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Dfd72Letteratura italiana H, 2021-22

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29/11
Qualche coordinata per la vita di Boccaccio
Boccaccio ha scritto tantissimo e cose molto diverse tra loro, ha più o meno sperimentato tutti
i generi letterari disponibili all’epoca: ha scritto in prosa (Filoculo), un cantare, un poemetto
mitologico (A caccia di Diana), un novelliere (Decameron), trattati, romanzi particolari come
Elegia di Madonna Fiammetta, ha scritto un bel po' di poesie liriche e una vasta produzione in
volgare e latina (di questi opere geografiche e storiche, lettere....). Boccaccio autore eclettico.
Produzione vasta ed eterogenea. Non c’è nella letteratura italiana un altro autore simile. Ha scritto
anche in dialetto (Epistola napoletana  primo esempio di prosa in napoletano). L’eclettismo di
Boccaccio si spiega perché era un autodidatta (il padre voleva che prendesse altre vie) e quindi
faceva letture un po' disordinate e poi frequentava ambienti culturali diversi; è nato in un ambiente
mercantile, ma quando si trasferisce a Napoli frequenta la corte angioina, un mondo completamente
diverso dall’ambiente borghese/mercantile dove era cresciuto. Tende a scrivere per questi diversi
mondi. Sperimenta molto. Tiene conto del pubblico a cui si rivolge. Alcune opere grandiose altre un
po' meno. Tra le cose che ha sperimentato c’è il poema epico: lui scrive il Teseida che dovrebbe
essere una prima epica in volgare.
Boccaccio nato nel 1313 non si sa dove, alcuni dicono Firenze altri Certaldo, da padre
conosciuto come Boccaccino e da madre ignota. E’ figlio illegittimo e questo peserà sulla sua vita.
Boccaccio credeva e si è inventato di essere figlio della regina di Francia. Boccaccino si trasferì a
Firenze insieme al fratello e fa successo in ambito commerciale e soprattutto nell’ambito politico;
infatti, negli anni ’20 è nominato priore (una delle cariche più alte). Che un forestiero giunge in città
e che abbia fatto soldi e successo lo indentifica come un personaggio capace. Tanto che nel 1327
per conto dei Bardi si trasferisce a Napoli a dirigere la filiale napoletana dei Bardi e questo è un
altro segno della bravura dell’uomo perché la filiale napoletana era la più importante in Europa.
Rimanendo in ambito fiorentino, il padre di Boccaccio vuole che il figlio proseguisse la sua attività
(sembra un pensiero logico, anche se leggendo l’autobiografia di Boccaccio non abbiamo la stessa
sensazione) e sappiamo che dopo che Giovanni Boccaccio ha imparato a leggere e scrivere si apriva
una duplice scelta per gli studenti fiorentini (il sistema scolastico del medioevo non è come quello
di oggi, variava molto da regione a regione e soltanto l’università rilasciava un bac-laureato che era
riconosciuto da tutte le università d’Europa. La formazione scolastica precedente era molto libera
però più o meno funzionava così  c’era all’inizio un maestro che insegnava a leggere e scrivere
sul libro dei salmi – quindi c’è anche una sorta di catechizzazione- e dopo ciò si aprivano due strade
o le scuole d’abaco e le scuole di grammatiche. Le scuole d’abaco sono le professionali – oggi
dovremmo dire ragioneria – dove si imparava a contare in maniera complessa ovviamente in lingua
volgare e si imparava un tipi di scrittura chiamata ‘mercantesca’ – cioè una corsiva con qualche
abbreviazione ed era la grafia tipica dei mercanti. Percorso che portava a lavorare nelle banche. Le
scuole di grammatica erano scuole che oggi chiameremmo liceo e che preparava all’università. Si
insegnava il latino, rudimenti di retorica. Erano diverse a seconda delle regioni, magari il livello era
più alto o più basso). La scuola d’abaco è quella che Boccaccio fa. Questa cosa è importante perché
ovviamente la scuola influenza la vita di una persona/autore. Le scuole d’abaco terminavano con un
tirocinio e Boccaccio lo fa in parte a Firenze e in parte a Napoli, proprio perché il padre era stato
preso al banco della filiale dei Bardi a Napoli (i Bardi avevano un stretto rapporto con il re di
Napoli). Qui in qualche modo (?) Boccaccio si trova proiettato in una realtà quale la corte degli
angioini. Questo gli era permesso perché era figlio di Boccacino che gestiva i traffici dei Bardi. Qui
scrive le prime opere dove è intrinseco lo spirito di corte. La prima opera che scrive e La Caccia a
Diana un poemetto mitologico in terzine. Parla delle ninfe di Diana, la dea della castità, e dietro di
loro ci sono alcune dame della corte di Napoli e fanno la caccia e alla fine decidono di offrire questa
caccia non a Diana, ma a Venere, la quale per ringraziarle trasforma le bestie in splenditi uomini
(della corte di Napoli). Ovvia la lettura allegorica. Poi c’è il Filocolo volto a compiacere il
pubblico, è una lettura amena e la storia è molto semplice. Teneva conto anche dei lettori francesi in
quanto la corte dei D’Angiò era legata alla Francia.
Intanto a Napoli il padre ha capito che Boccaccio non ha intenzione di diventare mercante e lo
scrive all’Università, ma non delle Arti, bensì di diritto che gli avrebbe permesso di diventare un
lavoro sicuro. Se Boccaccio frequenta a Napoli la facoltà di diritto significa che Boccaccio
conosceva il latino (per il principio di cui parlavamo prima) però Boccaccio non aveva frequentato
le scuole di grammatica, quindi, aveva imparato da solo e aveva raggiunto anche un buon livello.
Però non porta a termine la laurea perché nel 1340 deve lasciare improvvisamente Napoli. Ah, a
Napoli scrive il Filostrato. Un poemetto in ottava rima. Le ragioni dell’abbandono di Napoli non le
conosciamo, ci sono solo ipotesi. Il fatto che non finisce l’Università sottolinea l’urgenza. Non
sappiamo cosa faccia negli anni successivi a Firenze, almeno fino al 1348.
30/11
1340  Boccaccio si trasferisce da Napoli a Firenze, dove è nato e cresciuto. E’ un
trasferimento improvviso, quasi immotivato. Santagata presuppone uno scandalo, ma solo ipotesi.
Sono anni difficili: immaginate di traferivi da una città con un regime monarchico ad una con u
regime oligarchico, poi non conosceva nessuno, vive a casa del padre con il quale non ha un bel
rapporto. Scrive tanto. Sappiamo per certo che qui Boccaccio finisce il Teseida. Non sappiamo di
preciso quando, perché ci sono pochi rifermenti. Dovrebbe essere un poema epico in volgare, i libri
sono 12 (ricorda l’Eneide) e racconta una storia d’amore. Tratta della rivalità di due amici che si
innamorano della medesima donna, Teseida. Cosa fanno per ottenere la mano di lei? C’è un grande
