Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
costituzionali
Lezione XVIII
fi
fi
fi
fl
A) La società è necessaria alla vita individuale: la società è necessaria agli uomini che la compongono,
come l’organismo lo è per i singoli organi. Il cuore, il fegato ecc. non esistono fuori dall’organismo e, staccati
da esso, muoiono; la stessa cosa vale per gli individui nella società.
B) L’individuo vive in funzione della società: l’essere umano non vive per sé, per il suo interesse
particolare, ma vive per la società cui appartiene e di cui è un dipendente o un funzionario, così come il cuore
pompa il sangue, il fegato lo depura ecc., non nel proprio interesse ma in in funzione dell’intero organismo.
Gli organi devono funzionare bene af nché l’organismo non ne risenta e af nché l’organismo in buona salute,
a sua volta, possa dare energia e vita ai suoi organi.
C) La società è un’organizzazione differenziata, nella quale ciascun individuo e ciascuna classe sociale
sono destinati a compiti speci ci. Tra di essi non c’è uguaglianza, ma differenziazione.
D) Il compito delle componenti della società è obbligato, non può essere scelto dai singoli. Le singole parti
non possono modi carlo o scambiarselo, così come il cuore non può fare ciò che fa il fegato e viceversa.
E) La vita della società, in ne, è regolata da una legge naturale, necessaria, non stabilita ma subita dagli
uomini. Il contenuto di questa legge sono rapporti concreti tra individui legati tra loro per ragioni biologiche.
La teoria organicista della società può essere maggiormente compresa attraverso il confronto con la
concezione opposta, l’individualismo, il quale rovescia il rapporto tra il tutto e le parti, attribuendo loro il
primato sulla società.
Prof. Antonio Gusmai
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
…segue: i caratteri fondamentali delle società «aperte»
Raf gurare la società come prodotto della libera creatività degli uomini signi ca attribuire a essa
caratteri che sono l’esatto opposto di quelli sopra indicati a proposito dell’organicismo. Queste le
caratteristiche.
I) La società non è indispensabile alla vita individuale. Gli uomini vivono una loro libera vita
individuale, che esiste prima e indipendentemente dalla società. Questa è formata dalla volontà di
quelli. Gli uomini possono uscire dalla società o trasformarla quando essa non corrisponde più alle
loro esigenze. La società è il prodotto degli uomini, non l’opposto: non è vero, cioè, che gli uomini
esistono solo in quanto «parti» di organismi sociali. Gli uomini vengono prima, la società dopo.
II) La società vive in funzione degli uomini. La società serve agli uomini, è uno strumento della
loro vita. È la società che deve funzionare bene nell’interesse degli uomini, non il contrario.
III) La società è un’organizzazione libera. Nella società non esistono compiti naturali prestabiliti,
ma sono gli uomini che li determinano e li modi cano liberamente.
IV) Gli uomini scelgono i loro compiti sociali. Spetta a loro, e non alla natura o alla nascita,
scegliere e distribuire i diversi compiti sociali, perché nessuno è predestinato ad alcunché e tutti
sono autorizzati a cercare la posizione sociale che reputano più conveniente e a lottare per
ottenerla.
V) La società si basa su una legge arti ciale. Il funzionamento della società non è regolato da una
legge naturale concreta e necessaria, che sta sopra gli uomini, ma da leggi astratte ch’essi
stabiliscono e, quando occorre, cambiano. La società non ha una legge, ma siamo noi a dovergliela
dare.
Prof. Antonio Gusmai
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
Diritti «individuali» e «collettivi»
Fatta un po’ di chiarezza sulla struttura sociale, è possibile adesso passare allo studio dei diritti e doveri
costituzionali. Un’importante distinzione è tra i diritti (e i doveri) riconosciuti agli individui e i diritti (e i doveri)
riconosciuti a organizzazioni d’individui. Le organizzazioni di individui sono denominate dall’art. 2 Cost.
