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Tavola dei Contenuti

PROLOGO - UN BUON INIZIO?


DESTINATO AL SACERDOZIO?
UNA SEMPLICE TEORIA CHE FARÀ MOLTA STRADA
L’UMORISMO AMERICANO
E LUCE FU
UN UOMO IRRAGIONEVOLE?
LA VECCHIA SCINTILLANTE
CI VEDIAMO ALLA FIERA
LO SFRUTTAMENTO DELLE CASCATE DEL NIAGARA
RISONANZA E RADIO
IL DIO DEL FULMINE
ELETTRICITÀ SENZA FILI. UNA NUOVA E GLORIOSA ERA PER
L’UMANITÀ
LA TURBINA, IL PREMIO NOBEL E LA EDISON MEDAL
APPENDICE – UN OBLIO TOP SECRET
RINGRAZIAMENTI
BIBLIOGRAFIA
Titolo originale dell’opera
The Man Who Invented the Twentieth Century
©1999 ROBERT LOMAS

Traduzione di Antonio Tozzi

Tutti i diritti sono riservati

Immagine TSP in copertina di D. Newman

©2017 Piano B edizioni srl, Prato


www.pianobedizioni.com

Prima edizione digitale gennaio 2017

ISBN: 9788893710206
PROLOGO - UN BUON INIZIO?

Quello che ho lasciato era splendido, pieno d’arte e di fascino; ciò che ho trovato
era meccanizzato, grezzo e senza attrattiva. È questa l’America? In quanto a civiltà
è un secolo dietro all’Europa.
NIKOLA TESLA, 1884

Una bella mattina d’estate del 1884, il treno per Calais stava lasciando
Parigi. Sulla banchina c’era un giovane alto, magro e dai folti capelli neri
pettinati con la riga in mezzo. I suoi baffi nascondevano a fatica i movimenti
nervosi delle labbra, mentre era impegnato a cercare qualcosa nelle tasche
dell’impermeabile, con la concentrazione di chi ha appena perso il
portafoglio. In effetti quell’uomo aveva perso ben più del portafoglio: era
stato derubato di tutti suoi averi, compresi i suoi ultimi risparmi e il biglietto
per New York, che a malapena era riuscito a permettersi. Fece appena in
tempo a rendersi conto del disastro che sentì il treno fischiare, le porte si
chiusero violentemente davanti a lui e sentì l’odore del fumo e del vapore,
mentre i vagoni lentamente iniziavano ad avviarsi.
Che fare? A Parigi non c’era più niente per lui: aveva perso tutti i suoi
averi, abbandonato il suo posto d’ingegnere e lasciato il suo appartamento.
Chiuse gli occhi in preda alla disperazione e, grazie alla sua incredibile
memoria fotografica, gli apparve chiaramente il numero del suo biglietto del
piroscafo. Con solo questa informazione, sarebbe riuscito ad arrivare lo
stesso a New York? Senz’altro, pensò, la società di navigazione avrà avuto
una lista con quel numero prenotato a suo nome, e lui avrebbe potuto
reclamare la sua cabina. Mentre si disperava, il treno aveva già cominciato ad
avanzare. Se avesse perso anche la nave, la possibilità di raggiungere la “terra
promessa” sarebbe definitivamente svanita, insieme a tutto il resto.
Decise in fretta, si voltò e iniziò a correre lungo il binario, sfruttando tutta
la lunghezza delle sue gambe sottili per riuscire a raggiungere e saltare sul
treno in corsa. Nel lungo tragitto verso la costa ebbe tutto il tempo di
riportare alla mente i più piccoli dettagli del biglietto perduto.
L’uomo dalla sorprendente memoria era un cittadino serbo di ventotto
anni, Nikola Tesla. Sappiamo ciò che accadde quel giorno perché lui stesso,
negli anni a venire, ricordò in una serie di articoli molti episodi della sua
gioventù, tra cui anche la storia del bagaglio rubato.
Arrivato al porto, scoprì che ricordare il numero del biglietto non bastava
a convincere la compagnia di navigazione a farlo salire a bordo. Compresa la
situazione, iniziò a frugarsi nelle tasche: trovò qualche moneta, un fazzoletto,
alcune poesie e articoli scritti da lui, un quaderno di calcoli relativi alla
soluzione di integrali irrisolvibili, chiuso con un nastro, alcuni studi per un
nuovo progetto di una macchina volante e una lettera. Questa era di un amico
inglese, Charles Batchellor, con il quale aveva spesso giocato a biliardo a
Parigi. Questi conosceva il famoso inventore Thomas Edison, ed era stato
proprio lui a suggerire a Tesla che l’America era il paese dove avrebbe potuto
farsi un nome come scienziato, proponendogli di scrivere una lettera di
presentazioni a Edison. Ovviamente Tesla aveva posto più attenzione a quella
lettera che al portafoglio e a tutti i suoi bagagli. Forse adesso avrebbe potuto
usarla per superare quella situazione spiacevole. Aprì con attenzione la busta,
e lesse:

All’egr. sig. Thomas Edison… questa lettera le viene consegnata dal sig. Nikola
Tesla…

Ecco la prova della sua identità. La mostrò agli ufficiali dell’imbarco e,


quando nessun altro Nikola Tesla si presentò a reclamare il biglietto, gli
venne finalmente concesso di salire a bordo.
La traversata fu piacevole, ma si può immaginare lo sconforto di Tesla. I
pasti erano compresi e aveva una cabina dove dormire, ma non possedeva
altro che i vestiti che aveva indosso - nemmeno un cambio di biancheria. Per
un gentiluomo europeo esigente, colto e con un’istruzione superiore era
decisamente una nuova esperienza. Con il passare dei giorni si sarà sentito
sempre più a disagio per l’inevitabile mancanza di igiene personale; era a tal
punto consapevole del suo cattivo odore che trascorse la maggior parte del
tempo seduto a poppa, con la speranza che la brezza marina lo avrebbe
disperso più agevolmente. Da abile nuotatore qual era, conservò la speranza
che se un miliardario fosse caduto in acqua, lui avrebbe potuto salvarlo,
meritandosi così una ricompensa. Ma questo non successe e lui, per la gran
parte della traversata atlantica, rimase lì seduto sopportando, più che
godendo, l’aria fresca del ponte.
Avrebbe cercato un lavoro con l’inventore più famoso del mondo, un
imprenditore di successo che aveva raggiunto una fama planetaria. Tesla
aveva visto per la prima volta il nome di E-D-I-S-O-N - così era scritto, a lettere
luminose - su un cartello a motore sulla cima del padiglione Edison,
all’Esposizione sulla Salute di Berlino.
Desideroso di veder apprezzate le sue capacità tecniche e le sue idee
rivoluzionarie, Tesla avrebbe annunciato al famoso inventore, vent’anni più
anziano di lui, che le idee che aveva in testa sarebbero state capaci di
rivoluzionare l’industria elettrica, ancora agli albori. Sperava che dopo
avergli rivelato le sue teorie sulla corrente alternata, Edison sarebbe stato
entusiasta di finanziare le sue ricerche.
Edison, all’epoca già affermato inventore elettrico, aveva ideato molti
meravigliosi dispositivi che tutto il mondo era ansioso di acquistare, tra cui il
fonografo - il primo registratore in grado di riprodurre i suoni mediante dei
cilindri metallici - e una lampada elettrica, entrambi già brevettati; sembrava
un uomo capace di trasformare le idee in denaro.
Intuì la possibilità di fare fortuna con la lampada elettrica quando capì che
la gente non voleva soltanto comprare una lampadina, ma voleva
un’installazione completa per l’illuminazione, per sostituire nelle case e negli
uffici la luce a gas con la più comoda elettricità. In quel periodo l’industria
dell’illuminazione a gas era al suo massimo sviluppo in America, e
guadagnava intorno ai 150 milioni di dollari l’anno: Edison stava iniziando a
sviluppare impianti elettrici per sostituirla. Tesla aveva avuto informazioni di
prima mano sull’ambizioso progetto, avendo lavorato a Parigi per la
Continental Edison, una società associata. Aveva poi letto un’intervista a
Edison su un quotidiano francese, in cui il grande inventore dichiarava:
Dovevo ricreare una perfetta imitazione di tutto quello che funzionava a gas, in
modo da sostituire l’illuminazione a gas con quella elettrica. L’illuminazione
sarebbe stata migliorata a tal punto da soddisfare tutte le richieste delle condizioni
naturali, artificiali e commerciali.

Tesla conosceva la reputazione di Edison, quella di un uomo che aveva


fatto grandi cose. Era stato un umile operatore del telegrafo, trovando poi il
modo di migliorare quel sistema: aveva costruito un dispositivo, chiamato
ripetitore del telegrafo, per ricevere i messaggi telegrafici e ritrasmetterli alla
stazione successiva senza bisogno dell’intervento umano. Questa invenzione
aveva permesso di aumentare le distanze di trasmissione dei messaggi e di
risparmiare molto sulla manodopera, evitando allo stesso tempo gli errori che
i diversi operatori potevano commettere, trascrivendo manualmente il
messaggio.
Tesla ammirava il modo in cui Edison era riuscito a creare un dispositivo
capace di trasmettere quattro messaggi in contemporanea lungo un unico filo
del telegrafo, e il solo motivo che lo aveva spinto ad attraversare l’Atlantico
era di poter incontrare quel mago dell’elettricità.
A Parigi si erano diffuse storie pittoresche sulla famosa esibizione di
Edison, che venivano raccontate dagli ingegneri americani in viaggio in
Europa. Tesla aveva sentito dell’inserviente nero il cui cappello s’illuminava
mentre consegnava un volantino a ogni visitatore; delle centinaia di persone
che avevano marciato sulla Fifth Avenue con delle lampade in testa, al
seguito di un ufficiale che roteava una bacchetta con la punta illuminata
elettricamente; e delle ballerine che danzavano indossando costumi pieni di
luci. Chiunque possa permettersi una dimostrazione così costosa dovrà avere
molti capitali da investire, pensava, e Charles Batchellor gli aveva fatto
capire che se fosse andato in America Edison si sarebbe convinto a
finanziarlo, così che Tesla avrebbe potuto realizzare il nuovo motore elettrico
che aveva progettato.
E mentre sedeva a poppa del piroscafo senza più il becco di un quattrino,
l’idea del denaro che Edison gli avrebbe offerto per portare avanti le sue idee
sull’elettricità aiutarono Tesla a sopportare la difficile situazione.
Lo sbarco a New York avrà sicuramente avuto un grande effetto sul
giovane scienziato. Era stato a Praga, Budapest, Berlino e Parigi, imparando a
conoscere le grandi capitali europee, ma non era pronto alla cruda asprezza di
New York. I profili e le sinuosità dell’architettura europea lo avevano
affascinato, e la sua natura poetica trovava affascinanti le curve gotiche e le
alte guglie - ma New York era una metropoli sporca e affollata, e i suoi
edifici apparivano rudimentali come scatole rovesciate; era rozza, incompiuta
e brulicante di indaffarati che correvano su e giù pensando ai fatti loro.
Parlavano uno strano accento strascicando le vocali. Con solo quattro
centesimi in tasca, in piedi alla fine della passerella, si sarà senz’altro chiesto
come avrebbe fatto a sopravvivere in un luogo così volgare e minaccioso.
Ignorava inoltre come fare a rintracciare Thomas Edison alla Edison Electric
Light, per consegnare la sua lettera di presentazione; sapeva che la sede degli
uffici era sulla Fifth Avenue - ma dove si trovava la Fifth Avenue?
Appena fuori dal porto si perse immediatamente. Chiese aiuto a un uomo
in uniforme, di certo un poliziotto newyorchese, chiedendogli informazioni
per gli uffici del signor Edison. Urlando per farsi capire al di sopra dei rumori
della strada, il poliziotto gli fornì un’aggressiva quanto incomprensibile
risposta. Nessuna delle dodici lingue che Tesla parlava fluentemente potè
aiutarlo in quel momento e, consapevole di sembrare uno straccione dopo un
periodo tanto lungo senza cambiarsi, ripetè nervosamente la domanda. Il
poliziotto gli indicò la fine della strada col suo pesante manganello.
Dopo averlo ringraziato Tesla si incamminò. New York, con la sua
frenesia, era molto diversa dalle tranquille città continentali. Nelle città
europee, di cui conosceva le origini e le architetture, si sentiva come a casa
propria, qui invece era uno straniero. Anche la lingua era diversa dall’inglese
formale che aveva imparato a scuola. Era disorientato, sporco e affamato, con
pochi spiccioli in tasca. Cominciava a chiedersi come avrebbe pagato il suo
prossimo pasto, visto che era già mattina inoltrata.
Nel 1917, durante un discorso all’Istituto Americano di Ingegneria
elettrica, in occasione della consegna della Edison Gold Medal, Tesla ricordò
quelle prime ore a New York. Raccontò che dopo essersi incamminato lungo
la strada all’uscita del porto si era ritrovato davanti alla porta aperta di una
piccola officina, in un vicolo e, per la prima volta in America, aveva visto
qualcosa che gli era familiare: una grande dinamo, lo stesso tipo di quelle che
aveva installato a Parigi e a Stoccarda. Un uomo ci stava lavorando, e dal suo
tono di voce era chiaro che fosse in difficoltà.Incapace di resistere, varcò la
soglia per vedere da vicino di cosa si trattasse, e chiese quale fosse il
problema. L’uomo rispose che le dinamo straniere erano impossibili da
riparare: quella era una macchina europea, e lui non riusciva a cavarci un
ragno dal buco. Il giovane ingegnere si tolse allora la giacca e offrì il proprio
aiuto, entusiasta di potersi rendere utile. Alla fine del pomeriggio aveva già
finito il suo lavoro, e l’uomo gli offrì subito un impiego come riparatore.
Tesla rifiutò cortesemente, spiegando che era appena sbarcato per cercare un
lavoro presso il signor Edison; allora l’uomo lo ringraziò dell’aiuto e gli
diede venti dollari. Sorpreso e felice, Tesla poteva adesso permettersi un letto
per la notte e, prima di andarsene, si fece spiegare per bene come raggiungere
la Fifth Avenue il mattino seguente.

«Non può sbagliare», gli aveva detto il meccanico. «Nessun altro ha così tante
veneziane alle finestre del proprio palazzo.»

Il giorno seguente - rinfrescato, ristorato e con la biancheria pulita - Tesla


si diresse alla sede centrale degli uffici di Edison, al numero 65 della Fifth
Avenue, all’estremità occidentale di una lunga fila di moderni edifici. Il
meccanico aveva ragione: la casa spiccava tra tutte le altre dell’elegante
quartiere perché era l’unica con tutta una serie di colorate tende veneziane a
ogni finestra, quattro su ognuno dei tre piani, che affacciavano a sud.
Avvicinandosi, Tesla udì il rombo di una macchina a vapore provenire
dalla piccola rimessa sul lato occidentale del seminterrato. Fermandosi ad
ammirare il portico, si chiese come mai anche questo avesse avuto bisogno
delle vistose tende per tenere lontano il sole. Il pianterreno si trovava al di
sopra del livello stradale, e da lì partiva un’ampia scalinata di quindici
gradini. Gli uffici erano straordinari: le brillanti tende avvolgibili catturavano
l’attenzione durante il giorno, mentre l’illuminazione elettrica degli interni
risplendeva nell’oscurità della sera. Tesla si fermò un istante in cima alla
scalinata, scrutando la Fifth Avenue. Era nello stesso punto da dove Edison
osservò la grande sfilata di uomini illuminati dalla luce elettrica, e non aveva
idea che ben presto anche lui sarebbe stato riconosciuto con lo stesso onore.
Poi entrò, mostrò la lettera di Batchellor e chiese di vedere il signor Edison.
Entrando nell’ufficio del grande inventore, Tesla trovò una stanza in
assoluto disordine, con molti scaffali, un banco da lavoro e una scrivania,
tutto vivacemente illuminato dalla luce elettrica. Lo colpì l’aspetto molto
semplice di Edison, apparso nel suo completo a tre pezzi, camicia bianca e
cravattino: non sembrava l’eroe immortale che Tesla si era aspettato,
piuttosto un agricoltore benestante vestito per la messa della domenica. Poco
più basso di Tesla, aveva pochi capelli grigi e le spalle curve, ma il suo viso
pulito aveva un che di rassicurante, e suggeriva allo stesso tempo che sapeva
il fatto suo. Salutò calorosamente Tesla, lesse la lettera di Batchellor e gli
offrì immediatamente un impiego, senza scomporsi. Il giovane accettò
immediatamente, iniziando a spiegare a Edison come, secondo i suoi calcoli,
la corrente alternata potesse azionare un nuovissimo tipo di motore. Edison lo
ascoltò distratto per qualche minuto, e poi disse a Tesla che non aveva alcun
interesse per altre nuove teorie sull’elettricità. Aveva già un sistema che
faceva il suo lavoro, che aveva scoperto da sé, e soprattutto senza alcun
bisogno di astrusi calcoli matematici.
Tesla rimase folgorato: come aveva fatto un uomo simile, senza alcun
vantaggio sociale o particolare formazione scientifica, ad aver realizzato così
tanto? Dubitando di se stesso come mai prima d’allora, si chiese se non
avesse sprecato il suo tempo studiando matematica, scienza, letteratura, arte e
dodici lingue. Sarebbe stato meglio non aver passato tanto tempo a leggere
qualsiasi cosa, dai Principia di Newton ai romanzi di Paul de Kock. Se
Edison aveva avuto tanto successo senza alcuna formazione teorica a che
cosa serviva allora lo studio accademico?
Per un attimo, l’evidente disinteresse di Edison per la teoria
dell’elettricità lo fece dubitare di tutti i suoi studi e dell’educazione a cui
aveva dedicato tanto tempo, e comprese che l’unico modo per conquistarsi la
fiducia di quell’uomo era quello di dimostrare sul campo le sue doti
d’ingegnere. Solo allora Edison avrebbe ascoltato le sue idee sul futuro
dell’elettricità. Perciò, mentre Edison parlava, Tesla pensava già al modo di
dimostrare le sue capacità tecniche.
Il famoso architetto navale Louis Nixon aveva incaricato Edison di
installare un impianto elettrico sulla nave a vapore Oregon, un transatlantico
costruito per attraversare l’oceano. Vi erano stati installati due generatori, che
sfortunatamente avevano la dinamo principale e quella di riserva danneggiate.
Erano però troppo grandi per essere trasportati fuori della nave per venire
riparati, quindi la nave non poteva salpare.
Edison inoltre aveva appena saputo che sua moglie si era ammalata di
tifo, e non era dell’umore adatto per sentire le strampalate teorie di un
giovane ingegnere serbo. Tesla ricordò a Edison che aveva già riparato
impianti simili lavorando presso la Continental Edison a Parigi, e gli chiese di
poter riparare la Oregon, rimanendo sorpreso e felice della risposta
affermativa di Edison.
Prima dell’invenzione dei sistemi per l’illuminazione elettrica, le uniche
cose per fare luce che si potevano usare in alto mare erano le lampade a olio e
le candele. Le lampade a gas non potevano essere usate poiché non era
possibile produrre o immagazzinare sufficiente gas a bordo. Un impianto di
illuminazione elettrica era quindi molto più conveniente ed efficace delle
lampade a olio, e quando Edison cominciò a vendere generatori autonomi per
l’illuminazione, gli armatori colsero l’opportunità di rendere più efficienti le
proprie navi. Louis Nixon aveva quindi costruito la Oregon, il mezzo più
veloce, comodo e moderno per attraversare l’Atlantico, con a bordo tutte le
ultime scoperte scientifiche, tra cui un impianto di illuminazione di Edison.
Nel corso dei primi viaggi, il nuovo sistema elettrico venne salutato come
un trionfo e una conquista per l’illuminazione navale, ma verso la fine
dell’estate del 1884 le luci dell’Oregon si erano spente definitivamente.
Quando Tesla salì a bordo si accorse subito che in entrambe le dinamo si
erano fulminati i fili delle bobine principali. Secondo lo staff di Edison le
dinamo potevano essere riparate solo in fabbrica, ma erano troppo grandi per
rimuoverle dalla stiva: erano state installate mentre la nave veniva costruita, e
non era più possibile farle passare attraverso il portello del boccaporto ormai
ultimato. Anche se un po’ seccato per il fatto che a nessuno fosse venuto in
mente di verificare le misure definitive dei portelloni, così da consentire un
uso più pratico dei generatori, Tesla non aveva il tempo di rifletterci troppo,
perché il transatlantico non poteva salpare senza luci, e per ogni minuto in
più passato in porto, il proprietario perdeva denaro sonante. In un attimo il
giovane ingegnere organizzò una squadra di marinai, smontò le macchine e,
lavorando tutta la notte, le riassemblò. Alle cinque del mattino successivo la
nave era pronta a salpare.
Lasciando il porto e incamminandosi verso la città, Tesla si sentiva molto
stanco, ma anche fiero di aver dimostrato le sue doti agli occhi di Edison.
Erano le 5,30 del mattino, e le strade erano ancora deserte quando passò di
fronte agli uffici di Edison. Con sua grande sorpresa, Charles Batchellor era
lì. All’arrivo di Tesla, Edison disse a Batchellor in tono sarcastico: «Ecco il
nostro parigino che è stato in giro tutta la notte».
Fu invece piacevolmente sorpreso nell’apprendere che Tesla aveva già
riparato entrambi i generatori della Oregon. La raccomandazione di
Batchellor aveva infine incontrato l’approvazione di Edison, poiché Tesla lo
aveva sentito dire, mentre si allontanava parlando con l’amico: «Batchellor,
mi hai portato un uomo dannatamente in gamba!».
DESTINATO AL SACERDOZIO?

Il dono della forza della mente ci viene da Dio, dall’Essere Divino, e se


concentriamo le nostre menti su questa verità, ci sintonizziamo con questa grande
forza. Mia madre mi aveva insegnato a cercare ogni verità nella Bibbia.
NIKOLA TESLA

Nikola, figlio del reverendo Milutin Tesla, nacque nel villaggio di


Smiljan in Croazia, allo scoccare della mezzanotte tra il dieci e l’undici luglio
del 1856, durante una spettacolare tempesta di fulmini. La levatrice che
assisteva la madre Djouka rimase così impressionata da questo fatto che disse
che il bambino sarebbe stato «il figlio della tempesta». Non poteva sapere
quanto fosse appropriata quell’osservazione, per un uomo destinato a creare
fulmini artificiali tanto potenti da scuotere il mondo.
Tesla, durante tutta la sua vita - morì nel 1943 - ha sempre raccontato
molti aneddoti relativi alla sua infanzia, sia nei suoi scritti che nei suoi
discorsi, ed è grazie a queste testimonianze che conosciamo le sue prime
riflessioni e gli sviluppi della sua vita.
Tesla ha sempre ricordato che il suo interesse per l’elettricità si manifestò
intorno ai tre anni, durante una fredda giornata invernale del 1859, quando si
accorse delle scintille che l’elettricità statica faceva comparire sul pelo di
Macak, il gatto di casa. Quello strano fenomeno, provocato dal mix di
carezze e di aria fredda e secca, stimolò in lui i primi interrogativi
sull’elettricità naturale, sui fulmini sviluppati da una tempesta. “La natura è
forse un gigantesco gatto?”, aveva pensato. “Se sì, chi è che gli gratta la
schiena? Non può essere altro che Dio.”
Questa curiosità infantile lo accompagnò per tutta la sua lunga carriera.
Ormai anziano, Tesla riconobbe di non avere mai smesso di chiedersi: “Cos’è
l’elettricità? Sono passati ottant’anni e ancora mi faccio la stessa domanda,
incapace di dare una risposta”.
Nikola Tesla, quarto dei cinque figli e secondo figlio maschio del
reverendo Tesla, era affettuosamente chiamato Niko dagli altri membri della
famiglia. I Tesla erano una famiglia unita, e Niko adorava suo fratello
maggiore Dane, più grande di sette anni. Dane era un ragazzo allegro, sveglio
e portato per le materie letterarie, e i genitori seguivano la sua ottima carriera
scolastica, fiduciosi che avrebbe seguito il padre nel sacerdozio. Ma non fu
così.
Milutin Tesla possedeva un bel cavallo arabo al quale era molto
affezionato. Una volta l’animale gli aveva salvato la vita durante una
tempesta di neve, guidando i soccorsi fino al luogo dove era caduto per un
malore. Era così diventato l’animale prediletto da tutta la famiglia, e tutti i
bambini lo cavalcavano. Un giorno, mentre lo stava montando, il dodicenne
Dane scivolò e cadde, finendo calpestato dagli zoccoli. Nikola, che aveva
allora cinque anni, assistette alla scena e in seguito anche alla morte del
fratello. Fu così colpito da quella tragedia che anni dopo ricordava ancora:

Quel cavallo fu responsabile delle ferite mortali riportate da mio fratello, io ero
presente quando successe, e nonostante tutti gli anni che sono passati da allora,
quell’episodio è ancora impresso davanti ai miei occhi. Tutti i suoi successi
facevano apparire insignificanti le cose in cui mi impegnavo. Qualunque cosa
degna di elogio io facessi, acutizzava solo il dolore dei miei genitori per la perdita
del loro figlio maggiore. Così crebbi con una scarsa fiducia nelle mie capacità.

Il reverendo Tesla e la moglie erano distrutti. Niko era rimasto il loro


unico figlio maschio, oltre alle due sorelle maggiori e a quella minore
(Marica, Angelina e Milka). La pressione di dimostrarsi all’altezza del
brillante fratello scomparso, spinsero Niko a impegnarsi moltissimo a fare
grandi cose. Il sacerdozio però non lo interessava, voleva scoprire come
funzionava il mondo e cambiarlo per il meglio. Non poteva competere nelle
materie umanistiche con il fratello, ma era invece un matematico nato. Era
così naturalmente portato al calcolo mentale che, nei primi compiti a scuola,
la maestra pensò che doveva aver letto le risposte da qualche parte. Niko
aveva quindi un unico modo per rendere orgogliosi i suoi genitori: sfruttare le
proprie doti matematiche e diventare un grande scienziato.
Inoltre aveva anche una grande inventiva. La sua prima scoperta di
successo fu un particolare gancio per catturare le rane, che mise a punto
all’età di sei anni. Uno dei suoi amici aveva ricevuto in regalo una canna da
pesca, e aveva deciso di usarla per catturare le rane che giravano per il paese.
Ma Niko litigò con il proprietario della canna, e non gli fu permesso di
partecipare alla spedizione di caccia alle rane organizzata dai bambini del
villaggio. Decise allora di costruirsi un suo strumento e di organizzare da solo
la propria battuta di caccia. Prese un pezzo di filo metallico, ne affilò
l’estremità battendolo tra due sassi, lo piegò a forma d’uncino e lo attaccò a
un pezzo di filo. Ma nessuna delle rane del torrente abboccò, seppure lui
tentasse di attirarle con ogni tipo di esca. Dopo un po’, abbastanza deluso,
notò una rana ferma su un tronco d’albero sulla riva del torrente, e fece
oscillare nell’aria l’uncino senza esca in quella direzione, solo per vedere
cosa sarebbe accaduto. La rana parve irritata dal movimento di quell’oggetto
sopra di lei, fece un balzo in avanti e rimase subito infilzata: Niko aveva così
trovato un semplice metodo per catturare le rane, e iniziò a darsi da fare. Nel
frattempo i suoi compagni, che pur con la loro bella attrezzatura da pesca non
erano riusciti a prendere nulla, erano verdi per l’invidia. Niko li prese in giro
per un po’, senza rivelare il suo metodo, limitandosi a fargli vedere la sua
caccia abbondante per farli arrabbiare. Quando però fecero la pace svelò loro
il segreto, per grande sfortuna della locale popolazione di rane.
Fin da piccolo Niko nutrì un particolare interesse per le cose meccaniche.
La sua famiglia si trasferì un giorno nella piccola cittadina di Gospic, dove
furono invitati all’inaugurazione della nuova pompa antincendio del paese.
Niko, così come il resto del pubblico, rimase molto deluso quando l’acqua
sembrava non voler uscire dal tubo. Una forzuta squadra locale di volontari
tentò in ogni modo di pompare fuori l’acqua, ma i loro sforzi non produssero
alcun risultato. E quando tutti iniziavano già a protestare, il giovane Niko
scese nel fiume e sciolse il tubo aspirante che si era attorcigliato, permettendo
così all’acqua di scorrere fino alla pompa. Il getto improvviso colse tutti di
sorpresa, e prima di poter essere domato innaffiò molte delle autorità del
paese, tutte lì riunite in pompa magna.
Nikola Tesla studiò al Real Gymnasium della città di Carlstadt, in
Croazia, proseguendo gli studi di ingegneria nel Politecnico di Graz e in
seguito all’Università di Praga: uno studente modello, ricordato per la sua
attività intensissima. Non faceva altro che studiare e, nel tempo libero, si
dedicava a risolvere complessi problemi matematici, sostenendo che quel tipo
di esercizio lo faceva rilassare. Ma il padre sembrava non dare importanza ai
suoi primi successi accademici, e a Nikola dispiaceva molto.
Poco tempo dopo la sua laurea il padre morì, e Nikola fu chiamato ad
amministrare il patrimonio di famiglia. Un giorno, riordinando i documenti
del padre, Nikola trovò molte lettere dei suoi professori che, preoccupati,
chiedevano a Milutin di dissuadere il figlio dallo studio eccessivo. Se solo
fosse stato apprezzato ed elogiato un po’ di più dal padre, molto
probabilmente Nikola non avrebbe subito, nella vita, l’influenza di figure
autoritarie che approfittarono della sua vulnerabilità e del suo desiderio di
approvazione.
Fin da giovanissimo, Nikola concepì alcune mirabili invenzioni,
calcolandone ogni dettaglio tecnico. Pensò a un tubo sottomarino per il
trasporto di lettere e pacchi postali, all’interno di sfere abbastanza resistenti
da sopportare la pressione dell’acqua, calcolando con esattezza la forza
necessaria alla pompa per spingere l’acqua all’interno del tubo, e si rese
conto che sarebbe stato un metodo incredibilmente rapido per spedire
comunicazioni di ogni tipo. In seguito, però, dopo una lezione sull’attrito
dell’acqua, si rese conto che il suo progetto avrebbe avuto bisogno di troppa
energia per funzionare.
Durante i suoi studi a Carlstadt, Niko, ragazzo precoce e indipendente,
cominciò a interessarsi al campo dell’elettricità. Una volta che si metteva in
testa un obiettivo, niente e nessuno poteva distoglierlo: voleva diventare un
ingegnere, e sarebbe diventato uno dei migliori. Da bambino, una volta
guarito da una delle malattie infantili, comunicò al padre che non sarebbe mai
potuto diventare prete, e che amava invece la matematica e l’ingegneria. Il
padre, preoccupato della tendenza di Nikola a caricarsi troppo di lavoro e ad
ammalarsi, non gli diede il supporto necessario, e non gli disse mai che
sarebbe potuto diventare uno scienziato, se davvero era quello che
desiderava.
Nikola era un intrepido e abilissimo nuotatore: un paio di volte si trovò
quasi sul punto di annegare nuotando in torrenti impetuosi. Ma fu grazie a
quelle avventure che crebbe in lui l’interesse per l’energia delle correnti.
C’era un modo - si chiedeva - di trasformare quei flussi così potenti in una
forza motrice? Provò a calcolare la quantità di energia che si poteva generare
dalla forza della corrente, e ne rimase meravigliato. Fu in quel momento che
Nikola intuì come la forza dell’acqua potesse essere utilizzata come una fonte
inesauribile di energia, se solo l’uomo avesse avuto il buon senso di
sfruttarla.
Benché avesse un’istruzione accademica superiore, Nikola non aveva il
senso degli affari, probabilmente perché la sua non era mai stata una famiglia
di commercianti. Il padre, figlio di un ufficiale di Napoleone, aveva ricevuto
un’educazione militare prima di intraprendere la carriera ecclesiastica, uno
zio era professore di matematica, e un altro colonnello dell’esercito. Nikola
crebbe nel rispetto per il sapere e la conoscenza, considerati non come fonti
di lucro.
Studiando al prestigioso Real Gymnasium di Carlstadt, era troppo lontano
dalla parrocchia del padre a Gospic perché potesse tornare a dormire a casa,
perciò dovette trovare un’altra sistemazione. Il liceo non prevedeva vitto e
alloggio, così Nikola si stabilì dallo zio, il colonnello in pensione.
Carlstadt si trova all’interno di una regione pianeggiante e paludosa della
Croazia, che a quel tempo pullulava di zanzare, responsabili della diffusione
della malaria. Poco dopo il suo arrivo Tesla venne colpito dalla malattia e fu
assistito dalla zia. Questa, per evitargli ulteriori ricadute, si convinse che
dovesse evitare di riempirgli eccessivamente lo stomaco di cibo, e si
preoccupò di tenere Nikola in uno stato di fame continua. In seguito,
ricordando quei giorni, Nikola scrisse:

Mia zia era un’elegante signora, moglie di un colonnello reduce da numerose


battaglie. Non dimenticherò mai quei tre anni passati a casa loro. La rigida
disciplina che si doveva seguire non era paragonabile a quella di nessuna fortezza
durante un assedio. Venivo nutrito come un canarino. Tutti i pasti erano deliziosi e
di ottima qualità, ma in una quantità inferiore del cento per cento rispetto a quella
che sarebbe dovuta essere. Le fette di prosciutto che tagliava mia zia sembravano
fogli di carta velina. Quando il colonnello mi metteva nel piatto qualcosa di
sostanzioso, lei lo toglieva rapidamente dicendogli con fervore: «Stai attento. Niko
è molto delicato». Avevo una fame incredibile, e soffrivo come Tantalo. Vivevo in
una situazione piuttosto atipica per l’epoca, in un ambiente raffinato e artistico.
Queste privazioni, insieme alla disciplina militare da osservare in casa
dello zio, svilupparono in Tesla una grande capacità di autocontrollo e
rafforzarono un rispetto malsano per le figure autoritarie, che da allora in poi
non lo abbandonò più. La sua proverbiale sfiducia nelle donne fu consolidata
dagli atteggiamenti di sua zia, volti a tenerlo sempre sotto controllo, ma al
tempo stesso imparò, sulla propria pelle, quanto l’esercizio della forza di
volontà servisse a raggiungere un obiettivo.
Sono in molti ad aver avuto un insegnante modello al liceo, e Tesla non
faceva eccezione. A Carlstadt ebbe la grande fortuna di avere come
insegnante di scienze il professor Poeschl, insegnante di fisica teorica e
sperimentale: un uomo molto capace ed entusiasta che ideava sempre nuovi
esperimenti per stimolare i suoi ragazzi. Tesla ricordò il professor Poeschl
nelle sue memorie:

…Un uomo pieno d’ingegno, che dimostrava i princìpi della fisica escogitando
sempre nuove invenzioni. Tra queste, ricordo un dispositivo a forma di bulbo
completamente rotante, ricoperto da un foglio di alluminio e predisposto per
roteare velocemente se collegato a una macchina statica. È impossibile riuscire a
esprimere l’intensità delle emozioni che mi provocava assistere a quei fenomeni
così misteriosi. Ogni esperimento produceva migliaia di echi nella mia mente.
Desideravo saperne sempre di più, riguardo a quella forza straordinaria.

Tesla fu colpito da una di queste lezioni in particolare: Poeschl portò in


classe da Parigi una delle più recenti dinamo elettriche, per mostrare ai suoi
allievi come un generatore potesse lavorare anche come un motore.
Le prime fonti di elettricità erano delle batterie che potevano generare
solamente corrente continua; perciò, quando furono realizzati i primi motori
elettrici, erano le batterie ad azionarli. Quando Michael Faraday costruì il
primo generatore elettrico, scoprì che se veniva avvolta una bobina di filo
elettrico intorno a un campo magnetico, tra i due elementi iniziava a circolare
una corrente alternata sconosciuta. Ma nessuno era in grado di azionare un
motore con quella insolita corrente che invertiva la propria direzione. Poi
venne scoperto che applicando un interruttore meccanico all’estremità della
bobina, tale direzione poteva essere invertita in entrambi i sensi, così da
funzionare come la corrente continua. La dinamo di Gramme, quella che il
professor Poeschl riportò da Parigi, usava questi interruttori su un dispositivo
chiamato commutatore.
Questa poteva essere utilizzata sia come dinamo che come motore, ma
quando Poeschl la azionava come un motore, Tesla notò che le spazzole
metalliche che portavano l’elettricità al commutatore in movimento
continuavano a scoppiettare e a fare scintille. Disse quindi ciò che pensava:
«Professore, immagino che ci possa essere un altro modo per azionare un
motore. Guardate come scoppiettano le spazzole; sarebbe molto più efficace
se non venissero utilizzate».
I bravi insegnanti dimostrano rispetto ai propri allievi, e il professor
Poeschl non fece eccezione. Prese in seria considerazione il commento di
Tesla, dedicando la lezione successiva a spiegare perché la corrente alternata
non fosse adatta a far funzionare un motore elettrico. Alla fine della lezione,
disse: «Il signor Tesla ha un grande futuro davanti a sé, ma non riuscirà mai
ad azionare un motore con la corrente alternata. Sarebbe come convertire una
forza d’attrazione costante, come la gravità, in un effetto rotante. È un’idea
impossibile». Tesla, però, era convinto di poterlo fare. Credeva che se la
corrente alternata provenisse da un moto circolare, sarebbe stato possibile
produrre un moto circolare grazie a una corrente alternata.
Prima o poi, purtroppo, anche la migliore delle carriere scolastiche è
destinata a finire: Tesla amava molto gli studi, ma dopo la morte del padre
capì che ben presto sua madre non avrebbe più potuto mantenerlo. Aveva
dunque bisogno di un lavoro.
Il signor Puskas, che era stato un buon amico del padre, gestiva una
società di installazione di apparecchi telefonici a Budapest, e accettò di
assumere Nikola, che si trasferì in quella città. Ancora convinto di poter
realizzare un motore a corrente alternata, Tesla alimentò come una mania
l’idea di creare un nuovo tipo di motore, così tanto da procurarsi un
esaurimento nervoso. I sintomi di questa crisi si manifestarono con lo
sviluppo di un udito eccezionalmente acuto, che gli rese qualsiasi rumore
estremamente doloroso. Tesla ebbe sempre un udito formidabile, ma durante
quell’esaurimento divenne talmente sensibile che perfino il rumore di una
mosca che si posava sul tavolo colpiva i suoi timpani in modo violento e
doloroso.
Sotto i piedi del suo letto posizionò dei cuscinetti di gomma, per cercare
un po’ di sollievo dalle vibrazioni della città, ma continuava a sostenere di
poter sentire tutte le conversazioni della città confuse in un enorme frastuono
di suoni indistinti. Molti anni dopo ricordò che l’unico scopo che gli aveva
permesso di tirare avanti in quel periodo era stata la volontà di creare un
campo magnetico rotante utilizzando la corrente alternata. Di questa voglia di
creare un nuovo tipo di motore elettrico, Tesla ricordò: «Per quanto mi
riguarda era un voto sacro, una questione di vita o di morte. Sapevo che se
avessi fallito sarei morto».
Molto probabilmente fu questa ossessione che gli provocò il crollo
nervoso. E senza dubbio - anche se potrebbe essere stata una pura casualità -
la soluzione al suo problema con la corrente alternata coincise con la fine
della sua malattia. Durante i peggiori periodi di crisi, disse che la risposta
fluttuava sospesa nella sua mente, appena fuori dalla sua portata. Molti anni
dopo, descrivendo quel periodo nella sua “autobiografia”1, una serie di
articoli pubblicati postumi, Tesla descrisse la rivelazione che lo investì
mentre passeggiava nel Parco di Budapest insieme a un amico. Osservava il
tramonto, e declamava a voce alta alcuni versi del Faust di Goethe:

Ebbi un lampo di genio e in un attimo mi fu svelata la verità. Con un bastoncino


disegnai sulla sabbia quegli schemi. […] Avrei barattato un migliaio di segreti
della Natura in cui mi ero imbattuto accidentalmente in cambio di quello che le
avevo appena strappato contro ogni previsione e a rischio della mia stessa
esistenza.

La natura artistica di Tesla si rivela chiaramente nel modo in cui racconta


la storia della sua grande scoperta. Lo colpì sotto forma di un elettrizzante e
compiuto pensiero poetico, mentre contemplava la bellezza della natura e
recitava Goethe. Si sentiva come un grande artista, che operava con la scienza
e con la natura, al di sopra della comune condizione del mondo.
La sua idea era meravigliosa. Nessun altro prima di lui aveva inventato un
motore a corrente alternata (AC). Quando altri ingegneri avevano tentato,
avevano scoperto che i campi magnetici prodotti dalla corrente alternata
giravano semplicemente a vuoto, senza riuscire ad azionare il motore. Il
campo magnetico svaniva quando la corrente invertiva la direzione, e il
motore si fermava. Ciò che fece Tesla fu utilizzare due correnti alternate non
sincronizzate l’una con l’altra. Così come l’onda propulsiva delle zampe del
millepiedi gli permette il movimento in avanti, i campi magnetici lavoravano
insieme per far girare l’albero rotante del motore. Utilizzando più di un
singolo insieme di correnti, egli si assicurava che ci fosse sempre una
corrente abbastanza potente da far girare il motore. Quando una delle correnti
decadeva, l’altra avrebbe continuato a spingere il motore. E mentre il campo
magnetico ruotava, portava il motore a girare con lui, e lo faceva senza l’uso
di connessioni elettriche applicate all’albero rotante. Aveva realizzato ciò che
aveva promesso al professor Poeschl: si era sbarazzato dell’inefficente
commutatore che produceva scintille. L’elettricità era collegata alla struttura
mobile del motore mediante l’induzione magnetica senza fili. La corrente,
scorrendo nelle bobine costituenti la parte fissa del motore, produceva un
campo magnetico in movimento che attraversando le spire delle bobine del
rotore generava un flusso di corrente, senza bisogno di alcun filo elettrico
collegato alle parti in movimento. E fu in quel momento che Nikola intuì che
sarebbe stato possibile diffondere un flusso di energia nello spazio, senza
bisogno di fili.
L’idea era semplice e commerciabile. Tesla però, al contrario di Edison,
non riuscì mai valutare economicamente il suo lavoro. Era spinto
dall’urgenza di risolvere un problema e, una volta risolto, non pensava mai a
come avrebbe fatto a convincere la gente a pagare per il suo lavoro. Era la sua
debolezza più grande, che lo accompagnò fin dall’inizio della sua carriera.
Nei mesi che seguirono Tesla lavorò su tutti i dettagli del suo sistema
completo a corrente alternata. Progettò i generatori, i motori e i trasformatori,
tutto quello che sarebbe servito a rivoluzionare la trasmissione di energia
elettrica su lunga distanza. La sua ottima memoria e la capacità di
visualizzare mentalmente i progetti gli permise di non perdere tempo a
tracciare troppi schemi, tutti archiviati nella sua mente. In questo periodo
particolamente produttivo, egli concepì tutti i prototipi dei diversi dispositivi
che avrebbero avuto tanto successo nel mondo di oggi. L’idea iniziale di
utilizzare due insiemi di correnti fu estesa all’uso di tre: questo - pensava -
avrebbe migliorato le prestazioni del motore. Chiamò la sua invenzione
motore polifase, prima ancora di aver costruito le sue prime macchine bifase.
L’intero sistema delle macchine a corrente alternata esisteva solo nella sua
mente, ma le conoscenze teoriche di Tesla sull’elettricità lo rendevano più
che sicuro che avrebbe funzionato perfettamente.
Tesla era un pioniere della moderna ingegneria elettrica, che si fonda
principalmente sulla comprensione matematica dei fenomeni. Studiando la
matematica e il lavoro dei primi scienziati aveva compreso perfettamente il
funzionamento dell’elettricità. Non agiva per tentativi, come faceva Edison:
ma analizzava i problemi e rifletteva sul modo per risolverli, prima di
costruire qualsiasi apparecchio. Quando conobbe Edison, rimase colpito dai
metodi poco scientifici del grande inventore, e diceva di lui: «Se Edison
dovesse trovare un ago in un pagliaio, procederebbe con la meticolosità di
un’ape, esaminando ogni singolo filo di paglia fino a trovare l’oggetto della
sua ricerca».
L’abilità di Edison infatti non era nel campo dell’elettricità, ma era la
capacità di fare soldi utilizzando le idee di qualcun altro. Tesla era un’altra
categoria di inventore, la sua era una mente totalmente inedita, riusciva a
visualizzare chiaramente nella sua testa sia la struttura dei modelli sia il loro
uso pratico. Era mosso da una spinta interiore a dimostrarsi “meritevole”, e
non era disponibile ad accettare il punto di vista degli altri riguardo ai limiti
di quello che fosse possibile inventare. Se la matematica e la logica lo
convincevano che una cosa poteva essere realizzata, si impegnava anima e
corpo per dimostrarlo, senza mai dubitare un solo istante di aver ragione.
Infatti elaborò una teoria dell’elettricità che avrebbe cambiato il mondo.
UNA SEMPLICE TEORIA CHE FARÀ MOLTA STRADA

La corrente in un circuito è proporzionale alla forza elettromotrice (F.E.M.)


applicata, e inversamente proporzionale alla resistenza.
GEORG SIMON OHM, 1827

Esistono pochi argomenti che non possono essere analizzati matematicamente -


con i loro effetti e risultati calcolati in anticipo - partendo dai dati teorici e pratici a
disposizione.
NIKOLA TESLA, 1919

