Elf ridere così.
«Per caso avete intenzione di andare in tour negli Stati Uniti?»
chiede Luisa. «A New York o a Los Angeles per voi si
strapperebbero i capelli.»
«È un bene o un male?» s’informa Jasper.
«Oh, un bene», risponde Luisa. «Decisamente.»
«La nostra casa discografica sta valutando un breve tour
americano», dice Elf. «Adesso Paradise sta vendendo abbastanza
bene. Chissà.»
***
***
a. Mente sana.
Look Who It Isn’t a
La puntina si alza con uno sca o alla fine del lato A di Blonde on
Blonde. Tiffany toglie a Dean la benda dagli occhi e gli scioglie le
corde intorno ai polsi. Un venticello smuove lievemente le tende
della stanza. Londra ronza, tambureggia, accelera, frena e respira.
L’effe o della cocaina se n’è andato. Accanto allo specchio ci sono il
coltellino svizzero e una cannuccia tagliata. Quel coltello Tiffany
avrebbe potuto piantarglielo ovunque. Almeno non ha più paura di
p p g q p p
beccarsi lo scolo. Dal giorno della Triumph è la terza volta che si
vedono. Se lei avesse qualcosa, a quest’ora lui starebbe pisciando
acido delle ba erie. Tiffany si sdraia. «Scusa se ho esagerato con i
morsi. Quando ho conosciuto Tony, fino all’ultimo ero fra le tre
candidate per quel film di vampiri, Kiss of the Vampire. Ma hanno
dato la parte a una bambolona americana…»
Dean si sfiora il succhio o che gli ha lasciato sulla clavicola.
«…poi sono rimasta incinta del mio primo figlio, Martin, e fine
della storia. Parlando di cose positive, invece, tu la tua audizione
l’hai superata a pieni voti.»
«Dici?» Dean addenta una mela mezza mangiata. «E la parte qual
è?»
«Spiritoso.» Gli prende la mela e con un grosso morso la finisce.
«Tiffany Moss suona meglio di Tiffany Hershey.»
Sta solo facendo la spiritosa, pensa Dean.
«Quando la nostra relazione sarà di pubblico dominio, l’anello di
fidanzamento dovrà essere più grande di quello che mi ha regalato
Tony. La gente a certe cose ci fa caso.»
Dean mastica più lentamente. Tra un a imo questo scherzo le verrà a
noia.
«Il mio avvocato dice che se riesco a provare l’adulterio di Tony,
avrò più probabilità di tenermi la casa di Bayswater. Mi sono
segnata tu o, meglio però se nel fra empo compri un posto in cui
possiamo vivere insieme. Un te o sopra la testa ci vuole.»
Dean la guarda per assicurarsi che stia scherzando.
«Chelsea è una zona carina. Ci vuole uno spazio grande a
sufficienza per le feste. Una stanza per una domestica e una ragazza
alla pari. I bambini poi hanno bisogno di una stanza ciascuno. A
Crispin già piaci. E Martin prima o poi sme erà di odiarti…»
La mela gli si blocca in gola.
«Magari presto, se gli regaleremo un fratellino.»
Il pensiero decisamente sgradevole di una certa Mandy Craddock
e del suo pargolo è il primo a saltargli in mente. Un a imo dopo,
però, viene rimpiazzato dal pensiero altre anto sgradevole che
Tiffany non stia scherzando e che sia serissima. Dean si drizza a
sedere e si ritrae. «Ascolta, Tiff… Io… non credo che…»
«Ma no, certo, hai ragione. Chelsea in fondo è così banale. Vada
per Knightsbridge. Avremo Harrods a due passi.»
«Sì, però… voglio dire, noi ci siamo appena… insomma…»
Anche Tiffany si me e a sedere, coprendosi il seno con il lenzuolo
sudato. Lo guarda e aggro a la fronte, evidentemente spiazzata.
«Insomma cosa, tesorino?»
Dean fissa la sua amante adultera. E adesso come me la cavo,
maledizione? Tiffany cambia espressione, sfoderando un grande
sorriso impertinente. Il sollievo si scioglie come zucchero nel sangue
di Dean. «Sei una strega, una strega diabolica, ecco cosa.»
«Alla scuola d’arte drammatica è uno dei primi esercizi.»
«Ci sono cascato in pieno, dannazione.»
«Be’, ti ringrazio. Io…» L’espressione cambia, si fa un po’ schifata.
«Solo un a imo.» Strappa un fazzole o dalla scatola di Kleenex, si
volta e si ripulisce. Quando si gira di nuovo si accorge di avere uno
sbaffo cremoso dietro il pollice. «Guarda qui.» Lo osserva con
a enzione. «L’essenza della vita.»
***
***
Gli sgraditi De Zoet non ci sono più, Jasper è nella vasca, sul
giradischi c’è Janis Joplin. Dean sta lavando tazze e teiera,
ripetendosi che le affinità fra la sua recente condo a e quella del
giovane Guus de Zoet sono solo superficiali. Lui non ha mai mentito
a Mandy Craddock. Non l’ha messa incinta avendo già una famiglia.
E poi non ci sono prove che il bambino sia suo. Stappa una birra e
sprofonda nel divano. Dunque ad agosto avremo bisogno di un nuovo
appartamento. Ora come ora potrebbe perme ersene uno da solo.
Jasper mi mancherà, realizza. Quando ha conosciuto quello strano
personaggio così serioso, di buona famiglia e mezzo olandese, per
lui rappresentava un posto dove stare gratis, lo considerava un
grande chitarrista e nient’altro. Dicio o mesi dopo era diventato un
amico. C’è davvero tanto in questa parola. Dean regola la nuova chitarra
acustica, una Martin, e cerca gli accordi di «Sad Eyed Lady of the
Lowlands». Re… La… Sol… La? Va a recuperare in camera il doppio
album di Dylan, nell’aria aleggia ancora il profumo di Tiffany, poi
y gg p y p
sul giradischi in soggiorno me e il lato D. «With your mercury mouth
in the missionary times» è Re, La, Sol, La7. Per «And your eyes like smoke
and your prayers like rhymes» la stru ura è la stessa, ma il terzo verso
è differente, come capita spesso con i terzi versi. Sol… Re… Mi
minore? Dean tenta con il ple ro invece che con le dita. Meglio. Sì,
meglio. Prova un Fa minore invece del Sol. No, è un Fa. Un cucchiaino
di Dylan contiene un litro di significati. Perché non provo anch’io a
scrivere parole come queste? Una canzone su come a volte basta una
breve telefonata a cambiare ciò che si è. Su come una telefonata di
Tiffany Hershey – «Raggiungimi all’Hilton per un cocktail» – li abbia
trasformati in adulteri. Quanto è illusoria la stabilità. Quante
certezze ci sono nell’ignoranza. Dean prende una biro e inizia a
scrivere. Il tempo scivola via. Jasper è uscito dalla vasca. Altro tempo
scivola via. Suona il campanello. Ad aprire va Jasper. Probabile che sia
Elf. «È per te», gli comunica l’amico.
a. Il terzo pianeta.
Chelsea Hotel #939 a
***
***
***
Tre ragazzi ci hanno già provato con Elf. E ogni volta Luisa le è
mancata ancora di più. Janis Joplin la trova in un angolo della
piramide e le piazza in mano un cocktail opaco. «Prova questo.
Brutal Truth, così si chiama. Lo ha creato apposta per me il tipo che
si occupa dei miei cocktail. Gin e noce moscata con uno schizzo di
pericolo.» Brindano facendo tintinnare i bicchieri e bevono.
«Santissimo Dio che sei nei cieli», esclama Elf.
«Questo nome era il secondo in lizza.»
«Potrebbe funzionare come carburante per missili.»
«Me lo auguro, Lady Inghilterra. Ma dimmi una cosa. Tu lo hai
escogitato un tuo metodo?»
Il Brutal Truth anestetizza l’esofago di Elf. «Un metodo per cosa?»
«Un metodo per fare da donna quello che facciamo.»
Da più vicino, Elf nota le vene impazzite nel bianco degli occhi di
Janis, le cicatrici che ha in faccia. «Non ho nessuna risposta. Eccola la
brutale verità.»
