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Promuovere

il benessere
a scuola

Promuovere il benessere a scuola


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Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Direzione Generale per il Personale Scolastico

Promuovere
il benessere
a scuola
esperienze ed indicazioni
per prevenire lo stress da lavoro
correlato (DM 81)

Roma 8-9 Novembre 2012

ATTI
a cura di:
Giuseppina Fantone - Massimo La Rocca

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca


Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio
Istituto Comprensivo Via Sebenico 1
00198 Roma
Tel./Fax 068549282
Il convegno è visibile su youtube.com: Promuovere il benessere a scuola
Roma 8-9/11 2012
Introduzione

Massimo La Rocca
Dirigente scolastico I.C. Via Sebenico - Roma

Nei giorni 8 e 9 novembre 2012, presso l’I.T.I.S. Galileo Galilei di Roma,


si è svolta la prima parte del corso di formazione per i dirigenti scolastici
sul tema particolarmente attuale della promozione del “Benessere a scuo-
la”.
L’iniziativa, in continuità con le altre due precedenti edizioni, è stata pro-
mossa dalla Direzione Generale per il Personale Scolastico del M.I.U.R.
con il supporto progettuale ed organizzativo dell'Istituto Comprensivo
"Luigi Settembrini - Via Sebenico"; tale iniziativa aveva l’obiettivo di
individuare nella prevenzione l’elemento centrale per diminuire, a livelli
tollerabili, eventuali situazioni di stress nell'ambito lavorativo e quindi
migliorare le attuali condizioni organizzative. Tale evento si è reso neces-
sario per rileggere la nuova normativa emanata, con particolare riferimen-
to al Decreto Legislativo n. 81 del 2008, che individua nelle strategie
gestionali uno dei fattori determinanti per la sicurezza ed il benessere nei
luoghi di lavoro. In particolare l’art. 28 stabilisce come debba necessaria-
mente attuarsi una valutazione preventiva dei fattori di stress da lavoro
correlato ed un monitoraggio costante delle condizioni professionali. La
riflessione approfondita sulle attività lavorative, oltre a prevenire situa-
zioni di disagio e di isolamento, può consentire un significativo migliora-
mento delle prestazioni lavorative individuali e collettive.
In tale ambito la partecipazione di circa duecento persone e l’interesse
suscitato hanno reso possibile la creazione di un uditorio attivo e motiva-
to nel cercare strategie e azioni migliorative della propria attività gestio-
nale. Le sessioni di lavoro proposte hanno analizzato diversi ambiti tema-
tici afferenti la complessità dell’istituzione scolastica attraverso una visio-
ne sistemica e mai parcellizzata. Tale prospettiva ha consentito, ai molti
responsabili della gestione delle risorse umane, di acquisire gli aspetti più
innovativi delle diverse discipline che interagiscono e si interconnettono.
Inoltre, in un’ottica di tipo esperienziale ed operativo, si è cercato di dare
indicazioni concrete ai bisogni formativi dei partecipanti attraverso ricer-
che empiriche, risposte mirate e possibili soluzioni alle domande poste ai
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diversi esperti che si sono succeduti in qualità di relatori. Le sessioni for-
mative si sono distinte attraverso la connessione di argomenti ed elabora-
zioni teorico-pratiche di grande importanza per il ruolo dirigenziale. Si è
proceduto, quindi, ad un’analisi socio-psicologica della realtà multiforme
che si ha davanti, con la successiva disamina dal punto di vista legislativo
e medico-legale, per poi proseguire con i temi attinenti l’organizzazione e
l’implementazione di piani di miglioramento che possano essere realmen-
te incisivi ed efficaci per lo sviluppo professionale anche al fine del per-
seguimento di un idoneo “clima” relazionale all’interno dell’istituzione
scolastica.
L’analisi descritta è stata inoltre arricchita dalla presenza di testimoni della
cultura, lo scrittore Marco Lodoli, e dello spettacolo, il regista Giuseppe
Piccioni, che hanno indagato il mondo della scuola offrendo una lettura
particolare ed interessante che spesso sfugge alle persone coinvolte nel
sistema d’istruzione.
In conclusione possiamo affermare che la tematica affrontata non è sem-
pre di facile interpretazione richiedendo un sforzo notevole, da parte di
tutti gli attori coinvolti, per non evidenziare solo gli aspetti di medicaliz-
zazione di eventuali situazioni di disagio; per offrire, anzi, interessanti
spunti di riflessione sul proprio operato e su come migliorare un’organiz-
zazione complessa, quale si presenta l’attuale istituzione scolastica.

Si ringraziano sentitamente tutti i relatori ed i moderatori del corso che


hanno dimostrato grande professionalità e ricchezza di contenuti, i parte-
cipanti che hanno evidenziato un notevole interesse. Un ringraziamento
particolare è rivolto alla “inimitabile” prof.ssa Giuseppina Fantone che,
oltre ad aver diretto la segreteria organizzativa, ha coordinato con profes-
sionalità la progettazione formativa del corso.

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Luigi Calcerano

Dirigente degli Uffici VI e VII


Direzione Generale del Personale Scolastico - MIUR Roma

Sono particolarmente contento che, nonostante la crisi ed i tagli, siamo


riusciti ad organizzare questa iniziativa. Sarà un po’ rozzo, ma quando
l’Amministrazione mette mano al portafoglio vuol dire che l’iniziativa è
considerata particolarmente rilevante. Siamo convinti, infatti, che il feno-
meno del disagio professionale degli insegnanti (e anche dei Dirigenti
Scolastici), noto anche con il nome di burnout, rappresenti uno dei proble-
mi più insidiosi che la scuola e gli operatori scolastici si trovano a dover
affrontare. Mi piace l’etimologia di questa parola inglese “burnout” che è
difficile tradurre perché fa riferimento ad una sorta di spegnimento pro-
gressivo, di esaurimento interno, come quello di una candela: ci sono alcu-
ne immagini del burnout che rappresentano la situazione come una cande-
la che brucia da tutti e due i lati e che quindi si esaurisce molto più velo-
cemente.
Il burnout non colpisce solo educatori ed insegnanti, ma tutte le persone
che esercitano professioni d’aiuto, quando non riescono a rispondere in
maniera adeguata ai carichi eccessivi di stress che il loro lavoro li porta ad
assumere. Sono già alcuni anni che organizziamo iniziative contro il bur-
nout e mentre le preparavamo abbiamo cominciato a conoscerlo meglio:
oltre alla coppia che cita Marco Lodoli nel contributo che avete in cartel-
la, docente/apprendista, esiste anche la coppia organizzatore/apprendista
perché, programmando queste cose, noi le approfondiamo anche personal-
mente e abbiamo capito alcune cose che, secondo me, sono fondamentali.
Sappiamo che il ruolo dell’insegnante nella società della conoscenza è sot-
toposto a tensioni, sollecitazioni, pressioni contrapposte tra le esigenze
delle Istituzioni, in particolare dell’ordinamento scolastico del Governo, e
quelle delle famiglie e degli studenti. C’è un problema di crisi d’identità
dell’insegnante, di calo crescente del prestigio professionale che gli è rico-
nosciuto dalla società in quanto molti dicono (e io sono d’accordo) che
anche la bassa remunerazione abbassa il prestigio poiché in una società
come la nostra chi è pagato poco è ritenuto fare un lavoro poco importan-
te, poco interessante. E poi ci sono questi fenomeni, di cui ha già parlato
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la mia collega D’Antimi, che irrompono sempre nella vita scolastica e
sono problematiche economiche e sociali, che arrivano a minacciare le
stesse condizioni basilari del rapporto educativo. Lei ha giustamente cita-
to il bullismo che non si manifesta più solo tra gli studenti, ma si rivolge
spesso anche contro i docenti, fino ad episodi di vera e propria sopraffa-
zione. E sono episodi che si verificano non solo nelle tradizionali zone a
rischio dove sarebbero, tra virgolette, più giustificati, ma si trovano anche
nelle grandi città e con studenti che non sono, sempre tra virgolette, disa-
giati, ma apparentemente privi di problemi e di buone condizioni econo-
miche e sociali.
Di fronte al deterioramento dell’immagine, agli insuccessi professionali
ed a situazioni difficili è ovvio che molti insegnanti comincino a sviluppa-
re un processo di logoramento e di decadenza psicofisica, caratterizzata in
genere dalla mancanza di energie, di capacità nel sostenere e scaricare lo
stress, dalla frustrazione, dall’insoddisfazione che possono condurre, e
spesso conducono, alla demotivazione, all’assenteismo, all’apatia, al ser-
vizio prestato non con entusiasmo, ma con interesse sempre minore.
Preparando questo seminario abbiamo capito che sarebbe sbagliato medi-
calizzare questioni importanti e delicate come queste, perché sarebbe
anche come uno scaricarsi la coscienza da parte dell’Istituzione e noi non
vogliamo farlo. Per questo l’Amministrazione centrale ha trovato i mezzi,
pur nella continua riduzione delle risorse disponibili per la formazione, e
con l’aiuto degli OSR e delle scuole in prima linea si è determinata ad
affrontato il discorso particolarmente rilevante del burnout, promuovendo
occasioni di approfondimento del tema, ritenendo particolarmente impor-
tante in primo luogo la sensibilizzazione sul fenomeno perché gli operato-
ri scolastici imparino a prevenire, riconoscere e trattare il disagio, favori-
scano gli interventi per contrastarne la crescita e la diffusione, al fine di
passare dal burnout alla soddisfazione e (l’ha detto già la mia collega) al
benessere professionale. Benessere? Certo sembra un sogno parlare di
benessere in una situazione di crisi come la nostra attuale, ma noi dobbia-
mo lavorare non solo per l’emergenza, ma anche per il futuro e anche per...
i sogni.
Questa è una situazione di sperimentazione pilota che tiene ovviamente
conto della limitatezza delle risorse: per esempio, si sta perseguendo una
curvatura degli strumenti formativi già esistenti e dei servizi di consulen-
za; stiamo lavorando anche con una iniziativa di formazione in cui utiliz-
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ziamo il contributo dei docenti delle comunità per tossicodipendenti per
cercare di aprire un discorso sull’ascolto e sulle capacità che le scuole
hanno di rilevare i problemi ancor prima che si sviluppino ed esplodano,
tutto per ricomprendere in una implementazione dell’offerta formativa
disponibile.
Ho detto che sarebbe sbagliato medicalizzare questioni importanti e com-
plesse come questa per cui la linea dell’intervento e dell’iniziativa sostan-
zialmente si propone di aggredire il burnout da più angolature: l’approfon-
dimento e la comprensione rigorosa del fenomeno, una corretta ed appro-
fondita organizzazione del lavoro della scuola, l’attenzione alla sicurezza,
la preparazione dei Dirigenti Scolastici e la ricaduta sull’attività di conten-
zioso (anche questo è particolarmente interessante perché ci sono stati dei
Capi d’Istituto che sono stati condannati dal giudice per non aver operato
una valutazione congrua dei rischi specifici) e poi, insisto, la sensibilizza-
zione ed il sostegno psicologico.
Non ci nascondiamo le difficoltà, che sono tante, perché è necessario
avviare un tipo di lavoro comune fra Dirigenti, docenti ed
Amministrazione che si incontrano per intervenire sulle regole di un deter-
minato ambito del futuro della scuola, che si confrontano su come gover-
nare un processo così difficile.
Mentre lo dico mi rendo conto che parlare nella situazione attuale, così
difficile, di una prospettiva di questo genere sembra quasi una “mission
impossible” e in casi come questo mi piace citare lo scrittore americano
Mark Twain che una volta scrisse “la missione era impossibile, ma i ragaz-
zi non lo sapevano quindi la fecero”. Io spero che a noi capiti qualcosa del
genere perché abbiamo un minimo d’improntitudine a cercare di affronta-
re il discorso del burnout, perché ci sovrasta, però proviamoci e chissà che
non si riesca a mettere a punto qualche tassello.

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La prevenzione dello stress e la promozione del benessere
nel contesto scolastico nella prospettiva psicosociale:
il ruolo dei fattori nocivi e protettivi

Dina Guglielmi
Docente di Psicologia del Lavoro - Università di Bologna

Introduzione

Con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo 81 “La valutazione dei


rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori deve essere effettuata
tenendo conto dei rischi da stress lavoro-correlato”. La valutazione dello
stress porta con sé diverse problematiche tra cui in primo luogo quella
relativa alla sua misurazione. Riprendendo l’Accordo quadro europeo che
definisce lo stress come “Condizione che può essere accompagnata da
disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale, ed è conse-
guenza del fatto che taluni individui non si sentano in grado di corrispon-
dere alle richieste o alle aspettative riposte in loro” … “L’individuo è
assolutamente in grado di sostenere un’esposizione di breve durata alla
tensione, che può essere considerata positiva, ma ha maggiori difficoltà a
sostenere un’esposizione prolungata ad una pressione intensa. Inoltre,
individui diversi possono reagire differentemente a situazioni simili e lo
stesso individuo può reagire diversamente di fronte a situazioni simili in
momenti diversi della propria vita” (Accordo Europeo 08/2004, art. 3) è
immediato cogliere le difficoltà di misurazione data la natura fortemente
soggettiva dello stress. Anche la circolare della Commissione Consultiva
per la Salute e la Sicurezza sul Lavoro del 18/10/2010 che approva una
serie di linee guida per la valutazione dei fattori di stress lavorativo risol-
ve solo parzialmente il problema indicando un percorso metodologico di
minima.
Oltre all’obbligo normativo e alle problematiche appena esposte il tema
dello stress in ambito scolastico è particolarmente rilevante. Come nume-
rose ricerche segnalano insegnare è stressante, in confronto con altre pro-
fessioni gli insegnanti mostrano infatti più alti livelli di esaurimento emo-
tivo e cinismo, dimensioni centrali del burnout con conseguenze sia sul
versante individuale che organizzativo.
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Nella logica di coniugare la valutazione dello stress prevista dal Decreto
81, i problemi di misura ad esso correlati e la centralità del tema nel con-
testo scuola il gruppo di ricerca di Psicologia del Lavoro e delle
Organizzazioni dell’Università di Bologna ha attivo da diversi anni un
progetto sulla promozione del benessere organizzativo come strumento di
prevenzione di diverse forme di disagio lavorativo tra cui il burnout.La
finalità generale è quella di promuovere il benessere nella scuola, attraver-
so il riconoscimento preventivo di tutte quelle dimensioni che possono
rappresentare fattori di rischio psico-sociale.
All’interno di questo più ampio progetto verranno qui presentate due
ricerche che illustrano due passaggi importanti nella valutazione dello
stress in ambito scolastico.
Il primo lavoro dal titolo “Prevenzione dello stress lavoro correlato:
validazione di uno strumento per la valutazione dei rischi psicosociali
nella scuola”1 presenta la proposta del Gruppo di lavoro “Promozione
benessere organizzativo” attivato in collaborazione con l’Ufficio scola-
stico Provinciale di Bologna nel 2006 con l’obiettivo di monitorare i fat-
tori di rischi psicosociali attraverso la rilevazione del benessere organiz-
zativo. Le fasi di lavoro che hanno permesso la validazione di uno stru-
mento per la valutazione dei rischi psicosociali nella scuola hanno
riguardato:
• Approfondimento della normativa e della letteratura specialistica di rife-
rimento
• Individuazione puntuale delle dimensioni da porre sotto osservazione e
degli indicatori (realizzata con esperti del settore in particolare Dirigenti
Scolastici)
• Messa a punto di uno strumento specifico per la realtà in esame - adat-
tamento e ampliamento del questionario multidimensionale sulla salute
organizzativa (Avallone, Paplomatas, 2005)
• Sperimentazione del questionario e relativa validazione
Nella predisposizione dello strumento si è quindi tentato di focalizzare
l’attenzione sui fattori di rischio nella scuola, al fine di comprendere quali
dimensioni porre al centro dell’indagine. Nello specifico sono state indi-
viduate cinque aree principali contenute nel questionario: Motivazione al

1 Guglielmi D., Paplomatas A.,Simbula S., Depolo M. (2011), Psicologia della salute, N°
3, 2011, pp. 53-74.

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lavoro e coinvolgimento; Benessere organizzativo; Caratteristiche del
compito; Il compito: gestione della classe; Salute e benessere.
Hanno risposto al questionario 953 persone che lavorano all’interno della
scuola (82% docenti). I risultati mostrano la validità e l’attendibilità dello
strumento proposto per valutare i fattori di rischio psicosociale nella scuo-
la, segnalandone un possibile uso nella valutazione dello stress lavoro cor-
relato.
A titolo esemplificativo nelle Figura 1 sono mostrate le associazioni tra le
dimensioni studiate e il benessere e malessere organizzativo. Gli stessi fat-
tori si associano (come mostrato nella figura) e permettono inoltre di
discriminare diversi tipi di esiti (benessere, fatica mentale, ecc.). I risulta-
ti possono, quindi, essere considerati una conferma di quanto richiamato
dalla normativa attuale in materia di sicurezza sul lavoro rispetto ai poten-
ziali effetti delle caratteristiche del lavoro e dell’organizzazione del lavo-
ro sul benessere e sulla salute dei lavoratori.

Figura 1: Caratteristiche del lavoro, fattori di rischio e benessere organizzativo.

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Il secondo lavoro di ricerca presentato in questa sede dal titolo “Job
Demands-Resources Model: uno strumento per la valutazione dei fattori
di rischio nella scuola2“ allarga la prospettiva con l’obiettivo di non defi-
nire solo uno strumento ma una vera e propria modalità di intervento in
ambito scolastico. Come anticipato in precedenza in confronto con altre
professioni, l’insegnamento è considerato un lavoro ad alto stress. Uno dei
recenti modelli teorici inerenti stress e burnout ampiamente utilizzato
anche sugli insegnanti è il modello Domande-Risorse Lavorative (JD-R)
presentato sinteticamente in Figura 2.

Figura 2: Il modello Domande (fattori di rischio) e risorse (fattori protettivi) lavorative


(adattato da Schaufeli et al. 2001).

Come mostra la figura i fattori psicosociali dell’ambiente lavorativo sti-


molano due processi opposti: un processo di stress (o esaurimento delle
energie) innescato dai fattori nocivi; e un processo motivazionale soste-
nuto dai fattori protettivi. Il primo passa per una situazione di burnout
(persistente e negativo stato mentale legato alla situazione lavorativa in

2 Guglielmi D., Simbula S., Depolo M. (2009), Psicologia dell’educazione e della forma-
zione, Vol. 11, N° 3.

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individui normali‘che è, in primo luogo, caratterizzato da esaurimento,
accompagnato da angoscia, senso di ridotta competenza, motivazione
descrescente e lo sviluppo di atteggiamenti disfunzionali al lavoro) il
secondo per una situazione di engagement (condizione positiva e affetti-
vo-motivazionale di realizzazione che è caratterizzata da energia, dedizio-
ne e assorbimento). Entrambi i processi hanno un’influenza sul benessere
individuale e organizzativo ma il processo di stress in senso negativo e
quello motivazionale in senso positivo.
Lo scopo dello studio qui presentato è stato di testare il modello nel con-
testo scolastico italiano. 235 insegnanti di 4 scuole secondarie di I grado
della Regione Emilia-Romagna hanno risposto a un questionario su risor-
se (influenza/partecipazione e sviluppo personale), domande lavorative
(iniquità e conflitto lavoro-famiglia), burnout, engagement, benessere e
comportamenti di cittadinanza organizzativa.
I risultati delle analisi (mediante modelli di equazioni strutturali) mostra-
no che il burnout è un mediatore tra domande lavorative e benessere, men-
tre l’engagement è un mediatore tra risorse lavorative e comportamenti di
cittadinanza organizzativa, come mostra la figura 3.

Figura 3: Modello Domande e risorse lavorative negli insegnanti italiani.

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I risultati confermano quindi che fattori psicosociali dell’ambiente lavora-
tivo stimolano due processi opposti: un processo di stress (o esaurimento
delle energie) innescato dai fattori nocivi; e un processo motivazionale
sostenuto dai fattori protettivi. Tali processi hanno effetti opposti sul benes-
sere degli insegnanti: elevate domande conducono a cattiva salute menta-
le; mentre adeguate risorse favoriscono l’attuazione dei CCO. Fattori noci-
vi e fattori protettivi risultano tra loro negativamente correlati.
Questo studio fornisce indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-
correlato e le relative strategie di intervento nella scuola. In primo luogo
il Modello “Domande-Risorse” si è mostrato utile per l’analisi e la valu-
tazione dei fattori psicosociali nell’ambiente “scuola”. L’utilizzo del
modello consente due possibilità: stimare la rischiosità della situazione
lavorativa, ma anche valutare i punti di forza e le risorse presenti. In sin-
tesi i vantaggi del modello possono essere così sintetizzati: misura miglio-
re dello stressor (in rapporto al disagio sperimentato); misura del “lato
nascosto” del lavoro: le risorse per il benessere; capacità di rilevare linee
di intervento alternative, connesse allo sviluppo dell’engagement dei lavo-
ratori.
I risultati delle due indagini nel loro complesso suggeriscono quindi indi-
cazioni sui possibili tipi di intervento (individuali e organizzativi) da
attuare sia per prevenire il manifestarsi di situazioni di disagio, sia per pro-
muovere il benessere fisico, psicologico e sociale all’interno del contesto
di lavoro “scuola”.

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La leadership democratica nella scuola

Roberto Serpieri
Professore Associato - Facoltà di Sociologia
Università Federico II - Napoli

Per la relazione visionare DVD

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“Lo stress da doppio carico di lavoro: alcuni aspetti
della femminilizzazione della professione di insegnante”

Ketty Vaccaro
Sociologa, Responsabile Settore Welfare - CENSIS - Roma

Nella relazione sono stati messi in luce alcuni degli aspetti che, a diverso
titolo e in misura diversificata, possono essere considerati rilevanti nella
genesi delle situazioni di burn-out degli insegnanti italiani:

• da una parte gli aspetti interni alla professione, che hanno a che vede-
re con la progressiva femminilizzazione, l’aumento dell’età media del
corpo insegnante, la crescente precarizzazione, la difficoltà di gestire i
nuovi assetti della scuola italiana, con specifico riferimento alla crescen-
te presenza degli immigrati;

• dall’altra parte sono evidenziati gli elementi specifici, legati alla femmi-
nilizzazione della professione, ma in grado di configurare una ulteriore
fonte di stress di natura esterna alla scuola, identificata del doppio
carico di lavoro che caratterizza l’attuale condizione delle donne italia-
ne.

Nelle conclusioni è stata evidenziata la necessità di intervenire sui fattori


di stress per migliorare l’empowerment dei professionisti della scuola, da
momento che esso rappresenta una condizione importante per far sì che gli
insegnanti possano guardare con soddisfazione al lavoro svolto, al ruolo
ricoperto e ai rapporti che intrattengono con colleghi e superiori.

Al momento non mancano segnali di disorientamento nel corpo insegnan-


te nel prefigurare la scuola del futuro, ma quello che è importante è
improntare il rapporto tra individuo e organizzazione sulla base della con-
divisione di valori e norme, perché i lavoratori più motivati sono anche
quelli più qualificati. E per questo l’obiettivo prioritario per fronteggiare
il burn-out è proprio la promozione di un patto tra individuo e organiz-
zazione basato sulla valorizzazione reciproca.

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Scuola, benessere e giustizia:
un tema su cui riflettono filosofi e sociologi

Luciano Benadusi
Professore Onorario Università La Sapienza - Studioso di sociologia
dell’educazione - DIrettore della rivista “Scuola Democratica”

La questione degli effetti dell’educazione è stata finora prevalentemente


affrontata nel lungo termine, come se la scuola fosse un’istituzione solo di
preparazione alla vita futura e non dove si vive, e in modi carichi di signi-
ficato, la vita di oggi.
Nel 1972 un noto sociologo americano, Christopher Jenks, fece un’ampia
analisi secondaria dei dati disponibili negli SU sul rapporto fra education
e redditi di lavoro giungendo alla conclusione, peraltro discussa, che egua-
lizzare l’istruzione non serve ad egualizzare anche i redditi.
Piuttosto che ai benefici a lungo termine dell’istruzione consigliava perciò
di guardare ai benefici a breve termine per gli studenti. Cioè di fare il pos-
sibile per consentire loro di vivere meglio la scuola.
Il meccanismo della gratificazione differita non funziona più come un
tempo perché è colpito al cuore dalla crisi motivazionale che affligge
l’odierna scuola di massa. I benefici di lungo periodo sono divenuti più
incerti e l’attuale generazione di giovani ha un atteggiamento presentista,
la sua funzione di preferenza inter-temporale è cambiata. I giovani studen-
ti di oggi debbono essere aiutati a scoprire il senso dello stare a scuola e
non solo con riferimento al futuro.
In assenza di ciò si diffondono gli stati di noia, disagio, frustrazione. E
questo genera l’aumento della micro-conflittualità quotidiana: una scuola
divisa dinnanzi ad una famiglia pacificata, come ci mostrano diverse inda-
gini sociologiche.
Il benessere degli studenti e dei docenti assume quindi oggi un rilievo cen-
trale sia sul piano degli apprendimenti che su quello della socializzazione:
lo sforzo e la disciplina nello studio e nei comportamenti sono sempre stati
e rimangono necessari ma presuppongono, più che nel passato, compren-
sione, sensatezza e piacere.
Le nuove teorie del benessere – pensiamo soprattutto a Sen ed all’approc-
cio delle capacitazioni – lo definiscono in modo duale: come “l’insieme
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degli stati di essere e di fare cui il soggetto attribuisce valore” e nello stes-
so tempo come agency, come capacitazione o attivazione. Potremmo dire
con Sen: well-being e libertà, stare bene con se stessi e con gli altri e
apprendere il difficile gioco della libertà, innanzitutto la libertà di scelta.
È tutta una pedagogia che si può costruire e si sta tentando di costruire
sulla base del concetto di capacitazione e su quello, strettamente connes-
so, di sviluppo umano.
Vorrei però limitarmi qui a sottolineare l’importanza di un impegno rifles-
sivo costante sull’esperienza scolastica da parte di insegnanti e studenti e
dell’avere a disposizione un termometro che osservi e, quando è possibi-
le, misuri il benessere e lo sviluppo personale, non solo i consueti indica-
tori di risultato.
Un elemento fondamentale in questa prospettiva è il clima relazionale ed
organizzativo a livello di classe e di istituto.
Una determinante cruciale del benessere e del malessere in qualsiasi orga-
nizzazione è la giustizia.
È nella scuola che i giovani fanno la prima esperienza della giustizia nella
sfera pubblica, anche per questo il tema della educazione alla cittadinan-
za è tanto importante.
Le teorie della giustizia negli ultimi 40/50 anni sono state oggetto di un
grande dibattito a livello internazionale tra i filosofi della politica, riprese
da economisti e sociologi.
Stupisce che la scuola, nei suoi curricoli, ignori tutto questo.
3 criteri: Rispetto-autonomia, eguaglianza e merito (Dubet).
Una survey sugli studenti del 1° anno delle superiori (o equivalente in altri
paesi), in 5 nazioni europee (+ Giappone).
Rilievi positivi: l’Italia ne esce molto bene per vari aspetti.
P.es. è il paese dove la quota degli studenti che affermano che gli inse-
gnanti li incoraggiano a ragionare con la propria testa e trattano le loro
opinioni con rispetto anche se non le condividono (rispetto-autonomia) è
la più alta. Così pure per il quesito se gli insegnanti si interessano al loro
benessere.
In Italia, più che altrove, gli studenti condividono la visione più avanzata
del principio di eguaglianza (discriminazione positiva) e riconoscono che
i loro insegnanti vi si conformano.
In Italia, più che altrove, si ritiene che la scuola e gli insegnanti siano giu-
sti.
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Rilievi negativi: l’area critica in Italia è quella della valutazione, l’area
dove il criterio di giustizia da applicare è il merito con tutte la sue ambi-
guità.
Solo il 46%, la percentuale più bassa tra i vari paesi, dichiara che gli inse-
gnanti danno i voti che gli studenti meritano.
Debole attribuzione di valore al merito da parte degli insegnanti italiani
(vedi anche Sciolla).
Non trasparenza dei criteri di valutazione, sospetti di favoritismo o di
casualità.
L’esperienza della giustizia o dell’ingiustizia a scuola risulta la principale
determinante di una serie di atteggiamenti: fiducia negli insegnanti, cre-
denza nella scuola come luogo giusto, ed è importante anche riguardo
all’assunzione di una visione avanzata dell’eguaglianza. Influisce anche
sugli atteggiamenti rispetto al mondo fuori della scuola (vedi anche inda-
gine IEA).

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Sezione teorico-operativa sugli aspetti giuridico-legali
dello stress da lavoro correlato

Micaela Ricciardi
Dirigente Scolastico Liceo G. Cesare - Roma

Con un approccio che procede dal generale al particolare, i lavori pomeri-


diani, dopo lo sguardo a tutto campo degli interventi di apertura, vogliono
offrire un approfondimento degli aspetti giuridici e procedurali nella pre-
venzione e gestione dello stress da lavoro correlato (SLC), particolarmen-
te orientato alla pratica quotidiana del fare scuola.
Così l’Avvocato di Stato Laura Paolucci, esperta di questioni scolastiche,
offre un quadro normativo del percorso giuridico compiuto per la defini-
zione dell’art.28 del D.Lgs. 81/08 a partire dall'Accordo Europeo dell'8
ottobre 2004: in questo contesto appare più evidente il ruolo della preven-
zione come fondamento difensivo nelle controversie giurisdizionali e la
necessità, etica e giuridica, dell’attenzione alla difesa della salute del
dipendente da parte del Dirigente Scolastico. Il ricorso all’esemplificazio-
ne di alcune sentenze significative rende l’analisi concreta e stimolante
per il dibattito con il pubblico presente.
Sulla stessa linea giuridica, ma con un’attenzione maggiormente procedu-
rale, si colloca l’intervento del Ten. Col. Alessandro Iaria, medico legale
rappresentante del Ministero della Difesa nella Commissione medica di
verifica: la valutazione medica in ambito scolastico rappresenta infatti una
procedura non sempre nota ai Dirigenti Scolastici, di recente regolata dal
DPR 171/2011, il Regolamento per la risoluzione del rapporto di lavoro in
caso di permanente inidoneità psicofisica, nei differenti casi di inidoneità
permanente assoluta e inidoneità permanente relativa. Un campo che si
apre anche al dibattito più recente per i problemi relativi alla valutazione
e alla destinazione di questo personale (riconvertito ATA o lasciato nelle
sue mansioni dopo nuova visita?). Anche in questo caso l’intervento ricor-
re all’analisi di casi concreti e alla declinazione delle procedure per la
definizione dell’inidoneità del personale dipendente, anche come risposta
di quesiti posti dai presenti.
I successivi due interventi si volgono invece all’analisi più diretta della
organizzazione scolastica, degli aspetti di clima relazionale e di bilancio
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sociale come valida prevenzione allo stress da lavoro correlato.
Il preside Massimo La Rocca, partendo anch’egli dal D.Lgs.81 e dagli
strumenti di prevenzione indicati già dalla norma, parla del punto di vista
del dirigente scolastico e della sua capacità di organizzare la vita scolasti-
ca in funzione di una positiva gestione del clima relazionale, in particola-
re del superamento di situazioni critiche con inclusione dei soggetti esclu-
si. È compito infatti del Dirigente scolastico pianificare azioni di miglio-
ramento attraverso una gestione collegiale dei problemi che ogni realtà
scolastica può sviluppare, in una logica di condivisione e crescita della
cultura della sicurezza.
Il prof.Tonino Proietti, docente esperto sulla sicurezza, in modo comple-
mentare all’intervento precedente, volge lo sguardo al tema culturale della
sicurezza come paradigma di una diversa visione del ‘fare scuola’, che
punti al benessere organizzativo e al benessere individuale.
Un pomeriggio insomma con interventi di qualità per docenti e Dirigenti
interessati concretamente alla costruzione di una scuola dello “stare
bene”.

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“La prevenzione dello stress e la promozione del benessere
nel contesto scolastico in riferimento alla prospettiva giuridica:
il ruolo della prevenzione nelle controversie giurisdizionali”

Laura Paolucci
Avvocato dello Stato - Bologna

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“La valutazione medico legale in ambito scolastico”

Alessandro Iarìa
Ten. Col. - Medico legale - Titolato ISSMI - Rappresentante del
Ministero della Difesa presso il Comitato di verifica - Roma

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“L’organizzazione scolastica alla luce della nuova normativa
di riferimento e piani di miglioramento”

Massimo La Rocca
Dirigente scolastico I.C. Via Sebenico - Roma

Nell’intervento odierno si intende proporre una riflessione sugli aspetti


normativi relativi alla sicurezza e su ciò che può produrre un’azione diri-
genziale che miri al benessere dell’organizzazione, in virtù dei doveri con-
nessi alla legislazione vigente. Tale impostazione permette quindi di uti-
lizzare le disposizioni normative non solo nell’assolvimento delle forma-
lità previste, ma in una visione sistemica che miri all’apprendimento e
miglioramento continuo dell’organizzazione che si dirige. Un’ottica inte-
grata deve necessariamente iniziare con la disamina della normativa
vigente ed in particolare con una lettura attenta del D.lvo n. 81/2008 che
affronta in modo puntuale ed organico la tematica della sicurezza nei luo-
ghi di lavoro.