torneo e uno dei due muore. E’ difficile definirlo realmente un testo epico, quanto piuttosto erotico,
amoroso. In quest’opera profonde reminiscenze di Dante, che Boccaccio già conosceva.
Molte cose di Dante che abbiamo oggi le dobbiamo a Boccaccio che trascriveva un sacco le
sue opere, come per esempio la Commedia, e altre opere che altrimenti sarebbero andate perdute.
Boccaccio trascrisse molte volte la Commedia, per esempio. O anche molte lettere di Dante 
Tensone tra Dante e Giovanni di Voccagiglio (ebbe il merito di reintrodurre il codice Bucolico) .
Anni ’40, anni difficili. Firenze non attiva culturalmente. Comune di Firenze indebitato con le
banche. I Bardi, presso cui lavorava il padre, presto falliranno (1347-48). Uno dei motivi del
fallimento era che queste banche erano profondamente indebitante con il re d’Inghilterra. Il
fallimento delle banche porta con se il fallimento del comune di Firenze. Anni abbastanza lugubri
anche con problemi di guerra ai confini (espansionismo Visconteo). In questo contesto, come si
diceva, Boccaccio scrive molto: finisce il Teseida, scrive la Comedia delle Ninfe Fusolane
(chiamata anche Ameto) dove è notevole la presenza di Dante. Nelle opere fiorentine è più che
evidente il dantismo. Scrive L’amorosa visione in terzine, scrive il cantare Fiusolano, scrive
l’elegia di Madonna Fiammetta che ha la caratteristica di essere narrato da una donna. Arriva poi a
comporre il Decameron.
Varie letture dell’opera Decameron
E’ un testo che ha un proprio lettore, noi oggi facciamo fatica a capire cosa vuole dire e
nonostante le letture diverse ancora il senso del testo in parte ci sfugge. Un testo complesso,
mancano documenti certi, sono ipotesi che si fanno sulla base di indizi interni. Per quanto riguarda
la datazione abbiamo degli indicatori, uno di questi è la peste scoppiata nel 1348.
Una delle conseguenze della peste fu anche linguistica, perché lo sterminio fece in modo che i
pochi sopravvissuti migrarono in città i quali portarono la lor parte dialettale e infatti da un certo
punto in poi compaiono tratti popolari pareggianti nel fiorentino del ‘300 che prima non c’erano.
Sappiamo quindi che il Decameron è stato composto dopo il ’48, cioè dopo la peste, ma è
altrettanto certo che alcune di queste sono state scritte prima. Un ante quem (termine ultimo entro il
quale l’ha composto) è il 1360 perché c’è una lettera di un mercante in volgare che ci certifica che il
Decameron era già in circolazione.
Secondo la Critica la datazione è importante per capire il significato del testo. Del Decameron
sono state date molte letture. Una delle più famose fu quella di Vittorio Branca, il quale dice che
Boccaccio voleva elogiare l’epopea della mercatanza. Oggigiorno non è più accettata, ma rimane
importante la ricerca filologica (per cento anni l’opera è circolata a livello popolare, copiata dai
copisti per passione). Secondo alcuni, come per esempio Lucia Battaglia Ricci, la quale studiando
un affresco in Piazza dei Miracoli a Pisa, dipinto da un certo Buffalmacco (presente anche nel
Decameron) e intitolato Il trionfo della morte dove c’è una brigata che festeggia e attorno dei
demoni che prendono le anime etc. Il messaggio dell’affresco è immediato, cioè che se gli uomini
continuano a fare ‘baldoria’ andranno all’inferno, mentre la via della salvezza è quella della
penitenza. Ecco secondo Battaglia Ricci il Decameron sarebbe una risposta a questa via della
penitenza, molto in voga in quegl’anni. Quindi esprime una visione del mondo laica e mondana, che
non vede nella cortesia un’occasione di perdizione dell’anima. Nel 2017 una nuova lettura del Bausi
che da una visone opposta a quella della Battaglia Ricci e dice che non è vero che il Decameron
esprime una visone laica e mondana e l’errore è stato di concentrarsi troppo solo su alcune novelle e
pensare che Boccaccio basi il messaggio e la visione del Decameron su quelle novelle. In linea
generale i personaggi del Decameron hanno una condotta onestissima e non si lasciano andare agli
intrighi. Le loro novelle forse possono essere insidiose, ma non la loro vita. Quindi se Boccaccio
avesse creduto davvero a una visione mondana e lasciva, non avrebbe permesso ai personaggi di
vivere comunque una vita onesta, con un contesto morale e cristiana in cui si invita a riconoscere la
naturalezza dell’amore. Un’altra interpretazione è quella che da Santagata, da grande studioso di
Petrarca, Santagata nota la vicinanza tra l’operazione di Boccaccio con il Decameron e quella di
Petrarca con il Canzoniere. La peste segna un cambio di rotta nella tipologia di scrittura. Entrambi
effettuano un’operazione di raccolta dei loro scritti. I due si conoscevano e già quando Boccaccio
era a Napoli scriveva riguardo lui. Tra il ’51-’52 Boccaccio stette con Petrarca e sicuramente hanno
parlato di Poesia e sicuramente l’idea del Decameron ha preso piede da questi incontri, sebbene poi
ovviamente l’opera di Petrarca è ben diversa da quella di Boccaccio. Petrarca diventa come un
mentore per Boccaccio. Boccaccio negli ultimi anni invia a Petrarca una copia del Decameron, il
quale non sembra apprezzare molto tranne l’ultima novella che traduce.
Importante notare come nell’arco di qualche decennio ci siano state svariate interpretazioni.
Tutte queste letture contengono una parte di vero. Il tutto da l’idea della ricchezza e della
complessità del testo.
A partire dagli anni ’60 le cose si complicano. Si parla di una conversione di Boccaccio e il
frutto di questa conversione è il Corbaccio, perché confrontandolo con le opere precedenti ci
troviamo di fronte a un Boccaccio completamente diverso. In particolare, l’immagine della donna
cambia. Nel Corbaccio è assolutamente negativa. Si parla proprio di un cambio di concezione della
letteratura: se in età giovanile scrive in volgare opere di alto intrattenimento, erotica....dal ’60 in poi
probabilmente a seguito di un cambio dei modelli di riferimento cambia la letteratura di Boccaccio.
Il Corbaccio è l’ultima opera in volgare, le altre tutte in latino, sono opere dotte e umaniste. Sono
opere più serie e arriva a scrivere una visone della poesia completamente diversa. Dice che la poesia
è allegorica, ma nel primo Boccaccio non ce ne sono di allegorie. Sull’influenza di Petrarca,
Giovanni sviluppa un’idea di letteratura diversa. Il Corbaccio riprende molte sequenze delle opere
della gioventù e gli dà una nuova lettura, ritratta alcune cose. Non significa che le ripudia.
Semplicemente dà un’immagine di sé diversa, di un poeta più impegnato. Questa nuova immagine
di se si esprime a livello letterario nel Corbaccio. Autore complesso e stratificato.