«Già, non lo pensi anche tu? Se sei un uomo è facile. Canti le tue
canzoni, scuoti le piume della tua coda da pavone. Dopo lo show
scendi al bar e combini con le pollastre. Ma quando canti e la
pollastra sei tu, cosa dovresti fare? Siamo noi quelle con cui
combinare. E più siamo famose più questo è vero. Siamo come…
come…»
«Principesse in un’epoca di matrimoni dinastici.»
Janis si morde il labbro inferiore e annuisce. «E la nostra fama
aumenta il valore delle spacconate da spogliatoio. Da cui gli uomini
traggono vantaggio. ‘Janis Joplin, ma certo, la conosco. Me l’ha
succhiato sul le o sfa o.’ Questa cosa la odio. Però, come opporsi? O
cambiarla? O sopravviverle?»
p
Da un eccellente impianto stereo escono le note di «Wasn’t Born
to Follow» dei Byrds.
«Io non sono ancora al tuo livello», dice Elf. «Avresti qualche
consiglio da darmi?»
«Nessun consiglio. Solo una paura e un nome: Billie Holiday.»
Elf beve un terzo sorso di Brutal Truth. «Billie Holiday non è
morta eroinomane, con il fegato andato, piantonata dalla polizia sul
le o di morte e con soli se anta centesimi in banca?»
Janis si accende una sigare a. «Ecco la paura di cui ti parlavo.»
***
Una luna americana è incastrata fra due gra acieli come una
monetina caduta in una crepa. Elf guarda la ci à al di là della
ringhiera. Bastioni merlati alla vigilia di una guerra. Il suo cuore sta
vibrando per via del Brutal Truth. Le sue estremità stanno vibrando
per l’erba di Janis. Immagina Luisa apparire come la Madonna su
quella terrazza verdeggiante, l’addolora che non possa succedere. Elf
ricorda di aver sofferto quando Bruce l’aveva mollata per quella
modella, Vanessa. Ma perdere Luisa è più come perdere una parte
del proprio corpo. Dove ho sbagliato? Dev’essere colpa mia. Per forza.
«È lui quello famoso?» Dean sta indicando davanti a sé.
Elf non ha idea di che cosa intenda, a rispondere è Leonard
Cohen: «L’Empire State Building, certo. L’edificio più alto del
pianeta».
«E dov’è King Kong che strapazza i biplani?» s’informa Dean.
«Al giorno d’oggi per lui c’è meno lavoro», replica Lenny. «Sono
tempi duri.»
Nelle finestre degli edifici più vicini e più bassi ci sono ancora
accese alcune luci. Ogni riquadro luminoso è una vita grande quanto
la mia, pensa Elf.
«Lo sentite?» chiede Dean con una mano a coppa intorno
all’orecchio.
«Cosa?» replica lei.
«Questo disco, la colonna sonora di New York. Ssssh…»
Oltre il chiacchiericcio e Sam Cooke che canta «Lost and Lookin’»
sul giradischi, si sente un brusio eterogeneo di camion, macchine,
treni, ascensori, clacson, sirene, cani… Qualsiasi cosa. Porte,
serrature, fogne, cucine, rapine, amanti. «È come un’orchestra che
accorda gli strumenti», dice Elf, «se non fosse che il concerto è
proprio l’accordatura. Una cacofonia sinfonica.»
«Cose del genere le dice anche quando non ha fumato», spiega
Dean a Lenny.
«Elf è una poetessa nata.» Lenny posa i suoi occhi castani del
genere leggo-nella-tua-anima su Elf al chiaro di luna.
«Tu, caro signore, sei nato cascamorto, invece.» L’erba di Janis.
Mannaggia.
«Mi dichiaro colpevole», concede Lenny.
Elf s’immagina Lenny che chiede a Dean se lei ha un ragazzo e
Dean che gliene parla, poi immagina Dean che chiede a Lenny di
Janis e Lenny che gliene parla. Nella ba aglia dei sessi le donne
condividono informazioni riservate. Gli uomini fanno di sicuro lo
stesso. Luisa le manca più che mai. È lei il suo rifugio da tu o quello.
Lo era. Lo è. Lo era. Lo è.
«Perché te ne sei andato da New York», chiede Dean a Lenny
guardando la ci à dei loro sogni, «dopo che ti sei sistemato?»
«Non sono di quelli che si sistemano, io. Ero venuto qui a scrivere
il, o anche solo un, Grande Romanzo Americano. Davanti a un simile
cliché rabbrividisco. Mi ero immaginato come un pesce grosso in
una pozzanghera, il fa o è che non ero per niente un pesce. Ero
sensibile alle distrazioni. Il Greenwich Village. Le le ure dei poeti
beat. I concerti folk. Facevo lunghe passeggiate dandomi arie da
flâneur, ma solo i francesi riescono a vivere così. Guardavo le navi
sull’East River. Una volta ho preso quell’ascensore.» Con un cenno
indica l’Empire State Building. «Ho guardato Manha an dall’alto e
sono stato colto da un assurdo desiderio di prenderla. Dal desiderio
di possederla. Le canzoni che scriviamo sono un surrogato del
possesso secondo voi?»
«Io scrivo canzoni per scoprire cosa voglio dire», replica Elf.
«Io le scrivo solo perché mi piace farlo, maledizione», dichiara
Dean.
«Forse, allora, qui l’artista più puro sei tu», osserva Lenny.
Una voce fumata si fa sentire dalla piramide. «Ehi, Lenny!
Abbiamo bisogno di una tua opinione.»
«Su cosa?» chiede Lenny ad alta voce.
«La differenza fra malinconia e depressione.»
Leonard Cohen sembra dispiaciuto. «Il dovere mi chiama…»
«Vi amo tu i», Janis Joplin è salita su una specie di piedistallo fra
le piante, «ma domani ho le prove, così ho proposto a Jackson di
suonare un ultimo pezzo prima di lasciarci, e lui mi ha proposto di
cantarlo.»
Jackson conta il tempo, poi a acca una cascata decrescente di note
che termina con una se ima maggiore. Elf riconosce l’inizio di
«These Days», dall’album Chelsea Girl, ma se Nico la canta con algida
sobrietà nordica, Janis la infiamma, dando una diversa sfumatura a
ogni strofa. È un trucco per mantenere viva la tua a enzione, rifle e
Elf, e a lei riesce benissimo.
Jackson improvvisa un bridge prima del finale e Dean sussurra a
Elf in un orecchio: «Il marpione sa suonare davvero, ed è anche
belloccio».
Elf replica sussurrando a sua volta: «Hai paura di aver trovato un
rivale?»
Janis canta gli ultimi qua ro versi a cappella.
Jackson imita con la chitarra il suono di una campana, facendola
rintoccare dieci volte.
***
Nel cucinino della stanza 939 Elf prepara una cioccolata calda a
Luisa che è appena uscita dalla doccia. «Non faccio che ripercorrere
pp p
con la mente gli ultimi dieci giorni», dice Elf. «Mentre io ero tu a un
‘povera me, povera me’, tu eri a tanto così da una pallo ola.»
«Non lo sapevi.» Luisa si avvolge i capelli in un asciugamano. «E
io non sapevo che tu non lo sapessi. Non potevo dirtelo. Ma siamo
sopravvissute entrambe.»
«E se ti chiedessi di limitarti a scrivere recensioni di ristoranti?»
«E se ti chiedessi di scrivere canzone e?»
«Non essere troppo sprezzante del pericolo, rischi di diventare
insensibile. Prome imelo.»
«È esa amente quello da cui mi me e in guardia mio padre.»
Luisa la bacia. «D’accordo, promesso.» Raggiungono il balcone e,
come due vecchie e in villeggiatura, si siedono sulle sdraio con le
loro cioccolate. Luisa accende una Camel per sé e un’altra per Elf. Si
guardano e aspirano le sigare e simultaneamente. Le punte si
illuminano insieme e loro si me ono a ridere.
«Indovina cosa sto facendo adesso», dice Elf.
«Cosa stai facendo?» chiede Luisa.
«Mi sto spedendo un telegramma mentale indietro nel tempo. Mi
arriverà durante la serata al Les Cousins, quando Levon e i ragazzi mi
hanno invitata a provare con loro. In questo telegramma mentale mi
sto scrivendo: Di’ sì.»