La “logica” della nuova normativa


L’idea di fondo della norma attuale è quella del superamento dell’inter-
vento sull’emergenza attraverso l’eliminazione delle condizioni di perico-
lo, per procedere ad un’azione di programmazione ed organizzazione della
sicurezza attraverso il riconoscimento preventivo di rischi e la predisposi-
zione delle misure di contrasto prevista già dalle direttive europee e dal
Decreto legislativo n. 626 del 2004. La sistematica attenzione del datore

74
di lavoro rappresenta l’elemento fondamentale per conferire efficacia
all’azione di prevenzione attraverso l’implementazione di sistemi di con-
trollo delle misure adottate, la ripartizione intersoggettiva dell’obbligo di
sicurezza e salute fra i ruoli della linea gerarchico-funzionale. Si eviden-
zia, quindi, la necessità continua di monitorare il sistema e di informare e
formare tutto il personale scolastico, nonché richiamare le responsabilità
degli studenti in merito al coinvolgimento diretto della loro presenza sco-
lastica. Il decreto inoltre responsabilizza le istituzioni nel promuovere e
diffondere la cultura della sicurezza e della salute per la formazione dei
futuri cittadini (art. 11 D.Lgs. 81/08).
zione dell’individuo nel sistema lavorativo (Art. 28 D.Lgs. 81/08).
Di seguito si possono riassumere i vari interventi che il datore ha la neces-
sità di predisporre per promuovere, nell’ambiente lavorativo, la cultura
della sicurezza:
Secondo la moderna impostazione il concetto di salute non va intesa più
solo come semplice “assenza di malattia o di infermità” ma anche come
“benessere” che comprende e riassume la “pienezza” e l’appagamento
dell’individuo nel lavoro.
L’obiettivo della nuova sicurezza diventa, di conseguenza, quella di moni-
torare e migliorare la condizione del lavoratore nelle diverse dimensioni
della salute (fisica, mentale e relazionale).
Nella nuova nozione di salute rientrano quindi vari concetti:

• la salute come “benessere”


• il benessere in senso fisico
• il benessere in senso mentale
• il benessere in senso sociale

In termini più concreti la salute del lavoratore non va preservata solo da


infortuni, ma va tutelata rispetto a tutto ciò che può ledere la psiche della
persona del lavoratore e da tutto ciò che può compromettere la socializza-
zione dell’individuo nel sistema lavorativo (Art. 28 D.Lgs. 81/08).
Di seguito si possono riassumere i vari interventi che il datore ha la neces-
sità di predisporre per promuovere, nell’ambiente lavorativo, la cultura
della sicurezza:

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In tale contesto normativo, il dirigente scolastico vive una condizione di
grande responsabilità, spesso vissuta in solitudine e talvolta nell’impoten-
za, in quanto si trova a dover operare, per la sicurezza dei lavoratori e
degli utenti presenti nella scuola, in qualità di “Datore di Lavoro” ma con
un potere di spesa insignificante e con le gravi necessità, spesso irrisolte,
che sono di gestione esclusiva dell’Ente proprietario.
Le problematiche che il dirigente scolastico deve risolvere con l’Ente pro-
prietario sono almeno quattro:

• necessità di approfondire le rispettive competenze (difficoltà d’interpre-


tazione);
• rischi intereferenziali: D.U.V.R.I. o coordinamento (manutenzione,
mensa, elezioni, utilizzo palestre);
• carenza di comunicazione (nella risposta alle richieste, nella program-
mazione degli interventi, rifiuto di fornire documentazione o dichiara-
zioni di responsabilità);
• edifici privi delle certificazioni di legge.
In tale ambito, alcune esperienze territoriali molto significative hanno
consentito di individuare alcune strategie di intervento:

Proporre agli enti proprietari la stesura di una convenzione o protocollo


d’intesa per coordinare gli aspetti di proprietà e gestione e l’individuazio-
ne di un interlocutore specifico (RSPP dell’ente).
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Condividere le procedure (es. modello concordato di scheda d’accesso
agli edifici per la manutenzione).
Organizzare le scuole in rete in modo da costituire un fronte comune per
le richieste e gli adempimenti.
Richiedere i singoli interventi necessari e ripetere, almeno annualmente o
ogni sei mesi, l’istanza d’inoltro alla scuola delle certificazioni sulle strut-
ture e sugli impianti aggiungendo anche le richieste di programmare e di
effettuare con riscontro i controlli periodici e gli interventi di manutenzio-
ne periodica necessari, per mantenere l’edificio in buone condizioni e per
prevenire rischi concernenti situazioni non rilevabili al controllo visivo
del personale scolastico.

Innovazione e cambiamento
“Non sono le specie più forti a sopravvivere né le più intelligenti, ma quel-
le più sensibili al cambiamento” C. Darwin

La riflessione, nella seconda parte, si sposta verso l’analisi delle condizio-


ni lavorative ed organizzative al fine di prevenire o alleviare le situazioni
di disagio e di stress.
Il benessere nell’ambito lavorativo deriva dalla combinazione di più ele-
menti e si evidenzia, nel caso individuale, come la capacità di adattarsi e
valorizzarsi all’interno di un ambiente lavorativo, secondo le proprie com-
petenze e capacità, integrandole e condividendole con i colleghi, al fine di
conseguire un comune obiettivo di crescita e produttività. I fattori che con-
tribuiscono a minare la condizione di benessere negli ambienti e luoghi di
lavoro sono principalmente la mancanza di organizzazione e programma-
zione del lavoro, la fatica, ritmi veloci, l’incertezza relativa al ruolo da
svolgere, la mancanza di controllo del proprio lavoro, le richieste superio-
ri alle proprie capacità, la cattiva strutturazione e vivibilità dei luoghi di
lavoro. Il rischio da stress correlato è quindi connesso agli ambienti di
lavoro, non intesi come luoghi fisici ma anche come il complesso sistema
delle relazioni interpersonali.
L’analisi e la diagnosi organizzativa è uno degli elementi cardine per evi-
denziare e far emergere situazioni difficili, contesti relazionali deteriorati
e prestazioni lavorative disarmoniche. Molto spesso il dirigente scolastico
considera determinante la propria lettura del contesto, spesso determinata
dai propri convincimenti, dalle conoscenze acquisite e da una sorta di
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potere intuitivo che spesso creano immagini fallaci e poco aderenti alla
pluralità di elementi da considerare in una diagnosi organizzativa. Il
responsabile di una istituzione dovrebbe “divenire esperto nell’arte di leg-
gere le situazioni che cercano di organizzare o gestire” (G. Morgan).
L’approccio utile è quello dello osservatore che riflette ed esamina tutti i
punti di vista e tenga in considerazione la “cultura” di una determinata
organizzazione, cioè far emergere il costrutto sociale risultante dai pensie-
ri delle persone, dalle regole e procedure implicite ed esplicite, formali ed
informali. Gli studiosi più attenti analizzano un’istituzione attraverso tre
macro-aree che sinteticamente sono presentate di seguito:

1. Struttura formale – ruoli, regole, procedure, flussi informativi, risor-


se umane, strumentali e finanziarie.
2. Competenze tecnico professionali – competenze esistenti, competen-
ze attivabili, competenze da acquisire, metodologie di lavoro, condivi-
sione, progettualità ed autoefficacia.
3. Ambiente relazionale – comunicazione, comportamenti, senso di
appartenenza, trattamento dei conflitti, leadership ed empowerment.

Il check-up quantitativo (dati, questionari, statistiche) e qualitativo (focus


group, interviste, narrazione e riflessività) consente di connettere in una
visione olistica i diversi aspetti al fine di immaginare la realtà più fedele
possibile.

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Lo sforzo in questa fase è quello del coinvolgimento di tutti gli attori,
anche quelli considerati marginali e poco integrati, in modo da far dimi-
nuire il rischio di entrare solo in contatto con la “storicità dei personaggi”
e con le routine di lavoro ormai consolidate e ripetitive.
L’obiettivo dell’analisi iniziale è quella del ri-orienamento dell’agire
comune, attraverso l’individuazione di metodologie lavorative innovative
e più efficaci, al fine di progettare significative azioni migliorative delle
dimensioni connesse al benessere organizzativo di seguito sinteticamente
richiamate (Avallone e Paplomatas):
Comfort dell’ambiente di lavoro – Chiarezza degli obiettivi organizzativi
– Riconoscimento e valorizzazione delle competenze e degli apporti dei
singoli lavoratori – Ascolto attivo – Disponibilità delle informazioni per-
tinenti al lavoro – Gestione della conflittualità – Relazioni interpersonali
collaborative – Rapidità di decisione – Livelli tollerabili di stress – Equità
organizzativa – Utilità sociale – Apertura all’ambiente esterno e all’inno-
vazione.

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Aspetti operativi
“La scuola quale laboratorio di complessità sociale” P. Romei
In attuazione dell’art. 6 comma 8, lettera m-quater e dell’art.28, comma
1bis del D.L.vo n. 81/2008 il Ministero delle Politiche Sociali ha diffuso,
con l’emanazione della circolare 18 novembre 2010, le istruzioni per la
valutazione dello stress lavoro-correlato, approvate dalla Commissione
consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro.
Nell’ottica di una visione integrata, la valutazione del rischio da stress
lavoro è parte della valutazione dei rischi e andrà effettuata dal datore di
lavoro avvalendosi della collaborazione del RSPP con il supporto del
medico competente e previa consultazione del rappresentante dei lavora-
tori. L’aspetto metodologico consente di indagare su tutti i gruppi omoge-
nei di lavoratori dell’unità e non sui singoli, attraverso un’azione di anali-
si di tutti gli elementi:
1. Eventi sentinella, quali indici infortunistici, assenze, turnover, ecc.
2. Fattori di contenuto del lavoro, quali ad esempio ambiente ed attrezza-
ture, carichi e ritmi di lavoro ecc.
3. Fattori di contesto del lavoro, quali ad esempio, ruolo, autonomia deci-
sionale e controllo, conflitti, comunicazione ecc.

Da tale ricognizione potranno emergere elementi significativi che andran-


no modificati attraverso una pianificazione degli interventi correttivi (tec-
nici, procedurali, comunicativi, formativi, ecc.). Un’ulteriore fase di valu-
tazione cosiddetta approfondita potrà essere realizzata con delle rappre-
sentanze omogenee di gruppi di lavoratori per analizzare ed eventualmen-
te reimpostare l’azione correttiva.
L’attività può essere definita quindi una continua e regolare azione di
autovalutazione e monitoraggio interna che sicuramente può essere orien-
tata anche al miglioramento dei servizi scolastici. Uno degli approcci rico-
nosciuti a livello internazionale e più attuati nella pubblica amministrazio-
ne è quello che del modello C.A.F. (Common Assessment Framework)
già utilizzato nei progetti del MIUR di valutazione delle scuole, denomi-
nati V.S.Q. e VALeS.

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In tale ambito assume una grande rilevanza l’individuazione dei punti di
forza e quelli di debolezza, inoltre misurare i risultati attraverso indica-
tori e, di conseguenza, progettare e realizzare miglioramenti significati-
vi attraverso la continua comparazione con situazioni organizzative e di
contesto similari.

Conclusioni
La tematica del benessere organizzativo, in conclusione, nasce dall’esigen-
za di valorizzare al massimo il contributo delle risorse umane in ambito
organizzativo. Si rifletta sul fatto che i processi produttivi di qualsiasi natu-
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ra (produzione di beni, di servizi, di apprendimento, di ricerca, di aiuto)
sono sempre stati regolati da impianti organizzativi basati sulla predisposi-
zione di strutture, procedure, sistemi di potere, strumentazioni operative e
gestionali progettati in funzione della razionalizzazione e dell’economia
delle attività da svolgere e della loro verificabilità e controllabilità. In que-
sti apparati si è privilegiato una concezione meccanicistica del contributo
delle persone, prevedendone una prestazione “tecnica” che ignorava, e
considerava disturbanti, le componenti soggettive di tipo motivazionale,
relazionale e emozionale. Si è privilegiato così più l’attenzione all’apporto
quantitativo ed esecutivo della prestazione (lavorare sodo, impegnarsi di
più, fare il proprio dovere, non fare errori, rispettare le regole e gli adem-
pimenti) che all’aspetto qualitativo e innovativo, generando una cultura
gestionale e una leadership autoritaria ancora oggi molto presenti.
Si possono, invece, sottolineare come sia estremamente importante svilup-
pare la ricerca sul significato di senso di un’organizzazione, su come ren-
dere il comportamento di una comunità educante proattiva, in cui il benes-
sere assume una funzione determinante per tutte le componenti. Si tratta
quindi di costruire insieme una comunità di pratiche che agisca spostando
l’ottica dall’Io al Noi, socializzando le conoscenze e rendendo consapevo-
li tutti gli attori organizzativi attraverso il coinvolgimento attivo.

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I fattori di successo (o di sopravvivenza) in questo contesto diventano: la
prontezza di reazione e di riconversione, la flessibilità e l’adattabilità, l’in-
telligenza “situazionale”, la forte integrazione delle variabili di sistema,
l’autonomia decisionale e la responsabilità. Questo “ambiente generativo”
deve essere caratterizzato da quello che oggi viene individuato come
“benessere organizzativo”, cioè un contesto che favorisca l’investimento
psichico dei soggetti che vi operano e, per questa via, l’appartenenza, la
partecipazione, l’espansività del proprio potenziale, l’espressione delle
competenze, la generazione di soluzioni e di innovazione, la rigenerazio-
ne delle energie, la relazionalità positiva e solidale, la costituzione di un
clima avvincente, rassicurante e gratificante. E’ un contesto che va analiz-
zato e compreso in ogni specifica variabile produttiva per poi poterne
incrementare intenzionalmente il tasso di benessere con progettualità
gestionale.

Bibliografia
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Converso, D., Piccardo, C. (2003). Il profitto dell’empowerment, formazione e sviluppo
organizzativo nelle imprese non profit, Milano, Raffaello Cortina Editore.

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Promuovere il benessere a scuola
Punti di riflessione tra il senso delle norme,
quello della partecipazione e il ruolo della formazione

Tonino Proietti
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Direzione Generale per il personale scolastico
Docente a contratto Università degli Studi Niccolò Cusano - Roma

Il contenuto delle pubbliche dichiarazioni deve essere sempre valido in


ogni suo contesto.
Con questo breve assunto ho lasciato un recente Convegno Nazionale di
formazione dei dirigenti scolastici dove un autorevole oratore pur usando
delle metafore molto significative, non si è sottratto, suo malgrado, alla
mia critica osservazione motivata e condizionata dal fatto che ero già
entrato in orbita delle riflessioni condizionate dal presente Seminario di
studio.
Questo oratore, nel sottolineare l’importanza strategica del possesso di dati
afferenti il sistema scolastico e come la propria scuola si colloca in questo,
ha cercato, sempre brillantemente come da par suo, di valorizzare il ruolo
centrale dei dirigenti scolastici punto di snodo della scuola vista dai diffe-
renti punti di vista ciascuno con una propria linea di azione. Il primo come
punto di erogazione del servizio scolastico con le sue preoccupazioni di
garantire un’offerta in linea con i tempi e le aspettative sociali, il secondo
come comunità professionale da coordinare e da valorizzare.
Nel far questo l’oratore, come descrittore dei moderni asset di gestione del
servizio telefonico pubblico di rete fissa, ha utilizzato per definire l’im-
portanza del dirigente scolastico, la metafora dell’ “ultimo chilometro”.
A me, impegnato ad organizzare una proposta di riflessione per il
Seminario sul benessere, questo esempio non è piaciuto .... E per varie
ragioni. La prima potrebbe riassumersi nella seguente metafora: difetto di
collimazione delle responsabilità.
L’ultimo chilometro presuppone un primo chilometro, e l’esempio,
comunque da collocare in un’ottica di sistema, non faceva cenno a come
si collegava, se ce ne fosse stata la possibilità, la responsabilità del diri-
gente scolastico con quelle presenti nel “tragitto precedente”.
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L’altra potrebbe suonare così: hai voluto la bici?
La metafora “telefonica” faceva costante riferimento, insieme con i conte-
nuti degli altri interventi (comprendendovi anche quello del Ministro),
unicamente alle responsabilità dei DS.
Il risultato che andavo a cogliere mi restituiva un DS solo, su un punto di
non ritorno, con il peso, suo malgrado, delle conseguenze della sue azio-
ni e di quelle che si muovevano nei chilometri precedenti.
Tutto ciò mi faceva peensare quindi al DS come ipotetico punto dinami-
co, che si muove sotto la spinta di innumerevoli sollecitazioni, che si trova
di fronte al muro dei possibili interlocutori (interni ed esterni all’edificio
scolastico) cercando dare sempre una risposta nella speranza che sia la più
giusta e la tempestiva possibile
La linea di azione del Ds (si presume con una direzione sostanzialmente
prefissata) viene ad essere influenzata da piccole oscillazioni dovute dalla
complessità del quotidiano.
Troppo facile è stato immaginare la linea di azione come se fosse un ceri-
no che vibra a contatto di un muro ruvido. Ciò porta a pensare che un movi-
mento meno controllato degli altri potrebbe provocare l’innesco di una
scintilla a cui potrebbero derivare delle conseguenze anche spiacevoli..
È meglio tornare all’immagine di “punto finale che oscilla” e vedere se la
metafora funziona bene anche con la figura del docente
Un punto dove in prossimità della concentrazione di tensione tra il punto
estremo di erogazione del servizio in contatto con l’utenza è collocato il
lavoro di un docente. Un docente che “oscilla” e che sente la progressiva
influenza sull’ultimo chilometro del suo lavoro.
Con questa premessa si può pensare che non si avvertano sostanziali dif-
ferenze tra le diverse solitudini: quella del dirigente scolastico e quella del
docente “che oscilla” .
Si può allora ben dire che il sistema è composto alla contiguità di sogget-
ti che oscillano (si pensi ad un docente affiancato ad un altro)... Ognuno
con il suo ambito di proprie specificità .... Ora è da chiedersi se La rappre-
sentazione del sistema riesce ad in inquadrare l’oscillazione del docente
“”a disagio?
Si è consapevoli delle oscillazioni che si muovono una a fianco all’altra?
Il disagio trova o può trovare composizione?
Come si relaziona il singolo disagio con le oscillazione delle altre profes-
sionalità che si muovono al suo fianco?
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Lasciamo i punti di domanda ai quali si proverà a dare appreso risposta.
E veniamo alle norme in cui il disagio trova considerazione, interrogando-
ci non solo sulla identificazione del precetto, ma sulle caratteristiche e i
valori posseduti da queste norme.
È una linea di ragionamento che ripercorro sempre. Ci è dovuto dalla cir-
costanza che le norme a cui mi riferisco sono norme che vivono del
costante e periodico aggiornamento, ora prevalentemente sotto una spinta
di innovazione adeguativa prodotta da precetti comunitari, altre volte a
seguito del materializzarsi in norme di pressioni sociali.
Sono norme che se lette solo dal punto di vista precettivo potrebbero risul-
tare limitate e poco coerenti, soprattutto quando si cerca di applicarle aset-
ticamente nella realtà lavorativa soprattutto in ambiente scolastico.
Il vero valore di queste norme lo si ritrova nella filosofia che permea il
carattere proprio della “normativa di sostegno”, fonte di provvedimenti
caratterizzati dal fatto di non trovare una facile collocazione tra il diritto
privato e/o il diritto pubblico. Mi riferisco alla legge 300/70 (stattuto dei
lavoratori)o al d.lgs 273/76 (sul processo del lavoro) per quanto concerne
il diritto del lavoro, la legge 392/2004 in altri campi di forte attenzione
tanto da spingere a coniare un ambito diverso definibile come “diritto
sociale”.
Il primo vero valore di queste norme risiede nel trovare il suo scopo natu-
rale di rendere attuabile il principio dell‘art, 3 comma 2 della Costituzione
(quello cioè del’Uguaglianza sostanziale).
L’altro valore è rappresentabile nella caratteristica di costituire uno spie-
tato strumento di indagine di ogni organizzazione lavorativa.
Entriamo nello specifico.
Lo “”Stress da lavoro correlato è voce che caratterizza in termini di novi-
tà il D.lgds 81 dal D.lgs 626.
Oltre a questa si può individuare un altro elemento di novità ...quello della
più matura concezione del significato di “partecipazione”.
Il d.lgs 626 nell’identificare come elemento di tutela il lavorare dipenden-
te, iniziava a declinare, compiendo una rottura rispetto al passato, come
il sistema partecipato alla sicurezza andava a contribuire al generale
miglioramento del benessere lavorativo.
Con il d.lgs 81 si è arrivati a teorizzare ponendo la centralità del lavorato-
re nel sistema partecipato inteso sia da un punto di vista oggettivo che sog-
gettivo.
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Con il d.lgs 626 si introduceva la partecipazione che potrebbe definirsi
“oggettiva” basata sulla figura del Rappresentante dei lavoratori e dalle
prime campagne di informazione formazione viste come “momento
sacrale” nettamente identificato e separato dall’attività lavorativa, anco-
ra troppo legata ad un attività lavorativa fondata su un rapporto giuridi-
co-formale.
Con il d.lgs. 81 diviene prima protagonista anche la partecipazione “sog-
gettiva” basata su una visione matura del rapporto lavorativo assunto
anche per i suoi elementi psicologico-organizzativi in cui ogni lavoratore
è un soggetto che va a perdere progressivamente i panni di un operatore
che svolge operazioni parcellizzabili e ripetitive per acquisire gradual-
mente una nuova fisionomia assimilabile a quella di un “solutore di pro-
blemi” o di un “decisore” .
Il lavoratore non è più concepito come esecutore passivo di comportamen-
ti adeguati, ma anche come soggetto avente proprie capacità decisorie
commisurate al livello delle proprie competenze, a cui il datore di lavoro
“deve richiedere” e non “esigere”. Il lavoratore partecipa direttamente al
modello di prevenzione integrata che insieme ai caratteri oggettivi, in
quanto basato sul sistema di “comando e controllo” di macchine, procedu-
re e ambienti, possiede caratteri soggettivi poiché la sicurezza ottenibile
passa anche attraverso la consapevole, discrezionale e responsabile assun-
zione di comportamenti sicuri da parte del lavoratore, che interagisce con
le parti restanti del sistema direttamente o per il tramite dei propri rappre-
sentanti.
In questo senso la formazione svolge la funzione di accompagnare il lavo-
ratore alla progressiva maturazione del suo ruolo.
A questo punto è lecita la domanda: come il d.lgs 626 è stato limitato nel
considerare come meritevole di tutela solo il rapporto di lavoro subordi-
nato (e poco altro), il d.lgs 81 puó risultare idoneo, in linea di principio,
ad offrire una tutela piena a tutte le situazioni lavorative?
Lo scopo è quello di rispondere alle possibili “lacune” si possano mettere
in campo soluzione e/o seguire linee d’azione “di sistema” nel rispetto di
“disciplina generale”.
Si preda il punto di vista del soggetto meritevole di tutela.
Dato il rischio fisico e reale la risposta è il bilanciamento con i sistemi di
prevenzione e protezione, difese reali e formazione che insieme concorro-
no a far raggiungere nel lavoratore quella consapevolezza che dal compi-
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mento di un gesto lavorativo sicuro collega alla pienezza di un ambiente
lavorativo positivo.
Più in generale, data la situazione di una realtà lavorativa, le politiche di
sicurezza aziendale trovano discussione e condivisione anche grazie al
contributo che le rappresentanze dei lavoratori dovrebbero assicurare al
sistema.
M di fronte al senso di disagio e di inadeguatezza, al loro diffondersi, è
lecito domandarsi se gli strumenti a disposizione si rivelano adeguati.
Se gli strumenti di osservazione e le leve di azione singola appartengono
alle scienze psicologiche, se il trattamento sanitario appartiene alla medi-
cina, esiste una sfera in cui questione può trovare composizione, compren-
sione, soluzione.
Da un punto di vista sistemico oserei dire che alla base del disagio e del-
l’inadeguatezza potrebbe scoprirsi anche un senso di carenza di organiz-
zazione che il soggetto in posizione critica si porta dentro.
Un senso che lungi dal dare corpo alle mille e possibile cause , fa perdere
la coscienza che il proprio stato, in una situazione di maggiore o minore
disagio, non perde la propria correlazione con la comunità lavorativa a cui
appartiene.
La propria posizione oscillante, seppur in posizione critica, continua ad
essere affiancata alla oscillazione di un proprio simile: la visione di tutte
le oscillazioni dei soggetti restituiscono l’idea del sistema in movimento.
È questo il motivo per cui il disagio concentrato in un punto (o più di uno)
rileva anche ai punti limitrofi prima, ed al sistema poi.
Ed è per questo che ogni soggetto consapevole del sistema dovrà conside-
rare come si colloca nell’ambiente lavorativo ed adeguare progressiva-
mente la sua azione alle situazioni in cui è a contatto.
Ogni soggetto partendo dai propri compiti e le proprie responsabilità
dovrebbe provare a pensare di restituire una strategia di intervento o,
quanto meno, un comportamento adeguato.
Partendo dal fatto che mi occupo di “formazione del personale dalla scuo-
la” posso dire che la mia competenza non mi consente di dare risposte ai
momenti delle patologie emerse, ma data la posizione critica di uno/due/
più soggetti tanto da rendere la patologia elemento comune e caratteristi-
co di una classe dei lavoratori , mi induce pensare a due possibili azioni
congiunte che potrei rendere possibili.
La prima è quella mirata ad attuare strategie di intervento nella situazione
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attuale; la seconda mi porta ad attuare una strategia di “anticipazione”
nella politica di prevenzione.
Questo secondo punto può trovare una duplice declinazione operativa. In
primo luogo mi fa percepire la necessità di una più attenta ed approfon-
dita riflessione sui processi; in secondo luogo mi fa avvertire il bisogno di
una messa a punto delle azioni di potenziamento/miglioramento. Al
riguardo miviene in mente la “metafora del ring” dove un pugile non
“potente di pugno” può uscire indenne dal combattimento con sane politi-
che prevenzionistiche (es: gioco di gambe e velocità di busto)
La prima di queste azioni dovrebbe raccomandare la predisposizioni di
accurati interventi di accompagnamento per ogni momento di vita lavora-
tiva che impatta la usuale sfera lavorativa personale. Non solo formazio-
ne, ma anche tanta informazione, mirata, dedicata, coerente e tempestiva.
Anche nel campo dell’informazione istituzionale si perseguire/attivare
l’idea di un percorso di qualità progressiva.
L’informazione del lavoratore della scuole dovrebbe anche essere mag-
giormente coinvolgente tanto da considerarlo protagonista nei medesimi
processi demandando a questi ( in modo soggettivo ed in modo collettivo
nella comunità professionale) un ruolo da protagonista affidandogli il
compito della progressiva diffusione delle azioni di innovazione in cui è
coinvolto. Partecipare la comunicazione istituzionale per l’ambito e la
responsabilità di competenza.
Occorre pertanto che la qualità dei messaggi non siano lasciati al caso ma
perseguiti come obiettivo costante di azione amministrativa .
La seconda invece è quella che presuppone un miglioramento della porta-
ta degli interventi formativi previsti dal D.Lgs. 81.
E’ certo che gli accordi stato-regione di fine dicembre 2011 hanno fornito
uno standard di riferimento minimo per gli intervento formativi.
Però questo non significa che non si possa “incrementare” la portata for-
mativa in termini di valore, cioè con la possibilità di andare oltre l’obbli-
go come così codificato.
Alla formazione che parla del soggetto che lavora, del lavoro del sogget-
to, occorre sottolineare come la pratica “sicurezza” passa attraverso anche
il ruolo assunto da quell’unico soggetto in relazione con il resto.
Penso ad una formazione capace di restituire i valori formativi della legalità
e del miglioramento avendo cura di confermare che anche un soggetto “a
bassi giri di rendimento” deve assicurare il massimo contributo possibile.
90
Penso ad una formazione specifica che parli di organizzazione e di appar-
tenenza, che restituisca l’idea che tutti i soggetti, comprendendo quelli che
traducono il disagio in evidenza, partecipano al disegno complessivo del-
l’organizzazione in cui sono inseriti.
Il senso di appartenenza con il riconoscimento che i fattori che provocano
disagio sono fattori comuni a tutti i soggetti che operano nell’ “ultimo chi-
lometro”, riconoscere l’impatto soggettivo dei fattori stranianti e con que-
sto, l’anticipazione delle soluzioni preventive.
Se questo è la riflessione pensando al proprio lavoro e come da questo
possano trarsi utilità, penso anche come questa dinamica debba essere
seguita dalle altre professionalità presenti nel sistema scolastico.
Io lo faccio, ora sta a voi… Buon lavoro.

91
Esperienze delle scuole: dall’empowerment,
al coaching, all’utilizzo delle nuove tecnologie per migliorare
il clima relazionale e le competenze professionali.

Serenella Presutti
Dirigente Scolastico I.C. Via Frignani - Roma

Il lavoro qui rappresentato è maturato nell’ambito di un progetto


L.285/’97, di prevenzione e intervento sul disagio psicologico sul
“sistema scuola”, nel quale era stata inserita anche un’attività di con-
sulenza/supporto ai docenti; sono infatti emersi, in particolare da un
team di docenti, “bisogni speciali” scaturiti da una situazione di una
sorta di “corto circuito emozionale” e di cattiva comunicazione.
Dall’analisi dunque dell’insorgenza del fenomeno, l’intervento è stato
concordato tra la Dirigenza, il team docenti coinvolto nella problema-
tica e gli esperti del Privato sociale in supporto al Progetto generale
L.285/’97.

Nei gruppi di lavoro si verificano a volte difficoltà relazionali e conflitti


che, se non affrontati, possono dar luogo a uno stato di malessere diffuso,
caratterizzato da difficili rapporti interpersonali, demotivazione, anaffetti-
vità e diminuzione delle competenze relazionali.

92
93
Spesso le cause alla base di un clima critico non sono semplici da rico-
struire; tuttavia, una volta che le situazioni si sono inasprite è probabile
che nel gruppo si manifestino: (COLLEGARE LA SLIDE N° 4) Alcune
particolari disfunzioni nella comunicazione sono il risultato di un pensie-
ro anomalo sul gruppo: “le dinamiche riguardano solo alcune persone”, “è
sempre meglio farsi gli affari propri”, “certi avvenimenti ormai mi lascia-
no indifferente”, “il rapporto con i colleghi è sempre e comunque diffici-
le”, etc. Può spuntare anche il fantasma ossessivo del controllo istituzio-
nale, che induce il gruppo ad un funzionamento apparente, dove ognuno
fa il proprio dovere svolgendo i propri compiti in modo circoscritto e per-
dendo la visione d’insieme.

Per costruire un programma di gestione delle conflittualità è necessa-


rio acquisire una serie di elementi che fanno riferimento alla sfera
personale e alla dimensione interpersonale degli individui coinvolti. Il
primo obiettivo è quello di sgombrare il campo dalle fantasie, dalle costru-
zioni immaginarie che fioriscono intorno alle relazioni interpersonali e
che vanno ad alimentare conflitti, pettegolezzi e paranoie.

Il benessere di un’organizzazione è indicato dalla percezione collettiva del


contesto lavorativo (Clima organizzativo). L’individuo percepisce il
clima attraverso la sua personalità ed esperienza. Il clima all’interno di un
team arriva prima o poi ad incidere o a ridefinire le priorità organizzative;
nel caso di una scuola può influire sul benessere dei bambini e sulla qua-
lità educativa. Affinchè si possano analizzare le dinamiche del gruppo e il
suo funzionamento occorre che le persone si mettano in discussione sin-
golarmente, senza la forza “coercitiva” che può venire da un gruppo sof-
ferente, con l’obiettivo di rendere chiari i propri bisogni e acquisire
una maggiore consapevolezza del contributo personale allo sviluppo
delle dinamiche relazionali.

Alcune considerazioni di fine intervento:

L’esistenza di un conflitto ormai a scena aperta, consolidatosi nel tempo,


non lascia molto spazio a ipotesi “creative” di soluzione; la possibilità
messa in luce dal gruppo, di un confronto aperto e leale tra le parti alla
presenza di una figura istituzionale non è, allo stato dei fatti, una via

94
95
96
d’uscita percorribile, come del resto non risulterebbe risolutivo l’allonta-
namento di una sola persona. Considerando che in un contesto organizza-
tivo come quello scolastico non è possibile stravolgere l’organizzazione e
soprattutto la dimensione di gruppo di un piccolo plesso, proponiamo di
agire in modo progressivo ma con evidenza di chiarezza dell’obiettivo e
della visione d’insieme.