Tesla aveva una concezione matematica dell’elettricità molto più


avanzata di tutti gli altri scienziati di fine Ottocento. I suoi punti di vista e il
modo con il quale approcciarli erano così all’avanguardia rispetto al suo
tempo che gli attuali metodi di studio dell’elettricità, che vengono insegnati
nelle facoltà universitarie di ingegneria elettrica, non gli sarebbero sembrati
particolarmente strani.
Le due conoscenze fondamentali di un giovane ingegnere elettrico sono la
semplice formula V = RI (voltaggio = resistenza x intensità della corrente) -
nota come legge di Ohm - e come non subire conseguenze letali da una
scossa elettrica.
Una volta, a tutti gli studenti di ingegneria elettrica veniva insegnato a
tenere una mano in tasca durante un esperimento che coinvolgesse
un’apparecchiatura sotto tensione. La ragione è semplice: una scossa
attraverso il torace, trasmessa da una mano all’altra, ucciderebbe
immediatamente il soggetto, bloccando il cuore; se la stessa scossa restasse
su un lato del corpo senza attraversarlo produrrebbe soltanto un forte shock.
Da qui il consiglio di tenere una mano lontana dal banco di lavoro: serve a
impedire che la scossa venga trasmessa al petto, poiché se la mano resta in
tasca è impossibile toccare accidentalmente una parte sotto tensione.
La validità della legge di Ohm non fu mai veramente riconosciuta mentre
il suo scopritore era ancora in vita. Egli trascorse molti anni compiendo
esperimenti per scoprire il funzionamento dei circuiti elettrici, e molti anni
ancora verificando più e più volte i risultati per dimostrare la validità della
sua legge. Gli scienziati della sua epoca non compresero il meraviglioso
strumento che offrì loro, e Ohm non ottenne mai un riconoscimento ufficiale,
sopravvivendo per la maggior parte della sua esistenza grazie a impieghi
miseri e mal pagati, e solamente due anni prima della morte Ohm ricevette la
nomina a professore di fisica dell’Università di Monaco. Nikola Tesla fu il
primo scienziato a utilizzare con successo la legge di Ohm per offrire
l’elettricità alle masse.
La legge di Ohm prediceva il futuro. Per un ingegnere elettrico essa offre
intuizioni fenomenali, e fornisce previsioni esatte sul funzionamento di un
circuito, prima ancora che questo venga costruito. La corrente che passa
attraverso un filo elettrico, così come la differenza di potenziale che la fa
procedere, cambiano di continuo, ma se un circuito deve funzionare secondo
uno schema prestabilito, il progettista deve poter capire come e perché si
verificano questi cambiamenti. Agli albori degli studi sull’elettricità, la
maggior parte degli ingegneri non sapeva perché i voltaggi e le correnti
variassero. La legge di Ohm spiega il comportamento dell’elettricità quando
questa scorre sotto forma di corrente, ma i primi scienziati studiavano solo
l’elettricità statica: non erano interessati al flusso della corrente, perciò non
sapevano cosa farsene della legge di Ohm.
L’elettricità statica cominciò come una magia innocente, come quella
fatta dai bambini che strofinano un palloncino su una maglia di lana per farlo
attaccare al muro. Questo trucco misterioso è in realtà un effetto
dell’elettricità statica, ed era noto fin dai tempi della regina Elisabetta I
d’Inghilterra. Fu osservato per la prima volta da William Gilbert, medico di
corte e uomo dai molteplici interessi. Quando non doveva occuparsi della
salute della regina trascorreva il tempo libero nello studio dei misteri nascosti
della natura e della scienza: osservò per la prima volta fenomeni molto
curiosi sul comportamento dei pezzetti di carta e di altri oggetti molto leggeri.
Gilbert scoprì che se strofinava un pezzo d’ambra su una pelliccia,
l’ambra iniziava ad attrarre dei piccoli oggetti. Molti scolari moderni
avrebbero poi ripetuto questo famoso esperimento, per dimostrare in maniera
semplice l’elettricità statica: si strappa un foglio di carta a piccoli pezzi e si
posano su un tavolo, si prende poi una comune biro di plastica, la si strofina
sulla manica della giacca e si avvicina alla carta. La penna attirerà i pezzi di
carta.
Il dottor Gilbert non disponeva però di una penna a sfera, e nel suo
esperimento utilizzò l’ambra. Tale forza sconosciuta non aveva ancora un
nome, ma Gilbert la definì “elettrica”, dal termine greco elektron, che
significa proprio “ambra”. Egli aveva studiato al St. John’s College di
Cambridge prima di diventare medico personale della regina Elisabetta, e
viene ricordato oggi come il primo studioso dell’elettricità, poiché fu proprio
lui a darle un nome.
Inoltre si interessò anche di magnetismo, scoprendo che la Terra era un
gigantesco magnete e spiegando anche perché l’ago della bussola punti
sempre verso il Polo Nord. Pubblicò le sue scoperte nel primo volume
scientifico scritto in Inghilterra, intitolato Of Magnets, Magnetic Bodies and
the Great Magnet of the Earth (Sui magneti, i corpi magnetici e il grande
magnete Terra). In onore delle sue scoperte, gli ingegneri di oggi chiamano
Gilbert una delle unità di misura della forza dei magneti.
Sebbene il dottor Gilbert scrisse un libro sull’elettricità, per anni nessuno
seppe come utilizzare questa strana forza. Ciò che gli scienziati non sapevano
era che l’elettricità statica viene generata da piccole particelle cariche,
chiamate elettroni. Queste possono essere aggiunte o sottratte da alcuni
materiali, chiamati isolanti (isolante è un corpo che impedisce all’elettricità di
passargli attraverso. Esempi tipici di materiali isolanti sono il vetro, gli
indumenti o la plastica). Lo spostamento di questi elettroni prende il nome di
“carica”, e questo movimento all’interno di un conduttore permette alla
corrente di fluirvi (un conduttore è un corpo che permette all’elettricità di
passargli attraverso. Esempi tipici di conduttori sono i metalli quali il rame,
l’oro e l’argento). Una carica di elettroni in movimento produce una corrente.
Quando una penna a sfera viene strofinata sulla manica di un maglione di
lana, gli elettroni passano dalla penna alla lana. Ciò significa che la penna
perderà alcuni elettroni, mentre la lana ne avrà in eccesso: gli elettroni quindi
cercheranno di colmare gli spazi vuoti rimasti nella biro. Se un pezzo di carta
viene avvicinato alla penna, gli elettroni della carta cercheranno così di
riempire gli spazi lasciati dagli elettroni mancanti nella penna; quando gli
elettroni cercheranno di spostarsi nella penna, trascineranno con sé anche la
carta.
Quando gli scienziati cominciarono a studiare con sempre maggiore
attenzione questo fenomeno d’attrazione, un francese, Charles Dufay, scoprì
che l’elettricità statica si manifestava in due maniere diverse. Verificò che
strofinando insieme due pezzi di ambra e avvicinandoli poi l’uno con l’altro,
questi tendevano a respingersi. Scoprì quindi che due isolanti di ambra si
respingono se sono entrambi carenti di elettroni e che, allo stesso modo, due
altri corpi isolanti contenenti un eccesso di elettroni produrranno lo stesso
effetto: si respingeranno. Solo quando un oggetto con un eccesso di elettroni
viene avvicinato a un altro mancante di elettroni, si svilupperà un’attrazione
reciproca.
Benjamin Franklin, il famoso scienziato e politico americano, chiamò
questi due tipi di elettricità positiva e negativa, e definì la legge secondo la
quale le cariche di elettricità uguali si respingono, mentre le cariche diverse si
attraggono. Oggi sappiamo che gli oggetti con un eccesso di elettroni sono
negativi, mentre quelli che ne hanno meno sono positivi. Strofinare un
isolante per privarlo di elettroni significa “caricarlo elettricamente”. Quando
un oggetto viene caricato (aggiungendo o sottraendo elettroni), la carica può
mantenersi per un tempo indeterminato. Poiché la carica elettrica in un
oggetto resta in stato di quiete, questo tipo di elettricità viene definito
elettricità statica.
Gli elettroni che sono stati ammassati insieme tendono a spostarsi da un
luogo dove non c’è più spazio a un altro dove la presenza di elettroni è
scarsa. Se c’è un conduttore, non possono fare altro che scorrervi attraverso.
Il movimento di elettroni produce corrente, e la legge di Ohm spiega il
comportamento di queste correnti.
È facile avere un’esperienza diretta del rapido movimento degli elettroni.
Se si indossa un indumento in nylon e ci si strofina su un tappeto o su una
poltrona, si prenderà una scossa elettrica non appena toccheremo un metallo.
Infatti lo strofinamento di un capo in nylon ne allontana gli elettroni; quando
questo toccherà un conduttore, gli elettroni del conduttore vi si trasferiranno
velocemente, provocando la scossa elettrica. Quando questo accade, si dà
normalmente la colpa all’elettricità statica.
Fino al 1746 non c’era modo di immagazzinare una carica di elettricità
statica, finché due scienziati, Ewald Georg von Kliest e Pieter van
Musschenbroek, non progettarono un contenitore in grado di trattenere una
carica elettrica. Erano due studiosi dell’Università di Leida, perciò la loro
invenzione fu denominata “bottiglia di Leida”. Questa somiglia a un
contenitore di cipolle sottaceto, con la differenza che l’apparecchio di Leida
contiene elettroni nel metallo, invece di cipolle nell’aceto. I due scienziati
riuscirono così ad accumulare l’elettricità statica per usarla successivamente:
fu di grandissima utilità, prima dell’invenzione delle batterie. Gli ingegneri
odierni chiamano “condensatori” queste piccole bottiglie, e continuano a
usarle per immagazzinare le cariche in ogni tipo di circuito elettrico. La
bottiglia di Leida e il condensatore funzionano grazie a due lastre metalliche
separate, che possono accumulare elettroni in eccesso e allo stesso tempo
mantenerli in difetto. Se immaginiamo un barattolo per sottaceti ricoperto
all’interno e all’esterno da una lamina di metallo, con il vetro che separa i due
rivestimenti di metallo, possiamo farci un’idea di come è fatta questa
bottiglia. Quando il numero di elettroni nelle due lastre è sbilanciato, la
bottiglia si carica di elettricità, e se si collegano le due lastre tra di loro con
un conduttore, la corrente scorre finché tutti gli elettroni in eccesso non
ritornano nel luogo da dove provenivano. Quando entrambe le lastre
raggiungono la stessa densità di elettroni, o livello di carica, il flusso di
corrente si arresta. Più alto è il numero di elettroni separati e scambiati tra le
due lastre e più grande sarà la quantità di elettricità accumulata; maggiore è la
quantità di elettricità accumulata e più lunga sarà la scintilla prodotta quando
gli elettroni vengono fatti scorrere tutti insieme.
Per comprenderne il funzionamento, immaginiamoci una diga:
l’accumularsi degli elettroni è paragonabile all’acqua raccolta dietro una
diga: se si aprono le porte della diga, l’acqua scorrerà velocemente oltre la
barriera, e maggiore sarà la quantità d’acqua raccolta dietro la diga e più forte
e vigoroso sarà l’efflusso. Allo stesso modo, la scintilla sarà più intensa e
prolungata quando una grande quantità di elettroni sia stata separata tra le due
lastre.
Quando parliamo della potenza di un flusso d’acqua, parliamo di
“portata” dell’acqua; maggiore è la portata, maggiore è la pressione che
spinge il flusso. Questa idea idea fu applicata alla carica elettrica, e gli
scienziati cominciarono a parlare di pressione della carica, chiamando tale
pressione forza elettromotrice (F.E.M.).
Quando gli scienziati hanno scoperto qualcosa di nuovo sull’elettricità,
spesso hanno dato il loro nome alle rispettive unità di misura. Due scienziati
di cui avrete certamente sentito parlare sono André Marie Ampère e il conte
Alessandro Volta. Ampère, fisico e matematico francese, inventò uno
strumento per misurare il flusso della carica elettrica, e fu lui a chiamare
ampere (A) l’unità di misura dell’intensità della corrente elettrica. Il conte
Volta, un fisico italiano, inventò la prima batteria, la pila voltaica, e in onore
di questo risultato l’unità di misura della forza elettromotrice fu chiamata volt
(V). Tesla, inventore del motore azionato dai campi magnetici rotanti, dette il
suo nome all’unità della forza magnetica.
La forma di elettricità più spettacolare è quella statica. Produce
straordinarie scintille, fa contrarre in modo spettacolare le zampe delle rane
morte e provoca tempeste di fulmini, ma al di là di questo non ha mai
realmente avuto un’utilità pratica. Un tipo di elettricità utile invece proviene
dalle batterie del conte Alessandro Volta.
Il 20 marzo del 1800, Volta scrisse al presidente della Royal Society di
Londra, dicendo: «Ho il piacere di inviarle alcune sorprendenti
considerazioni, alle quali sono giunto grazie ai miei esperimenti
sull’elettricità prodotta dal semplice contatto tra metalli diversi. Il principale
risultato è uno strumento che si ricarica automaticamente dopo ogni scarica».
Questa è la descrizione di Volta della prima pila elettrica. Ma le batterie
erano destinate a scaricarsi completamente, e le batterie scariche non hanno
alcuna tensione. Senza una fonte di elettricità più potente e costante, i motori
elettrici e l’illuminazione elettrica avevano un costo di gestione troppo
elevato, poiché prosciugavano in brevissimo tempo le loro batterie. Ciò che
serviva era un generatore continuo di elettricità.
Michael Faraday inventò il primo generatore elettrico nel 1831.
L’elettricità che Edison produsse dai suoi generatori a vapore era lo stesso
tipo di elettricità continua prodotta dalle batterie di Volta. Edison intuì subito
che avrebbe dovuto utilizzare una minore quantità di corrente per alimentare
le sue lampade, così da poter utilizzare fili di rame più sottili nel suo sistema
di distribuzione. Sapeva che il calo di tensione si sarebbe limitato se fosse
riuscito a trasmettere l’elettricità su una lunga distanza senza ridurre la
corrente. In realtà, Edison stava applicando la legge di Ohm senza
comprenderla realmente. Toccò a Tesla risolvere il problema della
trasmissione di energia elettrica su lunghe distanze, e ci riuscì grazie alla
piena comprensione e all’uso della legge di Ohm.
All’inizio della sua carriera Edison aveva lavorato come operatore del
telegrafo, e questo gli aveva permesso di comprendere quanto potesse
viaggiare lontano la corrente elettrica. La sua società era stata finanziata da
uomini che si erano arricchiti grazie al telegrafo, e si aspettavano che la
corrente elettrica avrebbe viaggiato almeno altrettanto velocemente del
messaggio telegrafico. Ma non fu così. Nessuno di quelli che lavoravano nel
campo telegrafico comprendeva la legge di Ohm, e nessuno potè prevedere i
problemi pratici derivanti dall’uso dell’elettricità continua ad alta intensità di
corrente. Analizzando oggi la storia del telegrafo, appare evidente dove si
fossero sbagliati.
Nel 1831, lo stesso anno in cui Faraday inventò il generatore elettrico, un
americano, Samuel Findlay Breeze Morse visitò la Gran Bretagna. Morse non
era un ingegnere, ma un famoso pittore e scultore che nel 1821 aveva
ricevuto la Gold Medal dalla Society of Arts di Londra. Si trovava sulla nave
a vapore di linea Sully, riattraversando l’Atlantico dopo aver ricevuto la
medaglia, quando un passeggero gli raccontò dei nuovi progressi di Faraday
nel campo dell’elettricità. Seppe anche che le società ferroviarie inglesi
stavano cercando un modo più efficace del telegrafo per inviare i messaggi, e
questo gli diede l’idea di inviare i messaggi con l’elettricità.
Morse era professore di Belle Arti alla New York University. Al suo
ritorno in America, dedicò tutto il suo tempo libero lavorando a un sistema
per inviare i messaggi attraverso un filo elettrico. Lo realizzò alternando
rapidamente impulsi elettrici lunghi e brevi: all’altro capo del filo l’elettricità
poteva produrre sia un impulso puntiforme sia un segnale acustico. Morse
elaborò un codice semplice per inviare i messaggi, composto di impulsi brevi
(punti) e impulsi lunghi (linee). Era davvero un’ottima invenzione, poiché il
messaggio giungeva da un’estremità all’altra del filo nello stesso istante in
cui veniva inviato. Aveva però un grosso difetto: se i fili che collegavano la
stazione di invio a quella ricevente superavano le 20 miglia (32 km), il
segnale diventava troppo debole per essere udito. Per ovviare a questo
inconveniente, le diverse stazioni del telegrafo furono posizionate a intervalli
di 20 miglia ciascuna. Quando arrivava il messaggio, l’operatore doveva
trascriverlo e inviarlo poi all’operatore successivo. Il Congresso degli USA
offrì a Morse un finanziamento di 30.000 dollari per installare un impianto di
telegrafo pubblico, e il 24 maggio 1844 Morse inviò il suo primo telegramma
da Washington DC a Baltimora, nel Maryland. Il messaggio diceva: «Che
cosa ha compiuto Dio!».
Se Edison fosse stato capace di trasmettere l’energia elettrica su simili
distanze, il suo sistema avrebbe richiesto un minor numero di centrali
elettriche e avrebbe avuto maggiore successo. Ma ciò che non comprese fu
che la corrente che voleva utilizzare era troppo elevata per poter viaggiare
così lontano.
A un filo di rame non piace troppo essere attraversato dall’elettricità, e
tenta quindi di fermare gli elettroni che lo percorrono. Prima si surriscalda, e
se la temperatura continua ad aumentare, alla fine fonde. Non si può
costringerlo a sopportare più corrente di quanto possa sostenere. Un filo
spesso è più tollerante, e trasporterà più corrente di un filo sottile; ma per i fili
più spessi occorrerà più rame, e quindi avrà costi maggiori. Ogni filo elettrico
ha un limite massimo di corrente trasportabile.
Ohm aveva detto che «la corrente in un circuito è inversamente
proporzionale alla resistenza». Ciò significa che maggiore sarà la corrente
attraverso un filo, maggiore sarà la caduta di tensione. Se si aumenta la
corrente, si potrà costringere un maggiore voltaggio ad arrivare all’altro capo
del filo, che però fonderà e non sarà più utilizzabile. Non c’è altra soluzione.
Con una bassa corrente, ci sarà una minore caduta di tensione su un filo che
utilizzando una maggiore quantità di corrente, ma affinché le cose funzionino
servirà un’elevata corrente. La quantità di luce che si può ottenere da una
lampada o l’efficienza di un motore elettrico dipendono dalla quantità di
corrente che i fili riescono a trasportare.
Per far sì che una lampada brilli intensamente serve molta energia:
l’energia è infatti la capacità di compiere un lavoro. Due sono le unità di
misura dell’elettricità, il voltaggio e la corrente. Per produrre energia elettrica
il voltaggio e la corrente devono essere presenti contemporaneamente; la luce
elettrica sarà maggiormente intensa quando il voltaggio e la corrente
lavoreranno insieme.
Più sarà l’energia a disposizione, più intensa sarà la luce prodotta, ma ci
sono molti modi di portare molta energia a una luce elettrica. Si può avere un
alto voltaggio e poca corrente, oppure alta corrente e un basso voltaggio.
L’energia di un dispositivo elettrico, ovvero la sua capacità di compiere il
lavoro, si ottiene moltiplicando il voltaggio per la corrente. Il voltaggio è la
capacità dell’elettricità di percorrere un filo. Maggiore è il voltaggio e
maggiore sarà la distanza percorsa. La corrente è il numero di singole
particelle dell’elettricità (chiamate elettroni) che operano all’inizio del filo.
Quindi l’energia ha bisogno sia del voltaggio che della corrente, e ciò
significa che l’elettricità deve poter percorrere un filo e avere sufficienti
elettroni in grado di arrivare alla lampada. Maggiore la lunghezza del filo e
minore sarà il voltaggio che resta al capo del filo: ma non è finita qui. Se così
fosse, basterebbe usare un alto voltaggio, e la lunghezza del filo non avrebbe
importanza. Maggiore è il voltaggio e più facile sarà per la corrente
attraversare il filo, ma sarà altrettanto facile attraversare un corpo umano. Se
un alto voltaggio viene accidentalmente a contatto con una persona,
trasmetterebbe una corrente sufficiente a ucciderla. È a causa di questo
pericolo di morte che ci sono dei limiti nell’utilizzo del voltaggio nelle case.
Maggiore è il voltaggio e più difficile sarà proteggere una persona dalla
corrente (ad esempio, sarà più difficile isolare i fili).
Mentre gli elettroni percorrono un filo, si scontrano con gli atomi del filo
stesso, surriscaldandoli: questo rallenta gli elettroni e riduce il voltaggio. È
per questo che maggiore sarà la lunghezza del filo che collega l’abitazione
alla centrale elettrica e minore sarà il voltaggio ottenuto e meno intense le
luci.
Per sfruttare al meglio la legge di Ohm, l’elettricità dovrebbe essere
generata con un basso voltaggio e una corrente elevata (per evitare le scintille
e la rottura dell’isolatore nel generatore meccanico), poi trasmessa a un
voltaggio molto alto ma con bassa corrente (perché vi sia una minore
dispersione di calore nei fili e meno rame utilizzato), e poi usata a un basso
voltaggio nelle abitazioni (per evitare il rischio di scariche elettriche).
Quando l’elettricità fu scoperta per la prima volta, non era possibile
soddisfare tutti questi parametri.
Esistono due tipi di elettricità: la corrente continua (C.C.) e la corrente
alternata (C.A.). La corrente continua è un tipo di elettricità che non cambia
mai direzione; quella alternata è un tipo di elettricità che la cambia in maniera
rapidissima, modificando e invertendo continuamente il proprio flusso.
L’elettricità a corrente alternata che esce dalle prese di corrente nelle nostre
case inverte la propria direzione almeno cento volte al secondo. La corrente
alternata può aumentare o diminuire il suo voltaggio semplicemente passando
attraverso due bobine, chiamate trasformatori. La corrente continua può solo
ridurre il proprio voltaggio, senza poterlo più aumentare nuovamente. I primi
motori elettrici potevano utilizzare solamente corrente continua perché, a
metà del XIX secolo, la gran parte degli ingegneri la pensava come
l’insegnante di Tesla, cioè che fosse impossibile trovare un’applicazione
pratica alla corrente alternata. E quindi una tale possibilità restò
completamente ignorata.
Quando Edison cominciò a produrre elettricità domestica - al voltaggio
necessario per non correre rischi - se abitavate a più di mezzo miglio dalla
centrale elettrica le lampade della vostra abitazione non sarebbero riuscite a
sviluppare energia sufficiente a produrre una luce intensa. Questo era il
principale difetto dell’elettricità a corrente continua, usata allora per il
servizio elettrico pubblico.
Per comprenderlo è sufficiente immaginare nuovamente una diga piena
d’acqua, questa volta però dotata di una chiusa. Il voltaggio è paragonabile
alla portata dell’acqua, e la corrente al flusso dell’acqua che scorre attraverso
la chiusa. Se la diga è vuota, la completa apertura della chiusa non produrrà
alcun flusso d’acqua; se la diga è invece piena d’acqua, l’apertura anche se
parziale della chiusa produrrà un flusso molto forte.
Se vogliamo utilizzare l’acqua di un tubo per lavare la macchina, allora
avremo bisogno di un flusso d’acqua con una buona portata, per ottenere un
getto sufficientemente forte. Se il flusso è poco, o la portata troppo debole,
l’acqua che esce dal tubo non avrà abbastanza forza per rimuovere lo sporco
dalla carrozzeria. Se il tubo si attorciglia, il getto d’acqua rallenterà fino a
bloccarsi, e se la portata dell’acqua diminuisce per un foro nel tubo, non vi
sarà forza sufficiente a pulire la macchina. La forza reale deriva sia dal flusso
sia dalla portata, che operano in contemporanea. Succede esattamente la
stessa cosa con l’energia elettrica: con un alto voltaggio e molta corrente si
ottiene moltissima energia. Se il voltaggio si disperde lungo il filo di
trasmissione, alla fine di questo non ci sarà tensione a sufficienza perché la
corrente possa lavorare: aumentando il voltaggio si colmano le perdite nel
filo, mantenendo comunque sufficiente tensione perché la corrente funzioni.
Se invece si è in grado di trasmettere l’energia elettrica a un voltaggio molto
alto, utilizzando una minima quantità di corrente, si può ottenere la stessa
quantità di energia e ridurre al minimo il problema legato alla caduta di
tensione nel filo. In questo caso però bisogna ridurre il voltaggio prima che la
corrente raggiunga le abitazioni delle persone, per evitare di ucciderle.
Attualmente i fili elettrici della National Grid trasportano elettricità in tutto il
paese attraverso grandi tralicci che lavorano con milioni di volt, e l’elettricità
viene distribuita a livello locale a circa 11.000 volt, per essere poi ridotta a
240 volt prima di entrare nelle case.
Oggi diamo per scontato che in qualunque luogo l’elettricità pubblica
possa illuminare la nostra casa, ma non è stato sempre così.
L’UMORISMO AMERICANO

Le guide non possono riportare le sfumature dell’umorismo americano.


MARK TWAIN

Charles Batchellor era un ingegnere inglese, che aveva conosciuto Edison


quattordici anni prima che fondasse la Edison Electric Light Company. I due
avevano lavorato insieme presso la stazione del telegrafo che lo stesso Edison
progettò a Newark e, in seguito, Batchellor condivise con lo scienziato il
successo dell’invenzione del fonografo. Nel tempo divenne un suo grande
amico e fidato consulente. Era un uomo alto, scuro e massiccio, che le donne
avevano giudicato piuttosto attraente in gioventù. Quando Tesla lo conobbe
aveva ancora molti capelli e la barba nera, anche se in realtà aveva qualche
anno in più di Edison.
Una società parigina di Edison stava attraversando un momento difficile,
e così l’inventore inviò Batchellor per risolvere i problemi, per impedire agli
ingegneri parigini di fare troppi errori e per insegnare loro ad aumentare i
profitti. In verità l’impresa stava operando in un nuovo settore, con ingegneri
inesperti e attrezzature sperimentali: nessuno in realtà sapeva cosa avrebbe
dovuto fare, e la maggior parte degli errori erano commessi da uno staff ben
intenzionato che cercava di fare del suo meglio, nonostante l’ignoranza e
l’incompetenza.
La Continental Edison di Parigi era una filiale della Edison Electric Light,
e produceva dinamo, motori e sistemi di illuminazione. Ma non tutte le
vendite avevano avuto successo, sicuramente non l’impianto di illuminazione
completo e la centrale elettrica che furono forniti a una compagnia ferroviaria
tedesca. Sfortunatamente lo staff che lo aveva installato alla stazione di
Strasburgo aveva commesso gravi errori, e quando l’imperatore Guglielmo I
aveva inaugurato il nuovo sistema di illuminazione, questo aveva fatto corto
circuito, esplodendo e demolendo un muro proprio davanti all’imperatore e
alla sua corte. Tuttavia né l’acquirente né l’imperatore si sorpresero troppo,
specialmente perché, nel 1883, poco dopo la fine della guerra
francoprussiana, le tensioni e gli attriti tra Francia e Germania erano ancora
vivi. Una società francese che aveva quasi ucciso un imperatore tedesco
installando un sistema elettrico non sicuro, non fu vista molto bene dalle
autorità tedesche, e questo “incidente” della Continental Edison fu guardato
con grande sospetto.
La situazione era terribilmente imbarazzante per Edison, e pareva aver
compromesso la sua fama in Europa. C’era inoltre la possibilità che la
compagnia non venisse pagata, o addirittura che potesse venire citata per
danni. Ogni passaggio necessario alla riparazione dell’impianto doveva
essere approvato per scritto dai tedeschi, e per assicurarsi quindi che
l’installazione fosse definitivamente sicura, Edison mandò a Parigi il suo
uomo più fidato, Charles Batchellor, affinché risolvesse al più presto il
problema.
In quel periodo, Tesla lavorava da poco alla Continental Edison. Dopo
essersi laureato all’Università di Praga aveva lavorato prima per una
compagnia telefonica di Budapest, e poi si era trasferito a Parigi con il suo
capo. Qui Tesla sperava che avrebbe avuto l’opportunità di realizzare i suoi
progetti sulla corrente alternata. Quando Batchellor arrivò a Parigi, il giovane
ingegnere era perciò stato appena assunto dalla Continental Edison.
Completamente preso dalle proprie idee, Tesla ne parlava a ruota libera
con chiunque fosse stato disposto ad ascoltarlo. Non aveva idea di cosa fosse
un segreto commerciale e alcuna esperienza delle regole del mercato, però
sapeva giocare a biliardo. C’erano pochi ingegneri americani della Edison
Continental che, lontani da casa, la sera si ritrovavano per fare qualche
partita. Tesla si univa a loro e, intorno al tavolo, parlava senza freni delle sue
idee sulla realizzazione di un motore a corrente alternata e del brillante futuro
che attendeva questo tipo di corrente.
Le società di Edison lavoravano però con la corrente continua. Tesla
aveva formulato una sua teoria riguardo alla corrente alternata, ed era
convinto che avrebbe potuto sostituire la corrente continua una volta che la
gente si fosse resa conto dei vantaggi che avrebbe comportato. Tuttavia,
pochissimi tra i suoi colleghi di Parigi pensavano che le sue idee potessero
avere un valore commerciale: tutti i brevetti della compagnia di Edison erano
basati sulla corrente continua, e gli apparecchi che vendevano funzionavano
tutti a corrente continua. Quando una società ha il monopolio di una
determinata invenzione è del tutto improbabile che sia interessata a una
nuova idea che renda obsoleta la precedente, a maggior ragione se avrà
appena fatto grandi investimenti nelle centrali e nei sistemi elettrici a corrente
continua.
Come se ciò non bastasse, la nuova scienza della corrente continua stava
già causando abbastanza problemi di tipo pratico ai pochi ingegneri validi del
settore, che non avrebbero mai preso in considerazione l’idea di mettere in
discussione le nuove teorie per ripartire da zero con qualche avventata idea
rivoluzionaria. Tesla era considerato simpatico e capace, ma allo stesso
tempo anche un po’ folle, e per questo gli furono assegnati dei compiti
pratici: costruire motori a corrente continua e scoprire come far lavorare
insieme le dinamo.
Uno dei compagni di biliardo di Tesla, un certo signor Cunningham, era il
caporeparto della sezione meccanica, e dovette credere alle parole del
giovane ingegnere perché gli fece una concreta proposta d’affari. Gli offrì di
creare insieme una società per azioni per sviluppare le sue idee sulla corrente
alternata. Cunningham sapeva che Edison aveva iniziato così a New York, e
che era riuscito a guadagnare moltissimo grazie alle ricche società del
telegrafo. Se solo Tesla avesse accettato la proposta di Cunningham, di sicuro
da quel momento in poi la sua vita e la sua fortuna avrebbero seguito un altro
corso, molto diverso, ma purtroppo il solo pensiero lo fece scoppiare in una
risata. Offeso, Cunningham riconsiderò i suoi progetti di collaborare con un
tale sognatore idealista; e fu così che svanì la prima delle molte opportunità
che Tesla avrebbe avuto di fare fortuna.
Nonostante la sua ingenuità nel campo economico, Tesla era un ingegnere
molto competente. Lavorando alla centrale elettrica della società, ben presto
rivelò il suo talento con i miglioramenti che apportò ai progetti dei motori a
corrente continua e per l’invenzione del regolatore automatico delle dinamo;
e quando Batchellor arrivò a Parigi, riconoscendo subito le potenzialità di
Tesla, lo promosse a capo tecnico-riparatore dell’azienda.
Servivano delle misure drastiche per portare in fondo lo sfortunato
contratto di Strasburgo, e considerate le conoscenze teoriche e le abilità
pratiche di Tesla, che facevano di lui il migliore ingegnere della filiale
parigina, fu subito inviato a riparare l’impianto. Gli era già stato promesso un
premio per l’invenzione del regolatore delle dinamo, ma non aveva ancora
visto il becco di un quattrino: adesso il direttore gli disse che se avesse
riparato rapidamente l’impianto di Strasburgo, avrebbe ricevuto un
sostanzioso premio di 25.000 dollari.
I problemi tecnici del sistema non erano difficili da risolvere per Tesla,
ma i tedeschi erano ancora sospettosi e volevano essere certi che non ci
sarebbero state altre esplosioni, e pretesero quindi che ogni minimo
intervento fosse approvato per scritto. I procedimenti burocratici lasciarono a
Tesla molto tempo libero, a causa dei molti permessi da ottenere prima di
qualunque mossa da compiere. Non rimase però con le mani in mano: prese
in affitto un piccolo laboratorio in un vicolo di Strasburgo e lì costruì il primo
motore a corrente alternata nel mondo, oltre a un piccolo generatore a
corrente alternata a due tempi per alimentare il motore elettrico a induzione
che aveva sempre sognato.
Questo motore a corrente alternata era molto più efficiente di qualunque
altro motore del tempo e più semplice da realizzare, e non richiedeva il
continuo ricambio delle spazzole del commutatore. Fino a quel momento, a
nessuno era mai venuto in mente di realizzare un motore a corrente alternata,
poiché quando la corrente alternata veniva applicata a un comune motore a
corrente continua si riusciva soltanto a farlo vibrare senza farlo girare. Tesla
però aveva avuto l’idea di utilizzare due generatori a corrente alternata, e
accoppiandoli aveva creato un campo magnetico che ruotando faceva girare
anche l’albero di trasmissione, senza bisogno delle inefficienti spazzole che
collegavano le diverse parti in movimento. Non solo si era liberato delle
spazzole che producevano scintille, ma aveva creato un motore che
funzionava grazie alla versatile corrente alternata di cui era tanto entusiasta.
Così, a ventisette anni appena compiuti, Tesla aveva realizzato su scala
ridotta il suo primo motore a corrente alternata, in un piccolo laboratorio di
Strasburgo.
Con un prototipo che dimostrava il funzionamento pratico della sua idea,
e dopo aver rifiutato la proposta di Cunningham di formare una società per
azioni, a Tesla adesso servivano dei fondi per proseguire le ricerche.
Sfortunatamente, dimostrò ancora una volta la sua totale mancanza di senso
degli affari che lo avrebbe segnato per tutta la vita.
Facendosi facilmente impressionare dalla posizione sociale e dalle
apparenze, fece amicizia con l’ex sindaco della città; e confondendo lo stato
civico con il senso degli affari, invitò l’ex sindaco Bauzin e i suoi amici del
municipio a vedere il suo nuovo motore, sperando così che i ricchi cittadini di
Strasburgo gli avrebbero fornito un sostegno finanziario per la costruzione
dei motori a corrente alternata. Ma questi furono del tutto incapaci di
comprendere le potenzialità della sua invenzione. Capivano soltanto che si
trattava di un altro generatore e di un altro motore che girava esattamente
come i motori di Edison, e visto che avevano appena investito molto tempo e
denaro nella centrale elettrica di Edison, non vedevano proprio il motivo di
smantellarla e sostituirla con tale nuova invenzione.
Se Tesla rimase deluso dal loro scarso entusiasmo cercò di non darlo a
vedere. L’amico sindaco, usando tutte le sue capacità politiche, gli assicurò
che il suo motore avrebbe senz’altro avuto molto successo e che se fosse
tornato a Parigi avrebbe certo ricevuto un’accoglienza trionfale. Tesla gli
credette, e decise che quando avesse ricevuto i 25.000 dollari che gli erano
stati promessi li avrebbe utilizzati per costruire un vero e proprio motore e un
generatore. Una volta mostrato il pieno potenziale della sua invenzione, tutti
sarebbero voluti passare al nuovo impianto, rinunciando a qualsiasi
investimento precedente.
Tornato a Parigi, Tesla si recò immediatamente dal direttore operativo
che lo aveva mandato a Strasburgo. Gli spiegò che aveva riparato il sistema
di illuminazione e risollevato la reputazione della società, e chiese quindi il
premio promesso. Il direttore espresse tutto il suo apprezzamento e la sua
gratitudine, spiegando però che qualsiasi pagamento straordinario doveva
essere approvato dal contabile. Tesla andò quindi da questo, che si sciolse in
ringraziamenti a nome della società, dicendo però che i pagamenti
straordinari dovevano essere approvati dal presidente. Imperterrito, Tesla
prese un appuntamento con il presidente, che lo elogiò e lo ringraziò un’altra
volta, spiegando che la questione era di piena competenza del direttore
operativo, e che lui non poteva interferire nelle sue decisioni. Perfino Tesla,
con tutto il suo ottimismo, si rese conto che sarebbe stato inutile continuare a
girarci intorno, e si convinse che non avrebbe visto alcuna ricompensa.
Per quanto riguardava la società, il lavoro era stato compiuto, il
pagamento incassato e la reputazione era salva. Se qualcosa fosse andato di
nuovo storto avrebbero sempre potuto trovare un altro giovane ingegnere che
avrebbe lavorato giorno e notte per riparare i guasti. Era strano che i giovani
ingegneri sperassero sempre di avere più soldi, anche quando le regole della
società non autorizzavano i pagamenti straordinari.
Ma forse queste sono delle conclusioni affrettate. Forse la società non
aveva denaro disponibile, forse si trattava di un “malinteso”, o forse Tesla era
stato semplicemente sfruttato dalla sua società.
Come molti altri giovani ingegneri, egli aveva appena imparato la prima
lezione: onde evitare certi “malintesi”, è necessario pretendere una
dichiarazione scritta prima di accettare un lavoro. Ma, come Tesla confidò a
Charles Batchellor, suo amico e compagno di biliardo: «Mi aspettavo che la
società avrebbe mantenuto la propria parola».
Qual è stato il ruolo di Batchellor nella delusione di Tesla? Dopotutto egli
era un grande amico e consulente di Edison, e questo la diceva lunga sulla
sua lealtà. Durante le numerose partite a biliardo parigine aveva avuto modo
di ascoltare le idee di Tesla sul futuro dell’energia elettrica, rendendosi conto
del potenziale ma anche della minaccia rappresentata dal lavoro del giovane
ingegnere. La lettera di raccomandazione che aveva scritto per presentarlo a
Edison dimostrava che non aveva affatto sottovalutato il giovane ingegnere.
Diceva a un certo punto: «Conosco due grandi uomini: uno sei tu, l’altro è
questo giovane…». Batchellor si sarebbe potuto preoccupare del fatto che le
idee di Tesla avrebbero potuto compromettere il nascente impero elettrico di
Edison, e potrebbe aver pensato che sarebbe stato meglio avere un potenziale
rivale dalla propria parte piuttosto che avercelo contro.
Quando Batchellor convinse Tesla a recarsi negli Stati Uniti a lavorare
per Edison, sapeva delle difficoltà che questi stava affrontando per affermare
la validità delle sue idee nel mondo reale. Edison, uomo pratico che rifiutava
la teoria, sviluppava i propri progetti per tentativi, e negli ultimi tempi aveva
commesso troppi errori consecutivi! In Tesla, con il suo approccio
matematico all’ingegneria, Batchellor intravide la possibilità di evitare il
costo di tanti esperimenti fatti a caso: Tesla era in grado di calcolare i risultati
delle sue applicazioni tecniche prima di sperimentarle. Inoltre, suggerendogli
di partire per gli Stati Uniti, Batchellor sperava di utilizzare le intuizioni di
Tesla a beneficio di Edison, e di usare il giovane ingegnere per aiutare la
società americana a risolvere i suoi problemi di sviluppo. Il giovanotto era
chiaramente pieno di talento, e noi non sapremo mai se Batchellor stesse
approfittando del cattivo trattamento di Tesla da parte dell’amministrazione
parigina o se tutto facesse parte di un suo piano studiato a tavolino. In ogni
caso, il risultato fu uno solo: Tesla fu convinto a vendere i suoi libri e gli
effetti personali, ad accantonare i suoi modelli, a impacchettare i suoi disegni
in un baule e a emigrare in America.
È molto probabile che l’ultimo compito di Batchellor a Parigi fosse
proprio quello di convincere Tesla a correre in aiuto dell’attività americana di
Edison; inoltre non perse ulteriore tempo prezioso, e anche lui ritornò in
fretta a New York. Il resto è storia. Alla fine, è difficile non sospettare che
Bachellor avesse escogitato tutto nella speranza di spingere Tesla a recarsi in
America.
Prima dell’arrivo del giovane ingegnere a New York, il problema più
spinoso di Edison era quello di connettere le dinamo tra loro. I generatori a
corrente continua producevano brevi impulsi di corrente che aumentavano o
diminuivano seguendo la velocità delle bobine rotanti del generatore. Dato
che i motori e i generatori sono esattamente lo stesso tipo di macchina, se un
generatore è al punto massimo dell’erogazione dell’impulso mentre l’altro al
quale è connesso è alla fine del proprio ciclo, il più alto cercherà di trascinare
quello basso azionandolo come un motore. Almeno che i due generatori non
vengano programmati per girare esattamente alla stessa velocità, l’effetto
dell’accoppiamento produrrà delle spinte alternate, dal momento che ciascun
generatore cercherà di portare l’altro a funzionare come un motore.
Le prime dinamo a vapore di Edison potevano alimentare solamente una
piccola quantità di luci, insufficienti ad accendere tutti i lampioni che i suoi
clienti avrebbero voluto collegare al suo sistema pubblico. Dapprima Edison
aveva semplicemente cercato di costruire un generatore più grande, che -
essendo un amante del Circo Barnum - aveva chiamato “Jumbo”, dal nome di
uno degli elefanti del circo. Ma il generatore Jumbo riusciva a illuminare non
più di quattrocento lampioni, insufficienti per un’erogazione elettrica
pubblica.
Edison non era in grado di realizzare un singolo generatore così grande da
accontentare tutti i clienti del suo sistema d’illuminazione. Cercò di
accoppiare due o più dinamo per produrre abbastanza energia, ma siccome
non comprendeva la sincronizzazione degli impulsi elettrici, i suoi generatori
accoppiati non funzionavano come avrebbero dovuto.
La prima volta che Edison collegò insieme due dei suoi generatori Jumbo,
comprese che avrebbe avuto un serio problema. Commentando
l’esperimento, tempo dopo, disse: «Abbiamo avviato l’altro Jumbo e li
abbiamo collegati in parallelo. Quel giorno abbiamo assistito al peggior
spettacolo della storia».
Edison aveva messo a punto un collegamento meccanico tra le valvole
regolatrici del vapore dei due generatori, cercando di fermare in questo modo
l’“oscillazione” dovuta agli impulsi di corrente non sincronizzati. Questa
soluzione di fortuna aveva permesso a quei due particolari generatori
accoppiati di lavorare insieme, ma Edison non aveva trovato la soluzione al
problema del controllo elettrico necessario a far funzionare qualsiasi
generatore con qualsiasi altro generatore. John Hopkinson, uno dei suoi
consulenti scientifici, aveva scritto alcune note sulle imperfezioni nelle
dinamo: «È necessaria un’analisi critica dei generatori con lo scopo non solo
di migliorarli, ma anche di metterci nella condizione di sapere in anticipo
come modificare le macchine per farle funzionare nelle diverse situazioni».
Edison, tuttavia, che non amava applicare le teorie matematiche al suo
lavoro, preferiva prima costruire una cosa e poi iniziare a giocherellarci nella
speranza di risolvere ogni difetto che si presentasse. A volte questo sistema
funzionava, ma il fallimento del suo approccio non analitico stava causando
non poco imbarazzo.
Molto tempo prima della sua trasferta a Parigi, Batchellor era al corrente
del problema di Edison riguardo l’accoppiamento delle dinamo. Addirittura
aveva proposto una soluzione per alcuni degli impianti privati più grandi. Ad
esempio, l’Haverly’s Theatre di Chicago possedeva un impianto
d’illuminazione di Edison che alimentava 647 lampade: era molto più di
quanto potesse fare una sola dinamo, e anche più delle quattrocento lampade
che poteva alimentare un Jumbo. Il Bollettino della Edison Electric Light
aveva riportato queste incredibili prestazioni, senza spiegare però come fosse
stato possibile realizzarle. L’impianto del teatro era in realtà formato da tre
diversi sistemi d’illuminazione all’interno dello stesso edificio. Una delle
dinamo alimentava le luci dell’atrio e dell’entrata, un’altra quelle della platea
e una terza quelle del palco e dei camerini. I tre impianti non erano però
collegati tra loro.
Batchellor sapeva che Tesla sarebbe stato in grado di risolvere il
problema dell’accoppiamento, visto che il giovane ingegnere aveva
progettato un regolatore automatico per le dinamo, ed Edison, dal canto suo,
sapeva come motivare Nikola. Intuì che Tesla aveva un grande bisogno di
capitale per sviluppare le sue idee sul motore a corrente alternata, e che
sarebbe stato pronto a lavorare duramente e a lungo pur di realizzare i suoi
progetti. Gli offrì perciò 50.000 dollari per perfezionare i generatori della sua
centrale elettrica.
Tesla, che purtroppo non aveva acquisito il senso degli affari dopo
l’esperienza parigina, cominciò a lavorare senza sosta, e per tutto l’anno
successivo lavorò dalle dieci del mattino alle cinque del mattino seguente
senza mai concedersi un attimo di riposo. Produsse nuovi progetti per
ventiquattro diversi tipi di motori a corrente continua standard: macchine che
non soltanto erano capaci di generare una maggiore corrente, ma anche
semplici da regolare e da accoppiare. Progettò inoltre un sistema di controllo
che assicurava, dal momento in cui i generatori venivano collegati, che gli
impulsi di corrente prodotti fossero sempre sincronizzati. Questo significava
che i generatori non finivano mai a lavorare l’uno contro l’altro, poiché il
regolatore assicurava che spingessero insieme. In seguito, Tesla ricordò le
parole di Edison dopo che il problema dell’accoppiamento delle dinamo era
stato risolto: «Ho avuto diversi assistenti che lavoravano sodo, ma lei vince
davvero il primo premio».
Edison costruì i nuovi generatori di Tesla e li sperimentò. La “terza
spazzola regolatrice” di Tesla, che aggiungeva una coppia di spazzole al
progetto di Edison, permetteva di collegare tra di loro un numero qualsiasi di
dinamo. Le macchine funzionavano perfettamente, così Edison le brevettò e
cominciò a sostituirle alle dinamo precedenti. A questo punto, Tesla chiese i
50.000 dollari promessi. Almeno - pensava - avrebbe avuto abbastanza
denaro per costruire un vero motore a corrente alternata, le lunghe ore di
lavoro sarebbero state ripagate e lui avrebbe avuto il capitale per cominciare.
Però, per la seconda volta in due anni, Tesla fu raggirato. Si recò nell’ufficio
di Edison e gli ricordò i 50.000 dollari promessi per perfezionare i nuovi
generatori. La risposta di Edison lo fece così infuriare che per molti anni a
venire ricordò spesso quel giorno. Egli infatti gli rispose: «Tesla, ma lei non
capisce l’umorismo americano!».
Ancora una volta, Tesla era stato preso in giro da una società di Edison.
Forse la prima volta si sarà consolato pensando che Edison non era stato al
corrente di ciò che era successo; altrimenti per quale motivo si era deciso ad
attraversare l’oceano, perdendo tutto ciò che possedeva nel tragitto, solo per
lavorare diciotto ore al giorno per sette giorni la settimana? Aveva perfino
concesso a Edison il beneficio del dubbio riguardo le sue iniziali ostilità nei
confronti della corrente alternata. Nella sua adorazione per Edison, aveva
perfino cercato di impressionarlo con le sue capacità, mostrandogli come le
imperfezioni dei suoi motori a corrente continua potessero essere risolti,
addirittura permettendogli di confermare l’iniziale successo commerciale del
sistema a corrente continua. A Edison però non importava niente della
devozione di Tesla, e lo considerava semplicemente un barbaro che per chissà
quale caso era eccezionalmente bravo con i motori. Edison non era mai stato
in Europa, e ne aveva un’immagine confusa come di un luogo barbarico e
sottosviluppato. Una volta addirittura chiese a Tesla se non avesse mai
mangiato carne umana, magari pensando che la Croazia fosse una zona di una
giungla situata nell’Europa centrale. Tesla però non era un barbaro selvaggio,
e la cruda realtà della promessa non mantenuta gli fece finalmente aprire gli
occhi. Era un gentiluomo europeo, cresciuto in una famiglia che per
generazioni aveva servito la Chiesa e l’esercito: per lui, la parola di un
gentiluomo era sacra. Si licenziò immediatamente, senza stare troppo a
riflettere sulla sua situazione.
Un anno dopo il suo arrivo in America era nuovamente senza lavoro, ma
ormai era conosciuto come un ottimo ingegnere elettrico, con una grande
esperienza acquisita lavorando nella rispettabile Edison Electric Light
Company.
E LUCE FU

Nemmeno le tenebre per te sono oscure, e la notte è chiara come il giorno.