«E poi?»
«Poi mi scrivo questo: Perché se dici sì, nei prossimi venti mesi
registrerai due LP, andrai a Top of the Pops, farai decine e decine di
concerti, guadagnerai un po’ di soldi, la tua vita sentimentale avrà i suoi
alti e bassi, andrai a New York, Leonard Cohen ti corteggerà, tu e Janis
Joplin vi confiderete a cuore aperto da brave sorelle nella musica, ma
sopra u o conoscerai un’intelligente, simpatica, coraggiosa e amorevole
futura vincitrice del Puli er…» zi isce le obiezioni di Luisa, «oltre che
una donna messicana-irlandese-americana molto sexy. Sì, una donna. Con
cui farai l’amore in modo folle e appassionato…»
«Dio, sei così… inglese.»
«Zi a, dicevamo… Farai l’amore in modo folle e appassionato al
Chelsea Hotel, berrai una cioccolata calda e non ti verrà da chiederti: Sono
una lesbica adesso? o Sono bisessuale? o Prima ero repressa? o Lo sono ora?
No, niente del genere. Ti sentirai a posto e… starai così bene che ti
g p
mancheranno le parole. Quindi per il tuo bene… Di’ sì. Qui finisce il mio
telegramma mentale. STOP . Spedito.»
«Mi piace molto il tuo telegramma», dice Luisa. «Penso però che
si sia trasformato in una le era vera e propria, non ti pare?»
Elf annuisce, fuma, sorseggia la cioccolata calda, prende la mano
della persona che ama. Nove piani più in basso, un taxi giallo si
aggira per la Ventitreesima Strada Ovest davanti al Chelsea Hotel in
cerca di clienti…
***
Fuori dalle mura di Rijksdorp, Jasper aveva trovato tu o diverso e
identico a un tempo. La ma ina era silenziosa. Il cielo velato. Il
bosco odorava d’autunno. Le foglie morte trasportate dal vento
liquido andavano alla deriva. I pini frusciavano, sibilavano come a
chiedere di far silenzio. I corvi tramavano complo i. Dai tronchi
degli alberi avevano fa o capolino alcune facce. Jasper non aveva
incrociato i loro sguardi. Il sentiero saliva tortuoso, la boscaglia
finiva ed ecco le dune con il loro saliscendi. Non troppo lontano, le
onde s’infrangevano sulla ba igia e le alghe rinculavano come per
un colpo di frusta. I gabbiani strillavano. Il mare sembrava sporco.
Un cartello me eva in guardia i potenziali nuotatori: GEVAARLIJKE
ONDERSTROOM. VERBODEN TE ZWEMMEN . C’era alta marea. Le onde
sparpagliavano i cio oli sulla sabbia, la risacca li risucchiava
indietro. In lontananza, a sud, si stagliava compa a Scheveningen.
Dalla parte opposta, a meno di dieci chilometri c’era Katwijk. Grigio
fango, grigio sabbia, grigio pallido. Viscidi frangiflu i si
protendevano nelle acque agitate. Jasper si era messo a riempire lo
zaino con i sassi più grossi. Così avrebbe fa o meno casino che con
un rasoio, si diceva; era un sistema più affidabile delle pillole, meno
gotico di una corda e nessun testimone sarebbe rimasto scioccato o
segnato per sempre. Riempito lo zaino, l’aveva legato stre o a sé.
Sembrava pesante quanto lui. Aveva ripassato le istruzioni un’ultima
volta: entra in mare, cammina, quando l’acqua ti arriva al mento
ge ati in avanti e il peso ti schiaccerà verso il basso. A quel punto
apri la bocca. Un eterno Queludrin. Milly Wallace è sepolta in mare.
L’unico mare. Il mare perpetuo. L’ultimo.
«Ne sei sicuro?» si era chiesto Jasper.
E si era risposto: «Una persona è qualcosa che se ne va».
Era entrato in mare. Gli riempiva le scarpe. Gli avvolgeva le
ginocchia, le cosce, i fianchi…
***
Si era svegliato per la luce del sole che aveva invaso il soffi o. Come
ti senti, sognatore? gli aveva domandato uno spirito mongolo.
«È come se avessi un ogge o delle dimensioni di una ghianda, o
di una pallo ola, incastonato nel cervello. Non che faccia male. Però
è lì. Come un tumore benigno.»
Benigno all’esterno, maligno all’interno. È la barriera cauterizzante che
ho ritagliato intorno al tuo inquilino. La sua cella, se ti suona meglio.
«Quindi da oggi… posso sme ere di prendere il Queludrin?»
Proprio così. Toc-Toc non può più raggiungerti.
«Convincere il do or Galavazi che sono guarito non sarà facile.»
Non sono d’accordo. La tua guarigione è un trionfo della medicina. Vai a
stringergli la mano dopo colazione. Mi trasferirò dentro di lui e gli
impianterò un paio di idee. È una brava persona.
«Perché non presentarti apertamente a lui come hai fa o con me?»
Non voglio che perda la fede nella psichiatria. Il mondo ha fin troppi
mistici e così pochi scienziati.
«E io cosa devo dirgli?»
Il Mongolo aveva rifle uto. Tu o quanto, a eccezione del tentato
suicidio. Digli semplicemente che sono arrivato da te mentre passeggiavi.
«Se gli dico così, arriverà una volta per tu e alla conclusione che
sono ma o.»
Eppure eccoti qui, più forte e più felice. Immagino che il do or Galavazi
interpreterà la tua guarigione e «il Mongolo» in termini psichiatrici. Chi lo
sa? Potrebbe venirne fuori qualcosa di buono…
Un toc-toc alla porta della camera 777 del Chelsea Hotel. Jasper si
sveglia. La fossa scavata dal sonnifero non era abbastanza profonda.
Toc-toc. Potrebbe essere Elf, o Griff o Dean. Ne dubita. Toc-toc. Si
alza, va alla porta e a raverso lo spioncino guarda fuori. Nessuno.
È tornato. È ufficiale. La mia guarigione è finita.
Toc-toc. Jasper apre la porta. Il corridoio giallo disseminato di
porte marroni si allunga in entrambe le direzioni. Nessuno.
Richiude, fissa la catenella e…
Toc-toc. Riesce a percepirlo. La preda avverte la presenza del
predatore. Va in bagno e prende un altro Queludrin.
Gliene restano dodici. Bastano appena per sei giorni. Devo
procurarmene dell’altro, e subito.
Toc-toc. È dalla festa per Stuff of Life alla Roundhouse che sente
nelle vicinanze delle bussate incerte. Toc-toc. Sull’aereo le bussate si
erano fa e forti e chiare. Che la sua paura di volare abbia in qualche
modo rafforzato…
Toc-toc. È no e, il suo orologio fa le 12 e 19. Ha preso il Queludrin
solo sei ore prima, quando l’aeroplano stava a errando a New York.
Ai tempi di Rijksdorp l’effe o durava almeno dodici ore.
Toc-toc. Jasper si fa cadere una pillola azzurra nel palmo e la bu a
giù con mezzo bicchiere d’acqua. Sul grande specchio ha appiccicato
alcune pagine del Times. IL VOLO 1611 DELL’AIR FRANCE È PRECIPITATO
IN MARE NEI PRESSI DI NIZZA, 95 LE VITTIME . Si lava i denti, dando
tempo al Queludrin di fare breccia nel suo cervello. Dopo tre o
qua ro minuti infila lo spazzolino nel bicchiere e…
Un lento, beffardo toc… toc.
E se non funzionasse più per niente?
Jasper bussa con convinzione alla porta della camera 912, finché
dietro la catenella non appare il volto assonnato di Levon.
«Devo telefonare in Olanda», dice Jasper.
«Cosa?» L’agente sba e le palpebre.
«Devo telefonare in Olanda.»
«Ma in Olanda saranno le sei del ma ino.»
«Ho bisogno di parlare con il mio medico.»
«I medici ci sono anche a New York. Chiederò a Max, in…»
«Vuoi che suoni domani, vero?»
