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genesi sociale dell'empirismo humeano e l'affermazione definitiva del capitalismo assoluto
La genesi sociale dell'empirismo humeano e
l'affermazione definitiva del capitalismo
assoluto
di GIUSEPPE ROTONDO
"Quando scorriamo i libri di una biblioteca, persuasi di questi princípi, che
cosa dobbiamo distruggere? Se ci viene alle mani qualche volume, per
esempio di teologia o di metafisica scolastica, domandiamoci: Contiene
qualche ragionamento astratto sulla quantità o sui numeri? No. Contiene
qualche ragionamento sperimentale su questioni di fatto e di esistenza?
No. E allora, gettiamolo nel fuoco, perché non contiene che sofisticherie
ed inganni."
(D. Hume, Opere, Laterza, Bari, 1971, vol. II, pag. 175)
La filosofia è materia per umoristici. Lo diceva Bertold Brecht nel Dialogo
dei profughi, elogiando l'ironia della dialettica hegeliana, la capacità insita
ai concetti di accoppiarsi anteticamente tra loro, di modo che ognuno
metta in scacco la stabilità e la validità del vicino, pur mostrandosene
inseparabile. Mutatis mutandis è umoristico il fatto che il filosofo scozzese
David Hume, uno dei punti più alti dell'empirismo occidentale, simbolo del
relativismo, dello scetticismo gnoseologico e della tolleranza radicale sul
piano eticopolitico, possa poi trapassare nella demonizzazione
incondizionata ed escludente di un suo più o meno indiretto interlocutore.
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28/4/2017 La genesi sociale dell'empirismo humeano e l'affermazione definitiva del capitalismo assoluto
Come mai un teorico del relativismo e della parità dei punti di vista, possa
poi diventare feroce banditore di una verità, come quella rivelata cristiana
o metafisica scolastica? Si dirà, l'empirismo nasce proprio dalla
consapevolezza dell'alterco tra le diverse filosofie, moltiplicantesi
all'epoca in cui Hume operava il Settecento illuministico scozzese e più in
generale britannico e dall'esigenza di individuare nel metodo empirico la
fine di ogni discussione filosofica.
Proprio però da questa pretesa, si può già cogliere il carattere
ugualmente metafisico implicito alle sue finalità teoriche. Hume è
tradizionalmente presentato come il distruttore, più sobrio e pacato
rispetto al baffuto martellatore che lo succederà qualche secolo dopo,
delle principali acquisizioni della tradizione culturale occidentale: la
stabilità dell'Io ed il concetto di sostanza, la pretesa di assolutezza delle
religioni rivelate, persino il diritto naturale ed il contratto sociale, sostenuti
invece da filosofi a lui temporalmente o dottrinalmente non distanti come
Thomas Hobbes, John Locke, Ugo Grozio, Jean Jacques Rousseau.
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28/4/2017 La genesi sociale dell'empirismo humeano e l'affermazione definitiva del capitalismo assoluto
anticipazioni e aspettative di desideri, realizzate e infinitamente riprodotte
sul piano orizzontale delle merci, scambiabili sul libero mercato
assolutizzato.
Dal punto di vista antropologico, Hume pone così le basi per la
costruzione del modello, ormai oggi ubiquitariamente impadronitosi delle
coscienze comuni, fattosi spirito del tempo, incontrastabile ed
intrascendibile, neanche solo a livello simbolico: l'homo oeconomicus,
portatore di finalità utilitarie ed economiche, come la necessità della
proprietà privata e della libera iniziativa incontrastata, la competitività tesa
alla scalata e al prestigio sociale. Tutti elementi evidentemente particolari,
relativi ad un determinato modello socioeconomico, non l'unico pensabile
ed esistito storicamente, e che Hume mescola abilmente a fattori
biologiconaturali, come la spinta all'accoppiamento, la cura della prole,
andando così a costruire il suo prototipo di natura umana, il quale altro
non è se non quello equivalente alla cultura media del suo tempo. In
questo modo, per "falsa coscienza necessaria", Hume pur presentandosi
come l'affossatore più duro ed acerrimo della metafisica e delle
ipostatizzazioni astratte e e concettuali della storia filosofica occidentale,
ne diviene, nemmeno troppo paradossalmente, il pensatore "metafisico"
per eccellenza. Incapace di vedere le contraddizioni prodotte dal sistema
capitalistico assolutizzato, dall'appiattimento sull'economico di tutte le
altre sfere di esistenza: la povertà e le sperequazioni sociali, la miseria,
l'abbruttimento materiale e culturale. Fenomeni non certi sconosciuti
all'epoca e messi lucidamente a nudo anche da letterati contemporanei a
Hume come Johnathan Swift: "mostrando la relatività sociale dei costumi,
delle consuetudini e del comportamento degli uomini, Swift critica
implicitamente anche l'assolutezza che allora la società si attribuiva. Ma la
vera polemica, forte, anzi feroce, contro la nuova civiltà del profitto, Swift
la concentra in un breve scritto intitolato Modesta proposta per impedire ai
bambini della povera gente d'essere un peso per i genitori e per il Paese,
facendoli invece servire alla pubblica utilità."[3]
[2]Diego Fusaro, Minima Mercatalia, Edizioni Bompiani
[3]Ibid
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