Per te le tenebre sono chiare come la luce.
Salmi, 139

Fare luce dopo il tramonto del sole è un problema vecchio come il


mondo. Quando i primi uomini volevano vedere nell’oscurità dovevano
preparare un fuoco; ma il fuoco non poteva essere trasportato, a meno di
raccogliere un ramo e accenderlo sulle fiamme. Anche così, però, la
rudimentale torcia aveva una breve durata e faceva ben poca luce. In uno di
quei giorni, a qualcuno venne l’idea di prendere un recipiente di pietra o di
terracotta, riempirlo di grasso animale o di olio e metterci a galleggiare uno
stoppino. Lo stoppino assorbiva e continuava a bruciare l’olio finché non si
fosse consumato. Queste lampade potevano essere trasportate, e bruciavano
molto più a lungo di un semplice ramo di un albero. Ai tempi della Bibbia, le
lampade a olio erano di uso comune.
La candela, un cilindro di un materiale a lenta combustione come il sego
o la cera, con uno stoppino inserito all’interno, fu un’altra soluzione portatile
al problema di generare la luce. Le candele vennero usate fino dal 3000 a.C.,
diventando il sistema principale di illuminazione della casa, poiché erano
semplici da fabbricare e da usare, e generavano una buona luce.
Il successivo passo in avanti nel campo dell’illuminazione fu compiuto
nel paese di Wakefield, nello Yorkshire, a nord dell’Inghilterra.
Nel 1684, il parroco del paese era il reverendo John Clayton, che quando
non si prendeva cura delle anime della sua parrocchia si dilettava come
scienziato. Volgendo la sua attenzione alle miniere dello Yorkshire, notò che
il carbone che ne veniva estratto produceva un gas che a contatto con una
fiamma tendeva a esplodere. Inoltre, una volta esaurito il gas, restava un utile
catrame.
Per produrre catrame bisogna riscaldare il carbone impedendogli di
bruciare, e per evitare che si sviluppi una fiamma doveva essere scaldato
all’interno di un contenitore ermetico di ferro, secondo un processo che gli
scienziati definiscono distillazione.
Un secolo dopo William Murdock, uno scozzese dello Ayrshire, scoprì
che riscaldando il carbone in un contenitore ermetico ed estraendone il gas,
questo gas poteva essere utilizzato per altri scopi. Questo gli diede l’idea di
bruciare il “gas di carbone” per generare luce. Nel 1792 costruì un piccolo
impianto per la distillazione del carbone dietro casa sua, a Redruth, in
Cornovaglia, e produsse abbastanza gas per illuminare la casa. La fama del
suo sistema d’illuminazione si diffuse rapidamente, e venne contattato da
molti industriali che gli proposero di realizzare impianti simili nelle loro
fabbriche. Nei due anni seguenti realizzò con successo gli impianti
d’illuminazione a gas nelle fabbriche di Boulton and Watt a Birmingham e
nel cotonificio Phillips and Lee di Manchester.
Con il suo impianto a gas di carbone Murdoch accese oltre mille luci nel
cotonificio Phillips and Lee, consentendo di lavorare in modo più facile e
sicuro anche dopo il tramonto. Per utilizzare il gas nel circuito di
illuminazione, il carbone deve essere scaldato in uno speciale contenitore
sigillato chiamato “storta”. Un cotonificio o una fabbrica potevano
permettersi una tale attrezzatura, ma era tuttavia troppo ingombrante e
costosa per illuminare un’abitazione civile. Comunque sia, l’illuminazione a
gas era molto più semplice da usare delle candele o delle lampade a petrolio,
poiché il combustibile per l’illuminazione poteva essere fatto passare lungo
un tubo, e se il gas continuava a scorrervi all’interno, la lampada restava
sempre accesa, senza consumarsi come una candela né prosciugandosi come
una lampada a petrolio. I colleghi scienziati di Murdock furono estremamente
colpiti dai suoi risultati con l’illuminazione a gas, e nel 1808 lo premiarono
con la Rumford Gold Medal della Royal Society per il progresso scientifico.
Con l’illuminazione a gas, che aveva risolto il problema di un’erogazione
costante di combustibile, fu così possibile illuminare i luoghi pubblici, e
divenne il principale sistema di illuminazione cittadino. La prima strada a
essere illuminata con questo nuovo sistema fu Pall Mall, a Londra, subito
seguita dal Westminster Bridge e dalle strade di Westminster. I lampioni
stradali dovevano essere accesi la sera e spenti all’alba, e per farlo fu assunto
un fiaccheraio, che con un lungo bastone e una sorta di acciarino, passava due
volte al giorno sotto ogni lampione, accendendolo al tramonto e spegnendolo
all’alba. In seguito le società d’illuminazione facilitarono il compito del
fiaccheraio, inserendo in cima al lampione una fiamma pilota che bruciava
giorno e notte. Ora, per accendere la lampada, bastava solo aprire una valvola
per far affluire il gas, e la fiamma pilota si occupava di accendere il lampione.
Una volta che le città ebbero installato i propri impianti a gas e costruito
le condutture per portarlo ovunque, la gente potè finalmente illuminare la
propria casa con il gas combustibile. Nel 1875 la maggior parte delle
abitazioni cittadine erano illuminate in questo modo. Il gas veniva bruciato in
un bruciatore non schermato, conosciuto come bruciatore “ad ala di
pipistrello” per la sua forma particolare. Una tonnellata di carbone produceva
sedicimila piedi cubici di gas e, nel 1855, l’industria del gas forniva oltre un
milione di piedi cubici di gas al giorno soltanto nella città di Londra.
Giganteschi gasometri, con i grandi serbatoi cilindrici necessari a
immagazzinare il gas per soddisfare i bisogni delle città, cominciarono ad
apparire negli orizzonti urbani.
Un inventore tedesco, Karl Auer von Welsbach, migliorò l’efficienza
delle luci ideando la reticella a gas. Si tratta di una sottilissima rete metallica
di forma globulare, rivestita di particolari sostanze chimiche, che posta sul
gas combustibile rende la fiamma molto più luminosa. Le reticelle di
Welsbach furono usate per l’illuminazione stradale, e producevano una luce
pari a quattromila candele. Erano però molto delicate, e si danneggiavano
facilmente accendendo il lampione. Poi fu il turno di un rudimentale modello
di luce elettrica, nota come “luce ad arco”, diffusa nella metà del XIX secolo
e applicata per la prima volta nel 1858 sul faro di South Foreland. La
lampada ad arco era molto potente, e funzionava producendo una scintilla
continua tra due aste di carbone. La luce era prodotta da queste continue
scariche controllate di lampi, ma richiedeva un’attenzione costante da parte di
tecnici esperti perché rimanesse operativa. Funzionava infatti con molta
corrente e un voltaggio molto basso, e per portare la corrente dal generatore
alla lampada ad arco serviva un filo di rame molto spesso, che rendeva tutto il
sistema estremamente costoso. Fino a che non fossero state inventate
lampade ad arco più affidabili, non sarebbe stato possibile utilizzarle per
l’illuminazione stradale.
Il mondo stava diventando un posto più luminoso, ma bisognava ancora
accendere e spegnere ogni singola lampada a gas, una per una, tutte le sere e
tutte le mattine. Inoltre il gas di carbone era molto velenoso; e se in casa non
ci si accorgeva di una lampada che si era spenta, il gas continuava a
fuoriuscire diventando rapidamente mortale. Poi c’era sempre il rischio di
un’esplosione causata dalle possibili fughe dalle tubature che correvano nelle
mura degli edifici. Oggigiorno il gas naturale che scorre nelle nostre case non
è più velenoso, ma è sempre necessario fare molta attenzione alle eventuali
fughe di gas che provocherebbero comunque un’esplosione.
Le luci elettriche ad arco funzionavano bruciando lentamente elettrodi di
carbone per produrre scariche costanti, ma se non veniva continuamente
regolata la distanza tra gli elettrodi, la luce si spegneva. Le lampade ad arco
erano utilizzate nei fari, dove ogni luce aveva un guardiano che la
sorvegliava, ma non erano adatte per l’illuminazione domestica o delle strade
delle città, mentre le lampade a gas richiedevano attenzione solo per essere
accese o spente.
Thomas Edison capì che per poter guadagnare dall’illuminazione elettrica
avrebbe dovuto inventarsi un prodotto migliore di quello delle società
d’illuminazione a gas. Venne a sapere che uno scienziato inglese, Sir Joseph
Swan, aveva ideato una lampadina a incandescenza (ossia un’ampolla di
vetro che risplendeva come una fiamma eterna). Ma la fiamma di Swan, lungi
dall’essere eterna, durava appena qualche minuto prima di spegnersi del tutto:
si trattava di una striscia di carta ricoperta di carbonio, posta all’interno di
un’ampolla di vetro a cui veniva tolta tutta l’aria e attraversata poi dalla
corrente elettrica.
Il filamento diventava incandescente emanando molta luce, ma la cosa
più importante è che la lampada non aveva bisogno di venire accesa
manualmente e poteva essere accesa e spenta da un interruttore, posto vicino
alla porta della stanza. Edison era un genio nel prendere le idee altrui non
ancora del tutto definite per trasformarle in qualcosa di pratico: fece così
anche con la lampada di Swan. Testò diversi materiali, diversi tipi di ampolle
di vetro riempiti con diversi tipi di gas, e riuscì a ottenere una lampada a
incandescenza efficace. La sua prima lampada durò quaranta ore, niente in
confronto alle attuali lampadine che hanno una vita media di mille ore, ma
nel 1880 era davvero un ottimo successo.
Ma da abile uomo d’affari qual era, Edison sapeva però che non bastava
realizzare semplicemente una lampada funzionante, ma che avrebbe dovuto
offrire un servizio completo: se voleva vendere le lampade, avrebbe dovuto
fornire a tutti anche l’elettricità.
Nel 1882 Edison aprì la sua prima centrale elettrica a a New York, in
Pearl Street, che forniva a ottanta clienti l’energia elettrica sufficiente ad
accendere quattrocento lampade. Per la prima volta, grazie al nuovo impianto
elettrico a corrente continua di Edison, fu possibile far svanire l’oscurità con
un semplice clic dell’interruttore. L’altra faccia della medaglia era che
l’oscurità svaniva con i clic di pochi interruttori privilegiati, poiché Edison
poteva trasmettere la sua elettricità a corrente continua soltanto entro 800
metri dalla centrale elettrica. Perciò, chiunque avesse voluto l’illuminazione
elettrica doveva porre molta attenzione al luogo dove avrebbe abitato, oppure
valutare se poteva permettersi l’installazione di una propria centrale elettrica.
Fuori New York, quasi tutte le case americane continuarono a utilizzare il
gas, le lampade a petrolio o le candele, e pochissimi luoghi pubblici furono
illuminati.
Nel 1885 Edison non controllava l’intera industria americana
dell’elettricità perché non si era mai veramente interessato al settore
pubblico. Perciò, quando Tesla abbandonò la società di Edison, fu in grado di
applicare le sue competenze specifiche a un settore dell’illuminazione pronto
allo sviluppo, che aveva inoltre molti investitori disposti a finanziarlo.
Nel primo anno passato in America, Tesla cercò di imparare qualcosa del
mondo degli affari, ma le sue conoscenze risultarono più scarse di quanto
credesse. Fu introdotto a un gruppo di uomini d’affari dall’amico Ernest
Osborne, i quali gli proposero di formare una società per azioni per produrre
lampade ad arco per l’illuminazione pubblica e industriale. Suo malgrado,
Tesla non aveva ancora imparato la lezione, e ben presto avrebbe subito le
severe conseguenze dell’iniziare a negoziare solo dopo aver firmato. Il
giovane ingegnere aveva compreso che la capacità di Edison di controllare le
proprie ricerche gli proveniva dalla sua posizione dominante nella società per
azioni; sapeva che tale società forniva i fondi per gli esperimenti per poi
recuperarli vendendo i risultati delle nuove invenzioni. Quello però che non
aveva capito era che gli obiettivi di una società sono controllati dai fondatori;
e i fondatori gli offrirono solamente uno scarso stipendio, alcune azioni della
società e un laboratorio a New York, in Liberty Street, dove avrebbe prodotto
le lampade ad arco. Le sue azioni erano troppo poche per avere un minimo
controllo sulla società, e non gli fu quindi assegnato alcun potere decisionale
nella gestione. Tesla era entrato nella compagnia credendo di poter
convincere i principali azionisti a sostenere il suo lavoro con la corrente
alternata, ma si era sbagliato.
Anni dopo, parlando di quel periodo, ricordò: «Avevo finalmente
l’opportunità di sviluppare il motore, ma quando lo dissi ai miei soci, mi
risposero: “Noi vogliamo la lampada ad arco, non ci interessa questa sua
corrente alternata!”».
Tesla non si rendeva conto che la sua invenzione del motore a corrente
alternata sarebbe stata del tutto inutile, senza un erogatore a corrente alternata
ad alimentarlo. Per vendere i suoi motori a corrente alternata avrebbe dovuto
anche costruire un’infrastruttura completa di erogazione pubblica di energia
elettrica a corrente alternata: centrali elettriche, cavi di distribuzione, scatole
di raccordo, trasformatori e contatori per le case. I suoi soci lo sapevano, e
avevano capito che la messa a punto di un tale sistema avrebbe richiesto un
investimento di capitali ben superiori alle loro disponibilità. Al momento
l’unica fonte di energia pubblica era quella a corrente continua di Edison, e
questa non poteva servire al motore di Tesla neanche se lo avesse voluto.
Gli investitori non vedevano alcun valore commerciale in un motore che
non poteva essere collegato all’unica centrale elettrica della città. Si poteva
guadagnare illuminando le città di notte, ma non costruendo un motore che
nessuno avrebbe voluto. Quello che serviva per l’illuminazione cittadina
erano luci molto più potenti delle deboli lampade a filamento di carbone che
stavano rendendo ricco Edison. Le sue lampade a incandescenza avevano la
potenza di circa sedici candele, ma non erano sufficienti a illuminare i luoghi
pubblici delle città americane. La lampada ad arco era una fonte di luce più
luminosa, ed Edison non poteva competere in questo campo ancora
inesplorato. Era un settore in cui gli imprenditori potevano avere successo, a
condizione di costruire lampade ad arco efficienti. Tesla era in grado di
costruirle, ed è quello che fece. Le lampade ad arco producevano un flusso
luminoso intenso, ma le radiazioni luminose erano limitate dalla durata delle
aste di carbone. L’elettricità consuma il carbone fino a quando la distanza fra
le due estremità diventa troppo ampia e la scintilla non è più in grado di
svilupparsi. La corrente smette di passare e la luce si spegne.
Le prime lampade ad arco erano state prodotte circa dieci anni prima da
un russo, Paul Jablochkoff, che fino al 1875 era stato direttore del telegrafo
che collegava Mosca a Kursk. In seguito egli decise di licenziarsi per
partecipare alla grande Esposizione di Philadelfia nel 1876. Non proseguì
tuttavia oltre Parigi, dove si era fermato per rimpinguare le sue finanze
lavorando come ingegnere; proprio qui infatti inventò la prima lampada ad
arco per un uso pratico, e i notabili della città gli commissionarono
l’illuminazione di alcuni luoghi pubblici. La “candela di Jablochkoff” era
composta di due aste di carbone parallele, separate da un sottile strato di
gesso; la parte inferiore delle aste era inserita in corti tubi di ottone, un
supporto che forniva il collegamento alla fonte d’energia; poi un sottile
filamento di carbone collegava le due aste all’estremità superiore. Quando la
candela veniva accesa, il sottile filamento di carbone bruciava, formando
l’arco elettrico. Via via che le aste di carbone si consumavano, il gesso si
sgretolava esponendo nuovo carbone; e questo processo continuava finché
tutto il carbone non veniva consumato. La candela di Jablochkoff durava
soltanto novanta minuti, passati i quali doveva essere sostituita da una nuova
candela. Inoltre poteva essere accesa una sola volta: interrompendo la
corrente la candela si sarebbe spenta definitivamente.
Quando Tesla aveva vissuto a Parigi, aveva spesso passeggiato di notte
lungo l’Avenue de l’Opéra e la Place de l’Opéra, tutte illuminate. Qui aveva
visto i quarantasei lampioni, ognuno dei quali con uno chandelier in cima, in
cui la candela veniva sostituita meccanicamente non appena si fosse
consumata la precedente. Era certo che avrebbe potuto perfezionare il
semplice progetto di Jablochkoff e costruire una luce ad arco più efficace. Era
inoltre sicuro che se avesse progettato e costruito una luce ad arco migliore, i
suoi soci azionisti avrebbero poi finanziato lo sviluppo del suo motore a
corrente alternata. Per circa due anni allora, oltre a progettare una lampada ad
arco ad avviamento automatico, dotata di un meccanismo automatico di
alimentazione che permetteva di sostituire in autonomia le aste di carbone
non appena si consumavano, Tesla utilizzò il magro stipendio che riceveva e
lo scarso tempo libero per lavorare sui generatori e sui motori a corrente
alternata. Tornò quindi dai direttori della sua società, ormai prosperosa, e
chiese di nuovo un sostegno per sviluppare le sue idee sul motore a corrente
alternata. Ancora una volta, però, gli risposero di non essere interessati: la
società era stata creata per costruire e vendere lampade ad arco, ed è ciò che
avrebbe fatto: se il signor Tesla voleva intraprendere in proprio, era libero di
farlo.
Tesla volle sapere quale fosse il valore delle proprie azioni della società,
apprendendo così una dolorosa lezione sulle società per azioni private. Le
azioni non erano quotate in Borsa, e lui le avrebbe potute vendere solo a un
compratore approvato dalla maggioranza degli azionisti; il fatto era che
nessun altro azionista voleva comprare le sue azioni. Il suo amaro commento
fu: «Nel 1886 il mio sistema di luce ad arco era perfetto, ed era stato adottato
per l’illuminazione comunale e delle fabbriche; io ero libero, ma non
possedevo nient’altro che un certificato di proprietà di azioni che avevano
solo un valore virtuale».
Ancora una volta Tesla prese le distanze da uomini che non poteva
definire indegni - solo grazie alla sua grande educazione - ma che non
riusciva a comprendere, e con i quali non avrebbe potuto continuare a
collaborare. Questa volta però non ci sarebbero stati altri posti di lavoro ad
aspettarlo, lui che si stava facendo conoscere come una persona con la quale
era difficile lavorare. Ma doveva pur mangiare, e così il suo rivoluzionario
motore restò in attesa, relegato in un angolo della sua pensione, mentre lui
trascorreva le giornate cercando una soluzione. Finora la sua buona istruzione
e le eccellenti competenze tecniche non gli avevano portato fama e fortuna; e
la sua smisurata capacità produttiva era tornata utile solo ai suoi rivali.
L’ossessione per la corrente alternata lo aveva allontanato da quella che
sarebbe stata considerata da tutti un’ottima carriera in un settore promettente.
I sogni del giovane serbo non erano fatti per la dura realtà ottocentesca del
mondo degli affari.
A quell’epoca, le invenzioni che oggi diamo per scontate e dalle quali
dipendiamo in larga misura, sembravano una mèta lontana e irraggiungibile.
Tesla sapeva che il difetto del sistema di Edison risiedeva nel voltaggio
limitato prodotto dai suoi generatori a corrente continua: per un qualsiasi uso
pratico, questo corrispondeva a circa 115 volt. L’impianto di Edison non
sarebbe mai stato in grado di funzionare con gli alti voltaggi di oggi; è per
questo motivo che la tensione s’indeboliva ad appena ottocento metri di
distanza dalla centrale elettrica. Per i ricchi non costituiva certamente un
problema: potevano permettersi l’installazione di una centrale molto vicino
alla propria casa, o perfino al suo interno; ma le persone che non potevano
permettersela rimanevano senza energia elettrica. Il grande successo iniziale
di Edison risiedeva nella vendita di impianti d’illuminazione “autonomi”,
riservati ai benestanti; il suo impianto non avrebbe mai erogato l’energia a
poco prezzo che Tesla voleva rendere disponibile a tutti.
Tesla, che conosceva bene la legge di Ohm, la applicò in modo creativo.
Aveva scoperto che si poteva trasformare il voltaggio dell’elettricità a
corrente alternata, aumentandolo o diminuendolo grazie a due bobine di filo
elettrico accoppiate, chiamate “trasformatore”. Avrebbe così potuto
trasmettere l’energia ad alto voltaggio e bassa corrente attraverso lunghi cavi
sottili; quando poi avesse voluto usarla, avrebbe potuto riconvertirla a un
basso voltaggio ed elevata corrente. Tesla stava sfruttando al massimo le
capacità della legge di Ohm, ma aveva enormi difficoltà nel convincere
qualcuno ad ascoltarlo. Scoprì a sue spese che avere un’idea affascinante non
significava che sarebbe stata automaticamente accettata.
Oggi siamo così abituati ad avere corrente elettrica in ogni luogo e in ogni
istante che è difficile immaginarsi a vivere senza; ed è logico pensare che
nessuno potrebbe mai opporsi né mettere in discussione una tale meravigliosa
e pratica invenzione. Ma un secolo fa l’impianto elettrico di Tesla metteva in
pericolo gli altri affermati inventori, che avevano investito tutto in sistemi
meno efficaci. Tutto questo non contribuì alla sua affermazione; i suoi rivali
compresero che il giovane ingegnere aveva inventato un impianto che
avrebbe potuto rovinarli. Tesla, tuttavia, spinto dalla necessità di divenire un
inventore “degno di merito”, di cui i genitori potessero andar fieri, e mosso
dalla certezza di percorrere la strada giusta, non si sarebbe mai venduto per
costruire semplici lampade ad arco, rinunciando al sogno di generare
un’energia a corrente alternata, universale, per tutti.
Piuttosto, iniziò a scavare fossi per la costruzione delle reti fognarie, per
sbarcare il lunario.
UN UOMO IRRAGIONEVOLE?

George Bernard Shaw osservò che il progresso dipende dalle persone irragionevoli.
Sosteneva che la persona ragionevole si conforma alla realtà, mentre
l’irragionevole tenta in tutti i modi di adattare il mondo alle proprie esigenze;
quindi, per ogni cambiamento importante, dobbiamo contare sugli irragionevoli…
CHARLES HANDY

Gli uomini d’affari di successo non possono perdere troppo tempo a


riflettere. Se alla fine del mese non sono stati in grado di far tornare i conti,
smettono di essere uomini d’affari e falliscono. Questa rigida disciplina li
costringe a porsi alcune domande essenziali: «Quanto costerà produrlo?
Quante persone vorranno comprarlo? In quanto tempo riuscirò a venderlo, e
quando rientrerò delle spese?».
Alcuni prodotti vengono commercializzati e si vendono con facilità. La
candela era - ed è tuttora - un prodotto di successo, perché è semplice da
produrre e da vendere, e non ha bisogno di manutenzione; è dunque un buon
affare. Il produttore fabbrica e distribuisce un oggetto che il consumatore
dovrà tornare a comprare. La maggior parte del commercio di drogheria e
ferramenta era costituito da prodotti simili; i pionieri del commercio
americano avevano compreso il bisogno di generi alimentari di base e dei
semplici utensili, e il grande impero Sears and Roebuck si era ingrandito
vendendo cose di questo tipo.
Una volta che la società divenne più complessa e sofisticata, furono
tuttavia necessari nuovi tipi di prodotti. La semplice candela venne sostituita
dalla lampada a gas, più conveniente per il consumatore ma più complessa da
produrre per l’uomo d’affari, poiché il consumatore poteva utilizzarla
soltanto grazie un’erogazione di gas. Quindi se il produttore voleva vendere
le lampade a gas avrebbe dovuto offrire un impianto completo, oltre al gas
stesso, che doveva essere attivo ventiquattr’ore su ventiquattro.
Per far funzionare l’illuminazione a gas erano quindi necessarie varie
operazioni a essa collegate. Bisognava innanzitutto costruire un forno per
riscaldare il carbone, e installare un grosso serbatoio per immagazzinare il
gas che veniva prodotto. Poi si dovevano predisporre delle condutture
sotterranee che collegassero i tubi del gas alle case dei clienti. Per portare a
termine questa impresa, un imprenditore doveva trovare i fondi necessari a
pagare gli operai per costruire l’impianto e installare i tubi, così che il gas
fosse disponibile giorno e notte. Inoltre c’erano da leggere i contatori del gas,
da inviare le bollette e da fornire un servizio continuo di manutenzione, così
da poter riparare in tempi brevissimi eventuali fughe di gas, sostituire i tubi
ecc. Tutto il capitale necessario a un sistema di questo tipo doveva essere
investito senza alcuna certezza di un ritorno, e questo prima ancora che i
consumatori considerassero la possibilità di comprare una lampada a gas.
L’imprenditore poteva aspettare anni, prima di iniziare a rientrare
dell’investimento iniziale. Se poi nel corso di quegli anni qualcuno avesse
proposto un nuovo sistema più efficace per fornire l’illuminazione, tale
investimento si sarebbe tradotto in un totale disastro finanziario.
Nel 1878 Edison, che aveva cominciato dal nulla, vivendo di espedienti,
aveva dimostrato di comprendere benissimo i sogni della gente, cominciando
a sviluppare il suo impianto d’illuminazione elettrica. Tuttavia questa nuova
invenzione, che rappresentava un sistema d’illuminazione più pratico e
conveniente, costituiva una seria minaccia all’industria della luce a gas.
La conoscenza scientifica di Edison poteva anche essere superficiale, ma
senza dubbio era un grande comunicatore con ottime capacità di marketing.
Era riuscito infatti ad assicurarsi che la gente desiderasse le sue luci elettriche
prima ancora di costruire la sua prima centrale elettrica. Edison è ricordato da
tutti come “il grande inventore”, ma era anche un maestro nell’accumulare
grandi aspettative intorno ai suoi prodotti. Per diffondere le sue trovate
pubblicitarie - le parate di ballerine dai corpetti illuminati dall’elettricità -
aveva anche impiegato un gruppo di venditori per piazzare i suoi impianti e,
per motivarli sempre di più, ogni dieci giorni faceva recapitare a casa loro un
opuscolo della Edison Electric Light. Oltre ai commenti entusiastici sulle
nuove installazioni dei suoi impianti, nell’opuscolo non si perdeva occasione
di denigrare l’illuminazione a gas. La seguente citazione, che descrive
l’installazione di un impianto della Edison Electric Light in un magazzino di
generi alimentari, ne è un tipico esempio:

Cinquanta commessi lavorano ogni giorno in questa stanza. Il riscaldamento a gas


si è dimostrato dannoso alla salute, e la luce a gas dannosa alla vista. Oggi questo
locale è illuminato da uno dei nostri impianti autonomi, e i dannosi effetti del gas
sono stati completamente eliminati.

Le ancora più eccitanti notizie di esplosioni di gas ricevevano delle


recensioni sensazionali, e alla ben poco scientifica scoperta che la luce a gas
poteva produrre danni alla vista era dedicato un titolo a caratteri cubitali.
Così, mentre Nikola Tesla stava riparando una dinamo in un vicolo di
New York il giorno stesso del suo arrivo, Edison lottava contro la ricca e ben
affermata industria dell’illuminazione a gas. E il contenuto dei suoi opuscoli
dimostrava che non aveva nessuno scrupolo nel diffondere false calunnie sui
suoi rivali. Persino «The Operator and Electrical World», uno dei principali
giornali scientifici dell’epoca, diffondeva false notizie sull’impresa di Edison:
«Basandosi su fonti scientifiche attendibili, il grande erede di Barnum
sostiene di riuscire a ottenere oltre il 70% dell’attuale capacità energetica, e
sembra voler raddoppiare questi risultati!». (Il Barnum cui si riferisce
l’articolo era P. T. Barnum, un famoso impresario circense dell’epoca.
Chiaramente, l’abilità commerciale e imprenditoriale di Edison superava le
sue conoscenze aritmetiche!)
Edison volle essere sicuro che i consumatori sapessero che il suo sistema
di illuminazione elettrica fosse più efficace di quello a gas, e continuò a
ripeterlo fino allo sfinimento. Si accertò che tutti i difetti del gas fossero
ribaditi più e più volte ai potenziali clienti: il gas era un pericolo, provocava
esplosioni dovute alle fughe e, ogni volta che se ne verificava una, Edison si
impegnava a farlo sapere a tutti i suoi agenti, che a loro volta dovevano
diffondere la notizia ai clienti.
Quando decise di sostituire la solida e fiorente industria del gas, Edison
progettò un sistema completo, nuovo e alternativo, partendo dalle centrali
elettriche fino agli elaborati paralumi, e promosse tra il pubblico americano
l’idea della maggiore sicurezza, pulizia, salute, convenienza ed efficienza che
la sua luce elettrica avrebbe rappresentato per tutte le famiglie.
Ogni cambiamento minaccia la salute, il prestigio e il potere di qualcun
altro. Le società del gas avevano sostituito i produttori di candele e i venditori
di lampade a petrolio, adesso Edison minacciava quelle società con gli stessi
argomenti che loro avevano utilizzato.
Anche se fino a quel momento Edison aveva avuto successo su tutti i
fronti, sostituire completamente l’industria dell’illuminazione a gas con la sua
società elettrica richiedeva adesso capitali maggiori di quelli che possedeva.
L’inventore però aveva stretto amicizia con Grosvenor Lowrey, uno dei
maggiori avvocati nel campo dei brevetti di New York, e decise di metterlo al
corrente dei suoi progetti e del suo bisogno di trovare un sostegno finanziario.
Lowrey, considerato l’ottimo potenziale di sviluppo, decise di cercare una
cordata di investitori che potessero finanziare Edison, rivolgendosi ai
dirigenti della potente Western Union Telegraph e ad altri ricchi clienti. Fu
così fondata la Edison Electric Light, con un capitale iniziale di 300.000
dollari costituiti da tremila azioni: duemilacinque- cento furono assegnate a
Edison, e le altre cinquecento vennero acquistate dal sindacato per 50.000
dollari. In cambio, Edison si impegnò a offrire alla società tutti i brevetti
sull’illuminazione elettrica che avrebbe prodotto nei cinque anni seguenti. A
tutti gli effetti, gli investitori avevano costituito una società per sfruttare
un’invenzione che ancora non era stata realizzata: oggi la definiremmo
società di capitali a rischio, ma nel 1878 fu la prima. Lo stesso Edison
commentò: «Hanno investito i loro soldi fidandosi della mia capacità di farli
fruttare».
Il principale imprenditore tra gli investitori di questa società era il
banchiere J.P. Morgan. Egli ebbe un ruolo fondamentale nello sviluppo
dell’energia elettrica in America, e come vedremo partecipò anche alla
fortuna di Tesla.
Poi, dopo aver offerto ai suoi sostenitori finanziari la possibilità di
acquisire la stessa ricchezza e il potere dell’industria del gas, Edison passò a
corteggiare coloro che erano i clienti della società del gas, cercando di
attirarli con le promesse di un futuro migliore. Per farlo, alimentò le loro
paure ricordandogli i pericoli del gas: «Volete che vostra moglie e i vostri
figli diventino ciechi, o che vengano bruciati vivi in un’esplosione?». In
questo modo fece apparire la luce elettrica non solo come un nuovo prodotto,
ma addirittura come una via di salvezza dal male, divenendo lui stesso una
sorta di Mosè in grado di guidare i propri clienti verso la terra promessa.
Il motivo principale per cui Edison aveva dimostrato così tanta ostilità nei
confronti del progetto di Tesla di costruire un impianto elettrico a corrente
alternata, era che la sua società si trovava in serie difficoltà proprio per i
problemi e le restrizioni che la corrente continua presentava. Inoltre non stava
tenendo il ritmo promesso nelle vendite, e non voleva quindi che i suoi
finanziatori ne scoprissero i limiti. Edison, in effetti, era in grosse difficoltà
finanziarie. Aveva costruito la prima centrale elettrica a Pearl Street, a New
York, spendendo però molto più del previsto. Inoltre aveva impiegato più
tempo nel costruirla e non stava attirando tanti clienti quanto avrebbe sperato.
Perché il suo sistema elettrico funzionasse a dovere era necessario costruire
molte altre centrali da collegare l’una con l’altra. Per abbassare i costi, gli
impianti elettrici dovevano essere prodotti in serie, ma i finanziatori di Edison
non avevano intenzione di rischiare ulteriormente investendo altro denaro per
nuovi impianti: la mancanza dei fondi necessari aveva di fatto bloccato lo
sviluppo dell’erogazione pubblica di energia elettrica. Per aggirare il
problema, Edison aveva dovuto creare una propria società per costruire gli
impianti.
Tre anni prima, Edison aveva investito tutti i 78.000 dollari che aveva
guadagnato dalle sue precedenti invenzioni, e aveva venduto le proprie azioni
della Edison Electric Light ai suoi finanziatori. Ma nemmeno in questo modo
era riuscito a metter su una società per produrre generatori e impianti elettrici.
Costretto a impegnare i suoi futuri guadagni in Europa, non c’è da stupirsi
che fosse così preoccupato dell’esplosione di uno dei suoi impianti di
Strasburgo, che aveva messo a rischio quegli stessi guadagni. Con tutto il suo
patrimonio investito tra i vicoli di New York, se la sua azienda al 104/106 di
Goerck Street fosse fallito, Edison sarebbe finito in bancarotta.
Pur continuando a mostrare al mondo la sua immagine di coraggioso
uomo di successo, la sua attività fu molto vicina al fallimento nei primi anni
Ottanta dell’Ottocento. Riuscire a far quadrare i conti settimanali divenne una
preoccupazione costante per Edison, che più di una volta aveva chiesto alla
sua segretaria Sammy Insull: «Sammy, credi di poter tornare a vivere
semplicemente del tuo lavoro di stenografa? Se sì, io credo che potrei
guadagnare abbastanza come operatore del telegrafo, così magari potremo
essere sicuri di aver qualcosa da mettere sotto i denti».
Le società del gas osservavano ogni mossa di Edison. Se avesse perso la
fiducia del pubblico, avrebbero sfruttato ogni difficoltà pur di screditarlo.
Una volta, azionando l’interruttore di avviamento del generatore autonomo di
Pearl Street, alle tre del pomeriggio di un lunedì di settembre del 1882,
Edison aveva commentato: «Il successo sarà l’adozione globale della mia
centrale elettrica. Il fallimento sarà la perdita di denaro e prestigio, e la
disfatta della mia società».
Per consentire a Edison di recuperare il suo patrimonio, il sistema
elettrico che aveva progettato avrebbe dovuto funzionare a pieno regime. Ma
mentre un’unica società del gas era in grado di rifornire l’intera città di New
York, Edison avrebbe dovuto costruire una centrale elettrica all’incirca ogni
chilometro. Se la potenza utile delle centrali non fosse migliorata, collegando
tra loro più di due dinamo, non si sarebbero potuti superare i limiti
rappresentati dalla distanza di erogazione dell’energia, e dalla quantità di
lampade che si potevano illuminare. Questo grave difetto del suo progetto
iniziale gli stava adesso impedendo di trarre dei profitti dalle costose
attrezzature già costruite. La necessità di costruire un maggior numero di
centraline elettriche locali avrebbe significato un costo maggiore, rendendo
così ancora più impopolare l’impianto di Edison. In realtà, l’inventore si era
imbattuto in un’inedita difficoltà, che ai tempi degli impianti del telegrafo
non aveva mai considerato: aveva infatti sperato di poter erogare la corrente
elettrica a una distanza superiore alle 20 miglia (32 km) dal generatore,
poiché quella era la distanza che la corrente del telegrafo riusciva a
raggiungere. Ma non andò così.
Al tempo in cui Tesla sbarcò a New York, le vendite dei sistemi
d’illuminazione autonomi di Edison erano l’unica vera entrata della società.
Questi impianti erano costituiti da un insieme di generatori autonomi, venduti
ai privati o alle aziende per illuminare singoli edifici. Fornendo a ciascun
cliente centraline elettriche e impianti completi d’illuminazione, Edison
aveva aggirato il problema che non era riuscito a risolvere, quello cioè di
collegare tra loro i generatori per produrre più corrente. Infatti ogni unità era
autonoma, e quindi la questione di accoppiare i generatori non si era mai
posta. Allo stesso tempo, però, non avendo risolto il problema del
collegamento, non gli era stato possibile sviluppare il suo sistema di
rifornimento pubblico di energia elettrica, traendo così un profitto dagli
investimenti nelle linee di fornitura elettriche.
Inoltre, come accennato prima, Edison aveva ricevuto una grossa richiesta
di risarcimento danni dai proprietari della nave a vapore Oregon, dal
momento che uno dei loro impianti autonomi era stato sistemato nella nave
senza prima aver risolto il problema di come gestirne la manutenzione. Poi
l’inventore era decisamente demoralizzato, perché la moglie era gravemente
malata (morì poco dopo), e aveva serie difficoltà nel perseguire l’unica strada
che poteva portare la sua società a guadagnare. Doveva assolutamente
migliorare la reputazione e aumentare le vendite degli impianti autonomi, o la
sua società elettrica avrebbe fallito.
Dopo aver dedicato molti anni e tutto il suo patrimonio per
commercializzare il proprio prodotto, Edison aveva raggirato Tesla,
spronandolo a utilizzare le sue capacità teoriche e tecniche per risolvere il
problema che lui stesso non era stato in grado di risolvere, e poi aveva
allontanato il giovane serbo senza pensarci due volte. Edison si trovava a
proprio agio tra gli uomini d’affari senza scrupoli, ed era divenuto un esperto
nel rispondere alle loro domande sul denaro e sui profitti dei loro
investimenti; quando si trattava di questi problemi, era una persona
ragionevole. Al contrario, Tesla non conosceva la molla che fa scattare un
uomo d’affari: viveva in un mondo ideale, amava costruire modelli mentali
delle sue invenzioni e immaginarle all’opera. Se gli veniva chiesto: «Quanto
costerà produrlo?», si limitava a sottolineare il fascino delle rotazioni del
campo magnetico; se gli si chiedeva: «Quante persone vorranno comprarlo?»,
glissava dimostrandone l’efficacia; e alla domanda: «Quanto tempo ci vorrà
per metterlo in commercio?», rispondeva ingenuamente: «Mi dia un
laboratorio e ne costruirò uno»; e alla domanda: «Dopo quanto tempo se ne
vedranno i profitti?», Tesla non era neanche in grado di rispondere. Stava
lavorando per il bene dell’umanità: chi poteva dare un prezzo a questo?
Insomma, Tesla era abbastanza ingenuo per credere che Edison avrebbe
immediatamente messo da parte l’attività di tutta una vita, gettando via
l’investimento dei suoi finanziatori e rinunciando a tutto il lavoro fatto fino
allora, per ricominciare da capo con la corrente alternata.
A Tesla non venne neppure in mente di considerare che se Edison avesse
reagito così avrebbe perso tutto il terreno conquistato duramente nei confronti
delle società del gas. Sapeva solo che la corrente alternata era di gran lunga
migliore di quella continua, e credeva che anche Edison se ne sarebbe
certamente reso conto. Non dobbiamo stupirci se Edison, con il suo senso
pratico, finì per considerare Tesla uno sciocco ingenuo, e se Tesla etichettò
Edison come un disonesto furfante che stava cercando di approfittarsi della
gente con un impianto elettrico scadente.
Le avventure di Tesla con l’illuminazione ad arco servirono solo a
dimostrare a Edison che aveva fatto la cosa migliore sfruttando e poi
liberandosi dell’importuno giovane serbo; quell’uomo - stabilì - era così
irragionevole che nessun saggio imprenditore avrebbe mai potuto lavorare
con lui. Tutti gli inventori si aspettavano che i ricchi e potenti avrebbero
scartato o censurato le loro idee, ed erano disposti a cercare di ottenerne i
favori evitando i conflitti. Dopo tutto, se gli investitori ritenevano che
un’invenzione non avrebbe rimpinguato i loro forzieri e accresciuto il loro
potere, non la finanziavano. Solo uno sciocco avrebbe detto loro che non
sapevano ciò che facevano; e solo un inventore irragionevole si sarebbe
licenziato in un periodo di crisi economica, quando trovare un lavoro era
diventato così difficile.
Licenziandosi da Edison, Tesla aveva di conseguenza escluso la
possibilità di lavorare sugli impianti a corrente continua, e si era anche
allontanato dal settore dell’illuminazione ad arco. Essere autonomo può
essere un bene - e credere fermamente alle proprie idee è essenziale per un
inventore - ma gli inventori hanno anche bisogno di investitori, di un
laboratorio e delle attrezzature necessarie al loro lavoro di ricerca. Una pala e
un mucchio di fango non servivano a niente a chi voleva costruire un
impianto elettrico e diffonderlo in tutto il mondo!
Scavare i fossi lungo le strade è un’attività fisicamente logorante, e
tentare di sopravvivere con uno stipendio di due dollari al giorno fece
probabilmente riflettere Tesla su cosa stesse facendo e che cosa volesse
dimostrare. Lavorando per Edison non avrebbe certo fatto fortuna, ma
avrebbe almeno avuto la certezza di un impiego regolare, e di un lavoro che
gli piaceva svolgere. Perché continuava ad aspettare un finanziatore per quel
suo congegno magnetico rotante? E perché continuava a perseguire l’idea di
trasformare l’energia dell’acqua in elettricità a corrente alternata, per
migliorare la vita di tutti? La risposta era forse da ricercare nel continuo
bisogno di dimostrare le proprie capacità al padre defunto.
Tesla era un fanatico della pulizia, costantemente ossessionato dall’igiene
personale. Non usava mai lo stesso asciugamano due volte, e indossava
sempre un abito pulito dopo essersi lavato. Lo squallore delle sue quotidiane
condizioni di lavoro gli saranno sembrate intollerabili. «In quell’anno provai
una terribile angoscia e versai lacrime amare», ricordò in seguito, «e le mie
sofferenze erano aggravate dai bisogni materiali». Certamente si sarà
domandato se quello che desiderava valesse un tale sacrificio personale; e
forse valutò anche la possibilità di tornare a progettare motori a corrente
continua per Edison. Questi momenti di sconforto saranno stati tuttavia
pochi, poiché era certo che il suo impianto a corrente alternata era più valido
di qualsiasi altra cosa esistente. Soltanto, non riusciva a capire perché tutti
sembrassero così poco interessati.
Mentre sollevava il piccone, Tesla si lamentava del proprio destino e,
durante la pausa pranzo, raccontava al caposquadra i suoi sogni, le invenzioni
e le speranze sul futuro dell’elettricità. Il 1887 fu un anno particolare. Furono
in molti ad attraversare un periodo di sfortuna, ritrovandosi a dover accettare
il primo lavoro disponibile. Casualmente il caposquadra era amico del signor
A.K. Brown della Western Union Telegraph: parlò all’imprenditore dei sogni
di Tesla e questi ne rimase colpito. Brown aveva un lavoro regolare e uno
stipendio sicuro, o forse gli piaceva rischiare, ma fu in grado di comprendere
che le idee di Tesla avrebbero potuto cambiare il mondo. Era una possibilità
remota, ma se fosse riuscito a convincere un amico a dividere i rischi,
finanziando l’inventore serbo affinché riuscisse a realizzare qualche brevetto,
forse se la sarebbe potuta permettere. Inoltre i brevetti potevano poi essere
venduti, realizzando altri profitti. Brown sapeva che Tesla aveva già costruito
delle lampade ad arco che si vendevano molto bene, e sperava che avrebbe
potuto inventarsi qualche altro prodotto vendibile. L’affare fu concluso:
Nikola si pulì il fango dagli stivali per l’ultima volta.
Brown costituì allora la Tesla Electric Company. A Tesla fu dato il 50%
delle azioni con il voto di maggioranza; al signor Brown e al suo amico toccò
l’altro 50%, più la metà del ricavato di ogni invenzione che Tesla fosse
riuscito a vendere. Spiegarono a Tesla che il suo motore da solo avrebbe
avuto ben poca utilità; e che avrebbe dovuto progettare anche dei generatori,
dei trasformatori e tutti gli altri pezzi necessari a un impianto elettrico
completo di distribuzione. Così, cinque anni dopo il fallimento delle
dimostrazioni al sindaco di Strasburgo e ai suoi amici, Tesla iniziò finalmente
a lavorare su tutti gli elementi del suo sistema a corrente alternata. Costruì tre
impianti completi di motori a corrente alternata che utilizzavano diversi tipi
di corrente alternata. Il più semplice, che chiamò monofase, utilizzava due
fili, e l’elettricità invertiva la direzione sessanta volte al secondo. Questo è il
tipo di corrente utilizzato tuttora nella maggior parte delle case.
Progettò inoltre un impianto bifase, che utilizzava due correnti collegate,
e un trifase, che ne utilizzava tre. Il motore bifase era il più semplice da
costruire, ma il motore trifase generava maggiore energia per un uso
industriale. Nei successivi sei mesi, Tesla inventò oltre quaranta diversi tipi
di motori, generatori e trasformatori, compresi i trasformatori necessari ad
aumentare o diminuire la tensione del voltaggio elettrico. Tale capacità di
modificare il voltaggio rese il suo sistema estremamente versatile. Si
potevano utilizzare fili sottili per portare l’elettricità su lunghe distanze, ad
alti voltaggi e con poca corrente, e un trasformatore poteva poi ridurre il
voltaggio e aumentare la corrente per accendere le luci e azionare i motori nel
luogo dove l’energia veniva richiesta. Dopo sei mesi di lavoro, Tesla era
pronto a fare una dimostrazione dei suoi motori. Mandò il suo motore bifase
alla Cornell University, dove fu testato, dimostrandosi efficiente quanto il
migliore dei motori a corrente continua del periodo.
Tesla fece richiesta all’Ufficio Brevetti di un singolo brevetto che
comprendesse il suo intero sistema, compreso di alternatori, motori e
trasformatori, ma l’ufficio volle che tutte le sue invenzioni fossero presentate
con una serie di brevetti più semplici e più dettagliati. Le sue invenzioni
erano così innovative e originali che nell’anno successivo gli furono
riconosciuti trenta brevetti diversi, facendo sì che lui e la sua società
ottenessero il completo controllo commerciale dell’industria della corrente
alternata, che però ancora non esisteva.
Una così massiccia produzione di nuovi brevetti attirò l’attenzione
dell’élite scientifica, e Tesla fu molto lusingato quando venne invitato a
tenere una conferenza sul suo sistema di corrente alternata all’Istituto
Americano di Ingegneria elettrica. Ogni aspirante ingegnere sarebbe stato
entusiasta di poter parlare di fronte a simili personalità, ma per Tesla
quell’invito era la dimostrazione che la parte migliore dell’America stava
finalmente iniziando a riconoscere i suoi meriti. Questo era lo scopo per cui si
era messo a scavare i fossi; e alla fine aveva dimostrato qualcosa a se stesso.
Il suo unico dispiacere era che il padre non avesse vissuto abbastanza per
applaudire il suo trionfo.
Quella conferenza era la sua grande opportunità: sarebbe diventato
famoso; i suoi superiori si sarebbero inginocchiati ai suoi piedi,
meravigliandosi del fascino scientifico dei suoi campi magnetici rotanti.
Aveva fatto bene a non scendere a compromessi. Inoltre, anche se aveva
quasi raggiunto il limite massimo dell’investimento di Brown, e i suoi
brevetti non avevano ancora prodotto nemmeno un dollaro di guadagno,
Tesla ignorò ogni questione commerciale, concentrando tutte le proprie
energie per preparare un discorso che lo avrebbe vendicato agli occhi della
comunità accademica.
Il discorso che tenne è divenuto un classico dell’ingegneria elettrica.
Espose la completa teoria della corrente alternata; ai suoi risultati matematici
fece seguire molte dimostrazioni pratiche di macchine elettriche funzionanti,
e mostrò che tutto l’insieme dei suoi brevetti rappresentava la nascita
dell’intero sistema dell’elettricità per il futuro. Era il più importante passo
avanti mai compiuto nella teoria dell’ingegneria elettrica. Con i benefici di un
giudizio retrospettivo, i moderni ingegneri posizionano oggi Tesla al di sopra
di Faraday, come il padre della moderna elettricità.
Dopo la conferenza Tesla si sentiva galvanizzato, e parlando in seguito a
Brown, commentò: «È stato un immenso piacere presentare all’Istituto di
Ingegneria i risultati del mio lavoro sui motori a corrente alternata. Hanno
accolto le mie idee con grande interesse e ho ricevuto molti commenti. Con
sincera generosità americana mi hanno fatto molti complimenti».
Prima dell’incontro, il signor Brown era molto preoccupato riguardo gli
aspetti finanziari della sua scommessa su Tesla. I costi per lo sviluppo dei
prototipi e per depositare i circa quaranta brevetti avevano esaurito quasi tutto
il denaro della società. I brevetti dovevano ancora essere trasformati in
prodotti acquistabili, e Tesla non era esattamente la persona in grado di
occuparsene. Fortunatamente, grazie alla sua attività nella Western Union
Telegraph, Brown aveva conosciuto un imprenditore che voleva sfidare il
successo di Edison nel settore dei sistemi elettrici pubblici, un uomo
chiamato George Westinghouse.
George Westinghouse proveniva da una famiglia di ingegneri
specializzati in ferrovie. Dopo essersi laureato presso la Schenectady
University, aveva lavorato nella fabbrica del padre, che produceva materiale
rotabile nello Stato di New York. Ancora prima di laurearsi, aveva inventato
uno strumento che permetteva ai treni di cambiare rotaia, invenzione che
aveva chiamato “rana ferroviaria”, perché faceva “saltare” il treno di binario
in binario. Con i capitali di due generazioni di industria ferroviaria e un
ottimo titolo d’ingegnere, Westinghouse dimostrò subito le proprie capacità
commerciali inventando il freno ad aria compressa, un dispositivo che
fermava automaticamente un treno se una parte di esso si fosse sganciata, e lo
aveva venduto alle compagnie ferroviarie per una grossa somma di denaro.
Se Brown aveva intenzione di vincere la scommessa su Tesla, avrebbe
avuto bisogno di qualcuno che commercializzasse le idee dell’ingegnere
serbo e convincesse la gente a comprarle. George Westinghouse, pensò,
sarebbe stata la persona giusta, e lo invitò alla conferenza di Tesla il 16
maggio 1888.
Westinghouse conosceva già qualcosa sulla corrente alternata e sulla
legge di Ohm: nel 1883 aveva comprato i diritti per l’America di un brevetto
inglese di un trasformatore a corrente alternata, e sapeva che i 50.000 dollari
investiti in quel brevetto erano stati soldi ben spesi. Sapeva anche che se
fosse riuscito a usufruire dei vantaggi economici di una trasmissione ad alto
voltaggio, abbassando poi anche la tensione per un uso sicuro nelle abitazioni
private, avrebbe scalzato il sistema a corrente continua di Edison. E poi aveva
già molti eccellenti ingegneri che lavoravano per lui, tra i quali un giovane di
nome William Stanley, che già conosceva l’argomento. Stanley aveva
progettato per conto di Westinghouse il primo impianto d’illuminazione a
corrente alternata, che il 23 marzo del 1886 era stato attivato nella città
d’origine di Stanley, Great Barrington, Massachusetts. La corrente veniva
generata a 500 volt e poi trasmessa ai clienti, non prima di essere stata
abbassata a 50 volt da un trasformatore, rendendola così sicura per illuminare
le abitazioni. Considerando che per trasmettere la stessa quantità di energia
l’impianto elettrico a corrente alternata utilizzava solo una minima parte del
filo di rame necessario all’impianto di Edison, i costi di produzione e di
manutenzione erano quindi molto inferiori, e il margine di profitto risultava
più alto. Tale sistema gli aveva dato, inoltre, un grande vantaggio su Edison,
grazie alle maggiori distanze sulle quali poteva essere sfruttato.
Stanley aveva detto a Westinghouse che un buon trasformatore era la
chiave per realizzare un impianto elettrico a corrente alternata efficiente, e
sicuramente era vero, ma lui sapeva che Edison forniva anche al cliente tutto
quello che potesse desiderare per il suo sistema a corrente continua: luci,
stufe e motori per l’energia meccanica. L’impianto a corrente alternata di
Westinghouse aveva le stufe, ma non aveva le luci né i motori. Avere un
buon trasformatore non era dunque sufficiente, visto che i brevetti di Edison
non permettevano ai rivali di produrre luci a incandescenza.
Westinghouse era comunque riuscito a utilizzare le luci a incandescenza
di Edison con metodi quantomeno dubbi. Aveva comprato una società
chiamata United States Electric, che possedeva alcuni brevetti di lampade a
incandescenza di Sawyer-Mann, che gli permetteva di produrre questo tipo di
lampada (che non funzionava esattamente molto bene). Poi però aveva
copiato le luci a filamento di carbone di Edison, sostenendo che erano state
messe a punto secondo i brevetti Sawyer-Mann, nonostante il progetto
Sawyer-Mann fosse in realtà assai peggiore di quello di Edison. Benché
Edison avesse denunciato Westinghouse, per molti anni non riuscì a bloccare
la sua produzione. Per tutta la durata del processo, quando quindi l’esito non
era ancora stato stabilito, Westinghouse poteva ancora far valere i propri
diritti a produrre lampade a filamento di carbone identiche a quelle di Edison,
e senza pagarne le royalty. L’importanza di questa lunga battaglia legale ci
apparirà più evidente in seguito, al dipanarsi della storia.
Westinghouse si era dunque dimostrato un commerciante abile, al pari di
Edison. Pur essendo entrato tardi nel mercato era riuscito a trasformare
questo ritardo in un vantaggio commerciale. Fu così che pubblicizzò il suo
nuovo impianto elettrico a corrente alternata agli abitanti di Great Barrington:

Aver ritardato fino a oggi il nostro ingresso nel settore dell’energia elettrica è stata
una fortuna. Dopo aver tratto vantaggio dall’esperienza pubblica di altri, siamo
dunque entrati in concorrenza, appena ostacolati da una minima spesa per le prime
sperimentazioni. Ora però la nostra organizzazione è priva delle spese che altre
imprese elettriche devono sostenere. Ci proponiamo quindi di condividerne i frutti
con i nostri clienti.

Per dominare il mercato, però, Westinghouse avrebbe dovuto rifornire gli


industriali che avevano bisogno di motori, ma come abbiamo visto egli non
possedeva alcun motore a corrente alternata da offrire. L’invito alla
conferenza di Tesla capitò così al momento giusto per stimolare l’interesse
commerciale di Westinghouse. Se Tesla fosse riuscito a costruire un
efficiente motore a corrente alternata, allora l’impianto di Westinghouse
sarebbe stato in grado di superare il motore a corrente continua di Edison, per
offrire così agli industriali un approvvigionamento di corrente elettrica
notevolmente superiore a qualunque altra cosa venduta da Edison.
Westinghouse fu molto colpito dalla conferenza: tutti i componenti di
Tesla - generatori, trasformatori e motori - erano stati accuratamente
progettati per lavorare in sinergia. Però c’erano dei problemi all’orizzonte: il
suo impianto di Great Barrington utilizzava elettricità monofase, con una
frequenza di inversione elettrica di 133 cicli al secondo. Era una velocità
superiore a quella utilizzata dal motore di Tesla, il quale funzionava in modo
più efficiente con un’elettricità bifase o trifase, che invertiva la corrente
cinquanta, sessanta volte al secondo. Ma questo problema - si disse - poteva
essere facilmente risolto facendo lavorare Tesla e Stanley insieme.
LA VECCHIA SCINTILLANTE

Il 6 agosto, le autorità del carcere di New York hanno giustiziato il condannato


William Kemmler, omicida, tramite la “sedia elettrica”. La scarica elettrica si è
rivela però troppo debole, e l’infelice esecuzione si è dovuta ripetere una seconda
volta, divenendo uno spettacolo orribile, assai peggiore dell’impiccagione.