Questo funziona. Levon apre la porta e gli fa segno di
accomodarsi. Indossa un pigiama giallo canarino. Jasper gli dà un
pezzo di carta con il numero del do or Galavazi. Levon chiama il
centralino dell’albergo, legge il numero, conferma la chiamata e con
il centralinista amme e: «Sì, lo so, mi costerà una fortuna», poi passa
la corne a a Jasper. «Fai in fre a per favore. Di stadi non ne abbiamo
ancora riempiti.»
«Ho bisogno di privacy», dichiara Jasper.
L’espressione di Levon diventa doppiamente indecifrabile. Infila
una vestaglia sopra il pigiama ed esce dalla stanza.
Nella corne a, Jasper sente il segnale olandese di libero. Toc-Toc
s’impone con i suoi toc-toc sopra i tuu-tuu… Il medico risponde:
«Chiunque tu sia, è malede amente presto».
Jasper parla in olandese: «Do or Galavazi, ho bisogno del suo
aiuto».
Una pausa. «Buongiorno, Jasper. Dove sei?»
«In camera di Levon al Chelsea Hotel di New York.»
«New York è un’arancia succhiata, stando a Emerson.»
Jasper rifle e su quest’ultima frase. «Toc-Toc è tornato. Tornato
davvero, intendo. Voglio dire che non è sulla via del ritorno, ma è
già qui.»
Una lunga pausa. «Sintomi?»
«Bussate. Molte. Non sono ancora ininterro e, ma riesco a
percepirlo. Sta sogghignando. Come un ga o che gioca con un
uccellino. E il Queludrin fa sempre meno effe o. Due pillole durano
sei o se e ore. Ne ho presa un’altra appena siamo a errati, ma Toc-
Toc adesso si è rimesso a bussare.»
Toc-toc.
«Jasper? Ci sei ancora?»
«Ecco. Ha bussato proprio adesso. Stavolta non c’è nessun
Mongolo che mi possa salvare. Se il Queludrin non funziona, non ho
niente con cui difendermi.»
«Allora dobbiamo trovare un altro farmaco che funzioni.»
«Già, ma se chiedo a un medico di darmi una medicina per
fermare il rumore che sento nella testa e quello mi fa rinchiudere in
una cella imbo ita? Questa è l’America. L’America è leader
mondiale nel rinchiudere la gente.»
Una pausa. «Agitarti non ti sarà d’aiuto.»
«E quindi, do or Galavazi, cosa mi sarà d’aiuto?»
«Dormire, ora come ora. Hai con te dei sonniferi?»
«Ne avevo preso uno, ma Toc-Toc è riuscito a svegliarmi.»
«Prendine due. Conta erò il do or Yu Leon Marinus. Il collega di
cui ti ho parlato quando sei venuto a trovarmi. Insegna alla
Columbia University, quindi non dovrebbe essere troppo lontano
dal… Chelsea Hotel, hai de o?»
«Sì. È famoso.»
«Gli chiederò di raggiungerti. Con urgenza.»
Jasper sente toc-toc, toc-toc, toc-toc… Somiglia a un applauso
sarcastico. «Grazie.» Riaggancia e abbandona la stanza di Levon. Il
manager tenta inutilmente di sbarrargli la strada. «Ma che succede?»
Jasper torna nella stanza 777 insieme ai toc, toc, toc che,
canzonandolo, lo accompagnano come una marcia funebre. Prende
due benzodiazepine, spegne la luce e si lascia inghio ire dal limbo
dove…
***
Una ninfa di cicala, gonfia e cieca, sta succhiando linfa dalle radici di
un albero. Emerge dal terreno in una foresta inestricabile. Poco per
volta si arrampica su un piccolo fusto che cresce all’ombra di un
gigantesco cedro. La ninfa resta a accata a un rame o finché, dal
carapace diafano, non spunta una cicala nera. L’inse o schiude le ali
collose per asciugarle al sole. Poi… sale in alto, sempre più in alto, e,
a raverso un’aria trafficata, screziata dal sole e piena di macchie
scure, sorvola un chiostro con delle donne incinta che spazzano a
p
terra, i te i spioventi di Zelanda, Chetwynd Mews, il ponte di
Brooklyn… e poi scende, scende fino a infilarsi in uno spiraglio della
finestra della camera 777 del Chelsea Hotel, in cui Jasper sta
dormendo. Fra le sopracciglia di Jasper si apre un varco scuro. La
cicala gli si posa sulla fronte, chiude le ali ed entra nel buco.
Toc-toc. Jasper si ridesta. Toc-Toc è sveglio e presente, tanto che
potrebbe essere seduto in carne e ossa sulla sedia nell’angolo. Forse è
così. L’orologio fa le 7 e 12. Va in bagno e prende tre Queludrin. Ne
restano solo nove. Il do or Galavazi ha sempre de o che parlare a
Toc-Toc nutre e fortifica la sua psicosi, quindi è importante che non
lo faccia. Jasper decide che quel divieto non ha più senso. Di nuovo
in camera da le o, disegna una griglia alfabetica stile Formaggio.
«Sai già come funziona. Mi parlerai?» Se e piani più in basso il
rumore del traffico ma utino è in aumento.
Nessuna bussata stavolta, ma una voce: Lo farò se ne avrò voglia, De
Zoet.
Jasper resta senza fiato. La voce è chiara come quella del
Mongolo. Sento le tue parole, dice Toc-Toc. Sento i tuoi pensieri.
La mente di Jasper è un vortice. «È Toc-Toc che sta parlando?»
Sono colui che chiami con quel nome.
All’orecchio interno di Jasper quella voce suona nobile, profonda
e risoluta. «Preferisci che ti chiami con un altro nome?»
A te interesserebbe come ti chiama un cane?
Jasper si rende conto che in quella metafora lui è il cane e Toc-Toc
il padrone. Dà un’occhiata all’orologio: 7 e 14. Il Queludrin non sta
facendo effe o. «Perché vuoi distruggermi?»
Questo corpo è di mia proprietà. Ed è tempo che tu te ne vada.
«Questo corpo? Questa mente? Ma sono miei. Sono me.»
La mia rivendicazione è più vecchia della tua.
«Rivendicazione? Non capisco.»
Una pausa. Il sogno della cicala.
Altre metafore? «La cicala sono io? Sei tu? Cos’hai intenzione di
fare con me? Dimmelo e basta. Dire amente.»
E dire amente sia: nel mio Paese è usanza concedere qualche ora anche
al ladro più infimo perché prepari lo spirito alla morte. Il tuo periodo di
grazia inizia in questo momento e termina stasera.
g q
«Non voglio morire.»
È irrilevante. Morirai stasera.
«Ma non c’è un altro modo?»
No, nessuno.
Jasper si fissa le mani. L’orologio ticche a.
È il tuo fato, De Zoet. Non esiste spada, pallo ola, esorcista, droga,
forestiero o stratagemma che possa cambiarlo. Acce alo.
«Cosa succede se mi uccido prima?»
Occuperò un’altra persona. In questa ci à non mancano i corpi ada i. Se
vuoi che qualcosa di te sopravviva, tu avia, prima di cederlo fai in modo che
questo corpo si conservi in buone condizioni di efficienza.
Toc-Toc si ritira…
Nove piani più in basso, un taxi giallo in cerca di clienti si aggira per
la Ventitreesima Ovest davanti al Chelsea Hotel. Elf rifle e su quanto
la metafora della vita come viaggio so ovaluti il fa o che la
viaggiatrice viene cambiata dalla strada, dalle disavventure, da che
cosa c’è dentro. Da che cosa c’è dentro quello che c’è dentro. Le braccia di
Luisa la cingono per la vita e salgono fino al ciondolo di serafinite.
Odora di sapone. Bacia Elf sul collo. Niente barba che devo fingere di
ignorare mentre mi scortica. Bruce era un porcospino. Un porcospino
plagiatore. Non importa. Se con lui non fosse finita, adesso non avrei lei.
Non avrei questo. Vista dal davanti, la catastrofe è una rinascita. E la
rinascita è una catastrofe vista da dietro.
«Tu sei quella principessa», le dice Luisa. «Quella nella torre.
Raperonzolo.»
«A New York i capelli di Raperonzolo non raggiungerebbero mai
il marciapiede.»
«A New York Raperonzolo si sarebbe fa a un’acconciatura
speciale.»