La situazione ottimale sarebbe quella di favorire finalmente la nascita di


un gruppo che abbia come obiettivo il lavoro comune con assunzioni di
responsabilità individuali nei confronti degli alunni e dei colleghi, senza
essere distratto da situazioni pretestuose come il vizio di trovare la propria
unione intorno a un “nemico”.

Andranno sollecitate nuove disponibilità per gli incarichi e per queste


figure andranno definite responsabilità e funzioni; potrà essere affiancato,
eventualmente, un supporto esterno che deciderà una sua presenza nei
momenti focali del gruppo (incontri insegnanti e incontri con i coordina-
tori).

Comunicazione a cura della D.S. dott.ssa Serenella Presutti


I.C. VIA FRIGNANI- ex 143° C.D. Spinaceto
Intervento attuato a cura della Cooperativa soc. “Idee per comunicare-
Elma” (dott.ssa Tuliozzi Paola - dott.ssa Maria Pompa) - Monitoraggio a
cura della dott.ssa Marina Lena (docente e psicoterapeuta)

97
Sistema Leggi d’Italia  

Marina Esterini
Dirigente Scolastico I.C. R. Fucini - Roma

Breve Relazione sullo “Studio di Caso”

Nella Relazione in merito alla “risoluzione del rapporto di lavoro” della


docente RL si esamineranno i seguenti punti con la relativa documenta-
zione:

Oggetto e destinatari
Inidoneità psicofisica (P:R 27 luglio 2011 ) leggendo punti salienti del
promemoria inviato dalla Dott.ssa Bracci MEF
Presupposti ed iniziativa per l’avvio della procedura di verifica dell’ido-
neità al servizio
Organi di accertamento medico
Procedura per la verifica dell’idoneità al servizio
Verbale delle Commissioni Mediche di verifica sulle inidoneità dei docen-
ti ai sensi del DPR 171/2011 e illustrazione della circolare del 7Marzo
2012 prot.4057 Dott.re MINICHIELLO
Modello di DECRETO di risoluzione di rapporto
Misure cautelari
Trattamento giuridico ed economico

D.P.R. 27-7-2011 n. 171


Regolamento di attuazione in materia di risoluzione del rapporto di lavo-
ro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche dello Stato e degli enti
pubblici nazionali in caso di permanente inidoneità psicofisica, a norma
dell’articolo 55-octies del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
Pubblicato nella Gazz. Uff. 20 ottobre 2011, n. 245.

Epigrafe
Premessa
Art. 1 Oggetto e destinatari
Art. 2 Inidoneità psicofisica
98
Art. 3 Presupposti ed iniziativa per l’avvio della procedura di verifica
dell’idoneità al servizio
Art. 4 Organi di accertamento medico
Art. 5 Procedura per la verifica dell’idoneità al servizio
Art. 6 Misure cautelari
Art. 7 Trattamento giuridico ed economico
Art. 8 Risoluzione per inidoneità permanente
Art. 9 Disposizioni finali
Art. 10 Clausola di invarianza finanziaria
Art. 11 Entrata in vigore

D.P.R. 27 luglio 2011, n. 171   (1).


Regolamento di attuazione in materia di risoluzione del rapporto di
lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche dello Stato e
degli enti pubblici nazionali in caso di permanente inidoneità psicofi-
sica, a norma dell’articolo 55-octies del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165.

(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 20 ottobre 2011, n. 245.


IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visto l’articolo 87, quinto comma, della Costituzione;
Visto l’articolo 17, comma 1, lettera b), della legge 23 agosto 1988, n.
400, recante disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della
Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Visto il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modifica-
zioni, recante norme sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche e, in particolare, l’articolo 55-octies, inserito
dall’articolo 69 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, recante
attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione
della produttività del lavoro pubblico e di efficienza delle pubbliche
amministrazioni;
Vista la legge 10 gennaio 1957, n. 3, recante disposizioni concernenti lo
statuto degli impiegati civili dello Stato, e successive modificazioni;
Vista la legge 20 maggio 1970, n. 300, recante norme sulla tutela della
libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sinda-
cale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento;
99
Vista la legge 12 marzo 1999, n. 68, recante norme per il diritto al lavoro
dei disabili;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2001, n. 461,
recante regolamento di semplificazione dei procedimenti per il riconosci-
mento dell’infermità da causa di servizio, per la concessione della pensio-
ne privilegiata ordinaria e dell’equo indennizzo, nonché per il funziona-
mento e la composizione del comitato per le pensioni privilegiate ordina-
rie;
Vista la legge 12 giugno 1984, n. 222, recante revisione della disciplina
della invalidità pensionabile;
Visto il decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante codice in mate-
ria di trattamento di dati personali;
Visto il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazio-
ni recante codice dell’Amministrazione digitale;
Visto il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante norme in materia
di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro;
Visto l’articolo 20 decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con
modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, recante norme in mate-
ria di provvedimenti anti crisi, nonché proroga dei termini e della parteci-
pazione italiana a missioni internazionali;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata
nella riunione del 7 aprile 2011;
Acquisito il parere del Garante per la protezione dei dati personali, espres-
so il 19 maggio 2011;
Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva
per gli atti normativi nell’Adunanza del 9 giugno 2011;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione
del 7 luglio 2011;
Sulla proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazio-
ne, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali;
Emana
il seguente regolamento:

Art. 1 Oggetto e destinatari


1. Il presente regolamento disciplina la procedura, gli effetti ed il trat-
tamento giuridico ed economico relativi all’accertamento della perma-
nente inidoneità psicofisica dei dipendenti, anche con qualifica dirigen-
100
ziale, delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autono-
mo, degli enti pubblici non economici, degli enti di ricerca e delle uni-
versità, delle Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300,
ai sensi dell’articolo 55-octies del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.
165.
2. Per il personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo n. 165 del
2001 rimane ferma la disciplina prevista dai rispettivi ordinamenti.

Art. 2 Inidoneità psicofisica


1. Ai fini del presente decreto, si intende per inidoneità psicofisica perma-
nente assoluta o relativa quanto contenuto nelle lettere a) o b):
a) inidoneità psicofisica permanente assoluta lo stato di colui che a causa
di infermità o difetto fisico o mentale si trovi nell’assoluta e permanente
impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa;
b) inidoneità psicofisica permanente relativa, lo stato di colui che a causa
di infermità o difetto fisico o mentale si trovi nell’impossibilità permanen-
te allo svolgimento di alcune o di tutte le mansioni dell’area, categoria o
qualifica di inquadramento.

Art. 3 Presupposti ed iniziativa per l’avvio della procedura di verifica


dell’idoneità al servizio
1. L’iniziativa per l’avvio della procedura per l’accertamento dell’inido-
neità psicofisica permanente spetta all’Amministrazione di appartenenza
del dipendente, ovvero al dipendente interessato. Se il dipendente presta
servizio in un’amministrazione diversa rispetto a quella di appartenenza,
la procedura è attivata dall’amministrazione di appartenenza su segnala-
zione di quella presso cui il dipendente presta servizio. La segnalazione
avviene nel rispetto dei principi di pertinenza, non eccedenza e indispen-
sabilità dei dati trattati, di cui agli articoli 11, comma 1, lettera d), e 22,
comma 3, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, Codice in mate-
ria di protezione dei dati personali.
2. Il dipendente può presentare istanza per l’avvio della procedura all’am-
ministrazione di appartenenza in qualsiasi momento successivo al supera-
mento del periodo di prova.
3. La pubblica amministrazione avvia la procedura per l’accertamento del-
l’inidoneità psicofisica del dipendente, in qualsiasi momento successivo al
superamento del periodo di prova, nei seguenti casi:
101
a) assenza del dipendente per malattia, superato il primo periodo di con-
servazione del posto previsto nei contratti collettivi di riferimento;
b) disturbi del comportamento gravi, evidenti e ripetuti, che fanno fonda-
tamente presumere l’esistenza dell’inidoneità psichica permanente assolu-
ta o relativa al servizio;
c) condizioni fisiche che facciano presumere l’inidoneità fisica permanen-
te assoluta o relativa al servizio.

Art. 4 Organi di accertamento medico


1. L’accertamento dell’inidoneità psicofisica è effettuato dagli organi
medici competenti in base agli articoli 6, 9 e 15 del decreto del Presidente
della Repubblica n. 461 del 2001.
2. Gli organi medici possono avvalersi per specifici accertamenti, analisi
o esami del Servizio sanitario nazionale.

Art. 5 Procedura per la verifica dell’idoneità al servizio


1. Nell’ipotesi prevista dall’articolo 3, comma 3, lettera a), del presente
decreto, l’amministrazione, prima di concedere l’eventuale ulteriore
periodo di assenza per malattia, dandone preventiva comunicazione all’in-
teressato, procede all’accertamento delle condizioni di salute dello stesso,
per il tramite dell’organo medico competente, al fine di stabilire la sussi-
stenza di eventuali cause di permanente inidoneità psicofisica assoluta o
relativa. Ferma restando la possibilità di risoluzione del rapporto di lavo-
ro in caso di superamento del periodo di comporto previsto dai contratti
collettivi di riferimento, l’amministrazione procede ai sensi dell’articolo 8
se in seguito all’accertamento medico emerge un’inidoneità permanente
psicofisica assoluta.
2. Nei casi di cui all’articolo 3, comma 3, lettere b) e c), l’amministrazio-
ne può chiedere che il dipendente sia sottoposto a visita da parte dell’or-
gano medico competente, al fine di verificare l’eventuale inidoneità rela-
tiva o assoluta, dandone immediata e contestuale comunicazione al dipen-
dente interessato.
3. Se dall’accertamento medico risulta l’inidoneità psicofisica assoluta o
relativa alla mansione l’amministrazione adotta i provvedimenti di cui
all’articolo 7.
4. Nel caso di accertata inidoneità permanente assoluta, l’amministrazio-
ne procede ai sensi dell’articolo 8.
102
5. Le comunicazioni tra uffici previste dal presente regolamento sono
effettuate ordinariamente per via telematica, in conformità a quanto previ-
sto nel decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazio-
ni, recante Codice dell’Amministrazione digitale e nel rispetto della disci-
plina normativa di cui al decreto legislativo n. 196 del 2003, in materia di
trattamento di dati personali. Il dipendente può chiedere in qualunque
stato del procedimento che gli atti gli vengano comunicati in via telemati-
ca, dando preventiva comunicazione dei dati necessari. In caso di trasmis-
sione di documenti in forma cartacea, la documentazione concernente dati
relativi alle condizioni di salute dell’interessato è inserita in plico chiuso,
da allegarsi alla nota di trasmissione.
6. Rimane salva la vigente disciplina in materia di ricorsi in sede ammini-
strativa e giurisdizionale.

Art. 6 Misure cautelari


1. L’amministrazione può disporre la sospensione cautelare dal servizio
del dipendente nelle seguenti ipotesi:
a) in presenza di evidenti comportamenti che fanno ragionevolmente pre-
sumere l’esistenza dell’inidoneità psichica, quando gli stessi generano peri-
colo per la sicurezza o per l’incolumità del dipendente interessato, degli altri
dipendenti o dell’utenza, prima che sia sottoposto alla visita di idoneità;
b) in presenza di condizioni fisiche che facciano presumere l’inidoneità
fisica permanente assoluta o relativa al servizio, quando le stesse genera-
no pericolo per la sicurezza o per l’incolumità del dipendente interessato,
degli altri dipendenti o dell’utenza, prima che sia sottoposto alla visita di
idoneità;
c) in caso di mancata presentazione del dipendente alla visita di idoneità,
in assenza di giustificato motivo.
2. Nell’ipotesi di cui alle lettere a) e b) l’amministrazione può disporre la
sospensione cautelare del dipendente sino alla data della visita e avvia
senza indugio la procedura per l’accertamento dell’inidoneità psicofisica
del dipendente.
3. Nell’ipotesi di cui alla lettera c), l’amministrazione può disporre la sospen-
sione cautelare e provvede per un nuovo accertamento. In caso di rifiuto
ingiustificato di sottoporsi alla visita reiterato per due volte, a seguito del pro-
cedimento di cui all’articolo 55-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001,
l’amministrazione può risolvere il rapporto di lavoro con preavviso.
103
4. Salvo situazioni di urgenza da motivare esplicitamente, la sospensione
è preceduta da comunicazione all’interessato, che, entro i successivi 5
giorni può presentare memorie e documenti che l’amministrazione ha
l’obbligo di valutare. La sospensione è disposta con atto motivato e comu-
nicata all’interessato.
5. L’efficacia della sospensione cessa immediatamente ove, all’esito del-
l’accertamento medico, non sia riscontrata alcuna inidoneità psicofisica in
grado di costituire pericolo per l’incolumità del dipendente interessato,
degli altri dipendenti o dell’utenza.
6. In ogni caso la sospensione cautelare dal servizio ha una durata massi-
ma complessiva di 180 giorni, salvo rinnovo o proroga, in presenza di giu-
stificati motivi.
7. Al dipendente sospeso in via cautelare dal servizio ai sensi del comma
1, lettere a) e b), è corrisposta un’indennità pari al trattamento retributivo
spettante in caso di assenza per malattia in base alla legge e ai contratti
collettivi. Al dipendente sospeso in via cautelare dal servizio ai sensi del
comma 1, lettera c), è corrisposta un’indennità pari al trattamento previsto
dai CCNL in caso di sospensione cautelare in corso di procedimento pena-
le. Il periodo di sospensione è valutabile ai fini dell’anzianità di servizio.
Nel caso in cui l’accertamento medico si concluda con un giudizio di
piena idoneità, l’amministrazione provvede alla corresponsione delle
somme decurtate ai sensi del primo periodo del presente comma, al ricor-
rere dell’ipotesi di cui al comma 1, lettere a) e b).

Art. 7 Trattamento giuridico ed economico


1. Nel caso di inidoneità permanente relativa allo svolgimento delle man-
sioni del profilo professionale di appartenenza del dipendente, l’amministra-
zione pone in atto ogni tentativo di recupero al servizio nelle strutture orga-
nizzative di settore, anche in mansioni equivalenti o di altro profilo profes-
sionale riferito alla posizione di inquadramento, valutando l’adeguatezza
dell’assegnazione in riferimento all’esito dell’accertamento medico e ai tito-
li posseduti ed assicurando eventualmente un percorso di riqualificazione.
2. Nel caso di inidoneità a svolgere mansioni proprie del profilo di inqua-
dramento o mansioni equivalenti, l’amministrazione può adibire il lavora-
tore a mansioni proprie di altro profilo appartenente a diversa area profes-
sionale o eventualmente a mansioni inferiori, se giustificate e coerenti con
l’esito dell’accertamento medico e con i titoli posseduti, con conseguente
104
inquadramento nell’area contrattuale di riferimento ed assicurando even-
tualmente un percorso di riqualificazione.
3. Se non sono disponibili nella dotazione organica posti corrispondenti
ad un profilo di professionalità adeguata in base alle risultanze dell’accer-
tamento medico, l’amministrazione colloca il dipendente in soprannume-
ro, rendendo indisponibili, sino a successivo riassorbimento, un numero di
posti equivalente dal punto di vista finanziario.
4. Se il dipendente è adibito a mansioni inferiori, il medesimo ha diritto
alla conservazione del trattamento economico fisso e continuativo corri-
spondente all’area ed alla fascia economica di provenienza mediante la
corresponsione di un assegno ad personam riassorbibile con ogni succes-
sivo miglioramento economico.
5. Se l’inidoneità psicofisica relativa riguarda personale con incarico di
funzione dirigenziale, l’amministrazione, previo contradditorio con l’inte-
ressato, revoca l’incarico in essere e, in base alle risultanze dell’accerta-
mento dell’organo medico competente, può:
a) conferire un incarico dirigenziale, tra quelli disponibili, diverso e com-
patibile con l’esito dell’accertamento medico, assicurando eventualmente
un adeguato percorso di formazione; a tal fine l’amministrazione pro-
gramma il conferimento degli incarichi dirigenziali, tenendo anche conto
delle procedure di verifica di idoneità in corso;
b) nel caso di indisponibilità di posti di funzione dirigenziale, il dirigen-
te con inidoneità permanente relativa è collocato a disposizione dei ruoli
di cui all’articolo 23 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e suc-
cessive modificazioni, senza incarico.
6. Nel caso di conferimento a dirigente di incarico di valore economico
inferiore, questi conserva il trattamento economico fisso e continuativo
corrispondente all’incarico di provenienza sino alla prevista scadenza
mediante la corresponsione di un assegno ad personam riassorbibile con
ogni successivo miglioramento economico.
7. Se l’inidoneità psicofisica relativa riguarda un dipendente con incarico
dirigenziale ai sensi dell’articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n.
165 del 2001 e l’inidoneità risulta incompatibile con lo svolgimento del-
l’incarico stesso, l’Amministrazione, previa revoca, dispone la restituzio-
ne al profilo professionale di inquadramento, ovvero il rientro presso le
amministrazioni di appartenenza nella posizione lavorativa precedente-
mente ricoperta.
105
8. In ogni caso, se il congelamento dei posti di cui al comma 3 non è pos-
sibile a causa di carenza di disponibilità in organico, l’amministrazione
avvia una procedura di consultazione di mobilità, anche temporanea, pres-
so le amministrazioni aventi sede nell’ambito territoriale della provincia
ai fini della ricollocazione del dipendente interessato. All’esito della pro-
cedura di consultazione, da concludersi entro 90 giorni dall’avvio, se non
emergono disponibilità, si applica l’articolo 33 del decreto legislativo n.
165 del 2001.
9. Resta salva per il personale docente del comparto scuola e delle istitu-
zioni di alta cultura la normativa di cui all’articolo 3, comma 127, della
legge 24 dicembre 2007, n. 244.
10. Per la determinazione dei criteri di ricollocazione del dipendente ai
sensi dei commi 2 e 5 l’amministrazione segue la procedura di informa-
zione sindacale.

Art. 8 Risoluzione per inidoneità permanente


1. Nel caso di accertata permanente inidoneità psicofisica assoluta al ser-
vizio del dipendente di cui all’articolo 1 comma 1, l’amministrazione pre-
via comunicazione all’interessato entro 30 giorni dal ricevimento del ver-
bale di accertamento medico, risolve il rapporto di lavoro e corrisponde,
se dovuta l’indennità sostitutiva del preavviso.

Art. 9 Disposizioni finali


1. Le disposizioni oggetto del presente decreto di attuazione dell’artico-
lo 55-octies, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, si applica-
no in via automatica, ai sensi dell’articolo 2, comma 3-bis, del citato
decreto legislativo n. 165 del 2001.
2. Resta ferma la disciplina vigente in materia di trattamenti pensionisti-
ci per inabilità, ivi compresa quella recata dalla legge 8 agosto 1995, n.
335 e dal decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n.
1092.
3. Rimane salvo quanto previsto dal decreto del Presidente della
Repubblica n. 461 del 2001 e successive modificazioni, nonché dal
decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965 e del decreto
legislativo n. 38 del 2000 in materia di infortuni sul lavoro. Rimane
fermo, altresì, quanto disposto dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n.
81, in materia di tutela e sicurezza nei luoghi di lavoro.
106
4. Resta salva la disciplina di maggior favore per le situazioni in cui sia
accertato lo stato di tossicodipendenza e di alcolismo cronico, nonché
di gravi patologie in stato terminale del dipendente.
5. Resta salva la disciplina di maggior favore della legge n. 68 del 1999
per i lavoratori che, non essendo disabili al momento dell’assunzione,
abbiano acquisito per infortunio sul lavoro o malattia professionale
eventuali disabilità.

Art. 10 Clausola di invarianza finanziaria


1. Dall’attuazione del presente decreto non derivano nuovi o maggiori
oneri a carico della finanza pubblica.
2. Le amministrazioni pubbliche competenti provvedono agli adempi-
menti previsti dal presente decreto con le risorse umane, strumentali e
finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Art. 11 Entrata in vigore


1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della
sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
Il presente decreto munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella
Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto
obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

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Tavola rotonda sul tema: Lavorare e stare bene a scuola

Simona Pianese Longo


Dirigente scolastico

L’incontro ha avuto come tema il “Benessere dell’organizzazione-scuola”


e ha previsto gli interventi di tre esperti particolarmente qualificati nel set-
tore: il Prof. Federico Bianchi di Castelbianco, psicologo, psicoterapeuta
e Direttore dell’Istituto di Ortofonologia di Roma, il Prof. Salvatore
Sasso, Dirigente Scolastico e Docente a contratto di Psicologia Clinica
presso l’Università G. D’Annunzio di Chieti, e il Prof. Riccardo Dominici,
psicoterapeuta e medico del lavoro.
La tavola rotonda si è articolata in due momenti, il primo dedicato alle
relazioni dei docenti e alle loro significative riflessioni, il secondo ad un
approfondito dibattito fra gli intervenuti che hanno così avuto modo di
confrontare le loro posizioni in merito al delicato tema del lavoro scolasti-
co e dello “star bene” in una organizzazione dai bisogni sempre più com-
plessi e variegati.
Un filo conduttore ha guidato gli interventi dei singoli esperti che, pur con
esperienze scientifiche e culturali diverse, sono giunti alle medesime
importanti conclusioni.
Il Prof. FEDERICO BIANCHI DI CASTELBIANCO ha fatto riferimento
al suo lavoro di ricerca che si attua negli anni sul Territorio e in particolare
presso le Istituzioni scolastiche, soprattutto attraverso sportelli di ascolto
rivolti agli studenti e ai genitori con un forte coinvolgimento dei docenti.
Dalle sue indagini è emerso frequentemente lo stato d’ansia, se non il
timore degli allievi di non essere all’altezza del loro compito, di essere
valutati negativamente e di divenire oggetto di prepotenze e di episodi di
bullismo. Questi fenomeni di disagio possono ricadere sul lavoro degli
insegnanti che quindi, a volte, sono soggetti a sentimenti di sfiducia, ina-
deguatezza, stress, burnaut.
Appare evidente che la Scuola deve oggi più che mai sapersi riappropriare
del ruolo di referente della legalità e della serenità di tutte le sue compo-
nenti lavorando su un clima organizzativo funzionale alla prevenzione e
alla soluzione dei problemi: ciò può avvenire solo attraverso una formazio-
ne scientificamente pensata e mirata ai bisogni delle singole componenti.
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A sua volta il Prof. SALVATORE SASSO, autore fra l’altro di un volume
dal titolo significativo “Mal di scuola”, ha chiarito nella sua relazione, in
via prioritaria, il concetto di “benessere” che attualmente si ispira al
modello biopsicosociale e che, meglio di ogni altro, si adatta all’idea di
prevenzione e promozione della salute. Lo sviluppo di processi di preven-
zione e sicurezza è possibile ponendo al centro le persone e migliorando
la loro soddisfazione mediante la promozione del benessere lavorativo e
dell’ “empowerment”, inteso quest’ultimo soprattutto come importanza
della partecipazione, del dialogo e della negoziazione.
In tale ottica, risulta fondamentale il ruolo del Dirigente Scolastico chia-
mato a promuovere nel personale docente e non docente quel benessere da
prestazione efficace, strettamente legato all’assenza di disagio, alla pro-
pensione verso l’apprendimento e al continuo potenziamento personale e
professionale.
Il Prof. Sasso ha quindi presentato il QMMS “Questionario Multifattoriale
sul Mal di Scuola” da lui elaborato con il contributo della letteratura scien-
tifica, utile strumento autosomministrabile per gli studenti, con lo scopo di
individuare alcune dimensioni psicologiche e cognitive relative alla pre-
senza di segnali di disagio (punti di debolezza) o l’esistenza di fattori di
protezione (punti di forza).
La somministrazione del questionario, l’esame dei risultati e il confronto
dei dati rilevati hanno permesso l’elaborazione di un Progetto sul tema:
“La Scuola della seconda opportunità” che ha l’obiettivo di fronteggiare
l’insuccesso degli studenti e il loro reinserimento nel circuito formativo
e/o professionale prevenendo il rischio di esclusione scolastica e sociale.
Un ulteriore efficace ricerca sula campo è stata presentata per quanto
riguarda il “Senso dell’autoefficacia degli insegnanti” (TSES), studio
effettuato attraverso uno strumento capace di misurare l’efficacia delle
strategie formative, la gestione della classe e il coinvolgimento degli allie-
vi. Si tratta soprattutto di un mezzo diagnostico per progettare programmi
di sviluppo e di formazione, per migliorare l’insegnamento-apprendimen-
to in classe e valorizzare le competenze dei docenti.
Infatti, la formazione rappresenta l’elemento chiave per accrescere la
motivazione degli insegnanti e incentivare la crescita professionale inter-
venendo a livello individuale e insieme organizzativo, al fine di ottimiz-
zare le condizioni di benessere.
Infine, nel suo intervento il Prof. RICCARDO DOMINICI ha posto l’ac-
113
cento sulla prevenzione dello stress correlato al lavoro e alla promozione
della salute mentale nella scuola. Per quanto riguarda questo settore spe-
cifico, il livello dello stress nell’insegnamento è ben al di sopra della
media rilevata in altre situazioni lavorative. Nel mondo della scuola pre-
valgono spesso richieste di tipo emotivo-relazionale con disagio di tipo
quantitativo, di conflitto lavoro/famiglia e, soprattutto per quanto riguar-
da problemi relazionali (con la classe, con le famiglie, con gli altri lavora-
tori). Da tutto questo si può ingenerare una situazione di sofferenza che
siamo in grado di modificare attraverso “una formazione di natura psico-
sociale”, con interventi non dati a priori, ma pensati sulle dinamiche affet-
tive del contesto. In questo senso la formazione è, in primo luogo, inter-
vento sulla cultura dell’organizzazione, sui suoi valori e sui modelli di
riferimento.
Nella formazione psico-sociale è prioritaria l’analisi del clima organizza-
tivo e delle dinamiche interne al fine di verificare la disponibilità degli
operatori della scuola a usufruire di tale intervento. Si tratta di realizzare
un modello formativo articolato che si componga di diverse fasi metodo-
logiche mirate a rendere competenti i formandi, non per eliminare i pro-
blemi ma per prenderne coscienza e “riguardare la realtà per comprender-
la e saperla trasformare”.
Come appare evidente, i tre docenti esperti sono stati pienamente concor-
di nel proporre la soluzione al problema relativo al benessere dell’organiz-
zazione scuola: promuovere in modo non casuale un Progetto di formazio-
ne sulla base di un modello scientifico. Tale Progetto dovrà prendere
necessariamente l’avvio dall’analisi dei dati e da un momento diagnostico
particolarmente accurato.
Come è stato ribadito nel corso della tavola rotonda, sarà necessario pro-
cedere alla definizione di obiettivi chiaramente delineati e poi ad interven-
ti metodologici indirizzati ad incentivare in ciascuno operatore della
scuola il miglioramento della pratica professionale, in un’ ottica sistemica
finalizzata ad accrescere le competenze: competenze culturali e psico-
sociali nel saper leggere la realtà e le relazioni per riuscire con serenità e
professionalità ad affrontare i cambiamenti organizzativi in atto nella
scuola.

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Lavorare e stare bene insieme a scuola

Salvatore Sasso
Dirigente Scolastico, Professore a contratto di Psicologia Clinica,
Università “G. D’Annunzio”, Chieti

L’obiettivo di questo intervento è riflettere sulla prospettiva del benessere


a scuola. Può accadere che sia i docenti sia i dirigenti scolastici, nel pre-
pararsi alla risoluzione di un problema, di qualsiasi natura esso sia –didat-
tico, pedagogico, psicologico, organizzativo- rimangano legati ineludibil-
mente ai dati più evidenti e, non utilizzando strategie euristiche che ana-
lizzino il problema in maniera più ampia, si “avvitino” su decisioni par-
cellizzate. Ora queste decisioni devono confrontarsi con le storie che gli
alunni portano con se stessi da casa a scuola. Nella loro “valigia” di vis-
suti hanno un mondo di relazioni e di emozioni spesso irrisolte. Questo si
concretizza in un disagio psicologico e pedagogico che si riassume, nel
corso della mia relazione, nel cosiddetto Mal di scuola (Sasso, 2010).
D’altro canto i docenti per affrontare e indirizzare in maniera progettuale
i loro interventi devono non solo avere competenze nelle loro discipline,
ma possedere anche quel senso di efficacia rispetto agli effetti delle loro
attività educative e didattiche.

Il disagio della scuola in un contesto sociale che cambia


Oggi più che mai, stiamo vivendo un periodo storico fortemente caratte-
rizzato da una grande conflittualità sociale, da un profondo disorientamen-
to etico e da una crescente consapevolezza dell’inadeguatezza dei tradi-
zionali paradigmi culturali e valoriali.
Uno dei tanti specchi di questo sistema sociale confuso, smarrito, impau-
rito e disagiato è rappresentato dalla scuola. Essa, proprio perché rappre-
senta una delle principali istituzioni della società, incarna tutte le contrad-
dizioni e le inquietudini di un mondo che è alla ricerca di un equilibrio che
appare difficile da raggiungere.
Dunque, alla luce di questa realtà e consapevoli della grande importanza
di tale istituzione, è necessario che essa giochi fino in fondo e con i
migliori mezzi di cui dispone il suo ruolo di agenzia formativa. Oggi la
scuola, in quasi tutte le realtà, assume la forma di uno spazio sociale in cui
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si sviluppa e si cronicizza il disagio. Si tratta di un malessere che colpisce
inevitabilmente ed indistintamente alunni, insegnanti e dirigenti e quanti
direttamente o indirettamente sono legati a tale contesto. Infatti chi lavo-
ra nel mondo della scuola percepisce e vive quotidianamente la fatica nel
portare avanti con coerenza e tenacia la propria proposta educativa.
A tutti i livelli si avverte la lacunosità di una comunicazione poco effica-
ce e la difficoltà della gestione del dialogo. Si tratta di aspetti importanti
la cui presenza impedisce l’identificazione e la comprensione dei differen-
ti bisogni appartenenti a tutti coloro che sono inseriti nel più ampio con-
testo scolastico.
Nello specifico, la stessa gestione della classe e della scuola il più delle
volte si rivelano problematiche, soprattutto alla luce della complessità e
molteplicità delle dinamiche relazionali che le caratterizzano. Tutto questo
ostacola l’instaurarsi di un clima sociale positivo necessario per rendere
ogni esperienza scolastica un autentico momento di crescita e formazione.
Oltre a ciò, gli operatori scolastici sono pienamente consapevoli del fatto
che i comportamenti messi in atto dagli alunni, con i quali si relazionano
quotidianamente, non sono altro che l’espressione tangibile dei loro vissuti
interiori e delle modalità relazionali sperimentate nel corso della loro vita.
Dunque atteggiamenti di aggressività, di eccessiva competizione, atteg-
giamenti di insicurezza di fragilità ed instabilità emotiva sono tutti segna-
li di un disagio che richiede attenzione. Sono espressioni di bisogni che
richiedono una risposta pronta ed efficace. Sono bisogni che investono la
persona nella sua dimensione emotiva, affettiva e relazionale.
Quindi oggi nel contesto scolastico emergono, accanto ai bisogni della
sfera cognitiva quali il senso di curiosità e di conoscenza, anche i bisogni
più profondi dell’Io quali: il senso di sicurezza, di stima e di fiducia. Tali
bisogni, se adeguatamente soddisfatti, consentono a ciascun individuo di
poter sviluppare una identità sana e di costruire rapporti improntati sulla
positività, sulla responsabilità e sulla reciprocità.
La scuola negli ultimi anni ha sempre più preso consapevolezza di queste
realtà emergenti, tanto da avvertire con urgenza queste richieste come
responsabilità formative importanti, alle quali dare risposte organiche e
puntuali.
Come afferma Caprara e al. (2002), “La scuola necessita di una nuova
riflessione sul proprio operato: bisogna focalizzare l'attenzione sull'effica-
cia delle strategie adottate, dalle quali dipende non solo il buon funziona-
116
mento scolastico, ma anche il benessere degli insegnanti, [dei dirigenti –
mia aggiunta alla citazione] e la soddisfazione degli utenti”.