«New York Times», 7 agosto 1890

Appena un mese dopo la conferenza di Tesla, Westinghouse fissò un


appuntamento con l’inventore. Si incontrarono nel laboratorio del giovane
ingegnere, appena qualche porta più in là degli uffici di Edison sulla Fifth
Avenue. Passando davanti all’ufficio di Edison, Westinghouse si sarà
concesso senz’altro un sorriso all’idea che presto avrebbe avuto un bel
vantaggio sul rivale.
Tesla, che rimase subito colpito da Westinghouse, ricordò in seguito: «Le
prime impressioni sono quelle che contano. Mi piace pensare a George
Westinghouse come mi è apparso quando lo vidi per la prima volta: la sua
tremenda energia aveva solo in parte assunto una forma visibile, ma anche a
un osservatore superficiale sarebbe risultata evidente la sua forza latente.
Sempre sorridente, affabile e gentile, era in netto contrasto con gli uomini
rozzi e distratti che avevo conosciuto fino allora».
Di bassa statura, con la barba e più vecchio di dieci anni di Tesla,
quell’uomo educato ma senza scrupoli gli parve un uomo forte e deciso, lo
stesso tipo di figura autoritaria con cui aveva sempre avuto a che fare in
gioventù. Istintivamente desiderò fin da subito fare colpo su quell’uomo
venuto a giudicare la sua invenzione. Gli mostrò le sue macchine, e
Westinghouse comprese immediatamente che quella era la sua possibilità di
sottrarre l’industria del rifornimento di energia elettrica a Edison. Offrì subito
a Tesla un milione di dollari per i suoi brevetti sulla corrente alternata.
Tesla valutò l’offerta e dimostrò subito il suo scarso senso degli affari,
rispondendo: «Un milione di dollari, più un dollaro per ogni cavallo-vapore, e
l’affare è fatto».
Stava imparando, ma non abbastanza in fretta: aveva stabilito un buon
valore per le royalty, ma sarebbe stato in grado di riscuoterle? Non sapeva
che Westinghouse stesse producendo le lampade di Edison utilizzandone
abusivamente il progetto, nascondendosi dietro a un deliberato
fraintendimento dei brevetti Sawyer-Mann.
Tesla aveva concepito il proprio sistema a corrente alternata come
un’unica grande idea, ma quello che effettivamente stava vendendo a
Westinghouse erano quaranta brevetti, a 25.000 dollari ciascuno, circa la
metà del prezzo che Westinghouse era pronto a pagare. Ciònonostante, Tesla
era sicuro che le royalty gli avrebbero fatto guadagnare moltissimo.
Molti anni dopo, parlando di Westinghouse all’Istituto per
l’Immigrazione, Tesla ebbe a dire: «George Westinghouse era, a mio avviso,
l’unico al mondo in grado di prendere il mio sistema a corrente alternata, così
com’era in quel periodo, e vincere la battaglia contro i pregiudizi e il potere
del denaro. Era un pioniere di grande statura, un grande gentiluomo di cui
l’America dovrebbe andare orgogliosa, e verso il quale l’umanità dovrebbe
provare un’immensa gratitudine».
Per far sì che Tesla potesse occuparsi del controllo della produzione,
Westinghouse gli offrì un impiego come consulente nella sua fabbrica di
Pittsburgh; benché avesse preferito restare a New York per proseguire le
proprie ricerche, Tesla accettò. Adesso poteva davvero divertirsi.
A Pittsburgh Tesla doveva lavorare a stretto contatto con William
Stanley, un ingegnere che conosceva bene gli aspetti commerciali della sua
attività. Stanley sapeva che, se Westinghouse voleva riuscire nella sua
impresa, i prototipi dei motori di Tesla si sarebbero dovuti trasformare il
prima possibile in prodotti vendibili. Se la battaglia legale in corso con
Edison fosse stata persa, Westinghouse non avrebbe più potuto produrre
lampade elettriche, e l’intera società sarebbe fallita. Nel 1888 Westinghouse
possedeva tutti gli elementi per garantire lo sviluppo di un superbo impianto
elettrico a corrente alternata, se solo Stanley e Tesla li avessero fatti
funzionare.
Sfortunatamente, i due ingegneri non andavano d’accordo. Tesla era
abituato a lavorare da solo, e non amava avere delle scadenze da rispettare:
aveva avuto una visione di come il suo sistema elettrico sarebbe stato al
servizio di tutta l’umanità e, in particolare, come sarebbe stato d’aiuto in
luoghi remoti come Smiljan, dove aveva trascorso la sua prima infanzia. Era
spinto dalla convinzione che se la madre avesse potuto usufruire dei benefici
dell’energia elettrica, tipici di una società civile, sarebbe stata una persona
più serena e gentile. Tutto quello che voleva, ora, era assicurarsi che altre
persone avessero le opportunità che sua madre non aveva avuto.
Tesla sapeva che la frequenza di 133 cicli al secondo del sistema di
Stanley non era adatta al suo motore, e sapendo di avere ragione non voleva
scendere a compromessi. Stanley, dall’altra parte, pensava che una maggiore
frequenza della corrente avrebbe reso i trasformatori più efficienti, e non
aveva intenzione di utilizzare la bassa frequenza di Tesla, il quale sosteneva
che i suoi trasformatori, lavorando a sessanta cicli, erano molto meglio di
quelli di Stanley. E questo non era il solo punto di disaccordo tra i due: Tesla
voleva utilizzare la corrente bifase per rendere più funzionale la struttura del
motore, ma Stanley voleva usare il monofase per risparmiare.
Per cercare di salvaguardare i buoni rapporti, Westinghouse suggerì che
Tesla sarebbe potuto tornare a New York per continuare le ricerche; avrebbe
potuto così preparare delle dimostrazioni di corrente alternata per
contrattaccare la cattiva pubblicità che Edison cominciava a diffondere.
Poteva abbandonare l’incarico di consulente in ogni momento, se fosse stato
necessario. Tesla fu contento di poter tornare al suo laboratorio, e Stanley fu
felice di vederlo partire, pensando che adesso avrebbe potuto finalmente
proseguire e completare lo sviluppo pratico dei suoi brevetti.
Dagli appunti di Tesla, risulta chiaro che il periodo di Pittsburgh non era
stato dei migliori:

Dovevamo ancora superare diverse difficoltà. Il mio sistema si basava sull’utilizzo


di corrente a bassa frequenza, mentre gli specialisti di Westinghouse avevano
adottato i 133 cicli allo scopo di assicurarsi vantaggi nella trasformazione. Loro
non volevano abbandonare i loro modelli standard, mentre i miei sforzi si
sarebbero dovuti concentrare sull’adattare il motore a quelle condizioni. Un’altra
esigenza era di produrre un motore in grado di lavorare in modo efficiente a quella
frequenza su due fili elettrici, cosa per niente semplice da realizzare. Alla fine del
1889, tuttavia, i miei servizi a Pittsburgh non erano più richiesti, e così tornai a
New York per cominciare immediatamente a lavorare sul progetto delle macchine
ad alta frequenza.

In seguito, fu lieto di scoprire che Stanley era stato costretto a utilizzare la


bassa frequenza per rendere efficace l’intero sistema.
Ritornato a New York, Tesla aveva adesso un nuovo interesse. Le sue
discussioni con Stanley lo avevano portato a riflettere sugli effetti della
trasformazione di frequenza della corrente elettrica, e adesso aveva
abbastanza riserve di capitali per soddisfare il desiderio di fare ricerche
sull’argomento. Amava interpretare il ruolo di grande inventore, e progettò
perfino un viaggio in Europa per andare a trovare l’anziana madre malata.
Tesla voleva condividere con lei il successo, così che si sentisse orgogliosa di
lui e per sentirle dire che finalmente aveva dimostrato lo stesso grande
potenziale del fratello.Tesla non era mai stato a suo agio con le donne,
specialmente con la madre, e conosceva solo quelle che erano sposate con i
suoi soci e colleghi. La sua dedizione al lavoro non gli lasciava molto tempo
libero per socializzare e, a ogni modo, aveva delle serie difficoltà relazionali
con chiunque non fosse un ingegnere. Forse, se avesse conosciuto uno
scienziato donna con gli stessi punti di vista sull’elettricità, ne sarebbe stato
attratto. Ma non incontrò mai una donna simile. Tuttavia, prima di andare a
trovare la madre, voleva sperimentare le diverse frequenze della corrente.
Nel frattempo, Edison aveva trovato un nuovo stratagemma per tornare
all’attacco di Westinghouse, che avrebbe intrappolato Tesla e il suo sistema a
corrente alternata tra i fuochi dei due spietati uomini d’affari. Utilizzando una
forte retorica, aveva diffuso un avviso pubblico attraverso i suoi opuscoli,
dove portava l’attenzione sulle morti provocate dall’alto voltaggio utilizzato
in alcuni sistemi di illuminazione ad arco, sottolineando il basso profilo
morale di certi “pirati di brevetti”, che accusava di voler introdurre a tutti i
costi una pericolosa corrente nelle case dei rispettabili cittadini americani.
Improvvisamente era divenuto il profeta dell’industria elettrica, che presagiva
la distruzione di Gerusalemme se nessuno lo avesse ascoltato. Citando
Edison, l’opuscolo diceva: «È certo come la morte che Westinghouse
ucciderà qualsiasi suo cliente entro sei mesi dall’installazione di uno dei suoi
impianti. Il sistema che ha appena scoperto richiederà molte sperimentazioni
prima di funzionare a dovere. Non sarà mai un sistema sicuro».
Per renderla quantomeno credibile, questa prosa colorita doveva essere
dimostrata dai fatti, ed Edison decise di avvalorare le proprie affermazioni e
dimostrare le intenzioni omicide del suo rivale compiendo esperimenti di
elettricità a corrente alternata ad alto voltaggio sugli animali, davanti a
giornalisti e ad altri invitati. Charles Batchellor aveva il compito di spingere
un cane o un gatto randagio contro una lamiera di latta, elettrificata da un
generatore a corrente alternata a 1000 volt, così che i rappresentanti della
stampa potessero convincersi delle conseguenze letali derivanti dall’essere
“westingato”. I ragazzini del West Orange furono addirittura pagati per
procurare gatti e cani randagi, e ne catturarono talmente tanti che la
popolazione locale di questi animali finì vicina all’estinzione.
Ma non tutte le esecuzioni filarono lisce. In un’occasione memorabile,
Batchellor, il fedele carnefice, rimase quasi ucciso. Durante questo
esperimento la corrente era stata collegata a una bacinella piena d’acqua
posta su un piatto di metallo, ma il cucciolo scelto per dimostrare i pericoli
dell’elettricità a corrente alternata si rifiutò di bere il sorso letale. Per cercare
di incoraggiarlo, Batchellor ricevette una scossa elettrica che lo scaraventò
dall’altra parte della stanza. Ancora scosso, raccontò in seguito che aveva
sentito il corpo lacerarsi, come se fosse stato attraversato da una grossa lima.
Egli sopravvisse, ma il cucciolo morì da martire, sacrificato alla causa di
Edison.
A quell’epoca, i riformatori nel campo delle pene capitali facevano
pressioni sullo Stato di New York perché venisse trovato un nuovo metodo -
più umano dell’impiccagione - per giustiziare i condannati. Fu così istituita
una commissione per le ricerche, costituita dal dottor Carlos McDonald, il
dottor A.D. Rockwell e il dottor Edward Tatum, e diretta da Harold Brown,
un “esperto elettrico” che era stato assistente nel laboratorio di Edison.
Brown, che aveva assistito ad alcuni esperimenti sugli animali compiuti da
Edison, comprese il potenziale dell’elettricità a corrente alternata come un
metodo per assicurare una «morte umana, istantanea e indolore». Così Edison
offrì a Brown il proprio laboratorio per compiere maggiori esperimenti sulla
“corrente Westinghouse”, perché potesse poi informare la commissione.
Invece di ripetere semplicemente gli esperimenti di Edison, Brown portò a
termine alcune esecuzioni pubbliche di grossi cani e sfortunati cavalli.
Nell’autunno del 1888, l’Assemblea Legislativa dello Stato di New York
approvò una legge che consentiva l’uso della “sedia elettrica” per le
esecuzioni capitali, al posto dell’impiccagione. La sedia fu chiamata dalla
stampa popolare “la vecchia scintillante”, quando Harold Brown comprò -
con una grande enfasi pubblica - tre alternatori Westinghouse, in quanto
miglior sistema per giustiziare i condannati a morte.
A questo punto Westinghouse aveva un disperato bisogno di una analoga
dimostrazione pubblica della validità del sistema di Tesla, e Lucien Lucius
Nunn, un vivace avvocato di provincia del piccolo centro minerario di
Telluride, stava per dargliene la possibilità.
Nunn era un avvocato che si era trasferito nel 1881 a Telluride, un centro
minerario del Colorado in rapido sviluppo economico, proprio quando
l’attività mineraria stava attraversando un periodo di crisi. All’epoca, le
miniere a elevate altitudini utilizzavano la forza motrice del vapore per le loro
operazioni, e quelle che si trovavano sopra il limite della vegetazione arborea,
avendo già consumato tutto il legname locale, dovevano far arrivare il
carbone a dorso di mulo. Quando i filoni delle miniere a cielo aperto si
esaurivano, i minatori erano costretti a scavare sempre più in profondità per
estrarre i filoni più profondi, e per farlo serviva una maggiore energia. I costi
del trasporto su mulo del carbone li stavano portando alla bancarotta.
Una delle miniere più vicine al fallimento, benché contenesse ancora
delle buone riserve d’oro, era la Gold King Mine, e nel 1888 Nunn formò un
consorzio per tentare di salvarla. Sapeva che il problema maggiore era il
costo dell’energia, ma anche che il fiume San Miguel poteva rappresentare
una fonte di corrente elettrica illimitata; se sfruttato adeguatamente, se ne
sarebbero potuti ricavare 2000 cavalli-vapore (CV), più che sufficienti a
soddisfare le necessità di tutte le miniere della zona. L’unico inconveniente
era che il fiume si trovava a oltre 4 km di distanza dalla miniera, troppo
lontano per utilizzare il sistema a corrente continua di Edison. Inoltre non si
poteva installare il suo impianto autonomo a corrente continua, poiché
richiedeva l’energia del vapore per funzionare, e il trasporto del carbone
costava cinquanta dollari a tonnellata. L’unico modo di trarre profitto dalla
Gold King Mine era quello di sfruttare l’energia libera della corrente del
fiume così distante: ma come sarebbe stato possibile?
Per puro caso, il fratello di Nunn, Paul, era un membro dell’Istituto di
Ingegneria elettrica, ed era presente alla conferenza di Tesla sul sistema a
corrente alternata. Sapeva inoltre che Westinghouse stava sviluppando i
brevetti di Tesla, e che l’inventore aveva già installato un impianto a corrente
alternata in Massachusetts, dove aveva prestato servizio come governatore un
altro membro del consorzio Gold King, Benjamin Butler, beneficiando così
direttamente del primo impianto a corrente alternata di Westinghouse.
Quindi, nel 1890, il consorzio Gold King chiese a Westinghouse di poter
acquistare il primo impianto di erogazione elettrica industriale di Tesla.
Sarebbe stato un test importante per le nuove macchine di Tesla, che
William Stanley si stava impegnando ad adattare per una produzione in serie.
Il contratto con il Gold King prevedeva una turbina ad acqua di 6 piedi (1,8
m), che serviva ad azionare un generatore di 100 cavalli-vapore che avrebbe
prodotto elettricità a corrente alternata a 3000 volt. Oltre a questi veniva
fornita anche una linea elettrica di 4 km, per portare la corrente dal fiume
lungo la collina e fino alla miniera, dove avrebbe alimentato un motore di
100 cavalli-vapore. Quando Westinghouse firmò il contratto, tuttavia,
nessuna di queste macchine elettriche era mai stata costruita fino a quel
momento: era un salto nel buio, ma se avesse funzionato sarebbe stata la
prova decisiva della validità delle idee di Tesla. Westinghouse rese pubblico
il contratto, sperando che questo avrebbe contrastato la propaganda negativa
diffusa da Edison sulla corrente alternata. Era un contratto talmente
importante che Westinghouse aveva messo in conto di spendere fino a 25.000
dollari in più di quello che gli aveva fatto guadagnare, pur di assicurarsi il
successo.
Edison, rendendosi conto che la sua campagna pubblicitaria denigratoria
rischiava di fare cortocircuito, incoraggiò una polemica raccapricciante. Sui
giornali iniziarono a diffondersi articoli su come utilizzare la corrente
alternata per mettere fine alla vita dei criminali condannati a morte.
Harold Brown si era apertamente schierato dalla parte di Edison, e
sosteneva che i nemici di Edison non avevano mai perdonato l’inventore per
aver dimostrato, con pubblici esperimenti, che la corrente alternata potesse
provocare la morte a tensioni di voltaggio molto basse. Come presidente della
commissione, Brown aveva preso il proprio incarico molto seriamente, e fu
così in grado di descrivere nei minimi dettagli le procedure di esecuzione
tramite la sedia elettrica nelle interviste rilasciate ai quotidiani. Sapeva che al
condannato, con la testa e le gambe depilate per un miglior collegamento dei
fili, dopo essere stato legato con delle cinghie alla sedia di legno, veniva
stretta una fascia di metallo attorno alla testa, mentre piastre di metallo gli
serravano le gambe. Infine veniva accuratamente inumidito di soluzione di
potassio, per assicurare un buon contatto elettrico. Descrisse poi il modo in
cui, accendendo l’interruttore, il criminale avrebbe ricevuto una morte
istantanea a causa delle violente contrazioni della sua stessa muscolatura. «In
questo modo, la sovranità della legge verrà affermata senza provocare alcun
dolore fisico», aggiungeva Brown, per rassicurare gli ascoltatori disgustati.
Tuttavia era chiaro che Brown non apprezzava la corrente alternata.
«Conoscendo la terribile natura della corrente alternata», disse in seguito,
«non riesco a capire perché la gente non pretenda che la legge la bandisca
dalle strade e dagli edifici, ponendo così fine al terribile massacro di uomini
innocenti».
Westinghouse, comunque, non restò a guardare. Sottolineò la propria
amarezza nel constatare quanto fosse divenuta triste la lotta per il controllo
dell’industria, visto che si andava a combattere sul piano personale.
Nonostante tutto fu lui stesso a proseguire la disputa, attaccando Edison sul
piano personale, e citando quello che avrebbe detto l’inventore: «Il mio
interesse principale non è tanto fare fortuna, quanto sbarazzarmi dei miei
concorrenti…», e poi «il mio personale desiderio sarebbe di proibire
completamente l’uso della corrente alternata».
«E questo», aggiunse Westinghouse, «è detto da un uomo che usa i
pericolosi 220 volt per i suoi cavi elettrici pubblici». L’imprenditore poi
organizzò una dimostrazione pubblica, dove arrostiva una bistecca in meno di
due minuti facendola attraversare dalla corrente continua di Edison. Veniva
utilizzata esclusivamente la tensione di 115 volt, quella usata nelle case,
assicurava ai testimoni. Infine, affermava: «Il signor Edison ha sempre detto
che, sul lungo periodo, un impianto domestico che non faccia uso della
corrente a bassa tensione, fallirà. Infatti è esattamente quello che utilizza il
sistema di erogazione a corrente alternata».
La gente era confusa da quella guerra di parole, ma per il momento si
fidava di Edison, e questi era convinto che la migliore argomentazione
sarebbe stata l’esecuzione pubblica di un condannato a morte. William
Kemmler, un omicida, venne scelto per essere il primo uomo ucciso con la
sedia elettrica.
Westinghouse arrivò perfino a pagare le spese dell’avvocato di Kemmler
per ricorrere in appello contro questa nuova forma di esecuzione, ed Edison
fu chiamato a testimoniare sull’uso della corrente elettrica per provocare la
morte. Nel corso dell’interrogatorio, sotto giuramento, a Edison fu chiesto se
stesse testimoniando per convinzione o per cognizione di causa: lui rispose
per convinzione, poiché non aveva mai ucciso un uomo con l’elettricità.
Il ricorso fu perso, e la sentenza di morte di Kemmler tramite sedia
elettrica fu confermata. Il 6 agosto 1890 venne eseguita, ma non fu la morte
rapida e indolore che Harold Brown aveva promesso. La corrente applicata
era troppo debole per provocare una morte istantanea, e così lo sventurato
Kemmler arrostì lentamente per quindici minuti, in preda di terribili spasmi, e
quando infine fu interrotta la corrente, era ancora vivo. Quindi venne attivata
di nuovo, e dopo un’interminabile agonia provocata dalle contrazioni,
finalmente morì. L’impiccagione sarebbe stata assai più rapida e benevola.
Dopo questo terribile episodio, riportato nel «New York Times»,
Westinghouse doveva cercare di riconquistare la fiducia del pubblico nella
corrente alternata. Per farlo, pubblicò la storia dei progressi e del successo di
Telluride attraverso un giornalista della rivista «The Electrical World».
L’articolo apparve in esclusiva il 21 marzo 1891:

L’impianto di Telluride è senz’altro uno degli impianti minerari più interessanti al


mondo per la natura del luogo in cui si trova, che ha reso l’energia elettrica una
necessità, e soprattutto per il modo coraggioso con cui le difficoltà di utilizzare un
alto potenziale sono state superate con l’impiego di un motore sincrono.

Poche settimane dopo fu attivato il nuovo impianto a corrente alternata di


Tesla della Gold King Mine, che ebbe un successo immediato e restò acceso
trenta giorni e trenta notti senza interruzione. Quel lungo periodo di prova
derivava, in parte, anche dalla paura che se fosse stato spento poi non sarebbe
più ripartito. Ma quel timore si dimostrò infondato: l’impianto era affidabile e
sicuro. La gente, per convincersi delle virtù della corrente alternata, aveva
però bisogno di ulteriori prove, oltre a quella fornita da un remoto centro
minerario: serviva un evento più spettacolare.
Tornato al suo laboratorio di New York, Tesla s’interessò agli effetti
prodotti dalla corrente elettrica ad alta frequenza, scoprendo la “risonanza”,
un fenomeno naturale che amplifica i movimenti lievi rendendoli più ampi.
Immaginiamo un bambino su un’altalena: la prima spinta farà muovere il
bambino avanti e indietro; nel momento in cui l’altalena cambia direzione il
bambino si ferma per un istante. Se continuiamo a dare una lieve spinta
all’altalena ogni volta che questa si ferma prima di ricominciare un nuovo
ciclo, la velocità e l’oscillazione continueranno ad aumentare, e ben presto
dovremo smettere di spingere, per evitare che il bambino venga catapultato
via. Questo aumento d’oscillazione dell’altalena, reso possibile dalle leggere
spinte date in un preciso momento, è chiamato risonanza.
Tesla comprese che i circuiti elettrici provvisti di bobine e di condensatori
si comportano in modo risonante, e che aggiungendo al momento giusto solo
una minima quantità di energia elettrica al circuito, poteva produrre voltaggi
molto alti e corrente ad alta frequenza. In una nota del 1890, scrisse:

La prima domanda a cui rispondere è se gli effetti di pura risonanza siano


producibili. La teoria e gli esperimenti dimostrano che in natura ciò è impossibile,
poiché mentre le oscillazioni crescono, le dispersioni nei corpi in vibrazione e
nell’ambiente circostante aumentano rapidamente, e necessariamente influenzano
le vibrazioni, che altrimenti aumenterebbero di continuo. È una circostanza
fortunata che la risonanza pura non sia producibile poiché, se lo fosse, sarebbe
impossibile calcolare i pericoli per l’ingenuo sperimentatore.

Queste osservazioni portarono all’invenzione della “bobina di Tesla”, un


dispositivo che utilizzava la risonanza per produrre elettricità ad alta
frequenza e alto voltaggio. Al tempo stesso, Tesla sviluppò un impianto di
sintonia formato da un condensatore e una bobina, che sono alla base della
sintonizzazione di tutte le radio e televisioni moderne. Tesla brevettò la
bobina di Tesla e il dispositivo di sintonia radio sei anni prima che Marconi
brevettasse la prima radio - una questione su cui ritorneremo più avanti.
Inoltre scoprì un principio fondamentale della corrente elettrica ad alta
frequenza: essa non viaggia all’interno di un filo o di un qualsiasi altro
conduttore, bensì lungo la sua superficie esterna. Tale effetto, noto ai moderni
ingegneri come “effetto pelle”, viene utilizzato in fili d’acciaio avvolti da un
rivestimento di rame; l’acciaio rende il filo resistente, e il rame fornisce una
bassa resistenza sulla superficie esterna, dove scorre la corrente. L’effetto
pelle fece riflettere Tesla sul comportamento delle onde, e fu il primo
scienziato a capire che - matematicamente - il calore, la luce, la radio, il
suono, il magnetismo alternato e l’elettricità alternata si equivalevano. Se
fosse riuscito a misurare uno di questi effetti, li avrebbe perciò compresi tutti.
In quel periodo molto produttivo, Tesla inventò anche la lampada a gas
fluorescente, che illumina tuttora la maggior parte degli uffici e degli edifici
pubblici moderni. Producendo elevati gradi di illuminamento con piccole
quantità di elettricità, questa risulta molto più efficace delle lampade a
filamento nel trasformare l’elettricità in luce. Tesla avvolse il proprio
laboratorio con un lungo circuito di filo elettrico, che girava intorno alle
pareti esterne, facendovi passare della corrente ad alta frequenza tramite un
alternatore speciale che aveva costruito. Poi sistemò una serie di lampade
fluorescenti a gas in tutto il laboratorio, che si illuminavano quando la
corrente passava attraverso il circuito chiuso. Le luci potevano essere spostate
ovunque nel laboratorio, dove servissero di più, senza bisogno di collegarvi
un filo, poiché funzionavano grazie a un’energia elettrica “senza fili”, che
veniva diffusa a partire dal lungo circuito, e raccolta da piccoli circuiti di filo
elettrico collegati ai terminali di ciascuna lampada a gas. Tesla concluse con
successo una lunga serie di esperimenti spettacolari con le nuove correnti ad
alta frequenza. Scoprì che poteva farsi attraversare tranquillamente da un alto
voltaggio, a condizione che l’intensità di corrente rimanesse bassa. Scoprì
quello che tutti gli ingegneri elettrici sopravvissuti a una scarica elettrica
sanno bene, e cioè che non è il voltaggio a uccidere, bensì la potenza della
corrente: cinque millesimi di ampere attraverso il torace fermano il cuore, ma
due milioni di volt a un milionesimo di ampere faranno soltanto drizzare i
capelli, senza recare alcun danno.
Dopo la sua conferenza e dopo aver venduto i suoi brevetti a
Westinghouse, Tesla divenne famoso tra i giornalisti scientifici dei quotidiani
newyorchesi. Westinghouse lo stimolava affinché anche lui promuovesse la
sicurezza del suo sistema elettrico, e Tesla fu spesso invitato a pranzo da
giornalisti curiosi. L’inventore serbo non ebbe mai una casa di proprietà, e
continuò ad abitare negli hotel e a mangiare nei ristoranti; così, per restituire
il favore, invitava a cena gruppi di giornalisti scientifici e poi li ospitava nel
suo laboratorio, per mostrare loro le sue “magie” elettriche.
Grazie al benessere raggiunto, Tesla iniziò a frequentare le serate
mondane di New York: dopo aver vissuto con l’esigente zia a Carlstadt, era
anche diventato un buongustaio. Adesso che poteva permettersi qualche
spesa in più, cominciò a organizzare grandi cene in luoghi alla moda, come il
Waldorf Astoria e il ristorante Delmonico. Le sue cene diventarono famose, e
tutta l’alta società newyorchese desiderava parteciparvi. La sua passione per
l’ottimo cibo, le sue qualità di affabile conversatore e i suoi modi europei -
oltre al contratto da un milione di dollari con Westinghouse, sempre ben
pubblicizzato - rendevano i suoi inviti assai ricercati nella società mondana.
Alcune madri troppo ottimiste cercarono perfino di farlo interessare alle
proprie figlie: Tesla era lusingato, ma non strinse mai alcun legame
sentimentale.
Il radicato rispetto per le figure autoritarie e i comportamenti snob lo
portarono a mettersi in mostra davanti a questi nuovi “amici”, e la sua
tendenza a farsi notare e a mostrare la propria intelligenza lo portarono a
offrire una serie di bizzarre dimostrazioni di alcune spaventose proprietà
dell’alto voltaggio e dell’elettricità ad alta frequenza.
Tesla sapeva che se un voltaggio vibrava a una frequenza molto alta, la
corrente trasportata non sarebbe passata attraverso il corpo, ma si sarebbe
limitata a percorrerne la superficie esterna senza provocare alcun danno.
Forte di questa conoscenza e usando il proprio corpo come conduttore, si
esibì in spettacolari dimostrazioni sulla sicurezza della corrente alternata.
Uno dei suoi trucchi più stupefacenti era tenere un filo elettrico di una bobina
di Tesla in una mano e produrre una scintilla dalle dita dell’altra mano per
accendere una lampada.
Queste particolari dimostrazioni scientifiche venivano date nel suo
laboratorio, come degna conclusione dei suoi ricevimenti. In occasione di
questi spettacoli indossava sempre uno smoking nero e una camicia bianca,
abbinato alle volte a un cappello a cilindro di seta, che aumentava la sua già
slanciata figura. Calzava inoltre degli stivali a suola alta che aggiungevano
altri quindici centimetri alla sua altezza, provvisti di gomma isolante sotto le
suole.
Scatenando scintille e boati nel suo laboratorio oscurato, accendendo
lampade con le dita, Tesla offriva uno spettacolo grandioso, e appariva come
un moderno dio della luce.
Sulle pagine mondane dei giornali newyorchesi impazzavano le foto di
Tesla in smoking, circondato dalle scintille. Una tipica didascalia diceva:

Nikola Tesla. Qui si vede l’inventore nella fulgida gloria della miriade di lingue di
fuoco elettriche, dopo che egli si è colmato di elettricità.
Gli effetti delle affermazioni di Edison sui rischi mortali dell’elettricità a
corrente alternata furono così smentiti nel modo più spettacolare. Le cose
cominciavano ad andare bene per Tesla e per il suo sistema a corrente
alternata, ma il mondo degli affari gli stava preparando un’altra dura lezione.
CI VEDIAMO ALLA FIERA

Mia madre è stata un’inventrice di prim’ordine e - ne sono convinto - avrebbe fatto


grandi cose se non si fosse trovata così lontana dalla vita moderna e dalle sue tante
opportunità.
NIKOLA TESLA

Gli uomini d’affari non amano troppo le capacità intellettuali. «Troppo


intelligente per essere in gamba», dicevano, «le motivazioni e le fantasie
degli scienziati sono semplicemente impraticabili».
L’invenzione di Tesla aveva salvato l’industria mineraria di Telluride, ma
non gli vennero attribuiti i giusti onori da parte della città, né fu elogiato dalla
società che dalla sua idea aveva tratto un grande beneficio. Per fortuna
l’inventore era troppo impegnato a studiare la risonanza nelle correnti ad alta
frequenza per preoccuparsi di questa mancanza di riconoscimento pubblico.
Gradiva molto gli elogi, ma non si aspettava mai di ottenerli, avendo
imparato da bambino che qualunque cosa facesse non avrebbe mai
soddisfatto i genitori, sopraffatti dal dolore per il fratello scomparso. Il
problema della poca autostima continuò anche dopo la morte del padre,
quando la madre prese il suo posto come motivo dei suoi immaginari
fallimenti. Era felice dei risultati delle sue ricerche, e l’unica preoccupazione
che lo distraeva era la cattiva salute della madre. Era l’unica donna con cui
avesse mai avuto un legame, benché la citazione iniziale dimostri che
l’apprezzava più per la sua capacità inventiva che per l’amore di madre.
Decise che appena avesse avuto del tempo libero, sarebbe tornato in Europa a
trovarla. Il successo stava iniziando a farlo sentire colpevole di non esservi
rimasto in contatto, ma in realtà non voleva affrontarla. Le frequenti
sculacciate ricevute per i suoi primi esperimenti, per i fucili a salve e per le
spade fatte con i mobili di casa, facevano ancora male, poiché erano
sculacciate «non del tipo formale, ma di quelle genuine». Nella sua
autobiografia è fin troppo chiaro che, nonostante sentisse il dovere di andare
a trovarla, cercava di rimandare la visita il più possibile. Così scriveva:

Mi prese uno struggente desiderio di rivederla. Questo sentimento crebbe così forte
che decisi di abbandonare tutto il lavoro per soddisfare la mia nostalgia, ma trovai
troppo difficile allontanarmi dal laboratorio.

Il suo impianto a corrente alternata polifase aveva ormai preso vita. Gli
ingegneri di tutto il mondo cominciavano a comprendere che il suo sistema
era l’unico in grado di trasportare l’elettricità attraverso lunghe distanze.
Mentre la sua reputazione cresceva, egli proseguì con i suoi costosi
esperimenti, sicuro che ben presto Westinghouse avrebbe cominciato a
pagare le royalty dovute. Immaginava con trepidazione un futuro fatto di
ricerche ben pagate e di riconoscimenti pubblici, poiché aveva contribuito a
costruire un mondo migliore per tutti. Le cose però non andarono come
pensava.
L’elettricità a corrente alternata cominciava a essere rispettata dagli
uomini d’affari, poiché offriva migliori margini di guadagno. L’impianto a
corrente continua di Edison stava perdendo la prima posizione nel mercato,
ma i principali brevetti per l’illuminazione restavano nelle sue mani, ed egli
non si faceva scrupoli nei confronti delle società che glieli stavano rubando, e
in particolare con Westinghouse, il primo obiettivo delle sue battaglie
giudiziarie. Nel 1891 la lunga disputa della società di Edison con
Westinghouse cominciava a volgere al termine.
Il pretesto che aveva usato Westinghouse per utilizzare i brevetti delle
lampade di Edison senza pagare le royalty era stato l’acquisto dei brevetti per
le lampade a incandescenza di Sawyer-Mann. Il problema era che loro
lampade non avevano mai funzionato bene, perché facevano uso di un
massiccio filamento che bruciava in pochi minuti, mentre la lampada di
Edison utilizzava un filamento molto più sottile che durava centinaia di ore.
Così, Westinghouse continuava a produrre copie esatte delle lampade di
Edison sostenendo che i grezzi brevetti Sawyer-Mann gli dessero il diritto di
farlo. La Edison’s Lighting Company aveva portato la questione in tribunale,
ma il processo si era trascinato per più di sei anni e non sembrava potersi
risolvere prima della scadenza del brevetto, nel 1894.
Ma Westinghouse non era stato il solo ad aver cercato di rubare i brevetti
a Edison. La società Thomson-Houston, fondata da un ex commerciante di
calzature, stava cercando di sottrarre lo stesso brevetto, ed era co-imputata
nel processo. Il brevetto per la lampada a incandescenza, come tutti gli altri
brevetti di Edison, era gestito dalla Edison Electric Light, una società in mano
ai banchieri di Edison, e due dei principali rappresentanti nel Consiglio della
Edison Electric Light erano J.P. Morgan e Edward Adams. In quanto
banchieri, questi uomini d’affari s’interessavano più ai profitti che ad altre
questioni tecniche: infatti non erano entrati in società quando Edison aveva
costruito le fabbriche per produrre impianti elettrici, ma solo dopo il successo
riscosso dalle vendite.
In quel periodo la Edison Electric Light aveva le solite difficoltà che
accomunano molte imprese in sviluppo: stava finendo i soldi. Era una società
di successo che riceveva molte ordinazioni, ma non veniva pagata fino alla
completa consegna dell’impianto, e nel frattempo ogni settimana doveva
pagare gli stipendi a duemila impiegati e comprare le materie prime molto
prima di essere pagata per il prodotto finito. Più commesse otteneva, più
denaro doveva prendere in prestito per restare a galla.
Nel 1889 aveva grossi debiti e molte difficoltà nel pagare gli stipendi. Se
Westinghouse e Thomson-Houston non gli avessero rubato i clienti,
utilizzando i suoi brevetti, Edison probabilmente non sarebbe stato così
vulnerabile. Qualunque fosse la causa delle sue difficoltà finanziarie, i
banchieri videro la possibilità di assumere il controllo dell’impresa
industriale di Edison.
La Edison Electric Light era una società costituita soltanto per riscuotere
le royalty sui brevetti di Edison; ma adesso i banchieri che la gestivano
proposero a Edison di comprare le sue fabbriche. Gli accordi andarono avanti
per molto tempo, ma alla fine Edison decise di vendere per 1.750.000 dollari.
Sembrò sollevato del fatto che qualcun altro si fosse assunto la responsabilità
degli stipendi settimanali, e si prese la prima vacanza dopo anni, recandosi in
Europa. La nuova società di banchieri fu chiamata Edison General Electric
Company, e questa fusione di una parte così grande dell’industria elettrica
rese vulnerabili le piccole imprese, e altri banchieri iniziarono a pensare di
fondere le restanti piccole società in entità maggiori, che i proprietari lo
volessero o meno.
Uno dei direttori della Edison Electric Light era preoccupato riguardo la
validità a lungo termine del sistema elettrico a corrente continua. Il suo nome
era Edward Adams, che per caso era anche un amico di George
Westinghouse: egli capì che Edison e Westinghouse erano in possesso dei
brevetti più importanti per il futuro dell’elettricità, e cercò di farli accordare
mettendo da parte le loro divergenze, ma Edison gli inviò una brusca risposta:

Sono ben consapevole delle risorse e degli impianti di Westinghouse, i suoi metodi
di fare affari si sono spinti talmente in là che quell’uomo dev’essere impazzito a
causa dell’improvvisa ricchezza o per qualcos’altro che non comprendo, e presto o
tardi finirà sdraiato in una gran pozza di fango.

A distanza di vent’anni, Edison tuttavia riconobbe che si era sbagliato nel


rifiutare la proposta di Adams di collaborare con Westinghouse; se avesse
accettato si sarebbe evitata la costosa e ingiuriosa “guerra delle correnti”.
Nel 1889 l’azione legale si concluse nella corte del giudice Bradley,
presso il tribunale degli Stati Uniti di Pittsburgh. Le varie argomentazioni
avevano sviluppato perfino una controquerela nei confronti di Edison, poiché
sembrava che lui non fosse stato il primo a inventare la lampada elettrica a
incandescenza, e che il suo brevetto del 1879 non desse sufficienti
informazioni tecniche per realizzare una tale lampada. Il giudice Bradley
constatò che altri inventori avevano precedentemente realizzato delle
lampade a incandescenza, anche se rappresentavano tuttavia un fallimento
poiché non erano in grado di restare accese che per pochi minuti ed erano
quindi prive di un valore commerciale. Il verdetto legale recitava in
proposito:

Sembra che esse seguissero un principio errato: quello della bassa resistenza di un
conduttore a incandescenza e di una elevata potenza di corrente elettrica. Dunque
la grande scoperta che ha reso valido il principio è stata quella di adottare una forte
resistenza nel conduttore, con una piccola superficie di illuminazione e una
rispettiva riduzione della potenza della corrente. Questo è stato compiuto da
Edison.
Bradley utilizzò la legge di Ohm a favore di Edison, a supporto della
legge sui brevetti degli Stati Uniti. L’idea di usare un filamento sottile al
quale servisse solo una bassa potenza della corrente per produrre un flusso
luminoso fu il reale progresso tecnico. Edison aveva fatto un buon uso della
legge di Ohm, e questo era alla base del suo brevetto; così, il 4 ottobre 1889,
il giudice Bradley si espresse a favore di Edison.
Tale sentenza mise Westinghouse e la compagnia Thomson-Houston in
una posizione difficile: Edison aveva ceduto i propri interessi alla Edison
General Electric, anche se continuava a guidarla, e i banchieri che la
dirigevano stavano per concludere un ottimo affare. Ben presto i rivali di
Edison avrebbero dovuto pagare le royalty o sarebbero stati costretti a
chiudere le loro fabbriche di lampade. Per prendere tempo, Westinghouse e la
Thomson-Houston ricorsero in appello alla Corte federale. Edison era furioso
per le tattiche ritardatrici dei “pirati” che continuavano a rallentare le sue
vendite, e gli attacchi molto poco scientifici dei suoi rivali sulla natura
mortale degli impianti a corrente alternata divennero ancora più velenosi.
La legge di Ohm, però, stava per rivelarsi un’amante infedele: gli aveva
permesso di vincere la sua battaglia legale, ma allo stesso tempo si preparava
a negare qualsiasi futuro all’impianto elettrico sul quale Edison aveva
costruito la propria impresa; inoltre gli avrebbe presto giocato un altro brutto
scherzo. Il giudice Bradley aveva usato legge di Ohm per sostenere il
brevetto di Edison, tuttavia la corrente continua non sarebbe mai stata in
grado di percorrere le stesse distanze della corrente alternata.
Il ricorso in appello di Westinghouse fu presentato a New York. Egli
utilizzò una squadra di esperti scienziati e di avvocati di primo piano per
umiliare Edison. Westinghouse decise che se il successo del brevetto di
Edison si basava sull’applicazione della legge di Ohm, avrebbe dimostrato
pubblicamente che il grande inventore non comprendeva tale legge. Se fosse
riuscito a dimostrare che Edison non conosceva veramente le leggi
dell’elettricità, le sue affermazioni sui pericoli della corrente alternata
avrebbero riscosso una minore credibilità presso l’opinione pubblica. E allo
stesso tempo avrebbe potuto utilizzare la testimonianza di Edison - insieme
alla notizia del successo della centrale elettrica di Telluride - per promuovere
l’elettricità a corrente alternata. Il motivo per il quale fosse stato disposto a
costruire Telluride in perdita fu chiaro: il suo trionfo avrebbe dimostrato
senza ombra di dubbio che Edison non conosceva l’elettricità, dichiarandosi
apertamente contro la tensione ad alto voltaggio per la trasmissione su lunga
distanza. L’impianto di Telluride era in funzione da più di un mese, senza
aver subito alcuna interruzione, al tempo in cui Edison si presentò come
testimone davanti al giudice William A.Wallace: in quella bella mattina di
giugno, il controinterrogatorio avrebbe mostrato l’ignoranza di Edison nei
confronti della teoria dell’elettricità. Gli atti del processo testimoniano nei
dettagli come Edison venne umiliato:

«Che cosa sapeva della legge di Ohm, quando cominciò a produrre la sua lampada
a filamento, signor Edison?», chiese l’avvocato.
«Non comprendevo del tutto la legge di Ohm quando cominciai a lavorare, nel
1878: se l’avessi compresa perfettamente non avrei dovuto fare tanti esperimenti»,
rispose l’inventore.
«Perché la conoscenza della legge di Ohm le avrebbe permesso di non fare troppi
esperimenti?»
«Perché avrei cercato di risolvere il problema matematicamente; molti matematici
hanno lavorato per me negli ultimi dieci anni, ma hanno tutti fallito.»
«Ma non sono state forse le leggi della scienza elettrica, a mostrarle la strada per i
conduttori ad alta resistenza?»
«Non credo. I calcoli vengono sempre dopo gli esperimenti, non prima.»
«Signor Edison, lei ha utilizzato dei matematici per assisterla nel suo lavoro?»
Edison rispose: «Io posso assumere dei matematici, ma loro non possono assumere
me».

Dopo aver dimostrato le scarse conoscenze teoriche di Edison, gli


avvocati chiamarono a testimoniare i suoi matematici, i quali, nonostante il
pesante controinterrogatorio, difesero a spada tratta i risultati degli
esperimenti di Edison. Westinghouse era riuscito a umiliare l’inventore, ma
senza far vacillare la sua linea difensiva. Gli restava però un’ultima debole
speranza: il suo avvocato cercò di dimostrare che la descrizione di Edison
dell’invenzione originale riportata sul brevetto fosse impossibile da seguire,
nell’ottica di costruire una lampada a incandescenza funzionante. Per questo
motivo il brevetto era da considerarsi privo di valore.
Da uomo pratico qual era, Edison mandò subito a chiamare un tecnico, al
quale chiese di costruire una lampada seguendo le istruzioni del brevetto,
davanti agli occhi della giuria: la lampada si accese e funzionò per seicento
ore. Edison aveva ragione, e il giudice Wallace deliberò in suo favore.
Il processo era costato oltre due milioni di dollari alla Edison General
Electric, e Westinghouse era rimasto praticamente sul lastrico, ma la “guerra
delle correnti” non era ancora finita. La sentenza del tribunale impediva a
Westinghouse di produrre e di vendere lampade a incandescenza per qualsiasi
impianto elettrico futuro. Avrebbe dovuto aspettare due anni prima di tornare
a fabbricare lampade a incandescenza, alla scadenza del brevetto di Edison.
Considerata la sua situazione finanziaria, poteva essere troppo tardi.
Anche la Edison General Electric era piena di debiti, ma avrebbe avuto il
pieno controllo dell’industria dell’illuminazione almeno per i due anni
seguenti. Per Charles Coffin, l’ex venditore di calzature che dirigeva la
Thomson-Houston, c’era una sola via d’uscita: andò da J.P. Morgan, che
controllava la Edison General Electric, e gli propose la fusione delle due
società, per risolvere così due problemi in uno. Era vero che la Thomson-
Houston non poteva più vendere le lampade, secondo la legge, ma in realtà
anche la Edison General Electric era in grosse difficoltà, poiché aveva un
debito pari a 3,5 milioni di dollari. Nonostante la battaglia legale la Thomson-
Houston possedeva ancora un discreto capitale: riunendo così le due
compagnie, avrebbero potuto detenere i tre quarti del mercato elettrico degli
Stati Uniti e contare su una solida base finanziaria. L’accordo fu presto
concluso: Coffin divenne il presidente della nuova società, e il nome di
Edison fu eliminato dalla nuova General Electric. I titoli dei quotidiani
newyorchesi riportavano:

Edison eliminato: non è stato in grado di seguire le regole pragmatiche di Wall


Street.