Il Corbaccio
Ha una tradizione ms ampia (63 testi). Si consultano generalmente due edizioni:

1. Ed. Ricci 1965


2. Ed. Padoan che si fonda sul ms più autorevole della tradizione, il codice Mannelli (Pluto
Laurenziano e ha come sigla 421. Codice Mannelli perché era posseduto da Francesco
Tamaretto Mannelli che lo trascrisse nel 1384, per cui in anni molto vicini alla morte di
Boccaccio (1375) e questo codice tramanda oltre il Corbaccio anche il Decameron.

Prima dell’edizione di Branca presso Einaudi il codice Mannelli era considerato codex
optimus. E’ vero che non abbiamo un’edizione critica, ma il codice Mannelli sembra affidabile. E’
un codice rubricato. Esatta riproduzione grafica dell’antigrafo. Anche se magari non sono originali
rappresentano comunque la prima diffusione dell’opera.

01/12
Manca un testo critico del Corbaccio. L’ultima ed. uscita è del 1994 è stata curata da Giorgio
Padoan, importante studioso di Boccaccio. Non è un ed. critica. Fare l’ed. del Corbaccio sembra un
lavorane sebbene non sia un testo molto lungo, ma ha molti ms che tramandano il testo. Abbiamo,
tuttavia, il codice Mannelli che è molto importante. Abbiamo la fortuna di averlo riprodotto.
Conservato alla Biblioteca Laurenziana Medicea e tramanda il Decameron e il Corbaccio. Fu un
codice trascritto nel 1384, 9 anni dopo la morte di Boccaccio (1375). Trascritto da Francesco
Tamaretto Mannelli, un personaggio importante. C’è all’inizio una sorta di indice del Decameron
con tutti gli argomenti e poi dalla carta 5recto inizia la trascrizione del Decameron. Grafia
mercantesca. Poi dopo alcune pagine bianche c’è il Corbaccio. Prima degli anni ’60 era considerato
il codice Mannelli come il migliore, e questo spinse Padoan a basare la sua edizione solo sul
Mannelli. Perché a differenza del Decameron non possediamo l’autografo del Corbaccio. Una
caratteristica interessante del codice Mannelli è che presenta delle rubriche intervallate nel testo che
non sono state prese in considerazione da Padoan e da nessun altro editore perché considerate come
spurie, di una mano posteriore. Però questa ipotesi è da scartare perché queste rubriche si ritrovano
anche in altri ms del Corbaccio che non sono imparentati al codice Mannelli. Anche se non sono
state introdotte da Boccaccio, sono state introdotte quasi subito nella tradizione. Un recente studio
(Carrai) ha ragione di affermare che siano originali. Boccaccio ha la tendenza a rubricare il proprio
testo. Nel codice testo disposto su due colonne. [segnare le rubriche sul testo].

Il titolo
Il titolo non è affatto chiaro. Non sappiamo esattamente Boccaccio cosa volesse dire. Sono
state proposte diverse interpretazioni, ma nessuna concordanza da parte della Critica. Il titolo non è
a caso veicola anche un messaggio e indirizza a un’interpretazione del testo. La maggio parte dei
critici dicono che ‘Corbaccio’ derivi da ‘corvo’, nel medioevo anche scritta ‘corbo’ e con il suffisso
-accio diventa un dispregiativo. Ma chi è il corvo? E’ l’autore? La vedova crudele? O il libro?
Un’altra ipotesi, lasciata un po' ai margini, è che il ‘corbaccio’ sia frusta derivata dal francese.
Un’altra è l’interpretazione che vede in ‘corbaccio’ un derivato da corbaccium che significa
‘cesto di letame’, parola medio-latina.
Ritornando al corvo. Chi dice che è la vedova si basa su un passo del Corbaccio (p.277) dove
il marito descrive l’abbigliamento della donna. La donna vestita di nero apre e chiude il mantello
con il quale si copre il volto assomigli a un corvo. Tuttavia, questa ipotesi non ha lasciato tutti
contenti. Alcuni dicono che il corvo sia l’amore che, come il corvo, strappa gli occhi alle vittime.
Passione accecante che fa perdere l’uomo. Altri dicono che il corbaccio dovrebbe essere il libro ed è
un’ipotesi verosimile perché non è la prima volta che il titolo faccia riferimento al libro stesso nelle
opere di Boccaccio (Decameron, Teseida...). Battaglia Ricci ha notato, a questo proposito, che
Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante ha paragonato a Commedia come un pavone, quindi
bella come la coda di un pavone. Se fosse vero, allora il Corbaccio sarebbe un corvo e sarebbe
evidente il carattere satirico. Zaccarello, invece, ha considerato sempre il nome un derivato da
corvo, ma secondo lui il corvo a cui il poeta allude sarebbe l’autore stesso e ha motivato questa sua
lettura riflettendo sul fatto che nel medioevo (da una lettura religiosa) il corvo era generalmente
l’uomo studioso non sposato. E tenendo conto che nel testo Boccaccio si descrive come uno
studioso non spostato allora l’ipotesi potrebbe reggere, ma fine a un certo punto perché c’è il
suffisso peggiorativo.
Bisogna andare sulla scelta più semplice.