«formazioni sociali». Esse, nella strutturazione della società, si collocano, anche se talora solo
temporaneamente (come le «riunioni»), tra il singolo individuo e lo Stato. Si può dire che vi è come una
gradazione che inizia dall’individuo singolo, prosegue con la formazione sociale più piccola, la famiglia, e poi
con quelle più ampie, come le associazioni, il sindacato, il partito, la chiesa, ecc. e giunge no allo Stato (lo
«Stato comunità»), che è l’organizzazione politica più ampia. La protezione delle formazioni sociali giunge al
punto di considerarle, esse stesse, titolari di diritti costituzionali. Si pensi ai diritti della famiglia (art. 29 Cost.),
delle associazioni (art. 18 Cost.), dei sindacati (art. 39 Cost.), dei partiti politici (art. 49 Cost.), delle Chiese
(artt. 7 e 8, comma 2 Cost.).
Si comprende quanto le formazioni sociali siano rilevanti. Se non ci fossero, ciascun cittadino sarebbe solo di
fronte allo Stato (lo «Stato apparato») e sarebbe perciò esposto al potere soverchiante di quest’ultimo. Invece,
l’unione reciproca di più individui moltiplica, per così dire, la capacità di partecipazione alla vita pubblica e la
forza di ciascuno di essi, tramite il collegamento con la forza degli altri.
Si deve però ribadire che le formazioni sociali sono previste dall’art. 2 Cost. come mezzi di sviluppo della
personalità dei singoli. Ciò signi ca che il ne ultimo è sempre la persona. Perciò, i diritti delle formazioni
sociali non si possono trasformare in poteri che soffocano coloro che ne fanno parte. Ad esempio,
l’appartenenza agli ordini religiosi è perpetua per la Chiesa, ma per lo Stato è sempre revocabile. Questo
perché, secondo il diritto dello Stato, nessuno può essere costretto a stare in strutture collettive dalle quali
intende uscire (anche se ha pronunciato un voto religioso di appartenenza). La famiglia è un luogo di crescita
delle persone, ma non può diventare un luogo di sofferenza in cui l’autoritarismo e la prepotenza di qualcuno
schiacciano la personalità degli altri. Quando ciò avviene, è possibile sciogliere il vincolo coniugale (il divorzio) o
sottrarre i gli alle violenze dei genitori, attraverso provvedimenti dei giudici minorili. Se un’associazione viola i
diritti degli associati, questi possono, oltre che uscirne, rivolgersi anche a un giudice per ottenere il rispetto dei
propri diritti nei confronti dell’associazione stessa.
Prof. Antonio Gusmai
fi
fi
fi
fi
Diritti «negativi»
I diritti sono pretese garantite dal diritto. Il contenuto delle pretese può essere «negativo» o «positivo». Si tratta di
una distinzione molto importante.
I diritti negativi si denominano così perché consistono in pretese di non essere impediti, di essere lasciati
tranquilli nello svolgimento della propria libertà (per esempio, di non essere arrestati, di non essere ostacolati nel
manifestate il proprio pensiero etc.). A questi diritti corrisponde l’altrui dovere di astensione da interferenze,
impedimenti, turbative. Allo Stato si chiede di non ingerirsi nell’ordine sociale, ma di essere il garante delle sue libere
dinamiche, intervenendo solo per prevenire e reprimere gli abusi. Si tratta della concezione propriamente liberale
dello Stato (Stato-gendarme o Stato-guardiano notturno), il cui obiettivo è la garanzia del libero e ordinato sviluppo
delle energie sociali. Perciò, si dice che i diritti negativi sono «diritti a non» (subire limitazioni). La libertà ch’essi
proteggono è invece la «libertà di» (poter fare quel che si vuole, nel rispetto della legge). Esempi di libertà negative
sono: la libertà personale (ex art. 13 Cost. garantita da una doppia «riserva»: assoluta di legge e di giurisdizione); la
libertà di domicilio (ex art. 14 Cost., il domicilio comprende ogni luogo in cui si esprime la vita privata del singolo); la
libertà di comunicazione (ex art. 15 Cost., tutela oggi anche il diritto alla privacy); la libertà di circolazione e
soggiorno (art. 16 Cost.), la libertà di riunione (art. 17 Cost.) e di associazione (art. 18 Cost.); la libertà di culto
(art. 19 Cost.).
