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2/27/2018 Il pensiero medievale come onto-teologia dell’essere sociale

Il pensiero medievale come onto-teologia dell’essere sociale

di GIUSEPPE ROTONDO

La storia della filosofia è spesso animata da tragicomici paradossi:non si potrebbe chiamare in altro modo la vicenda
riguardante la ripresa della grecità da parte del mondo occidentale, partita da pensatori medievali come Tommaso
d’Aquino e culminata nell’umanesimo e nel rinascimento italiano del XV-XVI secolo.

Il carattere paradossale di questo fenomeno di riscoperta della filosofia greca da parte del mondo occidentale, sta nel
fatto che pensatori che non conoscevano il greco, come Dante Alighieri e lo stesso Tommaso furono più “grecisti” dei
rinascimentali alla Pico della Mirandola, i quali conoscevano invece perfettamente il greco ma tradirono profondamente il
carattere e lo spirito comunitario del metròn, elemento comune alle diverse esperienze filosofiche elleniche. Non si può
infatti negare che il pensiero greco fu fondato su una ontologia dell’essere sociale, ovvero una filosofia della comunità
umana, basata sulla giustizia del metròn e del giusto mezzo. Questo nucleo fondamentale del pensiero greco fu
letteralmente fatto a pezzi con l’avvento dell’umanesimo e del rinascimento italiano, prima ancora che Cartesio, ponesse
la famosa distinzione tra res cogitans e res extensa, rompendo l’unità ontologica greca di essere e pensiero. Pur
rispettando enormemente il contributo culturale dato dal rinascimento italiano, non si può però non ignorarne l’errore
storico di aver dimenticato il nocciolo dell’ontologia greca. E questa straordinaria mancanza, sarebbe da considerare
anomala ed astrusa se non la si riportasse sulla terra, operando una deduzione sociale delle categorie del pensiero, la
quale ha il merito di riportare a fatti sociali l’utilizzo di categorie filosofiche altrimenti incomprensibile.

Proprio la decontestualizzazione porta spesso all’inganno e al travisamento della storia della filosofia, che rischia in tal
modo di diventare una “filastrocca di opinioni”. Citazione hegeliana usata per condannare un certo modo di fare la storia
del pensiero, senza tenere conto dei contesti storico-geografici in cui essa matura e senza tentare di rinvenire l’unità di
fondo che la caratterizza.

Ebbene il mistero dell’abbandono della grecità proprio della filosofia rinascimentale italiana, non è frutto di una immotivata
decisione teorica, ma allude ad una metamorfosi ad un tempo storica e sociale: la fine del feutdalesimo, la nascita in Italia
di un ceto borghese precapitalistico e la particolare impalcatura mecenatica della cultura umanistica conducono, sul piano
filosofico, ad una nuova sublimazione dell’individuo cortigiano delle corti italiane rinascimentali, la cui la grecità si tramuta
in una filosofia anticomunitaria ed individualistica. L’esaltazione del successo e della ricchezza individuale, punti cardine
di questa nuova filosofia rinascimentale, fanno da contraltare alla critica anti-crematistica aristotelica o alla retta e giusta
comunità ideale platonica:”la legittimazione ideologica dell’arricchimento individualistico non ha dovuto aspettare Lutero e
tantomeno Calvino, ma era già stata compiuta dall’umanesimo italiano, nella misura in cui quest’ultimo aveva accettato di
essere incorporato negli apparati ideologici della nuova classe al potere dopo il periodo 1350-1450, frutto del matrimonio
tra vecchi ceti feudali e nuovi ceti “arricchiti” (Medici, ecc..).” Il paradosso del rinascimento italiano sta dunque nel suo
carattere fortemente contraddittorio: la fondamentale ripresa della lingua greca ed il recupero dei testi classici greco-latini,
si accompagna incredibilmente ad un travisamento tout court dello spirito greco; all’abbandono della ontologia dell’essere
sociale, della comunità umana e del metròn (giusto mezzo o medietà tra eccessi), elementi rappresentativi della pur
contraddittoria esperienza greca democratico-comunitaria. Con il rinascimento si ha dunque la vera cesura storica rispetto
alla grecità. E la singolare distinzione dicotomica tra mondo greco e mondo cristiano-medievale, dominante nella
storiografia moderna e contemporanea si rivela per certi versi fallace, poiché i medievali furono al contrario molto più
vicini ai greci di quanto si possa apparentemente immaginare, nonostante fossero completamente ignari della lingua
greca. Guardando hegelianamente la foresta senza perdersi nei singoli alberi che la compongono, il pensiero medievale,
pur nelle sue differenziazioni, può infatti essere interpretato come una onto-teologia dell’essere sociale, in cui si attua una
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trasposizione su un piano trascendente, quello divino, del messaggio greco dell’essere sociale e della comunità umana.
Le caratteristiche dell’essere greco del metròn e della misura vengono trasferite in Dio, che è unità simbolica della
comunità umana oltre che unità trascendente rispetto al creato.