Luisa si arriccia i capelli di Elf intorno al pollice e le bisbiglia
all’orecchio: «Rapunzel, Rapunzel, deja caer tu cabello».
«Quando parli spagnolo sono completamente vulnerabile.»
«Ah, sì? In questo caso…» Luisa le bisbiglia ancora nell’orecchio:
«Voy a bofar y soplar y volar su casa hacia abajo».
Elf tra iene una risatina. «Che significa?»
«Sbufferò e soffierò e raderò al suolo la tua casa.»
«L’hai già fa o a Londra.» Elf piazza un bacio sul pollice di Luisa.
«O meraviglia! Quante magnifiche creature ci sono qui, e com’è bella la
donna. O splendido mondo nuovo, che ha gente simile dentro di sé.»
«E questo cos’è?»
q
«La tempesta di Shakespeare. Ritoccata. Mia sorella sta
interpretando Miranda e qualche giorno fa abbiamo ripassato la sua
parte.»
La voce dello spacciatore all’ingresso del Chelsea Hotel raggiunge
molto flebilmente il nono piano. «Ehi! Vuoi qualcosa per tirarti su?
Te la trovo…»
«Hai presente», dice Elf, «quando vai all’estero e impari di più sul
luogo da cui vieni che sul luogo che stai visitando?»
«Ce l’ho presente eccome.»
«Tu, noi, questa…»
«Relazione folle e passionale.»
«Grazie. Be’, questa relazione folle e passionale è ‘all’estero’. Se mi
volto a guardare com’ero prima di conoscerti, capisco meglio quella
me rispe o a quando ero lei.»
«E cos’hai dedo o qui, nella Terra delle Lesbiche Selvagge?»
«Mi sono accorta delle etiche e.»
«Etiche e?»
«Proprio così. A accavo etiche e dappertu o. ‘Buono.’ ‘Ca ivo.’
‘Giusto.’ ‘Sbagliato.’ ‘All’antica.’ ‘Moderno.’ ‘Bizzarro.’ ‘Normale.’
‘Amico.’ ‘Nemico.’ ‘Successo.’ ‘Fallimento.’ Sono facili da usare. Ti
risparmiano lo sforzo di rifle ere. Certe etiche e sono appiccicose.
Proliferano. Diventano un vizio. Presto ricoprono tu o e tu i. Uno
inizia a credere che la realtà sia fa a solo di etiche e. Semplici
etiche e scri e con un pennarello indelebile. Il guaio è che la realtà è
il contrario. La realtà è sfumata, paradossale, cangiante. È complessa.
È tante cose tu e insieme. È per questo che non andiamo bene. La
gente non fa che parlare di libertà. Sempre. Lo vedi ovunque. Ci
sono disordini e guerre per stabilire che cosa sia la libertà e a chi
spe i. Ma la regina delle libertà è questa: essere liberi dalle etiche e.
E qui finisce la lezione di oggi. Mi stai guardando in modo strano.»
Luisa accarezza il ciondolo che una volta apparteneva a lei e ora è
di Elf. «Ti stavo solo appiccicando un’etiche a fra me e me.»
«E cosa c’è scri o sull’etiche a?»
«Elf Presidente.»
Sentono bussare alla porta della camera. Luisa guarda Elf.
«Aspe avi qualcuno?»
p q
«A quest’ora? Gesù, no.»
Toc-toc. Toc-toc.
«Qualche corteggiatore della festa ancora a spasso?» ipotizza
Luisa. «Magari con il nome LEONARD ricamato sui guanti.»
Toc-toc. Toc-toc. Toc-toc.
«È qualcuno che sa di trovarmi qui», replica Elf. «Che sia Levon?»
«Vai ad aprire, allora, ma controlla prima dallo spioncino…»
***
***
Jasper viene riproie ato nel suo corpo, al Ghepardo, sul divano del
camerino. Prova a muoversi. Non può. Non riesce a muovere un solo
arto, un solo dito. Con pupille e palpebre però ce la fa. In caso
contrario, sarei paralizzato. Le o o persone che riesce a vedere sono
p p
immobilizzate. Non semplicemente immobili, immobilizzate. Dean
sembra un modellino a grandezza naturale di Dean, ha in mano un
fazzole o macchiato di sangue vicino al volto di Jasper. Mi sanguina
il naso. Griff è in piedi alle spalle di Dean. Luisa, che stringe il polso a
Jasper, è rigida come una foto. La ragazza di Howie è bloccata in uno
starnuto. Howie Stoker ha un dito nel naso. Levon e Max sembrano
discutere con uno sconosciuto dai capelli arruffati che regge una
siringa. Un medico? A Jasper viene in mente L’esperimento su un
uccello nella pompa pneumatica di Joseph Wright. Posso ancora ricordare
e ho ancora accesso ai fa i. I rumori della sala filtrano nel camerino. Il
tempo si è fermato qui dentro, non di là, però. Jasper ricorda di essere
crollato sul palco alla fine di «Sound Mind». Ricorda le dune. Il
Crepuscolo. Sono morto. Come mai sono di nuovo qui? Qualcosa mi ha
riportato indietro. Dov’è Toc-Toc? È ancora nella mia mente. Cosa può aver
paralizzato o o persone?
***
Gli scorre accanto una serie ininterro a di visioni del suo recente
passato. È come se le stesse guardando da un treno immaginario,
sfrecciando fra immagini ne e e gallerie nebulose. Ecco la band che
sale sull’aereo a Heathrow per volare a New York. Ecco Dean che si
confronta con Guus de Zoet e Maarten. Ecco la band ai Fungus Hut
che discute della parte vocale di «Absent Friend». Della maggior
parte di quelle scene si è scordato perfino di essersene scordato. Ecco
il trambusto e gli odori del mercato di Berwick Street, a poca
distanza dalla casa di Elf. Ecco quell’auto sportiva, una Triumph
rosso ciliegia, che supera la Belva su una collina costeggiata da
fru eti. Ecco la sua audizione per suonare negli Archie Kinnock’s
Blues Cadillac due Natali prima.
I ricordi che si intravedono da questo treno che sfreccia a ritroso
nella memoria sono intrisi di odore, sapore, consistenza e atmosfere.
Ecco la sala da pranzo al sanatorio di Rijksdorp, con il suo aroma di
minestra e di aringa. Jasper non appare mai. Una macchina fotografica
non può fotografare se stessa… ecce o che negli specchi, e io li evito. Dopo
aver raggiunto Rijksdorp i ricordi rallentano. Giorni e no i si
avvicendano, luce e buio pulsano come una lampada stroboscopica
al rallentatore. Ecco la stanza di Jasper in cima alla clinica. Un gufo
bubola. I raggi solari divampano lungo il soffi o come un brivido.
gg p g
Benigno all’esterno, maligno all’interno. Il Mongolo gli sta descrivendo
come ha fermato Toc-Toc. È la barriera cauterizzante che ho ritagliato
intorno al tuo inquilino. La sua cella, se ti suona meglio. Poi c’è una lenta
macchia indistinta. La ma inata regredisce all’oscurità e al nulla…
finché s’illumina la sera precedente, quando il Mongolo gli aveva
spiegato come sarebbe riuscito a isolare Toc-Toc e a garantirgli
qualche anno di pace. Adesso è il turno del giorno che precede
quella sera. Il giorno dell’episodio sulla costa, quando il Mongolo gli
si è presentato mentre si trovava immerso sino ai fianchi con uno
zaino pieno di sassi nel Mare del Nord… Dopodiché il treno della
memoria riacquista velocità e viaggia all’indietro a raverso i mesi in
cui Jasper era un paziente psichiatrico, ci sono le lezioni di chitarra,
compare spesso il do or Galavazi…
***
Elf, Dean, Griff e Levon sono seduti al ristorante alle prese con
una colazione spagnola.
«Chi si vede», dice Griff. «È arrivato Porta Guai.»
«C’erano un sacco di altri modi per non concedere un bis…» dice
Elf.
«Ti sei guadagnato una critica discreta, tu o sommato.» Dean
solleva una copia del New York Star. «A quanto pare, sei collassato
per via di…» cerca la riga giusta «…incandescente genio creativo.
Chi l’avrebbe de o?»