La fusione avrebbe potuto eliminare Edison dalla scena, ma anche


Westinghouse si trovava in serie difficoltà finanziarie. La General Electric
possedeva ora una fetta enorme del mercato elettrico, ma Westinghouse
aveva i brevetti di Tesla, che erano la chiave del futuro progresso elettrico.
Aveva poche carte in mano, ma se fosse riuscito a giocarle bene si sarebbero
rivelate vincenti.
I banchieri che lo finanziavano proposero anche a lui una soluzione che lo
avrebbe portato, come Edison prima di lui, a dover vendere a loro la sua
società. Entrambi gli inventori avevano ignorato una regola fondamentale del
mondo degli affari: le società in crescita hanno bisogno di capitali, e le
società in rapida crescita ne richiedono ancora di più. Avere delle buone idee
e venderle alla gente è solo parte del segreto del successo: è essenziale anche
un solido sostegno finanziario. I banchieri stavano impartendo a
Westinghouse una dura lezione.
Proposero di finanziare la creazione di una nuova società che avrebbe
assorbito molte delle imprese ancora indipendenti: la US Electric Company e
la Consolidated Electric Light Company si sarebbero fuse con la
Westinghouse Electric, per formare la Westinghouse Electric and
Manufacturing Company. Un tale accordo prevedeva però una condizione: i
brevetti di Tesla erano il capitale principale che avesse da offrire
Westinghouse, ma i banchieri non volevano dover gestire la questione delle
royalty con Tesla, poiché sarebbe stato troppo costoso.
Così Westinghouse convinse Tesla a vendere le sue royalty in un’unica
soluzione, per appena 216.000 dollari. Alcuni scrittori romantici hanno scritto
che Tesla vi rinunciò compiendo un nobile gesto, così da assicurare il
successo della sua invenzione, ma la realtà è meno romantica. A un amico,
Tesla scrisse che la sua rinuncia alle royalty doveva essere una soluzione
temporanea, o almeno così credeva, che aveva accettato solo perché aveva
bisogno di denaro per proseguire i suoi esperimenti. Inoltre, testimoniando
sotto giuramento anni dopo in un processo, dichiarò che al tempo ignorava i
particolari del contratto, poiché simili questioni le aveva sempre lasciate nelle
mani dei suoi soci d’affari. È senza dubbio per questo motivo che Tesla non
riuscì mai a guadagnare niente, restando quasi sempre sommerso dai debiti:
la mancanza di fondi era un problema che lo aveva sempre assillato.
Gli esperimenti che continuava a portare avanti prosciugavano
regolarmente tutto ciò che riusciva a mettere da parte; però proseguire tali
esperimenti era il suo unico interesse, e quando Westinghouse gli propose di
comprare le sue royalty, Tesla pensò probabilmente solo al suo prossimo
esperimento, e i 216.000 dollari che gli stava offrendo sarebbero stati più che
sufficienti a portarlo a termine, permettendogli magari di fare anche un
viaggio in Europa. Il malinteso del cosiddetto “accordo temporaneo” gli costò
dodici milioni di dollari, ma salvò l’impresa di Westinghouse, il quale
probabilmente non si prese la briga di spiegare a Tesla tutti i dettagli
dell’accordo; o forse fu Tesla, con i suoi sensi di colpa nei confronti della
madre, a voler semplicemente il denaro sufficiente per andarla a trovare.
Qualunque fosse la verità, Tesla dimenticò un altro principio basilare negli
affari: prima di firmare bisogna sempre leggere le scritte più piccole, anche se
si viene distratti.
Il progetto di Telluride aveva dimostrato che la corrente alternata era
efficiente e affidabile, ma un piccolo progetto industriale per un centro
minerario non era sufficiente a neutralizzare la cattiva pubblicità della
“vecchia scintillante”. Per dimostrare che la corrente alternata era davvero
sicura, serviva un’azione più significativa. In quel periodo si stava allestendo
una Fiera mondiale a Chicago, e gli organizzatori cercavano un impianto
d’illuminazione per ben novantamila lampade a incandescenza, in grado di
illuminare tutti i padiglioni.
La General Electric era abbastanza sicura di poter chiudere questo
contratto, poiché la Electric and Manufacturing di Westinghouse aveva
ricevuto il divieto ufficiale di utilizzare i brevetti di Edison per produrre
lampade. Ed era così sicura che fece un’offerta di 18,50 dollari per ogni
lampada operante con energia a corrente continua. A quel punto,
Westinghouse decise di scommettere: aveva perso il processo e non avrebbe
più potuto costruire lampade a filamento di carbone all’interno di un’ampolla
di vetro, ma pensò che se avesse costruito lampade con filamenti di metallo
all’interno di bottiglie tappate non avrebbe violato il brevetto della General
Electric. Propose dunque un impianto a corrente alternata di Tesla, offrendo
4,32 dollari per ogni lampada - era un prezzo inferiore allo stesso costo di
realizzazione - ma valeva tutta la pubblicità che avrebbe procurato. In questo
modo stava offrendo la fornitura di un prodotto mai realizzato prima.
Westinghouse ottenne così il contratto, garantendo che in caso di mancata
consegna avrebbe coperto ogni eventuale perdita subita dagli organizzatori,
cosa che avrebbe decretato il suo sicuro fallimento; perfino i guadagni
aggiuntivi ricavati dalla vendita delle royalty di Tesla non sarebbero bastati a
salvarlo. Con meno di un anno a disposizione per raggiungere l’obiettivo, si
dedicò completamente a realizzare un nuovo tipo di lampada con un
filamento di ferro.
Nel frattempo Tesla, mentre intorno a lui imperversava la “guerra delle
correnti”, indifferente alle sue implicazioni commerciali, stava soddisfando la
sua curiosità sugli effetti della corrente ad alta frequenza. Era affascinato
dallo studio della risonanza, e continuava a ricordare in proposito un
incidente che ebbe in gioventù, dopo aver scalato una ripida montagna
ricoperta di neve con alcuni amici. Per gioco avevano organizzato una gara,
in cui, a turno, ognuno di loro avrebbe fatto rotolare verso valle una palla di
neve: chi l’avrebbe fatta rotolare più velocemente sarebbe stato il vincitore. A
un certo punto una delle palle, invece di fermarsi, cominciò a rotolare sempre
più rapidamente lungo il pendio, raccogliendo sempre più neve fino a
diventare gigantesca, finendo con fragore nella vallata e provocando una
terribile valanga. Quel giorno Tesla aveva osservato la risonanza in azione, e
adesso era convinto che avrebbe potuto applicare un simile effetto
all’elettricità. Per riuscirci aveva costruito molti tipi diversi di dispositivi,
così da produrre correnti di differenti frequenze per i suoi esperimenti.
Inoltre pensò che l’elettricità potesse essere utilizzata a scopi medici e,
per sperimentare l’idea, decise di provarla su se stesso. In un modo del tutto
sconsiderato fece passare la corrente ad alta frequenza attraverso diverse parti
del suo corpo, per studiarne gli effetti. Quando passò la corrente attraverso la
testa, provò una piacevole sensazione di sonnolenza, e così scrisse un articolo
suggerendo che la corrente ad alta frequenza si sarebbe potuta usare un
giorno come anestetico. Aveva ragione riguardo agli effetti dei campi elettrici
sul cervello, ma non si rese conto quali drammatici risultati avrebbe
introdotto questo tipo di operazione. La moderna medicina, con la sua
avanzata conoscenza degli effetti dell’elettricità sul cervello, utilizza oggi
questo trattamento - noto come terapia elettro-convulsiva o elettroshock - per
curare le malattie mentali. E uno degli effetti collaterali di una tale terapia è
la perdita della memoria, una conseguenza che Tesla avrebbe scoperto, per
caso, in circostanze molto dolorose.
Dopo aver venduto le proprie royalty a Westinghouse, Tesla decise di
partire per l’Europa. Accettò di parlare all’Istituto Britannico di Ingegneria
Elettrica a Londra, impegnandosi moltissimo nel preparare l’intervento, che
ebbe un grande successo. Poi si recò a Parigi, dove tenne un convegno presso
l’Istituto di Ingegneria Elettrica francese, con gli stessi risultati. Infine, si
decise a far visita alla madre ammalata.
Quando arrivò al suo capezzale, la madre stava ormai morendo. Dai
referti dei medici non era chiaro quale malattia avesse, ma le descrizioni dei
dolori e delle sofferenze patite nelle ultime sei settimane suggeriscono un
cancro. Tesla le restò accanto tutto il tempo, tornando in albergo solo per
dormire.
La madre proveniva da una famiglia di inventori: il nonno di Tesla e il
suo bisnonno avevano inventato entrambi «numerosi strumenti per usi
domestici, agricoli e per altri impieghi». Seduto al suo capezzale, Tesla
ricordò di una notte in cui la madre lo aveva scoperto, intento a leggere i libri
del padre alla luce di una candela che lui stesso aveva fabbricato. Lo aveva
sculacciato, senza però riferire l’episodio al marito. Ricordò di quando lo
aveva scoperto a spendere tutti i suoi soldi nel gioco d’azzardo - mentre
invece egli avrebbe voluto continuare a giocare - così gli aveva dato un
mucchio di banconote, dicendogli: «Vai, e divertiti. Prima perderai tutto
quello che abbiamo e meglio sarà. Solo così alla fine smetterai». Aveva
ragione: lo aveva fatto sentire talmente in colpa che non tornò mai a giocare.
Ricordò quando un giorno, mentre passeggiava con lei tra le montagne, si
stava avvicinando una tempesta. Il cielo era pieno di nubi minacciose, ma
prima che iniziasse a cadere la pioggia, improvvisamente, ci fu un violento
scoppio di fulmini seguito da un rapido acquazzone. Tesla aveva spiegato alla
madre lo stretto legame che esiste tra i due fenomeni, e come il fulmine fosse
la causa immediata della pioggia. Avevano discusso dell’affascinante
possibilità di controllare il tempo, e di come questo sarebbe stato il modo più
efficace di sfruttare il sole a beneficio dell’uomo.
Adesso, mentre sedeva accanto all’unica donna che lo avesse mai
ispirato, poteva soltanto guardare impotente il dolore provocato dai suoi
respiri secchi. Dimenticò tutte le punizioni subite, quando si rese conto che lo
avrebbe presto lasciato per sempre.
Sicuro delle grandi capacità intuitive della madre, Tesla era convinto che
non sarebbe morta senza prima avvisarlo e così, esausto per la lunga veglia, si
arrese all’insistenza delle sorelle perché tornasse a riposare all’albergo. In
seguito, di quella notte ricordò:

Durante tutta la notte, ogni fibra del mio cervello era in tensione per l’attesa. Ma
non successe niente fino alla mattina presto, quando caddi in un sonno profondo - o
forse persi i sensi - e vidi una nuvola che trasportava figure angeliche di
meravigliosa bellezza, una delle quali si protese con amore verso di me e
gradualmente assunse l’aspetto di mia madre. L’apparizione fluttuò lentamente
nella stanza e poi svanì, e io fui risvegliato da un indescrivibile e dolcissimo suono
di voci diverse. In quell’istante ebbi la certezza - che nessuna parola riuscirebbe a
esprimere - che mia madre era morta.

Il mattino seguente Tesla era molto preoccupato per quella strana visione,
ma ricordò che una volta aveva visto un quadro che raffigurava
allegoricamente una delle quattro stagioni sotto forma di una nuvola, con un
gruppo di angeli che sembravano fluttuare nell’aria: era la stessa immagine
apparsa nel suo sogno, ma con la madre al centro di essa. Una musica
proveniva dal coro della chiesa vicina, dalla messa della mattina del giorno di
Pasqua. Soddisfatto di aver interpretato scientificamente la visione si sentì un
po’ più sollevato, ma non appena si alzò dal letto ricevette un messaggio: la
madre era appena morta. La tensione provocata dal fatto di non poter fare
niente se non vederla morire, dev’essere stata terribile. Parlando al funerale,
disse: «Era una grande donna, di raro coraggio, forza e capacità, che era
riuscita ad attraversare le tempeste della vita. Ed è esclusivamente
all’influenza di mia madre che devo qualunque tipo di inventiva che
possiedo».
Dopo il funerale, ebbe un collasso e perse la memoria. Aveva già
sperimentato su se stesso il potenziale anestetico dell’elettricità, e potrebbe
averne fatto uso anche in seguito, affinché lo aiutasse a dormire in quel
periodo di forte stress.
Quando si riprese, recuperò lentamente la memoria, ma divenne ancora
più introverso. Gli amici dissero di lui che, da quel momento in poi, non si
allontanò più dal suo mondo fatto di problemi d’ingegneria, e continuava a
tracciare disegni e schemi perfino sulla tovaglia in attesa del pranzo, o
interrompeva una conversazione per parlare di esperimenti. In seguito, in un
articolo intitolato Le mie invenzioni2, scrisse:

Riacquistata la salute, iniziai a formulare progetti per riprendere il lavoro in


America… Cominciai quindi a sentire il dovere di concentrarmi su qualche grande
idea… Il dono della forza della ragione ci viene da Dio, l’Essere Divino, e se
concentriamo le nostre menti su questa verità, ci accordiamo in armonia con questa
grande forza. Mia madre mi aveva insegnato a cercare ogni verità nella Bibbia; e
così dedicai i mesi seguenti allo studio di quest’opera. Se riuscissimo a produrre
effetti elettrici della qualità desiderata, l’intero pianeta e le condizioni
dell’esistenza su di esso potrebbero trasformarsi… Il compimento di questo
dipende dalla nostra capacità di sviluppare forze elettriche dello stesso ordine di
quelle in natura.
Sembrava un’impresa impossibile, ma mi sono sforzato a pensare come
realizzarla… dopo una breve visita a degli amici di Watford, in Inghilterra, sentivo
che dovevo intraprendere un impegno che suscitava in me una forte attrazione,
poiché erano necessari dei mezzi dello stesso tipo di quelli impiegati nella
trasmissione di successo dell’energia senza fili. Ricominciai così a studiare
attentamente la Bibbia, e scoprii la chiave nell’Apocalisse.

Come una penitenza per non essere rimasto accanto alla madre nel
momento della sua morte, Tesla s’impose di rileggere l’intera Bibbia, e dopo
due mesi, passati esclusivamente a leggere, completò l’opera. Non raccontò
mai a nessuno ciò che avesse veramente scoperto nell’Apocalisse ma, da
allora in poi, rimase affascinato dalle attività delle forze naturali - e
probabilmente fu questa sua passione che lo spinse, tra le altre cose, a
imbrigliare le cascate del Niagara per ottenere l’energia elettrica.
Fece ritorno in America giusto in tempo per aiutare Westinghouse a
prepararsi per la Fiera mondiale. Le fabbriche di Pittsburgh erano riuscite a
produrre una lampada che non violasse i brevetti della General Electric: il
momento decisivo era arrivato, e la scommessa di Westinghouse stava per
cominciare.
Il primo maggio del 1893, giorno dell’inaugurazione, 96.620 lampade a
incandescenza di Westinghouse, alimentate dai generatori di Tesla,
illuminavano l’intera area delle esposizioni.
Lo stesso Tesla offrì lo spettacolo di un uovo di metallo che, adagiato su
un drappo di velluto, si metteva in piedi, ruotando rapidamente, alimentato
dalla magia della corrente alternata. La folla si accalcava per vedere
l’inventore, col suo cappello a cilindro, lo smoking e gli alti stivali di gomma;
lo vide far passare milioni di volt di elettricità ad alta frequenza attraverso il
suo corpo, e accendere lampade grazie alle scintille scaturite dalla punta delle
sua dita. Finalmente le menzogne di Edison sulla corrente alternata vennero
smentite, davanti alla folla che accorreva ad assistere alla Fiera. La “guerra
delle correnti” si avviava alla conclusione.
LO SFRUTTAMENTO DELLE CASCATE DEL NIAGARA

Poiché la trasmissione elettrica dell’energia è il processo più economico che


conosciamo, questo dovrà necessariamente giocare un ruolo fondamentale nel
futuro, a prescindere dal modo in cui verrà ottenuta - dal sole - l’energia primaria.
Tra tutti i modi possibili, lo sfruttamento di una cascata sembra essere il più
semplice e il meno dispendioso, poiché non implica spreco né consumo di alcun
materiale.
NIKOLA TESLA

Parte del confine settentrionale fra Stati Uniti e Canada corre lungo il
fiume Niagara. Questo fiume collega il lago Erie al lago Ontario, e determina
i confini naturali tra lo Stato di New York e l’Ontario. Ha inizio nel lago Erie,
vicino alla città di Buffalo, e scorre per poco più di 53 km fino a immettersi
nel lago Ontario. Il livello dell’acqua dell’Ontario è più basso di 100 metri
rispetto a quello del lago Erie, e l’Ontario si trova ai piedi di un imponente
dirupo calcareo. Il Niagara si getta da questo dirupo creando delle spettacolari
cascate di 55 metri di altezza, le famose cascate del Niagara, dove la forza del
salto d’acqua sviluppa una nebbia perenne di arcobaleni, prodotta dai raggi di
sole che brillano tra le minuscole gocce d’acqua in sospensione.
Le cascate sono uno spettacolo grandioso. Quando si divide attorno a
Goat Island, il Niagara precipita con una esibizione di forza che lascia senza
fiato, con i suoi 900 milioni di piedi cubici l’ora di portata. Queste cascate
sono una famosa attrazione turistica negli Stati Uniti e in Canada, nonché una
ricca fonte di energia. Da oltre duecento anni, da quando Don Joncaire
costruì la prima segheria azionata da una ruota ad acqua spinta dal flusso del
Niagara, il fiume è stato una fonte di energia.
Tesla aveva sperimentato personalmente la forza dell’acqua corrente. In
gioventù era stato un abile nuotatore, e qualche volta le sue imprese avevano
superato le sue capacità: a sedici anni, ad esempio, aveva rischiato di perdere
la vita mentre nuotava da solo in un fiume di Carlstadt. La corrente lo
sospingeva verso un’alta diga, e non aveva notato che il fiume era in piena,
quindi agli usuali 5-7 cm di placide acque che scorrevano sopra la diga si
erano sostituiti più di 30 cm di veloci acque schiumanti. Mentre nuotava
verso il centro del bacino, la corrente lo aveva preso con forza trascinandolo
verso il salto della diga, di oltre 15 m: se fosse stato trasportato oltre sarebbe
sicuramente morto.
Mentre stava per essere scaraventato oltre la diga, aveva avuto la
prontezza di spirito di aggrapparsi al muro, e si era ritrovato così nella stessa
situazione di una farfalla in un barattolo di vetro. La forza dell’acqua lo stava
schiacciando, ma se avesse lasciato la presa la pressione lo avrebbe spinto
oltre il dislivello, gettandolo sulle rocce sottostanti; era perciò rimasto
attaccato al muro con triste rassegnazione, cercando disperatamente una via
d’uscita. Nessuno poteva sentirlo, chiedere aiuto non sarebbe servito; era
impossibile nuotare controcorrente, e la pressione dell’acqua non lo faceva
respirare. Allentare la presa, nel mezzo di un tale getto, avrebbe significato
morte certa.
In seguito Tesla ricordò che la drammaticità della situazione lo aveva
costretto a pensare lucidamente: il fatto che l’acqua lo stesse schiacciando
contro il muro gli aveva fatto pensare che se si fosse reso più piccolo, l’acqua
avrebbe avuto minor superficie da comprimere. Come poteva riuscirci? La
sua fu una soluzione semplice ma geniale: si voltò, mettendosi di lato rispetto
al flusso dell’acqua: in questa posizione la pressione si ridusse di un terzo,
permettendogli così di trascinarsi a riva, esausto ma vivo. Aveva appena
ricevuto un’indimenticabile lezione su quanta potenza potesse sviluppare
l’acqua. Dopo questo episodio, subì sempre il fascino della forza dell’acqua,
e quando vide una fotografia delle maestose cascate del Niagara riconobbe in
loro una potenza senza limiti. Nel 1919 Tesla riportò nella rivista «Electrical
Experimenter» un ricordo dei tempi di gioventù:
A scuola rivolsi la mia attenzione alle turbine ad acqua. Ne costruii molte, e
provavo un grande piacere a farle funzionare… A quel tempo rimasi folgorato da
una descrizione delle Cascate del Niagara. Le avevo studiate attentamente, e nella
mia testa mi ero raffigurato una grande ruota azionata da quelle immense cascate.
Dissi a mio zio che un giorno sarei andato in America per realizzare questo
progetto. Trent’anni dopo vidi il mio progetto realizzato proprio sulle Cascate del
Niagara e mi meravigliai degli impenetrabili misteri della mente.

La città di Niagara sapeva di essere vicino a un’immensa fonte di energia


gratuita, ma non aveva idea di come sfruttarla. Nel 1886, la cittadinanza
istituì una commissione presieduta da Lord Kelvin, uno dei più eminenti
scienziati dell’epoca, nonché un’indiscussa autorità mondiale nel campo
dell’elettricità. Professore all’Università di Glasgow, in Scozia, Lord Kelvin
era noto per le sue scoperte su elettricità e magnetismo. Il compito della
commissione era di analizzare e di stilare un rapporto sulle possibilità di
sfruttare le grandi cascate del Niagara per la produzione di energia. La
commissione offrì un premio di 20.000 dollari a chi presentasse progetti
pratici, in grado poi di essere sviluppati da una ditta fondata a tale scopo e
nominata provvisoriamente Cataract Construction Company. A partire dal
1891 la commissione aveva ricevuto ed esaminato diciassette progetti per
generare energia elettrica dal fiume Niagara, tutti in seguito bocciati.
Westinghouse era un uomo d’affari troppo in gamba per presentare
progetti con l’unico scopo di ottenere un premio. Sapeva che la General
Electric non aveva presentato alcun progetto alla commissione poiché non
poteva utilizzare i brevetti di Tesla; inoltre sapeva che solo una fabbrica, che
si trovava a Niagara, aveva promesso di acquistare l’energia elettrica, la
Pittsburgh Reduction Company, che voleva utilizzare l’elettricità per fondere
l’alluminio nelle proprie fornaci. Era quindi necessario costruire un sistema
che fosse in grado di trasportare l’elettricità fino alla città industriale di
Buffalo, distante 35 km dalle cascate. La legge di Ohm stabiliva che la
corrente continua non potesse essere trasportata per una distanza così grande;
Westinghouse - sapendo che proseguire da solo nell’impresa avrebbe
significato spingere al limite le sue risorse finanziarie e tecniche, spinto dal
suo Consiglio di Amministrazione che vedeva nella collaborazione con la
General Electric l’unica possibilità di sopravvivenza dell’azienda - decise di
proporre un accordo alla General Electric, cedendo i diritti sui brevetti di
Tesla, permettendo così alle due società di presentare un’offerta congiunta
per la realizzazione di una centrale elettrica alle cascate del Niagara. La
proposta prevedeva due opere principali: la realizzazione di tre generatori da
5000 cavalli-vapore, di una rete di condutture e di una centrale, e la
costruzione delle linee di trasmissione per far arrivare l’energia fino a
Buffalo.
In base a questo accordo Westinghouse avrebbe potuto ricavare un
profitto dalle royalty - le royalty di Tesla - che la General Electric avrebbe
pagato alla Westinghouse Electric. Questo colpo di genio commerciale
vincolò l’industria elettrica statunitense per i cento anni successivi, e gli
avvocati della Westinghouse Electric fecero rispettare i diritti sui brevetti di
Tesla con così tanto zelo che più nessuno potè ricavarne un guadagno se non
pagando profumatamente. Resero il nome di Nikola Tesla proverbiale nel
mondo legale, anche se, avendone ceduto i diritti a Westinghouse - rivelatisi
poi enormemente redditizi - per una minima somma, Tesla non trasse alcun
profitto economico dall’operazione.
L’effetto di questa impresa conclusa da Westinghouse, con in mano il suo
unico vero patrimonio - i brevetti di Tesla sulla corrente alternata - fu quello
di trasformare la Westinghouse Electric e la General Electric nelle due
società più grandi del mondo.
La società di Edison lo aveva messo da parte, adottando la nuova
tecnologia di Tesla della corrente alternata, ma quella abile mossa aveva
assicurato sia il futuro di entrambe le società che il successo del sistema
alternato. Alla fine la “guerra delle correnti” aveva proclamato vincitori
entrambi i contendenti, e lasciato sul campo due soli sconfitti: Tesla ed
Edison, i due scienziati che non si sopportavano e che non erano riusciti a
gestire i propri affari. Edison, realizzando l’accaduto, sviluppò nuovi interessi
nel campo dell’industria mineraria, mentre Tesla non si rese immediatamente
conto del trattamento meschino che gli aveva riservato lo spietato mondo
degli affari.
La General Electric continuava a crescere. In un articolo del novembre
del 1997 il «London Sunday Times» riportava la serie ininterrotta dei suoi
successi:

La potenza della General Electric entra in Europa. Come presidente del settore
illuminazione della General Electric in Europa, Mike Zafirovski sta seguendo le
orme di Thomas Edison, inventore della luce elettrica e fondatore della società con
il più alto valore di mercato del mondo. Ma Zafirovski ha anche un ruolo principale
in una nuova rivoluzione. Per la maggior parte dei 105 anni da quando Edison l’ha
fondata, la General Electric è stata vista come un leviatano americano con un
sempre maggior numero di interessi all’estero. Oggi questa immagine sta subendo
una trasformazione radicale. La General Electric… sta creando un nucleo di quadri
dirigenziali d’élite, estremamente capaci, che domineranno il mercato mondiale del
XXI secolo.

Senza dubbio gli uomini d’affari sono stati capaci di gestire le compagnie
elettriche meglio dei loro inventori, visto che le società fondate da Edison e
Westinghouse mantengono tutt’ora il loro nome e sono vitali e rispettate.
Scommettendo proprio come un giocatore d’azzardo, Westinghouse
aveva promesso alla popolazione di Niagara che la fornitura di energia
elettrica sarebbe stata senz’altro un successo. Per sua fortuna, la prima
collaborazione con la General Electric funzionò a dovere. Westinghouse
affidò a un ingegnere scozzese, George Forbes, il progetto e la realizzazione
della centrale elettrica. Il prudente Forbes era stupito dalla «tipica audacia
americana» mostrata da capitalisti e industriali: ispirati dal “battage
pubblicitario” fatto da Westinghouse, questi avevano investito grandi somme
di denaro nella costruzione di fabbriche che avrebbero sfruttato l’energia
idroelettrica, ben prima però che la costruzione della centrale elettrica della
cascate del Niagara fosse ultimata.
Forbes progettò una centrale elettrica che usava tre generatori Tesla da
5000 cavalli-vapore. Fu inusualmente attento - per l’epoca - alle tematiche
ambientali, impegnandosi a «non sfigurare le bellezze naturali del luogo».
Costruì un canale a monte delle cascate per portare l’acqua alla centrale, che
veniva poi trasportata alle turbine lungo un tubo del diametro di circa 2,20 m.
Dopo aver fatto girare i grandi alternatori, l’acqua percorreva un tunnel sotto
la città di Niagara per poi venire scaricata nuovamente nel fiume, sotto le
cascate.
Per accogliere gli operai che avrebbero lavorato nelle nuove fabbriche
venne costruito vicino alle cascate un nuovo insediamento industriale. Era
fornito di un sistema di fognature moderno, pompe elettriche che portavano
acqua corrente, vie illuminate elettricamente e strade ben asfaltate. Era stata
concepita come una città industriale modello, “senza fumi”, e fu ultimata
insieme alla centrale elettrica. Quando nell’aprile del 1895 venne messa in
funzione la centrale elettrica, la prosperità della regione fu finalmente
garantita. I giornali dell’epoca descrissero il progetto come «la più importante
opera di ingegneria mai realizzata». A “guerra delle correnti” conclusa, il
sistema di Tesla conseguì una vittoria campale. La consacrazione finale
arrivò l’anno seguente, quando la General Electric - la società fondata da
Edison - completò la realizzazione delle linee elettriche di Buffalo e pagò
Westinghouse per il privilegio di aver usato quegli stessi brevetti che Edison
aveva rifiutato dieci anni prima da Tesla. Alla fine, lo scherzo dei 50.000
dollari era costato a Edison la società e la reputazione. Tesla ebbe almeno la
soddisfazione di ridere per ultimo.
La stampa si avventò su Tesla, lodandolo e descrivendolo come «Nikola
Tesla, il nostro più grande scienziato “elettrico” - più grande perfino di
Edison». Gli articoli più duri su Edison possono essere riassunti dal seguente
commento: «Edison è stato un innovatore coraggioso e audace. Ora è
diventato un difensore dello status quo cauto e conservatore». In realtà,
Edison si era comportato con Tesla esattamente come avevano fatto anche le
compagnie del gas, ed era stato probabilmente spinto dagli stessi motivi:
dalla paura che tutti gli sforzi, le apparecchiature e i capitali investiti nella
corrente continua sarebbero stati persi se si fosse imposta la corrente
alternata. Sfortunatamente, l’essenza di qualsiasi grande lavoro scientifico è
proprio nella sua transitorietà e nel fatto che prima o poi verrà sempre
sostituito da nuove scoperte. Edison era stato il grande eroe, ma adesso era
stato sostituito da un altro idolo, Nikola Tesla.
Un simile livello di adulazione può dare dipendenza, e Tesla stava per
avere un assaggio di quella fama che lo avrebbe spinto a divenire un
promotore di sé noioso e poco amato. Se il bambino sensibile dentro di lui era
abituato a non aspettarsi nessuna lode, all’ingegnere di successo che le
sperimentava per la prima volta non bastavano mai. Se fosse stato meno
preoccupato dell’opinione altrui forse avrebbe ottenuto l’approvazione del
pubblico, che tanto desiderava. Invece, benché ricordato da ingegneri e
scienziati, il suo nome è praticamente sconosciuto a quella massa di persone
che beneficiò, e continua a beneficiare, dei frutti del suo talento. È un triste
riflesso dei suoi fallimenti nella gestione degli affari e nelle relazioni
personali.
La fama non poteva giungere in un momento meno adatto per una
persona così ansiosa di farsi accettare dalle “persone che contano”. Per sua
sfortuna, il primo grande successo di Tesla arrivò in un momento in cui i
giornali erano soliti scavare nel torbido e nello scandalo pur di attirare altri
lettori. Il risultato fu che la reputazione di Tesla, nel tempo, subì le
conseguenze di alcuni dei suoi progetti incredibili che non si avverarono mai,
e della sua incapacità di trattenere dichiarazioni grandiose pur di apparire sui
giornali. Ma di questo ne parleremo più avanti. Per adesso, godiamoci i frutti
della sua vittoria nella “guerra delle correnti”, anche se questi stavano già
gettando il seme delle future follie.
La Niagara Falls Power and Conduit Company - questo il suo nome
definitivo - decise di celebrare l’introduzione nella città di Buffalo
dell’energia idroelettrica offrendo un banchetto nel locale più elegante della
città, l’Ellicott Club. Per festeggiare questo trionfo del capitalismo americano
furono invitati ospiti di riguardo da ogni parte del mondo, e dopo il
banchetto, il brindisi principale venne dedicato all’Elettricità, e Nikola Tesla
fu invitato a parlare.
Sfortunatamente, si comportò come se si fosse trovato a una conferenza
per addetti ai lavori, invece che a un ricevimento, e cominciò a descrivere una
sua visione del futuro, dove l’elettricità avrebbe alimentato lo sviluppo del
benessere delle città, il successo delle nazioni e il progresso dell’intera
umanità.
Il cibo era ottimo e il vino scorreva a fiumi nella sala banchetti quella sera
del 12 gennaio 1897; e quando Tesla prese la parola, si era ormai fatto tardi.
Parlò del bisogno dell’uomo dell’energia, e di come questo bisogno fosse
stato soddisfatto con la macchina a vapore, fino all’avvento del motore
elettrico. Poi sottolineò l’importanza del motore elettrico per il futuro
dell’industria, e la necessità di generare l’elettricità in modo conveniente ed
efficace. Espose le proprie idee sulla progettazione delle turbine e sui rapidi
sviluppi delle applicazioni pratiche dell’elettricità, come i raggi X, la
saldatura, le ferrovie elettriche, il telefono e l’illuminazione. Lodò gli
scienziati che avevano reso possibili questi progressi: «Il lavoro di questi
uomini di talento non finisce qui, il bello deve ancor venire».
E anche il bello del suo discorso doveva ancora venire: descrisse gli
impianti sul Niagara come un monumento al progresso intellettuale e alla
pace, considerandoli una dimostrazione della sottomissione delle forze della
natura al servizio dell’uomo: «Noi dipendiamo sempre dall’energia,
qualunque sia il nostro obiettivo e qualunque sia il campo verso il quale
rivolgiamo la nostra attenzione. Se vogliamo offrire a ogni uomo ciò di cui
ogni essere razionale ha bisogno per condurre un’esistenza tranquilla,
dobbiamo fornire più macchinari e più energia».
Il suo pubblico giocherellava con i bicchieri vuoti, chiedendosi quando
sarebbe stato servito il porto. Imperterrito, Tesla proseguì. Parlò dei nuovi
modi per produrre energia e di come le risorse naturali dovessero essere
sfruttate a beneficio di tutta l’umanità. Rivelò che era ormai prossimo a
scoprire il modo di generare elettricità libera e gratuita, per tutti, sfruttando la
carica elettrica della Terra stessa.
Continuò poi parlando della necessità di trasmettere tale energia elettrica
ovunque nel mondo. Mentre il discorso continuava, alcuni dei membri più
irrequieti del suo elegante pubblico potrebbero essersi perso questo
commento, gettato là con apparente noncuranza: «Ho ideato alcuni strumenti
che ci permetteranno di trasmettere le forze elettromotrici in modo molto più
efficace di quello reso possibile da un’apparecchiatura comune. I progressi
compiuti in questo campo mi hanno rinnovato la speranza di poter realizzare
un giorno uno dei miei più grandi sogni: la trasmissione di energia di centrale
in centrale senza l’impiego di fili».
Il banchiere J.P. Morgan, presente al banchetto, si sarà certamente chiesto
come Tesla pensasse di guadagnarsi da vivere dalla trasmissione nel mondo
di elettricità libera, ma non potè domandarglielo, perché lo scienziato stava
ancora parlando. Di sicuro Tesla aveva suggerito uno scenario che per il
banchiere risultava molto preoccupante: l’unico mezzo conosciuto di fornire
energia elettrica era quello di impiegare un filo che univa la centrale elettrica
al cliente, ed era chiaro a chi dovesse essere addebitata la fornitura, visto che
al palazzo dell’utente giungevano i fili di rame che lo collegavano alla
centrale. Se qualcuno non pagava, bastava staccare i fili. Ma Tesla aveva
appena suggerito che l’elettricità poteva essere dispersa nell’aria, e chiunque
avrebbe potuto catturarla e utilizzarla. Questa idea avrebbe certamente
permesso di risparmiare sul costo del rame utilizzato per fabbricare i fili, ma
fece tuttavia scattare un allarme nella testa del banchiere. Tesla stava
veramente dicendo che chiunque e in qualunque luogo avrebbe potuto
installare un’antenna e utilizzare l’energia elettrica raccolta dall’aria per le
necessità casalinghe o addirittura industriali? Come avrebbero fatto le
compagnie elettriche a guadagnarci? E se alcuni utenti non avessero pagato,
come sarebbe stato possibile disconnetterli senza togliere la corrente a tutti?
Morgan, realizzando che Tesla stava ancora parlando, mise da parte questi
pensieri e continuò ad ascoltare.
Tesla era quasi arrivato al termine della sua maratona di quarantacinque
minuti, e stava concludendo con un ringraziamento per la città che gli stava
offrendo questa magnifica occasione di mettersi in mostra. «È stato un
piacere poter conoscere la simpatia dei cittadini di Buffalo e ricevere
l’incoraggiamento delle autorità canadesi; spero che altre città seguano presto
questo esempio. Questa città fortunata deve essere fiera di se stessa: ora
possiede risorse senza pari, strutture commerciali e vantaggi che poche città
nel mondo possiedono, e grazie all’entusiasmo e allo spirito di progresso dei
suoi cittadini, diverrà senza dubbio uno dei centri industriali più importanti
del pianeta».
Tornò al suo posto accompagnato da applausi frenetici. Aveva descritto la
sua visione del futuro, sorprendentemente accurata in alcuni aspetti e troppo
ottimista in altri, ma aveva anche piantato il seme del dubbio nella mente di
J.P. Morgan, a capo della General Electric. La vecchia società di Edison era
appena stata costretta a comprare i brevetti di Tesla per poter continuare a
vendere l’energia elettrica, e adesso Tesla stava lavorando a un sistema per
assicurare l’energia gratuita, eliminando così la General Electric dal mercato?
RISONANZA E RADIO

Il problema della produzione della luce è stato paragonato a quello di mantenere


una particolare nota acuta con una campana. Potrebbe essere una nota appena
percepibile, ma anche questa definizione non riuscirebbe a rendere l’idea per la
meravigliosa sensibilità dell’orecchio umano. Potremmo battere la campana con
colpi potenti e ben distanziati, sprecando molta energia, senza ottenere ciò che
vogliamo; oppure potremmo mantenere la nota dando colpetti leggeri e molto
frequenti, avvicinandoci all’obiettivo con minore dispendio di energia.
NIKOLA TESLA

Mezzo milione di dollari sono una bella somma per chiunque; per Tesla,
che per questa cifra aveva venduto a George Westinghouse i propri brevetti
sulla corrente alternata, rappresentavano la libertà. Anche se aveva dovuto
dividere la somma con i suoi soci, una metà era sua, e poteva farci quello che
voleva. Totalmente assorbito dalla determinazione a studiare e a inventare,
non vedeva l’ora di riprendere gli esperimenti. Prima però doveva tener fede
all’impegno di lavorare per qualche tempo nella fabbrica di Westinghouse,
per “aiutarlo” a sviluppare le sue macchine.
Un anno dopo, sia lui che gli ingegneri di Westinghouse constatarono con
piacere che i progressi raggiunti avrebbero permesso finalmente a Tesla di
lasciare Pittsburgh e far ritorno a New York. I colloqui e le discussioni con
gli ingegneri lo avevano portato a riflettere sulla velocità di inversione della
corrente alternata, e adesso aveva una nuova idea con la quale divertirsi.
Perché la velocità di inversione era così importante? La velocità con cui la
corrente cambia direzione è detta “frequenza”, e fino ad allora, Tesla aveva
utilizzato frequenze di non più di sessanta inversioni (o cicli) al secondo.
Dopo il suo confronto con Stanley sulla frequenza da impiegare per azionare
i motori, Tesla aveva cominciato a domandarsi se non fosse davvero un
aspetto particolarmente importante: sapeva che i motori girano meglio con
frequenze minori e che, al contrario, i trasformatori preferiscono frequenze
maggiori. Decise così di studiare le ragioni di questa differenza.
Nell’estate del 1889 Tesla tornò a New York, impaziente di rientrare nel
suo laboratorio e riprendere gli studi. Adesso poteva permettersi tutto quello
che gli serviva e, lavorando da solo, poteva coltivare esclusivamente i propri
interessi.
La risonanza e la frequenza dominavano la sua mente e, dentro di sé,
Tesla riviveva constantemente la scena della palla di neve che rotolava verso
valle, diventando sempre più grande. In quel momento aveva assistito a una
forza molto piccola che aveva causato un effetto molto grande: il problema
era comprenderne il perché. Se avesse compreso il principio, avrebbe potuto
usare piccole forze per causare grandi effetti. Cercò di pensare al problema
come a una sorta di effetto domino: immaginò di posizionare una lunga fila di
tessere in piedi, una dopo l’altra, e di spingere la prima per vedere tutte le
altre cadere in successione. Il leggero movimento di una tessera poteva far
cadere centinaia di altri pezzi. Come poteva generarsi una così grande energia
da una piccola spinta? Improvvisamente Tesla capì che la prima tessera usava
la forza di gravità per far cadere tutte le altre e che, utilizzando questa forza,
poteva ottenere molto più di quanto potesse farlo da sola.
E se avesse utilizzato una serie di tessere dove ogni pezzo fosse stato
leggermente più grande del precedente? Se teoricamente ne avesse allineate
un grande numero, e avesse impresso una piccola spinta alla prima minuscola
tessera, allora l’ultimo, enorme pezzo avrebbe potuto anche distruggere
l’Empire State Building! Ciascun anello nella catena avrebbe aumentato la
quantità di energia disponibile, così che, con una catena sufficientemente
lunga, un qualsiasi lieve impulso avrebbe potuto rovesciare un enorme
blocco.
Tesla quindi inizò a interessarsi alle vibrazioni meccaniche, costruendo
una piattaforma vibrante per studiare le reazioni a diverse velocità di
vibrazione. Questa piattaforma, come noteremo tra poco, ebbe “strani” e
sensazionali effetti sugli esseri umani - degli effetti che potevano
potenzialmente essere molto “sporchi”!
Questo succedeva quando Tesla, l’ospite più alla moda di New York,
organizzava cene esclusive invidiate da tutti. Una sera si presentò lo scrittore
Samuel Clemens, più noto con il nome di Mark Twain, accompagnato da un
gruppo di giornalisti. Da bambino Tesla si era ammalato di malaria e in quel
periodo, costretto a letto, aveva letto Le avventure di Tom Sawyer e Le
avventure di Huckleberry Finn. Fu talmente ispirato dalle avventure di Tom e
Huck che si convinse che i due libri gli avessero risollevato il morale
aiutandolo a guarire. Adesso, venticinque anni dopo, era entusiasta di
conoscere lo scrittore e di comunicargli che i suoi libri gli avevano salvato la
vita. Da quella sera Clemens divenne un assiduo frequentatore del laboratorio
di Tesla, che si trovava al numero 35 di South Fifth Avenue, poco distante
dalla casa dello scrittore. Probabilmente Tesla desiderava una nuova figura
paterna che approvasse pubblicamente il suo lavoro, e Clemens una
possibilità di promuovere la propria immagine associata a Tesla.
Durante una delle sue visite, Clemens avrebbe accidentalmente
dimostrato una delle imbarazzanti conseguenze delle vibrazioni meccaniche.
Tesla aveva costruito una piattaforma vibrante per studiare come variano le
costanti fisiche in funzione delle vibrazioni. La piattaforma era montata su
cuscinetti elastici e funzionava ad aria compressa, in modo da vibrare con
grande precisione su una vasta scala di velocità. Tesla disse che era così
accurata che poteva funzionare perfino come un orologio a pendolo di
precisione. Un giorno, durante un esperimento, l’inventore salì sulla
piattaforma in moto, avvertendo una sensazione “strana ma gradevole”
mentre il suo corpo vibrava. Invitò poi il suo assistente a salirvi, che
sperimentò la stessa sensazione gradevole. Tesla però, che era rimasto sulla
piattaforma più a lungo, scoprì che la vibrazione gli aveva smosso l’intestino
così tanto che riuscì ad arrivare al bagno appena in tempo. Seduto in bagno,
gli apparve la verità: aveva inventato un lassativo meccanico.
Sia lui che il suo assistente, che avevano l’abitudine di pranzare in fretta
per riprendere rapidamente il lavoro, cominciarono quindi a usare con
regolarità la piattaforma, che risolveva anche i problemi di digestione.
Sull’argomento, Tesla disse all’epoca: «Soffrivamo di dispepsia e di vari
problemi di stomaco, attacchi di bile, costipazione, flatulenza e altri disturbi,
tutti il risultato delle nostre malsane abitudini. Ma dopo appena una settimana
di applicazione tutti questi disturbi sparirono come per incanto».
Poiché anche Samuel Clemens soffriva di costipazione, Tesla suggerì che
la sua “terapia meccanica” avrebbe migliorato la sua situazione. Clemens
trovò la vibrazione così piacevole che restò sulla piattaforma più a lungo di
quanto suggerisse la prudenza. Tesla cercò di avvertirlo, ma Clemens volle
continuare ancora per un po’. Alla fine dovettero mandare una persona a casa
dello scrittore per prendergli un paio di pantaloni bianchi di lino puliti. Era
guarito dalla sua costipazione. Assai colpito dall’apparato, Clemens ne
discusse i potenziali impieghi con Tesla, il quale concordò che la piattaforma
avrebbe potuto offrire grossi benefici medici, oltre a divenire uno strumento
di bellezza:

I benefici maggiori del mio apparecchio saranno destinati alle donne: consentirà
loro di dimagrire senza dover sopportare l’astinenza, le privazioni, la perdita di
tempo e di soldi e le solite torture. Migliorerà il loro aspetto, gli occhi e la
carnagione diverranno più luminosi e si può predire con certezza che un
trattamento continuativo esalterà come non mai la bellezza di una donna.

Probabilmente anche questa sua particolare concezione dell’essenza della


bellezza femminile contribuì a rendere Tesla il tipo di uomo che non veniva
considerato “attraente per le donne”. Molti uomini esiterebbero, prima di
suggerire a qualsiasi donna che sarebbe più attraente se facesse largo uso di
una macchina lassativa meccanica! Tesla invece non aveva queste inibizioni,
e rese pubblica la sua idea che la bellezza femminile aveva un legame diretto
con la facilità dei movimenti intestinali. Pur essendo tutto sommato di
bell’aspetto ed estremamente attento all’igiene personale,egli non si sposò
mai né ebbe alcun tipo di relazione, e addirittura sembrava non avere alcun
interesse al di fuori del lavoro.
I test iniziali su un piccolo motore vibrante per poco non causarono un
grave incidente, quando Tesla fissò l’apparecchio a una delle colonne portanti
di ferro del suo laboratorio e lo fece girare a diverse frequenze. Il laboratorio
era situato all’ultimo piano di un palazzo di quattro e, mentre aumentava
l’ampiezza della frequenza, ne trovò una che iniziò a far tremare l’intero
palazzo in risonanza. L’intero laboratorio vibrò come un calice sul punto di
andare in frantumi quando il cantante prende la nota giusta, e Tesla dovette
spegnere velocemente il motore prima che tutto il palazzo crollasse. Aveva
scoperto che ogni oggetto possiede una naturale frequenza di vibrazione,
detta “frequenza risonante”, e che se viene sottoposto a quella precisa
frequenza, inizierà a tremare sempre di più, fino a frantumarsi. Come la palla
di neve divenne inarrestabile una volta oltrepassata la sua dimensione limite,
rotolando lungo il pendio, così i piccoli impulsi del motore a vibrazione erano
aumentati fino a far tremare il palazzo come durante un terremoto.
Tesla, che adesso stava già visualizzando nella sua mente una macchina
per generare terremoti, calcolò la frequenza di vibrazione necessaria a
scuotere la Terra fino a ridurla in pezzi. Dichiarò che innescando una lunga
sequenza di piccole esplosioni, intervallate il tempo necessario da
sovrapporsi alla frequenza risonante della Terra, l’intero pianeta sarebbe
andato in frantumi. L’intervallo tra le esplosioni doveva essere di circa un’ora
e quarantacinque minuti; ogni esplosione avrebbe scosso la Terra, e la
successiva si sarebbe aggiunta all’onda d’urto precedente esattamente al
momento giusto per generare l’effetto più dirompente, provocando la
risonanza. Fortunatamente decise di non provare questo esperimento,
scrivendo sui suoi appunti che se l’esperimento fosse riuscito non sarebbe
stato «un risultato auspicabile». Tesla chiamò questo studio la scienza della
telegeodinamica, e sostenne che sarebbe stata utile nella ricerca mineraria dei
metalli, anticipando così la moderna sismologia, che oggi viene usata dalla
compagnie minerarie per localizzare filoni metalliferi sotterranei.
Stava riflettendo inoltre anche sulle vibrazioni elettriche, e gli venne in
mente che se avesse usato un interruttore vibrante avrebbe potuto ottenere
una corrente alternata eccezionalmente rapida. Quindi, usando interruttori
magnetici ad alta velocità e alternatori con le stesse caratteristiche, ottenne
delle correnti elettriche di molte frequenze diverse. Adesso poteva utilizzare
un’intera gamma di correnti, da quelle con un singolo ciclo per secondo fino
a ventimila cicli al secondo.
Quando andò a convogliare queste correnti ad alta velocità nei
trasformatori, Tesla scoprì che poteva produrre voltaggi altissimi, nell’ordine
dei milioni di volt. Ma gli interruttori meccanici ad alta frequenza
presentavano dei limiti, che non gli permettevano di ottenere meccanicamente
le frequenze ad alta energia con la precisione che desiderava. Per risolvere il
problema, Tesla decise di costruire un vibratore senza parti in movimento,
collegando una sorta di bottiglia di Leida, un condensatore, a una bobina, e
scoprendo che insieme potevano risuonare un milione di volte al secondo.
Questo circuito elettrico, detto sintonizzatore, è alla base di tutte le radio e i
televisori odierni. Il sintonizzatore è ciò che rende possibile l’esistenza stessa
della radio.
Tesla costruì un gran numero di diverse bobine e condensatori e scoprì
che, al variare della frequenza delle correnti generate, otteneva la reazione di
circuiti diversi. In una fila di cento circuiti diversi, poteva sintonizzare la sua
strumentazione in modo tale da ottenere la risposta di un solo circuito, e tutto
questo senza dover collegare alcun filo ai circuiti: Tesla scoprì che la
trasmissione di energia senza fili era possibile. Mise a punto anche un nuovo
tipo di lampadina senza fili, dopo che si accorse che estraendo la gran parte
dell’aria da un tubo di vetro e avvicinandolo a un campo elettrico ad alta
frequenza, questo si illuminava senza doverlo collegare ad alcun filo. Queste
lampade senza filo servirono come “punti luce mobili” all’interno del suo
laboratorio.
Tesla non aveva paura dell’elettricità. Sapeva che poteva uccidere - la
sedia elettrica ne era la testimonianza - ma sapeva anche che il passaggio di
corrente elettrica attraverso il corpo umano non era sempre letale. Fu in
questo periodo che cominciò a far passare correnti elettriche attraverso il
proprio corpo per osservarne gli effetti. Gli effetti del lassativo meccanico si
erano rivelati utili, e per questo Tesla pensò di esplorare le potenzialità
curative dell’elettricità. Mise a punto uno strumento che denominò “macchina
terapeutica per l’elettroterapia”.
Dal 1893 al 1895 la vita di Tesla fu meravigliosa. Aveva denaro a
sufficienza e un laboratorio, e non doveva rendere conto a nessuno, se non
alla propria immaginazione. Fu un periodo incredibilmente creativo: dimostrò
il concetto di comunicazione radio prima ancora che Marconi trasmettesse un
messaggio senza fili. Inventò le luci fluorescenti senza fili e le utilizzò per
illuminare il proprio laboratorio; durante alcuni esperimenti
sull’illuminazione fotografica costruì un tubo luminoso che emetteva raggi X
con il quale si fotografò le ossa della mano. Soltanto a distanza di anni,
leggendo il trattato di Wilhelm Conrad Roentgen sui raggi X, si rese conto di
ciò che aveva realizzato. Intrattenne una corrispondenza con Roentgen, e gli
inviò i particolari degli esperimenti che aveva condotto, senza mai cercare di
rivendicarne la scoperta, poiché non aveva mai pubblicato i suoi risultati.
Tesla inventò il sintonizzatore, e riuscì a comandare un singolo circuito in
un gruppo di duecento; inventò il tubo catodico e il microscopio elettronico
prima ancora che qualcuno si immaginasse l’esistenza degli elettroni; inventò
la “bobina di Tesla” per generare altissimi voltaggi.
Cenava ogni sera al ristorante Delmonico, e poi invitava al suo
laboratorio la crema della mondanità per mostrare le sue nuove invenzioni.
Intervenne in molte conferenze a Londra, Parigi e New York, e suoi colleghi
scienziati lo proclamarono un genio. Lavorava duramente tutto il giorno, sette
giorni su sette, fino a quando non si addormentava esausto al bancone del suo
laboratorio. Spese una somma infinita di denaro per i suoi esperimenti, senza
mai guadagnare un centesimo. Era incredibilmente felice.
Dopo il funerale della madre, Tesla aveva avuto un collasso nervoso,
perdendo temporaneamente la memoria. In quel periodo aveva utilizzato
l’apparecchiatura di elettroterapia per indursi il sonno, e probabilmente era
stato questo a provocargli l’amnesia. Qualunque fossero stati i motivi, si era
ristabilito passando del tempo con alcuni amici a Watford, in Inghilterra,
dove aveva letto il libro dell’Apocalisse. Ispirato da questa lettura, fece
ritorno a New York con un’altra nuova idea che chiamò “teleautomatica”
(controllo automatico a distanza). Così la descrisse al suo assistente:

Costruirò un sistema per mandare messaggi attraverso la Terra senza bisogno di


fili. Forse allo stesso modo riuscirò a trasmettere anche la forza elettrica. Devo
prima verificare esattamente quante vibrazioni al secondo si producono
disturbando la massa di elettricità contenuta dalla Terra. Il mio trasmettitore dovrà
vibrare con la stessa frequenza della Terra, per sintonizzarsi con l’elettricità che
essa contiene.