I diritti negativi, dunque, si affermano nell’Ottocento, quando il regime liberale si accontentava di assicurare
l’uguaglianza di tutti di fronte alla legge (c.d. «formale») e lasciava all’intraprendenza dei singoli il compito di
soddisfare i propri bisogni primari, trascurando il fatto che solo una minoranza aveva i mezzi economici per farlo. Ciò
corrispondeva a una precisa ideologia, secondo la quale ognuno è arte ce della propria vita e della propria fortuna.
Gli infelici, i diseredati, i poveri dovevano imputare solo a se stessi la propria condizione. L’autore che meglio di ogni
altro teorizzò questa posizione, avendo grande successo tra le classi agiate, fu il losofo Herbert Spencer. Egli
auspicava che i soggetti più deboli fossero lasciati a loro stessi e quindi «naturalmente» eliminati dai più forti. Nella
sua visione completamente estranea alla solidarietà tra gli uomini, la sopraffazione dei forti sui deboli si giusti cava in
nome del miglioramento della razza umana e dell’esigenza che solo i più «adatti» alla vita sociale potessero diffondere
la propria discendenza. Con questi concetti, Spencer esportò le concezioni evoluzionistiche di Charles R. Darwin
dall’ambito della biologia a quello della sociologia e della politica.
Prof. Antonio Gusmai
fi
fi
fi
Diritti «positivi» o «sociali»
Con la Costituzione repubblicana, sotto le in uenze del pensiero socialista e cristiano e con l’accesso
allo Stato democratico delle classi più povere, prevalgono idee del tutto diverse da quelle vigenti
nell’Ottocento liberale.
L’indigenza, infatti non è - o, si auspica, non dovrebbe più essere - considerata una colpa dei singoli
ma, principalmente, una responsabilità della società. Le cause che producono squilibri, ingiustizie,
emarginazione etc., sono infatti attribuite ai meccanismi della società (si pensi agli effetti del capitalismo
spinto moderno). Da ciò scaturisce l’esigenza di una politica sociale dello Stato. Questa politica è
essenziale per il mantenimento della democrazia. Invero, non c’è democrazia reale se non in una
società nella quale tutti siano liberati dalla schiavitù dei bisogni minimi vitali e possano così partecipare
alla vita politica e sociale del Paese.
Grazie alla positivizzazione del principio di uguaglianza di tipo sostanziale (art. 3, comma 2,
Cost.), si affermano dunque i «diritti positivi», che invece comportano la pretesa di ottenere qualcosa
da parte dello Stato. Come, per esempio, prestazioni e servizi per la sicurezza della vita e per il
soddisfacimento di bisogni essenziali. Si pensi al diritto all’istruzione, al lavoro, alla salute,
all’assistenza, alla sicurezza sociale etc. Perciò, questi sono «diritti a» (ottenere prestazioni). La
libertà che essi proteggono è la «libertà da» (dal bisogno, dall’ignoranza, dalle malattie). Non ci si
accontenta dell’astensione dello Stato e delle garanzie (formali) contro gli abusi: si richiede, invece, che
esso operi positivamente per dare ai singoli ciò di cui hanno bisogno, per promuovere il loro benessere.
Si chiede dunque allo stato di «fare», cioè di destinare risorse pubbliche e promuovere attività per
creare posti di lavoro, costruire ospedali, istituire scuole, pagare insegnanti e medici, etc. Poiché l’opera
dello Stato è rivolta, in questi casi, a promuovere una società in cui i bisogni essenziali siano garantiti a
tutti, i diritti positivi si dicono «sociali» e lo Stato stesso si denomina Stato di benessere (o Welfare
State).
Prof. Antonio Gusmai
fl
Segue: i servizi sociali
Lo strumento con cui i diritti sociali sono resi concreti è costituito dalla rete
dei «servizi sociali». Si tratta di un complesso di servizi, di cui alcuni sono riservati
ai soli lavoratori e loro familiari, altri all’intera comunità: il ramo del diritto che ne
studia l’organizzazione è la legislazione sociale.
1) la previdenza sociale (ex art. 38, comma 2, Cost., si pensi all’Istituto nazionale
della previdenza sociale, all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni
del lavoro, dunque alle assicurazioni contro le invalidità, alle pensioni di vecchiaia e
di anzianità, alle indennità per la disoccupazione involontaria).
