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3/17/2018 Morte di Dio e ultimo uomo

Morte di Dio e ultimo uomo

di GIUSEPPE ROTONDO

Le figure nicciane del capitalismo contemporaneo

La figura di Friedrich Nietzsche, nelle sue numerose sfaccettature, è senz’altro una delle più gettonate nell’odierna
riflessione filosofica. Lo scriba del caos, così come è stato ribattezzato il barbuto filosofo tedesco, ha conseguito uno
straordinario successo nella cultura filosofica novecentesca, con numerosi tentativi di interpretazioni e sistematizzazioni di
un pensiero presentatosi almeno apparentemente come asistematico. Proprio l’asistematicità della filosofia nicciana,
condensata in una mobile e magmatica struttura di aforismi, è stata per lo più data per scontata:”Il pensiero di Nietzsche è
programmaticamente asistematico anche quando progetta opere che hanno l' apparenza della sistematicità o
dell'organicità. Anzi, più di chiunque altro, Nietzsche ha schernito le illusioni e le presunzioni della filosofia sistematica
[…]. Dietro il sistema Nietzsche scorge una forma specifica di volontà di potenza, cioè un desiderio di impadronirsi della
totalità del reale, desiderio che egli, in quanto “scriba del caos” denuncia come illusorio e votato all’insuccesso.”[1]
Tuttavia questa presunta asistematicità stride con le interpretazioni politiche che a partire dal primo Novecento hanno
caratterizzato la trattatistica su Nietzsche. L’espressività politica di Nietzsche appare larvata e mascherata dietro ai suoi
scritti frammentari e disorganici e la filosofia nicciana sembra essere solo apparentemente impolitica. Lungi dal mettere in
discussione le diverse citazioni che dimostrerebbero l’asistematicità del suo pensiero, occorre prendere in esame la
formazione, nel corso del Novecento, di una vera e propria dicotomia politica nell’interpretazione di Nietzsche. A partire
dalla diversa traducibilità del termine tedesco Ubermensch si è infatti venuta a formare una doppia interpretazione. Essa
ha dato luogo alla formazione:

-di una destra nicciana, che sosteneva l’idea di Superuomo come eroe di destra, fedele alla terra, aristocratico
dominatore dell’uomo plebeo, miserabile strumento di una incontrastata volontà di potenza. Un uomo dalla forte valenza
simbolica, ambientato in un contesto imperialista e nazionalista, e dunque utile a giustificare l’asservimento dei popoli
considerati inferiori.

-dall’altro lato, nel dopoguerra, a cavallo tra gli anni sessanta e sessanta di una sinistra nicciana, che traduceva
Ubermensch con il termine Oltreuomo, andando ad indicare con ciò un uomo al di là della destra, della borghesia e del
suo modo capitalistico di produzione. Oltreuomo era sinonimo di una nuova trasvalutazione dei valori, che rimpiazzava
con una nuova scala valoriale la distruzione dei vecchi valori cristiano-borghesi.

Come cogliere il senso di questa cornice interpretativa, alla luce del fatto che il pensiero nicciano si presentasse in origine
asistematico e dunque apparentemente privo di connotazioni politico-morali?

Questa contraddizione, che ha caratterizzato lo stesso successo della filosofia di Nietzsche, rimarrebbe immotivata e
priva di spiegazione se posta al di fuori del contesto storico-sociale in cui è maturata. Una genesi ontologico-sociale
dell’interpretazione politica di Nietzsche ci mostra invece che la politicizzazione di Nietzsche ha svolto un ruolo non
indifferente all’interno dell’ordine sociale, politico ed economico in cui si è ambientata: il mutamento da destra a sinistra
del Nietzsche politico sembra essere consequenziale al mutamento subito dal modo sociale di produzione capitalistico tra
il prima e il dopo del secondo conflitto mondiale. Non è un caso che il passaggio da un capitalismo di destra a forti tinte
imperialistiche a un capitalismo di sinistra post-borghese e post-proletario sia andato di pari passo al cambiamento di
volto politico di Nietzsche. L’ Oltreuomo ha scalzato il Superuomo nel momento in cui il capitalismo si è sganciato dagli
elementi valoriali tipici della borghesia, ancora in auge nel primo novecento ed invece via via sostituiti da una
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costellazione morale del tutto nuova: seppur inaugurata tra gli anni sessanta e settanta da autori fondamentali come
Gianni Vattimo e Gillez Deleuze, la sinistra nicciana anticipa infatti quei caratteri che si ritrovano nel capitalismo
contemporaneo:la fine del conflitto borghesia-proletariato e la crescente impersonalità e illimitatezza assunta dalla
mercificazione globale coincidono sul piano simbolico al tramonto e alla distruzione dei valori borghesi, di cui il
Sessantotto fu un chiaro esempio, rappresentando una rivoluzione dello spinello e del sesso facile piuttosto che un reale
momento di emancipazione dal capitalismo. Il soggetto sessantottino è paragonabile ad un’altra figura ascrivibile, a sua
insaputa, alla stessa sinistra nicciana: l’ Ultimo Uomo del Così Parlò Zarathustra, colui che sa che Dio è morto, e che con
esso è venuto meno qualsiasi altro tipo di valore o ideale collettivo. Per cui è possibile fare qualsiasi cosa, dal momento
che il mondo assume una connotazione nichilistica e si affranca da qualsiasi forma di normatività. Proprio il sessantotto fu
ad un tempo rivoluzione dei costumi e mantenimento dei rapporti di forza esistenti, distruzione del lato positivo del
capitalismo--i pur contraddittori valori borghesi scambiati per l’imposizione di un soggetto dalle dure pretese normative (la
famiglia, la cristianità, la misura)--e conservazione di quello negativo—l’individualismo spasmodico, il godimento illimitato
ed il piacere fine a sé stesso di un soggetto atomico, che vive di istanti seriali privi di continuità, senza più una
progettualità o un ideale superiore di umanità a guidarlo.

[1]Le filosofie del Novecento, Giovanni Fornero e Salvatore Tassinari, Mondadori

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