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Gli atti e i provvedimenti

amministrativi

Lezione XIV

Prof. Antonio Gusmai


«Atti» e «provvedimenti» amministrativi


La P.A., al ne di curare l’interesse pubblico, agisce attraverso atti amministrativi.
Tale categoria è eterogenea (regolamenti amministrativi, atti di programmazione,
direttive amministrative, meri atti aventi rilevanza interna, circolari).
Quando un atto amministrativo produce effetti esterni all’organo che lo ha emesso e,
quindi, rappresenta un atto conclusivo di un determinato procedimento, esso si
de nisce provvedimento amministrativo.
Alcuni problemi sono posti poi da alcuni atti, la cui natura normativa o provvedimentale
è assai discussa. La questione è di grande attualità, visto che si tratta delle ordinanze
amministrative che posso essere emanate in casi di urgenza e necessità, anche in
deroga alle disposizioni di legge, per fronteggiare situazioni eccezionali destinate ad
esaurirsi nel tempo (ciò che sta accadendo durante l’emergenza Covid-19).
Si pensi alle ordinanze previste dal Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza
(TULPS), della Protezione civile, oltre che quelle previste dai Sindaci (c.d. “ordinanze
contingibili e urgenti” ex art. 54, comma 4, TUEL).
Tali atti (tra questi anche i dd.p.c.m. recentemente adottati dal Governo), non
possono porsi in contrasto con la legalità costituzionale. Possono, cioè,
temporaneamente derogare alla legge, ma non alla Costituzione (Corte cost., sentt.
n. 4/1977 e 115/2011). Ragion per cui, come ha stabilito il giudice delle leggi (sent. n.
4/1977), poiché tali ordinanze non sono autorizzate a modi care, ma solo a
derogare provvisoriamente il diritto vigente, non debbono essere ricomprese tra
le fonti del nostro ordinamento giuridico. L’argomento è formale, ossia tiene conto
soltanto dell’aspetto statico delle fonti dell’ordinamento giuridico, ma tant’è.

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Caratteri del provvedimento amministrativo


Attraverso l’emanazione di provvedimenti amministrativi, la P.A. esercita e fa valere la prevalenza
dell’interesse pubblico su quello privato (si pensi ad una “espropriazione per publica utilità” o ad una
sanzione per “eccesso di velocità”).
Non sempre i provvedimenti hanno effetti sfavorevoli sui singoli, ma possono anche avere effetti favorevoli
(come ad es. l’autorizzazione ad aprire un pub, l’esenzione dalle tasse, una concessione edilizia).
Le caratteristiche comuni a tutti i provvedimento sono:

1) l’unilateralità e l’autoritarietà (l’azione della P.A. assoggetta i privati, ossia non necessita del loro
consenso per modi care situazioni giuridiche soggettive che li riguardano (agisce unilateralmente). E tanto,
al ne di curare (autoritariamente) l’interesse pubblico). I provvedimenti sfavorevoli per il cittadino
pronunciati dalla P.A. (ad es. rimozione dell’auto in divieto di sosta e conseguente sanzione amministrativa
delle forze dell’ordine, ordine di demolizione di un edi cio abusivo) hanno il carattere della imperatività, che è
appunto la capacità di imporre la volontà dell’Amministrazione su quella del privato;

2) la tipicità (è sempre la legge a conferire puntuali e speci che competenze alla P.A. Essa deve
necessariamente agire secondo le forme e i modi stabiliti dalla legge);

3) l’esecutività e l’esecutorietà (il provvedimento non ha bisogno di un intervento di un giudice per


essere esecutivo né, tantomeno, necessita dell’intervento dell’autorità giudiziaria per l’esecuzione coattiva.
La “multa” (espressione inesatta che nel linguaggio comune indica la “sanzione amministrativa”, perché la
“multa” è invece una sanzione penale comminata a seguito di un reato), ad es., produce direttamente i suoi
effetti e sarà la stessa P.A. a richiederne il pagamento. Un creditore, invece, deve citare il debitore in giudizio
e ottenere una sentenza che consenta un pignoramento).

