Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Vassallaggio e beneficio
vostro mundeburdio; e così ho fatto, in mdo tale che dobbiate aiutarmi e soddisfarmi per
il vitto e il vestiario, per quanto potrò servirvi e meritarlo; e finché vivrò, dovrò prestarvi
servizio e ossequio al modo d'un uomo libero, e per tutto il tempo della mia vita non
Sono già evidenti in questa formula quelli che saranno poi i tratti del
vassallaggio: un impegno volontario, cioè, di servizio in cambio di protezione, e,
ciò che più conta, un impegno per tutta la vita. S'intende che quel servizio, in
una società guerriera come quella romano-germanica, era per lo più di natura
militare, e l'impegno di fedeltà poteva legare anche uomini di condizione sociale
ben più elevata, in piena continuità con la tradizione della trustis. Un altro
formulario ci mostra appunto il certificato, per così dire, rilasciato dal re franco
al guerriero che entrava nella sua trustis, diventando un antrustione:
"E' giusto che quanti ci offrono una fedeltà illimitata siano protetti da noi. E poiché
il Tale, fedele nostro con l'aiuto di Dio, venendo qui nel nostro palazzo con le sue armi
ha giurato nelle nostre mani trustis e fedeltà, con la presente ordiniamo che d'ora in poi il
suddetto sia contato nel numero degli antrustioni; e se qualcuno oserà ucciderlo, sappia
di dover pagare per il suo guidrigildo seicento soldi"ii.
Appare qui molto chiaramente un altro aspetto che prefigura il
vassallaggio, e cioè il carattere tutt'altro che umiliante, anzi onorifico della
dipendenza volontariamente accettata nei confronti di un uomo potente, o,
come qui, addirittura del re: una dipendenza giurata con le armi in pugno e che
si traduce in un privilegio di fronte alla legge, in questo caso un aumento del
guidrigildo.
3. Gli esempi citati mostrano che già prima di Carlo Magno i rapporti che
noi definiamo clientelari avevano assunto una connotazione unica rispetto, ad
esempio, alla nostra epoca: non si trattava, come avviene oggi, di una realtà
estesa ma sotterranea, tacitamente tollerata ma giudicata, tutto sommato, poco
edificante. La dipendenza da una persona influente era pubblicamente
ostentata, e sancita da un atto giuridico, sia pure soltanto orale, che vincolava
per tutta la vita. La scarsa capacità d'azione di amministrazioni come quella del
re franco, del tutto incapaci di assicurare l'ordine pubblico, di tutelare
efficacemente la vita e la proprietà delle persone, o di dar da mangiare alla
gente in caso di carestia, come sapeva fare invece l'impero romano, spiega
perché molti preferissero porsi sotto la protezione privata d'un potente; o
magari anche sotto quella del re, ma in forma personale e anche qui, per così
dire, privata, con l'esplicita condizione che di quanti gli avevano giurato
personalmente fedeltà il re si sarebbe preso cura più che degli altri suoi sudditi.
La crescente importanza di questi rapporti clientelari fa sì che, sotto i
primi Carolingi, si affermino in quest'ambito una terminologia e un rituale
precisi, e giuridicamente vincolanti. L'uomo che prende sotto la sua protezione
altri uomini, meno potenti di lui, è il senior, cioè letteralmente «il più vecchio»;
ma questa espressione andrà intesa nel senso che assume, colloquialmente, in
molte lingue, cioè «il capo». L'uomo che s'impegna a servire per tutta la vita il
signore è indicato nelle fonti latine semplicemente come homo, il suo uomo; ma
l'esigenza di un termine meno generico porterà poi alla fortuna di un'altra
parola, di origine poco chiara, cioè vassus, vassallo. Infine, il rituale con cui, in
pubblico, l'homo s'inginocchia davanti al signore e metto le mani giunte nelle
sue, per diventare il suo uomo, si chiama proprio per questo homagium,
omaggio; ad esso si aggiunge poi il giuramento di fedeltà, prestato con la mano
sul Vangelo o sulle reliquie. E' importante ribadire che si entra in vassallaggio
spontaneamente, pubblicamente, e che l'impegno così assunto vincola per
sempre l'anima e il corpo, tingendosi d'un'aura religiosa o comunque sacrale.
La gestualità dell'omaggio è sopravvissuta molto a lungo, addirittura fino
a noi. Fa riferimento al gesto di omaggio l'abitudine di pregare inginocchiati e
con le mani giunte, a significare che tutta la fiducia è riposta in Dio.
Nell'antichità, invece, si invocava Dio con le mani aperte e le braccia sollevate,
come si legge anche nella Bibbia; i primi Cristiani pregavano ancora così. Oggi
la preghiera con le braccia levate è propria soltanto del sacerdote quando dice
la messa, che ha mantenuto in molti punti del rito il modo di pregare Jahvè
dell'Antico Testamento; mentre per i fedeli, appellativo che d'altronde è già tutto
un programma, la gestualità del vassallaggio ha sostituito quella della Bibbia.
