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di Mario Majoni
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abbindolato mio padre, ma io mi rifiuto-”
Lo schiocco della lingua della vedova Delay zittì il figlio; in un furente sibilo
francofono lo redarguì: non-era-elegante-mostrarsi-avidi, l'italiano-avrebbe-avuto-il-suo-
regalo.
E così fu. Fra colonne doriche di basaltite nera, incongrue sul marmo bianco del
pavimento, Augusto firmò per impossessarsi legalmente di una barca che era
affettivamente già sua da vent'anni, eppure lo fece con un disagio forse mutuato da
un'inconscia premonizione: con essa, a sua insaputa, giungevano anche altre eredità.
Augusto si allontanò dagli uffici cittadini nella caligine di quel torrido diciannove
Giugno, illuminato dal riflesso argenteo del sole sul mare; con la Antikythera il
Professore gli aveva lasciato tutto il materiale che si trovava a bordo, di cui il notaio gli
aveva fornito una lista 'da verificare al più presto', lo aveva ammonito.
La lista più inutile di sempre. Augusto aveva lavorato vent'anni, su quella barca.
'Un navigatore GPS Swedenborg; una... cassetta di pronto soccorso verificata il
12/04/2013 da SafetyCo?'
La lista, oltre a essere inutile, era sbagliata.
Il Professore non aveva mai voluto alcun tipo di materiale medico a bordo di una delle
sue imbarcazioni: 'malchance', diceva. Ma il dettaglio della cassetta di pronto soccorso
con tanto di data e revisore era degno di nota, considerando che era stato aggiunto da
una persona dalla precisione maniacale. Che il Professore gli avesse lasciato un ultimo
addio, occultandolo alla cupidigia della propria famiglia?
Augusto lasciò perdere l'elenco, uscì dall'autostrada, e affrontò con smania il lento
intreccio di tornanti che conducevano alla costa; il bruciante frutto della curiosità gli
cresceva in petto.
Svoltò oltre una cortina di verdi fusti di saguaro dalle spine acuminate, e in una
macchia di agavi e ginestre emergeva il suo appartamento, sopra al canale di reflusso
che mormorava delle onde marine.
La Antikythera spiccava oltre il buio sottopassaggio nella baia antistante; sembrava
nuova di cantiere, grazie al carenaggio e ai lavori di ristrutturazione che il Professore
aveva voluto per tutte le proprie imbarcazioni poco prima di ammalarsi. Augusto stava
per rimettere piede sul proprio posto di lavoro dopo tante settimane di assenza, con la
speranza di un ultimo addio del suo mentore.
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Si fermò.
Due macchine della polizia erano parcheggiate davanti all'entrata di casa. La
tachicardia dovuta all'emozione mutò, facendosi più profonda, e nel petto di Augusto
iniziò a battere il ritmo dell'ansia.
Frenò dolcemente, e lo stridore di gomma su ghiaia non giunse fino alle forze
dell'ordine; imboccò la retromarcia, tornò sulle proprie tracce, e lasciò il veicolo dietro
ai cacti.
Si avvicinò all'acqua, percorrendo l'ultimo tratto che lo separava dalla banchina con la
copertura del fitto canniccio circostante alla propria abitazione.
Il suo cuore batteva sempre più forte, oppresso da una sensazione di malaugurio a cui
non avrebbe saputo dare un nome; la calura gli asciugò la gola, mozzandogli il fiato a
tempo con i passi sul legno del molo, sulla passerella della Antikythera, oltre le sue
porte sempre aperte, fino alla cabina.
Augusto inspirò con tanta forza da imprimere un tono stridulo al fiato, ed espirò
urlando.
“Cristo Gesù!”
A terra al centro del vano spiccava un corpo nudo, immobile, irriconoscibile non per
la quantità di sangue che pesava sulla scena come un'immonda rugiada, quanto per la
mutilazione subita dal viso.
Augusto corse all'esterno, e vomitò con violenza oltre il parapetto.
Un'elica da motore. Ecco cosa poteva devastare a quel modo un volto umano.
Uno dei poliziotti chiamò a gran voce il suo cognome, facendolo sobbalzare; si ripulì il
mento con l'avambraccio, e tornò sull'orrenda scena del crimine.
L'odore era pesante, ma il corpo doveva essere lì da poco. Niente mosche.
“Qualcuno vuole incastrarmi.” gracchiò Augusto, con le mani tremanti che
aleggiavano sopra ai comandi della barca.
E 'qualcuno' era un eufemismo: non poteva che essere Philippe.
Il figlio del Professore era un perdigiorno con la convinzione incrollabile che ognuno
dei suoi enormi privilegi gli fosse dovuto. Per Dio, aveva perso il funerale del padre
mentre rientrava dalle Maldive!
“Ma questo è troppo anche per lui.” mormorò Augusto fra sé. “Assassinare qualcuno
per-”
“Dottor Balzarro!” giunse l'urlo, più vicino, di un agente di polizia.