Specie dopo la l. n. 15/2005, la P.A. è chiamata sempre più ad abbandonare il provvedimento amministrativo,
a vantaggio dell’uso di strumenti che la pongono in una condizione di tendenziale parità con i cittadini,
utilizzando strumenti di diritto privato. Inoltre la P.A. può utilizzare, sempre in sostituzione del provvedimento
amministrativo, accordi amministrativi (sia con altre amministrazioni che con gli stessi privati).

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Classi cazione dei provvedimenti amministrativi


Se si tiene conto degli interessi del privato destinatario dei provvedimenti amministrativi, essi
possono essere distinti in:

- provvedimenti favorevoli o ampliativi (ampliano la sfera giuridica del privato come nel caso
della autorizzazione [che determina la rimozione di ostacoli che limitano l’esercizio di poteri o
facoltà di cui il privato è titolare. Ad es., patente di guida, abilitazione professionale, licenza
commerciale, autorizzazione a costruire] e concessione [che attribuisce nuove posizioni
giuridiche al privato sulla base di una convenzione stipulata con la P.A. Ad es., concessione di
lidi balneari, concessioni marittime, concessioni di servizi pubblici come le linee urbane di
trasporto, i taxi, i trasporti aerei, pulizia delle strade, canali televisivi, ecc.]). Altri provvedimenti
favorevoli sono: le ammissioni (ad es. ad una Università), gli esoneri (ad es. dalle tasse) e gli
incentivi (ad es. alla rottamazione della vecchia auto inquinante).

- provvedimenti sfavorevoli o ablatori o privativi (comportano la privazione totale o la


limitazione parziale dell’esercizio di un diritto. Possono incidere sui diritti fondamentali (ad es.,
ordini e divieti come quello di uscire dalla propria abitazione durante il c.d. “lockdown”, o di
circolare in alcune aree della città per motivi di ordine pubblico), sui diritti reali (ad es.,
espropriazione di pubblica utilità, requisizione temporanea di beni mobili e immobili) e, in ne, sui
diritti di credito (ad es., sanzioni amministrative).

Da ultimo, esistono provvedimenti che si sottraggono alla logica favorevole/sfavorevole, in


quanto riguardano un numero indeterminabile di soggetti. Si tratta dei provvedimenti
amministrativi generali come, ad es., i piani urbanistici e i provvedimenti che stabiliscono tariffe.

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La «discrezionalità» della P.A.


Dire che la P.A. agisce secondo la legge (principio di legalità), non deve portare a credere
che essa sia un automa, una specie di robot burocratico.
Nel perseguimento dell’interesse pubblico, essa mantiene sempre un certo margine di
valutazione nel decidere dell’opportunità di una scelta. Tale margine, rappresenta la
cosiddetta «discrezionalità amministrativa». La scelta discrezionale può riguardare
l’opportunità o meno di provvedere (l’an), il momento in cui farlo (quando), la misura o il
contenuto del provvedimento (il quantum o il quid), oltre che gli strumenti da adottare (il
quomodo).

Non mancano esempi di «attività vincolata» della P.A.: ad es., il rilascio della carta d’identità
o del passaporto, presenti i requisiti richiesti dalla legge (ad es. la scadenza o lo
smarrimento del vecchio documento), non lasciano alcun margine all’Amministrazione.

Nella maggior parte dei casi, però, la P.A. agisce operando scelte, facendo valutazioni di
interessi contrapposti, selezionando pretese a discapito di altre nel rispetto del principio di
proporzionalità. In tutti questi casi essa esercita un tipo di discrezionalità che si chiama
«tecnica» (basti pensare alla decisione di una commissione di concorso, al ne di
selezionare “il più bravo”). Tale tipo di discrezionalità non può essere sindacata da altri
organi, neppure da un giudice, salvo la manifesta illogicità e sproporzione del provvedimento
adottato. Per questa ragione, come abbiamo visto, ogni provvedimento discrezionale deve
essere motivato (art. 3, legge n. 241/1990): al ne di consentire un controllo sulla legalità e
ragionevolezza delle scelte operate dal pubblico potere.
Dalla discrezionalità tecnica va distinta la «discrezionalità politica». Ad esempio, scegliere
dove localizzare una nuova discarica non comporta soltanto valutazioni tecniche, ma anche
e soprattutto politiche. In questi casi, le scelte vengono operate a monte dagli organi
rappresentativi, non già dai vertici dall’apparato burocratico dell’Amministrazione pubblica.
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I vizi del provvedimento amministrativo