"Se qualcuno vuol lasciare il suo signore e può comprovare uno di questi delitti:
primo, se il signore avrà voluto ridurlo ingiustamente in schiavitù; secondo, se avrà
tramato contro la sua vita; terzo, se il signore avrà commesso adulterio con la moglie del
vassallo; quarto, se gli correrà addosso con la spada sguainata nell'intento di
ammazzarlo; quinto, se il signore si trova nella possibilità di difendere il vassallo, dopo
che costui avrà raccomandato le proprie mani nelle sue, e non lo fa; in tutti questi casi
sia permesso al vassallo abbandonare il suo signore"iii.
"Sappi che per quest'anno abbiamo convocato il nostro placito generale nella
Sassonia orientale, sul fiume Bote, nel luogo chiamato Stassfurt. Per cui ti ordiniamo di
trovarti là il 17 giugno al completo con i tuoi uomini bene armati e equipaggiati, con le
armi e gli attrezzi e tutto ciò che serve per la guerra, in vitto e vestiario. Così che ogni
cavaliere abbia scudo e lancia e spada e spada corta, arco e faretra con frecce; e nei
vostri carri bagagli di ogni genere, ovvero razioni per tre mesi a partire da quel giorno,
In altre parole, si dava per scontato che i dignitari ecclesiastici, al pari dei
potenti laici, disponessero di una clientela vassallatica, da mettere
all'occorrenza a disposizione dell'imperatore. Questo, beninteso, accadeva
perché fin dal tempo di Costantino i vescovi erano stati investiti di reponsabilità
di governo, e re e imperatori trovavano ovvio avvalersi della loro
collaborazione; ora, però, siccome chiunque servisse il sovrano era anche, di
regola, un suo vassallo, il rischio concreto era che l'imperatore si abituasse a
concepire anche i prelati come suoi vassalli, al pari dei conti. Qualcuno, si
capisce, protestava: nell'858 Incmaro, arcivescovo di Reims, scrisse a Ludovico
il Germanico per ricordargli che
"le chiese che Dio ci ha affidato non sono da considerare benefici, o comunque
proprietà del re, nel senso ch'egli possa darle o toglierle a suo piacimento e senza
chiedere consiglio, perché tutto ciò che appartiene alla Chiesa è consacrato a Dio. Per
cui chi contesta o toglie qualcosa alla Chiesa, si sa che commette sacrilegio secondo la
Santa Scrittura. E noi, vescovi consacrati al Signore, non siamo uomini che, come i
C'è motivo di credere, però, che non tutti i vescovi e gli abati, e ancor
meno gli imperatori, vedessero le cose con altrettanta chiarezza; sicché, ancora
una volta, possiamo capire il trauma provocato dopo il Mille dalla lotta per le
investiture, quando improvvisamente il papato volle troncare il rapporto
privilegiato fra i vescovi e l'imperatore e proibire a quest'ultimo ogni
sorveglianza sulla loro elezione e sul loro operato.
"Sappiano tutti i figli della chiesa di Mâcon, presenti e futuri, che trovandosi il
vescovo Maimbodo a Mâcon, nella basilica del santo martire Vincenzo, venne alla sua
presenza un nobile, di nome Aicardo, pregando che si degnasse di attribuirgli una terra
del predetto martire san Vincenzo, situata nella contea di Forez, nel villaggio detto
Artidunus; in modo tale che tutto ciò che lì appartiene a san Vincenzo, possa tenerlo per
tutta la vita, e per la vita di sua moglie Aremburga, e del loro nipote Adroldo, figlio di
Ragemberto. E il vescovo Maimbodo, dietro consiglio dei suoi fedeli, gli concesse ciò
che umilmente aveva richiesto, e cioè la terra suddetta, in modo che finché questi tre
vivranno possano tenerla e possederla, per un censo di due soldi da pagare il giorno del
Questa, dunque, era la precaria, il cui nome non a caso è rimasto nella
nostra lingua, in forma di aggettivo, a indicare qualcosa di transitorio e non
definitivo. Ma già a questa data la forma più frequente con cui un signore
ricompensava i suoi vassalli era un'altra, giuridicamente nuova di zecca,
benché derivata in qualche modo dalla precaria. Era il beneficio, che più tardi si
chiamerà feudo: una concessione che, come la precaria, s'intendeva valida per
tutta la vita del vassallo, ma che tecnicamente non si configurava più come un
affitto, giacché la fedeltà al signore era il solo contraccambio richiesto. L'atto
con cui il signore concedeva un beneficio, quasi sempre orale anziché scritto,
ma nondimeno giuridicamente e moralmente vincolante, prese il nome di
investitura.
