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Alessandro Barbero

Vassallaggio e beneficio

1. L'impero di Carlo Magno, fondato con l'incoronazione della notte di


Natale dell'anno 800, ma in realtà nato dalle guerre di conquista che avevano
allargato a dismisura la dominazione del re franco, rappresenta l'estremo
tentativo di ridare vita all'impero romano d'Occidente. A quell'epoca, tuttavia,
ben poco era rimasto in piedi delle strutture di governo che i primi re germanici
avevano ereditato dall'impero. L'imperatore governava bensì le province
mediante suoi rappresentanti, che portavano ancora il nome tardo-antico di
comites (i conti, cioè, da cui il nome di comitatus dato alle circoscrizioni che
essi governavano), e con l'attiva collaborazione dei vescovi; ma la capacità di
amministrare ordinatamente la fiscalità, la giustizia e i possedimenti demaniali,
fornendo rendiconti scritti, era ridotta al minimo, così come quasi scomparsa,
prima degli sforzi di Carlo Magno, era la capacità di leggere e scrivere in un
latino corretto. In queste condizioni, l'amministrazione di un impero che
comprendeva gran parte dell'Europa occidentale, e dove le comunicazioni
erano per giunta piuttosto precarie, risultò possibile soltanto con l'impiego
sistematico di rapporti di fedeltà personale, di natura clientelare. E' qui il
nocciolo di quello che gli storici chiameranno poi sistema feudale, anche se
questa è un'espressione che sarebbe meglio evitare, sia perché il termine
feudo è troppo spesso usato a sproposito, sia perché di sistematico, soprattutto
all'inizio, c'era ben poco.

2. Come mai proprio le fedeltà personali, che con termine tecnico


chiamiamo rapporti vassallatici, assunsero tanta importanza nella società
medievale? Va detto che in ogni società, compresa la nostra, esistono rapporti
clientelari; tuttavia nel mondo romano e in quello germanico, dal cui incontro
nacque l'Europa medievale, quei rapporti erano immensamente più sviluppati
rispetto a ciò che accade oggi. Si pensi soltanto che fra i Romani, come fra i
Germani, una porzione non trascurabile della popolazione era composta da
schiavi, gente cioè che apparteneva fisicamente a un padrone! Ma anche
quando uno schiavo veniva liberato, ciò non troncava quasi mai il suo rapporto
di dipendenza dal padrone, che semplicemente cambiava coloritura: nella
società romana, come nei regni romano-germanici, i liberti, o aldii,
rappresentavano una percentuale molto ampia della popolazione, e sotto
diversi aspetti restavano vincolati al padrone, benché giuridicamente liberi.
Il vassallaggio nasce però da una forma specifica di dipendenza
personale; non quella degli schiavi e neppure quella dei liberti, che si
trasmettevano di padre in figlio, bensì da quei rapporti di fedeltà vitalizia,
volontariamente istituiti, che collegavano uomini liberi, e che in passato
avevano avuto una coloritura soprattutto politica presso i Romani, e soprattutto
militare presso i Germani. Nel mondo romano, infatti, un politico di successo
doveva disporre di una cerchia di sostenitori che avevano legato il proprio
destino al suo: dai senatori disposti a votare secondo le sue indicazioni, fino ai
clientes, i poveracci che si raccomandavano al patrono, e ogni mattina si
radunavano nel cortile della sua casa per ricevere del denaro o una sporta di
roba da mangiare. Nel mondo germanico, d'altra parte, Tacito ci informa che
ogni capo era circondato da una squadra di guerrieri che gli avevano giurato
fedeltà, la trustis: un nome in cui ritroviamo la radice del verbo inglese to trust,
che vuol dire appunto confidare, aver fede.
Nel mondo romano-barbarico entrambe queste tradizioni sono ancora
ben vive. All'inizio dell'VIII secolo, un manoscritto ci ha tramandato la formula
con cui ci si raccomandava alla protezione di un patrono:

"Poiché è noto a tutti che io non ho da mangiare e da vestirmi, ho chiesto alla

vostra pietà, e ho deciso di mia spontanea volontà, di consegnarmi e raccomandarmi al

vostro mundeburdio; e così ho fatto, in mdo tale che dobbiate aiutarmi e soddisfarmi per

il vitto e il vestiario, per quanto potrò servirvi e meritarlo; e finché vivrò, dovrò prestarvi

servizio e ossequio al modo d'un uomo libero, e per tutto il tempo della mia vita non

potrò sottrarmi alla vostra potestà o mundeburdio"i.

