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Il palpito inganna

La nostra vita è solo un commento di ciò che è stato vissuto,


e questa vita già commentava ciò che ancor prima era stato vissuto.
Il presente stesso è un ricordo;
nell'attimo si contempla una vita,
non si è una vita.
Vediamo noi stessi
parlare, soffrire, agire,
ma la frattura persiste anche nel presente.
Il nostro corpo,
un altro corpo ci sembra immediato nel presente,
lo contempliamo nel fremito della vita,
ma non siamo una cosa sola con il fremito.
E pure l'unità del corpo di un uomo ci sembra un dato immediato,
quando invece è la persistenza e l'aggregazione di
ricordi indivisi, raccolti ormai nell'astrazione conglutinata di una figura,
e viventi nel presente in una immediatezza illusoria.
Che il presente significhi vita,
e il passato morte,
è una falsa ovvietà, allettante e fuorviante.
Ciò che di vivo esiste nel presente
è soltanto
il riaffiorare di una vita del passato.
Il quadro che racchiude il presente,
e da esso non si può disgiungere,
se dall'istante interiore guardiamo fuori di noi,
ossia le cose, le forme, i colori, le parole, le idee del presente,
sono un commento ancora più indiretto,
ricordano, mediante il frapporsi di consolidate, mummificate astrazioni,
una vita cinerea, oscurata.
Il flusso irreversibile della coscienza spinge assurdamente
a esaltare questo contorno,
a spegnere addirittura ogni immediatezza apparente,
a chiudere verso il passato.
Si tenderebbe a un trionfo della morte,
se la nostalgia del passato non fosse un dato metafisico, inestinguibile.
Il punto di vista della conoscenza è questo:
rifiutare il presente come realtà,
intendere i pensieri e i sentimenti, gli oggetti e le figure del presente
come travestimenti da smascherare.
La vita profonda si attinge dal pozzo del passato,
è più vivo ciò che è più remoto nel tempo.
(Giorgio Colli, “Dopo Nietzsche”, 1974)

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