Di cosa parla?
E’ un testo in prima persona. Boccaccio racconta qualcosa che è capitato a lui. Anche qui, il
titolo è un anagramma imperfetto di Boccaccio. C’è un forte autobiografismo. Cosa è successo? Un
giorno si è innamorato di una vedova che all’apparenza sembrava una donna dotata di ogni virtù,
ma in realtà è una scellerata che ha solo preso in giro Boccaccio. Quando lo scopre Boccaccio soffre
molto e addirittura medita il suicidio. Rinsavito, una notte ha una visione dove all’inizio si trova in
un locus amenous che poi si trasforma in un inferno, nel ‘porcile di venere’, e qui incontra uno
spirito che si rivela essere il marito defunto della vedova che gli mostra la natura della vedova e
delle donne in generale. Alla fine di questo dialogo, nel libro Boccaccio completamente rinsavito
promette al marito della vedova di vendicarsi della vedova e di tutte le donne. E’ un testo altamente
misogino, con una forte disillusione dell’amore, una forza negativa da rigettare.
E’ una storia di fantasia che viene presentata come vera.

[Leggere la novella settima della ottava giornata del Decameron]

06/12
Quindi cosa vuol dire questo titolo? Una delle ipotesi è che si riferisca al libro stesso e a
sostegno di ciò possiamo prendere un poemetto che sicuramente Boccaccio conosceva e che si
intitola Ibis di Ovidio, scritto quando era in esilio per uno scandalo. E’ rivolta contro un suo
contemporaneo che sparlava di lui, è una satira di questo calognatore. Boccaccio lo conosce perché
lo trascrive in uno dei due suoi Zibaldoni (uno cartaceo e uno membranaceo). Quindi secondo
alcuni Boccaccio ha dato al suo trattato il titolo di Corbaccio ispirandosi all’Ibis, ma bisogna tenere
presente che dire ciò significa che probabilmente ha scritto un’opera satirica. Entrambi titoli fanno
riferimento ad uccelli ed entrambi parlano di vendetta, ci sono punti di contatto anche nella trama.
Uno che sostiene questa teoria è Robert Hollander, e non è un caso. Hollander, uno dei più
importanti critici e dantisti del secondo Novecento americano, nel 1988 ha pubblicato Boccaccio’s
last fiction: Corbaccio, in cui ha proposto una lettura innovativa. Secondo lui è un literary joke, non
bisogna prenderlo sul serio e non come la Critica italiana che lo ritiene addirittura una svolta nella
letteratura Boccacciana. La scoperta dell’Ibis ha rafforzato quanto sostiene Hollander.
In generale, siamo ancora lontani dal capire cosa vuol dire esattamente il titolo e questo ci
comporta difficoltà nel capire l’opera.

La datazione
Quando Boccaccio scrisse il Corbaccio? Anche qui l’opinione della Critica non è univoca.
Abbiamo difficoltà a datare quasi tutte le opere di B, in particolare quelle giovanili (es. per il
Decameron abbiamo termini ante quem e post quem ma niente di più). Abbiamo solo ipotesi.

Per il Corbaccio abbiamo un problema in più perché in un passo B fa dire allo spirito:

«e primieramente la tua età, la quale se le tempie già bianche e la canuta barba non mi
ingannano, tu dovresti avere li costumi del mondo, fuor delle fasce già sono – degli anni – quaranta,
e già sono venticinque cominciatili a conoscere».

B vuole che il lettore sappia che l’azione si svolge quando lui ha 40 anni (1354/55). Passo non
chiaro. Solleva dei dubbi. La sintassi non è corretta. Problemi con ‘la quale’ e ‘venticinque’. Ricci
pensa che ‘la quale’ sia un c.o. di ‘ingannano’. Natali non è d’accordo.

«e primieramente la tua età, la quale se le tempie già bianche e la canuta barba non mi
ingannano, tu dovresti avere li costumi del mondo; fuor delle fasce già sono degli anni quaranta e
già sono venticinque cominciatili a conoscere».

Il punto e virgola dovrebbe essere un refuso perché ‘cominciateli’ si riferisce a ‘li costumi’.
Sostiene che ‘la quale’ sia un pronome relativo indelicato (per la quale, a causa della quale).

Padoan da un’altra lettura e dice che il ‘sono’ è assente nel codice Mannelli. Ricordiamo che
la sua ed. è basata unicamente su questo codice. Toglie il ‘sono’ e quel ‘venticinque’, però, rimane
sospeso. Per questo Carrai propone di vedere in questo un errore d’archetipo e propone la seguente
correzione (da prendere con le pinze perché Carrai non ha fatto la recensio del Corbaccio):
«e primieramente la tua età: la quale, se le tempie già bianche e la canuta barba non
m’ingannano, tu doveresti avere, li costumi del mondo fuori delle fasce già sono degli anni
quaranta, e già non venticinque, cominciatili a conoscere».

Con parafrasi: e anzitutto al tua età, la quale se non mi traggono in inganno le tempie e la
barba già bianca, tu dovresti avere, avendo cominciato a conoscere i costumi del mondo dalle fasce
da quarant’anni e non da venticinque.
Per cui ‘la quale’ sarebbe oggetto di ‘tu dovresti avere’. L’errore d’archetipo sarebbe questo ‘sono’
che originariamente era un ‘non’ poi male interpretato dai copisti.

Ora, il passo è discutibile. Però è chiaro il messaggio, cioè che ha lo spirito dice a B che ha poco più
di 40 anni. Perché ‘poco più’? Perché dice’ fuori dalle fasce degli anni 40. Le fasce erano le fasce
con cui i neonati venivano fasciati. E i bimbi restavano in fasce fino ai due anni, più o meno, per cui
bisogna calcolare 40 anni più due.
Per molto tempo si è pensato che questa indicazione temporale fosse l’anno della stesura
dell’opera. Però Padoan ha messo seriamente in dubbio questo. Un conto è il tempo della narrazione
e un conto è il tempo della scrittura, che possono non coincidere. Per Padoan non è assolutamente
credibile perché dice che se fosse vero significa che ha scritto il Corbaccio negli stessi anni del
Decameron, e questo secondo Padoan non è possibile perché sono due opere ideologicamente
lontane (già solo a partire dalla concezione della donna). Per capire la differenza ideologica
leggiamo due passi: uno è della quarta giornata del Decameron e l’altro è un passo misogino del
Corbaccio.