Levon si alza da tavola e gli stringe le spalle. «Mi sono svegliato e
ho pensato: Merda, non ho neanche il nome della clinica! Poi è
squillato il telefono ed era il do or… Marino che mi ha de o che era
tu o a posto. Sono davvero felice che non sia niente di grave.»
«È indistru ibile, il nostro Jasper», dice Dean. «Probabilmente è
immortale, ma non lo dice a nessuno.»
«Cos’è esa amente uno ‘squilibrio endocrino’?» chiede Elf.
«Elf», interviene Dean, «lascialo respirare un po’ questo povero
ragazzo. Jasper, amico, siediti. Prendi un po’ di caffè. Allora, come ti
senti?»
Da adesso in poi, decide Jasper, sarò uno studioso di sensazioni.
«Mi sento…» Guarda gli amici. «Come se la mia vita stesse
iniziando.
a. Segnatempo.
b. Domani ho sentito bussare alla porta – / Una porta che prima di allora non sarà lì – / Non
potevo dire se fosse criminale, / Non sapevo se fosse subliminale, così…
c. Ho aperto e Nessuno ha parlato, / «Sei diventato uno scherzo serio, figliolo; / La cara
vecchia salute ti ha abbandonato – / La triste verità è questa, non sei sano di mente.»
The Third Planet Lato B
•
***
***
***
Il gruppo, Levon e Mecca aspe ano sulle scale che conducono giù
sul palco. Il Troubadour è strapieno, ci sono il doppio delle persone
che può contenere. Il fumo è denso. A Dean il colpo di coca sta
scendendo, ma si sente ancora praticamente indistru ibile. «Al
Troubadour», dice sul palco Doug Weston, «siamo sempre stati
orgogliosi di presentare alla nostra Ci à degli Angeli Caduti i talenti
inglesi più interessanti. Gli Utopia Avenue suoneranno qui per
l’ultima volta dopo un tour in-di-men-ti-ca-bi-le. Quel che è certo,
dannazione, è che Randy Thorn non se ne dimenticherà tanto
presto.» Risate ed evviva arrivano fino in cima alle scale. Dean
stringe la mano a Elf ed Elf stringe la sua. «Ma so che suoneranno
ancora al Troubadour molto presto perché…»
«Gli hai fa o firmare con il sangue un pa o per tornare qui e fare
vent’anni di concerti?» grida uno scocciatore.
Doug si preme una mano sul cuore ferito. «Perché hanno un
futuro strabiliante. Quindi, senza perdere altro tempo…» Si volta a
guardare la band sulle scale. «…Gli Utopia Avenue!»
Da martedì, gli applausi sono aumentati, dal gorgoglio basso che
erano sono diventati un ruggito mescolato a grida. Dean e Doug,
incrociandosi, si scambiano una pacca sulla spalla. «Stendili», gli
sussurra Doug in un orecchio. La band si dispone sul palco. Dean
guarda la sala scura con le pareti di ma oni a vista. È piena di occhi
scintillanti e pensa: Sono tu i qui a vederti perché stasera a Los
Angeles niente è meglio di te. Riceve un cenno d’assenso da Elf, Griff
e Jasper, si avvicina al microfono e si riempie i polmoni:
Fino a non molto tempo prima, in quel punto Griff ba eva qua ro
volte sul bordo della ba eria, ma nell’ultimo mese si sono talmente
affiatati musicalmente che non lo fa più. Dean è così preoccupato di
p p p
non entrare al momento giusto ed è così scombussolato per la
cocaina che parte mezza ba uta prima del previsto. Continuo a fare
cilecca, a girare a vuoto. Gli altri si sforzano di recuperare:
«Se ti salgo sulle spalle», dice Bolívar dopo qualche passo, «Dee
Dee o Ben potrebbero vedermi.» Dean lo solleva. Bolívar gli preme le
mani sulla testa come un guaritore. Farebbe meglio a fidarsi meno di
chi non conosce, pensa Dean. Adesso che è stato scelto, però, è
determinato a non mollare il bambino. Dall’interno dell’area, gli
accordi di chitarra incrociano i propri echi. Donne che prendono il
sole sulle coperte. Adolescenti seduti a fumare. Coppie che si
sbaciucchiano. Famiglie che mangiano all’ombra delle tende.
Ragazze con la faccia dipinta. Una donna alla a suo figlio al seno
come se niente fosse. A Hyde Park non vedi niente del genere. Clown sui
trampoli che pa ugliano la zona. Ragazzi che strimpellano chitarre.
Ehi, questa musica la conosco… Stanno cercando gli accordi di «Roll
Away the Stone». Litigano su un Re che potrebbe essere un Re
minore. Lasciamoglielo scoprire da soli, pensa Dean. Io ho dovuto
fare così.
«Quanti anni hai?» chiede Bolívar.
«Ventiqua ro. E tu?»
«O ocentoo o.»
«Accidenti. Scomme o che usi una crema per il viso.»
«Sei di Londra, Dean?»
«Sì. Come fai a saperlo?»
«Parli come lo spazzacamino di Mary Poppins.»
«Dalle mie parti anche voi sembrate buffi.»
Una mischia di bambini scalmanati li supera di corsa, strillando.
«Sei un papà?» gli domanda Bolívar.
«Ehi, guarda quel tizio che fa gli animali con i palloncini.»
«Hai qualche figlio?»
Furbo come una volpe. «La giuria deve ancora decidere se ne ho
uno.»
«Come mai non sai se hai figli o no?»
«Motivi da grandi.»
Bolívar si bilancia sulle sue spalle. «Hai fa o sesso con una
signora che ha avuto un bambino, però non sai se il bambino è
cresciuto dal seme che tu le hai messo nell’utero o da quello di un
altro… è così?»
Ma porca pu ana. Dean gira la testa per guardare Bolívar.
Il bambino ha un’espressione trionfante sul volto.
«Come fai a saperlo? Come puoi sapere una cosa simile?»
«È un’ipotesi plausibile.»
«Dio, se crescete alla svelta in America.» Dean procede verso la
bandiera blu. Un biplano trascina nel cielo quasi senza nuvole uno
striscione pubblicitario che recita: HAI SETE? ACCHIAPPA UNA COCA!
«Perché non vuoi essere un papà?» chiede Bolívar.
«Perché tanti perché?»
«Perché tu non chiedi mai perché, invece?»
«Perché sono un adulto. E perché dà proprio fastidio, cazzo.»
«Se tu appartenessi alla mia famiglia, dovresti me ere un quarto
di dollaro nel Bara olo del Turpiloquio», dice il bambino. «Mamma
ha iniziato a tenerlo perché non vuole farmi crescere in una fogna.
Dicevamo, perché non vuoi essere un papà?»
«Cosa ti fa pensare che non lo voglio?»
«Quando tiro fuori l’argomento, cambi discorso.»
Dean si ferma, lascia passare un venditore di cocomeri con il suo
carre o. «Credo… di avere paura di diventare un padre che non
vorrei come padre.»
Bolívar gli dà una pacca sulla testa, come a dire: Là, là.
Mick Jagger ha rivelato a Dean che la parte più dura del suo
lavoro è cantare «Satisfaction» per la cinquemillesima volta come se
l’avesse scri a un’ora prima, ma per quella sera il rischio che «Roll
Away the Stone» risulti fiacca non c’è. La quantità di pubblico
acuisce i sensi di Dean. La sua voce esplode dall’impianto di
amplificazione e si sparge nell’universo come la voce di Dio…
Dean si domanda se quella strofa per chi non sa nulla del padre di
Jasper possa avere senso. «Nightwatchman» e «Darkroom» erano già
molto personali, ma non così tanto. Le prime due strofe della nuova
canzone sono nude. Invece che fargli il coro, Elf suona una cascata di
note sospese fra jazz e blues prima della seconda strofa:
a. O o di coppe.
b. L’hai amato ai tropici, / Ti hanno definita «Immorale»; / Mi hai dato la vita e un bacio in
testa, / Poi sei sprofondata fra i coralli. / L’hai amata ai tropici, / Quando l’Europa era in
fiamme. / Io sono la tua indelicatezza, / Porto il tuo nome.
c. Un prete di tanto tempo fa, / Si nascose nel mio albero genealogico. / Passarono
generazioni finché / Il prete non pretese la libertà. / Uno sconosciuto dalla Mongolia, / Mi
ha convinto a non suicidarmi. / Ha murato il prete nella mia mente, / E mi ha concesso
altri cinque anni per nascondermi.
d. Un bru o giorno, il prete murato / È saltato fuori dal passato – / Al Chelsea Hotel mi sono
fa o un viaggio all’Inferno. / Non ero il primo, non sarò l’ultimo. / Uno psicochirurgo per
i dannati, / Un riparo nella tempesta – / Se non fosse stato per Marinus di Tiro, / Non
sarei qui a raccontare questa storia.
e. Chi devo dire che sta chiamando? / Chi devo dire che sta chiamando? / Chiede ora un
fantasma a un futuro fantasma, / «Chi devo dire che sta chiamando?»