Cosa intendiamo per benessere


Per potere parlare di benessere occorre esser innanzitutto certi di com-
prendere di cosa ci si sta occupando: che cos’è, dunque, il benessere? La
domanda è semplice, eppure ci si accorge che, entrando nei meandri del-
l’argomento, è difficile trovare una risposta esaustiva, ancor di più se ci si
auspica di trovare una definizione omnicomprensiva del concetto di
benessere. Spaltro (1995) ha sottolineato come la psicologia contempora-
nea si sia più che altro occupata della faccia opposta della medaglia ovve-
ro del malessere e del fatto che, da ormai troppo tempo, il benessere sia
considerato come l’assenza della condizione del malessere. È davvero
così? Possiamo affermare che una persona che goda di un certo benessere
è tale solo perché non presenta una condizione di malessere? La salute è
assenza di malattia? L’OMS ormai da un trentennio, parlando di promo-
zione della salute ha ribadito il concetto di salute e di benessere nella loro
dimensione positiva (Zani, B., Cicognani, E. 2000).
La definizione di salute dell’OMS, «uno stato di benessere fisico, mentale
e sociale e non solamente assenza di malattia o infermità», costituisce una
svolta storica che permette il definitivo abbandono dell’interpretazione
medicalista al benessere. Quest’ultima considerava il benessere l’opposto
del disagio e si poneva dunque nella logica della mancanza, in cui il “sano”
diventa «appendice del patologico» (Lavanco, G., Novara, C. 2002).
Fino alla metà del Novecento per il modello medico di approccio alla
salute «l’eziopatogenesi (individuazione delle cause) era il punto di arrivo
e non di partenza per la cura e si inseriva all’interno del paradigma della
giustificazione, dove è la malattia a spiegare gli effetti che si possono
attendere dall’intervento. Dentro questo paradigma si è in grado di ricono-
scere la malattia, meno la persona malata, niente affatto la salute»
(Lavanco, G., Novara, C. 2002: p. 79).
Oggi si è oramai passati ad un modello “biopsicosociale” abbandonando
definitivamente il modello “biomedico”. La concezione biologica non è
però orientabile alla prevenzione, dato che tenta di incidere sulle creden-
ze, sui comportamenti, sugli atteggiamenti di salute facendo leva sulle
capacità del soggetto (concepito come agente attivo) (op. cit.). Il modello
“biopsicosociale” è invece il modello che più si presta all’idea di preven-
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zione e di promozione della salute. Esso è, infatti, un modello di imposta-
zione chiaramente sistemica, che prende in osservazione diversi livelli di
interpretazione della salute (aspetti biologici, aspetti psicologici, aspetti
sociali) e che li integra in un’ottica sempre più multidisciplinare: il sog-
getto diventa garante e promotore attivo della propria salute; si passa dal
prendersi cura del danno al prendersi cura della salute, dello star bene.
Un modello molto articolato sul benessere è stato prospettato da Carol
Ryff (1996) la quale individua sei dimensioni del benessere (Zani,
Cicognani, 1999); Ruini e al., 2003).
1. autonomia: fa riferimento alla capacità del soggetto di prescindere dalla
spinta sociale ad agire in determinate maniere, di autodeterminare con
un “pensiero indipendente” le proprie scelte comportamentali, di usare
quindi valutazioni fondate su valori personali per decidere i propri
comportamenti;
2. padronanza ambientale: concerne l’abilità di gestione dell’ambiente
esistente e la capacità di creare contesti adeguati alle proprie necessità;
3. crescita personale: corrisponde alla sensazione di realizzazione del sé,
della propria persona e ai sentimenti di sviluppo personale;
4. relazioni positive con gli altri: è inerente all’avere rapporti interperso-
nali soddisfacenti, all’avere affetto, confidenza e sintonia con l’altro;
5. accettazione di sé: consiste nel riconoscimento e nella presa di coscien-
za del proprio sé e delle proprie esperienze passate;
6. scopo nella vita: riguarda l’avere un “senso di direzionalità”, una fina-
lità comportamentale.
Secondo Keyes (1998) “per comprendere il funzionamento ottimale e la
salute mentale” bisogna analizzare anche il benessere sociale, del quale
l’autore individua cinque criteri. Il primo è quello dell’integrazione socia-
le: se e quanto le persone sentono di condividere cose comuni con altri e
di appartenere ad una comunità. Il secondo è l’accettazione sociale:
descrivibile come sentimento di fiducia nell’altro, senso di agio nello stare
con l’altro, opinione positiva sulla natura umana. Il terzo è costituito dal
contributo sociale: corrisponde alla possibilità di offrire qualcosa alla
scena sociale, di avere un valore per la società. Il quarto criterio è ineren-
te l’attualizzazione sociale ovvero “la valutazione delle potenzialità e del-
l’andamento complessivo della società”. Infine, l’ultimo è dato dalla coe-
renza sociale: consiste nella valutazione di una società intelligibile, com-
prensibile e ordinata (Zani, Cicognani, 1999).
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PRIMA PARTE
IL BENESSERE NELLE DECISIONI A SCUOLA

Un gioco per iniziare


Perché Giocare?
Spesso giochiamo con problemi per la cui risoluzione uno o più elementi
(stato iniziale, stato finale, operatori) non sono espressi chiaramente.
L’insight è allora l’intuizione sulla struttura del problema che porta ad una
sua ristrutturazione per poi arrivare alla soluzione (Köhler et al., 1969).
Il problema dei nove punti (Scheerer, 1963)

• • •
• • •
• • •
Compito: tracciare quattro linee rette continue collegando tutti i 9
punti senza staccare la penna dal foglio

Soluzione
• • •
• • •
• • •

Molte persone non riescono a trovare la soluzione perché assumono che le


4 linee non possano uscire dal quadrato delimitato dai 9 punti (fenomeno
della Fissità Funzionale). La Fissità Funzionale è dunque l’incapacità di
vedere gli oggetti con funzioni nuove rispetto a quelle già conosciute, o
comunque l’incapacità di andare oltre schemi predefiniti, cioè l’incapaci-
tà d rompere un set mentale.
Per risolvere un problema bisogna: capirlo, individuare le operazioni che
possono risolverlo, eseguire tali operazioni, controllare i risultati, se
l’obiettivo non è stato raggiunto, modificare qualche passaggio.
119
Un dirigente o un insegnante nel suo impegno quotidiano prende conti-
nuamente molteplici decisioni in situazioni complesse che lo conducono
necessariamente a evitare fissità funzionali.
I processi decisionali coinvolgono sia la sfera emotiva che quella cogniti-
va e quindi richiedono molte risorse, per cui le persone tendono a costruir-
si delle abitudini, delle routine, per ridurre lo sforzo decisionale (prende-
re troppe decisioni consecutive, senza adeguate fasi di recupero, può por-
tare allo scadimento della qualità delle decisioni stesse).
Abbiamo dunque bisogno di riferirci a determinate strategie euristiche di
fronte alle continue sollecitazioni quotidiani presenti in ogni scuola.
Esempio 1: In una prima classe di Scuola Secondaria di Primo grado è pre-
sente un alunno che fino al giugno precedente, alla fine del ciclo di scuola
primaria, frequentava un centro per la riabilitazione del linguaggio. La dia-
gnosi di questo alunno era severa: Disturbo specifico dell’apprendimento e
Disturbo del carattere. Il centro, nonostante la diagnosi dimette l’alunno. Il
coordinatore di classe, a conoscenza del problema, ne parla con il Dirigente
e insieme si cerca di strutturare una strategia che sicuramente avrà dei
tempi lunghi. L’alunno, in considerazione della sua pregressa diagnosi neu-
ropsichiatrica, inizia a disturbare in classe e tale situazione che, in breve
tempo diventa esplosiva, non sembra di facile risoluzione. Infatti gli inse-
gnanti iniziano a fargli collezionare note sul registro, convocazioni dal
Dirigente, telefonate alla famiglia, che presenta grosso disagio sociale.
Il problema dell’alunno è stato trattato inizialmente pensando prevalente-
mente al comportamento disturbante in classe e non al disturbo del com-
portamento. Per l’alunno sarebbe stato impossibile comportarsi diversa-
mente in virtù della sua diagnosi pregressa. Si aspettava una nuova dia-
gnosi e intanto il comportamento dell’alunno peggiorava, decostruendo
anche quel minimo di rapporto che la scuola stava creando con la famiglia
Ci capita, inoltre, di usare anche un paradigma per la commutazione dei
compiti da affrontare (Task Switching Paradigm, Jersild, 1927), (come un
interruttore che si accende e si spegne switch on/off) ad es. iniziamo ad
affrontare un problema, lo interrompiamo iniziamo la soluzione di un
secondo problema, lo interrompiamo e torniamo al primo e così via.

Mettere al centro le persone e i gruppi


Lo sviluppo di processi di prevenzione e sicurezza in modo efficace è pos-
sibile solo ponendo al centro le persone e migliorandone la soddisfazione
120
mediante la promozione del benessere lavorativo e dell’empowerment.
Letteralmente empowerment indica acquisizione di potere, di “potere con
l’altro” e non di “potere sull’altro”, l’importanza della negoziazione, del
dialogo e della partecipazione. Esprime anche un importante processo che
ingloba una serie di conoscenze, competenze, impegno attivo nel prende-
re decisioni.
L’acquisizione di potere, intesa in questo senso, crea cambiamento, allar-
ga il campo delle alternative, dà la possibilità all’individuo ed al gruppo
di scegliere, di ascoltare i propri bisogni e sulla base di ciò formulare
obiettivi, sfruttare le potenzialità che si hanno a disposizione per poter
metter in atto strategie adeguate. Quindi il termine non si limita solo ad
indicare un costrutto complesso, esso esprime anche un importante pro-
cesso che ingloba una serie di conoscenze, competenze, impegno attivo
nel prendere decisioni e particolari modalità relazionali che nel concreto
si esprimono con la possibilità di controllare attivamente la propria vita,
riuscire a stare meglio, aumentare le competenze e le capacità per affron-
tare attivamente le situazioni di vita.
Come affermano Francescato e al. (2011), l’E. “cerca di incentivare stili
di vita sani in tutti gli individui.”
Alla luce di ciò è possibile cogliere come il concetto di empowerment
risulti essere di fondamentale importanza nel campo dell’educazione e
della prevenzione. Pertanto il compito dell’operatore scolastico diventa
quello di aiutare gli studenti a “prendere coscienza del proprio potere” for-
nendo loro strumenti di cambiamento da poter utilizzare in prima persona.
Il Dirigente di un’organizzazione dovrà quindi risolvere le problematiche
e le proprie linee di azione dal punto di vista delle persone e dei gruppi di
persone, mantenendoli sempre al centro dell’attenzione.

Prevenzione del disagio professionale


In particolare le tematiche su cui il Dirigente innesta le sue politiche per
la prevenzione del disagio mentale professionale sono per loro natura
interdisciplinari, e la necessità di un focus costante sulle persone porta
con sé il dover prestare attenzione anche ad aspetti di psicologia del lavo-
ro e delle organizzazioni, oltre a quelli più tradizionali di natura medica,
giuridica ecc.
Così nel caso di una scuola sarà essenziale tener conto delle specificità del
lavoro della maggior parte del suo personale, docente e anche non docen-
121
te, caratterizzato da una tipologia di impegni assai atipica rispetto ad altre
situazioni lavorative, anche nell’ambito delle helping professions.

Le prestazioni efficaci come rimedio allo sviluppo del Benessere


Il rimedio al rischio psicosociale e al disagio mentale non sarà l’assenza
di stress, ma il perseguimento di quel benessere da prestazione efficace
che, sia nei lavori individuali che di team, è strettamente legato all’assen-
za di disagio, alla propensione verso l’apprendimento e il continuo poten-
ziamento personale e professionale.
Il DS può favorire tutto ciò operando per rimuovere o ridurre al minimo
possibile tutti i rischi di malessere organizzativo che rientrano nelle sue
disponibilità di intervento.
Ciò ovviamente non significa l’instaurarsi automatico del “benessere
organizzativo”, ma sicuramente un primo significativo passo verso di
esso. Infatti tale tipo di benessere è parte integrante della mission di qual-
siasi organizzazione in quanto fattore abilitante essenziale per il miglior
conseguimento dei risultati.

Benessere organizzativo contro il “mal di scuola”


In generale nelle organizzazioni la promozione della salute e del benesse-
re psicofisico degli addetti si concretizza attraverso l’ottimizzazione di
alcuni fattori chiave, interdipendenti fra loro e con la qualità delle presta-
zioni lavorative che si determinano (Organizzazione Mondiale della
Sanità):

1. Il coinvolgimento, ossia un’attenzione particolare sullo sviluppo del-


l’autonomia delle persone,di gruppi autogestiti, del potenziamento
dell’empowerment;
2. Lo sviluppo e la crescita, ossia il potenziamento di conoscenze e abili-
tà, e delle loro applicazion;)
3. Le gratificazioni, ossia politiche e programmi con riconoscimenti tan-
gibili e intangibili;
4. Il bilanciamento lavoro-vita, ossia le esigenze vita professionale/perso-
nale;
5. La salute e la sicurezza, ossia la valutazione dei rischi e degli interven-
ti, la formazione, iniziative di wellness, training per la gestione dello
stress.
122
In questa logica di interconnessioni l’azione della dirigenza scolastica deve
rivolgersi, oltre che ai pochi casi di disagio più gravi, anche a contenere al
massimo quell’oggettivo disagio legato alla professione docente che da
tempo ormai ritroviamo in pubblicazioni di vario genere, da quelle scienti-
fiche a quelle narrative (per es. “Diario di scuola” di Pennac, 2007).

Le Cause del Mal di scuola 1


Fra le cause del “mal di scuola” degli insegnanti ve ne sono alcune, impor-
tanti, che esulano dalle possibilità d’intervento diretto del Dirigente scola-
stico (la retribuzione o il riconoscimento sociale), mentre è direttamente
coinvolto nel contenimento del disagio e nel miglioramento del benessere
a scuola”.
Un elemento che incide fortemente sul livello di stress dei docenti, che
hanno avuto una formazione generalmente disciplinare, riguarda le diffi-
coltà che gli alunni incontrano nell'ambito scolastico, e che possono esse-
re il segnale di un malessere affettivo e relazionale, si può manifestare con
difficoltà di apprendimento, rendimento scolastico inferiore alle reali
capacita, difficoltà di concentrazione e di attenzione, iperattività, disimpe-
gno, particolari difficoltà a comunicare e relazionarsi sia con i compagni
sia con gli insegnanti (Sasso, 2010).
Gli insegnanti il più delle volte non riescono ad aiutare gli allievi in diffi-
coltà, in quanto si rapportano con essi in modo sbagliato e questo ne bloc-
ca la creatività e la fiducia in se stessi. Questi atteggiamenti finiscono per
favorire la dipendenza piuttosto che l’autonomia e con il controllare ogni
azione piuttosto che sollecitare l’iniziativa individuale. Tutto questo
dipende dal fatto che gli insegnanti non sono preparati a comunicare effi-
cacemente e a trovare una soluzione agli inevitabili conflitti senza che si
vengano a creare tra le due parti vincitori e vinti. Questa cattiva gestione
della comunicazione induce a vivere una condizione di frustrazione sia per
l’insegnante sia per l’allievo.
Spesso l’insegnante si sente frustrato, perché pur essendo competente ed
amante della sua professione, non trova riscontro nel rendimento della
classe a causa della bassa motivazione, della mancanza di concentrazione
e del disinteresse mostrato dagli allievi.
Il lavoro dell’insegnante, estremamente creativo, piacevole e gratificante,
finisce per essere considerato una continua fatica. Gli insegnanti, ad un
certo punto della loro carriera, attribuiscono il senso del loro disagio per-
123
cepito a varie cause: lo stress insito nella professione, l’irrequietezza dei
ragazzi che sembra aumentare di generazione in generazione e l’inadegua-
to trattamento economico. In realtà il vero motivo del disagio è un altro,
ovvero la tensione costante per riuscire a mantenere la disciplina ed il
dover adeguarsi ad un ruolo difficile da sostenere.
Gordon mette in evidenza come il primo problema viene risolto con atteg-
giamenti autoritari o permissivi, due metodi errati ed inadeguati che con-
ducono ad un rapporto di forza che si conclude inevitabilmente con un
vincitore ed un vinto.
Per quando riguarda il secondo aspetto, Gordon sottolinea come l’inse-
gnante ha paura di mostrarsi per ciò che è, in altre parole una persona che
possiede pregi, difetti, limiti e sentimenti. L’insegnate nel rapporto con
l’allievo si mostra quasi sempre come una persona che sa tutto e che non
sbaglia mai e quando prova ad essere se stesso teme che gli allievi abbia-
no un rapporto troppo confidenziale.
L’allievo invece vive una condizione di disagio perché considera il più
delle volte la scuola come un luogo di costrizione e di stress.
Ciò accade perché non si stabilisce un buon rapporto tra docente e studente.
È importante rilevare che il rapporto tra insegnante e allievo è più impor-
tante dei contenuti culturali, dei metodi di insegnamento e della capacità
di apprendimento.
Iniziamo ora a parlare di Mal di scuola degli alunni, premettendo che non
è la scuola in sé che faccia ammalare gli alunni. Infatti ci si riferisce a tutte
quelle situazioni di difficoltà e disagio che bambini e ragazzi manifestano
proprio a scuola, non certo ad ipotetici effetti deleteri prodotti dall’istitu-
zione scolastica. Come premessa alla seconda parte del capitolo si propo-
ne la seguente diapositiva che sinteticamente illustra il processo del Mal
di scuola e gli obiettivi nell’applicazione del Questionario sul Mal di
Scuola (QMMS).

124
SECONDA PARTE
Il Questionario Multifattoriale sul Mal di Scuola (QMMS)

Lo strumento

Occuparsi del “mal di scuola” significa quindi procedere alla disamina


delle possibili conseguenze che il disagio scolastico può apportare alla
sfera emotivo-affettiva, relazionale e meta cognitiva dell’alunno, con sin-
tomi a carico dell’apparato gastrointestinale e/o respiratorio, del sonno,
125
della pelle, e disturbi somatopsichici che possiamo correlare al senso di
apatia, all’iperattività e ai disturbi dell’apprendimento.
L’obiettivo di alcuni studi (Sasso et al. 2006; Sasso e Sborlini, 2008, Sasso
2010) è stato quello di arrivare a individuare alcune dimensioni psicologi-
che e cognitive per rintracciare negli alunni la “conclamazione” del loro
disagio, ossia la presenza di punti di debolezza interferenti con il loro svi-
luppo globale, oppure la presenza di fattori di protezione che promuovesse-
ro l’adattamento, riducendo così l’impatto di elementi “stressanti”. Con il
contributo della letteratura scientifica sono state rilevate sette dimensioni,
che riguardano la gestione delle emozioni, i processi di crescita e di autosti-
ma, gli stili attributivi e motivazionali, la coscienziosità, l’apertura mentale,
le relazioni interpersonali, la meta cognizione e le abilità di studio.
Lo strumento è autosomministrabile per tutti i soggetti dagli 8 ai 20 anni
ed è composto da 111 item (46 posti in forma positiva, 65 in forma nega-
tiva); è stato strutturato sulla scia del Test Mosaico di Gille ed è composto
da 7 scale riguardanti le sette seguenti dimensioni:
1. La somatizzazione dell’ansia (Pancheri P., Sirigatti S., 2002). Mette in
luce la fisionomia di un alunno che mostra eccessive preoccupazioni
per il proprio corpo, numerosi sintomi psicosomatici (dolore di stoma-
co, fatica, dolore e debolezza fisica), difficoltà psicologiche negate, ma
anche estroversione e facilità nei rapporti sociali
2. L’autostima (Bracken B.A., 2003). Valuta i seguenti aspetti: le relazio-
ni interpersonali, la competenza di controllo dell’ambiente, l’emotivi-
tà, il successo scolastico, la vita familiare, il vissuto corporeo.
3. Le relazioni interpersonali (Bracken B.A., 1993). Definisce un bambi-
no/ragazzo che cresce attraverso il rapporto con i propri genitori, coe-
tanei e insegnanti.
4. La coscienziosità (Caprara G.V., Barbaranelli C., Borgogni L., 2000).
Si riferisce alle capacità di autocontrollo/autoregolazione del soggetto.
Per questo, chi ottiene alti punteggi in questa scala tende a descriversi
come molto riflessivo, scrupoloso, ordinato, perseverante.
5. L’apertura mentale (Caprara G.V., Barbaranelli C., Borgogni L., 2000).
Rileva le dimensioni di apertura all’esperienza e alla cultura di un sog-
getto, per valutare l’interesse a tenersi informati, nei confronti della let-
tura e ad acquisire conoscenze.
6. Gli stili attributivi e motivazionali (Ravazzolo C., De Beni R., Moé A.,
2005). Mostra il locus of control (interno/esterno) del soggetto, nonché
126
la sua motivazione nel raggiungimento degli scopi prefissati. Il locus of
control indica la modalità con cui un individuo ritiene che gli eventi
della sua vita siano prodotti da suoi comportamenti o azioni, oppure da
cause esterne indipendenti dalla sua volontà.
7. La meta cognizione (Cornoldi C., De Beni R., Zamperlin C.,
Meneghetti C., 2005). Delinea l’aspetto di un soggetto che utilizza un
ottimale approccio allo studio, corredato da strategie volte ad imple-
mentare il successo scolastico. Indica un tipo di autoriflessività sul
fenomeno cognitivo, attuabile grazie alla possibilità - molto probabil-
mente peculiare della specie umana - di distanziarsi, auto-osservare e
riflettere sui propri stati mentali. L'attività metacognitiva ci permette,
tra l'altro, di controllare i nostri pensieri, e quindi anche di conoscere e
dirigere i nostri processi di apprendimento.

Risultati ottenuti: l’uso pedagogico clinico del QMMS


È stato ipotizzato che un soggetto con “Mal di scuola”, confrontato con i
valori del suo gruppo di riferimento, dovrebbe presentare quattro o più
valori critici. I valori sono comunque alterati se risultano:
3 alti nella somatizzazione dell’ansia e negli stili attributivi motivazionali;
3 bassi nell’autostima, nella coscienziosità, nell’apertura mentale, nelle
relazioni interpersonali e nella meta cognizione.
Una maggiore attenzione, dunque, è stata dedicata all’individuazione del
soggetto con il “Mal di scuola” mediante l’utilizzo delle Scale di
Controllo del QMMS, che permettono la lettura dei dati di varianza e
127
deviazione standard nelle sette dimensioni indicate, e la definizione della
soglia minima e quella massima in cui si collocano i soggetti con valori
normativi standardizzati.
Nel livello di attenzione sono inclusi i valori che si allontanano i deviazio-
ne standard dalla media; nel livello critico sono inclusi i valori che si
allontanano 2 deviazioni standard dalla media.
In seguito, i punteggi del soggetto per singola dimensione sono inseriti in
un apposito grafico, poi evidenziati di giallo o rosso sulla base delle indi-
cazioni dettate dalle Scale di Controllo del QMMS.
In tal modo si è ottenuta una lettura generale del singolo alunno e una
panoramica complessiva del campione analizzato, in seguito rappresenta-
to su quattro livelli:
1. Livello di attenzione che include i soggetti che presentano quattro o più
valori gialli;
2. Livello di guardia che include i soggetti che presentano da 1 a 3 valori
rossi;
3. Livello critico che include i soggetti che presentano 4 o più valori rossi;
4. Livello della “normalità” che include i soggetti i cui valori risultano
uguali o superiori al Punto 0 nel caso dell’autostima, della coscienzio-
sità, dell’apertura mentale, delle relazioni interpersonali e della meta
cognizione; uguali o inferiori al Punto 0, nel caso della somatizzazione
e degli stili attributivi motivazionali.

128
Il caso di A.
Il soggetto, di cui si propone il diagramma, è un ragazzo di 14 anni che
frequenta la classe prima della Scuola secondaria di I grado, ed è pluriri-
petente (Sasso, 2011).

Il QMMS mette in luce un ragazzo che presenza un punteggio vicino al


punto critico nella somatizzazione, nella coscienziosità, nell’apertura
mentale, nelle relazioni interpersonali e quasi coincidente nella meta
cognizione. Negli stili attributivi e motivazionali si situa vicino al valore
di attenzione. Un elemento importante è il basso livello di autostima, che
mostra il quadro di un alunno con un grave insuccesso scolastico.
Esempio 2: In una scuola secondaria di primo grado, in seguito anche alla
somministrazione del QMMS, si è iniziato a riflettere sul disagio di un
gruppo di alunni che frequentavano classi non coincidenti alla loro età
cronologica (Pluriripetenti). Si è pensato alla elaborazione di un progetto
intitolato: Ripartiamo con una seconda opportunità!” (Sasso,
Montevecchi, Piccirillo, 2012).
Le "Scuole della seconda opportunità" sono istituzioni formative speri-
mentali, nate in Italia e in alcun città europee a partire dalla fine degli anni
'80, come "sperimentazioni dal basso" nell'ambito degli interventi di lotta
alla dispersione scolastica e all'esclusione sociale. Si pongono l'obiettivo
di fronteggiare i problemi connessi all'insuccesso formativo e di favorire
129
il re-inserimento nel circuito formativo e/o professionale di giovani a
rischio di esclusione sociale per il fallimento vissuto nell'istituzione sco-
lastica (soggetti pluriripetenti, migranti, inadempienti, privi del titolo di
licenza media). La dicitura "Scuola della seconda opportunità" compare
per la prima volta nel Libro Bianco "Insegnare e imparare: verso la socie-
tà conoscitiva" pubblicato dalla Commissione dell'unione europea sotto la
guida di Edith Cresson nel novembre del 2005 come strumento per com-
battere l'esclusione sociale.
Nella realtà italiana le "Scuole della seconda opportunità" offrono a ragaz-
zi/e italiani e migranti che hanno alle spalle un fallimento nel sistema sco-
lastico di prima opportunità ( ripetenze, abbandoni, frequenza irregolare,
insuccesso formativo, difficoltà relazionali, ecc) percorsi paralleli o alter-
nativi alla scuola media finalizzati al conseguimento della licenza media
e, attraverso un lavoro di orientamento e accompagnamento, al prosegui-
mento del percorso formativo (istruzione superiore, Corsi di Formazione
Professionale) e/o all'inserimento nel mondo del lavoro.
Qualche dettaglio operativo:
3 stesura di Piani Individuali di Apprendimento in cui stabilire obiettivi
didattici a lungo termine in modo che:
– gli alunni pluri-ripetenti di prima o di seconda classe possano affrontare
una seconda opportunità per accedere o alla classe aderente alla propria
età cronologica o all’ammissione alla terza e successivo esame di Stato
3 attività didattiche di recupero e potenziamento così organizzate:
1. Gli alunni durante le ore curricolari settimanali frequentano un corso
organizzato, fuori dal contesto classe, di 10 ore in cui sviluppare un
progetto didattico finalizzato al recupero degli anni scolastici non anco-
ra frequentati, per essere messi in grado di poter sostenere le varie
prove d’esame.
2. Gli alunni sono seguiti da un docente interno che sarà il tutor dei
ragazzi fino alla fine del progetto-corso accompagnandoli all’esame.
3. Nella loro classe attuale di appartenenza i docenti devono tenere in
conto del loro parallelo lavoro, attraverso un monitoraggio continuo
con il Tutor.
3 al fine di consentire il progetto-corso per una seconda opportunità for-
mativa, si prevede un Patto Formativo tra la scuola, nella persona del
Dirigente, gli alunni coinvolti e la famiglia:
Tale patto vincolerà tutti al rispetto delle regole in esso contenuto.
130
TERZA PARTE
LA SCALA DEL SENSO DI AUTOEFFICACIA
DEGLI INSEGNANTI

Le Cause del Mal di scuola 2


L’oggettiva complessità delle situazioni in cui l’insegnante opera e le dif-
ficoltà insite per raggiungere dei risultati formativi fanno sì che le decisio-
ni prese spesso lo lascino insoddisfatto, e restino associate a elementi di
incertezza e disagio legati al non percepire risultati proporzionati agli sfor-
zi fatti.
Il processo che guida le decisioni dell’insegnante interagisce inevitabil-
mente con gli aspetti emozionali e pertanto il rischio per l’insegnante è di
non sentirsi adatto allo scopo della sua mission di formatore.
E' un lavoro "emotivo" quello di insegnare. Si tratta di aver passione per
ciò che si trasmette e di essere convinti della bellezza e dell'importanza di
ciò che si vorrebbe che i discenti conoscessero. E' emotivo per chi insegna
e lo è per chi apprende. Chi è allora questo insegnante capace di emozio-
nare ed emozionarsi? Una riflessione sulla figura e sulle competenze del-
l'insegnante è un passaggio obbligato. Se è vero che molti insegnano e che
ognuno può giocare il ruolo dell'insegnante o dell'allievo, a seconda dei
casi, è altrettanto noto che il termine insegnante si riferisce a chi all'inter-
no di istituzioni pubbliche è incaricato dell'educazione degli allievi in
ragione di accertate conoscenze e competenze. All'insegnante si chiede di
far ricorso a diversi sistemi di segni nel suo agire educativo e di costrui-
re e gestire ambienti di apprendimento nei quali contano non solo la qua-
lità, l'adeguatezza dei contenuti, dei mezzi e dei metodi, ma anche le
modalità relazionali. Un docente, dunque, deve padroneggiare le discipli-
ne da insegnare, saper motivare e rendere efficace l'apprendimento in una
situazione collettiva e saper valutare gli apprendimenti indotti; deve, nello
specifico, possedere molte e specifiche competenze (Genovese, 2005).

131
Il senso di autoefficacia

È importante riuscire a pensare la scuola come situazione complessa, nella


quale entrano in gioco molti fattori della personalità di tutti gli “attori” in
essa presenti. La scuola rappresenta, dopo il contesto familiare, l’ambien-
te che contribuisce al processo di sviluppo deigli studenti, nei suoi aspet-
ti relazionali, emotivi, affettivi e cognitivi. Quando si è energicamente
equilibrati e sereni, l'esperienza educativa è più efficace e meno affatican-
te. Cosa significa promuovere questo successo? I docenti hanno la neces-
sità, per far raggiungere gli obiettivi agli studenti, di conoscere strategie
e metodi di approccio che possano risolvere atteggiamenti aggressivi, ipe-
rattivi, passivi, apprendere tutte le tecniche necessarie a potenziare la
comunicazione, acquisire sicurezza e professionalità nella gestione psico-
logica della classe, allo scopo di creare un clima positiva all'apprendi-
mento. Ognuna di queste funzioni può essere fonte di soddisfazione ma
anche causa di disagio e malessere professionale. Le convinzioni degli
insegnanti riguardo l'efficacia personale determinano il loro atteggiamen-
to generale sia verso il processo educativo che verso le attività didattiche
(Sasso, 2010).
Il compito di creare ambienti di apprendimento favorevoli allo sviluppo
delle competenze cognitive è assegnato ai talenti e all’autoefficacia degli
insegnanti. Considerando il significato del costrutto di autoefficacia, si
può distinguere tra:
132
• l’opinione che gli insegnanti hanno di possedere determinate abilità di
insegnamento;
• l’opinione che gli insegnanti hanno sulla loro capacità di utilizzare que-
ste abilità con conseguenze per gli studenti.
Gli insegnanti fermamente convinti della propria efficacia nel ruolo di
docente predispongono esperienze didattiche in cui gli alunni possano
sperimentare la sensazione di padronanza.