E quindi propone la datazione di Padoan dieci anni dopo quindi nel 1365/67 sulla base di
indizi interni. Datazione ideologica. Non abbiamo nulla di certo.
Però considerando la lettura satirica la datazione del 1355 si potrebbe accettare perché
appunto implica che B non pensi davvero quello che scrive.

Uno dei passi che sembra più uno scherzo, un’esagerazione è a P.273 ed. Ricci e pag 113 ed.
Natali dove si raccontano gli amplessi dello spirito con l’ex moglie.

Poi Hollander dice che c’è un contatto tra il Corbaccio e le Metamorfosi.


07/12
C’è un passo di Ovidio nei Remedia Amoris che è molto simile a quanto visto nel Corbaccio.
Il tema che ricorre è quello che per dimenticare una donna amata bisogna immaginarla in modi
squallidi e sconci. Però prima di raccontare queste cose anche Ovidio fa una premessa e si rivolge al
lettore. Il passo in questione è questo:

Ovidio, Remedia Amoris (vv. 359-88):

Multa quidem ex illis pudor est mihi dicere, sed tu


ingenio verbis concipe plura meis.
Nuper enim nostros quidam carpsere libellos,
quorum censura Musa proterva mea est.
Dummodo sic placeam, dum toto canter in orbe,
qui volet, inpugnent unus et alter opus.
Ingenium magni livor detractat Homeri;
quisquis es, ex illo, Zoile, nomen habes.
Et tua sacrilegae laniarunt carmina linguae,
pertulit huc victos quo duce Troia deos.
Summa petit livor: perflant altissima venti,
summa petunt dextra fulmina missa Iovis.
At tu, quicumque es, quem nostra licentia laedit,
si sapis, ad numeros exige quidque suos.
Fortia Maeonio gaudent pede bella referri:
deliciis illic quis locus esse potest?
Grande sonant tragici: tragicos decet ira cothurnos;
usibus e mediis soccus habendus erit.
Liber in adversos hostes stringatur iambus,
seu celer, extremum seu trahat ille pedem.
Blanda pharetratos Elegia cantet Amores
et levis arbitrio ludat amica suo.
Callimachi numeris non est dicendus Achilles;
Cydippe non est oris, Homere, tui.
Quis ferat Andromaches peragentem Thaida partes?
Peccet, in Andromache Thaida quisquis agat.
Thais in arte mea est: lascivia libera nostra est;
nil mihi cum vitta; Thais in arte mea est.
Si mea materiae respondet Musa iocosae,
vicimus, et falsi criminis acta rea est.

Traduzione: io ho pudore di dire molte di queste cose, ma tu prendile con l’ingegno le cose
che dirò con le parole, cerca di immaginare. Poco fa, infatti, criticarono i miei libretti e a causa di
questa censura la mia Musa è lasciva. Ma purchè io sia cantato in tutto il mondo, chi voglia critichi
la mia opera. Quell’invida non risparmia neppure la poesia di Omero, chiunque tu sia, oh Zoilo. E
sacrileghe lingue dilaniarono le tue lingue, sotto la corruzione portò gli dei….. (latino che critica
Virgilio). L’invidia non risparmia le cose somme, i venti soffiano sulle vette altissime, i fulmini
mandati da Giove toccano le sommità dei monti, ma chiunque tu sei, che la nostra poesia ferisce, se
hai un po' di pazienza, valuta qualsiasi cosa rispetto al suo metro. Le forti guerre godono di essere
riportate con il metro meoni (omerico): quale luogo può esserci per i piaceri? I tralici suonano
magnanimi, l’ira è convenevole ai tragici coturni (stivale alto: poesia tragica); il socco deve essere
trattato con i medi. Il libro giambo sarà brandito contro i nemici….. la lasciva elegia ..e
l’amica/amante giochi al suo arbitrio. Canto Taide, non ti scandalizzare quando leggerai tra
poco una poesia lasciva, perché la mia poesia è Taide, non Achille. Non ho niente a che fare con le
bende sacrificali, Taide è la mia arte. Se la mia musa è in linea con la maniera giocosa, ho vinto. Io
sono conforme alla mia musa.