Non avendo ancora speso tutto il denaro ricevuto da Westin- ghouse,


Tesla utilizzò ciò che restava per costruire la sua prima radio trasmittente e
ricevente, un tipo di strumentazione decisamente futuristica: impiegò una
lampada ad aria a bassa pressione come sensore, e il principio della lampada
era esattamente lo stesso della valvola termoionica e della valvola a vuoto. In
seguito, valvole come queste sarebbero state usate in ogni radio fabbricata
agli inizi del XX secolo. Dopo aver collegato la lampada ad aria a un circuito
risonante, Tesla inviò la corrente a un altro circuito risonante simile al primo
posto dall’altra parte del laboratorio: la lampada si accese. Collaudò e
perfezionò il sistema e si spinse più oltre, azionando perfino un piccolo
motore tramite l’energia “senza fili”.
Nel 1893, Tesla tenne una conferenza a Saint Louis, presso la National
Electric Association. Ancora fresco del successo ottenuto alla Fiera mondiale,
aveva intenzione di comunicare a tutti la sua idea per un sistema radio
globale. Aprì il suo discorso con qualche parola sulla risonanza:
«Sull’argomento degli effetti della risonanza e sui problemi relativi alla
trasmissione di energia, vorrei dire qualche parola sulla trasmissione di
segnali intelligibili, e forse anche di energia, a qualsiasi distanza e senza l’uso
di fili».
Proseguì affermando che era convinto che simili traguardi fossero
possibili, e che era sua intenzione dimostrarlo al mondo molto presto. Spiegò
che la Terra stessa era un gigantesco conduttore di elettricità. Per usarla per la
trasmissione avrebbe dovuto prima misurarne la capacità elettrica, una cosa
che ancora non era riuscito a fare, ma era convinto che fosse elettrificata e
che la sua elettricità naturale potesse essere sfruttata: «Se mai riuscirò a
determinare il periodo con il quale oscilla la carica della Terra - se perturbata
- rispetto a un sistema o a un circuito di carica opposta, comprenderò un fatto
di grandissima importanza per l’evoluzione dell’intera razza umana».
Descrisse come un sistema radio avrebbe dovuto essere direttamente
collegato alla Terra e suggerì che le reti idriche cittadine avrebbero potuto
essere impiegate per un tale collegamento. L’impianto radio avrebbe dovuto
essere collegato allo spazio libero che circonda la Terra per mezzo di un filo
isolato. Aggiunse che se si fosse collegata una corrente ad alta frequenza tra
questi due punti, gli effetti si sarebbero avvertiti a grandi distanze, se fossero
utilizzati un circuito risonante adatto allo scopo e una lampada ad aria.
Concluse il suo intervento dicendo: «Questo esperimento sarà di grande
interesse scientifico e probabilmente riuscirà al meglio a bordo di una nave in
mezzo al mare… È così che si potranno trasmettere le informazioni».
Durante questa conferenza pubblica, tre anni prima dei primi esperimenti
sulla comunicazione senza fili di Marconi, Tesla descrisse le cinque
caratteristiche di base di un impianto radio: un’antenna, un collegamento a
terra, un circuito antenna-terra per la sintonizzazione, un impianto di
ricezione e uno di trasmissione, sintonizzati l’uno sulla risonanza o frequenza
dell’altro, e un rivelatore elettronico dei segnali.
Tesla, infatti, aveva inventato la radio tre anni prima di Marconi,
scoprendo che se si generava una corrente elettrica ad alta frequenza e la si
faceva passare attraverso una bobina e un condensatore, essa produceva un
effetto di risonanza. Tale effetto funzionava a distanza, senza bisogno alcuno
di collegamenti o di fili.
Questa è la serie delle scoperte di Tesla: quando la corrente viene
applicata per la prima volta al circuito bobina-condensatore, il condensatore è
scarico. Tutta la corrente viene assorbita dal condensatore per caricarlo,
mentre la bobina non riceve alcuna corrente perché il condensatore scarico si
comporta come un corto circuito, e assorbe tutti gli elettroni disponibili per
caricarsi. Una volta che il condensatore è carico, la corrente può iniziare a
riversarsi nella bobina. Questo genera un campo magnetico per tutta la
lunghezza della bobina. Questo campo elettromagnetico combinato è un’onda
radio che si espande in ogni direzione. Immaginatele come le onde
concentriche che si creano quando si getta un sasso in uno stagno.
Quando poi la corrente si è accumulata nella bobina, la corrente alternata
che alimentava il circuito starà per esaurirsi, preparandosi a invertire la
propria direzione per un nuovo ciclo. Mentre la corrente di riserva svanisce
nella bobina, la carica immagazzinata nel condensatore inizia a circolare.
Questo scarica il condensatore nella bobina, mantenendo così il campo
elettromagnetico. Infine, il condensatore si scaricherà e l’intero ciclo potrà
ricominciare. La velocità con cui accade dipende dal numero di spire e dalle
dimensioni della bobina, così come dalla capacità del condensatore.
Differenti coppie bobina-condensatore risponderanno a frequenze diverse.
Quello che Tesla aveva scoperto era che se la frequenza della corrente
fosse stata regolata così da far iniziare un nuovo ciclo esattamente quando il
condensatore si fosse scaricato, si otteneva un campo elettromagnetico molto
grande. Tuttavia, se la corrente erogata si fosse invertita prima che il
condensatore si fosse scaricato del tutto, la corrente che continuava a scorrere
dal condensatore alla bobina avrebbe ignorato la corrente erogata e non
avrebbe prodotto nessuna onda radio. Il circuito generava un’onda radio solo
se la corrente erogata fosse stata regolata sulla frequenza naturale della
coppia bobina-condensatore.
All’estremità ricevente del suo impianto, le onde radio elettromagnetiche
trasmesse producevano un effetto sulle bobine. Usando l’analogia di un’onda
che si sprigiona sulla superficie di uno stagno, quando le onde radio
raggiungevano la bobina ricevente questa cominciava a muoversi a scatti in
su e in giù, a tempo con le increspature, e quando i campi elettrici e magnetici
attraversavano le spire delle bobine riceventi, facevano fluire le correnti
elettriche nella bobina. Tali correnti aumentavano e diminuivano in sincrono
con l’onda radio trasmessa.
Una volta che la corrente generata dalle onde radio nella bobina fosse
aumentata, avrebbe caricato il condensatore, quando invece la corrente fosse
diminuita, il condensatore avrebbe potuto scaricarla nuovamente nella
bobina. Se la frequenza di risonanza naturale della bobina e del condensatore
fosse stata la stessa del trasmettitore, la corrente che arrivava dal
condensatore si sarebbe sintonizzata con la bobina e avrebbe amplificato la
corrente. Se invece la frequenza naturale non avesse coinciso, la corrente del
trasmettitore sarebbe stata sopraffatta dalla corrente del condensatore, ed
entrambe si sarebbero neutralizzate. Tesla costruì molte coppie di bobine e
condensatori di diverse misure. Cambiando la frequenza del suo trasmettitore,
sfruttava l’effetto della risonanza così che ogni ricevitore potesse trasmettere
la corrente a una lampadina.
Questo impianto radio, come abbiamo detto, presentava tutte le
componenti basilari degli attuali impianti di radiodiffusione, supportava
perfino molti canali radio separati. Benché Tesla avesse brevettato questo
impianto, non lo sfruttò mai commercialmente, e nemmeno si preoccupò di
presentarlo al mondo. Soltanto sei mesi dopo la sua morte, in un tribunale
americano, venne accolta la sua pretesa di aver brevettato la radio prima di
Marconi; ma allora sia lui che lo scienziato italiano erano morti, e i libri di
storia continuarono ad attribuire la paternità dell’invenzione della radio a
quest’ultimo.
Perché Tesla non viene ricordato come l’inventore della radio? Forse a
causa della sua mania di perfezionismo e per paura di fallire: non avrebbe
mai presentato un’invenzione finché non fosse stato completamente sicuro
che sarebbe stata in grado di funzionare perfettamente. Era come un pittore
che continua a ritoccare un quadro quasi ultimato, senza mai essere
totalmente convinto che sia pronto per essere mostrato. Quando parlò a
St.Louis, avrebbe potuto facilmente mostrare il funzionamento della sua radio
nella sala della conferenza, invece si mise a parlare del sistema senza fili che
era già in funzione in tutto il mondo. Non si sentiva ancora pronto a
mostrarlo, e quindi non lo fece, restando su argomenti vaghi e generici.
Voleva costruire e collaudare il suo prototipo e mettere al sicuro il brevetto,
prima di condividere con tutti le sue idee.
Tornato a New York costruì molti apparecchi radioriceventi e
radiotrasmittenti, li sperimentava prima nel suo laboratorio e poi li portava in
città, per collaudarli di nuovo. Perfezionò e continuò a collaudare le sue
apparecchiature finché alla fine fu pronto. Noleggiò una piccola barca sul
fiume Hudson per la mattina del 14 maggio 1895, e quando la notte prima
dell’ultimo collaudo rientrò al suo albergo era sopraffatto dall’eccitazione.
Sicuramente quella notte non riuscì a chiudere occhio, ma non per via
dell’eccitazione, bensì perché fu svegliato all’alba dalla polizia. Era scoppiato
un incendio nei piani sottostanti il suo laboratorio. Il palazzo era già in
fiamme quando venne dato l’allarme, e restò completamente distrutto. Tutta
l’apparecchiatura, il materiale, i macchinari e i documenti di Tesla erano
perduti. La situazione era drammatica, considerato che non aveva nemmeno
assicurato la proprietà, a causa del suo tipico comportamento. La società
aveva perso tutto, e lui aveva speso tutti i soldi di Westinghouse per i suoi
esperimenti radio: era rovinato. Tutto ciò che gli restava erano alcune royalty
sul suo sistema di corrente alternata per il mercato tedesco. Queste poche
entrate gli permettevano ancora di mangiare, ma non potevano ricomprargli
tutta la sua apparecchiatura ormai inservibile. Fortunatamente aveva
un’ottima memoria e le sue idee erano ancora buone. In fondo sapeva come
costruire un impianto radio, ma non aveva più un laboratorio, né gli
strumenti, né i soldi.
Riportando la notizia dell’incendio, il «New York Sun» sostenne che non
era stata semplicemente una disgrazia privata, bensì «una sventura per il
mondo intero». La rivista «Scientific American» riportò che la perdita di
Tesla «non si poteva misurare in dollari e in centesimi», esprimendo la sua
preoccupazione per gli effetti della perdita sulla sua salute, e augurandosi che
si potesse trovare un modo per aiutare l’uomo che definiva «l’ingegnere
dietro il progetto della centrale elettrica delle cascate del Niagara».
Giunse finalmente un aiuto del tutto inaspettato: Edward Adams, il
banchiere che lavorava per il gruppo di J.P. Morgan, concesse a Tesla 40.000
dollari per aiutarlo a ricominciare. Perché fece questo gesto? Adams
sembrava avere un personale interesse nei confronti di Tesla e del suo lavoro,
e si vociferava che avesse intenzione di formare una nuova società con
l’inventore, nella quale avrebbe potuto lavorare suo figlio, e che sarebbe stata
finanziata dal gruppo di J.P. Morgan. E visto che Morgan controllava i tre
quarti dell’industria elettrica americana, e aveva una grande influenza su
Westinghouse che controllava il resto, sarebbe stato un aggancio importante
per Tesla.
Adams, ricorderete, aveva cercato di riunire tutti i principali brevetti nel
campo dell’industria elettrica proponendo un accordo tra Edison e
Westinghouse. Probabilmente era convinto che Tesla fosse sul punto di fare
un passo avanti importante nella scienza dell’energia elettrica, entrando nella
nuova era dell’energia senza fili, e che sarebbe stato un affare cercare di
portare le nuove idee di Tesla nella General Electric, o perlomeno sotto il
controllo di J.P. Morgan.
Il prestito a Tesla fu anche un’ottima mossa pubblicitaria, concesso subito
dopo l’attivazione della centrale elettrica alle cascate del Niagara da parte di
Westinghouse: mise sotto i riflettori la banca di Morgan associando il suo
nome a quello di Tesla, che negli articoli sull’incendio era sempre descritto
come l’ingegnere che aveva imbrigliato il Niagara. Se Adams fosse riuscito a
sfruttare la sfortuna di Tesla per legarlo permanentemente al gruppo Morgan,
sarebbe stato un colpo da maestro. Inoltre, allo stesso tempo Tesla sarebbe
stato commercialmente orientato e guidato nel suo lavoro, oltre a venire
adeguatamente finanziato, così da poter proseguire le sue ricerche, o almeno
nelle parti della sua attività che potevano tornare utili ai piani della General
Electric.
Tesla però ricordava ancora l’ultima volta che aveva lavorato per un
industriale. Non si era trovato bene nelle fabbriche di Westinghouse a
Pittsburgh, e il ricordo meraviglioso dei sei anni di libertà era ancora fresco
nella sua memoria. Come un bambino che gioca all’aperto in una lunga sera
d’estate, e sente qualcuno che lo invita a rientrare, ma non vuole che il suo
divertimento finisca: ci sono ancora altre farfalle da rincorrere, altri fiori da
raccogliere e molti tesori da scoprire. Anche se la notte stava arrivando non
voleva rientrare, ed è quello che fece. Prese il denaro, ringraziò gentilmente
attraverso la stampa, ma rifiutò qualsiasi altro eventuale coinvolgimento con
il gruppo Morgan. Voleva lavorare da solo.
Tesla utilizzò il prestito di 40.000 dollari per fondare una nuova società e
un nuovo laboratorio al 46 di East Houston Street. I quattro mesi seguenti
furono dedicati alla ricostruzione dell’impianto radio che aveva perso
nell’incendio. Nonostante la sua memoria fotografica, ci vollero però circa
due anni per renderlo nuovamente operante, e fu brevettato solamente il 2
settembre 1897.
Una volta brevettato, Tesla allestì una impressionante dimostrazione della
sua invenzione al Madison Square Garden, finanziata da uno degli ingegneri
minerari del Colorado che gli aveva donato 10.000 dollari, per aiutarlo a
rimettersi in piedi. Mostrò una barca comandata via radio a distanza: per lo
spettacolo, aveva costruito una gigantesca vasca piena d’acqua al centro della
sala. La barca era lunga circa un metro e mezzo, e aveva una serie di diverse
luci colorate che la addobbavano. Tesla la faceva navigare a suo piacimento,
impartendogli comandi radio dall’esterno della vasca, fermandola, facendola
ripartire, accendendone e spegnendone le luci. Addirittura il pubblico poteva
chiedergli di muoverla in un modo particolare, e Tesla obbediva.
A un certo punto la fece addirittura immergere, e guidò i suoi movimenti
sott’acqua. In realtà aveva appena mostrato un’arma formidabile - un
sottomarino radiocomandato - descrivendo poi come il suo metodo
teleautomatico potesse essere utilizzato per costruire un cacciatorpediniere
sottomarino: «Ora sono pronto ad annunciare la mia invenzione di un
cacciatorpediniere sottomarino, che sono certo diverrà la più grande arma a
disposizione della marina militare da qui in avanti».
Proseguì spiegando che le navi cacciatorpediniere usate nella recente
guerra in Spagna erano del tutto inutili: un obiettivo troppo fragile e troppo
semplice da colpire. Propose lo sviluppo di un cacciatorpediniere sottomarino
comandato a distanza in grado di portare sei siluri e nessun equipaggio:
proprio perché privo di equipaggio poteva essere molto più compatto, e
poteva venir comandato da un equipaggio a bordo di una normale nave da
guerra; si poteva avvicinare non visto alle navi nemiche per sganciare poi i
siluri da una breve distanza. Tesla aveva perfino previsto una zavorra auto-
equilibratrice che avrebbe ristabilito l’assetto ideale del sottomarino dopo il
lancio del siluro. Egli stimò che il costo di ognuno di questi ordigni sarebbe
stato di circa 50.000 dollari, e affermò: «Avrà inoltre l’incalcolabile
vantaggio di essere assolutamente invisibile al nemico, senza mettere a
rischio vite umane e senza caldaie a vapore che possano esplodere
causandone la distruzione». Aggiunse: «Lascio però che siano i tattici navali
a determinare i molti modi in cui un simile sottomarino potrebbe venir usato
in guerra». Ma la marina non si interessò mai a quell’arma. Se lo avesse fatto
probabilmente la storia della radio e della guerra stessa sarebbe stata molto
diversa.
Ancora una volta Tesla dimostrò la sua mancanza di senso degli affari,
confondendo le persone presenti per l’occasione con due diversi prototipi.
Aveva inventato il telegrafo multicanale senza fili, il primo al mondo nel suo
genere, e vi aveva immediatamente visto la possibilità di sfruttarlo per
migliorare un’arma navale preesistente, mostrando in fin dei conti soltanto un
nuovo tipo di nave cacciatorpediniere. Così facendo, la gran parte delle
persone presenti non aveva compreso a pieno le infinite possibilità del
sistema radio utilizzato per controllare la nave. Tesla vi aveva sommato poi
dell’ulteriore confusione, lasciando intendere al suo pubblico che stesse
controllando la barca solo con la forza del pensiero. Alla fine, questa pessima
presentazione delle sue scoperte non fece altro che confondere ulteriormente
sia la marina che il pubblico.
Inoltre, gli articoli dei quotidiani che riportarono la dimostrazione del
“controllo del pensiero” di Tesla, non furono certamente di aiuto alla
reputazione scientifica dell’inventore. La marina non volle essere coinvolta
con pericolose armi “controllate col pensiero”, e nessuno, né la marina né il
pubblico, si resero mai conto che ciò che veniva offerto loro era un sistema di
radiodiffusione multicanale. Il risultato fu che entrambe le invenzioni
vennero ignorate.
Un così scarso interesse portò Tesla a perdere fiducia nello sviluppo
commerciale del comando a distanza. Rivolse però la sua attenzione a
qualcosa di nuovo, a quell’idea che aveva accennato al suo discorso dopo il
pranzo di Buffalo: un sistema senza fili per la trasmissione dell’energia
elettrica. Sapeva che avrebbe funzionato, poiché la sua barca telecomandata
lo aveva confermato; ora avrebbe dimostrato al mondo di avere ragione. Ma
per riuscirci doveva compiere altri esperimenti che avrebbero richiesto un
maggior spazio. Serviva quindi un laboratorio più grande.
IL DIO DEL FULMINE

Quando la buia oscurità nasconde il mare


e ogni stella e la luna scompare
e quelli accendono con l’ago la luce
e la distanza a loro più paura non incute.
Poiché l’ago indica la stella.

GUYOT DE PROVINS (tradotto in inglese da Nikola Tesla)

Non ci sono molte fotografie di Nikola Tesla. Il curatore della sua


autobiografia riuscì a scovarne solo quattro che, viste in sequenza, mostrano
la sua ascesa e il suo declino. La sua “autobiografia” è in realtà una raccolta,
chiamata con il titolo Le mie invenzioni, di una serie di articoli che Tesla
aveva scritto per la rivista «Electrical Experimenter». Aveva sempre
promesso che avrebbe scritto un’autobiografia “appropriata” quando avesse
avuto del tempo libero, ma morì prima di poterlo fare. Così, l’insieme degli
articoli e dei suoi appunti di lavoro sono rimasti i suoi unici documenti dove
illustra i suoi pensieri.
Nella prima fotografia lo vediamo con il volto ben rasato, i capelli corti,
le orecchie sporgenti e un’espressione nervosa, mentre indossa una grande
cravatta a farfallino, subito dopo la sua laurea a Praga. La seconda fotografia,
scattata mentre lavorava per Edison subito dopo il suo arrivo negli Stati Uniti,
mostra un giovane uomo sicuro di sé, con la riga in mezzo ai capelli, e con un
bel paio di baffi sulle labbra sorridenti. I suoi occhi erano fissi sul mondo, è
lo sguardo di un uomo che sapeva di essere nel giusto. Vestito con un abito a
righe alla moda e una cravatta bianca dava l’impressione di un giovane colto,
capace di tradurre la poesia medievale, di fare citazioni letterarie e di far
ruotare un campo magnetico. La sua vulnerabilità e il bisogno di
approvazione da parte di figure paterne erano ben celati in questa foto.
La terza fotografia risale a poco prima dell’apertura della centrale
elettrica del Niagara e del disastroso incendio al suo laboratorio. Un uomo
fiducioso e di successo fissa la macchina fotografica, la testa alta come un
uccello da rapina in cerca di una preda da catturare. A quel tempo Tesla
aveva ormai assaggiato la fama e l’affetto delle folle, e iniziava a indossare
abiti scuri in linea con la sua posizione di successo. Anche se si stava
avvicinando ai quaranta, i baffi e i capelli non avevano perso il loro colore
nerissimo.
L’ultima foto, scattata in occasione della consegna della Edison Medal,
mostra un uomo provato: a sessant’anni i suoi capelli erano ancora fitti e neri,
ma i baffi erano più radi. La bocca non aveva più quell’enigmatico sorriso, e
si incurvava quasi in un ghigno. Portava ancora lo stesso abito scuro di
vent’anni prima. È facile immaginarsi un uomo che litigava spesso - come
infatti fece - con l’ugualmente irascibile J.P. Morgan.
Nel 1899 Tesla era a corto di soldi, ma le sue conoscenze tecniche
aumentavano rapidamente. Doveva ancora realizzare le sue scoperte
scientifiche più innovative: sognava nuovi successi e diceva a tutti che presto
sarebbe diventato multimilionario. Nel suo lavoro tecnico Tesla era un
perfezionista, più di una volta aveva giudicato severamente quegli ingegneri
che si affrettavano a vendere le proprie invenzioni prima di averle
perfettamente collaudate, e affermava in proposito: «È preferibile
comportarsi come coloro che analizzano pazientemente i propri risultati e
che, nonostante i progressi compiuti, preferiscono perdere credibilità
piuttosto che presentare al mondo dei risultati ancora imperfetti, come coloro
che formano le proprie idee con consapevolezza, come risultato di una ricerca
lunga e accurata, e a cui non rimangono che poche correzioni finali».
Peraltro, se nel corso della sua carriera Tesla fosse stato maggiormente
disponibile ad apportare tali «correzioni finali», avrebbe senz’altro
guadagnato molto di più.
Aveva dimostrato che il sistema senza fili poteva funzionare, ma il suo
interesse andava ben oltre il semplice telegrafo. L’obiettivo di Tesla era
riuscire a trasmettere l’elettricità senza fili, e aveva in mente un progetto di
radiodiffusione globale che avrebbe trasmesso parole, musica, immagini ed
energia elettrica. Ciò che poteva fare era qualcosa di molto più avanzato di
qualsiasi invenzione di Marconi, ma non era ancora abbastanza per Tesla il
perfezionista.
I principali interessi che lo guidavano erano tre: ispirato dall’immensa
potenza dell’elettricità sprigionata dai fulmini, voleva studiare la forza
elettrica ad altissimo voltaggio, in grado di produrre milioni di volt. Voleva
scoprire cosa sarebbe accaduto se fosse riuscito a produrre correnti di
migliaia di ampere, e voleva tentare di controllare le «misteriose azioni a
distanza» provocate dalle potenti vibrazioni elettriche. Tesla si definiva uno
«stremato vagabondo in cerca di frutti rinfrescanti».
Ciò che desiderava di più era impegnarsi in nuove scoperte, e voleva
essere il primo ad aprire nuove vie. In nessuno dei suoi appunti manifestò
mai un interesse per gli affari, né scrisse mai chi avrebbe finanziato i suoi
costosi esperimenti, o i passi avanti da compiere per riuscire a fornire
gratuitamente l’energia elettrica a tutto il mondo. Una volta raggiunto
quest’obiettivo, avrebbe avuto un posto d’onore nella storia, e il suo bisogno
di approvazione sarebbe stato completamente soddisfatto.
Nella sua mente, Tesla si stava già prefigurando gli esperimenti
successivi: avrebbe cercato di aumentare sia il voltaggio che la corrente a un
livello che mai nessuno aveva raggiunto prima, ma quando iniziò a costruire
un’apparecchiatura più grande e più potente, si rese conto ben presto che il
suo laboratorio di Houston Street non era il posto più adatto per compiere
questi esperimenti. Era quasi riuscito a distruggerlo completamente già una
volta, quando aveva generato un fulmine di quattro milioni di volt che, invece
di scaricarsi sul terminale costruito appositamente, aveva fatto un balzo
spettacolare attratto dalla struttura d’acciaio dell’edificio. Anche per questo
motivo decise che era necessario un laboratorio più grande in una zona
decisamente più isolata.
Tesla era rimasto in contatto con l’avvocato che aveva curato il deposito
del suo primo brevetto, Leonard Curtis, che si era adesso ritirato dalla
frenetica attività legale di New York per stabilirsi a Colorado Springs, dove
era diventato il direttore della Colorado Springs Power Company. Il sistema a
corrente alternata di Tesla aveva salvato l’industria mineraria locale, e il suo
successo nel tempo lo aveva fatto diventare un eroe agli occhi degli abitanti
del Colorado. Quando disse a Curtis che stava cercando un laboratorio più
isolato, l’avvocato gli offrì, a titolo gratuito, un lotto di terreno e tutta
l’elettricità che avesse desiderato. In cambio, Tesla avrebbe usufruito
dell’assistenza legale della Hall, Preston, Bobbitt &Curtis di Little London,
Colorado Springs, per qualsiasi futuro brevetto da depositare.
L’offerta di Curtis era allettante, ma Tesla non aveva comunque
abbastanza denaro per approntare un nuovo laboratorio in Colorado, e fu
costretto quindi a chiedere un altro prestito di 40.000 dollari ad alcuni amici.
Tra questi c’era il proprietario di un ristorante che Tesla frequentava spesso, e
il proprietario della sua ferramenta di fiducia. Così, con abbastanza fondi per
poter ricominciare, lasciò il laboratorio di New York nelle mani del suo
assistente, George Scherff, e partì per Colorado Springs, dove arrivò il 18
maggio 1899.
A giugno Tesla aveva ultimato la costruzione di un grande capannone di
legno dove avrebbe approntato il nuovo laboratorio, e cominciò a trasferirvi
tutta la sua attrezzatura. Fortunatamente, durante la sua permanenza in
Colorado, aveva tenuto un quaderno di appunti dettagliati. Tesla non era
abituato ad annotare i suoi dati, poiché preferiva affidarsi alla memoria; ma la
difficoltà di dover gestire due laboratori insieme lo convinse che le istruzioni
scritte sarebbero state fondamentali, se George Scherff, nel laboratorio di
Houston Street, voleva sapere esattamente cosa fare con i nuovi test. Il diario
d’ingegneria di Tesla inizia il primo giugno 1899 e termina il 7 gennaio 1900,
ed è lo strumento migliore per osservare i metodi di lavoro e i processi
mentali che seguiva per sviluppare le sue idee.
Alcuni sostengono che Tesla avesse imparato qualcosa dalla perdita del
suo laboratorio sulla Fifth Avenue, e che avesse cominciato perciò a prendere
appunti. Questo però sembra improbabile, poiché smise di scrivere il suo
diario di lavoro una volta rientrato a New York, quando non c’era più la
difficoltà di lavorare in due posti diversi.
I Colorado Spring Notebooks, che fortunatamente sono stati pubblicati in
versione integrale dal Museo Tesla di Belgrado, sono oggi un prezioso
strumento per penetrare nella meravigliosa mente dell’inventore. I quaderni
rappresentano in particolare una serie di appunti sugli esperimenti e i risultati
di questi, inframezzati da brevi descrizioni sulla natura che lo circondava o
sui paesaggi.Vi si trovano anche osservazioni sugli effetti del clima montano
sulla salute e sulla natura, sui temporali e sulle nuvole, ma ci dicono poco
riguardo ai particolari del suo lavoro. Ad esempio, Tesla prese con sé un
assistente, il signor Alley, che appare in diverse fotografie e viene nominato
nelle didascalie, ma il suo nome non compare mai negli appunti: Tesla non
manifestò mai grande interesse nelle persone.
Negli appunti Tesla descrive i tre principali obiettivi che si era prefissato
dopo essersi trasferito a Colorado Springs: sviluppare un trasmettitore di
grande potenza, perfezionare i mezzi per individuare e isolare l’energia
trasmessa, e certificare le leggi della propagazione della corrente attraverso la
Terra e la sua atmosfera.
Le prime pagine del suo diario descrivono i suoi dubbi su come
approcciarsi a questi nuovi problemi, e contiene poi una lista di possibili
tecniche e delle loro applicazioni. Tesla appare evidentemente preoccupato su
come effettuare tali misurazioni e i tipi di energia che dovrà individuare. Il
problema delle misurazioni spinse Tesla a intraprendere una strada che
avrebbe potuto essere estremamente commerciale, se solo avesse realizzato
che avrebbe potuto vendere gli strumenti che aveva progettato. Ma non andò
così.
Le montagne del Colorado erano il posto ideale per studiare la natura dei
fulmini. La purezza dell’atmosfera e l’altitudine regalavano panorami
spettacolari: si apprezzavano nitide le montagne circostanti, distanti più di
240 km. L’aria era molto secca e non c’era mai nebbia a impedire la vista:
l’aria di montagna e il silenzio dell’ambiente circostante facevano percorrere
a ogni rumore distanze incredibilmente vaste, e Tesla aveva notato che la
campana del paese (ad alcuni chilometri di distanza) risuonava così vicina
che sembrava provenire appena fuori del suo laboratorio.
Lo circondava un terreno arido, con una scarsa vegetazione e pochi
animali - solo alcuni cani delle praterie vivevano in quel clima desertico - e
Tesla si lamentava che non ci fosse alcun tipo di uccello da sentir cantare o
da ammirare. Tuttavia, i repentini cambiamenti del cielo erano una costante
fonte d’interesse, e per divertirsi, Tesla cercava di classificare i diversi tipi di
nuvole che osservava: nuvole rosse la mattina presto, nuvole bianche nel
corso della mattinata, dei mucchi d’oro al tramonto, e infine nuvole simili a
metallo incandescente, che Tesla riteneva fossero il frutto delle radiazioni
oscure del Sole che, filtrate dalle nubi, si trasformavano in luce visibile.
Tesla era convinto che la luce del Colorado fosse senz’altro migliore di
quella che aveva sperimentato in Italia, e una volta, parlando con l’avvocato
Curtis, disse: «Siamo abituati a parlare della “Solare Italia”, ma
paragonandola al Colorado non potrebbe essere niente di più di una nebbiosa
Inghilterra».
Era rimasto colto di sorpresa anche dal calore del sole: una volta,
lasciando incautamente l’attrezzatura all’aperto, un trasformatore e diversi
barili di soluzione salina concentrata si erano sciolti e rovinati dal calore, e
una sfera di legno ricoperta di lamiera aveva preso fuoco.
Inoltre era convinto che il sole del Colorado giovasse alla salute,
producendo un “particolare effetto germicida”. I germi erano una
preoccupazione costante per Tesla, era ossessionato a tal punto dalla pulizia
delle mani che le lavava anche due, tre volte durante un pasto, e aveva
impressionato anche lo staff dell’Hotel Alta Vista per il suo irrefrenabile
bisogno di biancheria pulita: usava un asciugamano pulito ogni volta che si
lavava le mani. (Dopo che era stato costretto a vivere nella sporcizia, dopo
aver attraversato l’Atlantico senza bagagli e aver trascorso un anno scavando
fossati, aveva giurato che non avrebbe più usato un asciugamano due volte).
La sua ossessione per la pulizia si era estesa anche alle lenzuola, e insisteva
che gli venissero cambiate ogni mattina, quando gli venivano consegnati
anche i suoi diciotto asciugamani puliti giornalieri.
Gli esperimenti di Tesla proseguivano molto bene. Aveva costruito dei
dispositivi estremamente sensibili per misurare i campi elettrici e, quando
succedeva che uno di questi fosse pronto durante un temporale, era in grado
di misurare gli effetti delle scariche elettriche dei fulmini mentre il temporale
si allontanava dal laboratorio e si dirigeva verso le montagne. In queste
occasioni Tesla era in grado di verificare, grazie ai suoi strumenti, che la
potenza delle scariche elettriche cresceva fino a raggiungere un picco
massimo, per poi diminuire e ripetere ancora l’intero ciclo. I fulmini
producevano quello che un moderno ingegnere definirebbe un’onda
stazionaria. Questo tipo di onda radio genera dei voltaggi regolari che
possono essere misurati via via che ci si allontana dalla sua fonte, e va a
creare un tipico modello che ricorda una serie di colline sempre più alte -
mentre il voltaggio raggiunge un valore massimo - per poi abbassarsi di
nuovo fino ad annullarsi al diminuire del voltaggio - e ricominciare l’intero
ciclo.
Tesla capì che questo effetto dimostrava che la Terra e l’atmosfera erano
cariche elettricamente: il temporale eseguiva un modello in funzione della
carica elettrica stabile della Terra. Sarebbe stato lieto di conoscere le
osservazioni riportate nel 1997 dalla stazione spaziale russa Mir, secondo le
quali i temporali appaiono sempre allineati a distanze regolari nella parte
scura della Terra. «L’ho scoperto in Colorado», avrebbe detto.
Era una scoperta di estrema importanza: significava che la trasmissione di
energia elettrica senza fili non era semplicemente possibile, ma anche pratica.
Quando comprese ciò che le sue misurazioni gli stavano rivelando, queste
furono le sue parole:

Non appena la fonte dei disturbi [la tempesta] si è allontanata, il circuito ricevente
ha captato immediatamente i suoi nodi. Benché sembri impossibile, questo pianeta,
nonostante la sua vasta estensione, si comporta come un conduttore di dimensioni
limitate. L’incredibile significato di questo fatto - nella trasmissione dell’energia
attraverso il mio sistema - mi è stato subito chiaro. Non soltanto sarà possibile
inviare messaggi telegrafici a qualsiasi distanza senza l’impiego di fili, ma si potrà
anche imprimere le leggere modulazioni della voce umana in tutto il mondo, e
inoltre, trasmettere energia elettrica, in quantità illimitata e a qualsiasi distanza
terrestre, senza quasi nessuna dispersione.

Per capire meglio l’importanza di questo fenomeno immaginiamoci un


canale d’acqua. Muovendo lentamente la mano l’acqua comincerà a muoversi
avanti e indietro formando delle onde. Continuando a muovere lentamente la
mano, l’acqua inizierà a uscire dai bordi del canale. Così una grossa quantità
di acqua verrà mossa dai leggeri movimenti della nostra mano. Se la Terra
non avesse una carica elettrica, ogni tentativo di far vibrare il campo elettrico
sulla sua superficie non provocherebbe alcun effetto: la Terra stessa
assorbirebbe troppa elettricità prima che si possa verificare qualsiasi
cambiamento. Sarebbe come cercare di creare delle onde in un canale
asciutto, senza l’effetto d’amplificazione dell’acqua in movimento. La
risonanza avviene perché il canale è pieno d’acqua, che amplifica il leggero
movimento della mano. Così la Terra permette alle onde stazionarie di essere
manipolate da piccole quantità d’energia, poiché contiene una forte carica
elettrica che muove e intensifica la debole potenza del trasmettitore. Gli
appunti di Tesla mostrano il suo crescente entusiasmo:

Le osservazioni compiute la scorsa notte sono talmente importanti da non poter


essere facilmente dimenticate… Un risultato affascinante e interessantissimo dal
punto di vista scientifico: finalmente si è rivelata con chiarezza l’esistenza di onde
stazionarie, poiché le osservazioni non potrebbero essere spiegate in altro modo. È
un fatto di immensa importanza.

Tesla era praticamente sicuro di poter utilizzare le sue conoscenze sulla


risonanza per trasmettere l’energia senza fili. Aveva già scoperto che poteva
far risonare la Terra come una campana, con un rintocco ogni due ore.
Adesso poteva anche farla risonare elettricamente. Scoprì che la frequenza di
risonanza elettrica della Terra era di circa dieci cicli al secondo. (Era un
risultato particolarmente accurato, visto che il valore usato oggi dagli
ingegneri è di circa 7,8 cicli al secondo).
Il lavoro di Tesla sulla radio era a uno stadio più avanzato rispetto a
quello di Hertz e di Marconi, gli altri pionieri dei sistemi senza fili: loro
avevano usato frequenze molto più alte senza mai far risonare la Terra. Tesla
invece aveva usato lunghezze d’onda molto basse per le sue onde radio, che
potevano viaggiare facilmente intorno al pianeta (oggi le definiamo onde a
“bassissima frequenza”). Tali onde radio sono state usate dalle marine
militari per restare in contatto con i sottomarini, ovunque essi si trovino:
hanno infatti il vantaggio di poter raggiungere qualsiasi luogo sulla superficie
terrestre e addirittura nelle profondità del mare. Tuttavia questi impieghi della
scoperta di Tesla non vennero sfruttati che molti anni dopo la sua morte.
Con i suoi primi esperimenti, Tesla riuscì a far girare le onde radio
intorno alla Terra, mentre le onde corte non risonanti di Marconi non
riuscivano a trasmettere un segnale oltre i cento chilometri. I progetti di Tesla
erano molti anni avanti rispetto a quelli di Marconi, e se l’inventore serbo
non avesse portato avanti «una ricerca lunga e accurata… (non lasciando) che
poche correzioni finali da fare», avrebbe probabilmente fatto fortuna, ma
questo non era il suo metodo. Invece continuò a perdere tempo con il suo
sistema finché Marconi non lo superò commercialmente.
Visto da fuori, il laboratorio di Colorado Springs aveva l’aspetto di un
grande granaio di legno di circa dodici metri d’altezza. Aveva due grandi
porte sovrastate da finestre, e sugli altri si trovavano imponenti travi di legno.
Dal centro del laboratorio saliva un traliccio d’acciaio, tre volte più alto della
struttura, e dalla cui cima saliva un’asta di rame che a sua volta sosteneva una
grossa sfera, sempre di rame, con la quale l’intera struttura raggiungeva
l’altezza di oltre sessanta metri dal suolo. In cima al traliccio era stato
installato un isolatore a forma di fungo. L’asta di rame scendeva all’interno
del laboratorio, fino alla bobina di Tesla più grande e più potente che fosse
mai stata costruita. Tesla chiamò questo dispositivo - in grado di generare
voltaggi di cento milioni di volt (100 megavolt) - “trasmettitore
d’ingrandimento”.
All’interno, la costruzione sembrava davvero un granaio: al centro c’era
la gigantesca bobina del trasmettitore d’ingrandimento, e sopra di essa il tetto
era aperto sul cielo. Al centro del laboratorio sembrava ci fosse un recinto per
le vendite all’asta di uno strano mercato di bestiame. Il pavimento interno era
di tavole di legno, circondato da un recinto sempre di legno alto due metri,
lungo il cui perimetro correva un grosso cavo elettrico.
Dall’apertura sul tetto scendeva un palo di legno, che dal centro del
recinto terminava all’interno di una grande gabbia sollevata da terra. Questa
struttura, a metà tra un podio troppo grande di un banditore d’asta e una
gabbia per animali selvaggi, era composta di travi di legno verticali di circa
tre metri d’altezza. Tutto intorno vi correvano molte spire di filo elettrico, che
andavano a formare una gigantesca bobina. La gabbia si reggeva su una
piattaforma composta di travi di legno grezzo e posizionata a circa un metro
dal pavimento del cerchio. All’interno del recinto, come un branco di creature
surreali, vi erano alcuni strumenti: un cilindro verticale sorretto da quattro
gambe; una struttura simile a una giraffa dalle zampe eleganti e dal collo
lungo come un’asta, con una sfera di rame al posto della testa; due bassi
cilindri senza supporti e un cilindro alto e sottile, su quattro gambe, con un
ciuffo di filo elettrico sulla testa.
All’esterno del recinto, come un folto gruppo di allevatori accalcati per
l’asta, file e file di condensatori bassi e quadrati che si ammassavano intorno
al recinto, come se volessero stabilire il peso di quegli strani animali. Vicino
all’ingresso c’era un alto trasformatore, come un portiere in uniforme a righe
di guardia all’entrata.
Il trasmettitore era in grado di generare 10.000 watt, sufficienti ad
accendere duecento lampade di media potenza. Il dispositivo riceveva impulsi
di corrente alternata a basso voltaggio provenienti dalla centrale elettrica
locale, e poi li trasformava in voltaggi molto alti e frequenze ancora più
elevate: gran parte degli esperimenti di Tesla in Colorado venivano effettuati
a delle frequenze comprese tra i 480 e i 130.000 cicli al secondo. Voleva
essere sicuro che i collegamenti all’aria fossero efficaci, e cercando di
perfezionarli scoprì il principio dell’antenna risonante che usiamo ancora
oggi, scoprendo che un’antenna di un quarto della lunghezza d’onda della
frequenza del trasmettitore produce il maggior voltaggio possibile sul
ricevitore radio.
Mentre Tesla costruiva i suoi strumenti, scoprì che le diverse velocità
delle vibrazioni producevano delle onde stazionarie di diverso tipo nella sua
asta di rame: aveva scoperto quello che gli ingegneri moderni definiscono la
“lunghezza d’onda del segnale”. Tesla poteva cambiare la lunghezza dell’asta
e, “sintonizzando” attentamente la lunghezza d’onda, poteva ottenere il
massimo voltaggio nella sfera di rame. L’antenna di un moderno telefono
cellulare utilizza ancora oggi l’antenna di sintonizzazione inventata da Tesla.
I suoi appunti dimostrano che aveva trascorso molto tempo nella messa a
punto delle sue apparecchiature, per generare i massimi voltaggi possibili, ma
alla fine era pronto per cominciare.
Aveva installato alcune stazioni riceventi nel laboratorio, composta
ognuna da una grande bobina; collegata a una estremità a un paletto piantato
per terra, e all’altra a una lampada a incandescenza. Sembravano dei vecchi
fusti di olio con delle lampade posizionate in cima. Il recinto esterno invece
era un intero circuito collegato al terreno, per impedire che le scintille vaganti
raggiungessero l’edificio in legno. Il filo elettrico che correva sull’estremità
superiore del recinto di protezione era collegato a terra. Le fotografie di
alcuni test mostrano le scariche dei fulmini prodotte dal centro della gabbia e
dirette verso lo steccato di cinta, in una spettacolare dimostrazione di potenza
elettrica.
Sul muro accanto al trasformatore c’era una piccola struttura in legno che
sembrava una piccionaia, era in realtà la copertura dell’interruttore di
corrente principale collegato al trasmettitore d’amplificazione. Tesla aggiunse
un secondo interruttore all’interno dello steccato dopo aver rischiato un
terribile incidente una sera quando, solo nel laboratorio, aveva
inavvertitamente avviato l’amplificatore mentre si trovava all’interno del
recinto: una cortina di scintille aveva cominciato a crepitare da sopra il centro
della gabbia verso il recinto collegato al terreno, intrappolandolo all’interno.
Una volta accesa la macchina, l’unico modo per fermarla era spegnere
l’interruttore di corrente principale, che si trovava però dall’altra parte della
cortina di scintille. Fortunatamente Tesla indossava i suoi stivali di gomma a
suola alta: pensò che se fosse riuscito a saltare oltre il muro di fulmini, gli
stivali di gomma lo avrebbero isolato dal suolo, impedendo all’elettricità di
attraversarlo. Ebbe ragione, e sopravvisse per raccontare quell’esperienza, ma
risistemò il suo laboratorio per evitare un simile rischio in futuro. Non era il
tipo di esperimento che gli sarebbe piaciuto ripetere.
Tesla avvertì Curtis, il suo amico avvocato, che avrebbe cominciato a
utilizzare grandi quantità di corrente. D’accordo con la società elettrica,
stabilì che avrebbe effettuato i suoi esperimenti la sera presto, quando la città
non usava troppa elettricità e i generatori avrebbero avuto una maggiore
capacità di riserva. Sapeva che avrebbe potuto trasmettere l’elettricità
attraverso l’aria per illuminare le sue stazioni riceventi, ma quello che doveva
ancora scoprire era quello che sarebbe accaduto utilizzando voltaggi molto
alti. Tesla stava cercando di creare il fulmine.
Il primo esperimento fu brevissimo: la grande bobina restò collegata alla
centrale della città per un solo secondo, e il risultato fu una scintilla
spettacolare scaturita dalla sfera di rame. Tesla sapeva grazie al suo studio
sulla risonanza che se avesse tenuto la corrente accesa più a lungo avrebbe
ottenuto voltaggi ancora più alti. Rimase quindi all’esterno, dove avrebbe
potuto vedere il traliccio e la sfera di rame. «Tieni l’interruttore acceso finché
non ti dico di spegnerlo», gridò al suo assistente.
Le scintille aumentavano, intensificando la potenza, finché il primo
fulmine creato da Tesla scaturì giù dalla sfera: era lungo più di sessanta metri,
e nel momento in cui l’elettricità lacerò l’aria si sentì un violento rombo di
tuono. I quotidiani locali riportarono che il boato si era sentito fino a Cripple
Creek, a trenta chilometri di distanza. Fu seguito da silenzio improvviso,
quando la corrente fu interrotta al trasmettitore d’ingrandimento. «Riaccendi,
non ho ancora finito!», l’urlo di rabbia di Tesla risuonò nel silenzio.
Ma il signor Alley, il suo assistente, non aveva spento l’interruttore:
l’esperimento aveva sovraccaricato il generatore locale, che aveva preso
fuoco: per quella notte non ci furono altri esperimenti. In verità, non ce ne
furono per qualche tempo. La società elettrica aveva deciso di usare un
generatore di emergenza per rifornire il laboratorio di Tesla, così che la città,
in futuro, non potesse più restare senza corrente. Curtis disse che il
generatore di riserva sarebbe stato disponibile, non prima però che Tesla
avesse riparato quello bruciato. Il primo lavoro di Tesla appena arrivato negli
Stati Uniti, trentasei anni prima, era stato riparare un generatore. Anche
questa volta entrarono in gioco le sue capacità tecniche, e in pochi giorni
ripristinò l’impianto elettrico del generatore, così che i suoi test poterono
continuare.
Nelle settimane seguenti, Tesla scoprì esattamente come trasmettere
l’energia elettrica senza fili. Piazzò unità radioriceventi in diversi punti della
città, in posizioni sempre più distanti tra loro. Il maggior raggio d’azione
raggiunto durante questi test fu di 42 km, riuscendo a trasmettere 10.000 watt
di potenza. Riuscì a illuminare duecento lampadine, collegate agli apparecchi
riceventi a fusto d’olio, le quali offrivano davvero uno spettacolo
stupefacente: era la prova determinante del funzionamento del suo impianto
senza fili, e diede a Curtis l’incarico di brevettarlo. Il primo brevetto della
trasmissione dell’energia elettrica senza fili (n. 645576) fu consegnato a
Tesla il 20 marzo del 1900. Nel 1902 Tesla possedeva tutti i brevetti relativi
alla trasmissione di corrente senza fili.
Dopo aver dimostrato la validità del suo sistema di trasmissione di
energia elettrica senza fili, Tesla utilizzò il laboratorio per scoprire come
funzionasse un fulmine. In questo, stava seguendo una vecchia tradizione,
iniziata da un altro grande americano, Benjamin Franklin. Franklin aveva
iniziato a interessarsi ai fulmini mentre era vicedirettore delle poste di
Philadelfia, e aveva compiuto diversi esperimenti per scoprire che cosa fosse
realmente un fulmine. Un fulmine provocato dal temporale è, come
sappiamo, estremamente distruttivo se colpisce un edificio. Franklin era
convinto che il fulmine fosse elettricità naturale e, per dimostrarlo, durante un
temporale aveva effettuato un esperimento molto pericoloso con un aquilone.
Con la sua esperienza egli fu in grado di costruire un conduttore del fulmine:
collocò una piccola asta di metallo in cima a un edificio, collegata a terra
mediante uno spesso filo elettrico. Questo semplice dispositivo era in grado
di proteggere gli edifici dai fulmini, e dal giorno della sua invenzione ha
salvato molte vite umane. Ma Tesla mirava più in alto: voleva costruire la
macchina per produrre i fulmini.
Era affascinato dal fulmine globulare, ma non ne aveva mai visto uno.
Aumentando la potenza della sua macchina riuscì a produrne uno: un fulmine
globulare è una palla infuocata che si manifesta a volte durante un temporale.
Ha un diametro di circa venticinque centimetri, e può avere ogni sfumatura di
colore; non si comporta come un fulmine normale, ma si muove molto
lentamente e a volte sembra addirittura fluttuare nell’aria.
Tesla sapeva già come incendiare un gas all’interno di un tubo, erano anni
che costruiva le lampade a incandescenza, e le utilizzò come sensori per
verificare se stava trasmettendo elettricità. Un tubo al neon produce quello
che i fisici chiamano “plasma”. Il plasma viene prodotto quando alcuni
elettroni vengono espulsi dalle molecole del gas da un campo elettrico, e
vanno a formare gli ioni. Questa miscela di ioni e di elettroni, chiamata oggi
“gas ionizzato”, produce un’intensa incandescenza, sprigionando luce e
calore. L’esempio più comune di plasma che produce luce e calore è il Sole,
un gigantesco plasma, una palla di fuoco che riscalda il nostro pianeta. I
fulmini globulari che si sviluppano durante un temporale sono dei soli in
miniatura, e Tesla voleva scoprire come riuscire a crearli.
I fisici moderni ritengono che i fulmini globulari siano delle zone di
plasma generate da flussi di corrente elettrica. Sono costituiti da potenti
campi elettromagnetici che trattengono l’aria ionizzata al loro interno. (L’aria
ionizzata contiene delle molecole che, in mancanza di alcuni elettroni, la
rendono carica di elettricità). I fulmini globulari sono provocati da un effetto
di risonanza con il campo elettromagnetico della Terra. Per creare un fulmine
globulare è necessaria una grande quantità di energia: per produrne uno del
diametro di circa trentacinque centimetri servono almeno 5000 watt. Appena
si produce il plasma, questo entra in risonanza con il campo elettromagnetico
della Terra mantenendosi per alcuni secondi.
Le intuizioni di Tesla sulla natura dei fulmini globulari si sono rivelate
strabilianti. Era senz’altro all’avanguardia rispetto ai fisici del tempo, e le sue
scoperte sono importanti anche per i fisici moderni. Dai commenti teorici
riportati sugli appunti del Colorado, risulta chiaro che Tesla avesse scoperto
come creare plasma elettromagnetici settanta anni prima che il termine fosse
persino coniato. I suoi brevetti furono menzionati come fonte dell’idea per
un’arma al plasma per neutralizzare i satelliti spia, che fu costruito,
collaudato e mostrato in funzione come parte del progetto “Scudo spaziale”.
Intorno alla metà di gennaio del 1900 Tesla era di nuovo in bancarotta:
aveva speso tutti i 40.000 dollari del prestito e aveva bisogno di altri fondi
per proseguire le sue ricerche. Aveva realizzato delle scoperte di estrema
importanza: poteva trasmettere segnali telegrafici in tutto il mondo al tempo
in cui Marconi veniva ancora applaudito perché riusciva appena a trasmettere
messaggi su distanze molto brevi. Inoltre era in grado di trasmettere
l’elettricità senza fili e senza alcuna dispersione di energia: proprio perché
non utilizzava fili, non c’era nulla che si potesse surriscaldare né che potesse
disperdere energia. Poteva anche produrre artificialmente i fulmini, e aveva
compreso l’incredibile potenza dei fulmini globulari di plasma. Infine, Tesla
era in grado di indurre la risonanza del campo elettrico della Terra, in modi
che - ne era convinto - avrebbero permesso di dominare il clima.
Tali scoperte erano estremamente importanti. Molti scienziati sono
convinti che il fulmine globulare sia la chiave per comprendere i processi che
stanno alla base del Sole, e che possa servire per produrre energia elettrica in
un modo molto più economico. Le odierne centrali nucleari utilizzano oggi
un processo chiamato “fissione”, che produce scorie altamente radioattive
come il plutonio, mentre la fusione termonucleare consentirebbe invece di
ottenere un’energia nucleare pulita ed economica, trasformando l’idrogeno in
elio, offrendo l’energia che naturalmente si sprigiona da questa reazione.
Tale fusione però avviene a temperature così elevate che non esiste
alcuna sostanza sulla Terra che non si fonda, al momento di contenere questo
processo. L’unica cosa che potrebbe permettere a tali materiali di resistere a
temperature così alte è il plasma, ed è esattamente ciò che Tesla ottenne
quando creò il suo fulmine globulare: tale scoperta ha avuto una importanza
vitale nello studio della fisica quantistica.
Negli anni successivi i risultati di questi esperimenti portarono Tesla a un
acceso confronto con Einstein, poiché l’inventore serbo si era convinto che la
gravità fosse un effetto del campo, affermazione che non coincideva con la
teoria di Einstein che sosteneva che la gravità fosse invece uno spazio curvo.
Ai tempi del Colorado, un’altra importante scoperta di Tesla fu il sistema
per creare onde elettriche stazionarie per trasmettere l’energia elettrica in
tutto il mondo. Gli scienziati di oggi sanno che esiste una zona nell’atmosfera
della Terra chiamata “cavità Schumann’’, cioè lo spazio tra la superficie
piana del pianeta e la ionosfera carica di elettricità. Elettricamente parlando,
la cavità Schumann si potrebbe paragonare a un condensatore nell’atmosfera,
grande quanto la Terra. Attraverso l’energia elettrica Tesla riuscì a far vibrare
questo condensatore globale nella sua totalità; e chiunque, in qualunque
luogo - se fosse stato provvisto del semplice ma appropriato apparecchio
ricevente - sarebbe riuscito a catturare e consumare l’energia elettrica
trasmessa in quel momento dall’inventore. Pare che questa cavità influisca
sulla distribuzione dei fulmini in tutto il mondo, e Tesla aveva dimostrato che
era in grado di farla entrare in risonanza.
Benché Tesla fosse interessato solo al bene e al progresso dell’umanità,
aveva bisogno di denaro e di un aiuto commerciale per riuscire sviluppare le
sue idee. Per procurarsi i fondi, sarebbe dovuto ritornare a New York. Del
resto, stava per completare una serie di brevetti che avrebbero ricoperto tutti
gli aspetti della trasmissione senza fili di energia elettrica e di informazioni, e
così, confidando nel fatto che quei brevetti gli sarebbero valsi una fortuna,
partì per New York sicuro di poter impressionare l’opinione pubblica, e che
avrebbe raccolto abbastanza denaro per i suoi futuri esperimenti.
ELETTRICITÀ SENZA FILI. UNA NUOVA E GLORIOSA ERA PER
L’UMANITÀ