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Augusto strinse le mani sul timone. Premette il tasto di accensione dei motori, e il suo
viso fu illuminato dallo schermo del navigatore satellitare.
La scarna grafica pulsava di fasci di luce verde su sfondo nero; la destinazione era il
versante occidentale dell'isola di Cerìgo, in Grecia. Esitò per un attimo con un dito sullo
schermo, decidendo infine di spegnerlo, e disattivò l'antenna.
Non sarebbe diventato vittima della meschina vendetta di un miliardario viziato.
Un bastardo che non aveva neppure tentato di apprezzare un padre premuroso, né da
vivo, né tantomeno da morto.
I motori iniziarono a scoppiettare al minimo, e Augusto uscì per sciogliere la gomena
di ormeggio e i cavi dell'allaccio elettrico. Pian piano, la Antikythera svalicò il
promontorio orientale della baia, e si allontanò verso Est, sempre più veloce e lontana
dalla costa.
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Spostò uno sguardo livido sul corpo alle sue spalle, soppresse un sussulto con una
smorfia, e si protese oltre il cadavere per accedere a uno degli sportelli degli attrezzi,
da cui estrasse un trapano senza fili.
Cinque minuti più tardi la targa bronzea che recava il nome Antikythera era nel
lavandino, l'imbarcazione ridotta a un'anonima singolarità.
“Un'ultima fatica.” mormorò, sfilando la camicia a strattoni; una volta nudo si gettò
in acqua, seguì i cavi che scendevano dalla poppa lungo la chiglia, e si mosse a tastoni
fra i flutti neri come l'inchiostro. Dovette riaffiorare ben due volte per riempirsi i
polmoni di ossigeno, ma finalmente trovò il transponder; ne svitò il corpo cilindrico, lo
staccò dall'imbarcazione e lo lasciò andare a fondo.
Quando tornò in cabina rimise gli abiti senza attendere di asciugarsi, aprì la cassetta
elettrica sotto alla consolle di comando, e strappò via i fili più esterni; la Antikythera
piombò nell'oscurità senza rimedio di una notte caliginosa.
Con le luci di navigazione spente, Augusto riaccese il motore e spinse al massimo per
un minuto buono prima di virare di novanta gradi verso sud-ovest; fece il cabotaggio più
azzardato della sua vita, navigando a folle velocità in un buio che era letterale e
tecnologico: senza riferimenti visivi se non le luci della costa, senza avvisi di profondità
dal computer spento.
Quando le luci gialle del porto di Alassio riverberarono sul parabrezza dello yacht,
Augusto riprese a virare lievemente a babordo, finché una luce più flebile non si
sovrappose gradualmente alla cittadina turistica, circondata dall'oscurità.
“Grazie anche per questo, Professore.” disse Augusto con un sorriso.
Era arrivato all'Isola Gallinara, la cui unica luce artificiale proveniva dalla sede della
Riserva Naturale... finanziata dalle enormi risorse del Professor Delmay, animata dalla
sua filantropia. Con i motori al minimo Augusto costeggiò l'isola, ed entrò nel porticciolo
rivolto a nord; tutto era immobile fra le colmate di cemento, simili a immense chele
pronte a schiacciarlo.
Mentre le acque calme del bacino sciabordarono per l'improvviso avvento di un
natante, Augusto si illuminò in volto; una barca identica a quella che stava conducendo
gli diede il benvenuto in porto.
Spense i motori, lanciò una gomena sciolta a guisa di lazo verso lo yacht identico al
proprio, e avvicinò i due scafi a forza di braccia. Per prima cosa svitò febbrilmente il
coperchio di una delle lanterne di poppa della Nemi, dove giaceva una chiavetta
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arrugginita.
Augusto soppresse una risata, e benedisse in silenzio la pigrizia del Professore, mentre
si sforzava per aprire la cabina di pilotaggio proprio con la chiave ossidata.
Quando il meccanismo cedette alle sue insistenze, scambiò i due navigatori
satellitari, e iniziò a ponderare le acque scure del porticciolo.
“Adesso devo solo-”
Una debole luce filtrò nella sagoma di buio assoluto alle sue spalle. C'era qualcuno
sull'isola.
Augusto corse a poppa, dove appoggiò il trapano, e si calò nell'acqua completamente
vestito.
Il freddo abbraccio del mare notturno gli mozzò il fiato, ma questa volta non c'era
tempo per riemergere e prendere altro ossigeno; prese un boccata d'aria caricaturale,
eccessiva, e con il freddo a pungergli la pelle, la paura a comprimergli il torace, Augusto
si immerse.
La chiglia della Nemi era liscia come la carrozzeria di una macchina, e con
l'esperienza di poche ore prima, trovare il transponder fu una sciocchezza; così come
aveva già fatto, lo svitò e lo lasciò affondare.