Può accadere - e spesso accade - che l’attività della P.A. non sia conforme all’ordinamento giuridico o, più in
generale, sia in contrasto con il perseguimento dell’interesse pubblico. In tali casi, si dice che l’attività è «viziata» e
il provvedimento è «invalido». Di conseguenza, l’ordinamento consente al cittadino o ad un’altra Amministrazione
di poter attivare ricorsi (amministrativi o giurisdizionali) per ristabilire la legalità violata.

L’invalidità prevede due categorie (art. 21 octies, l. 241/1990):

1) i casi di nullità, che si ha quando l’atto è colpito da vizi tanto gravi da non consentirne il perfezionamento. Ciò si
veri ca nel caso di: a) mancanza di elementi essenziali (l’oggetto dell’atto deve essere determinato; il contenuto
deve essere lecito, la volontà del soggetto agente deve essersi formata liberamente, la forma dell’atto deve essere
conforme alla legge; b) difetto assoluto di attribuzione, (ad es., una ordinanza emessa da un Sindaco di un altro
paese); c) violazione o elusione del giudicato (ad es., provvedimento emesso in contrasto ad una pronuncia
giurisdizionale).

2) i casi di illegittimità, che si ha per tutte le altre violazioni ordinamentali che non costituiscono mera irregolarità.
In particolare si distinguono tre categorie: I) incompetenza (ad es. provvedimento emanato dal presidente di
Regione al posto del dirigente); II) violazione di legge (tipico caso è quello della violazione della regole contenute
nella legge sul procedimento, ossia la l. n. 241/1990. Si badi: qui il termine “legge” vale per “diritto”, dunque la
violazione si riferisce anche alle fonti europee); III) eccesso di potere (le cui gure sintomatiche sono state
inventate dalla giurisprudenza per controllare l’esercizio della discrezionalità della P.A. Esempi sono: sviamento di
potere (ad es., con provvedimento viene stanziato un fondo per l’acquisto di libri e il denaro viene speso per
l’acquisto di mezzi di trasporto); travisamento dei fatti (ad es., si impone un vincolo storico-artistico su un palazzo
ritenuto stile Liberty, mentre non lo è); contraddittorietà o evidente illogicità (colpisce il provvedimento “stupido”:
ad es., si giudica un candidato ad un concorso da professore come “dotato di elevate capacità scienti che”, ma il
candidato non ha alcuna pubblicazione scienti ca); disparità di trattamento (ad es., un cittadino si vede negare un
contributo economico che, invece, viene riconosciuto ad ad un altro che si trova nelle medesime condizioni
reddituali); ingiustizia manifesta (viene comminata una sanzione amministrativa di 1000 euro ad un “senza tetto”,
perché ha pernottato in stazione in violazione dell’ordinanza di divieto emessa dall’autorità pubblica locale).

È opportuno ricordare che poiché il procedimento amministrativo si compone di una serie preordinata di atti rivolti
alla produzione del provvedimento nale, il vizio che colpisce qualsiasi atto del procedimento si ri ette poi
negativamente sulla validità del provvedimento nale. Si parla, in tal caso, di invalidità derivata.
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Sanatoria e autotutela della P.A.
L’Amministrazione, prima che il provvedimento viziato sia annullato da un
giudice, può procedere (d’uf cio o su istanza di parte) a sanare le illegittimità
(ad es., l’atto viziato da incompetenza, può essere rati cato dall’organo
competente; se è mancato un parere obbligatorio nel corso dell’istruttoria
procedimentale, questo può essere convalidato in seguito con un parere
postumo).

Quando il vizio non è sanabile, allora la P.A. ha facoltà di annullare d’uf cio il
provvedimento: si parla, in questi casi, di «autotutela». È opportuno rammentare
che la P.A., nel determinarsi a procedere all’annullamento d’uf cio, deve veri care
che sussista uno speci co interesse pubblico ad annullare l’atto. Invero,
l’annullamento di un atto ef cace potrebbe arrecare gravi pregiudizi sia ai
privati che ad altri interessi pubblici rilevanti (come recita l’art. 21-nonies della
l. n. 241/1990, l’amministrazione provvede all’annullamento «entro un temine
ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei
controinteressati»).