2) l’assistenza sanitaria (ex art. 32 Cost., corollario del diritto alla salute, unico
diritto che la Costituzione de nisce «fondamentale»);
3) l’assistenza sociale (ex art. 38, comma 1, Cost., il legislatore ha creato un
complesso sistema assistenziale per gli anziani, contro la povertà, a favore dei
disabili, contro le dipendenze, per gli immigrati).
Prof. Antonio Gusmai
fi
fi
Segue: tutti i diritti «costano»
La protezione dei diritti, in realtà, comporta sempre delle spese. Ma c’è una differenza tra i «diritti
negativi», che implicano la predisposizione di apparati per la prevenzione e la repressione in caso
di violazione (forze dell’ordine, tribunali, carceri etc.), e i «diritti positivi», che richiedono apparati non
per le violazioni ma per l’attuazione (investimenti produttivi, ospedali, scuole, strutture previdenziali).
Lo Stato sociale è dunque quello che si impegna in politiche di promozione dei diritti positivi. Tale
impegno implica la disponibilità di grandi risorse nanziarie cui lo Stato provvede attraverso il
prelievo tributario o attraverso l’indebitamento (emissione di «titoli» del debito pubblico). In ogni caso
ciò si traduce in pressione scale (anche l’indebitamento nisce per trasformarsi, prima o poi, in imposte
e tasse per ripagare coloro che hanno prestato denaro allo Stato, sottoscrivendo i titoli del suo debito).
Se la richiesta di servizi sociali è crescente, si determina uno squilibrio tra le risorse reperibili e le spese
necessarie. Quando si rompe l’equilibrio strutturale tra le entrate e le spese, si determina quella che
si è chiamata la «crisi scale», dalla quale deriva l’impossibilità di dare risposta alle richieste di
prestazioni «che costano» e quindi la riduzione dei diritti sociali.
La situazione in Italia è aggravata da una distorta concezione dello Stato sociale e da una falsa
interpretazione delle norme costituzionali che prevedono i relativi diritti. Invero, i diritti sociali, a
differenza dei diritti negativi, non spettano a tutti indifferentemente. Secondo la Costituzione, essi
devono valere a proteggere soltanto, o con precedenza, coloro che si trovano in condizioni di bisogno.
La c.d. «universalità» delle prestazioni si traduce in «Stato assistenziale», che è una degenerazione
dello Stato sociale. Le prestazioni indifferenziate a favore di chi può come di chi non può, oltre a pesare
in maniera insostenibile sulla nanza pubblica, violano il principio di uguaglianza, trattando in modo
uniforme situazioni diverse. L’art. 3, comma 2, Cost., richiede che l’impegno della Repubblica a
protezione dei cittadini si concentri a favore delle categorie meno favorite, senza estensioni
indiscriminate.
Prof. Antonio Gusmai
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
La crescita esponenziale dei c.d. «nuovi diritti»
L’evoluzione della coscienza sociale e, soprattutto, il progresso scienti co e tecnologico
hanno portato, negli ultimi anni, a far dichiarare ai giudici l’esistenza di «nuovi diritti» (e
corrispondenti libertà) costituzionali.
Si pensi al diritto fondamentale all’abitazione, all’alimentazione adeguata, al proprio decoro e
alla reputazione, alla riservatezza, alla procreazione, all’identità sessuale,
all’autodeterminazione terapeutica etc. Tutti questi diritti oggi esistono al di là di una speci ca
previsione costituzionale. Per questo si de niscono «nuovi».
In merito, parte della dottrina e della giurisprudenza hanno ritenuto che tali diritti trovano
nell’art. 2 Cost. la loro giusti cazione. Tale principio fondamentale, infatti, stabilendo che «la
Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo», ammette che “i diritti”
«preesistano» “al diritto”: l’ordinamento giuridico, in sostanza, sarebbe chiamato a
riconoscerli in quanto già affermatisi nella realtà sociale.