Quando riemerse, Augusto non azzardò neppure uno sguardo verso la sagoma buia
della Gallinara, rabbrividendo non per la brezza notturna sugli abiti fradici, ma per le
voci che giungevano in lontananza.
Afferrò il trapano, lo tenne sopra alla testa, e nuotò 'a bicicletta' fino alla poppa della
Nemi, di cui rimosse la placca. In meno di un minuto, Nemi diventò Antikythera, e vice
versa.
Infine, con scatti dovuti alla fretta, issò l'ancora e lasciò che la catena sferragliasse
sul ponte: non aveva letteralmente più tempo.
“Qui est là?”
“Merda!” imprecò Augusto.
Doveva fare almeno un'ultima cosa.
Ignorò i richiami sempre più vicini, saltò oltre le paratie di entrambi i natanti, e corse
a poppa dell'Antikythera. Spalancò l'anta del vano motori, strattonò il collettore, e
portò il tubo di alimentazione alle labbra con una grande inspirazione; spruzzò
fuoribordo la prima boccata di benzina, per poi irrorare con lenti, copiosi fiotti di
carburante il percorso che conduceva alla cabina, la cabina stessa, il cadavere mutilato,
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la consolle di comando... tornato sulla Nemi, sciolse la gomena che ancora univa le due
barche, raccolse il trapano, e calò la sua punta mulinante sulla paratia metallica dello
yacht ereditato dal Professore così poche ore prima.
La pioggia di scintille danzò sulla superficie della pozzanghera di benzina,
attizzandola di una coltre di fiamme bluastre che un istante dopo avvamparono,
altissime e gialle.
Proteggendosi il volto dalle brucianti lingue di fuoco che minacciavano di lambire
anche la Nemi, Augusto corse nella cabina di pilotaggio e neutralizzò le luci di
navigazione mentre faceva rombare il motore; nel buio fra gli aspri scogli del
promontorio Gallinarese e i plumbei marosi, l'incendio sfavillò come un faro, eclissando
lo sciame di tenui scintille che accorsero al molo.
“Ci sono riuscito!”
La sua determinazione lo aveva salvato. Non aveva incautamente tentato di spostare
il cadavere, rischiando di inquinarlo con una propria traccia organica; non era stato così
ingenuo da provare a spiegare la propria situazione a forze dell'ordine di cui non si
fidava. Aveva applicato la summa degli insegnamenti del Professore: trovare soluzioni a
problemi di cui non si conoscevano tutte le variabili, facendosi agente di un
cambiamento vero.
Augusto si permise il lusso di chiudere gli occhi e procedere avvolto dall'oscurità più
totale, cullato dal flebile beccheggio della Nemi – che a quel punto sarebbe stato
opportuno chiamare ufficialmente Antikythera2.
Eppure...
“Il pronto soccorso!” urlò.
Invertì marcia senza alcuna cautela, dimentico di dove si sarebbe dovuto trovare e di
quali conseguenze avrebbe avuto farsi trovare su una copia identica dell'imbarcazione
che stava bruciando con un cadavere sconosciuto a bordo, poco più in là.
I motori si zittirono, e lo yacht rimase a ondeggiare con la murata di tribordo esposta
al vento.
Era troppo tardi per salvare quella che Augusto aveva creduto essere La Vera Eredità
del Professor Delmay. Il rogo illuminava ormai tutto il versante settentrionale
dell'isolotto, e una ragnatela di luci azzurre si stava separando dalla costa, più a ovest.
“Troppo tardi.”
Augusto aveva appena perso quella che c'era motivo di ritenere 'La Possibilità Che Ti
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Cambia La Vita'.
Con un sospiro allineò nuovamente la prua verso nord-est, e ripartì alla massima
velocità, tentando invano di scacciare i rimpianti.
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marmi, terracotte, e un'infinità di oggetti fra cui la “Macchina” che aveva fatto sognare
milioni di persone: si trattava realmente del primo computer analogico? Il Professore
aveva sempre sostenuto che la Macchina fosse solo la prima parte di un meccanismo più
ampio, e aveva passato i primi anni '70 alla ricerca di questa leggendaria 'gemella' della
prima nave, che ipotizzava avesse condiviso il destino della più celebre Anticiterana; i
fondi finirono, il progetto fu abbandonato, e il Professore si dedicò alle ricerche che gli
portarono fama e agiatezza... ma non smise mai di credere nella leggenda da lui stesso
creata.
Il cuore di Augusto riprese a battere con il fervore del giorno precedente, pur senza
angoscia.
I dettagli potevano essere andati persi nel rogo della 'Nemi2', ma sapeva con certezza
che il Santo Graal dell'archeologia marittima era adesso alla sua portata.
Ironia della sorte, sarebbe andato a caccia della 'Gemella di Antikythera' con una
gemella della sua Antikythera; il Professore sarebbe stato estasiato.
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