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27/4/2017 L’idealismo 

hegheliano tra totalitarismo e comunitarismo

L’idealismo hegheliano tra totalitarismo e
comunitarismo

di GIUSEPPE ROTONDO

"Ciò che sciocca i tedeschi è la tendenza diffusa nella stampa estera ad
assimilare l'attuale caccia al terrorismo della Rote Armee Fraktion ad un
ritorno al nazismo,

laddove ai loro occhi tale caccia è precisamente destinata a lottare contro
il  ritorno  di  quel  romanticismo  tetro,  crudele,  al  limite  della  follia,  che  ha
sedotto più di una volta, dal Medioevo a Nietzsche a Wagner, passando
per Hegel, le zone torbide dell'anima tedesca. E' questo romanticismo che
ha  generato  il  culto  della  violenza,  che  ha  sostituito  l'adorazione  della
Storia  all'adorazione  di  Dio,  che  ha  condotto  ieri  a  Hitler  e  rinasce  oggi
sotto la forma della Rote Armee Fraktion." (Quotidiano le Monde, 1977)

Sarebbe  ingenuo  assimilare  la  storia  della  filosofia  ad  un  cammino
progressivo  e  stadiale,  in  cui  non  vi  siano  soluzioni  di  discontinuità  ed  il
pensiero  viaggi  linearmente  verso  il  meglio.  La  straordinarietà  della
filosofia, come sapere veritativo autonomo, risiede in un carattere che la
differenzia  da  tutte  le  altre  scienze:  la  filosofia  è  l'unico  sapere  che
presenta  soglie  di  reversibilità,  in  cui  non  vi  sono  cioè  fondamenti
oggettivi, quantitativamente misurabili di verità che rendano un pensatore
del  passato  definitivamente  superato  dai  suoi  successori  e  dunque  non

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più  oggetto  di  indagine  epistemologicamente  significativa.  L'assunzione


che  la  filosofia  non  abbia,  nè  possa  avere  criteri  epistemologici
onnicomprensivi  e  universalmente  validi  per  determinare  la  validità  delle
sue  elaborazioni,  fa  in  modo  che  la  storia  della  filosofia  sia  anche  una
storia di grandi fraintendimenti.

La  categoria  di  fraintendimento  è  in  realtà  strutturale  alla  comprensione


umana,  tanto  più  a  quella  filosofica,  giacchè  ogni  interpretazione  pur
presentandosi  come  neutra  e  oggettiva  è  sempre  influenzata  da
condizionamenti  ideologici,  più  o  meno  sottaciuti  e  che  già  Marx,  con  la
sua  categoria  di  falsa  coscienza  necessaria,  non  ha  tardato  a
smascherare.  Dietro  al  ripudio  incondizionato  di  certi  pensatori  non  vi
sarebbero  in  altri  termini  motivazioni  di  ordine  teoretico,  ma  pregiudizi
ideologici che farebbero della filosofia un "fatto sociale", piuttosto che una
mera  e  asettica  questione  teorica.  Georg  Wilhelm  Friedrich  Hegel  è
sicuramente  uno  di  quei  pensatori  più  esposto  a  quel  tipo  di
interpretazioni  caricaturali,  che  presentandosi  con  motivazioni  teoretiche
molto deboli e confutabili,  celano sotto il loro velo di maya, fatti sociali di
portata  ben  più  rilevante.  La  reductio  ad  hitlerum,  la  politicizzazione
sfrenata dell'idealismo classico tedesco ed in modo particolare di Fichte,
Hegel  e  Marx  ricondotte  tout  court  ad  ideologie  totalitarie  è  un  fatto
sociale che si ripresenta sotto diverse spoglie nella storia della filosofia, e
che pur cambiando le sue forme, ha mantenuto in sostanza le sue deboli
ed  inerziali  motivazioni  di  fondo:  si  deve  ricordare  la  celeberrima
equazione  reale=  razionale  per  cui  quello  hegeliano  sarebbe  un
panlogismo  che  pretenderebbe  di  mettere  le  brache  al  mondo,  e  di
giustificarne  ogni  suo  aspetto,  naturale  e  storico­sociale,  in  vista  di  una
superiore e rarefatta razionalità. Così se tutto ciò che è reale è razionale,
anche  Auschwitz  diviene  possibile  e  l'idealismo  hegeliano  diviene  uno
storicismo relativistico e giustificazionista, in cui la storia è il vero pretore
dell'umanità,  che  premia  unicamente  i  vincitori,  a  prescindere  dai  mezzi
più o meno brutali di cui essi si avvalgono, in un machiavellismo cinico e
disincantato.  Sebbene  la  "citatologia",  l'arma  preferita  di  chi  "sputa  su
Hegel",  abbia  a  suo  vantaggio  la  nuda  e  cruda  banalità,  capace  di
suggellare  facili  rigurgiti  alla  lettura  isolata  e  decontestualizzata  di  certe
locuzioni, sappiamo proprio grazie ad Hegel che il noto proprio perché si
presenta immediatamente come tale è ciò vi è di meno conosciuto e che
basterebbero alcune notazioni per far crollare intere costruzioni teoriche.
Quella dello Hegel nazista o più generalmente, secondo un’ espressione
post­moderna,  "pensatore  forte"  e  totalitario  si  regge  più  o  meno
interamente  su  una  interpretazione  facile  da  smentire,  nella  sua