Il successo pratico di un’idea, indipendentemente dalla sua bontà, dipende dal


comportamento dei contemporanei. Se è al passo coi tempi, viene rapidamente
adottata; in caso contrario, vivrà come un germoglio che sboccia, lusingato dalle
attenzioni e dal calore del primo sole, per poi crescere con difficoltà e con dolore a
causa del gelo che ritorna.
NIKOLA TESLA

Il sogno dell’elettricità libera disponibile e gratuita in tutto il mondo, che


Tesla aveva condiviso per la prima volta con la madre durante un temporale,
molti anni prima, stava per diventare realtà. Così come aveva imbrigliato le
cascate del Niagara, adesso Tesla aveva sfruttato la Terra stessa come
conduttore di energia elettrica, e riportato con sé dal Colorado questa grande
scoperta. Ma a chi sarebbe interessata?
Aveva sviluppato un sistema per distribuire l’energia migliore del suo
stesso sistema a corrente alternata, che già di per sé superava di molto quello
di Edison. Comunque, al netto delle sue qualità, il sistema a corrente alternata
si era imposto soltanto perché Tesla aveva avuto la fortuna di trovare in
George Westinghouse un genio del marketing, che in quel periodo stava
cercando un modo di stroncare il monopolio di Edison nel settore dell’energia
elettrica. Per un fortunato e breve lasso di tempo, gli interessi di Tesla
avevano coinciso con quelli di Westinghouse, e i suoi brevetti sulla corrente
alternata erano stati uno strumento perfetto capitato nelle mani di
Westinghouse per sconfiggere il primato di Edison. I tempi erano maturi per
il successo della corrente alternata, e le parole citate all’inizio di questo
capitolo, scritte nell’ultimo periodo della vita di Tesla, rivelano una verità che
lui stesso fu molto lento a imparare.
Tornato a New York, Tesla desiderava presentarsi come un grande
benefattore dell’umanità, in grado di offrire la possibilità di trasmettere
l’energia elettrica in tutto il mondo, per il libero uso di chiunque: l’idea di
come fare a trarne un beneficio economico non lo aveva neanche sfiorato.
Qualcuno, pensava, avrebbe certo finanziato la sua idea. Spinto da
un’insaziabile curiosità sul mondo e sul suo funzionamento, e da una
fanciullesca convinzione che avrebbe potuto migliorarlo, aveva già fatto
intendere le sue intenzioni durante il lungo discorso dopo la cena di Buffalo,
quando era stato festeggiato per il suo lavoro a Niagara: «Se vogliamo
eliminare il dolore e la povertà… l’elettricità è la nostra speranza, la
principale fonte delle nostre multiformi energie. Con sufficiente energia
elettrica a nostra disposizione possiamo soddisfare la maggior parte dei nostri
bisogni, e garantire un’esistenza comoda e sicura a tutti».
Tesla tornava così dal Colorado con l’idea di una comoda esistenza per
tutti e, questa volta, pensava di sapere quello che stava facendo. Vista la sua
esperienza nello sviluppo di nuove tecnologie legate all’energia, voleva
ripetere lo stesso successo delle sue scoperte iniziali, e scrisse così a
Westinghouse una lettera eccessivamente lunga e tortuosa, dove gli
proponeva una collaborazione per sviluppare il suo nuovo sistema:

Torno adesso dal Colorado, dove ho compiuto alcuni esperimenti… Il successo è


stato migliore delle mie previsioni… Le dimostrazioni compiute in Colorado sono
di una natura tale che escludono ogni possibilità di fallimento… Non ho fatto
alcuna previsione economica… Sono costretto a chiedere denaro in prestito, e mi
rivolgo a te e alla tua società per chiedere un anticipo sui miei diritti di royalty… O
se preferibile, per il loro eventuale acquisto in un’unica soluzione. Avendo bisogno
di denaro, e pensando che i miei diritti potrebbero se non altro incrementare di
valore nelle tue mani, e volendo dare alla tua società una motivazione aggiuntiva
per concludere l’affare, mi sono azzardato a farti questa proposta.

Westinghouse si sarà senz’altro allarmato, ricevendola. Nel 1900 la sua


compagnia e la General Electric avevano il duopolio assoluto nel campo
dell’erogazione di corrente alternata, ed entrambe le società stavano
guadagnando moltissimo grazie a questo commercio. In pratica, il messaggio
della lettera di Tesla era: ho inventato qualcosa che trasformerà il tuo
investimento precedente in spazzatura. Sarò presto in grado di distribuire la
corrente elettrica gratuitamente, invece di far pagare per essa, ma ho bisogno
di denaro per riuscire a farlo: ti và di prestarmene un po’? Non sorprende che
questa volta gli interessi di Tesla fossero incompatibili con quelli di
Westinghouse; e così, quest’ultimo, rifiutò l’ingenua offerta di Tesla.
Sempre in cerca di fondi, ai quali si aggiungevano le pressanti richieste
dei creditori del Colorado, Tesla pensò di risolvere la situazione scrivendo al
«Century Magazine». Il direttore della rivista, un suo vecchio amico, sapeva
che il nome di Tesla avrebbe fatto vendere più copie, e fu felice di
commissionargli un articolo sulle sue imprese. Tuttavia, anche nel semplice
compito di raccontare le sue affascinanti invenzioni, Tesla non si rivelò un
uomo semplice da gestire. L’articolo che intendeva scrivere era una
digressione filosofica sulle motivazioni e le aspirazioni dell’umanità, e non
l’eccitante resoconto delle sue ultime invenzioni per fare i fulmini che la
rivista voleva. Le prime bozze gli furono restituite col commento: «Stai
offrendo alla gente Euclide, ma la gente non vuole Euclide. Direbbero che è
stupido e incomprensibile, anche se è soltanto profondo».
L’articolo gli tornò indietro tre volte, per essere riscritto, finché fu
raggiunto un compromesso, che però non riuscì a soddisfare completamente
nessuna delle due parti. Il «Century Magazine» pubblicò quindi un articolo
sensazionale intitolato Sull’incremento dell’energia umana3, nel quale Tesla
proponeva un “sistema globale” per rendere possibile «l’accurata e istantanea
trasmissione senza fili di qualsiasi tipo di segnale, messaggio o scrittura verso
tutte le zone del mondo». Non ci sarebbero stati «altri limiti di quelli imposti
dalle dimensioni fisiche del globo». Non era però il racconto pittoresco sulle
sue capacità di sfruttare l’elettricità che il «Century» aveva richiesto.
Scrivendo delle leggi matematiche che governano le azioni umane, Tesla
divagava e passava a discutere dei problemi relativi al bere acqua impura,
affermando che provocava più morti del whisky; avvertiva poi dei pericoli
del gioco d’azzardo e del mangiare carne, e fece l’incredibile affermazione
che un cristallo è una forma di vita, e che l’invenzione dell’aeroplano avrebbe
portato alla pace universale. Parlò della possibilità di trasmettere calore al
Polo Nord, di formare il ghiaccio ai Tropici, di inviare fotografie e
trasmettere musica in tutto il mondo. Ma l’affermazione più incredibile era
che l’uomo sarebbe stato in grado di ottenere elettricità libera illimitata dalla
Terra, e il lavoro manuale non sarebbe più stato necessario. La pace e la
prosperità sarebbero divenute universali. Era una visione del tutto utopistica,
senza alcuna considerazione economica a sostenerla, e avrebbe gettato le
fondamenta per la sua reputazione di profeta delirante.
Tra i lettori di Sull’incremento dell’energia umana vi era John Piermont
Morgan, che si ricordava di lui come l’uomo che aveva parlato della volontà
di creare un impianto elettrico senza fili, in occasione della celebrazione della
centrale elettrica alle cascate del Niagara. Ora che aveva imbrigliato le
cascate e aveva sviluppato ormai un metodo pratico ed efficace per realizzare
le proprie idee, sosteneva di aver realizzato il suo sogno. J.P. Morgan si
interessò all’argomento, e lo invitò a cena.
Il “sistema mondiale di trasmissione senza fili” di Tesla faceva uso di
cinque delle sue principali invenzioni/scoperte, ossia: la bobina di Tesla (un
dispositivo per produrre correnti ad alto voltaggio e alta frequenza di
immensa potenza); il trasmettitore d’ingrandimento (una macchina per
generare campi magnetici dai fulmini, che sarebbero entrati in risonanza con
la carica elettrica della Terra stessa); il sistema elettrico senza fili (il metodo
di Tesla per trasmettere l’energia elettrica senza fili); l’arte
dell’individualizzazione (cioè la possibilità per ogni ricevitore di essere
“sintonizzato” su una singola lunghezza d’onda. Usando il principio della
risonanza, Tesla aveva progettato un sistema per assicurarsi che ogni stazione
potesse ricevere solamente i messaggi a questa destinati, e quelli soltanto); le
onde terrestri stazionarie (Tesla aveva scoperto che la Terra risponde alle
vibrazioni elettriche di una determinata velocità - come un diapason gigante
che vibra in sintonia con i suoni della giusta altezza - e progettò di produrre
onde stazionarie attorno alla Terra, utilizzando il campo elettrico terrestre per
trasmettere l’elettricità senza alcuna dispersione di energia).
Tesla delineò un’immagine radicale di quello che il “sistema mondiale”
avrebbe offerto all’umanità, elencando i dodici principali vantaggi che un tale
sistema avrebbe portato all’intero pianeta, se si fossero collegate tra loro tutte
le stazioni telegrafiche del mondo. Questo sistema avrebbe assicurato un
servizio di smistamento sicuro e segreto dei messaggi di Stato; avrebbe
permesso a ogni utente telefonico di parlare con chiunque; avrebbe fornito un
innovativo servizio di trasmissione delle notizie ai quotidiani di tutto il
mondo; avrebbe offerto la possibilità ai privati cittadini di scambiare
messaggi in modo rapido e sicuro; avrebbe collegato tutti i mercati azionari e
trasmesso musica ovunque; fornito un sistema automatico in tutto il pianeta
per sincronizzare gli orologi «con una precisione astronomica»; consentito la
trasmissione di dattiloscritti, manoscritti o assegni; creato un sistema di
navigazione che avrebbe comunicato agli ufficiali di rotta esattamente dove si
fosse trovata la nave in qualunque momento; avrebbe fornito un mezzo per
riprodurre automaticamente i messaggi in qualsiasi luogo, su terra o mare;
avrebbe consentito la riproduzione senza fili di fotografie o disegni; e infine
avrebbe permesso di trasmettere energia elettrica in qualunque luogo del
pianeta.
Leggendo quest’elenco circa un secolo dopo la sua formulazione, non
riscontriamo nulla che non conosciamo nei primi undici punti, poiché sono
tutti di uso comune oggi. Per Tesla il fatto di aver indovinato esattamente
undici delle dodici previsioni formulate è stata un’impresa notevole, degna di
un eccellente profeta. Persino l’ultimo punto è stato oggetto di esperimenti
negli ultimi anni, e si è dimostrato tecnicamente una possibilità.
Mentre Tesla buttava giù queste idee, Marconi combatteva ancora per
inviare messaggi in alfabeto Morse ad appena ottanta chilometri di distanza.
Tuttavia fu Marconi che trasformò in realtà molte delle idee di Tesla, e che
viene oggi ricordato come l’inventore della radio. Dove sta allora la
differenza? Marconi era bravo negli affari, mentre Tesla non lo era per niente.
Marconi lavorò insieme al governo e all’esercito per perfezionare le proprie
invenzioni, mentre Tesla voleva continuare a lavorare da solo finché non
avesse completato il proprio sistema. Addirittura Tesla arrivò a rifiutare
molte offerte di denaro, poiché intendeva realizzare un sistema perfetto
piuttosto che permettere di utilizzare una macchina che non riteneva ancora
pronta. Ad esempio rifiutò un’offerta di acquisto per un impianto senza fili -
di cui aveva fatto una dimostrazione a New York - da parte dei Lloyds di
Londra, la quale lo avrebbe installato su alcuni yacht che dovevano
partecipare a una regata internazionale.
A George Scherff, il suo paziente collaboratore, aveva detto che
giocherellare con messaggi a breve distanza tra barche sarebbe stata una
perdita di tempo, e che lui non poteva perdere giorni utili per realizzare le
strumentazioni richieste. Tuttavia, se avesse accettato, questo lavoro gli
avrebbe fatto guadagnare dieci anni di vantaggio su Marconi, e oggi sarebbe
lui a essere ricordato come l’inventore della radio. Scherff suggerì a Tesla
che avrebbe potuto costruire la prima serie di strumenti, poi assumere un
direttore per gestire una società che producesse e vendesse apparecchi radio
senza fili dedicati alle navi, e utilizzare i guadagni per proseguire le sue
ricerche. Ma Tesla non voleva essere infastidito, e perse l’opportunità.
La sua incapacità di comprendere i meccanismi del mercato lo stava
facendo passare agli occhi della gente come uno scrittore della peggior
fantascienza, e lui sembrava che ne fosse addirittura contento, insistendo che
presto avrebbe inviato messaggi su Marte. Il fatto che questa possibilità si
sarebbe poi rivelata possibile, sessanta anni dopo la sua morte, non cambiò la
situazione del suo conto in banca. Alcuni giornali lo accusarono di inventare
storie solo per far apparire il suo nome sui giornali. Altri scienziati rivali
scrissero sul «Collier’s Weekly»:

Il signor Tesla dev’essere giudicato con estrema attenzione. Un giudizio sugli


esperimenti elettrici può provenire soltanto dal loro successo commerciale, e da
tempo le speculazioni del signor Tesla sono così sconclusionate che hanno perso
ogni interesse, e la sua filosofia talmente ignorante da essere priva di alcun
fondamento.

Tuttavia, mentre osservavo il curioso comportamento del Sojourner della


NASA, comandato da Houston attraverso un collegamento radio con Marte,
non ho potuto non pensare a Tesla. Vedere le immagini del pianeta rosso
sulla rete globale di Internet, trasmesse dalla videocamera del Sojourner, gli
avrebbe senz’altro fatto piacere, ma non lo avrebbe sorpreso affatto. Il suo
fantasma avrà certamente pensato: “Ve l’avevo detto!”.
In un altro “delirante” articolo pubblicato sul «Collier’s Weekly» il 9
febbraio 1901, Tesla scriveva:

Quella di comunicare con altri mondi è una vecchia idea. Per anni è stata
considerata solo come il sogno di un poeta, del tutto irrealizzabile. Adesso però,
con l’invenzione e il perfezionamento del telescopio e la conoscenza sempre più
vasta dei cieli, questa idea si è ripresentata, e i progressi scientifici degli ultimi anni
del XIX secolo, insieme alla tendenza verso il concetto di natura di Goethe,
l’hanno intensificata a un livello tale che sembra destinata a divenire l’idea
dominante del secolo che è appena iniziato.

Come aveva ragione! Ma quando scrisse queste parole la maggior parte


dei suoi lettori lo giudicò folle e fuori dal mondo. Vi furono comunque delle
eccezioni, in particolare J.P. Morgan, che era diventato ricco guardando al
futuro e puntando sulle nuove tendenze. Morgan era stato l’uomo dietro la
costituzione della General Electric, e nel “sistema mondiale di trasmissione
senza fili” di Tesla aveva visto una minaccia al comodo duopolio della
General Electric e di Westinghouse. Sapeva che il successo delle due società
si basava sui brevetti per la corrente alternata di Tesla, e aveva compreso
l’importanza della nuova proposta dell’inventore per un sistema che avrebbe
sostituito i precedenti. Se Tesla aveva ragione avrebbe portato ancora una
volta l’industria dell’elettricità a ricominciare da capo; se aveva torto,
l’investimento di Morgan nella General Electric sarebbe stato al sicuro.
Considerato che la mancanza di denaro sembrava l’unico fattore che gli
avrebbe impedito di sperimentare il suo nuovo sistema, Morgan decise di
scommettere su entrambi i cavalli, per essere sicuro di vincere. Era molto
meglio controllare una minaccia invece di doversene preoccupare.
Visto il suo urgente bisogno di denaro, Tesla non era nella posizione di
poter contrattare la proposta aggressiva di Morgan: 150.000 dollari per il
51% di tutti i brevetti di tecnologia “senza fili” che avrebbe sviluppato. Come
sappiamo Tesla considerava il denaro solo come un mezzo per proseguire le
sue ricerche e per dimostrare che aveva ragione, e in quel momento non
aveva altro modo di finanziare il lavoro: persino Westinghouse aveva
rifiutato. Così, ancora una volta, cedette per pochi spiccioli un’invenzione
che lo avrebbe reso ricco. Il 10 dicembre 1900, Tesla scrisse a Morgan per
confermare l’accordo:

Il controllo è tuo, la maggioranza è tua. Riguardo la mia parte, conosci il valore


delle scoperte e delle creazioni artistiche, le tue condizioni sono le mie.

Parte del contratto prevedeva un accordo verbale - “tra gentiluomini” -


per evitare di discutere le condizioni economiche di fronte a terzi; un accordo
che Tesla onorò fino alla morte. J.P. Morgan però non era un gentiluomo, e la
vera natura della sua conquista su Tesla divenne chiara solo molto tempo
dopo la morte dell’inventore, quando tutte le loro lettere furono depositate
alla biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.
Una delle mosse più astute di Morgan fu di pubblicizzare ampiamente il
finanziamento iniziale offerto a Tesla, per proteggere i propri interessi
commerciali: assicurandosi che questo “sostegno” fosse largamente citato nei
giornali, avrebbe allontanato altri eventuali finanziatori. Il risultato fu che
Tesla si ritrovò totalmente alla mercè di un uomo che sapeva bene come il
controllo sui brevetti gli desse anche il diritto di sopprimerli, oltre a quello di
sfruttarli.
Ovviamente Tesla non sospettava niente, era troppo impegnato a sognare
di poter procurare energia elettrica libera per tutti, e a immaginare di costruire
una città ideale dove potesse impiegare il suo nuovo “sistema mondiale”. Per
realizzare questo progetto, aveva addirittura raggiunto un accordo con un
costruttore immobiliare, che possedeva vaste tenute a Long Island, dove gli
venne permesso di installare il suo laboratorio e una torre trasmittente.
L’imprenditore sperava di poter costruire e vendere delle case intorno al
luogo dove - plausibilmente - orde di persone sarebbero state impiegate nel
futuro impianto, e di concludere così un buon affare. Il 23 luglio 1901
cominciarono i lavori nella località che poi fu chiamata Wardencliff.
Tesla convinse anche un noto architetto, Stanford White, a progettare gli
edifici che avrebbero ospitato il “sistema mondiale”, compresa un’altissima
torre di legno necessaria a sostenere gli elettrodi del suo trasmettitore
d’ingrandimento. Ogni torre molto alta è a rischio con i forti venti invernali
che spirano nei luoghi aperti, ma White riuscì a disegnare una struttura
complessa ma stabile, che sopravvisse per molti anni, a testimonianza della
sua abilità di architetto.
Due anni dopo, Tesla aveva a disposizione un laboratorio e una centrale
elettrica, costruita in mattoni, con la gigantesca torre in legno di White che
sovrastava l’intera struttura. Adesso mancava solo una cupola in rame da
installare in cima alla torre, e poi sarebbe stata in grado di trasmettere. Anche
dopo la spesa di 200.000 dollari per raggiungere questo stadio, Tesla era
lontanissimo dall’essere pronto a sperimentare l’impianto. Aveva venduto
tutti i suoi averi e speso l’intero prestito di 10.000 dollari ottenuto dalla
banca, e ora era nuovamente senza un soldo. Sulla base di ciò che aveva già
realizzato, Tesla tornò da Morgan, chiedendo altri finanziamenti per
completare il progetto. Egli, alla luce dei suoi interessi finanziari - che adesso
comprendiamo meglio - rifiutò immediatamente.
Per cercare di convincere Morgan della bontà del progetto, Tesla si
rivolse al governo canadese, che accettò di concedergli 10.000 cavalli-vapore
di energia elettrica nel corso dei vent’anni successivi, a patto di costruire un
impianto alle cascate del Niagara per trasmettere senza fili l’elettricità alle
zone più remote del Canada. A questo punto Morgan decise di giocare a carte
scoperte: scrisse a Tesla rifiutando di concedergli qualsiasi altro
finanziamento, e si assicurò che questo rifiuto fosse pubblicato sui giornali.
Iniziò così a diffondersi la voce che J.P. Morgan non avesse più intenzione di
investire su Tesla: evidentemente il progetto dell’inventore non era
all’altezza. Allora, si pensava, ciò che si diceva di Tesla era tutto vero, non
era altro che un folle sognatore sul quale non si poteva fare affidamento se si
voleva avere un successo commerciale.
Rileggendo le lettere di Tesla a J.P. Morgan (Archivio dei Microfilm
nella Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti), risulta evidente che
l’inventore era sempre più disperato. Il 14 gennaio 1904 scriveva:

È iniziato tutto con un accordo… finanziariamente fragile. Ti impegni in


operazioni impossibili, mi fai pagare il doppio, mi fai aspettare dieci mesi per le
attrezzature. E come se ciò non bastasse hai creato il panico. Quando, dopo aver
racimolato tutto ciò che potevo, sono venuto a dimostrarti che avevo fatto tutto il
possibile, mi hai cacciato come un fattorino, urlando così tanto che ti hanno sentito
a sei palazzi di distanza; e senza un centesimo. La notizia si è diffusa in tutta la
città, sono disonorato, e i miei nemici mi ridono dietro.

Le lettere, scritte tra il 10 dicembre 1900 e il 16 febbraio 1906, rivelano la


trappola nella quale Morgan aveva stretto il troppo fiducioso Tesla. Una volta
compreso che Morgan non gli avrebbe concesso ulteriori fondi per
completare il suo “sistema mondiale”, per cercare di racimolare abbastanza
denaro cercò di vendere l’ultima ricchezza che gli restava: se stesso. Fece
pubblicare un annuncio, in cui si offriva come ingegnere consulente.
Stampato su pergamena, pubblicato dal Waldorf Astoria Hotel, lungo quattro
pagine: era un annuncio impressionante.
In prima pagina era riportata una citazione di Tesla, che iniziava con una
frase latina: Nihil in sacculo quod non fuerit in capite (“Non c’è niente nelle
tasche che prima non sia stato in testa”). Poi un’immagine mostrava la torre
di Wardencliff, sotto la quale era scritto: «Trasmissione di energia elettrica
senza fili». Incorniciava il tutto una cornice disegnata a mano e alcune scritte:

Attività elettrica d’oscillazione di dieci milioni di cavalli-vapore - Bobine oscillanti


ad alta frequenza - Configurazione di circuiti di sintonizzazione - Controllo a
distanza di automi per l’industria - Rilevazione di spostamenti e moltiplicazione
dei messaggi - Manipolazione artificiale della refrigerazione industriale -
Trasformatori d’ingrandimento e contawatt - Motori a campo rotante.

Sotto lo svolazzo della firma di Tesla vi era una fotografia delle sue mani
che impugnavano un tubo a raggi X, sotto cui era scritto: «Bruciando azoto
atmosferico mediante una scarica elettrica ad alta frequenza da dodici milioni
di volt».
Il documento era un tentativo disperato del quarantottenne Tesla di
recuperare il rispetto e di riacquistare la reputazione pubblica. L’annuncio poi
elencava tutti i novantatré brevetti a suo nome: la prima pagina mostrava i
suoi sogni per il futuro, l’ultima pagina descriveva i suoi risultati concreti alle
cascate del Niagara.
Non poteva più permettersi di dire: «Non posso perdere tempo con simili
sciocchezze, ho grandi progetti da concludere» - adesso era costretto a dire
all’industria elettrica:

Desidero annunciare che insieme alla diffusione commerciale delle mie invenzioni,
eseguirò servizi professionali in veste di consulente elettrico e ingegnere… Mi
dedicherò alla ricerca sperimentale e al perfezionamento delle idee, dei metodi e
delle applicazioni; a ideare soluzioni pratiche e, in particolare, alla progettazione e
alla costruzione degli strumenti necessari al raggiungimento dei risultati richiesti.
Qualsiasi compito che mi sarà assegnato e che io accetterò, verrà portato a termine
in modo completo e scrupoloso.

Diffuse l’avviso ai potenziali clienti, e inoltre lo fece pubblicare anche


nell’edizione del febbraio 1904 della rivista «Electrical World and Engineer».
Non ci deve meravigliare che Tesla mise al corrente Morgan del suo
momento particolarmente difficile, per il tentativo di difendere la propria
visione del futuro. Ma le sue sofferenze non erano ancora finite. Screditato
per il pubblico rifiuto di Morgan, il suo annuncio suscitò ben poco interesse.
Ancora una volta tornò dall’imprenditore, chiedendogli di liberarlo da tutti i
vincoli e di restituirgli i diritti sui brevetti, in modo che, sfruttandoli, avrebbe
potuto restituire i 150.000 dollari. Morgan rispose che un accordo è un
accordo, che lui aveva fatto la sua parte e adesso toccava a lui di mantenere i
patti. Finalmente a Tesla fu chiaro in che tipo di situazione si era cacciato, e il
19 dicembre 1904 scrisse una furiosa lettera all’industriale:
Dici che sei stato ai patti, ma non è così. All’inizio ti ho consegnato i diritti sui
brevetti, la mia abilità di ingegnere e la mia buona volontà. Tu avresti dovuto
fornirmi il capitale, la tua bravura negli affari e la tua buona volontà. Io ti ho
consegnato i diritti sui brevetti che valgono dieci volte il tuo investimento… Mi hai
screditato.

Nel febbraio 1905 Tesla fece un’ultima proposta a J.P. Morgan,


chiedendogli di scambiare i propri diritti sui brevetti con un terzo delle azioni
di una nuova società che Tesla aveva intenzione di costituire. Morgan rispose
che sarebbe stato felice di investire in una sua nuova società, una volta
verificato che l’investimento fosse sicuro, ma che non era sua intenzione
rinunciare al controllo sui brevetti “senza fili”. Il sogno di Tesla sull’energia
libera senza fili era morto, ucciso dall’astuzia di J.P. Morgan. Adesso niente
poteva più minacciare il sistema elettrico a corrente alternata, che sosteneva
la prosperosa industria dell’elettricità.
Tesla non parlò mai del trattamento ricevuto da Morgan, e la grandezza
della sua delusione può essere solo dedotta dalle sue lettere. In pubblico,
Tesla restò sempre un gentiluomo, e benché Morgan lo avesse effettivamente
rovinato, riusciva a trovare perfino qualcosa di buono da dire sull’uomo.
Quando, a settant’anni lo ricordò in un’intervista, con il beneficio del tempo
passato, disse:

Mi sono giunte molte voci sul fatto che il signor J.Pierpont Morgan non fosse
interessato a me in senso commerciale, bensì con il mero spirito da mecenate con il
quale ha sostenuto molti altri pionieri. Con me mantenne la sua generosa promessa
alla lettera, e da parte mia sarebbe stato irragionevole aspettarmi qualcosa di più.
Aveva il massimo rispetto nei miei confronti, dandomi ogni prova possibile della
completa fiducia nelle mie capacità di portare a termine i miei obiettivi.
Non voglio dare a individui gelosi e meschini la soddisfazione di affermare che io
abbia subito degli impedimenti ai miei sforzi. Costoro non rappresentano altro per
me che microbi di una orribile malattia. Il mio progetto fu ritardato dalle leggi della
natura, il mondo non era ancora pronto: era troppo in anticipo con i tempi. Le
stesse leggi della natura, però, alla fine prevarranno, e riscuoterà un successo
trionfale.

Leggendo tra le righe, possiamo comunque notare che la sua amarezza


non era del tutto svanita, nemmeno allora.
Il “sistema globale” venne screditato definitivamente, e a cinquant’anni
Tesla era ancora una volta un immigrante senza un centesimo, con solo la sua
intelligenza a sostenerlo.
LA TURBINA, IL PREMIO NOBEL E LA EDISON MEDAL

Ho sottovalutato Tesla, credo che tutti noi lo abbiamo sottovalutato. Pensavamo


che fosse un sognatore e un visionario. Lui sognava, e i suoi sogni si sono avverati;
lui aveva delle visioni, ed erano visioni di un futuro reale, non immaginario.

CHARLES A. TERRY
Discorso per l’assegnazione della Edison Medal a Tesla, nel 1917

Cinquant’anni non è una buona età per ricominciare da capo in un campo


del tutto nuovo, ma Tesla non aveva scelta. Era un’altra volta sul lastrico. J.P.
Morgan controllava tutti i suoi brevetti di trasmissione elettrica senza fili, e a
Westinghouse andavano tutti gli interessi sull’energia via cavo a corrente
alternata. Tutto ciò che gli era rimasto era scrivere folli premonizioni sul
futuro che egli non poteva realizzare. Il suo personaggio di scrittore stava
offuscando quello di ingegnere, e adesso che Morgan aveva staccato la spina
del suo “sistema mondiale di trasmissione senza fili”, non aveva più alcuna
credibilità finanziaria.
Per il suo cinquantesimo compleanno, Tesla sedeva da solo al ristorante
Delmonico e pensava al futuro. Da giovane non aveva mai avuto l’abitudine
di festeggiare il suo compleanno, poiché essendo nato esattamente a
mezzanotte sosteneva di non avere anniversario. E anche nel giorno del suo
cinquantesimo compleanno, non aveva proprio nulla da festeggiare.
I cinquant’anni sono spesso un periodo di riflessione, quando un uomo di
solito si guarda indietro, e mi domando se Tesla stesse ripensando alla sua
infanzia mentre aspettava la sua cena. Forse ricordava il tempo in cui era un
formidabile cacciatore di cornacchie, prima che una brutta esperienza gli
facesse smettere di cacciare gli uccelli. Il suo metodo era semplice: si
nascondeva tra i cespugli nella foresta e imitava il loro verso, finché non se
ne avvicinava uno. A quel punto lanciava qualcosa per distrarlo, e vi si
gettava sopra prima che questo potesse riprendere il volo. Catturò molti
uccelli in questo modo, e cominciò a pensare che il suo metodo fosse
infallibile. Un giorno ne catturò due; mentre li riportava a casa tenendoli per
le zampe, cominciarono a gracchiare talmente forte che ben presto si ritrovò
accerchiato da una schiera di cornacchie. Era meravigliato da questo
fenomeno, ma quando una di queste scese in picchiata e lo colpì alla testa, si
rese conto che la cosa non era affatto divertente. Gli uccelli lo attaccarono
così violentemente che dovette liberare quelli che aveva catturato, e andare a
nascondersi in una grotta finché tutte le cornacchie non si furono allontanate.
Adesso, nel giorno del suo cinquantesimo compleanno, aveva bisogno di
un’altra grotta dove nascondersi, questa volta da orde di rivali che avevano
trovato il modo di distruggerlo.
Lui stesso, però, era stato la causa di molti dei suoi problemi. Non si era
mai interessato un granché ai soldi; la sua fiducia quasi infantile nelle figure
autoritarie non veniva mai intaccata, neanche quando queste si schieravano
apertamente contro i suoi interessi; il suo orgoglio non gli aveva mai
permesso di riconoscere che un’impresa fosse impossibile; e la mancanza di
denaro lo aveva spinto a descrivere le sue visioni del futuro, che poi venivano
ingigantite e pubblicizzate da altri scrittori, per ridicolizzare le sue idee. Ai
giornali non interessavano le sue teorie, ma l’esasperazione del suo
personaggio cominciava a isolarlo dal mondo dell’ingegneria.
La pubblicazione dell’articolo Sull’incremento dell’energia umana, sul
quale si fondava la sua celebrità ma al quale doveva anche la disastrosa
avventura con J.P. Morgan, era stata usata come conferma della sua
instabilità, e da quel momento in poi ogni sua dichiarazione era vista con
sospetto. Di qualsiasi cosa parlasse, il risultato era sempre lo stesso: «Oh, è
solo il vecchio Tesla che farnetica di nuovo!».
Nonostante questo, col tempo divenne uno scrittore abbastanza prolifico,
sicuramente perché aveva più tempo libero, poiché trovare lavoro come
ingegnere sembrava impossibile, e soprattutto perché aveva bisogno di soldi
per vivere. Ma c’era un altro motivo: l’annuncio in cui si era offerto come
ingegnere consulente non aveva avuto alcun risultato, e lui aveva cominciato
a sentirsi incompreso e disprezzato dal mondo. Non si era mai sentito
apprezzato nemmeno dai genitori, e ora provava lo stesso nei confronti del
mondo. L’annuncio era stato un tentativo di mettersi in luce come un
inventore rispettabile e un ingegnere affidabile, e il fatto di non essere
riuscito a procurarsi nuovi sostenitori o riallacciare i contatti con i vecchi,
doveva averlo ferito molto. Paragonare la propria sofferenza a quella di
Giobbe è una cosa che solo un uomo disperato può arrivare a fare: Giobbe si
era sentito abbandonato da Dio, Nikola dal mondo. Per riscattarsi da quel
mondo indifferente, continuava a scrivere.
Non si sposò mai, e non provò mai il piacere di essere amato e accettato
per quello che era, e non per i traguardi che raggiungeva. Le sue uniche
soddisfazioni gli provenivano dal lavoro e dai rapporti di lavoro. Aveva pochi
amici, e con nessuno aveva stabilito un rapporto particolarmente intimo.
Samuel Clemens (Mark Twain) era probabilmente la persona che più si
avvicinava a un confidente, ma anche questa amicizia era scaturita
dall’adorazione che Tesla aveva nei confronti dello scrittore, e sospetto che
abbia contato molto più per l’inventore che viceversa. Tesla aveva trovato in
Clemens un’ulteriore figura paterna; e l’atteggiamento schietto e sincero che
lo scrittore aveva tenuto durante gli ultimi anni della sua vita potrebbe averlo
incoraggiato a comportarsi nella stessa maniera. La differenza, però, era che
Clemens poteva permettersi di essere sincero, considerato che il suo lavoro di
scrittore non dipendeva da investimenti di capitale o da finanziatori, mentre
Tesla poteva continuare con le sue ricerche solo se gli investitori credevano
in lui: e gli imprenditori sono una categoria che notoriamente non considera
la sincerità una virtù.
Tesla sembrava particolarmente affascinato dagli scrittori, perché dopo la
morte di Clemens divenne amico di Robert Johnson, l’editore che aveva
pubblicato quel primo “incredibile” articolo Sull’incremento dell’energia
umana.
Nel 1905 Tesla fece l’ultimo tentativo di dimostrare la validità del suo
“sistema mondiale”. Scrisse un articolo complicato e verboso chiamato: La
trasmissione di energia elettrica senza fili come mezzo di promozione della
pace. (L’«Electrical World and Engineer» deve averlo pagato a parola, vista
la lunghezza, e Tesla era proprio a corto di soldi!). L’articolo, come mostra il
primo paragrafo, e complesso da comprendere:
La pace universale, ammettendo che sia realizzabile nel suo senso più ampio, non
dovrebbe richiedere eoni al suo compimento, per quanto sia probabile, considerata
l’infinita lentezza con la quale tutte le grandi idee riformatrici del passato si sono
imposte. L’uomo, in quanto massa in movimento, durante la sua vita è inseparabile
dalle manifestazioni di inerzia e tenacia, ma da ciò non ne deriva automaticamente
che ogni fase di passaggio, o ogni stato permanente della sua esistenza, debba
necessariamente essere ottenuto attraverso un processo statico di sviluppo.

Tesla continua parlando della natura della pace, delle comunicazioni;


sull’ipotesi di imporre un’unica lingua in tutto il mondo; poi considera come
ogni distanza possa essere annullata migliorando i trasporti; discorre sulle
proprietà poco sfruttate dell’energia elettrica, e su quanto sia importante
sviluppare mezzi di trasmissione economici. L’uso di frasi quali: «Ho
realizzato il grande esperimento in quel giorno indimenticabile, quando
l’oscuro dio del tuono mi ha generosamente mostrato il suo vasto e grandioso
laboratorio» probabilmente gli hanno fatto acquisire il rispetto dei seguaci
dell’occulto, ma non sono certo serviti a salvare la sua reputazione di
ingegnere razionale.
Leggendo questo articolo da un altro punto di vista, ci sembra piuttosto lo
sfogo di un uomo al capolinea, che compie l’ultimo drammatico tentativo di
giustificarsi mentre vede il suo sogno svanire. Altrimenti, perché usare queste
parole come conclusione?

Non è un sogno, è una semplice impresa d’ingegneria elettrica scientifica,


compiuta in questo mondo pusillanime, incredulo, e cieco! L’umanità non è
sufficientemente progredita per farsi guidare dall’acuto spirito di ricerca degli
inventori. Ma chi lo sa? Forse è meglio che in questo nostro mondo un’idea
rivoluzionaria o un’invenzione, invece di essere aiutata e incoraggiata, venga
ostacolata e maltrattata fin dall’inizio, dalla volontà del denaro, dall’interesse
egoistico, dalla pedanteria, dalla stupidità e dall’ignoranza; è giusto che venga
attaccata e soffocata; che debba passare attraverso amari processi e tribolazioni,
nella lotta spietata dell’esistenza commerciale. È così che otteniamo la nostra
ribalta. È così che ogni grande impresa del passato è stata ridicolizzata,
condannata, combattuta e soppressa, solo per riemergere dalla lotta più forte e
trionfante.

Questo articolo è un esempio perfetto dell’uso che i giornali facevano del


suo nome, con l’unico scopo di vendere più copie. Non era certamente nelle
intenzioni dell’editore favorire Tesla, accettando di pubblicare questo
incomprensibile tentativo di autogiustificazione: l’unica spiegazione è che il
nome dell’inventore in copertina avrebbe fatto vendere più copie. Infatti,
l’articolo non faceva altro che aggravare la sua reputazione di inaffidabilità, e
certamente non lo fece «riemergere dalla lotta forte e trionfante». Tutto
questo non faceva che confermare il punto di vista di J.P. Morgan, che aveva
deciso di ostacolare quel folle, brillante ma inaffidabile, prima che potesse far
crollare l’intera industria della distribuzione elettrica, adesso totalmente nelle
sue mani.
L’articolo riaprì anche le vecchie ferite con Edison. In un’intervista al
«New York World», Edison commentò che Tesla non fosse più nelle
condizioni di poter parlare al mondo, e che Marconi prima o poi avrebbe
perfezionato il suo sistema. L’intero mondo dell’energia elettrica aveva
voltato le spalle a Tesla, ripudiandolo; le cornacchie si erano di nuovo
raccolte e schierate per attaccarlo, ma la grotta dove si sarebbe potuto
nascondere stavolta era piena d’acqua.
Tesla fu sempre affascinato dall’acqua, fin quando da bambino ne aveva
sperimentato la potenza. Non dimenticò mai l’incidente che quasi lo uccise,
quando stava per essere scaraventato dalla vetta di un’alta diga dalla potenza
del fiume. Perfino mentre lavorava ai suoi progetti per l’elettricità senza fili,
non aveva mai smesso di fare esperimenti con l’acqua. In verità, anche in
un’altra occasione rischiò la vita, quando un cilindro di ghisa che aveva
utilizzato per pressurizzare l’acqua esplose, e un frammento gli sfiorò la testa.
Anche in quella occasione riuscì a cavarsela, ma l’esplosione aveva causato
molti danni al laboratorio di Wardencliff ancora in costruzione.
Adesso ricordava che da ragazzo aveva fabbricato per divertirsi delle
ruote idrauliche giocattolo, e una di queste era risultata sorprendentemente
efficace. Era una ruota di legno liscia, ricavata da una sezione del tronco di
un albero, alla quale aveva dato una forma il più possibile circolare. Al centro
aveva fatto passare un perno, e poi l’aveva sospesa sopra un ruscello. La
ruota girava con il fluire dell’acqua, funzionando ininterrottamente per mesi.
Tesla ricordava che l’acqua faceva girare una ruota liscia, quindi le pale e
le alette utilizzate dai mulini a vento o ad acqua non erano necessarie. Ecco
che gli venne in mente di potersi confrontare con un nuovo campo di
sperimentazione: il vapore veniva ancora utilizzato nella maggior parte dei
processi industriali, e i motori a vapore usavano cilindri che si muovevano su
e giù senza sosta, sprecando così molta energia; probabilmente una turbina
senza pale si sarebbe rivelata molto più efficace, così decise di costruirne una.
Convinse un conoscente, un ricco raffinatore di zucchero, a finanziare
l’impresa, e si mise al lavoro.
La sua prima turbina era formata da una pila di dischi rotanti molto sottili,
del diametro di quindici centimetri, posti all’interno di un contenitore
sigillato. I dischi erano separati tra loro da un distanziatore. Il vapore che
passava attraverso l’involucro veniva rallentato dall’attrito dei dischi; tale
attrito li faceva girare sempre più velocemente finché non diveniva quasi
nullo. Questo prototipo di turbina si rivelò estremamente funzionale, i dischi
rotanti giravano così forte che Tesla dovette aumentare le dimensioni
dell’involucro esterno di un trentaduesimo di pollice, per consentirne la loro
espansione dovuta all’elevata velocità di rotazione. Alla velocità di 35.000
giri al minuto, il rotore doveva essere bilanciato con estrema attenzione, per
evitare che si riducesse in pezzi da solo. L’intuizione che aveva avuto da
ragazzo funzionava!
Quattro anni dopo, Tesla era riuscito a costruire una turbina di trenta
centimetri di diametro in grado di sviluppare 100 cavalli-vapore. Persuase la
General Electric perché gli permettesse di collaudare la turbina nella centrale
elettrica Waterside di New York, che inizialmente fu costruita per la corrente
continua di Edison, ma che adesso produceva energia a corrente alternata
usando i generatori di Tesla. Considerato il valore pubblicitario di una
sperimentazione condotta da Tesla su una turbina a vapore radicalmente
innovativa, combinato con la possibilità che l’inventore costruisse davvero
uno strumento in grado di ridurre i costi di produzione dell’energia, la
General Electric acconsentì.
L’impresa non fu semplice. Tesla ormai era un animale notturno: si
svegliava sempre più tardi e lavorava sempre più a lungo di notte. Finché si
trovava da solo nel suo laboratorio a Broadway non era un problema, ma lo
divenne quando si trattò di utilizzare la centrale e gli impianti della General
Electric. Il carico maggiore per la centrale elettrica di New York era
soprattutto dal tardo pomeriggio fino alla mezzanotte, mentre durante il
giorno la richiesta di elettricità era molto minore e sarebbe stato perciò più
semplice gestire i suoi esperimenti. L’inventore, tuttavia, con la solita
incapacità di relazionarsi agli altri che lo caratterizzò per tutta la vita,
insistette per iniziare alle cinque del pomeriggio e continuare fino alla
mezzanotte. Le richieste dello staff della centrale di spostare gli esperimenti
durante il giorno non produssero alcun effetto e, quando si conclusero, tutti
furono felici di vederlo andare via.
Tesla costruì due turbine da quarantacinque centimetri di diametro, e le
collaudò con uno strano tiro alla fune. Le due turbine da 200 cavalli-vapore
erano collegate a un asse che misurava la torsione, e posizionate in modo da
ruotare in direzioni opposte. L’albero restava immobile, ma il misuratore
collegato indicava quanta energia veniva prodotta dai due assi contrapposti.
Fortunatamente per Nikola e per chi era presente l’albero resistette; se si
fosse spezzato i risultati sarebbero stati spettacolarmente letali.
Alcuni operai presenti all’esperimento non compresero che era previsto
che le due turbine sarebbero dovute restare ferme durante il collaudo, e
riferirono agli altri colleghi che si era trattato di un completo fallimento.
Quelle voci non aiutarono a ripristinare la reputazione di Tesla, che in quel
momento era nuovamente al verde e aveva bisogno di trovare un altro socio
d’affari. Pensò di rivolgersi alla Allis Chambers di Milwaukee, una società
che produceva turbine convenzionali. Ma invece di dimostrare un po’ di
attenzione verso il prossimo, presentandosi prima allo staff di ingegneri della
Allis Chambers, Tesla usò la propria reputazione per fissare direttamente un
appuntamento con il presidente della società, convincendolo che le sue
turbine fossero la soluzione a tutti i loro problemi. Con questo
comportamento si inimicò tutto lo staff di ingegneri, e in seguito non fece
niente per assicurarsi il loro rispetto. Così, dopo aver costruito e collaudato
due turbine a vapore, i suoi colleghi stesero un severo rapporto, dove veniva
sottolineato in modo particolare l’evidente distorsione dei dischi durante il
normale funzionamento e gli strani metodi di lavoro di Tesla, che si era
presentato senza nemmeno un progetto su carta dove lavorare. Il rapporto
diceva:

Smontando le unità, i dischi si erano notevolmente distorti, e crediamo che non


avrebbero resistito se le unità avessero lavorato per un periodo più lungo. La
turbina a gas non è mai stata costruita perché la compagnia non è riuscita a ottenere
sufficienti informazioni dal signor Tesla, nemmeno un singolo progetto, seppure
approssimativo, di ciò che aveva in mente.