Nasceva così un istituto giuridico nuovo, e destinato a immensa fortuna
nel Medioevo e oltre; un istituto che poteva essere applicato solo nel contesto
del rapporto vassallatico, tanto che i due elementi, la fedeltà del vassallo
stabilita con l'omaggio, e la ricompensa materiale concessa dal signore per
mezzo dell'investitura, finirono per essere regolarmente accoppiati: sempre più
rari divennero i vassalli che non detenessero un beneficio, sempre più spesso i
benefici ricevuti formarono parte importante della ricchezza del vassallo. E'
attraverso questo sviluppo che l'appartenenza a una clientela, da un lato, e il
possesso di benefici, dall'altro, divennero in misura crescente, fra IX e X secolo,
i connotati salienti di una posizione sociale eminente, insieme al possesso di
armi e cavalli, sempre più precluso, non foss'altro per ragioni economiche, ai
semplici contadini.
"E allora videro il ferreo Carlo, crestato d'un elmo di ferro, alle braccia maniche di
ferro, il ferreo petto e le spalle protetti da una corazza di ferro, una lancia di ferro levata
alta con la sinistra; la destra infatti era sempre tesa verso l'invitta spada; la parte esterna
delle cosce, che gli altri portano senza corazza per salire più facilmente cavallo, in lui
era protetta da lamine di ferro. Nello scudo non appariva altro che ferro. Anche il suo
cavallo per l'animo e il colore splendeva come il ferro. E tutti coloro che lo precedevano,
lo affiancavano o lo seguivano imitavano, secondo le loro possibilità, quello stesso
armamento. Il ferro riempiva i campi e le pianure. I raggi del sole si riflettevano nella
schiera di ferro. Al freddo ferro s'inchinava il popolo, reso dal terrore ancora più freddo;
ed echeggiava il confuso clamore dei cittadini: 'Oh, il ferro! Ohimè, il ferro!'" vii.
Avendo a disposizione questa cavalleria, diventava meno urgente
convocare all'esercito i semplici contadini, col loro armamento primitivo; tanto
più che col passare delle generazioni costoro, come sappiamo, andavano
sempre più spesso a ingrossare le file degli affittuari, dei dipendenti senza
terra, assoggettati ai padroni delle curtes, e dunque non avrebbero potuto
facilmente lasciare i campi del padrone per andare a combattere.
L'evoluzione della tecnica bellica contribuiva insomma a scavare un
solco fra ricchi e poveri; fra chi era in grado di combattere, perché ne aveva i
mezzi, e soprattutto aveva dipendenti che lavoravano per lui, e chi, invece,
dovendo zappare la terra non aveva più il tempo né i mezzi per andare in
guerra. Ma questa evoluzione determinò anche una caratteristica di fondo del
vassallaggio; giacché un potente, un conte ad esempio, che cercava uomini
disposti a giurargli fedeltà li sceglieva di solito fra i proprietari agiati, quelli la cui
influenza locale poteva aiutarlo a governare, e che soprattutto potevano
seguirlo in guerra a cavallo e con armamento completo. Diversamente dalle
forme di raccomandazione rimaste in vita nel corso dell'Alto Medioevo, il
vassallaggio carolingio è insomma, e sarà poi sempre in seguito, un impegno
che può essere assunto soltanto da persone relativamente agiate; e anche
questo spiega le connotazioni onorifiche che esso assume.
La crescente integrazione delle clientele vassallatiche private
nell'esercito imperiale traspare in un capitolare di Carlo Magno che
regolamenta la convocazione dei sudditi alle armi:
"Che ogni uomo libero, il quale possiede e fa lavorare almeno quattro mansi, di
sua proprietà o concessi in beneficio, si equipaggi e parta per l'esercito, o col suo
signore, se quest'ultimo parte, o col suo conte. Fra i vassalli che tengono benefici da un
conte questi sono eccettuati e non debbono pagare la multa se non partono per
l'esercito: due che resteranno con sua moglie e altri due che avranno ordine di restare a
l'abate potranno lasciare a casa soltanto due dei vassalli laici che tengono benefici da
loro"viii.
E' chiaro dal tenore di questa ordinanza che soltanto i proprietari agiati,
ormai, sono pienamente tenuti a servire nell'esercito, e che fra costoro molti
sono inquadrati in una clientela vassallatica, alla dipendenza d'un signore che
opera, di fatto, come cinghia di trasmissione della volontà imperiale.
"Il re Pipino tenne il suo placito a Compiègne con i Franchi; e lì venne Tassilone,
duca dei Bavari, a raccomandarsi in vassallaggio con le mani, e prestò molti e
innumerevoli giuramenti, ponendo le mani sulle reliquie dei santi, e promise fedeltà a re
Pipino e ai suoi figli Carlo e Carlomanno, come un vassallo deve fare secondo giustizia,
con animo retto e con ferma devozione, come un vassallo deve essere con i suoi
signori"ix.