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inconsistenza  teorica:  "Tutto  ciò  che  è  razionale  è  reale,  tutto  ciò  che  è
reale  è  razionale",  l'affermazione  hegeliana,  contenuta  nelle  Lezioni  di
Filosofia  del  Diritto,  se  correttamente  interpretata  trasforma  l'hegelismo
dallo  storicismo  con  venature  totalitarie  della  interpretazione  canonica  in
un  idealismo  su  basi  ontologiche  e  dunque  veritative,  tutt'altro  che
assimilabile  al  relativismo  storicistico:  "Hegel  per  reale  non  intendeva
l'insieme  di  tutti  gli  eventi  fattualmente  avvenuti,  ma  soltanto  ciò  che  è
portato al proprio concetto, e questo risulta dalla sua scienza della logica,
che è un romanzo di formazione, che ha come portatore non il percorso
della  coscienza  storica  verso  l'autocoscienza(  Fenomenologia  dello
Spirito),  ma  il  passaggio  dialettico  dalla  categoria  più  vuota  ed  astratta
(l'essere) alla categoria più piena e concreta (il concetto)."[1] Il fatto reale,
l'accadimento  isolato  e  privo  di  connessioni  con  il  tutto,  con  la  griglia
concettuale di cui consta il reale ­che è al tempo stesso pensiero e realtà,
per Hegel assolutamente indistinguibili­ non è neppure considerabile reale
a  tutti  gli  effetti,  perché  è  solo  nella  razionalità  concettuale  e  quindi
complessiva che il singolo fatto assume significato :"Il concetto è la sintesi
di  reale  e  razionale,  non  certo  il  dato  empirico  fattuale.  Ad  esempio  lo
stupro  non  è  veramente  "reale",  perché  non  corrisponde  al  concetto  del
rapporto sessuale fra un uomo ed una donna, che per sua stessa natura
presuppone il libero muto consenso di entrambi".[2] Auschwitz, il nazismo
non sono "reali" perché violano la natura dell'essere umano come essere
libero e razionale. Quella di Hegel è si una filosofia della storia, perché la
verità è storica, è il proprio tempo appreso in pensieri, ma fondata su basi
ontologiche  e  assiologiche  stabili,  per  cui  le  acquisizioni  storiche  dello
spirito umano, non vengono cancellate dalla storia, o non devono essere
cancellate  se  infrangono  la  razionalità  e  le  determinazioni  naturali
dell'essere umano. Il progetto filosofico di Hegel non è dunque nè quello
di  pervenire  ad  una  verità  assoluta  ­si  noti  che  assoluto  (ab­solutus)
indica  l'essere  sciolto  da  ogni  vincolo  e  non  certo  l'aver  determinato  la
realtà  nella  sua  totalità­  nè  di  pervenire  a  procedure  di  conoscibilità,
verificabilità,  validità  delle  scienze  della  natura,  ma  di  edificare  "una
scienza  filosofica  della  verità  sociale  e  comunitaria  della  natura  della
convivenza  umana".  Quella  di  Hegel  è  ,parafrasando  Lucacks,  una
ontologia dell'essere sociale, che ha come proprio oggetto ciò che è ed è
eternamente,  ma  che  a  tal  fine  non  può  fare  a  meno  di  partire  da  una
interpretazione filosofica del proprio tempo storico, che storicizzi gli eventi
della  storia  universale,  pensandoli  nell'ottica  di  una  graduale
autocoscienza  umana  rispetto  alle  sue  stesse  potenzialità  ontologiche.
Potenzialità,  che  non  devono  necessariamente  realizzarsi  ­in  ciò  la
filosofia  della  storia  hegeliana  supera  qualsiasi  forma  di  teodicea  o
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necessitarismo­ ma che possono aristotelicamente passare dalla potenza
all'atto,  in  quanto  connaturate  alla  natura  umana.  Ciò  conduce  non
soltanto  a  rifiutare  l'idea  di  un  Hegel  necessitarista  e  dunque  fautore  di
una  concezione  autoritaria  e  prescrittiva  della  verità,  indebolendo  ­come
se  non  bastasse­  l'interpretazione  del  suo  idealismo  in  senso  totalitario,
ma  anche  ad  enucleare  il  vero  nucleo  della  filosofia  hegeliana:  "  Il
Denkweg  di  Hegel  esiste,  ed  è  un  Denkweg  che  lo  ha  portato  dalle
riflessioni giovanili sulla bella comunità spontanea della religione naturale
dei  Greci  e  sulle  antinomie  dell'amore  cristiano  fino  alla  meditata  e
razionale  convinzione  che  non  si  poteva  tornare  a  queste  due  nobili
configurazioni  spirituali,  ma  si  doveva  invece  coraggiosamente  passare
ad  una  nuova  configurazione,  quella  della  fondazione  di  una  comunità
moderna su di una scienza filosofica della verità sociale accessibile a tutti,
e non solo ad alcuni "geni" pomposi"." [3]

Coloro che volessero aderire ad una filosofia comunitaria, imperniata sulla
natura  sociale  e  relazionale  dell'essere  umano,  sull'idea  che  l'individuo
realizza se stesso solo nella totalità pienamente sviluppata delle relazioni
in  cui  è  collocato,  devono  insomma  riconoscere  che  "non  possono  non
dirsi  hegeliani".  Ed  è  proprio  il  ripudio  del  comunitarismo,  il  vero  "fatto
sociale"  che  nell'epoca  del  trionfo  capitalistico  dell'  individuo  apolide  e
atomistico,  fa  del  filosofo  di  Stoccarda,  uno  scomodo  e  ad  un  tempo
rivelatore pensatore inattuale.

[1]Costanzo  Preve,  Una  Nuova  Storia  Alternativa  della  Filosofia,  ed.


Petite Plaisance

[2]Ibid.

[3]Ibid.

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