Sono già evidenti in questa formula quelli che saranno poi i tratti del
vassallaggio: un impegno volontario, cioè, di servizio in cambio di protezione, e,
ciò che più conta, un impegno per tutta la vita. S'intende che quel servizio, in
una società guerriera come quella romano-germanica, era per lo più di natura
militare, e l'impegno di fedeltà poteva legare anche uomini di condizione sociale
ben più elevata, in piena continuità con la tradizione della trustis. Un altro
formulario ci mostra appunto il certificato, per così dire, rilasciato dal re franco
al guerriero che entrava nella sua trustis, diventando un antrustione:

"E' giusto che quanti ci offrono una fedeltà illimitata siano protetti da noi. E poiché

il Tale, fedele nostro con l'aiuto di Dio, venendo qui nel nostro palazzo con le sue armi

ha giurato nelle nostre mani trustis e fedeltà, con la presente ordiniamo che d'ora in poi il

suddetto sia contato nel numero degli antrustioni; e se qualcuno oserà ucciderlo, sappia
di dover pagare per il suo guidrigildo seicento soldi"ii.
Appare qui molto chiaramente un altro aspetto che prefigura il
vassallaggio, e cioè il carattere tutt'altro che umiliante, anzi onorifico della
dipendenza volontariamente accettata nei confronti di un uomo potente, o,
come qui, addirittura del re: una dipendenza giurata con le armi in pugno e che
si traduce in un privilegio di fronte alla legge, in questo caso un aumento del
guidrigildo.

3. Gli esempi citati mostrano che già prima di Carlo Magno i rapporti che
noi definiamo clientelari avevano assunto una connotazione unica rispetto, ad
esempio, alla nostra epoca: non si trattava, come avviene oggi, di una realtà
estesa ma sotterranea, tacitamente tollerata ma giudicata, tutto sommato, poco
edificante. La dipendenza da una persona influente era pubblicamente
ostentata, e sancita da un atto giuridico, sia pure soltanto orale, che vincolava
per tutta la vita. La scarsa capacità d'azione di amministrazioni come quella del
re franco, del tutto incapaci di assicurare l'ordine pubblico, di tutelare
efficacemente la vita e la proprietà delle persone, o di dar da mangiare alla
gente in caso di carestia, come sapeva fare invece l'impero romano, spiega
perché molti preferissero porsi sotto la protezione privata d'un potente; o
magari anche sotto quella del re, ma in forma personale e anche qui, per così
dire, privata, con l'esplicita condizione che di quanti gli avevano giurato
personalmente fedeltà il re si sarebbe preso cura più che degli altri suoi sudditi.
La crescente importanza di questi rapporti clientelari fa sì che, sotto i
primi Carolingi, si affermino in quest'ambito una terminologia e un rituale
precisi, e giuridicamente vincolanti. L'uomo che prende sotto la sua protezione
altri uomini, meno potenti di lui, è il senior, cioè letteralmente «il più vecchio»;
ma questa espressione andrà intesa nel senso che assume, colloquialmente, in
molte lingue, cioè «il capo». L'uomo che s'impegna a servire per tutta la vita il
signore è indicato nelle fonti latine semplicemente come homo, il suo uomo; ma
l'esigenza di un termine meno generico porterà poi alla fortuna di un'altra
parola, di origine poco chiara, cioè vassus, vassallo. Infine, il rituale con cui, in
pubblico, l'homo s'inginocchia davanti al signore e metto le mani giunte nelle
sue, per diventare il suo uomo, si chiama proprio per questo homagium,
omaggio; ad esso si aggiunge poi il giuramento di fedeltà, prestato con la mano
sul Vangelo o sulle reliquie. E' importante ribadire che si entra in vassallaggio
spontaneamente, pubblicamente, e che l'impegno così assunto vincola per
sempre l'anima e il corpo, tingendosi d'un'aura religiosa o comunque sacrale.
La gestualità dell'omaggio è sopravvissuta molto a lungo, addirittura fino
a noi. Fa riferimento al gesto di omaggio l'abitudine di pregare inginocchiati e
con le mani giunte, a significare che tutta la fiducia è riposta in Dio.
Nell'antichità, invece, si invocava Dio con le mani aperte e le braccia sollevate,
come si legge anche nella Bibbia; i primi Cristiani pregavano ancora così. Oggi
la preghiera con le braccia levate è propria soltanto del sacerdote quando dice
la messa, che ha mantenuto in molti punti del rito il modo di pregare Jahvè
dell'Antico Testamento; mentre per i fedeli, appellativo che d'altronde è già tutto
un programma, la gestualità del vassallaggio ha sostituito quella della Bibbia.