Quelli incerti sulla propria efficacia creano ambienti di cattiva qualità,


che probabilmente si ripercuotono negativamente sul senso di efficacia e
sullo sviluppo cognitivo degli studenti. Gli insegnanti con un alto senso di
autoefficacia scelgono strategie fondate sulla possibilità di incrementare
l’apprendimento degli studenti; hanno alte aspirazioni e aspettative verso
gli alunni; vogliono promuovere nuovi curricola e utilizzano nuove e più
attive metodologie per favorire l’integrazione e l’apprendimento (piccolo
gruppo, apprendimento cooperativo, metodi attivi); coinvolgono più facil-
mente la famiglia nel sostegno dell’alunno; promuovono lo sviluppo della
motivazione intrinseca e l’autonomia dello studente; preferiscono pratiche
di valutazione innovative e sono più disponibili al lavoro di equipe. Gli
133
insegnanti con un basso senso di autoefficacia scelgono nuovi metodi
d’insegnamento solo motivati dalla volontà di ridurre la noia e la confu-
sione, prediligono un atteggiamento da guardiano che si avvale di incen-
tivi esterni e punizioni per favorire lo studio, sono portati a prestare atten-
zione agli studenti che riescono meglio; gli studenti con difficoltà di
apprendimento o con rapporti problematici fuori dalla scuola invece, sono
maggiormente oggetto di attenzione da parte di insegnanti con un alto
senso di autoefficacia.
Nell’esaminare l’impatto di queste variabili, Ashton e Webb (1986) rife-
riscono che le convinzioni degli insegnanti concernenti la propria effica-
cia come docenti predicono il livello di successo degli studenti nel corso
dell’anno scolastico a prescindere dal livello da cui sono partiti.
Possiamo riassumere che gli insegnanti privi di un saldo senso di effica-
cia dimostrano uno scarso impegno nell’insegnamento; dedicano meno
tempo a quelle materie che corrispondono alle loro aree di inefficacia
percepita; dedicano una quantità di tempo totale minore a ciò che ha per-
tinenza con la scuola e sono particolarmente vulnerabili al Burn-out pro-
fessionale.
Gibson e Dembo (1984), condussero uno studio di osservazione microa-
nalitica sul modo in cui gli insegnanti con un’efficacia percepita alta o
bassa gestiscono le loro attività di classe. Gli insegnanti che hanno un alto
senso di efficacia educativa dedicano una parte maggiore dell’orario ad
attività scolastiche, forniscono agli studenti che incontrano difficoltà la
guida di cui hanno bisogno per riuscire e gratificano i loro successi scola-
stici. Al contrario, gli insegnanti con una bassa efficacia percepita trascor-
rono più tempo in passatempi non scolastici, si arrendono subito se gli stu-
denti non hanno rapidamente buoni risultati e li criticano per i loro falli-
menti. Quindi, gli insegnanti che credono fermamente nella loro capacità
di promuovere l’apprendimento creano esperienze di padroneggiamento
per i loro studenti, mentre quelli pieni di dubbi sulla loro efficacia educa-
tiva danno vita ad ambienti scolastici che danneggiano facilmente la con-
siderazione che gli studenti hanno delle loro capacità e del loro sviluppo
cognitivo. Le convinzioni degli insegnanti nella loro efficacia personale
influenzano il loro atteggiamento generale sia verso il processo educativo
che verso le specifiche materie didattiche. Gli insegnanti con un basso
senso di efficacia non hanno fiducia nella propria capacità di gestire le
classi; assumono una visione custodialistica del proprio lavoro; ricorrono
134
a metodi restrittivi e punitivi nell'applicare la disciplina e si basano su
incentivi esstrinseci; si focalizzano più sulle discipline che sullo sviluppo
degli studenti. Gli insegnanti che credono fortemente nella loro efficacia,
invece, tendono a ricorrere a mezzi persuasivi e a sostenere lo sviluppo
dell'interesse intrinseco e dell'autoregolazione scolastica dei loro studenti
(Woolfolk, Rosoffe e Hoy 1990).
Gli insegnanti efficaci che mantengono l’ordine, inoltre, cercano di
impostare il compito in modo da favorire il senso di responsabilità per-
sonale degli alunni adottando un sistema di comunicazione chiaro
rispetto a obiettivi, aspettative e argomenti e fornendo spiegazioni pun-
tuali sui compiti e sulle procedure. Essi utilizzano strategie che forni-
scono i feedback sui comportamenti adeguati e mirano a favorire una
attiva partecipazione degli alunni alle attività. È opportuno ricordare
inoltre che studi recenti (Wubbels, Brekelmans, den Brok, van Tartwijk,
2006) mostrano come una relazione positiva tra insegnanti e studenti sia
caratterizzata da un forte grado di influenza (direzionalità o dominanza)
e prossimità (cooperazione e supporto) da parte degli insegnanti sugli
studenti. È opportuno comunque sottolinearne l'importanza, in quanto,
come messo in luce da Woolfolk Hoy e Weinstein (2006), le percezioni
di efficacia di insegnanti e studenti condizionano le interazioni che
avvengono nella classe. Allo stesso modo, secondo Woolfolk Hoy,
Davis e Pape (2006) queste percezioni sono influenzate dal contesto
immediato della classe, ma anche dal contesto sociale più ampio.
Quindi, capire la prospettiva degli insegnanti e degli studenti può per-
mettere di creare un migliore coinvolgimento nel processo di apprendi-
mento da parte di entrambi.
Successivamente Tschannen-Moran, Woolfolk e Hoy (2001) approfondi-
scono diversi aspetti relativi alla percezione di efficacia da parte degli
insegnanti e le loro credenze sul controllo (Woolfolk e Hoy, 1990), sulla
gestione (Woolfolk, Rosoff e Hoy, 1990), sui cambiamenti che interven-
gono nei primi anni (Woolfolk e Spero, 2005), sul influenza dell'ottimi-
smo (Woolfolk, Hoy e Kurz, 2008).
Anche recenti studi italiani (Sasso, 2004, 2008, 2010; Di Fabio e Taralla.
2004, 2006; Moè, 2010; OCSE-TALIS, 2010; MIUR, 2010) hanno inda-
gato sulla percezione dei docenti circa l'efficacia della propria azione
didattica.

135
Il senso di autoefficacia deglii insegnanti: una ricerca sul campo
La ricerca che viene di seguito presentata ha avuto come obiettivo la stan-
dardizzazione del Teachers’ Sense of Efficacy Scal le (T.S.E.S.), elaborato
da due studiose dell’Ohio State University, Megan Tschannen e Anita
Woolfolk Hoy (2001), e tradotto e adattato in italiaano da Salvatore Sasso
(2003).

Lo strumento
Il questionario è formato da 24 item e, secondo gli autori, misura 3 fatto-
ri latenti, ciascuno misurato da 8 item, quali:
‚ Efficacia per le strategie e di insegnamento (ad esempio “In che misu-
ra sei in grado di fornire una spiegazione alternativva o un esempio
quando gli alunni sono confusi?”);
‚ Efficacia per la gestione e della classe (ad esempio “Quanto puoi fare
per controllare i comportamenti di disturbo in classse?”);
‚ Efficacia per il coinvolgiimento degli studenti (ad esempio “Quanto
puoi fare per motivare gli alunni che mostrano uno scarso interesse per
il lavoro scolastico?”).

136
Il campione
Il Teachers' Efficacy Scale (T.S.E.S.) sulle convinzioni degli insegnanti
circa il proprio senso di Efficacia è stato somministrato ad un ampio grup-
po di soggetti costituito da 898 docenti appartenenti a scuole statali di ogni
ordine e grado distribuite sul territorio nazionale.

137
Dalla lettura dei dati del campione , si può evidenziare come sia l’età
media sia l’identità di genere si avvicini a quella espressa nei dati del
MIUR (2008): età media dei docenti 50 anni circa e componente femmi-
nile rappresentata dall’81% del totale.
Questo evidenzia il sovraccarico esistenziale, fisico e emotivo a seguito
della sovrapposizione, nelle docenti, dei ruoli professionali e di quelli
domestici e genitoriali.

F1: strategie educative F2: gestione della classe F3: coinvolgimento degli studenti
Discussione dei risultati
In considerazione della rilevanza internazionale della T.S.E.S. e dei van-
taggi che presenta in termini di equilibrio tra specificità e generalizzabili-
tà, l’obiettivo del presente lavoro è stato quello di costruire un campione
normativo nel contesto italiano, dopo aver verificato le proprietà psico-
metriche di tale strumento. Sono state quindi esaminate l'attendibilità della
scala, la struttura a tre fattori ipotizzata dalle autrici e la validità concor-
rente. Per quanto riguarda la presenza delle tre componenti ipotizzate da
Tschannen-Moran e Woolfolk-Hoy (2001) ovvero l'efficacia delle meto-
dologie adottate, l'efficacia nel saper condurre la classe e l'efficacia nel
saper coinvolgere gli studenti durante le lezioni, sono state effettuate una
138
serie di procedure che confermano nella versione italiana (Sasso, 2003) la
struttura ipotizzata dalle ricercatrici.
Procedendo ad una lettura qualitativa del grafico possiamo dire che nella
scuola dell’infanzia non c’è una differenza significativa tra maschi e fem-
mine in tutti e tre i fattori; anche nella scuola primaria le differenze sono
minime; nella scuola secondaria di primo grado si evidenzia una maggior
differenza tra maschi e femmine, così come nella scuola secondaria di
secondo grado. Bisogna focalizzare l’attenzione su un dato che richiede
comunque enorme prudenza: nella scuola secondaria di secondo grado
sembrerebbe che gli insegnanti di tecnica, sia maschi che femmine, valu-
tino la percezione della propria autoefficacia con valori più bassi rispetto
a tutti gli altri presi in considerazione.

Un confronto tra autoefficacia e sindrome del burnout


(Sasso, Pagano, 2012).

I dati relativi all’autoefficacia sono stati anche correlati con quelli raccol-
ti mediante il più importante questionario in tema di rilevazione del Burn
out: il Masclach Burn-Out Inventory (MBI) di Maslach e Jackson, (1981).
I risultati ottenuti da tale ricerca confermano la validità di costrutto della
T.S.E.S., mettendo in evidenza una correlazione statisticamente significa-
139
tiva con l’M.B.I.; ciò equivale a dire che ad alti livelli di Realizzazione
Personale equivalgono bassi livelli di Esaurimento Emotivo e
Depersonalizzazione, al contrario se il grado di Realizzazione Personale è
basso si noterà un innalzamento delle atre due variabili e quindi una diffi-
coltà maggiore nella gestione delle situazioni di stress da parte degli inse-
gnanti.
Quindi ci si rende conto che docenti maggiormente fiduciosi nelle proprie
capacità e realizzati personalmente non solo si impegnano di più nel pro-
prio lavoro, ma riescono ad essere maggiormente efficaci nell’utilizzo di
strategie di insegnamento, nella gestione della propria classe e di conse-
guenza nel riuscire a coinvolgere, durante le ore scolastiche, i propri alun-
ni.
A tal proposito diremo che una solida convinzione nell’adeguatezza delle
proprie capacità ed una valorizzazione riguardo a se stessi (“senso di auto-
efficacia”) determina negli individui un alto livello di persistenza di fron-
te alle difficoltà e dischiude il raggiungimento di obiettivi più ambiziosi e
gratificanti; il senso di efficacia, quindi, è una caratteristica fondamentale
che previene i fenomeni di disagio.
Per quanto riguarda, invece, l’insegnante con bassa autoefficacia è più
incline a sperimentare stress emotivi e a sopportare con difficoltà il
sovraccarico lavorativo, spesso fino a raggiungere un alto grado di esauri-
mento psico-fisico e di depersonalizzazione che conducono, in alcuni casi,
all’insorgenza del burn-out.
Per prevenire tali fenomeni di disagio scolastico, come la Sindrome del
Burn-out, occorre intervenire a livello individuale, organizzativo e a livel-
lo dell’interfaccia individuo-organizzazione al fine di ottimizzare le con-
dizioni di benessere. Ciò può essere raggiunto attraverso proposte di inter-
vento nella scuola come l’attivazione di gruppi di auto-aiuto, l’inserimen-
to di èquipe psicologiche di sostegno, l’introduzione di corsi che aiutano
a superare lo stress e ad acquisire autostima, proposte ritenute indispensa-
bili per dare lo stimolo necessario a recuperare serenità nell’ambiente sco-
lastico in costante pressione/evoluzione.
La formazione è pertanto dunque un fattore chiave per accrescere la moti-
vazione degli insegnanti e incentivarne il miglioramento della pratica pro-
fessionale. Centrandosi quindi sulle attitudini, le convinzioni e le pratiche
dei docenti nel loro insieme si potranno migliorare notevolmente i proces-
si di insegnamento e apprendimento; ma ciò richiederà un sostegno mira-
140
to ai docenti. L'applicazione di questo strumento in ambito scolastico, per-
tanto, è importante come momento diagnostico fondamentale per poter
predisporre programmi di formazione finalizzati a migliorare l'insegna-
mento e l'apprendimento in classe.

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Zani B., Cicognani E. (2000). Psicologia della Salute. Il Mulino. Bologna.

143
Prevenzione dello stress lavoro correlato
e promozione della salute mentale nella scuola

Riccardo Dominici
Medico del Lavoro - Psicoterapeuta - Roma

I rischi psicosociali possono essere definiti come «quegli aspetti di proget-


tazione del lavoro e di organizzazione e gestione del lavoro, nonché i
rispettivi contesti ambientali e sociali, che potenzialmente possono arreca-
re danni fisici o psicologici» (Cox & Griffiths, 1995).
I rischi psicosociali costituiscono un ampio contenitore dove convergono rischi
diversi che è opportuno mantenere distinti per poterne comprendere meglio la
loro essenza e intraprendere possibili azioni preventive; tali rischi vengono
identificati comunemente nelle situazioni di stress, burn-out, mobbing.
In questa occasione trattiamo dello stress correlato al lavoro. L’Accordo qua-
dro europeo dell’8 ottobre 2004 così lo definisce: “Lo stress è una condizio-
ne, accompagnata da sofferenze o disfunzioni fisiche, psichiche, psicologi-
che o sociali, che scaturisce dalla sensazione individuale di non essere in
grado di rispondere alle richieste o di non essere all’altezza delle aspettative”.
Per quanto riguarda il settore specifico della scuola, l’Agenzia europea per
la sicurezza e la salute sul lavoro – OSHA – così sintetizza il problema
dello stress lavoro-correlato: “Lo stress lavoro-correlato è uno dei più
significativi rischi da lavoro nel settore dell’istruzione. Il livello dello
stress denunciato nell’insegnamento è ben al di sopra della media dell’in-
dustria, servizi e società in genere. Ma non sono solo gli insegnanti che
soffrono per lo stress, ma anche altri lavoratori quali gli addetti alle puli-
zie e lo staff amministrativo ne sono colpiti”.
Abbiamo detto che lo stress correlato al lavoro si produce quando l’orga-
nizzazione propone un alto livello di richieste che i lavoratori non riesco-
no a soddisfare.
Un esempio di vita comune ci può chiarire meglio di cosa stiamo parlan-
do: una donna a cui nasce un figlio e che si trova schiacciata tra le richie-
ste affettive e pratiche del figlio e le nuove richieste del marito, che, aven-
do la sensazione di essere trascurato dalla moglie a causa della nascita del
figlio, per questo pone nuove richieste. In una situazione del genere la
mamma entra in una situazione di stress.
144
Ma di quali richieste stiamo trattando?
Quando parliamo di stress correlato al lavoro in genere pensiamo ad aspet-
ti quantitativi di lavoro, talmente elevati da non poter essere gestiti dal
lavoratore. Ma questi sono aspetti rari, oserei dire residuali, nell’attuale
mondo del lavoro occidentale.
Certamente i camionisti dipendenti da ditte di trasporto, che trascorrono
in media 18 ore di guida continuativa in barba a ogni norma, per poter
sostenere tali ritmi arrivano a consumare le risorse psico-fisiche più
riposte ed in definitiva vanno incontro a gravi danni alla salute; il perso-
nale infermieristico e ausiliario di ospedali e case di cura sono sovracca-
ricati di lavoro a causa di una cronica carenza di personale. E qualche
aspetto di tipo quantitativo lo possiamo probabilmente individuare
anche nella scuola.
Ma ritengo che nello stress correlato al lavoro prevalgano, nelle aziende
in generale e nel mondo della scuola in particolare, le richieste di tipo
emotivo / relazionale.
Facciamo un esempio abbastanza comune nel mondo del lavoro: un lavo-
ratore ha un suo Capo Reparto e, al di sopra del Capo Reparto, un
Dirigente. Il Dirigente decide di esautorare di fatto il Capo Reparto, e
comincia a rivolgersi direttamente al lavoratore. Il Capo Reparto esauto-
rato, che non ha il coraggio di prendersela con il proprio Dirigente preva-
ricatore, se la piglia con il povero lavoratore dandogli delle direttive in
contrasto con quelle emanate dal Dirigente. Il lavoratore a questo punto ha
la sgraditissima sensazione di non essere in grado di rispondere alle richie-
ste o di non essere all’altezza delle aspettative di entrambi i “contendenti”
ed entra in una situazione di disagio, in definitiva di stress.
Tale situazione è infatti certamente stressogena, a prescindere dalle risor-
se individuali del lavoratore che potrebbe anche non subirne un particola-
re danno.
Ma veniamo alla scuola: lo stress che la caratterizza è di vari tipi:
1. Quantitativo (orari, numero di compiti da correggere, numeri di alunni
da interrogare, programmi da seguire, ecc.)
2. Conflitto lavoro / famiglia (compenetrare le esigenze che provengono
dai due ambiti di intervento; in questo tipo di disagio possiamo inseri-
re anche quello derivante dai problemi di pendolarismo, quale quello
degli aspiranti supplenti che tutte le mattine si recano dalla Campania
a Roma con la speranza di essere chiamati da qualche scuola)
145
3. Relazionale all’interno della scuola
a. con la classe
b. con le famiglie degli studenti
c. con gli altri lavoratori della scuola
Il tutto letto sempre come divario tra richieste e possibilità di adempiere
alle richieste.
Fin dall’infanzia, secondo Freud, e fin dalla primissima infanzia, secondo
Melanie Klein, siamo alla ricerca di ciò che è giusto e di ciò che è ingiu-
sto, ciò che è corretto ciò che è sbagliato, ciò che è buono e cattivo. Elliott
Jaques, grande socioanalista canadese, ritiene che la ricerca dell’equità sia
alla base delle relazioni sul lavoro: “A livello conscio e inconscio avver-
tiamo un forte bisogno di legge e di ordine nei rapporti sociali e sfuggia-
mo il caos e il disordine”.
Secondo la teoria dell’equità (Adams, 1965; Walster, Walster e Berscheid,
1978), la soddisfazione per una relazione dipende dalla percezione di una
proporzionalità tra ciò che si offre e ciò che si riceve e dalla percezione di
una somiglianza tra il proprio bilancio e quello dell’altra persona coinvol-
ta nella relazione, secondo la “norma di reciprocità”.
Nella scuola questi meccanismi, in gran parte inconsci, ci portano a distin-
guere e classificare in maniera ossessiva le varie tipologie di personale
con il quale ci relazioniamo.
Per cui alle “classiche” distinzioni tra personale docente e non docente,
aggiungiamo altre specificazioni: chi ha vinto il concorso e chi è precario,
chi è laureato e chi non lo è, chi insegna una materia che comporta la cor-
rezione dei compiti e chi insegna materie che non prevedono il “compito in
classe”, chi lavora in una sola scuola e chi lavora in più scuole, chi lavora
in sede centrale e chi lavora in succursale, chi ha un potenziale mercato per
dare lezioni private e chi ha una materia per la quale non si “va a lezione”,
chi insegna una materia che in genere è tra le materie dell’esame di stato e
chi insegna una materia “di nicchia” che non compare tra le materie d’esa-
me di maturità, chi ha dei progetti approvati e chi propone progetti che non
vengono approvati. E potremmo continuare a lungo a dividere ed a distin-
guere; anche se leggiamo questo breve elenco con il sorriso sulle labbra,
dobbiamo considerare l’autentica sofferenza che ne sta alla base, sofferen-
za e paura. Paura di subire ingiustizie, paura di una valutazione iniqua
rispetto al bilancio tra ciò che si è dato e ciò che si è ricevuto.
Tale disagio sul luogo di lavoro può essere letto come manifestazione della
146
“patologia” dei rapporti di convivenza, o, per dirla con Foulkes (1976),
come una psicopatologia sociale. Tutti i contesti della socialità non sono
solo spazi in cui si svolgono certe attività, ma rappresentano innanzitutto
l’espressione del sentimento di “appartenenza” (Dominici, Montesarchio,
2003). Il luogo di lavoro diventa un sistema d’appartenenza, che si costi-
tuisce attorno alle dimensioni affettive e simboliche della relazione (Carli,
1993). Ciò comporta la simbolizzazione in ottica familistica del posto di
lavoro. Quanti Dirigenti proclamano: “Questa scuola è una grande fami-
glia!”; in genere sono le scuole dove si vive il maggior disagio.
Alla base del contesto organizzativo, secondo la teoria di Carli, troviamo
le seguenti categorie emozionali, che hanno la funzione di proteggere il
gruppo dall’esterno, e di mantenere una coesione/collusione spesso pato-
logica:
– l’estraneo è vissuto come un nemico, pericoloso nella sua alterità;
l’amico non viene realmente conosciuto, ma dato per scontato;
– tutto quello che non è familiare viene espulso dal sistema e connotato
negativamente, ciò che è considerato “amico” viene incluso e percepi-
to come buono.
È ipotizzabile che si stia verificando, a livello macrosociale, un fallimen-
to della collusione tra il singolo e l’azienda, nel nostro caso la scuola, la
cui simbolizzazione condivisa come “madre accudiente” si scontra ormai
con una realtà di “cambiamento”, divenuto un obiettivo da perseguire
come valore.
Una possibile via di uscita da questa situazione di sofferenza è un interven-
to che si proponga di modificare questa rappresentazione sociale destruttu-
rando le categorie emozionali attraverso una formazione di natura psicoso-
ciale, una formazione non data a priori, e quindi “agita”, ma pensata sulle
dinamiche affettive del contesto specifico. In questo senso la formazione è
in primo luogo intervento sulla cultura dell’organizzazione, sui suoi valo-
ri, sui suoi modelli espliciti ed impliciti di riferimento e di comportamen-
to, sui significati consapevoli e non, che caratterizzano la vita relazionale e
l’esperienza professionale nei contesti di lavoro. Per questi motivi la com-
prensione e l’esplorazione delle culture di un’organizzazione è il primo
momento dell’intervento psicosociale. Attraverso la cosiddetta analisi della
domanda si esplora il clima organizzativo e la dinamica dei ruoli, e s’inda-
ga sulla reale disponibilità a realizzare la richiesta formativa.
Il modello psicosociale a cui si fa riferimento si compone di diverse fasi
147
metodologiche. Una riflessione sulle parole e sui comportamenti espressi
all’interno dell’intervento formativo, permette di dare significato a tutti
quei comportamenti, vissuti, e relazioni espresse nella prassi quotidiana.
Gli obiettivi da perseguire sono:
– favorire la trasformazione di una domanda di cura, quindi in definitiva
una delega, in una più consapevole esigenza di cambiamento della
Rappresentazione Sociale (Moscovici, Farr, 1989) dell’azienda / della
scuola;
– rilevare le dinamiche affettive fondanti le relazioni all’interno dello
specifico contesto di lavoro, con obiettivo di rilettura di queste al fine
di creare una Rappresentazione Sociale di Sé e della scuola meno
disfunzionale.
I FOCUS GROUP dovrebbero permettere di passare da una categorizza-
zione ingenua del contesto organizzativo in cui viviamo (appunto la
“grande famiglia”) ad una categorizzazione pensata.
La formazione psicosociale che proponiamo mira a rendere “competenti”
i formandi rispetto alla loro capacità di leggere le relazioni in cui sono
immersi (con i colleghi, i superiori, gli studenti, i genitori, ecc.), formu-
lando un pensiero emozionato. L’obiettivo non è quello di raggiungere uno
stato terminale di assenza di problemi, ma quello di affrontare un cambia-
mento culturale ed organizzativo che implichi un ri-guardare la realtà in
cui si vive per poterla comprendere e trasformare (Dominici,
Montesarchio, 2003).

Bibliografia
Carli R. (a cura di) (1993), L’Analisi della Domanda in Psicologia Clinica, Giuffré
Editore, Milano.
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Dominici R., Montesarchio G. (2003), Il danno psichico, FrancoAngeli, Milano.
Foulkes S. H. (1976), La psicoterapia gruppoanalitica, Astrolabio, Roma.
Jaques E. (1978 e 1990), Lavoro creatività e giustizia sociale, Bollati Boringhieri,
Torino.
Moscovici S., Farr R. (a cura di) (1989), Social Representations, Cambridge UP,
Cambridge.

148
Federico Bianchi di Castelbianco
Psicologo - Psicoterapeuta
Direttore dell’Istituto di Ortofonologia Roma

Per la relazione visionare DVD

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153
154
Dal benessere organizzativo al benessere individuale:
esperienze di vita vissuta e la tempesta perfetta

Enzo Cordaro
Direttore U.O. Psicologia del Lavoro e del centro Antimobbing
ASL RM D - Roma
Presidente delle associazioni APOLIS (Associazione di Psicologia delle
Organizzazioni e del Lavoro In Sicurezza) e di AIBeL (Associazione
Italiana Benessere e Lavoro)

“Rimane un sogno inutile, anche se può essere di conforto, immaginare


una vita priva di stress e di problemi vissuta in un mondo libero da preoc-
cupazioni. L’uomo non può sperare di trovare sulla terra il paradiso, per-
ché in concetto di paradiso è statico, mentre la vita umana è un processo
dinamico”.
René Dubos
155
Le parole di René Dubos con cui ho inteso iniziare l’intervento sono trat-
te da un suo scritto intitolato “Il miraggio della salute” e sono l’espressio-
ne più convincente del fatto che lo stress e l’ansia che lo determina non
può essere eliminato, proprio perché la nostra vita è fatta di azioni e di
impegni che portano necessariamente a stimolare le nostre emozioni. Il
problema è capire quanta esposizione allo stress subiamo, quanta capaci-
tà di sopportazione e/o di forza residua abbiamo nel nostro potenziale di
reazione e quanto siamo emotivamente coinvolti nell’evento che ci impe-
gna.
Proviamo prima di tutto a dare una definizione di stress e per questo ricor-
riamo a quanto è stato scritto nell’accordo europeo siglato dalle parti
sociali l’8 ottobre del 2004, perché quel documento è divenuto, anche per
lo Stato Italiano, un punto di riferimento del tessuto giuridico che ha con-
tribuito a costruire il D.lgs N° 81 del 2008 che detta le regole per la sicu-
rezza dei luoghi di lavoro comprensivo della prevenzione delle patologie
stress lavoro correlate. L’accordo europeo nell’articolo n°1 definisce cos’è
lo stress: “Lo stress è una condizione che può essere accompagnata da
disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conse-
guenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corri-
spondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro”. Quindi viene
definito che lo stress può incidere in modo determinato sulla gestione del-
l’attività di vita e specificatamente dell’attività lavorativa. Questa affer-
mazione, anche se potrebbe sembrare quasi ovvia per la sua semplicità
espressiva, nel momento che è scritta su un accordo tra le parti sociali,
sancisce definitivamente che la condizione di stress può essere causa di
malattia che influenza le nostre capacità di performance lavorative. Fino
alla firma di quell’accordo le patologie riconosciute come conseguenza
dell’attività lavorativa erano solo quelle che avevano una stretta e ricono-
sciuta correlazione diagnostica tra l’esposizione nociva e l’insorgenza
patologica. Gli esempi possono essere molti come ad esempio l’esposizio-
ne alle polveri e l’insorgenza del tumore del mesotelioma, oppure la rumo-
rosità in un ambiente e l’insorgenza di disturbi nell’apparato uditivo etc.
etc., ovvero in tutti quei casi di patologie organiche dove la ricerca aveva
dimostrato in modo inconfutabile l’esistenza di una causalità certa.
L’accordo europeo per la prima volta riconosce che i soggetti possono
anche soffrire di disturbi che hanno un’eziopatogenesi di natura psicolo-
gica, anche se la correlazione tra la dimensione lavoro e la sintomatologia
156
ansiosa deve essere dimostrata. Proviamo a capire quali possono essere i
presupposti per poterlo dimostrare. Per fare questo è opportuno ricorrere
di nuovo all’accordo europeo, perché nel comma 4 dell’articolo 3 afferma
che “…. Lo stress lavoro correlato può essere causato da fattori diver-
si come: il contenuto del lavoro; l’eventuale inadeguatezza nella
gestione dell’organizzazione del lavoro e dell’ambito del lavoro;
carenza nella comunicazione”. Quindi l’accordo ci dice che per com-
prendere la correlazione si deve mettere in relazione l’insorgenza della
patologia da stress con la condizione organizzativa e la dimensione psico-
sociale che caratterizza la vita interna all’ambiente del lavoro. Qualora
nell’organizzazione si evince una eventuale inadeguatezza nella gestione
dell’organizzazione del lavoro e/o dell’ambito del lavoro, il rischio che
questa possa determinare un substrato sociale in grado di definire condi-
zioni di patologie stress lavoro correlato è molto alto. L’ultimo riferimen-
to all’accordo europeo risulta molto importante, perché sancisce la
responsabilità del datore di lavoro nell’azione di prevenire di tutti i rischi
compresi quelli da patologie stress lavoro-correlato, infatti recita nel
comma 1 dell’articolo n°5: “Secondo la direttiva quadro 89/391, tutti i
datori di lavoro hanno l’obbligo giuridico di tutelare la salute sul lavo-
ro dei lavoratori. Questo dovere si applica anche alla presenza di pro-
blemi di stress lavoro-correlato in quanto essi incidono su un fattore
di rischio lavorativo ai fini della tutela della salute e della sicurezza”.

157
“Il massimo della stupidità si raggiunge non tanto ingannando
gli altri ma sé stessi, sapendolo”.
John Fitzgerald Kennedy

Con questa esplicita citazione del presidente americano più amato John
Fitzgerald Kennedy, proviamo a capire cosa succede in Italia. La citazio-
ne ovviamente definisce bene gli accadimenti italiani e rappresenta altret-
tanto bene la fine che ha fatto il senso dell’accordo europeo. Prima di tutto
l’accordo è stato recepito solo dopo quattro anni, un tempo caratterizzato
da una colpevole disattenzione sull’argomento, segnata anche da un disac-
cordo delle parti “nostrane” sulla traduzione in italiano del testo europeo
scritto in inglese. Solo nel 2008 è varato il D.lgs n°81 che recepisce le
indicazioni europee in merito allo stress lavoro-correlato, ma non possa un
anno che il decreto viene modificato con il D.lgs N°106 del 2009, il quale
provvede a porre dei paletti interpretativi alla valutazione della dimensio-
ne dello stress lavoro correlato. Viene nominata una commissione con lo
scopo di definire e scrivere le regole per l’applicazione dell’accordo euro-
peo. Nella commissione, che doveva avere una natura squisitamente tec-
nica, vengono inseriti anche rappresentanti di istituzioni come la
Confindustria, l’ABI e i sindacati, i quali riversano nel confronto molte
delle visioni ideologiche di cui sono portatori; si ottiene per cui un docu-
mento finale che snatura i principi originari definiti dall’Europa. In con-
formità a quanto espresso sul documento nel novembre del 2010 è redat-
ta una circolare del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, da cui
traspare una sola preoccupazione, rendere difficile se non impossibile
l’ascolto dei soggetti interessati, ovvero l’ascolto dei lavoratori. La circo-
lare prevede una valutazione preliminare che deve rappresentare una pri-
maria analisi della condizione organizzativa. L’analisi si deve compiere
attraverso la compilazione da parte degli addetti alla prevenzione e prote-
zione aziendale di check list in grado di misurare gli eventi sentinella (i
sintomi che dovrebbero segnalare “la temperatura” dell’Organizzazione
come i giorni malattia, gli infortuni etc. etc.), raccogliere i fattori di con-
tenuto e di contesto organizzativo e definire la condizione di salute del-
l’organizzazione. Solo dopo aver effettuato questa prima analisi e solo
dopo avere evinto problemi significativi si può passare ad una analisi più
approfondita che può essere fatta ascoltando le persone che lavorano nel-
l’azienda, meglio se non proprio tutti. Ci si dimentica che tecnicamente le
158
check list non sono strumenti in grado di supportare una valutazione com-
plessa e articolata come quella dei fattori di contesto e di contenuto, per
cui non sono per loro natura in grado di cogliere le complicazioni organiz-
zative. Il sistema studiato dalla commissione e sancito dalla circolare non
può effettuare una adeguata valutazione preliminare, risultando la struttu-
ra in analisi non a rischio e per cui impedire di fatto il passaggio alla valu-
tazione successiva più approfondita che prevede l’ascolto e il parere dei
lavoratori.

Il lavoro non mi piace – non piace a nessuno – ma mi piace quello che c’è
nel lavoro: la possibilità di trovare se stessi. La propria realtà – per se
stesso, non per gli altri – ciò che nessun altro potrà mai conoscere
J. Conrad
159
Vediamo ora quali sono gli aspetti che intervengono nel definire una con-
dizione di rischio d’insorgenza di patologia stress lavoro correlato.
In una condizione di lavoro la persona in essa immersa è soggetto a tre
condizioni che si possono denominare “costrittività” e che si articolano in
organizzative, esistenziali e relazionali.

Le “costrittività organizzative” sono determinate da tutte quelle regole che


all’interno di un’organizzazione permettono la vita sociale dell’organizza-
zione stessa, ma che nel contempo limitano la vita delle persone che la
abitano. La teoria delle costrittività organizzative si riferisce a quegli
aspetti dell’organizzazione che possono caratterizzarsi come più o meno
ingombranti nel loro funzionamento, tanto da ridurre gli spazi di decisio-
ne individuale, indotti dalle scelte che l’organizzazione fa o è costretta a
fare, evidenziando in alcuni casi le condizioni che possono intaccare il
benessere fisico, mentale e sociale1.