The Narrow Road to the Far West a
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Nel se embre del 1968 andammo a New York per la nostra prima
e unica serie di concerti americani. L’inno di Dean, «Roll Away the
Stone», era stato un piccolo successo dell’estate su entrambe le
sponde dell’Atlantico, e Stuff of Life, il nostro secondo LP, bussava già
alla Top 20 di Billboard 100. La nostra casa discografica americana
organizzò un breve tour nella speranza di spalancarci quella porta.
Dopo qua ro serate al Ghepardo di New York e una serie d’interviste,
volammo a Los Angeles per alcune esibizioni al leggendario
g p gg
Troubadour e un’apparizione nel non altre anto leggendario show
televisivo Randy Thorn Goes Pop! Due giorni dopo, suonammo al
Golden State International Pop Festival nel bucolico Knowland Park,
dopodiché vennero rapidamente organizzati altri concerti a
Portland, Sea le, Vancouver e Chicago. Per qua ro ragazzi britannici
nati negli anni Quaranta e cresciuti con i fru i proibiti della musica
americana, quel viaggio più che l’essenza della vita fu l’essenza di un
sogno.
Sogni di trasformazione ai tempi. Il 1968 vibrava di ideali. Il
futuro sembrava plasmabile. Una sensazione simile non si sarebbe
riproposta fino alle rivoluzioni del 1989, alla Primavera araba e
probabilmente a #MeToo e agli a ivisti per il clima dei giorni nostri.
Gli Utopia Avenue non erano propriamente una band politica, ma
l’estate di disordini che fecero seguito all’assassinio di Martin Luther
King, il crescente numero di vi ime in Vietnam e le violenze della
polizia durante il Congresso dei Democratici a Chicago diffuse da
ogni televisione della nazione, riempivano sia i diba iti pubblici sia
quelli privati. Il movimento pacifista iniziava a fare proseliti anche al
di fuori delle enclave più radicali o hippie. In quell’atmosfera politica
tanto surriscaldata pochi restavano indifferenti. Mi ricordo di
quando Jerry Garcia nella sua cucina ci disse: «Nel 1966 qualsiasi
cosa uno desiderasse diventava realtà». Ma nel 1968 anche quello
che uno non desiderava per niente diventava realtà.
In quel contesto effervescente, i qua ro ragazzi che eravamo ai
tempi si aprirono a modi di pensare e di vivere del tu o nuovi. Il
mio lungo percorso per acce are pienamente la mia sessualità fece
un notevole passo avanti durante il nostro soggiorno al Chelsea Hotel.
Jasper stava esorcizzando in solitudine alcuni vecchi demoni, e le
parole che scrisse Dean durante quelle due se imane e mezza
parlano di una ridefinizione sismica di se stesso. Musicalmente, il
periodo rappresentò un salto quantico per tu i noi. L’America ci si
era offerta come un buffet musicale all-you-can-eat. Incontrammo
artisti come noi, potenti, eroi, ca ivi. Ricordo le chiacchierate con
Leonard Cohen sulla poesia, con Janis Joplin e Mama Cass Elliot
sulla tecnica vocale e la coloratura, con Frank Zappa sulla satira e
sulla fama, con Jackson Browne ancora ragazzino sul finger picking,
g g p g
sempre con Janis Joplin sull’affermarsi delle donne in un se ore
gestito da e per gli uomini, con Jerry Garcia sulla poliritmia, e con
Crosby, Stills e Nash non ancora so o contra o sull’armonia. Nessun
giovane cantautore sarebbe potuto uscire immutato da un ambiente
simile. E quale giovane cantautore lo avrebbe voluto, d’altra parte?
Fra un concerto e l’altro, io, Jasper e Dean lavoravamo sul nuovo
materiale in hotel o in aereo, oltre che nei Gold Star Studios di Los
Angeles e nei Turk Street Studios di San Francisco. Ci stimolavamo a
vicenda. Io pensavo: Be’, se Jasper ha inserito le campane tubolari in
«Timepiece», allora io un sitar in «What’s Inside What’s Inside» ce lo
me o eccome. Ricordo che durante la sessione in cui abbiamo
registrato «I’m a Stranger Here Myself», Dean mi disse: «Okay,
Holloway, vedo il tuo dulcimer e rilancio con un clavicembalo. In
5/4. Ba i questo!» I risultati avrebbero potuto essere disastrosi, certo,
ma nel nostro tour americano una sorta di spirito di corpo ci
spronava tu i a lavorare come un sol uomo per realizzare le nostre
folli idee. Non si può so ovalutare il ruolo di Griff. Sapeva seguire la
musica, e quando arrivava dove lei voleva condurlo, con lui il ritmo
faceva le fusa. Un gruppo è tale proprio perché è più grande della
somma delle sue parti. Che senso avrebbe perderci tempo,
altrimenti? La ma ina del 12 o obre 1968, io e Jasper avevamo già
definito l’ossatura di due canzoni nuove ciascuno, mentre una
canzone che inizialmente Dean aveva scri o per una colonna sonora,
si era espansa come un fra ale in un capolavoro incompiuto in tre
parti.
Jasper: Ce li ho.
Io: Anch’io sono felice di vederti, Jasper.
Jasper: Sono felice di vederti, d’accordo, ma ce li ho.
Io: Hai che cosa?
Jasper: (Sollevando un MacBook come un esorcista brandirebbe una
Bibbia) I nostri pezzi. Sono qui.
Io: I nostri dischi? Ce li ho anch’io. Quindi?
Jasper: No, Elf, parlo delle canzoni andate perdute. Le sessioni
californiane. Su hard disk. Le ho sentite. Siamo noi. Qui.
Io: (Una specie di rantolo)
Mia Buonasera, Jasper, accomodati. Elf, chiuderesti la porta, per
moglie: favore, prima che tu e le falene del circondario si uniscano
alla festa?
Jasper entrò in casa e mi spiegò che all’inizio dell’anno, in un
mercatino delle pulci di Honolulu, era saltata fuori una valigia con
dodici bobine delle nostre sessioni a Los Angeles e a San Francisco.
Com’erano scampate all’incendio di Turk Street? Questo nessuno lo
sapeva. I nastri si erano conservati per caso, grazie a un furto, per un
errore nell’archiviazione, per intervento divino? Nessuno riusciva a
spiegarselo. Come e quando ci era arrivata quella valigia alle
Hawaii? Un altro mistero. Una cosa però era certa. Un ragazzo di
nome Adam Murphy in luna di miele a Oahu, aveva comprato i
nastri in un mercatino. Adam, che ha un blog che si chiama
«Heritage Audiophile», era in possesso di due elementi cruciali per
questa storia. Il primo era un registratore a bobine Grundig datato
1966 in grado di suonare nastri BASF e TDK del 1965. Il secondo era
il buonsenso, che lo indusse a passare i nastri a raverso un
convertitore digitale la prima volta in cui li ascoltò, così da
ca urarne il suono per i posteri casomai fossero andati in briciole.
Cosa che successe almeno alla metà di loro. Sia messo agli a i che
senza la lungimiranza di Adam Murphy non stareste leggendo
queste righe.