4. Alla regolamentazione giuridica del vassallaggio contribuì, da Carlo


Magno in poi, la legislazione imperiale, ponendo le basi per quello che
diventerà poi il diritto feudale. Così ad esempio un capitolare carolingio, dopo
aver analizzato le modalità con cui uno schiavo liberato può dimostrare in
tribunale la propria libertà, spinto dall'analogia fra le due situazioni passa a
regolamentare i casi in cui un vassallo può rompere l'impegno di fedeltà che lo
lega al signore:

"Se qualcuno vuol lasciare il suo signore e può comprovare uno di questi delitti:
primo, se il signore avrà voluto ridurlo ingiustamente in schiavitù; secondo, se avrà
tramato contro la sua vita; terzo, se il signore avrà commesso adulterio con la moglie del
vassallo; quarto, se gli correrà addosso con la spada sguainata nell'intento di
ammazzarlo; quinto, se il signore si trova nella possibilità di difendere il vassallo, dopo
che costui avrà raccomandato le proprie mani nelle sue, e non lo fa; in tutti questi casi
sia permesso al vassallo abbandonare il suo signore"iii.

Sotto il regno di Carlo Magno queste dipendenze personali, questi


impegni di fedeltà e di protezione reciproca, che ai nostri occhi hanno un
sapore irresistibilmente mafioso, non soltanto ottennero un formale
riconoscimento legale, ma vennero largamente integrati nella struttura stessa
dell'amministrazione. Carlo nel nominare i suoi funzionari, e cioè innanzitutto i
conti, mandati a governare in suo nome le centinaia di province dell'impero, li
sceglieva di solito fra i suoi vassalli, fra coloro che si erano inginocchiati di
fronte a lui e gli avevano giurato personalmente fedeltà. Benché i vescovi
parlassero ancora, nei loro scritti, di res publica e di interesse collettivo, è
dubbio che quei rozzi guerrieri fossero consapevoli dei propri obblighi in quanto
funzionari pubblici; ma certo s'erano impegnati a servire personalmente lui,
Carlo.
Allo stesso modo, il conte per poter servire aveva bisogno di un gruppo
di uomini di fiducia, da impiegare nel governo della contea che gli era stata
assegnata; era inoltre opportuno che legasse a sé, una volta giunto sul posto, i
notabili locali, i proprietari più influenti, e anche questo collegamento,
vantaggioso per entrambe le parti, avveniva di solito tramite l'omaggio. Così la
tradizione romana delle clientele rimaneva viva, ma, per così dire, in forma
ufficializzata, in quanto l'attività di governo era letteralmente resa possibile solo
per il tramite delle clientele vassallatiche. Ma altrettanto viva era la tradizione
germanica della trustis, giacché dai suoi conti l'imperatore non si aspettava
soltanto che amministrassero la giustizia e raccogliessero le imposte, ma anche
e forse soprattutto che portassero gli uomini a combattere per lui; e i conti, a
loro volta, chiedevano ai propri vassalli innanzitutto d'essere sempre pronti a
partire, bene armati, per accompagnarli in guerra. Perfino a vescovi e abati,
considerati parte integrante dell'amministrazione imperiale, Carlo chiedeva di
mettere degli armati a sua disposizione, come in questa lettera dell'806
all'abate Fulrado:

"Sappi che per quest'anno abbiamo convocato il nostro placito generale nella

Sassonia orientale, sul fiume Bote, nel luogo chiamato Stassfurt. Per cui ti ordiniamo di

trovarti là il 17 giugno al completo con i tuoi uomini bene armati e equipaggiati, con le

armi e gli attrezzi e tutto ciò che serve per la guerra, in vitto e vestiario. Così che ogni

cavaliere abbia scudo e lancia e spada e spada corta, arco e faretra con frecce; e nei

vostri carri bagagli di ogni genere, ovvero razioni per tre mesi a partire da quel giorno,

armi e vestiti per sei mesi"iv.

In altre parole, si dava per scontato che i dignitari ecclesiastici, al pari dei
potenti laici, disponessero di una clientela vassallatica, da mettere
all'occorrenza a disposizione dell'imperatore. Questo, beninteso, accadeva
perché fin dal tempo di Costantino i vescovi erano stati investiti di reponsabilità
di governo, e re e imperatori trovavano ovvio avvalersi della loro
collaborazione; ora, però, siccome chiunque servisse il sovrano era anche, di
regola, un suo vassallo, il rischio concreto era che l'imperatore si abituasse a
concepire anche i prelati come suoi vassalli, al pari dei conti. Qualcuno, si
capisce, protestava: nell'858 Incmaro, arcivescovo di Reims, scrisse a Ludovico
il Germanico per ricordargli che

"le chiese che Dio ci ha affidato non sono da considerare benefici, o comunque

proprietà del re, nel senso ch'egli possa darle o toglierle a suo piacimento e senza

chiedere consiglio, perché tutto ciò che appartiene alla Chiesa è consacrato a Dio. Per

cui chi contesta o toglie qualcosa alla Chiesa, si sa che commette sacrilegio secondo la

Santa Scrittura. E noi, vescovi consacrati al Signore, non siamo uomini che, come i

secolari, possano raccomandarsi a qualcuno in vassallaggio, o prestare in qualsiasi

modo quel giuramento che ci è vietato dall'autorità evangelica, apostolica e canonica" v.

C'è motivo di credere, però, che non tutti i vescovi e gli abati, e ancor
meno gli imperatori, vedessero le cose con altrettanta chiarezza; sicché, ancora
una volta, possiamo capire il trauma provocato dopo il Mille dalla lotta per le
investiture, quando improvvisamente il papato volle troncare il rapporto
privilegiato fra i vescovi e l'imperatore e proibire a quest'ultimo ogni
sorveglianza sulla loro elezione e sul loro operato.

5. Nel testo di Incmaro compare un termine che non abbiamo ancora


illustrato, ma che riveste importanza centrale nel nostro discorso, e cioè
beneficio. Abbiamo fin qui presentato i rapporti vassallatici soltanto sotto
l'angolazione del servizio e della fedeltà dovuti dal vassallo, in cambio di
appoggio e protezione; ma in realtà la rimunerazione che il vassallo chiedeva al
suo signore assumeva spesso una forma più tangibile. Il re, i conti, i vescovi e
gli abati disponevano di immense proprietà fondiarie, ed era frequente che i
vassalli chiedessero di poter beneficiare anch'essi di quelle ricchezze. La
ricompensa per la loro fedeltà poteva assumere la forma di una donazione, ma
non nel caso nel caso di vescovi e abati: le terre della Chiesa, infatti, vincolate
dalle ultime volontà dei donatori, erano per legge inalienabili. Si escogitò perciò
una forma di cessione temporanea, detta precaria: su preghiera del vassallo,
da cui il nome dell'atto, il signore acconsentiva a cedergli i possedimenti in
questione, per tutta la vita, e in cambio di un affitto ridotto o addirittura
simbolico. Ecco un esempio di concessione precaria in un documento del 943:

"Sappiano tutti i figli della chiesa di Mâcon, presenti e futuri, che trovandosi il

vescovo Maimbodo a Mâcon, nella basilica del santo martire Vincenzo, venne alla sua

presenza un nobile, di nome Aicardo, pregando che si degnasse di attribuirgli una terra

del predetto martire san Vincenzo, situata nella contea di Forez, nel villaggio detto

Artidunus; in modo tale che tutto ciò che lì appartiene a san Vincenzo, possa tenerlo per

tutta la vita, e per la vita di sua moglie Aremburga, e del loro nipote Adroldo, figlio di

Ragemberto. E il vescovo Maimbodo, dietro consiglio dei suoi fedeli, gli concesse ciò

che umilmente aveva richiesto, e cioè la terra suddetta, in modo che finché questi tre

vivranno possano tenerla e possederla, per un censo di due soldi da pagare il giorno del

suddetto san Vincenzo"vi.

Questa, dunque, era la precaria, il cui nome non a caso è rimasto nella
nostra lingua, in forma di aggettivo, a indicare qualcosa di transitorio e non
definitivo. Ma già a questa data la forma più frequente con cui un signore
ricompensava i suoi vassalli era un'altra, giuridicamente nuova di zecca,
benché derivata in qualche modo dalla precaria. Era il beneficio, che più tardi si
chiamerà feudo: una concessione che, come la precaria, s'intendeva valida per
tutta la vita del vassallo, ma che tecnicamente non si configurava più come un
affitto, giacché la fedeltà al signore era il solo contraccambio richiesto. L'atto
con cui il signore concedeva un beneficio, quasi sempre orale anziché scritto,
ma nondimeno giuridicamente e moralmente vincolante, prese il nome di
investitura.
Nasceva così un istituto giuridico nuovo, e destinato a immensa fortuna
nel Medioevo e oltre; un istituto che poteva essere applicato solo nel contesto
del rapporto vassallatico, tanto che i due elementi, la fedeltà del vassallo
stabilita con l'omaggio, e la ricompensa materiale concessa dal signore per
mezzo dell'investitura, finirono per essere regolarmente accoppiati: sempre più
rari divennero i vassalli che non detenessero un beneficio, sempre più spesso i
benefici ricevuti formarono parte importante della ricchezza del vassallo. E'
attraverso questo sviluppo che l'appartenenza a una clientela, da un lato, e il
possesso di benefici, dall'altro, divennero in misura crescente, fra IX e X secolo,
i connotati salienti di una posizione sociale eminente, insieme al possesso di
armi e cavalli, sempre più precluso, non foss'altro per ragioni economiche, ai
semplici contadini.

6. Su quest'ultimo aspetto è necessario soffermarci, giacché l'importanza


del vassallaggio si accrebbe proprio in seguito alle trasformazioni dell'arte
militare. Si sa che in origine i re germanici convocavano per la guerra l'intera
popolazione maschile: tutti gli uomini liberi, cioè, che si presentavano a piedi e
con le proprie armi, per lo più limitate a una lancia e uno scudo. Ma già prima di
Carlo Magno l'introduzione della staffa e i progressi della metallurgia avevano
consentito a quanti potevano permetterselo di combattere in modo nuovo, e ben
più efficace: a cavallo, con lancia e spada, coperti dall'elmo e dalla cotta di
maglia. Ecco come appare l'esercito di Carlomagno al re Desiderio e ai
Longobardi assediati a Pavia nel 773, nel racconto di un monaco di San Gallo.
Dall'alto di una torre vedono avanzare l'esercito nemico, con le salmerie, la
fanteria, il clero, e infine la cavalleria guidata da Carlo:

"E allora videro il ferreo Carlo, crestato d'un elmo di ferro, alle braccia maniche di
ferro, il ferreo petto e le spalle protetti da una corazza di ferro, una lancia di ferro levata
alta con la sinistra; la destra infatti era sempre tesa verso l'invitta spada; la parte esterna
delle cosce, che gli altri portano senza corazza per salire più facilmente cavallo, in lui
era protetta da lamine di ferro. Nello scudo non appariva altro che ferro. Anche il suo
cavallo per l'animo e il colore splendeva come il ferro. E tutti coloro che lo precedevano,
lo affiancavano o lo seguivano imitavano, secondo le loro possibilità, quello stesso
armamento. Il ferro riempiva i campi e le pianure. I raggi del sole si riflettevano nella
schiera di ferro. Al freddo ferro s'inchinava il popolo, reso dal terrore ancora più freddo;
ed echeggiava il confuso clamore dei cittadini: 'Oh, il ferro! Ohimè, il ferro!'" vii.
Avendo a disposizione questa cavalleria, diventava meno urgente
convocare all'esercito i semplici contadini, col loro armamento primitivo; tanto
più che col passare delle generazioni costoro, come sappiamo, andavano
sempre più spesso a ingrossare le file degli affittuari, dei dipendenti senza
terra, assoggettati ai padroni delle curtes, e dunque non avrebbero potuto
facilmente lasciare i campi del padrone per andare a combattere.
L'evoluzione della tecnica bellica contribuiva insomma a scavare un
solco fra ricchi e poveri; fra chi era in grado di combattere, perché ne aveva i
mezzi, e soprattutto aveva dipendenti che lavoravano per lui, e chi, invece,
dovendo zappare la terra non aveva più il tempo né i mezzi per andare in
guerra. Ma questa evoluzione determinò anche una caratteristica di fondo del
vassallaggio; giacché un potente, un conte ad esempio, che cercava uomini
disposti a giurargli fedeltà li sceglieva di solito fra i proprietari agiati, quelli la cui
influenza locale poteva aiutarlo a governare, e che soprattutto potevano
seguirlo in guerra a cavallo e con armamento completo. Diversamente dalle
forme di raccomandazione rimaste in vita nel corso dell'Alto Medioevo, il
vassallaggio carolingio è insomma, e sarà poi sempre in seguito, un impegno
che può essere assunto soltanto da persone relativamente agiate; e anche
questo spiega le connotazioni onorifiche che esso assume.
La crescente integrazione delle clientele vassallatiche private
nell'esercito imperiale traspare in un capitolare di Carlo Magno che
regolamenta la convocazione dei sudditi alle armi:

"Che ogni uomo libero, il quale possiede e fa lavorare almeno quattro mansi, di

sua proprietà o concessi in beneficio, si equipaggi e parta per l'esercito, o col suo

signore, se quest'ultimo parte, o col suo conte. Fra i vassalli che tengono benefici da un

conte questi sono eccettuati e non debbono pagare la multa se non partono per

l'esercito: due che resteranno con sua moglie e altri due che avranno ordine di restare a

casa per provvedere all'amministrazione e fare il nostro servizio. Invece il vescovo o

l'abate potranno lasciare a casa soltanto due dei vassalli laici che tengono benefici da

loro"viii.

E' chiaro dal tenore di questa ordinanza che soltanto i proprietari agiati,
ormai, sono pienamente tenuti a servire nell'esercito, e che fra costoro molti
sono inquadrati in una clientela vassallatica, alla dipendenza d'un signore che
opera, di fatto, come cinghia di trasmissione della volontà imperiale.