1 B. Maggi (1991) Lavoro Organizzazione e Salute, Torino, Tirrenia Stampatori.

160
Le “costrittività esistenziali” si caratterizzano in due diverse fattispecie:
la prima si riferisce alla dimensione emotiva derivata dall’oggetto stesso
del lavoro (attività di assistenza, di cura, attività pedagogica etc. etc.); la
seconda si riferisce alla dimensione di coinvolgimento emotivo che la per-
sona ha riversato come proprio bagaglio valoriale sin dal momento della
scelta di formarsi. Sembra evidente constatare una maggiore difficoltà in
tutti quei lavori dove ci si deve prendere cura di una persona, perché il
gioco delle emozioni è un gioco che funziona in maniera circolare e que-
sto non ci permette chiusure difensive autonome perché ogni nostra azio-
ne implica una risposta dell’altro su cui si ha una responsabilità. Il riferi-
mento alle attività sanitarie e pedagogiche è evidente. Nel contempo le
costrittività esistenziali possono agire come un problema anche quando la
realtà non permette di corrispondere all’immagine ideale riferita alle scel-
te esistenziale che hanno spinto la persona a svolgere quel certo tipo di
lavoro, sia perché frustrati dagli eventi e sia perché non riconosciuti dal-
l’ambito sociale come qualificati a svolgere quel certo impegno professio-
nale.
161
Le “costrittività relazionali” sono rappresentate, sia dal modo con cui si
definiscono i processi comunicativi e si articolano le relazioni affettive nel
gruppo di lavoro, e sia da come si sviluppa la rete comunicazionale, ovve-
ro la rete formale e informale preposta al passaggio dell’informazione tra i
sottosistemi di una organizzazione. Perché ci sia un’accettabile costrittivi-
tà relazionale l’organizzazione dovrebbe avere una bona rete comunicazio-
nale che riesce a trasmettere in modo corretto le informazioni e avere un
gruppo di lavoro caratterizzato da coerenza comunicativa, da un comune
orientamento su obiettivi regole e valori, da competitività è solidale, da un
processo comunicativo a dominanza esplicita e da regole chiare e condivi-
se. Una condizione dove invece le costrittività relazionali sono complesse
e dove si rischiano problemi nella gestione del gruppo, nell’individuo e
dell’intero sistema, si articola con una condizione dove affiora una scarsa
condivisione di obiettivi regole e valori, un esasperato individualismo, una
inadeguata affettività, un individualismo esasperato, un processo comuni-
cativo a dominanza implicita con regole ambigue e non condivise e dove
nella “rete comunicazionale”2 si definiscono molti “buchi comunicativi”
che interferiscono sulla trasmissione corretta dell’informazione.

2 Per rete conversazionale s’intende la struttura comunicativa (rete) che ogni organizza-
zione deve avere per riuscire a trasmettere l’informazione nel suo interno in modo da ren-
dere omogeneo lo stesso livello di organizzazione. La rete conversazionale in genere
rispetta la struttura gerarchica in cui è organizzato il sistema azienda e deve permettere
il passaggio dell’informazione dall’alto al basso e dal basso all’alto.

162
Alcuni esempi possono aiutarci a capire meglio le tre definizioni di
costrittività sopra riportate. Un esempio di costrittività organizzativa può
essere riferito all’orario di lavoro. L’orario di lavoro è una regola necessa-
ria per la gestione di un’organizzazione di lavoro, ma la sua applicazione
può essere impostata nel rispetto di alcune specificità, come la tolleranza
dei ritardi, o può caratterizzarsi con una rigidità esecutiva tale da imporre
una forzata limitazione della gestione della propria vita individuale e/o
familiare. Questo non è che un esempio, ma per capire quanto possono
incidere nell’organizzazione le costrittività organizzative è opportuno
conoscere ciò che Bruno Maggi ha evidenziato nei suoi studi come costrit-
tività organizzative: marginalizzazione dell’attività lavorativa, svuota-
mento delle mansioni, mancata assegnazione dei compiti lavorativi con
inattività forzata, mancata assegnazione degli strumenti di lavoro, ripetuti
trasferimenti ingiustificati, impedimento strutturale e sistematico all’ac-
cesso a notizie, prolungata attribuzione di compiti dequalificanti o con
eccessiva frammentazione esecutiva rispetto al profilo professionale pos-
seduto, prolungata attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi, anche in
relazione ad eventuali condizioni di handicap psico-fisici, esclusione rei-
terata del lavoratore rispetto a iniziative formative, di riqualificazione e
aggiornamento professionale, esercizio esasperato ed eccessivo di forme
di controllo.
Gli esempi concernenti la componente delle costrittività esistenziali o
della sfera emotiva del lavoro si caratterizza soprattutto con il peso emo-
tivo che l’attività lavorativa impone ai soggetti che svolgono quel lavoro.
In genere, come si diceva poco sopra, la componente emotiva assume una
maggiore importanza quando l’oggetto del lavoro è rappresentato da per-
sone, siano esse adulti o bambini. In questo caso il confronto non è più
solo tra noi, le nostre capacità e i risultati che otteniamo nel lavoro, ma tra
noi e l’altro, con l’enorme variabilità derivata da una cultura e da un’emo-
zionalità diverse cui ci si deve rapportare e con cui ci si deve mediare. La
dimensione emotiva del lavoro ha anche un’altra importante accezione, ed
è rapportata alla scelta che noi abbiamo fatto quando ci siamo inoltrati
negli studi per svolgere l’attività che abbiamo scelto e che ci rappresenta
nelle nostre aspettative ideali e di vita. Il fallimento dovuto a una difficol-
tà esterna che non dipende da noi, o ancora di più a una sostanziale disco-
noscimento nell’impegno che mettiamo nell’attività lavorativa, riesce ad
intaccare profondamento il sistema di valori e di ideali che abbiamo river-
163
sato nell’attività stessa, aprendo grosse ferite nell’immagine che ognuno
ha di sé. Il rischio di incorrere in questa modalità di espressione delle
costrittività esistenziali si riferisce in particolare in chi ha scelto e svolge
professionalità di alto profilo a cui sicuramente rientrano anche gli inse-
gnanti.
Le costrittività relazionali possono complicare la vita del gruppo di lavo-
ro e dei suoi membri secondo due modalità tra loro connesse: il primo si
riferisce alla dimensione affettiva con cui si combina il sistema comunica-
tiva nel gruppo di lavoro. Per dimensione affettiva s’intende la capacità
che le persone del gruppo hanno di stare insieme, di supportarsi tra di loro,
di comunicare in modo chiaro e palese, di evidenziare i problemi e saper-
li risolvere, di costruire momenti di confronto che sappiano evidenziare i
conflitti per facilitarne la soluzione. Se la dimensione affettiva è “malata”
si genera un modello di comunicazione negativo, il cui funzionamento
implica nel gruppo una forte conflittualità che non riesce a comporre una
sua unità operativa tanto da rischiare di generare patologia nei soggetti.
Questa dimensione di conflitto può complicarsi ulteriormente e mettere
fortemente in discussione la capacità che la rete conversazionale deve
avere nella gestione dell’organizzazione. Quel gruppo diviene, come si
dice in gergo tecnico, “un punto morente della rete conversazionale”,
ovvero un punto che non riesce a trasmettere al resto dei sottogruppi esi-
stenti nel sistema in modo adeguato l’informazione. Per capire meglio si
può usare la metafora della tela di ragno. La tela del ragno è funzionale
quando è integra e riesce a trasmettere in modo corretto i micro movimen-
ti che avvengono sulla sua superfice, solo in questo modo il ragno riceve
le informazioni giuste e può controllare lo spazio circostante. Un buco
nella rete impedisce la trasmissione e l’informazione si blocca e trasmet-
te in modo distorto. Ormai è chiaro quanto sia importante il buon funzio-
namento della rete che trasmette la comunicazione proprio ai fini della
gestione di un’organizzazione, ma se si genera il clima comunicativo
sopra descritto, si definisce una difficoltà nella trasmissione della comu-
nicazione all’interno della rete.
Proviamo a vedere cosa succede quando in un’organizzazione le costritti-
vità descritte si propongono come disarmoniche alla vita sociale dei grup-
pi di lavoro, creando come conseguenza situazioni complesse e conflittua-
li e generando progressivamente un clima organizzativo negativo e pato-
logico.
164
Qualora l’organizzazione sia disseminata di regole di vita rigide le costrit-
tività organizzative divengono un forte limite alla vita soggettiva delle per-
sone, il lavoro rischia di non fruire in modo adeguato, definendo un ambi-
to troppo burocratico e implicando una maggiore difficoltà nella realizza-
zione degli obiettivi di medio e di lungo respiro. In questo caso s’incremen-
tano fenomeni di stanchezza fisica e psichica, di noia, di caduta dell’atten-
zione e ciò può incrementare l’errore nell’esecuzione dei compiti.
Siamo in una condizione di esaurimento fisico e psichico che rappresenta
una coltura di produzione di disagio psichico.
Se all’eccessiva presenza di costrittività organizzative ci si associano le
costrittività esistenziali, caratterizzate da disattenzione o da frustrazione
delle capacità professionali soggettive, rafforzate dagli errori involontari
nell’esecuzione dei compiti, alla condizione di stanchezza e di noia si
associa disinteresse all’attività lavorativa, caduta nell’immagine positiva
di sé, senso d’inutilità, depressione, ansia come emozione prevalente che
accompagna l’atto lavorativo. Ovvero cominciano ad associarsi alla stan-
chezza e alla noia reazioni che hanno una maggiore valenza psicologica e
possono già definirsi come fenomeni sintomatologici che rientrano nel
quadro delle patologie stress lavoro correlato.
Qualora al quadro complesso sopra descritto si associno anche le costrit-
tività relazionali, si compie “il fenomeno della tempesta perfetta”. Da una
condizione di complicazione organizzativa dovuta a un’inconsapevole
cattiva organizzazione, si associano, come conseguenza avvelenata della
situazione già giudicata critica, atteggiamenti volontari e colpevoli disat-
tenzioni, si definisce una condizione relazionale, non solo conflittuale, ma
volutamente espulsiva, e questo è una condizione fertile per generare com-
portamenti di mobbing.
Sicuramente il modo con cui sopra ho descritto il processo di complica-
zione patologica di un’organizzazione può soffrire di una riduzione e rigi-
dità didattica, ma lo scopo principale è quello di far comprendere come la
sofferenza del soggetto può essere reale e non immaginaria e che le cause
possono risiedere in un ambiente di lavoro malato che non riesce più a
funzionalizzare né le esigenze di produzione né le potenzialità professio-
nali del singolo.

Il segreto per andare avanti è iniziare


Mark Twain
165
La conseguenza ora è quella di capire se è possibile prevedere e preveni-
re il rischio di patologie stress lavoro correlato e patologie mobbing com-
patibili, anche perché in Europa sono le patologie che caratterizzano la
maggiore quantità di giorni di assenze dal lavoro implementando notevol-
mente i costi.
Prima di tutto gli esperti della materia devono affrontare l’argomento
avendo chiara cosa sia un’organizzazione, altrimenti si rischia di non tro-
vare il giusto bandolo della matassa, oppure si fa finta di fare analisi e pre-
venzione dei fenomeni di disagio da lavoro.
Per riuscire a comprendere e a studiare un’organizzazione si deve soprat-
tutto avere la capacità e la sensibilità di interpretarla come un sistema
vivente, in grado di reagire agli stimoli interni ed esterni, con una sua
dinamica di sviluppo, che può seguire percorsi evolutivi o regressivi i
quali possono garantirle una salute ottima, oppure una salute cagionevole,
si riconosce per le sue potenzialità peculiari, ha bisogno di essere nutrita
per funzionare ed ha una sua capacità di comunicazione. Inoltre è impor-
tante ricordare che un sistema vivente riesce a dare una rappresentazione
di sé, e per ultimo può anche morire.
Il filo conduttore che ci deve guidare nell’analisi del sistema è riferito al
fatto che è composto di persone le quali creano un derivato umano che si
connota come elemento vivente e che utilizza i propri sottosistemi per
vivere e “procreare”. Non si può continuare a interpretare i sistemi come
macchine senza vita o come organismi viventi ma senz’anima e non si può
continuare a caratterizzarci come osservatori passivi, ma si deve avere la
capacità di garantire un’osservazione attiva e partecipata, attenta ad ascol-
tare i messaggi di ritorno che il sistema invia e in grado di saper parteci-
pare al gioco.
Lo scopo prioritario è cogliere il linguaggio del sistema e i messaggi di
retroazione che invia. Si deve dare ai gruppi di lavoro la dignità di “cosa
viva” e riuscire a sentire dal sottofondo il messaggio di ritorno di ciò che
succede.
Una seconda cosa importante è garantire strumenti utili a rappresentare lo
scenario definito e per questo non ci si può dimenticare una teoria scien-
tifica di riferimento forte e che sappia recuperare le caratteristiche sopra
ricordate.
Prima di tutto si deve porre la moderna visione del concetto di contesto
che è adeguatamente supportato dalla teoria delle relazioni il cui massimo
166
teorico è rappresentato da Gregory Bateson3 il quale dice: “Il contesto è il
luogo sociale in cui si verifica una certa relazione, ed è anche il luogo,
che attraverso il processo sociale, definisce il carattere individuale delle
persone. Grazie a tale processo le emozioni individuali possono esprimer-
si solo nell’ambito di un pattern sociale, Ethos, ovvero un sistema cultu-
ralmente uniformato di organizzazione degli istinti e delle emozioni degli
individui”. Uno spazio dove risulta chiaro che è il contesto a definire la
situazione e non sono solo gli uomini che lo vivono. D’altronde anche nel
nostro piccolo noi diversifichiamo il nostro modi di essere in considera-
zione del contesto in cui siamo immersi, un contesto di amici è senz’altro
diverso da un contesto di lavoro.
Il secondo punti di riferimento è la Cibernetica4 che nella sua 2° teoria si
preoccupa di integrare i sistemi viventi, ovvero quei sistemi in grado di
guardare se stessi e di osservare le proprie osservazioni, causare pertur-
bazioni che ridefiniscono metaforicamente ciò che viene osservato; ovve-
ro sistemi in grado di definire rappresentazioni che dipendono dall’esito
delle precedenti interazioni con il mondo esterno.
Nel novero dei punti di riferimento teorico un altro posto importante spet-
ta alla teoria dei motivazionisti5 la quale si può ritrovare definita nella
seguente frase: Nell’organizzazione si riesce a filtrare la dimensione psi-
cologica espressa da chi la vive, riuscendo a integrare e a fare sintesi dei
comportamenti dell’uomo con le regole che l’organizzazione si deve porre
per funzionare, che si organizzano secondo delle priorità motivazionali
che compongono la struttura del funzionamento dei processi psicosociali.
Si scopre che alla base del funzionamento dell’organizzazione si nascon-
dono le spinte umana e divengono fondamentali le motivazioni che gli
individui, i loro gruppi di riferimento e l’organizzazione costruiscono
come riferimenti”. In un sistema vivente non possiamo dimenticare la
valutazione relativa alla motivazione che il gruppo pone come importante
e vitale al suo funzionamento.
Un altro aspetto importante si riferisce alla cultura che il gruppo si costrui-
sce per organizzare il suo funzionamento, una cultura intesa con le sue

3 G. Bateson, (1977) Verso un'ecologia della mente, Milano, Adelphi.


4 N. Wiener (1996) Introduzione alla cibernetica, Torino, Bollati Boringhieri Elton Mayo,
Abraham Maslow.
5 E.H. Shein (2000) Cultura d’impresa Milano Raffaello Cortina.

167
dimensioni valoriali che caratterizzano comportamenti del sistema domi-
nato da aspetti sia consci e sia inconsci. Per questo è opportuno recupera-
re quanto ha detto Edgar Schein6: “…e che venga attribuita all’organiz-
zazione la capacità di avere una cultura che si caratterizza con un insie-
me di assunti basilari, in genere ereditato dal gruppo storico che ha dato
vita all’organizzazione, i quali sono riusciti far fronte ai problemi di adat-
tamento esterno o di integrazione interna, e che si sono rivelati validi e,
quindi, vengono acquisiti, difesi e trasmessi ai nuovi membri come l’indi-
cazione unica del modo corretto di percepire, pensare, sentire quei proble-
mi”.
Un altro grande teorico che non possiamo dimenticare è il già citato Bruno
Maggi il quale dice: “La teoria delle costrittività organizzative si riferisce
a quegli aspetti dell’organizzazione che possono caratterizzarsi come più
o meno ingombranti nel loro funzionamento, tanto da ridurre gli spazi di
decisione individuale, indotti dalle scelte che l’organizzazione fa o è
costretta a fare, evidenziando in alcuni casi le condizioni che possono
intaccare il benessere fisico, mentale e sociale”.
Ultimo ma non per importanza è Wilfred Bion7 che ha sapientemente
costruito la teoria dei gruppi umani dando al concetto di gruppo una
dimensione di grande unità e di grande autonomia dall’individuo. “La fun-
zione vitale dell’organizzazione permette ai gruppi che vi operano di
assumere “un’attività mentale collettiva” la cui dominante psicologica
viene definita dalla commistione tra gli aspetti cognitivi, emotivi derivati
dalle singole individualità. Ciò che ne deriva è altro dalle soggettività, dai
pensieri e dalle emozioni che caratterizzano gli individui. Questo nuovo
costrutto diviene la forza propulsiva che definisce “la personalità” del
gruppo, caratterizzandone la componente psicologica e impostandone il
comportamento e l’azione. La giustapposizione degli aspetti cognitivi con
quelli emotivi caratterizza le differenze tra i diversi gruppi”.
Qualsiasi modello di ascolto del sistema vivente e di strumenti d’indagine
non può prescindere dalle teorie enunciate perché hanno la sensibilità di
cogliere la dimensione vitale che si rappresenta.

6 W.R. Bion (1972) Esperienze nei gruppi e altri saggi, Roma Armando.
7 Enzo Cordaro Direttore dell’Unità Operativa di Psicologia del lavoro e Centro per la
rilevazione del danno biologico da disagio dal lavoro.

168
Mi sembra ora importante chiudere con un’ultima frase che personalmen-
te reputo molto appropriata ed esemplificativa, sia di quanto ho cercato di
esprimere in questo intervento e sia del lavoro che facciamo per analizza-
re i processi organizzativi, nell’evidenziare le sofferenze e nell’interveni-
re sui limiti riscontrati. Un lavoro che cerca di trovare un punto ottimo
accettabile tra il bisogno di produrre e un clima organizzativo adeguato
alle persone che abitano il sistema.

Voi potete comprare il lavoro di un uomo,


La sua presenza fisica in un determinato luogo,
Potete comprare anche un determinato numero di abili movimenti
muscolari per un’ora o per un giorno,
Ma non potete comprare l’entusiasmo,
La lealtà,
La devozione del cuore,
Della mente e dell’animo.
Queste cose ve le dovete meritare
Clarence Frencis

169
Le storie
Di seguito verranno presentate alcune storie che abbiamo raccolto nel
nostro centro per la rilevazione del disagio da lavoro che opera presso
l’Azienda Sanitaria della Roma D e che, opportunamente camuffate nei
nomi, nei tempi e nei luoghi, rappresentano spaccati di vita vera.

“Se fosse realizzabile, non ci sarebbe pena più diabolica di quella di


concedere a un individuo la libertà assoluta dei suoi atti in una società
in cui nessuno si accorga mai di lui”.
William James

1° storia: Una dignità lesa.


Insegnante di un Istituto superiore pubblico
Al momento dei colloqui la signora lavorava già da molti anni ed era pros-
sima alla pensione. La sua attività lavorativa era stata garantita da un ini-
ziale lavoro precario per poi riuscire a vincere un concorso e a garantirsi
un’attività di docenza stabile a tempo indeterminato.
Nei primi degli anni 90 la signora inizia a soffrire di una grave malattia
invalidante a rischio di vita. Benché in queste condizioni, provvede a non
informare le direzioni dell’Istituto al fine di non creare problemi, ricorren-
do per le attività di cura ad utilizzare le sue ferie e, quando non può, a
ricorrere a semplici giorni di malattia. La malattia l’ha fortemente minata
ma nel lavoro, che adora, ha trovato la forza per andare avanti. A metà
degli anni 2000, a seguito di un aggravamento e del riconoscimento di
un’invalidità del 100%, decide di provvedere alle pratiche per il pensiona-
mento, perché le normali forze fisiche erano notevolmente ridotte e la sua
capacità di resistenza compromessa. Alla sua richiesta di pensionamento
riceve, da parte del dirigente, un caloroso invito a rimanere in servizio,
con la promessa di facilitarla con tutte le agevolazioni possibili, facendo-
le usufruire delle normative di tutela. Come conseguenza a queste promes-
se, fidandosi delle parole del dirigente con cui incorreva un buon rappor-
to fatto di reciproca stima, la signora ritira la domanda di pensionamento
e prosegue la sua attività lavorativa.
In seguito al ritiro della domanda di pensionamento, improvvisamente, la
relazione tra il dirigente e la signora cambia. Il comportamento del diret-
tore dell’Istituto si fa sempre più distante e disattento alle condizioni di
salute della signora, applica inusitate forme di controllo, limita gli stessi
170
suoi diritti come nel caso dei permessi per motivi di salute concessi dalla
L.104, omette la trasmissione di documentazione riferita alla sua malattia
agli organi preposti implicando come conseguenza un danno economico.
La signora dichiara che il motivo del cambiamento del comportamento del
dirigente nei suoi confronti, potrebbe riferirsi a una riunione in cui era
stata incaricata di svolgere il compito di verbalizzatrice, e quindi costret-
ta a riportare alcune forti considerazioni di un suo collega rivolte contro lo
stesso dirigente.
Il dirigente dimostra il suo disappunto sui contenuti delle critiche riporta-
te sul verbale, lo dichiara alla signora in un incontro personale e prova a
riconvocare la riunione per modificarlo. Questo evento è segnalato dalla
signora come l’evento trigger che segna il cambiamento definitivo della
relazione, implicando da quel momento gli atteggiamenti sopra descritti.
La condizione psicologica della signora subisce un netto peggioramento
dovuto alla totale disattenzione che il dirigente ha posto alla sua condizio-
ne, una disattenzione che ha provocato notevoli problemi pratici, ma nel
contempo ha ancora di più minato il senso di giusta considerazione che si
deve avere a chi vive una condizione di malattia a rischio di vita.
Risulta importate ricordare che la signora aveva affrontato con molta
dignità la sua condizione di malattia, cercando soprattutto di non danneg-
giare la qualità del suo lavoro. Proprio nel momento di maggiore difficol-
tà dove è costretta a “confessare” la sua condizione di salute fidandosi
della considerazione e della stima che caratterizza la relazione con l’am-
biente di lavoro, che è tradita dal dirigente e il tradimento incrementa il
suo senso di sfiducia, d’inquietudine, di solitudine e di disagio psichico.

2° storia: Il rottamatore.
Insegnante di scuola primaria pubblica
Al momento del colloquio alla signora mancavano pochi anni alla pensione.
La scuola è sempre stata la sua vera famiglia, e quest’attività ha rappre-
sentato la realizzazione del suo sogno nel cassetto. Per questo motivo ha
parzialmente sacrificato la sua vita affettiva privata, anche se, comunque,
nella sua seconda giovinezza incontra l’uomo della sua vita. Questa breve
descrizione del suo coinvolgimento nella professione d’insegnante, indica
la forte valenza psicologica e umana che ha riposto nella sfera lavorativa,
tanto da coinvolgere la dimensione della propria rappresentazione valoria-
le e dell’immagine del sé.
171
L’insegnamento era riferito alle materie letterarie e la sua grande soddisfa-
zione era da sempre quella di accompagnare negli anni la crescita dei pro-
pri alunni.
In occasione dell’inizio del nuovo anno, il dirigente scolastico decide di
assegnare a un insegnante più giovane le ore e le materie da lei trattate,
proponendole a voce di prendere l’incarico d’insegnamento delle materie
linguistiche. La proposta verbale, pur non del tutto gradita, è comunque
accettata dalla signora, ma al collegio docenti l’accordo è disatteso perché
altri insegnanti avevano più titoli per prendere le docenze di lingue. La
conclusione di quella riunione è che l’insegnante si è ritrovata come
responsabile della biblioteca, quindi esclusa dal diretto rapporto con gli
studenti. Il nuovo incarico si caratterizza con una forte inattività che gene-
ra un profondo sconforto, una marcata solitudine e un senso di inadegua-
tezza che modifica il suo stato d’animo e il suo umore.

3° storia: la calunnia è un venticello…


Insegnante d’Istituti superiori
Al momento del colloquio la signora lavorava in ruolo da circa un decen-
nio, mentre prima aveva avuto per molti anni supplenze e incarichi a
tempo determinato. Insegna materie letterarie.
Lo spirito che ha condotto la signora all’attività dell’insegnamento, matu-
ra all’interno del corollario valoriale che la mamma aveva impostato nei
processi educativi e nella trasmissione delle sue componenti ideali river-
sate sulla vita della famiglia e su di lei. L’insegnamento per la signora ha
rappresentato, quindi, anche la continuità di un aspetto della filosofia della
sua famiglia. Da questa dichiarazione si può evincere quanto la sua pro-
fessione porti con sé, inconsapevolmente, un senso di profonda responsa-
bilità riferito al bisogno di garantire l’ideale materno trasmessole, e quin-
di si colori di particolari toni emotivi.
Il problema di lavoro nasce dal conflitto con un collega, generato a causa
di diversità di modelli educativi che si confrontano in una docenza comu-
ne e che diventano tra loro dissonanti. Per la signora la differenza era
interpretabile e risolvibile con un incremento di un clima collaborativo,
dove le differenze potevano rappresentare anche un valore aggiunto.
Mentre per il collega la differenza attiva un senso autoritario di critica che
in modo subdolo si caratterizza con un continuo parlar male delle sue
capacità professionali. Questo comportamento s’implementa tanto da
172
essere agito anche con i discenti, che, sfiduciati sulle competenze della
professoressa, portano il contenuto denigratorio anche all’interno delle
proprie famiglie.
L’azione denigratoria prosegue, resa ancora più esacerbata dal fatto che
nessuno affronta in modo aperto e diretto il problema tra i due colleghi,
definendo un modello comunicativo non esplicito il quale conduce inevita-
bilmente a generare un’atmosfera di tipo paranoideo. Le relazioni con i col-
leghi vengono fortemente compromesse, vive in una situazione di isola-
mento e inizia a pensare che tutti la giudichino inidonea all’insegnamento.
Risulta evidente che la signora sente compromessa la sua integrità profes-
sionale e nel contempo sente di non essere riuscita a rispettare il suo impe-
gno con la madre che nel frattempo è morta. La risposta psicologica si
caratterizza con una profonda paura del mondo circostante e si attivano
reazioni di panico.

4° storia: Il martirio.
Insegnante a incarico.
Ai tempi del colloquio il professore svolgeva, al massimo delle ore setti-
manali, incarichi annuali.
La dimensione psicologica educativa in cui è cresciuto si può definire
come una condizione da “figlio d’arte”, perché i genitori erano stati a loro
volta impegnati nell’ambito dell’insegnamento. L’attività lavorativa è
comunque un’attività da lui molto gradita e l’insegnamento affidatogli
rispecchia i suoi interessi professionali e umani.
Nell’insegnamento il professore attiva progetti formativi, regolarmente
autorizzati dalla direzione, basati su un maggior impegno nella didattica
da parte dei discenti.
I problemi si attivano quando arriva il nuovo preside, che esprime con
veemenza una visione contraria ai cambiamenti proposti dall’insegnate in
questione, cambiamenti che secondo la visione didattica del Preside, sono
troppo aperturisti e non in linea con le regole didattiche ministeriali e da
lui condivise. La prima azione della nuova direzione è quello di bloccare
i progetti e la conseguenza è che l’insegnante è costretto a eliminare uno
dei due progetti.
Il problema delle diversi visioni sull’impostazione della didattica, diven-
gono in breve agiti comportamentali che incrementano nella direzione
dell’Istituto misure di controllo sull’insegnante, che a volte prevaricano i
173
dettami istituzionali e invadono spazi privati. La logica che si vuole dimo-
strare e che è espressa anche su documenti formali (contestazioni scritte e
censure), si riferisce a un comportamento di collusione tra l’insegnante e
i suoi allievi, dimostrando per cui una sostanziale inidoneità all’insegna-
mento da parte del professore in questione.
Questa condizione motiva il docente a reagire impostando anche un’azio-
ne legale (tutt’ora in corso), ma nel tempo, vista la sua difficoltà ad argi-
nare gli attacchi, si attiva una situazione di disagio lavorativo che si carat-
terizza con un incremento di sintomi ansioso-depressivi e di reazioni psi-
cosomatiche.
Dalla lettura delle storie sopra riportate sembra opportuno fare ancora due
riflessioni.
La prima si riferisce alla dinamicità degli eventi e delle relazioni che
hanno causato l’allineamento di tutte le costrittività, attivando il fenome-
no della “tempesta perfetta”. La sofferenza, prima esistenziale e poi psi-
cologica, degli “interpreti” delle storie si è costruita nel tempo, seguendo
il percorso sopra descritto, dove il soggetto più debole e la vittima sacrifi-
cale ne hanno subito le conseguenze, divenendo i capri espiatori delle
“negatività relazionali” del gruppo.
La seconda riflessione si riferisce al fatto che la costrittività esistenziale
risulta per l’area dei docenti l’aspetto che crea maggiore difficoltà e per
questo può essere considerato l’elemento che incide maggiormente nel
definire uno stato di sofferenza. Ciò testimonia la grande partecipazione
emotiva che gli insegnati pongono nella loro attività professionale.

174
Stress lavoro-correlato
una proposta per la valutazione

Emanuela Fattorini
Psicologa clinica e del lavoro
Consorzio HUMANITAS
Via della Conciliazione, 22 00193 Roma

Com’è noto il decreto legislativo 81/08 e s.m.i1, in materia di salute e sicu-


rezza del lavoro, il cosiddetto Testo Unico, obbliga i datori di lavoro alla
valutazione di tutti i rischi per la salute, compresi quelli relativi allo stress
lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’Accordo Quadro Europeo dell’8
ottobre 20042 (art. 28, comma 1).
Al fine di evitare equivoci, com’è accaduto in passato, lo stesso decreto
definisce anche le figure della Pubblica Amministrazione equiparate al
datore di lavoro. “…per datore di lavoro s’intende il dirigente al quale
spettano i poteri di gestione ovvero il funzionario non avente qualifica
dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ ultimo sia preposto ad un ufficio
avente autonomia … In caso di omessa individuazione o individuazione
non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l’or-
gano di vertice medesimo” (art. 2, comma 1, lettera b )
Procedere alla valutazione dello stress occupazionale non è, e non è stato
semplice, soprattutto all’inizio, perché il fenomeno è complesso e richie-
de un approccio interdisciplinare. Inoltre mancava in Italia una metodolo-
gia affidabile a cui poter fare riferimento.
In questi anni, hanno visto la luce diverse proposte metodologiche3, ma
certamente la più sperimentata è stata quella messa a punto dal Network
Nazionale per la Prevenzione del Disagio Psicosociale nei Luoghi di lavo-
ro4, istituito nel 2007 presso l’ex ISPESL.
Il Network Nazionale per la Prevenzione (attualmente in fase di stand by
in seguito all’accorpamento di ISPESL e INAIL) è composto da professio-
nisti di diverse discipline sanitarie (medici del lavoro, medici legali, psi-
cologi, psichiatri), chiamati a ricoprire ruoli formali e complementari
(medici competenti, terapeuti, operatori di vigilanza, ricercatori, docenti
universitari), nell’ambito della tutela della sicurezza e della salute delle
lavoratrici e dei lavoratori Hanno messo a disposizione conoscenze teori-
175
che ed esperienze pratiche con l’obiettivo di promuovere in Italia un
approccio omogeneo sul territorio che permetta una valutazione condivi-
sa dello stress nei luoghi di lavoro (anche a fini ispettivi e di vigilanza) e,
non ultimo, consenta alle piccole imprese una gestione relativamente
autonoma, senza eccessi di costi aggiuntivi, anche in ottemperanza a
quanto stabilito dalla norma che richiama a criteri di semplicità, brevità e
di comprensibilità (art. 28 comma 2).
Tuttavia è da sottolineare che il complesso metodologico proposto rappre-
senta i requisiti minimi per la valutazione e non deve precludere eventua-
li opportuni approfondimenti attraverso l’utilizzo di ulteriori strumenti
informativi e soprattutto il coinvolgimento diretto dei lavoratori che rap-
presentano il valore aggiunto di tutta l’operazione.
Si ricorda, infine, che il documento è servito come base di lavoro sia per
il Comitato Tecnico Interregionale della Prevenzione nei Luoghi di lavo-
ro (marzo 2010) sia per la Commissione Consultiva Permanente per la
salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro del Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali cui è demandato il compito di “elaborare le indicazioni
necessarie alla valutazione del rischio da stress lavoro-correlato”5, che, in
verità, forse ha eccessivamente semplificato la procedura mutuata dal
Network Nazionale per la Prevenzione.