E’ anche vero che il cristianesimo e il pensiero medievale, pur essendosi sviluppati attraverso il recupero della grecità, ed
in modo particolare di Aristotele, erano per varie ragioni non del tutto compatibili con la cultura greca:”Aristotele aveva
infatti insegnato tre cose del tutto incompatibili con la fede cristiana, e cioè appunto:1)che scopo dell’uomo è la felicità
politica, sociale e comunitaria;2) che il mondo fisico deve essere inteso come eterno e non come creato;3) che l’anima è
forma del corpo materiale, ed è pertanto impossibile concepirla come sinolo autonomo e sussistente, che possa pertanto
permanere dopo la morte del corpo stesso.” E tuttavia queste differenze evidenti non impedirono ad uno dei più grandi
pensatori medievali, Tommaso d’Aquino di incorporare Aristotele nella teologia cristiana, riportando in auge l’aristotelismo
con l’uso di categorie teologiche. Sta forse in questo la grandezza di Tommaso, che nell’essenziale non snaturò il
pensiero aristotelico, ed anzi vi aderì pienamente per almeno tre ragioni:

-In primo luogo accettò la concezione aristotelica della natura umana come predisposta al bene comune, dando al
pensiero cristiano un carattere comunitario e differenziandosi in ciò da altri grandi pensatori cristiani come gli
esistenzialisti e individualisti Pascal e Kierkegaard;

-Pose al centro della sua etica economica il concetto di moderazione e di misura (metròn), condannando l’ottenimento di
guadagni che eccedano i bisogni vitali assieme alla concorrenza sfrenata e all’approfittare di congiunture favorevoli o di
necessità o difficoltà del prossimo;

-Infine pur sostenendo e difendendo la proprietà privata, considerò quest’ultima un diritto positivo e non naturale, frutto
cioè di congiunture storico-sociali. Secondo il diritto naturale, per Tommaso, i beni dovrebbero essere comuni:”Tommaso
scrive : -In caso di estrema necessità, tutte le cose sono comuni (omnia sunt communia)-. Tommaso fu dunque uno
strenuo difensore del bene comune e della comunità umana e può dunque essere considerato a tutti gli effetti un
continuatore dell’ontologia greca dell’essere sociale, seppur travestita da categorie teologiche. Le stesse distinzioni
inerenti alla filosofia medievale, tra pensiero arabo e cristiano, tra francescani e domenicani, devono essere riassorbite
all’interno della comune enfasi sull’importanza del perseguimento del bene e dell’egalitarismo, anche se il
francescanesimo fu una variante volontaristica del cristianesimo, che operò una funzione sociale comunque egalitaria
basata sull’adesione individuale (e non comunitaria) ai valori della povertà e della semplicità. Ma si può comunque
inquadrare questa variante filosofica, i cui esponenti maggiori furono Ockham e Duns Scoto, all’interno di una reazione
individualistica rispetto alle pretese universalistiche della chiesa avignonese e dell’ordo francescano conventuale
dell’epoca, liquidate entrambe come corrotte.

Lo stesso Ockham, che viene oggi vergognosamente scambiato per un empirista ante-litteram in saio francescano, era
un teorico della chiesa invisibile e non solo un apologeta del nominalismo e dell’empirismo, anticipatore di Locke e Hume.
Questa de-storicizzazione perversa, oggi imperante nei manuali di storia della filosofia, non ci impedisce però di cogliere il
nucleo essenziale del pensiero medievale, ossia ciò che con l’aiuto di Lukacs ed Heidegger possiamo a tutti gli effetti
definire onto-teologia dell’essere sociale.

"cfr Una nuova storia alternativa della filosofia di Costanzo preve, casa editrice Pleisance

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