7. C'è ancora un altro aspetto, squisitamente politico, del vassallaggio


che occorre segnalare fin d'ora, per le conseguenze che avrà in seguito. Nel
corso delle loro guerre i sovrani carolingi sottomisero molti popoli, i cui capi, in
più di un caso, accettarono di subordinarsi al re franco e di continuare a
governare in suo nome. Come esprimere giuridicamente questa
subordinazione? Con il vassallaggio, naturalmente, che si dimostrava uno
strumento giuridico tutt'altro che rigido, anzi eccezionalmente flessibile, e utile
per risolvere ogni sorta di difficoltà. Ecco come un cronista racconta la
sottomissione di Tassilone, duca dei Bavari, a Pipino, re dei Franchi, nell'anno
757:

"Il re Pipino tenne il suo placito a Compiègne con i Franchi; e lì venne Tassilone,
duca dei Bavari, a raccomandarsi in vassallaggio con le mani, e prestò molti e
innumerevoli giuramenti, ponendo le mani sulle reliquie dei santi, e promise fedeltà a re
Pipino e ai suoi figli Carlo e Carlomanno, come un vassallo deve fare secondo giustizia,
con animo retto e con ferma devozione, come un vassallo deve essere con i suoi
signori"ix.

Ma se, come sappiamo, ogni vassallo aspirava a ricevere benefici dal


signore, Tassilone non avrà identificato in cuor suo l'autorità di governo sui
Bavari, che Pipino accettava di riconoscergli, appunto con un beneficio? E gli
innumerevoli conti che più tardi servivano Carlo Magno, tutti o quasi scelti fra i
suoi vassalli, non avranno concepito il loro incarico di governo, l'honor come
allora si diceva, alla stregua d'un beneficio? Accadde proprio così. Badiamo a
non fraintendere: nessun conte pensò mai che il territorio e gli abitanti della
contea fossero trasferiti in sua proprietà, per la durata della sua vita. A
costituire, nella mentalità collettiva, un beneficio era l'incarico di governo in sé e
per sé, con tutti i vantaggi che comportava: in fondo, essere nominato conte, o
magari vescovo, era la massima ricompensa che un vassallo dell'imperatore
potesse aspettarsi, ed è dunque ben comprensibile che quell'incarico fosse
assimilato a un beneficio.
In questo senso si può dire che già al tempo di Carlo Magno i rapporti
vassallatico-beneficiari (abituiamoci all'uso di questa formula, più pesante, ma
molto più precisa di termini abusati come «feudalesimo» o «sistema feudale»)
costituivano la struttura portante dell'impero. Formalmente, i conti continuavano
a configurarsi come funzionari pubblici: come governatori provinciali, cioè, non
dissimili da quelli dell'antica Roma. In realtà è probabile che molti di loro si
considerassero innanzitutto fedeli d'un signore, che era, ma avrebbe anche
potuto non essere, il re; e che l'incarico di governo ad essi attribuito fosse
considerato come un premio per la loro fedeltà. Vedremo nel prossimo capitolo
quali gravissime conseguenze ciò abbia provocato, allorché al timone
dell'impero subentrarono a Carlo il debole Ludovico il Pio e, dopo costui, i suoi
litigiosi figli e nipoti.
iIl testo originale è in MGH, Legum sectio V, Formulae, p. 158.
iiOp. cit., p. 55.
iiiMGH, Legum sectio II, Capitularia regum Francorum, I, p. 215.
ivMGH, Legum sectio II, Capitularia regum Francorum, I, p. 168.
vMGH, Legum sectio II, Capitularia regum Francorum, II, p. 439.
viRecueil des chartes de l'abbaye de Cluny, a cura di A. Bernard e A. Bruel, 6 voll.,
Paris 1876-1903, vol. I, p. 598.
viiNotker Balbulo, Gesta Karoli Magni Imperatoris, II, 17, in MGH, Scriptores rerum
Germanicarum in usum scholarum, pp. 83-4.
viiiMGH, Legum sectio II, Capitularia regum Francorum, I, p. 137.
ixIl brano è tratto dagli Annales Regni Francorum, in MGH, Scriptores rerum
Germanicarum in usum scholarum, p. 14.

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