Il processo di valutazione

Il processo di valutazione dello stress lavoro-correlato non consiste, come


a volte si pensa, nella somministrazione, più o meno capillare, di un que-
stionario, ma comporta una serie di fasi che nel loro insieme vanno a iden-
tificare la realtà dell’impresa che s’ intende valutare.
Una sottolineatura, propedeutica alla valutazione, merita l’équipe d’inda-
gine che, secondo la norma (art. 29, commi 1 e 2), consiste nel datore di
lavoro che ha la responsabilità non delegabile della valutazione, il quale
opera in collaborazione con il Responsabile del Servizio di Prevenzione e
Protezione e il medico competente (se presente), previa consultazione del
Rappresentante dei Lavoratori.
Il Network Nazionale per la Prevenzione, ritenendo un po’ autoreferenziale
questa composizione, suggerisce la partecipazione alla pari di tutte le figu-
re indicate nel decreto, possibilmente arricchita da qualche altra figura signi-
176
ficativa nell’impresa, per competenza, memoria storica o altro. Nella scuo-
la, perché no?, l’équipe potrebbe essere implementata dagli studenti.
A. La prima fase del percorso di valutazione consiste nella raccolta delle
informazioni. Si tratta di costruire il contesto conoscitivo necessario a
contestualizzare i dati che saranno raccolti. Questo momento consen-
te alle figure interne alla struttura organizzativa di distanziarsi dal
coinvolgimento emozionale nei confronti del proprio lavoro e fornisce
all’eventuale consulente esterno le necessarie conoscenze di base.
La valutazione dello stress lavoro-correlato.

Proposta metodologica, ISPESL 2010 pag. 12

B. Ai fini del successo dell’operazione, è necessario promuovere il coin-


volgimento dei dirigenti/preposti e informare tutti i lavoratori, attra-
verso il sistema informativo in uso nell’impresa-scuola (circolari, riu-
nioni, bacheche, intranet, ecc.) dell’indagine che si andrà a fare: per-
ché?, con quali operatori?, quando e come saranno portati a conoscen-
za i risultati ottenuti?
Le potenziali misure d’intervento, infatti, avranno successo soltanto in
virtù del livello di partecipazione dei lavoratori. Diversamente il rischio
è quello di aver formalmente soddisfatto un adempimento, senza benefi-
ciare però delle reali potenzialità in termini di benessere organizzativo e
di crescita che si accompagna alla valutazione dello stress occupazionale.

177
C. L’ indagine. Una volta assolte le fasi precedenti si procede con l’inda-
gine che consta di due fasi:
• la valutazione preliminare, necessaria, in quanto ha come obiettivo
la stima del livello di rischio che condiziona il prosieguo dell’inda-
gine stessa. La valutazione preliminare consiste nella rilevazione di
indicatori verificabili, attraverso liste di controllo. Secondo la
Commissione Consultiva Permanente, gli indicatori devono appar-
tenere quanto meno a tre distinte famiglie, già presenti nella propo-
sta del Network Nazionale per la Prevenzione: I Eventi sentinella
(indici infortunistici, assenze per malattia, sanzioni disciplinari,
ecc.); II Fattori di contenuto del lavoro (ambiente e attrezzature di
lavoro, orario e carichi di lavoro, ecc); III Fattori di contesto del
lavoro (comunicazione, sviluppo di carriera, autonomia decisionale
e controllo, ecc.).
Nel caso in cui dall’indagine non emergano fattori di rischio stres-
sogeni tali da richiedere interventi correttivi, il datore di lavoro non
è tenuto a procedere oltre, se non a completare il documento di valu-
tazione (DVR) in cui riporterà gli esiti dell’indagine effettuata.
Ove siano necessarie misure d’intervento, si dovrà provvedere alla
loro pianificazione e attuazione, nonché allo scadere del tempo pre-
stabilito, alla verifica della loro efficacia.
Soltanto se dette misure dovessero risultare inefficaci, si dovrà pro-
cedere con la fase di approfondimento.
I criteri, davvero minimi, indicati dalla Commissione Consultiva
sembrano accettabili per le piccole e piccolissime imprese che carat-
terizzano le strutture lavorative italiane, peraltro presenti all’atten-
zione anche della proposta exISPESL/INAIL. Tuttavia si ritiene
insufficiente la sola valutazione preliminare in realtà lavorative
complesse, come la scuola ad esempio, ancorché il livello di rischio
risulti basso.
Per correttezza d’informazione però si ricorda che l’ osservanza dei
criteri espressi dalla Commissione Consultiva garantisce la corretta
attuazione dell’obbligo normativo.

178
Fattori di rischio stressogeni

CONTENUTI LAVORATIVI

AMBIENTE DI LAVORO E Condizioni fisiche di lavoro, problemi inerenti l’ affi-


ATTREZZATURE dabilità, la disponibilità, l’idoneità, la manutenzione
o la riparazione di strutture ed attrezzature di lavoro

PIANIFICAZIONE Monotonia, cicli di lavoro brevi, lavoro frammentato


DEI COMPITI o inutile, sottoutilizzazione, incertezza elevata

Sovraccarico o sottocarico di lavoro, mancanza di


CARICO/RITMI DI LAVORO
controllo sul ritmo, alti livelli di pressione temporale

Lavoro a turni, orari di lavoro rigidi, imprevedibili,


ORARIO DI LAVORO
eccessivamente lunghi o che alterano i ritmi sociali.

CONTESTO LAVORATIVO

CULTURA ORGANIZZATIVA Scarsa comunicazione, bassi livelli di sostegno per la


risoluzione di problemi e lo sviluppo personale, man-
canza di definizione degli obiettivi organizzativi

RUOLO Ambiguità e conflitto di ruolo, responsabilità di altre


NELL’ORGANIZZAZIONE persone

Incertezza / blocco della carriera insufficienza /


SVILUPPO DI CARRIERA eccesso di promozioni, bassa retribuzione, insicurez-
za dell’impiego, scarso valore sociale attribuito al
lavoro

Partecipazione ridotta al processo decisionale, carenza


AUTONOMIA di controllo sul lavoro (il controllo, specie nella forma
DECISIONALE/CONTROLLO di partecipazione, rappresenta anche una questione
organizzativa e contestuale di più ampio respiro)

RELAZIONI Isolamento fisico o sociale, rapporti limitati con i


INTERPERSONALI SUL superiori, conflitto interpersonale, mancanza di sup-
LAVORO porto sociale

INTERFACCIA Richieste contrastanti tra casa e lavoro, scarso


FAMIGLIA/LAVORO appoggio in ambito domestico, problemi di doppia
carriera

179
• la valutazione approfondita comporta il coinvolgimento diretto dei
lavoratori per la rilevazione della percezione soggettiva del livello
di stress presente nell’organizzazione.
• Secondo la consistenza dell’impresa, la situazione e/o le risorse
disponibili si possono usare vari strumenti tra cui interviste semi-
strutturate, focus group o la somministrazione di questionari ad hoc
che, in quanto strumenti clinici, comportano tutti la presenza di una
professionalità psicologica.
• A tale proposito si ricorda che, sebbene la percezione sia di necessi-
tà individualmente acquisita (tutta la popolazione o uno o più cam-
pioni per tipologia di rischio), obiettivo della valutazione è la rileva-
zione dello stress occupazionale e non del singolo lavoratore che per
esigenze personali può comunque trovare nel medico competente
l’interlocutore idoneo6
D. La pianificazione degli interventi per la eliminazione, riduzione e
gestione dei rischi emersi, deve intervenire prioritariamente alla fonte
dei fattori stressogeni, focalizzandosi sugli aspetti organizzativi e/o
gestionali che si siano rivelati critici. La pianificazione degli interven-
ti deve prevedere anche la fase di monitoraggio.
E. L’attuazione degli interventi deve essere accompagnata dalla verifica
costante dell’adeguatezza delle misure adottate.
F. Verifica/Aggiornamento Il documento di valutazione dei rischi è uno
strumento dinamico che si accompagna al divenire di ogni struttura
organizzata. Pertanto la valutazione deve essere immediatamente rie-
laborata in occasione di modifiche del processo produttivo o dell’
organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e della sicu-
rezza delle lavoratrici e dei lavoratori o in relazione al grado di evolu-
zione della tecnica (art. 29, comma 3).
In tutti gli altri casi, non previsti dalla norma, per la verifica/aggiornamen-
to della valutazione si ritiene adeguato un periodo di tempo non superiore
a due anni.

180
Note

1. Il D.Lgs. 81/08 “Attuazione dell’art. 1 della legge 3 agosto 2007 n.123, in materia di tute-
la della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” è stato successivamente integrato
dal D.Lgs 106/2009 “Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 apri-
le 2008 n.81 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”.
2. L’Accordo Interconfederale per il recepimento dell’Accordo Quadro Europeo sullo
stress lavoro-correlato, concluso a Bruxelles l’8 ottobre 2004, tra UNICE/UEAPME,
CEEP e CES, porta la data del 9 giugno 2008, in ritardo sui tempi tecnici del recepi-
mento stesso che sarebbe dovuto avvenire ad ottobre 2007. Tuttavia era già efficace
in Italia in quanto inserito nel decreto 81. L’Accordo Quadro Europeo esclude dalla
valutazione dello stress occupazionale il mobbing, in quanto deve essere recepito lo
specifico accordo europeo sulle molestie e la violenza sul lavoro, siglato a Bruxelles
il 26 aprile 2007.
3. Si ricorda, ad esempio, le linee di indirizzo per la gestione dello stress lavoro-corre-
lato che offrono, oltre ad un riferimento metodologico, anche chiare indicazioni ope-
rative messe a punto dalla regione Toscana nel 2009.
4. Il Network Nazionale per la Prevenzione del Disagio Psicosociale nei Luoghi di
Lavoro è composto da 15 centri clinici pubblici: Abruzzo: ASL Pescara - Centro di
Osservazione Disagio Lavorativo Via R. Paolini 47 Pescara; Campania: ASL NA1 –
Centro di Riferimento Regionale per il Mobbing e il Disadattamento Lavorativo Via
Monte di Dio, 25 Napoli; Emilia Romagna: Ambulatorio del Disagio Occupazionale
Dip. Sanità Pubblica ASL Via Gramsci, 12 Bologna; Lazio 1, ASL RMC Dip.
Prevenzione SPRESAL – Centro di Prevenzione e Trattamento del Disagio
Psicosociale nei Luoghi di Lavoro Bia San Nemesio, 28 Roma; Lazio 2: Azienda
Ospedaliera Sant’Andrea Dip. Medicina del Lavoro Via di Grotta Rossa, 1035/1039
Roma; Lazio 3: ASL RMD Centro per la Rilevazione del Danno Biologico da
Patologie Mobbing Correlate e Disadattamento Lavorativo Via Casal Bernocchi, 73
Roma; Lazio 4: Università Cattolica del Sacro Cuore Istituti di Medicina del Lavoro,
Psichiatria & Psicologia Largo A.Gemelli, 8 Roma; Lombardi:, Clinica del Lavoro
Luigi Devoto – Centro Stress e Disadattamento Lavorativo Via S.Barnaba, 8 Milano;
Puglia 1: ASL FG Dip. Prevenzione SPESAL Centro Prevenzione Diagnosi e Cura
Malattie da Stress e Disadattamento Lavorativo P.zza Pavoncelli, 11 Foggia; Puglia
2: ASL TA Dip. Salute Mentale - Centro Prevenzione Diagnosi e Cura Malattie da
Stress e Disadattamento Lavorativo Largo Sant’Agostino Taranto; Sicilia: Policlinico
Universitario di Messina Dip. Medicina Sociale del Territorio e Medicina del Lavoro
Via Consolare Valeria Messina; Toscana 1: Az. Ospedaliera Universitaria Pisana
Ambulatorio per lo studio dei disturbi da Disadattamento Lavorativo Via Boschi, 37
Pisa; Toscana 2: Università degli Studi di Siena Centro Interdipartimentale per la
Prevenzione del Disagio Lavorativo Via Mario Bracci, 16 Siena; Umbria: ASL4 Terni
Dip. Prevenzione SPSAL Via Bramante, 37 Terni; Veneto: Ospedale Policlinico
G.B.Rossi Centro per l’Analisi dei Rischi e delle Patologie Psico-sociali di origine
lavorativa P.le La Scuro, 10 Verona.

181
5. Tra i compiti della Commissione Consultiva Permanente di cui all’art. 6 del D.Lgs.
81/08 e s.m.i. vi è anche quello di elaborare le indicazioni necessarie alla valutazio-
ne del rischio stress lavoro-correlato (comma 8, lettera m-quater) di cui alla lettera
circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 18 novembre 2010.
6. L’art.41, comma 2, lettera c) consente al lavoratore, ancorché non soggetto a sorve-
glianza sanitaria obbligatoria, di richiedere una visita al medico competente il quale
valuterà il caso nell’ambito della propria professionalità.

Biblio-Sitografia

– Avallone F. (2003). Benessere organizzativo. Ed. Rubettino, Roma


– Avallone F. Paplomatas A. (2005). Salute Organizzativa. R.Cortina Editore. Milano
– Barbato L., Frascheri C. (a cura di) (2009). Salute e Sicurezza sul Lavoro Guida al
DLGS 81/08 integrato con il DLGS 106/09. Edizioni Lavoro. Roma
– Britain’s Health and Safety Commission (HSC) e Health and Safety Executive (HSE)
(2001).
– Cooper C.L. (1996). Handbook of stress, medicine and health. (Eds) C.R.C.. New
York
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M.J.Shabracq , J.A.M. Winnubst & C.L.Cooper (Eds) Handbook of Work and Health
Psychology. Chichester, Wiley and Sons
– D’Orsi F., Ballottin a., (2011) Stress lavoro-correlato dalla valutazione del rischio agli
interventi correttivi. EPC, Roma
– European Agency for Safety and Health at Work (2000). Research on Work-Related
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– Fattorini E. (a cura di) (2010). La valutazione dello stress lavoro-correlato. Proposta
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– Frascheri C.,(2006). Stress sul lavoro. I rischi emergenti nelle organizzazioni pubbli-
che e private. Ed. Maggioli, Repubblica di San Marino.
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Concept & Methods of Measurement . Hogberga, Lidingo, Stockholm.
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182
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– Seley, H. (1956) Stress of Life. McGraw-Hill. New York.

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Condizioni di Vita e di Lavoro - Dublino
– http:// iims.it – Istituto Italiano di Medicina Sociale
– http:// inail.it - INAIL
– http:// istat.it - ISTAT
– http:// niosh.com.my – National Institute of Occupational Safety and Health
– http:// ilo.org – Organizzazione Internazionale del Lavoro
– http:// osha.europa.eu – Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro
– http:// who.int – Organizzazione Mondiale di Sanità

183
Presentazione dell’Osservatorio sulla salute degli insegnanti

Caterina Fiorilli
Professore Associato di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione
Libera Università Maria SS. Assunta, Roma
Osservatorio Nazionale Salute e Benessere dell’Insegnante

FATTORI DI RISCHIO E DI PROTEZIONE


PER LA SALUTE E IL BENESSERE DELL’INSEGNANTE:
La nascita di un Osservatorio Nazionale

L’attività di insegnamento centra la sua funzione principale sulla relazio-


ne (educativa) in cui l’insegnante svolge un ruolo chiave: di sostegno, di
supporto, di disponibilità, etc. Tali dimensioni vanno a sommarsi, trasfor-
mandole, a quelle più prettamente legate alla didattica e alle funzioni di
crescita, in termini di conoscenze e competenze, che l’insegnante svolge
con gli alunni.
In questa prospettiva numerose sono le richieste rivolte all’insegnante:
continuo aggiornamento; elevate abilità relazionali nel trattare bambini e
ragazzi sempre più diversi (culturalmente, linguisticamente, cognitiva-
mente, emotivamente, sul piano relazionale); flessibilità nell’adeguare gli
obiettivi educativi alla realtà che si ha in classe (difficoltà di apprendimen-
to; disturbi specifici di apprendimento; condotte aggressive dei bambini e
dei ragazzi).
A fronte di tali richieste l’insegnante deve essere in grado di mantenere la
motivazione al lavoro, nonostante: scarso riconoscimento sociale ed eco-
nomico; lungo precariato; assenza di un supporto istituzionale strutturato
e non occasionale (esperto pedagogista, psicologo, medico, tutor, etc.).
Negli ultimi trent’anni si parla con sempre maggiore insistenza dei rischi
della professione insegnante che, come tutte le helping profession, pone il
professionita in condizioni di forte stress. A tale rischio è stato dato il
nome di burnout, mutuandolo da una consolidata attività di ricerca che si
è occupata del malessere in quei contesti professionali dediti alla cura del-
l’altro. Il disturbo si manifesta con: senso di eccessivo affaticamento, fisi-
co ed emotivo; atteggiamento distaccato e apatico nei rapporti interperso-
nali (con colleghi e alunni); sentimento di frustrazione per la mancata rea-
184
lizzazione delle proprie aspettative; perdita della capacità del controllo (la
professione finisce per assumere un’importanza smisurata nell’ambito
della vita di relazione).
I principali segnali di malessere che un insegnante può rilevare in se stes-
so sono: lo stato di costante tensione; l’irritabilità; la depersonalizzazione
o disumanizzazione della relazione con l’altro; il senso di frustrazione; il
senso di fallimento; la ridotta realizzazione professionale; la ridotta pro-
duttività; il ridotto interesse verso il proprio lavoro; le reazioni negative
verso familiari e colleghi; l’apatia; la demoralizzazione; il disimpegno sul
lavoro; l’esaurimento emotivo; il distacco emotivo.
Questa sindrome è stata definita come “Incapacità di adattamento in situa-
zioni di stress emotivo continuo che deriva dall’ambiente del lavoro”
(Maslach, Jakson, 1981).
Gli effetti negativi sono rilevabili non solo sulla persona dell’insegnante
ma anche sul livello istituzionale, in termini di qualità del servizio offerto
e di costi aggiuntivi che possono derivare dall’assenteismo e dalla malat-
tia degli insegnanti.
Recenti dati di ricerca di Albanese e Fiorilli (2010) su un ampio gruppo di
insegnanti italiani (N=566) hanno fatto emergere che, indipendentemente
dal sesso e dall’età essi presentano:
• esaurimento emotivo (40%);
• distaccato dalla propria professione e distanza dalle relazioni (54%);
• assenza di realizzazione professionale (38%).
Nonostante si tratti di una sindrome legata alla natura implicita della pro-
fessione, gli studi più recenti si sono concentrati sulle caratteristiche inter-
ne agli insegnanti e su quelle legate al contesto scolastico che possano
arginare gli effetti del burnout o prevenirne l’insorgenza. In particolare, tra
i principali fattori di protezione dal rischio di esaurimento professionale vi
è: a) il sentirsi competente e abile (apprezzamenti anche esterni); b) sen-
tirsi autonomo e padrone delle proprie scelte; c) sentirsi parte di un grup-
po e in relazione con altre persone (Ryan, Decy, 2000).
Allo scopo di favorire una sempre maggiore consapevolezza nella popo-
lazione ‘insegnante’, di ogni ordine e grado, dell’elevato rischio di bur-
nout legato alla propria professione, nonchè, allo scopo di monitorare le
situazioni di rischio e di intervenire per favorirne la prevenzione, il 20 giu-
gno 2012 è nato il primo Osservatorio Nazionale Salute e Benessere degli
Insegnanti (ONSBI). Costituito grazie alla collaborazione di docenti uni-
185
versitari, studiosi ed esperti vede la partecipazione di: Ottavia Albanese
(Università degli Studi Milano Bicocca), Antonio Attianese(Consorzio
Universitario Humanitas), Antonio Augenti (Consorzio Universitario
Humanitas), Paula Benevene (Libera Università Maria SS. Assunta di
Roma), Licia Cianfriglia (Associazione Nazionale Dirigenti e Alte
Professionalità della Scuola), Simona De Stasio (Università Foro
Italico”di Roma), Carmela Di Agresti (Presidente del Consorzio
Universitario Humanitas), Caterina Fiorilli (Direttore dell’ONSBI, Libera
Università Maria SS. Assunta di Roma), Giorgio Rembado (Presidente
dell’Associazione Nazionale Dirigenti e Alte Professionalità della
Scuola), Roberto Serpieri (Università di Napoli Federico II).”
Le azioni che l’ONSBI intraprende mirano alla diffusione della cultura del
benessere degli insegnanti e alla tutela dal rischio di stress da lavoro cor-
relato. In particolare, l’ONSBI persegue i seguenti obiettivi: monitoraggio
dei fattori di rischio per la salute degli insegnanti e implementazione di
modelli di intervento e di formazione per la promozione del benessere a
scuola.
Tutte le informazioni relative ai progetti di ricerca e di intervento
dell’ONSBI sul territorio nazionale possono essere richiesti inviando una
e-mail a: onsbi@consorziohumanitas.com.

186
La scuola in tempi di crisi

Andrea Catizone
Avvocato, Direttore dell’Osservatorio EURISPES sulle famiglie - Roma

Dall’ Indagine conoscitiva sulla condizione dell’Infanzia e Adolescenza in


Italia, realizzata dall’Eurispes e dal Telefono Azzurro(*) sono emersi dati
molto significativi e, in un certo senso inattesi, in merito alle aspettative
che gli studenti e i genitori hanno nei confronti dell’istituzione scolastica.
La particolarità del nostro lavoro risiede, oltretutto, nella metodologia uti-
lizzata che mettendo a confronto le risposte date dai genitori con quelle
dei loro figli ha consentito di ricostruire in maniera completa come viene
vissuta l’esperienza scolastica dalle famiglie. La scuola viene vista dai
giovani non più come il luogo per eccellenza in cui si crea e diffonde cul-
tura, ma piuttosto come la struttura adibita a fornire ai giovani e giovanis-
simi una professionalizzazione nell’ottica del futuro ingresso nel mondo
del lavoro. Otto ragazzi su dieci vorrebbero, poi, si prestasse più attenzio-
ne alle loro proposte e iniziative ed immaginano una scuola che voglia
accogliere le loro istanze e che sia disponibile ad ascoltarli. I genitori,
invece, si aspettano che la scuola sia un luogo nel quale i propri figli pos-
sano accrescere il loro bagaglio culturale, con l’obiettivo principale della
trasmissione dei valori. La prevenzione rispetto a fenomeni quali il bulli-
smo, l’alcol e l’uso di droghe, insieme a un maggiore ascolto all’interno
della scuola, sono gli aspetti che interessano maggiormente gli adulti e che
vorrebbero fossero messi al centro dei programmi e delle attività delle
scuole. Eppure, proprio queste ultime aspettative sembrano essere disatte-
se da un sistema educativo sempre meno attento ai valori e alla cultura.
I dubbi, le incertezze e i timori che la crisi economica determina sul futu-
ro professionale dei giovani ha radicato nei giovani l’idea che il percorso
scolastico abbia come unico scopo quello di portare a un’attività lavorati-
va, facendo dimenticare completamente che la scuola è anche, e soprattut-
to, il luogo simbolo dell’educazione e della formazione in senso lato. Tra
i principali compiti riconosciuti alla scuola, il 32,5% dei ragazzi ritiene,
infatti, che la scuola debba fondamentalmente preparare gli alunni nell’in-
gresso nel mondo del lavoro, un dato che si consolida con il crescere del-
l’età: se dai 12 ai 15 anni la preparazione professionale è l’obiettivo del
187
31% dei ragazzi, dai 16 ai 18 anni il valore cresce sino al 36,7%. Seguono
una seria crescita personale e un solido incremento della cultura, che ven-
gono indicate rispettivamente dal 27,8% e dal 26,6% degli studenti. Al
contrario, funzioni più “educative” raccolgono consensi marginali; solo il
5,9% dei giovani ritiene che l’obiettivo principale della scuola sia quello
di trasmettere valori, ed una percentuale ancora più bassa, pari al 3,1%,
ritiene importante che aiuti a sviluppare il senso critico. Questi due dati
crescono sensibilmente tra i ragazzi più “grandi”, quelli con un’età com-
presa tra i 16 ed i 18 anni. Di diverso orientamento i genitori: mentre cre-
sce la domanda culturale e valoriale, diminuisce quella strettamente lega-
ta alla formazione professionale dei ragazzi. Infatti, i genitori indicano tra
gli obiettivi sovrani della formazione scolastica quello di accrescere il
bagaglio culturale personale dei propri figli (28,9%), e quello di contribui-
re più in generale alla loro crescita personale (28,8%), e solo il 17,9%
ritiene che la scuola debba concentrarsi prevalentemente sulla preparazio-
ne al mondo del lavoro. A conferma di una maggiore attenzione dei geni-
tori per gli aspetti culturali e valoriali della formazione scolastica, il
13,4% del campione di genitori intervistato preferirebbe una scuola più
coinvolta nella trasmissione di valori e che, al tempo stesso, possa contri-
buire ad accrescere il senso critico dei loro ragazzi, importante per il 7 %
degli adulti.

Più Internet e Inglese nell’offerta didattica


Dall’analisi dei dati raccolti in riferimento all’offerta didattica delle scuo-
le, appare ancora molto forte la domanda di modernizzazione che avanza
da tempo tra i ragazzi e i genitori italiani. Se il 16,1% degli studenti chie-
de alla scuola più spazio per le materie sportive (con una forte polarizza-
zione tra i maschi con il 27,7%, a fronte del 9,4% registrato tra le ragaz-
ze), il 15,6% degli intervistati vorrebbe dedicare più tempo alle attività
pratiche, mentre le nuove tecnologie e Internet stanno a cuore al 13% del
campione. Inoltre, continua il grande interesse per le lingue straniere che
conquistano il 12,5% dei ragazzi, un interesse avvertito più dalle ragazze,
con il 15,2% del campione, a fronte dell’8,1% registrato tra i ragazzi.
Valori significativamente più bassi per le tematiche sociali legate alla pre-
venzione (alcool, fumo, droghe e bullismo) e all’educazione sessuale che
interessano solo il 4,7% ed il 4,4% degli studenti. Anche in questo caso
dall’analisi dei dati relativi alla domanda dei genitori emerge un interesse
188
maggiore proprio sulla prevenzione: il 20,7% vorrebbe, infatti, una scuo-
la più impegnata contro il fumo, l’alcool e le droghe; il 18,5%, vorrebbe-
ro una scuola che ascolti di più i ragazzi e gli argomenti di loro maggiore
interesse; mentre il 17,9% vorrebbe che venisse dedicato più tempo alle
lingue straniere.

La scuola ideale
La scuola ideale, secondo gli studenti, dovrebbe essere più attenta
all’ascolto. Si esprime così quasi l’85% dei ragazzi, che dichiara di vole-
re una scuola più incline ad accettare le loro proposte e le loro iniziative.
Addirittura, il 66% di loro vedrebbe bene gli stessi studenti in cattedra per
alcune materie. Una scuola più accogliente, ma, allo stesso tempo, più
severa con i ragazzi violenti, per il 60,8%, e più impegnata nel combatte-
re le discriminazioni, per il 58,8%. In pochi, infatti, vorrebbero una scuo-
la senza stranieri o senza simboli religiosi (rispettivamente il 10,7% e il
18,2% degli intervistati). Infine il 59,1% dei ragazzi vorrebbe nella sua
scuola ideale professori più preparati e competenti, un’esigenza avvertita
maggiormente tra gli studenti con un’età compresa tra i 16 e i 18 anni
(78,6%, a fronte del 49,1% rilevato tra i 12 ai 15 anni) e condivisa anche
dai genitori. Infatti, per l’80% di loro, i professori dovrebbero essere più
aggiornati e competenti, specialmente se insegnano ai ragazzi più gran-
di. Nella scuola ideale inoltre non c’è spazio per i ragazzi violenti: il
79,1% dei genitori è unito con i propri figli nel desiderare provvedimenti
e interventi più severi e nell’auspicare un maggiore impegno della scuola
contro le discriminazioni, raccomandato dal 67% dei genitori.
Alcune considerazioni
Con questo studio è stata data la possibilità a studenti e genitori di espri-
mere le proprie opinioni che, sebbene non sempre concordi, costituiscono
una base importante per dare inizio a tutti quei cambiamenti che a oggi
sembrano necessari e che devono investire la scuola nella sua totalità. È
importante, infatti, trovare il giusto equilibrio tra professionalità e intellet-
tualità: la prima richiesta dagli studenti che, desiderosi di una concreta
preparazione al mondo del lavoro, chiedono una scuola più moderna
orientata all’informatica, alle nuove tecnologie, alle lingue straniere e,
infine, alle attività pratiche; la seconda, caldeggiata dai genitori che chie-
dono alla scuola un’alleanza educativa costruita sulla trasmissione di valo-
ri comuni, che possano favorire la crescita personale di ogni studente e
189
siano in grado di mettere in guardia i più giovani sui pericoli che li circon-
dano (come ad esempio il fumo, l’alcool o le droghe), consolidandone,
infine, il bagaglio culturale. Tutto ciò in un ambiente esemplare dove vio-
lenza e discriminazione non solo non sono tollerati, ma possano essere
sanzionati, un ambiente sorretto da docenti preparati e comunicativi capa-
ci di ascoltare ed accogliere le idee dei ragazzi, trasmettendo loro l’amo-
re per lo studio e facendoli sentire parte di un sistema virtuoso che mira
all’eccellenza. «Indipendentemente dal tipo di lavoro che si farà in futuro
il sapere e la conoscenza di per sé migliorano il vivere sociale producen-
do benessere e ricchezza. Se anche la scuola non viene più percepita come
il luogo in cui si fa e si trasmette cultura è urgente riflettere in che direzio-
ne andrà il nostro Paese, un caso unico al mondo per patrimonio storico,
culturale e artistico mai valorizzato. Un problema non più prorogabile
proprio perché, a differenza di quanto ritengono alcuni, di cultura “si man-
gia”.

(*) Nota metodologica. La rilevazione è stata realizzata a novembre-dicembre 2011, tra-


mite la somministrazione di due modelli di questionario, uno destinato ai ragazzi ed uno
destinato ai genitori (poi raggruppati e confrontati per nucleo familiare).Sono stati com-
pilati ed analizzati 1.496 questionari per i ragazzi e 1.266 per i genitori e La rilevazione
sul campo ha coinvolto 21 scuole di ogni ordine e grado.

190
Nicola Comberiati
Dirigente Scolastico e psicologo
Vice presidente dell’A.P.E.F

IL BENESSERE DEGLI INSEGNANTI:


STUDI E CONSIDERAZIONI

“Ciò che manca alla nostra epoca è la passione” – osservava Kierkagaard.


Ma la passione è un gioco di affetti profondi, di motivazioni ideali, di
coinvolgimento emotivo. Proprio quanto è necessario per la professione
docente, tra le professioni nobili e difficili, capace di dare un senso alla
propria vita.
L’insegnante, impegnato quotidianamente ad essere un analista di dinami-
che affettive e di crescita umana, rischia di “alienarsi”, si può ammalare
o semplicemente può lasciarsi trascinare in una dimensione di mediocrità,
di perdita delle motivazioni ideali che lo hanno spinto a scegliere questa
professione.

I punti positivi del suo lavoro sono tanti:


• È un lavoro “politico” (di interesse verso la polis) che abitua alla libertà
e al pensiero critico: può costituire e soddisfare il senso ideale della vita
di un docente
• È un lavoro che trasmette i contenuti della cultura, della civiltà, della
democrazia
• Si diventa costruttori di esseri umani che superano la semplice raziona-
lità della sopravvivenza e della biologicità per entrare nel mondo della
ri-creazione del mondo attraverso la scienza e l’arte;
• Si passa la propria vita a confrontarsi con le nuove generazioni e si man-
tiene desto un senso di giovinezza e di ricerca continua anche quando si
invecchia;
• Si può dire, alla fine della carriera, che ne è valsa la pena vivere, perché
abbiamo realizzato il logos nel rapporto e lasciato onde di sapienza che
si perpetueranno.

Ma è una professione che richiede identità e coscienza del sé:

191
• individualmente, perché il suo compito – quello dell’insegnamento-
apprendimento – lo investe e lo coinvolge nelle sue dimensioni incon-
scie, coscienti e comportamentali;
• collettivamente perché deve lottare per la trasformazione di strutture
più idonee a valorizzarne la professione;
• socialmente perché è investito più degli altri delle grandi trasformazio-
ni sociali, che scuotono la società e mettono in crisi il modo tradiziona-
le di trasmettere dei contenuti costringendolo ad essere nel suo mestiere
un laboratorio della complessità sociale, dove quotidianamente si speri-
mentano i grandi flussi migratori, i cambiamenti di stili cognitivi, le
incertezze del futuro, le trasformazioni etiche e motivazionali.

Per realizzare tutto questo, o almeno camminare su un binario di ricerca,


è necessario che si consolidi una cultura organizzativa istituzionale in cui
il docente sia supportato da formazione, gratificazione, ambiente validan-
te e strumenti di ricerca.
Il docente è un mediatore culturale che amplia i segni linguistici e crea
significati di cultura e di valori. Egli non è una monade: la sua realizza-
zione cresce all’interno di
una progettazione flessibile di ambienti, persone, contenuti che contri-
buiscono a realizzare un clima positivo per la realizzazione di quegli
obiettivi che l’istituzione si è prefissata (cultura organizzativa)

Per non ammalarsi il docente deve avere successo o portare al successo


formativo gli esseri umani che gli vengono affidati.