Prima di leggere il testo ci conviene parlare della novella settima dell’ottava giornata: prima
parte della novella dove c’è la beffa che la donna fa all’uomo; poi c’è la seconda parte dove viene
raccontata la contro-beffa, dove la parola maggiormente ripetuta è VENDETTA. La seconda parte
per noi sembra eccessiva, ma per l’epoca la vendetta era una reazione assolutamente normale, anzi
doverosa. Il comportamento di Ranieri è giustificato. C’è un passo in questa seconda parte che
sembra strano. C’è qualcosa che non torna. Tra il discorso tra Elena e Ranieri. Fa un elogio
all’amore per i vecchi, ma lui è un giovane. Che senso ha quindi? Sapendo che il Corbaccio
racconta più o meno la stessa cosa. Boccaccio si innamora di una vedova. Molto probabilmente
questo ci dice che c’è qualcosa di vero nella storia, cioè che nella sua vita Boccaccio si sia davvero
innamorato di una vedova, e quando scrive è già abbastanza maturo. Quindi le parole di Ranieri,
così come le parole di Boccaccio nel Corbaccio sono le parole di B scrittore. Ranieri è solo più
positivo rispetto a Boccaccio nel Corbaccio. Il Corbaccio ha una base di autobiografismo
verosimile.
13/12
I proemi del Corbaccio, del Decameron e dell’elegia di madonna Fiammetta hanno qualcosa
in comune.
Nel Decameron prima del vero e proprio proemio c’è un’introduzione. Nel proemio parla di
se stesso, non dell’opera. Dice di avere compassione e dice che tutti debbano avere compassione
dell’altro, ma in particolar modo deve avere compassione chi ha a sua volta ricevuto la
compassione. Poi parla di una relazione in cui non ha saputo tenere sotto controllo l’amore e per
questo è stato ferito, ma non dalla donna. Sebbene l’amore sia finito, ricorda ancora cosa ha
provato. Ritiene opportuno rendere gli altri partecipi di quelle beatitudini. Scrive non per i suoi
amici, ma per le donne che hanno bisogno di un conforto. Le due finalità del Decameron: diletto e
utile consiglio.
Nell’elegia di Madonna Fiammetta. L’elegiaco è un genere letterario dell’infelice d’amore.
Fiammetta è infelice e vuole che gli altri abbiano compassione di lei. Ricorre moltissimo la parola
‘pietà’, ‘pietoso’ ‘lagrimevole’. C’è una trama abbastanza esile che ha al centro la disperazione e il
pianto della donna. Non è rivolta agli uomini. Non c’è finalità morale, al centro dell’elegia c’è
Fiammetta che vuole essere consolata. Invoca delle divinità che la aiutino nel ricordo e che la
sostengano nello scrivere. Non invoca Maria perché il suo amore è adulterino quindi sarebbe stato
un po' una blasfemia. Qui la compassione non è rivolta al pubblico, ma è Fiammetta che chiede
compassione.
Nel Corbaccio, sebbene ritornino alcune di questi temi, cambia decisamente l’intenzione
dell’autore. Il Corbaccio è frutto di una grazia, è un’opera per rendere grazie, al Signore e alla
Madonna che lo hanno salvato. Due obiettivi. Ringraziare il Signore per la salvezza che ha mostrato
nei suoi riguardi e il secondo è quello di fare utilità (come il Decameron, però con la differenza che
qui si tratta di consigli che si possono accettare e non accettare, mentre nel Corbaccio si parla di
‘fare utilità’, impossibile da non accettare).
Secondo una studiosa il Corbaccio ricorda la Commedia perché inizia male, con il
protagonista in una condizione negativa e poi finisce con lui che ribalta la sua situazione. Non è
esattamente così. Viene definito ‘umile trattato’, che al tempo era una definizione con cui
venivano chiamate le raccolte di prediche.
[Lettura narratio]
14/12
Narratio
‘Non ancora molto tempo...camera’. B colloca l’azione del Corbaccio in un tempo
imprecisato, anche se da alcuni passi si può dedurre che si svolga intorno al 1354/55. Anche il
luogo è assolutamente topico, cioè la camera. Passi della Vita Nova che raccontano che Dante dopo
aver visto Beatrice si ritira nella sua camera a pensarla.
‘ Si come assai...del carnale amore cominciai...’. L’amore che provoca sofferenza è carnale.
Non è un amore onesto (ricordarsi alle tipologie d’amore secondo B nel medioevo). In questo caso
l’amore non è una cosa nobile che ingentilisce l’uomo, ma il contrario, lo imbestialisce. Inizia a
ragionare ‘pietosamente’ e si rende conto che l’unico che sta commettendo crudeltà contro di lui è
lui stesso, non la donna. La donna si comporta solo come si comportano in genere le donne, lui
stesso si è sottomesso volontariamente a quella crudeltà. B inizia l’opera non raccontando, ma
condannando l’amore.
Loquitur autor narrando
B esce dalla sua cameretta e ricomicia a pensare razionalmente, con ordine (‘cominciammo a
ragionare con ordine assai discreto...’).l E’ un uomo nuovo che ha ripreso potere su di sé, grazie a
una ‘divina consolazione’. Dalla solitudine della camera, alla compagnia degli amici. Torna alla
camera, ma non èpiù afflitto e tormentato, ma come uomo nuovo, rasserenato.
‘ il mio piacere, soavemente m’addormentai...trapassato il tempo tolto’. A questo punto del
racconto B è già un uomo nuovo, ha già capito il suo errore e la storia avrebbe potuto fermarsi qua.
E’ un inizio strano, non narrativo. Il lettore dopo le prime tre pagine già sa come va a finire. Perché
fa così? Ha la necessità di sottolineare l’aspetto morale, far emergere subito che l’amore è una cosa
negativa. Forse per questo motivo è anche difficile pensare che il Corbaccio abbia una sottotrama
comica, perché l’aspetto morale è centrale.
Inizia la visione (nel sogno). Si trova in un locus amenus e c’è la metafora di un sentiero da
percorrere per arrivare alla ‘letizia’ per cui si intende l’atto sessuale.
E’ evidente che il modello è Dante.

E’ una trasposizione narrativa di quanto letto nella narratio.

Apparuit ei Spiritus
Con la fine dell’altra sezione c’è l’invocazione ad un aiuto. Lo spirito mandato da Dio
corrisponde al pensiero arrivato nella narratio.
L’apparizione, secondo una tecnica narrativa, è come uno zoom. All’inizio è confusa e man
mano si fa più chiara. E’ una lenta messa a fuoco. Capisce che è solo e che aspetto abbia. Poi gli
pare di ricordarsi di averlo già visto, cerca di ricordarsi. Anche i pensieri sono comuni e progressivi.
Non è casuale che lo spirito proviene da oriente, punto da cui sorge il sole, in antichità punto
connesso a Dio. Spirito mandato dall’alto, come si dice nella narratio. Il pensiero che prende forma
metaforica dello spirito. Forte realismo della descrizione.

Ovviamente ricorda Virgilio e la filigrana è quella del I canto del Purgatorio.

15/12
B ha inventato questo posto metaforico per raccontare la condizione dell’innamorato.

Interroga spiritus autorem


Tracutanza  IX canto dell’Inferno. Dante appena si sta avvicinando alla città di Dite, ma le
porte di questa sono bloccate dai demoni e dalle furie. Arriva un angelo che spalanca le porte si
rivolge ai demoni dicendo: “Onde esta tracutanza...(?)”, cioè ‘dov’è la vostra superbia, voi sconfitti
da Dio, per voler ostacolare un viaggio voluto da Dio’.
B piange alla vista dello spirito. Il Corbaccio non mostra il viaggio di pentimento (come nel
Secretum di Petrarca) del protagonista. Lo spirito non deve convincere B che ha sbagliato, B già lo
sa ed è già pentito/contrito. Viene detto subito dopo quale è stato l’errore, amare cose mondane 
“il falso piacere delle caduche cose...”.
Chiede aiuto per uscire da questo luogo che gli provoca paura. La situazione in sé è dantesca,
ma sono dantesche anche le parole (prob inconsapevoli). Tutto il testo ha una grana dantesca.
Lo spirito dice che fosse la persona che era una volta non lo avrebbe aiutato, ma siccome è
un’anima purgata ed è cambiato non nega l’aiuto richiesto.
“Alle cui parole..., ma la sua ombra...” C’è un errore di B perché lui pensava che lo spirito
con cui sta parlando fosse vivo, però se lo ha riconosciuto avrebbe dovuto sapere che quello era il
marito della donna e la donna era vedova. Modello dantesco, incontro tra vivi e morti. Capisce
che è uno spirito, il marito morto della donna e comincia ad avere paura. Chissa cosa vuole fargli.
Non riesce a muoversi e non riesce a scappare. Rimane di sasso.
Lo spirito lo tranquillizza. Discorsi sul luogo in cui si trovano. B chiede allo spirito che
genere di spirito è (purgatoriale o perduto)? Si parla della pena dello spirito. E poi si continua a
discutere sulla pena e sul pentimento. B chiede quali anime abitassero quel luogo, quel ‘porcile di
Venere’ e inizia un’altra sezione.
Demonstrat autoris spiritus quid sit vallis illa
Lo spirito mette in chiaro che l’Amore è un sentimento negativo. Dice che all’inizio può
sembrare bello e poi si ritrova in una valle di lacrime

20/12
Il saggio di Rico ipotizza l'influenza del Secretum di Petrarca sul testo: il passo analizzato a
pagina 230 (ed. Ricci) ti porterebbe 40 anni delle autore come momento di datazione del testo su
modello del testo del maestro. Entrambi i testi, seppur molto diversi, rappresentano una conversione
personale scriptoria dell'autore.