Altra facoltà tipica spettante alla P.A. è quella di revoca del provvedimento: essa
non riguarda provvedimenti viziati, bensì toglie ef cacia ad un provvedimento
valido per ragioni connesse al mutamento dell’interesse pubblico o della
situazione di fatto. Essa è sempre possibile, ma obbliga l’amministrazione a
indennizzare i privati che subiscono tale provvedimento (ad es., revoca della
concessione balneare in quanto sorge l’esigenza di ampliare il porto turistico).

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Anche nel diritto pubblico il «silenzio» può
assumere diversi signi cati
Al ne di tutelare il cittadino, la legge ha attribuito un “signi cato” al silenzio. Quando cioè
la P.A., dinanzi a richieste o istanze del cittadino, rimane inerte, il silenzio può assumere i
seguenti signi cati:

1) silenzio-rigetto (ad es., quando la P.A. non risponde al ricorso amministrativo


promosso dal privato, si considera che essa l’abbia rigettato, in tal modo consentendo al
privato di adire l’Autorità giudiziaria anche per la nomina di un commissario ad acta chiamato
a provvedere);

2) silenzio-diniego (il silenzio dell’Amministrazione equivale a negazione del provvedimento.


Ci sono pochi esempi, nel nostro ordinamento da ricollegare a questa fattispecie. Ad
esempio, l’art. 53, co. 10 del d.lgs.165/2001 [che disciplina il conferimento ai dipendenti
pubblici di incachi ulteriori a quelli previsti dal loro contratto di lavoro], prevede che
l'autorizzazione richiesta da dipendenti pubblici “deve essere richiesta all'amministrazione di
appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati, che intendono conferire
l'incarico (...). In tal caso il termine per provvedere è per l'amministrazione di appartenenza di
45 giorni (...) Decorso il termine per provvedere, l'autorizzazione (...) si intende
de nitivamente negata”);

3) silenzio-assenso (si tratta della regola: quando il cittadino chiede «il rilascio di
provvedimenti amministrativi, il silenzio dell’amministrazione competente equivale a
provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o dif de».
Nella maggior parete dei procedimenti di autorizzazione (si pensi alla licenza commerciale
per aprire un negozio), non serve neppure che la P.A. emani un provvedimento. Vale la SCIA,
ossia la semplice «segnalazione certi cata di inizio d’attività» da parte dell’interessato.

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Gli strumenti di tutela a disposizione dei
cittadini
Quando l’Amministrazione, attraverso la sua attività
provvedimentale diretta al soddisfacimento dell’interesse
pubblico arreca pregiudizi ai cittadini, questi ultimi
possono tutelare i propri interessi attraverso due strade: il
ricorso amministrativo e il ricorso giurisdizionale.
Infatti, tutto ciò che abbiamo sinora studiato a proposito
dell’attività della P.A. (procedimento amministrativo
nalizzato all’emanazione del provvedimento,
discrezionalità amministrativa, vizi dell’atto e gure
sintomatiche dell’eccesso di potere) è strumentale ad
un’unico obiettivo: garantire al cittadino la tutela dei propri
interessi, pur mantenendo fermo il principio che l’interesse
pubblico prevale su quello privato, a condizione che
l’Amministrazione abbia agito correttamente.

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Segue…I ricorsi amministrativi
Esistono quattro tipi di ricorso amministrativo:

I) il ricorso gerarchico proprio (entro 30 giorni, il privato può chiedere all’organo


gerarchicamente superiore a quello che ha emanato l’atto che venga annullato,
revocato o riformato. Se entro 90 giorni l’Amministrazione non risponde, il cittadino
può rivolgersi al giudice, perché in questo caso il ricorso si considera rigettato. È
un’ipotesi di silenzio-rigetto);

II) il ricorso gerarchico improprio (consentito solo se previsto dalla legge,


consiste nell’istanza diretta ad un organo diverso dal superiore gerarchico);

III) il ricorso in opposizione (anch’esso è consentito solo se previsto dalla legge,


esso è indirizzato allo stesso organo che ha emanato l’atto);

IV) il ricorso straordinario al Capo dello Stato (può essere proposto solo se: a)
non ci sono altri ricorsi amministrativi disponibili o sono già stati respinti; b) è
alternativo al ricorso giurisdizionale. Entro 120 giorni dalla noti ca del
provvedimento sfavorevole, la parte ricorrente riceverà una decisione formalmente
imputabile al P.d.R., ma sostanzialmente dipendente dal parere obbligatoriamente
espresso del Consiglio di Stato).