Una volta salvata la musica, Heritage Audiophile si apprestò a
identificare gli artisti. Poco tempo dopo, Jasper riceve e la telefonata
di uno sconosciuto con una notizia decisamente speciale…
Ma, tornando a quella sera nella mia cucina, Jasper collegò via
bluetooth il suo Mac alle mie casse, preme e PLAY ed eccoci lì: Dean,
Jasper, Griff e io, a ventitré-ventiqua ro anni, che suoniamo,
cantiamo, incidiamo. Parlare di «vertigine temporale» sarebbe
ridu ivo. Ecco la mia canzone d’amore newyorchese, «Chelsea Hotel
#939», lo psicodramma blueseggiante di Jasper, «Timepiece», e pezzi
della trilogia musicale di Dean, «The Narrow Road». Non capita tu i
i giorni di sentir suonare la versione più giovane di te stessa insieme
a un amico morto da tempo e che da tempo ti manca. Emotivamente,
ero rido a in gelatina.
Dopodiché Jasper, mia moglie e io ci sedemmo al tavolo. Fuori
bubolavano i gufi e latravano le volpi. Alla fine, riuscii a ritrovare la
voce. «Incredibile, ora però cosa facciamo?»
«Facciamo il nostro terzo disco», mi rispose Jasper.
Quel fine se imana lo passammo nel mio studio in giardino a
esaminare tu e e nove le ore di registrazione. Il materiale poteva
essere suddiviso in «quasi finito», «può migliorare» e «abbozzato».
La qualità del suono era altalenante. Nei nastri di Los Angeles
c’erano più sibili che nelle registrazioni di Turk Street. Per fortuna,
Dean si era messo seriamente al lavoro su «The Narrow Road» solo a
San Francisco, quindi la sua voce insostituibile risultava limpida a
sufficienza. Le tracce erano già nella sequenza giusta. Le mie due
canzoni e le due di Jasper, concepite a New York e/o ispirate da New
York e dal Chelsea Hotel, erano ada e per ciò che gli amanti dei vinili
considerano il lato A di un disco. La trilogia «The Narrow Road» di
Dean, che inizialmente doveva essere una probabile colonna sonora
per un film di Anthony Hershey mai realizzato, era una sequenza
ininterro a di musica. La sua destinazione logica era l’intero lato B.
«I’m Stranger Here Myself» e «Eight of Cups» si collocavano fra il
«quasi finito» e il «può migliorare», mentre il terzo pezzo, «The
Narrow Road to the Far West» era una traccia di basso ipnotica e
scheletrica di o o minuti. Avevamo intenzione di lavorare su quella
la ma ina in cui spararono a Dean. Mentre io e Jasper discutevamo
su che cosa fare con «The Narrow Road», ci sorse un dubbio: era
nostro dovere realizzare il disco come lo avremmo fa o nell’inverno
fra il ’68 e il ’69, come se Dean fosse stato vivo? Oppure avremmo
dovuto usare i nastri come materiale grezzo per il disco che io e
Jasper avremmo voluto fare in quel momento, nel 2019? Che cosa
eravamo? Restauratori puristi o creatori postmoderni?
Dopo tentativi ed errori, alla fine si è imposto un principio guida.
Con quel materiale, io e Jasper ci siamo sentiti liberi di fare qualsiasi
cosa volessimo, a pa o di non sfru are la tecnologia musicale post-
1968. Sì, dunque, al mandolino in «Who Shall I Say Is Calling» e alle
armonizzazioni vocali della vecchia Elf con la giovane Elf in «What’s
Inside What’s Inside». Ma niente campionamenti, Auto-Tune, rap
(come se fosse possibile) e loops. Ho barato solo impostando il mio
Fairlight in modo che riproducesse il suono del vecchio organo
Hammond. Griff si è unito a noi qualche giorno per registrare nuove
q g p g
percussioni da sovrapporre o per sostituire le tracce originali di
ba eria quando il suono non era soddisfacente. Arthur – ormai
abbastanza vecchio da poter essere il padre di suo padre – ha
eseguito le linee di basso con una vecchia Fender di Dean e ha
bu ato giù alcune armonie appassionate per «Eight of Cups». Levon
ci ha raggiunto per tappare un buco a forma di Levon
nell’organizzazione, e Mecca Rohmer, la fotografa che si era
occupata dei nostri primi sca i promozionali nel marzo del 1967, ha
documentato la breve resurrezione degli Utopia Avenue per i
posteri.
Ma perché The Third Planet? Il titolo provvisorio del proge o era
The California Sessions, ma quando Arthur è venuto a trovarci aveva
con sé il taccuino trovato addosso a Dean il giorno della sua morte.
Le ultime parole, tu e sole su una pagina, sono The Third Planet. Che
cosa ci avesse visto Dean possiamo solo immaginarlo, però ci hanno
colpito. Erano il titolo più ada o per il terzo e ultimo LP degli
Utopia Avenue.
Dean, le ultime parole sono tue.
Elf,
Kilcrannóg, 2020
Ringraziamenti
•
•
I testi brevemente citati nel romanzo appartengono alle seguenti
canzoni:
«Art for Arts Sake’ scri a da Eric Stewart and Graham Gouldman;
«House of the Rising Sun» di Alan Price; «A Day in the Life» di John
Lennon e Paul McCartney; «Life’s Greatest Fool» di Gene Clark; «It
Ain’t Necessarily So» di Dorothy Heyward, Du Bose Heyward,
George Gershwin e Ira Gershwin; «Just Like a Woman» e «Sad Eyed
Lady of the Lowlands» di Bob Dylan; «Chelsea Hotel #2» e «Who by
Fire» di Leonard Cohen; «I’ve Changed My Plea to Guilty» di Steven
Morrissey e Mark Edward Cascian Nevin; «Chelsea Morning» di
Joni Mitchell; «These Days» di Jackson Browne; «The Partisan» di Hy
Zaret e Anna Marly; «Guinevere» di David Crosby; e «Mercy Street»
di Peter Gabriel.
«For Free» di Joni Mitchell viene sentita di sfuggita quando è
ancora in corso di lavorazione, dunque non corrisponde alla
versione incisa su disco.
«Have You Got It Yet?» è una canzone/scherzo di Syd Barre del
1967, incompiuta e inedita.
Gli appassionati di musica coglieranno gli anacronismi dei testi,
ma immagino che saranno d’accordo nel considerare la musica senza
tempo.
Questo ebook contiene materiale prote o da copyright e non può essere copiato,
riprodo o, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o
utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente
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I versi tra i da Slough di John Betjeman sono riprodo i per gentile concessione di John
Murray Publishers, un marchio di Hodder and Stoughton Limited. © 2006 John
Betjeman.
I personaggi di questo romanzo sono fi izi e qualsiasi somiglianza a persone reali,
esistenti o esistite, è puramente casuale.
www.edizionifrassinelli.it
www.facebook.com/EdizioniFrassinelli
Utopia Avenue
di David Mitchell
© 2021 Mondadori Libri S.p.A., Milano
Copyright © 2020 by David Mitchell
Pubblicato per Frassinelli da Mondadori Libri S.p.A.
Ebook ISBN 9788892740686
Copertina
L’immagine
Il libro
L’autore
Frontespizio
Paradise Is the Road to Paradise Lato A
1. Abandon Hope (Moss)
2. A Raft and a River (Holloway)
3. Darkroom (De Zoet)
4. Smithereens (Moss)
5. Mona Lisa Sings the Blues (Holloway)
Paradise Is the Road to Paradise Lato B
1. 1. Wedding Presence (De Zoet)
2. 2. Purple Flames (Moss)
3. 3. Unexpectedly (Holloway)
4. 4. The Prize (De Zoet)
Stuff of Life Lato A
1. The Hook (Moss)
2. Last Supper (Griffin-Holloway)
3. Builders (Musica: Utopia Avenue – Parole: Frankland)
4. Prove It (Holloway)45tg
Stuff of Life Lato B
5. 1. Nightwatchman (De Zoet)
6. 2. Roll Away the Stone (Moss)
7. 3. Even the Bluebells (Holloway)
8. 4. Sound Mind (De Zoet)
9. 5. Look Who It Isn’t (Moss)
The Third Planet Lato A
1. Chelsea Hotel #939 (Holloway)
2. Who Shall I Say Is Calling (De Zoet)
3. What’s Inside What’s Inside (Holloway)
4. Timepiece (De Zoet)
The Third Planet Lato B
1. I’m a Stranger Here Myself (Moss)
2. Eight of Cups (Moss)
3. The Narrow Road to the Far West (Moss)
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