21/12
Il Filoloco (vedi doc.4) contiene una parte - studiata dalla critica per somiglianza con il
Decameron - in cui un'allegra brigata pone a Fiammetta 15 questioni d'amore; il risposta ad una,
fammi Fiammetta spiega i tre tipi d'amore (divino, per diletto, utile) e ne condanna i terreni,
riprendendo la credenza d'amore come malattia, come ‘reo’ e da fuggire grazie all'aiuto divino. La
definizione d'amore rispecchia quella data dallo spirito nel Corbaccio. Proseguendo nella lettura del
Filocolo questa definizione è crepata dalle stesse parole di Fiammetta, che dice lecito innamorarsi
in giovane età e che innamorarsi di una donna di rango superiore eleva.

La concezione negativa della donna che è presentata, anche con abbassamento di registro,
nella sezione che parte da pagina 233 stona con quella delle opere precedenti. Ad esempio, si legga
Decameron: introduzione I giornata (doc.3): Pure ammettendo l'inferiorità delle donne è detto che
queste possono vivere virtuosamente e secondo ragione. Nel De mulieribus claris - messo sotto la
protezione di Petrarca, anche per parallelismo con De virbus illustribus - Boccaccio si propone di
imprimere la memoria delle donne meritevoli, stupendosi che nessuno prima di lui abbia fatto cio:
anche qui pur riconoscendole come inferiori, scrive che alcune di queste non sono meno degli
uomini per merito.
22/12
10/01/2022
Gran parte delle novelle del Decameron sono tratte da storielle già in circolazione all’epoca
che Boccaccio modifica e adatta. La ‘novella delle papere’ riprende un diffuso dei secoli precedenti
in molte opere di carattere religioso.
Prima dell’interruzione natalizia ci siamo soffermati sulla sezione dove lo spirito spiega che
cos’è la donna (Quid sit mulier) e dicevamo che qui B sfrutta la tradizione misogina sia medievale
che antica (saggio Zaccarello). Passo di Bernardino da Feltri  prediche sulla tendenze delle donne
ad apparire diverse dal naturale.

Lettura Corbaccio pag. 237 + lettura Giovanale + lettura pag 240 + pag 242-250 (a pezzi)
mette in relazione la novella La Matrona di Efeso che parla di questa vedova che sfrutta la morte
del marito
che veglia e passa i giorni sulla tomba del marito a piangere. Sembra inconsolabile. Vicino al
sepolcro dove la donna piange c’è un crocifisso, un soldato punito con la crocifissione. Il soldato
decide di consolare la donna e questa accetta le avance del soldato e questi due passano qualche
giorno nel sepolcro del marito a darsi piacere. I parenti del crocifisso portano via il defunto e il
soldato si dispera (doveva fare la guardia) e allora la donna dice di mettere al posto del crocifisso il
marito defunto. Una letteratura del genere è diffusissima e ripresa da B nel racconto della vedova
dello spirito (vedi anche il file La Vueve  testi giullareschi francesi di larga tradizione. Fableau
non anonimo  Gotier Lorou (?). Utilizza un linguaggio sessualmente esplicito (povero Baucant 
il pene fiacco e nero, da una metafora). Questa esplicitezza è in linea con quella di B. E’ proprio una
tradizione fatta così. Sulla base di ciò diventa meno inaspettato e scandaloso quello che racconta B,
perché è rispettoso delle regole della tradizione. Da queste sezioni (quelle della condizione
femminile) inizia la comicità, che si rifà a tradizione satirica e giullaresca. La prima parte del
Corbaccio, invece, è più morale. Ecco spiegato l’alternanza di stili all’interno del testo. B si rifà ad
un’alternanza di stili e per ognuno segue regole proprie diverse.

11/01/2022
Lettura e commento Corbaccio.
Materiale didattico  trattati d’ascqeutta(?)  Vendom
12/01/2022
Carrai datazione 1354-55
Padoan 1360 circa
Rico anche è intorno al 1362-63

Ultima lezione abbiamo visto che in una sezione abbastanza breve (loquitur qualcosa) lo
spirito descrive le parti della donna in modo abbastanza poco romantico, svelando quelli che sono
gli inganni della vedova. Dopodichè si apre una parte ancora più esplicita e disgustosa che riguarda
la vagina della donna.

L’ immagine presa dalla sezione letta ieri vede il seno flaccido che può essere lanciato
all’indietro come se fosse una vescica sgonfia  immagine comica  Francesco Bruni, in uno
studio su Boccaccio, nota come l’immagine del seno come una vescica cadente si ritrova anche
nella descrizione di un certo Matteiu de Vendom e questa ars versificatoria è una delle ars poetiche
del medioevo. Ars versificatoria spiega ai nuovi poeti come si scrive, descrive in poetica e da una
serie di consigli su come iniziare composizione, su l’uso delle figure retoriche, etc...fa degli esempi
di descrizioni modello di Beroe [file materiale didattico Beroe]:
Beroe è piena di scabbia, feccia livida, dal volto orribile, opera della natura depientis, un’altra
Tesifone, imbarazzo per tutti, simile al mostro (spettri), brutta a vedersi, ripiena di pudritudine
(tabes), dal corspo terribile. La scabbia non lascia in pace le mani e il collo. Mentre la scabbia
nascosta dal cappello, non si vede, la mosca si muove verso il cibo dovuto. Il cranio è privo di
capelli. La pelle è piena di ruggine (croste della scabbia). Lurida, odora di sporcizia. Il sopracciglio
si protende ispido, contiene sporcizia. Il sopracciglio fatica a reggere la sporcizia della testa,
sporgendosi copre il naso. L’orecchio abbonda di sopracciglia, è pieno di vermi. Occhi pieni di pus.
Mentre mosche avide volteggiano attorno al loro cibo, le palpebre fungono da moschicida. Ha il
naso carnoso (narsi jacet), puzzolente, storto per il setto non dritto. Vomita esalazioni infernali. La
fetida guancia piena di solchi e sporca. Infetta saliva delle fauci del Cerbero sporca il petto, la
ruggine fluoreggia tra i denti (denti cariati). La scabbia non risparmia il collo vicino che è pieno di
nodi...il petto è attraversato da vene, la pelle cenciosa è simile a una vescia e simula le
mammelle [...].