Questa tesi, che vede nell’art. 2 Cost. un «catalogo aperto di diritti», viene spesso associata
all’ideologia giusnaturalista. In realtà, si tratta semplicemente di prendere atto dell’esistenza
di una dimensione dinamica del diritto che siologicamente porta la comunità, attraverso i
giudici, ad avanzare pretese giuridiche di rilevo costituzionale non ancora positivizzate - in via
generale - dal legislatore.
Il fatto che nel nostro ordinamento si neghi ancora la valenza di fonte del diritto alla
giurisprudenza, porta studiosi e tecnici a erroneamente “licenziare” la questione come
«giusnaturalista». Quando, invece, la questione è al massimo riconducibile a parte del
pensiero «giusrealista».
Prof. Antonio Gusmai
fi
fi
fi
fi
fi
I doveri costituzionali
Sinora s’è trattato dei diritti, ossia di situazioni giuridiche che ampliano le possibilità di individui e
formazioni sociali. Ma, af nché possano essere soddisfatte, nel miglior modo possibile, le pretese
della comunità, è indispensabile che essa adempia ad una moltitudine di doveri (si pensi
all’importanza del dovere-obbligo di non circolare a causa dell’emergenza Covid-19, o al dovere
di vaccinarsi).
Uno Stato privo del potere di imporre doveri non sarebbe nemmeno immaginabile. Anzi, si
può aggiungere, che mentre non si può immaginare uno Stato in cui non esistano doveri, è
perfettamente immaginabile uno Stato che non riconosce alcun diritto ai suoi «sudditi» (lo Stato è
nelle mani di un despota o di un tiranno). I doveri (come soggezione al potere statale) sono la
situazione primordiale e ineliminabile in cui si trovano i singoli nei confronti dello Stato. I
doveri sono sempre esistiti e sempre esisteranno, in qualunque Stato. I diritti sono invece una
conquista, ottenuta nel corso della storia attraverso le Costituzioni.
Perché allora la Costituzione prevede più diritti che, come si vedrà, doveri? Il fatto è che i diritti,
per esistere, devono essere proclamati dalla Costituzione, che vincola anche lo Stato a
rispettarli. I doveri possono essere invece imposti dallo Stato in base ai propri ordinari
poteri, anche se non trovano alcuna base nella Costituzione (alla sola condizione che non
violino i diritti che la Costituzione espressamente garantisce). Si tratta di una lista potenzialmente
quasi in nita (si pensi ai doveri imposti dal codice penale, al dovere di eseguire gli ordini legittimi
delle pubbliche autorità, al dovere di prestare testimonianza sotto giuramento etc.).
Il potere dello Stato di imporre l’osservanza di doveri ai singoli non si basa, dunque, su speci che
norme costituzionali, ma sul semplice fatto che lo Stato esiste.
Prof. Antonio Gusmai
fi
fi
fi
Segue: che cosa si intende per «doveri verso lo Stato»?
Dipende, occorre distinguere. Nello Stato autoritario, si tratta di doveri nei confronti dello «Stato-
apparato»; nello Stato totalitario, nei confronti dello «Stato-tutto»; nello Stato repubblicano, i doveri
sono stabiliti a vantaggio dello «Stato-comunità», cioè a favore di tutti i cittadini, e sono fatti valere
concretamente dallo Stato-apparato con i suoi organi. Questo punto è essenziale. Se lo si dimentica, i
doveri possono sembrare solo pretese vessatorie che i cittadini sono autorizzati moralmente a cercare
di raggirare e trasgredire. Diverso è, invece, se ci si rende conto che si sottostà a doveri perché ciò è
nell’interesse di tutti e, alla ne, anche di se stessi (si pensi, ancora, all’importanza del dovere di
vaccinarsi durante una pandemia).
Ad ogni modo, la Costituzione contiene i seguenti riferimenti ai doveri, tutti non facilmente traducibili
in ben precise regole di comportamento:
A garanzia dei cittadini, l’art. 23 Cost. detta una disciplina generale degli obblighi e dei doveri speci ci
di prestazione personale e patrimoniale. È prevista una riserva di legge (relativa) la quale vieta
l’esercizio di qualsiasi potere autoritario, se non è fondato sulla legge (principio di legalità).
Prof. Antonio Gusmai
fi
fi