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Il ricorso giurisdizionale
Il rimedio più ef cace contro l’esercizio del potere da parte della P.A. è
certamente quello rivolto al giudice.
Come stabilisce la Costituzione, «contro gli atti della pubblica
amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti
e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o
amministrativa» (art. 113).
La nostra Costituzione ha previsto che i con itti tra i privati e la P.A.
non siano (o almeno, non siano tutti) decisi da giudici ordinari, ma
siano (almeno in larga parte) devoluti ad un giudice speciale,
chiamato giudice amministrativo. L’art. 125, comma 2, Cost.,
prevede infatti l’istituzione di organi di giustizia amministrativa di primo
grado (i c.d. T.A.R., ossia Tribunali Amministrativi Regionali) e, l’art.
100, comma 1, Cost., quali ca il Consiglio di Stato come «organo di
tutela della giustizia nell’amministrazione» (si tratta, in particolare, del
giudice amministrativo di secondo grado, presso il quale possono
rivolgersi i cittadini per appellare la sentenza di rigetto del T.A.R.).

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Diritto soggettivo vs interesse legittimo
Quando l’acquisto o il godimento di un bene è indipendente dall’intervento della Pubblica Amministrazione, la
situazione giuridica soggettiva del privato è quella di diritto soggettivo (decido di comprare casa, di contrarre un
mutuo, di fare testamento, ecc.).

Quando invece, af nché si realizzi la pretesa del cittadino, è previsto l’esercizio del potere pubblico (voglio
vincere un concorso per diventare assistente sociale presso un’A.S.L., o provo a conservare il mio giardino
nonostante la P.A. abbia deciso di espropriamelo per allargare la strada), in questi casi, la situazione giuridica
soggettiva è di interesse legittimo. In tali ipotesi, il cittadino non ha il diritto di vincere il concorso o di conservare il
suo giardino. Ha, invece, l’«interesse» a che il potere della pubblica amministrazione venga esercito nel rispetto
della legge (per questo «legittimo»).

Tendenzialmente, competente a conoscere le controversie in presenza di diritti soggettivi, è il giudice ordinario.


Mentre, competente a conoscere le controversie quando si discute di interessi legittimi, è il giudice
amministrativo. In pratica, la regola secondo cui si fanno valere i diritti soggettivi nei confronti della pubblica
amministrazione davanti al giudice ordinario e gli interessi legittimi davanti al giudice amministrativo, si risolve nella
seguente: si ha giurisdizione del giudice ordinario quando l’Amministrazione ha agito priva di autorità, vuoi
perché ha deciso di impiegare strumenti di diritto privato (ad esempio un contratto di vendita o di af tto), vuoi
perché ha agito in carenza assoluta di potere (ossia nelle circostanze che comportano la nullità del provvedimento);
mentre si ha giurisdizione del giudice amministrativo quando l’Amministrazione ha agito con autorità, ma il
privato ritiene che il provvedimento presenti vizi di legittimità che ne potrebbero causare l’annullamento (ad es.,
faccio ricorso avverso il decreto che ha dichiarato vincitore del concorso Tizio, in quanto ritengo che la
commissione giudicatrice non abbia considerato, ai ni del calcolo del punteggio, le mie esperienze professionali
maturate all’estero).

Va detto, però, che oggi la tendenza del legislatore è quella di suddividere la competenza giurisdizionale per
materie. Si pensi al lavoro nel pubblico impiego, le cui controverse sono tutte state trasferite, per evitare
discriminazioni con il settore privato, alla competenza del giudice ordinario (come si dice, il rapporto di lavoro
dipendente è stato privatizzato).

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