Per tutta risposta, Tesla si licenziò, dimostrando ancora una volta la sua
totale incapacità di relazionarsi con gli altri: «Non intendevano costruire le
turbine che io avrei voluto», disse, e questa fu la fine dei suoi tentativi di
rifarsi una carriera con le turbine a vapore. Comunque sia, i suoi progetti
funzionavano, e le sue idee sono alla base delle moderne turbine a gas.
L’immaturo impulso di Tesla a volersi mettere in mostra con le figure
autoritarie si presentò di nuovo quando il «New York Times» pubblicò delle
false notizie: si diceva che Tesla ed Edison avrebbero ricevuto entrambi il
premio Nobel per la fisica, e i due furono entrambi intervistati. Edison
semplicemente non commentò, affermando che non ne sapeva niente. Tesla,
invece, rilasciò un’intera intervista dove annunciava che finalmente il mondo
avrebbe riconosciuto l’importanza della sua scoperta, la trasmissione
dell’energia senza fili. Infiammato dall’argomento, aggiunse:

Possiamo illuminare il cielo e privare l’oceano dei suoi terrori! Possiamo prelevare
illimitate quantità d’acqua dall’oceano per l’irrigazione! Possiamo fertilizzare il
suolo e ricavare energia dal sole! Tra cento anni, saranno in molti ad aver ricevuto
il Nobel, ma solo io avrò quattro dozzine di invenzioni che portano il mio nome!

Deve essersi sentito un bel po’ stupido, quando il premio andò invece a
W.H. e W.L.Bragg. Mentre Edison, sapendo che i vincitori del premio Nobel
vengono avvertiti personalmente, prima della diffusione della notizia,
saggiamente non aveva rilasciato alcuna intervista.
Quando Tesla ottenne infine il riconoscimento della Edison Medal
dall’Istituto Americano di Ingegneria elettrica, nel 1917, fu un’ironica vittoria
a doppio taglio. La Edison Medal è infatti un riconoscimento ordinario,
promosso da un gruppo di ammiratori di Edison per premiare le scoperte
scientifiche nel campo dell’elettricità. All’inizio veniva consegnata alla
migliore tesi di laurea elaborata da uno studente di ingegneria elettrica
statunitense o canadese, ma per quattro anni non ci furono candidati. Si
ridefinirono allora i termini della consegna del premio, estendendoli a
qualsiasi residente negli Stati Uniti, nelle colonie o in Canada, che avesse
ottenuto importanti risultati nel campo dell’ingegneria elettrica. I primi sei
riconoscimenti furono assegnati a Elihu Thomson, Frank J. Sprague, George
Westinghouse, William Stanley, Charles F. Brush e Alexander Graham Bell.
Nel 1917 il comitato di premiazione decise di consegnare la settima edizione
a Nikola Tesla.
La premiazione avvenne a New York, il 18 maggio, presso l’Engineering
Societies Building. Il presidente della società, W.W. Rice Jr., aprì la riunione
alle 20.30, e tutto fu messo a verbale, compresa la menzione del premio e il
discorso di Tesla.
Sono nate diverse leggende su questo premio. Alcuni affermano che Tesla
non vi prese parte poiché non voleva essere associato in nessun modo a
Edison; altri sostengono che Tesla avesse abbandonato la riunione in anticipo
per andare nel parco a dare da mangiare ai piccioni. I verbali dell’Istituto
Americano di Ingegneria elettrica indicano invece che Tesla presenziò
all’intera premiazione, ringraziando a lungo e calorosamente per
l’onorificenza conferitagli. Secondo i verbali, il presidente del comitato di
premiazione, il dottor Kennedy, spiegò il significato della Edison Medal, poi
il presidente Rice invitò Charles A.Terry a dire qualcosa sulle difficoltà
incontrate da Tesla e sui suoi primi lavori: «Ritengo ci sia un significato
particolare nel fatto che la settima medaglia venga assegnata a Tesla; in molti
sistemi aritmetici il numero sette viene considerato un numero speciale». Poi
continuò spiegando come molto spesso gli uomini d’intuito e intelligenza
avessero conseguito importanti scoperte a vantaggio dei loro contemporanei,
citando grandi esempi del passato come Michelangelo, Galileo, sir
Christopher Wren, Livingstone, Newton, Franklin, Westinghouse e,
naturalmente, Edison.
Il signor Terry, evidentemente un uomo verboso, continuò: «Sebbene la
speranza in un riconoscimento sia, come è giusto, una motivazione
aggiuntiva per l’impegno già dimostrato, il motivo principale ed effettivo che
spinge questi uomini a impegnarsi in lunghe ore di faticoso lavoro,
compiendo sacrifici personali altrettanto ardui, consiste in quel “Io devo” che
nasce direttamente dall’anima. Ma per i più grandi di questi uomini, il
desiderio di ricompensa consiste più nella consapevolezza di avere raggiunto
i propri obiettivi - e dai giusti riconoscimenti dei contemporanei - che dal
guadagno materiale, tranne nel caso in cui quest’ultimo possa servire per i
futuri progressi delle loro ricerche».
Poi osservò che i buoni ingegneri non invidiano coloro che compiono
grandi azioni, ma anzi sono grati e felici di poter celebrare tali opere - così
come in quell’occasione tutti i membri presenti erano lieti di onorare Tesla -
lo stesso Tesla che ventinove anni prima aveva presentato, proprio a loro, i
primi risultati sui trasformatori e i motori a corrente alternata.
Riassumendo le conquiste di Tesla, Terry continuò affermando che: «È
tutto merito del suo genio la capacità di catturare gli elementi indomabili e
incontrollabili, finora opposti, del sapere e della natura, e riuscire a
imbrigliarli per disegnare gli strumenti dell’uomo». Elogiò la sua
immaginazione e il costante e faticoso impegno, gli elementi dove
risiedevano la forza e la portata dei suoi successi. Rivolgendosi a lui,
concluse il suo discorso: «È impossibile riuscire - con così poche parole - a
descrivere anche in modo superficiale le molteplici attività di Tesla, ma
dobbiamo accontentarci di questa inadeguata presentazione per confermare
l’affascinante talento di quest’uomo, che siamo lieti di accogliere come
cittadino del nostro Paese, il Paese che venticinque anni fa ha scelto di
adottare come proprio».
Giunto finalmente alla conclusione, offrendo Tesla ai colleghi con un
gesto della mano, aggiunse: «Signor Tesla, sarebbe una nostra imperdonabile
mancanza non riconoscere benevolmente il suo lavoro, che sappiamo essere
valido».
Scrosciarono gli applausi, e Tesla ricevette l’elogio dei membri
dell’Istituto in modo elegante e con un umile sorriso sul viso. Il presidente
chiese poi a B.A. Behrend di intervenire:

Signor presidente di assemblea, signor presidente dell’Istituto Americano di


Ingegneria elettrica, signori colleghi, signore e signori. Per una straordinaria
coincidenza, ventinove anni fa, esattamente questo giorno e a quest’ora, Nikola
Tesla si presentò davanti a questo Istituto.

Poi passò a ripetere e a elogiarne la carriera:

C’è un tempo per ogni cosa. Basti dire che se dovessimo eliminare dal nostro
mondo industriale i risultati del lavoro di Tesla, le ruote dell’industria cesserebbero
di girare, le macchine e i treni elettrici si fermerebbero, le città sarebbero buie, i
mulini spenti e oziosi. Sì, fino a questo punto è giunto il suo lavoro, è divenuto il
tessuto stesso dell’industria.

Proseguì poi con una lunga descrizione tecnica delle scoperte di Tesla, e
non potè fare a meno di sottolineare l’importanza del suo ruolo nel
meraviglioso progresso odierno. Tesla era al settimo cielo. Finalmente, a
sessant’anni, dopo dieci anni di difficoltà e di pubblico ludibrio, stava
ricevendo il riconoscimento che meritava. Simili momenti erano senza
dubbio da assaporare.
«Chiediamo a Tesla», continuò Behrend, «di accettare questa medaglia.
Non lo facciamo per il semplice piacere di consegnare un’onorificenza o di
perpetuare un nome; ma finché ci saranno uomini che si impegneranno per la
nostra industria, la sua opera sarà la parte integrante della nostra arte, e il
nome di Tesla non correrà mai il rischio di cadere nell’oblio, alla stregua dei
grandi nomi di Faraday, o di Edison». Qui, tuttavia, Behrend si sbagliava:
come ben sappiamo, oggi il nome di Tesla è stato dimenticato al di fuori del
campo dell’ingegneria elettrica.
«Lei ha vissuto e ha visto il suo talento riconosciuto», proseguì Behrend,
«cosa può desiderare di più un uomo? Parafrasando una frase di Pope su
Newton: “La Natura e le sue leggi risiedono nascoste nell’oscurità”: Dio
disse: “Sia Tesla! E la luce fu”».4
Behrend concluse il suo intervento tra gli applausi, ulteriore motivo di
gioia per Tesla. Erano appena passate le dieci quando il presidente si alzò
rivolgendosi all’inventore:

È facile, credo, per gli ingegneri e gli scienziati, dare per scontate le scoperte del
passato. Quando sediamo sotto un albero di mele e ne vediamo una cadere,
sappiamo che si tratta di un ovvio fenomeno naturale: conosciamo la legge di
gravità. Ma per Isaac Newton, molti anni fa, questo fenomeno che appare oggi così
scontato, ha contribuito a un atto di immaginazione creativa tra i più straordinari.

Commentò ancora il lavoro di Tesla, concentrandosi stavolta sulla


costruzione della centrale elettrica delle cascate del Niagara, paragonandolo a
Faraday. Poi concluse:

Signor Tesla, questa sera lei si è sentito rivolgere molti complimenti, che non sono
delle formalità motivate dall’occasione, ma le sono stati attribuiti con sincero
apprezzamento per la sua professione di ingegnere elettrico - ed è per questo - e in
riconoscimento di quello che ha realizzato per tutti noi, con la speranza che possa
continuare in futuro a contribuire alla nostra professione - che noi le conferiamo
questa medaglia.

Seguì un altro applauso. I presenti si aspettavano la conclusione


dell’incontro, poiché l’intervento del ricevente del premio era
tradizionalmente breve. Tesla, godendosi il momento, si alzò per parlare:

Signor presidente, signore e signori, desidero ringraziarvi di cuore per la sensibilità


e per la stima che mi avete dimostrato. Non sbaglio affermando - e ne sarete
certamente consapevoli - che coloro che sono intervenuti questa sera abbiano
eccezionalmente esagerato i miei modesti risultati. In certe occasioni non si
dovrebbe diffidare né pretendere, e in questo senso riconosco che tale onoreficenza
mi sia stata attribuita, in parte, per avere compiuto i primi passi verso nuove
direzioni; ma se le idee che ho proposto hanno trionfato, se le forze e gli elementi
sono stati conquistati, e se grandi cose sono state realizzate è dovuto solo alla
collaborazione di molti validi uomini, alcuni dei quali, sono felice di dire, sono
presenti questa sera.
Inventori, ingegneri, progettisti, industriali e finanziatori, tutti hanno dato il loro
contributo per una straordinaria rivoluzione nella trasmissione e nella
trasformazione dell’energia, come ha avuto modo di sottolineare il signor Behrend.
Felici dei risultati ottenuti, stiamo lavorando per muovere ulteriori passi avanti,
nella speranza e nella convinzione che questo sia solo l’inizio, verso nuove e
sorprendenti scoperte ancora da compiere.

Il pubblico si aspettava ormai solo i brevi ringraziamenti finali, ma Tesla


aveva appena cominciato. Proseguì descrivendo nei più piccoli dettagli
tecnici quelle nuove e sorprendenti scoperte ancora da compiere; parlò della
sua infanzia, e della straordinaria longevità dei suoi zii e dei suoi nonni
(ignorando che anche il suo pubblico stava cominciando a invecchiare!).
Parlò dei suoi metodi di lavoro, di come amava usare la sua immaginazione,
delle sue teorie sulla vita dopo la morte, e della «quantità di articoli dove
vengo definito un uomo poco pratico e senza successo, e di quei poveri
scrittori frustrati che mi hanno chiamato un visionario. Tale è l’assurda
miopia del mondo!».
Un uomo solo, un pubblico alle strette, e nessuno a sussurrargli di tornare
a posto: Tesla proseguì ancora a lungo.
Una delle condizioni della Edison Medal era che dovesse essere conferita
a una persona ancora in vita, e Tesla ora stava spiegando che lui era
ottimamente qualificato a ricevere il premio poiché, per un uomo della sua
età, era ancora estremamente vitale. Elencò poi con gran dovizia di particolari
tutte le disavventure e le malattie per le quali aveva rischiato la vita:
sicuramente qualcuno tra i presenti avrà rimpianto che fosse sopravvissuto.
Criticò poi il modo di lavorare di Edison, spiegando come il suo metodo
fosse decisamente migliore, e che sarebbe divenuto un modello per i futuri
ingegneri. Raccontò come studenti di psicologia, di fisiologia e altri esperti lo
avevano interrogato riguardo la sua capacità di avere delle visioni: «Si
potrebbe pensare che io soffra di allucinazioni, ma questo è impossibile,
poiché esse si manifestano solo in cervelli malati o ansiosi. La mia mente è
sempre stata lucidissima, e io non ho mai temuto niente in vita mia. Volete
che vi racconti le mie esperienze a riguardo?», chiese ai signori sul palco
accanto a lui, che, colti alla sprovvista, non riuscirono a fare nient’altro che
dire di sì con la testa. Così Tesla cominciò a divagare senza pietà, mettendo
tutti al corrente di quale delle sue due anziane zie fosse la più brutta; di come
un pazzo di nome Lucka rincorresse i bambini del villaggio natio
spaventandoli a morte, e di quando da bambino era stato morso da un papero
impazzito: aveva ancora la cicatrice sulla pancia. Per fortuna non si offrì di
farla vedere a tutti.
Quando poi Tesla passò a descrivere i riti funerari serbi, al pubblico in
sala il discorso iniziò ad apparire a dir poco surreale; le persone sul palco,
invece, speravano che rimanesse a corto di aneddoti prima di mezzanotte.
Imperterrito Tesla proseguì raccontando della sua capacità di viaggiare
attraverso la visualizzazione mentale; spiegò che in realtà non aveva un
compleanno poiché era nato esattamente allo scoccare della mezzanotte; di
come il suo cuore si fosse spostato da un lato all’altro del petto, nello stupore
generale dei medici; e di come sopravvisse un’intera notte chiuso in una
cappella stregata.
Sicuramente sarà arrivato alla fine, avrà pensato il suo pubblico ormai
innervosito, e invece no. Riprese a raccontare tutta la storia della sua
educazione, addirittura mimando la lunghezza dei piedi del suo insegnante di
fisica. Poi, per la quarta volta nella serata, ripercorse tutta la storia della sua
carriera, e questa volta con dettagli terribilmente personali, ad esempio nel
descrivere come aveva insegnato al pioniere della radio, John Stone, il
funzionamento delle onde stazionarie: «Dissi a Stone: “Hai visto il mio
brevetto?”; e lui rispose: “Sì, l’ho visto, ma pensavo fossi pazzo”». Senz’altro
il pubblico avrà compreso perfettamente quello che intendeva Stone, ma
Tesla proseguì indifferente, descrivendo come invece lo aveva convinto del
suo genio.
Finalmente, dopo un’ora intera di brevi ringraziamenti, l’inventore disse:
«Concludendo, signori, stiamo raggiungendo grossi risultati, ma dobbiamo
prepararci a un periodo di crisi senza precedenti, e finché la situazione non si
chiarirà, la cosa migliore da fare è sviluppare un progetto per neutralizzare i
sottomarini, ed è quello che sto facendo».
Con quest’ultimo patriottico riferimento agli sforzi bellici contro i
sottomarini tedeschi, si sedette. Il pubblico lo applaudì, sollevato all’idea che
avesse finalmente concluso; ma non era ancora finita. Alfred Cowles,
determinato a non farsi rubare il suo momento di gloria, presentò una serie di
fotografie scattate in Colorado, durante gli esperimenti con i fulmini, e Tesla,
alzatosi per ringraziarlo, riprese a parlare. Gli improperi del pubblico non
sono stati ovviamente messi a verbale, ma è facile immaginarseli.
«Ho costruito un impianto capace di produrre 100 milioni di volt,
gestendolo in perfetta sicurezza. Questo impianto», disse sventolando le foto
all’aula nuovamente ammutolita, «si trovava in Colorado. Se qualcun altro
senza le mie conoscenze avesse eseguito simili esperimenti, sarebbe
sicuramente morto».
Incredibilmente non rimase ucciso neanche quella sera, dopo che per altri
quindici minuti raccontò nuovamente degli esperimenti in Colorado. Non
appena tornò a sedersi, il presidente saltò in piedi e disse rapidamente: «Se
non c’è altro da aggiungere, la seduta è sospesa». I verbali, stenografati dal
segretario Hutchinson, contengono oltre sedicimila parole. La reputazione di
Tesla come uomo pieno di talento ma eccentrico senza controllo, ormai era
solidamente consolidata.
APPENDICE – UN OBLIO TOP SECRET

La diffusione della civiltà può essere paragonata a un incendio: prima una flebile
scintilla, poi una fiammella tremolante, infine una potente fiammata, in una
continua espansione di velocità e potenza.
NIKOLA TESLA

Negli anni Sessanta, tutti i giovani ingegneri elettrici erano abituati a


camminare con una mano in tasca. E non per incuria o per protesta, ma per
l’avvertimento che gli veniva dato il primo giorno che si presentavano in un
laboratorio: «Se una scossa elettrica attraversa il petto vi ucciderà, ma se la
stessa scarica resta su un lato del corpo vi procurerà solo qualche bruciatura».
Grazie a questo consiglio, gli ingegneri elettrici che che ci tengono alla pelle
tengono sempre una mano in tasca nelle vicinanze di elettricità libera. Gli
appunti di Colorado Springs dimostrano che Tesla fu il primo ingegnere a
consigliare questa pratica, per lavorare in sicurezza; di conseguenza molti
ingegneri elettrici gli devono la vita. Inventò inoltre il tachimetro delle
automobili, il contagiri meccanico, la diffusione radio, l’energia elettrica a
corrente alternata e le turbine senza pale.
Come è possibile che un uomo così versatile, le cui invenzioni hanno reso
possibile la nostra civiltà moderna, sia stato dimenticato? I nomi dei suoi
contemporanei, come Edison, Marconi, Westinghouse e persino J.P. Morgan,
sono tutti diventati leggendari, ma Tesla è quasi del tutto sconosciuto alla
gente, che però continua a beneficiare delle sue invenzioni tutti i giorni.
La comunità scientifica lo ha onorato dando il suo nome all’unità di
misura del magnetismo. Si tratta di una giusta commemorazione, poiché lo
mette allo stesso livello di altri grandi scienziati come Volta, Ampère,
Gilbert, Henry, Hertz, Ohm e Faraday, che hanno tutti un’unità di misura
elettromagnetica a loro nome. Tuttavia, anche se ottenne tale riconoscimento
da parte della comunità scientifica, crediamo che a lui sarebbe piaciuto
ricevere un’accoglienza più popolare.
Dopo tutto, la qualità della nostra vita moderna dipende dalla costante
disponibilità di elettricità, e furono proprio le sue visioni che l’hanno resa
possibile. Certo, gli ingegneri conoscono il suo nome poiché gli viene
insegnato come unità di misura del flusso magnetico, ma pochi conoscono la
storia dell’uomo che ha inventato il nostro XX secolo, e pochi ricordano il
debito che abbiamo nei suoi confronti.
Da ragazzo ero affascinato dall’elettricità, ed ero alla disperata ricerca di
un impianto radio senza fili, quando sentii parlare per la prima volta di Nikola
Tesla. Non volevo un qualsiasi vecchio impianto, bensì un AR88, un
ricevitore radio della marina, e trascorsi molti pomeriggi del sabato girando
per i negozi di attrezzature radio usate di Manchester, alla ricerca di
quell’apparecchio tanto desiderato.
Alcuni amici avevano il loro ricevitore e, di tanto in tanto, anche a me era
concesso usare il grosso radiogrammofono dei miei genitori in salotto, ma
non era lo stesso che avere il mio trasmettitore personale. Sintonizzavo il
radiogrammofono sulle frequenze più basse del selettore, proprio sotto Radio
Lussemburgo, e riuscivo a sentire quelli che avevano una propria stazione
parlare tra loro delle grandi distanze che le loro radio a onde corte erano in
grado di coprire, e vantarsi di riuscire a raggiungere interlocutori lontani.
Volevo saperne di più, e la curiosità mi spinse alla ricerca di una radio simile,
la più economica possibile.
Vagavo di negozio in negozio, con una mano al portafogli per proteggere
i miei pochi risparmi, setacciando pile e pile di cianfrusaglie e passando ore a
desiderare radio per me irraggiungibili. Un giorno, ormai a sera inoltrata,
dopo un’intera giornata di ricerche infruttuose, vidi un oggetto che pareva
fuori posto, su una mensola impolverata: una scatola di legno dal coperchio
luccicante che aspettava solo me per essere aperta. E così spesi tutti miei
risparmi in una “macchina per l’elettroterapia terapeutica” di Tesla.
Sollevai con cura il coperchio, e la polvere mi fece starnutire.All’interno
della scatola il marchingegno protetto da una fodera di velluto rosso
sembrava essere completo: una lucida bobina di filo smaltato, due cilindri di
rame collegati a conduttori montati su due cavi flessibili, un interruttore in
ottone e lo spazio per una grossa batteria, ora vuoto. L’etichetta sbiadita sotto
il coperchio promuoveva le capacità della corrente ad alta frequenza che
questo strano congegno un tempo aveva prodotto:

Le correnti fornite da questo apparecchio sono un tonico ideale per il sistema


nervoso umano. Promuovono il funzionamento del cuore e la digestione, inducono
un sonno benefico, liberano la pelle dall’eccessiva sudorazione e curano
raffreddore e febbre grazie al calore prodotto. Rivitalizzano parti del corpo
atrofizzate o paralizzate, alleviano ogni tipo di dolore e salvano centinaia di
persone ogni anno.

Decisi che l’apparecchio radio poteva aspettare. Questo era un vero e


proprio apparecchio magico! Tornando a casa sul tram elettrico sognavo già
gli esperimenti che avrei potuto compiere, e in effetti, quella primitiva ma
efficace macchina per elettroshock fu fonte di tante soddisfazioni di gioventù.
Mi procurai una nuova batteria da lampione da sei volt, che dovetti ordinare
espressamente al negozio di attrezzature radio, e fui pronto ad azionare la
macchina. La bobina iniziò a ronzare e a produrre spettacolari scintille - fonte
di grande godimento - e stringendo i cilindri tra le mani potevo avvertire uno
strano formicolio.
Entusiasta dei benefici delle correnti terapeutiche ad alta frequenza del
signor Tesla, convinsi i miei amici a formare un cerchio: ci prendemmo per
mano e i due elettrodi di rame chiudevano il circolo. Il fremito elettrico passò
di mano in mano, provocando strilli di sorpresa nell’attraversare i nostri corpi
elettrizzati.
Con questi primi successi iniziò la mia passione lunga una vita per i
meccanismi nascosti in ogni apparecchio elettrico. L’elettricità, che è
diventata importante per la società relativamente di recente, è ancora una
novità. La mia generazione è stata probabilmente la prima a poterla dare per
scontata. Ad esempio, a sud-ovest dell’Irlanda esiste una piccola vallata
conosciuta ancora oggi come Black Valley, perché fino a qualche anno fa era
l’unico luogo dove non fosse ancora arrivata la fornitura pubblica di
elettricità. Appena cento anni fa il semplice gesto di accendere la luce delle
nostre case premendo un interruttore sarebbe stato considerato un’impossibile
magia, e senza l’elettricità il nostro mondo sarebbe rimasto un luogo molto
più oscuro e ostile.
Se chiedete a chiunque sia bene informato: «Chi ha inventato
l’elettricità?», vi risponderà probabilmente: «Michael Faraday». Se visitate
una centrale elettrica e vi sottoponete al quiz per bambini della reception, vi
convincerete che è vero. Ma Faraday non ha inventato il mondo di oggi,
alimentato elettricamente. Fece semplicemente degli esperimenti che
dimostrarono che l’elettricità e il magnetismo appaiono sempre insieme, e
scrisse un importante libro intitolato Researches in Electricity (“Ricerche
sull’elettricità”). L’uomo che ha consegnato l’elettricità al mondo fu Nikola
Tesla - che inventò l’apparecchio per elettroshock che da bambino mi aveva
appassionato tanto - e questo libro vuole celebrare la sua storia.
E allora perché quest’uomo morì povero e solitario nella stanza di un
albergo? Perché il suo corpo fu trovato solo due giorni dopo la sua morte,
così che la data del decesso è incerta quanto, come lui diceva, quella della sua
nascita? Perché la maggior parte delle persone che beneficiano ogni giorno
dalla sua inventiva non conoscono nemmeno il suo nome?
In parte, l’oblio in cui cadde Nikola Tesla fu colpa sua. Al contrario di
Edison, Westinghouse, Marconi e J.P. Morgan, le cui società portano ancora
il nome dei loro fondatori e mantengono la memoria delle loro scoperte,
Tesla non lasciò alcuna testimonianza. L’opinione pubblica, quando si
ricorda di lui, lo dipinge solo come un esagerato scrittore di rubriche.
Considerate però alcuni titoli dei suoi ultimi scritti:

L’onda della marea di Tesla renderà impossibile la guerra; Sonno dall’elettricità;


Come mandare segnali su Marte; Il signor Tesla sul futuro; I progetti di Nikola
Tesla per i “segnali senza fili’’ alle navi in alto mare; Meraviglie del futuro;
Famose illusioni scientifiche; Nikola Tesla spiega come potremo volare a
un’altitudine di otto miglia a mille miglia l’ora; La radio può incendiare i
palloni?; Segnali su Marte nella speranza che vi sia vita; Comunicazione
interplanetaria; Chewing gum più letali del rum;Tornadi improvvisi; Nikola Tesla
racconta come difenderebbe l’Etiopia dall’invasione italiana; Inviare messaggi ai
pianeti predetti da Tesla nel giorno del compleanno.

Nei ventisei anni da quando ricevette la Edison Medal e la sua morte,


avvenuta nel 1943, l’opinione che si aveva di lui cambiò radicalmente. Non
veniva considerato un ingegnere serio, e fu visto solo come un vecchio folle
che prediceva miracoli: il fatto che la gran parte di questi miracoli si
avverassero, sembra che non abbia mai deposto a sua favore. Non capì mai
come comportarsi con le persone, sia con i singoli che con il pubblico. Le sue
affermazioni più sfrenate si basavano sempre su ragionamenti teorici, che a
volte spiegava, mentre altre volte preferiva interpretare il ruolo di “grande
uomo”, pretendendo che i lettori accettassero tutto quello che diceva. Spesso
cambiava idea e progetto, senza aver portato a termine il precedente, e questo
gli valse la reputazione di uomo dalla mente inaffidabile. Nonostante tutto, a
volte il mondo si ricordava di lui e lo onorava.
Ad esempio, il giorno del suo sessantacinquesimo compleanno, il «Time»
gli dedicò la copertina, dopo averlo rintracciato al Grosvoner Clinton Hotel,
dove viveva grazie all’aiuto del suo manager, dopo che era stato sfrattato dai
precedenti alberghi per non aver pagato il conto. Presto lasciò anche il
Grosvoner Clinton Hotel senza pagare, e fu costretto a lasciare in pegno tutti i
suoi bagagli. La Grande Depressione non aveva certamente aiutato le sue
finanze, e riuscì a trovare una casa per il resto della sua vita solo quando il
governo jugoslavo, mosso a pietà verso il proprio figlio più famoso ridotto in
povertà, gli concesse una piccola pensione di 7200 dollari l’anno. Ma anche
così era sempre costretto a cambiare albergo, poiché era sua abitudine attirare
i piccioni nella stanza, lasciando loro da mangiare sulla scrivania.
Spesso raccontava di aver fatto un voto, da piccolo, di dedicarsi
esclusivamente al lavoro e non perdere mai tempo con il matrimonio.
Invecchiando però, diventando più verboso e meno rispettato, deve aver
sofferto la mancanza di una famiglia che lo ascoltasse.
Le sue sorelle morirono tutte prima di lui, e l’unico membro della
famiglia che frequentò negli ultimi anni fu un nipote, Sava Kosanovich, ma
con il quale non andava d’accordo. Sempre solo, strinse amicizia con alcuni
giovani giornalisti scientifici, chiamandoli a qualsiasi ora del giorno e della
notte per conversazioni che duravano ore.
Cominciò perfino a festeggiare quel compleanno che diceva di non avere,
organizzando cene che non poteva permettersi in ristoranti popolari di New
York, costringendo i giovani giornalisti ad ascoltare i suoi lunghi discorsi sul
futuro. Rimase fisicamente attivo fino agli ottantuno anni, quando, investito
da un taxi di New York mentre attraversava la strada, la sua salute iniziò a
peggiorare.
Durante la cena del suo compleanno successivo, invece di parlare fece
una dichiarazione scritta. Benché avesse subito l’incidente da poco, la sua
mente era ancora in grado di sferrare un attacco alla teoria della relatività di
Einstein:

Ho lavorato a tutti i dettagli di una nuova teoria dinamica della gravità, e spero di
presentarla molto presto al mondo intero. Spiega in modo così esauriente le cause
di questa forza e il moto dei corpi celesti sotto la sua influenza che metterà fine alle
inutili speculazioni e false credenze, come quella dello spazio curvo. Secondo i
relativisti, lo spazio ha una tendenza alla curvatura che gli deriva da una sua
inerente proprietà o dalla presenza dei corpi celesti.
Pur volendo attribuirle una parvenza di realtà, tale idea fantastica si contraddice
comunque. A ogni azione corrisponde sempre una reazione, e gli effetti di
quest’ultima sono direttamente opposti a quelli della prima. Supponendo che gli
astri agiscano sullo spazio che li circonda causandone la curvatura, a me sembra
che gli spazi curvi debbano allora reagire sui corpi celesti e, producendo gli effetti
opposti, annullare quindi le curvature. Se azione e reazione coesistono, ne deriva
che la presunta curvatura dello spazio è del tutto impossibile. Ma anche se
esistesse, non spiegherebbe i moti dei corpi celesti così come vengono osservati.
Solo l’esistenza di un campo di forza può spiegare questi moti, e questo a
prescindere dalla curvatura dello spazio. Qualsiasi letteratura sul soggetto è inutile
e destinata all’oblio.

È davvero un peccato che Tesla non abbia mai pubblicato la sua teoria
dinamica sulla gravità. Il pensiero moderno suggerisce infatti che quando un
oggetto pesante si muove, emette onde gravitazionali che si irradiano alla
velocità della luce. Queste onde gravitazionali si comportano allo stesso
modo di molti altri tipi diversi di onde. Le grandi invenzioni di Tesla sono
tutte basate sullo studio delle onde: ha sempre considerato il suono, la luce, il
calore, i raggi X e le onde radio come un insieme di fenomeni legati tra loro,
rispondenti alla stessa legge matematica. Le differenze con la teoria di
Einstein ci suggerisce che Tesla avesse probabilmente esteso quest’idea
anche alla gravità.
Negli anni Ottanta si dimostrò che aveva ragione. In uno studio sulla
dispersione di energia di una pulsar a due neutroni chiamata PSR1913+16,
venne dimostrata l’esistenza delle onde gravitazionali. Oggi l’ipotesi di Tesla
sulla gravità come effetto del campo magnetico viene considerata più
seriamente di quanto non avesse fatto Einstein. Sfortunatamente Tesla non
rivelò mai che cosa lo avesse portato a una tale conclusione, e non spiegò mai
la sua teoria della gravità. L’attacco portato alla teoria di Einstein fu
considerato un oltraggio, dalla comunità scientifica del tempo, e solo oggi
abbiamo una conoscenza delle leggi gravitazionali tale da riconoscere che
aveva ragione. Tesla rilasciò poi un’altra affermazione sconsiderata, che dopo
la sua morte non fece altro che consegnarlo definitivamente all’oblio:

Durante quest’anno mi sono dedicato per molto tempo al perfezionamento di un


apparecchio piccolo e compatto, che riesce a inviare una considerevole quantità di
energia nello spazio interstellare, a qualsiasi distanza e senza la minima
dispersione. Lo vorrei presentare all’Istituto Francese, insieme a una descrizione
accurata degli apparecchi, con tutti i dati e i calcoli, e richiederò il premio Pierre
Guzman di 100.000 franchi per i mezzi di comunicazione con altri mondi. Sono
assolutamente sicuro che mi sarà assegnato. Sarei disposto a dare la vita non per il
denaro, che non ha nessuna importanza, ma per il grande onore di essere stato il
primo nella storia a raggiungere questo miracolo.

Tesla non ebbe il premio, né illustrò mai il suo lavoro. Il governo francese
non ascoltò mai le sue idee poiché gli eventi presero il sopravvento. Hitler
cominciava a estendere il suo potere in Europa, e la Francia fu invasa nel
1940.
Lo strumento di cui parlava Tesla sarebbe potuto essere un prototipo di
laser oppure un cannone al plasma, in grado di sparare particelle ad alta
energia nella ionosfera. I suoi appunti del Colorado mostrano che avrebbe
potuto realizzare entrambe le possibilità, e questi strumenti sarebbero stati
una logica conseguenza dei suoi esperimenti sui fulmini.
Nel 1940, appena passato il suo ottantaquattresimo compleanno, rilasciò
un’intervista al «New York Times» che venne pubblicata il 22 settembre:

Nikola Tesla, uno dei più grandi inventori, che ha celebrato il suo
ottantaquattresimo compleanno il 10 luglio scorso, rivela che è pronto a consegnare
al governo degli Stati Uniti il segreto della sua “teleforza”, in grado di liquefare, a
sua detta, il motore di un aereo a 250 miglia di distanza, e che permetterebbe di
costruire una sorta di invisibile muraglia cinese intorno al paese.

L’articolo non venne commentato dai colleghi scienziati. La sua


reputazione di essere un uomo sempre in cerca di celebrità superava la sua
credibilità e, con l’avanzata di Hitler in Europa, c’erano altre cose di cui
preoccuparsi. Nel 1941 gli Stati Uniti entrarono in guerra, e Tesla si sarà
sentito particolarmente coinvolto quando i tedeschi invasero anche il suo
paese natale. Che cosa poteva fare del suo “raggio mortale”, che il popolare
giornale aveva chiamato la sua “teleforza”? Voleva consegnarla al governo
degli Stati Uniti per aiutare sia il suo paese natio sia quello d’adozione.
Il 5 gennaio del 1943 Tesla telefonò al Dipartimento della Guerra e parlò
con il colonnello Erskine, al quale offrì i segreti della sua arma. Erskine, non
realizzando chi fosse, pensò che si trattasse di uno squilibrato. Promise di
richiamarlo, ma non lo fece mai. Questo fu l’ultimo messaggio di Tesla.
In quel periodo soffriva di frequenti attacchi di cuore, ormai indebolito, e
viveva all’Hotel New Yorker. La sera del 5 gennaio lasciò detto di non venire
disturbato e andò a letto. Chiedeva spesso allo staff dell’albergo di non
disturbarlo per due o tre giorni, ma questa sarebbe stata l’ultima volta.
A questo punto, la storia diventa un vero thriller. Tesla morì per un
attacco cardiaco tra la notte di martedì 5 e la mattina di venerdì 8 gennaio,
quando fu trovato dalla cameriera dell’albergo. L’unico parente conosciuto, il
nipote Sava Kosanovich, uno jugoslavo rifugiato in America per sfuggire
all’invasione tedesca, era tenuto sotto stretta sorveglianza dell’FBI, come
molti altri rifugiati, per il timore che fosse una spia.
La sera dell’8 gennaio Sava Kosanovich e altri due uomini, George Clark
e Kenneth Sweezey (un giovane giornalista scientifico), si recarono nella
stanza di Tesla con un fabbro per aprire la sua cassetta di sicurezza. Il nipote
aveva detto agli altri due uomini che era alla ricerca del suo testamento.
Inoltre, in veste di testimoni, erano presenti anche tre dirigenti dell’albergo e
un rappresentante del consolato jugoslavo. Sweezey trovò un libro nella
cassetta, che venne poi richiusa con una nuova combinazione e affidata a
Sava Kosanovich. Se questi trovò il documento non lo dichiarò mai, perché
risulta che Tesla morì senza aver fatto testamento. (Kosanovich, comunque,
raccolse tutti gli scritti e la strumentazione rimasti nella stanza, che oggi sono
custoditi nel Museo Tesla di Belgrado.)
La sera stessa il colonnello Erskine chiamò l’FBI per informarla della
morte di Tesla, sostenendo che il nipote dell’inventore aveva preso del
materiale che poteva essere usato contro il governo degli Stati Uniti. L’FBI
avviò immediatamente un’inchiesta a New York, e una volta accertato che
Kosanovich e altri due uomini erano entrati nella stanza di Tesla con l’aiuto
di un fabbro, contattò gli uffici dell’Alien Property Control (deposito
cautelativo per i beni degli stranieri), che sequestrò gli oggetti per conto del
governo.
Il funzionario del deposito, un tale Fitzgerald, andò all’albergo e confiscò
tutto ciò che restava delle proprietà di Tesla, con cui riempì due camion. Poi
le casse con le sue cose vennero sigillate e trasferite alla Manhattan Storage
& Warehouse Co. di New York, dove altri trenta tra sacchi e bauli di Tesla
erano lì in deposito fin dal 1934. Il sabato mattina Fitzgerald controllò tutti
gli effetti di Tesla e chiamò le autorità navali per fare copie su microfilm di
tutti i suoi documenti.
L’FBI scoprì inoltre che Tesla aveva depositato un’invenzione nella
cassetta dell’Hotel Grosvoner Clinton nel 1932, ma l’albergo rifiutò di
consegnarla agli agenti se il conto in sospeso di Tesla non fosse stato saldato.
Accettò comunque di informare l’FBI se qualcuno l’avesse reclamata.
I verbali dell’FBI dicono che Sava Kosanovich stesse cercando di
appropriarsi degli effetti di Tesla, e si temeva che avrebbe potuto passare tali
utili informazioni al nemico. L’FBI contattò il consulente scientifico del
vicepresidente Wallace, che ordinò di proteggere gli effetti di Tesla con ogni
mezzo e nel più breve tempo possibile; inoltre fu detto che Tesla aveva
completato e perfezionato i suoi esperimenti sulla trasmissione senza fili
dell’energia, e che aveva progettato un nuovo tipo di siluro. Il progetto e il
prototipo funzionante, costato diecimila dollari, era l’oggetto custodito nella
cassetta di sicurezza del Grosvoner Clinton Hotel. Tale prototipo era
sicuramente collegato con il “raggio mortale” di Tesla o con la trasmissione
senza fili della corrente elettrica.
Il Dipartimento di Stato, con lo scopo di tenere continuamente informato
il vicepresidente, propose al procuratore di considerare la possibilità di
arrestare Kosanovich per appropriazione indebita, per rientrare così in
possesso dei documenti che aveva preso dalla cassetta. A quel punto
Fitzgerald divenne il responsabile della sicurezza degli effetti di Tesla e dei
registri dell’FBI.
J. Edgar Hoover, lo storico direttore dell’FBI, inviò un promemoria di
istruzioni «per tutto ciò che riguarda le ultime vicende collegate a Tesla si
raccomanda la massima riservatezza, per evitare qualsiasi tipo di pubblicità
delle sue invenzioni, e di prendere tutte le precauzioni necessarie a mantenere
il segreto di tali scoperte».
Così, tutto il lavoro di Tesla fu dichiarato “top secret”, e qualsiasi
discussione in merito fu vietata.
Ironia della sorte, il “raggio mortale” era possibile, ed è soltanto negli
ultimi anni che la scienza ha potuto confermare la scoperta di Tesla. Il 18
ottobre 1993, il Dipartimento Americano della Difesa annunciò di aver
cominciato a costruire un centro di ricerche missilistiche sperimentali sulla
ionosfera a Gakona, in Alaska. Il centro, conosciuto come HAARP (High
Frequency Active Auroral Research Program) è stato costruito dalla
Raytheon Corporation e nel suo programma di esperimenti sulle proprietà di
risonanza della Terra e dell’atmosfera coinvolge le università di Alaska,
Massachusetts, Stanford, Penn State, Tulsa, Clemson, Maryland, Cornell,
UCLA e MIT. Il legame con il lavoro di Tesla è evidente. L’HAARP si
occupa esattamente degli stessi fenomeni studiati da Tesla cento anni fa in
Colorado.
L’HAARP si basa sulle ipotesi di Bernard Eastlund, proprietario di tre
brevetti (4.686.605 - 4.712.158 - 5.038.664), tutti e tre rilasciati come
perfezionamento di quei brevetti di Tesla depositati dopo gli esperimenti in
Colorado. Gli scopi dei brevetti, di cui si deve dimostrare la fattibilità prima
che il brevetto venga rilasciato, sono: «metodo e dispositivo per alterare uno
strato dell’atmosfera terrestre, ionosfera e/o magnetosfera»; «metodo e
dispositivo per un ciclotrone artificiale in grado di generare una zona di
plasma»; «metodo per produrre uno scudo di particelle relativistiche a
un’altitudine superiore alla superficie terrestre».
Quest’ultimo brevetto, che descrive uno scudo antimissile capace di
distruggere l’elettronica di missili o satelliti nemici, è la realizzazione del
“raggio della morte” di Tesla. Funziona producendo un’aggregazione di
plasma di particelle ad alta energia, una sorta di fulmine globulare
dell’esperimento in Colorado, ma molto più grande.
Alla fine Tesla aveva ragione: la sua “teleforza” è stata realizzata, e sei
mesi dopo la sua morte vinse anche la battaglia per i brevetti con Marconi: la
Corte Suprema degli Stati Uniti riconobbe che fu Tesla l’inventore della
radio. In realtà fu una vittoria insignificante, visto che entrambi i brevetti
erano scaduti, gli scienziati erano ormai morti e nessuno poteva parlarne,
visto l’ordine “top secret” che proibiva di parlare del lavoro di Tesla.
Il risultato finale di questa triste catena di eventi fu che uno dei maggiori
benefattori dell’umanità è stato quasi del tutto dimenticato. Tesla morì come
aveva vissuto: solo e disperato, destinato all’oblio a causa della sua ultima
volontà di aiutare il governo degli Stati Uniti. Era uno scienziato
incredibilmente brillante, un profeta in grado di leggere davvero nel futuro,
ma che il suo tempo non fu in grado di comprendere. Era così individualista
ed egocentrico che non instaurò mai nessuna relazione personale, né con gli
uomini né con le donne. Eppure era un uomo di enorme cultura, che
conosceva molte lingue; negli ultimi anni della sua vita si era guadagnato da
vivere anche traducendo testi letterari nelle lingue europee orientali. Non
riuscì mai a creare un’attività che durasse nel tempo, né a legarsi con quelle
istituzioni che avrebbero potuto mantenere vive le sue scoperte. Perfino il
Museo Tesla di Belgrado fu creato molto tempo dopo la sua morte.
Ogni possibilità di celebrare i traguardi conseguiti in vita si perse nel
panico creato dalla sua morte in epoca di guerra: il suo lavoro fu dichiarato
“top secret” dall’FBI, dalla marina militare americana e dal vicepresidente
Wallace, ed è solo oggi, sessant’anni dopo, che possiamo ricordarlo
pubblicamente. Lavorare con lui dev’essere stato davvero difficile: la sua
completa dedizione al lavoro e la sua insofferenza nei confronti di chi non
considerava alla sua altezza fecero sì che sempre meno persone lo
sopportassero. Ma chissà quale splendida compagnia dev’essere stata nel
periodo delle sue cene newyorchesi.
Seduto qui alla mia scrivania, sono circondato dalle testimonianze
dell’opera di quest’uomo: ho qui davanti il mio computer, alimentato
elettricamente, la luce al neon illumina il mio studio, che viene riscaldato
dall’acqua di un motore a induzione a corrente alternata, e ascolto la musica
trasmessa dalla radio. Mentre il mio scanner e il modem sono pronti a inviare
e a ricevere fotografie e messaggi ovunque nel mondo, sto utilizzando
l’eredità di Tesla. Il sole sta tramontando dietro ai monti Pennini, e fuori della
finestra vedo schierarsi i monumenti a Tesla, che portano l’elettricità in tutto
il paese. Vedo i cavi della National Grid sospesi sugli tralicci che sibilano e
scricchiolano nell’aria umida della sera. Lungo la vallata corre il doppio cavo
intrecciato a 11.000 volt della linea di distribuzione locale, e riesco appena a
vedere il trasformatore che riduce il voltaggio a 240 volt per arrivare alla mia
casa in perfetta sicurezza.
Quando passerete vicino a una fila di tralicci che trasportano l’energia
elettrica, che permettono la vostra vita civilizzata, mettetevi una mano in
tasca e dedicate un ringraziamento a Nikola Tesla, il solitario, dimenticato,
verboso, ossessionato, brillante genio che ha fatto tutto questo per voi.
Tesla riassunse la sua vita con queste brevi parole:

Provo continuamente un’inesplicabile soddisfazione nell’apprendere che il mio


sistema polifase viene usato in tutto il mondo per illuminare i luoghi oscuri
dell’umanità, per portare gioia e comodità; e che il mio sistema senza fili, in tutte le
sue essenziali caratteristiche, è utilizzato per rendere un servizio e per offrire
felicità alla gente, in ogni angolo del mondo.
RINGRAZIAMENTI

Non ho voluto scrivere questo libro come un testo accademico, la mia


intenzione era solo quella di riportare la storia di Nikola Tesla nel modo più
semplice possibile. È stato un genio dimenticato dell’ingegneria e come tale
deve essere ricordato. Non ho inserito note o citazioni da coloro che hanno
aiutato il mio lavoro con informazioni e suggerimenti, né ho segnalato i libri,
le riviste e i quotidiani che ho consultato. Tuttavia sono estremamente
riconoscente per l’aiuto ricevuto.
Vorrei ringraziare in particolare il sig. Tony Heyes e Michael Hampshire
e Robert Tomlinson della Salford University, per avermi spiegato la legge di
Ohm e suggerito di tenere sempre una mano in tasca. Sono loro che mi hanno
introdotto al lavoro di Tesla, suscitando il mio interesse per l’argomento.
Il defunto dott. John Crooks, con il quale ho condiviso per molti anni un
laboratorio di ricerca e gli entusiasmanti studi sugli effetti della risonanza
magnetica, e che rimarrà sempre un caro amico.
Il sig. Gordon Brown, capo ingegnere della PIRA in pensione, che per la
prima volta mi ha fatto pensare a una biografia di Tesla, e che aveva già
scritto molto sul lavoro dell’inventore.
Il sig. Paul Hover, che mi ha fatto capire quanto il lavoro di Tesla merita
di essere ricordato, e che mi ha messo al corrente delle sue ultime
applicazioni.
Jenny Finder e lo staff della biblioteca del Bradford Management Centre,
che mi sono stati di grande aiuto, per quanto le mie richieste fossero vaghe e
irragionevoli o i volumi che richiedevo fossero esauriti.
I miei colleghi della Bradford University, con i quali abbiamo fatto molte
chiacchierate su Tesla e sul suo lavoro, dietro a interminabili tazze di caffè
nella Senior Common Room. Infine, un grazie al mio agente Bill Hamilton
della A.M. Heath e al mio editor Doug Young dell’Headline Books, due
signori con il talento raro e la pazienza di prendere l’intricata matassa della
prima stesura, sbrogliarne i capi e ricomporne con delicatezza la trama dai
nodi delle mie idee.
BIBLIOGRAFIA

Nikola Tesla, Colorado Springs Notes, 1899-1900, The Nikola Tesla


Museum, Belgrade, 1978.
Matthew Josephson, Edison: A Biography, Eytre and Spottiswoode,
Connecticut, 1961.
Ronald W.Clark, Edison: The Man who made the Future, Macdonald and
Jane’s, London, 1977.
Nikola Tesla, Experiments with Alternate Currents, McGraw Publishing,
California, 1904. Reprinted Omni Publications, California, 1979.
Francis G Leupp, George Westinghouse, McGraw Publishing, New York,
1918.
Brian Bowers, A History of Electric Light and Power, Peter Peregrinus
Ltd, in association with the Science Museum London, London, 1982.
W.J. Baker, A History of the Marconi Company, Methuen, London, 1970.
Nikola Tesla, Lectures, Patents, Articles, The Nikola Tesla Museum,
Belgrade, 1956.
Inez Hunt and Wanetta W. Draper, Lightning in His Hand: The Life Story
of Nikola Tesla, Omni Publications, California, 1977.
Nikola Tesla, My Inventions: The Autobiography of Nikola Tesla, Edited
by Ben Johnson, Hart Brothers, New York, 1985.
E. Hawks, Pioneers of Wireless, Methuen, London,1927.
John J. O’Neill, Prodigal Genius: The Life of Nikola Tesla, Neville
Spearman, London, 1968.
John T. Ratzlaff, Tesla Said, Tesla Book Company, New York, 1984.
Tribute to Nikola Tesla, The Nikola Tesla Museum, Belgrade, 1961.
James E. Brittain, Turning Points in American Electrical History, IEEE
Press, New York, 1977.

Quotidiani, riviste e altre pubblicazioni

«Century Magazine»; «Colliers»; «Electrical Engineers»; «Engineering


News»; «Literary Digest»; «Newsweek»; «Time»; «North American
Review»; «Scientific American»; «World Today»; «The Times» (London);
«New York Times»; «New York Sun»; «New York Herald Tribune»;
«Sunday Times» (London).
1)
 N. Tesla, Le mie invenzioni. Autobiografia di un
genio, Piano B edizioni, Prato 2012.

2)
 N.Tesla, Le mie invenzioni. Autobiografia di un
genio, Piano B edizioni, Prato 2012.

3)
 N. Tesla, Sull’incremento dell’energia umana, Piano
B edizioni, Prato 2014.

4)
 Nature and Nature’s laws lay hid in night: God said,
«Let Newton be!» and all was light. Alexander Pope
scrisse questo epitaffio per Isaac Newton,
parafrasando a sua volta la Bibbia.

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