La cultura dell’organizzazione deve perciò trasformarsi in organiz-


zazione dell’apprendimento-insegnamento organizzativo o “fertiliz-
zazione” delle conoscenze che non è altro che il risultato dinamico
dell’insieme dei processi organizzativi, di comunicazione, di infor-
mazione, di apprendimento che pervadono l’intera azienda (=leggi
dell’organizzazione) e che consentono di accumulare un saper fare
(Know how) distintivo.

L’insegnamento organizzativo è un momento importante per organizza-


re atmosfere culturali, benessere psichico, superamento del malessere e
del solipsismo didascalico.
192
Ogni insegnamento organizzativo non può fare a meno di una progettua-
lità, che richiede:
1. Ricerca psicologica
2. Ricerca sociologica: rilevamento domanda in termini di allarmi socia-
li (appeli europei, Lisbona, Riforme)
3. Ricerca metodologico-didattica e disciplinare (come strategie idonee)
4. Ricerca epistemologico-disciplinare: efficienza degli strumenti-disci-
pline.
5. Forza del dubbio-mettersi in discussione
6. Nuova progettazione

È questo insegnamento apprendimento organizzativo si traduce


poi in apprendimento individuale e determina il successo profes-
sionale e il benessere degli insegnanti.

Dal burnout al benessere: gli studi della psicologia positiva

La Maslach (1992) aveva individuato tre dimensioni di malessere negli


insegnanti: 1) esaurimento emotivo, una sensazione di costante frustrazio-
ne e saturazione emotiva, 2) depersonalizzazione, il sentirsi oscillanti tra
l’io e gli altri; 3) ridotta realizzazione professionale.
Qualche studioso (Guglielmi 2010) ha fatto intravvedere come il cinismo,
ossia il disinteresse verso la vita lavorativa sia un esito drammatico nelle
relazioni scolastiche.
Nella letteratura tradizionale si discuteva quanto i fattori individuali inci-
dessero sull’insorgere del disagio professionale dei docenti, e se fosse più
accentuato di più nei primi anni di servizio e in età lavorativa avanzata.

Negli ultimi tempi lo studio degli specialisti della Psicologia Positiva


(Seligman, 2000) si è concentrato sulle condizioni favorevoli che permet-
tono lo sviluppo delle proprie potenzialità come realizzazione e soddisfa-
zione personale contro il disagio.
Sempre più si sta confermando l’importanza dell’ambiente validante
(organizzazione, formazione, lavoro di équipe, progettazione condivi-
sa…)
193
Si è sviluppato uno studio sul benessere
‚ in una prospettiva eudaimonica, sviluppo del proprio benessere attra-
verso le opportunità offerte dall’ambiente;
‚ e in una prospettiva edonica, che si riferisce alla dimensione affetti-
va e a quella psicofisica, nel senso di piacere e soddisfazione.

Conclusioni

1. La rete di supporto sociale degli insegnanti determina significativi


effetti sul burnout e sulla sfera emotiva.
2. Il supporto sociale è stato definito dagli studiosi come una transazione
interpersonale basata su un tipo di aiuto sia emotivo che tangibile
(Antonucci, 1988) e come un costrutto essenziale ne determinare la
qualità delle relazioni nell’ambiente in cui si vive (Vaux, 1988).
3. Il lavoro dell’insegnante è una “professione relazionale”( Lombardi,
2006) e come tale è influenzata fortemente dai rapporti che si instau-
rano a scuola e dalla rete di sostegno a disposizione nelle situazioni
complesse sul luogo di lavoro.
4. Recenti studi ( Consiglio, Bergonzi, 2007) hanno dimostrato che il
supporto dei colleghi, dei genitori degli alunni, del dirigente, della
famiglia e degli stessi allievi, anche se spesso sono conflittuali, posso-
no prevenire e promuovere benessere negli insegnanti, proteggendoli
in particolare dalla dimensione della depersonalizzazione.
5. Il supporto sociale è un potenziale fattore di protezione per il benesse-
re degli insegnanti e favorisce l’adattamento professionale, inteso
come assenza di malessere (Drago, 2006)

Interessante la meta analisi di Halbesleben (2006) più le risorse di sup-


porto sociale sono rinforzate, maggiore è l’immagine positiva che si ha di
sé.
‚ Il supporto scolastico promuove benessere in ambito professionale
(fonti di sostegno esterne).
‚ Il supporto extrascolastico compensa meglio problemi di depersona-
lizzazione e di insoddisfazione personale (fonti di sostegno interne).

L’impatto del supporto sociale, ricevuto in particolare dai colleghi, contri-


194
buisce a prevenire il rischio del burnout (Greeglass etc, 1997, ricerca su
833 insegnanti canadesi), mentre la mancanza di supporto da parte dei col-
leghi e dei dirigenti ha un significativo effetto sulle loro credenze di auto-
efficacia e sul burnout (ricerca su 277 insegnanti olandesi).
Una valutazione positiva dei genitori è un’importante cornice di riferi-
mento per l’autovalutazione degli insegnanti e l’auto percezione
(Pazzaglia, Ronconi…,2010):
le strategie educative e la soddisfazione lavorativa non sono in relazione
diretta ma sono mediate dalle influenze positive di riflessione che gli inse-
gnanti ricevono dal lavoro con gli studenti, con i colleghi e dalla loro auto-
efficacia, ovvero dal credere in se stessi e dal sentirsi capace di far fronte
alle difficoltà scolastiche.

Da ciò si deduce che:


sono necessari programmi di partecipazione formativa per i docenti:

1. la creazione di gruppi di ricerca e di progettazione,


2. la rivitalizzazione dei momenti della discussione, condivisa sul conte-
nuto delle esperienze lavorative, in modo da potenziare le proprie
competenze nell’ottica di un miglioramento del benessere individuale
e organizzativo.

La competenze e l’intelligenza emotiva degli insegnanti


Molti studiosi hanno rilevato che la gestione delle emozioni è determinan-
te per il benessere psicologico degli insegnanti nella vita quotidiana e che
egli deve possedere, oltre alla professionalità della propria disciplina, una
serie di competenze emotive che determinano la sua “intelligenza emoti-
va”.
Per “intelligenza emotiva” Mayer (1990) intende la valutazione,
l’espressione, la regolazione e utilizzazione delle emozioni.

Si considera l’intelligenza emotiva come un set di abilità cognitive,


con cui ci si abilita a percepire, utilizzare, comprendere e regolare
le emozioni per gestire problemi personali e interpersonali.

195
Carolyn Saarni (1999) ha individuato otto competenze emotive:

La consapevolezza del proprio stato emotivo;


l’abilità di riconoscere le emozioni degli altri;
l’abilità di usare il vocabolario emotivo e le espressioni culturali
disponibili nella propria cultura;
la capacità di coinvolgimento empatico;
la capacità di distinguere tra stati emotivi manifestati e provati effet-
tivamente;
la capacità di far fronte a emozioni a valenza negativa attraverso l’uti-
lizzo di strategie di autoregolazione;
la consapevolezza che la natura delle relazioni è definita dal modo in
cui le emozioni sono comunicate all’interno della relazione,
l’autoefficacia emotiva.

È chiaro a tutti che il benessere emotivo degli insegnanti è una condizio-


ne necessaria per la costruzione del proprio benessere e per quello degli
alunni, oltre ad essere determinante per raggiungere un maggior senso di
autoefficacia (Day e Qing,2009).
Ricerche del 2008 (Albanese) hanno dimostrato che in situazioni di vio-
lenza gli insegnanti avrebbero regolato in modo positivo le emozioni sul
versante della riconciliazione piuttosto che su quello del rimprovero
(buona regolazione delle emozioni dei docenti).
Insomma, la scuola si sta riscoprendo per i giovani come una grande pale-
stra di speranza e gli insegnanti – come risulta da molti studi – sono molti
più efficaci di quanto una certa opinione pubblica li dipinga e la loro pro-
fessione comincia ad essere considerata non solo fonte di conflitti ma una
preziosa occasione per dare un senso ideale alla propria vita.

196
Professione docente: prospettiva storica

Paola Spinelli
Docente I.C. Settembrini - Roma

La vita scolastica dei docenti dagli anni sessanta ha risentito dei cambia-
menti introdotti dall’apertura della scuola a larghe fasce di popolazione
modificando profondamente l’attività d’insegnamento: da una scuola eli-
taria ad una per tutti.
Venendo meno la contiguità tra la posizione professionale dei docenti e i
gruppi di élite, classe dirigente del nostro Paese, progressiva è stata la
diminuzione del prestigio della professione.
E’ mutato il rapporto con gli alunni e la realtà esterna: l’eterogeneità
di classe ha provocato l’adozione di comportamenti e linguaggi educativi
diversi e plurimi.
Nel tempo la presenza rilevante di alunni stranieri, disabili e svantaggia-
ti socialmente e cognitivamente ha cambiato l’insegnamento, non più
basato su condizioni di omogeneità, e di conseguenza il profilo della pro-
fessionalità docente è divenuto più articolato e complesso.
197
L’emergenza sociale di molteplici identità ha imposto un ruolo più
ampio: non più solo trasmissione dei saperi ma formazione di una identi-
tà adolescenziale attraverso una nuova professionalità ed esperienza spe-
cifica.
Pertanto è aumentato l’impegno dei docenti che, con particolari compe-
tenze (disciplinari, pedagogiche, didattiche, organizzative, relazionali e
comunicative), occupano ruoli chiave in una organizzazione articolata e
flessibile a tutela dell’interesse pubblico.
L’autonomia è la risposta a questa complessità e andava considerata come
momento di crescita professionale. Rivoluzionando gli assetti di governo
e di gestione delle scuole, attiva un sistema nuovo, orizzontale con sepa-
razione di poteri e funzioni per una leadership diffusa con responsabilità
condivise con i singoli attori interni ed esterni.
Quindi, in un mutato contesto di azioni e responsabilità dei soggetti, la
scuola si muove più di prima nell’ambito di diritti protetti costituzional-
mente. Si tratta, chiaramente, di reinterpretare scenari ed orizzonti all’in-
terno dei quali questi diritti si sostanziano di nuovi contenuti e forme man-
tenendo inalterato il loro valore.
Per sostenere e preparare il personale scolastico alle nuove sfide didatti-
che sono state varate iniziative formative casuali pensate e gestite in
chiave di aggiornamento senza considerare:
1. il modello di scuola dell’autonomia e il profilo professionale dell’inse-
gnante come priorità strategiche per il funzionamento del sistema;
2. un esplicito sviluppo professionale e di carriera conseguente;
3. l’obbligatorietà della frequenza;
4. la traduzione degli apprendimenti in pratiche scolastiche corrisponden-
ti.
Dunque, la formazione negli anni ’80 e ’90 è stata affidata alla “scienza e
coscienza’ di ciascuno”.

Professione docente oggi: quale insegnante, quale carriera, in quale


scuola?
Gli insegnanti vivono quotidianamente in una condizione di grande con-
fusione e precarietà dei processi di insegnamento – apprendimento per
l’instabilità del sistema, per l’isolamento dai propri colleghi, per l’ecces-
siva discrezionalità di comportamento in tutte le manifestazioni della vita
scolastica.
198
L’ambiente scolastico è diventato effervescente e informe, difficile e
sfuggente, purtroppo spesso abitato da realtà apparentemente aliene.
Il panorama della scuola italiana esce dalla ricerca OCSE con aspetti di
forte criticità: ci pongono ai livelli più bassi della classifica.
Quindi, l’emergenza educativa necessità di un governo della scuola
sempre più responsabile e competente in cui la formazione obbligatoria
diventi strumento di politica scolastica, ovvero leva di sviluppo organiz-
zativo e professionale strategicamente orientato.
L’attuazione effettiva dell’autonomia deve essere percepita dai docenti
come un’occasione importante di ri-legittimazione sociale riapproprian-
dosi del ruolo attraverso scelte progettuali; ridefinendo limiti e contenu-
ti degli ambiti di competenza e attraverso la rassicurazione personale e
professionale.
Il profilo professionale dell’insegnante è strettamente legato al modello
di scuola dell’autonomia: nucleo centrale del disegno strategico persegui-
to.
Il riscatto dell’identità professionale chiama in causa la carriera degli
insegnanti che va affrontata con la definizione delle caratteristiche strut-
turali e organizzative capaci di offrire un servizio scolastico efficace e di
qualità.
L’organizzazione consente, infatti, di costruire l’identità collettiva attra-
verso unità organizzative strutturate formali in grado di mettere insieme
risorse, vincoli, problemi, azioni, obiettivi che realizzino i risultati attesi.
Il modello organizzativo può fare la differenza: il modo con cui una
scuola è gestita e organizzata crea un ambiente più o meno favorevole allo
sviluppo del capitale umano di insegnanti e studenti.
Pertanto i leader devono comprendere il modello organizzativo più effi-
cace nelle diverse circostanze di contesto ed adottare scelte congruenti sul
piano dei sistemi gestionali e relazionali.

Il Dirigente scolastico: motore di cambiamento


Il dirigente scolastico è una guida efficace se, attraverso una molteplici-
tà di competenze, promuove azioni collettive integrate e complementari
degli specialisti della scuola, assicura la credibilità interna ed esterna e
favorisce in modo unitario e sistematico il processo di
insegnamento/apprendimento riconoscendo valore alle risorse esistenti
nella scuola.
199
È capace di capitalizzare le esperienze, sviluppare ed affinare l’auto-
nalisi e monitorare le diverse aree di gestione interpretando gli aspet-
ti pedagogici, sociologici ed educativi e valorizzando le risorse umane
che organizza in comunità di pratica consapevoli in grado di riformula-
re i propri saperi.
E’ colui che dialoga con il territorio assumendo un ruolo-guida nell’ela-
borazione di politiche formative sinergicamente integrate.
Si tratta, quindi, di un generalista che opera in un contesto ampio in cui
agiscono meccanismi inclusivi e di empowerment.
In sintesi: guida, motiva, fa crescere, è di esempio, è un punto di rife-
rimento.

Processi di cambiamento e benessere a scuola

• Leadership educativa
• Coinvolgimento e partecipazione di studenti, famiglie e stakeholder
• Collegialità e lavoro di gruppo degli insegnanti
• Qualità del curriculum del dirigente e dei docenti orientata all’innova-
zione
• Curricolo verticale di istituto
• Miglioramento continuo

In particolare, il clima organizzativo a scuola è determinato dalla capaci-


tà del dirigente di tenere attive ed integrate la dimensione dell’efficienza
e del controllo e della sfera emotiva nella relazione con il personale
docente ed Ata, nonché quella della cura dei rapporti con gli Enti loca-
li e la comunità.
Responsabilizzare ed infondere fiducia, regolare vicinanza e distanza, par-
lare e far parlare per sensibilizzare, farsi coinvolgere nella lettura delle dif-
ficoltà, che diventano occasioni di sviluppo professionale, gestire il rap-
porto con i genitori come garanti del progetto formativo, ruolo diverso da
quello dei docenti complementare e non contrapposto: così il dirigente
crea e mantiene le condizioni per assicurare la salute psico-fisica al perso-
nale ed offrire agli studenti e a tutta la società un servizio formativo ade-
guato e di sicuro successo personale e professionale.

200
201
MINISTERO DELL’ ISTRUZIONE DELL’ UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA
UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER IL LAZIO
Istituto Comprensivo VIA SEBENICO, 1
Scuola sec. I grado Luigi Settembrini – Scuola Inf./Prim. via Asmara 32, via Novara 22
Via Sebenico, 1 00198 Roma – Tel./fax 068549282 – email: rmic8ea00r@istruzione.it - Cod. fisc. 97713180582

“Promuovere il benessere a scuola” 8-9 novembre 20012


Questionario di gradimento

Gentili colleghi, il presente questionario ha lo scopo di raccogliere le vostre percezioni relativa-


mente al percorso formativo attivato e le vostre proposte. Vi chiediamo di compilare il questiona-
rio e di riconsegnarlo alla segreteria organizzativa o di inviarlo per e-mail a
giuseppina.fantone@fastwebnet.it
Il questionario è anonimo e i dati verranno utilizzati esclusivamente a fini statistici e per valuta-
re il gradimento del seminario.

Grazie per la collaborazione.

Qualifica …………..…………………………………………

Valutazione complessiva del corso

INIZIO
1. Complessivamente il corso ha soddisfatto le mie aspettative:
n assolutamente n abbastanza n poco n per nulla
Se poco o per nulla, perché?
______________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________

2. La partecipazione a questo corso mi ha consentito di acquisire nuove conoscenze,


capacità e/o competenze sui seguenti argomenti:
______________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________

3. La parte del corso per me più interessante è stata:


______________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________

4. Mi sarebbe piaciuto/ interessato affrontare in maniera più approfondita il seguente


argomento:
______________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________

202
5. Mi aspettavo che questo corso affrontasse anche il seguente argomento:
______________________________________________________________________________

6. Complessivamente giudico gli argomenti trattati rispetto alle esigenze di aggiornamento


professionali legate al ruolo organizzativo da me ricoperti:
n molto interessanti n abbastanza interessanti n poco interessanti n per nulla
Interessanti

7. Complessivamente giudico l’efficacia dell’evento per la mia formazione continua?


n molto n abbastanza n poco n per nulla

8. Ritengo concretamente utilizzabili i contenuti del percorso formativo nella mia realtà
professionale ed organizzativa quotidiana?
n molto n abbastanza n poco n per nulla
Se ritenuti utilizzabili, per i seguenti progetti/processi/percorsi organizzativi:
______________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________

9. In futuro sono interessato a sviluppare/approfondire i seguenti argomenti:


______________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________

10. Gli aspetti organizzativi del corso hanno soddisfatto le mie esigenze? n Sì n No
In caso negativo, perché? ______________________________________________________

13. Raccomanderebbe questo corso ai suoi colleghi? n Sì n No


Ulteriori suggerimenti/commenti/proposte per migliorare la qualità di questo corso per future
edizioni sono…
______________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________
______________________________________________________________________________

14. Ritiene che gli argomenti trattati potranno essere utili per il suo lavoro?
n assolutamente sì n abbastanza n poco n per nulla

15. Ritiene che i contenuti espressi nelle relazioni siano utilizzabili nella realtà in cui lavora?
n assolutamente sì n abbastanza n poco n per nulla

203
Conclusioni

Salvatore Sasso
Dirigente Scolastico, Professore a contratto di Psicologia Clinica,
Università, “G. D’Annunzio”, Chieti

Il Corso “Promuovere il benessere a scuola: esperienze ed indicazioni per


prevenire lo stress da lavoro correlato (DM 81)” ha sviluppato il suo pro-
gramma all’interno di due giornate in cui sono stati trattati temi riguardan-
ti aspetti socio-psicologici, aspetti giuridico legali, il benessere organizza-
tivo, proposte operative.
Il polso della situazione è stato “testato” attraverso un questionario che ha
cercato di monitorare sia l’interesse dei partecipanti al tema in oggetto, sia
il gradimento verso i contenuti presentati.
Innanzitutto tra i circa 200 partecipanti, dirigenti e vicari delle scuole, c’è
stato un riscontro molto positivo tra l’aspettativa riservata al corso e il
feed-back ricevuto nelle due giornate. Infatti ognuno ha potuto manifesta-
re l’avvenuto possesso di conoscenze in relazione a:

3 esistenza servizi pubblici per la prevenzione e cura mobbing


3 riflessione su un’organizzazione in grado di prevenire
3 leadership democratica
3 stress lavoro correlato
3 benessere organizzativo
3 Mal di scuola
3 Aspetti giuridico legali
3 Burn-out
3 Professione insegnante
3 Autoefficacia educativa

Nonostante l’apporto ricevuto, i partecipanti avrebbero avuto il piacere di


affrontare anche altri argomenti, quali:
3 Indicazioni/comportamenti da adottare per prevenire lo stress/per svi-
luppare benessere
3 La casistica delle patologie
3 Lo stress da doppio lavoro per le donne
204
3 Esempi pratici
3 Questionari sul mal di scuola
3 Strumenti per il monitoraggio
3 Inidoneità psico-fisica dei dipendenti
3 La gestione dell’emergenza
3 La responsabilità del DS nell’interpretazione dei verbali della CMV
3 Empowerment
3 La leadership democratica
3 La cultura organizzativa
3 Lo stress e la demotivazione del DS
3 Il benessere degli studenti
3 Esperienze di intervento sulla percezione del mobbing o stress da lavo-
ro correlato
3 La comunicazione
3 Disagio e comportamenti aggressivi degli alunni
3 Mal di scuola e ruolo del dirigente e degli insegnanti

In maniera complessiva, l’efficacia dell’evento, anche come formazione


continua in servizio dei partecipanti, è stata considerata molto buona
(92%). Infatti, lo stesso numero di partecipanti ritiene concretamente uti-
lizzabili nella loro realtà professionale e organizzativa quotidiana i conte-
nuti del percorso formativo, soprattutto in progetti e percorsi organizzati-
vi riguardanti:

3 Educazione socio-affettiva
3 Senso di autoefficacia
3 Monitoraggio dello stato di salute psicologico di alunni e docenti
3 Esercizio della leadership democratica
3 Il benessere degli alunni
3 Il Collegio dei Docenti
3 Conoscenza illeciti penali e amministrativi e sanzioni in caso di mob-
bing
3 Esercizio della delega
3 Processi di relazione con i docenti portatori di stress da lavoro correlato
3 Questionario Multifattoriale sul Mal di Scuola
3 Organizzazione dei team di lavoro
3 Prevenzione del disagio per superare il mal di scuola
205
I partecipanti sarebbero interessati a trattare o approfondire nel futuro i
seguenti argomenti:
3 Centro di ascolto per DS
3 Benessere organizzativo attraverso le Nuove Tecnologie
3 Progetti per l’implementazione del benessere
3 Progetto con una prospettiva psicosociale
3 Docenza e valutazione
3 Emotività e benessere
3 Cultura dell’organizzazione
3 Riflessioni sulla leadership
3 Gestione dello stress in scuole ad alto rischio e alto tasso di complessità
3 Organi collegiali e reti di scuole
3 Organizzazione e prevenzione
3 Figure sensibili e sicurezza
3 Prevenzione dello stress da lavoro correlato
3 La comunicazione
3 Valutazione di sistema e prevenzione del rischio
3 Gestione della classe e dei casi difficili
3 Rapporti conflittuali tra colleghi (docenti e ATA)
3 Cosa può fare praticamente il DS
3 Mal di scuola e strategie per prevenirlo
3 Autocontrollo e emozioni

Gli aspetti organizzativi del corso hanno soddisfatto il 97% dei parteci-
panti. Due suggerimenti riguardano sia lo svolgimento del corso nella
prima parte della settimana, sia l’anticipazione dell’orario di fine giorna-
ta, per permettere la completa partecipazione a chi viene da fuori Roma.
La frequentazione al seminario sarebbe raccomandata ad altri con una per-
centuale vicina al 90%. Tra i suggerimenti:

3 Presentazione buone prassi di benessere organizzativo da parte di diri-


genti e docenti;
3 Un corso con tempi più lunghi;
3 Disagio e discipline curricolari;
3 La consultazione dei prima delle presentazioni;
3 Organizzazione di laboratori o di focus group per affrontare le temati-
che dei relatori;
206
3 La registrazione di un DVD oltre agli atti;
3 Una maggiore diffusione nelle scuole;
3 Organizzazione di un corso simile all’inizio di ogni anno scolastico;
3 Presentazione di casi reali;
3 Una formazione dedicata a tutte le componenti scolastiche;
3 Gruppi di lavoro;
3 Formazione in servizio per dirigenti e docenti.

Il corso, secondo tali prospettive, avrebbe raggiunto alcuni obiettivi rias-


sumibili in otto macroaree

1. Individuazione di fattori di rischio a livello istituzionale;


2. Individuazione di fattori di rischio a livello organizzativo;
3. Individuazione di fattori di rischio a livello individuale;
4. Proposte di fattori di protezione a livello istituzionale;
5. Proposte di fattori di protezione a livello organizzativo;
6. Proposte di fattori di protezione a livello individuale;
7. Sviluppo di apprendimenti individuali e collettivi con proiezioni a
livello psico-socio-relazionale;
8. Sviluppo di apprendimenti individuali e collettivi con proiezioni a
livello motivazionale, culturale e di prevenzione.

207
A questo indirizzo web si trova la play list con tutti i video del convegno
http://www.youtube.com/playlist?list=PLC2xul82rus9oW0KD5IHlxaJvI8_Yay1p

PROGRAMMA

Giovedì 8 novembre

Ore 9.00 - Registrazione dei partecipanti


Ore 9.45 - Saluto delle Autorità
Prima sessione: aspetti socio-psicologici
Introduzione ai lavori - Massimo La Rocca
Dirigente scolastico I.C. Via Sebenico - Roma
http://youtu.be/xk7pTy7WbAM
Ore 10.30 - 11.00
Dina Guglielmi - Docente di Psicologia del lavoro, Università di Bologna
“La prevenzione dello stress e la promozione del benessere nel contesto scolastico
nella prospettiva psicosociale: il ruolo dei fattori nocivi e protettivi”
http://youtu.be/myjaciBU2_k
Ore 11.00 - 11.30
Roberto Serpieri - Professore Associato - Facoltà di Sociologia - Università
Federico II - Napoli
“La leadership democratica nella scuola”
http://youtu.be/kwCRzhOEyGU
Ore 11.30 - 12.00
Ketty Vaccaro - Sociologa, Responsabile Settore Welfare - CENSIS - Roma
“Lo stress da doppio carico di lavoro: alcuni aspetti della femminilizzazione
della professione di insegnante”
http://youtu.be/BNWEjh2p58k
Ore 12.00 - 12.30
Luciano Benadusi - Professore Onorario Università La Sapienza - Studioso di
sociologia dell’educazione, Direttore della rivista “Scuola Democratica”
“Scuola, benessere, giustizia: un trinomio su cui riflettono filosofi e sociologi”
http://youtu.be/D69KAM27NqM
Ore 12.30 - 13.00 - Dibattito
Ore 13.00 - 14 .30 - Pausa

208
Modera: Micaela Ricciardi, Dirigente Scolastico Liceo G. Cesare - Roma
Seconda sessione: aspetti giuridico-legali
Ore 14.30 - 15.00
Laura Paolucci - Avvocato dello Stato - Bologna
“La prevenzione dello stress e la promozione del benessere nel contesto scolasti-
co in riferimento alla prospettiva giuridica: il ruolo della prevenzione nelle con-
troversie giurisdizionali”
http://youtu.be/6R2hPDVoEcQ
Ore 15.00 - 15.30
Alessandro Iarìa - Ten. Col. - Medico legale - Titolato ISSMI - Rappresentante del
Ministero della Difesa presso il Comitato di verifica - Roma
“La valutazione medico legale in ambito scolastico”
http://youtu.be/KVLNyJSGzdk
Ore 15.30 - 16.00
Massimo La Rocca - Dirigente Scolastico I.C. Via Sebenico
“L’organizzazione scolastica alla luce della nuova normativa di riferimento e
piani di miglioramento”

Ore 16.00 - 16.30


Tonino Proietti - Ministero dell’Istruzione - Docente a contratto Università Niccolò
Cusano - Roma
“Il valore delle norme a sostegno del miglioramento del benessere a scuola:
riflessione sulla ricerca di un nuovo paradigma della cultura della sicurezza e
dell’organizzazione”

Ore 16.30 - 18.00


Interventi programmati - Esperienze delle scuole: dall’empowerment, al coaching,
all’utilizzo delle nuove tecnologie per migliorare il clima relazionale e le competen-
ze professionali.
Dibattito

Venerdì 9 novembre

Terza sessione: il benessere organizzativo


Ore 9.30 - 11.30
Tavola rotonda sul tema: Lavorare e stare bene a scuola
Modera: Simona Pianese Longo - Dirigente Scolastico
Interverranno: Federico Bianchi di Castelbianco - Psicologo - Psicoterapeuta -
Direttore dell’Istituto di Ortofonologia - Roma
http://youtu.be/QbP09SUoCsk

209
Salvatore Sasso - Dirigente Scolastico, Professore a contratto di Psicologia Clinica,
Università, “G. D’Annunzio”, Chieti
Riccardo Dominici - Medico del Lavoro - Psicoterapeuta - Roma

Ore 11.30 - 12.00


Enzo Cordaro - Direttore U.O. Psicologia del Lavoro e del centro Antimobbing ASL
RM D - Roma
Dott.ssa Deianira Di Nicola - Psicologa-responsabile settore Ricerca Sociale U.O.
ASL RMD
“Dal benessere organizzativo al benessere individuale: esperienze di vita vissuta”
Ore 12.00 - 13.00 - Interventi programmati
Ore 13.00 - 14.30 - Pausa
Modera: Carlo Cipollone, Dirigente Scolastico I.T.I.S. G. Galilei - Roma
Ore 14.30
Interverranno il regista Giuseppe Piccioni, che ha realizzato il film “Il rosso e il blu”
e Marco Lodoli, autore del libro da cui è tratto.
Dibattito
http://youtu.be/aRDPTcAB4mQ
Ore 16.00 - 16.30
Caterina Fiorilli - Professore di Psicologia dello Sviluppo e dell’educazione LUMSA
- Direttore del-l’Osservatorio Nazionale Salute e Benessere dell’insegnante - Roma
Presentazione dell’Osservatorio sulla salute degli insegnanti
Ore 16.30 - 17.00
Andrea Catizone - Avvocato - Direttore dell’Osservatorio EURISPES
sulle famiglie - Roma . Presentazione della ricerca: “La scuola in tempi di crisi”
Ore 17.00 - 18.00
Interventi programmati e conclusioni
Comitato tecnico-Scientifico (in ordine alfabetico)
Giuseppina Fantone, Emanuela Fattorini, Massimo La Rocca, Simona Pianese,
Tonino Proietti, Salvatore Sasso.

Coordinamento progettuale e Segreteria Organizzativa:


Giuseppina Fantone
Tel./Fax 06/6243246 - Cell. 339-2310470
giuseppina.fantone@fastwebnet.it

Si ringraziano:
l’Istituto Professionale Alberghiero Via de Mattias
l’Istituto Agrario Garibaldi - Roma
210
INDICE

Introduzione pag. 3
Massimo La Rocca

Saluti:
Luigi Calcerano pag. 5

La prevenzione dello stress e la promozione del benessere pag. 8


nel contesto scolastico nella prospettiva psicosociale:
il ruolo dei fattori nocivi e protettivi
Dina Guglielmi

La leadership democratica nella scuola pag. 14


Roberto Serpieri

Lo stress da doppio carico di lavoro: alcuni aspetti pag. 22


della femminilizzazione della professione di insegnante
Ketty Vaccaro

Scuola, benessere e giustizia: pag. 28


un tema su cui riflettono filosofi e sociologi
Luciano Benadusi

Sezione teorico-operativa sugli aspetti giuridico-legali pag. 31


dello stress da lavoro correlato
Micaela Ricciardi

La prevenzione dello stress e la promozione del benessere pag. 33


nel contesto scolastico in riferimento alla prospettiva
giuridica: il ruolo della prevenzione nelle controversie
giurisdizionali”
Laura Paolucci

La valutazione medico legale in ambito scolastico pag. 57


Alessandro Iarìa
211
L’organizzazione scolastica alla luce della nuova normativa pag. 74
di riferimento e piani di miglioramento
Massimo La Rocca

Promuovere il benessere a scuola pag. 85


Punti di riflessione tra il senso delle norme,
quello della partecipazione e il ruolo della formazione
Tonino Proietti

Esperienze delle scuole: dall’empowerment, al coaching, pag. 92


all’utilizzo delle nuove tecnologie per migliorare
il clima relazionale e le competenze professionali.
Serenella Presutti

Sistema Leggi d’Italia pag. 98


Marina Esterini

Tavola rotonda sul tema: Lavorare e stare bene a scuola pag. 112
Simona Pianese Longo

Lavorare e stare bene insieme a scuola pag. 115


Salvatore Sasso

Prevenzione dello stress lavoro correlato pag. 144


e promozione della salute mentale nella scuola
Riccardo Dominici

Vivere bene la scuola pag. 149


Federico Bianchi di Castelbianco

Dal benessere organizzativo al benessere individuale: pag. 155


esperienze di vita vissuta e la tempesta perfetta
Enzo Cordaro

Stress lavoro-correlato una proposta per la valutazione pag. 175


Emanuela Fattorini

212
Presentazione dell’Osservatorio sulla salute degli insegnanti pag. 184
Caterina Fiorilli

La scuola in tempi di crisi pag. 187


Andrea Catizone

Il Benessere degli Insegnanti Studi e Considerazioni: pag. 191


Nicola Comberiati

Professione docente: prospettiva storica pag. 197


Paola Spinelli

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