Anche quella di Vendom è una descrizione dall’alto al basso. Immagini metaforiche per il
ventre. Non c’è un uso classico di aggettivi. Il prof non crede che B abbia letto questo testo, però è
importante notare come B si sta rifacendo a una tradizione letteraria che usa un linguaggio
comico (tipo anche i Fableaux  la Vueva).
La comicità del testo si spiega in virtù del codice che B utilizza. Nel medioevo c’è un
rapporto molto stretto tra una realtà e il suo linguaggio. Linguaggio basso=linguaggio comico, la
sessualità è un argomento basso; quindi, significa usare necessariamente un linguaggio basso. Oggi
una realtà può essere adattata a diverse modalità di linguaggio, nel medioevo no, la questione è più
sistematica.
Un altro passo che aiuta a rendere l’idea è Roman de la Rose, importante per la letteratura
medievale francese. Facciamo riferimento al proseguimento di quello originale, un testo
lunghissimo di circa 21000 versi. A un certo punto dice:
Ora ascoltate, leali amanti, che il dio d’amore vi ami e doni di gioire dei vostri amori. In
questo bosco potete sentire i cani abbairi, se voi li sentite, per prendere il coniglio dove voi tendente
e il furetto che certamente deve far salire a testa in giù. [...]. Mi devo difendere contri chi mi critica
la libertà che mi sono presa nei prossimi versi. Vi prego, signori amorosi, che se voi ci trovate
parole troppo ardite e folli per cui i maldicenti saltano in piedi, che cortesemente contraditeli,
rispondete loro che i padri verso tali parole mi tirano per le proprietà di sé; e perciò ho usato
solo quelle parole. Perché è cosa giusta e dritta secondo l’autorità di Sallusto che ci ha detto come
sentenza vera:” ‘ Tu sebbene non sia simile gloria di colui che la cosa fa e dello scrivano che scrive,
tuttavia, l’abilità di scrivere non è cosa semplice, anzi è molto difficile mettere bene i fatti per
iscritto perché chiunque la cosa scrive se non vuole superare qualcosa al vero, il detto deve
somigliare al fatto, le voci deveno essere vicine ai fatti.

Questo si trova anche nel VI Canto dell’Inferno, quando Ciacco si presenta. Immagini
comiche/popolari.
Boccaccio quindi condizionato dalla retorica medievale ad usare questo linguaggio.

Lettura del Corbaccio

17/01/2022
Lettura Corbaccio

Questione della nobiltà  in Italia difesa da parte degli intellettuali della nobiltà come
condizione legata alla virtuosità.
18/01/2022
Perché Boccaccio ha scritto un’opera così strana? Oltre alla volontà di un cambiamento
radicale, bisogna considerare la visione comica anche.

19/01/2022
Nobiltà de iure  una famiglia nominata nobile perché c’è una legislazione che lo appaggia
Nobiltà de facto  determinata famiglia nata ricca, antenati prestigiosi, ma non c’è una base
giuridica che lo determina.
Dal XII secolo si passa da nobiltà di facto a quella de iure.

L’intenzione del Corbaccio. La critica ha avanzato due differenti ipotesi. Alcuni sostengono
che il Corbaccio sia un testo prevalentemente comico, quindi da prendere poco seriamente. Questa
ipotesi è sorretta dal fatto che B giustappone uno stile morale alto e uno comico basso (parte più
ambia dove B si rivolge a modelli comico-satirici). Quelli che ritengono che il Corbaccio sia un
testo serio si basano sulla prima parte del trattato e sulla conclusione. Padoan e Rico sostengono che
sia un testo serio  conversione letteraria di B.
E’ una costatazione che i modi e lo stile si giustappongono. Dal codice Mannelli abbiamo il
testo diviso in sezioni e le rubriche si sono rilevate utili per leggere il testo perché ci ha permesso di
isolare alcune parti.
Il Corbaccio nonostante sia un dialogo tra un vivo e un morto, non è un dialogo propriamente
inteso infatti B lo definisce un trattato che indirizza il lettore verso un’opinione ben precisa.
Alla fine della Narratio il lettore capisce esattamente dove la successiva visione andrà a
parare. Una scelta poco convenzionale per gli scrittore dell’epoca. L’unica spiegazione è che
permane in B la cosa morale, cioè che sin dalle prime pagine abbia voluto sottolineare questo
aspetto.
B si trova in una condizione di peccato determinata non solo da fatto biografico, ma anche
letterario. Questo fa si che il Corbaccio lascia intendere non solo fatti biografici che letterari. Quindi
perciò molti pensano che il C sia una parodia della tradizione letteraria precedente.

B dopo il C è tornato alla vocazione che lo spirito gli indica? Si, in gran parte si. Corbaccio
ultima opera in volgare, dopo produzione dotta e erudita, con mozione scientifica...molto diversa
dalla trad. fino al Decameron quindi il Corbaccio rappresenta davvero un cambio di poetica in B,
magari non così radicale come viene espresso dallo spirito, ma sicuramente cambia. Questa
costatazione toglie credito alla lettura comica. C’è un superamento e cambio di modello. La parte
misogina-bassa richiede necessariamente un linguaggio comodo.

B non poteva raccontare la sua mutatio vitae in maniera diversa?

B si adatta al pubblico in mezzo al quale si ritrova  a Napoli si rivolge alla corte per
esempio. Immagino di un poeta che ama narrare per...
La sua vocazione per la narrazione viene rilevata nelle parti più ‘basse’ del Corbaccio. Questo
può essere una chiave per capire l’ambiguità del testo. Le parti comiche si ispirano ad una
tradizione satirica che B dimostra di conoscere bene e di saper riprodurre.

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